Osservatorio
Piemonte
Periodico indipendente
di politica e cultura
Sommario
Nella foto: Montecitorio:
Transatlantico
- Globalizazione:
ultimo atto ?
- Bisogno di sicurezza:
Iran-Russia, confronto
politico
- Liberalizzazioni:
le farmacie
- Energia:
le strategie del governo
- Mangiare globale e locale
- Finanziamento
pubblico dei partiti
Aprile 2012
- Personaggi:
Riccardo Gualino e
Cesarina, vite vissute
intensamente
(Liberamente tratto da - L’ascesa del denaro - del prof. Niall Ferguson)
Nel 2006 il prodotto economico mondiale si aggirava attorno ai 47.000.000.000.000 $
(47 trilioni di Dollari); il valore complessivo del mercato delle azioni e quello delle
obbligazioni invece sfiorava i 119.000.000.000.000 $, i derivati erano
473.000.000.000.000 $ …
Un americano medio ha un reddito annuo di 44.000 $, un cinese di 2.000 $ allora
perché è il secondo a prestare il denaro al primo che è all’incirca 22 volte più ricco?
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Globalizzazione, ultimo atto?
Negli ultimi decenni la finanza
mondiale ha toccato lo zenit, nel
2006 il Prodotto economico mondiale si aggirava attorno ai 47 trilioni di Dollari ossia un 47 seguito da
dodici zeri, il valore complessivo del
mercato delle azioni e quello delle
obbligazioni invece sfiorava i 119
trilioni di dollari, più del doppio.
Mentre lo straordinario ammontare
dei nuovi mostri finanziari, noti come derivati, era di 473 trilioni di
dollari cioè 10 volte tanto.
Nell’estate del 2007 sembrava che
il mondo si fosse trasformato nel
pianeta finanza, mai come in quel
momento i rapporti internazionali si
erano dimostrati cosi serrati, non
tramite i cavi di connessione, le
navi container o i jet, ma grazie ai
borsini e alle banche di investimento internazionale.
Negli articoli precedenti abbiamo
visto come la borsa e i mercato dei
mutui, dei bond, quello assicurativo e quello immobiliare si siano
evoluti in Europa e nel nord America.
Ora è il momento di capire perché
e come queste innovazioni finanziarie hanno conquistato il mondo.
Questa è la storia della globalizzazione finanziaria.
La globalizzazione è un elemento
che oggi diamo per scontato, eppure i vantaggio di un mondo globalizzato perfettamente esemplificati
dallo sbalorditivo porto container di
Hong Kong presentano un rovescio
della medaglia: la vulnerabilità legata alle crisi economiche.
La finanza non è una scienza esatta
e la sua vulnerabilità alle forze politiche sfugge al controllo delle banche.
Non sempre l’ascesa del denaro è
filata liscia come l’olio, di tanto in
tanto è segnata da crisi catastrofiche e dolorose, solo 10 anni fa
sembrava che con tutta probabilità,
la crisi sarebbe esplosa nei mercati
in espansione, tra cui quelli asiatici.
Eppure oggi è l’occidente a pagare
le conseguenze di un crack finanziario e creditizio che in Asia è passato quasi del tutto inosservato.
Anzi un nuovo fenomeno è giunto a
definire l’economia mondiale. I mutuatari americani hanno iniziato a
Lin Tze-hsu
fare affidamento sui risparmiatori
cinesi, in un rapporto simbiotico fra
Cina e America che chiameremo
Cinamerica.
Ma possiamo affermare con certezza che Cinamerica salverà quest’era
di globalizzazione finanziaria?
L’inquietante realtà è che un secolo
fa, un’altra era di globalizzazione
finanziaria si è conclusa non in sordina, ma con una esplosione assordante, e non c’è alcun motivo per
cui non debba accadere di nuovo.
Si è soliti dire che i mercati emergenti sorgano in luoghi abituati alle
emergenze.
Investire dall’altra parte del mondo
può dar vita a fortune immense,
ma se qualcosa va storto la rovina
finanziaria accelera la sua corsa.
Ecco perché molti mercati emergenti apparentemente irrefrenabili,
sono in realtà dei mercati riemergenti. In questi anni il mercato riemergente sotto i riflettori è la Cina
a detta di molti, vi si possono accumulare fortune illimitate, di certo
negli ultimi 20 anni la terraferma
ha seguito l’esempio di Hong Kong
e si è verificato un vero e proprio
boom economico, eppure non è la
prima volta che gli investitori stranieri puntano sulla Cina sperando
di trarre enormi guadagni dal paese più popoloso del mondo.
L’ultima volta gli investitori stranieri
sono rimasti letteralmente in mutande, e non sarebbero bastati tutti
i sarti di Hong Kong a rivestirli.
Il problema essenziale legato agli
investimenti oltremare è la difficoltà per gli investitori che siano europei o americani di verificare la reale
efficienza di un governo o di una
società straniera, specie se c’è di
mezzo l’oceano.
Se un debitore straniero diventa
insolvente come deve muoversi
l’investitore?
La risposta prima del 1914 era brutalmente semplice ma efficace:
entrava in scena la flotta della marina.
Garantendo il controllo politico europeo la diplomazia delle navi da
guerra, difendeva gli interessi dei
capitalisti inglesi che avevano investito negli angoli più remoti del
mercato mondiale.
La marina britannica ha fornito la
potenza di fuoco che ha sostenuto
gli albori della globalizzazione e i
suoi pionieri.
Senza troppi giri di parole i loro
commerci più proficui si basano
soprattutto sul traffico di droghe.
La loro società imbarca l’oppio prodotto in India col beneplacito del
governo inglese, e lo esporta in
Cina per un commercio messo la
bando dall’imperatore cinese.
Il 10 marzo 1839 un messo imperiale di nome Lin Tze-hsu arriva a
Canton e per ordine dell’imperatore
mette un freno al commercio illegale: circonda i magazzini inglesi di
oppio bloccando ogni ulteriore importazione. 20.000 casse di oppio
all’epoca valutate 2 milioni di Sterline, vengono confiscate e gettate in
mare.
Davanti alla perdita catastrofica i
commercianti inglesi si precipitano
a Londra per sollecitare i governo
ad inviare la marina militare.
Il loro desiderio viene esaudito: il
23 agosto 1893 le cannoniere inglesi approdarono a Hong Kong.
L’impero Cinese stava per sperimentare tutta la potenza del narcostato più famoso della storia.
Come previsto la marina inglese
disperde senza difficoltà i difensori
cinesi, la Cina Sud-occidentale è
ora in mano inglese, e il traffico di
oppio riprende senza alcun tipo di
limitazione.
La tossicodipendenza esplode e
vaste zone del Paese, scivolano
nella ribellione e nell’anarchia.
Finalmente per i nostri commercianti il cui quartier generale ha ora
Fumatori di oppio cinesi
sede a Hong Kong, arrivano i giorni
gloriosi della globalizzazione vittoriana.
Agli inizi del ‘900 le società si sono
diversificate e ora si occupano di
commerci più rispettabili, possiedono fabbriche di birra, cotonifici,
compagnie assicurative e ferrovie
come quella realizzata fra Kowloon
e Canton.
Nel 1913 gli investitori londinesi
avevano all’estero uno straordinario
ventaglio di opportunità e ne sono
un ottimo esempio i registri delle
NM Rotschilds & Sons. Basta aprire
una pagina del 1913 per trovare
almeno 20 titoli esteri fra cui obbligazioni in Cile, Egitto, Virginia, Germania, Ungheria e Italia, per non
parlare delle 11 compagnie ferroviarie, che vantano 4 linee in Argentina, 2 in Canada e il vecchio
tratto Kowloon Canton.
Per la prima volta nella storia l’economia mondiale è davvero unificata
da una miscela di bassi commerci e
alta finanza.
Eppure quest’era di globalizzazione
finanziaria sta per subire un brusco
arresto dovuto al primo vero conflitto globale.
Il 28 giugno 1914 l’erede al trono
d’Austria Francesco Ferdinando
viene assassinato a Sarajevo capitale della Bosnia.
Inizialmente i mercati finanziari
accolgono la notizia come un nuovo fiotto di turbolenza balcanica in
realtà l’assassinio innesca una serie
di reazioni a catena nel contesto
dei mercati mondiali.
Gli investitori comprendono troppo
tardi la possibilità di un conflitto su
scala europea, e la liquidità vale a
dire la capacità di prendere denaro
a prestito e vendere azioni viene
risucchiata in un vortice inesorabi-
le.
Lo sconvolgimento economico che
ne segue manda in frantumi la globalizzazione.
Se si segue lo scoppio delle prima
guerra mondiale dalle pagine del
Times, solo il 22 luglio 1914 diventa chiaro che l’assassinio di Francesco Ferdinando avvenuto ben tre
settimane prima avrebbe avuto
gravi ripercussioni finanziarie.
10 giorni dopo il 1° agosto 1914 il
Times riporta la chiusura della borsa valori, una chiusura durata fino
al 4 gennaio 1915.
Ma perché gli investitori sembravano incuranti del cataclisma fino a
pochi giorni prima dello scoppio
della guerra?
La risposta sta in quella miscela di
innovazione finanziaria e integrazione globale che conferiva all’economia mondiale una apparenza
piuttosto rassicurante.
Il semaforo dei mercati finanziari
lampeggia verde, non rosso, fino
alla vigilia della distruzione.
E questa potrebbe essere una valida lezione anche per i nostri tempi.
La prima globalizzazione finanziaria
della storia impiega una generazione intera ad ingranare, ma viene
spazzata via nel giro di pochi giorni
e ci vorrà ben più di una generazione per riparare i danni prodotti dai
cannoni dell’agosto 1914.
La prima guerra mondiale mette
fine alla prima era globalizzata, fino
alla fine degli anni ’60 la finanza
internazionale sembra assopita,
qualcuno è convinto persino che sia
morta.
Nel 1944 gli alleati prossimi alla
vittoria si riuniscono per concertare
una nuova architettura finanziaria
del mondo: il commercio sarebbe
stato libero ma i capitali in movi-
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mento soggetti ad una ferrea regolamentazione. Nel valicare i confini
nazionali il denaro sarebbe passato
di governo in governo.
Il nuovo ordine finanziario avrà due
sentinelle con sede a Washington:
il Fondo Monetario Internazionale e
la Banca Internazionale per la Ricostruzione e lo Sviluppo poi nota
come Banca Mondiale.
Sul finire degli anni ’70 tuttavia
grosse somme di denaro vengono
accumulate dai petrolieri del medio
oriente, le banche occidentali sono
ansiose di reinvestire il denaro in
prestiti, e le sentinelle allentano la
sorveglianza: la globalizzazione
finanziaria risorge.
I paesi a cui le banche decidono di
prestare Petroldollari sembrano
promettere fascinosi profitti, ma
come era già successo nel corso
della storia finanziaria, il rischio è
incalcolabile.
In 7 anni l’America latina quadruplica i prestiti stranieri, fino a sfiorare
la cifra di 315.000 miliardi di dollari. Poi nel 1982 il Messico dichiara
che non è più in grado di saldare il
debito, e ben presto l’intero continente vacilla sull’orlo della bancarotta.
Ma è finito il tempo in cui gli investitori potevano contare sull’esercito dei propri governi in caso di debitori insolventi. Ora tutta la responsabilità delle crisi finanziarie
ricade sul Fondo Mondiale Internazionale e sulla Banca Mondiale che
non dispongono di navi da guerra,
ma per i prestiti a venire potranno
insistere in modo da spingere i governi latino-americani ad adottare
dolorosi programmi di regolazione
strutturale e ad imporre la disciplina fiscale.
Per gli economisti americani l’efficacia di questi programmi è inconfutabile, ma non tutti sembrano
d’accordo.
Con l’inasprirsi delle critiche alla
finanza globale, le due sentinelle
del programma post-bellico si trasformano in cecchini dell’economia,
e puntano le loro armi finanziarie
contro i governi del terzo mondo,
sostenendo le dittature e promuovendo gli interessi dell’imperialismo
Yankee.
Guai a chi osa opporsi alle loro cannonate economiche. Nel movimento no-global prosperano teorie cospiratorie. Secondo una di queste,
molto popolare (derivate dal libro
Confessioni di un sicario dell’economia di John Perkins) due leader
sud-americani molto popolari Jaime
Roldos in Ecuador e Omar Torrijos
a Panama sarebbero stati assassinati per essersi opposti alle richieste dell’imperialismo americano.
Eppure c’è qualcosa che non quadra nel presunto complotto della
banca mondiale contro i leader del
terzo mondo. Dopotutto gli Stati
Uniti non avevano prestato poi
molto denaro ad Ecuador e a Panama.
Negli anni ’70 i fondi e i titoli venduti in questi paesi ammontavano
allo 0,14% del totale, ciò vuol dire
che non erano clienti preziosi per
gli Stati Uniti, e le esportazioni americane sfioravano appena lo
0,4%, non sembrano cifre tali da
giustificare un omicidio.
A dirla tutta l’idea di un assassinio
sponsorizzato dal fondo mondiale
internazionale pare una forzatura.
Ciò nonostante questa nuova fase
della storia della globalizzazione
assiste all’emergere di un killer economico ben più plausibile, armato di ordigni a dir poco letali: i fondi di investimento.
Gli uomini che gestiscono i fondi di
investimento fanno ancora più paura, perché non hanno bisogno di
ricorrere alla violenza per raggiungere i loro scopi e contribuiscono
personalmente alla globalizzazione,
accelerandola.
Se la banca mondiale concede ai
governi prestiti delle durata di anni,
i fondi di investimento giocano su
periodi di tempo molto più limitati.
E il gran maestro dei nuovi killer
economici è George Soros (di cui
abbiamo già scritto in precedenti
articoli su OP). Ebreo ungherese di
nascita, ma educato a Londra e
trasferitosi a New York, Soros introduce nella finanza globale una
nuova prassi economica, che sottolinea la fallibilità della natura umana e l’instabilità dei mercati finanziari.
Le azioni producono conseguenze
non programmate il cui esito non
corrisponde alle nostre aspettative,
ed è così che funzionano in genere
gli affari umani.
Secondo la teoria della Riflessività
di Soros, i mercati finanziari non
potranno mai essere perfettamente
efficienti e tanto meno razionali per
il semplice motivo, che i prezzi altro
non sono che il riflesso dell’ignoranza e del pregiudizio, spesso irrazionale, di milioni di investitori.
Agli occhi di Soros i mercati sono
caratterizzati da alti e bassi, così
come il temperamento umano è
soggetto a momenti di euforia e di
scoraggiamento.
Il fondo Quantum Di George Soros
ha fruttato milioni grazie allo Short
Selling le vendite allo scoperto, una
transazione grazie alla quale si vendono titoli o valute che non si possiedono, per acquistarle dal proprietario successivamente quando
si spera che il loro valore sia sceso.
Le sue mosse più azzeccate sono
nate dalla giusta considerazione
delle perdite e non dei ricavi.
Omar Torrijos, nome completo Omar Efraín Torrijos Herrera (Santiago, 13 febbraio 1929 – 31 luglio 1981), è stato un militare e politico panamense.
È stato il comandante della Guardia Nazionale di Panamá, e leader del paese americano dal 1968 al 1981, anno della sua morte.
Fu il promotore del colpo di stato del 1968, grazie al suo ascendente sulle masse povere e sui contadini, tanto che ebbe a dire di fronte ai fanciulli di un quartiere periferico:
"Qui crescono i figli della rivoluzione". Sebbene fosse di fatto il personaggio più importante del paese, non vinse elezioni né fu mai presidente. Famoso per i trattati TorrijosCarter, del 1977 fra Panamá e Stati Uniti che sancivano il diritto di controllo per i centramericani del Canale di Panama a partire dal 2000. Morì prematuramente nel 1981 a
causa di un misterioso incidente aereo. Versioni non ufficiali affermano che i sistemi di
bordo erano controllati da terra, e John Perkins nel suo Confessioni di un sicario dell'economia lascia intendere che fu la CIA ad eliminarlo, perché Torrijos si rivelò un personaggio troppo scomodo e difficile da controllare.
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E la migliore è stato uno dei colpi
speculativi più importante nella
storia della finanza.
Il 16 settembre 1992 con la Sterlina in grosse difficoltà, Soros divenne famoso come l’uomo che distrusse la banca d’Inghilterra.
Molti erano convinti che speculatori
come Soros erano destinati a vincere se fossero giunti alla resa dei
conti con il governo inglese, e questo per una semplice questione
aritmetica: 1000 miliardi di valuta
venduta ogni giorno sui mercati di
cambio stranieri, contro le esigue
riserve del ministero del tesoro
inglese.
In quel periodo la sterlina inglese
era strettamente legata al Marco
tedesco attraverso l’SME il meccanismo europeo dei tassi di cambio.
Quando i tassi di interesse tedeschi
salgono all’alba della costosa riunificazione delle due Germanie, la
stessa sorte devono subire quelli
inglesi colpendo i proprietari immobiliari e gli affari interni.
Soros calcola che il cancelliere inglese Norman Lamont sarà costretto a ritirarsi dallo SME e svalutare la sterlina. E’ la scommessa
più coraggiosa della sua vita.
Ed è talmente convinto che la Sterlina calerà, che scommette 10 miliardi di Dollari, più dell’intero capitale del suo fondo.
Il rapporto rischio beneficio era
sproporzionato, e quindi gli è sembrata una buona speculazione, o
investimento se vogliamo, scommettere sulla sterlina.
Durante l’intervallo della prima dell’opera di Londra in cui si recitava La forza del destino - il primo cancelliere inglese Norman Lamont si
presentò nel cortile del palazzo del
tesoro per annunciare che l’Inghilterra si sarebbe ritirata dallo SME,
un evento epocale.
Quel giorno Soros guadagna 1 miliardo di dollari che sono solo il 40% dei profitti annuali del suo fondo
di investimento.
Soros deve il suo successo ad un
istinto viscerale legato ai movimenti del gregge elettronico.
E se la matematica potesse rimpiazzare l’istinto?
Cosa succederebbe se una formula
aritmetica potesse garantire dei
profitti astronomici? Dall’altra parte
della galassia finanziaria questa
formula è appena stata escogitata.
Nell’incrementare il commercio e lo
sviluppo, la nuova globalizzazione
ha anche incrementato la vulnerabilità dell’economia mondiale agli
shock finanziari che propagano i
loro effetti da un angolo all’altro
del pianeta.
Ma cosa succederebbe se il nostro
pianeta fosse un luogo completamente diverso, un pianeta in cui
non si verificano le tensioni causate
dalla soggettività e dall’irrazionalità
degli esseri umani.
