Gli hegeliani di Napoli Studi e testi 11 Il bene dello Stato è la sola causa di questa produzione. gaetano filangieri Giuseppe Invernizzi Pasquale D’Ercole, un hegeliano “ortodosso” La scuola di Pitagora editrice Napoli MMXIII In collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici © 2013 La scuola di Pitagora s.r.l. Via Monte di Dio, 54 80132 Napoli www.scuoladipitagora.it [email protected] isbn isbn 978-88-6542-301-1 (versione cartacea) 978-88-6542-302-8 (versione elettronica nel formato PDF) Finito di stampare nel mese di settembre 2013 Printed in Italy – Stampato in Italia Indice 9 Nota editoriale 11 Nota introduttiva 15Capitolo primo La formazione e il periodo berlinese 31Capitolo secondo Da Pavia a Torino 53Capitolo terzo Torino: tra Hegel e il positivismo 77Capitolo quarto La critica al teismo 95Capitolo quinto Il “connubio” fra hegelismo e positivismo 121Capitolo sesto Le lezioni universitarie e l’impegno per la filosofia di Ceretti 141Capitolo settimo Gli ultimi studi: fra storia della filosofia e logica 159Capitolo ottavo D’Ercole e i concorsi universitari 189 Bibliografia di Pasquale D’Ercole 197Appendice Il lascito manoscritto di Pasquale D’Ercole 259 Indice dei nomi Nota editoriale L’accoglienza dello studio monografico di Giuseppe Invernizzi sull’opera di Pasquale D’Ercole all’interno della collana «Gli hegeliani di Napoli» ci offre l’occasione di anticipare e approfondire alcuni dei temi che saranno oggetto dei prossimi volumi in preparazione di questa collana. Finora, come si evince dalle precedenti pubblicazioni, abbiamo voluto presentare le opere dei maggiori esponenti del gruppo degli hegeliani napoletani, espressione del cosiddetto hegelismo “critico” e, in particolare, abbiamo voluto ripubblicare quei testi in cui si condensano alcune delle questioni cruciali del pensiero filosofico dell’epoca: l’idea di Nazione e di Stato, la funzione della filosofia nella formazione della coscienza storica di un popolo, il pensiero filosofico nato nel Rinascimento come principio della modernità. Lo studio di Giuseppe Invernizzi ci permette di andare al di là dell’attuale piano editoriale presentando uno degli esponenti più significativi della corrente “ortodossa” dell’hegelismo napoletano, di cui il rappresentante più eminente fu Augusto Vera. Molte furono le differenze fra gli “ortodossi” e i “critici”, divergenze maturate innanzitutto nella diversa via seguita nel processo di avvicinamento all’hegelismo e nel suo successivo 10 Nota editoriale sviluppo, differenze da cui scaturirono discordanti visioni rispetto ad alcune questioni fondamentali quali, ad esempio, il rapporto fra filosofia e accadimenti storici, la funzione e il ruolo della filosofia in un contesto culturale dominato sempre più dallo sviluppo delle scienze empiriche e infine l’opposta lettura che dalle due scuole veniva data del sistema di Hegel. L’indagine su questi temi proseguirà con le future pubblicazioni, all’interno di questa collana, degli studi ancora insuperati e purtroppo raramente reperibili, di Luigi Russo (Francesco De Sanctis e la cultura napoletana 1860-1885) e di Guido Oldrini (La cultura filosofica napoletana dell’Ottocento). Nota introduttiva Non si può certo dire che Pasquale D’Ercole sia considerato una figura centrale della storia della filosofia italiana del secondo Ottocento. Etichettato come hegeliano ortodosso, estraneo alle passioni politiche caratteristiche di molti hegeliani napoletani, è stato poi accusato di un avventuroso quanto incauto tentativo di operare una sintesi fra hegelismo e positivismo, compiuto nella convinzione di salvare comunque la sua originaria fedeltà ad Hegel. Sia come sia, alla fine, ovvero negli anni immediatamente precedenti la prima guerra mondiale, il «venerando»1 Pasquale D’Ercole, con il suo impegno per la diffusione della filosofia di un altro eccentrico pensatore quale fu Ceretti, agli occhi degli studenti appariva niente di più che un sopravvissuto, una vecchia mummia appartenente ad un passato ormai lontano2. 1 Così lo chiama Gentile in La filosofia in Italia dopo il 1850 – Gli Hegeliani, «La Critica», 12 (1914), p. 376. Gentile riserva a D’Ercole non più di quattro pagine (376-379; a Marianna Florenzi Waddington, anch’essa inserita nel gruppo degli «hegeliani», sono dedicate invece dieci pagine [380 -389]). 