Gli hegeliani di Napoli
Studi e testi
11
Il bene dello Stato
è la sola causa di questa produzione.
gaetano filangieri
Giuseppe Invernizzi
Pasquale D’Ercole,
un hegeliano “ortodosso”
La scuola di Pitagora editrice
Napoli MMXIII
In collaborazione con l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici
© 2013 La scuola di Pitagora s.r.l.
Via Monte di Dio, 54
80132 Napoli
www.scuoladipitagora.it
[email protected]
isbn
isbn
978-88-6542-301-1 (versione cartacea)
978-88-6542-302-8 (versione elettronica nel formato PDF)
Finito di stampare nel mese di settembre 2013
Printed in Italy – Stampato in Italia
Indice
9 Nota editoriale
11 Nota introduttiva
15Capitolo primo
La formazione e il periodo berlinese
31Capitolo secondo
Da Pavia a Torino
53Capitolo terzo
Torino: tra Hegel e il positivismo
77Capitolo quarto
La critica al teismo
95Capitolo quinto
Il “connubio” fra hegelismo e positivismo
121Capitolo sesto
Le lezioni universitarie e l’impegno per la filosofia di Ceretti
141Capitolo settimo
Gli ultimi studi: fra storia della filosofia e logica
159Capitolo ottavo
D’Ercole e i concorsi universitari
189 Bibliografia di Pasquale D’Ercole
197Appendice
Il lascito manoscritto di Pasquale D’Ercole
259 Indice dei nomi
Nota editoriale
L’accoglienza dello studio monografico di Giuseppe Invernizzi sull’opera di Pasquale D’Ercole all’interno della collana
«Gli hegeliani di Napoli» ci offre l’occasione di anticipare e
approfondire alcuni dei temi che saranno oggetto dei prossimi
volumi in preparazione di questa collana.
Finora, come si evince dalle precedenti pubblicazioni, abbiamo voluto presentare le opere dei maggiori esponenti del
gruppo degli hegeliani napoletani, espressione del cosiddetto
hegelismo “critico” e, in particolare, abbiamo voluto ripubblicare quei testi in cui si condensano alcune delle questioni
cruciali del pensiero filosofico dell’epoca: l’idea di Nazione
e di Stato, la funzione della filosofia nella formazione della
coscienza storica di un popolo, il pensiero filosofico nato nel
Rinascimento come principio della modernità.
Lo studio di Giuseppe Invernizzi ci permette di andare
al di là dell’attuale piano editoriale presentando uno degli
esponenti più significativi della corrente “ortodossa” dell’hegelismo napoletano, di cui il rappresentante più eminente fu
Augusto Vera.
Molte furono le differenze fra gli “ortodossi” e i “critici”,
divergenze maturate innanzitutto nella diversa via seguita nel
processo di avvicinamento all’hegelismo e nel suo successivo
10
Nota editoriale
sviluppo, differenze da cui scaturirono discordanti visioni
rispetto ad alcune questioni fondamentali quali, ad esempio,
il rapporto fra filosofia e accadimenti storici, la funzione e il
ruolo della filosofia in un contesto culturale dominato sempre
più dallo sviluppo delle scienze empiriche e infine l’opposta
lettura che dalle due scuole veniva data del sistema di Hegel.
L’indagine su questi temi proseguirà con le future pubblicazioni, all’interno di questa collana, degli studi ancora
insuperati e purtroppo raramente reperibili, di Luigi Russo
(Francesco De Sanctis e la cultura napoletana 1860-1885) e di
Guido Oldrini (La cultura filosofica napoletana dell’Ottocento).
Nota introduttiva
Non si può certo dire che Pasquale D’Ercole sia considerato
una figura centrale della storia della filosofia italiana del secondo
Ottocento. Etichettato come hegeliano ortodosso, estraneo alle
passioni politiche caratteristiche di molti hegeliani napoletani, è
stato poi accusato di un avventuroso quanto incauto tentativo di
operare una sintesi fra hegelismo e positivismo, compiuto nella
convinzione di salvare comunque la sua originaria fedeltà ad
Hegel. Sia come sia, alla fine, ovvero negli anni immediatamente
precedenti la prima guerra mondiale, il «venerando»1 Pasquale
D’Ercole, con il suo impegno per la diffusione della filosofia di
un altro eccentrico pensatore quale fu Ceretti, agli occhi degli
studenti appariva niente di più che un sopravvissuto, una vecchia
mummia appartenente ad un passato ormai lontano2.
1
Così lo chiama Gentile in La filosofia in Italia dopo il 1850 – Gli Hegeliani, «La Critica», 12 (1914), p. 376. Gentile riserva a D’Ercole non più di
quattro pagine (376-379; a Marianna Florenzi Waddington, anch’essa inserita
nel gruppo degli «hegeliani», sono dedicate invece dieci pagine [380 -389]).
2
Si può riportare qui un passo di una lettera di Gramsci alla moglie del
6/11/1932. Il testo contiene alcune inesattezze (Gramsci non seguì mai le
lezioni di D’Ercole; cfr. A. d’Orsi, Lo studente che non divenne «dottore».
