oce Va m i c a OTTOBRE 2006 LA RAGIONE E L'INFINITO IL PRIMO "GREST" A CAORSO DUE CHIACCHIERE COL MAESTRO BOCCACCIO INTERVISTA AD ELIO PEGORARI LA VACANZA ESTIVA DEI GIOVANI LA STORIA DELLA NOSTRA PARROCCHIA ELEVAVERUNT FLUMINA VOCEM SUAM La scomparsa di Don Carlo Bagatta xxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxxx VOCE AMICA N° 3/ 2006 Periodico della parrocchia di Caorso fondato da mons. Lazzaro Chiappa l'8 dicembre 1923 Direttore responsabile Don Giuseppe Tosca Autorizzazione Tribunale di Piacenza del 26.01.2005 n. 605 Stampa Tipolitografia La Grafica Piacenza Impianti Fotolito Officina Foto Grafica Redazione Carlo Livera Davide Livera don Giuseppe Tosca Enrico Francia Marcello Casalini Marco Molinari Simona Chiesa Valentina Rossi Fotografie don Giuseppe Tosca Lino Pavesi Susanna Mosconi Progetto grafico Silvia Bodini Impaginazione Emanuela Chiesa Sla Casa abato 17 giugno, presso Madre della Società San Paolo in Alba, ha concluso la sua esistenza terrena don Carlo Bagatta. Il sacerdote paolino era legato a Caorso da vincoli familiari, infatti nel nostro paese vivono le sorelle, il cognato Paolo Balzarelli e i molti nipoti. Aveva pertanto un forte legame con la nostra comunità parrocchiale, presso la quale ha trascorso diversi periodi negli anni. Ogni qual volta si recava in visita ai suoi familiari sempre si rendeva disponibile per celebrare la Santa Messa e soprattutto rendeva questo servizio presso la Casa protetta ‘La Madonnina’. La vita di don Carlo è stata legata per molti anni al Canada, dove giunse nel 1949 e dove rimase fino al settembre 1999. Nei cinquant’anni della sua permanenza, le comunità di Sherbrooke e Montréal beneficiarono largamente della sua presenza, delle sue energie e capacità, della sua predisposizione all’ottimismo nonostante le difficoltà. Molteplici furono le mansioni affidategli e sempre don Carlo diede il meglio di sé come testimonia un confratello che visse con lui: “Per spirito di sacrificio, attaccamento al dovere, pietà, docilità, rettitudine, don Bagatta è fra i migliori sacerdoti che ho avuto la fortuna di conoscere”. L’avanzare dell’età lo spinse ad esprimere nel 1999 il desiderio di rientrare in Italia. Fu accolto prima nella Casa Generalizia del suo ordine a Roma e poi sui colli Albani, infine giunse alla Casa Madre di Alba. La fedeltà alla vocazione e alla missione, l’amore per la sua Congregazione, l’apostolato compiuto con saggezza, l’ottimismo cordiale, illuminano la figura di questo nostro fratello. Alla sua intercessione affidiamo la nostra comunità parrocchiale e la nostra ‘Voce Amica’, essendo stata la diffusione della stampa cattolica l’opera alla quale don Carlo ha dedicato la sua lunga vita e i suoi 59 anni di sacerdozio. Valentina Rossi Editoriale A ccovacciato su un masso in mezzo al Noce, che scorreva tranquillo nella solita Val di Sole, aspettavo i ragazzi che, d’un tratto, sbucarono fuori dall’ansa del torrente, a bordo dei canotti gialli del Rafting Center, raggianti per l’insolita impresa portata a buon fine. D’un tratto mi sovvennero le parole del salmo 93: «Alzano i fiumi, Signore, alzano i fiumi la loro voce, alzano i fiumi il loro fragore». S. Agostino, in suo splendido commento a questo brano, dice che le “voci di molte acque” citate nel prosieguo del salmo sono da intendersi come il fragore dei flutti marini, impressionanti nella loro potenza e simbolo delle persecuzioni che si scatenano contro la Chiesa. Ma, accanto a questi cavalloni marini, si alza anche la voce potente dei fiumi. A questo proposito Agostino cita il Vangelo: «Chi ha sete venga a me e beva chi crede in me; come dice la Scrittura: fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno». I fiumi che alzano la loro voce sono, per il nostro autorevole commentatore, gli apostoli che annunciano il kérigma, l’annuncio del Vangelo che ha il potere di placare e sottomettere a Cristo i potenti del mondo. Questi ragazzi, che hanno passato una vacanza spensierata, come del resto si conviene alla loro età, ma che hanno anche sempre preso sul serio i momenti di preghiera e si sono messi in ascolto della Parola di Dio, hanno tutta l’aria di prepararsi ad alzare la loro voce con la potenza di chi ha sperimentato, fin dalla giovinezza, l’amore di Dio e, pertanto, non può lasciarsi né suggestionare né intimidire dagli inganni e dal potere del mondo. Questa è una mia grande speranza: che questi giovani simpatici, generosi, forti e capaci possano prepararsi ad essere la carta vincente di una Chiesa ormai data per sconfitta dai benpensanti di turno. Questi giovani hanno avuto modo, già nella loro infanzia, di gustare i frutti del consumismo, del permissivismo, del buonismo, della trasgressione che ci propinano con infaticabile costanza i banditori del villaggio globale. Conoscono già il veleno che si cela nella mela offerta all’improvvida Biancaneve, in parte ne sono rimasti vittime e ne portano le conseguenze, ma nello stesso tempo sono in grado di capire, meglio e più degli adulti, quale sia il tallone d’Achille di questo paese dei balocchi. Hanno viva la percezione del proprio destino mortale, che