2 Si può riportare qui un passo di una lettera di Gramsci alla moglie del 6/11/1932. Il testo contiene alcune inesattezze (Gramsci non seguì mai le lezioni di D’Ercole; cfr. A. d’Orsi, Lo studente che non divenne «dottore». Gramsci all’Università di Torino, «Studi Storici», 40 [1999], pp. 39-75), ma è indicativo di ciò che si diceva fra gli studenti riguardo a D’Ercole: «Quando frequentavo il 1º anno dell’Università, era professore di storia della filosofia [in realtà di filosofia teoretica n.d.a.] un vecchione mummificato delle vecchie 12 Giuseppe Invernizzi La letteratura critica su questo autore è relativamente ampia, ma – se si esclude il saggio di Rota3 – nel complesso poco generazioni che non conoscevano neanche i fiammiferi, un certo Pasquale D’Ercole, pugliese di Spinazzola. Il suo vanto era quello di aver appartenuto alla vecchia generazione degli hegeliani del Risorgimento e di essere sempre rimasto hegeliano anche nei tempi del positivismo e del naturalismo, per cui guardava con un certo disprezzo le nuove correnti hegeliane che in Italia si erano andate formando intorno al 1900. Risolveva tutto col dizionario, verbalmente, e ciò chiamava dialettica. Insegnava da 50 anni a Torino e il suo corso avrebbe dovuto trattare dell’“Ente evolutivo finale”, ma ancora nessuno sapeva cosa fosse questo Ente evolutivo finale perché avveniva così: in ogni nuovo anno scolastico il D’Ercole faceva una prolusione, annunziando il tema, professando il suo hegelismo e facendo un breve excursus sul concetto di “principio”: Aristotele ha detto questo, Platone quest’altro, ecc. fino ad Hegel. Poi esponeva il suo punto di vista che era molto semplice: “Il principio, signori miei, è niente altro che il principio, l’idea di principio”. Secondo il concetto hegeliano della filosofia che si identifica colla storia della filosofia, annunziava quindi, prima di parlare dell’Ente evolutivo finale, di voler fare una piccola trattazione di storia e incominciava dal più antico filosofo, naturalmente cinese, cioè Lao-Tse, e tutto l’anno scolastico era dedicato a questo argomento. Ogni anno, siccome una parte degli studenti mutava, il D’Ercole ricominciava col “principio” e con Lao-Tse e così per 50 anni. Morì nel 1913 [in realtà nel 1917 n.d.a.] e fra le sue carte fu trovato un manoscritto col titolo “L’Ente evolutivo finale”, che fu stampato negli Atti dell’Accademia delle Scienze e stampato a parte in estratto [in realtà il saggio fu pubblicato da D’Ercole per la prima volta nel 1910, n.d.a.]. Neanche un romanzo di Victor Marguerite ebbe tanto successo: tutti i vecchi allievi dell’Università volevano sapere cosa fosse questo Ente evolutivo finale annunziato per 50 anni e sempre rimasto incognito e l’opuscolo andò a ruba». Anche Augusto Guzzo, pur ripetendo più volte che D’Ercole era «uomo d’ingegno», conferma indirettamente l’opinione non troppo lusinghiera che si era venuta formando circa l’attività didattica di D’Ercole: «Montava su un brutto, vecchio pulpito nell’Aula VII; e parlava rado, non so se con voce soave: i maligni dicevano che la grande lentezza serviva a dir poco nell’ora di lezione. Diceva con grande solennità: “Signori miei”, e ci metteva alcuni secondi [...] Faceva dei corsicini con molta storia della filosofia; di ogni problema ricordava la storia, cominciando non da Talete, ma da Lao-Tze, perché s’era innamorato dell’Asia, ed era, quello un grande momento di studi orientali» (Cinquant’anni d’esperienza idealistica in Italia, CEDAM, Padova 1964, pp. 58-59). 3 Giovanni Rota, Pasquale D’Ercole, «Giornale critico della filosofia italiana», 76 [78] (1997), pp. 397-423. Cfr. dello stesso Rota L’ambiente Nota introduttiva 13 analitica, oppure, come avviene per le pagine dedicate a D’Ercole da De Lucia e da Colombo, interessata a problematiche che riguardano solo alcuni aspetti del pensiero di D’Ercole4. L’occasione per procedere ad una rivalutazione o per lo meno ad una rivisitazione del pensiero di questo filosofo è data dalla possibilità di completare la conoscenza della sua filosofia alla luce del lascito manoscritto5. Questo materiale consente di comprendere più in profondità il lavoro di un uomo il cui pensiero forse risulterà un po’ meno banale e superficiale di quanto la sola considerazione delle sue pubblicazioni può far ritenere. torinese di fine Ottocento: P. D’Ercole e G. Allievo, in Luciano Malusa (a cura di), I filosofi e la genesi della coscienza culturale della «nuova Italia» (1799-1900), Istituto per gli Studi Filosofici, Napoli 1997, pp. 237-249. 4 Paolo De Lucia, L’istanza metempirica del filosofare. Metafisica e religione nel pensiero degli hegeliani d’Italia, Accademia Ligure di Scienze e Lettere, Genova 2005, pp. 27-34 (si occupa esclusivamente del volume di D’Ercole sul teismo); Giuseppe Colombo, La filosofia come soteriologia. L’avventura spirituale e intellettuale di Pietro Martinetti, Vita e Pensiero, Milano 2005, pp. 64-77 (delinea un sintetico ritratto complessivo di D’Ercole per valutarne l’influenza su Martinetti). 5 In appendice di questo volume è pubblicato un inventario di tale lascito, alla cui numerazione ci si riferisce in questa prima parte. capitolo primo La formazione e il periodo berlinese È in generale riconosciuto che l’hegelismo di D’Ercole è qualcosa di diverso dal cosiddetto hegelismo napoletano, che pure costituisce l’ambiente culturale in cui il filosofo di Spinazzola ebbe la sua formazione universitaria1. Dopo aver studiato dal 1843 al 1847 nel seminario di Molfetta, D’Ercole proseguì i suoi studi a Venosa sotto la guida di Michele Agostinacchio, sacerdote e letterato di Spinazzola, allievo di Puoti e De Sanctis2. Si trasferì poi a Napoli per studiare legge alla fine del 1849 e nella capitale del regno borbonico rimase fino al 1859. Negli anni napoletani i suoi contatti con gli esponenti più importanti dell’hegelismo furono nel complesso limitati. Cfr. per es. Augusto Guzzo, Cinquant’anni d’esperienza idealistica in Italia, cit., p. 57. 