Gramsci all’Università di Torino, «Studi Storici», 40 [1999], pp. 39-75), ma è
indicativo di ciò che si diceva fra gli studenti riguardo a D’Ercole: «Quando
frequentavo il 1º anno dell’Università, era professore di storia della filosofia
[in realtà di filosofia teoretica n.d.a.] un vecchione mummificato delle vecchie
12
Giuseppe Invernizzi
La letteratura critica su questo autore è relativamente ampia, ma – se si esclude il saggio di Rota3 – nel complesso poco
generazioni che non conoscevano neanche i fiammiferi, un certo Pasquale
D’Ercole, pugliese di Spinazzola. Il suo vanto era quello di aver appartenuto
alla vecchia generazione degli hegeliani del Risorgimento e di essere sempre
rimasto hegeliano anche nei tempi del positivismo e del naturalismo, per cui
guardava con un certo disprezzo le nuove correnti hegeliane che in Italia si
erano andate formando intorno al 1900. Risolveva tutto col dizionario, verbalmente, e ciò chiamava dialettica. Insegnava da 50 anni a Torino e il suo
corso avrebbe dovuto trattare dell’“Ente evolutivo finale”, ma ancora nessuno
sapeva cosa fosse questo Ente evolutivo finale perché avveniva così: in ogni
nuovo anno scolastico il D’Ercole faceva una prolusione, annunziando il tema,
professando il suo hegelismo e facendo un breve excursus sul concetto di
“principio”: Aristotele ha detto questo, Platone quest’altro, ecc. fino ad Hegel.
Poi esponeva il suo punto di vista che era molto semplice: “Il principio, signori
miei, è niente altro che il principio, l’idea di principio”. Secondo il concetto
hegeliano della filosofia che si identifica colla storia della filosofia, annunziava
quindi, prima di parlare dell’Ente evolutivo finale, di voler fare una piccola
trattazione di storia e incominciava dal più antico filosofo, naturalmente cinese,
cioè Lao-Tse, e tutto l’anno scolastico era dedicato a questo argomento. Ogni
anno, siccome una parte degli studenti mutava, il D’Ercole ricominciava col
“principio” e con Lao-Tse e così per 50 anni. Morì nel 1913 [in realtà nel 1917
n.d.a.] e fra le sue carte fu trovato un manoscritto col titolo “L’Ente evolutivo
finale”, che fu stampato negli Atti dell’Accademia delle Scienze e stampato
a parte in estratto [in realtà il saggio fu pubblicato da D’Ercole per la prima
volta nel 1910, n.d.a.]. Neanche un romanzo di Victor Marguerite ebbe tanto
successo: tutti i vecchi allievi dell’Università volevano sapere cosa fosse questo Ente evolutivo finale annunziato per 50 anni e sempre rimasto incognito
e l’opuscolo andò a ruba». Anche Augusto Guzzo, pur ripetendo più volte
che D’Ercole era «uomo d’ingegno», conferma indirettamente l’opinione
non troppo lusinghiera che si era venuta formando circa l’attività didattica
di D’Ercole: «Montava su un brutto, vecchio pulpito nell’Aula VII; e parlava
rado, non so se con voce soave: i maligni dicevano che la grande lentezza
serviva a dir poco nell’ora di lezione. Diceva con grande solennità: “Signori
miei”, e ci metteva alcuni secondi [...] Faceva dei corsicini con molta storia
della filosofia; di ogni problema ricordava la storia, cominciando non da Talete,
ma da Lao-Tze, perché s’era innamorato dell’Asia, ed era, quello un grande
momento di studi orientali» (Cinquant’anni d’esperienza idealistica in Italia,
CEDAM, Padova 1964, pp. 58-59).
3
Giovanni Rota, Pasquale D’Ercole, «Giornale critico della filosofia
italiana», 76 [78] (1997), pp. 397-423. Cfr. dello stesso Rota L’ambiente
Nota introduttiva
13
analitica, oppure, come avviene per le pagine dedicate a D’Ercole da De Lucia e da Colombo, interessata a problematiche
che riguardano solo alcuni aspetti del pensiero di D’Ercole4.
L’occasione per procedere ad una rivalutazione o per lo meno
ad una rivisitazione del pensiero di questo filosofo è data dalla possibilità di completare la conoscenza della sua filosofia
alla luce del lascito manoscritto5. Questo materiale consente
di comprendere più in profondità il lavoro di un uomo il cui
pensiero forse risulterà un po’ meno banale e superficiale di
quanto la sola considerazione delle sue pubblicazioni può
far ritenere.
torinese di fine Ottocento: P. D’Ercole e G. Allievo, in Luciano Malusa (a
cura di), I filosofi e la genesi della coscienza culturale della «nuova Italia»
(1799-1900), Istituto per gli Studi Filosofici, Napoli 1997, pp. 237-249.
4
Paolo De Lucia, L’istanza metempirica del filosofare. Metafisica e religione nel pensiero degli hegeliani d’Italia, Accademia Ligure di Scienze e
Lettere, Genova 2005, pp. 27-34 (si occupa esclusivamente del volume di
D’Ercole sul teismo); Giuseppe Colombo, La filosofia come soteriologia.
L’avventura spirituale e intellettuale di Pietro Martinetti, Vita e Pensiero,
Milano 2005, pp. 64-77 (delinea un sintetico ritratto complessivo di D’Ercole per valutarne l’influenza su Martinetti).
5
In appendice di questo volume è pubblicato un inventario di tale
lascito, alla cui numerazione ci si riferisce in questa prima parte.
capitolo primo
La formazione e il periodo berlinese
È in generale riconosciuto che l’hegelismo di D’Ercole
è qualcosa di diverso dal cosiddetto hegelismo napoletano,
che pure costituisce l’ambiente culturale in cui il filosofo di
Spinazzola ebbe la sua formazione universitaria1. Dopo aver
studiato dal 1843 al 1847 nel seminario di Molfetta, D’Ercole
proseguì i suoi studi a Venosa sotto la guida di Michele Agostinacchio, sacerdote e letterato di Spinazzola, allievo di Puoti
e De Sanctis2. Si trasferì poi a Napoli per studiare legge alla
fine del 1849 e nella capitale del regno borbonico rimase fino
al 1859. Negli anni napoletani i suoi contatti con gli esponenti
più importanti dell’hegelismo furono nel complesso limitati.
