NICOLA ZINGARELLI
NICOLA ZINGARELLI E IL « GIORNALE STORICO
DELLA LETTERATURA ITALIANA »
(con stralci di una corrispondenza medita)
1. La collaborazione di Nicola Zingarelli al « Giornale Storico »
non va oltre un articolo nel volume 48°, 1906: 13 pagine (pp. 368380) di Appunti lessicali danteschi (una nota, più che un saggio vero e
proprio, anzi un « articoletto », per dirla col Renier che gliene annunziava la pubblicazione e l’invio dei 30 estratti di rito) e due recensioni, all’edizione della Vita nuova di Barbi (volume 520, 1908, pp.
202-210) ed al libro di Robert de Labusquette Auteur de Dante. Les
Beatrices (volume 770, 1921, pp. 288-298): di tono elogiativo, e si direbbe quasi riguardoso, com’era naturale, la prima sul lavoro del Barbi; severa, analitica, interpretativa, secondo il suo stile recensorio, la
seconda 1 .
* Relazione presentata al Convegno Nazionale « Piemonte e letteratura nel ‘900 »
(S. Salvatore Monferrato, 18-20 ottobre 1979) compresa nel voi, degli Atti di quel Convegno. Esprimo la mia gratitudine al dott. Celuzza, direttore della Biblioteca Provinciale
di Foggia, e al personale di quella biblioteca, per le cortesie prodigatemi nella consultazione delle carte del Fondo Zingarelli.
1
Si veda la serie ininterrotta, ed ormai vicina al centenario, del « Giornale storico
della letteratura italiana », Torino, Loescher, dal 1883,
1
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Un po’ poco, se si pensa alla immensa bibliografia del romanista
lessicografo pugliese distesa con ben 357; titoli in oltre 50 anni di attività erudita e letteraria su più disparati argomenti di materia neolatina,
romanza dantesca, linguistica e letteraria, in volumi, saggi, note recensioni nelle maggiori riviste, dalla « Rassegna critica della letteratura
italiana » a « Romania » a « Studi medioevali » al « Bullettino della
Società dantesca italiana» ai e Rendiconti del Regio Istituto Lombardo
di Scienze e Lettere » all’ « Archivio glottologico » al « Giornale dantesco » a « La cultura » di De Lollis, e via dicendo, non senza frequenti puntate divulgative sulle terze pagine dei quotidiani, soprattutto «
La stampa » e « Il giornale d’Italia » di Bergamini2 .
Un po’ poco anche se si considerano le sollecitazioni che gli venivano dai direttori del « Giornale », dal Renier, dal Novati, e soprattutto dal Cian, come si può leggere nella corrispondenza di cui dirò tra
poco, nella quale è anche, sia pure nelle forme della civiltà epistolare
tra gente di lettere, non poca cordialità ed affermazioni di stima.
Certamente Zingarelli aveva le sue pigrizie epistolari e certe lentezze di lavoro, che sembravano contraddire una laboriosità e capacità
e l’utilissimo e precisissimo Indice compilato da C. DIONISOTTI, per i primi 100 volumi (1883-1932), Torino, Loescher, 1948.
2
Per la bibliografia dello Zingarelli si veda il volumetto di E. FLORI, Bibliografia
degli scritti di N. Zingarelli, MDCCCLXXXIV-MCMXXXII, Milano, Hoepli, 1933, offertogli in occasione dei cinquant’anni di insegnamento.
Intorno allo Zingarelli si vedano i profili di A. PIROMALLI, N. Z. e di F. PICCOLO, Z. filologo e critico, nella serie I critici dell’Editore Marzorati, Milano, 1969, II; la
bibliografia già accennata; il Saggio bio -bibliografico, di M. PENZA, nel vol. N. Zingarelli, Scritti vari e inediti nel primo centenario della nascita, 1860-1960, a cura di un
Comitato per le onoranze in Cerignola, Bari, Cressati, 1963; E. LOIODICE, Le tradizioni popolari nella Capitanata e N. Zingarelli nei ricordi dell’autrice, Foggia, Amministrazio ne Provinciale, 1974; A. VALLONE, Correnti letterarie e studiosi di Dante in
Puglia, Foggia, Studio editoriale dauno, 1966; dello stesso Vallone, le pagine relative
nel Dante, rifatto per la Storia dell’editore Vallardi e La critica dantesca nel 900, Firenze, Olschki, 1977; La critica dantesca nell’800, Firenze, Olschki, 1978; 1 Manoscritti
della Biblioteca provinciale di Foggia, a cura di P. DE Cicco, Foggia, Amministrazione
Provinciale, 1977.
2
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sedentaria rimaste proverbiali; ma nel caso nostro esse non potrebbero
spiegare (o forse potrebbero fin troppo) tante cadute di offerta, la lentezza svogliata di certe recensioni, silenzi e rinvii di impegni pur assunti senza entusiasmo.
E’ vien quasi da chiedersi se non ci fosse qualcosa di non casuale,
di intimamente discordante, anche se mai dichiarato. Se non ci fosse,
insomma tra lo studioso ed il « Giornale » dall’una parte e dall’altra,
una certa freddezza e diffidenza resistenti negli anni e mai cadute
completamente.
Nel fondo dei manoscritti della biblioteca Zingarelli, acquisita dalla Biblioteca Provinciale di Foggia, ed attentamente catalogato, si possono leggere le lettere del Gaspary e di quasi tutti i personaggi grandi
e piccoli della romanistica e della filologia italiana ed europea, tra fine
Ottocento ed i primi trentacinque anni del Novecento: una corrispondenza di un cinquantennio, diligentemente conservata ed ora ordinata,
che getta luce su molti particolari di quella vita ed esperienza di studio, ed anche, tra le pieghe, su talune vicende non prive di interesse
della cultura e della vita accademica italiana. Su un tale carteggio si
era soffermato il Vallone pubblicando qualche lettera nel suo studio
sulle Correnti letterarie e studiosi di Dante in Puglia, ed ora si annunzia imminente la pubblicazione di tutta la corrispondenza con il Barbi
ed altri maestri della filologia italiana, a cura della Prencipe - Di Donna3 .
3
Lo studio del Vallone è indicato nella nota precedente. La pubblicazione della
Prencipe-Di Donna, annunziata come imminente, non è ancora disponibile all’atto della
presente relazione. La cortesia dell’autrice mi ha offerto copia del volume (N. Z. Carteggi, a cura di C. PRENCIPE DI DONNA, Foggia, Apulia, 1979) che ho potuto consultare mentre correggevo queste bozze per gli Atti, trovando molte conferme a quanto
avevo scritto. Il volume, preceduto da una breve introduzione, e accompagnato da note
precise, pubblica le lettere di Zingarelli al Barbi e a Pascarella e quelle di alcuni studiosi
allo Z. Dello stesso volume, successivamente, ho avuto incarico di fare la presentazione
in una serata organizzata in Foggia dell’Istituto Dauno di Cultura e della Biblioteca
Provinciale, e mi è occorso di recensirlo in « Rapporti », 16-17 (1980) pp. 108-110.
3
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Mi limiterò, pertanto, a dare solo qualche saggio di questa corrispondenza, che potrà lumeggiare il rapporto Zingarelli - « Giornale
storico », dal quale potrà trarsi forse, qualche considerazione su taluni
aspetti non trascurabili della storia della cultura italiana nei suoi contrastati svolgimenti ed opposizioni di scuole ed aree culturali.
2. Zingarelli, come si sa, pugliese di nascita e napoletano di studi,
era stato nei suoi giovani anni, intorno al 1880, allievo del D’Ovidio e
dello Zumbini, in una università quale Napoli che ancora risentiva del
rinnovamento desanctisiano e di una tradizione culturale romanticohegeliana, e che anche nei maestri della nuova generazione, quali
D’Ovidio e Zumbini appunto, e poi via via, Torraca, Montefredini,
Percopo e Scherillo, si mostrava attenta alle nuove dottrine del metodo
storico passate in Italia dopo il ‘70 per la suggestione della grande filologia tedesca e francese; ma non perdeva (e forse non poteva perdere) il collegamento con la tradizione « filosofica » più che « filologica
» di cui era nutrita fin dal Sei-Settecento; tentava perciò di elaborare
forme di metodo intermedio nell’ideale di una « critica intera », per
dirla con l’aspirazione del D’Ovidio, in cui glottologia, filologia, critica letteraria ed estetica si fondessero con pienezza di risultato. Così
non era raro negli scritti del D’Ovidio stesso e del Torraca e dello
Scherillo, tracce di resistente consenso e radicati semi fruttuosi
dell’insegnamento non solo del De Sanctis, ma di Settembrini, Villari,
De Meis, Spaventa4 .
4
Per quanto attiene alla cultura letteraria e filosofica napoletana nell’Ottocento, si
rimanda tra l’altro al vol. di G. OLDRINI, La cultura filosofica dell’Ottocento, Bari, Laterza, 1973; al saggio di M. SANSONE, La letteratura a Napoli, dal 1800 al 1860, nel
vol. IX della Storia di Napoli, Napoli, 1972; e, naturalmente, agli scritti del De Sanctis,
del Croce, del Nicolini, del Gentile, del Galasso, del Dotti, del Vallone e di quanti altri
hanno studiato quella cultura ed i relativi fenomeni. Mi sia consentito citare anche tre
miei contributi alla storia di quella cultura: M. DELL’AQUILA, Critica e letteratura in
tre hegeliani di Napoli, Bari, Adriatica, 1969; La cultura nell’Ottocento, nell’opera di
AA. VV., Storia delta Puglia,
4
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E forse varrà non dimenticare che già quei maestri e
quell’hegelismo erano stati essi stessi partecipi e per sino iniziatori di
quel rinnovamento, e proprio di Pasquale Villari è quel noto saggio
sulla Filosofia positivi ed il metodo storico, pubblicato nel e « Politecnico » di Milano nel 1866, in una rivista dunque di un’area culturale
ben diversa da quella napoletana, richiamantesi alla lezione dei Cattaneo; saggio al quale si fa comunemente risalire la costituzione da noi
di un indirizzo « storico » degli studi.
