la Biblioteca di via Senato
mensile, anno iv
Milano
n.9 – ottobre 2012
UTOPIA
L’occulta magia
di Cornelio
Agrippa
di gianluca montinaro
FONDO ANTICO
Il console
inglese amico
di Canaletto
di annette popel pozzo
NOVECENTO
Vittorini-Guttuso
oltre i confini
della realtà
di laura mariani conti
e matteo noja
OTTOCENTO
La rosa di
Barbèra
infiamma l’800
di beatrice porchera
FONDO IMPRESA
I sogni
si avverano
a Cinecittà
di giacomo corvaglia
la Biblioteca di via Senato - Milano
MENSILE DI BIBLIOFILIA – ANNO IV – N.9/35 – MILANO, OTTOBRE 2012
Sommario
4 L’Utopia: prìncipi e princìpi
L’OCCULTA MAGIA
DI CORNELIO AGRIPPA
di Gianluca Montinaro
11 BvS: il Fondo Antico
JOSEPH SMITH, CONSOLE
INGLESE A VENEZIA
di Annette Popel Pozzo
18 BvS: il Fondo De Micheli
VITTORINI, GUTTUSO E
IL PROBLEMA DEL REALISMO
di Laura Mariani Conti
e Matteo Noja
29 IN SEDICESIMO - Le rubriche
ITALIA GASTRONOMICA –
SPIGOLATURE – CATALOGHI
ANTICHI E MODERNI –
RECENSIONI – MOSTRE –
ASTE E FIERE
46 BvS: Fondo Edizioni di pregio
“SMENS PAGINE & FIGURE”
DI UNA RIVISTA ARTIGIANALE
di Arianna Calò
51 BvS: l’Ottocento
GASPERO BARBÈRA
(1818-1880): UN EDITORE
RISORGIMENTALE
di Beatrice Porchera
55 BvS: Emeroteca
IL DON PIRLONE GIORNALE
DI CARICATURE POLITICHE
di Valentina Conti
60 BvS: il Fondo di Fantascienza
CAPITAN SALGARI
AL TIMONE DI UN
PERIODICO GENOVESE
di Paola Maria Farina
65 BvS: il Fondo Impresa
CINECITTÀ: LA FABBRICA
DEI SOGNI COMPIE 75 ANNI
di Giacomo Corvaglia
69 BvS: nuove schede
RECENTI ACQUISIZIONI
DELLA BIBLIOTECA
DI VIA SENATO
72 BvS: il ristoro del buon lettore
GLI INCANTESIMI
DI LORENZO
Consiglio di amministrazione della
Fondazione Biblioteca di via Senato
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Giuliano Adreani, Carlo Carena,
Fedele Confalonieri, Maurizio Costa,
Ennio Doris, Fabio Pierotti Cei,
Fulvio Pravadelli, Miranda Ratti,
Carlo Tognoli
Segretario Generale
Angelo De Tomasi
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Achille Frattini (presidente)
Gianfranco Polerani,
Francesco Antonio Giampaolo
Fondazione Biblioteca di via Senato
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Arianna Calò sala Campanella
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Giacomo Corvaglia sala consultazione
Margherita Dell’Utri sala consultazione
Paola Maria Farina studio bibliografico
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e del fondo moderno
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e ufficio stampa
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© 2012 – Biblioteca di via Senato
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Bollettino mensile della
Biblioteca di via Senato Milano
distribuito gratuitamente
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a regolare eventuali diritti per
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La Dolce Vita, Marcello Mastroianni
Organizzazione Mostra del Libro Antico
e del Salone del Libro Usato
Ines Lattuada
Margherita Savarese
Ufficio Stampa
Ex Libris Comunicazione
Questo periodico è associato alla
Unione Stampa Periodica Italiana
Reg. Trib. di Milano n. 104 del
11/03/2009
Ottobre
Un tempo, era d’estate,
era a quel fuoco, a quegli ardori,
che si destava la mia fantasia.
Inclino adesso all’autunno
dal colore che inebria,
amo la stanca stagione
che ha già vendemmiato.
Niente più mi somiglia,
nulla più mi consola,
di quest’aria che odora
di mosto e di vino,
di questo vecchio sole ottobrino
che splende sulle vigne saccheggiate.
da: Vincenzo Cardarelli, Poesie,
Edizioni di Novissima, Roma 1936
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
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L’Utopia: prìncipi e princìpi
L’OCCULTA MAGIA
DI CORNELIO AGRIPPA
Un testo “maledetto” nella Biblioteca di via Senato
GIANLUCA MONTINARO
L
a Biblioteca di via Senato,
nelle sue sale, conserva molti
libri preziosi. Molti libri rari.
Molti libri introvabili. Ma conserva
anche libri “maledetti”, giudicati pericolosi nei secoli passati, e guardati
ancora oggi con un misto di sospetto
e timore. Nel Fondo Antico, fra i volumi del Canone dell’Utopia, ve n’è
uno con un titolo che suona sinistro:
La philosophie occulte, di Cornelio
Agrippa di Nettesheim. Un senso di
spaesamento coglie chi ne scorre le
pagine, sbirciandone le tavole e le illustrazioni. Strani disegni e incomprensibili diagrammi alternano il testo. Formule alchemiche e frasi in lingue sconosciute saltano dai fogli. Ma da essi promana anche una conoscenza
arcana, affascinante proprio perché non intellegibile.
Sbaglierebbe a giudicare (come molti) colui che, con gli
occhi del presente, volesse penetrare queste pagine. Impregnati di scientismo, fatichiamo ad ammettere che possano esistere “modi” differenti per percepire e conoscere. I mondi (animale, vegetale, terreno, ultraterreno…) e
gli elementi, benché diversi fra loro, comunicano costantemente, parlando linguaggi metaforici e sincretici che la
scienza non è in grado di cogliere. Posto da Dio al centro
Nella pagina accanto: frontespizio de La philosophie occulte
di Cornelio Agrippa, stampato all’Aja da Alberts nel 1727
Sopra: ritratto dell’autore, tratto dal frontespizio
dell’edizione del De occulta philosophia del 1551
dell’esperienza gnoseologica, l’uomo deve quindi sforzarsi di comprendere non solo con la mente ma
anche con i sensi. Il codice, sia esso
composto da lettere o numeri, non va
quindi inteso in senso “euclideo” ma
“emozionale”, attraverso le similitudini, le corrispondenze e i rimandi.
La philosophie occulte, è un’opera
divisa in due tomi, stampati in 8vo.
Impressa all’Aja da Rutgert Alberts
nel 1727, è la traduzione in lingua
francese di un testo originariamente
scritto in latino: il De occulta philosophia, la cui prima edizione risale al 1533 (Colonia, senza
indicazione dell’editore). Dell’autore, Enrico Cornelio
Agrippa (1486-1535), storiografo di Carlo V e medico
personale di Luisa di Savoia, si conoscono molti dati
biografici. Nato a Colonia, ricevette il soprannome di
Agrippa dal padre, che lo aveva derivato dall’antico nome latino della città: Colonia Agrippina. Col tempo Enrico latinizzò poi il proprio cognome in Cornelius e,
vantando dubbie origini nobiliari, aggiunse il predicato
“von Nettesheim”, dal nome di un villaggio presso
Neuss, non lontano da Colonia. Fu il padre a trasmettergli le prime nozioni di astrologia, parallelamente agli
studi scolastici che lo portarono a diplomarsi maestro di
arti nel 1502. Intorno ai vent’anni andò a Parigi per frequentare la Sorbona. Qui entrò a far parte di un circolo
di studenti, fondato da un italiano di nome Landolfo.
Questo gruppo si dedicava allo studio delle scienze er-
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metiche e Cornelio Agrippa, per la sua grande erudizione, vi divenne presto il principale punto di riferimento.
Nel 1508, insieme a Landolfo, andò in Spagna, mettendosi al servizio del re Ferdinando: dopo qualche mese,
guadagnato per i suoi meriti (così almeno egli diceva) il
titolo di cavaliere, s’imbarcò da Valencia per approdare,
dopo un viaggio avventuroso, in Francia, stabilendosi
ad Avignone. Viaggiò poi fra la Borgogna e i Paesi Bassi,
conoscendo Margherita d’Asburgo al quale dedicò il De
nobilitate et praeecelentia foeminei sexus (Nobiltà e preminenza del sesso femminile). In questo trattatello Cornelio
Agrippa sostenne la superiorità della donna rispetto all’uomo dal momento che già il nome della prima donna,
Eva, che significherebbe ‘vita’, è più nobile di quello di
Adamo, che vorrebbe dire ‘terra’. E anche l’esser stata
creata dopo l’uomo sarebbe motivo di maggior perfezione. In più il corpo femminile galleggierebbe in acqua
più facilmente. Infine la donna sarebbe più eloquente e
più giudiziosa tanto che «filosofi, matematici e dialettici, nelle loro divinazioni e precognizioni sono spesso inferiori alle donne di campagna e molte volte una semplice vecchietta ne sa più di un medico».
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
Nel 1509, fu invitato dall’università di Dole a
commentare il De verbo mirifico di Johannes Reuchlin
(1455-1522) nel quale l’umanista di Pforzheim univa,
secondo gli insegnamenti ricevuti a Firenze, la tradizione cabalistica al neoplatonismo cristiano. L’interesse suscitato dalle lezioni di Cornelio Agrippa giunse alle orecchie del frate francescano Jean Catilenet che,
durante la Quaresima del 1510, lo accusò di diffondere
eresie giudaizzanti. Cornelio Agrippa lasciò velocemente il continente per l’Inghilterra, ove fu ospitato, a
Oxford, da John Colet, un allievo di Marsilio Ficino.
Qui scrisse la sua risposta a Catilenet, l’Henrici Cornelii
Agrippae expostulatio super expositione sua in libro De verbo
mirifico (che vide la stampa solo nel 1529), accusando il
frate di non conoscere la scienza ebraica, e di aver mancato di confrontarsi direttamente e «cristianamente»
con lui. Iniziò a lavorare sistematicamente al De occulta
philosophia, di cui aveva già inviato un abbozzo dei primi
capitoli al grande Giovanni Tritemio (1462-1516),
abate e uomo di fede ma anche esoterista, crittografo e
occultista, unitamente a una lettera nella quale chiedeva perché mai la magia
Da sinistra: illustrazioni da La philosophie occulte, le tavole dei pianeti, la proporzione e la misura dei corpi umani
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
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così altamente stimata dai filosofi antichi, venerata
nell’antichità da sapienti e poeti, era divenuta nei primi tempi della religione sospetta e odiosa ai Padri della
Chiesa ed era stata ben presto respinta dai teologi,
condannata dai sacri canoni e proscritta dalle leggi [ ...
] l’unica causa è stata la depravazione dei tempi e degli
uomini, grazie alla quale pseudo-filosofi, maghi indegni di questo nome, poterono introdurre esecrabili superstizioni e riti funesti [ ... ]e infine pubblicare quella
quantità di libri che da per tutto circola e che va condannata, indegna del molto rispettabile titolo di magia
[ ... ] così, ho ritenuto che sarebbe stata opera lodevole
restaurare l’antica magia, la dottrina dei sapienti, dopo
averla purgata degli errori di empietà e averla costituita su solide fondamenta.
Nel 1511, nel pieno delle guerre che vedevano contrapposti gli Asburgo ai reali di Francia, e che si combattevano in buona parte sul suolo italiano, Cornelio Agrippa raggiunse la Penisola, con un misterioso incarico da
parte dell’imperatore Massimiliano. Si fermò a Pavia per
proseguire i suoi studi esoterici. Qui, nonostante le numerose assenze dovute a viaggi (non motivati e mai chiariti), si sposò, ebbe un figlio e venne nominato professore.
Tenne un corso sul Pimandro, un testo esoterico attribuito a Ermete Trismegisto, scoperto cento anni prima in
Macedonia dal domenicano Leonardo da Pistoia e tradotto in latino da Marsilio Ficino nel 1463. La guerra lo
spinse a trasferirsi a Casale, sotto la protezione del marchese Guglielmo IX del Monferrato, ove scrisse il Dialogus de homine qui Dei imago est e il De triplice ratione cognoscendi Deum. In questi testi sostenne il valore della Cabala,
attraverso la quale si può risalire alla completa conoscenza di tutte le cose, sia naturali che divine.
Di nuovo in viaggio, raggiunse la Lorena. Qui fu
coinvolto in un caso di stregoneria. Nel paese di Woippy
una donna era stata fatta imprigionare con l’accusa di essere una maga. E’ lo stesso Agrippa a narrare la vicenda, in
alcune sue lettere.
Al principio dell’affare, un branco ignobile di contadini congiurati contro di lei ne invase la casa nel mezzo
della notte. Questi depravati ubriachi di vino e di concupiscenza s’impadronirono della sventurata e di loro
privata autorità, senza alcun diritto, senza mandato
giudiziario, la gettarono nelle segrete di una loro casa.
Sopra: illustrazione da La philosophie occulte, Dio e l’uomo
Ciononostante i signori del capitolo la fecero condurre a Metz e la consegnarono nelle mani del loro giudice ordinario, l’ufficiale della curia episcopale. Venne
stabilito un termine entro cui i contadini motivassero
le loro azioni e queste canaglie ebbero l’audacia di denunciarla. In soli due giorni tanto poté prevalere l’iniquità degli inquisitori e della banda di poco di buono
che l’ufficiale che l’aveva in custodia la consegnò per
alcuni fiorini nelle mani dei suoi accusatori, la denuncia di quattro dei quali era già stata respinta in quanto
noti delinquenti. La poveretta fu allora trasferita con
l’aggiunta di insulti e bastonate, come si poté provare
con testimoni. Così, detenuta in un carcere più che ingiusto, prostrata dalle molte ingiurie, non trascorse
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la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
Sopra: illustrazioni da La philosophie occulte, i nomi di Dio,
la loro potenza e virtù
neppure una notte tranquilla, con gli accusatori liberi
di godersela col vino e nell’orgia.
Agrippa prese le difese della donna, finendo lui stesso però accusato di eresia. L’improvvisa morte dell’inquisitore (fatto che attirò ulteriori sospetti su Agrippa) e una
dichiarazione d’innocenza giurata da parte dell’ufficiale
della curia posero fine al processo. La cattiva nomea però
lo spinse a rimettersi in viaggio: Colonia, Ginevra, Friburgo… e infine, nel 1524, Lione. Qui risiedeva Francesco I con tutta la corte, e qui Cornelio Agrippa riuscì a di-
ventare medico della regina madre, Luisa di Savoia. La
donna era ossessionata dall’astrologia (scienza verso la
quale Agrippa era invece piuttosto scettico) e ripetutamente chiese oroscopi al suo archiatra. Agrippa si rifiutò,
scorgendo seri pericoli nel caso le previsioni non si fossero avverate. Licenziato, raggiunse Anversa nel 1528, ove
continuò a esercitare la professione medica. Nel 1529
scoppiò una epidemia di peste, e Agrippa si prodigò nella
cura dei malati (diversamente dalla maggior parte degli
altri medici che si erano allontanati alle prime avvisaglie
del morbo). Finita l’epidemia i dottori fuggiti tornarono e
accusarono un certo Jean Thibault di aver esercitato abusivamente la professione. Agrippa lo difese: «Si sono visti
questi dottori scappare e abbandonare la popolazione
senza curarsi dei giuramenti prestati nelle mani dei magistrati e degli obblighi contratti ricevendo lo stipendio dello Stato, mentre Jean Thibault e alcuni altri si prodigavano coraggiosamente per la salvezza della città. E ora questi medici scolastici, questi dottori sesquipedali, vorrebbero ingarbugliare con i loro sofismi, disputando sulla nostra salute e la nostra vita a forza di sillogismi cornuti».
L’anno successivo, ormai in rotta coi colleghi, accettò il prestigioso incarico, offertogli da Margherita
d’Asburgo, di consigliere, archivista e storiografo dell’imperatore, trasferendosi a Malines. Munito del privilegio imperiale, al riparo da attacchi e censure, iniziò a dare alle stampe numerose opere, fra cui la Caroli V coronationis historia, il De incertitudine et vanitate scientiarum et
artium. Quest’ultimo, che conteneva numerosi attacchi a
monaci e teologi scolastici, gli valse una proposizione di
condanna dalla Sorbona la quale organizzò un pubblico
rogo delle sue opere. Contro di lui fu sollecitato l’intervento dell’imperatore e Agrippa, non ricevendo da tempo il suo stipendio, finì in prigione per debiti. Liberato,
sfuggì ai creditori tornando a Colonia ove scrisse, per difendersi, l’Apologia adversus calumnias e la Querela super calumnia. Riprese a viaggiare, finendo a Lione ancora in
prigione, e morendo a Grenoble, assistito solo dal suo
giovane discepolo Johann Weyer.
Del De occulta philosophia circolavano numerose copie manoscritte, più o meno distorte. Era stato lo stesso
Cornelio Agrippa a farlo conoscere per raccogliere pareri
e idee. Nel 1531, appena ricevuta la nomina a storiografo
imperiale, diede alle stampe il primo libro dell’opera,
contemporaneamente ad Anversa e a Parigi, con una prefazione quantomeno curiosa. In essa Agrippa, disconoscendo il suo lavoro, ne giustificava la pubblicazione per-
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Da sinistra: la proporzione del corpo umano; segni e caratteri per evocare gli spiriti; lettere e caratteri dei pianeti
ché «circolando copie corrotte [ ... ] e prevenendo alcuni
che (non so se più impazienti che impudenti) volessero
stampare un libro così informe ho deciso di pubblicarlo io
stesso. Sarebbe stato un delitto non lasciar morire questo
frutto della mia giovinezza». Due anni più tardi, nel 1533,
consegnò all’editore Hetorpio e al tipografo di Colonia
Jean Soter i due libri mancanti che mai erano circolati in
precedenza. Nel 1559, a Marburgo, comparve una quarta
parte del De occulta philosophia: il De Caerimoniis Magicis
(conosciuto anche come Libro del comando) trattato di magia cerimoniale ed evocazione degli spiriti, che Johann
Weyer riconobbe come un apocrifo e che come tale è
considerato tuttora. La fama del testo di Cornelio Agrippa sopravvisse al suo autore, con molte edizioni e ristampe dell’opera (fra cui quella, preziosa, conservata presso la
Biblioteca di via Senato).
Non diversamente da altri (come Gerolamo Cardano e Tommaso Campanella), nel De occulta philosophia
Agrippa distinse la magia nera o demoniaca da quella naturale, che anticiperebbe quel che la natura produrrebbe
da sola. Il mago sarebbe una sorta di acceleratore, che
batte la natura sui tempi perché conosce l’ordine delle
cose e sa congiungere quelle superiori con le inferiori, le
attive con le passive, coniugare gli opposti, annullare le
distanze. In quanto forma di conoscenza attiva, la magia
è per Cornelio Agrippa «sommamente potente, piena di
altissimi misteri, abbraccia la profondissima contemplazione delle cose più nascoste, la natura, la potenza, la
qualità, la sostanza e la forza, nonché la conoscenza di
tutta la natura». E poiché il suo sguardo non è parziale,
ma pretende di abbracciare la totalità, è «l’assoluto compimento di tutta la nobilissima filosofia». Per Cornelio
Agrippa la chiave di tutte le operazioni magiche è la «dignificazione dell’uomo ad una virtù e potestà sublime»
costituita dal puro intelletto, vertice dell’anima. Per
Cornelio Agrippa esistono tre mondi: l’Elementare, il
Celeste e l’Intellettuale, investigati rispettivamente da
tre scienze, la Fisica (o magia naturale) - che svela l’essenza delle cose terrene – la Matematica (o magia celeste) - che fa comprendere il moto dei corpi celesti - e la
Teologia (o magia cerimoniale) - che fa comprendere
«Dio, la mente, gli angeli, le intelligenze, i demoni, l’anima, il pensiero, la religione, i sacramenti, le cerimonie, i templi, le feste e i misteri». La Magia racchiude
queste tre scienze traducendole in atto. Essa è «la vera
scienza, la filosofia più elevata e perfetta il compimento
di tutte le scienze»: è la scienza integrale della natura,
tanto fisica che metafisica.
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la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
Coloro che vorranno dedicarsi
mente intese come forme pure ed
eterne) che vengono infuse dall’Aniallo studio della Magia, dovranma del Mondo (ovvero Dio). La virno conoscere a fondo la Fisica,
tù divina si promana, in generale coche rivela la proprietà delle cose
munione, cosicché «tutte le qualità
e le loro virtù occulte; dovranno
occulte si diffondono sulle erbe, sulessere dotti in Matematica, per
le pietre, sui metalli e sugli animali
scrutare gli aspetti e le immagiattraverso il sole, la luna, i pianeti e le
ni degli astri, da cui traggono
stelle che sono superiori ai pianeti. E
origine le proprietà e le virtù
tale spirito ci sarà tanto più utile,
delle cose più elevate; e infine
quanto più sapremo separarlo dagli
dovranno intendere bene la
altri elementi e quanto meglio saTeologia, che dà la conoscenza
Sopra: i pianeti e le linee della mano
premo servirci delle cose in cui sarà
delle sostanze immateriali che
penetrato più abbondantemente».
governano tutte queste cose.
E’ l’operazione tentata dagli alchiPerché non vi può essere alcuna
misti, che cercano di estrarre dall’oro il suo spirito per
opera perfetta di Magia, e neppure di vera Magia,
infonderlo agli altri metalli, «come noi abbiamo fatto e
che non racchiuda queste tre facoltà.
Alla base di tutto sono i quattro elementi che costituiscono tanto il mondo materiale che quello spirituale.
Essi si trovano «anche nei cieli, nelle stelle, nei demoni,
negli angeli e in Dio stesso, che è il creatore e l’animatore
di tutte le cose», con la differenza di «essere allo stato di
purezza e in tutta la loro potenza». Secondo Cornelio
Agrippa ogni elemento ha delle peculiarità proprie. Alcune di esse sono note, altre non sono immediatamente
conosciute se non addirittura segrete come, per esempio, il potere di «neutralizzare l’effetto di un veleno, di
combattere gli antraci, di attirare il ferro». Tali peculiarità sono chiamate «occulte» perché «le loro cause ci
sfuggono e lo spirito umano non può penetrarle. Perciò
solo i filosofi hanno potuto, per lunga esperienza più che
per ragionamento, acquistarne una parziale conoscenza». Esempi di poteri occulti sono il potere della Fenice
di rinascere dalle sue ceneri, i pesci che vivono sottoterra, menzionati da Aristotele, le pietre che cantano, descritte da Pausania o le salamandre che vivono nel fuoco.
I poteri occulti derivano alle cose dalle idee (platonica-
Bibliografia
Heinrich Cornelius Agrippa von Nettesheim, La philosophie occulte de Henr. Corn.
Agrippa, conseiller et historiographee de
l’empereur Charles V. Divisée en trois livres, et
traduite du latin. Tome premier [-second]. A la
abbiamo visto fare, pur non potendo produrre una quantità maggiore di oro da quella originaria». Le cose inferiori sono sottoposte alle superiori in un modo particolare, che fa sì che esse si ritrovino nel cielo «in un modo celeste», e quelle celesti si trovino in terra, «in un modo
terrestre». Ciò che è in terra - pietre, piante ed animali riceve le sue proprietà dai pianeti e dalle stelle; così, nell’uomo, anche gli organi sono variamente influenzati dai
corpi celesti: il cervello e il cuore dal Sole e dall’Ariete,
gli arti e la bocca da Mercurio, il fegato e il ventre da Giove, i genitali da Venere e dallo Scorpione. Anche i caratteri e gli umori sono influenzati: la tristezza da Saturno,
l’ira da Marte, la gioia da Giove, la sensualità da Venere.
