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Va m i c a
OTTOBRE 2006
LA RAGIONE E L'INFINITO
IL PRIMO "GREST" A CAORSO
DUE CHIACCHIERE COL MAESTRO BOCCACCIO
INTERVISTA AD ELIO PEGORARI
LA VACANZA ESTIVA DEI GIOVANI
LA STORIA DELLA NOSTRA PARROCCHIA
ELEVAVERUNT FLUMINA VOCEM SUAM
La scomparsa di
Don Carlo Bagatta
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VOCE
AMICA
N° 3/ 2006
Periodico della
parrocchia di Caorso
fondato da
mons. Lazzaro Chiappa
l'8 dicembre 1923
Direttore responsabile
Don Giuseppe Tosca
Autorizzazione
Tribunale
di Piacenza
del 26.01.2005
n. 605
Stampa
Tipolitografia
La Grafica
Piacenza
Impianti Fotolito
Officina Foto Grafica
Redazione
Carlo Livera
Davide Livera
don Giuseppe Tosca
Enrico Francia
Marcello Casalini
Marco Molinari
Simona Chiesa
Valentina Rossi
Fotografie
don Giuseppe Tosca
Lino Pavesi
Susanna Mosconi
Progetto grafico
Silvia Bodini
Impaginazione
Emanuela Chiesa
Sla Casa
abato 17 giugno, presso
Madre della Società
San Paolo in Alba, ha
concluso la sua esistenza
terrena don Carlo Bagatta.
Il sacerdote paolino era
legato a Caorso da vincoli
familiari, infatti nel nostro
paese vivono le sorelle, il
cognato Paolo Balzarelli e i
molti nipoti.
Aveva pertanto un forte
legame con la nostra
comunità parrocchiale,
presso la quale ha trascorso
diversi periodi negli anni.
Ogni qual volta si recava in
visita ai suoi familiari sempre
si rendeva disponibile per
celebrare la Santa Messa e
soprattutto rendeva questo
servizio presso la Casa protetta ‘La
Madonnina’.
La vita di don Carlo è stata legata per molti
anni al Canada, dove giunse nel 1949 e
dove rimase fino al settembre 1999. Nei
cinquant’anni della sua permanenza, le
comunità di Sherbrooke e Montréal
beneficiarono largamente della sua presenza,
delle sue energie e capacità, della sua
predisposizione all’ottimismo nonostante
le difficoltà.
Molteplici furono le mansioni affidategli e
sempre don Carlo diede il meglio di sé
come testimonia un confratello che visse
con lui: “Per spirito di sacrificio, attaccamento al dovere, pietà, docilità, rettitudine, don Bagatta è fra i migliori sacerdoti
che ho avuto la fortuna di conoscere”.
L’avanzare dell’età lo spinse ad esprimere
nel 1999 il desiderio di rientrare in Italia.
Fu accolto prima nella Casa Generalizia
del suo ordine a Roma e poi sui colli Albani,
infine giunse alla Casa Madre di Alba.
La fedeltà alla vocazione e alla missione,
l’amore per la sua Congregazione,
l’apostolato compiuto con saggezza,
l’ottimismo cordiale, illuminano la figura
di questo nostro fratello.
Alla sua intercessione affidiamo la nostra
comunità parrocchiale e la nostra ‘Voce
Amica’, essendo stata la diffusione della
stampa cattolica l’opera alla quale don
Carlo ha dedicato la sua lunga vita e i suoi
59 anni di sacerdozio.
Valentina Rossi
Editoriale
A
ccovacciato su un masso in mezzo al Noce,
che scorreva tranquillo nella solita Val di Sole,
aspettavo i ragazzi che, d’un tratto, sbucarono
fuori dall’ansa del torrente, a bordo dei canotti
gialli del Rafting Center, raggianti per l’insolita
impresa portata a buon fine.
D’un tratto mi sovvennero le parole del salmo
93: «Alzano i fiumi, Signore, alzano i fiumi la loro
voce, alzano i fiumi il loro fragore». S. Agostino,
in suo splendido commento a questo brano,
dice che le “voci di molte acque” citate nel
prosieguo del salmo sono da intendersi come
il fragore dei flutti marini, impressionanti nella
loro potenza e simbolo delle persecuzioni che
si scatenano contro la Chiesa.
Ma, accanto a questi cavalloni marini, si alza
anche la voce potente dei fiumi. A questo
proposito Agostino cita il Vangelo: «Chi ha sete
venga a me e beva chi crede in me; come dice la
Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo
seno».
I fiumi che alzano la loro voce sono, per il
nostro autorevole commentatore, gli apostoli
che annunciano il kérigma, l’annuncio del
Vangelo che ha il potere di placare e
sottomettere a Cristo i potenti del mondo.
Questi ragazzi, che hanno passato una vacanza
spensierata, come del resto si conviene alla
loro età, ma che hanno anche sempre preso
sul serio i momenti di preghiera e si sono messi
in ascolto della Parola di Dio, hanno tutta
l’aria di prepararsi ad alzare la loro voce con
la potenza di chi ha sperimentato, fin dalla
giovinezza, l’amore di Dio e, pertanto, non
può lasciarsi né suggestionare né intimidire
dagli inganni e dal potere del mondo.
Questa è una mia grande speranza: che questi
giovani simpatici, generosi, forti e capaci
possano prepararsi ad essere la carta vincente
di una Chiesa ormai data per sconfitta dai
benpensanti di turno. Questi giovani hanno
avuto modo, già nella loro infanzia, di gustare
i frutti del consumismo, del permissivismo,
del buonismo, della trasgressione che ci
propinano con infaticabile costanza i banditori
del villaggio globale.