Senza dire dei saggio desanctisiano su La scienza e la vita, del
1872, così denso di forti sollecitazioni.
Ma i pronunciamenti e le fratture d’ordine metodologico di quei
primi anni unitari della cultura italiana sono noti. I casi appunto di
Montefredini e dello Zumbini nei confronti del De Sanctis e del Settembrini risultano esemplari della inquietudine della cultura napoletana che avvertiva il suo crescente isolamento nella matrice « filosofica» spregiata dalla nuova filosofia e dall’orientamento predominante
verso forme di studio documentario e analitico, contrarie ad ogni tentativo di sintesi affrettata e ad ogni fumosità filosofica e divagazione
letteraria.
Nè va sottovalutato il fatto, che il Dionisotti ha ben rilevato, la
straordinaria congiura del silenzio (se non per le irose insofferenze
carducciane) che accompagnò per decenni la Storia desanctisiana da
parte della cultura accademica ormai monopolizzata dalla nuova scuola, e l’ambito ristrettamente napoletano della disputa intorno alla Storia del Settembrini, lasciata cadere come disputa su cosa di poco rilievo e fatto di una cultura ancora attardata5 .
Ed. RAI-Adda, Bari, 1978, II; Foscolo nel progetto pedagogico del De Sanctis, in Atti
del Convegno nazionale su Foscolo e la cultura napoletana, Napoli, Soc. Ed. Napoletana, 1980 e, più ampiamente, in « Italianistica » 1979, 2 e 1980, 2.
5
C. DIONISOTTI, La scuola storica, in Dizionario critico della letteratura italiana, Torino, UTET, III°, 1973. La scuola storica è anche il titolo di un recente studio di
D. CONSOLI, Ed. La Scuola, Brescia, 1979.
5
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Ma, si sa bene, i discepoli sopravanzano i maestri. E se Zumbini e
D’Ovidio e Torraca a Napoli, e Villari e De Meis a Pisa e a Firenze,
pur nelle diverse posizioni assunte, non tagliavano i legami con una
matrice filosofico-hegeliana; proprio in Firenze e a Pisa, tra il ‘70 e
1’80 e poi nei decenni successivi, si costituì e venne rafforzandosi una
tradizione di comparatistica neolatina, di studi filologici e letterari, un
metodo di ricerca che aveva i suoi maestri nel Bartoli, nei Vitelli, nel
Comparetti, nello stesso Villari e poi nel D’Ancona, Rajna, Del Lungo, Barbi.
I nomi dei maestri e dei discepoli di quella scuola, rifluiti poi nelle
università d’Italia, sono nella mente di tutti e ciò mi esime dal ricordarli.
Non era ancora una grande filologia, nel senso mo derno e « germanico » del metodo: ed anzi molti entusiasmi ed energie negli stessi
maestri risultavano disarmati di una sicura strumentazione, che sarà
acquisita solo più tardi, dai discepoli della seconda o terza generazione. Ma era la rottura con le fumosità e l’ideologismo tardoromantico. Era la ripresa, in prospettiva, con supporti scientifici e metodo
storico, di molte istanze della grande tradizione erudita tardoumanistica e settecentesca: la sola di cui i nostri maestri avessero reale
conoscenza e la sola sulla quale potessero fondarsi in attesa di assimilare i metodi della nuova filologia europea.
A quella scuola venne Zingarelli, piccolo e vivacis simo pugliese di
Cerignola, per un biennio di. specializzazione nel 1883-4, dopo una
laurea con D’Ovidio su Parole e forme della Divina Commedia aliene
dal dialetto fiorentino che il Monaci gli avrebbe pubblicato due anni
dopo negli « Studi di filologia romanza »; e vi trovò i maestri che si è
detto e conobbe tra gli scolari anche quasi tutti quelli che gli sarebbero
stati compagni nella carriera degli studi e dell’insegnamento. E da Firenze passò a Breslavia e Berlino, discepolo di Gaspary, di Tobler, di
Schwann, e fu corrispondente di Meyer e di Gaston Paris.
Un cursus, almeno a stare ai dati esterni, di alto livello, del tutto
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conforme al rigore degli studi ed alla progressione disciplinare che era
propria dei giovani d ingegno avviati alla carriera universitaria: di tutti
quei giovani-maestri nati, come Zingarelli, intorno al ‘60 e laureati intorno ai primi anni ‘80, il Renier, il Novati, con i quali sarebbe venuto
in contatto, ma con un diaframma di necessaria riverenza dovuta ad
una dismisura, di superiorità, per quelli, saliti presto in cattedra, e di
inferiorità per lo Zingarelli impaludatosi nell’insegnamento medio.
Un divario e diaframma che ritroveremo, nell’identico rapporto,
iniquo per il nostro, anche nei confronti di giovani della generazione
seguente, quali il Bertoni, il De Benedetti, laureatisi intorno al 1901,
quando Zingarelli saliva in cattedra a Palermo, eppure presto avviati
anch’essi con maggior rigore e disciplina agli studi.
Cosa era accaduto dunque ai piccolo pugliese di Cerignola per un
tal declassamento psicologico nei Confronti dei coetanei e poi dei giovanissimi leoni della moderna filologia?
Il ripiegamento, dopo gli anni in Germania, sull’insegnamento
medio era stato un grave handicap: un ripiegamento necessario per
ragioni economiche e familiari; ma quel lavoro e almeno le prime sedi, Santa Maria Capua Vetere, Campobasso, non agevolarono certo il
collegamento con gli studi e con i centri ove essi avevano dimora. Più
tardi, i licei di Ferrara e di Napoli, gli consentirono una ripresa, che
ormai non poteva essere più velocissima.
Dagli anni della borsa di studio in Germania e dalla frequentazione del
Gaspary aveva portato, oltre gli insegnamenti, anche l’impegno per la
traduzione della Storia della letteratura italiana dello studioso tedesco. La traduzione del primo volume dell’opera, portata avanti proprio
in quegli anni ingrati del primo insegnamento medio, gli procurò,
com’è noto, non poche amarezze. Innanzi tutto la relazione con il Gaspary andò deteriorandosi in seguito alle aspre critiche che il maestro
rivolgeva al suo traduttore, accusato di volta in volta di infedeltà, di
inesattezze grossolane, di scarsa conoscenza della lingua tedesca.
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Così, quella traduzione che Zingarelli aveva pensato potesse costituire un passo decisivo per un inserimento nel mondo accademico e
degli studi, diventava per lui una brutta vicenda di angustie e di critiche.
E v’era di peggio: il timore, rivelatosi poi fondato, che non gli venisse tolto di mano il secondo volume dell’opera, con gran danno e disdoro. Di qui la resistenza nei confronti del Gaspary; ma, com’è noto,
fu battaglia perduta.
Il Gaspary nelle sue lettere è implacabile e perfino collerico. E potrà farsi forte anche dei rilievi duri di non poche riviste (tra le quali il
« Giornale storico ») e di studiosi con cui fu accolta la traduzione del
primo volume 6 .
6
In alcune di queste lettere, pubblicate dal Vallone nello studio cit. Correnti letterarie e studiosi di Dante in Puglia, si parla di « grandissima negligenza », di inesattezza
nel riporto delle citazioni, di « frettolosa trasandatezza » e perfino di poca conoscenza
del tedesco: «Inoltre si vede di nuovo che Lei non conosce bene il tedesco, lavora col
dizionario, e ogni finezza le sfugge »; e si rasenta il litigio: « Pur troppo lo prevedevo
che più presto o più tardi la nostra amicizia pericolerebbe per causa di questa benedetta
traduzione, e perciò ho tentato in tutti i modi di distogliercela. Lei allora pieno d’ardore
per un lavoro di cui non sentiva bene tutte le noie e difficoltà, non ha voluto darmi retta.
Ed ora naturalmente Le dispiace di sentire da me la verità, perché è brutta ». Ed altre
cose terribili ancora, perfino nella competenza dantesca: « Ora che fa Lei, che pure s’è
occupato tanto di Dante? Mi corregge con una conseguenza mirabile il ‘Commedia’
sempre in ‘Divina Commedia’, e così io aveva continuamente a cancellare quella giunta
». Il tedesco conosceva l’italiano benissimo, e nel rivedere le bozze di traduzione forse
esagerava, nella durezza particolareggiata ed implacabile della reprimenda, come può
vedersi da quel carteggio, di cui un saggio ci ha offerto il Vallone. E Zingarelli ne era
stato mortificato e nello stesso tempo ne era stato furioso, aveva sentito la cosa come
una ingiustizia ed aveva replicato accusando il maestro di troppo amore per la sua opera. Ma il fatto dava ragione al Gaspary. Il primo volume si ebbe una accoglienza tiepida
e non mancarono le critiche anche severe soprattutto sulla traduzione italiana. Il « Giornale storico » uscì con una recensione assai dura nel fascicolo del vol. 120 del 1888; ma
anche il D’Ovidio non fu tenero, e giustamente il Gaspary poteva dire che « non mi
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3. Quell’accenno al giudizio del « Giornale storico che poteva essere stato e malevolo » secondo l’espressione del Gaspary, fu il primo
non gradevole impatto dello Zingarelli con quella che si veniva affermando fu dai primi fascicoli come la massima rivista della scuola storica. Si trattò di una recensione assai dura nei con fronti della traduzione e del traduttore, con rilievo noi di rado meticolosi e pungenti.