Gli influssi dei corpi celesti possono essere attratti mescolando opportunamente le cose naturali che posseggano le qualità di quei corpi, dal momento che una sola cosa non può comprendere tutti i poteri di un astro. La mescolanza sarà perfetta quando la riunione e il dosaggio
siano fatti in «concordanza col cielo sotto una data costellazione» e in modo da ottenere un composto non facilmente scindibile, simile alle pietre.
Haye, chez R. Chr. Alberts, 1727.
2 voll.; 8vo; pp. [22], 427, [1]; [2], 317, [1].
Volume I: 1 tavola incisa su rame fuori testo; 23 tavole incise nel testo; 10 illustrazioni
incise su rame nel testo. Volume II: 10 tavole
incise su rame fuori testo, 2 tavole incise a
piena pagina nel testo; 4 illustrazioni incise
nel testo; 2 vignette incise su rame sui frontespizi.
Nota di possesso in fine al II volume: Le
C[om]te de Merle-Lagorce.
Legatura coeva in piena pelle marrone.
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
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BvS: il Fondo Antico
JOSEPH SMITH, CONSOLE
INGLESE A VENEZIA
Tra dipinti e libri: un contributo per la bibliofilia del Settecento
ANNETTE POPEL POZZO
R
icostruire la biografia del
console Joseph Smith (ca.
1674-1770) – benché sia
universalmente noto in quanto
proprietario di una stupenda e celebre raccolta di quadri, disegni, manoscritti e libri – non è compito facile in mancanza di molti dettagli.
Le poche informazioni sicure ci dicono che studia a Londra alla Westminster School, dove pare abbia ricevuto un’ottima educazione, e che
arriva poi a Venezia attorno all’anno 1700 come socio giovane del
banchiere di fama internazionale
Thomas Williams. La loro ditta
commercia carni e pesci da Amsterdam, mentre la loro banca, scelta da
molti nobiluomini inglesi come
“casa finanziaria in Venezia“ sostiene anche case reali, tra i quali ad
esempio il principe Eugenio di Savoia, che ricevette la considerevole
somma di 250.000 sterline destinata a pagare le sue truppe.
tico collezionista di manoscritti e
libri preziosi. Spesso agisce anche
come agente d’arte organizzando
acquisizioni per conto di altri. Nel
1717 tratta l’acquisto dei codici medievali dei canonici regolari di San
Giovanni di Verdara a Padova per
conto del giovane Thomas Coke,
Conte di Leicester, per 4.779 lire
veneziane, compresa la sua mediazione per la compravendita. Bernardino Trevisani riceve nello stesso anno 2.358 lire per preziosi libri
veneziani, ricordati da Montfaucon
nel Diarium Italicum, e nel 1721
Smith riesce addirittura di assicurare al Conte di Leicester i famosi codici di Giulio Giustiniani.1
Per quanto riguarda l’arte è
noto che l’incontro tra Smith e il
vedutista e pittore veneziano Canaletto (1697-1768) fu decisivo per la
carriera dell’ultimo. Mentre il console inizialmente fu un cliente di
Canaletto (tra l’altro commissiona
una serie di dodici vedute del Canal Grande), diventa in
seguito il principale intermediario tra Canaletto e i collezionisti britannici, raggiungendo il culmine nella seconda metà degli anni trenta quando importanti nobili
come il Conte di Fitzwilliam, il Duca di Bedford, il Du-
Frontespizio del Catalogus librorum
rarissimorum (Venezia, Pasquali, ca.
1755?), contenente 248 incunaboli
provenienti dalla biblioteca di Smith
Smith, che il Conte Horace Walpole chiamava
non senza ragione The Merchant of Venice, non soltanto
con chiara allusione alla commedia shakespeariana ma
anche alla sua intelligenzia mercantile, dà prova di notevoli capacità come intenditore d’arte e diventa frene-
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
13
Nella pagina accanto: frontespizio della contraffazione de I quattro libri dell’architettura di Andrea Palladio, realizzata
sempre su commissione di Smith da Pasquali nel 1768 circa. Sopra da sinistra: le illustrazioni nella contraffazione
di Palladio furono incise su rame, mentre quelle originali del 1570 sono xilografie; a destra: la Basilica Palladiana a
Vicenza, un tempo sede delle magistrature pubbliche
ca di Leeds e il Conte di Carlisle iniziano a richiedere i
quadri e le vedute del pittore veneziano.
Non meno celebri le attività di Smith nell’ambito
bibliofilo. Ebbe un debole per le aldine. Infatti viene
considerato il primo collezionista (molto prima di Renouard) che abbia riunito sistematicamente le celebri
edizioni decorate dall’ancora con il delfino uscite dai
torchi del tipografo veneziano. Presso il nostro Fondo
Antico si conserva per esempio una copia della Rhetorica ad Herennium di Cicerone, stampata da Aldo nel
1551, recante l’ex libris con lo stemma del console al
contropiatto.
Troviamo il suo nome anche in diverse imprese
editoriali. “Smith fondò una casa editrice prendendo
come socio e stampatore un giovane correttore di bozze di ottima cultura classica, Giovanni Battista Pasquali, il cui nome venne dato alla ditta per fornirle la necessaria connotazione italiana. Ma le lettere del modenese
Pietr’Ercole Gherardi a L. A. Muratori, e lo scambio di
corrispondenza tra il letterato fiorentino Anton Francesco Gori e lo stesso Smith dimostrano inequivocabilmente che era proprio quest’ultimo a finanziare la casa
14
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
Da sinistra: dettaglio dell’olio su tela di Canaletto Venezia: il Molo verso ovest, con la colonna di San Teodoro a destra;
dettaglio dell’olio su tela di Canaletto Venezia: la Riva degli Schiavoni verso est, entrambi commissionati da Joseph Smith
editrice, nonché a dirigere e controllare la vita dell’impresa nei minimi particolari.”2 Eretta attorno al 1730,
la stamperia raggiunge in meno di quindici anni gli altissimi livelli di grandi editori come Albrizzi e Zatta,
celebri anche per le loro opere dotate di un ricco apparato illustrativo. Del resto, anche l’impresa editoriale
di Smith e Pasquali presenta edizioni illustrate, dando
incarico al pittore e incisore Antonio Visentini (16881782) – noto prevalentemente per le sue vedute incise
dai quadri di Canaletto – di decorare molti dei suoi volumi. A testimonianza di questo impegno si sono conservati alcuni disegni, come per esempio quelli per le
testate del Dizionario Universale delle Arti e delle Scienze
di Ephraim Chambers, uscito in nove volumi nel 17481749. Anche la marca tipografica con al centro la figura
di Minerva (dea della saggezza) che tiene un libro nella
mano destra e appoggia la sinistra a uno scudo, con il
motto “Litterarum felicitas”, cioè “La felicità delle lettere” è opera di Visentini. Il motto italiano serve inoltre
da prestanome per l’omonima libreria che Smith apre
accanto alla stamperia in campo San Bartolomeo vicino
a Rialto.3
La gamma di pubblicazioni dell’editoria di Smith
e Pasquali va da testi classici dell’antichità e della letteratura italiana attraverso opere di architettura, di religione, di filosofia e di storia fino a volumi di letteratura
moderna. Nel Fondo Antico della nostra biblioteca si
conservano esempi come i famosi Annali d’Italia in dodici tomi di Ludovico Antonio Muratori, stampati dal
1744 al 1749, come del resto Della Istoria d’Italia in due
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
15
tomi di Francesco Guicciardini, stampati dal 1738 al
1739, e sempre recanti le illustrazioni di Visentini.
Smith e Pasquali erano anche i più grandi importatori
di libri stranieri a Venezia, spesso con testi – come per
esempio nel caso di Voltaire – ufficialmente vietati in
quel periodo nella Repubblica veneziana. La loro libreria divenne così promotore, punto di ritrovo e riferimento agli studiosi delle idee illuministiche.4 Nel 1739
Pasquali stampa per Smith la Lettera d’un fisico, sopra la
filosofia neutoniana, accomodata all’intendimento di tutti
dal signor di Voltaire di Noël Regnault, e nel 1762 Il Cesare e il Maometto tragedie del signor di Voltaire trasportate
in versi italiani con alcuni ragionamenti del traduttore a cura di Melchiorre Cesarotti.
che con incisioni su rame. Tra gli altri, fu Johann Wolfgang von Goethe a comprarla, che durante il suo Viaggio in Italia, annotava nel diario al giorno 27 settembre
del 1786: “Finalmente sono venuto in possesso delle
opere del Palladio: non dell’edizione originale, quella
con le tavole incise su legno, che ho vista a Venezia, ma
di una copia esatta, anzi un facsimile su rame, curato da
un uomo egregio, l’ex console inglese a Venezia, Smith.
Bisogna riconoscere agl’inglesi il merito d’aver saputo
apprezzare da tempo le cose belle e di saperle diffondere con eccellenza di mezzi.“6 Nel mese successivo, recandosi a Venezia, Goethe davanti alla tomba di Smith
dichiara ancora: „Al Lido, non lontano dal mare, sono
sepolti gl’inglesi […] ho trovato la tomba del valoroso
Sono soprattutto due i progetti di Smith – o vogliamo chiamarli capricci di bibliofilia – che sono passati alla storia del libro. Per prima cosa, prepara una
contraffazione del Decamerone di Boccaccio nell’edizione del 1527, stampata dagli eredi di Filippo Giunta,
che in realtà però fatta nel 1729 dal veneziano Stefano
Orlandelli, è diventata quasi più celebre dell’originale.
Soltanto avendo entrambi versioni a confronto, come
nel fortunato caso delle due copie del nostro Fondo
Antico, una distinzione diventa abbastanza ovvia. Alberto Bacchi della Lega specifica nella Serie delle edizioni delle opere di Giovanni Boccaccio: “Questa ristampa però non imita talmente l’edizione originale che non si
possa riconoscere di primo tratto per diverse ragioni, e
cioè: che gli a, che hanno la testa a punta acuta nella prima edizione, l’hanno rotonda nella ristampa; che il carattere, usato nella edizione originale, è nuovo nella ristampa; che i ff. 42 e 108 nella ediz. originale sono numer. 24 e 168 e i ff. 101, 103 e 104 sono numer. sempre
102; errori corretti nella ristampa; che lo stemma
Giuntino che in quest’ultima è della medesima dimensione sì nel principio che nel fine, nell’ediz. originale è
nel frontespizio di forma più grande ecc.”5
Lo stemma del console, realizzato in penna, inchiostro
bruno e colori ad acqua, e pensato per l’album dei disegni
Il secondo capriccio bibliofilo riguarda invece la
celebre prima edizione de I quattro libri dell’architettura
di Andrea Palladio del 1570, che Smith prepara in una
contraffazione nel 1768 circa, stampata da Pasquali, ma
mantenendo tutte le caratteristiche dell’originale con
la sola differenza di scambiare le illustrazioni xilografi-
16
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
Sopra: Antonio Visentini, disegno
per il Dizionario Universale
di Ephraim Chambers.
A destra: frontespizio della
contraffazione del Decamerone
console Smith e della sua prima
moglie; essendogli debitore del mio
primo esemplare del Palladio, gliene resi grazie sulla sua tomba non
consacrata.“7
Smith usa la propria stamperia anche per la diffusione dei suoi
cataloghi di libri rari. Mentre una
prima edizione degli incunaboli
contenente 227 esemplari esce ancora a Padova dalla tipografia Volpi-Comininana nel
1724 in 50 copie, già la seconda versione ampliata del
1755 circa, sempre stampata in poche copie, e contenente 248 incunaboli, viene preparata da Pasquali. Sfogliando le pagine della copia conservata presso la nostra biblioteca si revelano le preziosità appartenute al
console, come la mitica princeps a stampa della Divina
Commedia dantesca nell’edizione di
Foligno del 1472, per citarne soltanto un caso. Nel 1755 finalmente
il console pubblica sempre da Pasquali la sua Bibliotheca Smithiana,
che essendo una prima edizione
completa in due volumi, comprende più di 12.000 titoli di libri a stampa, ma anche i manoscritti (talvolta
miniati) e i volumi d’arte grafica.
Proprio in quel periodo, però,
gli affari iniziano ad andare male.
La guerra di successione austriaca
(1740-1748) e la guerra dei Sette
anni (1756-1763) hanno gravi conseguenze sul commercio europeo.
Smith inoltre dispone di crediti
presso aziende all’estero che cominciano a fallire. Gli
viene risparmiato di vendere la stamperia, ma deve separarsi da “tutto lo stock e il contenuto della libreria e
del magazzino, ceduti per 95.000 ducati (da pagarsi a
rate) ai librai Giacomo Caramboli e Domenico Pompeati.“8 In questa fase iniziano anche le trattative per la
pensata vendita della raccolta di libri, disegni, dipinti e
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
17
Marca tipografica della stamperia Pasquali (ca. 1740): disegno a penna e inchiostro bruno, realizzato da Antonio Visentini
gemme a Giorgio III d’Inghilterra – un progetto che va
in porto nel 1762, pagando a Smith la somma di 20.805
sterline.9 Mentre i dipinti raggiungono Windsor Castle, dove fino a oggi formano il nucleo della Royal Collection nel “Print Room“, i libri e manoscritti vengono
donati da Giorgio IV alla British Library.
Smith muore neanche dieci anni dopo nel 1770 a
Venezia. La sua seconda moglie Elizabeth Murray (sorella del residente di Venezia), dalla biblioteca della
NOTE
FRANCES VIVIAN, Da Raffaello a Canaletto.
La Collezione del Console Smith, Milano,
Electa (Mostra Fondazione Giorgio Cini, 15
settembre – 18 novembre 1990), 1989, p. 14.
2
FRANCES VIVIAN, 1989, pp. 15-16.
3
Cfr. FRANCES VIVIAN, 1989, p. 16.
quale si conserva presso il nostro Fondo Antico una copia del Goffredo, ovvero Gerusalemme liberata di Torquato
Tasso del 1760-1761, vende il palazzo dei Santi Apostoli
e ritorna definitivamente in Inghilterra.
Ancora durante il Settecento si registrano varie
vendite e aste con libri, stampe, disegni e quadri provenienti dalla raccolta Smith.
Nonostante l’enorme dispersione (abbastanza
usuale per raccolte private), le tracce si Smith si snodano attraverso le biblioteche mondiali intuendo la grandeur di una volta.
FRANCES VIVIAN, 1989, p. 16.
ALBERTO BACCHI DELLA LEGA, Serie delle
edizioni delle opere di Giovanni Boccaccio,
Bologna, 1875, p. 36.
6
JOHANN WOLFGANG VON GOETHE, Viaggio in
Italia, Milano, Mondadori, 1983 (I Meridiani), p. 61.
4
5
JOHANN WOLFGANG VON GOETHE, 1983, pp.
96-97.
8
ASV, Notarile, Atti, notaio Ferdinando
Uccelli, 26 settembre 1761, b. 13449, cc.
1331v-32.
9
FRANCES VIVIAN, 1989, p. 51.
7
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
19
BvS: il Fondo De Micheli
VITTORINI, GUTTUSO E IL
PROBLEMA DEL REALISMO
In Conversazione in Sicilia il nuovo senso della realtà
LAURA MARIANI CONTI
E MATTEO NOJA
I
llustrando il nostro fondo De
cenzi, e delle incisioni non se ne fece
Micheli, abbiamo più volte parpoi nulla, sino al 1986.
lato di realismo nell’arte, come
espressione tra le più significative
del pensiero culturale e artistico nelChe Vittorini fosse attratto
l’Europa del primo Novecento. Ridalle arti figurative e ne parlasse con
ponendo sugli scaffali un testo congrande competenza, risulta evidente
sultato da un nostro utente nei giorsin da uno dei suoi primi scritti,
ni scorsi1, ci siamo imbattuti nel
comparso su “L’Italia Letteraria”
pensiero di Elio Vittorini riguardo
nel 1932 e dedicato ad Arturo Martial realismo nell’arte sua contemponi. Dell’arte Vittorini parlò sempre
ranea, in Guttuso e nella letteratura
con estrema sensibilità e con chiara
che egli frequentava. Soprattutto
conoscenza critica. D’altronde era
con riferimento a un suo testo dalla
nipote di un grande scultore siracustoria travagliata, che trovò l’ediziosano che si era trasferito con le sue
ne definitiva nel 1953, Conversazione
statue a Firenze: Pasquale Sgandurin Sicilia. Il romanzo venne pubblira3. Nel capoluogo toscano Sgandurra aveva poi ospitato il giovane
cato per la prima volta a puntate sulscrittore, con la moglie Rosa Quasila rivista “Letteratura’’ tra il 1938 e il
modo4, nel 1930. Ma l’importanza
392. Con altro titolo comparve a Firenze nel 1941 (Nome e lagrime, Fi- A sinistra: Vittorini e Montale
dello zio non si risolse nell’offrire un
renze, Parenti, Collezione di Lette- a Firenze negli anni Trenta;
tetto alla coppia che, accompagnata
ratura. Romanzi e racconti, edizio- sopra: copertina dell’edizione Rizzoli
dal figlioletto Giusto5, era appena
ne di 350 copie per bibliofili); sem- del 1986 della Conversazione
giunta da Gorizia. Sgandurra fu sopre nello stesso anno Bompiani lo
prattutto l’uomo che introdusse
pubblicò a Milano. Sequestato nel
Vittorini nell’ambiente di “Solaria”
1943, ebbe una sua circolazione clandestina, divenendo
(dove Elio divenne segretario di redazione) e che gli fece
punto di riferimento per molti intellettuali antifascisti e
conoscere, tra gli altri, Eugenio Montale. Con quest’ulun esempio per il neorealismo. Nel dopoguerra doveva
timo il ventiduenne scrittore siciliano strinse un’affetessere ristampato accompagnato da un servizio fotogratuosa e duratura amicizia che li vide sui tavolini delle
fico di Luigi Crocenzi e da illustrazioni di Guttuso. Nel
Giubbe Rosse o del Paszkowski avidamente leggere e
53 uscì solo con la “collaborazione fotografica” di Crotradurre gli scrittori stranieri per poter guadagnare
20
qualche soldo6 e li vide pure, nei momenti di svago, appassionati spettatori dei gangster-movies di moda negli
anni 307, tanto che, nelle fotografie dove sono ritratti insieme, i due sembrano atteggiarsi, nelle pose e nei vestiti, agli eroi impersonati da Edward G. Robinson, Douglas Fairbanks Jr., James Cagney, George Raft e Paul
Muni. Fu in quel periodo che Vittorini chiamò a sé anche il cognato poeta Salvatore Quasimodo, presentandolo a tutti i nuovi amici. Evidentemente lo zio Pasquale
Sgandurra gli aveva trasmesso quella sensibilità artistica
che Vittorini mise in mostra in tutta la sua opera critica.
Probabilmente gli insegnò a guardare le opere d’arte direttamente, senza lo schermo di false ideologie, diversamente dai molti che in quegli anni scrivevano nel settore. Sicuramente, per Vittorini, l’arte fu una passione for-
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
te, (cresciuta accanto a quella per la letteratura), che arrivò anche a condizionarne la scrittura creativa.
«Nel 1912 la Sicilia faceva parte dell’Italia da cinquantadue anni, e le sue bande municipali suonavano
nelle piazze Tripoli bel suol d’amore invece dell’Inno di Garibaldi, i suoi contadini andati soldato tornavano in licenza con la faccia spersa sotto il casco coloniale della
guerra di Libia. Bagheria, a venti chilometri circa da Palermo sulla strada di Messina, era ancora una borgata
borbonica di alcune migliaia di casupole e di nove o dieci
grandiose ville di prìncipi tra gli aranceti della sua piana
in declivio verso il mare: ancora senza fognatura, ancora
senz’acqua potabile, ancora senza luce elettrica. Era a
Bagheria che nasceva, in una casa con balconcino d’una
via dal fondo non lastricato, Renato Guttuso. Ed era a
Bagheria che Guttuso passava l’infanzia. Era tra Bagheria e Palermo che Guttuso passava l’adolescenza»8.
Così, in Storia di Renato Guttuso e nota congiunta sulla pittura contemporanea lo scrittore racconta della nascita dell’amico pittore. Siciliani entrambi, si conobbero
però all’ombra della Madonnina, a Milano, incontrandosi nelle riunioni del gruppo dei giovani artisti e intellettuali che si riconosceva nelle pagine di “Corrente”. In
un’intervista del 1971, Guttuso ricordava così quel periodo: «A Milano conobbi Vittorini e abitammo per due
stagioni nella stessa pensioncina a Bocca di Magra: lui,
allora, era un corriere del PCI, viaggiava con la valigetta
piena di manifesti e di stampa clandestina, correva l’Italia e scriveva Conversazione in Sicilia. Fu sulla scia di quel
libro rivoluzionario e riecheggiandone il titolo, che dipinsi la mia Fucilazione in campagna, dedicata alla morte
di Garcia Lorca, ucciso in quegli anni dai fascisti spagnoli»9.
Storia di Renato Guttuso fa parte della seconda serie
dei “Pittori italiani contemporanei” curata dalla celebre
Galleria milanese del Milione. Vittorini aveva già dedicato ai disegni di Guttuso, un testo, in collaborazione
con Duilio Morosini, edito dalle Edizioni di Corrente
nel 1942; testo che verrà poi ripreso in Diario in pubblico e
A sinistra: R. Guttuso, illustrazione per il IV capitolo della
Conversazione, 1943; a destra: R. Guttuso, Uomo che legge il
giornale, 1958, olio su tela
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
commentato da una breve nota. Il libro del 1960 ha più
respiro rispetto a quello del ’42 e prende a pretesto la
cronistoria dell’amico, puntuale e precisa, per parlare di
come nell’arte contemporanea si stia superando il realismo, anche in relazione al percorso compiuto da Picasso, vero e proprio nume tutelare della loro generazione.
«Ma gli anni ’39 e ’40 erano quelli della seconda
ondata delle leggi razziali fasciste, della caduta di Barcellona e di Madrid, del patto di Ribbentrop con Molotov, dell’invasione tedesca della Polonia, dello sbarco tedesco in Norvegia, della guerra lampo tedesca attraverso la Francia, dell’Italia che entrava nel polverone sollevato dai tedeschi, dei bombardamenti tedeschi di Londra, e dei richiamati italiani mandati a fare i tedeschi sul-
21
le piste del deserto libico e su per i cocuzzoli delle “reni”
della Grecia. Dipingere, scrivere, il pensare stesso erano
attività sostanzialmente clandestine di fronte a queste
cose. Chi vi impegnava tutto il proprio essere non poteva non rendersi conto che il fatto della loro coesistenza
con queste cose le rendeva straordinarie: delle attività
straordinariamente clandestine e clandestinamente
straordinarie. Non erano in molti, in effetti, a rendersene conto. Non sono mai in molti gli artisti e gli uomini di
cultura che impegnano tutto il proprio essere nel pensare, nello scrivere, nel dipingere. Ma Guttuso non si limitava a lasciarlo vedere nei suoi studi, nei suoi disegni, nei
suoi nudi di donna, nelle sue nature morte. Egli si spingeva fino a dirlo in parole povere. “Le condizioni oggi”,
scriveva nel “Selvaggio” del novembre ’39, “sono storicamente privilegiate, sempre che si abbia la forza e la li-
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la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
Sopra: R. Guttuso, Natura morta con lampada (Natura morta con bucranio e lampada), 1940-41, olio su tela.
A destra: due illustrazioni di Guttuso per la Conversazione, 1943
bertà interna necessarie in tempi così pericolosi. Se io
potessi, per una attenzione del Padreterno, scegliere un
momento nella storia e un mestiere, sceglierei questo
tempo e il mestiere del pittore”»10.
