Comunità studentesca de "L'Antibagno"
REP. 7 del 19/11/14
Adattamento è una parola che non mi piace o che, in qualche modo, mi procura disagio e
irritazione: mi fa sentire, mi mette nella condizione di essere passiva o comunque di subire
qualcosa. E’ anche vero che nella quotidianità si fa l’esperienza del cambiamento e della
trasformazione: ma in questa declinazione colgo l’aspetto di novità e una valenza positiva
e propositiva. Proprio per questo è rielaborazione la parola che metterei accanto ad
adattamento. Come fosse un lungo ripensamento, una raffinata inquisizione interiore, un
percorso senza fine alla ricerca di se stessi per arrivare anche agli altri. Oggi mi
percepisco “rielaborata” rispetto ad appena cinque anni fa: quasi fossi entrata in una
diversa dimensione di me stessa da quando ho incontrato la strana e sconvolgente SLA.
Da allora si sono modificate le relazioni familiari, si sono destrutturati precedenti ruoli che
sembravano immutabili, si sono create nuove alleanze e accentuata la variabilità
quotidiana, caduta la certezza di un tempo lungo di permanenza nella stessa condizione.
Sono dovuta rinascere acquisendo sostanza diversa più fluida e consistente, di
un’incredibile forza fragile. Eppure mi riconosco, sono ancora quella di un tempo, arricchita
per
ciò che è stato, diventata ciò che potevo essere ma che, prima, non riusciva a
prendere consistenza. E allora ne è valsa la pena …
Girone, 25 novembre 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep.6 del 12/11/14
Il rinnovamento, per non essere un’inutile operazione di facciata,
presuppone un cambiamento profondo e interiorizzato, quasi un lasciarsi
alle spalle il proprio io, vecchio e superato, e aprirsi a nuova vita; è il
modo di trovare e ritrovare se stessi con un approccio diverso; indirizzare
la propria mente e il proprio cuore verso una nuova meta.
Sono partita dal rinnovamento personale perché è da qui che hanno
origine i rinnovamenti sociali, economici, tutti quelli culturali, insomma.
Il nuovo, quello che prima non c’era, nasce dalla consapevolezza e dalla
costruzione cosciente di un novello modo di stare al mondo.
Il rinnovamento, dunque , è nascere di nuovo: espandere i polmoni e
schiudere gli occhi come nel momento della nascita.
Rinnovamento come rigenerazione, dunque.
Girone, 18 novembre 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 6 del 12/11/14
Ho assaggiato il brie diversi anni fa, quando ho fatto uno dei tanti viaggi “d’apprendimento”
in Francia; apprendimento di storia, arte, geografia, ingegno, letteratura, artigianato, ….
cultura, insomma. All’inizio mi turbava la sua crosta molliccia che insinuava nella mia mente
strane associazioni, poi mi sono lasciata guidare dalla “gola” e ho incontrato uno dei miei
formaggi preferiti. Un formaggio versatile che mi ha permesso di tirare fuori,
inaspettatamente, il mio lato creativo in cucina. Allora, in terra di Francia, mi sono informata
sulle origini e specificità di questo formaggio: ed ora mi trovo nuovamente di fronte alla
nascita e alla storia del brie! Questa volta voglio riportare alcune notizie tecniche sul brie,
sia per condividerle con chi leggerà queste mie righe in proposito, sia per avere di nuovo la
sensazione di essere là nella valle dove viene prodotto, la piana di Brie, situata a circa 50 km
a est di Parigi. Le prime notizie certe sulla sua origine risalgono al XI secolo; la varietà Brie
de Meaux ebbe origine nell'abbazia di Notre-Dame de Jouarre: allora questo formaggio
veniva chiamato anche "il parigino" perché, per le difficoltà di trasporto, era gustato solo
dagli abitanti di Parigi. Il Brie è un formaggio di latte vaccino “crudo” così detto perché la
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temperatura del latte non supera mai i 37 gradi durante le fasi di lavorazione; dopo la
cagliatura, il latte viene lasciato coagulare per almeno 18 ore. La cagliata viene posta
manualmente in stampi con un mestolo e lasciata sgocciolare per circa 36 ore. Una volta
tolto dalle forme, il formaggio viene salato a secco manualmente, poi messo in cantine a
stagionare per circa 8 settimane. La caratteristica crosta del Brie si forma in seguito al
trattamento del formaggio con muffe speciali del genere penicillium: la muffa forma una
patina esterna bianca che non è dannosa per la salute, per cui questo tipo di formaggio viene
mangiato per intero, crosta compresa. In commercio si trovano numerose varietà di Brie; il
Brie de Meaux (artisanal o industriel), il più conosciuto in assoluto, dal sapore delicato e
raffinato, ha ottenuto la certificazione AOC («Appellation de Origine Controllèe» che
corrisponde alla nostra certificazione DOP). A livello nutrizionale, il brie è ricco di proteine,
calcio, vitamine e contiene inoltre sodio, potassio e fosforo. I grassi contenuti variano a
seconda del tipo di formaggio, ma in media sono il 27%.
Mi rivedo mentre visito un caseificio della zona in cui viene prodotto il brie: guardo,
osservo, cerco di “trattenere” più notizie possibili, quasi a fermare il tempo e le emozioni. A
poco a poco mi trasformo in un’antica “bénèdectine” de Notre-Dame de Jouarre mentre do
forma e sapore al latte che, con pazienza e pacatamente, diventa brie.
Ho ripercorso la strada che mi ha portato a Jouarre e ho capito che ogni sforzo fatto,
ogni inquietudine provata nel viaggio erano state d’aiuto per arrivare a questa mia
consapevolezza attuale: era valso la pena fare quest’esperienza; rinunciarvi per pigrizia
o indifferenza sarebbe stata una grande perdita.
Girone, 18 novembre 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep.7 del 19/11/14
E’ questa un’esperienza difficile da narrare, anche se rappresenta, a
mio parere, il dipanarsi intrinseco delle nostre vite.
Ho bisogno di una similitudine per cercare di spiegare l’avvicinamento
graduale che conosco e che percepisco in me. L’obiettivo di una
macchina fotografica, compiendo interi giri su se medesimo, a poco a
poco riesce ad avvicinarsi e rendersi prossimo a quell’entità che ha di
fronte: in un susseguirsi di scatti continui (impercettibili e implacabili)
diminuisce il distacco fra chi osserva e l’oggetto dell’attenzione; da
nuove prospettive, si modifica la forma della cosa, la dimensione,
appaiono particolari che all’inizio erano totalmente assenti, la
superficie mostra incertezze o meglio, disomogeneità velate dalla
lontananza. Si riceve una sensazione di tranquillità
perché
comprendiamo che tutto è più chiaro ed evidente e non nebuloso
come prima; non temiamo l’incontro con le inevitabili irregolarità e
anomalie: anche queste fanno parte del gioco.
Ho sempre gioito nel riuscire a vedere, ingrandito, quel puntino che
appariva sulla lente: una farfalla svolazzante e girellona, curiosa del
mondo circostante. E la farfalla, finalmente un’entità vicina e
concreta, diventa palpabile e tangibile, propizia, alleata e amica.
Si arriva cioè ad assaporare il senso di appartenenza e di profonda
corrispondenza, la gioia di riconoscersi e di essere riconosciuti.
L’avvicinamento graduale, percorso lento o repentino, faticoso ma
gratificante è il continuo spirito che mette in moto l’umano agire e,
come una spirale, continua ininterrottamente nel tempo.
Girone, 25 novembre 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep.4 del 29/10/2014
Siamo esseri umani e più che imperfetti siamo fragili, volubili,
sofferenti e talvolta moduliamo il nostro atteggiamento in base
a impellenze e variabili quotidiane … ma tutto questo non è
furbizia: è occorrenza, necessità, aggiustamento, allineamento,
contingenza, occasione, urgenza.
Furbizia è la strategia che permea l’esistenza della persona
che ha operato questa scelta di vita per utilità personale,
indipendentemente da tutto il resto.
Girone, 4 novembre 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 4 del 29/10/14
Forse è solo una riflessione dettata dalla profonda amarezza di questa
giornata, oppure è una delle tante inezie che popolano la mia testa … ,
ma se voglio superare quel qualcosa di incompiuto che mi procura un
senso di insoddisfazione, non posso ignorare e mettere a tacere
questo pensiero.
Non so se è corretto considerare “incompiuto” il mio modo di essere,
quel mio darmi, ogni volta, fino allo sfinimento per capire, alla fine
della giornata, che ho esaurito l’energia per dedicarmi concretamente a
me stessa.
E’ questa avarizia nei miei confronti, o meglio, questa mancanza
d’attenzione e d’amore che mi rende incompiuta.
E forse la beffa maggiore è racchiusa nel mancato riconoscimento del
mio impegno, del mio tempo, del mio pensiero proprio da parte di
chiunque l’ha ricevuto.
Girone, 4 novembre 2014
tamara
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Rep.5 del 5/11/14
Dentro di me c’è l’dea di albero: tronco rami foglie (radici se ci
penso), poi devo sostanziare questa immagine virtuale presente in me
e comincio ad avere qualche incertezza. Sceglierei ogni albero per la
sua specificità, proprio in virtù di quelle caratteristiche che lo
identificano e lo rendono unico e diverso dagli altri della sua “specie”.
Per molto tempo mi sono riconosciuta nel salice piangente per questo
suo ripiegarsi su se stesso e da qui ottenere forza ed energia, pur
dando l’impressione di aver rinunciato alla lotta.
Mi attrae e mi stupisce il pioppo, spennellato dal “mio” Monet: colgo
la voracità del tempo che dà una visione fugace di luce sulle foglie;
poi, in un intervallo ridotto, la luminosità si trasforma
e muta e
differente è l’impressione che viene offerta.
Mi affascina anche l’albicocco con le sue trasformazioni: i suoi fiori
delicati e timorosi, di un timido bianco con velleità rosacee, le sue
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foglie, “foglie” vere e simboliche, i suoi frutti, i miei preferiti, le
albicocche che mi regalano il sapore dell’estate e il colore del sole.
Mi affascina il melograno perché apparentemente è un albero
“qualsiasi”: il suo aspetto è simile a un “travet” qualunque e le sue
foglie non hanno particolari singolarità. Ma aspettarne sviluppi e
metamorfosi
stagionali
offre
un
quadro
inaspettato:
spoglio,
ramificato d’inverno; in primavera offre gemmature consistenti da cui
poi prorompono infruttescenze stellate che fanno presagire bene. A
poco a poco si assiste a una crescita continua del “grumo” di vita
presente fino ad arrivare ad un frutto particolarmente ricco e
caratteristico: la melograna: l’uno fatto di molti, in un reciproco modo
di essere. Un frutto da scoprire con all’interno comunità generose e
gioiose. Un frutto espressione di diversi punti di vista.
Il noce è stato l’albero che mi ha vista librata in alto, verso il cielo,
rannicchiata su un’altalena improvvisata con un’ asse raccolta nel
mucchio di legna per il camino.
Guardare con amore e attenzione un albero, qualsiasi albero, mi
avvolge di serenità e, pur sentendomi minuscola e irrilevante, mi
sento parte di un’esperienza meravigliosa e straordinaria.
Girone, 11 novembre 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
REP. 5 del 5/11/14
No, non ricordo di aver fatto l’analisi grammaticale alla
scuola elementare. Se il programma la prevedeva entro la 4°
elementare, di sicuro la sig.ra maestra Cammarata non ha
ottemperato a questo obbligo, tutta presa dalla vicina pensione
e dai gioielli da chiedere in regalo alle famiglie delle scolare,
oltre ai soliti doni pretesi a Natale. Se invece l’analisi
grammaticale era materia della 5° elementare, la nuova
giovane maestra, la senese Sordi, ha fatto sì che ne perdessi
memoria. Maestra all’avanguardia (?) ha accolto le scolare di
buona famiglie isolando le altre. Mi ha dato uno zero perché
non avevo descritto quale fosse il mio programma preferito
alla tv (ma in casa mia la televisione non era ancora
arrivata …), mi ha umiliata escludendomi dal saggio di
danza perché non avevo le phisique du role, mi ha
pubblicamente ferita rimandandomi in matematica alla
sessione di settembre dopo l’esame della 5° elementare. Se
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penso a lei, ancora oggi la disprezzo e la biasimo; ho
conservato anche una punta rilevante di odio nei suoi
confronti.
Ricordo invece l’analisi grammaticale fatta alle medie con il
buon Prof. Giovanni Broi che ci faceva sperimentare la nostra
curiosità anche in questo ambito.
Girone,
tamara
10
novembre
2014
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
REP. 3 del 23/10/14
Ogni novità, nel senso di cosa nuova, è una creazione e si
riproduce innumerevoli volte ogni giorno, in ogni parte della
terra e forse oltre …
Ogni creazione, per “venire al mondo”, per nascere, per essere
epifania, cioè per essere manifesta, è preceduta da un pensiero,
anzi da singoli atti del pensiero che vengono strutturati, definiti
e collegati seguendo un filo logico per dare consistenza all’idea
che si è così determinata.
Quindi è ideazione la parola che collego e metto per prima
accanto al termine creazione: c’è bisogno di un’idea, di un
pensiero per creare. E dopo l’ideazione, seguono tutti gli altri
passaggi (che ho ridotto ai minimi termini per semplificare), i
passaggi
necessari
e
presenti
in
ogni
progetto:
pianificazione, esecuzione/costruzione, valutazione …
Girone, 28 ottobre 2014
tamara
analisi,
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Rep.3 del 23/10/2014
C’è qualcosa che è per te oggi “superessenziale”? … E di
che cosa pretendi la “massima qualità”? … Bastano
(sono essenziali) due parole per rispondere, scrivile …
Parto da due termini presenti nella domanda: oggi e qualità, per
cercare di capire e di condividere ciò che per me è “superessenziale”.
Oggi: metto l’accento su questa parola perché non posso e non voglio
muovermi in un tempo diverso; il passato ha lasciato le sue tracce ma
ormai è andato via; il futuro … chissà …
Qualità: questo termine è la caratteristica e il requisito di ogni
elemento di valore (porto ad esempio: una testa ben fatta, piuttosto che
ben piena …).
Parto quindi dal “mio piccolo quotidiano”, da quella realtà a me
comprensibile e da me esplicabile: parto da me, da quello che conosco
e riconosco per continuare l’approfondimento e la ricerca.
Il termine “superessenziale” racchiude in sé e sintetizza il mio modo di
pensare ed agire: ciò da cui non posso prescindere per credere ancora
in me stessa. Vorrei che rappresentasse anche gli altri, non per
egocentrismo, ma perché ritengo che in questo modo la società
sarebbe più giusta, più buona e più bella.
Identifico il “superessenziale” nella coerenza: un modo di agire (e
anche di pensare) rispettoso dell’altro perché non segue
camaleontismi d’opportunità o di convenienza. La coerenza
presuppone una scelta, una presa di responsabilità e il coraggio di
intraprendere il proprio cammino e di perseguirlo.
Parto spesso dalla storia della lingua e dall’origine delle parole: è come
entrare nelle viscere di un popolo che si è dato regole condivise e
significati accessibili alla comunità. E’ come ripercorrere la storia di
quella gente e metterne a nudo credenze e valori, sogni e bisogni.
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
L’origine della parola coerenza mi dice già tutto; coerenza deriva dal
latino cohaerentia, derivato dal verbo cohaerere che significa: “stare
unito insieme”. Coerenza raccoglie in sé il singolo e il gruppo, e
raffigura l’idea di un “tutt’uno”: disegna e personifica la capacità e la
possibilità di realizzare un cerchio sempre più grande che unisce
fisicamente e mentalmente tutte le essenze.
Non voglio perdere questo sogno e cerco di dargli corpo
quotidianamente: l’esempio non è una goccia nell’oceano ma
l’opportunità di cambiare.
Girone. 28 ottobre 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep.3 del 23/10/14
E ora leggiamo il catalogo di questi interrogativi che tagliano
trasversalmente i testi dei sette più importatati Trattati sull’anima: Perché
l’anima si chiama così? Quante definizioni si possono dare dell’anima? Qual è la
natura dell’anima? L’anima ha o non ha una forma? Quali sono le Virtù morali
dell’anima: la prudenza, la fortezza, la giustizia, la temperanza? Qual è
l’origine dell’anima? Qual è la sede dell’anima? In che rapporto sta il corpo
rispetto all’anima? L’anima è lo strumento che serve per capire se le persone
sono malvagie o sono buone? Qual è la sorte dell’anima dopo questa vita? La
mente è fatta a immagine dell’anima? L’anima è più piccola nei bambini e più
grande nelle persone più forti? L’anima è corporea? L’anima si muove
localmente assieme al corpo o va per conto proprio? L’anima è una idea sublime?
L’anima è una idea sublime - perché con l’idea dell’anima, con questo pensiero, si lambiscono ambiti che vanno oltre, oltre
la soglia (… seguiamo l’etimologia: “limen” come soglia …): è un varcare un territorio che ci apre nuove prospettive.
L’anima ha una forma – perché l’anima è una forma mentale ben definita che riesce a dare corpo e consistenza all’idea del
giusto, del bene e del bello.
L’anima e la sua definizione – l’anima è l’essenza vitale di ogni essere umano, è il soffio sostanziale della vita.
Girone, 28 ottobre 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Quest’estate è stata singolare per i vari fenomeni meteorologici che l’anno
caratterizzata. Un’estate anomala che sembrava voler mettere in discussione
ogni certezza ed evidenza maturata nel corso degli ultimi decenni. Un’estate
diversa, poco “estate”, molto speciale. Come se stesse ricalcando la mia vita di
oggi. Quasi volesse essermi d’aiuto in qualche modo, per quanto possibile.
Il 24 agosto è stato “l’anniversario” del nostro trasferimento a Girone,
nell’appartamento affittato per necessità, non per bizzarria. A Compiobbi, nella
casa conquistata con sacrifici e determinazione, è rimasta nostra figlia Camilla
che lì ha dovuto ritagliarsi la sua nuova vita in solitaria, senza di noi, non per
scelta ma per imposizione della SLA, la sclerosi laterale amiotrofica.