Insomma, l’opera di un dilettante presuntuoso e maldestro, del quale si
dimenticava il curriculum scientifico regolare per sottolineare una cura frettolosa e arruffata e non poche inesattezze ed errori anche di contenuto storico. E si auspicavi che il secondo volume gli fosse tolto di
mano, come poi avvenne, affidato, come si è detto, a Vittorio Rossi.
Zingarelli se ne amareggiò molto. Quelli, intorno all’87 erano anni
difficili per lui. La cosa poteva voler dire l’uscita definitiva da ogni
possibilità di lavoro scientifico e di reinserimento universitario.
fondo sul giudizio del « Giornale storico » che può essere malevole, né su altri giornali,
che non ho veduto nemmeno, ma solamente su quello che veggo io stesso e che dettò il
D’Ovidio, che certo non potete accusare di parzialità... » (lettera del 25-12-1887). Si intuisce un carteggio tempestoso. Zingarelli era mortificato, ma adirato nello stesso tempo. Inoltre temeva di uscire dal l’intera faccenda ancor più compromesso nella reputazione se la traduzione del secondo volume fosse stata affidata ad altri. Fece altri tentativi cercò perfino di forzare la mano adducendo ragioni editoriali. Gaspary fu irremovibile e furibondo. Decise di togliere l’incarico al suo vecchio discepolo. Consentì solo che
nei confronti dell’Editore rimanessero celate le vere ragioni del mutamento, che apparve
dovuto a rinuncia dello Zingarelli; ma anche su questa faccenda il Gaspary non fu tenero e forse non fu senza ambiguità neppure la condotta dello Zingarelli. Il tedesco come
nel suo temperamento, glielo rinfacciò con molta durezza. La traduzione passò nelle
mani di Vittorio Rossi, del quale Gaspary non mancò di mostrar soddisfazione con lo
stesso Zingarelli ribadendo il suo giudizio nei confronti dell’antico discepolo: « Voi non
eravate l’uomo per un tal lavoro; siete troppo impetuoso e impaziente, ve lo dissi sempre e se aveste seguito i miei consigli, vi sareste risparmiato alcune amarezze. Ma ora
son cose passate, e se guardando il volume forse vi annoia il pensiero che un altro l’ha
dovuto tradurre, pure gli vorrete bene per amor mio, e vi troverete dentro non poche cose aggiunte all’originale tedesco » (lettera del 6 gennaio 1891).
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E ad allontanarlo, in qualche modo, secondo la severa concezione
degli studi letterari d’allora esclusivamente identificati con la filologia, ed in gran parte con la medievistica, da quel mondo accademico e
delle riviste specialistiche era anche certa sua assidua frequentazione
con gli ambienti artistici e giornalistici napoletani, con scrittori, poeti,
critici militanti, artisti, gente della cultura viva e contemporanea, nella
cui cerchia rumorosa e cangiante veniva sfogando certi suoi umori, e
che, in qualche modo, accogliendolo ed offrendogli possibilità di discorso nei caffè, nei giornali e nelle sale di conferenze, lo risarcivano
quasi dell’esclusione dalla sfera accademica e scientifica, che egli sentiva irosamente, patendone.
Sia a Napoli, come poi a Palermo e a Roma, Zingarelli sarà frequentatore dei caffè letterari e delle redazioni dei giornali, e stringerà
relazioni affettuose con Ferdinando Russo, Di Giacomo, Pitrè, Salomone-Marino, Federico De Roberto, Ferdinando Martini, col De Bosis, Corrado Ricci, Bergamini e Pascarella.
D’altro canto, anche per indole, il vivacissimo piccolo Zingarelli,
era portato a certe forme di sdoppiamento: la severità e la passione
appartata e perfino certosina della ricerca o del lavoro, contrastava con
altre ostentazioni e forme di vita in cui si ritrovava l’umore del pugliese e del provinciale mescolato alla lepidezza napoletana e a irriducibili
orgogli di irregolare isolato.
Più tardi, in una sua prosa autobiografica, parlerà di « due vie »
che lo avrebbero portato alla comprensione dell’opera d’arte: quella
degli studi, e quella della diretta frequentazione degli artisti; complementari l’una all’altra per la interpretazione non solo del testo letterario, ma di quella matrice del testo che è la biografia dell’autore, che
sarà, com’è noto, uno dei suoi filoni di ricerca preferiti.
L’esempio delle ricerche biografiche su Dante, Petrarca, l’Ariosto,
sui trovatori provenzali, offerto da tanti suoi studi conferma questo filone d’interesse, nel quale, come sembra scorgere, l’inclinazione
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storico-positivista per la ricerca documentaria s’incontra e avrebbe
dovuto fondersi, nelle intenzioni dello studioso, con una valutazione
d’ordine estetico postulata da un interesse mai venuto meno in lui per
le cose dell’arte e per la particolare dimensione in cui si muovono gli
artisti.
Naturalmente l’equilibrio tra i due poli d’orientamento non era facile e Zingarelli non sempre riuscì raggiungerlo; ed inoltre la sua ricerca tendeva ad accumular materiali che poi non gli riusciva di scartare che facevano ingorgo e disperdevano o confondevano li linea del
disegno interpretativo. Come sarà per il primo mastodontico Dante,
del 1902, vera e propria enciclopedia dantesca, ma disordinata e senza
una struttura come d’altro canto non poche opere degli studiosi della
scuola storica, più adatti al taglio del contributo che non alla sintesi
dell’opera complessiva7 .
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Il carteggio e la relazione con il Barbi possono costituire la misura oltre che del
divario di statura critica tra i due studiosi, anche di questi dismisure e dispersioni erudite
dello Z., e della difficoltà ch’egli avevi a stringere in un discorso unitario, intorno a temi
essenziali e portanti tutto il discorso. La monografia su Dante, nella prima e nella secondi edizione, risulta indicativa dei caratteri e dei limit i di una tal forma d ricerca che
caratterizzò lo svolgimento dello studioso pugliese, e chi contrastava con i metodi della
nuova filologia, mentre rimaneva del tutto riprovata dalla critica estetica.
In tal senso anche il rapporto con il Croce, assai limit ato nel tempo e nella entità e
contraddistinto da freddezza e insofferenza dall’una parti e dall’altra, può essere rivelatore della dislocazione tutt’altro che felici e sicura dello Z. sia nei confronti della vera
filologia che nei confronti della critica d’indirizzo estetico. E può esser significativa una
letterina del giovane Croce in cui il filosofo, chiedendogli chi avesse trattato d proposito
la interpretazione dei versi danteschi Io mi son un che quando etc., aggiungeva: « Vedo
che nel vostro Dante non siete giunto a trattari la poetica dantesca ». (18-1-1901): con
invito sottinteso a venire al dunque dopo tanti preamboli eruditi. Ma com’è noto, sarebbe stata attesa vana ed il Croce stesso avrebbe poi scritto accennandone appena sull’«
Antologia » che « la non meno vasta e dotta monografia italiana dello Z., in vece dello
studio estetico della poesia dantesca, offre una classificazioni degli affetti e degli oggetti
che Dante ha rappresentati, e spogli filologici delle sue figure retoriche, e altrettali cose
»; provocando naturalmente il risentimento dello Z. che peraltro se ne lamentò solo con
gli amici
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In Zingarelli però un tal ingombro ed affastellamento di materiali
eterogenei nasceva da una sua intima natura e connaturata irriverenza
per le regole e i dogmi delle scuole; tenne sempre, infatti, a dichiararsi
seguace di studi « liberi e franchi », non senza una punta d’orgoglio,
ben comprensibile per la lunga emarginazione patita.
E v’era, inoltre, e sarebbe stato sempre più negli anni, a nuocergli,
l’ingombro di un equivoco di orientamento metodologico, le cui cause, spesso, non erano da ricercare se non in una sua « irregolarità » e
farragine connaturata, orientato com’era verso la neolatina e la comp aratistica medioevale con ampiezza e acume di ricerca ma senza precisione e rigore di metodo; e, per contro, interessato ai problemi della
valutazione estetica senza avere peraltro canoni precisi di riferimento.
Tenuto in sospetto, negli ambienti della ortodossia storico-erudita
quali erano Firenze e Torino, per certa sua origine e filiazione « napoletana », senza ch’egli fosse assolutamente partecipe di quella fruttuosa eredità, vide accresciuti i sospetti negli anni per certe sue aperture
d’interesse meramente esteriori nei confronti delle posizioni estetiche
del crocianesimo, senza peraltro ch’egli avesse assimilato una sola riga di quel pensiero (ed il suo Dante 1902 e 1931 lo dimostra).
Dall’altro canto, da crociani e neodesanctisiani era considerato un perfetto estraneo. La sua posizione, in realtà, era vicina ai filologi eruditi,
ma con qualche scostamento e non poche confusioni.
Insomma, non era D’Ancona né Renier, e non era, men che mai,
un crociano né uno storicista meridionale; era in sospetto agli uni e agli altri; ai primi soprattutto, ai quali era vicino; e prendeva colpi da
tutti, tanto più in un’epoca in cui le scuole ergevano steccati e gettavano fuoco greco su nemici e transfughi, anche quando essi erano solo
presunti.