2 Michele Agostinacchio (1817-1887) veniva chiamato spesso a insegnare nei seminari di Venosa e Conversano. De Sanctis in seguito gli offrì più volte dei posti di insegnamento nelle scuole statali, ma Agostinacchio preferì rimanere a Spinazzola (cfr. R. De Cesare, Michele Agostinacchio, «Rassegna pugliese di scienze, lettere ed arti», 4 [1887], pp. 247-248). Le informazioni sulla biografia di D’Ercole sono ricavate dall’opuscolo Nel 50° anniversario d’insegnamento del Prof. Pasquale D’Ercole, Torino 1913 – i cui dati sono stati verosimilmente forniti o per lo meno confermati dallo stesso D’Ercole. Da questo opuscolo dipendono tutte le biografie relative al filosofo, cfr. voce D’Ercole Pasquale in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 31, Roma 1991. 1 Giuseppe Invernizzi 16 Bertrando Spaventa era partito da Napoli nell’ottobre del 1849 e sarebbe tornato solo nel 1861. De Sanctis si trovava a Cosenza: tornò a Napoli nel 1850 per rimanervi in carcere fino al 1853; esiliato, riparò prima a Torino e poi a Zurigo. Sarebbe tornato a Napoli nel 1860. Antonio Tari era «chiuso dal 1849 al 1860 nella solitudine di un villaggio (Terelle, in provincia di Caserta)»3. Augusto Vera, dopo essere stato all’estero per molti anni, sarebbe rientrato in Italia solo nel 1859, divenendo professore a Napoli nel 1861. D’Ercole dovette la sua prima formazione hegeliana a Giambattista Ajello, che privatamente leggeva l’Enciclopedia hegeliana e che D’Ercole frequentò negli anni dal 1855 al 18574. Fra i giovani e i meno giovani che «nel silenzio di morte»5 degli anni fra il 1848 e il 1860 in misura diversa si dedicavano allo studio della filosofia tedesca insieme a D’Ercole sono da ricordare i coetanei Floriano Del Zio e Nicola Marselli, Stanislao Gatti, Federico Persico, Giacomo Racioppi, Antonio Turchiarolo ed Edoardo Salvetti6. Colui che sembra Giovanni Gentile, Documenti inediti sull’hegelismo napoletano (dal carteggio di B. Spaventa), «La Critica», 4 (1906), p. 400 [oggi Terelle fa parte della provincia di Frosinone]. 4 Anche Ajello (1815-1860) era stato arrestato nel 1848: sollevato da ogni incarico pubblico, gli era stato vietato l’insegnamento pubblico (cfr. voce Ajello Giambattista, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 1, Roma 1960). 5 L’espressione ricorre in Nicola Marselli, Gl’italiani del Mezzogiorno, «Nuova Antologia», 73 (1884), p. 636. 6 Su questo gruppo di intellettuali, sui loro interessi e sulla loro effettiva conoscenza della filosofia hegeliana esiste ormai una ricca bibliografia. Cfr. anzitutto Guido Oldrini, La cultura filosofica napoletana dell’Ottocento, Laterza, Bari 1973, pp. 323-334. Per lo studio della lingua tedesca e per la traduzione di alcuni scritti questo gruppo faceva riferimento al bavarese Oscar von Sommer, citato da Turchiarolo nella introduzione alla traduzione della Filosofia del diritto di Hegel. Nel lascito manoscritto di D’Ercole si trova la descrizione di una vigilia di Natale passata a casa di von Sommer, qualificato come «chiaro maestro di lingua tedesca» (D 2). Non sono riuscito a trovare altre notizie su von Sommer. È possibile 3 La formazione e il periodo berlinese 17 aver raggiunto più rapidamente una migliore conoscenza complessiva di Hegel e anche degli sviluppi dell’hegelismo è Del Zio: mentre D’Ercole ancora nel 1859 sentiva la necessità di completare la sua formazione filosofica recandosi a Berlino, fin dal 1853 Del Zio teneva clandestinamente dei corsi su Hegel, a quanto risulta da una lettera a Spaventa7, e nella sua Prolusione al corso di lezioni sulla Enciclopedia delle scienze filosofiche di Hegel del 1861 citava un buon numero di opere di Hegel oltre a vari scritti di Michelet8. La partenza per Berlino avviene nel 1859. Non si conoscono nei dettagli i motivi che spinsero D’Ercole a recarsi proprio in quella città dove soggiornò per circa tre anni a sue spese9. Benché questa scelta non abbia costituito certamente che insegnasse alla Nunziatella (un Oscar von Sommer con tali compiti è ricordato in due numeri della «Gazzetta Ufficiale» del 1884 e del 1891). 7 Cfr. la lettera a Spaventa del 15 aprile 1861, citata in Giuseppe Vacca, Nuove testimonianze sull’hegelismo napoletano, «Atti dell’Accademia di Scienze morali e politiche della Società nazionale di Scienze, Lettere ed Arti in Napoli», 76 (1965), p. 48. 