A Compiobbi è rimasta: un’enorme fioriera davanti alla porta d’ingresso con
gelsomini di vario genere, piante grasse e
diversi arbusti sempreverdi; due
giardini: quello vicino alla rampa delle scale di accesso alla casa con rampicanti,
agrifogli, rose gialle e le roselline a grappolo color rosato, poi ciclamini di bosco,
violette bianche, violette viola come “sottobosco” ; il giardino dietro casa, che
si apre difronte alla cucina e a quello che era lo “studium” di Valdemaro con il
melograno e il nespolo e una corona di lavandula e un tappeto colorato di
primule, violette e fiori “spontanei”, trasportati dai boschi di Rosano con il
terriccio lì raccolto (Dietro questo giardino c’era, un tempo, l’orto che non ha
visto più nuove piantagioni, dove ora si sono diffuse la pianta del rosmarino,
della salvia e della menta che si sono divise lo spazio, diventando più armoniose
e materne. Piante feconde); in alto , nella loggia vicino al tetto, grandi vasi
rettangolari con piante grasse che sono cresciute diventando vigorose.
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Gli anni passati, le innaffiature esigevano molta dedizione e tempo, oltre a una
frequenza continua. Quando andavamo in vacanza, Camilla diventava giardiniera,
anche se a malincuore. Quest’anno ho continuato a occuparmene io perché non
sono partita per le vacanze. Ma spostarmi da Girone a Compiobbi è stato
talvolta difficile per la necessaria presenza accanto a Valdemaro.
Potevo assentarmi “a spizzichi e bocconi”, ma le piante non si bagnano quando
c’è il sole e c’è poi bisogno di un tempo, di un lungo tempo continuativo per farlo.
Ho pensato spesso, tornando ai “miei” giardini e vedendoli vitali, nonostante la
mia “lontananza”, che la stagione mi era stata amica e solidale. Aveva fatto in
modo che “le mie piante” non soffrissero troppo la mia assenza e,
comprendendone il motivo, non soccombevano alla sete. Sono arrivata sempre
“in tempo” (sono una ragazza fortunata …), aiutata da giornate senza afa, senza
calore opprimente. Anche tutte le piante in vaso, numerose e variegate, hanno
saputo aspettare “incolumi” il loro trasloco (avvenuto quasi a un anno dal nostro
trasferimento a Girone), ancora riparate sulla loggia dentro la serra invernale
prudentemente lasciata adesso aperta su tre lati. Il loro viaggio da Compiobbi a
Girone è stato però abbastanza faticoso: hanno trovato posto “organizzato e
riservato” sui sedili, sui tappetini oltre che nel bagagliaio della mia Roomster
(mia ancora per poco perché … ci serve un Doblò attrezzato per carrozzina
elettrica …). Queste piante si sono ritrovate finalmente insieme dopo tre
(quattro?) viaggi in giornate diverse, quelle disponibili, perché il mezzo a
disposizione non era abbastanza capiente per tutte.
Scoprirle nel giardino di Girone mi ha dato un senso interiore di pace ed è stato
come ritrovare “casa”.
Girone, 20 ottobre 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
FAME
… scelgo la parola fame che nella sua crudezza è per me evocativa di un
modo di essere.
La fame ha accompagnato tutti gli esseri viventi fin dagli albori perché
rappresenta non solo il bisogno di nutrire il corpo, ma anche l’imprescindibile
necessità di nutrire l’anima, lo spirito, l’essenza vitale.
Fame di conoscenza e di giustizia, fame di un mondo che possiamo rendere
diverso, giorno dopo giorno, se ci impegniamo a superare i nostri personali
egoismi per comprendere sogni e bisogni dell’umanità.
Girone, 8 ottobre 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Il viaggio di questa estate
Ho fatto un lungo viaggio quest’estate, un lento viaggio, impegnativo e duro, di
grande valore per me.
Resterà impresso nella mia mente e nel mio cuore, quasi scolpito dentro di me,
come dura roccia lambita da nuvole leggere e armoniose. Non ne perderò le tracce,
indipendentemente dalle avventure che troverò sulla mia strada.
Sono abituata a viaggiare, a mettermi in cammino per conoscere, capire, dare
senso e trovare valore all’esperienza personale e alla nuova terra, con la sua gente e
tutti i suoi tesori, solcata con amore e attenzione. Non sono mai stata una turista
casuale, mai mi è importato andare in un luogo per poter poi raccontare di esserci
stata.
La mia esigenza, l’impulso di “andare oltre” è racchiuso nella parola conoscenza.
Spostarmi, lasciare le certezze e le abitudini quotidiane, aggrappata alla necessità
di approfondire per non restare alla superficie delle cose, ha accompagnato la mia
esistenza.
Questo il mio atteggiamento verso la vita. Perché il futuro, considerato come ciò
che avverrà, mi induce inquietudine e, invece, voglio sentire il sapore di quello che
incontro nel momento in cui lo incontro. Ora più che mai.
Nell’affrontare l’attimo che attraverso mi pongo positivamente, mentre sono
pessimista per il tempo che sarà che non mi è tangibile.
Il tempo della vita è questo, quello in cui sono, quello che declino con i miei pensieri
e le azioni che li accompagnano.
Non mi piacciono i pacchetti preconfezionati, il tutto compreso: i viaggi senza
scoperta non mi incuriosiscono; ogni mio viaggio include la passione che mi
accompagna, che mi tormenta, che mi sfinisce, che mi coccola.
Il viaggiare non può essere rappresentato come una linea retta sulla quale sono
segnati solo due punti: la partenza e l’arrivo. Partenza e arrivo sono la sintesi
temporale del viaggio ma non ne descrivono né il significato né l’impegno profuso
nello “spostamento”. Sarebbe come rappresentare ogni vita con la data di nascita
(la partenza) e con la data di morte (l’arrivo): ma all’interno di questo cammino,
cosa c’è stato?
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Siamo, ciascuno di noi, esseri viventi caratterizzati dalla nostra specificità all’interno
di un genere, di un’etnia, di forme di vita simili, ma non sovrapponibili.
Nelle lunghe peregrinazioni fatte con i miei viaggi, mi è capitato spesso di fermarmi
negli occhi, nello sguardo di una persona che incrociavo, cercando di catturarne
l’anima e, passandogli un pezzo di me, pensare cosa ne sarebbe stato di
quell’esistenza (anche di me?). Dopo questo fugace incontro, non avrei saputo più
nulla di lui, non avrebbe più saputo nulla di me: ma questo “contatto” ci aveva
evidentemente lasciato qualcosa, una contaminazione costruttiva …
Spesso, nei miei viaggi raccolgo enormi quantità di “repertori”: fotografie, opuscoli,
fiori e foglie raccolti e seccati, sassi di forme evocative, foglietti emblema di
determinati luoghi o situazioni, diari di bordo di ogni spostamento …
Ognuno di questi repertori è espressione dell’esperienza maturata, del
cambiamento percepito e dello straniamento assaporato.
Perché tutti questi repertori accumulati?
E’ la paura di dimenticare, dell’oblio che mi rende “formichina” ordinata e costante.
L’ordine esterno, la “catalogazione” che segue la mia logica mi dà sicurezza e
ordine interno. Come una metodologia che, appresa e interiorizzata, trova poi
applicazione in ogni ambito del proprio essere.
Dunque, il mio viaggio di quest’estate…
E’ stato un lungo cammino alla ricerca e alla scoperta di me stessa, della persona
che sono: la donna che sento di essere, la bambina che ero ma ancora presente in
me , il bisogno di scegliere e la coerenza nell’andare avanti, la “scomoda”
generosità e il senso della dignità come guida e timoniere, la volontà estrema e i
sogni che ancora colorano le mie giornate, il desiderio di sentirmi viva. Il prezzo
pagato, o meglio, il costante e continuo impegno quotidiano è testimoniato dai
segni sul mio corpo, diventato la “tavoletta” su cui è scritta la mia vita: decifrare
questo percorso è un’avventura da percorrere. Restano delle domande senza
risposta, ma esprimono l’indispensabile ed essenziale ricerca.
Girone, 8 ottobre 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
REP. 21 del 26 marzo 2014
Quali sono le quattro lettere dell’alfabeto che, o per il loro suono o per
la loro grafia, ti piacciono di più? Scrivile …
Il suono cavernoso della vocale “o” viene fuori dagli antri più nascosti
della nostra interiorità: liberatorio e oscuro, evocatore e pellegrino
dell’anima. Mi piace.
Il suono roco della consonante “r” è come un lungo cammino, a immagine
del nostro percorso di vita, squillante o freddo, appassionato o
controllato. Proprio come la vita. Mi piace.
La forma della consonante “f” che, come la scrivo io, assomiglia a un 8, è
simile alla rappresentazione grafica dell’infinito, di quella dimensione per
noi inconoscibile ma che ci attira così tanto che vi rivolgiamo
continuamente lo sguardo per la nostra sete di conoscenza. Perciò mi
piace.
La forma della “mia” lettera, la “t”, simboleggia, se scritta in “modalità
minimalista”
il punto d’incontro di due rette che si incrociano. Punto
di contatto e di allontanamento per significare che l’orizzonte di senso di
ogni donna e di ogni uomo hanno contiguità, vicinanza, relazione, legame
con tutti gli altri, ma anche distacco, distanza, disuguaglianza, differenza,
varietà per seguire il personale percorso di vita.
1 aprile 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Dunque pensi di avercela fatta, povera piccola egoista, a farmi fuori con
stile.
Piena di nozioni, di slogan e di “obblighi” di dover essere, calcoli ogni
minima mossa per offrire, tu fingente, la tua disponibilità formale:
appena “il tuo altro” gira l’angolo, è già beffato perché quello che ti
interessa non è aiutarlo poichè sai soltanto pensare alla figura che ci fai tu
e quale risposta sia migliore per diventare la stella polare.
Dispensi cibarie e corredi per the e tisane: non per altruismo, ma per
obbligare chi riceve alla riconoscenza e sudditanza per il “debito”
maturato.
Ti muovi con circospezione continua per non rischiare di fare un passo
falso: sembri in continua “dimensione Taijiquan” anche se i tuoi gesti non
simboleggiano movimenti di ricerca dell’anima.
I tuoi piedi ( e disperatamente il tuo cuore) sono ancorati alla terra e non
sai innalzarti al di sopra dei tuoi interessi privati: calcolatrice astuta di
ogni step, dimentichi di fare i conti con te stessa: non puoi cancellare o
ignorare o dissolvere o zittire la voce della tua coscienza e finisce che non
riesci a dormire di notte. Evidentemente.
A che servono le sedute ripetute di yoga o i viaggi di approfondimento in
India?
Riparti da te stessa, pensati generosa, diventa autentica e capirai di
essere sul giusto cammino.
24 marzo 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
La “forma ideale” è quella tensione interiore che orienta e indirizza il
nostro cammino verso il bene e la giustizia.
Un riferimento continuo davanti al nostro sguardo, una presenza costante
che accompagna, guida, sollecita, esorta, educa e forma.
Ed è proprio l’esempio, la quotidiana perseveranza e abitudine di
comportamento, che diventa sostanza, materia tangibile capace di
restare impressa negli occhi e nel cuore e diventare quell’afflato che
pacifica, rinvigorisce, dando significato ed eternità all’esistenza.
24 marzo 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
L’esperienza dell’abbandono è orribile: lascia tracce indelebili e
incolmabili in chi l’ha “assaporata”.
L’abbandono è un mettere da parte, obbligare al silenzio e all’invisibilità
una persona che invece è viva e presente.
L’abbandono è una cosciente demolizione di una persona a cui viene
negata ogni possibilità di esistenza e di appartenenza.
L’abbandono è un dichiarare, subdolo, fraudolento, ipocrita, che l’altro
non ha valore e significato.
L’abbandono è l’espressione dell’egoismo e dell’opportunismo che
prevalgono sul senso di rispetto verso l’altro da sé.
L’abbandono è dunque un tradimento; tradimento verso l’altro che viene
oscurato, cancellato, eliminato ma anche tradimento verso se stessi per
aver rinunciato a perseguire la dignità di ogni persona.
20 marzo 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 18 del 5 marzo 2014
Riflettere in solitudine è il mio modo consueto di fermarmi in me stessa per
dedicarmi tempo e attenzione. Quotidianamente. Ma non ho bisogno di un
luogo isolato e appartato per riflettere in solitudine: posso essere “circondata”
da una folla, anche rumorosa: devo “solo” riuscire a costruirmi intorno una
parete trasparente di protezione interiore. Per fare questo devo volerlo e poi
… avviene. E’ come essere in una bolla di sapone che isola da ciò che è
fuori. Fuori e dentro. Dentro il pensiero che fluisce e scorre, lambisce i pezzi
di me che affiorano e si affacciano alla visione cosciente: su questo è
necessario che mi fermi e come in una girandola li guardi da vicino nelle loro
molteplici forme e li comprenda quasi come se fossi un osservatore esterno.
Ecco
che,
finalmente,
mi
appartengono
e
riesco
a
prenderne
consapevolezza.
E così, ogni mia riflessione in solitudine diventa parte del mio percorso di vita.
6 marzo 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 18 del 5.3.2014
A domanda, risposta: ho fatto l’inventario della mia vita …
Inventariare diventa per me una necessità imprescindibile: sequenziare in un
ordine per me logico, per dare senso, significato, valore, memoria alla mia
quotidianità.
Ogni inventario diventa quasi un passaggio allo scalino successivo di possibile
miglioramento ( per me, s’intende …) ed ogni “ordinamento” è come una nuova
espressione di me. C’è una parte di “follia creativa” in me, me lo riconosco,
e per questo il mio “inventariare” è un modo semplice di inventarmi
quotidianamente la vita. Non riesco ( = non voglio ) essere “conformista” e la
mia scelta mi costa fatica, mi procura un grande dispendio di energia, continuo,
ma anche nelle piccole cose cerco un inventario che mi rappresenti e che mi sia
d’aiuto.
Ho cambiato casa , recentemente, e ho preso questo cambiamento, nonostante tutto
il resto, nonostante lo sfinimento, la rabbia, le delusioni, la sofferenza,
nonostante tutto questo, appunto,
ho cercato di “ declinare” questa
trasformazione come punto di partenza per nuove opportunità di ricerca.
Allora ho cominciato a inventariare il
bagno di Valdemaro, mio marito,
sistemando gli oggetti secondo una sequenza di utilizzo e di necessità: sul
muretto, di lato, sotto la doccia, shampoo e bagnoschiuma e un piccolo
contenitore per rifiuti occasionali; sul piano dello sciacquone, la crena
nutriente (la Nivea di antica memoria) e il pacco di fazzoletti profumati per
rinfrescare orecchi e nuca; a sinistra del lavabo il profumo che Valde ha scelto
da Fragonard nell’ultimo viaggio in Francia: aroma di Toujours Fidèle :
evocativo di un’intera vita … e la crema Vea Lipogel per proteggere la pelle
diventata molto delicata …; a destra uno spazio vuoto per appoggiare gli
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
occhiali. Nel pensile a destra del bagno: vari ripiani e la disposizione degli
oggetti corrisponde a opportunità di movimento: in alto la schiuma da barba
piccola ( per i brevi spostamenti) e gli stuellini per gli orecchi; al centro,
la schiuma da barba grande , per uso quotidiano, e le lamette; in basso il
contenitore degli stuellini per denti e il rullo di cerotto ( di carta,
anallergico …). C’è anche un mobiletto sotto il lavello: le cassette a destra
sono riempite secondo frequenza d’uso: !°) rasoio elettrico, pettine,
spazzolino elettrico; 2°) guanti monouso; 3°) riserva di pomata e di
fazzoletti profumati; 4°) riserva di carta igienica; nel vano centrale con due
ante: un contenitore di plastica con asciugamani e una piccola stufa elettrica
per intiepidire l’ambiente.
Dietro la porta: l’accappatoio; a lato del lavabo: l’asciugamano.
Ecco che abbiamo fatto il giro a 360° di questo ambiente e abbiamo scoperto,
oltre che una stanza di Valdemaro, anche la logica inventariale di tamara…
Dimenticavo di aggiungere che oltre a questi e simili inventari pratici, faccio,
con continuità e passione, anche un altro utile inventario per andare avanti:
l’autobiografia.
11 marzo 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep.16 del 19/2/2014
… Parola chiave: ORFANO …
Dunque il termine “orfano” è la parola – chiave degli ultimi
itinerari del percorso.
Orfano: colui che è senza … d’impulso viene da pensare alla
mancanza di un genitore, ma può mancare anche altro, si
può aver perso il senso della vita o il riferimento che ci fa
andare avanti.
Sono orfana secondo varie accezioni: anche per me, per il
mio percorso di vita, orfano è una parola – chiave
dirompente.
Ho incontrato il termine orfano già con la mia nonna materna,
Alessandra, la nostra Sandrina. Già, perché lei era una
“nocentina” dell’Istituto degli Innocenti di Firenze: orfana in
primo luogo della madre e poi del padre. Ha costruito la sua
esperienza di vita “da sola”, in assenza di quei punti fermi
necessari e significativi: il babbo e la mamma.
E’ come se
ci fosse stata per lei un’interruzione di energia vitale, come
se le fosse stata negata una parte di conoscenza, legata alla
sua storia (mancata, negata, tagliata, nascosta…) con i genitori.
Assenti i momenti di vita, i ricordi, le immagini, i flash di
istanti condivisi in casa con i genitori: assenti, negati, abitudini
ed esempi di quella quotidianità. E queste assenze, questi
vuoti affettivi e culturali, queste parentesi chiuse, come le
chiuse di un canale navigabile, interrompono il passaggio di
energia da un punto a un altro. Ho pensato più volte che la
mia nonna Sandrina ha dovuto “faticare” molto di più per
costruirsi i riferimenti familiari ( per la sua famiglia da adulta:
i figli, la gestione della casa, le scelte, …) e mi ha fatto
tanto male capire quanto fosse orfana di queste esperienze:
come se si costruisse su una reale “tabula rasa”. Continuo
ad indossare le sue sciarpe perché le trovo anche opere
d’arte, possiedo dentro di me l’esperienza della sua pazienza
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
ed ubbidienza e il suo senso del dovere. Creativa nella sua
costante modalità di pulire le verdure e i radicchi di campo
raccolti da mio padre, nonna Sandrina è il mio riferimento per
la sua volontà di imparare a scrivere, da sola, su pietre delle
distese che accompagnavano le sue giornate di bambina
“guardiana” di pecore.