L’amicizia tra Guttuso e Vittorini sarà sempre testimoniata dalle parole dell’uno nei confronti dell’altro
e viceversa. In Mestiere di pittore, Guttuso riporta alcune
lettere all’amico. Una riguarda la monografia del Milione e comincia con queste parole: «Carissimo Elio, ancora con più commozione della prima volta, ho riletto, nelle bozze, il testo della monografia… È un discorso sulla
pittura e sul modo d’essere (e d’essere stato) di un artista
onesto, in questi anni… Ma quel che più conta nel tuo
scritto […] è il caldo che vi circola dell’amicizia e della fi-
ducia in me ed in una situazione, il riflesso autobiografico, il senso di esperienza vissuta e vivente che ci coinvolge. E di questo io ti sono molto grato, in profondo. E sai
perché»11. E, prima dei saluti, conclude: «Ti ripeto che
per me il tuo saggio è una bellissima e commossa impresa. Una testimonianza di cultura, nel senso più vero, meno parziale, della parola. Che io ne sia oggetto, mi dà una
crisi di coscienza, e anche una profonda gioia; è un aiuto
al mio lavoro, al chiarimento che cerco sempre di più»12.
Ma Storia di Renato Guttuso è qualcosa di più che un
omaggio a un amico: è in sostanza una dichiarazione di
poetica che si collega a ciò che lo scrittore siracusano riteneva di aver raggiunto con uno dei suoi libri più conosciuti, cioè Conversazione in Sicilia, icona di una generazione intera, libro fondamentale nella sua propria storia
di intellettuale, che, scritto durante la crisi susseguente
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
al dramma della guerra di Spagna, ha segnato profondamente tutte le successive esperienze dello scrittore. Libro che, nell’amicizia dei due intellettuali siciliani, rappresenta anche una sorta di giallo.
Dichiarazione di poetica perché quando Vittorini
racconta in Storia di Guttuso lo sviluppo dell’arte dell’amico, lo fa pensando a come si possa – dopo una guerra
che ha cambiato drammaticamente il mondo fin dentro
la natura delle cose – rappresentare ancora, con pittura e
scrittura, la realtà. Il realismo ottocentesco, il verismo
dei suoi conterranei (ma anche di tutta quella pletora di
intellettuali più o meno importanti che avevano popolato le cronache italiane del primo Novecento) non è più
valido. Si sente insoddisfatto del linguaggio che letteratura e arte esprimono; soprattutto quello dei suoi romanzi precedenti, e lo scrive a chiare lettere nella prefazione all’edizione in volume del Garofano rosso, dove
confrontandolo con Conversazione in Sicilia scrive:
«[quello del Garofano rosso] era un linguaggio che sembrava obbligatorio imparare per scrivere romanzi. Costituiva una tradizione di un secolo che si aggiornava più
o meno ad ogni nuovo romanziere, in Italia e fuori. […]
Ottimo per raccogliere i dati espliciti di una realtà, e per
collegarli esplicitamente tra loro, per mostrarli esplicitamente nei conflitti loro, risulta oggi inadeguato per un tipo di rappresentazione nel quale si voglia esprimere un
sentimento complessivo o un’idea complessiva, un’idea
riassuntiva di speranze o insofferenze degli uomini in generale, tanto più se segrete. […] Cioè non riesce ad essere musica e ad afferrare la realtà come insieme anche di
parti e di elementi in via di formazione. […] È come se
ormai fosse un linguaggio ideografico. Non risponde
più, vale a dire, al compito proprio di un linguaggio poetico: il quale è di conoscere e di lavorare per conoscere
quanto, della verità, non si arriva a conoscere col linguaggio dei concetti»13. E oltre, parlando di Conversazione, dichiara: «… avevo bisogno di essere, anche scrivendo, “quello ch’ero diventato”, e avevo bisogno di dire
una certa cosa che solo a dirla come dice le cose la musica,
e come le dice il melodramma, come le dice la poesia, si
poteva arrischiare, nel regno fascista d’Italia, di dirla in
faccia al pubblico, e in faccia al re, in faccia al duce…»14.
Secondo Vittorini, quindi, per cogliere la profonda realtà delle cose bisogna interrogarla con un linguaggio poetico che sappia coglierla nella sua essenza. E que-
23
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
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A sinistra: Guttuso negli anni Sessanta; sopra: copertina del saggio di Vittorini edito dal Milione; R. Guttuso, Oggetti nello
studio (Natura morta con barattoli), 1957, olio su tela
sto, dopo vari tentativi, egli riuscì a compierlo in Conversazione in Sicilia, trasformando il linguaggio realistico in
allegorico: «Ad evitare equivoci o fraintendimenti avverto che, come il protagonista di questa Conversazione
non è autobiografico, così la Sicilia che lo inquadra e accompagna è solo per avventura Sicilia; solo perché il nome Sicilia mi suonava meglio del nome Persia o Venezuela. Del resto immagino che tutti i manoscritti vengano trovati in una bottiglia»15. Egli sente ogni discorso
naturalistico, verista o realista sorpassato, ormai inadeguato a esprimere una situazione umana che è irreversibilmente cambiata, e che è nel suo divenire non ancora
conclusa. Per lui è la trasfigurazione del reale nell’allegoria che rende ogni descrizione plausibile, utile a comprendere, criticare e trasformare il tempo presente. Per
lui all’origine del romanzo è la poesia16 e solo la poesia, la
musicalità della parola, è ciò che permette di esprimere
quel qualcosa in più che contraddistingue la realtà. Il linguaggio intellettualistico dei romanzi ottocenteschi che
Vittorini non sente assolutamente più suo, ha generato
solo «… recensioni di personaggi, invece di personaggi,
recensioni di sentimenti, invece di sentimenti, e recensioni di realtà, invece di vita…»17. L’allegoria quindi, che
si approssima al mito e al simbolo, permette alla vita
stessa di essere rappresentate. Cosa che ottiene nella
Conversazione, dove il linguaggio allusivo e simbolico –
che si potrebbe definire “classico” nel suo risultato rivoluzionario e innovativo, e che ricorda, per certi versi, il
linguaggio di Malaparte – gli permette di “giungere dalla descrizione all’invenzione, dalla cronaca alla poesia”.
Cosa che ritrova nell’arte contemporanea.
In Storia di Guttuso, poco più di dieci anni dopo, nel
1960, lo scrittore torna infatti sull’argomento del superamento della realtà attraverso la poesia del gesto artistico e letterario e lo fa parlando del percorso intrapreso da
Guttuso nella sua opera: «La liberazione dal complesso
di colpa che Guttuso covava nei riguardi delle proprie
doti tradizionali, liberazione ottenuta attraverso una
26
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
Sopra: R. Guttuso, Tramonto sul lago di Varese, 1956, olio su tela; a destra: R. Guttuso, Tavolo da lavoro (Natura morta),
1958, olio su tela; a p. 28: copertine delle prime edizioni in volume delle opere di Vittorini (Il garofano rosso, 1948;
Conversazione…, 1941)
piena adesione a tali doti, è stata così feconda da riaccendere in sede di sostanzialità globale le grandi possibilità
di pittore moderno che Guttuso aveva sempre impiegato entro i limiti delle sostanzialità particolari. Egli ora
può raccogliere degli elementi tutti naturalistici, le foglie e le arance di un aranceto, o le gambe, le mani, gli occhi, i capelli, gli sguardi e i gesti di una folla, per formare
un insieme che non è la descrizione di un aranceto o d’una folla (e tanto meno di sensazioni, di sentimenti o di
idee riferibili a un aranceto o a una folla), ma una nuova
prova di avvicinamento a quella raffigurazione spaziale
che l’arte contemporanea va costruendo da parecchi decenni, in corrispondenza dei nuovi concetti e giudizi (si
capisce anche psichici) sull’universo di cui la civiltà moderna ha avviato e non ancora concluso (poiché continua
a mutare di livello tecnico e sociale) l’elaborazione: una
nuova prova individuale, dico, di raffigurare plasticamente un modo “comune” di sviluppo d’un pensiero,
una nuova e felice prova fatta in un particolare dell’universo stesso quale un aranceto o un movimento di folla
che perciò non si fissa sul quadro come un luogo aneddotico o sentimentale e vi assume piuttosto la funzione
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
27
di “luogo di emergenza”, di luogo di trasformazione, di
luogo che basta ancora poco e acquista la precisione e la
forza significante di una “metafora”».
Conversazione in Sicilia rappresenta però anche
una sorta di piccolo mistero nel rapporto più che amichevole tra i due. Il romanzo aveva colpito molto il pittore siciliano, tanto da pensare di poterlo tradurre in
immagini. Vittorini, dalla sua parte, aveva apprezzato
l’amico anche nel ruolo di illustratore. Nella nota di
commento alle illustrazioni guttusiane di Addio alle armi di Hemingway, nel numero 29 di “Il Politecnico”,
annunciandone l’edizione italiana presso Mondadori,
infatti scrive: «Esistono due buoni modi di illustrare un
libro: corrispondere al suo linguaggio, al suo stile, o interpretare il fondo con un istinto di rabdomante che
trova ciò che lo scrittore stesso non poteva sapere d’aver detto. Nell’illustrare Addio alle armi di Hemingway,
Renato Guttuso ha seguito questo secondo modo e il
risultato ci sembra bellissimo».
Vittorini aveva piena fiducia nelle immagini, fotografie o disegni che fossero, nella loro resa della poeticità del testo. Tanto che sin dal 1941 aveva avviato un
progetto con Guttuso per un’edizione illustrata del romanzo. Tale progetto era stato portato avanti sino al
1943. Poi, misteriosamente e silenziosamente, più
niente. E ciò che colpisce è che nessuno ne fa più men-
NOTE
1
Si tratta di Storia di Renato Guttuso e
nota
congiunta
sulla
pittura
contemporanea, Milano, Edizioni del Milione, 1960.
2
Fu pubblicato nei seguenti fascicoli della rivista diretta da Alessandro Bonsanti: n. 2,
aprile 1938, p. 67; n. 3, luglio 1938, p. 81; n. 4,
ottobre 1938, p. 23; n. 1, gennaio 1939, p. 42;
n. 2, aprile 1939, p. 97.
3
Sgandurra (1882-1956) era figlio di
Don Salvatore, barbiere assai popolare allora
a Siracusa, e all’occorrenza anche un coraggioso cerusico. Alto, biondo e con gli occhi
azzurri come un antico normanno, Salvatore
ispirò uno dei personaggi immortali della
zione né si ricorda nulla. Neanche Bompiani, che negli
anni 50 pubblicò il testo corredato solo dalle fotografie
di Crocenzi. Nella Nota 1953 che viene apposta in calce
alla nuova edizione, Vittorini spiega così le foto: «È stato nel 1950, tredici anni dopo la comparsa della prima
puntata di Conversazione sulla rivista “Letteratura” di
narrativa vittoriniana: il “Gran Lombardo” di
Conversazione in Sicilia (Edmondo De Amicis,
che nel 1906 entrò nella sua bottega nella
Mastrarua, ne rimase affascinato e scrisse di
«non aver mai incontrato nella sua vita un
barbiere così colto»). Pasquale fu invece rinomato scultore e sue opere sono conservate in
importanti musei e nelle chiese di Siracusa,
Firenze, Torino, Montreal in Canada. Nel suo
atelier si raccolsero numerosi artisti siciliani:
Adorno, Majorca, Alfonso Ricca e molti altri.
Tra questi, un giovane poeta, Sebastiano Vittorini (1883-1972, padre di Elio). Con lui
Sgandurra darà vita a una lunga amicizia,
tanto che poi Sebastiano ne sposerà la sorella
Lucia.
Elio e Rosa si sposarono nel 1927, dopo
una finta fuga con matrimonio “riparatore”.
Lo scrittore era però già “scappato” dalla Sicilia e a quel tempo risiedeva vicino a Gorizia,
dove aveva trovato impiego prima come contabile e poi come assistente in una impresa
edile. Dall’unione con la sorella di Quasimodo, nacque un primo figlio che, in onore di
Malaparte, grande amico e promotore, venne
chiamato Giusto Curzio.
5
Rosa Quasimodo, ricorda il soggiorno a
Firenze col marito e col figlio Giusto nello
studio di Via Faentina: «… A Firenze ci restammo. Era il 1930. Dormimmo per un po’ nello
studio dello zio di Elio, Pasquale Sgandurra,
scultore. Era pieno di statue. Dalle vetrate, la
4
28
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
Firenze, che sono tornato in Sicilia a fotografare, con
l’aiuto non solo tecnico del mio amico Luigi Crocenzi,
gran parte degli elementi di cui il libro si intesse».
Nel 1986, Sergio Pautasso curò per Rizzoli l’edizione che riuniva il testo a quei disegni di Guttuso che
nessuno aveva mai visto. La sua nota terminava così:
«Questa nuova edizione di Conversazione in Sicilia rende omaggio a Vittorini vent’anni dopo la morte e recupera un significativo momento dell’opera di Guttuso
notte, entrava il chiarore della luna, e le statue così bianche ci facevano paura. Di giorno
il piccolo Giusto offriva caramelle per ingraziarsi le statue, e le lasciava sui loro basamenti».
6
In realtà, è noto come i due (oltre a Gadda, Sbarbaro e molti altri scrittori e poeti) per
le loro traduzioni si avvalessero, con spregiudicatezza e cinismo, dell’opera di una fascinosa e raffinata ebrea triestina nata Morpurgo e imparentata con i Michelstaedter e i Labò, moglie del pittore Paolo Rodocanachi. La
signora Lucia Rodocanachi «fu appunto utilizzata dagli illustri amici nelle sue qualità di
lettrice e traduttrice poliglotta, e spesso ridotta in questo al livello di anonimo negro»
che altrimenti sarebbe rimasto
ignorato. I disegni per Conversazione, benché provvisori, precedono
di poco il famoso Gott mit uns, ma se
li osserviamo nel loro insieme possiamo constatare che costituiscono
anch’essi un ciclo disegnativo di
non trascurabile portata nell’arco
della sua produzione in quegli anni. Non credo che Crispolti e De
Micheli, Marchiori e Trombadori
se li sarebbero lasciati sfuggire nei
loro saggi: l’occasione avrebbe
consentito loro di ribadire il carattere culturale e l’importanza di
Guttuso nella pittura italiana degli
anni Quaranta; soprattutto di sottolineare ulteriormente la straordinaria capacità di rappresentazione per temi che impone la sua arte
dal punto di vista della presenza sia qualitativa che
quantitativa»18.
Pur avendo solo sfiorato l’argomento, pensiamo
di avere, come era nostra intenzione, suggerito dei percorsi, da pagina a pagina, da libro a libro, da scaffale a
scaffale. I volumi citati, in nota e nel testo, sono infatti
tutti presenti nei nostri Fondi, accanto ai molti altri “di
e su” Vittorini e “di e su” Guttuso, in attesa che qualcuno voglia sfogliarli e studiarli.
(G.C. Ferretti, L’editore Vittorini, Torino, Einaudi, 1992).
7
Nel 1932 Montale dedicherà un suo libro (La casa dei doganieri e altri versi, Firenze,
Vallecchi, vincitore del Premio Antico Fattore
1931) “al dolce gangster Elio”.
8
E. Vittorini, Storia di Guttuso…, cit.; p. V.
9
Intervista a Mario Farinella, pubblicata
su “L’Ora” di Palermo l’11 febbraio 1971.
10
E. Vittorini, Storia di Guttuso…, cit.; p. X.
11
R. Guttuso, Mestiere di pittore. Scritti
sull’arte e la società, Bari, De Donato, 1972; p.
401.
12
Ibid., p. 403.
13
E. Vittorini, Il garofano rosso, [Milano],
Arnoldo Mondadori Editore, 1948; pp. 16-17.
Ibid., p. 27.
E. Vittorini, Conversazione in Sicilia
(Nome e lagrime), Milano, Bompiani, 1941; p.
273.
16
Riecheggiano le parole dell’amico
Montale: «Nessuno scriverebbe versi se il
problema della poesia fosse quello di farsi
capire. Il problema è di far capire quel quid al
quale le parole da sole non arrivano» (cit. in
Masselli-Cibotto, Antologia popolare di poeti
del Novecento, Firenze, Vallecchi, 1964, I, p.
237.
17
E. Vittorini, Il garofano rosso, cit.; p.
18
E. Vittorini, Conversazione in Sicilia. Illustrazioni di Renato Guttuso. Nota di Sergio
Pautasso, Milano, Rizzoli, 1986; p. 236-7.
14
15
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
29
inSEDICESIMO
I TA L I A G A S T R O N O M I C A – S P I G O L AT U R E – C ATA L O G H I A N T I C H I
E MODERNI – RECENSIONI – MOSTRE – ASTE E FIERE
“DIVINUS ALITUS TERRAE” CON
LE PAROLE DI PLINIO IL VECCHIO
Agricoltura, Arte culinaria e Costumi
in Mostra per l’Incontro Internazionale
dei Partecipanti dell’Expo 2015
di annette popel pozzo
na choix di titoli rari di
agricoltura, arte culinaria e
costumi in onore di un’Italia
gastronomica – tutti titoli provenienti
dalla Fondazione Biblioteca di via
Senato – era in visione dal 10 al 12
ottobre presso il MiCo, Milano
Congressi, in occasione dell’evento
“IPM 2012 - International
Participants Meeting”, che organizzato
da Expo 2015 Spa presentava il tema
scelto (Nutrire il pianeta, Energia per
la vita) ai 105 Paesi che hanno già
dato la loro adesione.
La Mostra si è aperta con due
importanti testi cinquecenteschi di
gastronomia, che avvicinano il visitatore
al gusto di ricette rinascimentali.
Domenico Romoli detto il Panunto
(fl. 1560) svolse mansioni di scalco per
diverse case signorili, tra le quali anche
Papa Giulio III (1550-1555). Il suo trattato
La singolare dottrina di M. Domenico
Romoli, sopranominato Panunto,
dell’ufficio dello Scalco (pubblicato in
princeps nel 1560) è una sorta di
enciclopedia dell’arte gastronomica che
descrive i compiti e i doveri dello scalco e
però si ferma anche sulla natura e la
qualità dei cibi, proponendo consigli di
U
dietetica pratica, per la preparazione di
menù tanto di ogni giorno come di
banchetti. Il contemporaneo Bartolomeo
Scappi (1500-1577) fu invece il cuoco
segreto (cioè privato) di Papa Pio V
(1566-1572). E fu certamente tra i cuochi
scelti di preparare i cibi per i cardinali
durante il Conclave del 1549-1550, nel
quale venne eletto il già citato Papa
Giulio III. Una novità significativa della
sua Opera, pubblicata per la prima volta
da Michele Tramezzino nel 1570, consiste
nel fatto di presentare “le figure che
fanno bisogno nella cucina & alli
reverendissimi nel conclave”. Sono proprio
queste 28 tavole che costituiscono una
documentazione preziosa dell’arte
gastronomica cinquecentesca, con i suoi
attrezzi e utensili. Il trattato contiene più
di mille ricette, includendo le famose
“paste all’italiana, ottenute della sfoglia
casalinga, di cui Bartolomeo Scappi […]
fornisce un elenco completo, dagli
‘annolini’ alle tagliatelle.” (Voce
Gastronomia nella Treccani,
www.treccani.it).
Sugli aspetti teorici di un’etica
conviviale e cortigiana, nonché agli usi e
ai costumi ideali del perfetto cortigiano,
si fermano invece Il libro del Cortegiano
del conte Baldesar Castiglione (14781529), che era in Mostra nella famosa
princeps di Aldo Manuzio del 1528,
presentandosi inoltre in una bellissima
copia con risguardi in pergamena e un
pedigree di numerosi proprietari bibliofili,
documentati attraverso i loro ex libris, e Il
Galatheo, overo Trattato de’ costumi e
modi che si debbono tenere o schifare
nella comune conversazione di Giovanni
Della Casa (1503-1556), che parlando
30
delle buone maniere a tavola consiglia tra
l’altro di non grattarsi mangiando, di non
riempirsi troppo la bocca, e peraltro
sconsiglia di offrire da bere, considerata
una “malattia d’oltrealpe”, per fortuna
non ancora radicata in Italia.
In Mostra c’erano anche rarità più
esotiche come il trattato Archidipno,
overo dell’insalata, e dell’uso di essa di
Salvatore Massonio (1554-1624), nella
prima edizione del 1627, la prima opera
interamente dedicata all’insalata a cura
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
dell’Autore marchigiano, che non descrive
soltanto numerose varietà di insalata, ma
propone anche condimenti e ricette di
sua invenzione. Altro testo affascinante e
singolare sono I pomi d’oro di Giovan
Francesco Angelita, stampati da Antonio
Braida nel 1607 a Recanati. Questa prima
e unica edizione, composta volutamente
tra realtà e finzione, tratta i vari aspetti
dei fichi e dei meloni che vanno dalla
coltivazione attraverso la conservazione
fino all’uso nelle varie ricette di cucina.
A sinistra: la cucina nel Rinascimento
(Opera di Scappi, 1570).
Sopra dall’alto: L’economia del
cittadino in villa di Vincenzo Tanara
(1644); i Pomi d’oro di Giovan Francesco
Angelita (1607).
Nella pagina accanto: tavola
nell’Opera di Scappi (sopra); illustrazione
nella Pirotechnia di Biringucci (sotto
a sinistra); illustrazione botanica nel
Museo di piante rare di Paolo Boccone
(sotto a destra)
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
Illustrata con curiose vignette, quasi
d’impronta emblematica, Angelita
aggiunge in fine anche un capitolo sulle
lumache. L’edizione è tra l’altro una delle
prime se non la prima opera ad essere
stampata a Recanati, città natale di
Giacomo Leopardi. La Zucca di Anton
Francesco Doni (1513-1574), nella prima
edizione del 1551-1552, che contiene
anche i Cicalamenti, i Fiori, le Foglie e i
Frutti, presenta numerose vignette
curiose, ad esempio l’immagine di un
giullare che cavalca un’aragosta.
Vannoccio Biringucci (1480-ca.
1539), nella sua Pirotechnia del 1540,
non fornisce soltanto al lettore il primo
libro dedicato interamente alla
metallurgia, ma descrive e illustra anche
l’arte della distillazione. Questa tecnica fu
introdotta nell’Europa medievale
attraverso diversi testi arabi di chimica,
ma ebbe maggiore diffusione grazie al
Liber de arte distillandi del 1512, a cura
dell’alchimista tedesco Hieronymus
Brunschwig. Anche Giovan Battista Della
Porta (ca. 1535-1615) nella sua Magia
naturalis (in Mostra la prima edizione
volgare De i miracoli et maravigliosi effetti
dalla natura prodotti del 1560) considera
la distillazione dell’acquavite, assieme alle
maniere di conservare gli alimenti con
particolare attenzione alla panificazione
del grano e alla qualità del pane. Due
secoli più tardi, il fiorentino Bartolomeo
Intieri (1677-1757), anch’egli assai
competente sui procedimenti per la
macina del grano e la sua conservazione,
progetta addirittura dei cassoni che ne
garantiscono la preservazione. Le sue
ricerche si trovano pubblicate nel trattato
Della perfetta conservazione del grano del
1754 e vengono illustrate grazie a
31
stupende tavole ripiegate.