Un mondo in cui gli abitanti recepiscono istantaneamente ogni nuova
informazione e la sfruttano per
massimizzare i profitti, dove nella
turbolenza della vita di tutti i giorni,
tutto è quieto e prevedibile.
Su un pianeta controllato e interconnesso tanto efficacemente, un catastrofico crollo della borsa sarebbe infinitamente meno frequente che nel nostro mondo. Forse accadrebbe una volta ogni 4
milioni di anni.
Questo è il pianeta sognato dagli
economisti più brillanti dei tempi
moderni, ed è così che probabilmente si presenterebbe.
Nel 1993 due geni della matematica giungono a Greenwich nel Connecticut, con una idea formidabile.
Myron Scholes della Stanford
University ha inventato la nuova
rivoluzionaria teoria delle Option: le
Opzioni. Lui e Robert Merton di
Harvard sono i primi di una nuova
razza di speculatori che sfrutta la
matematica quantistica per
fare soldi.
Da uno dei loro uffici pianificano una rivoluzione finanziaria
globale.
L’idea di Merton e Scholes si
basa su una semplice contratto di opzione.
Prendiamo il caso una azione
che oggi vale 100 $, supponiamo che io sia convinto che
quella azione varrà 200 $ fra
un anno, non sarebbe bella
Myron Scholes Roberrt Merton
l’idea di comprarla al prezzo di oggi
fra un anno? Se ho ragione incasserò un profitto di 100 $, se ciò
non avverrà chi se ne importa era
solo un opzione, mi costerà solo il
prezzo dell’opzione stessa.
La domanda fondamentale è: quale
dovrebbe esser il suo prezzo: 5 $ ,
10 $ ?.
La risposta è fornita da una formula magica a cui i professori si riferiscono definendola “scatola nera”.
Guardiamo cosa c’è nella scatola.
La sfida che Scholes e Merton si
trovano da affrontare è stabilire il
prezzo di una opzione per acquistare una azione in un momento particolare, tenendo in considerazione i
movimenti imprevedibili del prezzo
di quell’azione in quel determinato
periodo di tempo.
Calcolate il prezzo di quella opzione
accuratamente invece di tirare a
indovinare e vi meriterete il titolo di
scienziato della finanza.
Con una meravigliosa stregoneria
matematica riducono il prezzo dell’azione ad una complessa formula.
(Formula di Black Scoles)
Siete un po’ perplessi?, avete qualche difficoltà con le formule algebriche? Allora i nostri geniacci hanno raggiunto il loro scopo. Per trarre profitto da queste genere di cose era necessario che il prezzo da
applicare alle opzioni rimanesse un
mistero.
Nei primi due anni di attività la società di Merton e Scholes la Long
Term Capital Managment accumula
una fortuna vendendo opzioni mai
praticate e sfruttando l’ingenuità e
la poca lungimiranza dei compratori.
I due scienziati della finanza guadagnano milioni, inoltre acquistan-
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do tutti quei titoli che ritenevano
mal calcolati. Il mercato delle auto
di lusso a Greenwich non ha mai
avuto un periodo tanto prospero.
Tuttavia per generare tali profitti la
Long Term deve ricorre ad un prestito. Questa leva finanziaria aggiuntiva le permette di scommettere ben più del denaro di cui dispone.
Nell’agosto del 1997 il capitale del
fondo di investimento sfiora i 7.000
miliardi di dollari, ma le azioni finanziate dai prestiti ammontano a
126.000 miliardi di dollari.
Penserete che un paio di accademici come Merton e Scholes si saranno lasciati terrorizzare dall’enorme
ammontare del debito. Tutto il contrario, secondo la loro magica formula matematica non correvano il
minimo rischio con una leva finanziaria tanto alta.
Al contrario di altre società la Long
Term perseguiva delle strategie di
vendita multiple e apparentemente
non correlate, un centinaio in tutto,
comprendendo più di 6700 posizioni differenti. Una poteva rivelarsi
sbagliata forse due ma era impossibile che tutte le puntate potessero
andare male contemporaneamente.
La Long Term specula sui mercati
di tutto il mondo, ma il suo cavallo
di battaglia è la vendita di opzioni
sui mercati azionari americani ed
europei. Opzioni che verranno incassate se i prezzi delle azioni fluttueranno verso l’alto o verso il basso. A quel tempo molti sono con-
vinti che i picchi raggiunti dalle azioni implichino una particolare volatilità dei mercati, ma la Long
Term non è d’accordo. Secondo i
suoi calcoli la volatilità del mercato
declinerà e ciò significa che anche
la possibilità degli investitori di esercitare le opzioni si ridurrà, la
Long Term allora accumula le opzioni e le vende a prezzi vantaggiosi, vi sembra rischioso? I due matematici stimano che il rischio di fallimento equivale a 1 su 1024 in altre
parole, praticamente a zero. Sembrano vivere davvero su un altro
pianeta lontano anni luce dai consueti alti e bassi dei mercati terrestri.
Nell’ottobre del 1997 a dimostrazione della loro capacità Merton e
Scholes vengono fregiati del premio Nobel per l’economia.
Sembrava che l’intelletto aveste
trionfato sull’intuizione, che la
scienza della finanza avesse soppiantato il rischio. Dotati della magica scatola nera i soci della Long
Term sembravano sul punto di incassare fortune impensabili persino
per George Soros.
Poi nell’estate del 1998 quando i
gestori dei fondi di investimento
già cantavano vittoria è accaduto
un evento che ha minacciato di far
esplodere la scatola nera dei due
premi Nobel: la realtà non ha seguito le aspettative.
Nell’evoluzione le estinzioni di massa in genere sono causati da shock
esterni come la caduta di un aste-
Il fondo Long Term Capital Management (LTCM) era un fondo speculativo nel cui board figuravano grandi protagonisti del mondo economico.
Fu istituito nel 1994 da Meriwether ed il suo team proveniente dalla Salomon Brothers e si basò sui modelli matematici creati dai premi Nobel Robert C. Merton e Myron Scholes. Compiva, perlopiù, operazioni di arbitraggio economico.
Vi lavorarono anche Eric Rosenfeld, Greg Hawkins, Larry Hilibrand, William
Krasker, Dick Leahy, Victor Haghani, James McEntee, Robert Shustak, David W. Mullins Jr..
Possedeva un capitale gestito di 4 miliardi di dollari, ma tramite leve finanziarie molto ampie operò con esposizioni in alcuni casi sino a 1200 miliardi
di dollari. Nei primi anni riuscì a produrre rendimenti netti annui di circa il
40% .
Numerosi erano i gestori che replicavano le strategie di investimento di
LTCM, col risultato che alcuni errori commessi dal fondo sono stati effettuati anche da chi utilizzava le medesime strategie. Tutto questo, unitamente alla crisi della Russia e al grande utilizzo della leva finanziaria da
parte di LTCM, ha reso il suo collasso drammatico, richiedendo, nel 1998,
l'intervento diretto della FED a sostegno, al fine di evitare il peggio.
Dopo LTCM, Meriwether nel 2000 ha lanciato JWM partners, insieme ad
Haghani, Hilibrand, Leahy, e Rosenfeld, operando con gli stessi modelli
matematici sebbene con esposizioni finanziarie minori.
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roide sulla Terra. Lunedì 17 agosto
1998, un gigantesco asteroide si
abbatte sul pianeta finanza, e a
sorpresa colpisce l’altra faccia del
globo, in particolare un mercato in
ascesa.
Indebolito dalle turbolenze politiche, dal declino delle entrate petrolifere, e da una privatizzazione approssimativa, il sistema finanziario
Russo già vacillante, crolla.
Il disperato governo del Paese non
è più in grado di onorare i suoi debiti, e alimenta la fiamma della volatilità nel sistema finanziario mondiale, i mercati azionari sprofondano.
Ricordate le opzioni a basso costo
che la Long Term aveva venduto
basandosi sulla scarsa volatilità del
mercato azionario?, quelle che pensava che nessuno avrebbe mai praticato?, le cose vanno diversamente.
I Nobel avevano previsto che era
altamente improbabile che la Long
Terms perdesse più di 35 milioni di
dollari in un solo giorno, venerdì 21
agosto 1998 ne perde 550 pari al
15% del suo intero capitale.
L’evento sulla base dei modelli di
rischio della Long Term è a dir poco surreale, a Greenwich si guardano i monitor a bocca aperta, con lo
sguardo vitreo, non sta accadendo
sul serio… invece sì.
Alla fine del mese la Long Term è
sotto del 45%. La sua unica speranza di sopravvivenza è trovare un
finanziatore in grado di riscattarla.
E chi meglio dell’investitore impavido George Soros? E’ il massimo
dell’umiliazione, i geni del pianeta
finanza elemosinano l’intervento
del profeta della Riflessività irrazionale e inquantificabile.
Deve esser stato un incontro molto
teso, chissà che atmosfera!: Soros
ricorda che si incontrarono a colazione, e non fu un incontro molto
teso, o meglio loro erano tesi ma
Soros no perché non avrebbe sborsato nemmeno un centesimo.
Nessun investitore impavido salverà la Long Term, era troppo pericoloso e non avendo il capitale sufficiente, difatti fu necessaria l’azione
coordinata di tutte le banche per
salvare la LTCM dalla bancarotta.
Ecco cosa accadde: nel timore che
il fallimento della LT possa innescare il caos generale la Federal Reserve di New York ottiene una
somma miliardaria da 14 banche di
Wall Street, e salva così il fondo.
Cosa mai è potuto accadere? Perché Soros ha visto giusto e i cervelloni della Long Term hanno fallito?
Perché il mondo della finanza non
risponde alla fredda logica, si tratta
pur sempre del caro vecchio pianeta Terra, abitato da esseri umani
emotivi e dalla mentalità imprevedibile. Ma c’è un’altra ragione alla
base del fallimento della LT, i suoi
modelli di rischio erano calcolati sui
dati dei 5 anni precedenti, se fossero andati a ritroso di almeno 11
anni avrebbero preso in considerazione il crollo dei mercati azionari
del 1987, e se fossero risaliti a 80
anni prima avrebbero considerato
l’ultima grande crisi Russa, dopo la
Rivoluzione del 1917.
Per farla breve i premi Nobel erano
ferrati in matematica, ma un po’
meno in storia contemporanea,
hanno colto appieno la logica del
pianeta finanza, ma non la caotica
realtà del pianete terra.
Ed ecco perché la gestione della LT
si è rivelata superficiale e poco lungimirante.
Il grande dubbio è: se una crisi di
tale portata si ripetesse oggi, oltre
dieci anni dopo, coinvolgendo questa volta più fondi di investimento
su larga scala, cosa succederebbe?
La risposta a questa domanda non
è da ricercare su un altro pianeta,
ma dall’altra parte del globo.
Per molti la storia finanziaria è un
fiume che scorre, storia antica come quella della Cina Imperiale. I
trader più giovani non ricordano
nemmeno la crisi asiatica del 199798, se hanno avviato una attività
dopo il 2000 hanno vissuto anni
ricchi di eventi, il boom dei mercati
azionari, quello dei bond, quello del
petrolio, quello dei derivati.
Il boom è stato generale e ha coinvolto anche quei prodotti la cui richiesta è associata a un certo tenore di vita, come il Bordeaux d’annata e gli yacht di lusso.
Ma questi anni di boom sono anche
anni misteriosi, perché i mercati
salgono alle stelle in un periodo in
cui i tassi di interesse a breve termine crescono
abbagliando gli
squilibri commerciali e intensifican-
e oltre 100 miliardari.
Non solo la Cina si è lasciata il periodo coloniale alle spalle, ma l’economia più in rapido sviluppo del
mondo è riuscita anche ad evitare
quel genere di crisi che periodicamente fa la sua comparsa in altri
mercati emergenti.
Uno dei motivi di questa ascesa
indenne da crisi, sta nel fatto che
molti investimenti cinesi non sono
stati finanziati dagli stranieri, ma
dagli stessi risparmiatori cinesi.
Ci sono stati investimenti stranieri
ma si è trattato di investimenti diretti per la creazione di fabbriche,
non facilmente liquidabili in tempo
di crisi.
do il rischio politico.
Il segreto di questo apparente paradosso è nascosto in Cina.
Chongqing sulle sponde del possente fiume YangTze è ubicata nel
cuore dell’antico regno di mezzo, a
più di 1500 km dalle zone costiere
meta dei turisti occidentali, eppure
è la città più in rapido sviluppo del
pianeta.
La città più moderna del mondo il
paradiso dell’edilizia, 30 sono i ponti in costruzione, 10 sono le nuove
linee ferroviarie in costruzione.
Lotti che fino a 6 mesi prima erano
terreno agricolo, vedono la costruzione di milioni di mq di uffici. L’obiettivo è trasformare Chongqing
nella capitale finanziaria della Cina
occidentale, e se continuano di
questo passo diventerà la capitale
finanziaria del mondo intero.
Grazie al suo rapido sviluppo in
Cina si contano 345.000 milionari,
Negli ultimi anni il risparmio della
Cina è stato così imponente che ha
impresso alla globalizzazione la più
spettacolare inversione di rotta.
Prima era il ricco inglese a prestare denaro alla indigente periferia
asiatica, ora sono i cinesi a fornire
liquidi al benessere americano.
Quindi: benvenuti nel nuovo strano
ibrido avvenuto dalla fusione di
Cina e America che qualcuno ama
definire Cinamerica.
Il mercato azionario sudoccidentale è un luogo straordinario, frequentato da centinaia di abitanti di Chongqing che vanno lì a
pranzare, giocare a ping pong ed
a… investire o, forse a puntare i
loro risparmi in borsa.
Ecco il tratto distintivo della Cina
odierna e dell’economia mondiale
in genere: la tendenza a investire e
mettere in moto i capitali.
Dopo anni di instabilità i cinesi
7
mettono da parte una grossa fetta
delle loro crescenti entrate in netto
contrasto con gli americani che
oggi giorno non riescono a risparmiare nulla.
I risparmi dei cinesi sono tanto abbondanti, che per la prima volta
nella storia, i capitali non si muovono da ovest verso est, ma da est
verso ovest, ed è un flusso massiccio.
Nel 2007 gli Stati Uniti sono costretti a chiedere un prestito di
800.000 miliardi di dollari
(ottocentomilamiliardi di dollari) al
resto del mondo, più di 4.000 miliardi di dollari per ogni giorno lavorativo.
La Cina di contro gestisce un surplus equivalente a più di ¼ del
deficit americano. E una larga fetta
di quel surplus finisce per esser
prestata agli Stati Uniti.
La Repubblica Popolare Cinese è
diventata a tutti gli effetti la banca
ufficiale degli Stati Uniti d’America.
Suona un po’ bizzarro, un americano medio ha un reddito di 44.000 $
all’anno, mentre un cinese medio
nonostante l’edilizia multimiliardaria
ostentata nel centro di Chongqing
non ne guadagna più di 2000.
Allora perché è il secondo a prestare il denaro al primo che è all’incirca 22 volte più ricco?
Fino a poco tempo fa da un punto
di vista cinese la maniera migliore
di impiegare la sua vasta popolazione era l’esportazione di manufatti a beneficio degli insaziabili
consumatori americani.
Per assicurarsi che queste esportazioni fossero irresistibilmente convenienti, la Cina doveva bloccare
l’ascesa della sua valuta acquistando migliaia di miliardi di dollari sui
mercati mondiali. E fino a poco
tempo fa sembrava che fosse anche l’America a beneficiarne.
In America il modo migliore per far
quadrare i conti di recente è stato
importare beni scadenti cinesi all’ingrosso e venderli poi in grandi
magazzini come ad esempio la Wal
Mart.
Compagnie come questa rifornendosi in Cina hanno pensato di trarre grossi profitti dalla manodopera
cinese a basso costo.
Solo nel 2006 la Wal Mart ha importato prodotti cinesi per un valore di 9.000 miliardi di dollari.
Ma allo stesso tempo vendendo
obbligazioni miliardarie alla Banca
8
Popolare Cinese, gli Stati Uniti
hanno goduto di un abbassamento
dei tassi di interesse, è quella che
molti definiscono una situazione di
assoluta parità. Sono queste le magie prodotte da Cinamerica che
fornisce il 33% del prodotto economico mondiale e a cui è dovuto più
del 50% della crescita globale verificatasi negli ultimi otto anni. Cinamerica sembra un connubio idilliaco, i cinamericani orientali risparmiano, i cinamericani occidentali
spendono.
Ma non tutto è così roseo. Più la
Cina è favorevole a prestare denaro agli Stati Uniti, più gli Stati Uniti
tendono a prenderne in prestito.
Cinamerica in altre parole è la causa dell’inondazione di nuovi prestiti
bancari, obbligazioni e dei contratti
derivati che imperversano nel pianeta finanza dal 2000.
E questa a sua volta è la ragione
per cui nel 2006 il mercato Americano dei mutui era talmente inondato di liquidità che i mutui subprime sono stati concessi anche a
soggetti senza reddito senza lavoro
e senza l’ombra di titoli azionari. La
crisi dei mutui sub-prime quindi
non sembrava difficile da prevedere, già mesi prima molte persone
incappavano nell’insolvenza e nel
pignoramento, ma ciò che era più
difficile prevedere era come un
piccolo tremore verificatosi in un
mercato prettamente americano,
avrebbe causato un terremoto di
portata mondiale.
Non molti avevano previsto che
l’onda d’urto dovuta all’insolvenza
dei mutui sub-prime avrebbe colpito tutto il mondo, che per quella
crisi una banca inglese sarebbe
stata nazionalizzata, che una delle
compagnie più famosa degli investimenti bancari americani la Leman Brothers, non avrebbe retto il
colpo.
E non molti avevano capito che
mentre anche altre banche inizia-
vano ad accumulare miliardi perdite
il prestito interbancario si sarebbe
fermato e che il ministero del tesoro americano sarebbe stato costretto a sborsare un prestito di 700
mila miliardi di dollari per risanare il
sistema finanziario.
Di sicuro nel giugno del 2008 la
recessione in America sembrava
pressoché inevitabile, ma dall’altra
parte del mondo?
Guardando le strade di Hong Kong
non si notano segni di recessione.
E’ possibile che la parte cinese della Cinamerica si sia staccata con
successo dalla sorella americana?
L’idea che la Cina possa uscire illesa dalla crisi americana è a dir poco affascinante, nonostante il calo
delle esportazioni dovuto alla recessione, e il crollo del mercato
azionario il boom della richiesta
interna sembra determinare una
crescita continua, pari all’8% annuo.