La passione e la forza di volontà, con l’impegno costante, ci
fanno raggiungere desideri e sogni.
Ancora un orfano nella mia famiglia: mio padre ha perso sua
madre pochi mesi dopo la sua nascita. Orfano di madre per
una causa sconosciuta: emorragia cerebrale? Qualcosa di
fulminante? Che cosa? In ogni caso, mio padre ha perso
memoria e consistenza della madre e del suo vivere e
crescere con lei. Vuoti incolmabili e incolmati.
Più avanti nel tempo, ancora un’esperienza di orfano in casa:
a sei anni mia nipote, figlia di mia sorella, ha perso il padre
in un incidente stradale. Questa dimensione di orfana ha
pesato in maniera particolare nella mia esperienza di vita, al
di là e oltre la sofferenza legata alla perdita.
Sono vissuta orfana di esperienze e di punti di riferimento; mi
sono sentita orfana ogni volta che ho sperimentato l’esperienza
persone vicine; ho passato la vita alla continua ricerca della
conoscenza per orientarmi e capire, distinguere e scegliere,
seguire coerenza e dignità.
Per non essere orfana anche di me stessa.
25 febbraio 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 14 del 5 febbraio 2014
Che cosa ti fa venire in mente il verbo travasare?...
proposito …
Scrivi quattro righe in
Ho delle immagini ben chiare, precise e legate alla mia autobiografia della prima
infanzia in stretto contatto con la parola “travasare”. Sono seduta al tavolo di cucina
con un quaderno aperto davanti a me, il lapis fra le mani, ma sono incantata a
guardare mio padre che armeggia sull’acquaio di graniglia. C’è un fiasco fiorentino
con un imbuto di alluminio poggiato sul piano; fra le mani di mio padre c’è una
bottiglia piena e uno strano strumento: un sottile tubo verticale che lui chiama
“trombino”. Con estrema maestria e leggerezza, con un gesto sapiente e che ha del
magico ai miei occhi di bambina, solleva la bottiglia a mezz’aria, la tiene obliqua e
infila il trombino all’interno: il vino trasparente comincia a scendere lentamente,
come depurato di ogni impurità. Infatti la fondata presente nella bottiglia non
scivola nel fiasco, resta lassù come bloccata da una forza incredibile e so che non
potrà mai succedere il contrario.
Tutto dipende dall’orientamento del “trombino” e da come viene utilizzato: ci vuole
arte anche in queste piccole cose quotidiane, ci vuole passione per queste ritualità
necessarie in una comunità con poche risorse, ci vuole sapienza per queste
gestualità secolari.
Ho provato allora ad imitare mio padre e cercare di ripetere i suoi stessi movimenti:
ma il mio risultato non è mai stato il suo, non possedevo la sua tecnica e forse anche
volevo lasciare solo a lui questa virtù.
11 febbraio 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 14 del 5 febbraio 2014
C’è un masso, una roccia, un macigno che fa parte della tua esperienza? Si sa che
questi termini – masso, roccia, macigno – definiscono concreti elementi naturali
ma sono anche significative metafore … Scrivi quattro righe in proposito …
Massi, rocce e macigni accompagnano da sempre la mia vita e molto probabilmente sono
rappresentazioni simboliche del mio sentire interiore.
Da piccola, avrò avuto 8-9 anni, i miei nonni materni Alessandra (chiamata Sandrina in casa) e
Antonio (nonno Tonio) d’estate ( ad agosto?) mi portavano in Roveta nella casa di Maria che aveva
accolto nonna Sandrina dall’Istituto degli Innocenti di Firenze. Attorno alla casa di campagna, per
me stupenda, distese di viti e camminamenti fra arbusti rigogliosi e campi con alberi da frutta
saporiti: le pesche bianche, quelle che non mai più gustato e poi noci e noccioli. L’acqua non c’era
in casa e allora si doveva andare alla sorgente, detta masso delle fate, distante circa 800 metri; era
questo un percorso che mi turbava un po’ perché la prossimità dell’acqua dava luogo a una
vegetazione folta, esuberante e tortuosa che sembrava avvolgerti e catturarti: avevo paura ad
addentrarmi da sola in quelle strettoie che mi immaginavo abitate da serpenti e da animali
spaventosi.
Pochi anni fa ho fatto un pellegrinaggio nei campi di sterminio nazisti ed ho preso coscienza
consapevole della tragedia perpetrata in questi luoghi. A Mauthausen ho “incontrato” anche una
tragica roccia: la roccia di Mauthausen, un vertiginoso abisso formato da una parete verticale,
senza alcuna protezione, adiacente alla strada; i nazisti lo chiamavano “muro dei paracadutisti”: e i
paracadutisti erano i deportati che vi venivano gettati insieme alle pietre (il loro paracadute) che
trasportavano dalla cava sottostante. “Volavano” da questa roccia i deportati considerati
sabotatori (perché traportavano dalle cave pietre ritenute troppo piccole) o quelli troppo
indeboliti (che non rappresentavano più una risorsa lavorativa ma un peso); alcuni deportati vi si
lanciavano perché non potevano più tollerare quella loro condizione. Poveri angeli.
Macigni ne ho portati tanti nella mia esistenza: macigni insostenibili per la loro atroce consistenza.
Ed i più duri sono stati quelli legati alle situazioni lasciate in disparte a incancrenire, ferme lì, ferme
e in decomposizione, ferme ma lievitanti, ferme ma urlanti. Ogni circostanza irrisolta lascia un
peso insopportabile: dunque la scelta, quella possibile, è il rimedio universale valido anche in
questo caso.
11 febbraio 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 9 dell’11/12/13
… E’ interessante andare a conoscere quali avvenimenti storici,
culturali o di costume sono concomitanti con il nostro anno di
nascita … Scrivi quattro righe in proposito …
E’ il 1954 il mio anno di nascita. Un anno ancora vicino alla fine della 2° guerra mondiale,
un anno che comincia a fare i conti con la prima generazione post bellica e che si sta
preparando al boom economico degli anni ‘60: momento di transizione, talvolta di
doloroso cambiamento, passaggio da una società contadina e basata su gruppi contigui
solidali a un tessuto sociale che cambia la forma senza trasformare l’humus culturale.
Viene in mente Tomasi di Lampedusa e il suo “Gattopardo”: “… cambiare tutto per non
cambiare niente …”.
Alcuni avvenimenti del 1954 sono ancora determinanti per la storia sociale – culturale
odierna, sia degli italiani che degli altri terrestri, oltre che per la mia personale:
 3 gennaio – iniziano ufficialmente le trasmissioni televisive, sull’unico canale delle
Radio Audizioni Italiane (RAI) e limitatamente ad alcune regioni dell’Italia Centro
Nord: la televisione diventa strumento di conoscenza e di comunicazione oltre che
di formazione; in casa mia la TV arriverà nel ’64 e io, dopo vent’anni di visione non
compulsiva, già dal 1984 scelgo di “abbandonarla” per regalarmi spazi di scelta e
di lettura;
 23 febbraio – a Pittsburgh (Pennsylvania), con il vaccino Salk contro la poliomielite,
si inizia la prima vaccinazione di massa. Opportunità fornita alla popolazione: allora
indispensabile e necessaria, oggi momento di dibattito e di riflessione non solo in
ambito sanitario. Come l’esperienza insegna, l’abuso e l’utilizzo standardizzato e
automatico determinano complicazioni che si sedimentano e lasciano pesanti
conseguenze nella comunità: l’impatto delle vaccinazioni non è neutro( o solo
positivo); ne va fatta una scelta oculata sia dal punto di vista logistico che
temporale. Studi seri dimostrano un collegamento fra le vaccinazioni
(indiscriminate) e l’impennata delle malattie autoimmuni adesso presenti. Sono
stata “richiamata” con mio marito Valdemaro per non aver vaccinato mia figlia
Camilla nei “tempi canonici”: ho sostenuto una lunga e faticosa battaglia ma … è
stata importante e non solo per noi;
 13 marzo – inizia la battaglia di Dien Bien Phu (Vietnam Settentrionale), l’ultima
della guerra d’Indocina. Il conflitto si conclude con la vittoria delle forze
nazionaliste Viet Minh e la sconfitta della Francia che deve concedere
l’indipendenza. Momento rilevante nella lotta anticolonialista del dopoguerra,
spezza il mito dell’invincibilità e della potenza dei paesi occidentali e restituisce
valore all’autodeterminazione dei popoli, intesa come libertà degli stessi di definire
il proprio assetto costituzionale, senza ingerenza esterna per perseguire lo sviluppo
economico, sociale e culturale desiderato;
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
 17 maggio - la Corte Suprema degli Stati Uniti D’America dichiara incostituzionale
la segregazione nelle scuole: nel 1954!!! Eppure ancora oggi … proprio là dove il
pensiero dovrebbe scorrere libero e far circolare valori che nutrono corpo e spirito,
proprio là si innalzano barriere e recinti: il mio e il tuo. Per poi aprire le mani e
trovarle vuote: nude perché aride;
 31 luglio – alpinisti italiani arrivano alla vetta del K2 nel Karakorum.
Il viaggio di Ulisse continua.
La ricerca, il mettersi in gioco quotidianamente, non limitarsi alle certezze acquisite,
accompagnano tutte le donne e tutti gli uomini che vogliono dare un senso alla
loro vita. Per avere la consapevolezza di “essere” e non di “avere”, per tracciare in
maniera precisa il proprio cammino e non andare alla deriva dell’omologazione e
del conformismo. Mi guida un verso di Dante: “…fatti non foste per viver come
bruti, ma per seguir virtude e canoscenza …”;
 1 novembre – inizia la guerra d’indipendenza algerina. La guerra fu uno scontro
durissimo senza esclusione di colpi e si protrasse per ben otto anni. E’ uno degli
emblemi della decolonizzazione seguita alla 2° guerra mondiale; ancora una volta
la bramosia di potere e di possesso, la frenesia di ancorare i tentacoli del proprio
dominio. Sempre ancora oggi, ancora fino a quando gli esseri umani non
capiranno che in ogni relazione vale il rispetto, la considerazione, senza possesso
né accaparramento. “La battaglia di Algeri” di Gillo Pontecorvo, un film proiettato
all’interno del Ginnasio Galileo che io frequentavo, mi ha fatto aprire gli occhi su
queste questioni.
Nel 1954 succede ancora molto altro di significativo:

Pier Paolo Pasolini pubblica “La meglio gioventù”;

Malvezzi e Pirelli pubblicano “Lettere dei condannati a morte della resistenza
europea”;

Nasce la casa editrice Feltrinelli (ridotta oggi, dopo sessanta anni, a diventare
eatitaly …);

Nelle sale cinematografiche escono “La strada” di Federico Fellini, “Senso” di
Luchino Visconti e “Cronache di poveri amanti” di Carlo Lizzani.
Condivido il 12 agosto 1954, giorno della mia nascita, con diverse persone (attori,
imprenditori, calciatori, … diventati famosi): mi piace ricordarne due che possono essere
l’emblema di scelte di vita parallele e antagoniste: Francois Hollande (attuale presidente
della repubblica francese) e Roberto Ognibene (ex brigatista rosso).
Gennaio 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 1 del 9 ottobre 2013
Partiamo dalla mia rappresentazione di senso della parola amore: è una relazione di
corrispondenza e di vicinanza, è un passaggio reciproco di interiorità che si incontrano e
che, prendendosi per mano, percorrono insieme un pezzo di vita.
Quasi un cerchio magico in cui si posano speranze, esperienze, sogni, quotidianità; come
in un cerchio, contatto fisico diretto che permette un lungo abbraccio, anche interiore;
come in un cerchio c’è contiguità fra uno e l’altro ma resta la possibilità di staccarsi, senza
rotture, senza lacerazioni, senza spaccature perché in reciproco ascolto.
E in questo fluttuare di pensieri e di parole, in questo scambio di energia passa calore e
presa di coscienza, nella consapevolezza che l’amore è ardore solidale.
(15 ottobre 2013 – c/o UTIP Di Careggi)
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
REP. 9 dell’11/12/13
Quale di queste “antitesi metafisiche fondamentali” – unità e molteplicità,
causa ed effetto, staticità e movimento, trascendenza e immanenza, eternità
e tempo, parte e intero, definito e infinito – metteresti per prima in questo
catalogo e quale per ultima? … Scrivile, facendo affidamento, nella scelta,
alla tua esperienza pratica perché queste antitesi sono costitutive del nostro
modo di essere ed evocano momenti dell’esistenza …
Ritrovare che l’essenza del mio essere persona è nata duemila anni fa mi porta a
sorridere, gioire, pensare … creando un filo di collegamento, un continuum, con le
anime di allora. Così scompare il senso di solitudine e la consapevolezza di fragilità.
Mi sento dunque partecipe del pensiero umano dalle origini a …, un pensiero con le
ali e senza confini, non semplicemente personale ma condiviso e patrimonio
dell’umanità.
Il mio catalogo parte con “unità e molteplicità” perché ogni persona, ogni essere
vivente va visto nella sua unità; non serve considerarlo nei singoli pezzi che lo
compongono: sarebbe una riduzione o una incomprensione di valore; un punto è
costituito da tante particelle ma per comprendere che è un punto e non una linea va
osservato nella sua unità (perché anche la linea è fatta di tante particelle una
accanto all’altra …). La molteplicità è la ricchezza presente in ognuno di noi: tanti
frastagliamenti e variazioni che, oltre che indispensabili, sono anche inevitabili.
“Unità e molteplicità” è quindi un’antitesi coerente per decifrare l’esistenza.
In fondo metto “staticità e movimento” non in ordine di importanza, ma perché
questa antitesi riassume e ricollega tutte le altre sei. Sono, siamo, allo stesso tempo
statici e in movimento: ci troviamo in un luogo, in un tempo a compiere un’azione, a
espletare un ruolo, a …, ma nello stesso momento sono, siamo in movimento verso
il futuro, sono, siamo in movimento con il pensiero che non è censurato né
ingabbiato da quello che le nostre mani o il nostro corpo sta realizzando.
Questo, dal mio punto di vista laico, il miracolo delle nostre vite.
Gennaio 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep.13 del 29 gennaio 2014
… Oppure lui, che desiderava tanto «apparire», si era stancato di
mostrarsi, e avrebbe voluto conoscere quello che ignorava - cosa è
una sfera celeste,
cosa ci attende fuori dalle porte di questa terra, se dopo la morte
l’anima ricorderà
qualcosa della sua vita magnifica e tumultuosa o se, invece, tutte le
parole pronunciate,
tutte le azioni compiute, tutti i gesti sognati scompariranno dalla
nostra memoria…
Chissà se potremo ritrovarci (… ripercorrere e comprendere il nostro percorso di vita
…) in una dimensione mentale?
Senza l’ingombro del corpo.
In assenza, soprattutto, di implicazioni religiose e in presenza, finalmente, di
consapevolezze interiori.
Come tutti gli esseri viventi percepisco al mio interno, pulsante e viva, la vita di tutti quelli
che ci sono stati prima di me.
Anima fra le anime, pensieri che si agitano e si incrociano per incontrarsi nel movimento
continuo dell’universo.
La natura non è solo materia corporea, alberi, acqua, aria, fuoco, terra, animali: è anche, e
soprattutto, il pensiero che attraversa e supera quei corpi destinati a una decomposizione
ricostruttiva.
Ed è per questo, non in funzione di una condanna o di un premio, che dobbiamo agire e
orientarci al bene, al rispetto, alla giustizia: perché questo filo continui ad esistere e possa
alimentare altre esistenze.
Perché non si interrompa quel dialogo iniziato con l’esplosione della vita miliardi di anni fa
…
4 febbraio 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 11 del 15 gennaio 2014
Quale di queste parole metteresti per prima accanto al termine “etica”:
atteggiamento, abitudine, costume, contegno, regolamento, programma,
oppure quale? … Scrivi la parola che, oggi, secondo te, si avvicina di più
all’idea di “etica” …
Ho bisogno di aggiungere un aggettivo a ciascuna delle parole segnalate e, forse,
non mi basta ancora: atteggiamento rispettoso, abitudine benefica, costume solidale,
contegno dignitoso, regolamento giusto, programma onesto.
Ma non mi sono ancora sufficienti, perché etica racchiude tutte le sfumature
comprese nei termini su indicati: sintetizzando, dunque, è giustizia la parola che
rappresenta la mia idea di etica.
Perché la giustizia prende in considerazione tutte le persone, senza privilegi, senza
eccezioni.
Perché la giustizia implica il rispetto: delle regole, delle differenze, dell’esistenza
dell’altro da me.
Perché la giustizia pone le basi per una convivenza pacifica e solidale, senza
intrighi, senza abusi, senza prepotenze, senza oltraggi.
Perché la giustizia non incentiva l’atteggiamento predatorio.
Perché la giustizia tiene conto delle singole necessità declinandole attraverso
l’equità.
Anche recentemente mi sono trovata di fronte a comportamenti “ingiusti” sia da
parte delle Istituzioni che dalle singole persone che costituiscono la società: allora
sono stata avvolta da una “vampata” di rabbia, espressione del profondo dolore
sperimentato, e ho avuto piena consapevolezza che l’ingiustizia alimenta, facendo
lievitare poi, gli atteggiamenti negativi e reciprocamente dannosi.
21 gennaio 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep.1 del 9 ottobre 2013
Davvero siamo capaci di comprendere la realtà che ci troviamo di fronte attraverso immagini
mentali che prendono in considerazione la faccia luminosa e quella oscura: così riconosco il senso
dell’implosione se rifletto sul suo contrario: l’esplosione.
Da una parte l’esplosione dei fuochi d’artificio in una notte d’estate, dall’altra il ribollire magmatico
interno a madre terra.
L’implosione è una modalità di penetrazione profonda, incessante, lacerante, dolorosa all’interno
dei nostri vicoli più sotterranei e apparentemente senza luce.
E’ un lento e continuo sobbollire, come in una preparazione culinaria accurata, un drenare nuovi
spazi da percorrere, un entrare in ambiti densi di dettagli, dubbi, mistero; ma lo spazio a
disposizione non si amplifica, assume soltanto forme diverse dovendo però contenere al suo
interno nuovi e molteplici elementi.