In Mostra non manca ovviamente
La scienza in cucina e l’arte di mangiar
bene di Pellegrino Artusi (1820-1911),
nella prima edizione del 1891, descritta
dall’Autore come la “Storia di un libro che
assomiglia alla storia della Cenerentola”,
perché venne in effetti rifiutata da
numerosi editori e ciononostante divenne
il best-seller della cucina italiana, con più
di 60 ristampe. Oltre a un ricco ricettario,
il testo si rivela importante “in particolare
per la storia del costume, poiché l’A. ha
seguito la tradizione romana, italiana e
paesana, avvalorandola in guisa che la
ben curata cucina, privilegio di corti e
ricchi, potesse diventare la tipica cucina
borghese e popolare” (DBI 4, p. 368). La
Mostra si è chiusa con uno sfolgorante
cimelio della gastronomia italiana
d’avanguardia: La cucina futurista di
Filippo Tommaso Marinetti (1876-1944) e
Fillia (pseud. per Luigi Enrico Colombo,
1904-1936) nella mitica princeps del
1932, che si presenta in brossura
originale di color giallo zafferano con
titoli in rosso. Le ricette futuriste, per
molti versi derivate da creazioni
rinascimentali, sono in verità la base per
la Nouvelle Cuisine italiana.
32
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
ET AB HIC ET AB HOC
Morire è un atto indecente. Quaranta anni
dopo, lo spirito di Flaiano è sempre attuale
di laura mariani conti e matteo noja
Il prossimo 20 novembre ricorre il 40°
anniversario dalla morte di Ennio
Flaiano. Nato il 5 marzo 1910, è stato
uno dei più arguti intellettuali italiani
del Novecento. Scrittore e
commediografo, sceneggiatore e
soggettista, giornalista, critico teatrale
e di cinema, fu, dopo Leo Longanesi e
con Marcello Marchesi, uno dei più
“micidiali” creatori di aforismi. Di lui,
la nostra Biblioteca conserva la prima
edizione delle opere più importanti, da
cui sono tratti i seguenti brani.
Intellettuali da caffè Quest’accusa
mi è stata rivolta spesso anche per lettera.
Senza turbarmi, troppo, perché nasconde
una certa verità cronistica. Le più belle
serate per anni le ho trascorse nei caffè
con persone la cui amicizia era già un
giudizio, Cardarelli, Barilli, Longanesi. Mi è
rimasto il debole di preferire il caffè al
salotto, al club e all’anticamera. E il
piacere di decidere un po’ dei miei gusti,
anche teatrali.
Pannunzio e Il Mondo Un particolare
curioso, che non spiega tuttavia la ragione
dei nostri ripetuti incontri, sempre nelle
stesse posizioni, lui di direttore, io di
redattore, è forse questo: di essere nati lo
stesso giorno, nello stesso mese, nello
stesso anno. La cosa ci faceva ridere. E’
chiaro – diceva Pannunzio – che io sono
nato un’ora prima e il posto di direttore è
toccato a me.
Importanza della parola Io credo
soltanto nella parola. Tutto il resto – il
gesto, il silenzio – fa parte di
atteggiamenti d’avanguardia. […] Nei miei
racconti – dove non c’è certo la ricerca
aurea di un Gadda – c’è una struttura
tenuta nei limiti della correttezza. La
parola è il messaggio stesso. Parlando
porto il messaggio. Oggi nessuno parla,
tutti si muovono, tutti si comportano,
tutti gestiscono.
Ogni successo in fondo è un
malinteso Se tento di capirci di più, penso
che la nostra epoca è caratterizzata
proprio dal Successo. Invidio sinceramente
chi lo cerca e, soprattutto, coloro che,
avendolo ottenuto, non rinunciano a
niente pur di alimentarlo. Li invidio perché
la loro giusta preoccupazione è il segno di
un profondo amore per il loro pubblico,
oltre che per se stessi. Due amori che non
riesco a nutrire. Forse invidio i pregiudizi
della mia generazione post-dannunziana,
che rifiutava di proposito il successo, se
ne teneva anzi lontano, per non
coinvolgere in un unico giudizio la propria
vita e le proprie opere. E anche perché a
decretarlo allora erano i male informati.
Difficoltà di scrivere Ho scritto un
libro. Quel che un amico mi rimprovera,
con dolcezza ed anche simpatia, è che il
dettato sia chiaro. Si capisce tutto. “Non
devi aver faticato molto” mi dice con
indulgenza. Rispondo che, al contrario, ho
faticato moltissimo, che ho scritto e
riscritto pagine infinite volte, poiché se
avessi dato ascolto alla mia natura, tutto
sarebbe rimasto nel vago e nell’oscuro.
Sono italiano? 1 Mi telefona un tale
per dirmi che sta facendo una piccola
inchiesta e vorrebbe che gli rispondessi a
questa domanda: di che nazionalità vorrei
essere se non fossi italiano.[…] Che io sia
italiano potrebbe essere innegabile: infatti
mi piace dormire, evitare le noie, lavorare
poco, scherzare, e ho un pessimo
carattere, perlomeno nei miei riguardi.
Bene, se non fossi italiano, a questo
punto, non saprei che farci.
Probabilmente, non sarei niente e questo
dimostra, in fondo, che sono proprio
italiano. Allora? La sua domanda è senza
risposta. Si consoli pensando che per molti
l’italiana non è una nazionalità, ma una
professione.
Sono italiano? 2 Leggo libri di autori
italiani, classici e moderni, e ammiro i
nostri artisti; e qui potrei dirmi americano.
Adoro il sole, il mare caldo, l’Etruria e la
Campania; e in questo potrei riconoscermi
tedesco. Se visito un museo non parlo ad
alta voce e se vado in una biblioteca non
tento di portarmi via un libro o le sue
illustrazioni. Sono forse svedese?
Poeti e scrittori Si sa benissimo che
gli scrittori più felici sono quelli che
nascono da famiglie ricche. Il poeta può
nascere povero: nella sua vita lascerà un
volume, che avrà scritto sul marmo d’un
tavolo di caffè, nelle soffitte, nella fame,
nella miseria. Comunque la linfa della sua
poesia resta. Ma lo scrittore no, deve aver
tempo, deve mangiare, deve avere una
macchina da scrivere o un tavolo, deve
avere qualcosa di suo.
Leggere Leggere è niente, difficile è
dimenticare ciò che si è letto.
34
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
IL CATALOGO
DEGLI ANTICHI
Libri da leggere
per comprare libri
di annette popel pozzo
GRAZER BUCHUND KUNSTANTIQUARIAT
WOLFGANG FRIEBES
Lista 112: libri dal Quattro
al Seicento
Numerosi i titoli d’argomento
Italica nel catalogo del libraio antiquario
austriaco. In offerta la rarissima prima
edizione delle Opere poetiche del poeta
napoletano barocco Giovanni Battista
Basile (Mantova, per Aurelio e Lodovico
Osanni, 1613). Contenente Delli madriali
et ode, La venere addolorata, Le
avventurose disavventure, Il pianto della
Vergine, l’opera che è sconosciuta alla
Libreria Vinciana viene attualmente
censita in Italia soltanto nella Biblioteca
Marciana (€ 6.000). Curioso anche il
Distinto raguaglio dell’origine, e stato
presente dell’ottava meraviglia del
mondo, o sia della gran Metropolitana
dell’Insubria, volgarmente detta il
Duomo di Milano di Giovanni Giacomo
Besozzo nella prima edizione di Milano,
Carlo Federico Gagliardi, 1694 (€ 400 in
legatura coeva di cartonato xilografato).
Lo scritto contiene in fine un
interessante Catalogo di tutti li
Personaggi, che hanno Dignita, o Ufficio
nella admiranda, & insigne
Metropolitana di Milano (pp. 217-231).
Abbastanza inusuale anche il testo di
Bonaventura Pellegrini Secreti
nobilissimi dell’arte profumatoria
(Venezia, Curti, 1678) che contiene più
di 250 ricette per la produzione di
profumi. L’attualità del testo si individua
anche nel fatto che fu ancora
ristampato nel 1968 e 1993
rispettivamente.
Sartoris, Gli elementi dell’architettura
funzionale. Collaudo di F.T. Marinetti,
stampata nel 1941 da Hoepli.
Presentandosi in legatura originale in tela
verde stampata, questa terza edizione
viene considerata la più completa
(€ 1350). In legatura editoriale in
cartonato rigido arancione si presentano
invece le Poesie di Anacreonte recate in
versi italiani da Eritisco Pilenejo (pseud. di
Giuseppe Maria Pagnini), stampate a
Parma con i tipi Bodoniani nel 1793 (una
di 200 copie; Brooks 488; € 700).
Curioso è invece un manoscritto di 105
pagine numerate di un ricettario
carpigiano dell’Ottocento. Tra le varie
ricette descritte troviamo la Pasta per le
spongate, l’Aranciata, la Mostarda
Antiquariat Wolfgang Friebes
Münzgrabenstraße 7 – A-8010 Graz
www.friebes.at
LIBRERIA ANTIQUARIA
PAOLO BONGIORNO
Lista Ottobre 2012
I titoli offerti dal libraio
antiquario modenese nel suo ultimo
catalogo per il mese di ottobre sono
d’argomento vario: troviamo tra l’altro
l’edizione di 36 progetti di ville di
architetti italiani a cura dell’Esposizione
Triennale internazionale delle arti
decorative industriali moderne alla Villa
Reale di Monza che contiene progetti di
Gio Ponti, Alberto Sartoris e Giuseppe
Pagano (Milano-Roma, Bestetti e
Tuminelli, 1930). L’opera illustrata da 31
tavole a colori è in vendita per € 480.
Fondamentale per l’architettura
funzionale è l’edizione di Alberto
Carpigiana, le Spezie finissime, l’Aloe
polverizzazione, il Lucido da Scarpe, lo
Sciroppo Alchermes e quello di accodio e
di rattania, l’Acquavite Aniciata, la Tintura
di Anici Romagna, il Rinfresco di
mandorle amare, le Pillole Blanchard, la
Tintura di China, l’Unguento rosato,
l’Estratto di Belladonna, il Cerotto di S.
Caterina, le Polvere del Frassoni,
l’Unguento di Ginepro, l’Unguento
egiziano, il Vino di china composto, i
Cioccolatini purgativi, e lo Sciroppo di
cicoria e rabarbaro (€ 280).
Libreria antiquaria Paolo Bongiorno
Via Lana 71 – 41124 Modena
(www.bongiornolibri.it/Libreria_Paolo_Bo
ngiorno/LIbreria_Bongiorno.html)
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
IL CATALOGO
DEI MODERNI
Libri da leggere
per comprare libri
di matteo noja
GIRO D’ITALIA IN 500 LIBRI
(CIRCA)
La rete ha questo vantaggio: che si
parte cercando una cosa e si torna con
un’altra. Cercavamo infatti cataloghi di libri
del Novecento e invece torniamo con un catalogo di storia locale che in gran parte ha libri usciti a cavallo tra Otto e Novecento. Ma
non ce ne voglia nessuno: la storia locale è
una passione difficile da sopire.
Regione per regione il catalogo dal titolo Italiamia racconta, anche se sommariamente, 467 libri e 16 incisioni, rigorosamente divisi per regione, e all’interno della
regione per località. Vale la pena di scorrerne le pagine: sicuramente ognuno troverà
quanto gli serve per appagare le sue curiosità sopra la propria città o regione.
Citiamo solo il primo numero del catalogo anche perché ci permette di ricordare un bibliografo molto noto, Alberto Bacchi
della Lega (1848-1924). Riguarda l’importante Bibliografia dei vocabolari ne’ dialetti
italiani raccolti e posseduti da Gaetano Romagnoli, edito a Bologna dal Romagnoli
stesso nel 1876 (in 8º, p. 96; € 185).
Bacchi della Lega, personaggio della
Bologna di fine Ottocento, fu amico intimo
e assiduo collaboratore di Carducci (anche
per la Collezione di opere inedite o rare dei
primi tre secoli, edita dal Romagnoli), che
storpiandogli il nome, lo chiamava Bacchilide, e amicissimo di Olindo Guerrini che lo fece bersaglio di molte delle sue numerose e, a
volte, crudeli burle. Negli Aneddoti bolognesi, a cura di Alfredo Testoni e Oreste
Trebbi (Formiggini, 1929; presente in Biblio-
teca), viene narrato di quando Guerrini,
dovendo partecipare a una tournée con
una compagnia drammatica, si fece prestare il vestito da cerimonia dal Bacchi. Essendo di lui molto più magro, lo fece accomodare da un sarto. Finita la tournée lo restituì all’amico senza far menzione della
correzione. Quando vi furono le feste per
l’VIII centenario dell’Università di Bologna,
a cui presenziava il re, Bacchi pensò bene di
indossare il suo vestito elegante, ma si accorse troppo tardi che era tanto stretto, e
«fu costretto ad assistere all’arrivo del Sovrano con un abito così lontano dalle regole dell’etichetta che gli rese più acerbo il
cruccio per la burla patita».
Studio Bibliografico SCRIPTORIUM
Via Valsesia, 4
46100 Mantova (Italy)
Tel./Fax +39 0376 363774
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FERDINANDO ONGANIA,
EDITORE VENEZIANO
Il sito di una libreria veneziana, linead’acqua, preannunciandoci un
catalogo che non c’è, ci induce
però a parlare di colui che è
stato forse il più grande editore veneziano tra Otto e
Novecento: Ferdinando Ongania (1842-1911). La sua
figura, pressoché sconosciuta al di fuori di un ristretto gruppo di bibliofili e studiosi,
è stata solo recentemente studia-
35
ta in maniera approfondita da Mariachiara
Mazzariol (Ferdinando Ongania 18421911 editore in Venezia. Catalogo, stampato nella città lagunare proprio da lineadacqua edizioni con la Fondazione QueriniStampalia, nel 2011).
Il nome di Ongania è senza dubbio
legato all’importante opera La Basilica di
San Marco in Venezia (1877-1888), «primo
grande censimento iconografico del monumento marciano realizzato attraverso il
“nuovo” mezzo fotografico, di cui egli fu
coraggioso “mecenate”». Come pure colpiscono i suoi due album fotografici, Calli e
canali in Venezia e Calli, canali e isole della
laguna, pubblicati nel 1891 e nel 1893,
straordinario documento della città di fine
Ottocento (la libreria ricorda una propria
edizione in facsimile del 2010, in tiratura limitata di 250 copie, stampata con la tecnica del retino stocastico).
Ongania iniziò la sua attività rilevando nel 1871 la ditta Hermann Frederich
e M. Münster, il cui negozio in piazza San
Marco, sotto le Procuratie ai numeri 7274, era annoverato fra le più importanti e
fornite librerie d’arte veneziane.
Il suo catalogo era ricco di numerosi
altri titoli, la maggior parte dei quali eccellenti prodotti dell’arte tipografica, omaggio alle molteplici glorie della Serenissima
Repubblica. L’impegno e il coraggio imprenditoriale di quest’uomo, che non esitò
a dissestare le proprie finanze pur di portare a termine i suoi ambiziosissimi progetti,
non trovò allora e non ha trovato a lungo il
giusto riconoscimento.
linea d’acqua
libreria antiquaria
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Marco 3717/d
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36
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
37
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diritti
itti sono riservati
riser vati ai rispettivi
rispettivi proprietari.
proprietari.
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
Un mondo di divertimento.
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gruppopreziosi.it
uppopreziosi.it
rreziosi.it
38
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
PAGINE CHE PARLANO DI LIBRI
Dall’utopia della poesia alla poesia
degli archivi culturali: viaggio in due libri
di matteo noja
IL DELIRIO RAGIONATO
DI UN POETA MANAGER
on smettete di delirare,
questo è il momento
dell’utopia»
Per Antonio Porta, al secolo Leo Paolazzi,
tutta la vita fu il momento dell’utopia.
Non smise mai di delirare nel senso che
per lui la letteratura, la poesia
soprattutto, era il luogo del delirio. Un
delirio ragionato, apassionato, amoroso.
Ne è testimonianza questo libro,
«Mettersi a bottega» Antonio Porta e I
mestieri della letteratura, edito dalle
meritevoli Edizioni di Storia e
Letteratura e che raccoglie gli atti di un
convegno a cura dell’Università degli
Studi di Milano, tenuto il 10 dicembre
2009.
Per meglio delirare si era trovato
uno pseudonimo che lo riportava allo
charmant Carline per poter scrivere
liberamente e che, al contempo, gli
permetteva con il suo nome di applicarsi
seriamente all’editoria e al giornalismo.
In questo, seguendo il padre Pietro che,
con Edilio Rusconi, aveva fondato nella
seconda metà degli anni Cinquanta a
Milano la casa editrice Rusconi e
Paolazzi. Lavorando con testate come
Gente, Eva, Rakam, persino il Corriere
dello Sport – che riuscì personalmente a
resuscitare e a salvare dalla chiusura –
Leo/Antonio diede grande prova di doti
manageriali. Fino ad arrivare alla
direzione editoriale della Bompiani
prima e della Feltrinelli poi. Doti
manageriali che in pari misura applicava
alla letteratura nel promuovere
«N
generosamente, a volte addirittura
creare, giovani autori, lanciandoli nelle
patrie lettere. Tutto senza perdere di
vista la ricerca – che in letteratura e in
poesia ha valore scientifico tanto
quanto nella fisica nucleare – e le
avanguardie, operando come segretario
di redazione de “Il Verri” di Luciano
Anceschi e entrando nel manipolo di
poeti che sconvolgeranno la nostra
letteratura con un libro edito proprio
dalla Rusconi e Paolazzi, dal titolo
apocalittico, I Novissimi. Di Apocalisse in
Apocalisse, questo sarà un libretto che
con la sua diffusione e successo
provocherà nel convegno all’hotel
Zagarella di Palermo la nascita del
Gruppo ’63, una delle ultime valide
espressioni dell’avanguardia in Italia.
I saggi di «Mettersi a bottega», a
cura di Alessandro Terreni e Gianni
Turchetta, permettono oggi di
addentrarsi nella poesia e nelle attività
di Antonio/Leo con maggiore cognizione
di causa. Da Umberto Eco che ci illustra
la tecnica delle liste e il conseguente
ritmo musicale che esse provocano nella
poesia in generale da Omero in poi e, in
particolare, nei versi dell’amico Antonio,
a Enrico Testa che spiega come la forte
tensione espressionistica che si può
ravvisare nella poesia portiana derivi
molto spesso dalla scelta di avvalersi di
un “lessico comune non letterario”, dal
suo “codice di comunicazione usuale”;
da Niva Lorenzini che spiega
l’insorgente neccesità per Antonio Porta
di usare una ancora più marcata
colloquialità per giungere alla fine a
una poesia come diario, a Paolo
Giovannetti che ci ricorda quanto sia
stata importante per un’intera
generazione l’antologia Poesia degli anni
Settanta, dalla quale emersero molte
giovani voci che altrimenti avrebbero
faticato a trovare spazio. Non fu certo
quello l’unico luogo, essendo quel
periodo – il “decennio lungo del secolo
breve” – fecondo di antologie poetiche,
ma fu senza dubbio tra i più
significativi. Maria Carla Papini e
Stefano Raimondi, da diversi punti, si
introducono in profondità nei versi e
nelle opere di Porta, così come Terreni si
interroga circa la retorica portiana.
Giancarlo Majorino, sodale di tanti anni
e di tante battaglie poetiche, affronta il
libro più ricco della sterminata
produzione portiana, quel Quanto ho da
dirvi che nel 1977 raccoglieva la prima
parte dell’opera di Porta, edita e inedita.
Infine Carlo Formenti narra
dell’avventura di “Alfabeta”, rivista
simbolo della letteratura degli anni
Ottanta, alla quale Porta partecipò
attivamente accanto a Mario Spinella,
Paolo Volponi, Gianni Sassi, Gino di
Maggio, Nanni Balestrini, Leonetti, Pier
Aldo Rovatti; e Maurizio Cucchi, che
nella sua amicizia non ha mai potuto
fare distinzioni tra Leo e Antonio,
defindendolo uomo di “straordinaria
coerenza”, lo ricorda come uno degli
ultimi esempi di manager editoriale,
dove le due accezioni messe accanto –
quella di manager e quella di editoriale
– non stridono come ora, che i manager
“non distinguono la marmellata dai
libri”. In chiusura un saluto, poche
parole, di una persona che fu compagna
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
di Antonio Porta, Rosemary Liedl Porta:
è soprattutto grazie a lei che la figura di
quest’uomo gentile e generoso, di
questo intellettuale onesto e rigoroso,
non è stata dimenticata o, peggio,
stereotipata in luoghi comuni.
“«Mettersi a bottega». Antonio Porta
e i mestieri della letteratura”.
A cura di Alessandro Terreni
e Gianni Turchetta.
Edizioni di Storia e Letteratura,
Roma 2012, p.128, € 23,00
L’APPASSIONANTE MONDO
DEGLI ARCHIVI CULTURALI
olto spesso, nelle biblioteche, si
cerca di parlare dei libri che ci
circondano, delle carte che ci
avviluppano nelle loro volute, dei
documenti che ci attraggono per la loro
finta oggettività; molto spesso
sperimentiamo la difficoltà di farlo, anche
perché, le raccolte stesse che inglobano
un dato fondo specifico, lo perdono
dentro di sé, cambiandone la natura, in
un gioco infinito di specchi, diventando a
ogni passo una cosa diversa da quella che
era poco prima. Comprendiamo quindi
l’imbarazzo di Lodovica Braida e Alberto
Cadioli nel presentare questo quinto
Quaderno di Apice, intitolato
Collezionismo librario e biblioteche
d’autore. Viaggio negli archivi culturali. La
mancanza di omogeneità degli archivi
che raccolgono documenti estremamente
diversi tra loro; la presenza al loro interno
di libri che diventano altro da sé in
relazione a chi li ha collezionati e in
qualche modo li ha alterati anche solo
con la propria scelta (come ebbe a dire
Luigi Crocetti «per il solo fatto di
appartenere a una biblioteca personale –
che sia di uno scrittore, di un
collezionista o di un homme de lettres – i
libri cambiano status, “da pubblicazioni a
documenti personali anch’essi, carte
M
anch’essi”»); tutto ciò fa sì che sia difficile
spiegarli e illustrarli.
Da questa difficoltà l’esigenza, da
parte dei curatori, di dedicare questo
Quaderno ad alcune importanti
biblioteche presenti in Apice – Archivi
della Parola, dell’Immagine e della
Comunicazione Editoriale, emanazione
dell’Università Statale di Milano – nel
tentativo non solo di farli conoscere
nella loro consistenza, ma anche di
inserirli in un progetto scientifico che
ora appare più chiaro e riconoscibile.
Il primo degli otto saggi che
compongo il Quaderno, è di Andrea
Carlino e riguarda Il mondo delle donne
nella biblioteca del ginecologo Emilio
Alfieri. Tra bibliofilia e bibliomania. Breve
excursus di una delle prime biblioteche
acquistate dall’Università Statale e che
bene può documentare le varie
motivazioni che hanno spinto il celebre
ostetrico e ginecologo Emilio Alfieri
(1874-1949) a comporre la sua raccolta:
l’accumulazione per uso professionale,
la bibliofilia e la bibliomania. Il secondo
e il terzo saggio sono dedicati ad
Antonello Gerbi (1904-1976) e alla sua
biblioteca, nella sua particolare
predilezione per ciò che riguardava il
Sud America (a cura di Emilia Perassi) e
nella sua interezza (a cura del figlio di
Antonello, Sergio Gerbi). Valga a ricordo
di questa biblioteca – ma forse di tutte
– il ricordo affettuoso che ne lasciò
Raffaele Mattioli (che dei libri e della
conseguente follia se ne intendeva): «La
sua biblioteca privata, sempre in
disordine, sia perché continuamente
riordinata e rimaneggiata, sia perché i
libri arrivavano a ondate, in serie, in
collane intere, era prima e più che uno
strumento di lavoro, un baluardo contro
il mondo e le miserie del mondo. Che i
libri raccolti fossero 20, 30 o 50 mila,
com’è stato scritto, non importa niente.