Conoscono già il veleno che si cela nella mela
offerta all’improvvida Biancaneve, in parte ne
sono rimasti vittime e ne portano le
conseguenze, ma nello stesso tempo sono in
grado di capire, meglio e più degli adulti, quale
sia il tallone d’Achille di questo paese dei
balocchi. Hanno viva la percezione del proprio
destino mortale, che invoca un significato, un
senso, e sanno si poterlo trovare soltanto in
Colui che è «più potente dei flutti del mare» e
stanno imparando che «degni di fede sono i tuoi
insegnamenti, la santità si addice alla tua casa per
la durata dei giorni, Signore».
Questa è la motivazione che spinge la Chiesa
ad evangelizzare i giovani. Noi ci stiamo
preparando ad attrezzare l’oratorio sia dal punto
di vista delle strutture sia da quello della
formazione degli animatori, ma non lo facciamo
perché ci piace tanto fare i baby sitters. Lo
facciamo perché questi giovani, se non
incontrano presto l’amore di Dio per loro,
sono perduti.
Il veleno che si cela dietro alla dolce vita
propalata dai media, infatti, si chiama
disperazione.
Per questo hanno bisogno di incontrare, alla
Casa dell'Amicizia, degli adulti che non li
trattino con indifferenza o con sufficienza e
nemmeno che li usino, magari solo per colmare
i propri bisogni affettivi.
Hanno bisogno di incontrare persone che
hanno preso sul serio la vita, che ne hanno
conosciuto il volto tragico, che ne sono rimaste
ferite, ma che hanno anche avuto la grazia
di essere raggiunte dalla più grande delle
misericordie, quella di conoscere l’amore di
Dio.
don Giuseppe
Editoriale
In copertina: i ragazzi del campeggio intenti
a domare le rapide del Noce
3
Il dilemma dell’uomo:
la ragione e l’infinito
Sè come
crivere del rapporto fra ragione e infinito
affacciarsi ad un abisso e sporgersi
A destra:
G. Leopardi, L’Infinito,
manoscritto autografo
del 1829 (Napoli,
Biblioteca Nazionale).
4
il più possibile per vedere.
Lo faccio quindi con un certo tremore,
incoraggiato però dalla forza di una
tradizione millenaria di cui il Papa
instancabilmente sta facendo memoria.
Alcuni anni fa, leggendo i Quaderni di
Simone Weil, mi imbattei in una frase per
me cruciale, che da allora non ho mai
smesso di ripetermi: “Noi sappiamo
attraverso l’intelligenza che ciò che
l’intelligenza non afferra è più reale di ciò
che essa afferra.” In altre parole: la ragione
(che è tutt’uno con l’uomo), se rimane
fedele a se stessa, arriva a scoprire l’esistenza
di qualcosa di incommensurabile con se
stessa, cioè di qualcosa che essa non riesce
ad afferrare e racchiudere, ma che non per
questo è meno reale.
Anzi, la ragione sa che questo qualcosa,
che essa non afferra, è più reale di ciò che
essa può racchiudere entro i propri limiti.
Trovai più tardi appassionatamente espressa
la stessa idea di ragione ne Il senso religioso
di don Giussani (fu allora che cominciai a
convincermi, malgrado i miei pregiudizi,
che nella Chiesa la ragione non viene
sminuita, ma esaltata, e con essa l’uomo;
ringrazio l’amico che mi mise in mano quel
libro): “Il vertice della conquista della
ragione è la percezione di un esistente
ignoto, irraggiungibile, cui tutto il
movimento dell’uomo è destinato, perché
anche ne dipende. E’ l’idea di mistero. (...)
Il mistero non è un limite alla ragione, ma
è la scoperta più grande cui può arrivare
la ragione: l’esistenza di qualcosa
incommensurabile con se stessa. (...) Senza
questa prospettiva noi rinnegheremmo la
ragione nella sua essenza, come esigenza di
conoscenza della totalità, e ultimamente
come possibilità stessa di conoscenza vera”.
Qui sta anche il dramma: proprio ciò che
non può essere racchiuso e posseduto viene
dalla ragione sentito come più vero e quindi
più desiderabile. E’ la tensione dell’uomo
che avverte se stesso come finito e, nello
stesso tempo, desidera oltrepassare questo
limite perché si sente capace di infinito.
Ai nostri giorni noi osserviamo, però, che
questa esigenza di totalità, costitutiva della
natura umana e della sua grandezza, è stata
soffocata e indebolita da un processo di
progressiva mutilazione della ragione.
Siamo stati abituati a considerare la ragione
non come un meraviglioso punto di
apertura sul mistero, ma come una lama
per tagliare via dal reale tutto ciò che non
può essere racchiuso entro un ragionamento
di tipo scientifico. Questa visione riduttiva
della ragione, da molti proposta come
l’unico modo valido e non ideologico di
porsi di fronte alla realtà, tende ad escludere
dalla ragione stessa il rapporto con l’infinito.
Così facendo, però, la ragione è infedele a
se stessa, perché censura in modo arbitrario
ciò che essa trova in sé come evidenza
fondamentale: la cognizione del mistero,
da cui essa stessa dipende.
Conseguenze di questo tradimento sono
da una parte lo svuotamento della realtà,
ridotta ad aggregato casuale e insensato di
materia, dall’altra lo svilimento dell’uomo
e del suo desiderio di infinito, visto ora
come illusoria ricerca di qualcosa che
non c’è.
Paradossalmente, poi, è proprio questa
mutilazione dell’idea di ragione che porta
a fare di essa un dio. Se, infatti, la ragione
è l’unica misura del reale, cioè se è reale
solo ciò che la ragione può racchiudere,
allora la ragione è, in potenza, onnisciente
e degna di essere venerata come un dio.
Ma, come ebbe a scrivere G.K. Chesterton
“Chi venera la ragione non la usa; chi la
usa non la venera, perché la conosce bene”.
Giorgio Dieci
Riflessioni
A sinistra: Immagine dello “Ultra Deep Field” fornita dal telescopio
spaziale Hubble. L’immagine, in cui compaiono le più lontane galassie
mai osservate dall’uomo, ci mostra di fatto l’infanzia dell’Universo.