Ma ricordiamo che noi occidentali
l’abbiamo già sperimentato.
Cento anni fa durante la prima globalizzazione molti investitori pensavano che esistesse il medesimo
rapporto simbiotico fra la capitale
del mondo finanziario, l’Inghilterra
e l’economia più industrializzata
d’Europa, stiamo parlando dell’economia tedesca.
E il fallimento di quel rapporto è
sfociato in una guerra.
Come prima del 1914 una linea
sottile separa la simbiosi dalla rivalità e dal conflitto.
Secondo alcune stime nel 2027 il
Pil cinese supererà quello americano.
Alcuni economisti ipotizzano che
per quella data, poco o nulla rimarrà dell’industria manifatturiera americana, e più la situazione peggiorerà negli Stati Uniti più le proteste si faranno accese.
In un periodo come questo in cui la
borsa di Hong Kong fa parlare di
sé, viene da chiedersi cosa può
innescare una crisi della globalizzazione come quella avvenuta nel
1914.
La risposta più ovvia è un conflitto
fra gli Stati Uniti e la Cina, sia per il
commercio, Taiwan, il Tibet o qualunque altro pretesto che oggi non
siamo in grado di vedere.
Quello che inizia come competizione per una medaglia olimpica, potrebbe trasformarsi in una battaglia
per i dollari se un giorno i cinesi
decidessero di recidere i legami di
credito con l’impero americano.
Forse come molti suggeriscono Cinamerica non è altro che una Chimera: l’animale mitologico, in parte
leone, in parte capra, in parte Drago. Un conflitto cino-americano
non è poi tanto assurdo, ma uno
dei punti cardine di queste vicende
è che le crisi nella storia sono state
sufficientemente distanziate da non
essere nella memoria di coloro che
oggi gestiscono le banche, i fondi
di investimento e le società.
Se avete sempre visto solo cigni
bianchi ciò non vuol dire che non
esistano cigni neri.
Il mondo finanziario attuale è il
risultato di 4.000 anni di evoluzione
economica, eppure nonostante la
sua complessità e la sua diversificazione senza precedenti, il pianeta
finanza rimane più vulnerabile che
mai all’annoso problema dei corsi e
ricorsi economici, all’esuberanza
irrazionale e alla depressione maniacale.
Forse è proprio la sua complessità
a renderlo più vulnerabile alla crisi.
Per 4.000 anni, dall’antica Mesopotamia alla Cina moderna, l’ascesa
del denaro è stato uno degli ele-
menti determinanti, del progresso
umano, una affascinante storia di
innovazioni, intermediazioni e integrazioni, che ha permesso all’uomo
di riscattarsi dall’agricoltura di sussistenza.
Eppure il pianeta finanza non potrà
mai sfuggire alla forza gravitazionale del pianeta Terra perché la matematica non riuscirà mai a spiegare fino in fondo il fattore umano, la
nostra tendenza a sottovalutare la
probabile presenza di cigni neri, la
propensione a farci guidare dall’euforia e dall’abbattimento, l’incapacità cronica di imparare dalla storia.
Ecco perché la storia finanziaria
come la più umana delle emozioni,
non ha mai avuto un corso lineare
e mai lo avrà, nemmeno nel magico e leggendario paese chiamato
Cinamerica.
Forze terrestri dell’esercito popolare di liberazione della Cina9
Bisogno di sicurezza Iran - Russia:
confronto politico
Riccardo Manzoni
mb 339.1002650
e-mail: [email protected]
L’Iran
apparentemente
monolitico è un
paese ricco di
fratture sociali:
nelle élite il rifiuto
della morale
tradizionale è tale
che molte ragazze
giungono a
prostituirsi per
sfidare la legge
islamica, ed anche
la droga é un
problema molto
complesso...
10
I FATTI
Prima in Iran, poi in Russia si é
assistito ad un moto di proteste
che sembravano in grado di scuotere il potere costituito e di avviare
questi due paesi verso una maggiore democrazia interna, mentre il
risultato finale é stato per adesso
un consolidamento del sistema esistente: in Iran le ultime elezioni
parlamentari hanno visto il trionfo
dei conservatori ed in Russia Putin
è stato eletto presidente già al primo turno.
LE CAUSE
Bisogna quindi chiedersi perché le
proteste si sono dimostrate inefficaci e perché gli oppositori sono
completamente spariti in Iran e
molto diminuiti in Russia. Siamo
stati colti dall’ennesimo abbaglio
che ci fa vedere la realtà non come
é davvero, ma per come vorremmo
che fosse? Il Sistema é stato particolarmente efficiente nel combattere l’opposizione? Oppure é in grado
di avere il consenso della maggioranza della popolazione? Se é davvero così perché si verifica un consenso tanto diffuso verso governi
che visti dall’esterno vengono generalmente considerati negativi?
Certamente la repressione ha giocato un ruolo importante, ma di
per sé non basta a spiegare la sopravvivenza degli attuali governi;
d’altra parte gli oppositori esistono
davvero e non sono il risultato di
una nostra invenzione: moltissimi
cittadini, sopratutto giovani ed istruiti vogliono davvero un sistema
più democratico. Proprio questo,
però, é il punto: chi condivide certe
idee appartiene spesso
all’élite urbana, universitaria e legata alle
nuove
tecnologie,
mentre la grande maggioranza della popolazione é molto diversa
per condizioni di vita e
per mentalità, prima
ancora che per idee
politiche. Questa differenza tra città e provincia esiste anche in
Occidente, ma é particolarmente
diffusa nel Secondo, Terzo e Quarto Mondo e spiega bene perchè i
tentativi di riforma politica spesso
naufragano nell’indifferenza o nell’ostilità generale.
RUSSIA
In questo immenso paese un chiaro esempio di quanto appena detto
riguarda il servizio militare; mentre
i giovani delle grandi città cercano
in ogni modo di evitarlo, nella sterminata provincia russa viene ancora considerato motivo di orgoglio. A
volte la mentalità notevolmente
diversa tra queste due realtà porta
ad un vero e proprio odio verso gli
abitanti delle grandi città da parte
della “Russia profonda”, come emerso anni fa quando a Mosca é
caduto il tetto di un parco acquatico provocando diversi morti. In
quell’occasione gli altri russi non
hanno mostrato particolare dolore;
anzi hanno considerato i malcapitati come individui dediti solo al divertimento che si erano meritati
una fine simile. In un contesto di
questo tipo non stupisce che Putin,
contestato pesantemente a Mosca,
continui in realtà a godere di un
autentico e vasto consenso fuori da
essa. Questo si spiega anche con il
fatto che la provincia é ovunque
più legata alla cultura tradizionale.
Per quanto riguarda la Russia, la
storia russa é caratterizzata costantemente dalla presenza di “uomini
forti” che plasmano, creano, riformano o ricreano lo Stato a loro
immagine e somiglianza. La presenza di questo tipo di statisti in
Russia é particolarmente importante anche per contrastare un altro
fenomeno ricorrente: i “torbidi”,
periodi di debolezza e persino di
disgregazione della Russia in tanti
Stati indipendenti. Alla loro fine
compare un politico della pasta
descritta prima che non solo riporta ordine interno, ma ricrea uno
Stato potente e riannette alla Russia i territori perduti. Tale é stato,
per esempio, Stalin in Unione Sovietica, e non é un caso che gran
parte dell’opinione pubblica ancora
Stoner Train, un terzetto musicale proveniente dalla profonda Russia
oggi veda in lui non il dittatore che
ha ucciso milioni di persone, come
viene considerato comunemente in
Occidente, ma il restauratore della
potenza russa umiliata dalla sconfitta nella Prima Guerra Mondiale e
sconvolta dalla successiva guerra
civile tra zaristi e comunisti. Se si
analizzano gli avvenimenti più recenti si noterà che analoga discrepanza di vedute esiste anche sull’ultimo periodo sovietico e gli anni
ad esso successivi.
Per l’Occidente Gorbaciov ha tentato di riformare un sistema ormai
sclerotizzato e ha introdotto le prime libertà politiche ed economiche,
continuate poi con decisione molto
maggiore da Eltsin. In quest’ottica i
due politici appena citati hanno
svolto una funzione positiva, mentre Putin, che ha in parte invertito
la rotta, viene visto con diffidenza
o in modo negativo.
Per i Russi é vero esattamente l’opposto, in quanto Gorbaciov ed Eltsin sono coloro che hanno portato
l’ultima, almeno per adesso, fase di
torbidi con la distruzione dell’Unione Sovietica e l’impoverimento improvviso di milioni di persone. Putin, al contrario, é il nuovo “uomo
forte” che non solo ha posto fine
alla decadenza della Russia, ma ha
nuovamente sviluppato la potenza
russa in ambito politico, economico
e militare. Inoltre i legami con la
Bielorussia e con le repubbliche
asiatiche ex sovietiche dimostrano
come stia cercando di recuperare,
sia pure in modo indiretto, tutti i
territori che possono ragionevolmente tornare sotto l’influenza russa. Per ottenere questo obiettivo in
una cornice politica più ampia Putin
sviluppa una politica eurasiatica,
cioè fondata da un lato su buoni
rapporti con i paesi europei, come
Italia e Germania, dall’altro sull’alleanza con alcuni dei più importanti
paesi asiatici, come Cina, India,
Iran, Siria ed appunto le repubbliche asiatiche ex sovietiche. In particolare con queste ultime insieme
a Iran e Cina ha stipulato il “Patto
di Shangai” per creare una zona in
grado di controbilanciare la potenza americana. Non c’é che dire: si
sta realizzando in parte quanto previsto da Tocqueville. Questo famoso intellettuale liberale dell’Ottocento, studiando il sistema politico
americano, aveva profetizzato che
gli USA un giorno avrebbero dominato il mondo, tranne la Russia.
Oggi questa previsione non sembra più così vera, visto il declino
economico americano e l’emergere
di nuove-vecchie grandi potenze
come la Cina, ma certamente la
Russia continua a giocare un ruolo
importante nell’opporsi ad un mondo unipolare sotto la guida degli
USA. Non é un caso che la Russia,
e Putin in particolare, piaccia in
Occidente alle forze di destra ed
estrema destra che si battono contro USA e globalizzazione. Esse
hanno superato e smaltito il fatto
che la Russia sia per certi versi l’erede dell’Unione Sovietica e Putin
sia stato un membro del KGB, cioè
di un’istituzione simbolo dell’URSS,
e vedono per l’appunto la Russia
come paese in grado di coagulare
intorno a sé l’opposizione agli USA
ed al loro modello economicosociale. Questa evoluzione risale
già ai primi anni della presidenza di
Putin in occasione della guerra contro gli indipendentisti ceceni.
Mentre gran parte dell’opinione
pubblica simpatizzava per i Ceceni,
queste forze denunciavano il sostegno dato loro dai paesi occidentali
dicendo che si comportavano così
perchè avevano i soldi, ma non gli
eserciti, necessari per distruggere
la Russia. Questa presa di posizione si é nuovamente manifestata
alcuni anni fa in occasione della
guerra tra Russia e Georgia, quando Roberto Fiore, segretario di Forza Nuova, ha scritto una lettera a
“La Stampa” esprimendo tutta la
sua solidarietà per gli abitanti dell’Ossezia del Sud, regione appartenente alla Georgia ma i cui cittadini
hanno passaporto russo e vogliono
unirsi all’Ossezia del Nord appartenente alla Russia, e chiedendo un
pubblico appoggio dell’Unione
Europea a questo popolo.
Putin da parte sua sa quanto l’antiamericanismo sia diffuso e popolare in Russia e non a caso ha
basato su di esso gran parte della
campagna elettorale cercando
viceversa di dipingere i suoi opRoberto Fiore
positori come forze finanziate dagli
USA e questo approccio, unito al
fatto di essere il simbolo vivente
della rinascita nazionale, gli ha garantito una brillante vittoria. Infatti
il tema della libertà di espressione,
molto sentito tra i cittadini colti,
passa in secondo piano nel resto
del paese che si aspetta all’interno
ordine, sviluppo economico, coesione sociale e all’esterno una politica
da grande potenza.
IRAN
Analoga situazione troviamo in Iran, che come gli altri stati islamici
é contrassegnato da profonde fratture sociali, che comportano stili di
vita e mentalità completamente
diverse tra l’élite ed il resto della
popolazione.
La prima contesta l’influenza della
religione nella vita quotidiana, vuole un governo laico e conduce un’esistenza quanto più possibile vicina
allo stile occidentale. Il rifiuto della
morale tradizionale é tale che molte ragazze giungono a prostituirsi
per sfidare la legge islamica, ed
anche la droga é un problema molto complesso.
Il governo la combatte in modo
durissimo, tanto da aver costruito
una vera e propria “linea fortificata” con l’Afghanistan, paese dal
quale essa arriva, e da aver meritato gli elogi ufficiali dell’ONU che ha
detto che l’Iran contro questo fenomeno sta conducendo una vera e
propria guerra costata già più di
tremila morti. Inoltre lo spaccio,
come anche in altri paesi islamici
ed in Cina, é punito con la pena di
morte.
Allo stesso tempo, però, la crisi
economica che esiste da anni e che
recentemente si é aggravata e la
volontà di opporsi alla morale governativa spingono un numero particolarmente alto di iraniani a diventare drogati, fenomeno che peraltro riguarda anche politici importanti. In particolare é emblematico
un esponente di lungo corso che
per molti anni ha combattuto senza
pietà questa piaga, mentre in seguito é stato arrestato per essere
divenuto tossicodipendente.
A livello politico questa élite istruita, come anche i politici più moderati, vuole un avvicinamento non
solo culturale, ma anche politico,
all’Occidente in nome della comune
radice indoeuropea. Non a caso un
famoso gruppo musicale iraniano
11
molto popolare presso di essa e
malvisto dal governo si chiama proprio “Arian”, in quanto ariano é
sinonimo di indoeuropeo. Questa
politica, d’altronde era perseguita
dalla dinastia Pahlevi, che aveva
mutato il nome del paese da Persia
in Iran proprio per sottolineare
questa identità e che aveva sviluppato una stretta amicizia con gli
USA, Israele e diversi paesi europei.
Il grosso della popolazione, poveri
ed abitanti dei piccoli centri e delle
campagne, invece rimane molto
legato alla religione e di conseguenza é legato al governo che si
basa sulla legge islamica. Proprio il
governo nato con Khomeini ha svalutato il passato indoeuropeo a favore dell’identità islamica, anche
per contrapporsi nettamente agli
USA definiti da lui “Grande Satana”.
In seguito i politici più moderati
hanno ripreso il passato preislamico, ma ancora oggi esso é invece
visto con diffidenza da quelli più
estremisti.
Un elemento comune a tutti é il
nazionalismo, in quanto gli Iraniani
sono orgogliosi del fatto di non
essere mai stati colonizzati, contrariamente agli altri popoli della regione. Questo spiega perchè più
cresce l’isolamento e più si aprono
fratture politiche all’interno della
classe dirigente più il popolo si
compatta contro ciò che ritiene
ingiustizie provenienti dall’esterno
ed alle elezioni parlamentari vota di
conseguenza gli elementi maggiormente conservatori.
Un chiaro esempio di questa situazione é offerto dalla discussione sul
nucleare.
In Israele e negli USA esso é visto
come un incubo da evitare a qualsiasi costo per impedire che l’Iran
possa dotarsi della bomba atomica.
Uno scenario simile obbligherebbe
Israele a svelare il suo “segreto di
Pulcinella”, cioè di essere da anni
in possesso di alcune centinaia di
testate nucleari, mentre fino ad
oggi non ha mai ammesso questa
sua situazione e partendo da queste premesse si oppone al fatto che
gli altri Stati della regione possano
dotarsi della Bomba.
Inoltre un Iran nuclearizzato spingerebbe gli altri Stati islamici ad
intraprendere lo stesso percorso e
questo innescherebbe una corsa
agli armamenti con in più il rischio
che il materiale nucleare possa finire in mani estremiste, sia nel senso
di terroristi, sia nel senso di partiti
islamisti antioccidentali che giungono al potere.
Non va dimenticato da questo punto di
vista che in
Egitto e Tunisia hanno già
vinto
partiti
islamici e tutto
ciò renderebbe Israele ancora più preoccupato per
la sua stessa
esistenza.
Se già questo
scenario é per gli USA sufficientemente preoccupante, va aggiunto
che ormai da anni la politica americana si basa sul principio di combattere la proliferazione nucleare e
quindi gli Stati Uniti non possono
assolutamente permettere un’evoluzione simile perché ne uscirebbero completamente privi di credibilità internazionale.
Gli Iraniani, anche quelli moderati,
però, ribattono che hanno tutto il
diritto di sviluppare il nucleare per
fini civili, che non violano nessun
trattato e che di conseguenza nessun paese straniero deve impedire
questa loro importante conquista.
Questo diverso approccio li porta a
schierarsi con il governo, che persegue da moltissimo tempo questo
obiettivo indipendentemente da chi
é al potere. Infatti già la dinastia
Pahlevi voleva arrivare a questo
risultato ed il governo instaurato da
Khomeini si é mosso in totale continuità. La diversa reazione da parte
americana fa capire che il problema
non é il nucleare in sé, ma la classe
politica che lo deve gestire e ciò
contribuisce a mantenere lontane
le posizioni. Gli USA, infatti, nella
realtà non impediscono a priori agli
Stati di dotarsi della Bomba se essi
sono retti da governi responsabili,
come é emerso nel recente passato
a proposito dell’India e del Pakistan, che sono arrivati all’atomica
senza suscitare particolari reazioni
americane.
Gli Iraniani si rendono conto che il
problema é quindi di tipo politico e
vedono nell’atteggiamento degli
USA un comportamento discriminatorio nei loro confronti e ritengono
ingiusto che un paese straniero
possa decidere chi ha diritto a sviluppare la tecnologia nucleare e chi
non può fare altrettanto; ciò é un
ulteriore elemento che spinge ad
appoggiare chi appare più determi-
Arian (in Persiano: ‫ )ﮔﺮوﻩ ﻣﻮﺳﻴﻘﯽ ﺁرﯾﺎن‬è stata il primo
gruppo musicale pop costituito da cantanti e musicisti
di entrambe i sessi dopo la rivoluzione islamica.
Pahlavan and Salehi sono i vocalisti dei bassi, Pahlavan, Salehi, Amirkhas, Khahani and Farnejad sono i
compositori della band. Il secondo terzo e quarto album sono stati gli album più venduti fra tutti quelli
incisi in Iran. Sono stati la prima band iraniana ad entrare nel Who’s who della musica.