Risulta così assai utile la conoscenza del carteggio zingarelliano con il Barbi che la
Prencipe Di Donna pubblica in questi giorni (N. Z. Carteggi, Foggia, Apulia, 1979), insieme alle lettere al Pascarella e di alcuni altri studiosi allo Z.
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Ma ne assestava anche, di colpi, con le sue recensioni puntigliose,
nutrite di una erudizione smisurata che intimoriva gli interlocutori.
Gli anni ingrati dell’insegnamento medio, intanto, trascorrevano
veloci; il piccolo operoso pugliese risaliva la china con le sue recensioni e gli studi su riviste dantesche e di studi romanzi. Nel 1896 prese
la libera docenza con il sostegno del suo maestro D’Ovidio. I suoi articoli (pubblicati soprattutto sul « Bullettino della Società Dantesca Italiana » per invito del Barbi, e sulla « Rassegna critica della letteratura italiana » da lui fondata a Napoli con il Percopo) riscuotevano consenso, anche se non ammirazione. Zingarelli ha la sensazione che potrà risalire la china e conquistare la cattedra che ritiene gli sia dovuta.
Nello stesso anno 1896 tenta il concorso bandito da Pavia, ma con
risultato negativo.
Il Novati, peraltro, che sarà poi suo patrocinatore nella carriera e
cui succederà nell’insegnamento a Milano, gli scrive con espressioni
incoraggianti, in qualche modo quasi una promessa per l’immediato
futuro: « Capisco molto bene come la riuscita di quel concorso non sia
stata tale da renderla soddisfatto; ma Ella può tuttavia esser certo che
il verdetto della Commissione non fu dettato da alcun malevolo sentimento verso di Lei; ma rappresentò, a dir così, la somma del rammarico che i commissari risentivano perché Ella avesse abbandonato —
almeno in apparenza — quegli studi ai quali s era rivolto dapprima
con ardore e sotto lieti auspici. Io mi rallegro nell’udire da Lei ch’ella
ha interpretato il giudizio come voleva essere interpretato; vale a dire
come un eccitamento a fare, e non dubito ch’ella potrà in breve dar
occasione ai suoi giudici di ritornare sulla loro sentenza; il che tutti faranno, amo crederlo, con pronto compiacimento ».
Vincerà, con il sostegno del Novati, il concorso per la neolatina
bandito da Palermo e salirà in cattedra nel 1902.
13
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
4. Ma sarà bene tornare al rapporto tra Zingarelli e il « Giornale »
ed i suoi direttori e redattori: un rapporto contraddistinto nel tempo da
una estrema civiltà e perfino cordialità oltre che stima a livello personale ed epistolare, contraddette peraltro da prese di posizioni recensorie e critiche della rivista (e dunque dei suoi direttori e collaboratori)
non sempre benevole e non di rado contrarie alle affermazioni di consenso ed ammirazione di certa corrispondenza.
Dei tre fondatori e poi direttori del « Giornale », nel fondo zingarelliano cui accennavo non vi sono lettere del Graf.
D’altro canto il rapporto dello Zingarelli con il « Giornale » non
risulta esser stato precoce; quando esso accenna ad instaurarsi, nei
primi anni del ‘900, Graf aveva già ceduto da un pezzo il peso della
rivista agli altri due colleghi, soprattutto alle solide spalle del Renier
che la sorreggevano dal ‘90, dopo il crescente disimpegno del Novati.
Renier, come moltissimi uomini di cultura e d’insegnamento
dell’Italietta tra Otto e Novecento, e poi via via fino a questi nostri anni di corrispondenza telefonica più che epistolare, scriveva quasi sempre su cartoline postali: e scriveva schietto, preciso, funzionale.
Era uomo rigoroso, come si sa, lavoratore eccezionale, autorevole,
circondato da universale stima ed ammirazione; reggeva il « Giornale
» con uno stile di perseverante fermezza, temperato da un tratto di naturale cortesia senza affettazione.
Il gruppo delle missive conservate, in numero di 17 (ma dovettero
essercene altre), vanno dal 1901 al ‘09, che sono poi gli anni della
prima modesta collaborazione di Zingarelli al « Giornale » ed i più
importanti della sua carriera accademica: il concorso di Palermo vinto,
lo straordinariato, l’ordinariato, la possibilità, poi sfumata, di passare a
Bologna o a Genova.
Ma il Renier parlava poco di queste cose, assai meno del « padrino
» Novati. Inoltre, sebbene facesse parte di tutte le commissioni di neolatina e fosse autorevolissimo, mostrava di mantenersi lontano
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______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO »
dalle grandi manovre concorsuali verso le quali ostentava una olimpica superiorità. E però i suoi giudizi avevano peso, proprio perché erano fondati sulle cose della scienza e quasi per nulla sulle ragioni del
sentimento o del partito preso.
Nella commissione di quel concorso di Palermo avrebbe dovuto
esserci anche lui, e lo Zingarelli doveva avergli scritto le cose che si
scrivono in questi casi, inviandogli i suoi lavori. Poi Renier si ammalò
e non poté partecipare ai lavori della commissione. Ma scrisse informandone lo Zingarelli e non gli fece mancare il conforto del suo
giudizio:
« Non dubito del resto, che la vittoria sarà sua, qualunque possa
essere la commissione. Ciò parmi conforme a giustizia, come già
scrissi al Novati, perché ella in questi ultimi anni ha lavorato assai ed
ha sempre migliorato la sua produzione critica ».
La « macula » dell’abbandono degli studi e del « traviamento »
giovanile, veniva ricordata, come già aveva fatto Novati
nell’occasione di Pavia; anche se questa volta per rimarcare un riscatto
quasi compiuto.
Al Renier Zingarelli, ormai in cattedra a Palermo, chiede che intervenga presso il Loescher per una eventuale ristampa del suo primo
volume della Storia del Gaspary al quale avrebbe voluto apportare
miglioramenti. Ma la ristampa, per il momento, non si presenta necessaria. E il Renier, dandogliene notizia con la risposta dell’editore, aggiunge:
« Per parte mia questo posso dirle. Se la Casa chiederà il mio parere, mostrerò per Lei, quella sincera stima che ho realmente da questi
anni; malgrado le distrazioni dell’insegnamento medio, Ella ha fatto
molto cammino. Ad una seconda edizione del Gaspary Ella potrebbe
accingersi con ottima preparazione ed anche nella forma darà al libro
quell’aspetto che meglio corrisponde all’invidiabile scioltezza del testo tedesco ».
Era una maniera elegante e ferma nello stesso tempo per ribadire il
giudizio negativo espresso dal « Giornale » a suo tempo su quella tra-
15
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
duzione (al quale giudizio il Renier stesso, nell’86 non ancora direttore ma redattore e fondatore del « Giornale », non poteva non aver sottoscritto), di indicarne ancora i punti deboli, ma di auspicarne la revisione nella fiducia della accresciuta esperienza del traduttore. Per non
dire della menzione dell’antica « macula » dell’insegnamento medio,
indelebile anche quando cancellata o in via di cancellazione, agli occhi
di un « regolare » come era Renier.
Frattanto, proprio in quei mesi, era imminente la pubblicazione
dell’attesa monografia su Dante.
Renier se ne dichiara desideroso, ed intanto non esita a riconoscere
che « Ella si è accinto ad impresa difficilissima e potrà compiacersi di
aver dato all’Italia la prima opera d’insieme sul sommo poeta, che corrisponda agli studi progrediti » (lettera del 6/1/’03).
Il Dante di Zingarelli uscì, nella sua prima edizione nel 1903, dopo
essere apparso in dispense dal 1898 al 02, e confermò la sua natura,
già rivelatasi di fascicolo in fascicolo, di vera e propria enciclopedia
dantesca, forse farraginosa e certamente piena di infinite minuzie, corriva all’orientamento più esteriore degli studi della scuola storica, priva di una linea unitaria di sviluppo e forse senza un’idea centrale; ma
utilissimo testo di riferimento e quasi « libro da indice » per tutti gli
studiosi che in un modo o nell’altro ebbero a farvi i conti.
Il Renier, ricevutane una copia, ne affidò la recensione a Luigi
Rocca e ne dava comu nicazione allo Zingarelli, prevedendone la pubblicazione nel « Giornale » in un fascicolo dell’annata 1905 (come poi
puntualmente avvenne), assicurandolo nel contempo in risposta ad una
sua maggior premura, che « non sarà troppo tardi perché di quel volume non si può parlare a cuor leggero » (cart. del 30/10/04). Frattanto
lo esortava a collaborare al « Giornale » e agli « Studi medievali » la
nuova rivista da lui fondata con il Novati.
Questa recensione non riuscì gradita allo Zingarelli che se ne amareggiò a lungo. Ne aveva avuta una dal Barbi sul « Bullettino » nella
quale il grande maestro, pur non lesinando critiche e rilievi particolari
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_____________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL « GIORNALE STORICO »
e nel far rilevare pregi e manchevolezze, non tralasciava dal segnalare
il poderoso sforzo di scrivere un volume sintetico e aveva concluso affermando « che nel complesso l’opera è buona e la critica non deve ritardare all’autore la lode che si merita » 8 .
Rocca, invece, nel « Giornale » era stato più esigente; i suoi rilievi
erano puntigliosi e penetranti, più sul versante dei difetti « che, purtroppo, non mancano, anzi sono parecchi e gravi, e danno nell’occhio
più facilmente che i pregi ». E ne indicava i « capitali difetti » nel disegno e piano dell’opera, in cui s’è voluta separare la trattazione della
vita da quella degli scritti; la qual cosa se permise di approfondire
questioni particolari, « obbligò peraltro ad inutili ripetizioni e ad uno
smembramento della materia, tanto più deplorevole quanto più intimamente congiunte sono la vita e gli scritti di Dante ».