invoca un significato, un senso, e sanno si poterlo trovare soltanto in Colui che è «più potente dei flutti del mare» e stanno imparando che «degni di fede sono i tuoi insegnamenti, la santità si addice alla tua casa per la durata dei giorni, Signore». Questa è la motivazione che spinge la Chiesa ad evangelizzare i giovani. Noi ci stiamo preparando ad attrezzare l’oratorio sia dal punto di vista delle strutture sia da quello della formazione degli animatori, ma non lo facciamo perché ci piace tanto fare i baby sitters. Lo facciamo perché questi giovani, se non incontrano presto l’amore di Dio per loro, sono perduti. Il veleno che si cela dietro alla dolce vita propalata dai media, infatti, si chiama disperazione. Per questo hanno bisogno di incontrare, alla Casa dell'Amicizia, degli adulti che non li trattino con indifferenza o con sufficienza e nemmeno che li usino, magari solo per colmare i propri bisogni affettivi. Hanno bisogno di incontrare persone che hanno preso sul serio la vita, che ne hanno conosciuto il volto tragico, che ne sono rimaste ferite, ma che hanno anche avuto la grazia di essere raggiunte dalla più grande delle misericordie, quella di conoscere l’amore di Dio. don Giuseppe Editoriale In copertina: i ragazzi del campeggio intenti a domare le rapide del Noce 3 Il dilemma dell’uomo: la ragione e l’infinito Sè come crivere del rapporto fra ragione e infinito affacciarsi ad un abisso e sporgersi A destra: G. Leopardi, L’Infinito, manoscritto autografo del 1829 (Napoli, Biblioteca Nazionale). 4 il più possibile per vedere. Lo faccio quindi con un certo tremore, incoraggiato però dalla forza di una tradizione millenaria di cui il Papa instancabilmente sta facendo memoria. Alcuni anni fa, leggendo i Quaderni di Simone Weil, mi imbattei in una frase per me cruciale, che da allora non ho mai smesso di ripetermi: “Noi sappiamo attraverso l’intelligenza che ciò che l’intelligenza non afferra è più reale di ciò che essa afferra.” In altre parole: la ragione (che è tutt’uno con l’uomo), se rimane fedele a se stessa, arriva a scoprire l’esistenza di qualcosa di incommensurabile con se stessa, cioè di qualcosa che essa non riesce ad afferrare e racchiudere, ma che non per questo è meno reale. Anzi, la ragione sa che questo qualcosa, che essa non afferra, è più reale di ciò che essa può racchiudere entro i propri limiti. Trovai più tardi appassionatamente espressa la stessa idea di ragione ne Il senso religioso di don Giussani (fu allora che cominciai a convincermi, malgrado i miei pregiudizi, che nella Chiesa la ragione non viene sminuita, ma esaltata, e con essa l’uomo; ringrazio l’amico che mi mise in mano quel libro): “Il vertice della conquista della ragione è la percezione di un esistente ignoto, irraggiungibile, cui tutto il movimento dell’uomo è destinato, perché anche ne dipende. E’ l’idea di mistero. (...) Il mistero non è un limite alla ragione, ma è la scoperta più grande cui può arrivare la ragione: l’esistenza di qualcosa incommensurabile con se stessa. (...) Senza questa prospettiva noi rinnegheremmo la ragione nella sua essenza, come esigenza di conoscenza della totalità, e ultimamente come possibilità stessa di conoscenza vera”. Qui sta anche il dramma: proprio ciò che non può essere racchiuso e posseduto viene dalla ragione sentito come più vero e quindi più desiderabile. E’ la tensione dell’uomo che avverte se stesso come finito e, nello stesso tempo, desidera oltrepassare questo limite perché si sente capace di infinito. Ai nostri giorni noi osserviamo, però, che questa esigenza di totalità, costitutiva della natura umana e della sua grandezza, è stata soffocata e indebolita da un processo di progressiva mutilazione della ragione. Siamo stati abituati a considerare la ragione non come un meraviglioso punto di apertura sul mistero, ma come una lama per tagliare via dal reale tutto ciò che non può essere racchiuso entro un ragionamento di tipo scientifico. Questa visione riduttiva della ragione, da molti proposta come l’unico modo valido e non ideologico di porsi di fronte alla realtà, tende ad escludere dalla ragione stessa il rapporto con l’infinito. Così facendo, però, la ragione è infedele a se stessa, perché censura in modo arbitrario ciò che essa trova in sé come evidenza fondamentale: la cognizione del mistero, da cui essa stessa dipende. Conseguenze di questo tradimento sono da una parte lo svuotamento della realtà, ridotta ad aggregato casuale e insensato di materia, dall’altra lo svilimento dell’uomo e del suo desiderio di infinito, visto ora come illusoria ricerca di qualcosa che non c’è. Paradossalmente, poi, è proprio questa mutilazione dell’idea di ragione che porta a fare di essa un dio. Se, infatti, la ragione è l’unica misura del reale, cioè se è reale solo ciò che la ragione può racchiudere, allora la ragione è, in potenza, onnisciente e degna di essere venerata come un dio. Ma, come ebbe a scrivere G.K. Chesterton “Chi venera la ragione non la usa; chi la usa non la venera, perché la conosce bene”. Giorgio Dieci Riflessioni A sinistra: Immagine dello “Ultra Deep Field” fornita dal telescopio spaziale Hubble. L’immagine, in cui compaiono le più lontane galassie mai osservate dall’uomo, ci mostra di fatto l’infanzia dell’Universo. Se ne è parlato il mese scorso al XXVII Meeting per l’amicizia fra i popoli, dal titolo: “La ragione è esigenza di infinito e culmina nel sospiro e nel presentimento che questo infinito si manifesti”. 