Ad oggi hanno inciso 4 album e suonato in diversi
concerti in varie parti del mondo. Hanno donato parte
dei loro gudagni al Programma alimentare delle Nazioni Unite.
12
nato nel non farsi condizionare dall’estero e quindi i conservatori ne
escono rafforzati.
Va fatto notare che anche a livello
di forze politiche occidentali esiste
in parte un’analogia tra i sostenitori
di Putin e del governo iraniano e
che quest’ultimo gode di simpatie
ancora maggiori. Infatti non ha
solo l’appoggio dell’estrema destra
per le posizioni negazioniste e radicalmente antiisraeliane del Presidente iraniano, ma gode anche del
sostegno dell’estrema sinistra per
l e r i p e t u t e c o n da nn e d e l l’”imperialismo” e dell’”arroganza”
occidentali compiute sempre dal
Presidente. In realtà questo aspetto risale già a Khomeini, che aveva
scritto una lettera a Gorbaciov affermando che il comunismo si batteva per una giusta causa, ma partiva da premesse sbagliate in quanto si fondava sull’ateismo. L’Islam
avrebbe ripreso la battaglia per un
mondo più giusto e sarebbe riuscito laddove il comunismo aveva fallito, perché si basa su Dio e considera la legge religiosa tutt’uno con
la legge dello Stato.
RUSSIA-IRAN
Il paragone tra questi due Stati é
particolarmente giustificato anche
per il comune sistema misto del
loro regime e per analoghi obiettivi
in politica estera, nonché per timori
comuni della maggioranza della
popolazione.
Entrambi si basano sulla democratura, che significa appunto un regime in parte democratico in parte
dittatoriale.
In Russia questo tipo di governo si
é consolidato con Putin e ha per-
messo da un lato di mantenere
rapporti più o meno buoni con i
paesi occidentali che volevano vedere mantenute le libertà politiche
ed economiche degli anni precedenti, dall’altro di presentarsi ai
proprii concittadini come il nuovo
“uomo forte” che avrebbe fatto
rinascere la Russia in tutti gli ambiti. Questa forma di governo ora é
messa in discussione dall’élite urbana che vuole più democrazia e meno dittatura, ma continua a godere
di vasto sostegno nel resto del paese.
In Iran questo sistema nasce con la
Costituzione approvata in massa
dal popolo dopo l’avvento al potere
di Khomeini. Essa infatti riconosce
diritti politici e sociali senza discriminazioni ed al tempo stesso prevede che la stampa possa pubblicare solo quanto ritenuto morale dal
governo. Inoltre prevede che la
carica suprema dello Stato, la Guida Suprema, così come l’organo da
essa dipendente non siano elettivi,
contrariamente al Parlamento ed al
Presidente della Repubblica. L’impianto appena descritto fa sì che
molti dissidenti si richiamino comunque alla propria Costituzione
denunciando violazioni da parte del
governo che non ne rispetta i principi fondamentali.
Questo comportamento é interessante perché mette in luce altri
elementi di incomprensione tra il
nostro modo di ragionare e quello
dei popoli esaminati.
Noi tendiamo a vedere soprattutto
gli aspetti meno democratici e consideriamo quindi questi regimi negativi in sé e vorremmo
vedere da parte di russi
ed iraniani un cambio di
regime a favore di un
governo democratico
come lo intendiamo noi.
Per la grande maggioranza dei Russi e degli Iraniani, invece, il governo
o la Costituzione in vigore sono già sufficientemente democratici e sono una garanzia verso
minacce esterne od interne; basta, soprattutto in
Iran, applicare fino in
fondo le garanzie già
previste per porre fine
agli abusi di potere. Questa diversa
valutazione della realtà é dovuta
certamente ai rispettivi passati; noi
abbiamo alle spalle vari decenni di
democrazia ininterrotta durante la
quale sono avvenuti profondi cambiamenti nella società che ci fanno
percepire come inaccettabili e superate le restrizioni presenti in Rus-
13
sia ed Iran.
Quei popoli, al contrario, hanno alle
spalle dittature molto diverse, ma
comunque assai feroci con gli oppositori e quindi quanto avvenuto
in seguito é comunque una conquista rispetto al periodo precedente.
Più in generale questa situazione ci
pone davanti a problematici interrogativi filosofico-politici: davvero il
nostro sistema é il migliore e costituisce l’unica vera democrazia da
esportare nel resto del mondo?
Oppure si possono sviluppare regimi almeno in parte democratici
seguendo un percorso diverso dal
nostro?
Anche in politica estera Russi ed
Iraniani hanno obiettivi analoghi, in
quanto entrambi da molto tempo
cercano di diventare la potenza
egemone nelle rispettive aree e
questo suscita la preoccupazione
occidentale sia per motivi pratici sia
per motivi ideologici.
Tra i primi vi é il timore che arrivino dove non dovrebbero, in particolare nel Mediterraneo ed in Medio Oriente, perché ciò garantirebbe loro una forza che l’Occidente
non vuoe concedere.
Oltre ad essi, però, vi é appunto
l’aspetto ideologico, oggi soprattutto con l’Iran.
Quest’ultimo, infatti, non punta
solo a diventare la più grande potenza del Medio Oriente, ma vuole
creare un “ordine islamico” che si
14
basi su valori completamente diversi da quelli occidentali. Ciò spiega
perché l’Occidente abbia cercato di
bloccare questo tentativo già ai
tempi di Khomeini, indipendentemente dalla questione del nucleare.
Russi ed Iraniani, però, anche in
questo caso percepiscono il comportamento occidentale come ingiusto nei loro confronti, in quanto
nega loro il diritto di avere una propria area di influenza, mentre l’Occidente da parte sua cerca da secoli di estendere il proprio dominio
sulle altre aree.
Questo é quindi un ulteriore elemento che finisce per rafforzare
Putin in Russia ed i conservatori in
Iran, proprio perché essi vengono
considerati la garanzia della difesa
del proprio interesse nazionale anche in politica estera. Infine vi é
l’aspetto sociale che spiega l’appoggio della grande maggioranza
della popolazione a Putin ed ai conservatori.
Certamente Russia ed Iran hanno
al loro interno notevoli sacche di
povertà e questo in teoria dovrebbe spingere per un cambio politico
che garantisca un’economia più
libera. In realtà i regimi attualmente esistenti vengono visti comunque come gusci protettivi che preservano da guai maggiori.
I Russi quando pensano questo
hanno bene in mente gli anni delle
privatizzazioni selvagge che hanno
Putin e aAhmadinejad
arricchito enormemente una parte
della popolazione a scapito della
grande maggioranza.
Non é un caso che essa quando
non vota Putin sceglie il Partito Comunista e non quello liberale in
quanto vuole possibilmente non
più, ma meno, mercato lasciato a
sé stesso e più, non meno, intervento dello Stato in economia.
L’Iran da parte sua ha vissuto qualcosa di analogo ai tempi della dinastia Pahlevi, quando si é cercato di
ammodernare l’agricoltura per renderla più efficiente.
In realtà questo tentativo non ha
portato che svantaggi a gran parte
della popolazione e ha contribuito a
rendere più impopolare la stessa
dinastia.
Non é un caso che l’attuale Presidente sia stato votato perché prometteva una più equa distribuzione
della ricchezza ed il rimprovero che
gli viene fatto é di non avere mantenuto questa promessa, certamente non quella di non avere introdotto più liberismo.
Quest’ultimo spesso dà buoni risultati, come dimostrano Cina, India e
Brasile, ma altrettanto spesso spaventa l’opinione pubblica che vede
in esso la causa della povertà e di
maggiori disuguaglianze sociali.
Così non deve stupire che anche da
questo punto di vista russi ed iraniani votano in maggioranza a favore di chi mantiene le garanzie
sociali esistenti senza sviluppare
più di tanto il libero mercato.
Su questo argomento dovrebbe
intervenire
l’Europa occidentale
che ha creato un tipo di società
basato sulla coesione, la solidarietà
e lo Stato sociale e può quindi fare
capire che liberismo significa rispetto e valorizzazione delle capacità
individuali, non anarchia sociale
dove i poveri sono abbandonati al
loro destino.
Ciò permetterebbe di superare le
diffidenze ancora oggi esistenti in
Russia ed Iran e favorirebbe in quei
paesi sentimenti amichevoli verso
l’Occidente che poi porterebbero
anche a governi più amici verso di
noi.
Questa soluzione ha anche conseguenze di politica interna, perchè
per essere credibili e convincere
questi paesi, dobbiamo per prima
cosa difendere a casa nostra lo
Stato sociale, che va certamente
riformato, ma non smantellato.
Il bluff delle liberalizzazioni… farmacie
Perché in
Inghilterra una
farmacia costa
300.000 €
e in Italia
3 milioni di € ?
A proposto di professioni e farmacie, le categorie di professionisti in
Italia sono raccolte in 28 ordini ed
insieme formano un esercito di 2
milioni di addetti. Ordini dediti principalmente, ma fortunatamente
non solo, alla difesa degli interessi
più o meno condivisibili dei propri
affiliati.
Da anni diversi governi e ministri
hanno tentato in qualche modo di
riformarli, ma senza successo.
Anche nel decreto cosiddetto Crescitalia di Monti si è cercato di incidere su alcuni veri e propri privilegi
ma, ci pare, con scarso successo.
La struttura legislativa di molte di
queste professioni risale al fascismo se non addirittura a Giolitti.
Nel caso delle farmacie uno degli
effetti più negativi è che i giovani
laureati hanno scarsissime possibilità di aprire una farmacia, che come per tante altre categorie professionali, è sempre più diventata
una attività ereditaria e, soprattutto
a numero chiuso, senza o con scarsissima possibilità di nuovi accessi.
Vi sono casi di giovani laureti in
farmacia che non potendo comprare o aprirne una hanno approfittato
delle cosiddette lenzuolate di Bersani del 2008 per aprire una parafarmacia, che però a causa una
serie di limitazioni non consente
comunque loro di vivere solo dei
suoi introiti e
perciò si ritrovano a svolgere
anche altre attività. Sono circa
2700 le parafarmacie in Italia
ed a 5 anni dalla loro introduzione
emerge
chiaramente
che sono state
un business per
i farmacisti che
hanno
aperto
anche parafarmacie
magari
nelle vicinanze
di quella che
possiedono,
oltre che per le
grandi catene di
distribuzione come i supermercati.
Secondo la Federazione Nazionale
Farmacie Non Convenzionate circa
il 17% delle parafarmacie sono
gestite dalla grande distribuzione, il
19% da catene di parafarmacie il
18% da farmacisti già titolari di
farmacia, tutti soggetti che riescono da ottenere prezzi più favorevoli da parte dei grossisti. Per il
restante 46%, gestito da farmacisti
ex commessi, si registrano notevoli
difficoltà. Basta pensare che alcuni
fornitori all’inizio si erano rifiutati di
fornire a questi ultimi i farmaci da
automedicazione tanto che è dovuto intervenire l’Antitrust.
Restano comunque le difficoltà di
tipo economico legate alle condizioni di vendita dei medicinali, che
sono più sfavorevoli rispetto alle
condizioni praticate alle farmacie,
con conseguente assottigliamento
dei margini di guadagno.
Se almeno nelle parafarmacie si
potessero vendere i farmaci di fascia C, quelli con la ricetta bianca
(antidepressivi, Viagra, ecc.) sarebbe un sostanzioso aiuto ed eviterebbe con ogni probabilità la
chiusura di molte di esse.
Le farmacie potrebbero continuare
vendere in esclusiva, oltre al resto,
anche le cosiddette ricette rosse
quelle rimborsate dal Servizio Sanitario Nazionale prescritte dal Medico di Base. L’obiettivo finale dovrebbe essere comunque quello di
arrivare all’equiparazione delle farmacie alle parafarmacie liberalizzando così il mercato.
Le lobby
Chi ha avuto la possibilità di frequentare i corridoi al terzo piano di
Palazzo Madama sede del Senato
della Repubblica negli ultimi giorni
di febbraio, durante la discussione
alla Commissione Attività Produttive del decreto liberalizzazioni, da
portare in aula nei giorni successivi, avrebbe visto come prendono
forma i decreti poi proposti dai Governi.
Quello era (ed è) il luogo della mediazione fra le lobbies ed esecutivo,
con i vari politici a fare da intermediari. Una specie di Suk arabo dove
fra tavoli, corridoi, strette di mano,
15
appostamenti e accompagnamenti,
dall’apparenza cordiale e amichevole, i lobbisti perorano le loro cause
con chi è preposto a formare ed
approvare le leggi.
Il ruolo di questi professionisti, praticato da sempre, è quello di rappresentare al legislatore quegli accorgimenti, quegli adeguamenti
che evitano o riducono il danno per
la categoria professionale che li ha
incaricati, magari fornendo qualche
foglietto recante le correzioni da
apportare al dispositivo in discussione.
Sono professionisti che frequentano da anni i corridoi dei due rami
del Parlamento, conoscono bene i
politici spesso anche nelle abitudini
e consuetudini private, sanno creare rapporti confidenziali, gli offrono
il caffè… tutto finalizzato a perorare
al meglio gli interessi dei loro danti
causa.
Sono insomma gli uomini giusti al
posto giusto.
In questo contesto i farmacisti appaiono molto più bravi dei loro
“colleghi” parafarmacisti sia perché
da più anni praticano quest’arte,
sia perché essendo un’associazione
più potente può assoldare i professionisti più esperti del mestiere e
quindi riescono a farsi sentire maggiormente.
Per le questioni più importanti si
muovono anche direttamente gli
ordini con i loro rappresentanti più
esperti; in più va poi aggiunto che
molti parlamentari sono a loro volta
degli iscritti ai vari ordini professionali.
Ben il 45% di essi infatti appartengono a qualche ordine: 133 parlamentari sono avvocati, 53 sono
medici, 23 commercialisti, 13 architetti, 4 farmacisti, 4 notai e ben 90
giornalisti.
16
I Parlamentari della Commissione
hanno facoltà di ammettere chi
vogliono nelle stanze in cui si riuniscono, così taluni rappresentanti di
categorie o lobbisti possono essere
ammessi ed altri no.
Può accadere che con alcuni di loro
qualche membro di Commissione
parlamentare scrive a quattro mani
i correttivi e gli emendamenti al
testo di legge, mentre altri non
sono nemmeno ammessi nella
stanza o sono sentiti solo formalmente, (sentiti non ascoltati). Anche questo è un modo per favorire
questa o quella categoria.
Il presidente di Federfarma Lazio
Franco Caprino presente nelle stanze di Palazzo Madama nei giorni
della preparazione del decreto ritiene normale la sua presenza come
lo è anche per gli esponenti di tutte
le altre categorie nel momento in
cui si prepara o discute una legge
che li riguarda.
E’ la riprova che l’Italia ha nella
sostanza una struttura economica
sociale e produttiva di tipo fortemente corporativa che in momenti
di crisi accresce la propria tendenza
ad arroccarsi a difesa dei propri
privilegi.
Il decreto liberalizzazioni è stato
approvato nel dicembre 2011, ha
introdotto qualche cambiamento
nel mondo delle farmacie ma, secondo molti, troppo poco.
I privilegi salvati
Basta esaminare alcuni aspetti sostanziali rimasti intatti anche dopo
l’approvazione del decreto.
Il prezzo delle farmacie che era, e
resterà, proibitivo per i giovani farmacisti che non siano “famigli” di
farmacisti o comunque soggetti più
che benestante.
I prezzi delle licenze sono uno dei
parametri indicativi dei privilegi di
una categoria. Il modo per tenerne
alto il valore è quello di limitarne il
numero, creando condizioni di esclusiva o monopolio che alzano in
maniera abnorme, rispetto ad un
libero mercato, il valore finale.
Il Decreto Crescitalia in questa ottica prevedeva di portare dalle 17
mila alle 23 mila il numero delle
farmacie in Italia, 5 mila in più, in
pratica una ogni 3.300 abitanti.
Ma poi basta leggersi gli annunci
economici su qualche quotidiano e
chiedere informazioni ai proprietari
di una farmacia che intendono venderla per scoprire che anche nelle
piccole cittadine il loro prezzo resta
proibitivo. Si parla sempre di diversi milioni di €, ad esempio per una
farmacia che fattura 2 milioni di €
si chiedono 4 o più milioni di € per
l’acquisto.
Il problema dell’insediamento di
qualcuna delle 5 mila farmacie in
più, previste dal decreto liberalizzazioni, viene aggirato in varie maniere in quanto la struttura legislativa con cui vengono autorizzate le
nuove farmacie non è cambiata:
burocraticamente lunga e farraginosa e facilmente bloccabile attraverso l’impugnazione al Tar ed istanze superiori. Anche nei casi più
sfavorevoli al ricorrente, impedisce
comunque l’apertura della nuova
farmacia per la durata del processo
che sono anni, ed ogni anno guadagnato è un anno di fatturato in
più. Ovviamente a fare ricorso saranno i farmacisti presenti che
sono contrari a vedere aprire altre
rivendite di medicinali concorrenti
nello stesso territorio
Caprino presidente di Federfarma
chiarisce che l’associazione che
rappresenta ha dato mandato a
due famosi costituzionalisti per studiarsi tutta la legge.
Un altro aspetto importante che la
legge non ha toccato è il fatto che
per aprire una farmacia bisogna
essere iscritti all’Ordine dei farmacisti. Cosa vuol dire? Cerchiamo di
chiarirlo.
Esistono anche le farmacie pubbliche come ad esempio le farmacie
comunali, queste potrebbero svolgere il loro servizio in concorrenza
con quelle private. Ma purtroppo
anche questa possibilità è condizionata in quanto la farmacia pubblica
deve rifornirsi dal deposito che ha
vinto la gara di appalto per le forniture dei farmaci. Il farmacista che
conduce la farmacia pubblica quindi, non può rivolgersi ad altri fornitori che spesso offrono prezzi migliori e più scontati sui farmaci consentendo quindi di offrire a loro
volta prezzi più bassi agli utenti.
Risultato: una farmacia privata su
taluni medicinali può arrivare a praticare sconti anche del 40% rispetto a quelle pubbliche che non riescono a muoversi con la necessaria
agilità sul mercato di quelle private.
La soluzione potrebbe esser quella
di mantenere la titolarità della farmacia al Comune e affidare la gestione ad un privato mediante una
contratto di affitto.
E qui interviene il vincolo dell’obbligo di iscrizione all’albo per i proprietari di farmacia.