Cfr. per es. Augusto Guzzo, Cinquant’anni d’esperienza idealistica in
Italia, cit., p. 57.
2
Michele Agostinacchio (1817-1887) veniva chiamato spesso a insegnare
nei seminari di Venosa e Conversano. De Sanctis in seguito gli offrì più
volte dei posti di insegnamento nelle scuole statali, ma Agostinacchio
preferì rimanere a Spinazzola (cfr. R. De Cesare, Michele Agostinacchio,
«Rassegna pugliese di scienze, lettere ed arti», 4 [1887], pp. 247-248). Le
informazioni sulla biografia di D’Ercole sono ricavate dall’opuscolo Nel
50° anniversario d’insegnamento del Prof. Pasquale D’Ercole, Torino 1913 – i
cui dati sono stati verosimilmente forniti o per lo meno confermati dallo
stesso D’Ercole. Da questo opuscolo dipendono tutte le biografie relative
al filosofo, cfr. voce D’Ercole Pasquale in Dizionario Biografico degli Italiani,
vol. 31, Roma 1991.
1
Giuseppe Invernizzi
16
Bertrando Spaventa era partito da Napoli nell’ottobre del
1849 e sarebbe tornato solo nel 1861. De Sanctis si trovava a
Cosenza: tornò a Napoli nel 1850 per rimanervi in carcere fino
al 1853; esiliato, riparò prima a Torino e poi a Zurigo. Sarebbe
tornato a Napoli nel 1860. Antonio Tari era «chiuso dal 1849
al 1860 nella solitudine di un villaggio (Terelle, in provincia
di Caserta)»3. Augusto Vera, dopo essere stato all’estero per
molti anni, sarebbe rientrato in Italia solo nel 1859, divenendo
professore a Napoli nel 1861.
D’Ercole dovette la sua prima formazione hegeliana a
Giambattista Ajello, che privatamente leggeva l’Enciclopedia hegeliana e che D’Ercole frequentò negli anni dal 1855
al 18574. Fra i giovani e i meno giovani che «nel silenzio di
morte»5 degli anni fra il 1848 e il 1860 in misura diversa si
dedicavano allo studio della filosofia tedesca insieme a D’Ercole sono da ricordare i coetanei Floriano Del Zio e Nicola
Marselli, Stanislao Gatti, Federico Persico, Giacomo Racioppi,
Antonio Turchiarolo ed Edoardo Salvetti6. Colui che sembra
Giovanni Gentile, Documenti inediti sull’hegelismo napoletano (dal
carteggio di B. Spaventa), «La Critica», 4 (1906), p. 400 [oggi Terelle fa parte
della provincia di Frosinone].
4
Anche Ajello (1815-1860) era stato arrestato nel 1848: sollevato da ogni
incarico pubblico, gli era stato vietato l’insegnamento pubblico (cfr. voce
Ajello Giambattista, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 1, Roma 1960).
5
L’espressione ricorre in Nicola Marselli, Gl’italiani del Mezzogiorno,
«Nuova Antologia», 73 (1884), p. 636.
6
Su questo gruppo di intellettuali, sui loro interessi e sulla loro effettiva
conoscenza della filosofia hegeliana esiste ormai una ricca bibliografia.
Cfr. anzitutto Guido Oldrini, La cultura filosofica napoletana dell’Ottocento, Laterza, Bari 1973, pp. 323-334. Per lo studio della lingua tedesca
e per la traduzione di alcuni scritti questo gruppo faceva riferimento al
bavarese Oscar von Sommer, citato da Turchiarolo nella introduzione
alla traduzione della Filosofia del diritto di Hegel. Nel lascito manoscritto
di D’Ercole si trova la descrizione di una vigilia di Natale passata a casa
di von Sommer, qualificato come «chiaro maestro di lingua tedesca» (D
2). Non sono riuscito a trovare altre notizie su von Sommer. È possibile
3
La formazione e il periodo berlinese
17
aver raggiunto più rapidamente una migliore conoscenza complessiva di Hegel e anche degli sviluppi dell’hegelismo è Del
Zio: mentre D’Ercole ancora nel 1859 sentiva la necessità di
completare la sua formazione filosofica recandosi a Berlino,
fin dal 1853 Del Zio teneva clandestinamente dei corsi su
Hegel, a quanto risulta da una lettera a Spaventa7, e nella sua
Prolusione al corso di lezioni sulla Enciclopedia delle scienze
filosofiche di Hegel del 1861 citava un buon numero di opere
di Hegel oltre a vari scritti di Michelet8.
La partenza per Berlino avviene nel 1859. Non si conoscono nei dettagli i motivi che spinsero D’Ercole a recarsi
proprio in quella città dove soggiornò per circa tre anni a sue
spese9. Benché questa scelta non abbia costituito certamente
che insegnasse alla Nunziatella (un Oscar von Sommer con tali compiti è
ricordato in due numeri della «Gazzetta Ufficiale» del 1884 e del 1891).
7
Cfr. la lettera a Spaventa del 15 aprile 1861, citata in Giuseppe Vacca,
Nuove testimonianze sull’hegelismo napoletano, «Atti dell’Accademia di
Scienze morali e politiche della Società nazionale di Scienze, Lettere ed
Arti in Napoli», 76 (1965), p. 48.