8 I primi rapporti di Carl Ludwig Michelet (1801-1893) con la scuola napoletana risalgono al 1854, quando il gruppo sopra ricordato entrò in corrispondenza con l’hegeliano tedesco (cfr. la lettera citata nella nota precedente, p. 48). Già nell’inverno 1856-1857 Michelet ricevette a Berlino la visita di Nicola Marselli, che gli recò in omaggio un saggio di Salvetti, chiedendogli indicazioni bibliografiche sulla filosofia del diritto tedesca dell’epoca. Lo stesso Salvetti aveva anche spedito una sua traduzione a Michelet, che in risposta gli inviò una lunga lettera in data 28 giugno 1857 (cfr. B. Croce, Per la storia del pensiero tedesco in Italia. Eduardo Salvetti e C. L. Michelet, «La Critica», 20 [1922], pp. 249-256) (Eduardo Salvetti morì prematuramente nel 1858). Lo stesso Michelet aveva compiuto un viaggio in Italia nel 1852, fermandosi tra l’altro a Napoli dalla fine di agosto alla metà di ottobre di quell’anno. Di questo viaggio egli riferì nel volume Eine italienische Reise in Briefen: dem Freunde der Natur, der Kunst und des Alterthums gewidmet, Berlin 1856, 18642, ma sia qui sia nell’autobiografia (Wahrheit aus meinem Leben, Berlin 1884) egli non fa cenno ad incontri con filosofi o esponenti della cultura napoletana. 9 Tutte le biografie di D’Ercole riportano l’aneddoto secondo cui egli partì con un passaporto che lo qualificava come «mercante di olio» 18 Giuseppe Invernizzi un caso isolato nel gruppo dei giovani filosofi napoletani di quegli anni – a Berlino si era recato già Marselli, poi sarà la volta di Imbriani, De Meis, Angiulli, Acri, De Gubernatis e di parecchi altri –, si può tuttavia rilevare che D’Ercole partì per Berlino proprio nel periodo in cui tra i fuoriusciti stava iniziando un generale movimento di ritorno a Napoli o dal resto dell’Italia o dall’estero, nella convinzione che ormai fosse giunta l’ora dell’unificazione nazionale10. La scelta di D’Ercole appare un indizio di quel sostanziale disinteresse per la vita politica che rimase costante per tutta la sua vita e che anche o «negoziante di generi coloniali». Tale qualifica (che gli sarebbe stata tra l’altro consigliata da un commissario di polizia di Napoli) lo doveva mettere al riparo dai sospetti della polizia borbonica (ma naturalmente suscitò qualche curiosità nel rettore dell’università di Berlino al momento dell’iscrizione). Da una lettera a Gentile del 27 settembre 1914 conservata presso la Fondazione Biblioteca “Benedetto Croce” sembra tuttavia che tale scelta dipendesse dal fatto che D’Ercole non aveva conseguito a Napoli la laurea (nella stessa lettera egli ricorda che il titolo di dottore venne attribuito a lui come ad altri professori di filosofia con un atto legislativo speciale da parte del ministro Bonghi). In Germania D’Ercole il 16 novembre 1863 sposò Mathilde Vogelsang, nata nel 1843, che lo seguì poi in Italia. Alla cerimonia intervenne Michelet (Wahrheit aus meinem Leben, cit., p. 519). Sopravvisse al marito – deceduto nel 1917. Poiché non risulta più censita nell’anagrafe di Torino dopo il 1911 e poiché Martinetti – che aveva frequentato per qualche tempo D’Ercole – avrebbe detto ad un professore che la Vogelsang non si interessava per nulla alla filosofia del marito, Verrecchia pensa che dal 1911 la Vogelsang abbia «piantato in asso» il marito e si sia trasferita altrove (La catastrofe di Nietzsche a Torino, Einaudi, Torino 1979, p. 218). In realtà la moglie deve essere rimasta accanto a D’Ercole fino alla morte, se ad essa è indirizzato un biglietto di condoglianze di Gentile, cui essa risponde anche a nome dei figli (cfr. il biglietto del 6 febbraio 1917, conservato presso la Fondazione Biblioteca “Benedetto Croce”). Del resto il suo nome è regolarmente presente negli annunci funebri relativi alla morte di D’Ercole e il fascicolo contenente i necrologi, presente nell’archivio dell’Accademia delle Scienze di Torino, contiene una lettera a lei indirizzata in cui le viene comunicato l’attribuzione di una pensione. 10 Cfr. Oldrini, La cultura filosofica, cit., pp. 368-380. La formazione e il periodo berlinese 19 in seguito lo tenne lontano dalla tentazione di impegnarsi nella vita parlamentare, tentazione cui avrebbero ceduto non pochi suoi colleghi. Così il rettore dell’università di Torino Ruffini, celebrando nel 1913 i cinquant’anni di insegnamento di D’Ercole, sottolineerà la fedeltà del suo professore all’università, riferendogli, opportunamente corretto, l’elogio che veniva fatto alle matrone romane (domi mansit, lanam fecit): «rimase nell’Università e non fece che della scienza»11. Questo non significa che D’Ercole non abbia avuto idee politiche o che si sia adeguato passivamente alle idee politiche dominanti: significa che egli riteneva che esistesse uno spazio di attività intellettuale – la filosofia – che non implicava in quanto tale un’immediata presa di posizione riguardo alle questioni politiche di attualità e ancor meno una partecipazione diretta agli sforzi di dar loro soluzione. Se si guarda nel suo complesso all’insieme delle istituzioni, delle pubblicazioni e delle figure più o meno importanti che caratterizzano la filosofia italiana nel periodo che va dall’unificazione nazionale fino alla prima guerra mondiale, è necessario riconoscere l’esistenza di una «duplicità di piani» che Restaino caratterizza in modo assai efficace: Da un parte una cultura, e una filosofia, militanti, impegnate nel dibattito ideologico e politico quotidiano; dall’altra una cultura, e una filosofia, accademiche, disimpegnate rispetto a quel dibattito, distaccate in una sfera di discussioni, analisi e approfondimenti di tipo ormai «professionali». [...] Nell’ala militante della cultura filosofica i problemi affrontati riguardano direttamente la società in cui quella cultura opera; i filosofi prendono posizione, indicano soluzioni, prospettano vie e modi di rinnovamento della società, utilizzando i nuovi mezzi di comunicazione (i giornali) e di organizzazione (i partiti) per fare Le onoranze al Professore Pasquale D’Ercole a Torino, estratto da «Rassegna pugliese», 28 (1913), p. 7. 