La legge, non modificata dal decreto Crescitalia, ha mantenuto detto
vincolo. Non ci sarebbe stato nulla
di male a consentire che il proprietario di una farmacia potesse esser
chiunque anche un Comune, che
avrebbe così avuto il solo vincolo di
affidare la completa gestione ad un
farmacista che è quello che ha il
rapporto con il cliente e risponde
dei farmaci venduti.
Ciò avrebbe consentito notevoli
vantaggi per gli utenti oltre che per
i giovani farmacisti, ma avrebbe
abbattuto i costi delle licenze con
grave danno per i proprietari/
titolari.
Cosa può fare quindi un giovane
laureato in farmacia in Italia? In
pratica deve prima di tutto farsi il
tirocinio, poi superare l’esame di
Stato per iscriversi all’albo dei farmacisti, e poi? Se non ha disponibilità economiche o non si trova in
situazioni privilegiate (figlio di farmacista ad esempio) l’unica possibilità che ha è quella di farsi assumere sostanzialmente come commesso. Risultato: anche qui la nascita prevale sulle capacità, intere
generazioni di laureati in farmacia
(ma il discorso vale anche per tante altre categorie) non potranno
mai accedere a quell’ascensore
sociale che è riservato ai privilegiati
che hanno così la possibilità di perpetuare a livello generazionale il
privilegio di gestire una farmacia
non lasciando entrare nel business
coloro che in qualche modo non
sono ricchi o favoriti da rapporti
familiari con i titolari. In altri stati
europei la situazione è completamente diversa. In Inghilterra ad
esempio le farmacie fanno parte di
grandi catene di distribuzione dei
farmaci all’interno dei quali la gestione è affidata a farmacisti che
hanno così la possibilità di farsi una
carriera partendo dalla funzione di
commesso che serve al banco le
medicine ai clienti, per arrivare ad
essere Store manager (direttore) di
uno o più negozi. Esattamente come avviene per tutte le altre catene di distribuzione, la cui unica dif-
ferenza è sostanzialmente, ed ovviamente, la necessità di esser laureati in farmacia.
Il risultato è che le farmacia in Inghilterra sono molto più economiche che in Italia: una Indipendent
farmacy di piccole dimensioni più
costare in media attorno a i 3o mila
€, mentre per le assunzioni nelle
catene di farmacie, i giovani si vedono pagati anche i tirocini.
Ma quanto guadagna uno Store
manager? Si va dai 40 mila € ai 75
mila € all’anno.
E’ un sistema quindi fortemente
liberalizzato che porta anche a
qualche distorsione sotto il profilo
dei consumi di farmaci, ma che sia
per quanto riguarda il prezzi dei
farmaci che le opportunità di lavoro, è certamente migliore del nostro con tutte le conseguenze del
caso per “l’azienda Italia”.
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cultura, storia. - Aut. tribunale di
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Finito di stampare il 20 aprile 2012
17
Energia: le stretegie del Governo
Riportaimo
l’intervento
di Corrado Passera
Ministro dello
Sviluppo Economico
Infrastrutture
e trasporti
il 9 marzo
al Convegno
organizzato da
- Italia decide alla Camera dei
Deputati.
...dovremo pagare
una bolletta di 150200 miliardi di € di
debiti sugli incentivi
al solare...
18
Energia.
Contesto nel quale l’impegno del
governo si pone sotto il profilo settore energia nel campo internazionale.
Nei prossimi 20 anni la domanda di
energia nel mondo è prevista in
continua crescita anche se a livello
globale le sue componenti seguono
dinamiche molto diverse: andamento piatto nei Paesi industrializzati, forte aumento nei Paesi in via
di sviluppo che arriveranno a coprire il 70% del consumo primario
mondiale nel 2030.
Oggi è meno del 50%, nello stesso
tempo il resto del mondo ed il nostro Paese stanno diventando sempre più efficienti, cioè l’intensità di
energia per unità di PIL è previsto
che continuerà a diminuire e su
questo dovremo continuare a impegnarci.
Quali sono le fonti di energia e la
loro dinamica prevedibile nei prossimi decenni.
Si prevedono due chiari vincitori, il
gas e le rinnovabili, che saranno
sempre più in espansione e diciamo
un perdente, ma poi dovremo qualificare questa parola, cioè il petrolio.
Il gas per la quale l’Agenzia internazionale per l’energia parla di un’era dell’oro, infatti è prevista in
crescita significativa sia nel consumo mondiale ed europeo sia nell’offerta grazie all’evoluzione tecnologica imprevedibile e di enorme
portata, che fa prevedere scenari di
prezzo molto favorevoli.
Le energie rinnovabili sono in forte
crescita sia nei Paesi occidentali sia
nei Paesi non Ocse anche se nel
2030 è previsto che vadano a coprire al massimo il 5% dell’energia
primaria mondiale, il 10 per quanto
riguarda l’energia elettrica. Questo
sviluppo
è
consentito
soprattutto
dalla riduzione del costo
delle tecnologie che sta
avvenendo in
maniera molto significativa e che gradualmente si
Corado Passera
avvicinerà a quello dell’energia fossile.
Il petrolio è una fonte energetica
più preoccupante rispetto alle prime due, perché da un lato sta perdendo d’importanza relativa, negli
anni 70 rappresentava quasi il 50%
dell’energia primaria oggi è poco
meno del 30%.
D’altro canto la produzione si sta
spostando verso giacimenti sempre
più costosi, sempre meno convenzionali, le cosiddette acque profonde, o su Paesi difficili e instabili da
un punto di vista geopolitico e in
alcuni casi, portando la crescita di
questo componente a rallentare.
Carbone: rimane un elemento molto importante soprattutto in Paesi
come la Cina e l’India che nel 2030
rappresenteranno oltre 2/3 dei consumi mondiali.
Il bilancio domanda offerta nel
campo del carbone è molto diverso
da quello nel campo del petrolio,
sarà più equilibrato, grazie ad amplissime riserve disponibili, anche
se la sempre maggior concentrazione della produzione desta una serie
di preoccupazioni.
Infine il nucleare: si prevede una
crescita solo nei Paesi non Ocse in
particolare Cina, Corea e Russia
mentre in occidente non si prevedono sviluppi significativi sia a causa di costi e rischi elevati, sia a
causa di timori diffusi sulla sicurezza, e comunque in funzione delle
scelte che i popoli, come anche il
nostro, hanno fatto in questo campo.
In questo contesto l’Italia deve
prendere le sue decisioni, deve
definire i suoi obiettivi, che possono essere sintetizzati in questi punti:
- energia più competitiva,
- maggiore sicurezza di approvvigionamento
- più crescita economica legata al
settore dell’energia
- grande rispetto per l’ambiente.
L’azione di questo governo è focalizzata principalmente a sviluppare
il potenziale di crescita sostenibile
in tutti i settori aumentando, da
una parte la competitività delle imprese, e dall’altra parte la competitività del Paese, dove le infrastrutture partecipano in maniera impor-
tante. Ma poi sappiamo che tutto è
competitività e crescita, il sistema
giudiziario, l’educazione, la pubblica
amministrazione ecc.
Questo obiettivo di far crescere e
creare posti di lavoro è il primo e
massimo degli obiettivi da cui tutto
dobbiamo far dipendere.
Il settore energetico può avere un
ruolo fondamentale nella crescita
dell’economia del Paese, sia come
fattore abilitante, avere energia a
basso costo con un elevato livello
di servizio è una condizione fondamentale per lo sviluppo delle aziende e per le famiglie, sia come fattore di crescita in sé.
Il mondo della green-economy per
voler semplificare il concetto è un
mondo che può portare di per sé a
grande crescita, di sviluppo delle
aziende sostenibili e di posti di lavoro di qualità.
Da dove partiamo come Italia? Partiamo da un serie di luci importanti
di cui dobbiamo tener conto e da
una serie di aree di preoccupazione, che dobbiamo affrontare con la
nuova strategia energetica nazionale che insieme dovremo mettere
a punto. Dove ci confrontiamo molto bene con i paesi simili a noi, sono la qualità del servizio, se guardiamo la durata dell’interruzione
del servizio elettrico, i tempi di risposta ai call center, la chiarezza
delle bollette, non c’è dubbio che ci
collochiamo fra i Paesi che possono
meglio presentarsi. Ma anche in
termini di impatto ambientale: emissioni di CO2 pro-capite, consumo energetico per abitante. Nel
settore elettrico e qui lo dobbiamo
sicuramente anche all’Autorità di
cui parlerò dopo, abbiamo una regolazione fra le più avanzate, per
esempio nella trasmissione e distribuzione con un mercato ormai totalmente liberalizzato sia nella generazione che nella vendita. Quindi
chiari i punti di forza da cui partire.
Dall’altra parte abbiamo aree dove
dobbiamo migliorare, e questi sono
temi condivisi, sicuramente in termini di sicurezza degli approvvigionamenti, in particolare come il gas
come abbiamo sperimentato anche alcune settimane fa, ma soprattutto in termini di costi e prezzi
per i consumatori, dobbiamo e possiamo migliorare in termini di efficienza complessiva del sistema, i
prezzi italiani dell’energia, dobbiamo dircelo e lo sappiamo, anche al
netto delle imposte sono in media
nettamente superiori a quelli dei
nostri partner europei, tutte queste
cose possono dare un contributo
importante allo sviluppo economico
del settore energetico che non è
ottimale oggi rispetto al suo potenziale, è drogato da incentivi troppo
elevati nel settore delle rinnovabili,
mentre è sottodimensionato nel
settore dell’estrazione degli idrocarburi, o in altri settori come l’efficienza energetica che è un punto
molto importante dove anche l’Italia ha delle forze da sfruttare.
Questi quindi sono gli obiettivi
prioritari da perseguire nella nostra
strategia energetica. Mantenere gli
alti standard raggiunti per la qualità del servizio e l’impatto ambientale, elemento chiave delle politiche europee definite dal pacchetto
clima energia il famoso 20 20 20
che non solo confermiamo ma vogliamo, nel limite del possibile superare e dalla Energy roadmap 2050.
Secondo obiettivo continuare a migliorare al nostra sicurezza e indipendenza di approvvigionamento,
ma soprattutto è necessario ridurre il costo
dell’energia per i
consumatori,
e
favorire la crescita economica sostenibile,
attraverso lo
sviluppo
del
settore energetico.
Vediamo quindi
praticamente
dove ci impegneremo e dove dovremo
esplicitare e poi condividere che cosa fare nei prossimi
mesi ed anni.
Se vogliamo identificare 4 priorità
della strategia energetica nazionale
metterei innanzitutto al primo punto l’efficienza energetica. Questa è
la prima delle leve perché consente
di cogliere praticamente tutti gli
obiettivi di politica energetica allo
stesso tempo, serve per abbattere
le emissioni, secondo per ridurre i
costi energetici, terzo come riduzione di importazioni e potenziale volano di crescita economica. Su questo ci voglio tornare. Quello dello
sviluppo del settore legato alla energia è un settore ad alto potenziale dove l’Italia ha delle forze
competitive tecnologiche da sfruttare, menzioniamo solo il tema delle smart greed degli elettrodomestici e della domotica, nell’illuminotecnica siamo fortissimi, caldaie,
inverter, motori elettrici, e questo
per dire che già noi siamo forti in
un settore che, se sapremo sfruttare avremo grande crescita a disposizione.
Sull’efficienza partiamo da norme
incentivanti come la detrazione di
imposta del 55% per interventi che
aumentano il risparmio energetico,
ma dobbiamo andare oltre.
Possiamo e vogliamo perseguire
una vera leadership industriale in
questo settore.
Perseguendo questo obiettivo sarà
necessario però fare parecchie cose.
Da un programma nazionale è ampio e articolato che include: normative sugli standard di apparecchiature di edifici, enforcement ossia
controlli e sanzioni su tali norme,
alla sensibilizzazione dei consumatori attraverso campagne di informazione e comunicazione, con estensione e rimodulazione degli
incentivi.
Quindi il tema efficienza energetica
ci sentirete proporre
molte
cose
nelle
prossime settimane e mesi.
Sviluppo del
hub del gas
sud Europeo.
L’Italia può giocare come hub
del gas un ruolo
molto importante e
naturalmente deve prendere una serie di decisioni coerenti se lo vuole diventare.
Per l’Italia il gas è un fattore di input fondamentale, siamo il Paese in
Europa più dipendente dal gas, ma
è anche un fattore di appesantimento dell’economia, infatti abbiamo prezzi mediamente più elevati
rispetto agli altri Paesi, il che si
riflette anche sui nostri costi dell’elettricità, visto che il 55%, pochi
Paesi hanno una percentuale così
alta, della produzione elettrica proviene dal gas. Oggi abbiamo una
grande opportunità, l’Europa dovrà
importare sempre più gas e diversificarne le fonti a causa di diversi
fattori concomitanti come l’aumen-
19
to del consumo interno data la riduzione del nucleare e del carbone,
la riduzione delle produzione europea Olandese e Britannica, la necessità di diversificare le importazioni dalla Russia.
In questo contesto noi possiamo
diventare il principale ponte, hub
appunto, per l’ingresso di gas da
sud verso tutta l’Europa, oltre a
renderci immuni da eventuali crisi
del gas che non sono certamente
crisi teoriche e a farci diventare un
Paese riesportatore, questo modello ha l’obiettivo di creare un mercato interno, liquido e concorrenziale con prezzi del gas auspicalmente allineati, se non addirittura
inferiori, a quelli degli altri Paesi
europei, oggi non è così.
Inoltre questo dovrebbe consentire
la riduzione dei costi e dei prezzi
del mercato elettrico considerando
tra l’altro che il nostro parco centrali fra le più efficienti d’Europa e
in grande sovraccapacità. Per fare
tutto questo occorrono sia infrastrutture che regole e strutture di
mercato.
Le infrastrutture fondamentali sono
i rigassificatori, ne abbiamo uno
quasi ultimato a Livorno da mettere
in moto, uno in fase di avvio lavori
a Porto Empedocle, e due appena
autorizzati a Falconara e Gioia Tauro. Non dobbiamo ripetere per questi impianti le storie infinite e un
po’ vergognose di altri casi.
Secondo tema sono i gasdotti di
importazione, stiamo promuovendo
la costruzione del corridoio sud dal
Caspio, ci sono varie alternative e
dobbiamo fare in modo che le scelte vadano nella direzione di massimizzare gli interessi Italiani. Stiamo
finalizzando l’autorizzazione del
progetto Galsi che invece è dall’Africa verso nord, che consentirà di
aumentare l’apporto di gas algerino
e di metanizzare la Sardegna. E poi
il grande tema degli stoccaggi.
Sembra un tema minore, ma un
vero mercato del gas ci può essere
solo se ci sarà disponibilità importante di stoccaggi per questo materiale.
Tre di questi stoccaggi sono in fase
di costruzione e due dovremmo
autorizzarli fra pochi mesi.
Sul tema della parte regolazione e
della parte struttura di mercato,
abbiamo avviato anche lì alcune
azioni. Innanzitutto la separazione
20
proprietaria di Snam con l’ottica di
avere un gestore di rete specializzato che possa più agilmente sviluppare tutte le necessarie infrastrutture citate. Impegno nel campo dei rigassificatori, nei gasdotti,
negli stoccaggi e operare in coordinamento con gli altri gestori europei di rete. Questa è una cosa importante. Se autonoma indipendente con i mezzi con i piani adeguati,
la Snam che è una bellissima azienda può giocare un ruolo di consolidatore europeo di grande rilevanza, in modo da contribuire al funzionamento di un mercato del gas
Europeo concorrenziale.
Altro tema l’introduzione di regole di
mercato che favoriscano
maggiormente liquidità e
concorrenza. A breve
presenteremo
su questo il regolamento per la borsa
del gas.
Terzo macro obiettivo dei temi di
strategia energetica nazionale: sviluppo delle energie
rinnovabili, su questo dobbiamo raccontarci cose che
non sempre sono
di grande soddisfazione.
Le rinnovabili sono
un pilastro fondamentale del pacchetto clima energia europeo. Al
cosiddetto 20 20
20 l’Italia ha certamente aderito e continua ad essere
totalmente il linea con lo spirito
della direttiva europea, confermiamo gli obiettivi e penso che li supereremo, o creeremo le condizioni
per superarle, in particolare nel
settore dell’energia elettrica, dove
abbiamo quasi raggiunto gli obiettivi del 2020 con 8 anni di anticipo
ma con grande costi.
Tuttavia l’approccio sin’ora seguito
non è stato secondo noi ottimale,
soprattutto in termini di costi per il
Paese, abbiamo privilegiato il settore elettrico a scapito di quello termico e dell’efficienza energetica,
modalità economicamente più efficiente per raggiungere l’obiettivo.
Ma soprattutto abbiamo lavorato
con incentivi molto, e in taluni casi
troppo generosi, in particolare per
il solare e non abbiamo previsto
adeguati meccanismi di contenimento dei volumi complessivi.
Il risultato è stato una vera e propria esplosione degli impianti, ad
un costo molto elevato per il Paese: abbiamo già maturato 9 miliardi
di € all’anno di incentivi da pagare
in bolletta. Se ne parla meno perché siccome va in bolletta non sono
soldi pubblici e quindi sembra che
non contino, ma toccano le tasche
delle imprese e le tasche delle famiglie.
Questi incentivi durano 15, 20 an-
ni, 9-10 per 15-20 fanno 150-200
miliardi. Di questo stiamo parlando
per impegni già presi, con una specie di tassametro sempre in moto,
che mese a mese aggiunge salvo
modifiche e interventi che ovviamente faremo circa 200 milioni
all’anno per ogni mese che passa.
Stiamo parlando di importi molto
rilevanti, in più il ritorno economico
sulla filiera italiana di questi investimenti è stato spesso non ottimale
a causa della forte spinta su tecnologie dove l’Italia non ha, e faticherebbe ad avere e non ha senso che
abbia in taluni casi, nessuna
leadership industriale, in particolare
nel solare dove circa il 50% degli
investimenti viene speso in appa-
recchiature importate.
Vogliamo rilanciare in maniera buona, efficace lo sviluppo delle rinnovabili però con un approccio alla
crescita più virtuoso, basato sulla
efficienza dei costi che dobbiamo
accompagnare verso una piena
concorrenza con le fonti fossili e
sulla massimizzazione del ritorno
economico e ambientale per il Paese. Quindi su molte delle nuove
rinnovabili vi sarà un forte impegno, a breve emaneremo tre decreti ministeriali, che ridefiniranno il
modello di sviluppo in questo campo. Ultimo punto della strategia
energetica nazionale, il rilancio della produzione nazionale di idrocarburi, perché come non tutti sappiamo, l’Italia ha riserve ingenti sia di
gas che di petrolio, e una parte
importante di queste riserve è attivabile in tempi relativamente rapidi, teoricamente parliamo di regole
e di governance e di meccanismi
autorizzativi.