Avvengono così lunghe sedimentazioni, accumuli appuntiti di elaborazioni perse e non concluse,
spinte di obblighi da pressione dei nuovi pensieri, rotture di consistenze precedenti, soffocamenti di
anime, sbriciolamenti di entità faticosamente costituite: si arriva dunque alla compressione
esasperata dell’essenza di una persona.
Quest’essenza viene completamente deformata e modificata per “renderla funzionale” alla nuova
situazione presente: ma come può resistere in queste condizioni un essere umano, come può
mantenersi in equilibrio con se stesso?
La tensione esercitata prende il sopravvento ( … esplode) mentre avviene il punto di
rottura/frattura con l’universo di senso valido precedentemente.
Ed ecco il momento dell’implosione.
(15/10/13 – c/o UTIP di Careggi)
Tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 9 dell’11/12/13
La “inconoscenza estatica”- secondo Dionigi Areopagita – è la
più particolare forma di comprensione intellettuale fondata
sull’intuire, sul captare, sul presentire, sul fiutare, sul presagire,
sull’avvertire …
Ci troviamo spesso in questa condizione di inconoscenza estatica ma il più
delle volte non riusciamo a definirla e a darle un nome.
Abbiamo bisogno di certezze, di materialità e quindi sfuggiamo o neghiamo
ogni esperienza che sembra non avere corpo consistente.
Eppure l’occhio della nostra conoscenza percepisce e accoglie la
consistenza di questa forma di inconoscenza.
Se riuscissimo a renderci liberi da noi stessi e dai nostri fardelli e abitudini,
godremmo la continua presenza dell’inconoscenza estatica, assidua
compagna del nostro cammino di vita.
Gennaio 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. X dell’8 gennaio 2014
Il termine “ineffabile” richiama tre parole-chiave: la finzione, la
notizia, la somiglianza … Scegline una e scrivi quattro righe in
proposito: sono tre termini molto calzanti con la scrittura
autobiografica …
Ineffabile è una parola misteriosa che mi apre la mente alla ricchezza e alla
molteplicità presenti in ogni atomo della nostra realtà percepibile: quindi uno
stimolo, o meglio un inno alla ricerca. Ma voglio essere “ligia” a quanto
richiede il testo e quindi collegare ineffabile a finzione, notizia, somiglianza
prendendo come termine di riferimento l’autobiografia. Intanto voglio
sintetizzare cosa intendo per autobiografia per condividere questa mia idea
con chi legge queste due righe: autobiografia è continua ricerca della
coscienza di sé. Declino l’autobiografia in senso positivo e propositivo e
quindi ho bisogno di fare alcune precisazioni. L’autobiografia, per me, non è
una finzione perché perseguo l’autenticità: parlando di me e del mio mondo,
della visione che colgo ed elaboro della mia realtà, non intendo mettermi in
buona luce o migliorarmi l’aspetto; non imbandisco un curriculum accattivante
ed attraente: mi mostro, mi rivelo per quella che sono (… per come mi
percepisco …). Concepisco l’autobiografia non come notizia ( di singoli fatti,
di accadimenti cronologici) ma come momento di consapevolezza di ciò che
è stato. Quindi la “notizia” indicata è il pretesto per ragionare, elaborare,
digerire un singolo momento ed esperienza per inserirlo nel proprio percorso
di vita.
La somiglianza al fatto avvenuto ( la notizia riportata: ma quante realtà
esistono? Dipende dall’ angolazione da cui si osserva …) si collega all’onestà
intellettuale e alla correttezza di chi scrive: come l’acqua continuamente
fluisce, così anche la nostra coscienza scorre: l’importante è essere sinceri
con se stessi per non ingannarsi e non chiudersi le porte alla conoscenza.
15 gennaio 2014
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 13 del 29 gennaio 2014
Le pietre, come le parole, sono punti fermi delle nostre esistenze,
segnali di passaggi meditati e simbolo di ricerca.
Le pietre come forma della realtà.
Ho raccolto svariate pietre: me ne hanno fatto dono i luoghi che ho
attraversato con l’anima.
Un ciottolo bianco, oblungo, appiattito del litorale di Marina di
Pisa: memoria del giorno in cui Camilla ha preso l’aereo (di
nuovo!!) per Copenaghen.
Un’arenaria rotonda con scintille marroni della Bretagna di Saint
Malo, raccolta nelle vicinanze della tomba di Chateaubriand.
Pietre piatte, sottili, stratificate, grigiofumo
nostra porta d’ingresso per la Francia.
di Mont Cenis,
Pietre intarsiate come un ricamo dal mare della Croazia con
ghirigori, riccioli, volute, incredibile lavorio del movimento
continuo dell’acqua e delle correnti.
Un sasso ambrato di minuscola dimensione, testimonianza di una
passeggiata lungo l’Arno, raccolta a Girone, mia ultima dimora.
E tante altre pietre ancora ……
4 febbraio 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep.13 del 29 gennaio 2014
Ancora una volta, la letteratura e la poesia musicale sono il
riferimento necessario:
“In primavera, Tipasa abitata dagli dei e gli dei parlano nel sole e nell'odore degli assenzi, nel mare
corazzato d'argento, nel cielo d'un blu crudo, fra le rovine coperte di fiori e nelle grosse bolle di luce, fra i
mucchi di pietre. In certe ore la campagna è nera di sole. Gli occhi tentano invano di cogliere qualcosa che
non sian le gocce di luce e di colore che tremano sulle ciglia. Il voluminoso odore delle piante aromatiche
raschia in gola e soffoca nella calura enorme. All'estremità del paesaggio, posso vedere a stento la massa
scura dello Chenoua che ha la base fra le colline intorno al villaggio, e si muove con ritmo deciso e pesante
per andare ad accosciarsi nel mare.” Da "L'estate e altri raggi solari" di Albert Camus
Primavera non bussa, lei entra sicura, | come il fumo lei penetra in
ogni fessura, | ha le labbra di carne, i capelli di grano, | che paura, che
voglia che ti prenda per mano. | Che paura, che voglia che ti porti
lontano. (Fabrizio De André)
4 febbraio 2014
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
REP.X dell’8 gennaio 2014-01-15
Che cosa vorresti afferrare per primo: il tempo, lo spazio, la
forma? … Scrivi quattro righe in proposito su come gestire il
tuo tempo, il tuo spazio, la tua forma in modo che siano
meno “ineffabili” …
Mi sono abituata a conoscere e a considerare la mia forma mentale e
materiale: abito continuamente il mio pensiero e c’è una continua relazione
fra me e me. Ho anche chiara percezione della mia consistenza fisica:
l’immagine di me che vorrei diventasse palpabile sarebbe una tamara di
piccole dimensioni, ridotta, minuta, esile: ma se fossi quella, non sarei io.
Il mio spazio vitale di quotidianità è cambiato: c’è stata una brusca
accelerazione che ha trasformato radicalmente la mia vita: nuova casa,
da donna lavoratrice esterna a donna lavoratrice in casa. E questi
cambiamenti non sono avvenuti per scelta ponderata: rispondono invece a
necessità familiari, diventate obblighi ineludibili.
Il tempo, il mio tempo, il tempo che mi resta: è il tempo che vorrei
afferrare per non perderne nessuna particella. Perché so, lo sento, lo
presagisco, lo avverto, lo percepisco dal mio profondo, che breve è il
tempo a mia disposizione ( il mio percorso di vita …) e vorrei essere
cosciente durante tutto questo mio tempo. Per essere più esplicita, vorrei
questo mio tempo per me, cioè dargli il “ritmo” e il “passo” che scelgo per
riuscire a essere solidale con gli altri dopo essere stata generosa con me
stessa.
Ma forse è proprio quello che sto sperimentando giorno dopo giorno:
accogliere ciò che realizzo e che prende forma nello spazio che gli
riservo, nell’attesa del tempo che verrà …
13 gennaio 2014
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 21 del 3/4/2013
Capita, eccome se capita, di mantenere fermo un proposito maturato, di restare
fedeli alla parola data, di conservare quella coerenza che descrive la nostra
esistenza, di rinunciare a qualche opportunità per non perdere fiducia e stima di se
stessi; capita di continuare ad andare per la propria strada , anche se il mondo
intorno gira in senso opposto. Ma questa ostinazione è il limitare fra l’essere e il non
essere, fra appartenere a se stessi e agli altri oppure scivolare via senza traccia.
Ostinarsi produce talvolta risultati sorprendenti: permette di fermarsi ad ascoltare
ciò che fluisce al nostro interno, prenderne coscienza e interiorizzarlo. Così da
tenere presente la propria interiorità, restando in ascolto di quelle persone che ci
troviamo intorno, sfuggendo le mediazioni opportunistiche e interessate. Perché il
“non transigere” rappresenta uno stile di vita che possiamo definire etico: non è un
paradosso, ma contiene al suo interno alcune parole chiave del percorso umano:
rispetto, dignità, giustizia. Fa riferimento a principi fondamentali che non possono
essere messi all’asta e venduti al miglior offerente.
Adesso affiorano in me, come se provenissero da una profondità lontana ma
presente, le parole di Dante: “…fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir
virtude e canoscenza …” e ne capisco il motivo: nonostante tutto, non transigo,
non posso e non voglio transigere, dal sogno/bisogno di perseguire la conoscenza.
8 aprile 2013
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 21 del 3/4/2013
E’ proprio la parola “dismissione” che mi fa capire e comprendere con
estrema chiarezza e lucidità che dietro ogni parola c’è la
rappresentazione, la figurazione, la costruzione di qualcosa di reale che
prende forma e consistenza. Ecco sì, le parole costruiscono il mondo ...
Penso allora alla dismissione di una macchina e me la rappresento
smontata nei vari pezzi che la compongono là sopra gli scaffali di uno
“sfasciacarrozze”; penso alla dismissione di un dipendente di un’azienda
e mi raffiguro la demolizione di un’abitudine e consuetudine di vita;
penso alla dismissione di uno stabilimento industriale e mi trovo davanti
agli occhi lo smantellamento di quel luogo fisico, nella sua struttura
materiale certo, ma anche in quella mentale, presente in tutte le persone
che vi lavoravano. Penso alla dismissione della modalità di vita consueta
operata da un fatto acuto come una malattia e non posso non pensare
allo smembramento. Una malattia scompone, divide , separa la faticosa
unità di quell’essere ammalato ( e della sua famiglia) come se ogni pezzo
di quel corpo ( e di tutti quei corpi che costituiscono quella famiglia)
dovesse prendere una strada diversa che lo allontana dagli altri “pezzi”
che lo hanno accompagnato per tutto il resto della vita. Come se ogni
brandello di quel corpo si trovasse, per la prima volta, a far riferimento
soltanto a se stesso, senza poter mutuare nessun aiuto e sostegno dalle
parti vicine. Come se ogni porzione andasse raminga e solitaria, facendo
esperienza di desolato isolamento e separatezza. Un esempio
appropriato ed efficace che descrive la forza centrifuga che allontana
dal centro, dall’unità, quella persona e quella famiglia, e questa stessa
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
forza dissemina, scompone, smembra l’esistente. Come uno tsunami
altera l’equilibrio presente e determina un cambiamento sostanziale che
muta ogni precedente evidenza e elemento di sostegno.
Una frattura dolorosa e disperata, dolente e disperante, diventa la
consistenza di quella quotidianità.
Ma si può decidere di non soccombere, si può cercare di riprendere
coscienza di sé, si può affrontare il dolore presente per continuare ad
essere ancora esseri umani.
Avere la consapevolezza che sarà altro da prima, ma restare “sognatori”,
gustando l’attimo fuggente: che non torna, comunque, per nessun
uomo.
Conservare il senso di rispetto, dignità, giustizia, solidarietà che restano
gli imprescindibili, necessari e obbligatori, punti di riferimento.
8 aprile 2013
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
REP. 18 DEL 6 MARZO 2013
Quale di queste parole – fondamento, appoggio, sostegno,
supporto – metteresti per prima accanto alla parola “colonna”?
… Scrivila …
Mi piace considerare la parte attiva (nel senso di positivo e propositivo) di ogni contesto;
considero necessario proporsi e agire nei confronti degli altri; spesso vogliamo ( e
possiamo) dichiararci in maniera chiara e trasparente: dunque la colonna rappresenta per
me un sostegno.
Sostegno
dell’architrave,
negli
antichi
templi
greci:
declinazione
figurata,
architettonicamente costante, del concetto di sostegno.
Il sostegno non è unidirezionale, ma si irraggia e trova un angolo d’azione sempre più
ampio: perché sostenere non è un gesto di semplice reciprocità, ma, come un sasso
nell’acqua, se ben gettato, amplifica a dismisura il suo movimento, così il sostegno
coinvolge moltitudini variamente interconnesse. Dunque non un semplice “dare e avere”,
ma un comportamento
e un orientamento che tende ad allargare, abbracciare,
coinvolgere, comprendere senza “interessi di bottega” o recinti escludenti.
Sostegno mi fa anche pensare alla “dignità”: il sostegno, la persona che sostiene, tiene in
piedi, dà la forza a chi è abbattuto di rialzarsi e per questo mi figuro l’azione di sostenere
come uno sguardo verso il cielo, verso l’alto, il riaffiorare della possibile speranza del
futuro.
Chissà perché l’ultima immagine di colonna che mi si presenta è il Beaubourg di Parigi:
quell’insieme di tubazioni colorate all’interno delle quali passa aria (colonna blu), acqua
(colonna verde), ascensori (colonna rossa), elettricità (colonna gialla), corridoi (colonna
grigia), bianco (edificio stesso). Quell’insieme di tubazioni indispensabili per sostenere la
quotidianità della struttura.
10 marzo 2013
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 14 del 6/2/13
… in profondità la coscienza fa sempre i conti con le
domande poste dal dramma dell’esistenza e della
condizione umana …
Proprio oggi si è diffusa la notizia della dimissione
(rinuncia – abbandono – abdicazione - … ) del papa.
Quando mi è stato detto ( … una collega di lavoro …) non
sono rimasta particolarmente colpita ( in fondo Ratzinger è
una persona che non stimo), poi mi è venuto spontaneo
pensare che altri gravi motivi l’abbiano spinto su questa
strada, al di là delle motivazioni portate e date in pasto
all’opinione pubblica.
Ritorno a Dante e alla sua Commedia Divina e mi faccio una
domanda: se Celestino V, il papa “ che fece per viltade il
gran rifiuto”, è stato messo nell’Antinferno, quale luogo
riserverà Dante a Benedetto XVI?
11 febbraio 2013
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 14 del 6/2/13
C’è un profumo che al percepirlo stimola il tuo ricordo? … Scrivi
quattro righe in proposito …
Vari sono i profumi che mi portano indietro nel tempo e mi
fanno ricordare persone, ambienti, emozioni.
Era il 1972, i primi giorni di novembre, il tempo dell’inizio della
mia storia con Valdemaro. Erano incontri fatti di parole, le tante
parole che Valdemaro sapeva trovare, di presa di coscienza
della sua capacità di entrare nel mondo degli altri ( anche nel
mio piccolissimo mondo …), di conoscenza della sua
generosità e disponibilità … Momenti fatti quasi di niente ma
solidi e consistenti, capaci di porre le basi per un percorso
lungo una vita in un reciproco contaminarsi e formarsi. E c’era
anche nell’aria, anzi sulla barba di Valdemaro, un profumo
inconfondibile: un’essenza di quegli anni, il Capucci, che poi è
diventato per me il segno della presenza di Valdemaro. Il
Capucci, buono in sé, assumeva sulla pelle di Valdemaro il
sapore del mistero e dell’attrazione, della voglia di andare verso
strade sconosciute senza paura. E la bottiglia triangolare del
Capucci è stata sempre presente per molti anni sulla mensola
del bagno di casa nostra a simboleggiare la continuità di quella
magia e malia lontana. Saranno quattro anni che a Valdemaro
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
ho ancora regalato una nuova bottiglia di Capucci: stessa
forma, ma adesso di vetro verde invece che trasparente. Un
sapore leggermente differente (era forse cambiato qualcosa in
Valdemaro che lo insaporiva in maniera diversa?) ci ha dato la
possibilità di riflettere e ragionare fra di noi: ancora era presente
e attuale il sapore di quel tempo.
Come ogni momento ed esperienza importante che
accompagna il fluire delle nostre esistenze, quel profumo,
questo profumo, ha ancora una consistenza precisa e definita.
Questo aroma fa ricordare e ripercorrere tutta una vita, ma è
anche espressione del nostro presente.
12 febbraio 2013
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep.14 del 6/2/13
Si parla spesso oggi di “risveglio delle coscienze” di fronte alle crisi: che cosa può
risvegliare le coscienze secondo te? … Sintetizza la tua idea con una parola e
scrivila …
Mi piace sintetizzare quest’idea con un’immagine, quella della spirale, che mi
induce poi a spiegarla con le parole:
La spirale ha un inizio: come un punto chiuso all’interno che comincia a
svilupparsi e a estendersi, amplificando i suoi cerchi concentrici. Gira intorno a se
stessa, percorrendo il suo centro, osservandolo da vari punti di vista, da distanze (o
vicinanze) diverse. Si muove secondo un’armonia di forme e di spazio e va avanti
decisa a tracciare questo percorso che sembra completamente codificato ma che,
però, si prende la libertà di fermarsi e di darsi tempo: tempo di riflessione e di
conoscenza.
Ecco, questo mi sembra il percorso del risveglio della coscienza: partire da sé,
indagare la propria interiorità, lasciarsi andare alla ricerca del proprio io per poi
aprirsi all’esterno, prendendo in considerazione ogni (persona, oggetto,
immagine, sensazione, …) incontro. E prendendo a pretesto l’immagine della
spirale, allora è l’esempio (qualsiasi tipo di esempio) che traina l’idea del
cambiamento e rende possibile la trasformazione. E la piccola, continua,
quotidiana “spirale” produrrà una rivoluzione: il risveglio delle coscienze.