5 Grande entusiasmo per il Grest Giorni intensi e divertimento in... Amicizia Q uest’anno, dal 12 al 23 giugno, i bambini di età compresa tra gli 8 e i 10 anni, lasciato alle spalle l’anno scolastico, sono stati protagonisti della prima edizione del Grest di Caorso, un’esperienza nuovissima per tutti, grandi e piccini. La mattina del 12 giugno ci siamo riuniti nel salone della Casa dell’Amicizia e, dopo un primo momento di conoscenza reciproca, siamo andati, rigorosamente in fila indiana, nel giardino della canonica dove, per prima cosa, è stato spiegato da noi animatori il tema Nelle foto, da sinistra: in alto: i giochi all'aperto; il momento per la preghiera e la verifica quotidiana degli animatori; un gruppetto posa per la foto ricordo a Minitalia; qui a destra: grande foto di gruppo per tutti i bambini del grest. 6 del grest: “Il Luna Park dell’Amicizia”. Tutte le sfide dei giorni seguenti sarebbero state finalizzate a sconfiggere professor Ghigno, che minacciava di rubare il sorriso al mondo intero. Ogni mattina a partire dalle 9, i bambini erano impegnati in giochi di ogni sorta fino all’ora di pranzo, ora in cui venivano accompagnati alla mensa dell’asilo per il pranzo. Per il pomeriggio, ogni bambino ha potuto scegliere il laboratorio che più lo interessava tra la costruzione di areoplanini, laboratorio musicale, fotografia realizzazione di bamboline A sinistra: foto di gruppo a Minitalia. davvero tanta pazienza e impegno, seguita poi da un saggio di musica dei bambini del laboratorio di musica del maestro Giovanni Boccaccio. Quella del Grest è stata un’esperienza veramente esaltante. I bambini hanno avuto la possibilità di stare insieme e divertirsi e per noi animatori… beh, cosa può dare più soddisfazione di un bambino che incontrandoti ti corre incontro dicendoti: “Non vedo l’ora che inizi il prossimo Grest!!”?. Laura Carolfi Nelle foto, da sinistra: i ragazzi ascoltano attenti la guardia ecologica del Parco dello Stirone Alfredo Briggi; un momento rubato ai laboratori pomeridiani all'Amicizia; un gioco di gruppo; Più sotto: ancora laboratori sotto l'occhio vigile di Marcello; i giochi nel giardino della canonica; un saluto dai "gitanti"; si torna a casa..... Il Fatto di stoffa, collane e braccialetti. Alle quattro e mezza, per rifocillare i nostri lavoratori, veniva servita la merenda, seguita da qualche ballo o gioco di gruppo nel cortile dell’oratorio. Questa la routine pomeridiana, salvo i giorni nei quali siamo andati in “trasferta”. Le mete delle quattro gite sono state la Minitalia di Bergamo, il Parco dello Stirone, il Parco della Preistoria e il Parco Provinciale. Venerdì 23 giugno abbiamo infine allestito una mostra per i genitori in cui i ragazzi hanno esposto le loro “opere d’arte” realizzate con 7 Musica Maestro! Due chiacchiere con Giovanni Boccaccio, insegnante di musica (anche) per il nostro oratorio I 8 l telefono fa un paio di squilli e poi ecco che con la solita pacata gentilezza che lo contraddistingue, e con cui molti a Caorso lo conoscono, risponde Giovanni, o meglio dovrei dire il Maestro Boccaccio, che si dimostra subito entusiasta all’idea di questa intervista. Il nostro incontro avviene a casa sua, nella sua “stanza della Musica”: due poltrone, due chitarre, un microfono, un computer e una libreria piena di dischi di ogni genere e di libri che parlano di musica. Giovanni è diplomato in Contrabbasso al Conservatorio Nicolini di Piacenza ma, mi racconta:“..sì, in effetti il mio strumento è il contrabbasso, ma dall’età di tredici anni suono anche la chitarra, fu il maestro Ezio Gardella che mi spinse a suonarla e fu proprio lui a comprarmela. Ricordo che tra un impegno e l’altro passava a casa mia a mostrarmi questo o quell’accordo e a vedere a che punto ero arrivato con l’esercizio!” Ma suoni anche altri strumenti? Si i flauti appartenenti alla famiglia dei flauti dolci. E hai suonato in diverse occasioni. In diverse Bande, da quella di Cortemaggiore, Piacenza, Monticelli e altre, un po’ tutte in provincia e poi anche orchestre classiche. Presto, con la riapertura della Casa dell’Amicizia ricomincerà la Scuola di musica, parlaci di questa iniziativa di cui sei un po’ il coordinatore. Si tratta di una scuola aperta a tutti i ragazzi principalmente di elementari e medie, ma non si escludono anche fasce di età più avanzate, che hanno voglia di avvicinarsi alla musica, è organizzato dal Circolo ANSPI in collaborazione con il Comune. Già lo scorso anno ha avuto un discreto successo, tanto che abbiamo pensato di allargare gli strumenti per l’insegnamento aggiungendo, oltre alla chitarra, al basso, al pianoforte anche il violino e il flauto dolce e poi se ci fossero altre richieste si può valutare l’idea di chiamare altri insegnanti di altri strumenti. Ma che