Ma non si faceva a meno, nell’enumerare gli altri difetti, di sottolineare « una grande ineguaglianza di esecuzione, trattazione talvolta
eccessivamente lunga e minuta, talaltra troppo lesta e schematica, nella forma stessa che, ordinariamente trascurata, varia da una pagina
all’altra e giunge alle volte a un grado inesplicabile di rilassatezza »;
ed ancora: una quantità di piccole inesattezze, di sviste, di citazioni
sbagliate o incomplete, errori di stampa, dimenticanze e semplici irregolarità che offendono l’attento lettore 9 .
La conclusione, come molti anni dopo scriverà il Cian, era che il
Rocca considerava l’opera « ancora in fieri e ne aveva raccomandato
la compattezza » auspicandone quanto prima il rimpasto.
Ma le espressioni con cui Rocca esprimeva un tale concetto erano
8
La recensione del Barbi si può leggere in «Bullettino della Società dantesca italiana » XI, 1904, pp. 1-58, e nel vol. Problemi di critica dantesca, Firenze, Sansoni, 1934.
9
La recensione del Rocca si legge nel vol. 460, 1905 del « Giornale storico della
letteratura italiana », pp. 136-176.
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MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
più dure di quanto Cian avesse voluto ricordare; e assai più duro
l’articolo che vi si concludeva.
Zingarelli ne era stato assai amareggiato, e se ne sfogava con gli
amici. Arturo Farinelli, che non aveva molta simpatia per i sacerdoti
regolari della scuola storica, lui anima di girovago e di artista, oltre
che di filo. logo e di critico, e dunque in qualche modo vicino a Zingarelli, anche per certa stessa tendenza all’accumulo del materiale di ricerca e difficoltà nell’ordinarlo in disegno comp atto, gli scrisse, scusandosi di non aver recensito il volume dantesco e dolendosi per la recensione di Rocca « calcata in modo davvero infantile su quella di
Barbi, poco utile, poco giusta ed è peccato che sia stata accolta nel «
Giornale ». Quel bravo sacerdote poteva spacciare altrove la merce
sua ».
Ma questa storia delle recensioni all’opera zingarelliana nel «
Giornale » non era alla prima amarezza, e non sarebbe stata quella
neppure l’ultima.
Dopo le dure osservazioni alla traduzione della Storia del Gaspary,
di cui si è detto, il « Giornale » nel suo fascicolo autunnale del voi.
300, 1897 (pp. 328-29) aveva recensito brevemente l’articolo di Zingarelli su La personalità storica di Folchetto di Marsiglia nella Commedia di Dante. Se ne lodava la dottrina, lo studio analitico, ma si sollevava qualche riserva, a mio avviso di rilevante importanza, non tanto
in sé, quanto come spia di un atteggiamento e di una dislocazione nei
confronti non solo di un certo tipo di lavoro dello Zingarelli, ma soprattutto delle sue matrici culturali e di gusto letterario.
« A qualche lettore — notava il recensore — sembrerà che intorno
al soggetto siano qui spese parole più del necessario; né a tutti garberà
il modo come le notizie sono disposte, né quel carattere di variazioni
sul tema che da qualche tempo vengono assumendo gli scritti critici di
alcuni letterati meridionali. Troverà qualcuno che se una simile maniera di scrivere di erudizione riesce assai bene, talora persino mirabilmente, a qualche reputato maestro, non tutti i discepoli possono avervi
18
______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
acconcia la penna e abbastanza disciplinato lo ingegno ».
La nota, come tante altre di indicazioni ed annunzi bibliografici,
non era firmata. Ma lo stile sembra essere di Renier. D’altro canto
quasi tutte le note prive di firma o di sigla si ascrivono a lui, negli anni
della sua direzione. E l’osservazione era, nel merito, irreprensibile,
soprattutto per quanto atteneva alla scrittura disordinata dello Zingarelli che non poteva riuscire in quelle variazioni sul tema in cui altri
riusciva. E l’allusione alle suggestioni desanctisiane ed estetizzanti
ancor vive in D’Ovidio e in Torraca era trasparente, e perfino, nella
stoccata, diplomaticamente riguardosa. Ma la cosa che risalta è proprio quella freddezza del maggior sacerdote del tempio torinese della
scuola storica, nei confronti dei residui di quella cultura critica meridionale guardata con condiscendenza e ristretta a prove di bello stile, a
piacevoli variazioni sul tema con spreco di parole ed ornamento di
svolazzi, come non pochi — bisogna dire — s’eran ridotti a fare.
Sarà inutile dire che quella cultura era stata ben altro, con i suoi
maestri e dis cepoli; e proprio i torinesi, per aver avuto ospiti molti esuli di quelle parti, lo sapevano bene. Ma i tempi erano mutati; anche
se di lì a poco, con Croce e Gentile, essa avrebbe preso nuova forza
per contestare l’egemonia degli eruditi e dei filologi.
Intanto il povero Zingarelli ne pativa, anche se non senza ragioni
ascrivibili alla sua farragine e dismisura, ma non solo per quelle; così
la « macula » di un peccato originale gli rimaneva addosso e non accennava a cancellarsi nella reputazione dei sacerdoti del tempio.
Ma Renier era galantuomo.
Nel 1899 Zingarelli aveva ripubblicato il suo Falchetto, con non
poche modificazioni. E puntualmente una noterella non firmata appariva nel « Giornale » (vol. 340, 1899, p. 424) con espressioni di compiacimento per aver l’autore tratto profitto dalle discussioni e critiche
19
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
sollevate dalla prima edizione; con questa giunta sintetica ma eloquente: « Così va fatto ».
Altre brevi segnalazioni di scritti zingarelliani, tra il 1900 ed il
1904, rimarcano la solita diligenza di ricerca ed erudizione ampia.
Ma nel 1903 ( Zingarelli era già in cattedra a Palermo) una nuova
stoccata: breve recensione non firmata al Documentum liberalitatis,
un lavoro su testi francesi antichi, provenzali ed italiani, che aveva
avuto calorosi giudizi e ringraziamenti epistolari da molti. Ma il «
Giornale » non tralascia di notare con una punta di durezza: « Nocque
allo Zingarelli non essersi curato di quello che fu già scritto da diversi
sulla liberalità nel Medioevo francese. Pare che sia rimasta ignota (o
almeno non la menziona mai) persino la stessa grande e classica opera
di Alwin Schultz, che per ogni indagine intorno alla storia del costume
nell’età di mezzo è veramente fondamentale. » (Vol. 42, anno 1903,
2° semestre).
Ma dal Renier gli venivano anche sollecitazioni ad una collaborazione al « Giornale » e agli « Studi medievali », la nuova rivista da lui
fondata con Novati.
Forse è restrittivo pensare che quel poco di collaborazione zingarelliana alle due riviste, per ripetuta sollecitazione dei due direttori
coincidesse con l’anno 1906, che fu anche quello tra la prova di ordinariato dello Zingarelli, e l’occasione di passare a Bologna o a Genova
(ed anche per questo i sostegni erano indispensabili). Ma è un fatto
che dopo tale data la collaborazione s’interruppe.
Lo Zingarelli, intemperante com’era, commise perfino l’errore,
una volta spedito l’articolo degli Appunti lessicali danteschi, di sollecitarne la pubblicazione, certamente in quanto premuto dalle scadenze
dell’ordinanato, ricevendone un cortese ma fermo diniego: « subito
non mi è possibile inserirli; ma ritengo che nel fascicolo autunnale potranno entrare. Abbia pazienza, giacché il “Giornale” è sempre molto
occupato ».
20
______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
Ma poi l’articolo uscì in tempo per l’ordinariato10 .
E quando si trattò di sostenerlo per il passaggio a Bologna (andato
in porto, com’è noto, sia pure con molte difficoltà, ma poi revocato
dal Ministro, « non essendo la cattedra per ordinario »), gli chiedeva
di esserne informato ed aggiungeva: « A Bologna si tratta di fondare
l’insegnamento di neolatina che in verità non vi fu mai, tanto che non
hanno idea di quel che sia la materia nostra né i professori, né gli scolari. Sarebbe desiderabile che Ella ci andasse ».
Renier, il galantuomo che non aveva peli sulla lingua e sapeva dire
le cose giuste al momento giusto.
Renier poteva chiedergli con vivace entusiasmo una recensione per
la Vita Nuova di Barbi: « Mi dica. Le spiacerebbe di fare per il “Giornale” una recensione della Vita Nuova del Barbi? Ne avrei sincero
piacere, perché a me ormai il tema è venuto a noia. Mi dica si, se può,
e lasci che nella sua « Rassegna » ne parli altri. Me ne scriva qui, la
prego. A me basterebbe ricevere l’articolo in gennaio o giù di lì ».
Per Barbi non poteva dire di no, né menar la cosa per le lunghe. La
recensione uscì l’anno appresso, nel volume 52° 1908, 2° semestre
(pp. 202-210).
La sua « Rassegna » questa volta poteva aspettare.
10
« Giornale storico della letteratura italiana o, voi. 480 (1906), pp. 368-380. Il Renier si mostrava interessato alla sua pubblicazione sui Canzoniere di Dante: « questa
pubblicazione m’interessa immensamente e desidero assai di averla. Io stesso poi me ne
occuperò ». Ma sul « Giornale » non apparvero recensioni a riguardo.