Se ne è parlato il mese scorso al XXVII Meeting per l’amicizia fra i
popoli, dal titolo: “La ragione è esigenza di infinito e culmina nel
sospiro e nel presentimento che questo infinito si manifesti”.
5
Grande entusiasmo
per il Grest
Giorni intensi e divertimento
in... Amicizia
Q
uest’anno, dal 12 al 23 giugno, i bambini
di età compresa tra gli 8 e i 10 anni, lasciato
alle spalle l’anno scolastico, sono stati
protagonisti della prima edizione del Grest di
Caorso, un’esperienza nuovissima per tutti,
grandi e piccini.
La mattina del 12 giugno ci siamo riuniti nel
salone della Casa dell’Amicizia e, dopo un
primo momento di conoscenza reciproca,
siamo andati, rigorosamente in fila indiana,
nel giardino della canonica dove, per prima
cosa, è stato spiegato da noi animatori il tema
Nelle foto,
da sinistra:
in alto:
i giochi all'aperto;
il momento per la
preghiera e la verifica
quotidiana degli
animatori;
un gruppetto posa per
la foto ricordo a
Minitalia;
qui a destra:
grande foto di gruppo
per tutti i bambini
del grest.
6
del grest: “Il Luna Park dell’Amicizia”. Tutte
le sfide dei giorni seguenti sarebbero state
finalizzate a sconfiggere professor Ghigno, che
minacciava di rubare il sorriso al mondo intero.
Ogni mattina a partire dalle 9, i bambini erano
impegnati in giochi di ogni sorta fino all’ora
di pranzo, ora in cui venivano accompagnati
alla mensa dell’asilo per il pranzo.
Per il pomeriggio, ogni bambino ha potuto
scegliere il laboratorio che più lo interessava
tra la costruzione di areoplanini, laboratorio
musicale, fotografia realizzazione di bamboline
A sinistra:
foto di gruppo
a Minitalia.
davvero tanta pazienza e impegno, seguita poi
da un saggio di musica dei bambini del
laboratorio di musica del maestro Giovanni
Boccaccio.
Quella del Grest è stata un’esperienza veramente esaltante.
I bambini hanno avuto la possibilità di stare
insieme e divertirsi e per noi animatori… beh,
cosa può dare più soddisfazione di un bambino
che incontrandoti ti corre incontro dicendoti:
“Non vedo l’ora che inizi il prossimo Grest!!”?.
Laura Carolfi
Nelle foto, da sinistra:
i ragazzi ascoltano
attenti la guardia
ecologica del Parco dello
Stirone Alfredo Briggi;
un momento rubato ai
laboratori pomeridiani
all'Amicizia;
un gioco di gruppo;
Più sotto:
ancora laboratori sotto
l'occhio vigile di
Marcello;
i giochi nel giardino
della canonica;
un saluto dai "gitanti";
si torna a casa.....
Il Fatto
di stoffa, collane e braccialetti. Alle quattro e
mezza, per rifocillare i nostri lavoratori, veniva
servita la merenda, seguita da qualche ballo o
gioco di gruppo nel cortile dell’oratorio. Questa
la routine pomeridiana, salvo i giorni nei quali
siamo andati in “trasferta”.
Le mete delle quattro gite sono state la Minitalia
di Bergamo, il Parco dello Stirone, il Parco
della Preistoria e il Parco Provinciale.
Venerdì 23 giugno abbiamo infine allestito
una mostra per i genitori in cui i ragazzi hanno
esposto le loro “opere d’arte” realizzate con
7
Musica
Maestro!
Due chiacchiere con Giovanni Boccaccio,
insegnante di musica (anche) per il nostro oratorio
I
8
l telefono fa un paio di squilli e poi ecco che
con la solita pacata gentilezza che lo contraddistingue,
e con cui molti a Caorso lo conoscono, risponde
Giovanni, o meglio dovrei dire il Maestro Boccaccio,
che si dimostra subito entusiasta all’idea di questa
intervista. Il nostro incontro avviene a casa sua,
nella sua “stanza della Musica”: due poltrone, due
chitarre, un microfono, un computer e una libreria
piena di dischi di ogni genere e di libri che parlano
di musica.
Giovanni è diplomato in Contrabbasso al
Conservatorio Nicolini di Piacenza ma, mi
racconta:“..sì, in effetti il mio
strumento è il contrabbasso, ma
dall’età di tredici anni suono
anche la chitarra, fu il maestro
Ezio Gardella che mi spinse a
suonarla e fu proprio lui a
comprarmela. Ricordo che tra un impegno
e l’altro passava a casa mia a mostrarmi
questo o quell’accordo e a vedere a che punto
ero arrivato con l’esercizio!”
Ma suoni anche altri strumenti?
Si i flauti appartenenti alla famiglia dei flauti
dolci.
E hai suonato in
diverse occasioni.
In diverse Bande,
da quella di Cortemaggiore, Piacenza,
Monticelli e altre,
un po’ tutte in provincia e poi anche
orchestre classiche.
Presto, con la riapertura della Casa
dell’Amicizia ricomincerà la Scuola di
musica, parlaci di
questa iniziativa di
cui sei un po’ il
coordinatore.
Si tratta di una
scuola aperta a tutti
i ragazzi principalmente di elementari
e medie, ma non si escludono anche fasce di
età più avanzate, che hanno voglia di avvicinarsi
alla musica, è organizzato dal Circolo ANSPI
in collaborazione con il Comune. Già lo scorso
anno ha avuto un discreto successo, tanto che
abbiamo pensato di allargare gli strumenti per
l’insegnamento aggiungendo, oltre alla chitarra,
al basso, al pianoforte anche il violino e il
flauto dolce e poi se ci fossero altre richieste si
può valutare l’idea di chiamare altri insegnanti
di altri strumenti.