Chi ama i libri non li conta. Un opuscolo
di otto pagine e la corrispondenza di
39
Voltaire in cento e tanti volumi, hanno
lo stesso valore ideale. Ogni “pezzo” ha
il valore, ed è il riassunto emblematico
di tutta la biblioteca. Ognuno
rappresenta un desiderio, un attimo di
vita, un proposito di nuove fatiche».
I saggi di Edoardo Esposito ed
Elisa Gambaro ci introducono a una
delle più belle raccolte conosciute di
prime edizioni del ’900, che nei suoi
1700 volumi circa delinea una sorte di
canone estetico, soprattutto per quello
che riguarda la prosa, della nostra
letteratura tra le due guerre. Marta
Sironi ci accompagna invece in un
mondo immaginifico, fatto delle figure
che hanno illustrato le testate delle
cinquecento riviste che ha raccolto
Piero Marengo e che oggi sono
custodite in Apice: dalla figura legnosa
e smilza del primo Pinocchio nel
“Giornale per i Bambini” del 1882 alla
parodia che il “Bertoldo” fece
dell’“Omnibus” longanesiano,
imitandone la prima pagina e
titolandola “Autobus”. Il penultimo
saggio, di Nicoletta Vallorani, riguarda
infine la magnifica raccolta di libri per
bambini che mise insieme Peter A. Wick,
bibliotecario all’università di Harvard.
Da ultimo, mentre i precedenti
saggi sono stati tutti rivolti verso il
passato, narrando di collezioni di libri
già editi nei tempo che furono, quello di
Goffredo Haus ci informa invece con
dovizia di particolari di quanto offrano
le nuove tecnologie per conservare
meglio e meglio tramandare quel
patrimonio che abbiamo la fortuna di
custodire e quale sia il panorama che si
delinea nel futuro per i nostri archivi e
biblioteche.
“Collezionismo librario e biblioteche
d’autore. Viaggio negli archivi
culturali.” A cura di Lodovica Braida
e Alberto Cadioli.
Skira, Milano 2012, p.109, € 25,00
LA TUA TV. SEMP
PRE PIÙ GRANDE.
42
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
ANDANDO PER MOSTRE
Spazi, moduli e figure: dall’ambiente
primario alla geometria e alla luce
di luca pietro nicoletti
CARLO NANGERONI
A BERGAMO
uando torna da New York,
dove è nato nel 1922, Carlo
Nangeroni è un pittore
informale, entrato in contatto con la
Scuola del Pacifico prima ancora che si
cominciasse a parlarne anche in Europa.
Presto, però, la sua ricerca si sarebbe
spostata in direzione di una sintesi
Q
cromo-luministica organizzata secondo
schemi geometrici fissi ma di infinita
variazione.
Ne dà conto la mostra presso
Colleoni proposte d'arte di Bergamo (dal
7 novembre al 22 dicembre), che riapre
in spazi rinnovati con una nutrita
personale del maestro.
Attraverso una quarantina di
opere scelte, infatti, viene offerta un
suggestivo assieme delle ricerche del
pittore intorno al tema del cerchio e
CARLO NANGERONI
COLLEONI PROPOSTE D’ARTE
VIA C. BAIONI 19, BERGAMO
8 NOVEMBRE – 20 DICEMBRE 2012
TUTTI I GIORNI,
ORARI: 9-12 e 15-19
INFO: TEL. +39 035 223300
propostedarte@colleoniroberto.
[email protected]
Sopra da sinistra: Carlo Nangeroni,
Composizione, anni '80, acrilico su tela;
Composizione, anni '90, acrilico su tela
della sua raffigurazione. Il disco e il
cerchio sono gli elementi base di una
grammatica di variazioni infinita, entro
la quale si enucleano precise serie di
lavori che si interrogano, di volta in
volta, su alcuni temi e schemi di base
cui Nangeroni darà una continua e
rinnovata vitalità, risolvendo di volta in
volta i problemi della luce e del
movimento (e della percezione visiva di
conseguenza) all’interno di una
struttura fissa, ma non inerte.
Se nelle ricerche degli anni
Sessanta il movimento a scorrimento
era dato da raggruppamenti di dischi
del medesimo colore secondo un
percorso che si snoda sulla tela per
indicazioni tonali (e vi ritornerà, con un
nuovo approccio, dalla metà degli anni
Novanta), negli anni Settanta e Ottanta
il movimento dei dischi e delle righe
verticali che percorrono la tela
longitudinalmente come un fitto
incannucciato, scorrendo le une sulle
altre, sarà non solo sul piano ma anche
in profondità, con effetti di
avanzamento e arretramento delle
singole sfere a seconda del tono e della
scansione, ma anche per il suo
intersecarsi con il motivo verticale.
Nel prosieguo Nangeroni tornerà
su un lavoro di tinte piatte e colori più
accesi, lavorando su una tavolozza
timbrica e con schemi più liberi,
preoccupandosi meno del problema
seriale.
I dischi rimarranno ancora legati
a uno schema di disposizione
ortogonale, ma senza la necessità di
dipingere materialmente tutta la serie
per intero come in una vera e propria
catena di montaggio: i dischi, ora,
sembrano affiorare dal fondo in
maniera polifonica, simultanea, come
illuminazioni galleggianti ancorate in un
punto preciso del quadro, ma che
manifestano la loro presenza solo con
una improvvisa apparizione.
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
43
IL CEMENTO
DI MAURO STACCIOLI
A sinistra: Mauro Staccioli, Condizione
Barriera, 1971, ferro verniciato nero.
Sotto: vista della mostra di Mauro Staccioli
presso Mara Coccia a Roma
ara Coccia Arte
Contemporanea di Roma
propone fino al 3 novembre
una mostra di quindici opere in ferro e
cemento dello scultore Mauro Staccioli,
prendendo spunto dal recente volume
dedicato da Bruno Corà all’artista e
intitolato Gli anni di cemento 1968-1982
(Edizioni il Ponte, Firenze). In questo arco
di tempo, l’opera di Staccioli segue una
evoluzione tematica di progressiva
chiarificazione di intenti e motivi. Nella
materia dura e ruvida del cemento (ma di
docile risposta alla colata in forme),
infatti, l’artista ha messo a fuoco il
proprio repertorio di forme primarie
M
votate, quasi per natura, a un rapporto
dialettico con l’ambiente. «Pensare di fare
scultura» annota Staccioli stesso,
«significa costruirsi una forma: lavorare
per costruire un linguaggio esplicito del
pensiero organizzato e trasformare
questa pratica in una forma tattile.
Tattilità che deve sapersi sviluppare in
una prassi riconoscibile; questa è stata la
mia traccia, il mio modo per darmi una
ragione esplicita del fare». E questa
ragione esplicita, disadorna di
compiacimenti formalistici e di tentazioni
architettoniche, si chiarifica in rapporto
CENTENARIO DI BRUNO CASSINARI DA CORRENTE
el centenario della
nascita, la fondazione “Corrente”
di Milano propone fino al
30 ottobre, a cura di Anna
Maria Bianconi e Nicoletta
Colombo, un selezionato
gruppo di opere di Bruno
Cassinari (1912-1992), fra
N
le anime dell’omonimo
gruppo e figura emblematica del picassismo del secondo dopoguerra. Vi si
possono apprezzare undici
dipinti e quattordici disegni provenienti da collezioni private, accompagnati
da una scelta di documenti
Sotto: Bruno Cassinari, La pesca con le lampare, 1953,
cm 75x90, collezione privata
d’archivio che evocano la
storia del pittore, della sua
adesione al movimento e
dei suoi rapporti con Enrnesto Treccani, che a lui dedicherà alcune toccanti parole, in uno scritto del
1940: «Nei quadri di Cassinari la goccia di sangue viene alla luce. Nei quadri di
Cassinari la goccia di sangue della sua terra si allarga, e già oggi ma sempre di
più col tempo uomini diversi di molti paesi saranno
aiutati a comprendere la
propria fatica e a vivere
meglio. Ora Cassinari lavora perché il suo cielo si
spacchi, e non pesi più così
forte sulla sua vita, come il
cielo di Gropparello pesa
sui vivi e sui morti del piccolo paese. In questo lo
aiuteranno gli uomini, nemici e fratelli».
allo spazio e all’intervento specifico sul
luogo-ambiente. Nella loro arcaica,
impenetrabile e solenne semplicità
geometrica, infatti, le sue sculture
marcano dei limiti nello spazio, delle
soglie da superare, e creano dei percorsi
del fruitore nell’ambiente circostante: non
possono essere attraversate, anzi
pongono dei limiti, come nel famoso
“muro” per la Biennale di Venezia del
1978, o esaltano la sospensione del
vuoto, come nel monumentale anello che
accoglie oggi i visitatori della Galleria
Nazionale Arte Moderna di Roma. Sono
operazioni concettuali attraverso la forma
solida nel contesto. Ma anche in formati
più contenuti, adatti agli spazi chiusi, i
suoi ispidi cubi armati di aculei richiedono
aria e silenzio: sono mute, dogmatiche e
incombenti presenze pronte allo scontro.
44
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
ASTE, FIERE E MOSTRE-MERCATO
Le aste autunnali con numerosi appuntamenti
tra Italia, Francia, Germania e Inghilterra
di annette popel pozzo
WERTVOLLE BÜCHER
UND HANDSCHRIFTEN,
GEOGRAPHIE, REISEN,
ATLANTEN, CHINA UND
JAPAN, ALTE UND NEUE
KUNST
Asta dal 30 ottobre
al 2 novembre
Königstein im Taunus
www.reiss-sohn.de
Scegliere qualche titolo nei cinque
cataloghi dell’asta autunnale di Reiss &
Sohn per una breve presentazione in
questa sede non è compito facile,
considerando la ricchezza delle opere
offerte. Particolarmente importante è
l’Etymologicum magnum Graecum, uscito
dai torchi di Zaccaria Calliergi a Roma il 8
luglio del 1499, battuto in asta l’ultima
volta vent’anni fa. Si tratta della prima
edizione del primo dizionario
completamente stampato in caratteri
greci e primo libro uscito dall’officina di
Calliergi. La copia in asta (lotto 1393), a
pieni margini (425x295 mm) in una
legatura in piena pergamena
cinquecentesca, parte con una stima di €
10.000. Un catalogo a sé forma la
collezione asiatica sulla Cina e sul
Giappone contenente quasi cento lotti.
Particolarmente rara è la princeps delle
Relationi della venuta degli ambasciatori
giaponesi à Roma, sino alla partita di
Lisbona di Guido Gualtieri del 1586 (lotto
2818, stima €12.000 in legatura moderna
in pergamena). “L’incontro con la giovane
ambasceria nipponica offre al G. il destro
per ripercorrere la storia delle relazioni
intrattenute dai pontefici romani, tramite
l’Ordine gesuitico, con l’Estremo Oriente e
soprattutto di superare un punto di vista
esclusivamente occidentale anche se non
esente da una certa idealizzazione” (DBI
60, p. 208).
VENTE LIVRES ANCIENS
ET DU XIXÈME SIÈCLE
Asta del 31 ottobre
Parigi www.alde.fr
Tra i 325 lotti segnaliamo la prima
edizione postuma del trattato
gastronomico Il Trinciante di Vincenzo
Cervio (Venezia, Tramezzino, 1581).
Contiene tra l’altro “Il modo che si deve
tenere in ricevere un Papa, un Re, e
ogn’altro gran Principe tanto dalle
Comunità, quanto dalli Signori
particolari” con particolare attenzione a
un protocollo da seguire (lotto 38, stima
€ 1.500-2.000).
WERTVOLLE BÜCHER,
MANUSKRIPTE,
AUTOGRAPHEN, GRAPHIK
Asta dal 5 al 7 novembre
Monaco di Baviera
www.hartung-hartung.de
In asta la seconda rarissima edizione
di Tycho Brahes, Astronomiae
instavratae progymnasmata del 1603,
censita al mondo in soltanto sette
esemplari (lotto 239, stima € 80.000).
La copia in offerta reca numerose
annotazioni manoscritte in mano simile
a quella di Giovanni Keplero.
ASTA 60: HANDSCHRIFTEN
& BÜCHER
Asta dal 7 al 9 novembre
Monaco di Baviera
www.zisska.de
Da Zisska la prima edizione del
cimelio della teologia mistica medievale
con il trattato Sermones super Cantica
canticorum di Bernardo di Chiaravalle
(Rostock, Fratres Domus Horti Viridis
ad S. Michaelem, 1481; lotto 84, stima
€ 18.000). Attualmente nessuna copia
viene censita in Italia.
TRAVEL, ATLASES, MAPS
& NATURAL HISTORY
Asta del 15 novembre
Londra www.sothebys.com
LIBRI & STAMPE DAL XVI
AL XXI SECOLO
Asta dal 15 al 17 novembre
Firenze www.gonnelli.it
WERTVOLLE BÜCHER
Asta dal 19 al 20 novembre
Amburgo
www.kettererkunst.de
Segnaliamo la prima edizione
completa in 3 volumi della rivista Genius
a cura di Heise e Mardersteig, pubblicata
dal 1919 al 1921 a Monaco di Baviera da
Wolff (lotto 411100056, stima € 1.200).
“Genius became one of the most
scholarly and attractive art journals of
the time” (Reed). In asta inoltre l’edizione
dell’Opera di Lattanzio nella stimata
pubblicazione di Vindelino da Spira del
1472 (lotto 411200708, stima € 18.000).
L’esemplare (325x235 mm) contenente
nove iniziali miniate in rosso, blu, verde
e giallo e una rubricazione in rosso e blu,
si presenta in legatura ottocentesca
proveniente da Ampleforth Abbey.
la Biblioteca di via Senato
45
Milano
Questo “bollettino” mensile è distribuito
gratuitamente presso la sede della Biblioteca
in via Senato 14 a Milano.
Chi volesse riceverlo
al proprio domicilio,
può farne richiesta
rimborsando solamente
le spese postali di 20 euro
per l’invio dei 10 numeri
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consento che i miei dati personali siano trasmessi ad altre aziende di vostra fiducia per inviarmi vantaggiose offerte
commerciali (Legge 675/96)
Barri la casella se intende rinunciare a queste opportunità
46
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
BvS: Fondo Edizioni di pregio
“Smens pagine & figure”
di una rivista artigianale
La Nuova Xilografia di Verna e Schialvino tra semen e mens
ARIANNA CALÒ
“Smens pagine & figure”,
semestrale di Nuova Xilografia;
undici numeri stampati su torchi
a braccia Fag e Saroglia con
caratteri Garamond e Garaldus
(nn. III e IV su carta GardaPat
13 prodotta dalle Cartiere del
Garda, nn. V-XI su carta di
cotone delle cartiere Magnani di
Pescia). Esemplare n. 234/270;
XI volume: esemplare 51/100.
«S
mens? Non è un acronimo, ma una parola che
corteggia la “S”. La corteggia per amore della linea curva,
sensuale nel significato di dar senso
alla vita, e perché ricorda il lavoro di
sgorbia sopra le tavolette di bosso e
di pero. Forse è anche un verbo con il
solo tempo presente, che accetta tutte le persone (io smens, tu smens…
noi, voi, loro smens)».
Sotto l’egida di una gazza ladra
bianca e nera, monogama e ciarliera,
“Smens” usciva con il suo primo numero nell’agosto del 1997, licenziata
a Rivarolo Torinese dal torchio a
braccia di Gianni Verna (n. 1942) e
Gianfranco Schialvino (n. 1948), artisti xilografi fondatori nel 1987 dell’associazione Nuova Xilografia.
Contro la prassi consolidata della
produzione editoriale, “Smens” si
Sopra: xilografia di Francesco Franco
per il componimento di Nico Orengo,
“Smens” VI. Nella pagina accanto:
Incontro al destino, xilografia di
Garrick Palmer in “Smens” VIII
proponeva una missione programmaticamente donchisciottesca, ma
orgogliosa: combattere il lento abbandono dell’uso della xilografia
proponendola in un ritorno all’antica funzione originaria, quella che la
voleva a corredo iconografico del testo scritto, a supporto ed esemplificazione della parola. «Questo inten-
de essere SMENS: temi liberamente
svolti da critici, filosofi, poeti, scienziati, scrittori, studiosi, illustrati con
figure incise su matrici di legno e ricondotti, senza limiti di fantasia, nel
solo ambito, concluso, dell’estetica
della pagina»; autori e artisti sono
stati chiamati a raccolta da Verna e
Schialvino (“operativo cenacolo a
due”, li chiamava Angelo Dragone) a
dibattere sull’incontro tra due valori
opposti, scelti a definizione di ogni
singola uscita: bianco e nero, bene e
male, verità e menzogna, sacro e
profano e così via.
I primi numeri, raccontano i
protagonisti, sono dettati dallo stupore per l’invito a partecipare a
un’idea visionaria e bizzarra; poi,
allo stupore si sostituisce l’entusiasmo e la lista dei collaboratori che
aderiscono a “Smens” si allunga e
accresce per quantità e prestigio.
Le xilografie, dapprima a carico
quasi esclusivo di Verna e Schialvino, sono firmate dai più abili incisori di tutto il mondo, così come di
alta levatura è la lista degli scrittori
che contribuiscono inviando i propri brani originali e inediti. Con il
rodaggio dei primi numeri, la qualità di questa rivista artigianale iniziava a perfezionarsi: a partire dal
terzo numero si decise per l’inseri-
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
mento della tinta rosso minio, usata
dai tipografi rinascimentali per
spezzare il rigore della pagina monocromatica, poi l’apertura al colore è totale: nel numero che inaugurava il terzo anno di attività si annunciavano novità importanti, come le tinte personalizzate per ogni
incisione, o l’uso, su consiglio di
Enrico Tallone, di due varianti di
inchiostro nero per il testo e le figure, o ancora l’introduzione della
più nobile carta a mano delle cartiere Magnani di Pescia.
Nel 2002, dopo cinque anni di
attività, mostre e presentazioni in
Europa, richieste di adesioni da vari
paesi nel mondo, il decimo numero
semestrale si apriva con la dichiarazione di nuovi e rinnovati progetti:
cadeva il tema degli opposti, sostituito da argomenti monografici di valenza universale; le uscite programmate a cadenza annuale. Fu raddoppiato il numero delle pagine ma ridotta la tiratura da 270 a 100 esemplari, e bene fece la Bibliothèque
Nationale de France a richiedere la
rivista per catalogarla nella sezione
dei libri rari. Al piano quinquennale
fece seguito un solo e ultimo numero, l’undicesimo, dedicato alla Follia, stampato nel 2004 con l’espresso ringraziamento al Signore per
aver finito. Finiva “Smens”, e con
essa il visionario esperimento che,
diceva Schialvino, aveva «riunito
un grande numero di artisti, quasi
un centinaio, e fatti cimentare con
la xilografia, arte meravigliosa e antica, semplice e attuale, classica e rivoluzionaria. Insieme nella volontà
di essere artisti, di parlare liberamente di poesia, mirare al bello,
cercare un ideale da realizzare, e vivere con la consapevolezza di poterlo raggiungere». Esperimento che
però era riuscito in tempi di avanguardie virtuali e digitali a creare
una rivista che «odora di nerofumo,
di piombo, di legno di bosso e di pero» (“Smens”, I). Don Chisciotte
ogni tanto vince.
47
SPOGLIO RIVISTA
I. Bianco e Nero (finito di stampare il
25 agosto 1997, ultimo quarto di Luna): Il rigore dei valori, Angelo Dragone; Eppure nera,
di Guido Ceronetti; Triste, solitario y final di
Nico Orengo; Candidus, albus, niger, ater di
48
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
Da sinistra: xilografia di Gianni
Verna per La Mantide, di Paola
Pallottino, “Smens” V;
Triste, solitario y final, xilografia
di Gianni Verna a corredo del testo
di Nico Orengo, “Smens” I;
a destra: Discordia, xilografia
di Gian Luigi Uboldi in “Smens” IX
Federico Zeri; Monte Bianco, Monte Nero di
Renato Romanelli; Il buio e il miele di Bruno
Quaranta; Commento di Corrado Collin alla
Gazza di Puskin; Al di là della verità unica di
Remo Palmirani; Tra luce ed ombra di Mario
Baudino; Scacchiera, di Ferruccio Pezzuto;
Giocare alla guerra, di Roberto Carretta. Copertina di Schialvino, pubblicità della Filatura
Botto Poala, Biella, incisa da Verna. Nei risvolti di copertina xilografie di Remo Wolf su legni di filo, e di Jean-Marcel Bertrand su legno
di testa.
II. Bene e Male (finito di stampare il
25 febbraio 1998, mercoledì delle Ceneri):
Una stessa radice, di Angelo Dragone; Un bene amorale di Guido Ceronetti; Il corno opposto, Renato Romanelli; Il mistero del male, di
Gianfranco Ravasi; Una momentanea imperfezione, di Vittorio Sgarbi; Il vertice supremo,
di Elémire Zolla; E poi dall’ombra, di Nico
Orengo; Una giustizia troppo lontana, di Elena Loewenthal; Malgrado quelle talpe, Roberto Sanesi; La via massonica, Remo Palmirani; Un matricidio, Roberto Carretta. In copertina xilografia di Verna; pubblicità del Maglificio Boglietti, Ponderano (Biella) incisa da
Schialvino; nei risvolti di copertina xilografie
di Francesco Tabusso e Roy Wood.
III. Verità e menzogna (finito di
stampare il 2 agosto 1998, nel mezzo del
cammin di nostra vita): Sì se sì, se no sì di Giorgio Calcagno; Monssù Nietsche di Guido Ceronetti; Falsi d’Autore di Angelo Dragone;
Danza con ventagli di Igor Man; Ego sum Veritas di Enzo Bianchi; Proiettati nella finzione
di Bruno Quaranta; I Pinocchi degli archivi di
Keith Botsford; Il postino G. di Paolo Bellini;
Costruirsi il vero di Remo Palmirani; Darsela a
bere di Renzo Barsacchi; Il campione di Renato Romanelli. Copertina di Schialvino; pubblicità di IB Italcart, Torino, incisa da Verna;
nei risvolti di copertina: xilografia su legni di
testa di Eugenij Bortnikov e linoleumgrafia di
Giacomo Soffiantino.
IV. Natura e cultura (finito di stampare il 21 marzo 1999 mentre lieve arriva la
primavera): Una natura culturale di Adriana
Zarri; Percezione ed espressione di Angelo
Dragone; Philastroca Bagnae Caudae di Guido Ceronetti; Un eroe di terza classe di Remo
Palmirani; Danza con ventagli di Igor Man
(seconda parte); Il mito dei boschi di Mario Rigoni Stern; Troppa luce di Piero Biannucci;
Coriandoli di Silvie Turner; Alla luna, Giacomo Leopardi con il Commento di Lorenzo
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
49
Da sinistra: DNA, xilografia su legno di testa di Simon Brett, “Smens” IV; Gianfranco Schialvino sul testo Monssù
Nietzsche di Guido Ceronetti, “Smens” IV
Mondo; Artificio e Natura di Nico Orengo;
Una storia pelosa di Renato Romanelli. Copertina di Gianni Verna, Pubblicità di SATIZ
spa incisa da Schialvino. Nei risvolti di copertina xilografie su legno di testa di Simon Brett
e Francesco Franco.