11 20 Giuseppe Invernizzi sentire la loro voce ad un uditorio molto vasto, intervengono in prima persona, non delegando alle istituzioni la funzione – che ritengono loro propria – di orientare idealmente e politicamente quanti riescono a raggiungere con i loro scritti. Nell’ala non militante, quella prevalentemente accademica, i grandi problemi, spesso veramente drammatici, di quegli anni, o non sono presenti o lo sono in una maniera talmente mediata da apparire problemi astratti puramente teorici, relativi alla umanità in generale e non alla società concreta in cui si vive; i filosofi, in questo caso, hanno implicitamente accettato una distinzione di ruoli, una divisione del lavoro, in base alle quali la trattazione dei problemi reali e quotidiani della loro società è delegata ad altri (le istituzioni, i partiti, la stampa); ad essi, i filosofi, rimane il compito, tecnico e analitico e non politico e ideologico, di dibattere e risolvere problemi appunto «filosofici»12. Come sempre la distinzione fra questi due gruppi di filosofi non va intesa in modo rigido: ci sono autori che per qualche tempo partecipano direttamente al dibattito politico-sociale per poi ritrarsene e viceversa autori che si dedicano alla politica militante dopo lunghi anni di attività «accademica», così come vi sono «accademici» che non disdegnano di tanto in tanto di esprimere il loro parere su questo o quel problema. Ciò detto, non vi possono essere dubbi sul fatto che D’Ercole sia appartenuto all’ala «non militante»13. 12 Franco Restaino, Note sul positivismo in Italia. Il declino 1892-1908, «Giornale critico della filosofia italiana», 64 (1985), pp. 462-463. 13 Lo scritto in cui D’Ercole affronta il tema più «politico» è La pena di morte e la sua abolizione dichiarate teoricamente e storicamente secondo la filosofia hegeliana, Milano 1875 [rist. parziale in C. L. Michelet - Th. Sträter, La società filosofica di Berlino e gli hegeliani di Napoli – scritti di storia della filosofia (1860-1865), a cura di Domenico D’Orsi, Giuffré, Milano 1985, pp. 215-240], opera che si inserisce nella vasta pubblicistica sull’argomento sviluppatasi subito dopo il 1860. A favore del mantenimento si era pronunciato Vera (La pena di morte, Napoli 1863), andando incontro a critiche, talora violente, da parti degli abolizionisti (Ellero, Pessina, Rossi, Aponte). La campagna abolizionista venne ripresa nel 1872 La formazione e il periodo berlinese 21 Gli studi compiuti all’università di Berlino furono determinanti per la formazione di D’Ercole, tanto per il numero quanto per la qualità dei docenti di cui seguì i corsi o che frequentò di persona. Fra gli hegeliani – molti dei quali con lo stesso D’Ercole facevano parte di quella «Philosophische Gesellschaft» che si proponeva di tener viva e diffondere la filosofia hegeliana – vi erano quasi tutti i discepoli diretti di Hegel, alcuni dei quali impegnati nell’edizione delle opere del maestro, spesso oggetto di commento nei loro corsi: Leopold von Henning (1791-1866), editore della Logica hegeliana e redattore degli «Jahrbücher für wissenschaftliche Kritik», Karl Werder (1806-1893), autore di un importante commento alla Logica, Ferdinand Lassalle (1825-1864) e soprattutto Carl Ludwig Michelet al quale D’Ercole si legò di duratura amicizia. Va osservato che D’Ercole non si limitò a frequentare gli hegeliani, ma ascoltò le lezioni ed entrò in rapporti con altri importanti docenti, primo fra tutti Adolf Trendelenburg, poi Max Schasler (1819-1903), vicino alla scuola hegeliana e cultore di estetica, Theodor Mommsen (1807-1913), il famoso epigrafista e storico del mondo romano, Friedrich Mullach (1807-1882), importante filologo, e Adolf Stahr (1805-1876), filologo e traduttore di parecchie opere di Aristotele, oltre che scrittore di successo e marito dell’allora famosa Fanny Lewald. con il primo Congresso giuridico italiano e portata avanti a partire dal 1874 dalla «Rivista penale» di Luigi Lucchini. Ed è in questi anni che D’Ercole affronta la questione, schierandosi dalla parte degli abolizionisti. Nel suo scritto D’Ercole critica Vera (oltre a Michelet e Rosenkranz), ma non cita Spaventa, che a sua volta aveva preso posizione contro la pena di morte. Curiosamente lo stesso Vera, ripubblicando il suo lavoro nel 1883 (Saggi filosofici, Napoli 1883) non fa cenno al lavoro di D’Ercole. Rota (Pasquale D’Ercole, cit., p. 411) considera questo lavoro «emblematico» del dogmatismo hegeliano di D’Ercole, giacché il rifiuto della pena di morte viene compiuto correggendo il maestro, sulla base delle stesse premesse hegeliane. Insomma egli è «più hegeliano di Hegel». 