Ma che genere di musica si insegna e come sono
strutturati i corsi?
Un po’ tutti i generi dalla musica leggera alla
classica passando per il rock, e soprattutto ci
saranno momenti di esercizio sullo strumento,
ma altrettanto importanti momenti di ascolto.
Io non sono contrario a nessun genere musicale,
anche se trovo un certo rock duro paragonabile
solo a rumore, però vorrei avvicinare i ragazzi
anche a della musica che non è loro congeniale,
spesso solo perché non la conoscono. Sono
bombardati da ciò che passano le radio e non
hanno l’opportunità di crearsi una loro propria
cultura musicale, e questo è un male perché
Gardella alla realizzazione di un CD e poi con
Don Giuseppe abbiamo pensato alla
formazione di un coro di ragazzi dai dodici
anni in su che esegua repertorio liturgico per
l’animazione delle messe. Il coro degli adulti
c’è già e funziona alla grande e quindi vogliamo
pensare anche ai più giovani. Ma si tratta di
un progetto impegnativo che richiede tempo,
ma che siamo fiduciosi di poter realizzare.
Allora in bocca al lupo Giovanni e grazie per la
tua disponibilità!”.
Sopra: un gruppo dei
nostri bambini che
suonano e cantano
insieme.
Nella pagina a fianco:
il maestro Boccaccio
e i ragazzi che
hanno frequentato
il laboratorio di
musica al Grest.
Simona Chiesa
La festa per gli anziani
Il 18 giugno come tradizione la nostra parrocchia ha festeggiato i suoi anziani, ecco un
momento dell’allegra merenda in compagnia.
Incontri
credo che certi tipi di musica, come anche
una certa estetica, siano importanti per la
formazione della persona e dell’anima. Il mio
obbiettivo, a lunga scadenza ovviamente, è
quello di arrivare alla formazione di una piccola
orchestra giovanile dell’oratorio magari con
un piccolo repertorio che si possa esibire nelle
occasioni di festa, anche perché sono proprio
i ragazzi a chiedere di mettere a frutto quello
che hanno imparato. Secondo me i bambini
e i ragazzi, per quello che ho potuto constatare
anche con la mia esperienza a scuola, hanno
voglia di fare, contrariamente a quello che
pensano certi adulti, bisogna solo saperli
coinvolgere e motivare.
Naturalmente non c’è competizione, non
stiamo certo cercando il Mozart di turno,
vogliamo, con questa scuola, promuovere
attraverso la musica il desiderio di stare insieme
e stare bene facendo una cosa che ci diverte,
anche se, come in tutte le cose, ci vuole
impegno.
Con questo spirito colgo anche l’occasione
per rivolgere un invito anche ad altri musicisti
che ci sono a Caorso, se volessero collaborare
in qualche modo le porte sono aperte.
Altri progetti per il futuro?
Ora collaboro con il mio “antico” maestro
9
Elio e i segre
Intervista a Elio Pegorari,
detto il "Moletta"
S
ebbene oggi si viva nell’era di Internet e delle
biotecnologie è innegabile che i mestieri di una volta
esercitino su molti di noi un certo fascino.
Tante professioni al giorno d’oggi vanno scomparendo
e chi fra noi non è più giovanissimo prova una certa
nostalgia se ripensa ad ombrellai e spazzacamini.
Fra i nostri compaesani vi è un artigiano che ha
mantenuto viva un’antica professione che la sua
famiglia si tramanda da generazioni.
Si tratta di Elio Pegorari, arrotino, meglio conosciuto
dai caorsani con il soprannome di ‘Moletta’.
Elio ha occhi chiari e profondi che si illuminano
quando parla del suo mestiere e della sua mola e
questo esprime più di tante parole l’affetto che lo
lega alla sua professione che sta rischiando di
estinguersi.
Elio vuoi raccontarci le origini del tuo lavoro?
Sono originario di Caspoggio paese di
montagna dove nel dopoguerra su 1300 abitanti
300 erano gli arrotini che giravano tutta l’alta
Italia. Questa attività la cominciò il mio bisnonno in Piemonte, successivamente i miei
nonni, che sia da parte paterna che materna
Al centro:
una antica immagine
dell'arrotino al lavoro.
Qui a destra:
Elio pegorari al lavoro
con una vecchia mola,
durante una
manifestazione dedicata
ai mestieri antichi.
Nella pagina a fianco:
Elio al lavoro.
10
erano arrotini, scesero nel Pavese ed infine in
questa zona. All’epoca l’arrotino era girovago,
di giorno offriva la sua opera con la mola nei
paesi e nelle corti dove potevano esserci anche
30 o 40 famiglie, in questi casi c’era da molare
per una settimana. La notte poi veniva ospitato
nelle cascine. Mio padre ad esempio si fermava
a dormire nel fienile dei Francia di Muradolo
quando a undici anni ha cominciato ad aiutare
mio nonno girando la ruota.
La vita era questa: il nonno in bicicletta e con
la pipa in bocca arrivava nelle cascine e
pedalando faceva anche andare la cariola con
la mola, all’epoca magari per una forbice molata
lo ricambiavano offrendogli un bicchiere di
vino o un uovo, era il baratto. Alla sera, lo
chiamavano in casa e gli davano la cena, per
dor-mire invece c’era il fienile. Certo poteva
capitare che offrissero una notte al riparo della
casa, in un letto, ma l’arrotino di solito sceglieva
di passare la notte nel fienile, era una forma
di indipendenza Nel fienile c’erano i topini,
ma c’erano anche le stelle e poi era là che ci si
ritrovava con gli altri artigiani ad esempio i fab-
bricanti di sedie
o gli ombrellai.
Passavano le serate a chiacchierare fra di loro,
si raccontavano
le loro giornate
oppure delle
storie
E tu come hai
iniziato?