genere di musica si insegna e come sono strutturati i corsi? Un po’ tutti i generi dalla musica leggera alla classica passando per il rock, e soprattutto ci saranno momenti di esercizio sullo strumento, ma altrettanto importanti momenti di ascolto. Io non sono contrario a nessun genere musicale, anche se trovo un certo rock duro paragonabile solo a rumore, però vorrei avvicinare i ragazzi anche a della musica che non è loro congeniale, spesso solo perché non la conoscono. Sono bombardati da ciò che passano le radio e non hanno l’opportunità di crearsi una loro propria cultura musicale, e questo è un male perché Gardella alla realizzazione di un CD e poi con Don Giuseppe abbiamo pensato alla formazione di un coro di ragazzi dai dodici anni in su che esegua repertorio liturgico per l’animazione delle messe. Il coro degli adulti c’è già e funziona alla grande e quindi vogliamo pensare anche ai più giovani. Ma si tratta di un progetto impegnativo che richiede tempo, ma che siamo fiduciosi di poter realizzare. Allora in bocca al lupo Giovanni e grazie per la tua disponibilità!”. Sopra: un gruppo dei nostri bambini che suonano e cantano insieme. Nella pagina a fianco: il maestro Boccaccio e i ragazzi che hanno frequentato il laboratorio di musica al Grest. Simona Chiesa La festa per gli anziani Il 18 giugno come tradizione la nostra parrocchia ha festeggiato i suoi anziani, ecco un momento dell’allegra merenda in compagnia. Incontri credo che certi tipi di musica, come anche una certa estetica, siano importanti per la formazione della persona e dell’anima. Il mio obbiettivo, a lunga scadenza ovviamente, è quello di arrivare alla formazione di una piccola orchestra giovanile dell’oratorio magari con un piccolo repertorio che si possa esibire nelle occasioni di festa, anche perché sono proprio i ragazzi a chiedere di mettere a frutto quello che hanno imparato. Secondo me i bambini e i ragazzi, per quello che ho potuto constatare anche con la mia esperienza a scuola, hanno voglia di fare, contrariamente a quello che pensano certi adulti, bisogna solo saperli coinvolgere e motivare. Naturalmente non c’è competizione, non stiamo certo cercando il Mozart di turno, vogliamo, con questa scuola, promuovere attraverso la musica il desiderio di stare insieme e stare bene facendo una cosa che ci diverte, anche se, come in tutte le cose, ci vuole impegno. Con questo spirito colgo anche l’occasione per rivolgere un invito anche ad altri musicisti che ci sono a Caorso, se volessero collaborare in qualche modo le porte sono aperte. Altri progetti per il futuro? Ora collaboro con il mio “antico” maestro 9 Elio e i segre Intervista a Elio Pegorari, detto il "Moletta" S ebbene oggi si viva nell’era di Internet e delle biotecnologie è innegabile che i mestieri di una volta esercitino su molti di noi un certo fascino. Tante professioni al giorno d’oggi vanno scomparendo e chi fra noi non è più giovanissimo prova una certa nostalgia se ripensa ad ombrellai e spazzacamini. Fra i nostri compaesani vi è un artigiano che ha mantenuto viva un’antica professione che la sua famiglia si tramanda da generazioni. Si tratta di Elio Pegorari, arrotino, meglio conosciuto dai caorsani con il soprannome di ‘Moletta’. Elio ha occhi chiari e profondi che si illuminano quando parla del suo mestiere e della sua mola e questo esprime più di tante parole l’affetto che lo lega alla sua professione che sta rischiando di estinguersi. Elio vuoi raccontarci le origini del tuo lavoro? Sono originario di Caspoggio paese di montagna dove nel dopoguerra su 1300 abitanti 300 erano gli arrotini che giravano tutta l’alta Italia. Questa attività la cominciò il mio bisnonno in Piemonte, successivamente i miei nonni, che sia da parte paterna che materna Al centro: una antica immagine dell'arrotino al lavoro. Qui a destra: Elio pegorari al lavoro con una vecchia mola, durante una manifestazione dedicata ai mestieri antichi. Nella pagina a fianco: Elio al lavoro. 10 erano arrotini, scesero nel Pavese ed infine in questa zona. All’epoca l’arrotino era girovago, di giorno offriva la sua opera con la mola nei paesi e nelle corti dove potevano esserci anche 30 o 40 famiglie, in questi casi c’era da molare per una settimana. La notte poi veniva ospitato nelle cascine. Mio padre ad esempio si fermava a dormire nel fienile dei Francia di Muradolo quando a undici anni ha cominciato ad aiutare mio nonno girando la ruota. La vita era questa: il nonno in bicicletta e con la pipa in bocca arrivava nelle cascine e pedalando faceva anche andare la cariola con la mola, all’epoca magari per una forbice molata lo ricambiavano offrendogli un bicchiere di vino o un uovo, era il baratto. Alla sera, lo chiamavano in casa e gli davano la cena, per dor-mire invece c’era il fienile. Certo poteva capitare che offrissero una notte al riparo della casa, in un letto, ma l’arrotino di solito sceglieva di passare la notte nel fienile, era una forma di indipendenza Nel fienile c’erano i topini, ma c’erano anche le stelle e poi era là che ci si ritrovava con gli altri artigiani ad esempio i fab- bricanti di sedie o gli