Renier ebbe parole di sdegno e di solidarietà per gli attacchi denigratori di cui Zingarelli era stato oggetto da parte del Cesareo, suo terribile collega in Palermo, in alcuni
articoli della « Rivista d’Italia o, (si tratta della recensione di G. A. Cesareo al Dante di
Z.: L’ultimo Dante, in « Riv. d’Italia », 1906, fasc. 6, pp. 913-931) forse sferrati in concomitanza del ventilato passaggio a Bologna per una manovra di sbarramento accademico.
« Restai addolorato e indignato pei violenti articoli contro di Lei sulla « Riv.
d’Italia ». La ingiustizia, l’arroganza, l’insensatezza di questi articoli ne annullano ogni
valore agli occhi del pubblico serio o. Analoghe espressioni di stima e di solidarietà gli
scrisse il Rajna (lettera del 9-6-1907).
21
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
5. La relazione con il Novati, riccamente documentata
dall’epistolario di questo fondo, ed estesa per tutto l’arco 1896-1915,
non riguarda direttamente il « Giornale » né l’ambiente torinese (Novati, com’è noto fu professore in Milano), riferendosi piuttosto ad una
serie di rapporti accademici e di studio di non poco interesse generale
e particolare.
Essa tra tutte è la più continua ricoprendo, con le missive conservate in questo fondo tutto il periodo dal 1896 al 1915, fino a pochi
mesi dalla morte del maestro-collega del quale lo Zingarelli avrebbe
occupato la cattedra succedendogli nell’Accademia milanese. Zingarelli era quasi coetaneo del Novati, come lo era quasi del Renier: solo
qualche anno, anagraficamente, li divideva; ma ciò che costituiva la
distanza e poneva lo Zingarelli nelle condizioni del discepolo o quanto
meno, almeno nei primi tempi, del magister additus, non erano quei
due o tre anni di età, ma quei quasi vent’anni che il Renier ed il Novati
avevano potuto non trascorrere nell’insegnamento medio e che potevano ora vantare di anzianità accademica, oltre che di autorità scientifica.
Il Novati poi, non solo nei primissimi anni della loro relazione, ma
in ogni fase successiva, per la sua autorevolezza, per le cariche ricoperte, per la direzione delle riviste, dall’e Archivio storico » agli «
Studi medievali » allo stesso « Giornale storico », per la direzione di
importanti collane editoriali, per la presidenza o vicepresidenza di sodalizi famosi e benemeriti come la Società storica lombarda », la «
Società bibliografica italiana », il « R. Istituto lombardo di scienze e
lettere », la e Deputazione di storia patria per le antiche provincie e la
Lombardia », la « Società etnologica italiana », la e Società nazionale
per la storia del Risorgimento » etc., e soprattutto per le sue molte aderenze ministeriali ed accademiche, si offrì in veste di mentore e protettore dei quasi coetaneo professore che saliva con qualche ritardo gli
scalini della carriera.
Dallo scorcio del secolo, fino al ‘15 non vi è avvenimento importante della vicenda accademica e dell’attività scientifica dello Zingarelli che non trovi il Novati in veste di consigliere sagace e di sostenitore.
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______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
Certo la sua attività era largamente incentrata nella Milano tra i
due secoli, protesa a riconquistare un suo ruolo di capitale culturale e
nello stesso tempo imprenditoriale e a differenziarsi per questa strada
anche da Torino, rimasta più periferica, anche se la sua università poteva dirsi la roccaforte di quel metodo storico che li univa tutti, non
solo i letterati, ma gli storici, i filosofi, gli scienziati. D’altro canto,
com’è noto, il « Giornale » era nato dai discorsi dei giovani Graf, Renier e Novati a Firenze, alla scuola del Bartoli e del D’Ancona, anche
se poi divenne gloria e patrimonio torinese. In fondo una fede ed uno
spirito di scuola li teneva tutti uniti, al disopra della rivalità e delle dispute accademico-scientifiche. Si riconoscevano tutti, nelle diversificazioni ed ammodernamenti che gli anni avevano imposto, nell’antico
ceppo di Villari, D’Ancona, Comparetti, Bartoli, Rajna; avevano in
quegli ultimi vent’anni conquistato la cultura e l’università italiana. E
proprio al Novati il Renier poteva dedicare un suo ritratto con la dedica significativa e al compagno di battaglia e di vittoria », secondo la
testimonianza del Benedetto, giovane caro al Renier che ne seguiva
con ammirazione i progressi e la precocità sorprendenti11 .
Certo Novati era a Milano, come altri erano a Napoli, a Pavia, a
Roma, a Bologna, a Firenze, a Pisa, ed altrove, nei punti chiave del dispositivo accademico italiano, a governano e regolano affinché esso si
identificasse sempre più con e la scuola » e fosse esso stesso e scuola
»per la quale era giusto allevar giovani come il Benedetto, e recuperare studiosi valenti come lo Zingarelli, che si facessero onore « e facessero onore alla nostra scuola (la frase è di Renier in una cartolina allo
Zingarelli). L’orgoglio della scuola sopravvisse anche nella sua lunga
decadenza.
11
Si può leggere nella prolusione di L. F. BENEDETTO, Ai tempi del metodo storico, tenuta all’Università di Torino nel 1951, ora nel vol. Uomini e tempi, Milano - Napoli, Ricciardi, 1953.
23
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
Studioso di infaticabile attività, di grandissima onestà intellettuale
e morale, scrittore e parlatore brillante, polemista vivace e qualche
volta ostinato nella difesa del suo punto di vista, il Novati, studioso
dell’umanesimo tre-quattrocentesco e del Salutati, era però anche lo
studioso delle origini, dei provenzali e di Dante, filologo romanzo oltre che cultore di studi francesi, non solo medioevali, e basterà citare i
suoi lavori su Stendhal.
Il suo rapporto con lo Zingarelli, nel corso di tanti anni, rimane
semp re sereno, improntato a stima, benevolenza e poi ad affettuosa
amicizia, senza scatti d’umore, senza esagerazioni o effusioni eccessive; il « lei » rimane fino all’ultimo, come con il Renier; ma era lo stile
degli uomini d’allora, più contegnosi di quanto non s’usi fare (non so
con qual vantaggio) tra conoscenti oggidì12 .
12
La prima lettera di questo fondo, del Novati, è del ‘96, in risposta ad una dello
Zingarelli allora professore al liceo « Genovesi » di Napoli. Vi si legge delle premure
esercitate dal Novati nei confronti del Vallardi affinché fosse affidato allo Zingarelli il
volume su Dante che poi uscirà in fascicoli dal ‘98 al 02, nella vallardiana Storia letteraria «a cura di una società di professori ».
In effetti il Novati scrisse al Renier affinché sollecitasse il Vallardi all’ « osservanza delle sue promesse », stante il fatto che «i miei rapporti col cav. Cecilio sono in questo momento così poco amichevoli che io non ho nessuna voglia di scrivergli » (cart. del
12-6-98).
Si fa riferimento inoltre al tentativo andato a vuoto dello Zingarelli nel concorso per
la cattedra di Pavia. Un risultato che non deve scoraggiarlo essendo la intenzione della
commissione di attendere ancora che i suoi studi si consolidassero prima di chiamarlo
all’insegnamento di ruolo. Novati trova modo di dirgli la cosa con sobrietà, distacco ed
incoraggiamento: « In quanto al concorso di Pavia io non gliene scrissi quand’Ella me
ne chiedea per non dare origine a discorsi, i quali avrebbero finito per lasciar il tempo
che trovavano. Capisco molto bene come la riuscita di quel concorso non sia stata tale
da renderla soddisfatto; ma Ella può tuttavia esser certo che il verdetto della Commissione non fu dettato da alcun malevolo sentimento verso di Lei; ma rappresentò, a dir
così, la somma del rammarico che i Commissari risentivano perché Ella avesse abbandonato — almeno in apparenza — quegli studi ai quali s’era rivolto dapprima con ardore e sotto lieti auspici. Io mi rallegro nell’udire da Lei ch’Ella ha interpretato il giudizio
come voleva essere interpretato; vale a dire come un eccitamento a fare e non dubito
ch’Ella potrà in breve dar occasione ai suoi giudici di ritornare sulla loro sen24
______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
Quegli anni di straordinariato furono anche di lavori intenso per
Zingarelli, Qualcuna delle sue cose, come si è visto andava al « Giornale »; ma più spesso a « Studi medievali » cui lo sollecitava il Novati, ed alla napoletana « Rassegna » che in qualche modo sentiva più
sua. E poi, naturalmente, l’« Archivio glottologico » il « Bullettino
dantesco » e via dicendo.
tenza; il che tutti faranno, amo crederlo, con pronto compiacimento ». Una cartolina del
12-4-1898 contiene suggerimenti e osservazioni intese a render più compatto l’ormai
compiuto lavoro dantesco di imminente pubblicazione: « Egregio professore, son contentissimo ch’Ella abbi riconosciuta la opportunità di restringere alquanto que’ capitoli
proemiali e vado certo che la compagine del lavoro ne diverrà più vigorosa. E anche rispetto alle note, creda pure che farebbe ottima cosa raggrupparle insieme per ogni capitolo; il Rossi ha fatto così; ed anzi ha stese le note ad opera finita; in questo modo è rimasto padrone di citar i vari lavori colà dove gli tornava più comodo. E così conto di fare ancor io ».
Un consiglio che sarebbe potuto valere per tutta l’opera e la vita dello Z., e di cui
non sempre questi seppe tener conto.
Entra poi nel merito di una osservazione fatta dallo Zingarelli all sue Noterelle dantesche circa Francesco da Buti, mantenendo il suo punto di vista e chiarendo la specificazione colta di quel commentatore, passato dal commento degli antichi, Valerio Massimo, Persio o Seneca, ai occuparsi di un poeta volgare.