A me il mestiere
d’arrotino è sempre piaciuto, da
ragazzo avevo fatto
l’esperienza di un
paio di mesi in
fabbrica come operaio e proprio era
una professione che
non faceva per me.
Così a 15 anni ho
cominciato ad andare
con mio papà ed ho
scoperto che questo
lavoro mi piaceva.
A poco a poco mi sono
fatto il giro. Adesso lavoro nei mercati della
Bassa: Caorso, Pontenure, Roveleto,
Fiorenzuola. Poi ci sono le fiere, come quella
di Sant’Antonino a Piacenza dove il mio banco
dei coltelli attira sempre una piccola folla di
gente incuriosita dalla mercanzia che espongo.
D’altronde sono articoli inusuali che si
diversificano decisamente rispetto a ciò che di
solito trovi sui banchi nelle sagre.
Qual è il lato migliore del tuo lavoro?
E’ un bel mestiere a contatto con la gente.
Girando sui mercati trovi un sacco di varia
umanità.
Vivendo in mezzo alla gente scopri una clientela
varia e composita, diciamo che c’è proprio di
tutto dal pazzo all’appassionato passando per
le vecchiette affezionate che ogni settimana mi
portano una forbice da molare e continuano
a ripetere che non sanno come faranno un
domani senza di me, anche se, da un punto
di vista anagrafico, le probabilità per il
momento giocano più a mio favore!
Però effettivamente è un mestiere in via d’estinzione…
Sì come tutti i mestieri di una volta. Gli
ombrellai e gli spazzacamini ad esempio si sono
già estinti, forse sopravviveranno i calzolai ma
ormai ce ne sono pochi anche di quelli.
Il problema è che quando saranno morti tutti
gli arrotini e il mestiere non si sarà tramandato
scomparirà.
Questo perché quello dell’arrotino non è un
lavoro che puoi imparare da solo.
La Mola ha i suoi segreti e questi li impari da
ragazzo, ci sono dei trucchi, è un’arte che va
tramandata. E’un mestiere che ha delle malizie
che se non le conosci ci metti una vita a
impararle, per questo è importante apprenderle
dai vecchi mentre si è giovani e più predisposti
ad imparare.
E tu non hai nessun apprendista a cui lasciare un
domani la tua attività?
No, purtroppo non ho nessun allievo, sembra
che a nessun giovane interessi imparare il
mestiere. Certo fare l’arrotino non è facile e
poi deve piacere, non bisogna aver paura di
sporcarsi, a volte può succedere di farsi anche
male.
Ma per me è un gran bel lavoro, soprat-tutto
per un giovane, all’aria aperta a contatto con
la gente, vuoi mettere a confronto con otto ore
chiuso in un ufficio chino su un computer.
Chissà magari leggendo questa intervista a qualcuno
dei nostri giovani compaesani potrà sorgere il desiderio
di avvicinarsi a questa professione che ha radici
lontane ma un’anima fresca e giovane. E’ l’augurio
che facciamo a Elio il Moletta di poter davvero
trovare un ragazzo a cui tramandare i segreti di
questo suo antico mestiere.
Valentina Rossi
L'intervista
eti della mola
11
Oratorio estivo? Sì, grazie.
Molto positiva l'offerta di serate
per i giovani al nostro oratorio
anche nel periodo estivo
L
’estate 2006 ha visto per la prima volta
l’oratorio aperto nei mesi di Luglio e Agosto,
dopo il Grest e la vacanza estiva per una sera
la settimana i ragazzi si sono radunati alla Casa
dell’Amicizia intrattenuti con diverse attività.
Decine di giovani e giovanissimi sono stati
coinvolti in questa esperienza inedita.
L’ appuntamento era per ogni giovedì sera,
quando le porte dell'oratorio si aprivano per
tutti i ragazzi mentre un gruppetto di animatori
era pronto ad accoglierli con un sacco di
sorprese.
Balli, canti, animazioni hanno coinvolto i
partecipanti che si sono lasciati travolgere dalla
I nostri ragazzi
impegnati in una
partita di beach volley.
12
musica; poi ancora momenti di gioco, sia al
chiuso che all'aperto.
Altre serate sono state allietate dagli spiedini
e da succosi cocktail.
Il momento per salutarci in allegria è stato
proposto a San Protaso, dove i ragazzi si sono
sfidati sui campetti di beach-volley e di calcetto;
e per concludere la serata si è consumata una
buona pizza nell’adiacente ristorante.
Già in fermento e in elaborazione sono le
attività dell'oratorio invernale.
La proposta formativa si articola in momenti
di preghiera accompagnati da attività ludiche
secondo le indicazioni del Progetto Educativo
che ha avuto la sua stesura
in primavera e si sta
concludendo proprio in
questi mesi.
Tale programma educativo
prevede la realizzazione di
diversi laboratori, dalla
scuola di musica e di danza
alla cucina passando per il
cucito, ma tante altre
proposte ancora che si
susseguiranno nell’arco
dell’anno.
Iniziativa nuova e voluta dal
parroco è l’avvio di uno
sportello per i giovani.
Inoltre presso la Casa
dell’Amicizia proseguiranno
le attività di formazione
cristiana, già consolidate e
ben avviate negli scorsi
anni, vale a dire gli incontri
settimanali di catechesi, differenziati per le
singole classi elementari e medie, per gli
adolescenti, ed i giovani, nonché incontri
particolari nei momenti forti dell'anno liturgico,
come Avvento e Quaresima.
Ilaria Rebecchi
Buona riuscita
della festa
di S. Rocco
A
nche questo anno si è realizzata la festa
di San Rocco, arricchita di nuovi ed interessanti
eventi. Dopo il 16 Agosto con le Sante Messe
e la benedizione dei panini, il primo
appuntamento è stata, il 25 Agosto presso la
Casa Famiglia “Santa Lucia”, la messa in strada
presieduta da don Giovanni Colognesi addetto
dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento
del Clero.