ombrellai. Passavano le serate a chiacchierare fra di loro, si raccontavano le loro giornate oppure delle storie E tu come hai iniziato? A me il mestiere d’arrotino è sempre piaciuto, da ragazzo avevo fatto l’esperienza di un paio di mesi in fabbrica come operaio e proprio era una professione che non faceva per me. Così a 15 anni ho cominciato ad andare con mio papà ed ho scoperto che questo lavoro mi piaceva. A poco a poco mi sono fatto il giro. Adesso lavoro nei mercati della Bassa: Caorso, Pontenure, Roveleto, Fiorenzuola. Poi ci sono le fiere, come quella di Sant’Antonino a Piacenza dove il mio banco dei coltelli attira sempre una piccola folla di gente incuriosita dalla mercanzia che espongo. D’altronde sono articoli inusuali che si diversificano decisamente rispetto a ciò che di solito trovi sui banchi nelle sagre. Qual è il lato migliore del tuo lavoro? E’ un bel mestiere a contatto con la gente. Girando sui mercati trovi un sacco di varia umanità. Vivendo in mezzo alla gente scopri una clientela varia e composita, diciamo che c’è proprio di tutto dal pazzo all’appassionato passando per le vecchiette affezionate che ogni settimana mi portano una forbice da molare e continuano a ripetere che non sanno come faranno un domani senza di me, anche se, da un punto di vista anagrafico, le probabilità per il momento giocano più a mio favore! Però effettivamente è un mestiere in via d’estinzione… Sì come tutti i mestieri di una volta. Gli ombrellai e gli spazzacamini ad esempio si sono già estinti, forse sopravviveranno i calzolai ma ormai ce ne sono pochi anche di quelli. Il problema è che quando saranno morti tutti gli arrotini e il mestiere non si sarà tramandato scomparirà. Questo perché quello dell’arrotino non è un lavoro che puoi imparare da solo. La Mola ha i suoi segreti e questi li impari da ragazzo, ci sono dei trucchi, è un’arte che va tramandata. E’un mestiere che ha delle malizie che se non le conosci ci metti una vita a impararle, per questo è importante apprenderle dai vecchi mentre si è giovani e più predisposti ad imparare. E tu non hai nessun apprendista a cui lasciare un domani la tua attività? No, purtroppo non ho nessun allievo, sembra che a nessun giovane interessi imparare il mestiere. Certo fare l’arrotino non è facile e poi deve piacere, non bisogna aver paura di sporcarsi, a volte può succedere di farsi anche male. Ma per me è un gran bel lavoro, soprat-tutto per un giovane, all’aria aperta a contatto con la gente, vuoi mettere a confronto con otto ore chiuso in un ufficio chino su un computer. Chissà magari leggendo questa intervista a qualcuno dei nostri giovani compaesani potrà sorgere il desiderio di avvicinarsi a questa professione che ha radici lontane ma un’anima fresca e giovane. E’ l’augurio che facciamo a Elio il Moletta di poter davvero trovare un ragazzo a cui tramandare i segreti di questo suo antico mestiere. Valentina Rossi L'intervista eti della mola 11 Oratorio estivo? Sì, grazie. Molto positiva l'offerta di serate per i giovani al nostro oratorio anche nel periodo estivo L ’estate 2006 ha visto per la prima volta l’oratorio aperto nei mesi di Luglio e Agosto, dopo il Grest e la vacanza estiva per una sera la settimana i ragazzi si sono radunati alla Casa dell’Amicizia intrattenuti con diverse attività. Decine di giovani e giovanissimi sono stati coinvolti in questa esperienza inedita. L’ appuntamento era per ogni giovedì sera, quando le porte dell'oratorio si aprivano per tutti i ragazzi mentre un gruppetto di animatori era pronto ad accoglierli con un sacco di sorprese. Balli, canti, animazioni hanno coinvolto i partecipanti che si sono lasciati travolgere dalla I nostri ragazzi impegnati in una partita di beach volley. 12 musica; poi ancora momenti di gioco, sia al chiuso che all'aperto. Altre serate sono state allietate dagli spiedini e da succosi cocktail. Il momento per salutarci in allegria è stato proposto a San Protaso, dove i ragazzi si sono sfidati sui campetti di beach-volley e di calcetto; e per concludere la serata si è consumata una buona pizza nell’adiacente ristorante. Già in fermento e in elaborazione sono le attività dell'oratorio invernale. La proposta formativa si articola in momenti di preghiera accompagnati da attività ludiche secondo le indicazioni del Progetto Educativo che ha avuto la sua stesura in primavera e si sta concludendo proprio in questi mesi. Tale programma educativo prevede la realizzazione di diversi laboratori, dalla scuola di musica e di danza alla cucina passando per il cucito, ma tante altre proposte ancora che si susseguiranno nell’arco dell’anno. Iniziativa nuova e voluta dal parroco è l’avvio di uno sportello per i giovani. Inoltre presso la Casa dell’Amicizia proseguiranno le attività di formazione cristiana, già consolidate e ben avviate negli scorsi anni, vale a dire gli incontri settimanali di catechesi, differenziati per le singole classi elementari e medie, per gli adolescenti, ed i giovani, nonché incontri particolari nei momenti forti dell'anno liturgico, come Avvento e Quaresima. Ilaria Rebecchi Buona riuscita della festa di S. Rocco A nche