8
I primi rapporti di Carl Ludwig Michelet (1801-1893) con la scuola
napoletana risalgono al 1854, quando il gruppo sopra ricordato entrò in
corrispondenza con l’hegeliano tedesco (cfr. la lettera citata nella nota
precedente, p. 48). Già nell’inverno 1856-1857 Michelet ricevette a Berlino
la visita di Nicola Marselli, che gli recò in omaggio un saggio di Salvetti,
chiedendogli indicazioni bibliografiche sulla filosofia del diritto tedesca
dell’epoca. Lo stesso Salvetti aveva anche spedito una sua traduzione a
Michelet, che in risposta gli inviò una lunga lettera in data 28 giugno 1857
(cfr. B. Croce, Per la storia del pensiero tedesco in Italia. Eduardo Salvetti
e C. L. Michelet, «La Critica», 20 [1922], pp. 249-256) (Eduardo Salvetti
morì prematuramente nel 1858). Lo stesso Michelet aveva compiuto un
viaggio in Italia nel 1852, fermandosi tra l’altro a Napoli dalla fine di agosto
alla metà di ottobre di quell’anno. Di questo viaggio egli riferì nel volume
Eine italienische Reise in Briefen: dem Freunde der Natur, der Kunst und des
Alterthums gewidmet, Berlin 1856, 18642, ma sia qui sia nell’autobiografia
(Wahrheit aus meinem Leben, Berlin 1884) egli non fa cenno ad incontri
con filosofi o esponenti della cultura napoletana.
9
Tutte le biografie di D’Ercole riportano l’aneddoto secondo cui
egli partì con un passaporto che lo qualificava come «mercante di olio»
18
Giuseppe Invernizzi
un caso isolato nel gruppo dei giovani filosofi napoletani di
quegli anni – a Berlino si era recato già Marselli, poi sarà la
volta di Imbriani, De Meis, Angiulli, Acri, De Gubernatis e
di parecchi altri –, si può tuttavia rilevare che D’Ercole partì
per Berlino proprio nel periodo in cui tra i fuoriusciti stava
iniziando un generale movimento di ritorno a Napoli o dal
resto dell’Italia o dall’estero, nella convinzione che ormai fosse
giunta l’ora dell’unificazione nazionale10. La scelta di D’Ercole
appare un indizio di quel sostanziale disinteresse per la vita
politica che rimase costante per tutta la sua vita e che anche
o «negoziante di generi coloniali». Tale qualifica (che gli sarebbe stata
tra l’altro consigliata da un commissario di polizia di Napoli) lo doveva
mettere al riparo dai sospetti della polizia borbonica (ma naturalmente
suscitò qualche curiosità nel rettore dell’università di Berlino al momento
dell’iscrizione). Da una lettera a Gentile del 27 settembre 1914 conservata
presso la Fondazione Biblioteca “Benedetto Croce” sembra tuttavia che
tale scelta dipendesse dal fatto che D’Ercole non aveva conseguito a Napoli la laurea (nella stessa lettera egli ricorda che il titolo di dottore venne
attribuito a lui come ad altri professori di filosofia con un atto legislativo
speciale da parte del ministro Bonghi). In Germania D’Ercole il 16 novembre 1863 sposò Mathilde Vogelsang, nata nel 1843, che lo seguì poi in
Italia. Alla cerimonia intervenne Michelet (Wahrheit aus meinem Leben,
cit., p. 519). Sopravvisse al marito – deceduto nel 1917. Poiché non risulta
più censita nell’anagrafe di Torino dopo il 1911 e poiché Martinetti – che
aveva frequentato per qualche tempo D’Ercole – avrebbe detto ad un
professore che la Vogelsang non si interessava per nulla alla filosofia del
marito, Verrecchia pensa che dal 1911 la Vogelsang abbia «piantato in
asso» il marito e si sia trasferita altrove (La catastrofe di Nietzsche a Torino, Einaudi, Torino 1979, p. 218). In realtà la moglie deve essere rimasta
accanto a D’Ercole fino alla morte, se ad essa è indirizzato un biglietto di
condoglianze di Gentile, cui essa risponde anche a nome dei figli (cfr. il
biglietto del 6 febbraio 1917, conservato presso la Fondazione Biblioteca
“Benedetto Croce”). Del resto il suo nome è regolarmente presente negli
annunci funebri relativi alla morte di D’Ercole e il fascicolo contenente i
necrologi, presente nell’archivio dell’Accademia delle Scienze di Torino,
contiene una lettera a lei indirizzata in cui le viene comunicato l’attribuzione di una pensione.
10
Cfr. Oldrini, La cultura filosofica, cit., pp. 368-380.
La formazione e il periodo berlinese
19
in seguito lo tenne lontano dalla tentazione di impegnarsi
nella vita parlamentare, tentazione cui avrebbero ceduto non
pochi suoi colleghi. Così il rettore dell’università di Torino
Ruffini, celebrando nel 1913 i cinquant’anni di insegnamento
di D’Ercole, sottolineerà la fedeltà del suo professore all’università, riferendogli, opportunamente corretto, l’elogio che
veniva fatto alle matrone romane (domi mansit, lanam fecit):
«rimase nell’Università e non fece che della scienza»11. Questo
non significa che D’Ercole non abbia avuto idee politiche o
che si sia adeguato passivamente alle idee politiche dominanti:
significa che egli riteneva che esistesse uno spazio di attività
intellettuale – la filosofia – che non implicava in quanto tale
un’immediata presa di posizione riguardo alle questioni politiche di attualità e ancor meno una partecipazione diretta agli
sforzi di dar loro soluzione. Se si guarda nel suo complesso
all’insieme delle istituzioni, delle pubblicazioni e delle figure
più o meno importanti che caratterizzano la filosofia italiana
nel periodo che va dall’unificazione nazionale fino alla prima
guerra mondiale, è necessario riconoscere l’esistenza di una
«duplicità di piani» che Restaino caratterizza in modo assai
efficace:
Da un parte una cultura, e una filosofia, militanti, impegnate nel dibattito ideologico e politico quotidiano; dall’altra una
cultura, e una filosofia, accademiche, disimpegnate rispetto
a quel dibattito, distaccate in una sfera di discussioni, analisi
e approfondimenti di tipo ormai «professionali». [...] Nell’ala
militante della cultura filosofica i problemi affrontati riguardano
direttamente la società in cui quella cultura opera; i filosofi
prendono posizione, indicano soluzioni, prospettano vie e modi
di rinnovamento della società, utilizzando i nuovi mezzi di comunicazione (i giornali) e di organizzazione (i partiti) per fare
Le onoranze al Professore Pasquale D’Ercole a Torino, estratto da
«Rassegna pugliese», 28 (1913), p. 7.