Molto bella la serata di sabato 26 Agosto,
quando il nostro pregiato organo Lingiardi ci
ha deliziato con la sua stupenda voce, in
occasione della XIX edizione della rassegna
“Antichi Organi, un patrimonio da salvare”,
rassegna diretta dalla professoressa Giuseppina
Perotti.
Il talentuoso musicista cremonese Pietro
Triacchini ha presentato un repertorio
affascinante. Nel 250esimo anniversario della
nascita di Mozart non poteva mancare un
omaggio al genio di Salisburgo che, peraltro,
ha composto pochi brani per organo. Sono poi
seguiti brani di Bach, Alessandro Marcello,
Schnizer e Rinck.
Alla domenica colazione per gli anziani ben
allestita dal gruppo caritas parrocchiale e la
processione con il simulacro del santo per le
vie del paese.
Due infine gli appuntamenti inediti.
Nella serata di venerdì 15 settembre si è tenuta
“La voce e la Parola”, una meditazione musicale
di sicuro interesse.
Francesco Scita ha letto ‘Misericordia è il nostro
Dio’ di Padre Giuseppe Toscani, accompagnato
dal commento musicale del maestro E. Tosi
all’organo Lingiardi, di Ezio Gardella al flauto
traverso e alla chitarra, da Lino Pavesi al sax e
Giovanni Boccaccio alla chitarra ed al basso.
Infine il 22 settembre alla “Casa dell’Amicizia”
Caritas e servizi sociali del Comune hanno
presentato la situazione dei bisogni del nostro
territorio.
Sono intervenuti il nostro parroco don
Giuseppe Tosca, l’assessore ai servizi sociali del
comune di Caorso, Roberta Battaglia, che ha
presentato dati e servizi del settore di sua
competenza in seno all’amministrazione
comunale, rappresentanti del gruppo Caritas
caorsano che hanno dato testimonianza della
loro esperienza e don Giampiero Franceschini,
direttore della Caritas diocesana.
Davide Livera
Sopra:
Il coro di Caorso diretto
dal maestro Bernardoni
che ha animato la
celebrazione.
Più in alto:
un momento della
processione.
A sinistra:
il passaggio della
processione in
Via Roma.
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Po, poo, po po po..
anche a Folgaria
Nella vacanza estiva, finale Caorso-Francia
Q
Nella foto in alto:
un'eloquente espressione
di Marco Passera
durante la favolosa
avventura del rafting.
A sinistra:
foto di gruppo per i
ragazzi..... e, sotto
una per le ragazze.
uest’anno la vacanza estiva ha avuto
luogo nel piccolo paesino di Folgarida,
situato nelle vicinanze di Madonna di
Campiglio.
Contro ogni previsione, purtroppo, i
giovani partecipanti alla vacanza erano
leggermente diminuiti dalle volte
precedenti, ma questo non ha certo
impedito ai presenti di divertirsi.
Anche il tempo atmosferico c’è stato per
un po’ contrario, con lievi piogge
improvvise, freddo glaciale e vento
fortissimo, impedendoci così di uscire
all’aria aperta per giocare o per fare
lunghe camminate sui monti vicini. Ma
fortunatamente il maltempo non è
durato a lungo, e infatti dopo qualche
giorno se n’è andato lasciandoci un sole
accecante che ci ha accompagnato per il
resto della vacanza.
In questa occasione, noi caorsani non siamo
stati i soli ospiti di tale località, difatti
abbiamo condiviso tempo, energie e divertimento con un gruppo di francesi provenienti da Marsiglia e Montpellier accompagnati da Don Aldo Fava. Al contrario di
quanto si potrebbe pensare i rapporti sono
stati subito facili nonostante l’inesperienza
di alcuni riguardo alla lingua francese, l'
unica difficoltà che abbiamo trovato è stata
nella spiegazione dei giochi, che ha trovato
comunque una soluzione grazie ad alcune
nostre ragazze aventi una conoscenza della
lingua, a Regis anche lui veterano della
vacanza che conosce quasi tutti i giochi e
ad un’altra ragazza francese che ci aiutava
Qui a destra:
il campeggio 2006 al gran
completo nella favolosa
cornice del paesaggio.
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Sara Buggè
Nella pellicola a sinistra:
fotocronaca del rafting dei ragazzi del campeggio.
Qui sopra: un momento di festa dopo cena, e le partitelle all’aperto.
Casa dell'Amicizia
nella traduzione. E come non parlare
della giornata del 9 luglio. Cominciata
con una faticosa camminata per i 5 laghi,
e conclusa con la visione della finale dei
mondiali di calcio nel cinema di
Folgarida insieme a tutti i paesani e
turisti di quel luogo.
Insomma, come tutti gli anni precedenti,
per me questa vacanza è stata veramente
speciale! Ho conosciuto persone nuove,
con-solidato vecchi rapporti e passato
momenti stupendi con i miei amici. Ci
sono state rivelazioni inaspettate,
compleanni festeggiati con torte e regali
e riflessioni profonde.
Tutti noi infatti, abbiamo passato un
pomeriggio di raccolta, divisi in gruppi
in base all’età e abbiamo avuto una
piccola discussione sul perdono e sul
vero valore dell’amicizia, che ci ha aiutato
nei problemi già pre-esistenti.
Momenti indimenticabili ed estremamente divertenti ci accompagneranno
per molto tempo ancora, per non farci
dimenticare l’importanza di stare tutti
insieme e l’entusiasmo che risiede dentro
di noi che aspetta solo di venire alla luce.
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IN GITA CON LA PARROCCHIA
SAN GIOVANNI ROTONDO
Dal 23 al 25 maggio 2006 si
è tenuto l’annuale
pellegrinaggio a San Giovanni
Rotondo, ecco una foto di
gruppo dei pellegrini caorsani.