12 febbraio 2013
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
REP. 12 del 23 gennaio 2013
Tu come l’adoperi la zucca in cucina per smentire la carica
metaforica negativa che è stata affibbiata a questo utile e buon
frutto dell’orto? …
Scrivi quattro righe in proposito …
… come una “zucca vuota” (come me?) può riempire una vita e dare sapore,
oltre che senso, a tutto il resto …
Mi piace il sapore della zucca, di qualsiasi tipo di zucca e ne gusto con vero
piacere quantità ragguardevoli. Da quando siamo tornati a Compiobbi, nel
lembo di quella terra (da me chiamata “la collina degli olivi” mentre la nostra
casa era ancora in costruzione) che si erge al di sopra del cortile davanti alla
cucina, ogni anno Valdemaro ha messo a dimora quattro piante di zucchine
verdi. Ogni volta si rinnova l’incanto nel vedere le piantine che prendono
coraggio e si alzano verso la luce e si snodano per andare in avanscoperta
del mondo intorno. Aspetto con impazienza la crescita del nuovo frutto e ogni
sera colmo di acqua il solco circolare intorno alla pianta: la zucca si ciba, è
essenzialmente acqua, e io sono generosa. Quando è arrivato il momento
giusto: non troppo piccola ( è un inutile spreco), non troppo grande (la polpa
interna lievita perdendo sapore), colgo la zucca, ogni zucca, recidendola
delicatamente dalla pianta, come se si trattasse del cordone ombelicale di un
bambino. I primi fiori di zucca saranno cucinati in pastella perché così
piacciono al coltivatore diretto, poi assumeranno la forma di un sacco perché
imbottiti di ingredienti di recupero e diventeranno i famosi “gonfiotti di fiore”,
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
talvolta saranno la salsa di una pastasciutta o accompagneranno le altre
verdure di una straordinaria ratatouille italiana.
Dunque meravigliose e versatili zucchine che cucino secondo l’estro della
giornata. Per me sono ottime appena lessate, da gustare tiepide con una
leggera spolverata di sale, per non alterarne il sapore. Oppure trifolate con
aglio e prezzemolo, aggiungendo un goccio di latte quasi a fine cottura o
saltate in padella con foglie di menta per il classico tortino. Un po’ meno
digeribili, ma appetitose, le strisce di zucca fritte ( immerse nell’uovo e poi nel
pangrattato). Mangio la zucca anche cruda, tagliata
a listarelle sottili,
alternate a lamelle di parmigiano e condite con olio e limone. Beh, non posso
dimenticare il risotto di zucchine, sapido e stuzzicante, variegato dalle
striature del verde della buccia.
Tre anni fa, alla ricerca di George Sand, percorrendo la campagna sterminata
del centro della Francia, le distese interminabili del Berry fino al marais di
Bourges, ci siamo imbattuti in campi coltivati a zucche ornamentali: macchie
di colore, giallo arancio rossastro verde, che occupano lo spazio e attirano
l’attenzione. Ho portato dietro con me un numero sostanzioso di foto con le
quali ho soddisfatto la mia curiosità e il desiderio di fermare quegli attimi di
struggente gioia autentica. Il dio delle piccole cose. Il dio delle zucche. Come
un’apparizione improvvisa che appaga e acquieta, che sazia e disseta senza
lasciare rimpianti né smanie.
Camminare lentamente tra quelle cucurbitacee, facendo attenzione a non
sfiorarle, mi ha inondato di energia e sono riuscita a coinvolgere anche
Valdemaro,
che, per una volta, ha posteggiato la macchina in maniera,
diciamo pure, “creativa”. Beati fra le zucche.
28 gennaio 2013
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 10 del 9 gennaio 2013
Quando hai provato la bella sensazione di
liberarti da un peso? …Scrivi quattro righe in
proposito …
Non posso ignorare
o sfuggire da me stessa: nel percorso
della mia vita cerco ( è la mia ricerca quotidiana) di andare
avanti per conoscere e riconoscere, anche se spesso mi imbatto
( mi incontro e mi scontro, talvolta) con pezzi di me fatti di
esperienza e di emozioni percorse lungo gli anni della mia
vita. Dico questo per spiegare che ho interiorizzato la fuga
come reazione agli eventi improvvisi, ma mi libero da un peso
– un esercizio questo quotidiano – ogni volta che affronto la
questione (ogni genere di questione) e faccio la mia scelta.
Allora mi alleggerisco, mi pervade una sensazione penetrante
di serenità, posso finalmente andare avanti, perché non sono
venuta
meno
alla
“responsabilità”
da
cui
derivano
comportamenti e atteggiamenti etici.
14 gennaio 2013
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 9 del 12/12/12
Quale di queste parole – il male, l’errore,
l’inconveniente – metteresti per prima accanto alla parola
“peccato”? Sceglila e scrivila …
Un peccato può essere considerato tale in presenza di queste
condizioni:
- Intenzionalità
- Consapevolezza
Dunque un peccato non avviene per caso, non è frutto di una
mancanza o di un errore, ma è conseguenza della volontà di
agire in un determinato modo.
Non è possibile dare al peccato una valenza astratta e
scollegata dal contesto e dal comportamento della persona.
Ed è la scelta di fare del male ( qualsiasi tipo di male )
che genera il peccato.
8 gennaio 2013
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 10 del 9 gennaio 2013
… la persona diventa “libera” quando coscientemente
s’impone l’obbligo di “coltivare la conoscenza” dedicandosi
allo “studio” e, in latino, la parola “studium” traduce
anche il termine “passione” quando significa “interesse,
partecipazione, slancio, impeto, piacere”: lo studio, la
cura e la libertà marciano insieme …
Mi ha colpito profondamente questa frase del Repertorio e mi ha
portato a riflettere; forse proprio in queste parole c’è la tamara
che conosco e che riconosco.
Ho meditato spesso sulla libertà e su come sia impossibile parlarne
in termini assoluti e definitivi o statici.
La libertà non è un punto di arrivo ma è un percorso di continuo
aggiustamento e ricerca, di verifica e di dubbio, un atteggiamento
mentale che si concretizza e muta e interagisce nel tempo, nello
spazio, nel contesto.
Mi hanno sempre affascinato le persone che hanno saputo vivere con
“passione”: un mettere l’anima, l’essenza vitale, a disposizione di
se stessi e della comunità intorno. Dalla passione deriva la voglia
di vivere con intensità, indipendentemente dai fatti che accadono,
dalla passione deriva la possibilità (che chiamerei quasi certezza)
di farcela, di riuscire
a superare gli scogli che fermano il
cammino lineare, dalla passione deriva la capacità di comprendere e
conoscere, di interiorizzare e di donare.
Quando parlo di “passione” non voglio riferirmi a episodi poco
frequenti o eccezionali, ma intendo la quotidianità della nostra
vita. Perché ciò che lascia tracce e si sedimenta nelle coscienze
viene distillato giorno dopo giorno.
14 gennaio 2013
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 11 del 16 gennaio 2013
Quale di queste parole – senso di colpa, rincrescimento,
tormento, amarezza, afflizione – metteresti per prima
accanto alla parola “rimorso”? … Scrivila …
Il rimorso trova la sua origine in una situazione inconclusa che puntualmente,
anche quando non te lo aspetti, ti torna addosso e ti punzecchia e ti ronza nelle
orecchie, occupa la tua attenzione e il tuo sguardo, si impadronisce dei ritmi del tuo
corpo, alterandone battito cardiaco, omeostasi dei liquidi e termoregolazione, fino a
quando non diventa il tuo compagno inseparabile e come la tua ombra non ti
abbandona mai, assumendo infine la consistenza di un’ossessione.
Accanto al rimorso metto la parola “rincrescimento”, perché è come un’occasione
persa, per aver fatto o non aver fatto qualcosa che avrebbe offerto un’altra
prospettiva, per le parole dette o per quelle taciute, per quell’opzione maturata che
ha lasciato le porte aperte al dispiacere.
P.S. In questo Repertorio mi piace segnalare una frase tratta dalle Satire (IV) di
Aulo Persio: “…. purtroppo pochi tentano di conoscere se stessi, mentre
invece in molti guardano dentro la bisaccia sulle spalle di chi li precede !”.
Rappresenta un forte insegnamento da perseguire …
20 gennaio 2013
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 9 del 12/12/12
Quali di queste parole – unione, contatto, adesione,
connessione, contiguità, coesione, amicizia, relazione,
conoscenza – metteresti per prima accanto alla parola
“aderenza”? … Scrivila … A che cosa hai “aderito” con
interesse, con passione, con spirito di servizio nella tua
vita? … Scrivi quattro righe in proposito …
La
parola “aderenza” mi fa prefigurare
un’entità che è
arrivata, finalmente, a compattarsi. A creare, cioè, dopo
trasformazioni profonde ma con dolcezza e malleabilità, qualcosa di
diverso ed ha accolto, assorbito, “mutuato”, solidarizzando
specificità diverse.
Come partire da singola farina, singolo olio d’oliva, singolo
zucchero, singolo lievito d’uva e dall’unione di tutti questi
componenti trovarsi in presenza di qualcosa di nuovo: la massa
compatta della pasta frolla …
Nuova consistenza, frutto della contaminazione reciproca; nuova e
ulteriore possibilità che arricchisce modificando e che è il punto
di partenza di una successiva variazione.
Perché dall’aderenza (che è prendere in considerazione altro da
te…) si costruiscono unioni anche stabili, contatti proficui,
contiguità valorose, coesioni profonde, amicizie vere, relazioni
essenziali, conoscenze vitali e soprattutto connessioni mentali che
ci faranno iniziare un percorso che può fermarsi anche mai
(preferibilmente …).
8 gennaio 2013
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep.13 del 30/1/13
Le parole “bizzarria e stravaganza” che cosa - quale termine, quale situazione,
quale personaggio, quale libro o che altro – ti fanno venire in mente? Basta una
riga per rispondere, scrivila …
Qualche anno fa ho letto Everyman di Philip Roth. E’ stato come un colpo di fumine. Mi ha preso la
sua capacità di colloquiare con il lettore, la sua modalità narrativa, sintetica e approfondita nello
stesso tempo, il suo mettersi in discussione per conoscersi e per prendersi in considerazione, il suo
humour amaro ma costruttivo.
Ed è l’inizio del libro, il racconto del suo funerale, che ho trovato particolarmente denso di significato
e di ricerca di senso. Qui sta la “bizzarria e stravaganza” dell’autore che sembra varcare i limiti
semplicemente per dissacrare o andare controcorrente ? Io ho letto questo incipit, e poi tutto il
romanzo, come fosse la ricerca continua di un uomo ( che può rappresentare ogni uomo) del senso
della vita, per godere della vita momento per momento, con gli strumenti a propria disposizione e
accompagnato dai suoi limiti, contraddizioni, errori. Con la coerenza di riconoscerli e di esplicitarli.
Dunque la “bizzarria e stravaganza” è il coraggio di raccontare quello che siamo ……
5 febbraio 2013
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 7 del 28/11/12
…quale fenomeno naturale ti affascina particolarmente? …
scrivi due righe in proposito …
Non capita spesso di vedere un arcobaleno: in questi anni della mia vita
avrò colto e percepito la presenza di un arcobaleno cinque o sei volte.
Non di più. E’ questa infrequenza, la dimensione sporadica e inconsueta,
che
determina
questo
alone
di
fascino
all’arcobaleno?
E’ il fenomeno in sé che mi conquista e riesce a muovere gli angoli più
reconditi del mio spirito, inquieto e vigile. Palpare con gli occhi questo
movimento delicato e flessuoso di particelle fisiche che danno
espressione a concentrazioni variegate di sostanza, con luminosità e
tonalità che degradano e virano in gradazioni di colori.
Come espressioni di vite, di visioni di vita diverse, eppure tutte
egualmente riconoscibili e riconosciute, l’una accanto all’altra, vicine.
Come un girotondo intorno all’esperienza umana o come un vortice di
conoscenza che ci accompagna da millenni e che si ripresenta talvolta per
ricordarci che non possiamo perdere memoria di questa ricchezza.
4 dicembre 2012
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 7 del 28/11/12
Quali di queste parole (non più di tre) -bontà, benevolenza,
benignità, comprensione, indulgenza, tolleranza,
generosità, umanità, pietà, misericordia, dolcezza, mitezza,
- metteresti per prima accanto alla parola
“clemenza”?
Essere clemente è prima di tutto una particolare modalità di prendersi in
considerazione e poi di considerare chi ci sta di fronte.
Quindi accompagno la clemenza a queste due parole chiave:
comprensione e generosità
che aprono le porte a un mondo profondamente diverso da quello
odierno, in cui ci sia posto per la giustizia e il rispetto reciproco.
4 dicembre 2012
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 9 del 12/12/12
Omertà è complicità, è silenzio, è reticenza: quale immagine
–presa dalla cronaca, dalla storia, dalla letteratura, dal
teatro, dal cinema, dall’arte in generale – ti viene in
mente pensando alla parola “omertà”? … Descrivila in
quattro righe …
Omertà è una parola che mi fa prefigurare una condizione di
falsità e di inimicizia, in cui mancano rispetto, dignità,
umanità, giustizia. Come trovarsi di fronte a qualcuno che
porta il suo cane al guinzaglio, lasciando disseminati per
terra i bisogni corporali prodotti e girarsi dall’altra
parte o fare finta di niente: è questo un piccolo esempio,
ma è dalla quotidianità che nasce l’omertà.
E aspettiamo che sia qualcun altro, come ha fatto Roberto
Saviano in Gomorra, a descriverci l’omertà che ci sta
intorno.
8 gennaio 2013
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
REP. 10 del 9 gennaio 2013-01-15
Qual è la prima parola che ti viene in mente pensando al
termine “carne”? … Qual è la prima parola che ti viene
in mente pensando al termine “spirito”? … Scrivi …
La “carne” si associa nella mia mente a un “composto” molto
instabile e provvisorio che è quasi volatile nella sua consistenza.
Materia che si avvia alla decomposizione proteica che degrada con
sapore dolciastro e odore caratteristico di ammoniaca. Come i
nostri corpi fisici.
Lo “spirito” mi riporta alla mia infanzia e ritrovo intatto, percepisco
direttamente, l’odore degli ambulatori dell’INAM di Viale Milton,
dove spesso capitavo per controlli radiografici ed oculistici. Lì
dentro era diffuso e alitava dovunque il sapore intenso ( e per me
seducente e inebriante) dell’etere utilizzato per disinfettare o,
meglio, per definire e delimitare gli ambienti sanitari. Come una
linea di confine fra dentro e fuori, fra libertà e contenzione, fra
respiro e mancanza d’aria.
Penso poi che queste parole, inevitabilmente, si rivolgono al mio
ambiente interiore e allora collego lo spirito a quei silenziosi dialoghi
personali che coinvolgono il mondo intero e sento che questa è la
consistenza che mi appartiene.
14 gennaio 2013
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 3 del 24 ottobre 2012-11-07
… che cosa ti ricorda la parola “clown”? Scrivi quattro
righe in proposito … Quale di questi termini – giullare,
saltimbanco, pagliaccio, buffone, burlone, mimo,
istrione, o quale altro metteresti per primo accanto alla
parola “clown”? … Scrivi, basta una parola …
Da piccola, il mondo del circo esercitava un grande fascino al mio
interno: un
continuo spostarsi, da una città all’altra, un
vagabondare permanente; senza radici territoriali ma con
fondamenta interiori solide. Il circo mi incantava anche perché era
un “luogo” che non frequentavo: troppo alto il costo del biglietto
d’ingresso … e allora la mia immaginazione poteva espandersi
senza sbarramenti. Sognavo di essere una trapezista che
volteggiava nella cupola del tendone, leggera nell’anima e nel
corpo. Il circo era per me quel “volo” intorno al trapezio e forse ero
già dentro al volo della vita, a quel cercare continuo, per dedicarmi
a quella ricerca che ancora non è finita. Per palpare l’impalpabile,
per sorreggermi al vuoto, per dare consistenza ai sogni.
Là sotto, alla base del tendone del circo, sapevo che c’erano i
clown – quelle dolorose figurazioni amare -: non comici, non ironici,
non satirici: solo disperatamente, aspramente amari. Persi in quel
loro mondo di solitudine e di sconfitta, di obbligatoria ilarità, con
quella lacrima finta dipinta sul volto, a coprire insieme al cerone, la
devastante malinconia che ogni muscolo facciale faceva trasparire.
Poveri dolci clown, che sentivo tanto simili e vicini, scaraventati in
quell’arena circense, custodi del mio stesso segreto, maschere a
copertura e nascondiglio della loro anima. Personaggi totalmente
umani che mi indirizzavano al pianto, fino a singhiozzare,
assaporando la tristezza e lo sconforto di quelle vite.
5 novembre 2012
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 6 del 21/11/12
La parola “inquietudine” è molto evocativa: che cosa ti
suggerisce la parola “inquietudine”? … Scrivi quattro
righe in proposito …
Mi sono già incontrata con l’inquietudine, mi sono percepita come donna
inquieta e di tutto questo c’è traccia nei repertori degli anni passati.
Adesso sono nuovamente di fronte all’inquietudine, alla “mia”
inquietudine che conosco e che è la mia dimensione.
Sono inquieta perché rifiuto di fermarmi, di placare la mia energia, non
voglio che la mia forza, la mia essenza vitale, sia racchiusa e conclusa in
un recinto che la contiene e la impacchetta.
Voglio espandere, consumare, riprodurre la mia energia per goderne e
per farne dono.
In questo senso sono molto generosa e espansiva, alla continua ricerca di
altri sprazzi di luce che possiedo e che voglio portare fuori. Perché questa
inquietudine è essenzialmente una ricerca continua, un bisogno
ineludibile come lo è il respiro o il battito ritmico del cuore, lo scorrere
rituale dell’acqua del nostro corpo.
L’inquietudine mi permette di essere inappagata e quindi mi concedo il
sogno di un desiderio che alimenta la speranza: la speranza di farcela, la
speranza di andare avanti, la speranza di vivere.
Ricerco non perché insoddisfatta ma perché sento di non aver completato
il mio percorso, consapevole che tralasciare o non prendere in
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
considerazione questo aspetto sarebbe una rinuncia completa nei miei
confronti: come rinunciare a vivere.
E la ricerca è l’elemento che fa da linea di confine fra essere soggetto od
oggetto; fra subire o scegliere; fra lasciarsi vivere o cogliere il senso del
proprio percorso.
Mettersi in questa dimensione è come essere dotato di antenne sempre
attive, che ricevono anche gli impulsi più remoti o con frequenze più
deboli. Accogliere dunque le opportunità per non dover rimpiangere
quanto inutilmente ci siamo lasciati alle spalle: semi non piantati, lasciati
bruciare al sole o seccare senz’acqua, consapevoli della perdita.