22 Giuseppe Invernizzi Il periodo berlinese, oltre che per qualche intervento sulla rivista «Der Gedanke», l’organo della «Philosophische Gesellschaft», si caratterizza per un lavoro dedicato a Bonaventura Mazzarella e per un altro breve scritto sul concetto di intuizione in Gioberti14. In entrambi i casi si tratta di lavori modesti, sia per originalità che per estensione, e non può non suscitare una certa meraviglia il fatto che sulla base di questi titoli il 13 novembre 1862 D’Ercole venne nominato professore ordinario di filosofia teoretica all’università di Pavia. Su questa cattedra, alternando talvolta i corsi di filosofia teoretica con corsi di storia della filosofia, rimase fino al 1878, quando si trasferì a Torino, università presso la quale concluderà la sua lunghissima carriera15. 14 Cfr. Esposizione ed esame della critica della scienza del prof. B. Mazzarella, Berlin 1862. D’Ercole espone i contenuti della Critica della scienza, Genova 1860, di Bonaventura Mazzarella (1818-1882), un’opera di più di 500 pagine, che, dichiarando esaurito il metodo speculativo (il cui apice è rappresentato dal pensiero di Hegel), propone un ritorno a Kant. Mazzarella apparteneva alla schiera degli esuli provenienti dal sud dell’Italia (nel 1848 aveva cercato di organizzare a Lecce una sollevazione antiborbonica). In Piemonte aveva aderito alla confessione valdese, tanto che la sua nomina a professore all’università di Bologna nel 1860 aveva suscitato molto rumore. Fu in seguito eletto varie volte deputato. Nell’opuscolo di D’Ercole non si fa alcun cenno alle complicate vicende politiche cui l’autore aveva avuto parte. D’Ercole nega la filosofia di Mazzarella sia davvero in grado di sconfiggere lo scetticismo. L’opuscolo si conclude con una discussione delle obiezioni Trendelenburg alle prime categorie della logica hegeliana, un problema di cui si stava occupando intensamente in quel periodo anche Michelet (cfr. Die dialektische Methode und der Empirismus, «Der Gedanke», 1[1861], pp. 111-126 e 185-201). L’altro scritto, L’intuito e la riflessione, Berlin 1862, ha dimensioni ancora più modeste (11 pagine) e, contro Gioberti, sostiene la tesi che l’intuito di per sé non può dare origine al vero sapere se non mediato dalla ragione. Anche questo tema era stato oggetto di una serie di contributi su «Der Gedanke», sotto il titolo generale di Dialektik und Anschauung, 2 (1861), pp. 194 -230. 15 D’Ercole a Pavia prende il posto di Ruggero Bonghi, che si era trasferito a Firenze nel 1860. Le circostanze che portarono alla fulminea nomina di D’Ercole a professore ordinario non sono note e non mancò La formazione e il periodo berlinese 23 Prima di procedere oltre vale la pena di fare qualche considerazione sulla situazione dell’hegelismo nella Berlino degli anni ’60. Gli anni del trionfo hegeliano erano oramai un ricordo del passato. Al passato apparteneva anche il tentativo di Schelling di sviluppare una critica dell’hegelismo da un punto di vista speculativo, tentativo contestato dagli hegeliani ortodossi e in particolare da Michelet16. Un ricordo anche i vivaci dibattiti fra hegeliani di destra, di centro, di sinistra. Hegel, secondo la nota espressione di Marx, era ormai trattato come un «cane morto» e lo stesso Michelet appariva a Engels come «l’ebreo errante della scuola hegeliana»17. Dopo il 1848 gli hegeliani erano guardati con ostilità dalle autorità: lo stesso Michelet aveva avuto in varie occasioni problemi per le sue posizioni politiche moderatamente liberali e, nonostante l’imponente massa delle sue pubblicazioni e il suo lavoro nell’edizione delle opere di Hegel, non riuscì mai a divenire professore ordinario. Più volte nei suoi scritti e nelle sue lettere si riferisce alla scuola hegeliana come ad una ecclesia pressa18. L’interesse manifestatosi in Italia per l’hegelismo deve aver suscitato una certa sorpresa fra gli hegeliani berlinesi, le cui reazioni alle notizie del crescente diffondersi della filosofia qualcuno che ebbe a ironizzare sulla vicenda (cfr. Luigi Longoni, Il sistema filosofico di G. G. F. Hegel, Milano 1863, p. 25: D’Ercole, inviato a Berlino «onde ricevesse colà il battesimo nell’edicola di Hegel e la cresima nella scuola di Michelet pontefice suo [...] ne tornava improvvisato professore all’Università pavese»). 16 Cfr. C. L. Michelet, Entwicklungsgeschichte der neuesten deutschen Philosophie, Berlin 1848. 