OROPIA
Il 2 giugno 2006 si è tenuto il
pellegrinaggio al santuario di
Oropa (Biella), dopo l’arrivo al
Santuario e la partecipazione
alla Santa Messa i partecipanti
hanno effettuato una visita
guidata alla biblioteca annessa
al santuario e alle cappelle
circostanti.
SIENA
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Quest’estate un gruppo di
giovani caorsani ha partecipato
ad una convivenza di tre giorni
a Siena sulle orme della
spiritualità di Santa Caterina,
guidati nella meditazione
da don Giuseppe.
La Parrocchia di Caorso
L’arciprete Don Gaetano Stecchini morì il 13
aprile 1889 e il curato Don Giuseppe Sartori
gli successe il 20 settembre dello stesso anno.
Egli stesso ne ha scritto così :”…mandato dal
Superiore Ecclesiastico Coadiutore a Caorso…il 20
settembre 1889 (Mio Dio! Che data sotto qualunque
rapporto) , nominato parroco…”. Non si sa cosa
sia successo quel 20 settembre ma i ventisei
anni di parrocchia di Don Sartori furono anni
densi di avvenimenti. Sacerdote zelante e di
forte spiritualità, fondò subito la “ Associazione
della Pia Adorazione” con molti iscritti, sia
uomini che donne, i quali si impegnavano, ad
ora fissa, in una continua preghiera tanto in
casa quanto in Chiesa e anche sul lavoro nei
campi. Erano tempi di grande povertà,
specialmente tra i braccianti e, nell’aprile 1899,
iniziò la “Opera di S.Antonio per il Pane dei
Poveri”. Don Sartori, di ogni attività, dei lavori
compiuti in Chiesa, con scrupolosa esattezza,
tenne tutto scritto in molti registri, con i nomi
e le iniziative delle associazioni, i verbali degli
incontri, delle entrate e delle uscite. Caorso
viveva intanto novità che ne cambiavano la
fisionomia. La costruzione della linea ferroviaria
Piacenza-Cremona con una sbuffante
locomotiva a vapore che, tra bandierine e il
suono della campana, fece il suo ingresso a
Caorso, passando per via Roma, il 9 febbraio
1882. La costruzione del nuovo cimitero: ormai
quello del 1817 era troppo vicino alle case e
non bastava più. La personalità e l’impegno
di Don Sartori decisero il Vescovo, Mons.
Scalabrini, a smembrare il Vicariato di
Cortemaggiore ed istituire il nuovo vicariato
foraneo di Caorso, in data 29 dicembre 1898,
dal quale dipendevano le parrocchie di
Fossadello, Muradolo, Roncaglia, Roncarolo,
S.Nazzaro d’Ongina e Sparavera (oggi Mortizza).
Il tempo correva veloce e con il concorso di
decine di sacerdoti del Vicariato e di grande
folla di fedeli, il 3 agosto1903, fu celebrato il
solenne ufficio funebre per il Papa Leone XIII.
Due anni dopo, il 27 giugno 1905, un uguale
rito per il Vescovo Scalabrini, ambedue grandi
figure nella storia della Chiesa. Don Sartori
morì nel 1915 e gli successe Don Lazzaro
Chiappa. I primi anni, dei venti trascorsi come
parroco, furono ben tristi per il giovane
sacerdote. Era scoppiata la prima guerra
mondiale ed egli vedeva tanti suoi giovani
chiamati alle armi e per molti voleva dire non
tornare più. Caorso era anche sede di un
battaglione di reclute che si fermavano qui
per pochi mesi, addestrati all’uso delle armi
e subito inviati al fronte. Nelle ore di libera
uscita, la Chiesa e la casa parrocchiale erano
meta di tanti che cercavano coraggio e conforto
dal sacerdote. Anche il curato di Caorso, Don
Giuseppe Maggi, partì per il fronte e al ritorno
morì per le fatiche e gli stenti patiti. Il 12 aprile
1916, il Vescovo di Piacenza, Mons. Giovanni
Pelizzari, a Caorso celebrò la “Pasqua del
Soldato”. Centinaia di ufficiali, istruttori e
reclute si confessarono e ricevettero la
comunione. L’anno seguente, il 1917, dopo la
ritirata di Caporetto, nel mese di dicembre,
Caorso, scelta come sede di un ospedale
militare, si riempì di soldati feriti e di profughi
dalle zone invase. Nel 1918, come in tutta
Europa, anche a Caorso giunse l’epidemia di
“spagnola”, come ancor oggi è ricordata dal
popolo e in parrocchia furono più di venti le
vittime. In momenti tanto tragici Don
Chiappa si prodigò senza risparmio. Trasformò
la “Opera di S.Antonio per il Pane dei Poveri”
nella “Lega di Carità”. Decine di buoni e
generosi parrocchiani, gratuitamente, lo
aiutavano in questo sfibrante impegno di
visitare quanti erano in necessità, parrocchiani
e soldati feriti. Numerosi in quel periodo i
mendicanti che giungevano da ogni parte per
avere cibo, vestiti e assistenza. Finita,
finalmente, la guerra, nel mese di giugno del
1919, fu tenuto un solennissimo rito per i
giovani caorsani caduti in guerra e in
ringraziamento per la vittoria e Don Chiappa,
a ricordo, fece stampare un opuscolo,
distribuito a tutta la popolazione, con le
fotografia dei soldati che non erano più tornati
a casa. Con il ritorno della pace e la
ricomposizione di tante famiglie, la vita religiosa
della parrocchia riprese in pieno. Nel 1918
ebbe inizio il “ Circolo femminile di Santa
Cecilia” con finalità religiose di formazione,
sociali, di cultura con l’apertura della biblioteca
parrocchiale, caritative per assistenza ad anziani
soli e ai poveri, parrocchiali con i canti liturgici,
la pulizia della Chiesa e dei paramenti,
missionarie, con la buona stampa e
l’organizzazione della Giornata Missionaria
Mondiale e patriottiche con la sezione di corso
dell’Opera Nazionale per l’Assistenza agli
Orfani di guerra: opera che si impegnò molto
per l’assistenza alle vedove e al rimpatrio delle
salme. Nel 1920 Don Chiappa diede inizio
all’Associazione delle Donne Cattoliche. Di
tutta questa attività esiste in archivio una
lettera del Card. Gasparri, Segretario di Stato
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ed artefice della Conciliazione, indirizzata alla
Sig.na Lina Baldini, con il compiacimento e
la benedizione di S.S. Pio XI per l’attività del
circolo Santa Cecilia. Nel 1923 si decise di
tinteggiare tutta la Chiesa e le cappelle per
dare un insieme omogeneo all’interno e fu in
questa occasione che vennero alla luce gli
affreschi dell’Annunciazione e della Natività
sugli archi tra le colonne. La bellezza di questi
dipinti ha indotto i critici e gli studiosi ad
attribuirli all’influenza della scuola veneziana
di Antonio Vivarini (1415-1476). L’8 dicembre
dello stesso 1923, Don Chiappa, sentendone
l’urgente necessità, diede inizio al periodico
“Voce Amica”, prezioso strumento di contatto
tra i Caorsani e custode delle vicende di Caorso.