11
20
Giuseppe Invernizzi
sentire la loro voce ad un uditorio molto vasto, intervengono in
prima persona, non delegando alle istituzioni la funzione – che
ritengono loro propria – di orientare idealmente e politicamente
quanti riescono a raggiungere con i loro scritti. Nell’ala non
militante, quella prevalentemente accademica, i grandi problemi, spesso veramente drammatici, di quegli anni, o non sono
presenti o lo sono in una maniera talmente mediata da apparire problemi astratti puramente teorici, relativi alla umanità in
generale e non alla società concreta in cui si vive; i filosofi, in
questo caso, hanno implicitamente accettato una distinzione di
ruoli, una divisione del lavoro, in base alle quali la trattazione
dei problemi reali e quotidiani della loro società è delegata ad
altri (le istituzioni, i partiti, la stampa); ad essi, i filosofi, rimane
il compito, tecnico e analitico e non politico e ideologico, di
dibattere e risolvere problemi appunto «filosofici»12.
Come sempre la distinzione fra questi due gruppi di filosofi
non va intesa in modo rigido: ci sono autori che per qualche
tempo partecipano direttamente al dibattito politico-sociale
per poi ritrarsene e viceversa autori che si dedicano alla politica militante dopo lunghi anni di attività «accademica», così
come vi sono «accademici» che non disdegnano di tanto in
tanto di esprimere il loro parere su questo o quel problema.
Ciò detto, non vi possono essere dubbi sul fatto che D’Ercole
sia appartenuto all’ala «non militante»13.
12
Franco Restaino, Note sul positivismo in Italia. Il declino 1892-1908,
«Giornale critico della filosofia italiana», 64 (1985), pp. 462-463.
13
Lo scritto in cui D’Ercole affronta il tema più «politico» è La pena
di morte e la sua abolizione dichiarate teoricamente e storicamente secondo
la filosofia hegeliana, Milano 1875 [rist. parziale in C. L. Michelet - Th.
Sträter, La società filosofica di Berlino e gli hegeliani di Napoli – scritti
di storia della filosofia (1860-1865), a cura di Domenico D’Orsi, Giuffré,
Milano 1985, pp. 215-240], opera che si inserisce nella vasta pubblicistica
sull’argomento sviluppatasi subito dopo il 1860. A favore del mantenimento si era pronunciato Vera (La pena di morte, Napoli 1863), andando
incontro a critiche, talora violente, da parti degli abolizionisti (Ellero,
Pessina, Rossi, Aponte). La campagna abolizionista venne ripresa nel 1872
La formazione e il periodo berlinese
21
Gli studi compiuti all’università di Berlino furono determinanti per la formazione di D’Ercole, tanto per il numero
quanto per la qualità dei docenti di cui seguì i corsi o che
frequentò di persona. Fra gli hegeliani – molti dei quali con
lo stesso D’Ercole facevano parte di quella «Philosophische
Gesellschaft» che si proponeva di tener viva e diffondere la
filosofia hegeliana – vi erano quasi tutti i discepoli diretti di
Hegel, alcuni dei quali impegnati nell’edizione delle opere del
maestro, spesso oggetto di commento nei loro corsi: Leopold
von Henning (1791-1866), editore della Logica hegeliana e
redattore degli «Jahrbücher für wissenschaftliche Kritik»,
Karl Werder (1806-1893), autore di un importante commento alla Logica, Ferdinand Lassalle (1825-1864) e soprattutto
Carl Ludwig Michelet al quale D’Ercole si legò di duratura
amicizia.
Va osservato che D’Ercole non si limitò a frequentare gli
hegeliani, ma ascoltò le lezioni ed entrò in rapporti con altri importanti docenti, primo fra tutti Adolf Trendelenburg,
poi Max Schasler (1819-1903), vicino alla scuola hegeliana e
cultore di estetica, Theodor Mommsen (1807-1913), il famoso
epigrafista e storico del mondo romano, Friedrich Mullach
(1807-1882), importante filologo, e Adolf Stahr (1805-1876),
filologo e traduttore di parecchie opere di Aristotele, oltre che
scrittore di successo e marito dell’allora famosa Fanny Lewald.
con il primo Congresso giuridico italiano e portata avanti a partire dal
1874 dalla «Rivista penale» di Luigi Lucchini. Ed è in questi anni che
D’Ercole affronta la questione, schierandosi dalla parte degli abolizionisti.
Nel suo scritto D’Ercole critica Vera (oltre a Michelet e Rosenkranz), ma
non cita Spaventa, che a sua volta aveva preso posizione contro la pena di
morte. Curiosamente lo stesso Vera, ripubblicando il suo lavoro nel 1883
(Saggi filosofici, Napoli 1883) non fa cenno al lavoro di D’Ercole. Rota
(Pasquale D’Ercole, cit., p. 411) considera questo lavoro «emblematico» del
dogmatismo hegeliano di D’Ercole, giacché il rifiuto della pena di morte
viene compiuto correggendo il maestro, sulla base delle stesse premesse
hegeliane. Insomma egli è «più hegeliano di Hegel».