Stiamo parlando qui di possibilità
per coprire anche il 20% dei consumi rispetto al solo 10 % attuale.
Muoversi decisamente in questa
direzione si porta dietro una serie
di vantaggi grossi.
Innanzitutto c’è la possibilità di
mettere in moto fino a 15 miliardi
di € di investimenti, di 25.000 posti
di lavoro stabili e addizionali, ridurre la bolletta energetica, l’importazione fino a 6 miliardi all’anno, aumentando quindi il PIL di quasi
mezzo puto percentuale, portare
più di 2,5 miliardi di entrate fiscali
sia nazionale che locali, quindi una
grande area di opportunità che
dobbiamo cogliere fino in fondo.
Per fare tutto questo dobbiamo
adeguare agli standard internazionali la nostra normativa di autorizzazioni e di concessioni che chiaramente non è oggi adeguata e che
richiede passaggi autorizzativi lunghissimi e per molti aspetti è molto
più restrittiva di quanto previsto
dalle normative europee che a nostro parere dovrebbero essere il
nostro punto di riferimento; non c’è
ragione di andare oltre.
Naturalmente ci sono anche altre
priorità su cui adesso non mi dilungo, però è chiaro che abbiamo
strumenti a disposizione per puntare a obiettivi molto condivisibili a
livello nazionale, allineare i prezzi
delle nostre energie ai prezzi medi
europei che oggi sono ben più ele-
vati, ridurre le importazioni elettriche, possiamo puntare a passare
dal 15 al 5%, affrancare il settore
del gas da future crisi di approvvigionamento, tocchiamo con mano
che questo rischio c’è, sviluppare
leader tecnologica in settori dove
l’industria italiana è già forte, e
dove può crescere in maniera importante. Insomma fare del settore
energetico un motore di crescita e
di creazione di posti di lavoro tra i
più importanti che abbiamo a disposizione. Ultimo punto questo
processo di crescita e di modernizzazione come tutti hanno detto
passa per un sistema di governance adeguato.
Occorrono chiare scelte a livello
nazionale, e una linea di indirizzo
strategico coerente e unitaria perché l’Italia possa autorevolmente
partecipare alla costruzione della
politica energetica a livello europeo. Dobbiamo avere una chiara politica energetica inserita in una chiara politica energetica europea alla
quale possiamo contribuire in maniera importante.
E’ necessario dire con grande chiarezza che vi sono tanti troppi episodi dove invece aziende che vogliono venire a investire in Italia alla
fine decidono di rinunciare per i
tempi, i modi, le non chiarezze, e le
non affidabilità delle regole locali.
Episodi che fanno parte di una Italia che invece non vogliamo più
avere.
Naturalmente è molto importante
discutere, confrontarsi con le comunità che sono toccate dalle infrastrutture, sappiamo che ci sono
metodi molto efficaci per farlo, va
fatto in tempi chiari, in maniera
molto trasparente e poi si devono
prendere le decisioni e come in
tutto il mondo avviene, realizzarle
con grande chiarezza ma anche
con grande determinazione.
Da dicembre ci stiamo lavorando
perché dobbiamo prendere le migliori esperienze che ci sono in giro
per il mondo, adeguarle all’impianto istituzionale italiano che non è
quindi recipiente automatico di regole fatte da altri, però su questo
siamo molto convinti, e diamo una
valenza molto importante a questo
genere di lavoro.
Le scelte di politica energetica del
Paese per gli effetti che generano
sul territorio possono essere alla
fine realizzate soltanto se assunte
attraverso una collaborazione convinta con tutti gli enti che governano il territorio. Però senza compromettere le linee di indirizzo unitarie
che rimangono prerogativa imprescindibile del Governo nazionale.
Chiara ripartizione di compiti, nessuno escluso, ma neanche veto
irresponsabile a chiunque voglia
esercitarne uno.
In questo quadro, e non l’ho lasciato per ultimo a caso, l’Autorità per
l’energia. Noi abbiamo in essa una
dei punti di governance, anche nella nuova Italia dell’energia, il ruolo
dell’Autorità per quanto ci riguarda
lo vediamo crescere grazie all’indipendenza e all’autorevolezza e
competenza che ha dimostrato, ma
anche questo è lavoro in corso.
Tutto così inteso il settore dell’energia riteniamo possa essere uno
di quegli elementi di forza del nostro Paese, su cui costruire la crescita sostenibile per cui siamo tutti
qua.
21
Mangiare locale e globale
Dai fast food
ai piatti della
nonna:
storia,
cultura,
eccessi...
ovvero,
la politica
nel piatto
22
Al di là delle varie dizioni utilizzate
per descrivere una tipologia di cibi
realizzati in base alle tradizioni:
genuino, locale, tipico, tradizionale,
vernacolare, geografico e simili
questo genere di alimentazione si
distingue sempre più da un’altra
tavola globalizzata quella per capirci dei fast food, degli apericena, dei
Junk food, dei McDonald’s, e simili
che hanno la caratteristica di essere uguali in tutto il mondo, avendo
spesso alle spalle invece che delle
cucine, delle fabbriche di preparazione del prodotto finito o semilavorato che verrà inviato alle catene
di distribuzione arrivando sulle tavole dei “consumatori”, mai termine è stato più proprio. Parliamo dei
bastoncini di patate surgelate, piuttosto che le “svizzerine” di carne
macinata per hamburger o gli hot
dog, il nome in italiano suonerebbe
come “cani bollenti” la dice lunga
sulla cultura alimentare di chi li
inventò.
Va anche detto che nei citati
“globalfood” ossia cibi globazzati vi
sono anche alcuni piatti tipici divenuti ormai universali, uno per tutti:
la Pizza. La differenza fondamentale fra le due classi
di cibi va ben oltre
il legame più o
meno stretto con il
territorio, ed investe le modalità di
preparazione e di
presentazione. Da
una parte abbiamo
ristoranti, trattorie,
osterie e centri di
ristoro nell’ambito
di feste o manifestazioni che curano, più o meno
bene, il cibo: acquistando le materie prime, siano
esse verdure, pesci, carni o altro.
Le preparano le
cucinano secondo
le capacità di cuochi più o meno
esperti che lavorano in cucine più o
meno attrezzate,
applicano
conoscenze ed espe-
rienze personali per comporre le
ricette più adatte.
Dall’altra abbiamo un centro di preparazione delle materie prime che
opera su scala di solito grande, in
qualche caso addirittura continentale, per via dell’abbattimento dei
costi. Predispone i pacchi di tutto il
necessario affinché il distributore
finale del prodotto nei diversi centri
di ristorazione realizzati nei punti
strategici del territorio, in pochi
minuti e seguendo rigide e di solito
banali regole e prescrizioni, fornisca ai clienti-consumatori il prodotto finito più o meno conforme nell’aspetto e nel contenuto (non sempre) alla pubblicità coordinata che
viene fatta.
In questo contesto niente cuochi,
ma di solito giovani ragazzi, spesso
precari, che devono friggere le patatine, grigliare gli hamburger nelle
modalità stabilite, spargere quella
data, e non altre, salse previste
nella ricetta. Ovviamente anche
l’arredo ed il servizio nei centri di
distribuzione sono frutto di studi e
ricerche, dai materiali ai colori di
piatti e bicchieri, alle bevande disponibili sino ai colori sulle pareti:
tutto è stabilito dalla S.p.a. o dalla
Limited multinazionale titolare del
nome e che spesso gestisce attraverso il cosiddetto franchising catene di ristoranti in cui tutto è uguale
per aspetto, gusto, prezzi e sostanza, a Torino come a Londra o Pechino. Persino le pizze qui vendute
seguono lo stesso destino.
Vediamo come è organizzata una di
queste società di ristorazione, abbiamo preso in esame il più grande
di questi colossi: McDonald’s. In
ogni centro di ristorazione sono
presenti orientativamente (si varia
a seconda delle dimensioni) le seguenti figure;
partendo dalla
"base" lavorativa:
Crew (addetto semplice): svolge
mansioni promiscue di cucina, servizio al cliente, sbarazzo sala e rifornimento ai vari livelli;
Crew-delivery (addetto alla consegna): svolge le stesse mansioni del
crew, ma in più si occupa della gestione del magazzino, provvedendo
a rifornimento, rotazione delle merci e controllo delle scadenze;
Crew-trainer (addetto istruttore):
Agnolotti alla piemontese
svolge le medesime mansioni del
crew, occupandosi però anche della
formazione dei neo-assunti;
Hostess e Steward (assitente): si
occupano delle “pubbliche relazioni” con i clienti, con particolare riguardo per i bambini, organizzando
e gestendo feste di compleanno e
varie altre attività ricreative. Possono svolgere relazioni esterne aziendali, promuovendo convenzioni con
aziende locali. Non hanno funzioni
di coordinamento dei crew; Capo
Hostess : svolge le stesse mansioni
delle hostess e si occupa di coordinare il lavoro delle stesse;
Swing Assistant, anche detto
Training Manager (dirigente della
formazione): affiancato ad un
Manager esperto, si occupa di gestire e controllare il personale nel
proprio turno o nella propria postazione, assegnando le mansioni del
turno, curando apertura e chiusura
delle casse e tenendo la contabilità
giornaliera; Assistant Manager (Assistente del dirigente): svolge in
autonomia le medesime mansioni
del Training Manager, occupandosi
anche della formazione dello stesso. Sviluppa il piano degli orari del
personale (Manager esclusi), evade
gli ordini della merce, sovrintende
all'HACCP e definisce il piano delle
pulizie del locale. Ha il compito di
aprire e chiudere il punto vendita e
ha la responsabilità della contabilità
di cassa; Vice-Direttore: definisce il
piano degli orari dei Manager, ma
si occupa più in generale di coordinare tutte le attività di punto vendita, seguendo le indicazioni fornite
dal Direttore, in merito a politiche
aziendali e di sviluppo; Direttore:
definisce il piano di sviluppo dei
Manager, presenzia alle ispezioni
degli organi istituzionali ai vari livelli, si occupa più in generale di coordinare tutte le attività dei collaboratori del punto vendita.
Non è prevista la figura del cuoco!
Professionalità inutile in siffatta
organizzazione, ed anche costosa.
Per al cronaca il Italia si sono insediati dal 1985 anno dell’apertura
del primo locale, circa 400 ristoranti in 19 regioni. Nel mondo circa
mezzo milione sono i suoi dipendenti 23 miliardi di dollari americani
il fatturato nel 2008 della McDonald’s. Pur senza criminalizzare la società, come è avvenuto in tante
parti del mondo, che per molti ha
preso nell’immaginario collettivo, il
posto della Coca Cola come simbolo dell’imperialismo culinario americano, (Friedman notava che non è
mai accaduto che due paesi in cui
erano presenti dei McDonald’s si
siano fatta la guerra) noi sosteniamo la cultura del locale, del territorio, della diversità, del pluralismo
(e non solo in cucina naturalmente). Siamo dalla parte del mangiare
geografico, locale, genuino, tradizionale, ecc. ecc. perorato da tanti
nutrizionisti, philosophes de table,
vip-gourmet, giornalisti-gastronauti
e da importanti presìdi della promozione turistico-locale dalle Pro
Loco agli Assessorati e Agenzie per
il turismo, dai Consorzi di produzione ai Distretti del gusto.
Le motivazioni sono tante: di ordine economico, culturale ed ecologico.
1) il bisogno di tutelare le
bio-diversità del territorio,
che rischiano altrimenti di
sparire sotto la standardizzazione degli alimenti messa in atto dalle multinazionali del cibo, della ristorazione industriale e della
grande distribuzione (vedi
Slow-food)
2) il bisogno di contribuire
alla salute generale del pianeta, favorendo la riduzione
del monossido di carbonio
mediante la riterritorializzazione delle derrate e la riproposizione di filiere corte
capaci di incidere vantaggiosamente sulla dinamica
dei prezzi, le cosiddette
cucine a "chilometri zero";
Quadruple bypass burger
3) il bisogno di salvaguardare la
propria identità dai processi di omologazione che trasformano ovunque le persone in consumatori,
vale a dire delle perfette macchine
digerenti piegate ai dettami dei
consigli pubblicitari e della cucina
globalizzata;
4) il bisogno di garantire un sostegno alle autenticità e ai sapori del
territorio, esposti all’oblio conseguenza delle trasformazioni sociali
che hanno portato prima alla dissoluzione della civiltà rurale e oggi
alla globalizzazione con i fenomeni
di metissage (incrocio), meltin pot
(fusione), jam (marmellata) dei
gusti.
Contro un simile dilagare dell’appiattimento e dell'esotizzazione dei
gusti, in Italia, così come nel resto
dell'Occidente post-moderno, genuino-, -autentico-, -casereccio-,
è un bene che abbiano via via assunto negli anni un modo di mangiare coerente con le istanze della
tradizione e dell'equilibrio tra l'uomo e l'ambiente.
E’ un bene che prevalga un modo
di mangiare, che preferisce una
porzione di pizza fatta in loco, una
süpa cavalanta o una bagna cauda,
piuttosto che un mulligan's monster, ad un whatafarm burger, ad
un quadruple bypass burger o ad
una qualsiasi altra "prelibatezza" da
Junk food (cibo da consumare in
genere fuori pasto, ad alto contenuto calorico ma di scarso valore
nutrizionale) di bassissima qualità.
Un approccio che oltre ad esser più
salutare rivaluta l’identità mantenendo vivi sapori e cultura nostrane, non solo nel cibo ma in tutto
quello che ci sta attorno, + cucine
– centri di impacchettamento e
distribuzione degli alimenti, + cuochi e meno crew.
Così forse qualche grande multinazionale perderà dei dipendenti più
o meno precari a cui il loro lavoro
insegna al massimo come confezionare le patatine fritte, pulire le cartacce sui pavimenti sorridendo
sempre agli avventori, ma in compenso si apriranno ristoranti, negozi di verdura o macellerie o pescherie o di fiori o d’altro ancora.
Ci saranno meno consumatori abituati allo stesso Chicken cips a
New York piuttosto che Torino o
Hong Kong, ma ci saranno più
clienti che confrontano gli agnolotti
del ristorante Porto di Savona a
23
Torino con quelli dell’Orso a Fontanetto o con quelli Da Mario a Cantavenna e capiranno che pur essendo buoni entrambe hanno gusti
diversi perché hanno storie diverse
e magari discuteranno, sceglieranno e continueranno a vivere senza
accorgersi in un mondo in cui il
bello ed il buono hanno mille sfumature diverse così come il brutto
ed il cattivo gusto.
Il peggio resta l’indifferenziato,
l’appiattimento, l’assenza di diversità che è impossibilità di confronto e
di scelta e quindi perdita di libertà.
L’età ci insegna però che non esistono scelte che abbiano solo effetti positivi, spesso, inevitabilmente
ad esse si accompagnano anche
derive negative che bisogna cercare di contrastare, così anche il territorio spesso porta a qualche distorsione. Parliamo della, sempre in
agguato, speculazione.
A tavola la nostalgia può essere un
potente strumento commerciale
che si presta anche ad un uso improprio a fini di arricchimenti indebiti. Farro, pane nero, finocchiona,
ventricina, cicerchie, mostarde di
frutta, caci podolici, orapi, vengono
venduti
negli
scaffali
delle
"botteghe del gusto" o nelle tavole
delle hostarie tipiche a prezzi che
risultando spesso ingiustificati e
accessibili a poche categorie di persone, danarose ed affette dalla
"nostalgia da tavolino" frutto di una
attenta manipolazione della tradizione - rurale, agro-pastorale, marinaresca, popolare. Rovistare nella
storia è ormai una procedura abituale per i pubblicitari, soprattutto
nei messaggi pubblicitari visivi ed
elettronici, come mezzo per suscitare in determinate classi d'età nostalgia genuina per passati conosciuti spesso solo attraverso esperienze altrui, ma anche come modo
per rimarcare che il presente è intrinsecamente effimero se non
24
Mulligan's monster
“tutto da rifare”.
Ben rappresenta questa realtà
l’affermazione di un ricercatore
di Storia Contemporanea presso l'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo, Simone Cinotto: "Il discorso della nostalgia alimentare e il rinnovato interesse nelle produzioni locali e regionali ha in sé
certamente elementi di reazione
all'internazionalizzazione
della dieta che poggiano sulla
narrazione del cibo "di una Junk food
volta" come cibo semplice,
tazioni. Amano viaggiare nel
robusto, domestico e familiare. E
confort e se possono permetterselo
tuttavia questo cibo genuino ed
anche nel lusso tra resort esclusivi
essenziale finisce per prendere la
e ristoranti di cucina d'autore. Gevia soprattutto di ristoranti alla moneralmente si tratta di persone di
da o di castelli di campagna riattati
livello culturale e classe sociale mea tali. Si produce, in altre parole,
dio alta." Beh sotto questo aspetto
l'ennesimo paradosso e l'ennesimo
anche McDonald ha avuto anche il
rovesciamento storico della globasuo impatto culturale mutando le
lizzazione culinaria, per cui solo ai
abitudini dei clienti. Introducendo
ricchi è concesso di mangiare come
l'idea di ristorante da pasto veloce,
i contadini: una nicchia più o meno
fast food appunto, secondo alcuni
ampia di consumatori seleziona con
studiosi, ha rotto alcuni tabù, come
cura piccole produzioni d'eccellenza
il mangiare mentre si cammina,
dal percorso tracciabile o le consuun'abitudine frequente in Giappoma direttamente sul luogo di prone, avrebbe inoltre livellato gli straduzione." Il noto chef Kumalè "I
ti sociali durante le cene. Non ci
sono più problemi per alcuni clienti
gourmet e gli edonisti del terzo
che potrebbero essere imbarazzati
millennio, ovvero coloro che fanno
se qualcun altro ordinasse del cibo
della ricerca del piacere il proprio
più costoso in un ristorante; la difindirizzo di vita, hanno la loro diferenza di prezzo dei cibi di McDospensa colma di prodotti di nicchia
nald's è infatti minima, e non die d'eccellenza. Comprano preferipendente dal maggiore/minore prebilmente in enoteca e gastronomia,
gio degli ingredienti, quindi nessuse non direttamente dai produttori,
na distinzione di classe. Peccato i
magari consorziandosi tra amici
risultati di un esperimento fatto
attraverso i siti internet. Conoscono
negli Stati Uniti da tal Spurlock
più o meno chiaramente il significato delle diverse sigle che contraddiscrittore e produttore televisivo 33
stinguono le denominazioni d'origianni, in salute, magro: 188 cm per
ne, s'informano d'ogni nuovo risto84 kg: dopo un solo mese di dieta
rante e produttore attraverso le
fast food documentata con tecniguide specialistiche e le riviste di
che da Grande Fratello (TV h 24)
settore, facendo sfoggio delle coingrassò di 13 kg oltre a qualche
noscenze in occasione di cene e
acciacco al fegato e disfunzioni
degustazioni luculliane tra amici,
varie. Conclusione: A l’è tant mei
giocando ad abbinare i migliori vini
sapà an piat d’agnulot.
con i piatti ed i prodotti dell'e(Traduzione: è meglio “zappare” un
nogastronomia. Affollano i sapiatto di agnolotti)
loni e le fiere culinarie, viaggiano con gusto, frequentando le
migliori trattorie o i ristoranti
stellati. La loro cucina è molto
ben attrezzata con pentolarne
tradizionale o neo-tecnologico,
coltelli di ultima generazione,
cavatappi ipermoderni; apprezzano il gusto antico delle cose
ma anche il design più innovativo, ripudiano il kitsch e le imiChiken cips
Finanziamento pubblico ai partiti
...nel 1981 viene
introdotta una
nuova forma di
pubblicità dei
bilanci:
i partiti devono
depositare un
rendiconto
finanziario
annuale su
entrate e uscite...