Questo bollettino, finora, e da più di ottant’anni, è l’unica voce che conserva e tramanda i fatti della nostra Caorso.
Nell’agosto del 1924 fu inaugurato l’impianto
di illuminazione elettrica per la Chiesa e furono
collocati i cinque grandi lampadari artistici e
i candelieri in ferro battuto per le cappelle,
opera della ditta Giuseppe Muratori di
Piacenza. L’instancabile spirito di iniziativa di
Don Lazzaro Chiappa, lo spinse a realizzare
un’opera necessaria a tutta la parrocchia. La
costruzione dell’asilo che fosse anche
monumento ricordo del popolo di Caorso ai
suoi figli caduti. Opera certo molto più utile
di certi monumenti messi al centro delle piazze
o dei giardini di tanti paesi e città. Il 14 agosto
1927, Mons.Ersilio Menzani lo inaugurò e per
l’occasione fu pubblicato un numero speciale
di Voce Amica. Sulla facciata furono collocate
le lapidi con i nomi dei soldati caorsani caduti.
Una notte di dicembre del 1927, un gruppo
di teppisti, erano i tempi degli scontri tra fascisti
e i giovani dell’Azione cattolica e dei gruppi
scout, certamente venuti da fuori, con pietre
e tirasassi ruppero i vetri della facciata della
Chiesa e dell’ orologio della torre e della
canonica e, tra schiamazzi e bestemmie,
coprirono la facciata della Chiesa e della
canonica con scritte blasfeme ed ingiuriose.
Lentamente il progetto che don Chiappa aveva
in mente per la sua Chiesa si realizzava. Nel
1928 fece rifare tutta l’abside, con la
demolizione di vecchie costruzioni che vi erano
addossate all’esterno, ne ingrandì le tre finestre
e collocò dodici vetrate colorate a tutte le
finestre della Chiesa comprese le due sulla
facciata, dedicate a S.Pietro e S.Paolo. In data
31 ottobre 1931, c’è in archivio, a firma del
Card. Eugenio Pacelli, divenuto poi Papa Pio
XII, una lettera che plaude al parroco per la
sua zelante opera per la popolazione e la Chiesa
di Caorso. Giunse rapidamente l’anno 1935
e Don Chiappa, assistito dai due nipoti
sacerdoti, Don Giuseppe e Don Opilio Rossi,
il 21 aprile giorno di Pasqua, concluse la sua
breve vita. Don Antonio Bergamaschi, fece il
suo ingresso come parroco a Caorso il 20
ottobre dello stesso 1935. Da una nota di quel
giorno si sa che le associazioni parrocchiali
erano: Circolo Maschile S. Cuore, Circolo
Femminile S. Cecilia, Associazione Donne
Cattoliche, Lega di Carità, Terz’Ordine
Francescano, Società di Mutuo Soccorso, Opera
Parrocchiale, Confraternita del SS. Sacrameto,
Associazione della Pia Adorazione,
Confraternita della Passione. Nel 1938, don
Bergamaschi costruì l’attuale nuova casa
canonica. Durante la guerra si prodigò molto
per la popolazione e alla fine per il rimpatrio
dei deportati e dei prigionieri. Purtroppo
sospese la pubblicazione di Voce Amica durante
tutti i 15 anni della sua permanenza a Caorso.
Nel 1950 fu eletto Vescovo alla Sede di
S.Marino e Pennabilli e lasciò Caorso.
9 - continua
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14-15-16 Agosto 1927. Apertura del Banco di beneficienza in concomitanza dell'inaugurazione dell'Asilo,
monumento dedicato ai caduti della prima guerra mondiale. Il banco era allestito nel salone dell'asilo stesso.
Nella foto da sinistra: Maria Masarati, Alma Pelati (ad Petu - poi divenuta Suor Fidenzia),
Lina Baldini, Bianca Dieci, Antonietta Cremonesi, Maria Remondini e Dina Olcelli.
ORARI SEGRETERIA PARROCCHIALE
dal lunedì al sabato 9.00-12.00 e 15.30-18.00.
Numero di telefono 0523-821098
CALENDARIO LITURGICO SOLENNITA' DI TUTTI I SANTI
1 NOVEMBRE - ore 15.00:
Nella cappella del cimitero, S. Messa in suffragio di tutti i fedeli defunti
della nostra parrocchia
2 NOVEMBRE - ore 10.00:
Nel reparto nuovo del cimitero, S. Messa in suffragio di tutti i fedeli defunti
della nostra parrocchia.
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S. Messa in onore di San Pio da Pietralcina
ogni 23 del mese (tranne sabato e domenica)
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