Perché la pace interiore si conquista coltivando un fermento continuo, e
acquistando dimestichezza e vicinanza con l’inquietudine, compagna
affettuosa e instancabile, solidale e fruttuosa, di una vita dotata di senso.
26 novembre 2012
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
UNA DONNA
Sono una donna inquieta. Un’inquieta di cinquanta anni. Questa soglia d’età
mi mette spesso a disagio o, più precisamente, mi fa riflettere: non tanto
per le rughe che iniziano a mostrarsi o per i lineamenti del viso e per le
strutture corporee che vanno delineandosi, ma per le risonanze emotive
interiori che avverto. Nel sentire comune si sostiene che questa è l’età
della “maturità”, quasi l’espressione delle certezze e dei punti di arrivo,
delle verità assolute e della saggezza da effondere: in altri termini
rappresenta l’equilibrio raggiunto. Io, invece, non ho certezze né
unilateralità da percorrere: questa mia indefinitezza mi dà la spinta per
andare avanti, per continuare a credere che abbia un senso vivere. Sento
che la mia essenza vitale è proprio qui, in questo margine nebuloso, in
questa alternanza di sentire, in questo spazio aperto al cambiamento. Ora
non mi fanno più paura la mia incertezza e i miei dubbi, non temo le
oscillazioni: li ho recuperati come patrimonio e opportunità, non
appartengono più alla sfera dell’imperfezione e del limite.
Finalmente il bicchiere è mezzo vuoto.
Quando mi concentro su questi pensieri riesco anche ad essere felice.
Sento che, nonostante le esperienze scomode, dure, cupe che hanno
appesantito il mio percorso, sono riuscita a mantenere presenti in me
l’essenza della giovinezza e il significato profondo della vita: cercare per
trovare, trovare per ricercare ancora. Un moto continuo senza fine che
contiene al suo interno la trasformazione, espressione della vita che
continua. Essere inquieta è dunque una conquista, è come afferrare il
tesoro più grande che non si può ridurre a puro valore economico, ma
rappresenta altro. Rappresenta essere consapevole, comprendere, intuire,
appartenere al mondo intero: essere partecipe dell’universo, mantenendo
la mia identità intima ed esclusiva.
9 dicembre 2003
tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 4 del 7 novembre 2012
“Preda” è un termine tipico del regime imperiale: quale di
queste parole – saccheggio, razzia, spoliazione, bottino –
metteresti per prima accanto al termine “preda”? … Scrivi
quattro righe in proposito …
Ho paura di ogni laccio che imprigiona la mia mente, più di ogni altra possibile
costrizione fisica.
Per questo, da diverso tempo, utilizzo il termine preda o, per essere più precisa, la
frase essere preda, volendo esprimere che quella persona che è preda ha perso il
possesso di sé, della sua capacità di ragionare e di provvedere a scelte autonome su
questioni che la riguardano. E’ da tanto tempo che ci penso e non si placa, anzi
continua a lievitare dentro di me, l’angoscia, quando visualizzo quelle persone che
sono in balia del volere altrui, quegli esseri umani che sono ridotti a corpi
funzionanti, meccanismi con funzionamento ordinario, ma senza anima, senza
quell’afflato che ci rende vivi e vitali.
Il termine preda si accompagna dunque alla parola spoliazione: depredazione di ogni
energia e capacità interiore che ci permette di investire in intelligenza. Mettere a
nudo non significa, evidentemente, privare dei vestiti e scoprire quelle nudità fisiche
imbarazzanti; mettere a nudo è attivare un meccanismo di negazione, di
disconoscimento dell’altro, in modo che quell’essere si senta completamente
dipendente e incapace di scegliere.
E’ come relegare al silenzio una voce vibrante, capace di modulare emozioni e
necessità, visioni del mondo esterno e il patrimonio racchiuso nell’esperienza.
E’ come tagliare un fiore appena spuntato dalla terra, recidendone la sua possibilità
di sopravvivenza.
E’ come oscurare un’essenza luminosa, una fiammella di luce che racchiude l’intera
vita.
E’ come sommergere e affogare d’acqua un corpo vivo che resta invaso da questa
materia che lo distrugge.
E’ come seppellire, dentro una fossa profonda e carica di terra pesante da cui non
filtra aria vitale, la memoria umana di millenni.
Depredare un essere umano della sua essenza e specificità è una sopraffazione
inaccettabile: lo annovero fra i crimini contro l’umanità.
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
12 novembre 2012
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 2 del 17 Ottobre 2012
… qual è l’alimento più indigesto con il quale il tuo apparato digestivo deve
fare i conti? … Scrivi quattro righe in proposito, la scrittura lo può rendere
più digeribile …
Corpo e anima si trovano anche questa volta in stretto e reciproco contatto: sperimentano
quella unità che tante volte viene declamata e difficilmente interiorizzata e attualizzata. Il
riferimento alla “pesantezza” di un alimento è un viaggio all’interno di me stessa, oltre le
mie viscere e i sistemi di funzionamento corporeo.
Sempre più, mi rimane indigesto ingerire carne di ogni genere, anche con modalità di
preparazione differenti. Mi resta diffuso nel corpo un sapore sgradevole e ho la sensazione
che il mio stomaco non riesca a frantumare e trasformare questo cibo. E’ l’alimento in sé
che resta lì a pesare sulla mia persona: il fatto che sia fritto o mescolato a un malefico
connubio di materia oleosa e sugosa è un ulteriore aggravante. Mi disturba anche dover
masticare nella mia bocca pezzi di carne, anche piccoli, e mi sembra che i miei denti
rifiutino questa presenza.
La carne, da sempre, non è stata un alimento che riscuote la mia preferenza; ho testato
sulla mia pelle, quando ho presentato anemie rilevanti, che la mia emoglobina non risaliva
se mi nutrivo di carne.
Vivo la “carne alimentare” con una doppia valenza:
 La considero “cadavere” di un essere vivente e l’odore di un banco di macelleria in
cui è in vendita mi disgusta e sento la decomposizione che vi aleggia;
 La considero “violenza” del più forte ( o del più malvagio, l’uomo) nei confronti di
quegli esseri alimentati per l’ingrasso e per la produzione a catena.
Dunque “l’alimento carne” diventa una forma mentale del mio pensiero, diventando così
pesante, indigesto e indigeribile.
Indigeribili sono anche i dolci che riescono soltanto ad appagare i miei bisogni di dolcezza,
ingorgando e rallentando il processo di assimilazione. Fin da bambina mi porto dietro la
percezione e la visualizzazione di me, tonda e abbondante, e questa esperienza, come
impronta e marchio, mi pesa ancora oggi e avverto “il senso di colpa” quando “introduco”
nel mio corpo cibi “proibiti” che, ovviamente, restano percepibili attraverso la loro
pesantezza e indigeribilità.
Non posso neanche dimenticare che vivo in un ambito sociale e la relazione con gli altri è
fondamentale: per questo mangiare cipolla o aglio mi resta indigesto. Perché mangiandoli
mi porgo agli altri in condizione non “rispettosa”: il mio alito potrebbe disturbare chi mi sta
di fronte e i vapori e i fumi seguenti all’introduzione di aglio e cipolla insidiare i reciproci
rapporti.
22 ottobre 2012
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep. 1 del 10 Ottobre 2012
Scegli una di queste coppie di parole (esilio e patria, sonno e
sogno, amore e odio, malattia del corpo e tormento dell’anima,
trionfo della morte e gaudio per la resurrezione) – di non facile
digestione – e scrivila …
Catalogo di parole chiave lo sono sicuramente anche all’interno del mio codice di
riferimento, dentro il mio orizzonte di senso; sono anche accoppiamenti che
incontriamo spesso e che accompagnano la nostra quotidianità; ma non mi sento di
definirle coppie contrastanti in senso assoluto. Cerco di spiegarmi, anzi di fare
chiarezza in me stessa per trovare il filo del mio dialogo interiore, soffermandomi
sugli incroci dubbiosi del mio pensiero, per allenarmi a trovare strade alternative,
per approfondire e prendere dimestichezza con gli angoli bui, per saper distinguere
e scegliere buone strade da percorrere …
Esilio e patria: dentro la mia patria, che è tutto l’universo in cui mi trovo a vivere, mi
sento in esilio quando sono messa da parte, accusata, tradita, violata nel mio
sentire. E l’esilio è come un guscio protettivo che ricrea una sensazione piacevole.
Sonno e sogno: rappresentano un’altra forma della mia coscienza, un modo di
passare un’altra me stessa. Sogno spesso ad occhi aperti e ogni sogno è la speranza
di vita futura o l’espressione della mia passione e determinazione; sonno è una
specie di messa in stand by di me stessa, ma la forma che assumo dormendo è il
sogno di un possibile cambiamento.
Amore e odio: facce illuminate vicendevolmente, quasi al rovescio, di uno stesso
specchio; specchio dell’anima: passione per la vita, forti emozioni essenziali e
presenti che accompagnano quel corpo che ci riveste.
Malattia del corpo e tormento dell’anima: corpo e anima sono un binomio
imprescindibile – sono io con quella forma particolare di quel mio collo, ma sono io
anche con l’interiorità che agisco in queste forme fisiche . E nel corpo sedimento il
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
mio tormento interiore che, frammento dopo frammento, ferirà questa mia parte
fisica così da dare evidenza e risonanza alla mia essenza.
Trionfo della morte e gaudio per la resurrezione: so di dover morire, come ogni
essere vivente, ma resterò nel futuro, la mia resurrezione avverrà ogni volta che un
pezzo di me, passato agli altri, sarà nuovamente presente.
17 ottobre 2012
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
REP.1 del 10 Ottobre 2012
C’è un’esperienza della tua vita della quale hai detto: “Questa
volta sono andata oltre le mie possibilità”? … Scrivi due, tre,
quattro righe in proposito …
Ci sono proprio dentro … e continuo a starci senza neanche avere la possibilità di
patteggiare ( con me stessa? Con altri?) una possibile fuga. Ci sono e ci resto e so
che, ancora, sono agli inizi e lambisco la voragine che sarà.
Ogni volta che mi sono trovata di fronte persone che affrontavano la drammatica
consistenza quotidiana di una grave malattia, mi sono confessata: “io non potrei
farcela” e cancellavo al mio interno ( o, almeno, tentavo) la visione di tamara in
quella situazione. Negandomi la possibilità di supportare, reagire, affrontare quella
data situazione (non riconoscendomi cioè nessuna valenza e valore personale) non
affinavo neppure modalità interiori da mettere in atto per costruirmi una risposta
possibile e per rafforzarmi.
Poi è arrivata la SLA, questa sclerosi laterale amiotrofica ( che riesco a identificare
anche soltanto dall’etimologia delle sue parole …), la SLA di Valdemaro e ho dovuto
fare i conti, oltre che con il nostro, anche con il mio oltre, con quel mio limite che
percepivo come invalicabile. E ho sperimentato, lo sperimento quotidianamente, il
significato profondo dell’humanitas da una parte e della relatività dall’altra.
Quotidianamente, nonostante tutto, mi trovo di fronte a una Tamara sconosciuta
nelle sue possibilità che cerca, disperatamente e con passione, di andare avanti
perché la partita in gioco non riguarda semplicemente se stessa. Credo che se fossi
stata io la persona con la SLA, altre sarebbero state le mie scelte, ma non sto
decidendo per me.
E’ capitato, capiterà ancora di dover mostrare la mia faccia radiosa mentre, dentro,
sono inondata di morte, è capitato, capiterà ancora di dover parlare con tono
impositivo mentre, dentro, mi sento un coccio rotto in miriadi di pezzi, irriparabile; è
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
capitato, capiterà ancora di piangere insieme a Valdemaro mentre ci rendiamo
conto che un flusso di energia e forza sta esplodendo al nostro interno.
Essere qui a scrivere, adesso, è un andare oltre le mie possibilità attuali, ma sono
determinata a non perdere memoria e coscienza di me …
17 ottobre 2012
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Rep.2 del 17 Ottobre 2012
Hai fatto un viaggio quest’estate: dove?...Perchè, con quale
motivazione, hai fatto questo viaggio? … Scrivi quattro righe in
proposito …
Viaggiare è un’esperienza per me essenziale: il limite tra vita e non vita.
Viaggio come conoscenza, apprendimento, dubbio, scambio, contaminazione, scoperta,
riconoscimento, conferma, riflessione in un orizzonte di senso fisico e mentale.
Il mio viaggiare è dunque una continua ricerca che, passo dopo passo, svela visioni che
resterebbero altrimenti precluse o incoscienti.
Quest’estate, anche quest’ultima estate, mi sono lasciata andare al viaggio. Viaggio
desiderato e temuto, improvviso e a lungo cullato, banco di prova e conferma. Un viaggio
non lungo temporalmente ( a ben altre lunghezze eravamo rodati, Valdemaro ed io), ma
capace di far percorrere uno spazio di tempo pari a una vita intera. E’ stata un’estate
strana, quest’ultima; spizzichi di viaggio assaporati con l’intensità di un addio: così sono
scivolati Ravenna e le paludi di Comacchio con Anita e Garibaldi a farci da guida amorosa e
riconoscente. Poi Venezia e il riverbero del sole sull’acqua, tagliata da pali e riflessi di
palazzi rovesciati - i vaporetti che lambivano le solite acque sempre diverse e, ogni volta,
uniche – le pietre antiche di questa città che si porgono inattese in ogni angolo regalando
attimi di eternità – la presenza incombente dell’acqua che copre e avvolge ogni
consistenza e riporta alla incerta e relativa condizione umana. E c’è stata anche Padova e le
sue acque, le ville e il cielo verde che riflette le sue terre – il caffè Pedrocchi e l’arte liberty
che fu – il museo del Risorgimento e Giotto con le sue visioni e un ritorno pacato, indietro
nel tempo andato, presente dentro di noi.
Sembrava che il peregrinare di quest’estate fosse finito, perché … blablabla … date le
condizioni… blablabla …nient’altro era possibile … blablabla …figuriamoci … blablabla …è
già tanto! Il viaggio, però, era sopito, ma costruito dentro di noi e quella “sicurezza e
consuetudine estiva”doveva perpetrarsi anche quest’ultima estate perché potessimo
sentirci vivi e reali, per continuare a sperare che ce la possiamo fare o, semplicemente, per
regalarci quest’ultima possibilità, con la consapevolezza che il futuro è incerto e molto
precario. Prendere al volo quest’ultimo treno e godere profondamente, carpire attimo
dopo attimo, gustare, percepire questa occasione che riconosciamo come l’ultima. E allora
un po’ per gioco, un po’ per sopravvivere, o solo per vivere, ci siamo costruiti il nostro
viaggio di fine agosto.
Aver lasciato fino ad allora quel pezzo di Francia inesplorato, ci è sembrato un segno del
destino o una saggia scelta passata, almeno un segnale da prendere in considerazione;
organizzare nei minimi particolari questo viaggio seguendo uno schema che interiormente
era già concreto, chiaro e definito; scovare il nucleo dell’intero percorso di viaggio sapendo
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
di dover operare selezioni drastiche sugli ambienti da incontrare e su quelli da ignorare;
fare i conti con il breve tempo a disposizione (dieci giorni) e le nuove condizioni di viaggio.
Siamo partiti in tre: Valdemaro, io e la carrozzina, nuova compagna di viaggio discreta e
indispensabile che ci guardava dallo spazio fra i sedili posteriori e quelli anteriori, senza
disturbarci. Abbiamo sperimentato strade, marciapiedi e lastricati di Nizza: la carrozzina ci
permetteva di usufruire di un comodo bagagliaio per la mia borsa pesante, discretamente
attaccata ai manici posteriori; salite ripide fino al museo di Chagall (…ma che gioia arrivarci
dopo ripetuti stazionamenti per riprendere fiato e osservare l’orizzonte intorno…), discese
a picco, e io che chiedevo a Valdemaro di stare pronto ai freni manuali e il mio corpo
obliquo all’indietro per fare da baricentro ( e chi ci ha visti: chissà cosa si sarà detto …),
lasciandoci talvolta andare alla gioia della discesa veloce, in fondo alla quale le nostre
risate erano spontanee come bambini spensierati. Avere un nuovo orizzonte di
riferimento: questo per Valdemaro, stando in posizione seduta e non in piedi e il continuo
variare di orientamento per me: andare avanti, aggirare un ostacolo, guardare lontano
davanti per prevedere gli intralci e trovare alternative percorribili senza inservibili
affaticamenti; innestare la retromarcia, talvolta accompagnata da sollevamento
“carrozzina occupata” per percorrere una strettoia …. O per scalare la montagna
rappresentata da uno scalino, presente per l’indifferenza e l’ignoranza di chi non prende in
considerazione la fatica che costano. Ma c’è stata anche la scoperta, la piacevole e
riconciliante scoperta, della solidarietà che abbiamo ricevuto da sconosciuti amici che ci
davano la mano necessaria per scalare e superare quella difficoltà. E poi … la nostra
reciproca voglia di farcela e l’appagamento interiore per aver raggiunto il nostro obiettivo.
……Nizza e il “suo e nostro” Hotel du Centre e ogni stanza dedicata a un pittore e il soffitto
affrescato e i corridoi dedicati e l’ascensore con mare spiagge cielo e sole e … musica al
piano. Fuori, la promenade des Anglais ci ha accompagnato nelle nostre passeggiate
pomeridiane e serali con l’alito del vento marino che respiravamo seduti di fronte alla
distesa del mare. Sempre in tre, fino a Vence con Matisse; St Paul e la Fondazione Maeght;
Biot e il Museo Leger, fino a Mougins. Eccoci poi sulla Cote d’Azur “classica”. St Raphael e
St Maxime, St Tropez e Frejus e l’incanto di un pomeriggio magico sulla plage d’Agay, la
prima liberata nella 2° guerra mondiale, in attesa del tramonto, assaporando le variazioni
di luce e di colori di quel tratto di costa.
Giornate scandite da gesti rituali, da scoperte, da fatica organizzativa e fisica e da
appagamento, straniamento legato al viaggio; ci siamo messi in gioco e ne siamo usciti
“radiosi” per esser riusciti a vivere ogni momento di queste giornate con tale passione da
fermarne dentro di noi la memoria e sedimentare così la forza di andare avanti.