Totò con l’anello la naso
La proposta del governo sul finanziamento dei partiti in sintesi: niente tagli e più controlli e trasparenza, controlli che dovrebbero esser
svolti da parte di società iscritte
all’albo della Consob, oltre alla istituzione di una commissione per il
controllo composta da magistrati di
cassazione, corte dei conti e consiglio di Stato. I bilanci saranno obbligatoriamente messi su internet
in apposita area del web-site della
Camera. Per quanto riguarda l’ultima tranche di 100 milioni di € che
dovrebbero esser incassata a luglio
dai partiti, verrebbe sospesa l’erogazione in attesa che i partiti discutano sull’articolo 49 della Costituzione, discussione che dovrebbe
arrivare a maggio.
La proposta, secondo i promotori
partiti che sostengono Monti, dovrebbe essere solo l’inizio di un
percorso che vedrebbe nella discussione della legge sui partiti,
prevista per maggio, il suo percorso definitivo.
Si vuole anticipare la parte riguardante controlli la trasparenza anche relativa alle contribuzioni private e che dovrebbe andare ad incidere anche sulle distorsioni riscontrate in questi mesi che ha coinvolto i tesorieri di Margherita e Lega
Nord
Sono norme che riguardano non
solo i controlli, che diventano più
stringenti rispetto agli altri Paesi
Europei, che verranno svolti, nell’intenzione di promotori, da una
autorità imparziale e indipendente:
il Presidente della Corte dei Conti, il
Presidente del Consiglio di Stato, il
Primo Presidente della Corte di
Cassazione soggetti che hanno
maggiori poteri di quanti non se ne
potessero attribuire alla sola Corte
dei Conti per fare la
verifica sui bilanci
reali dei partiti.
Inoltre
dovranno
esser dichiarati i contributi ai partiti superiori ai 5.000 €, prima il limite era di
50.000 €, inoltre anche le fondazioni, le
associazioni, le società finanziate dai
partiti dovranno essere soggette al
controllo, ed in più si prevedono
sanzioni sino a tre volte le somme
non dichiarate.
Per i promotori la legge è necessaria per mantenere in vita i partiti,
non si può immaginare un sistema
senza partiti senza i quali si rischierebbe di andare verso una deriva
plebiscitaria che tanti danni ha già
causato, compresa la degenerazione della vita pubblica con le quotidiane vicende giudiziarie.
Un secondo aspetto riguarda la
disciplina interna ossia le garanzie
di democrazia interna dei partiti,
che è fondamentale, sulla base di
questo criterio si intende procedere
alla revisione totale del finanziamento dei partiti. Ma tali aspetti
verranno affrontati entro la fine di
maggio secondo un percorso parlamentare già definito. Secondo il Pd
si dovranno distinguere nettamente
in due voci i contributi pubblici ai
partiti; una parte legata al rimborso
elettorale ed una parte al finanziamento pubblico vero e proprio perché i partiti non vivono solo al momento delle elezioni ma per assicurare un raccordo costante col Paese, per questo hanno bisogno di
un finanziamento diverso che va
organizzato in maniera più ragionevole e comunque collegato al tema
della democrazia interna dei partiti.
Agli antipodi della proposta troviamo i radicali, ecco come le definisce Marco Pannella la proposta: “E’
un accordo dei ladri. E’ semplicemente una rapina della partitocrazia che vuole far rientrare nella
legalità uno stato e una repubblica
come quella italiana che sono in
una condizione tecnicamente criminale.” Sulla proposta Di Pietro per
la raccolta firme per un referendum, Pannella ricorda che per legge non si possono presentare le
firme di richiesta di referendum
l’anno prima delle elezioni. Se va
bene tutto quindi se ne parlerà,
forse, nel 2014.
Per Staderini, segretario dei Radicali Italiani la questione è molto
semplice, la proposta è una pura
operazione di facciata che non convincerà gli italiani.
Vi sono due fronti: il pregresso che
25
vede 2 miliardi di € in più, sostanzialmente di profitti, che hanno
preso alcuni partiti, non tutti, che
sono da considerarsi veri e propri
profitti di regime. Sono soldi che in
base al referendum del 1993 non
avrebbero dovuto prendere e che
non si sa che fine hanno fatto. Ciò
che è grave è che grazie a quelle
cifre i partiti hanno falsato il gioco
democratico in questi venti anni, e
si sono arricchiti mentre il Paese
andava in bancarotta. Adesso si
vorrebbe scordarsi il passato e fare
nuove regole. La proposta alternativa non deve riguardare solo i
prossimi 100 milioni di € che i partiti devono ancora incassare, si deve dare mandato alla Corte dei
Conti di verificare il bilancio di que-
sti anni dei
partiti, individuare
dove
sono
finiti
quei due miliardi di € e
recuperarli
allo
stato,
come accade
ogni volta che
qualcuno va
in fallimento,
arriva il curatore fallimentare, vede il patrimonio in liquidità
ed immobiliare e lo utilizza per pagare i debiti.
Per il futuro, la legge non deve servire a salvare il finanziamento pubblico dei partiti, si deve fare invece
una riforma radicale come quella
votata dai cittadini nel referendum
del 1993 e cioè non un € delle tasse degli italiani deve andare agli
apparati di partito che devono esser finanziati esclusivamente dai
simpatizzanti e dagli iscritti. A chi
dice che così farebbero politica solo
i miliardari, Staderini risponde che
Berlusconi è nato e cresciuto nel
momento in cui il finanziamento
pubblico dei partiti esplodeva.
Secondo punto: basterebbe un
semplice correttivo per i contributi
privati ai partiti: limitare le donazioni esclusivamente alle persone
fisiche e non alle imprese, così non
si avrebbe più il problema dei lobbisti.
Lo Stato dovrebbe farsi carico solo
di una cosa: garantire i servizi alla
politica, non agli apparati di partito,
perché la Costituzione riconosce ai
cittadini il diritto di fare politica, per
questo deve garantire luoghi per
assemblee, autenticatori gratis per
le raccolte firme, ma soprattutto
informazione sulle iniziative promosse dai cittadini. C’è una cosa
che nessuno ricorda mai, il finanziamento pubblico indiretto più enorme che c’è, sono gli spazi televisivi, le ore e ore televisive che arbitrariamente sempre gli stessi partiti
si prendono. Se si calcolasse il valore commerciale come se fossero
spot, sarebbe una cifra ben superiore a quella del finanziamento.
In Inghilterra i partiti non prendono
soldi, ed in Italia la degenerazione
dei partiti c’è stata da quando si è
passati dai 20 ai 200 milioni di €
all’anno di finanziamento pubblico.
Aggiungiamo noi che anche Radio
Radicale beneficia di finanziamento
pubblico per il servizio svolto che,
per alcuni, può esser equiparato a
quello svolto dai partiti.
1981 introduce le prime modifiche:
- i finanziamenti pubblici vengono
raddoppiati;
- partiti e politici (eletti, candidati o
aventi cariche di partito) hanno il
divieto di ricevere finanziamenti
dalla pubblica amministrazione, da
enti pubblici o a partecipazione
pubblica;
- viene introdotta una nuova forma
di pubblicità dei bilanci: i partiti
devono depositare un rendiconto
finanziario annuale su entrate e
uscite, per quanto non siano soggetti a controlli effettivi.
I Radicali manifestano in aula parlamentare con tecniche di ostruzionismo per bloccare la proposta di
indicizzazione dei finanziamenti e a
ottenere maggiore trasparenza dei
bilanci dei partiti nonché controlli
efficaci.
Il referendum abrogativo promosso
dai Radicali Italiani dell'aprile 1993
vede il 90,3% dei voti espressi a
favore dell'abrogazione del finanziamento pubblico ai partiti, nel
clima di sfiducia che succede allo
scandalo di Tangentopoli.
Nello stesso dicembre 1993 il Parlamento aggiorna, con la legge n.
515 del 10 dicembre 1993, la già
esistente legge sui rimborsi elettorali, definiti “contributo per le spese
elettorali”, subito applicata in occasione delle elezioni del 27 marzo
1994. Per l'intera legislatura vengono erogati in unica soluzione 47
milioni di euro.
La stessa norma viene applicata in
occasione delle successive elezioni
politiche del 21 aprile 1996.
La legge n. 2 del 2 gennaio 1997,
intitolata "Norme per la regolamentazione della contribuzione volontaria ai movimenti o partiti politici"
reintroduce di fatto il finanziamento
pubblico ai partiti.
Il provvedimento prevede la possibilità per i contribuenti, al momen-
Un po’ di storia
L'11 giugno 1978 si tiene il referendum indetto dai Radicali per l'abrogazione della legge 195/1974. Nonostante l'invito a votare "no" da
parte dei partiti che rappresentano
il 97% dell'elettorato, il "si" raggiunge il 43,6%, pur senza avere
successo.
Secondo i promotori del referendum lo Stato deve favorire tutti i
cittadini attraverso i servizi, le sedi,
le tipografie, la carta a basso costo
e quanto necessario per fare politica, non garantire le strutture e gli
apparati di partito, che devono essere autofinanziati dagli iscritti e
dai simpatizzanti.
Nel 1980 una proposta di legge
vorrebbe introdurre il raddoppio del
finanziamento pubblico, ma viene
messa da parte al momento dell'esplosione dello scandalo Caltagirone, con finanziamenti elargiti dagli
imprenditori a partiti e a politici.
La legge n. 659 del 18 novembre
26
to della dichiarazione dei redditi, di
destinare il 4 per mille dell'imposta
sul reddito al finanziamento di partiti e movimenti politici (pur senza
poter indicare a quale partito), per
un totale massimo di 56.810.000
euro, da erogarsi ai partiti entro il
31 gennaio di ogni anno. Per il solo
anno 1997 viene introdotta una
norma transitoria che fissa un fondo di 82.633.000 euro per l'anno in
corso.
Il Comitato radicale promotore del
referendum del 1993 sull’abolizione
del finanziamento pubblico tenta il
ricorso rispetto al tradimento dell’esito referendario, ma pur essendo
stato riconosciuto in precedenza
come potere dello Stato, gli viene
negata dalla Corte Costituzionale la
possibilità di depositare tale ricorso.
Sempre la legge 2/1997 introduce
l'obbligo per i partiti di redigere un
bilancio per competenza, comprendente stato patrimoniale e conto
economico, il cui controllo è affidato alla Presidenza della Camera. La
Corte dei Conti può controllare solo
il rendiconto delle spese elettorali.
L’adesione alla contribuzione volontaria per destinare il 4 per mille ai
partiti resta minima.
La legge n. 157 del 3 giugno 1999,
Nuove norme in materia di rimborso delle spese elettorali e abrogazione delle disposizioni concernenti
la contribuzione volontaria ai movimenti e partiti politici, reintroduce
un finanziamento pubblico completo per i partiti. Il rimborso elettorale previsto non ha infatti attinenza
diretta con le spese effettivamente
sostenute per le campagne elettorali. La legge 157 prevede cinque
fondi: per elezioni alla Camera, al
Senato, al Parlamento Europeo,
Regionali, e per i referendum, erogati in rate annuali, per 193.713.000 euro in caso di legislatura politica completa (l'erogazione
viene interrotta in caso di fine anticipata della legislatura). La legge
entra in vigore con le elezioni politiche italiane del 2001.
La normativa viene modificata dalla
legge n. 156 del 26 luglio 2002,
“Disposizioni in materia di rimborsi
elettorali”, che trasforma in annuale il fondo e abbassa dal 4 all'1% il
quorum per ottenere il rimborso
elettorale. L’ammontare da erogare, per Camera e Senato, nel caso
di legislatura completa più che rad-
doppia, passando da 193.713.000
euro a 468.853.675 euro.
Infine, con la legge n. 51 del 23
febbraio 2006: l’erogazione è dovuta per tutti e cinque gli anni di legislatura, indipendentemente dalla
sua durata effettiva. Con quest’ultima modifica l’aumento è esponenziale. Con la crisi politica italiana
del 2008, i partiti iniziano a percepire il doppio dei fondi, giacché
ricevono contemporaneamente le
quote annuali relative alla XV Legislatura della Repubblica Italiana e
alla XVI Legislatura della Repubblica Italiana.
Finanziamento pubblico per partito nel 2008
27
Finanziamanto pubblico all'editoria - giornali di partito nel 2008 (riferimento dati 2007)
Personaggi: Riccardo Gualino e Cesarina
vite vissute intensamente
Un Piemontese
eclettico,
finanziere
internazionale
che operò
nella Russia Zarista
e negli Stati Uniti,
amante dell’arte e
della bellezza.
Costruì un teatro a
Torino
lasciando un segno
indelebile nella
Storia di Torino,
della nostra
Regione e non solo
All'inizio del secolo il dott. Giuseppe
Giorcelli, scriveva: “Il viaggiatore
che nei tempi nostri visita il circondario di Alba, di Acqui e di Casale,
che insieme formano il Ducato di
Monferrato, in ogni villaggio che
incontra trova dei ricordi dell'antica
dominazione feudale. Infatti in alcuni, e questo è caso raro, esiste
ancora il Castello ben conservato,
in molti rimangono solo dei ruderi,
ed in altri poi tutto è scomparso,
ma si legge sui muri la iscrizione di
Piazza Castello o Via al Castello,
che ricorda al viaggiatore che colà
un tempo esisteva un castello e
padroneggiava un feudatario”.
Ai tempi del Giorcelli il castello di
Cereseto (AL) non era ancora sorto
e la parte alta dell'abitato, interamente occupata dalla palazzina dei
marchesi Ricci, era circondata dalle
rovine di un'antica fortificazione.
“Dell'antico castello feudale - osservava nel 1877 Giuseppe Niccolini -
non resta oggi giorno pietra sopra
pietra; sonvi bensì tuttavia pochi
ruderi delle vecchie mura di cinta,
ma là sull'alto ove prima esso torreggiava avvì ora uno spazioso,
ricco e pulitissimo giardino all'inglese il quale attornia ed accarezza
l'elegante palazzina della nobil
Donna la Contessa Sannazzaro De
Maistre”.
Il castello di Cereseto fu costruito
grazie a tre uomini: l’architetto francese Eugenio Viollet Le Duc, il finanziere Riccardo Gualino e l’ingegnere casalese
Vittorio Tornielli.
Eugenio Viollet Le Duc
(1814-1879), oltre ad
essere stato l’autore del
famoso
“Dictionnaire
raisonnè de l’architecture Francaise du XI au
XVI Siècle”, influenzò
notevolmente sia l’800
che il ‘900 per quanto
riguarda i restauri degli
edifici medioevali europei ed in seguito anche
in Piemonte (Borgo Medioevale Torinese - 1884). Per la costruzione del
castello di Cereseto fu
28
presa a modello la scuola francese
del Viollet le Duc, quindi secondo i
canoni architettonici quattrocenteschi francesi, anche se in parte
venne seguito lo stile degli architetti italiani Alfredo D’Andrade e Giuseppe Nigra.
Il finanziere Riccardo Gualino
Riccardo Gualino nacque a Biella il
25 Marzo 1879, figlio di Giuseppe e
di Luigia Colombino (i genitori sono
sepolti ad Oropa – Bi), decimo figlio. Suo padre, piccolo industriale
orafo, desiderava che Riccardo intraprendesse la carriera d’insegnante (lettere e filosofia), visto
che il giovane figlio amava molto la
lettura (Dumas, Ponson du Terrail,
Verne, …), mentre la domestica di
casa Gualino, Domenica, sognava
di vedere Riccardo come parroco
del paese.
Durante la sua giovinezza, il futuro
finanziere trascorreva molte ore del
suo tempo libero con l’amato cane
Plick, un volpino che non lo abbandonava un solo minuto.
Terminati gli studi superiori a Biella
presso il Liceo, si trasferì a Sestri
Ponente. Si laureò in Legge presso
l’università di Genova e nel 1901 si
impiegò a Milano, presso un’importante azienda importatrice di legname di abete dalla Carinzia e dal
Tirolo.
Dal 1903 il Gualino iniziò a conoscere il Monferrato e nei primi anni
d’inizio secolo, fondò proprio a Casale Monferrato la ditta Riccardo
Gualino & C., avente per fine l’industria e il commercio di legnami e
cemento.
Nel 1905 trasformò la ditta privata
in una società ed in brevissimo
tempo fece costruire il grande stabilimento di Morano Po con la produzione record, per quel periodo,
di 400.000 quintali annui di cemento; fu inoltre Presidente del Consorzio e del Sindacato dei Cementieri.
L’otto Settembre 1907, a Casale
Monferrato, Riccardo Gualino sposò
Cesarina Gurgo Salice; come testimoni Gian Battista Risso di Biella e
Luigi Ottina di Quarona Sesia. All’uscita dalla chiesa dell’Addolorata,
anzichè confetti, i coniugi gettava-
Gualino in un dipinto di Felice Casorati
no manciate di “ventini” (i noti
“quattro soldi”).