V. Sacro e profano (finito di stampare
il 10 agosto 1999 mentre dal cielo cadono le
stelle): Le misure del tempo di Elena Loewenthal; Campane, Nico Orengo; Santi senza Dio,
Gianfranco Ravasi; A turiboli spenti di Guido
Ceronetti; Il boccone del prete di Paolo Brunati; Per specula in aenigmatedi Michele Sovente; Con il falcetto d’oro di Mario Rigoni Stern;
Girotondo di Bruno Quaranta; La mantide di
Paola Pallottino; Lucri bonus odor di Remo
Palmirani; Il senso dell’esistere di Angelo Mistrangelo; Una festa proibita di Roberto Carretta. Un disegno di Gianni Chiostri, copertina
di Gianfranco Schialvino; xilografie di Leonard Baskin, Fernando Eandi, Francesco Franco, Marcello Guasti, Suzanne Reid, Piero Ruggeri, Gianfranco Schialvino, Gianni Verna.
VI. Panem et circenses (finito di
stampare l’11 febbraio 2000 sotto il volubile
segno dell’Acquario): Almeno… di Alberto Si-
nigaglia; The harbors of the moon di Norman
Mailer, con traduzione di Nico Orengo; Nell’aria di Nico Orengo; Quiero di Pierre Louys;
Musica lenta di Manuel Scorza; Il progetto
Erode di Remo Palmirani; Nei giornali, Guido
Ceronetti; A little red apple di Keith Botsford;
La palla di Nausicaa, Bruno Quaranta; Edward mani di forbice di Luca Ragagnin. Copertina di Verna; xilografie di Sergio Agosti,
Marina Bindella, Costante Costantini, Francesco Franco, Lea Gyarmati, Osvaldo Jalil,
Raffaello Margheri, Giulia Napoleone, Gianni
Verna, Elisabetta Viarengo Miniotti; pubblicità di Oasi Zegna incisa da Gianni Verna.
VII. Sogno e realtà (finito di stampare
il 29 settembre 2000 mentre nei tini canavesani fermenta l’erbaluce): Vogliono farci sognare, Alberto Sinigaglia; Per non dormire,
Bruno Quaranta; They call it «Grumus Merdae», Alan Dugan; Pecore e Camomilla, Remo
Palmirani; Cerchi concentrici di Adriana Zarri;
La fabbrica del senso, Luca Ragagnin; Abbozzo, Mehmet Gayuk; Distanza, Stefano Delprete; Fu un sogno, Nico Orengo; L’anima di
cartone, Paolo Brunati; Intridere le memorie,
Vincenzo Gatti; Fantasmi, Roberto Carretta;
Rossetto e Zainetto di Piero Soria. Xilografie
di Mauro Baudino, Marina Bindella, Francesco Franco, Ugo Giletta, Ezio Gribaudo, Peter
Lazarov, Bruno Missieri, Giulia Napoleone,
Guido Navaretti, Alberto Rocco, Verna,
Schialvino e Elisabetta Viarengo Miniotti; copertina di Schialvino, pubblicità di Regione
Piemonte incisa da Gianni Verna.
VIII. Volontà e destino (finito di
stampare l’8 aprile 2001, domenica delle palme e di passione): La forza del destino, Alberto Sinigaglia; I dadi che corrono, Bruno Quaranta; Destino, Nico Orengo; 18 giugno 1815
(Ultimi versi su Napoleone) di Guido Ceronetti; La poetessa, Elena Varvello; Ubi Eva atzorai
di Janus (tratto da Le repos du Diable, 1960);
Fine di Marek, Giorgio Luzzi; La fin des temps
di Paul Chanel Malenfant; Voluptas di Irving
Feldman; Correre a Samarcanda, Angelo
Dragone; Togetherness di Norman Mailer,
Utz, Remo Palmirani. Vetrina della silografia
storica italiana: Un linoleum di Felice Casorati, di Paolo Bellini. Xilografie di Nino Aimone,
Jacques Benoit, Eugenij Bortnikov, Costante
Costantini, Francesco Franco, Renato Galbusera, Garrick Palmer, Mario Gosso, Ezio Gri-
50
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
Sopra: xilografia di Gianfranco
Schialvino a piena pagina a corredo
di Danza con ventagli di Igor Man,
“Smens” III.
A sinistra: Renato Galbusera, Eroe,
in “Smens” IV
baudo, Peter Lazarov, Guido Navaretti, Lucio
Passerini, Suzanne Reid, Schialvino, Giacomo
Soffiantino, Gianni Verna. Copertina di Verna,
pubblicità Regione Piemonte incisa da
Schialvino.
IX. Verba-Res (finito di stampare il 4
ottobre 2001, giorno dedicato a San Francesco che visse povero): Segnali di fumo, Bruno
Quaranta; In memoriam: Donald Mark fall di
Alan Dugan; Una sera a Badalucco, Nico
Orengo; A birthday present, John Whitwort;
Gli archetipi e la poesia: il silenzio come matrice di Elémire Zolla; Davar, Elena Loewenthal;
Corsivi assassini, Alberto Sinigaglia; Et verbum caro factum est, Gianfranco Ravasi;
Schermale, Guido Ceronetti; Parler, Philippe
Jaccottet, Scivola la canoa, Mario Luzi. Xilografie di Marina Bindella, Eugenij Bortnikov,
Francesco Casorati, Claudia Cipollini, Raul Dal
Tio, Patrice Favreau, Gerard Gaudaen, Penelope Jencks, Ugo Maffi, Guido Navaretti, Ugo
Nespolo, Andrea Ruja, Gianfranco Schialvino,
Gian Luigi Uboldi, Remo Wolf. Contiene un inserto ideato, composto a mano e licenziato
dai torchi di Tallone Editore in occasione del
quinto centenario dei tipi corsivi.
X. Alfa e Omega (finito di stampare il
13 dicembre 2002 con un anno di ritardo e
così sia): La fine, Elena Loewenthal; Ottobre,
Marco de Carolis; Aurora, Nico Orengo; Courting song: Attack! Attack! Attack! di Alan Dugan; Il graffito e lo sfregio, Bruno Quaranta;
L’alfa e l’omega di un’arte di Enrico Tallone;
Ideale, Guido Ceronetti; Ma resiste la speranza, Alberto Sinigaglia; Il ciglio dei ricordi, Sergio Pent; Marcel Proust e la fine del mondo di
Anna Giubertoni; Melancholia di Pino Mantovani; Ulisse di Flavio Russo; Vetrina della silografia storica italiana: Una figura isolata in
se stessa, di Gianfranco Schialvino. Xilografie
di Eva Aulmann, Bortnikov, Felice Casorati,
Girolamo Ciulla, Raul Dal Tio, Renato Galbusera, Ugo Giletta, Carlo Giuliano, Mario Gosso, Emanuele Luzzati, Raffaello Margheri,
Barry Moser, Guido Navaretti, Schialvino, Togo, Gianni Verna; copertina di Verna.
XI. La follia (finito di stampare il 31
agosto 2004 ringraziando il Signore di aver
finalmente finito): Folies-Bergeres, Bruno
Quaranta; Zigomo, Luca Ragagnin; L’amico,
Vasco Are; Little do I understand di Ann Bond;
La tredicesima moglie, Piero Soria; Helmholtz’s rhymes, variante inedita di Aldous Huxley;
The voice, Robert Penn Warren; Fu un lampo,
Nico Orengo; Unruhe, Roberto Carretta; In
una stanza silenziosa, Alessandro Defilippi;
Storie di ordinaria pazzia torinese, variante
inedita di Massimo Mila; Sul ritrovamento di
un atlante disegnato da un folle o sia XXI
stanze e una parentesi circa il rapporto di costui con il segno e la parola di Paolo Brunati;
Vetrina della xilografia storica italiana: xilografie di Fortunato Depero e Lorenzo Viani;
Pastelli russi, di Alberto Sinigaglia; La follia
fuori testo: xilografie di Claudia Cipollini,
Marcello Guasti e Guido Giordano. Copertina
di Fortunato Depero e xilografie di Ugo Nespolo, Simon Brett, Barry Moser, Eugenij
Bortnikov, Suzanne Reid, Guido Navaretti,
Elettra Metallinò, Costante Costantini, Renato Galbusera, Giacomo Soffiantino, Francesco Tabusso, Carlo Giuliano, Francesco Casorati, Girolamo Ciulla, Riccardo Cordero, Giansisto Gasparini, Vladimir Nasedkin, Piero Ferroglia, Lorenzo Viani.
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
51
BvS: l’Ottocento
Gaspero Barbèra (1818-1880):
un editore risorgimentale
L’impresa di Barbèra attraverso gli esemplari della BvS 1
BEATRICE PORCHERA
«M
io Padre fu editore per vocazione;
cominciò come
fattorino di una bottega di tessuti,
viaggiò per conto di una fabbrica di
panni, ma dopo un breve impegno
in una libreria di Torino, impegno
che può considerarsi una vigilia
d’armi, venuto a Firenze presso un
editore, volle che la sua vita fosse
quella del produttore di libri, e in
essa concentrò tutta la sua energia,
non cercando guadagni al di fuori
di essa, non distraendosene in modo alcuno, lasciandosi da essa interamente assorbire […]»,2 così il figlio Piero riassunse gli esordi dell’attività dell’editore risorgimentale Gaspero Barbèra (1818-1880).
Nato a Torino il 12 gennaio
1818 da Pietro e Rosa Guerra, mercanti di stoffe, Gaspero ricevette
una discreta istruzione. A quindici
anni cominciò a lavorare in un negozio di tessuti, ma continuò a coltivare il proprio amore per la lettura. Lasciata la città natale si recò a
Magadino, nel Canton Ticino, dove fu impiegato come commesso
per uno spedizioniere. Rientrato a
Torino si avvicinò al mondo della
quali cominciò a frequentare il Gabinetto Vieusseux.
Ritratto di Gasparo Barbèra
all’antiporta del volume Memorie
di un editore pubblicate dai figli,
Firenze, Barbèra, 1883
produzione libraria lavorando
presso il libraio Fiore. In seguito si
trasferì a Firenze dove, grazie all’interessamento di Giuseppe
Pomba, ottenne un posto presso
l’editore milanese Paolo Fumagalli, stabilitosi nella città toscana da
una decina d’anni. Rimase da Fumagalli per pochi mesi, durante i
Dopo un’altra breve parentesi lavorativa a servizio del bibliofilo
Malagoli-Vecchi, nell’autunno del
1841 Barbèra fu assunto dall’editore Felice Le Monnier. Collaborò
con quest’ultimo per ben quattordici anni durante i quali accrebbe la
propria cultura, strinse rapporti
con molti importanti letterati del
tempo e fece propria la concezione
di libro maturata da Le Monnier:
non oggetto di lusso, ma bene di
pubblica utilità destinato ai ceti
medi e alle classi popolari.3
Nel 1854 il sogno di Gaspero
di aprire una propria stamperia divenne realtà: entrò in società nella
tipografia dei fratelli Beniamino e
Celestino Bianchi, sull’orlo del fallimento, e diede vita alla “Barbèra,
Bianchi e Comp. tipografi editori”
che fin da subito si propose di contribuire con la propria attività al
«decoro delle italiane Lettere».4
Il primo volume pubblicato
dalla casa editrice fu Il supplizio d’un
Italiano in Corfù di Niccolò Tom-
52
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
Da sinistra: frontespizio del Supplizio d’un italiano in Corfù di Niccolò Tommaseo, prima opera pubblicata dalla Barbèra,
Bianchi e Comp. tipografi editori nel 1855; frontespizio dell’opera Spagna di Edmondo De Amicis (Barbèra, 1873) giunta
nel 1904 alla dodicesima edizione. Nella pagina accanto, da sinistra: frontespizio dell’opuscolo Toscana e Austria stampato
da Barbèra nel 1859, costatogli un sequestro e una perquisizione della stamperia; brossura originale dei Poeti erotici del
secolo XVIII, opera curata nel 1868 da Giosue Carducci per la “Collezione diamante”
maseo. Uscito nel 1855, il libro recava l’impresa della rosa con l’ape e
il motto petrarchesco “non bramo
altr’esca”, divenuti da quel momento in poi identificativi delle
edizioni Barbèra. Il loro significato
venne spiegato dal tipografo stesso
così: «L’ape che si avvicina alla rosa
indica abbastanza il mio proposito
di trascegliere, nelle mie pubblica-
zioni, le opere più pregiate e non
andare a casaccio».5 Il testo di Tommaseo fu fatto precedere da una
prefazione di Gaspero in cui si affermava la volontà di dare inizio,
con quel volume, a «una Collezione di opere belle e utili».6 L’opera
inaugurò la fortunata “Collezione
gialla” che arrivò a pubblicare 170
titoli di classici e di scrittori risorgi-
mentali.
L’anno successivo nacque invece la “Collezione diamante” di
cui Barbèra scrisse: «Partii per Parigi nell’aprile dell’anno 1856.
Strada facendo ebbi agio di intrattenermi con un libraio di Torino, il
quale mi suggerì di ristampare i
quattro Poeti nell’edizioncina piccola del Passigli, che non si trovava-
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
no più, ed il Passigli non era più tipografo, condotto disgraziatamente in rovina dai suoi nipoti scialacquatori. Accettai il suggerimento
del libraio di Torino, e lo estesi non
solo ai quattro Poeti, ma ai più famosi Prosatori e Poeti antichi ed
anche moderni. Così nacque la Collezione Diamante, che mi fruttò
molti elogî e in pari tempo molti
guadagni. Gli elogî si riferivano alla scelta delle opere stampate in
quella, ed al modo col quale venivano stampate».7 “Diamante” era il
nome impiegato per indicare uno
dei più piccoli caratteri tipografici
e fu così utilizzato per identificare,
per estensione, un formato estremamente piccolo. La collana fu
inaugurata dalla Divina commedia
di Dante Alighieri, cui fecero seguito nel 1857 le Rime di Francesco
Petrarca e La Gerusalemme liberata
di Torquato Tasso.8 Un ruolo preminente nell’affermazione dell’impresa ebbe Giosue Carducci, che
fece il suo esordio proprio curando
per la “Diamante” le Satire e poesie
minori di Vittorio Alfieri (1858).
Numerosi furono i volumi della
fortunata collana affidati «al giovine oscuro predestinato alla
gloria»,9 tra i quali quelli di Monti,
Parini, Tassoni, Lorenzo de’ Medici, Salvator Rosa, Gabriele Rossetti
e Cino da Pistoia.10 Per tutta la sua
durata la “Collezione diamante” si
propose di «restituire alla cultura
italiana fondamento e tradizione,
diffondendo quegli autori sui quali
si intendeva solidamente basare
una cultura nazionale autorevole e
unitaria».11 Le entrate finanziarie
garantite dal successo della collana
permisero a Barbèra, sempre alla
ricerca di miglioramenti tecnici, di
rinnovare la propria ditta dal punto
di vista tecnologico.
Tra il 1858 e il 1859 la tipografia fiorentina pubblicò la “Biblioteca civile dell’Italiano”, collezione di cui si fecero editori Cosimo Ridolfi, Bettino Ricasoli, Ubaldino Peruzzi, Tommaso Corsi,
Leopoldo Cempini e Celestino
Bianchi, e che ospitò al suo interno
l’opuscolo Toscana e Austria: «Era
scritto da Celestino Bianchi, ma
ispirato dagli uomini suddetti, i
quali sottoscrissero l’opuscolo, a fine di rendersi solidali tutti quanti
dirimpetto alla legge sulla stampa,
nel caso che il Governo volesse perseguitare un libro, che altro scopo
non aveva che di propugnare l’indipendenza dello Stato, e di mostrare
appunto i danni, che a questa indipendenza erano provenuti per la
preponderanza dell’Austria in Italia e per la occupazione austriaca in
toscana nel 1849 e negli anni successivi».12 Il libretto uscì il 22 marzo 1859, nonostante un precedente
53
sequestro e una perquisizione della
stamperia nella notte del 17 marzo.
Il 30 aprile 1860 la società di
Gaspero Barbèra con i fratelli
Bianchi si sciolse e la stamperia assunse la denominazione “Ditta G.
Barbèra”.
La linea editoriale tenuta fino
a quel momento proseguì. Tra le significative pubblicazioni del periodo conservate presso la Biblioteca
di via Senato l’opuscolo La Camorra. Notizie storiche raccolte e documentate di Marc Monnier (1862) e
Agli elettori. Lettera di Massimo
D’Azeglio (1865), «un vero e proprio catechismo del cittadino elettore in uno Stato costituzionale, e
più specialmente in uno Stato in recentissima formazione, com’era allora il Regno d’Italia».13
Accanto ai testi di carattere
politico e letterario, continuarono
a trovare spazio quelli scolastici:
54
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
vocabolari, traduzioni, libri di storia, di geografia e non solo. All’interno della “Collezione scolastica”,
nata nel 1856, fu ad esempio edita
La divina commedia di Dante Alighieri col comento di Raffaele Andreoli
(1870), definito «il più bel commento moderno che si avesse»;14
mentre nella “Nuova collezione
scolastica”, iniziata nel 1867, uscirono nel 1868 le Prose scelte di Galileo Galilei a mostrare il metodo di lui,
la dottrina, lo stile; ordinate e annotate
ad uso delle scuole dal professore Augusto Conti deputato.
Ritratto di Ludovico Ariosto
all’antiporta dell’Orlando furioso
apparso nel 1858 nella “Collezione
diamante”
ma edizione con circa 30.000 copie
vendute.
Nello stesso 1873 iniziò per
Gaspero Barbèra, colpito da paralisi progressiva, un lento declino.
Sempre più ostacolato nel proprio
lavoro dalla malattia e sempre più
pessimista nei confronti della situazione culturale ed editoriale italiana, il tenace tipografo torinese si
spense a Firenze il 13 marzo 1880.
L’eredità paterna venne raccolta
dai figli Piero e Luigi che, alla morte di Gaspero, assunsero la direzione della casa editrice.
Tra le pubblicazioni di maggior successo degli anni Settanta è
invece da ricordare Spagna di Edmondo De Amicis che, uscita nel
1873, giunse nel 1904 alla dodicesi-
NOTE
1
Ho ripercorso la storia dell’attività di
Gaspero Barbèra basandomi su alcuni dei
numerosi esemplari, recanti l’impresa della
rosa con l’ape, conservati sugli scaffali della
BvS. Seppur passibile di integrazioni, la cospicua presenza dei lavori del tipografo torinese presso la nostra Biblioteca sottolinea il
ruolo di primo piano ricoperto da Barbèra
nella storia dell’editoria italiana.
2
P. BARBÈRA, Quaderni di memorie stampati «ad usum Delphini», Firenze, Barbèra,
1921, p. 401.
3
Cfr. DBI 6, pp. 153-155.
4
G. BARBÈRA, Memorie di un editore
1818-1880, Firenze, Barbèra, 1954, p. 103.
5
Ibi, p. 114.
6
N. TOMMASEO, Il supplizio d’un Italiano in
Corfù, Firenze, Barbèra, Bianchi e Comp. tipografi editori, 1855, p. V.
7
G. BARBÈRA, Memorie di un editore
1818-1880, p. 127.
8
La “Collezione diamante” è conservata
per intero presso la BvS. Cfr. M. PARENTI, Una
celebre collezioncina minuscola, in ID., Rarità bibliografiche dell’Ottocento. Materiali e
pretesti per una storia della tipografia italiana nel secolo decimonono, vol. I, Firenze,
Sansoni antiquariato, 1953, pp. 37-62.
9
Annali bibliografici e catalogo ragio-
nato delle edizioni Barbèra, Bianchi e C., e di
G. Barbèra; con elenco di libri, opuscoli e periodici stampati per commissione (18541880), Firenze, Barbèra, 1904, p. 26.
10
Cfr. M.M. CAPPELLINI, A. CECCONI, P.F. IACUZZI, La rosa dei Barbèra. Editori a Firenze
dal Risorgimento ai Codici di Leonardo, a cura di C.I. Salviati, Firenze, Giunti, 2012, pp.
36-43.
11
Ibi, p. 37.
12
G. BARBÈRA, Memorie di un editore
1818-1880, p. 152.
13
Annali bibliografici…, p. 182.
14
Ibi , p. 301.
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
55
BvS: Emeroteca
Il Don Pirlone giornale
di caricature politiche
La satira come libera manifestazione del pensiero nel 1848-49
VALENTINA CONTI
«P
resentandomi la prima volta a voi, lettori
carissimi quanti siete
e sarete, uomini e donne, d’ogni
condizione, d’ogni età, d’ogni capacità, d’ogni colore, è troppo giusto che io vi dica come sono venuto
al mondo giornalistico, perché mi
chiami così, come la pensi. Sono
venuto in luce perché m’hanno
stampato, m’hanno stampato perché, dopo avermi scritto, m’hanno
messo in torchio, m’hanno scritto
perché ne hanno avuto voglia. La
libertà individuale è garantita! (Vedi lo Statuto Fondamentale)».1
Così “Il Don Pirlone” si presentò ai suoi lettori venerdì 1 settembre 1848.
Si trattava di un giornale satirico stampato quotidianamente,
eccetto le feste, formato da 4 pagine
con numerazione progressiva dal
Caricatura apparsa su “Il Don
Pirlone” del 14 dicembre 1848.
Il Papa è ironicamente rappresentato
con sembianze di un pappagallo
in gabbia che ripete ciò che dice
Pulcinella. Sul fondo è presente
un rivoluzionario, riconoscibile dal
berretto frigio, che regge un orologio
e il fuoco per accendere un cannone
primo numero in poi e venduto a
Palazzo Bonaccorsi a Roma al costo
di 2 bajocchi durante il periodo della rivoluzione del 1848-49.
In quegli anni l’Europa era
scossa da lotte liberali e nazionali e
nella penisola italica l’elezione di Pio
IX al soglio pontificio, datata 16 giugno 1846, aveva scatenato un grande
entusiasmo tra i sudditi che videro
nel nuovo Papa un loro possibile alleato nelle rivendicazioni democratiche, speranza che presto risultò vana.
Tra il 1847 e il 1849 ci fu un
notevole sviluppo del libero giornalismo d’opinione anche grazie
allo Statuto Fondamentale, concesso da Pio IX il 14 marzo 1848,
che concedeva a qualsiasi cittadino
la possibilità di pubblicare, purché
in possesso di determinati requisiti
e soggetto alla supervisione di un
direttore responsabile. Nacquero
così diverse testate umoristico-satiriche, tra le quali una delle più famose fu proprio “Il Don Pirlone”,
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
57
Nella pagina accanto: “Il Don Pirlone
giornale di caricature politiche”,
Anno 1 N. 1. Logo del quotidiano dal
1 settembre 1848 al 21 marzo 1849.
Qui a destra dall’alto: caricatura del 23
febbraio 1849 in cui è particolarmente
evidente lo spirito anticlericale
del giornale. Il Papa, con un cavolo
al posto della testa, riscrive il Vangelo
al contrario, mentre altri canonici
giocano a palla col suo cranio.