23 ottobre 2012
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Lezione 4 2009-2010
…l’importanza di possedere una cultura di riferimento e questa presa
di coscienza determina in sempre più persone il desiderio e la ricerca
dei libri: i libri cominciano a rappresentare un punto fermo e uno
strumento per lenire una sete di sapere ( e di nuova identità ) che
prima era privilegio di pochi individui … Il libro diventa lo strumento
perché la persona possa intavolare una conversazione con se stessa e
possa riflettere sulla propria identità …
“Cultura di riferimento”, “presa di coscienza”, “sete di sapere”, “identità”,
“conversazione con se stessa”, “riflettere”: queste le parole significative (numerose,
allusive, tangibili) e i concetti-chiave (semplicemente chiari e con lo sguardo aperto
all’infinita ricerca) che ho trovato alla fine di questo Repertorio, di cui riporto una
frase “illuminante” che mi descrive e che rappresenta il percorso umano.
Torno indietro nel tempo, un mezzo secolo fa e mi ritrovo bambina di cinque anni, con
le incertezze e i desideri, le aperture e gli impulsi degli altri bambini della mia età.
Allora non lo sapevo, non potevo aver elaborato una consapevolezza successiva,
maturata e sedimentata dopo le sofferenze sperimentate e i “tradimenti” subiti.
Allora non lo sapevo, percepivo il mondo che mi stava intorno, il piccolo recinto che
conoscevo e che riproduceva la mia esperienza.
Anche allora esplodeva in me la voglia di conoscere, ma gli ambiti del mio movimento e
della mia ricerca erano limitati e limitanti. Mi faceva difetto la mia cultura di
riferimento.
Arriva la scuola: un approccio difficile alle elementari, l’ingresso in un mondo in cui
trovo il continuo confronto con gli altri e la necessità di tirare fuori risorse e
strategie che non ho acquisito.
Approdo alle medie, trovo la motivazione per studiare: conoscere, capire, applicarsi,
analizzare, sintetizzare e valutare. Inizia la mia formazione; è come LA NASCITA. Mi
appassiona lo studio e il “gioco” intorno alla lingua italiana: sinonimi e contrari,
aggettivi e attributi per definire persone e situazioni, l’approccio al latino, …: ritrovo
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Comunità studentesca de "L'Antibagno"
la voce a lungo fatta tacere. Mi incuriosisco e nonostante la miopia che avanza riesco
a vedere meglio intorno a me: è la mia personale presa di coscienza.
Riconosco l’amicizia dei libri e dalla lettura di miti, leggende e eroi degli antichi greci
passo ai romanzi dell’ottocento e agli autori contemporanei.
Inizio il Liceo classico e utilizzo l’esigua paghetta settimanale per costruirmi la mia
biblioteca.
Comincio a perlustrare la libreria Marzocco (l’attuale Martelli) difronte al mio
“Galileo” e “scelgo” le edizioni Oscar Mondatori: opto per la sostanza e do poca
importanza alla tipologia dell’edizione. Minimalismo efficiente: la mia sete di sapere si
scontra con la questione economica e imparo che, comunque, mi corrisponde la
sostanza più della forma.
Definisco la mia identità, consapevole che la parola scritta e letta è il mio ritratto.
Conosco storie, personaggi, stili narrativi, … diversi che mi permettono di iniziare una
lunga conversazione con me stessa che ancora non è finita: spero che mi accompagni
per tutta la mia esistenza.
Riflettere su me stessa mi aiuta a entrare al mio interno, a portare in superficie il mio
sentire e i granelli di esperienza che, uno ad uno, mi hanno condensata: arrivo a
conoscermi, in un percorso molto spesso faticoso e doloroso, a tentare di
riconoscermi, ad accogliermi per come sono. Mi capita di guardarmi in 3° persona, con
uno sguardo volutamente distante, quasi fossi altro da me, per capirmi, valutarmi
senza condanna.
Con il percorso interiore intrapreso ho potuto ritrovare me stessa ed incontrare
realmente le persone che incrocio sulla mia strada, in un reciproco scambio.
3 novembre 2009
Tamara
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Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Lezione 3 2009-2010
Qual è l’ultima bella camminata che avete fatto? Scrivete
quattro righe in proposito ...
Oggi ero dentro a S.Salvi, per lavoro.
Dopo il pranzo in mensa, veloce e senz’anima, ho approfittato dei
dieci minuti che mi avanzavano della mezz’ora di pausa-mensa
per fare una camminata.
San Salvi ha un parco misterioso e affascinante, basta saperlo
guardare e godere.
Adesso poi, con le sue sfumature autunnali, è un luogo d’incanto.
Macchie di colore si riproducono ad ogni colpo d’occhio.
Un giallo ocra insegue la sanguigna di altre foglie, il ruggine
sovrasta il verde muschio di un cespuglio di piante, colori caldi e
freddi fanno pregustare il cambiamento: la stagione autunnale
che incalza dopo il calore estivo.
Un rincorrersi di elementi cromatici che danno l’idea della
moltitudine degli esseri viventi, quelle piante armoniose, che
esprimono la propria essenza con la personale tonalità.
26 ottobre 2009
Tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Lezione 2 2009-2010
C'è chi un giardino lo ha avuto, c'è chi un giardino lo possiede (magari
in terrazza), c'è chi un giardino immagina di averlo: che cosa fiorisce
(o sfiorisce) oggi nel tuo giardino reale o immaginario? ... Scrivi
quattro righe in proposito ...
Il giardino della mia mente costruisce oggetti reali che appartengono al mondo
sensibile. Come se riuscissi a creare una credibilità, perchè tangibile anche agli altri,
alle mie percezioni e ai miei sogni.
Il girdino come metafora della ricerca che accompagna il mio percorso di vita.
Sul muretto del mio giardino, di fronte alla cucina, si stanno sviluppando due piante
grasse, di origine francese. Hanno assaporato la mia gioia, stanno crescendo perchè
sono consapevoli del progetto che io ho affidato loro e lo condividono.
La piantina più piccola, con minuscole foglie rotonde, era sperduta fra la ghiaia di un
vialetto del castello di Montreuil-Bellay, staccata dalla pianta madre (forse un
vandalismo inutile o un distacco fortuito ...). L'ho raccolta e messa a “dimora” con
delicatezza nel sacco che conserva i frutti del giorno di vacanza (cartine, itinerario,
guida, appunti di viaggio, informazioni turistiche dell'Office de tourisme locale,
biglietti, scontrini, sassi, foglie, ...) che troveranno una sistemazione ogni sera, in un
plastibor “schedato” per data. In questo modo, alla fine di ogni viaggio, recupero la
memoria collettiva del percorso fatto, aggiungo le foto, gli innumerevoli scatti che mi
hanno vista partecipe, e posso riappropriarmi dell'esperienza.
Quella sera ho piantato quel ramoscello in un bicchiere di plastica (l'unico “vaso” che
avevo) con una manciata di terra del campo vicino : gli ho dato da bere e l'ho guardato,
lanciandogli un messaggio senza parole, via cavo-sensoriale, per augurargli una lunga
vita di crescita.
La sua presenza come ricordo costante del viaggio.
Negli spostamenti, la culla del “vaso” era il vano porta bottiglia della macchina e
dunque osservava il mio stesso orizzonte di vista.
Dopo pochi giorni questa piantina ha trovato compagnia: tre filini di un'altra pianta
grassa, con le foglie lunghe e sottili come aghi di pino e fiori multicolori. Nell'esiguo
spazio del bicchiere ogni “arbusto” ha trovato il suo “ambito” congeniale; mi sono
stupita e rallegrata quando i fiori in boccio si sono aperti. Ho visto così il giallo limone,
il bianco latte e il rosso cocomero nei petali che si schiudevano uno dopo l'altro, come
se si fossero messi d'accordo per creare un lavoro di squadra duraturo. Arrivata a
casa, ho trovato un rifugio più accogliente per le due piante, in una posizione riparata
sotto a un oleandro che permetteva però l'accesso del sole. La “tonda” ha
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Comunità studentesca de "L'Antibagno"
avuto una crescita esponenziale: foglie di ogni dimensione mostrano le varie, possibili
fasi di crescita e testimoniano la sua vitalità e resistenza; la “lunga” ha allargato la
sua chioma continuando imperterrita la sua fioritura che è presente ancora oggi.
A breve, la grande serra invernale sulla loggia proteggerà queste nuove inquiline dai
rigori dell'inverno.
Ho capito, anche in questa situazione, che la cura, il prendersi cura e l'impegno
costante producono risultati duraturi e sorprendenti. “Darsi” con generosità e
riconoscere i bisogni dell'altro, in un reciproco scambio, permette di andare avanti,
sedimentando la propria esperienza nel magma della conoscenza umana.
20 ottobre 2009
2
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Lezione 2 2009-2010
Ti sarà sicuramente capitato di fare la mediatrice: scrivi quattro
righe in proposito ...
Nella vita di tutti i giorni sento forte il bisogno di “dichiararmi”, di schierarmi
per mostrare in maniera trasparente e inequivoca il mio punto di vista.
A questo mio atteggiamento si associa anche il bisogno di mediare ( è un'associazione
inevitabile?) per capire le varie esigenze.
Non rappresenta una giustificazione per tutto, è invece uno sguardo orientato ai
diversi punti di vista.
20 ottobre 2009
Tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Lezione 1 2009-2010
Hai fatto un viaggio quest’ estate: dove? Perchè hai fatto
questo viaggio? … Scrivi quattro righe in proposito …
Ho fatto un viaggio quest’estate, un viaggio a lungo preparato, il viaggio che
accompagna il mio percorso di vita ormai da diverso tempo. Ogni viaggio ( anche quello
quotidiano) è uno spaesamento ( e devo ringraziare Giuseppe che, ancora una volta, ha
saputo descrivere e far comprendere con le sue parole la mia percezione del viaggio);
rappresenta un percorso che cerco di degustare attimo per attimo per cogliere ogni
sfumatura, raccogliere ricordi da accogliere nella mia memoria, restituire agli altri ciò
che ho ricevuto oltre che passare una parte di me (sembra un “montaggio” un po’
complicato, in realtà basta entrare all’interno, riconoscerne le sfaccettature,
interiorizzare consapevolmente il significato e … ci siamo).
Lo spaesamento inizia alla progettazione del viaggio. Perché percorrere quel
territorio, incontrare quella gente, lambire quelle abitudini? Cosa mi riporta a quella
struttura sociale e a quell’archivio storico? Quando ho sentito il bisogno o la curiosità
di approfondire questo paesaggio culturale? Chi mi ha guidato in questa scelta? Come
posso entrarci per arrivare a conoscere realmente: essere una viaggiatrice, magari
vagabonda, e non una semplice turista? Un viaggio, i miei viaggi, come ogni viaggio, ha
un punto, un luogo di partenza e uno di arrivo: nella distanza fra i due momenti si
sviluppa la mia ricerca e il mio vivere e il senso che cerco e trovo. Si muove a spirale,
attraverso un graduale avvicinamento. Inizio per macroargomenti per arrivare al
dettaglio del particolare: così come faccio con le mie fotografie. Dall’analisi alla
sintesi analitica. Uno zoom in avanti in un costante, continuo, puntuale approssimarsi.
Dalla visione del palazzo alla singola tegola di ardesia del tetto che definisce la
costruzione.
E ogni voce, notizia, racconto, quadro, testo scritto, … diventa un pezzo del puzzle:
ognuno necessario per ricomporre l’insieme.
Dunque la lettura di una guida turistica, magari di più guide, l’approccio artistico di
pittori, musicisti, scrittori che hanno attraversato quelle atmosfere e lambito colori e
suoni di quella terra, cercando di trovare indicazioni e relazioni anche dagli
avvenimenti storici che hanno caratterizzato quella gente. Un’ attività faticosa,
questa, quasi da certosina, ma che mi serve per entrare dentro alla “storia” che mi
appresto a vivere.
Cercare, trovare, dettagliare, interiorizzare: quando arrivo fisicamente “nel cantiere”
è come se “rivedessi” una realtà che gia conosco ( …anche se con gli occhi del cuore e
della passione …). Con questo bagaglio, e solo così, avverto che il luogo e l’esperienza
mi appartengono e anch’io ho lasciato realmente qualcosa di me. Tutto questo, nel mio
linguaggio sintetico, quasi cifrato, è raffigurato con un “esserci”. Avverto che in
questo modo (…credo solo in questo modo) anche i luoghi e la gente che incontro sono
1
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
generosi con me e mi si propongono con la loro “interiorità” che sarebbe negata a un
approccio superficiale e ignorante. Quel ciuffo di salicornia ai bordi della salina,
quell’ombra sul campanile, quello sguardo d’attenzione … mi apparterranno per sempre
e potrò ripescarli nelle matassa della mia memoria, stimolata da altri orizzonti.
Dimenticavo: quest’estate sono andata in Francia: la prima tappa a Lyon, ho poi
incontrato di nuovo Paris, dopo ho attraversato la Loira con i suoi monasteri, le pianure
coltivate, i castelli fino ad arrivare al “mio” mare: l’oceano Atlantico e la salina di
Guerande.
12 ottobre 2009
Tamara
2
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Lezione 1 2009-2010
…… Verso mezzogiorno, con la marea, l’isola sconosciuta
prese infine il mare, alla ricerca di se stessa ……
( da “Il racconto dell’isola sconosciuta” di Josè Saramago)
… cominciare il lavoro di ricerca al proprio interno, partire da se
stessi per andare incontro agli altri, conoscerli, riconoscerli
dopo essersi riconosciuti …
… Conosci te stesso …
13 ottobre 2009
Tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Lezione 1 2009-2010
… Quali altre due parole ti fanno venire in mente il termine
“ecumenico” e il termine “cosmopolita”? Scrivile …
Ecumenico e cosmopolita sono due parole evocative: per il significato intrinseco e per
le esperienze che hanno accompagnato e che hanno assunto valore simbolico (Concilio
Ecumenico II – Cittadino del mondo ). Inevitabile, come un rimbombo che si sprigiona
dal loro interno, il collegamento a due valori fondamentali: cittadinanza e uguaglianza.
E per associazione di idee pesco altre due parole: comunità e universalità dei diritti.
Entro in un vortice che prevede una prospettiva vasta, un orizzonte aperto: la
possibilità di vivere, di percorrere il proprio percorso di vita, in uno spazio aperto
senza recinti fisici e mentali.
In questi giorni una delle troppo “stravaganti espressioni” di quella persona che fa il
presidente del Consiglio italiano, mi ha sollecitato a scrivere parole che ci riportano
nell’orizzonte di ecumenico e di cosmopolita: << Sono indignata. Perché la parola dignità
rappresenta nel mio vocabolario di CITTADINA uno dei valori fondanti l’essenza
umana. Sono indignata perché ancora una volta si pensa che l’uguaglianza e i diritti
possano cambiare in base al “potere personale” o alla “quota economica” raggiunta.
Sono indignata perché mi sento sopraffatta come cittadina e come donna. Perseguo
un’idea: sono bella perché sono intelligente. >>
13 ottobre 2009
Tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Lezione 3 2009-2010
... tra tutte queste parole (dolore, sofferenza, pena, tormento,
tribolazione, martirio, sentimento, partecipazione, trasporto,
eccitazione, slancio, impulso, desiderio, piacere, predilezione,
interesse, esaltazione, furore, frenesia, delirio,…) che affiancano la
“passione” tu quale sceglieresti per prima? Scrivila …
Ancora una volta la “partecipazione” è la chiave di volta. La partecipazione
presuppone un “esserci” tutta intera, come persona: con il cuore, con la mente, con
l’intelletto. Significa stare dentro una situazione ( … il percorso della propria
esistenza …) con tutto il carico di sofferenza / gioia in compagnia di emozioni
contrastanti, scegliendo l’atteggiamento mentale di ascolto (… di se stessi, degli altri
…).
Quale di queste parole – voglia, desiderio, curiosità, capriccio,
corruzione, cupidigia – metteresti per prima accanto alla parola
“tentazione”? Scrivila …
La “tentazione” fa venire in mente il peccato originale ( … quali e quanti
condizionamenti determinano il comune senso del pensare e i ragionamenti che ne
derivano ) e quindi le associo una parola con valenza negativa: “cupidigia”. La cupidigia è
il desiderio senza misura, la smania di possesso, l’avidità di potere, l’egocentrismo
come regola (?) di vita.
La cupidigia come rappresentazione dell’avere senza riuscire a gustare, sommersi
dall’accumulazione e dal desiderio di mostrarsi: un possesso senza anima.
Si può anche essere tentate a fare qualcosa in senso positivo: a quale
tentazione, che consideri buona, vorresti cedere? Scrivi (lasciati
tentare) quattro righe in proposito …
Scorre la mia vita, velocemente.
Scorrono le mie energie e si perdono in mille rivoli.
Scivolano al mio interno bisogni di riconoscimento, di considerazione, di appagamento;
ascolto il mondo che mi gira intorno, le sue voci mi arrivano fin dentro l’anima.
Raccolgo ed elaboro e cerco di restituire.
1
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Ogni tanto vorrei trovare un tempo personale in cui lasciarmi andare ai miei sogni,
trascorrere silenzi animati di pensieri per me, indulgere all’ozio: lasciare, tralasciare
le tante occupazioni che occupano la mia esistenza e mi costringono a muovere il mio
pensiero con le mani occupate in tutt’ altro.
Sono tentata da momenti di pace in cui la mia unica operosità possa essere la ricerca
del mio pensiero.
25 ottobre 2009
Tamara
2
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Lezione 1 2008-2009
Quando pensi a un germoglio a che cosa pensi ? …
Dal dizionario Garzanti della lingua italiana: “ Germoglio: l’origine, il primo frutto
di qualcosa”. Questo il significato letterale, il valore comune condiviso all’interno di
una comunità linguistica che rappresenta il codice di riferimento per la comprensione.
Ma rappresenta la superficie, e andando più a fondo o, semplicemente, pensando a
questa parola, come a innumerevoli altre, si apre un vortice di riflessioni ricordi
convinzioni … che ci fanno capire qual è per noi l’essenza di quel termine.
Germoglio non è un punto di partenza ma punto d’arrivo di un lungo percorso che
porterà a un ulteriore passaggio. Il germoglio è la concretizzazione di un’idea nata
tempo prima: quella piantina delicata si affaccia dalla terra al cielo perché l’idea della
sua presenza era balenata nella testa di chi aveva prefigurato quel terreno coltivato
ad insalata.