22
Giuseppe Invernizzi
Il periodo berlinese, oltre che per qualche intervento sulla
rivista «Der Gedanke», l’organo della «Philosophische Gesellschaft», si caratterizza per un lavoro dedicato a Bonaventura Mazzarella e per un altro breve scritto sul concetto di
intuizione in Gioberti14. In entrambi i casi si tratta di lavori
modesti, sia per originalità che per estensione, e non può non
suscitare una certa meraviglia il fatto che sulla base di questi
titoli il 13 novembre 1862 D’Ercole venne nominato professore
ordinario di filosofia teoretica all’università di Pavia. Su questa
cattedra, alternando talvolta i corsi di filosofia teoretica con
corsi di storia della filosofia, rimase fino al 1878, quando si
trasferì a Torino, università presso la quale concluderà la sua
lunghissima carriera15.
14
Cfr. Esposizione ed esame della critica della scienza del prof. B. Mazzarella, Berlin 1862. D’Ercole espone i contenuti della Critica della scienza,
Genova 1860, di Bonaventura Mazzarella (1818-1882), un’opera di più di
500 pagine, che, dichiarando esaurito il metodo speculativo (il cui apice
è rappresentato dal pensiero di Hegel), propone un ritorno a Kant. Mazzarella apparteneva alla schiera degli esuli provenienti dal sud dell’Italia
(nel 1848 aveva cercato di organizzare a Lecce una sollevazione antiborbonica). In Piemonte aveva aderito alla confessione valdese, tanto che la
sua nomina a professore all’università di Bologna nel 1860 aveva suscitato
molto rumore. Fu in seguito eletto varie volte deputato. Nell’opuscolo di
D’Ercole non si fa alcun cenno alle complicate vicende politiche cui l’autore
aveva avuto parte. D’Ercole nega la filosofia di Mazzarella sia davvero in
grado di sconfiggere lo scetticismo. L’opuscolo si conclude con una discussione delle obiezioni Trendelenburg alle prime categorie della logica
hegeliana, un problema di cui si stava occupando intensamente in quel
periodo anche Michelet (cfr. Die dialektische Methode und der Empirismus,
«Der Gedanke», 1[1861], pp. 111-126 e 185-201). L’altro scritto, L’intuito e
la riflessione, Berlin 1862, ha dimensioni ancora più modeste (11 pagine)
e, contro Gioberti, sostiene la tesi che l’intuito di per sé non può dare
origine al vero sapere se non mediato dalla ragione. Anche questo tema era
stato oggetto di una serie di contributi su «Der Gedanke», sotto il titolo
generale di Dialektik und Anschauung, 2 (1861), pp. 194 -230.
15
D’Ercole a Pavia prende il posto di Ruggero Bonghi, che si era
trasferito a Firenze nel 1860. Le circostanze che portarono alla fulminea
nomina di D’Ercole a professore ordinario non sono note e non mancò
La formazione e il periodo berlinese
23
Prima di procedere oltre vale la pena di fare qualche considerazione sulla situazione dell’hegelismo nella Berlino degli
anni ’60. Gli anni del trionfo hegeliano erano oramai un ricordo del passato. Al passato apparteneva anche il tentativo
di Schelling di sviluppare una critica dell’hegelismo da un
punto di vista speculativo, tentativo contestato dagli hegeliani
ortodossi e in particolare da Michelet16. Un ricordo anche i
vivaci dibattiti fra hegeliani di destra, di centro, di sinistra.
Hegel, secondo la nota espressione di Marx, era ormai trattato come un «cane morto» e lo stesso Michelet appariva a
Engels come «l’ebreo errante della scuola hegeliana»17. Dopo
il 1848 gli hegeliani erano guardati con ostilità dalle autorità:
lo stesso Michelet aveva avuto in varie occasioni problemi per
le sue posizioni politiche moderatamente liberali e, nonostante l’imponente massa delle sue pubblicazioni e il suo lavoro
nell’edizione delle opere di Hegel, non riuscì mai a divenire
professore ordinario. Più volte nei suoi scritti e nelle sue lettere
si riferisce alla scuola hegeliana come ad una ecclesia pressa18.
L’interesse manifestatosi in Italia per l’hegelismo deve aver
suscitato una certa sorpresa fra gli hegeliani berlinesi, le cui
reazioni alle notizie del crescente diffondersi della filosofia
qualcuno che ebbe a ironizzare sulla vicenda (cfr. Luigi Longoni, Il sistema
filosofico di G. G. F. Hegel, Milano 1863, p. 25: D’Ercole, inviato a Berlino
«onde ricevesse colà il battesimo nell’edicola di Hegel e la cresima nella
scuola di Michelet pontefice suo [...] ne tornava improvvisato professore
all’Università pavese»).
16
Cfr. C. L. Michelet, Entwicklungsgeschichte der neuesten deutschen
Philosophie, Berlin 1848.
17
Karl Marx, Il capitale, tr. it. di D. Cantimori, Einaudi, Torino 1975,
vol. I, p. 18 [Poscritto alla seconda edizione (1873)]. Friedrich Engels,
Antidühring, Rinascita, Roma 1950, p. 44. (Karl Marx / Friedrich Engels,
Werke, Dietz Verlag, vol. 20, Berlin 1962, p. 33: «den Ewigen Juden der
Hegelschen Schule»). Insomma Engels considerava Michelet semplicemente un sopravvissuto, alludendo con ogni probabilità anche alla sua età.