In ogni illustrazione riferita a Pio IX
appare la scritta Gaeta per ricordare
la fuga del Pontefice.
presentato da Michelangelo Pinto
(1818-1910), fondatore e direttore
della testata, con queste parole:
«Videro gli uomini coscienziosi e
assennati la gravezza del male, e avvisarono prontamente al rimedio
[…] un giornale di caricature politiche, che per antinomia si chiamò
“Il Don Pirlone”, surse all’uopo;
stimatizzò colla sferza del ridicolo i
volti simulati e bugiardi, e la maschera cadde. Fu breve lotta e mortale. Squarciato il misterioso velo,
vide la plebe per la prima volta l’idolo senza la tunica protettrice, ne
scorse i piedi d’argilla e coll’alito lo
rovesciò dal piedistallo gemmato: i
fulmini che scagliavano cadendo, si
spuntarono contro il freddo sarcasmo, sì ch’ei restò senza prestigio e
senz’armi. Sotto i ripetuti colpi del
ridicolo caddero così gl’inveterati
abusi, gli esosi privilegi, le false
dottrine. […] E perché edotti dalla
esperienza sappiamo qual profonda
traccia lascino nell’anima umana
gl’incancellabili colpi del ridicolo,
prendemmo col titolo di “Don Pirlone” il pensiero e lo spirito della
caricatura politica onde lovossi a
popolare celebrità il giornale che
portò in Roma un tal nome. Mentre
per altro, secondati dall’opera di
valenti artisti, miriamo nelle incisioni a percuotere con l’ironia e col
sarcasmo il vizio, l’ipocrisia, la
menzogna, la viltà, il tradimento,
imprendiamo con gravi parola a
svolgere le cause e gli effetti che
provocarono e seguirono le sciagure e le glorie avvicendatesi in breve
ora in Italia. Fedeli saranno sempre
i racconti, dolorose spesso le riflessioni, severi talvolta i giudizi, ingiusti mai».2
La testata fu realizzata dalle
penne dei giornalisti più liberali del
quotidiano “L’Epoca” e divenne famosa sia per la sua satira dissacrante, sia per le grandi tavole silografate, presenti in ogni numero, che
ironizzavano sui personaggi dell’epoca e sull’indecisione politica dei
regnanti, sempre accompagnate da
intollerante spirito anticlericale.
A metà dell’Ottocento la caricatura divenne uno strumento di
lotta politica; ma in Italia non è
possibile annoverare nomi di grandi disegnatori come Daumier,
Grandville e Cham «non già perché mancassero nobili artisti in
quell’epoca, ma perché la società
italiana non aveva forma e costumi
così definiti e propri da poter generare un artista che quei costumi riprovasse e dileggiasse».3
Il titolo “Il Don Pirlone”, che
in romanesco significa “perdigiorno”, “scioperato piantagrane”, fu
scelto per estrazione casuale, come
spiegato nel primo numero del quotidiano: «scriva ciascuno in una
scheda il nome, che vuole imporre al
neopartorito: si pongano le schede
entro un cappello (è inutile avverta
che non v’era un’urna) la prima scheda partorita deciderà». Fu così che il
nuovo quotidiano prese il nome da
una maschera ideata nel 1711 dallo
scrittore satirico Girolamo Gigli
(1660-1772) a Siena come personificazione dell’ottuso benpensante,
raffigurato quasi completamente
nascosto da un cappello con la falda
larga e da un lungo mantello gonfiato dal vento, il cui motto era “intendemi chi può, ch’i m’intend’io”.
Il quotidiano a Roma ebbe
un’enorme diffusione, raggiungen-
58
do i 1200 abbonati, ma nonostante il
successo ottenuto, gli autori degli
articoli e delle grandi caricature restarono sempre anonimi per timore
di ripercussioni.
Uno dei più acerrimi oppositori del giornale fu Pellegrino Rossi,
ministro dell’Interno del governo
pontificio, che tentò più volte di farlo chiudere; in particolare il 3 ottobre 1848 provò a censurarlo inviando una notificazione al Consiglio.
Ne scaturì un clima di tensioni e polemica che si placò solo con l’assassinio del ministro avvenuto il 15 novembre dello stesso anno. “L’Epoca” diede notizia dell’omicidio, non
giustificandolo, ma ricordando tra le
colpe del defunto il suo accanimento
contro “Il Don Pirlone” e svelando
come avesse corrotto «i giudici perchè si pronunziassero contro quello
di un’assurda condanna a schiacciare
il coraggio sommo civile addimostrato e si ponea la prima pietra di
schiavitù sulla libera manifestazione
del pensiero».
Il 22 marzo del 1849 “Il Don
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
Nuova illustrazione della testata del
quotidiano a partire dal 22 marzo 1849
Pirlone” mutò la sua veste grafica,
al posto del borghese con cappello
e mantello, apparve un rivoluzionario seduto alla scrivania con in
mano una penna d’oca, con la cartina dell’Italia appesa al muro e un
diavolo nero che gli sussurrava al-
l’orecchio i fatti che sarebbero avvenuti: «Ecco ho finalmente gittato il mantello, e vedete là per terra il
mio ampio cappellaccio. Ora è
tempo di svestire gli abiti antichi e
logori, ora è tempo di porsi sul capo
il frigio berretto.4 […] La guerra
dell’Austria è dichiarata e D. Pirlone quantunque prima gli paresse
aver tutto il coraggio tuttavia sente
in questo momento che ne ha più
ancora di prima». Tale cambiamento avvenne dopo la fuga del Papa a Gaeta, ospite di Ferdinando II,
evento che fu motivo di sberleffo
ricorrente nelle pagine e nelle illustrazioni del giornale, e in seguito
alla nascita della Repubblica Romana (9 febbraio 1849).
Solo pochi mesi dopo, il 2 luglio 1849, “Il Don Pirlone” pubblicò il suo ultimo numero, in concomitanza con l’arrivo delle truppe
francesi a Roma, ma il suo successo
fu tale che, a distanza di anni dalla
sua chiusura, ispirò due nuove testate: “Il Don Pirlone figlio: vero
tribuno del popolo”5 del 1870 e il
“Don Pirloncino” del 1872.
Presso la Biblioteca di via Senato è presente una raccolta completa dei fascicoli del quotidiano “Il
Don Pirlone” dal numero 1 del 1
settembre 1848 al numero 234 datato 2 luglio 1849.
Ogni pubblicazione si apriva
con un intervento di Don Pirlone
che, parlando in prima persona,
spiegava gli ultimi accadimenti inerenti alla storia di un’Italia in divenire. Continuava in seconda pagina
con articoli di cronaca, solitamente
riguardanti l’Austria e la Germania, letti sempre in chiave ironica e,
dopo la pagina dedicata alla caricatura, si chiudeva il giornale con ipotetici interventi di personaggi reali
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
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Nella pagina accanto: illustrazione
ironica della presa di Malghera
«la presa non fu colle armi,
ma col Dagherrotipo».
Qui a destra dall’alto: «Cara Italia
non è tempo di dormire. Svegliati
sollevati in massa. Non dare ascolto
alle arti della diplomazia che ti siede
accanto mascherata, e che si studia
colla sua diabolica melodia di farti
proseguire nel sonno in cui sei stata
immersa finora», “Il Don Pirlone”
2 aprile 1849.
«Con Alberto che fugge perseguitato
dai spettri sacrificati nelle tre
infamissime ere dei suoi tradimenti
nel 1821 nel 1831 e nel 1848»,
“Il Don Pirlone” 1 giugno 1849
o inventati, oppure in alternativa,
con una puntata di un romanzo storico. Spesso sull’ultima carta si leggeva anche la spiegazione dell’illustrazione. Nell’ultimo numero del
“Don Pirlone” non c’erano cenni alla sua chiusura, anzi il romanzo storico prevedeva una continuazione.
In tutte le pubblicazioni lo
spirito sagace e satirico del quotidiano non risparmiò mai nessuno, a
prescindere dalla carica che ricoprisse; il giornale rappresentò un
importante esempio di libertà di
stampa e di pensiero rispettando
sempre la filosofia che si impose nel
primo numero: «Vi debbo dir ora
come la pensi. Vi sbrigo in tre parole: come mi pare».
NOTE
1
Lo Statuto Fondamentale fu concesso
da Pio IX il 14 marzo 1848 per regolamentare la legge sulla stampa.
2
MICHELANGELO PINTO, Don Pirlone a Roma. Memorie di un Italiano dal 1 settembre
1848 al 31 dicembre 1849, Torino, Stabili-
mento Tip. Di Alessandro Fontana, 1850, p.
IX.
3
LUIGI LONGANESI, in A. BATOLI, Roma in selci, Roma, L’Italiano Editore, 1934.
4
Copricapo a cui si attribuisce significato di libertà e rivoluzione.
5
“Scialbo settimanale di propaganda
elettorale pubblicato dai fratelli Catufi. Il
giornale divenne un foglio satirico fortemente anticlericale teoricamente legato alla sinistra ma portato a colpire le persone
piuttosto che le idee. Sovente molto scandalistico”. DBI XXIV, p.391.
60
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
61
BvS: il Fondo di Fantascienza
Capitan Salgari al timone
di un periodico genovese
Il maestro dell’avventura e la rivista “Per Terra e per Mare”
PAOLA MARIA FARINA
«S
crivere è viaggiare senza la seccatura dei bagagli». Questo sosteneva il “capitano” Emilio Salgari
(Verona, 21 agosto 1862 – Torino,
25 aprile 1911) che tanti lettori ha
fatto volare con la fantasia attraverso racconti dalle ambientazioni
esotiche e dalle trame avventurose;
proprio lui che, nonostante l’appellativo che si diede, durante la sua vita non fu gran viaggiatore, ma si limitò a sognare e inventare storie in
terre lontane coltivando così la
propria passione per il mare.1
Salgari diede testimonianza
del suo amore per l’avventura anche
tramite la sua attività di giornalista e
redattore, dapprima, tra il 1884 e il
1893,2 per il quotidiano veneto “L’Arena” e successivamente sulle pagine
del settimanale “Per Terra e per Mare”, edito a Genova da Anton Donath tra il 1904 e il 1906 sotto la direzione dello stesso Autore veronese
(la rivista si conserva presso la Biblioteca di via Senato).
La presenza di Emilio Salgari
nella città ligure è attestata stabilmente dal 1898,3 quando lo scrittore
prese alloggio con la famiglia a Sampierdarena presso Casa Rebora in via
Vittorio Emanuele n. 29, consolidando così i rapporti d’affari con l’e-
un’incognita per gli studiosi a causa
della scarsità di documenti che ne attestino i dati biografici.4 Fu attivo in
Italia sin dal 1886 circa, editore e libraio a Genova in via Luccoli, con
una predilezione verso la letteratura
per ragazzi;5 pubblicò, tra l’altro, una
delle prime traduzioni di Viaggio in
Italia di Goethe e, oltre a distribuire
testi in lingua inglese e traduzioni
soprattutto dal tedesco, «vendeva
grammatiche, dizionari, guide per i
viaggiatori, classici, romanzi moderni e […] quei libri d’avventura che intrigavano i ragazzi, le giovani signore e gli adulti che amavano le letture
d’evasione».6
Nella pagina accanto: “Per Terra
e per Mare”, Anno II, n. 17:
il numero contiene il racconto
I Giganti dell’America del Sud
che Emilio Salgari firmò con uno
pseudonimo (S. Romero).
Sopra: pagina che presenta la rubrica
dedicata alle biografie di importanti
viaggiatori (Anno II, n. 9)
ditore genovese, che diede alle stampe in quell’anno Il Corsaro Nero, primo romanzo del ciclo antillano.
Nato a Berlino nel 1857, Donath ha costituito per lungo tempo
Donath fu, di fatto, il primo a
comprendere le potenzialità di Salgari e dei suoi personaggi tanto che
arrivò a firmare con il romanziere
un contratto in esclusiva con cui si
garantiva il lavoro continuativo
dello scrittore in cambio di uno stipendio mensile fisso.7 Con tale editore Salgari pubblicò più di trenta
romanzi e, dal 1899, curò la collana
“Biblioteca Economica Illustrata
per la Gioventù”, ma soprattutto
diresse, anche dopo il rientro a Torino, il settimanale “Per Terra e per
Mare” (1904-1906), pattuendo un
62
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
A sinistra: la rivista di Salgari non
manca di un certo spirito umoristico,
che viene talvolta espresso attraverso
curiose vignette; l’illustratore Guido
Petrai tratteggia ironicamente
la figura del moderno cavaliere
(Anno II, n. 2).
Sopra: un articolo illustrato
su un particolare tipo di farfalla:
tra gli argomenti cui sono dedicate
molte pagine del settimanale vi sono,
infatti, quelli a carattere scientifico
sugli animali (Anno II, n. 34)
aumento del compenso pari a mille
lire annue.
La testata diretta dall’Autore
si inseriva all’interno di quella nuova tendenza culturale tale per cui in
tutto il Paese gli editori andavano
cercando proposte letterarie innovative che guardassero soprattutto
alle produzioni francesi e inglesi a
carattere avventuroso; tale genere,
infatti, iniziava proprio allora a destare un nascente interesse anche
tra i giovani italiani, destinatari privilegiati dei molti nuovi periodici
popolari.8
Il primo numero di “Per Terra
e per Mare. Giornale di avventure e
di viaggi” uscì all’inizio del 1904 e
presentava otto pagine con il testo
distribuito su colonne e accompagnato da immagini in bianco e nero, al costo di dieci centesimi a co-
pia. Il nome della testata appariva
sulla prima pagina a grandi lettere
in stile Art Nouveau e al di sotto era
ben leggibile la dicitura “diretto dal
Capitano Cavaliere Emilio Salgari”. A partire dal numero 19 il titolo
venne modificato in “Per Terra e
per Mare. Avventure e viaggi illustrati. Scienza popolare e letture
amene”, seguito dall’indicazione
“giornale per tutti” scritta con caratteri quasi urlanti.
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
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Sopra: grande fotografia
che accompagna la descrizione
della nave “Sardegna” (Anno II,
n. 46): molti sono gli articoli
di “Per Terra e per Mare” dedicati
a flotte navali, imbarcazioni,
sia civili sia militari, e armi da guerra.
A destra: due illustrazioni a corredo
di un lungo articolo sui pesci
(Anno II, n. 39)
Fin dal numero 1, in cui ben sei
delle otto pagine erano occupate
dalla prima puntata di un romanzo
di Salgari (Jolanda, la figlia del Corsaro Nero), fu chiara l’anima autenticamente avventurosa del periodico;
del resto, i fascicoli successivi, stampati dai Fratelli Armanino, non fecero che confermare, sia graficamente sia contenutisticamente,
l’impostazione del numero d’esordio. Salgari «estendeva la sua pre-
senza a quasi tutte le pagine del periodico»9 con articoli, bozzetti e racconti, sia lunghi sia brevi, che spesso
firmava con pseudonimi che i ricercatori hanno cercato di svelare: Felice Pozzo afferma che «sulla base di
riscontri precisi è […] possibile attribuire a Salgari gli pseudonimi di
H. Barry, W. Churchill, Capitano
Weill, Cap. J. Wilson, Massa, R.
Hornill e Cap. G. Wattling».10
Alla luce di questi dati, tra i
pezzi apparsi su “Per Terra e per
Mare” tra il 1904 e il 1905, sono riconducibili alla penna salgariana:
La pesca dei tonni (Anno I, n. 11), In
mezzo all’Atlantico (Anno I, n. 16),
Un tragico naufragio (Anno I, n. 18),
I banditi della Manciuria (Anno I, n.
23), I pescatori dello stretto di Behering (Anno I, n. 24), Gli orrori della
fame nell’India (Anno I, n. 26), Nella
pampa (Anno I, nn. 27-28), Le grandi emigrazioni delle cavallette (Anno
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la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
È evidente quanto impegnativo potesse essere in questa impresa editoriale il compito affidato
a Salgari, il quale, in qualità di direttore, si doveva occupare anche
della revisione e correzione dei testi, oltre che della coordinazione
dei vari redattori.
Accanto ai testi narrativi d’avventura, di fantascienza e polizieschi, il periodico proponeva ai suoi
lettori anche rubriche a carattere
scientifico, naturalistico e geografico, con notizie e curiosità (nella
sezione “Varietas”) che arricchivano e completavano le pagine, facendo da supporto ai racconti. A
perfezionare l’identità della rivista
contribuivano, dunque, in maniera
sostanziale, anche i numerosi articoli sulla pesca, il mare, le armi, le
navi, i sottomarini, insieme agli approfondimenti biografici sui più
grandi viaggiatori della storia.
Da quanto emerge, si può osservare come il forte elemento unificatore, simbolo riassuntivo della
storia della testata, possa essere considerato il mare, che, da una parte,
svolgeva una funzione narrativa
fondamentale nei testi e, dall’altra,
fu oggetto dei moltissimi articoli di
approfondimento. Attraverso Salgari e i suoi racconti esotici «il mare,
agitato o calmo che sia, entra nell’immaginario dei giovani lettori»,12
offrendo lo scenario perfetto per avventure e peripezie in luoghi lontani
e sconosciuti.
Se il ruolo dei lettori era piuttosto marginale (raramente, infatti,
ne venivano pubblicate le lettere),
ben più rilevante era il ruolo degli
illustratori e dei fotografi che collaboravano con la testata; gli articoli,
infatti, erano accompagnati da numerose immagini e vignette in
bianco e nero che occupavano un
posto importante sulle pagine della
rivista. Tra i disegnatori chiamati a
illustrare i racconti di “Per Terra e
per Mare” c’erano Alberto della
Valle (soprattutto per i testi salgariani), Arnaldo Tanghetti, Carlo
Tallone, Yambo e Guido Petrai; accanto ai loro disegni, le fotografie
erano utilizzate per integrare «i testi di carattere geografico e scientifico e quelli che presentavano le navi delle varie marine nazionali».13
Nel giugno del 1906 Salgari,
dopo aver firmato un contratto con
l’editore fiorentino Bemporad, lasciò la direzione del settimanale genovese che, senza il suo principale
ispiratore, sopravvisse solo pochi
numeri per poi chiudere definitivamente le pubblicazioni.
NOTE
1
L’unica esperienza marinara documentata fu un viaggio di tre mesi su un mercantile lungo la rotta Venezia - Brindisi.
2
Gli articoli salgariani per il quotidiano
veronese sono raccolti in EMILIO SALGARI, Una
tigre in redazione. Le pagine sconosciute di
un giornalista d’eccezione, a cura di Silvino
Gonzato, Roma, Minimum Fax, 2011.
3
Vi rimase per due anni, fino al 1900.
4
FELICE POZZO, L’editore Anton Donath.
Aggiornamento delle scoperte, in “La Berio”,
n. 2-luglio/dicembre 2010, p. 56.
5
MATTEO LO PRESTI, Salgàri a Genova, in
“Arte e Cultura”, n. 4-2011, p. 27 (versione
online http://www.gruppocarige.it/gruppo/html/ita/arte-cultura/la-casana/2011_4/pdf/26-29.pdf; controllato il 410-2012).
6
CLAUDIO GALLO, Le avventure immaginarie di Emilio Salgari, in EMILIO SALGARI, Per terra e per mare. Avventure immaginarie, Torino, Nino Aragno editore, 2004, p. 10.
7
Ibi, pp. 56-58; vedi anche PIER LUIGI
GARDELLA, La fortuna di Salgari e l’editore genovese, in “Il Giornale”, 9-08-2011 (versione
online http://www.ilgiornale.it/news/fortuna-salgari-e-l-editore-genovese.html;
controllato il 4-10-2012).
8
C. GALLO, Le avventure immaginarie di
Emilio Salgari, p. 12.
9
Ibi, p. 16.
10
Ibi, p. 20.
11
Ibi, pp. 26-28 e, per uno spoglio completo della rivista, pp. 299-315.
12
ALBERTO CADIOLI, Montagne d’acqua e
meduse trasparenti, in Amici di carta. Viaggio nella letteratura per i ragazzi, a cura di
Ludovica Braida, Alberto Cadioli, Antonello
Negri, Giovanna Rosa, Milano, Università
degli Studi di Milano-Skira, 2007, p. 80.
13
Ibi, p. 17.
I, n. 31), I giganti dell’America del
Sud (Anno II, n. 17), Il castello degli
spiriti (Anno II, n. 25), I lottatori
giapponesi (Anno II, n. 31), L’intelligenza dei pappagalli (Anno II, n. 34),
Un dramma nell’arcipelago greco
(Anno II, n. 40) e La costruzione delle
piramidi (Anno III, n. 3).11
Questa esperienza giornalistica di un autore come Emilio Salgari, sebbene breve e poco conosciuta, rappresenta un tassello prezioso per completare il ritratto dell’iniziatore del genere avventuroso
nel nostro Paese; grazie alle sue parole sulle pagine di un periodico
popolare, giovani e meno giovani,
da Nord a Sud, hanno sognato di
viaggiare “Per Terra e per Mare”
guidati da un Capitano davvero
speciale.
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
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BvS: il Fondo Impresa
Cinecittà: la fabbrica dei sogni
compie 75 anni
Storia del più importante centro di produzione cinematografica
GIACOMO CORVAGLIA
S
ono trascorsi settantacinque
anni dal primo film prodotto
a Cinecittà. Dopo una serie
di lungometraggi che avevano fatto
conoscere la cinematografia italiana nel mondo, negli anni venti l’industria cinematografica italiana
entrò in crisi venendo messa in ombra sia dalla cinematografia americana che da quella tedesca. Così nel
1931 il regime, che sosteneva fortemente l’importanza del cinema come strumento di propaganda, varò
una legge tendente a penalizzare le
importazioni e a stimolare la produzione nazionale.
A raccontare questo periodo
storico è il libro scritto da Francesco Savio, curato da Tullio Kezich e
edito nel 1979 in tre volumi da Bulzoni Editore Cinecittà anni trenta.
Parlano 116 protagonisti del secondo
cinema italiano. Così recita la nota
di copertina: «Nei tre volumi di Cinecittà anni trenta sono raccolte le
116 interviste che Francesco Savio
realizzò fra il ’73 e il ’74 con altrettanti protagonisti del cinema italiano sotto il fascismo. Nella fedelissi-
A destra: mappa propagandistica
di Cinecittà. Sopra: copertina
di Almanacco Bompiani 1980
ma trascrizione dai nastri, ne è uscita una vera e propria commedia
umana dove attraverso testimonianze di prima mano si evocano
splendori e miserie di un periodo
sempre al centro dell’interesse degli storici. Per l’importanza, la vastità e l’originalità dei suoi contributi all’analisi del ventennio, Cinecittà anni trenta si colloca come un
libro indispensabile nell’ambito
degli studi cinematografici, una vera e propria pietra miliare. Ma è anche un libro che si può leggere come il grande romanzo di un’epoca,
66
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
Sopra da sinistra: disegno di Federico Fellini per La strada, Giulietta Masina; disegno di Federico Fellini per La Dolce
vita, Anita Ekberg
scritto in presa diretta da un animatore incuriosito e partecipe, ironico e stimolante».
Nel 1934 Luigi Freddi venne
incaricato di costituire una “Direzione generale della cinematografia”, finalizzata al controllo ideologico, ma anche alla promozione del
mezzo. Freddi, che in occasione di
un viaggio negli Stati Uniti d’America si era appassionato agli aspetti
produttivi della cinematografia
americana, si impegnò nella promozione del cinema nazionale. Fra
le iniziative della Direzione della
cinematografia ci fu la costituzione
dell’Ente Nazionale Industrie Cinematografiche (ENIC), nel cui
ambito nacque Cinecittà, i cui studi
dovevano rappresentare l’industria
propagandistica e cinematografica
del paese. Venne individuata lungo
la via Tuscolana un’area di circa
500.000 metri quadrati dove realizzare la nuova città del cinema. I lavori ebbero inizio il 26 gennaio
1936 con la posa della prima pietra
e dopo soli quindici mesi, il 28 aprile 1937, Mussolini inaugurò i nuovi
stabilimenti. Oltre ad essi venne
prevista la creazione di un centro
industriale cinematografico inte-
grato che comprendeva stabilimenti di sviluppo, stampa e montaggio, la nuova sede dell’Istituto
Luce e quella del Centro Sperimentale di Cinematografia.