questo anno si è realizzata la festa di San Rocco, arricchita di nuovi ed interessanti eventi. Dopo il 16 Agosto con le Sante Messe e la benedizione dei panini, il primo appuntamento è stata, il 25 Agosto presso la Casa Famiglia “Santa Lucia”, la messa in strada presieduta da don Giovanni Colognesi addetto dell’Istituto Diocesano per il Sostentamento del Clero. Molto bella la serata di sabato 26 Agosto, quando il nostro pregiato organo Lingiardi ci ha deliziato con la sua stupenda voce, in occasione della XIX edizione della rassegna “Antichi Organi, un patrimonio da salvare”, rassegna diretta dalla professoressa Giuseppina Perotti. Il talentuoso musicista cremonese Pietro Triacchini ha presentato un repertorio affascinante. Nel 250esimo anniversario della nascita di Mozart non poteva mancare un omaggio al genio di Salisburgo che, peraltro, ha composto pochi brani per organo. Sono poi seguiti brani di Bach, Alessandro Marcello, Schnizer e Rinck. Alla domenica colazione per gli anziani ben allestita dal gruppo caritas parrocchiale e la processione con il simulacro del santo per le vie del paese. Due infine gli appuntamenti inediti. Nella serata di venerdì 15 settembre si è tenuta “La voce e la Parola”, una meditazione musicale di sicuro interesse. Francesco Scita ha letto ‘Misericordia è il nostro Dio’ di Padre Giuseppe Toscani, accompagnato dal commento musicale del maestro E. Tosi all’organo Lingiardi, di Ezio Gardella al flauto traverso e alla chitarra, da Lino Pavesi al sax e Giovanni Boccaccio alla chitarra ed al basso. Infine il 22 settembre alla “Casa dell’Amicizia” Caritas e servizi sociali del Comune hanno presentato la situazione dei bisogni del nostro territorio. Sono intervenuti il nostro parroco don Giuseppe Tosca, l’assessore ai servizi sociali del comune di Caorso, Roberta Battaglia, che ha presentato dati e servizi del settore di sua competenza in seno all’amministrazione comunale, rappresentanti del gruppo Caritas caorsano che hanno dato testimonianza della loro esperienza e don Giampiero Franceschini, direttore della Caritas diocesana. Davide Livera Sopra: Il coro di Caorso diretto dal maestro Bernardoni che ha animato la celebrazione. Più in alto: un momento della processione. A sinistra: il passaggio della processione in Via Roma. 13 Po, poo, po po po.. anche a Folgaria Nella vacanza estiva, finale Caorso-Francia Q Nella foto in alto: un'eloquente espressione di Marco Passera durante la favolosa avventura del rafting. A sinistra: foto di gruppo per i ragazzi..... e, sotto una per le ragazze. uest’anno la vacanza estiva ha avuto luogo nel piccolo paesino di Folgarida, situato nelle vicinanze di Madonna di Campiglio. Contro ogni previsione, purtroppo, i giovani partecipanti alla vacanza erano leggermente diminuiti dalle volte precedenti, ma questo non ha certo impedito ai presenti di divertirsi. Anche il tempo atmosferico c’è stato per un po’ contrario, con lievi piogge improvvise, freddo glaciale e vento fortissimo, impedendoci così di uscire all’aria aperta per giocare o per fare lunghe camminate sui monti vicini. Ma fortunatamente il maltempo non è durato a lungo, e infatti dopo qualche giorno se n’è andato lasciandoci un sole accecante che ci ha accompagnato per il resto della vacanza. In questa occasione, noi caorsani non siamo stati i soli ospiti di tale località, difatti abbiamo condiviso tempo, energie e divertimento con un gruppo di francesi provenienti da Marsiglia e Montpellier accompagnati da Don Aldo Fava. Al contrario di quanto si potrebbe pensare i rapporti sono stati subito facili nonostante l’inesperienza di alcuni riguardo alla lingua francese, l' unica difficoltà che abbiamo trovato è stata nella spiegazione dei giochi, che ha trovato comunque una soluzione grazie ad alcune nostre ragazze aventi una conoscenza della lingua, a Regis anche lui veterano della vacanza che conosce quasi tutti i giochi e ad un’altra ragazza francese che ci aiutava Qui a destra: il campeggio 2006 al gran completo nella favolosa cornice del paesaggio. 14 Sara Buggè Nella pellicola a sinistra: fotocronaca del rafting dei ragazzi del campeggio. Qui sopra: un momento di festa dopo cena, e le partitelle all’aperto. Casa dell'Amicizia nella traduzione. E come non parlare della giornata del 9 luglio. Cominciata con una faticosa camminata per i 5 laghi, e conclusa con la visione della finale dei mondiali di calcio nel cinema di Folgarida insieme a tutti i paesani e turisti di quel luogo. Insomma, come tutti gli anni precedenti, per me questa vacanza è stata veramente speciale! Ho conosciuto persone nuove, con-solidato vecchi rapporti e passato momenti stupendi con i miei amici. Ci sono state rivelazioni inaspettate, compleanni festeggiati con torte e regali e riflessioni profonde. Tutti noi infatti, abbiamo passato un pomeriggio di raccolta, divisi in gruppi in base all’età e abbiamo avuto una piccola discussione sul perdono e sul vero valore dell’amicizia, che ci ha aiutato nei problemi già pre-esistenti. Momenti indimenticabili ed estremamente divertenti ci accompagneranno per molto tempo ancora, per non farci dimenticare