18
Cfr. per es. «Der Gedanke», 2 (1861), p. 74.
Giuseppe Invernizzi
24
del maestro, addirittura favorito da un ministro (De Sanctis),
possono essere comprese solo tenendo presenti le difficoltà
in cui si dibattevano a Berlino i discepoli del filosofo di Stoccarda19. D’altra parte si può comprendere che cosa potesse
significare per gli italiani questo riconoscimento proveniente
dal centro europeo dell’hegelismo, verso cui i più giovani e più
entusiasti si recavano quasi in pellegrinaggio. I più avveduti in
realtà devono aver compreso che questo gemellaggio NapoliBerlino aveva dietro di sé non pochi equivoci. È significativo
ad esempio che Bertrando Spaventa non abbia mai mostrato particolare entusiasmo per la Società filosofica berlinese,
che pure aveva dato risalto alla sua attività filosofica 20: la sua
Secondo Croce la rinascita hegeliana a Napoli era guardata da Berlino «con gioia ed interesse (che aveva perfino del puerile)». Cfr. Appunti
per la storia della cultura in Italia nella seconda metà del secolo XIX. I: La
vita letteraria a Napoli dal 1860 al 1900, «La Critica», 7 (1909), p. 347. Più
scettico invece Guzzo che, commentando l’hegelismo di D’Ercole, l’unico
a suo modo di vedere di «formazione berlinese schietta», osserva: «In ogni
modo – sia detto con tutto rispetto – gli hegeliani tedeschi non hanno preso
molto sul serio – questa è la verità – l’hegelismo degli italiani. Essi hanno
subito fiutato che era un’altra cosa, d’odore tutto diverso» (Cinquant’anni
d’esperienza idealistica in Italia, cit., p. 57).
20
A quanto risulta, Spaventa non divenne mai membro della Società
berlinese (mentre lo furono D’Ercole, Imbriani, Marselli. Vera fu nominato membro straordinario dal 1861. Michelet, da parte sua, entrò a far
parte dell’Accademia napoletana delle scienze nel 1869). Oltre a varie
notizie sulla sua attività accademica, Michelet pubblica una recensione
dello scritto sulle prime categorie hegeliane (C. L. Michelet, Spaventa
über Hegel in der Akademie zu Neapel, «Der Gedanke», 5, 2 [1864], pp.
114-117 – peraltro qui Spaventa è qualificato come «nicht Hegelianer»),
mentre Rosenkranz dà notevole spazio alle traduzioni e ai commenti di
Hegel pubblicati da Vera, dedicandogli, oltre ad alcuni interventi su «Der
Gedanke», anche un intero volume: Karl Rosenkranz, Hegels Naturphilosophie und die Bearbeitung derselben durch den italienischen Philosophen
Vera, Berlin 1868. La «celebrazione» più estesa dell’hegelismo napoletano
e dei suoi esponenti principali ha luogo in Theodor Sträter, Briefe über
die italienische Philosophie, pubblicati in varie puntate su «Der Gedanke», fra il 1864 e il 1865, tr. it. Lettere sulla filosofia italiana, a cura di A.
19
La formazione e il periodo berlinese
25
filosofia era in fondo poco interessata a una ripresa e ad un
approfondimento della dimensione speculativa e sistematica
dell’hegelismo21.
Reciprocamente, Michelet doveva avere qualche difficoltà a
comprendere le ragioni per cui ci si ispirava ad Hegel per cacciare i Borboni, lui che, pur difendendo il «liberalismo» di Hegel
contro le critiche di Strauss, nel bel mezzo di una riunione della
«Società filosofica» non esitava a definire Hegel «il filosofo
della restaurazione»22. Nei suoi scritti di argomento giuridico
e politico egli aveva sviluppato posizioni più «progressiste» di
quelle hegeliane. Per esempio, all’interno di un modello che
prevedeva la netta divisione dei poteri, Michelet pensava dovesse esistere una sola camera, depositaria del potere legislativo,
eletta a suffragio universale e senza distinzione di ceti. Si era
occupato anche della nascente questione sociale e nel quadro
di una proposta di conciliazione fra capitale e lavoro aveva indicato nel libero diritto di associazione (das freie Vereinsrecht)
il mezzo per raggiungere il bene sociale. Si era poi battuto per
il riconoscimento delle autonomie, sia nelle istituzioni locali,
Gargano, Bibliopolis, Napoli 1987 (esiste ora un’edizione complessiva in
tedesco, Briefe über die italienische Philosophie, Janus, Köln 1991). Queste
lettere, oltre a offrire una descrizione assai vivace dell’ambiente culturale
napoletano, riprendono le tesi fondamentali di Spaventa sulla circolazione
della filosofia italiana, traducendo lunghi passi della prolusione tenuta da
Spaventa nel 1860 sul Carattere e sviluppo della filosofia italiana dal secolo
XVI fino al nostro tempo.
21
Il significato e la funzione che Spaventa attribuiva alla ripresa in
Italia della filosofia di Hegel è esposto in modo chiaro ed immediato
nel noto scritto del 1868 Paolottismo, positivismo, razionalismo. Lettera al
prof. A. C. De Meis, in B. Spaventa, Scritti filosofici, a cura di G. Gentile,
Morano, Napoli 1901, pp. 291-314. Non sembra d’altra parte che Spaventa
si sia mai interessato molto di D’Ercole, cfr. il poderoso studio di Nicola
Caputo, Bertrando Spaventa e la sua scuola, Istituto per gli Studi filosofici,
Napoli 2006.
22
Sitzungsberich der Philosophischen Gesellschaft, «Der Gedanke», 2
(1861), p. 77.