La corrispondenza di quegli ultimi anni del secolo ci mostra un Novati che si lamenta delle sue molte occupazioni (sarà un leitmotiv di quasi tutti gli incipit della corrispondenza), chiede scusa dei ritardi nelle risposte, registra l’intensità e la qualità del lavoro dello Zingarelli, vera mente senza soste in quegli anni precedenti il concorso di Palermo, sia nel suo filone provenzale che in quello francese ed alto-italiano, oltre che
dantesco.
Questa volta, con il sostegno di Novati e degli altri, e per merito d quel suo prodigioso lavoro di recupero, risulterà vincitore. Ma la soddisfazione della vittoria verrà attenuandosi per certe accoglienze palermitane, dove pure aveva trovato colleghi valenti
che gli saranno affettuosamente vicini, come il Gentile.
Il filosofo siciliano gli scrisse infatti una lettera che merita di esser ricordata:
« Castelvetrano 15-3-1908. Ho appreso con molto ritardo, e per caso la tua vittoria
nel concorso di Bologna; e mentre mi rallegro sincera mente e cordialmente della bella e
e meritata e opportuna soddisfazioni che hai avuta, devo anche esprimerti un senso di
non meno sincero i cordiale rincrescimento pel sospetto che l’importanza dell’università
e i fastidio delle tante noie sofferte a Palermo possano indurti a lasciare la nostra Facoltà, nonostante la difficoltà dello straordinariato. Intendo che tu devi unicamente consi25
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
Le cartoline dell’amico-maestro di quegli anni contengono esportazioni, ringraziamenti, indicazioni e sollecitazioni di bozze. La nuova
rivista « Studi medievali era stata fondata dal Renier e dal Novati, ma
era in gran parte sulle spalle di quest’ultimo, come il « Giornale » era
su quelle del primo. I primi fascicoli tengono impegnato il direttore,
che ne parla come di una creatura ai primi passi, chiede abbonamenti,
collaborazione, consensi, pareri.
Ma non mancano riconoscimenti, pur nel gran daffare, per il gran
lavoro dello Zingarelli.
« Il documentum liberalitatis è bel documento — mi permetta il
bisticcio — della grande padronanza che Ella possiede della vita e del
pensiero provenzale. Mi auguro che Ella faccia altri studi dello stesso
tipo: essi riusciranno utili agli studi e Le faranno onore ».(cart. del
21/3/03).
gliarti con gli interessi futuri della tua carriera d’insegnante e di studioso; e temo appunto per ciò di dover perdere quanto prima la tua compagnia. Ma desidero che tu creda,
che in Palermo lasceresti in me uno degli amici più affezionati e uno dei colleghi che
sentirebbero di più il tuo allontanamento [ ...] G. Gentile
Un’eco di questa situazione palermitana si coglie in una lettera del Novati di
qualche anno dopo, del 06, (« Quanto Ella mi ha detto nell’ultima sua riguardo agli att riti che hanno luogo nella Facoltà sua, non m’è stato cagione d’alcuna meraviglia. Conosco abbastanza il professore di lettere italiane dell’università di Palermo [il Cesareo]
per immaginarmi ch’egli non doveva aver preparato al suo collega di neolatina un letto
di rose ». Lo Zingarelli, anche per rendere più urgente e necessario il suo passaggio ad
altra facoltà (allora appunto sfumava l’occasione Bo logna) ed averne l’appoggio del
Novati, forse esagerava nel, rappresentare quelle contrarietà e l’ostilità del Cesareo nei
suoi confronti.
Ma Novati con molt a filosofia aggiungeva « Ma dal più al meno, tutto il mondo è
paese ed i prepotenti e vanagloriosi non mancano in nessun luogo. Il peggio è quando
alla prepotenza si accoppia il valore scientifico! Allora la vita è dura. Ella può credermi
in parola: Ella non ignora certo la lotta ventennale che ho sostenuta io qui. Ma il Cesareo? non è uomo che debba in fondo esserle capace di preoccupazioni Ad ogni modo
penso bene che ella preferirebbe essere lontano ». E gli proponeva Genova, ove forse si
sarebbe reso vacante un posto per il passaggio del De Lollis a Roma. « Certo Genova
non è Bologna, ma meglio di Palermo. Cosa ne pensa? ».
Lui, Novati, vent’anni prima era passato appunto da Palermo a Genova, prima di
approdare a Milano.
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______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
Ma il giudizio più categoricamente positivo riferendosi ad un suo
contributo agli e Studi » lo aveva pronunciato Renier, ed il Novati lo
confiderà all’amico, sicuro di fargli il più gran piacere: « Il Renier ha
trovato il suo lavoro ‘eccellente’, ed aggiunge: ‘Parmi che abbia
un’importanza superiore al soggetto specifico, perché addita la via che
la critica deve battere per rendersi conto del valore reale delle biografie trovadoriche’. Credo che questo giudizio le farà piacere ». (cart.
del 20/7/1905)
Con tali garanti sottoporre la sua produzione al vaglio della commissione per l’ordinariato era andar a colpo sicuro, anche in tempi in
cui quel vaglio era severissimo, sovente puntiglioso, ed era campo,
non di rado, della fiera guerra delle scuole.
Lo Zingarelli ebbe anche qualche apprensione, e non mancò qualche rilievo, come gli racconta il Novati. Ma era ben sostenuto e la sua
opera era solida e varia.
Insomma, prova superata con pienezza di voti. E il Novati non rinunzia a riconoscersene qualche merito, se non altro per il sostegno
nella discussione e nella stesura della relazione: « La relazione è stata
stesa da me: ho, naturalmente, dovuto tener conto, dettandola, de’ vari
umori; ma siccome eran tutti bene disposti, così spero che Ella non la
troverà sgradita ». (lettera del 4/1/06)
Le lettere di Novati fanno cenno ad un progetto di viaggio in Sicilia, per una conferenza a Palermo su invito dello Zingarelli: progetto
sfumato per una serie di contrattempi.
E poi ancora la intricata vicenda e la stressante attesa per il passaggio a Bologna; le lettere di Novati parlano di prudenza,
dell’autorità del Carducci in sostegno di un suo scolaro, di pressioni
del Pascoli perché l’insegnamento gli sia lasciato per incarico; finché
la Facoltà, per troncare tutto, decide di mettere la cattedra a concorso.
Zingarelli, com’è noto, parteciperà e vincerà.
27
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
Ma il Ministero non gli riconoscerà il passaggio, e non essendo la
cattedra per ordinario ».
Rimase a Palermo e continuò i suoi studi.
Continuamente dal Novati e dal Renier (ma anche dal Barbi per il
« Bullettino ») era sollecitato per collaborazioni e recensioni e si lodavano con schiettezza i suoi lavori, anche se non mancava di detrattori
e di critici difficili.
Novati nelle sue cartoline alternava scuse per i ritardi epistolari,
dichiarazioni di stanchezza (qualche volta sincera e pensosa, come avviene qualche volta anche a quanti si lamentano non senza una qualche compiacenza: « Io sono oppresso dalle troppe faccende che non
mi lasciano il tempo necessario a mandar innanzi i miei lavori. Purtroppo si perde una preziosissima parte della vita a far ciò che non
piace... Perché poi?! » (cart. del 16/6/07) e richieste di lavori (« Io le
raccomando molto Vivamente gli e Studi » che hanno bisogno di collaboratori volenterosi per potersi mantenere in vita, altrimenti andrà a
finire che, morto l’Arch. Glottol. morto tutto, resterà solo in piedi il
monumentale edificio della Soc. filologica Romana che non è poi così
eccelso da fare inorgoglire l’Italia di possederlo ». (cart. dell’8 gennaio 1907)
Questi inviti di collaborazione si estenderanno fino al ‘15, l’anno
della morte del Novati, che seguì di un anno appunto quella del Renier. In quell’ultimo anno, nonostante gli altri impegni, Novati si era
preso il fardello del « Giornale ».
In una lettera del 18 agosto del ‘15, nell’esprimere rammarico per
un mancato incontro a Milano in una visita fattagli dallo Zingarelli,
aggiungeva: « Il mio dispiacere è anche maggiore perché non mi è
possibile più di affidarle la recensione del recente volume del Barbi:
non appena il libro era uscito, alla fine di luglio, passò di qui il prof.
Debenedetti che si assunse l’ufficio di parlarne nel Giornale. Sarei
stato veramente lieto di rivederla tra i collaboratori del periodico nostro che ha bisogno più che mai di veder stringerglisi attorno gli amici
fidi ed illustri. Veda, caro Professore, di risarcirmi di questo danno,
28
______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
inviandomi presto qualche cosa di suo: o articolo o recensione. Ella mi
farà un vero e proprio regalo ».
Si tratta di uno degli ultimi scritti del Novati in questo fondo.
Novati, com’è noto, sarebbe morto negli ultimi giorni di quel primo anno di guerra 1915. Il « Giornale » sarebbe passato per due anni
al Gorra, succeduto al Renier sulla cattedra di Torino, ed alla morte di
questi, nel 1918 al Cian. A succedere al Novati sulla cattedra di neolatina l’Accademia milanese avrebbe chiamato lo Zingarelli.
6. Vittorio Cian tenne la direzione del « Giornale storico » dal
1917 al 1937, gli anni in cui la seconda generazione della scuola storica doveva far sempre più i conti con il mutamento degli orientamenti
critici imposti dal Croce e con la progressiva supervisione politica della cultura imposta dal fascismo.