17 Karl Marx, Il capitale, tr. it. di D. Cantimori, Einaudi, Torino 1975, vol. I, p. 18 [Poscritto alla seconda edizione (1873)]. Friedrich Engels, Antidühring, Rinascita, Roma 1950, p. 44. (Karl Marx / Friedrich Engels, Werke, Dietz Verlag, vol. 20, Berlin 1962, p. 33: «den Ewigen Juden der Hegelschen Schule»). Insomma Engels considerava Michelet semplicemente un sopravvissuto, alludendo con ogni probabilità anche alla sua età. 18 Cfr. per es. «Der Gedanke», 2 (1861), p. 74. Giuseppe Invernizzi 24 del maestro, addirittura favorito da un ministro (De Sanctis), possono essere comprese solo tenendo presenti le difficoltà in cui si dibattevano a Berlino i discepoli del filosofo di Stoccarda19. D’altra parte si può comprendere che cosa potesse significare per gli italiani questo riconoscimento proveniente dal centro europeo dell’hegelismo, verso cui i più giovani e più entusiasti si recavano quasi in pellegrinaggio. I più avveduti in realtà devono aver compreso che questo gemellaggio NapoliBerlino aveva dietro di sé non pochi equivoci. È significativo ad esempio che Bertrando Spaventa non abbia mai mostrato particolare entusiasmo per la Società filosofica berlinese, che pure aveva dato risalto alla sua attività filosofica 20: la sua Secondo Croce la rinascita hegeliana a Napoli era guardata da Berlino «con gioia ed interesse (che aveva perfino del puerile)». Cfr. Appunti per la storia della cultura in Italia nella seconda metà del secolo XIX. I: La vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900, «La Critica», 7 (1909), p. 347. Più scettico invece Guzzo che, commentando l’hegelismo di D’Ercole, l’unico a suo modo di vedere di «formazione berlinese schietta», osserva: «In ogni modo – sia detto con tutto rispetto – gli hegeliani tedeschi non hanno preso molto sul serio – questa è la verità – l’hegelismo degli italiani. Essi hanno subito fiutato che era un’altra cosa, d’odore tutto diverso» (Cinquant’anni d’esperienza idealistica in Italia, cit., p. 57). 20 A quanto risulta, Spaventa non divenne mai membro della Società berlinese (mentre lo furono D’Ercole, Imbriani, Marselli. Vera fu nominato membro straordinario dal 1861. Michelet, da parte sua, entrò a far parte dell’Accademia napoletana delle scienze nel 1869). Oltre a varie notizie sulla sua attività accademica, Michelet pubblica una recensione dello scritto sulle prime categorie hegeliane (C. L. Michelet, Spaventa über Hegel in der Akademie zu Neapel, «Der Gedanke», 5, 2 [1864], pp. 114-117 – peraltro qui Spaventa è qualificato come «nicht Hegelianer»), mentre Rosenkranz dà notevole spazio alle traduzioni e ai commenti di Hegel pubblicati da Vera, dedicandogli, oltre ad alcuni interventi su «Der Gedanke», anche un intero volume: Karl Rosenkranz, Hegels Naturphilosophie und die Bearbeitung derselben durch den italienischen Philosophen Vera, Berlin 1868. La «celebrazione» più estesa dell’hegelismo napoletano e dei suoi esponenti principali ha luogo in Theodor Sträter, Briefe über die italienische Philosophie, pubblicati in varie puntate su «Der Gedanke», fra il 1864 e il 1865, tr. it. Lettere sulla filosofia italiana, a cura di A. 19 La formazione e il periodo berlinese 25 filosofia era in fondo poco interessata a una ripresa e ad un approfondimento della dimensione speculativa e sistematica dell’hegelismo21. Reciprocamente, Michelet doveva avere qualche difficoltà a comprendere le ragioni per cui ci si ispirava ad Hegel per cacciare i Borboni, lui che, pur difendendo il «liberalismo» di Hegel contro le critiche di Strauss, nel bel mezzo di una riunione della «Società filosofica» non esitava a definire Hegel «il filosofo della restaurazione»22. Nei suoi scritti di argomento giuridico e politico egli aveva sviluppato posizioni più «progressiste» di quelle hegeliane. Per esempio, all’interno di un modello che prevedeva la netta divisione dei poteri, Michelet pensava dovesse esistere una sola camera, depositaria del potere legislativo, eletta a suffragio universale e senza distinzione di ceti. Si era occupato anche della nascente questione sociale e nel quadro di una proposta di conciliazione fra capitale e lavoro aveva indicato nel libero diritto di associazione (das freie Vereinsrecht) il mezzo per raggiungere il bene sociale. Si era poi battuto per il riconoscimento delle autonomie, sia nelle istituzioni locali, Gargano, Bibliopolis, Napoli 1987 (esiste ora un’edizione complessiva in tedesco, Briefe über die italienische Philosophie, Janus, Köln 1991). Queste lettere, oltre a offrire una descrizione assai vivace dell’ambiente culturale napoletano, riprendono le tesi fondamentali di Spaventa sulla circolazione della filosofia italiana, traducendo lunghi passi della prolusione tenuta da Spaventa nel 1860 sul Carattere e sviluppo della filosofia italiana dal secolo XVI fino al nostro tempo. 21 Il significato e la funzione che Spaventa attribuiva alla ripresa in Italia della filosofia di Hegel è esposto in modo chiaro ed immediato nel noto scritto del 1868 Paolottismo, positivismo, razionalismo. Lettera al prof. A. C. De Meis, in B. Spaventa, Scritti filosofici, a cura di G. Gentile, Morano, Napoli 1901, pp. 291-314. Non sembra d’altra parte che Spaventa si sia mai interessato molto di D’Ercole, cfr. il poderoso studio di Nicola Caputo, Bertrando Spaventa e la sua scuola, Istituto per gli Studi filosofici, Napoli 2006. 22 Sitzungsberich der Philosophischen Gesellschaft, «Der Gedanke», 2 (1861), p. 77. 