26
Giuseppe Invernizzi
sia nelle istituzioni scolastiche, a partire dall’università. Infine
aveva insistito sulla necessità di rendere indipendenti le istituzioni scolastiche da quelle religiose23.
L’interesse di Michelet e degli altri membri della società
filosofica per l’Italia comunque aumentò considerevolmente
con il rapido compiersi del processo di (parziale) unificazione, visto come un modello che la Prussia avrebbe dovuto
seguire24. Del resto ebbe luogo a tutti i livelli un graduale
23
Esposizione sistematica di queste idee si trova in C. L. Michelet,
Naturrecht oder Rechts-Philosophie, 2 voll., Berlin 1866. Ma cfr. anche di
Michelet, Zur Verfassungsfrage, Frankfurt-Berlino 1848 e Die Lösung der
gesellschaftlichen Frage, Berlin 1849, scritti particolarmente interessanti
perché risalenti agli anni della rivoluzione del 1848 e quindi in qualche
misura «militanti» (il primo dei due scritti contiene un progetto compiutamente sviluppato in articoli e paragrafi di una possibile costituzione
tedesca). Il suo pensiero politico si riassume nell’idea di una «Monarchia
costituzionale circondata da istituzioni democratiche». Per aver chiamato la
camera alta prussiana «eine Ruine aus Mittelalter» a Michelet fu intentato
un processo per offesa alle istituzioni, processo da cui alla fine uscì assolto.
Una presentazione d’insieme della figura di Michelet è offerta dal saggio di
P. D’Ercole, Carlo Lodovico Michelet e l’hegelianismo, «Rivista italiana di
filosofia», 9, 1 (1894), pp. 303-328; 9, 2 (1894), pp. 48-88 [rist. in. MicheletSträter, La società filosofica di Berlino, cit., pp. 241-287. Quest’opera offre
anche molte informazioni sui primi anni della «Società filosofica» berlinese]. È significativo che D’Ercole consideri Michelet uno dei principali
esponenti della sinistra hegeliana (ivi, p. 254) e che ancora in uno dei suoi
ultimi saggi si richiami a Michelet per proporre l’introduzione nelle scuole
italiane del sistema delle autonomie propugnato da Michelet (La quistione
didattico-universitaria proposta e risolta da un hegeliano sessant’anni fa, «Rivista pedagogica», 4 [1911], pp. 188-190). Domenico Losurdo, Tra Hegel
e Bismarck. La rivoluzione del 1848 e la crisi della cultura tedesca, Editori
Riuniti, Roma 1983, pp. 291-295, giudica invece le posizioni di Michelet –
specie nell’ambito della questione sociale – un arretramento nei confronti
di Hegel, per «lo smussamento e l’occultamento delle contraddizioni della
società borghese» e «la riscoperta delle armonie economiche». Il lavoro più
recente su Michelet è: Matthias Moser, Hegels Schüler C. L. Michelet: Recht
und Geschichte jenseits der Schulteilung, Duncker & Humblot, Berlin 2003.
24
Cfr. Emanuele Cafagna, Stato nazionale e filosofia della storia. La
rivista «Der Gedanke» negli anni sessanta dell’Ottocento, «Filosofia poli-
La formazione e il periodo berlinese
27
avvicinamento tra Prussia e Italia, sfociato nell’alleanza che
sarebbe stata alla base della guerra del 1866.
Per quanto riguarda più da vicino D’Ercole – come si è detto
poco interessato ai problemi politici – è opportuno considerare
brevemente la cosiddetta «ortodossia» di questi hegeliani e in
particolare dello stesso Michelet. Delle sue divergenze da Hegel
rispetto ad alcune concrete questioni politiche si è già detto.
Alcune di esse hanno conseguenze importanti per la filosofia
della storia. L’America, considerata da Hegel il paese del futuro,
senza che venisse delineato un suo specifico ruolo in tale futuro,
diviene senz’altro in Michelet il luogo dove ha inizio la fase
finale della storia dell’umanità. In essa si compie la completa
affermazione della libertà personale, la cui realizzazione non
viene più subordinata allo stato. Per Michelet l’organizzazione
indipendente dei vari livelli amministrativi fa venir meno la
cesura fra società civile e stato25. Si tratta della realizzazione di
un terzo livello della libertà, che vedrà gradualmente scomparire l’uso della guerra per dirimere le contese fra gli stati e la
sostituzione del Völkerrecht con il Weltbürgerrecht26.
Per quanto riguarda poi l’ambito della filosofia teoretica,
Michelet senz’altro difende con tenacia le posizioni hegeliane,
tica», 15 (2001), pp. 433-466. Quasi tutti i fascicoli della rivista citata si
concludono con una «Geschichtsphilosophische Uebersicht», che è in
sostanza un commento di Michelet agli avvenimenti politici più recenti.
25
Per la descrizione dei caratteri degli Stati Uniti d’America cfr. C. L.
Michelet, Geschichte der Menschheit in ihrem Entwicklungsgange, vol. II,
Berlin 1860, pp. 493- 616.
26
Va anche osservato che nella sua lunga esposizione Michelet utilizza raramente dei nessi dialettici, lasciandosi trasportare piuttosto dal
suo interesse (del tutto empirico) per i caratteri della società americana.
D’altra parte è da tempo riconosciuto che anche la filosofia della storia
hegeliana, se si prescinde da alcune linee di sviluppo generali, nelle analisi
particolari non è costruita secondo un rigoroso metodo dialettico (cfr.
per es. Marcello Monaldi, Hegel e la storia. Nuove prospettive e vecchie
questioni, Guida, Napoli 2000).
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