l’importanza di stare tutti insieme e l’entusiasmo che risiede dentro di noi che aspetta solo di venire alla luce. 15 IN GITA CON LA PARROCCHIA SAN GIOVANNI ROTONDO Dal 23 al 25 maggio 2006 si è tenuto l’annuale pellegrinaggio a San Giovanni Rotondo, ecco una foto di gruppo dei pellegrini caorsani. OROPIA Il 2 giugno 2006 si è tenuto il pellegrinaggio al santuario di Oropa (Biella), dopo l’arrivo al Santuario e la partecipazione alla Santa Messa i partecipanti hanno effettuato una visita guidata alla biblioteca annessa al santuario e alle cappelle circostanti. SIENA 16 Quest’estate un gruppo di giovani caorsani ha partecipato ad una convivenza di tre giorni a Siena sulle orme della spiritualità di Santa Caterina, guidati nella meditazione da don Giuseppe. La Parrocchia di Caorso L’arciprete Don Gaetano Stecchini morì il 13 aprile 1889 e il curato Don Giuseppe Sartori gli successe il 20 settembre dello stesso anno. Egli stesso ne ha scritto così :”…mandato dal Superiore Ecclesiastico Coadiutore a Caorso…il 20 settembre 1889 (Mio Dio! Che data sotto qualunque rapporto) , nominato parroco…”. Non si sa cosa sia successo quel 20 settembre ma i ventisei anni di parrocchia di Don Sartori furono anni densi di avvenimenti. Sacerdote zelante e di forte spiritualità, fondò subito la “ Associazione della Pia Adorazione” con molti iscritti, sia uomini che donne, i quali si impegnavano, ad ora fissa, in una continua preghiera tanto in casa quanto in Chiesa e anche sul lavoro nei campi. Erano tempi di grande povertà, specialmente tra i braccianti e, nell’aprile 1899, iniziò la “Opera di S.Antonio per il Pane dei Poveri”. Don Sartori, di ogni attività, dei lavori compiuti in Chiesa, con scrupolosa esattezza, tenne tutto scritto in molti registri, con i nomi e le iniziative delle associazioni, i verbali degli incontri, delle entrate e delle uscite. Caorso viveva intanto novità che ne cambiavano la fisionomia. La costruzione della linea ferroviaria Piacenza-Cremona con una sbuffante locomotiva a vapore che, tra bandierine e il suono della campana, fece il suo ingresso a Caorso, passando per via Roma, il 9 febbraio 1882. La costruzione del nuovo cimitero: ormai quello del 1817 era troppo vicino alle case e non bastava più. La personalità e l’impegno di Don Sartori decisero il Vescovo, Mons. Scalabrini, a smembrare il Vicariato di Cortemaggiore ed istituire il nuovo vicariato foraneo di Caorso, in data 29 dicembre 1898, dal quale dipendevano le parrocchie di Fossadello, Muradolo, Roncaglia, Roncarolo, S.Nazzaro d’Ongina e Sparavera (oggi Mortizza). Il tempo correva veloce e con il concorso di decine di sacerdoti del Vicariato e di grande folla di fedeli, il 3 agosto1903, fu celebrato il solenne ufficio funebre per il Papa Leone XIII. Due anni dopo, il 27 giugno 1905, un uguale rito per il Vescovo Scalabrini, ambedue grandi figure nella storia della Chiesa. Don Sartori morì nel 1915 e gli successe Don Lazzaro Chiappa. I primi anni, dei venti trascorsi come parroco, furono ben tristi per il giovane sacerdote. Era scoppiata la prima guerra mondiale ed egli vedeva tanti suoi giovani chiamati alle armi e per molti voleva dire non tornare più. Caorso era anche sede di un battaglione di reclute che si fermavano qui per pochi mesi, addestrati all’uso delle armi e subito inviati al fronte. Nelle ore di libera uscita, la Chiesa e la casa parrocchiale erano meta di tanti che cercavano coraggio e conforto dal sacerdote. Anche il curato di Caorso, Don Giuseppe Maggi, partì per il fronte e al ritorno morì per le fatiche e gli stenti patiti. Il 12 aprile 1916, il Vescovo di Piacenza, Mons. Giovanni Pelizzari, a Caorso celebrò la “Pasqua del Soldato”. Centinaia di ufficiali, istruttori e reclute si confessarono e ricevettero la comunione. L’anno seguente, il 1917, dopo la ritirata di Caporetto, nel mese di dicembre, Caorso, scelta come sede di un ospedale militare, si riempì di soldati feriti e di profughi dalle zone invase. Nel 1918, come in tutta Europa, anche a Caorso giunse l’epidemia di “spagnola”, come ancor oggi è ricordata dal popolo e in parrocchia furono più di venti le vittime. In momenti tanto tragici Don Chiappa si prodigò senza risparmio. Trasformò la “Opera di S.Antonio per il Pane dei Poveri” nella “Lega di Carità”. Decine di buoni e generosi parrocchiani, gratuitamente, lo aiutavano in questo sfibrante impegno di visitare quanti erano in necessità, parrocchiani e soldati feriti. Numerosi in quel periodo i mendicanti che giungevano da ogni parte per avere cibo, vestiti e assistenza. Finita, finalmente, la guerra, nel mese di giugno del 1919, fu tenuto un solennissimo rito per i giovani caorsani caduti in guerra e in ringraziamento per la vittoria e Don Chiappa, a ricordo, fece stampare un opuscolo, distribuito a tutta la popolazione, con le fotografia dei soldati che non erano più tornati a casa. Con il ritorno della pace e la ricomposizione di tante famiglie, la vita religiosa della parrocchia riprese in pieno. Nel 1918 ebbe inizio il “ Circolo femminile di Santa Cecilia” con finalità religiose di formazione, sociali, di cultura con l’apertura