26 Giuseppe Invernizzi sia nelle istituzioni scolastiche, a partire dall’università. Infine aveva insistito sulla necessità di rendere indipendenti le istituzioni scolastiche da quelle religiose23. L’interesse di Michelet e degli altri membri della società filosofica per l’Italia comunque aumentò considerevolmente con il rapido compiersi del processo di (parziale) unificazione, visto come un modello che la Prussia avrebbe dovuto seguire24. Del resto ebbe luogo a tutti i livelli un graduale 23 Esposizione sistematica di queste idee si trova in C. L. Michelet, Naturrecht oder Rechts-Philosophie, 2 voll., Berlin 1866. Ma cfr. anche di Michelet, Zur Verfassungsfrage, Frankfurt-Berlino 1848 e Die Lösung der gesellschaftlichen Frage, Berlin 1849, scritti particolarmente interessanti perché risalenti agli anni della rivoluzione del 1848 e quindi in qualche misura «militanti» (il primo dei due scritti contiene un progetto compiutamente sviluppato in articoli e paragrafi di una possibile costituzione tedesca). Il suo pensiero politico si riassume nell’idea di una «Monarchia costituzionale circondata da istituzioni democratiche». Per aver chiamato la camera alta prussiana «eine Ruine aus Mittelalter» a Michelet fu intentato un processo per offesa alle istituzioni, processo da cui alla fine uscì assolto. Una presentazione d’insieme della figura di Michelet è offerta dal saggio di P. D’Ercole, Carlo Lodovico Michelet e l’hegelianismo, «Rivista italiana di filosofia», 9, 1 (1894), pp. 303-328; 9, 2 (1894), pp. 48-88 [rist. in. MicheletSträter, La società filosofica di Berlino, cit., pp. 241-287. Quest’opera offre anche molte informazioni sui primi anni della «Società filosofica» berlinese]. È significativo che D’Ercole consideri Michelet uno dei principali esponenti della sinistra hegeliana (ivi, p. 254) e che ancora in uno dei suoi ultimi saggi si richiami a Michelet per proporre l’introduzione nelle scuole italiane del sistema delle autonomie propugnato da Michelet (La quistione didattico-universitaria proposta e risolta da un hegeliano sessant’anni fa, «Rivista pedagogica», 4 [1911], pp. 188-190). Domenico Losurdo, Tra Hegel e Bismarck. La rivoluzione del 1848 e la crisi della cultura tedesca, Editori Riuniti, Roma 1983, pp. 291-295, giudica invece le posizioni di Michelet – specie nell’ambito della questione sociale – un arretramento nei confronti di Hegel, per «lo smussamento e l’occultamento delle contraddizioni della società borghese» e «la riscoperta delle armonie economiche». Il lavoro più recente su Michelet è: Matthias Moser, Hegels Schüler C. L. Michelet: Recht und Geschichte jenseits der Schulteilung, Duncker & Humblot, Berlin 2003. 24 Cfr. Emanuele Cafagna, Stato nazionale e filosofia della storia. La rivista «Der Gedanke» negli anni sessanta dell’Ottocento, «Filosofia poli- La formazione e il periodo berlinese 27 avvicinamento tra Prussia e Italia, sfociato nell’alleanza che sarebbe stata alla base della guerra del 1866. Per quanto riguarda più da vicino D’Ercole – come si è detto poco interessato ai problemi politici – è opportuno considerare brevemente la cosiddetta «ortodossia» di questi hegeliani e in particolare dello stesso Michelet. Delle sue divergenze da Hegel rispetto ad alcune concrete questioni politiche si è già detto. Alcune di esse hanno conseguenze importanti per la filosofia della storia. L’America, considerata da Hegel il paese del futuro, senza che venisse delineato un suo specifico ruolo in tale futuro, diviene senz’altro in Michelet il luogo dove ha inizio la fase finale della storia dell’umanità. In essa si compie la completa affermazione della libertà personale, la cui realizzazione non viene più subordinata allo stato. Per Michelet l’organizzazione indipendente dei vari livelli amministrativi fa venir meno la cesura fra società civile e stato25. Si tratta della realizzazione di un terzo livello della libertà, che vedrà gradualmente scomparire l’uso della guerra per dirimere le contese fra gli stati e la sostituzione del Völkerrecht con il Weltbürgerrecht26. Per quanto riguarda poi l’ambito della filosofia teoretica, Michelet senz’altro difende con tenacia le posizioni hegeliane, tica», 15 (2001), pp. 433-466. Quasi tutti i fascicoli della rivista citata si concludono con una «Geschichtsphilosophische Uebersicht», che è in sostanza un commento di Michelet agli avvenimenti politici più recenti. 25 Per la descrizione dei caratteri degli Stati Uniti d’America cfr. C. L. Michelet, Geschichte der Menschheit in ihrem Entwicklungsgange, vol. II, Berlin 1860, pp. 493- 616. 26 Va anche osservato che nella sua lunga esposizione Michelet utilizza raramente dei nessi dialettici, lasciandosi trasportare piuttosto dal suo interesse (del tutto empirico) per i caratteri della società americana. D’altra parte è da tempo riconosciuto che anche la filosofia della storia hegeliana, se si prescinde da alcune linee di sviluppo generali, nelle analisi particolari non è costruita secondo un rigoroso metodo dialettico (cfr. per es. Marcello Monaldi, Hegel e la storia. Nuove prospettive e vecchie questioni, Guida, Napoli 2000).