Riccardo Gualino, a ventidue anni,
pubblicava presso l'editore bolognese Zanichelli un volume di poesie intitolato «Domus Animae»,
dove ricorda Cesarina come un'estrosa fanciulla “…dal profilo greco,
quale fiordaliso… Poi se i denari
verranno su a palate dalle cento
fonti che ora sto per far scaturire,
quanti bei sogni da realizzare! Io te
lo dico subito, voglio un bel castello! Un bel castello di quelli medioevali con le cinte merlate e gli spalti
turriti, con le gronde protese e gli
archi acuti o penduli, con gli ombrosi parchi pieni d'acque e di frescura, con le mute dei cani impazienti, coi bei puledri scalpitanti,
con le sale illuminate dai vetri colorati, con gli alti soffitti a cassettoni…”.
Un anno prima del matrimonio, nel
1906, il giovane industriale così
scriveva alla futura sposa: “Io sen-
to che un giorno non molto lontano
(dieci, vent'anni forse) tu sarai la
suprema regina d'un nuovo reame.
Non d'un reame che dagli antichi
stemmi e dall'armi arrugginite toglie la gloria; ma d'un reame di
popolo, di neri operai, di operosi
contadini... S'io vivo tu così sarai. E
nostro sarà il turrito castello che
compreremo. Là, fra la pace dei
faggi e un po' di silenzio, ogni anno
tempreremo le forze…”.
In “Frammenti di Vita” troviamo:
“La giovinetta che sposai nel 1907,
Cesarina Gurgo Salice, aveva allora
diciassette anni; né cinque lustri
ormai quasi interamente trascorsi
modificarono sensibilmente l'esile
sua figura. Mi ha fatto pensare
spesso al giunco che non si schianta, neanche quando la bufera abbatte la quercia. E non è a dire che
non si schianti perché si pieghi:
resiste. La sua individualità è difficilmente definibile. Contenta di un
nulla, è indifferente a un tutto; di
spirito vivace, pronta nel percepire
e nel ribattere, temibile avversaria
nelle discussioni, è compagna di
viaggio deliziosa. Mai ammalata,
d’umore quasi perennemente ottimo, sempre disposta a mutarsi dall’oscure in sereno, afferra prontamente i lati comici della vita e ci fa
su ogni volta una magnifica risata.
Essa fu la compagna ideale della
mia vita, e vivificò la mia giornata
con la sua perenne freschezza. In
seguito al mio matrimonio, i cugini
Pierina e Tancredi Gurgo Salice
diventarono i miei suoceri…”.
Partirono poi per il viaggio di nozze
diretti ad Istambul, sull’Orient
Express.
Cesarina Gurgo Salice, nata a Torino (anche se alcune biografie indicano come luogo di nascita Casale
Monferrato) il 3 Maggio 1890, figlia
di Tancredi (allora pianista e violoncellista, ma che inizialmente
lavorava nel settore della calce e
dei cementi) e di Pierina Fiorio,
studiò la lingua francese, la composizione musicale e la tecnica pittorica nel castello di San Giorgio Monferrato, presso il collegio delle Suore francesi della Sapienza. Di quella
formazione, non provinciale, resta
ancora un quaderno di accurati
disegni scolastici firmati Cesarina
con l' “é” accentato alla francese.
Al ritorno dal loro viaggio di nozze
presero alloggio in Via Guazzo, nella città di Casale Monferrato, nella
casa riattata in stile gotico dall’ing.
Vittorio Tornielli. Dalla coppia nacquero due figli: Listvinia (nata nel
1908) e Renato (nato nel 1912).
Nel 1908 acquistò l’antica residenza
dei Ricci di Cereseto, sulla quale,
nel decennio successivo, sorse l’attuale maniero. Tra il 1908 e il
1914, il Gualino si dedicò al taglio
delle foreste nei Carpazi tra la
Transilvania Austro-Ungarica e la
Romania. Costruì un villaggio con
immense segherie e la produzione
di legname era talmente alta che
furono costruite 20 linee ferroviarie
per il trasporto dai Carpazi al porto
di Galaetz, dal quale la
merce partiva per tutto il
mondo; l’azienda valeva
molti milioni, per cui Gualino contattò, per la cessione, un gruppo finanziario inglese che ne fu entusiasta. Poiché notò analoghe possibilità di sfruttamento in terra russa, acquistò 23.000 ettari di
foresta di roveri e pini a
Listwin, nel Governatorato
della Volinia, ed anche là
creò enormi stabilimenti.
A Pietroburgo, con l’appoggio
del
generale
Ranch (aiutante di campo
dello Zar), acquistò un
vasto terreno chiamato
Golodaj ai margini della
città, vicino al mare. Là vi
Cesarina Gurgo Salice in un dipinto di Felice Casorati
fece costruire nuovi fabbricati lussuosissimi, facendo nascere la
“Nuova Pietroburgo” con un appoggio finanziario di 2.800.000 sterline
da parte della banca inglese di Austin Chamberlain.
Ma nel primo semestre del 1914,
quando il nuovo sobborgo era stato
già inaugurato dallo Zar in persona
ed i contratti di cessione erano
quasi tutti firmati, l’amico generale
gli telefonò dicendo semplicemente: “Prendi il treno che partirà fra
due ore: sarà l’ultimo!”. Era infatti
scoppiata la guerra.
Riuscì con la moglie ad entrare in
Germania, ma non potè passare in
Francia; attraverso la Svizzera rientrò in Italia.
I suoi capitali in Russia erano perduti per sempre.
L’otto Dicembre 1919 i coniugi si
trasferirono da Casale Monferrato a
Torino. Finita quindi la prima guerra mondiale, organizzò dall’America
il trasporto di carbone per il governo italiano. Riccardo Gualino ebbe
inoltre partecipazioni in banche
francesi ed inglesi, nel Credito Italiano, in giornali, in aziende italiane
fra cui la Fiat di Giovanni Agnelli di
cui diventò socio e vice presidente,
acquistò e potenziò importanti cantieri navali nel Texas ed a Pascagoula sul Mississipi, fondò la Snia
(- Società Navigazione Italo Americana - che allora si occupava di
navi e di commercio) l’Unica
(industria del cioccolato) e specialmente stabilimenti per la fabbricazione della seta artificiale a Venaria
Reale, a Viscosa di Pavia, a Cesa-
29
no, ad Abbadia di Stura. In seguito
creò la nuova ditta Snia-Viscosa,
azienda specializzata nella fabbricazione della seta artificiale.
Nel 1926 fondò a Parigi, con il banchiere Albert Oustric, la Banca Oustric attraverso la quale finanziò e
risanò varie aziende nelle quali aveva immesso il suo dinamismo:
industrie di tessuti, di lane, di
cuoio, di linoleum, di calzature e di
cementi.
Gualino riuscì a crearsi una posizione tanto solida da esser considerata nel 1925 fra le più potenti d’Europa. In quegli anni si fece costruire la grandiosa villa sulla penisola
di Sestri Levante (oggi adibita ad
albergo) e grandi fabbricati a Torino. Amante d’ogni forma del bello,
si fece mecenate di attività artistiche, tanto da costruirsi una ricchissima pinacoteca, donata poi alla
Galleria Sabauda di Torino. Finanziò spettacoli teatrali d’altissimo
livello.
Nel 1929, a causa della crisi americana che portò i sui effetti negativi
anche in Europa, la banca crollò e
su richiesta dello stato Francese, il
Governo italiano arrestò il Gualino il
19 Gennaio 1931; il testo della comunicazione inviato a Riccardo
Gualino mentre si trovava nel carcere di Torino era: “ QUESTURA DI
TORINO – POLIZIA GIUDIZIARIA Si comunica alla S.V. che il Ministero dell’Interno l’ha destinata alla
colonia di Lipari per scontare cinque anni di confino di polizia, come
da deliberazione della locale Commissione Provinciale in data 24 corrente – Torino, 25 Gennaio 1931”.
Fu quindi confinato a Lipari ed i
suoi beni vennero sequestrati,
compreso ciò che possedeva a Cereseto; fu coinvolto in scandali di
cui egli stesso si meravigliò. Fu
sottoposto ad inchiesta di un’apposita Commissione Ministeriale avanti la quale non potè neppure difendersi, anche perché, contrariamente alla maggior parte degli industriali, non aveva tenerezze verso il
fascismo. Il suo immenso patrimonio si sciolse come neve al sole. La
moglie Cesarina lo seguì nel suo
esilio forzato a Lipari e poi a Cava
dei Tirreni; si preoccupò di arredargli le misere case da confinato con
tocchi di surreale eleganza.
Tornati dal confino e voltate le
spalle a Torino, i Gualino ritrovarono il successo economico con la
Rumianca, le molte iniziative parigine ed entrarono con decisione nel
campo, quasi vergine per l'Italia,
dell'industria cinematografica. Fondò la Lux Film, la più importante
delle imprese di produzione italiane
degli anni ‘40 e ‘50.
Si stabilirono prima a Parigi, poi a
Roma dove acquistarono e restaurarono il palazzetto medioevale di
piazza in Piscinula, poi a Firenze,
dove sulle colline di Arcetri costruirono una grande casa che ospitò
Berenson, Venturi, Croce. Passarono le estati a Portofino, nella villa
di lord Carnavon.
Inoltre diedero alle stampe la traduzione di una raccolta di versi
della poetessa italo-scozzese, Alexandra Mitchell.
Il Gualino non si dimostrò solo un
ottimo finanziere, ma anche un
grande amante dell’arte: su consiglio di Lionello Venturi, mise in atto
la celebre Collezione Gualino.
Come scrittore pubblicò nel 1901
una raccolta di versi intitolata
“Domus
animae”,
nel
1931
“Frammenti di vita”, un libro di memorie che divenne la sua opera più
famosa e nel 1932 il romanzo
“Uragani”. A Cesarina è dedicato
"Solitudine", volume di memorie
pubblicato nel 1945.
Riccardo Gualino morì a Firenze il 7
Giugno 1964, mentre Cesarina Gurgo Salice nel 1992 all’età di 102
anni (ben 28 anni dopo la morte
del marito).
Claudio Bermond, docente di Economia e Commercio all’università di
Torino, presentò al terzo Convegno
nazionale della Società Italiana de-
Riccardo
e Cesarina nel giorno dell’inaugurazione del Castello (foto del 1912)
30
gli Storici dell'Economia
(Torino 22-23
Novembre 1996) una relazione
intitolata
"Formazione e
dissoluzione di
un patrimonio industriale e finanziario nel primo trentennio del secolo XX: il trust Gualino" dove af-
ferma che Gualino, nell'ambito della storia italiana della prima metà
di questo secolo, "ha occupato una
posizione indubbiamente rilevante
e ciò è avvenuto in quattro principali campi:
1) Gualino diede un consistente
contributo allo sviluppo industriale
del nostro paese con la creazione e
la gestione di alcune imprese di
primaria importanza, quali la Snia
Viscosa, l'Unica, l'Unione Italiana
Cementi, la Rumianca e la Lux Film
che, con le loro vicende più o meno
felici, hanno scritto una parte rilevante della storia economica nazionale;
2) Gualino giocò un ruolo di primo
attore sulla scena finanziaria italiana - e talvolta anche europea – di
quegli anni, con una molteplicità di
spericolate e azzardate avventure
che andarono dalle operazioni forestali e immobiliari nell'Est Europeo,
alla scalata delle banche italiane
nel primo dopoguerra ai legami con
il banchiere francese Albert Oustric
(...) fino al collasso finanziario della
Banca Agricola Italiana;
3) Gualino é diventato uno dei simboli dell'opposizione liberale alla
dittatura mussoliniana (anche se,
annota Bermond, il suo dissenso
venne esternato in una lettera al
Duce solo il 28 Giugno 1927, dopo
che venne toccato direttamente nei
suoi interessi con la rivalutazione
della lira);
4) Infine, Gualino seppe tradurre il
suo profondo amore per l'arte in
una serie svariata di iniziative rivolte alla valorizzazione di alcuni filoni
artistici, quali il teatro, la musica, la
danza, le arti figurative, l'architettura, il cinema.
Riccardo Gualino fu quindi un uomo geniale, originale, innovativo,
anticipatore (usò una holding domiciliata nel paradiso fiscale di St.
John di Terranova) e grande.
Ma fu anche un personaggio molto
spericolato e commise qualche errore di rilievo.
A causa del crollo della banca francese Oustric, subì anche l'affronto
del carcere in Francia.
L’amore per la danza
di Cesarina
Cesarina Gurgo Salice dedicò parte
della sua vita alla passione per l’arte, soprattutto per la danza.
Cesarina sboccerà come danzatrice
dopo l'incontro con la giovane russa Bella Hutter.
Figlia della ricca borghesia russa, in
fuga davanti alla rivoluzione, Bella
è assai più emancipata delle coeta-
nee europee di pari censo. Salpa
da Odessa, cercando la salvezza da
sola, in una nave del Lloyd triestino
diretta a Brindisi. Ha in tasca solo
l'indirizzo torinese dei Gualino, dato
da un suo zio che di Gualino è stato l'agente per Pietroburgo e la
Russia.
I racconti di Cesarina e di Bella
convergono su quel fatidico giorno
del tardo inverno 1920 quando la
giovane russa, con poco bagaglio,
cappellone di velluto e scarpe di
stoffa suona alla porta dei Gualino.
Il suo inserimento nella famiglia e
nel mondo dei Gualino è facile. Nel
castello di Cereseto, la sera, anfitrioni ed ospiti improvvisano balli e
recite, nei ricchi costumi che i padroni di casa hanno acquistato nei
viaggi in Russia e Romania. Animatrice delle serate è l'inglese Jessie
Boswell che vivrà con i Gualino per
una diecina d’anni prima di entrare
a far parte del gruppo dei “Sei pittori di Torino”.
Bella Hutter danza in quelle occasioni, conquistando Cesarina e molte delle sue amiche
grazie all'arte
del movimento
ritmico e plastico che sta rivoluzionando
il
balletto in Europa, sulla scia
della scuola di
Jacques
Dalcroze e Mary
Wingman. In-
1912 - Festa in maschera al castello a sinistra Cesarina a destra Riccardo
sieme, Cesarina e Bella s'iscrivono
al collegio ginnico del capitano Hébert, a Trouville; in questa città
trovano Marcelle de Montziarly,
futura direttrice d’orchestra ed appassionata danzatrice. Attraverso di
lei arrivano a Clotilde e Alessandro
Sakharoff, la coppia più celebrata
della danza mondiale, che saranno,
più volte, ospiti al castello di Cereseto.
Riccardo Gualino, Guido Maria Gatti, Lionello Venturi e Gigi Chessa
vengono rapidamente conquistati
dal fascino di Bella e della sua danza. Saranno loro gli auspici della
scuola di ginnastica e danza che
Bella apre nel 1923 a Torino in Via
Arsenale 14.
Nella grandissima villa, tipico esempio di residenza piemontese alto
borghese d'influenza francese, che
Riccardo Gualino ha acquistato dai
De Fernex (banchieri e suoi soci in
affari), i lavori di ammodernamento
prevedono una grande pinacoteca,
una galleria d'arte e un piccolo tea-
31
32
e più impegnativa
avventura.
Insieme a Venturi,
Chessa e soprattutto Gatti, uomo
di profonda cultura musicale, editore della rivista "Il
pianoforte", il finanziere
aveva
posto mano al
restauro di un
vecchio
teatro
torinese,
precedentemente destiFelice Casorati e Riccardo Gualino
nato allo spettaconel Parco del Castello di Cereseto 1925
lo leggero, poi
decaduto praticamente in rovina.
momento magico il 3 Maggio 1929
Fu un recupero rapido; la prima,
quando sul palcoscenico del Teatro
che segna un avvenimento culturadi Torino interpreterà, con Bella
le e mondano di portata europea, è
Hutter, un impegnativo repertorio
il 26 Novembre 1925 con "L'italiana
di Bach, De Falla, Haydn, Debussy,
Ravel.
in Algeri", opera quasi dimenticata
Cesarina ballerà anche una gavottidi Rossini, con la direzione di Vittona da lei stessa composta; è la sua
rio Gui, le scene e i costumi di
ultima uscita pubblica. Il teatro
Chessa. Segue la prima rappresenentrò poi in crisi.
tazione in Italia della "Arianna a
Nasso" di Richard Strauss e la
prima esecuzione assoluta di
"Abramo e Isacco" di Ildebrando Pizzetti, diretto da Pizzetti
medesimo.
Le danze sono eseguite dagli
allievi della scuola di Bella Hutter ormai affermatasi definitivamente come una delle istituzioni
culturali più spregiudicate e vivaci di Torino.
Cesarina, finanziatrice e animatrice della scuola, avrà il suo
Villa Gualino - TO
tro grigio, rosso e nero, progettato
dall'architetto Alberto Sartoris e
decorato da un altro fedele di Gualino, il pittore Felice Casorati.
Sotto il palcoscenico Gualino ha
voluto una palestra perchè la moglie e il gruppo di Bella Hutter, a
cui presto si aggiunge anche la
sorella Raja, si esercitino nella loro
danza.
Il teatrino privato di Riccardo Gualino fu un fatto straordinario nella
tiepida vita culturale e mondana
torinese e piemontese in genere.
Non si era mai visto un industriale
della ricchezza e potenza di Gualino
investire i propri soldi ed affidare la
propria immagine pubblica ad un'iniziativa culturale così raffinata ed
elitaria.
Buona parte dei Torinesi, infatti,
non approvò: i potenti, per invidia
o disprezzo, i ceti medi per inadeguatezza culturale; quanto alle
classi lavoratrici, il teatrino non era
certo cosa che li riguardasse.
L'inaugurazione avvenne il 27 Aprile 1925 con un concerto di musica
classica seguito a distanza di due
giorni da un concerto diretto da
Alfredo Casella e dedicato a Igor
Stravinsky. Dopo la musica e le
danze gli invitati (solo a loro era
aperto il teatro) passavano nelle
sale museo della villa dei coniugi
Gualino per ammirarne le opere
d’arte.
Il 7 Maggio venne al teatrino Emma Grammatica per un recital di
poesia, il 16 Maggio il ginevrino
Jacques
Dalcroze
(padre riconosciuto
della danza moderna) e infine il 6 Giugno la serata finale.
Fu uno spettacolo
che fece molto parlare la stampa, anche se pochi furono
gli eletti che vi assistettero. Nell'ultima
pagina del prezioso
opuscolo distribuito
agli invitati di quella
speciale
serata
(disegnato da Gigi
Chessa e Massimo
Quaglino) Riccardo
Gualino, che già
aveva redatto uno
spiritoso decalogo
del perfetto invitato,
annunciava in versi
l'inizio di una nuova
Il Castello di Cereseto - AL
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Aprile 2012