E’ il moto incessante della vita, le continue trasformazioni che non sono la fine ma
l’evoluzione, il riprodursi in altre forme con l’apporto di altri esseri. Questo nella
materia come nel pensiero. Siamo ciò che siamo grazie o in conseguenza di chi ci ha
preceduto, apparteniamo in buona parte all’esperienza dei nostri avi e alla loro cultura:
il passato accompagna, persistente, il nostro presente. Ma siamo anche espressione di
un possibile futuro, diamo le basi a chi verrà dopo di noi. Mi produce un groviglio
doloroso allo stomaco, quasi fosse un nodo scorsoio, sentir dire che i giovani non hanno
più valori né educazione né … Loro, le nuove generazioni, hanno assimilato la realtà
preparata dagli “adulti”, questo è l’esempio che abbiamo trasferito e consegnato loro.
Veniamo da lontano e andiamo lontano.
Non mi stancherò mai di fare riferimento alla storia passata per capire il presente. Io
come tutti gli altri sono un intero ma in realtà sono un puzzle di tanti momenti,
persone, colori, emozioni, sapori che hanno attraversato e incrociato la mia esperienza
di vita.
E non finisco perché muoio.
13 ottobre 2008
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Lezione 1 2008-2009
Qual è il disturbo per cui vi state curando in questo momento?...
Il tempo scorre, va per la sua strada senza intercedere al nostro bisogno di
lentezza o di accelerazione. Va con un ritmo prefissato. Ogni minuto 60 secondi e la
sessantesima parte dell’ora. Per ogni uomo e ad ogni latitudine.
Cambia la percezione di quel tempo, l’attesa spasmodica o l’inutile allontanamento.
Allungare o accorciare, lievitare o scemare.
Nello stesso tempo tutte le facce della luna, espressione di necessità e sogni diversi.
E diversa la percezione non solo in base al bisogno ma anche al ricordo personale del
vissuto. Quel tempo lunghissimo per me : - “ Ma quando torni stasera? “, brevissimo
per lui: - “ Ho fatto una corsa per arrivare”.
Tempo emotivo, tempo percepito, tempo reale, tempo desiderato.
Mi manca il tempo.
Vorrei ricevere in regalo un orario in eccedenza per mettermi in “pari” con tutti i miei
progetti, per realizzare i miei sogni. Faccio un uso oculato del mio tempo, c’è una
previsione ragionata del suo utilizzo ( di prima mattina ), poi la sera, quasi ogni sera,
mi rendo conto che alcuni programmi oltrepassano il tempo a disposizione.
Programmazione sbagliata o troppi impegni? Sono abbastanza sicura che mi accollo,
per generosità, per disponibilità, per ? , tante piccole incombenze che mi riempiono
ogni spazio giornaliero.
E l’indomani ricomincio da capo, ogni tanto mi concedo un attimo di sosta poi continuo
col ritmo abituale. E rincorro i pensieri e i desideri che mi animano e mi accompagnano,
li rincorro e li corteggio, li acchiappo e me ne impossesso in una ricerca continua.
Penso al tempo che mi rimane, insufficiente?
12 ottobre 2008
Tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Lezione 27 2007-2008
In quale occasione ti sei vergognata e hai provato turbamento, pentimento, ritegno,
soggezione, timore, imbarazzo? … Scrivi quattro righe in proposito …
Parlare di vergogna, per me, non significa indicare una specifica sensazione, ma
rappresenta una gamma di percezioni, una realtà affollata di volti diversi, che sento
ugualmente veri e che mi appartengono, contemporaneamente.
Mi sono vergognata e il turbamento era con me quando ho cercato soluzioni nelle “vie
traverse”, riducendo i tempi di attesa per controlli sanitari, sfruttando le “ mie
conoscenze” e quei percorsi che accompagnano la mia vita professionale.
La vergogna mi ha indirizzato verso il pentimento quando ho chiuso il finestrino della
mia auto a quell’uomo che, al semaforo, mi imponeva la sua presenza. Il mio no era la
sintesi della mia giornata lavorativa: non era rivolto a lui. Percepivo di essere
ingabbiata, obbligatoriamente, per una parvenza di “autonomia” economica e lui mi
pareva “libero” nella sua necessità, diversamente da me.
Vergogna è anche ritegno, per me, quando non uso parole o argomenti con quella
determinata persona perché conoscendola mi sembrerebbe di offenderla o di
metterla a nudo. Allora, immedesimandomi, provo io quella vergogna che suppongo
avrebbe potuto provare l’altro.
La vergogna è soggezione quando mi rapporto a persone per me rappresentative e
temo di non essere in grado di esprimere il mio pensiero ( … e puntualmente la
percezione di inadeguatezza che mi accompagna condiziona il mio comportamento ).
Mi vergogno di avere timore di ciò che sarà. Il futuro mi fa paura non per la sua
porzione di mistero, ma per quanto io non riesco a costruire oggi per il domani. E’
assordante, implacabile la vergogna che accompagna l’imbarazzo di trovarmi in
situazioni “pubbliche” dove entra in gioco il ruolo sociale lavorativo che molti mi
invidiano e che per me non è appagante. Sono in continua ricerca, partendo da me
stessa e il mio obiettivo non è il potere formale.
La mia vergogna, talvolta, è anche la rabbia per la vergogna che provo.
12-13 maggio 2008
Tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Lezione 27 2007-2008
Qualèl’ inconveniente, il disturbo, la seccatura, la grana, la rogna … che ti
disturba di più in questo periodo? … Scrivi quattro righe in proposito …
Può essere il TEMPO, non quello dell’attesa, ma quello che mi trovo di fronte
momento per momento ( ora et nunc) il problema che mi trovo ad affrontare in questo
periodo?
Adesso, a questo punto del mio percorso di vita, mi sono chiarita la linea di indirizzo, il
punto cui faccio riferimento guidando le mie azioni, ogni genere di azione. So di essere
quella che sono e non mi tormenta più un modello, il modello fiabesco e fiabeggiante:
non rimango ferma in attesa di un improbabile aiuto esterno, ma cerco di riconoscermi
e di darmi significato. Conoscermi e saper raccogliere ciò che ho costruito.
Troppo spesso, però, non riesco a fare i conti, cioè a prendere in considerazione, il
tempo necessario per realizzare ciò che si è concretizzato nella mia testa, magari
elaborato fin nei più piccoli dettagli.
So, ne sono consapevole, che talvolta chiedo troppo a me stessa e allora arriva il mio
corpo a darmi lo stop: la batteria è esaurita, bisogna aspettare il tempo della ricarica.
Oppure do il mio tempo alla famiglia: alle piccole, infinite, continue attività necessarie,
tenendo però occupata la mente a elaborare i miei spazi personali …
Il tempo scorre incessantemente come l'acqua.
Il tempo viene per chi lo sa aspettare
Quanto più del tempo si tiene a conto, tanto più si dispera d'averne che basti, quanto più se ne
gitta, tanto par che n'avanzi. Giacomo Leopardi
19 maggio 2008
Tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Lezione 27 2007-2008
Era un giorno di pioggia … dove, quando, come, con chi? Racconta, scrivi
quattro righe in proposito ( l’autobiografia ha anche i suoi lati umidi ) …
L’autobiografia ha anche i suoi lati umidi: lacrime inarrestabili, talvolta,
accompagnano la mia scrittura. Prendere coscienza, mettere a fuoco, inquadrare
nitidamente è il percorso che permette di stare in equilibrio fra presente e passato
per costruire il futuro, e … tuttavia questo itinerario, soprattutto all’inizio, prevede la
messa in discussione, la sofferenza, il dolore che riporta indietro nel tempo, al
momento preciso di quell’evento.
Chissà perché la pioggia mi fa ripensare a un momento felice e carico di speranza.
Era la fine di novembre del 1972.
Un pomeriggio piovigginoso e uggioso come novembre ci sa affidare. Scendo dal tram
in piazza Stazione, a quel capolinea cui mi sono abituata da diversi anni e che
rappresenta il punto di partenza per la scoperta della città.
Ho diciotto anni e stasera mi sento leggera; sono intimamente felice: non saprei
spiegare il perché o motivare il mio stato d’animo. Sento, percepisco che sto vivendo
un momento importante: ho chiaro ( ma come?) che con oggi cambierò e mi rendo conto
di essere proiettata nel futuro.
Valdemaro è là, davanti al bar Deanna, mi sta aspettando. Lo vedo e mi preparo a
scendere e in questo spazio di tempo ( … minuscolo…) rivedo e mi rivedo negli ultimi
giorni. L’incontro alla libreria Martelli, il disagio nel trovarmi di fronte questo ragazzo
francamente un po’ antipatico ( … ma proprio lui dovevo incontrare …? ), l’invito alla
proiezione di un documentario al Palazzo dei Congressi per il Festival dei Popoli,
l’inaspettata ( prima di tutto a me stessa ) accettazione, l’attesa, i preparativi, il
golfino giallo a collo alto. La speranza.
Ci salutiamo e prima di avere il tempo di aprire il mio ombrello mi sento prendere a
braccetto e ci incamminiamo insieme, riparati dal suo ombrello. Il mio, di ombrello, lo
porto a passeggio poggiato sull’altro avambraccio e ogni tanto sento echeggiare nella
mia testa le parole di una canzone: “ Che sarà, che sarà … “
Josè Feliciano - Che Sarà
Paese mio che stai sulla collina
disteso come un vecchio addormentato
La noia
l'abbandono sono la tua malattia
Paese mio, ti lascio vado via.
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Che sarà, che sarà, che sarà
che sarà della mia vita, chi lo sa?
So far tutto
o forse niente ma domani si vedrà
e sarà, sarà quel che sarà.
Amore mio, ti bacio sulla bocca
che fu la fonte del mio primo amore
Ti do l'appuntamento
come e quando non lo so
Ma so soltanto che ritornerò.
Che sarà, che sarà, che sarà.
che sarà della mia vita, chi lo sa?
Con me porto la chitarra
se la notte piangerò
una nenia di paese suonerò.
Gli amici miei son quasi tutti via
e gli altri partiranno dopo me
peccato
perché stavo bene in loro compagnia
Ma tutto passa, tutto se ne va.
Che sarà, che sarà, che sarà
che sarà della mia vita, chi lo sa?
So far tutto
o forse niente ma domani si vedrà
che sarà, sarà quel che sarà.
Paese mio che stai sulla collina
disteso come un vecchio addormentato
La noia
l'abbandono sono la tua malattia
Paese mio, ti lascio vado via.
Che sarà, che sarà, che sarà
che sarà della mia vita, chi lo sa?
So far tutto
o forse niente ma domani si vedrà
che sarà, sarà quel che sarà.
Che sarà, che sarà, che sarà
che sarà della mia vita, chi lo sa?
So far tutto
o forse niente ma domani si vedrà
che sarà, sarà quel che sarà.
che sarà, sarà quel che sarà.
che sarà, sarà quel che sarà.
15 maggio 2008
Tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Da bambina, hai fatto parte di una “banda”? … Scrivi quattro righe in
proposito ...
La mia banda? Ma quale? No, non ho mai fatto parte di una banda, di un gruppo di
coetanei legato da “complicità” per stare insieme con allegria, credendo di essere
“grandi”, come i grandi. Ho avuto l’amica del cuore, qualche collegamento con ragazze
della mia età o leggermente più piccole, ma mai una banda. Cresciuta, ho vissuto con
nostalgia ( la nostalgia dell’assenza) l’ opportunità di un gruppo di ragazzi, ho provato il
rimpianto per questa esperienza persa. Sono venuta a sapere dell’esistenza del
romanzo “I ragazzi della via Pàl”: ma non l’ho letto: bruciava troppo, ancora, questa
mancanza. Percepivo l’importanza di ciò che avevo perso, anche se non sapevo cosa
fosse, la certezza di un’esperienza di vita che avrebbe potuto accompagnarmi anche
da grande.
Lezione 23 2007-2008
16 aprile 2008
Tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
C’è un’opera, un’attività alla quale continui a dedicarti pur essendo
consapevole del fatto che non potrà dare risultati a breve termine? …
Scrivi quattro righe in proposito …
Trovare tutte le parole, le molteplici parole che accompagnano il mio mondo,
quello interiore che fluttua senza sosta all’interno del mio corpo.
Cercare, ricercare i significati che accompagnano il mio comportamento: inseguirli,
comprenderli, portarli alla luce per non perderli, per non lasciarli nel pantano e nel
caos di un indistinto sentire primordiale.
Andare in profondità e non temere di prendere coscienza delle mie contraddizioni e
delle opposte percezioni, non definitive ma orizzonti possibili.
Incontrare la mia tristezza, la mia gioia, la mia disillusione e la mia speranza, io luce
accompagnata da punti d’ombra e da buchi neri.
Riconoscermi in questa realtà e sentirmi un pezzetto dell’universo.
Dare voce alle mie emozioni, restituire le parole che le rappresentano alla comunità cui
appartengo.
Lezione 24 2007-2008
23 aprile 2008
Tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
La parola “fonte” richiama altre parole: sorgente, fontana, pozzo, vena,
polla, principio, provenienza, documento……
Certamente una di queste parole invita all’esercizio autobiografico: scrivi
quattro righe in proposito ……
La fonte disseta dopo una lunga camminata.
La fonte rappresenta il punto di partenza, il principio che ci ha originato.
La fonte racchiude il senso della nostra esistenza.
La parola “fonte” mi evoca qualcosa di materiale che collego al significato culturale e
sociale: arrivo poi a comprendere cosa rappresenta per me e la metafora che plasma.
“Fonte”: e mi viene a mente il titolo di un’antologia latina: <<Fontes antiqui>>, ciò che si
è conservato nel tempo, tangibile e elemento di riflessione nel e per il presente.
“Fonte” come DOCUMENTO: prova di ciò che è stato ( … pensato, detto, intuito,
ricercato, sperimentato, …) e che accompagna come patrimonio culturale il percorso di
ogni persona. Dunque ognuno di noi deve lasciare le proprie tracce: non solo le
impronte dei nostri passi per le strade del mondo, ma i segni delle parole scritte che
costruiscono il mondo, fissando il passato, dipingendo il presente, delineando il futuro.
Lezione 25 2007-2008
3 maggio 2008
Tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
Fin dove arriva la conoscenza della tua genealogia? … Misurarsi con la
“genealogia” è un po’ come misurarsi con la creazione …
Partire dal passato per comprendere il presente.
Ricercare, nel sedimento del fiume, il territorio percorso.
Capire chi siamo e da dove veniamo partendo dai nostri antenati.
Sono quella che sono anche per merito o demerito dei miei progenitori.
Questione di geni ma anche e soprattutto dell’ humus culturale ( … ancora la
terra …), del vapore che sembra avvolgere e risucchiare ogni singolo nucleo
familiare, caratterizzandolo in parole, gesti e pensieri .
E la conoscenza della mia genealogia si interrompe, molto presto.
La mamma materna, la nonna Alessandra, era una “nocentina”. Presa all’istituto
degli “Innocenti” di Firenze da una famiglia contadina che aveva bisogno di
braccia per i campi, per le pecore, per le fatiche domestiche: questa bambina si
sarebbe guadagnato e sudato quei rari bocconi masticati fra i denti di latte.
Ero orgogliosa quando la nonna, silenziosa con me del suo passato, mi raccontava
che aveva imparato a scrivere e a leggere da sola , mentre badava alle pecore in
Roveta. Osservavo la sua scrittura, l’ingegno e la creatività di alcune lettere e me
la immaginavo seduta vicino a un ruscello, accompagnata dalle pecore, a tracciare
segni e significati sulle pietre che trovava intorno a sé.
Avrà avuto un libriccino: ma come poteva tradurre suoni e ritmi senza la
mediazione di un “maestro”?
E’ da questa domanda senza risposta ha cominciato a prendere consistenza la mia
immaginazione.
Le capacità di nonna “Sandrina” assumevano un valore magico: se lei, in quella
situazione, era riuscita a imparare a leggere e a scrivere, a costruirsi la sua
autonomia, ci doveva essere un risvolto straordinario e suggestivo.
Evidentemente.
Come nelle favole, animate da principesse e varia aristocrazia, anche lei era una
contessa, la figlia “scomoda” di una contessa.
Quel suo status sociale, quella sua origine le avevano dato l’opportunità di essere
autodidatta.
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
E io, la diretta nipote, non potevo non partecipare di questa condizione
favorevole; anch’io dovevo beneficiare di questi doni.
Con questo sogno e con questa speranza di bambina ho considerato la
riservatezza, la dignità e la disponibilità di mia nonna come espressioni del suo
“rango”.
Mio padre ha perso sua madre dopo nove mesi dalla sua nascita per un evento
drammatico ( emorragia cerebrale, tumore, aneurisma, …?), un evento mai
precisato e nominato: restando nell’incertezza alimentava l’alone del mistero.
So solo immaginarmi mio padre neonato, orfano, con un fratello e una sorella di
poco più grandi, con il solo padre.
Una famiglia segnata.
La “nonnena” Maria ( le origini sono romagnole ) diventerà e resterà per mio
padre la madre perduta e sognata.
Queste linee che si spezzano ( una madre che si nasconde a mia nonna, una madre
che muore troppo presto a mio padre ) rappresentano assenze, mancanze anche
per tutti noi, non presenti al dramma quando è successo, ma partecipi della
sofferenza che ne è derivata.
Questi buchi neri, questi vuoti sono pieni del rimpianto dell’esperienza che non si
è realizzata, della consapevolezza delle presenze perse,
della memoria
interrotta.
Un bagaglio di sofferenza in più da sperimentare giorno dopo giorno, camminando
un passo più indietro: il prezzo dei pezzi mancanti.
Lezione 25 2007-2008
6 maggio 2008
Tamara
Comunità studentesca de "L'Antibagno"
…… la parola “ crea le cose” quando “viene dal cuore” ……
Siamo dualità perché imperfetti?
La nostra percezione ha bisogno dei due apici, la vetta e l’abisso, per avere
consapevolezza.
……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
…… Caldo - Freddo
Bianco - Nero
Luce - Buio
Ragione - Cuore
……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………………………………………………………………………………
o forse quelli che sembrano opposti sono le due facce della foglia, il lato in ombra sta
dietro, il lato luminoso davanti: le due parti di un tutto.
Lezione 25 2007-2008
7 maggio 2008
Tamara
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