Nel 1937 vi furono prodotti
19 film fra i quali Il feroce saladino di
Mario Bonnard, ispirato all’omonimo e famosissimo concorso di figurine bandito dalla Perugina. Nel
1940 furono girati 48 film, nel 1942
59 film, nel 1943 la produzione di
pellicole crollò a 25 a causa della
guerra e dal settembre del ‘43 il cinema fascista si trasferì a Venezia
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
67
nei padiglioni della Biennale. Negli
ultimi due anni di guerra, gli stabilimenti di Cinecittà vennero prima
occupati dai nazisti che li utilizzarono come luogo di concentramento di civili rastrellati nei dintorni di
Roma, poi, dopo la liberazione della città, furono adibiti a ricovero
per gli sfollati. Questo periodo storico ci viene raccontato nel volume
Cinecittà 1. Industria e mercato nel cinema italiano tra le due guerre a cura
di Riccardo Redi e Claudio Camerini ed edito da Marsilio Editore
nel 1985 in occasione della IV Rassegna Internazionale Retrospettiva
tenuta ad Ancona nel 1985. Nel
1947 venne girato nei suoi studi il
primo film del dopoguerra: Cuore
di Duilio Coletti ma è negli anni
cinquanta, con le produzioni americane, i cosidetti kolossal, come Quo
vadis? e Ben Hur che avvenne l’esplosione di Cinecittà. Tale boom
ebbe origine dalla competitività
economica degli studi romani,
chiamati in seguito anche “la
Hollywood sul Tevere”.
Il successo delle produzioni
americane introdusse nella società
romana degli anni ‘50 nuovi fenomeni di costume quali il divismo e
l’avvento dei fotografi invadenti
più noti con il termine di “paparazzi”. La dolce vita è il film simbolo di
questo periodo. Cinecittà divenne
in quegli anni un mito, un Eldorado
per belle ragazze e giovani attori in
cerca di popolarità. Interessante in
questo contesto il volume edito da
Arnoldo Mondadori Editore nel
1988, Un regista a Cinecittà di Federico Fellini. Il regista racconta la
sua prima volta in cui sentì parlare
di Cinecittà: «Proprio in un cine-
Disegno di Federico Fellini per La Dolce vita, Marcello Mastroianni
giornale ho sentito per la prima
volta quel nome: Cinecittà. Che
anno era? Il 1936? Il 1937? Nelle
immagini in bianco e nero si vedeva
Mussolini attraversare un terreno
che pareva un cantiere, tutto disseminato da baracche grandi come
hangars, e capannoni più alti di
quelli dei mercati generali. Procedeva a passo energico, remigando
con le braccia, lungo viali desolati
seguito da un codazzo di gerarchi
fascisti in divisa, che facevano a gara nel fingere di stentare a tenergli
dietro: “Il duce ha inaugurato gli
stabilimenti cinematografici di Cinecittà. L’Italia ha finalmente un
proprio complesso per la realizzazione di film…”, recitava stentorea
la voce dello speacher» e prosegue
raccontando la prima volta a Cinecittà: «La prima volta che entrai a
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la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
Sopra da sinistra: copertina di Cinecittà anni trenta. Parlano 116 protagonisti del
secondo cinema italiano; copertina di Cinecittà 1. Industria e mercato nel cinema
italiano tra le due guerre
Cinecittà, che anno era? Il 1938, Il
1939? Facevo il giornalista e il direttore del giornale, che era un sarto e teneva sempre degli aghi fra i
denti anche quando parlava ed era
tutto intrico di fili, di nastri, di spilli, voleva un’ intervista con l’attore
Osvaldo Valenti. Così quella mattina andai a Cinecittà. Fingevo una
gran disinvoltura, come Fred MacMurray nei film dove faceva il giornalista, ma in realtà ero molto intimidito e rimasi sotto il sole a guardare a bocca aperta le torri, gli spalti, i cavalli, le torve palandrane, i cavalieri imbottiti di ferro e le eliche
di aeroplani in funzione che sollevavano ovunque nuvoloni di polvere; richiami, grida, trilli di fischietto, il frastuono di enormi ruote in
corsa, clamore di lance, spande,
Osvaldo Valenti in piedi su una specie di biga dalle cui ruote spuntavano affilatissime lame e le urla terro-
rizzate di una gran massa di comparse, un caos tenebroso, soffocante… ma, al di sopra di tutta quella
confusione, una voce potente, metallica, tuonava ordini che parevano verdetti: “Luce rossa gruppo A
attacchi sulla sinistra! Luce bianca
gruppo barbari retroceda in fuga!
Luce verde cavalieri e elefanti impennarsi e caricare! Gruppo E e
gruppo F rovinare al suolo! IMME-DIA-TA-MEN-TE!!!”».
L’industria cinematografica
ebbe in quegli anni una discreta rilevanza economica per la città generando un ampio indotto legato
sia alle produzioni che alla commercializzazione dei film, fatto di
comparse, artigiani, operai, tecnici
e impiegati, ma anche di impresari,
imprenditori, produttori e artisti a
caccia di occasioni.
Dalla fine degli anni ‘60, con
la crescita della televisione, la fine
delle produzioni kolossal di carattere storico e la parallela crisi dell’industria cinematografica italiana, Cinecittà perse lentamente, per
più di una ventina d’anni, il primato
tecnico e produttivo che l’aveva resa mitica.
Negli ultimi anni la privatizzazione degli stabili, gestiti da Cinecittà Studios SpA, e l’apertura di
un settore interamente dedicato alle lavorazioni in digitale hanno reso
gli studi particolarmente competitivi e i teatri di Cinecittà hanno
ospitato i set di alcune grosse produzioni. Con la fusione fra Cinecittà Holding e Istituto Luce, nel
maggio 2009 ha preso corpo la
nuova realtà Cinecittà Luce, in cui
si sintetizza il legame tra le profonde radici che risalgono al 1924, data
di fondazione dell’originario Istituto Luce. La storia di Cinecittà
viene così riassunta nell’Almanacco
Bompiani 1980. Era Cinecittà. Vita,
morte e miracoli di una fabbrica di film
a cura di Oreste Del Buono e Lietta
Tornabuoni.
Nell’introduzione, chiamata
Istruzioni per l’uso viene scritto «I
fascisti, gli americani, Fellini. Sono
loro, più che il cinema italiano, i
protagonisti veri dei quarantadue
anni di Cinecittà. Nata come
Hollywood fascista, sogno d’imitazione d’un paese povero e megalomane; distrutta dalla guerra; rinata
come una Hollywood coloniale per
i kolossal americani; abbandonata
dagli occupanti; conquistata da
Fellini che vi gira tutti i suoi film,
Cinecittà resta il più importante ed
efficiente centro di produzione cinematografico europeo, ma rischia
di sparire».
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
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BvS: nuove schede
Recenti acquisizioni della
Biblioteca di via Senato
Novità per bibliofili arricchiscono i fondi antico e moderno
Arianna Calò, Valentina Conti,
Giacomo Corvaglia, Paola Maria
Farina, Annette Popel Pozzo
e Beatrice Porchera
Audi Tradition (a cura di).
I quattro anelli. La storia della
Audi. Ingolstadt, Auto Union
GmbH, 2009.
Il volume ripercorre, attraverso numerose immagini e testo,
la storia della famosa casa automobilistica tedesca. Si parte dagli
esordi del 1899 quando fu fondata
la August Horch & C.ie, la futura
Audi, e la sua prima automobile del
1901, la Horch, sino ad arrivare ai
successi dei modelli di oggi, sinonimo di lusso e alta qualità. (G.C.)
Baretti, Giuseppe Marco Antonio (1719-1789); [Johnson, Samuel (1709-1794)].
An introduction to the Italian
language containing specimens both of
prose and verse [...] with a literal
translation and grammatical notes,
for the use of those who being already
acquainted with grammar, attempt to
learn it without a master. Londra,
Andrew Millar, 1755.
Rarissima prima edizione di
quest’opera scritta da Baretti dopo
aver lasciato l’Italia per l’Inghilterra a seguito di alcune controversie
letterarie (un Cicalamento scagliato
contro Giuseppe Bartoli) e di una
certa insoddisfazione verso l’ambiente chiuso del proprio Paese. In
Inghilterra fu subito accolto nei
circoli di Samuel Johnson e Henry
Thrale; nello stesso anno in cui
Johnson pubblicava il suo prestigioso dizionario, Baretti dava alle
stampe questa selezione di estratti
da 37 autori italiani (tra cui Castiglione, Machiavelli, Boccaccio,
Ariosto, Tasso, Michelangelo, Petrarca e altri sino ad allora sconosciuti al pubblico inglese) con relativa traduzione a fronte. Johnson
contribuì al testo scrivendo parte
della Preface e due corpose note.
Courtney & Smith, p. 73.
Chapman & Hazen, p. 139. Fleeman I, pp. 483-485. Hazen, Prefaces, pp. 12-15. (A.C.)
Basile, Giambattista (15751632).
Il Pentamerone del cavalier Giovan Battista Basile, overo Lo cunto de
li cunte trattenemiento de li peccerille
di Gian Alesio Abbattutis. Napoli,
Antonio Bulifon & Luca Antonio
Di Fusco, 1674.
Prima edizione con il titolo di
Pentamerone e prima recante il nome dell’Autore sul frontespizio. Lo
Cunto de li Cunti che è apparso postumo rappresenta il capolavoro di
Basile. “Si tratta di una raccolta di
fiabe di origine popolare, stese in
dialetto napoletano. Dal punto di
vista strutturale il B. vi riprende
uno schema boccaccesco, che però
nella sostanza, si può far risalire al
più antico modello del Libro dei
sette savi […] La narrazione è divisa
in cinque giornate (da qui l’altro titolo, successivamente imposto all’opera, di Pentamerone), ognuna
delle quali comprende dieci fiabe.
Tra una giornata e l’altra sono inserite composizioni dialogate, sul tipo delle egloghe, di cui sono protagonisti servi, cuochi e dispensieri
del palazzo principesco (anche in
questo il riferimento al Decamerone è evidente). Al posto dell’ultima
fiaba c’è la Scompetura de lo Cunto de
li Cunti, pe chiudeturade la ‘ntroduttione de li Trattenemiente (Fine della
Fiaba delle Fiabe e la Conclusione
alla introduzione dei trattenimen-
70
la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
ti). La maggior parte delle fiabe ha,
come si è detto, origine popolare: la
tradizione letteraria (visibilissima
dal punto di vista strutturale e stilistico) è minima dal punto di vista
tematico. Il B. non inventa spunti
favolistici nuovi, riservandosi di
compiere la sua parte di originale
creatore artistico attraverso la rielaborazione formale” (DBI 7, pp.
78-79).
Vinciana 3550. (A.P.P.)
Breve descrizione dei bombardamenti delle principali piazze marittime del Regno di Tunisi eseguiti dalla
squadra veneta, comandata dall’ammiraglio Emo. [S.l.], [s.n.], [dopo il
1786].
Un’unica copia censita in Italia presso la Biblioteca nazionale
Marciana; edizione assente dai
principali cataloghi internazionali.
Si tratta del resoconto dettagliato
delle operazioni di guerra condotte
in Tunisia dalla flotta veneziana
guidata dall’ammiraglio Angelo
Emo (1731-1792) con i bombardamenti della Goletta (1795), di
Fachs, di Biserta, di Susa (1796).
Su Angelo Emo, DBI 42, pp.
623-625: “Il 6 marzo 1784 fu nominato capitano straordinario della
flotta inviata contro Tunisi, che
aveva dichiarato guerra alla Repubblica per la bruciatura di una nave
veneziana carica di merci barbaresche, infetta di peste, ad opera della
Reggenza di Malta: il 5 ottobre attaccò Susa, nell’aprile 1785 ripeté
l’assalto per tre notti consecutive,
dal 15 al 17 agosto bombardò Sfax e
poi, nei giorni 1, 3, 5, 9 ottobre, avvalendosi inoltre delle famose batterie galleggianti di sua invenzione,
anche La Goletta; dopo nuovi furiosi bombardamenti su Sfax, del 6,
18, 22 marzo, 30 aprile e 4 maggio
1786, la flotta veneziana dal 30
maggio al 10 agosto attaccò Biserta
e, per la terza volta, dal 26 settembre al 6 ottobre, Susa, con gravissimi danni al porto e alle abitazioni
civili”. (A.C.)
Cadelli, Lucia.
I Mantica e Pordenone. Pordenone, Editrice Euro ‘92, [2006].
Si tratta di uno studio sulla
storia della famiglia MonterealeMantica, di cui si descrive anche il
Palazzo in Pordenone restaurato
nel corso degli anni ‘80 del XX secolo; i Mantica, di origini comasche, si stabilirono a Pordenone
agli inizi del Quattrocento e si imparentarono in seguito con i Montereale, divenendo protagonisti di
una delle stagioni di maggior
splendore della città. Arricchitisi
grazie al commercio di stoffe e spezie in Europa, i Mantica furono
grandi mecenati e promossero l’arte e la letteratura in tutta la regione,
rendendo la propria residenza luogo di incontro di artisti rinomati.
Cuore della cultura pordenonese, il
palazzo, che è stato testimone non
solo dei fasti della famiglia, ma anche di tristi avvenimenti bellici, è
stato riportato alla sua originaria
bellezza, custode della storia locale. (P.M.F.)
Cotton, Charlotte.
La fotografia come arte contemporanea. Torino, Einaudi, 2010
(Piccola Biblioteca Einaudi. Mappe 24).
Attraverso 238 riproduzioni
fotografiche a colori l’Autrice del
saggio analizza l’uso della fotografia come strumento per la creazione artistica e come forma d’arte
contemporanea in se stessa, dagli
anni ‘80 del secolo scorso a oggi. Il
percorso si articola per singole tematiche e ogni capitolo è arricchito
da illustrazioni, spesso corredate da
didascalie molto dettagliate, che
hanno la funzione di far meglio
comprendere la sensibilità estetica
e artistica che si vuole comunicare;
sono più di 170 gli artisti presentati, tra i quali compaiono non solo
nomi famosi a livello internazionale, ma anche giovani esordienti.
(P.M.F.)
Della Porta, Antonio Maria.
Saggio di osservazioni e memorie sopra le principali malattie di Como
nel 1780. Pavia, Monastero San
Salvatore, [s.d. ma 1781].
Edizione originale estremamente rara, censita dall’ICCU in
sole due copie conservate presso la
Biblioteca nazionale Braidense e la
Biblioteca comunale centrale di
Milano. Nel Saggio, dedicato al
conte Carlo di Firmian, l’Autore
lariano descrive la storia delle malattie che l’anno precedente avevano travagliato la sua patria e ne
spiega i rimedi, scegliendoli tra
quelli da lui considerati più efficaci
nella guarigione degli ammalati.
(B.P.)
Halard, François.
Hettabretz. 50th out of ordinary. Bologna, Hettabretz, 2011.
In occasione del 50esimo anniversario dalla fondazione si è voluto celebrare la storia del marchio
offrendo allo sguardo di François
Halard l’azienda, gli archivi e le
opere d’arte che arredano gli ambienti di lavoro. Ne è nato così un
libro che racconta le creazioni e
svela i luoghi di lavoro. Di questo
ottobre 2012 – la Biblioteca di via Senato Milano
volume sono state tirate 1313 copie
numerate. (G.C.)
Longoni, Alberto (1921-1991).
Beppe il pescatore. [Milano],
Giorgio Lucini, 1967 (stampa 1968).
Esemplare n. 163/250 di un’edizione limitata con contenitore a
cartelletta fuori commercio disegnata appositamente da Alberto
Longoni per gli amici di Giorgio
Lucini.
La narrazione è una favola
ambientata nei dintorni del piccolo
paese piemontese di Crodo, interamente raccontata attraverso immagini: l’edizione contiene [13] carte
di tavola contenenti altrettanti disegni dell’eclettico artista Alberto
Longoni. (V.C.)
Maggiali, Giuseppe.
Ragguaglio delle nozze delle
maestà di Filippo Quinto, e di Elisabetta Farnese nata principessa di Parma re cattolici delle Spagne solennemente celebrate in Parma l’anno
1714., ed ivi benedette dall’eminentissimo sig. cardinale di S. Chiesa Ulisse
Giuseppe Gozzadini Legato a latere
del sommo pontefice Clemente Undecimo. Parma, Stamperia di S.A.S. di
Parma, 1717.
Antiporta allegorica incisa da
Giovanni Battista Sintes su disegno
di Ilario Spolverini (datata 1718) e
5 tavole ripiegate tra l’altro raffiguranti “L’entrata della processione
trionfale” incisa da Theodor Verkruys (fl. 1707-1739), e datata
1716, su disegno di Ilario Spolverini (640x995 mm). Il disegno originale di Spolverini è conservato
presso il British Museum. Prima
edizione di un rinomato “festival
book” del barocco italiano. L’edizione, nota per il suo apparato illu-
strativo, descrive le nozze di Filippo V (1683-1746), re di Spagna,
con Elisabetta Farnese (16921766), celebrate nel 1714 nella cattedrale di Parma. “This was the
culminating event for the Farnese
family’s dynastic ambitions, and its
commemoration was ensured not
only by this illustrated book, but also by the three series of narrative
paintings that Duke Francesco
Farnese commissioned from the
local painter Ilario Spolverini”
(Millard, Italian and Spanish Architectural Books, p. 341).
Melzi II, 403. Vinet 567. Lipperheide 2755. Berlin Katalog
3060. Cicognara 1491. Ruggieri
837. Millard 109. (A.P.P.)
Rock, Michael.
Prada. Milano, Progetto Prada arte, 2009.
Seconda edizione. Il volume,
dopo un breve racconto della storia
del marchio, illustra attraverso la fotografia tutto l’universo Prada. Nell’introduzione Miuccia Prada e Patrizio Bertelli scrivono: “Questo libro vuole ripercorrere e illustrare i
molteplici aspetti attraverso i quali
Prada si esprime: dalla moda alla comunicazione, dalla ricerca dell’eccellenza allo sviluppo tecnologico,
dall’architettura all’arte”. (G.C.)
Rolli, Paolo (1687-1785).
Disamina del parere di M.r de
Voltaire sulla poesia epica. Opera del
Sig. Paolo Rolli tradotta dall’inglese in
italiano da Pleuronio Misio pastore arcade. Napoli, presso il Porsile,
1779.
Rara edizione, non censita
dall’ICCU, della traduzione italiana dell’opera Remarks upon M. Voltaire’s Essay on the Epick Poetry of the
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European Nations pubblicata per la
prima volta in inglese nel 1728. È
datata 1779 anche un’altra edizione
del testo stampata a Berlino. Paolo
Rolli fu poeta, librettista e traduttore; visse a Londra dal 1716 al
1744 dove fu precettore dei figli di
Giorgio II e poeta ufficiale della
Royal Academy of Music. (B.P.)
Vegezzi Ruscalla, Giovenale
(1799-1885).
Note filologiche sovra VII vocaboli dinotanti uficio o dignità di persona nell’Asia che leggonsi nell’Orlando
Furioso. Torino, Pomba, 1832.
Raro opuscoletto contenente
“poche illustrazioni etimo-filologiche intorno a sette vocaboli significanti uficio o degnità di persona
in quella parte dell’Asia che noi
chiamiamo Levante”. Si tratta dei
termini Amostante, Argaliffa, Argariffa, Calife, Cadì, Cane, Diodarro, Papasso, Talacimanno.
Manca a Bottasso. (A.C.)
Veronelli, Luigi (1926-2004).
Breviario libertino. Con tre acqueforti di Alberto Manfredi. [S.l.],
[s.n.], (stampa 1984) (Le edizioni di
Monte Vertine 4).
Esemplare n. XXXIV di
un’edizione limitata come scritto
al colophon: “Stampato coi tipi
della Tipografia Giuntina in Firenze, su carta «acquerello», nell’ottobre 1984. Di questa edizione
sono state tirate n. 50 copie numerate da 1 a 50 e 40 copie numerate
da I a XL fuori commercio, contenenti tre incisioni originali. Inoltre n. 2000 copie numerate da 51 a
2050 senza le incisioni originali”.
Tutte e tre le acqueforti sono firmate dall’artista Alberto Manfredi
(1930-2001). (V.C.)
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la Biblioteca di via Senato Milano – ottobre 2012
Bvs: il ristoro del buon lettore
Gli incantesimi di Lorenzo
Shakespeariane tempeste di gusto a Forte dei Marmi
GIANLUCA MONTINARO
E
infine si approda. E’ il magico
volere a cui nessuno sfugge.
Si approda sempre, dalle fatiche della vita e dai tormenti dell’animo. Spinti dalla forza del vento, sopraffatti dalle cime bagnate che sfuggono le mani lacerando la pelle, scossi dal «fischio del capitano», sconvolti dall’uragano scatenato… E’ il
magico volere, che spinge a cercar
salvezza sulle coste di un’isola inaspettata. Non segnata sulle carte ma
non disabitata, anzi. E’ il destino che
si compie. Là, in mezzo al Mediterraneo è l’isola di Prospero, lo spodestato duca di Milano protagonista
della Tempesta di William Shakespeare (di cui la Biblioteca di via Senato possiede una preziosa edizione
numerata, stampata a Lugano dall’Officina Bodoni nel 1924). Qui, ai
piedi delle bianche Apuane, è l’isola
di Lorenzo, incontrastato signore
della Versilia. Allegria di naufragi.
Camminando sull’isola, varcando la
soglia del ristorante, lo si incontra.
Lui, Lorenzo Viani, col suo charme
senza tempo. Lui, pronipote di “quel
Viani” (non mente la linea del sangue), felice prigioniero della sua
stessa isola. Chiuso nel suo fortino
versigliese, è dotato, come Prospero,
di arcani poteri: costruisce magie e
incantesimi per il piacere dei suoi
ospiti. E come Prospero non teme
confronti. Sulla sua isola al di fuori
del tempo, ancorata ai piedi delle
Ristorante Lorenzo
Via Carducci, 61
Forte dei Marmi (Lu)
Tel. 0584/89671
bianche Apuane, testimonia in corpore vivo l’arte del vivere, la sapienza
del ricevere, la maestria dell’alta cucina. Anche Lorenzo, come Prospero, abita la sua isola con l’amata figlia, Chiara, ragazza di dolce bellezza, che ogni Ferdinando, «se il suo
cuore non è volto altrove», vorrebbe
fare «regina di Napoli». E con loro
sono i fidi Libero Musetti, sommelier di rara competenza che, amando
scrutare il mondo attraverso l’occhio fotografico, ne coglie bellezza e
consunzione, dolore e beatitudine, e
Gioacchino Pontrelli, talentuoso
chef di lungo corso, entrambi capaci
come Ariel di «volare, nuotare, but-
tarsi nel fuoco e cavalcare sulla cresta delle ricciute nuvole grazie alle
loro magiche facoltà». Ma, entità talattica, l’isola di Lorenzo, come l’isola di Prospero, vive un mondo
parallelo a quello del quotidiano:
qui «c’è qualche cosa di più di quanto accade in natura». Equoree geometrie non euclidee si dispiegano
nella lunga teoria gustativa dei piatti. Può quindi accadere che le seppioline di fondale gratinate al forno
al profumo di aglio gentile sorridano alle capesante su millefoglie di
verdure con purea di patate e trucioli di tartufo. E che le storiche bavette
sul pesce cedano il passo agli straordinari scampi dell’ultima cala aperti
in forno, in un tripudio di aromi e
gusti che rimane impresso, indelebile, nella mente. E commuove il
cuore. Un Mersault di Jean-François Coche Dury, in evoluzione di
almeno dieci anni, sarà dolce compagno di naufragio, in un’armonia
perfetta di sapidità e acidità, profumo e struttura. «Magico potere
d’incantesimi»; malia del luogo ove
«ognun ritrova se stesso dopo che
ognun se stesso avea smarrito». E
quando Lorenzo, come Prospero, si
leverà il suo mantello, nulla rimarrà.
Né cucina, né teatro, né letteratura,
né arte, né vita. Tutto svaporirà, come nebbia mattutina. E dell’isola, ai
piedi delle bianche Apuane, non rimarrà che sogno, sogno di un sogno.
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