della biblioteca parrocchiale, caritative per assistenza ad anziani soli e ai poveri, parrocchiali con i canti liturgici, la pulizia della Chiesa e dei paramenti, missionarie, con la buona stampa e l’organizzazione della Giornata Missionaria Mondiale e patriottiche con la sezione di corso dell’Opera Nazionale per l’Assistenza agli Orfani di guerra: opera che si impegnò molto per l’assistenza alle vedove e al rimpatrio delle salme. Nel 1920 Don Chiappa diede inizio all’Associazione delle Donne Cattoliche. Di tutta questa attività esiste in archivio una lettera del Card. Gasparri, Segretario di Stato 17 ed artefice della Conciliazione, indirizzata alla Sig.na Lina Baldini, con il compiacimento e la benedizione di S.S. Pio XI per l’attività del circolo Santa Cecilia. Nel 1923 si decise di tinteggiare tutta la Chiesa e le cappelle per dare un insieme omogeneo all’interno e fu in questa occasione che vennero alla luce gli affreschi dell’Annunciazione e della Natività sugli archi tra le colonne. La bellezza di questi dipinti ha indotto i critici e gli studiosi ad attribuirli all’influenza della scuola veneziana di Antonio Vivarini (1415-1476). L’8 dicembre dello stesso 1923, Don Chiappa, sentendone l’urgente necessità, diede inizio al periodico “Voce Amica”, prezioso strumento di contatto tra i Caorsani e custode delle vicende di Caorso. Questo bollettino, finora, e da più di ottant’anni, è l’unica voce che conserva e tramanda i fatti della nostra Caorso. Nell’agosto del 1924 fu inaugurato l’impianto di illuminazione elettrica per la Chiesa e furono collocati i cinque grandi lampadari artistici e i candelieri in ferro battuto per le cappelle, opera della ditta Giuseppe Muratori di Piacenza. L’instancabile spirito di iniziativa di Don Lazzaro Chiappa, lo spinse a realizzare un’opera necessaria a tutta la parrocchia. La costruzione dell’asilo che fosse anche monumento ricordo del popolo di Caorso ai suoi figli caduti. Opera certo molto più utile di certi monumenti messi al centro delle piazze o dei giardini di tanti paesi e città. Il 14 agosto 1927, Mons.Ersilio Menzani lo inaugurò e per l’occasione fu pubblicato un numero speciale di Voce Amica. Sulla facciata furono collocate le lapidi con i nomi dei soldati caorsani caduti. Una notte di dicembre del 1927, un gruppo di teppisti, erano i tempi degli scontri tra fascisti e i giovani dell’Azione cattolica e dei gruppi scout, certamente venuti da fuori, con pietre e tirasassi ruppero i vetri della facciata della Chiesa e dell’ orologio della torre e della canonica e, tra schiamazzi e bestemmie, coprirono la facciata della Chiesa e della canonica con scritte blasfeme ed ingiuriose. Lentamente il progetto che don Chiappa aveva in mente per la sua Chiesa si realizzava. Nel 1928 fece rifare tutta l’abside, con la demolizione di vecchie costruzioni che vi erano addossate all’esterno, ne ingrandì le tre finestre e collocò dodici vetrate colorate a tutte le finestre della Chiesa comprese le due sulla facciata, dedicate a S.Pietro e S.Paolo. In data 31 ottobre 1931, c’è in archivio, a firma del Card. Eugenio Pacelli, divenuto poi Papa Pio XII, una lettera che plaude al parroco per la sua zelante opera per la popolazione e la Chiesa di Caorso. Giunse rapidamente l’anno 1935 e Don Chiappa, assistito dai due nipoti sacerdoti, Don Giuseppe e Don Opilio Rossi, il 21 aprile giorno di Pasqua, concluse la sua breve vita. Don Antonio Bergamaschi, fece il suo ingresso come parroco a Caorso il 20 ottobre dello stesso 1935. Da una nota di quel giorno si sa che le associazioni parrocchiali erano: Circolo Maschile S. Cuore, Circolo Femminile S. Cecilia, Associazione Donne Cattoliche, Lega di Carità, Terz’Ordine Francescano, Società di Mutuo Soccorso, Opera Parrocchiale, Confraternita del SS. Sacrameto, Associazione della Pia Adorazione, Confraternita della Passione. Nel 1938, don Bergamaschi costruì l’attuale nuova casa canonica. Durante la guerra si prodigò molto per la popolazione e alla fine per il rimpatrio dei deportati e dei prigionieri. Purtroppo sospese la pubblicazione di Voce Amica durante tutti i 15 anni della sua permanenza a Caorso. Nel 1950 fu eletto Vescovo alla Sede di S.Marino e Pennabilli e lasciò Caorso. 9 - continua 18 14-15-16 Agosto 1927. Apertura del Banco di beneficienza in concomitanza dell'inaugurazione dell'Asilo, monumento dedicato ai caduti della prima guerra mondiale. Il banco era allestito nel salone dell'asilo stesso. Nella foto da sinistra: Maria Masarati, Alma Pelati (ad Petu - poi divenuta Suor Fidenzia), Lina Baldini, Bianca Dieci, Antonietta Cremonesi, Maria Remondini e Dina Olcelli. ORARI SEGRETERIA PARROCCHIALE dal lunedì al sabato 9.00-12.00 e 15.30-18.00. Numero di telefono 0523-821098 CALENDARIO LITURGICO SOLENNITA' DI TUTTI I SANTI 1 NOVEMBRE - ore 15.00: Nella cappella del cimitero, S. Messa in suffragio di tutti i fedeli defunti della nostra parrocchia 2 NOVEMBRE - ore 10.00: Nel reparto nuovo del cimitero, S. Messa in suffragio di tutti i fedeli defunti della nostra parrocchia. 20 S. Messa in onore di San Pio da Pietralcina ogni 23 del mese (tranne sabato e domenica)