Quasi coetaneo dello Z., veneto di nascita, come il Renier ma torinese di studi e di vita, allievo del Graf e del Renier, il Cian fu come gli
altri lavoratore infaticabile, legato nella ricerca agli strumenti del metodo storico ma non del materialismo positivistico, che anzi nella contaminazione metodologica e nei confusi presupposti filosofici della
sua critica non si mostrava insensibile ad uno spiritualismo imprecisato e ai miti, non solo postrisorgimentali, del nazionalismo: la Torino
liberale, l’insegnamento desanctisiano ripreso, sia pure per mostrare al
Croce che esso apparteneva a Napoli quanto a Torino, alla scuola estetica quanto alla storica, e soprattutto una sincera ma retorica e qualche
volta perfino grottesca ideologia nazionalistica.
In cattedra a Messina fin dal ‘95 per letteratura italiana, e non neolatina come quasi tutti gli altri, passò poi a Pisa e a Pavia, ed infine nel
1913 a Torino, fino al ‘35. Deputato e poi senatore dal ‘29 non risparmiò, da posizioni nazionalistiche dichiarate, apologie
all’imperante fascismo.
29
MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
Nella sua corrispondenza un tal orientamento si sente assai più di
quanto non si sentisse in altri, come il Bertoni ed il Farinelli, che pure
avevano accettato cariche e funzioni dal regime.
La corrispondenza nei documenti di questo fondo zingarelliano si
estende dal ‘14 al ‘34 e risulta abbastanza continua soprattutto per vicende legate alla collaborazione sollecitata ma piuttosto svogliata dello Zingarelli al « Giornale ».
Ma vi sono anche numerose manifestazioni di stima, ringraziamenti, scambi di opuscoli ed estratti (« hai voluto fare — scriveva, ringraziando lo Zingarelli che gli aveva contraccambiato con alcuni opuscoli
un suo dono — come Romeo col suo Signore, sette e cinque per diece
»); c’è un riferimento al Pascarella e alla sua raccolta di sonetti di Storia nostra, un poema cui si dedicherà fino agli ultimi anni di vita, rivelatore del nazionalismo ch’era l’orientamento spirituale del Cian (« E
credi tu ch’egli possa darci più il ‘pomera della storia nostra’ ora che
ce l’hanno dato i nostri giovani cari con le armi, mentre il povero amico si è chiuso e sepolto in oscuro neutralismo tanto dis astroso quanto
inesplicabile? Ne hai tu notizie? »).
Ma soprattutto vi è una ripresa pressante di inviti alla collaborazione, destinati, anche questi a non produrre se non una breve recensione nel ‘21 al volume dantesco di Labusquette.
Zingarelli ormai era passato a Milano sulla cattedra di neolatina liberatasi con la morte del suo caro Novati. Ed in quegli anni collaborava intensamente a molte riviste autorevoli ed era impegnato in una intensa attività di dantista, di romanis ta e di lessicografo.
Cian, con inviti sempre più pressanti e confideziali, lo esortava a
dargli qualcosa; e Zingarelli non diceva di no; ma prendeva tempo e
altro tempo, fino a far cadere la cosa13 .
13
Ecco qualche esempio:
« Attendo l’adempimento delle tue belle promesse pel « Giornale » (14-12-1918).
30
______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
Naturalmente, aveva le sue buone ragioni, neppure polemiche, ma
di lavoro e di salute.
Era immerso sino al collo nel lavoro di revisione e di stampa del
Vocabolario, che sarebbe uscito in prima edizione, presso il Bietti, nel
1922.
Ma a scorrere la Bibliografia degli scritti, ci si avvede che anche in
quegli anni in cui si dichiarava impedito, non san pochi i suoi scritti su
riviste e quotidiani autorevoli.
Le richieste di collaborazione s’interrompono.
Il « Giornale » di Cian non trascura di segnalare, sia pur sobriamente i lavori dello Zingarelli. Lo farà anche per il Vocabolario.
28-7-1919: accoglie un saggio di un segnalato per il « Giornale ». « Ma più lieto sarei di
avere qualche cosa del mio Z., e tanto più lo spero da che mi dai la buona notizia che
lavori molto. Qualche briciola di codesto tuo lavoro, serbala al « Giornale ». E a proposito, mi vien un’idea. Giorni sono scrissi al Torraca proponendogli di prepararmi, fra un
anno circa, uno studio sintetico — 2 o 3 fogli di stampa — sopra Un mezzo secolo di
studi danteschi in Italia (1865-1921) destinato a quel numero straordinario del Suppl.
del Giorn. che vagheggio di dare in luce pel ‘21. Ora nel caso che il Torraca non
s’assumesse l’impegno, potresti sobbarcarti tu? Ne sarei lietissimo. Anche ho offerto al
Torraca di recensirmi il Dante del Granz (la D. C.) Qualora egli non accettase potrei fare assegnamento sull’amico Z.? Rispondimi etc. ».
Nel ‘20 una serie di cartoline sulla laboriosa correzione De Labusquette, che poi
uscirà nel vol. 77°, 1921, pp. 288-298.
6-7-1921. Sembra che Z. abbia accettato la rassegna di cinquant’anni di studi danteschi. Cian lo sollecita a consegnare l’articolo. Il vol. si comincia a stampare, con i contributi di Galletti, Zonta: « Attendo con impazienza il tuo che vorrei mettere in testa.
Vedi di fare uno sforzo e d’accontentarmi ».
C’è anche qualche impennata per mancate risposte: « Poiché non ho avuto l’onore
di una risposta ti riscrivo nella fiducia d’essere questa volta più fortunato ».
Nel ‘21 sollecitazioni per l’articolo pel Suppl. dantesco del « Giornale » del 1921.
(14.-sett.-21). « Bada poi, caro amico, che io vagheggio l’idea di affidare a te la rassegna cumulativa di quanto si pubblicherà di dantesco in occasione del centenario ».
21-8-21. Ancora sulla rassegna dantesca: « ora che hai offerto il tributo del tuo nobile dantismo al Monastero di Fonte Avellana (come t’ho invidiato!) spero bene che
penserai sul serio anche a me e al tuo contributo dantesco al quale tengo assaissimo.
Dunque ti prego, testina non lente ».
31
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Ma uscivano anche certe noterelle piuttosto polemiche dello specialista di studi petrarcheschi, prima il Chirboli, poi il Calcaterra, su
alcuni lavori zingarelliani, che, pur nel tono riguardoso che sembrava
ispirarli non risparmiavano qualche frecciatina su certe « forzature » e
precisazioni cronologiche e che non persuadono »; ed il Calcaterra entra anche in qualche garbata polemica personale.
Intanto usciva la seconda edizione del Dante vallardiano, accresciuto smisuratamente, migliorato sotto l’aspetto della precisione, ma
non certo sotto quello della compattezza e della struttura.
E v’era stato, com’è noto, tra le due edizioni, tutto un rinnovamento della critica dantesca, e la polemica, vivacissima, intorno al volume
crociano del 1921.
Zingarelli era molto timoroso di non incorrere in qualche nuovo
infortunio. Certo ormai, negli studi danteschi di un certo tipo la sua
fama era consolidata; ma era bene che il « Giornale » questa volta lo
sostenesse.
Infatti il « Giornale » non mancò di sostenere, con la penna stessa
del suo direttore Cian, il vecchio dantista ancora instancabile.
Glielo aveva promesso: 22/4/1931 « Il ‘Giornale’ ne parlerà degnamente, con lo scopo di informare con coscienziosa obiettività i
suoi lettori delle differenze che corrono fra la I e questa II edizione del
suo Dante. S’intende le differenze più notevoli. Farò di tutto per accontentarti.
Così nel volume 99°, 1932, uscì nel « Giornale » la recensione del
Cian, questa volta positiva e sotto ogni aspetto affettuosa. Si faceva
l’elogio di una lunga professione di dantismo scientifico e militante,
del coraggio di stringere in una monografia tutta la dantologia disponibile, si indicavano i miglioramenti della seconda edizione sulla prima; si dichiarava aperto e totale consenso; si cercava un collegamento
con certe posizioni desanctisiane sulla necessità di non trascurare in
Dante l’uomo e l’esule, la forza morale di certe sue posizioni; etc.
32
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Ma in quella difesa dello Zingarelli, così inusitata mente senza riserve, Cian e il « Giornale » sapevano di difendere il metodo storico e
certo orientamento della critica biografico-erudito, contro la montante
marea esteticocrociana e contro qualche resistente posizione della critica teologico-simbolica, di cui Pascoli e qualche pascoliano erano esempi.
Tutta la scuola storica e il « Giornale » erano sulla difensiva in
quegli anni trenta, arroccati nelle cittadelle universitarie, ma ormai insidiati anche in quelle; ed aveva dovuto accettare non pochi compromessi e capitolazioni, come Dionisotti stesso nel suo magistrale saggio
non ha mancato di rilevare 14 .
Valeva la pena allora spezzare una lancia in difesi di uno Zingarelli, che alla fin fine, in quegli anni noi certo floridi, usciva con
un’opera che, tutto sommato, sarebbe sempre stata una pietra di paragone con cui confrontarsi e alla quale ricorrere.
Così si spiega — e non va trascurato — quell’accenno al De Sanctis, il cui recupero, tentato in estremis da non pochi, e dal Cian innanzi tutto, era inteso nel segno nazionalistico ed anticrociano, come
un recupero dell’ethos contro l’invadenza dell’estetica della forma; ed
un maldestro tentativo di salvataggio di tante ricerche biografiche che
invece erano e rimanevano erudite.
La corrispondenza con Cian non presenta che qualche altro spunto.
Un ringraziamento per l’edizione del Furioso « semplicemente delizioso e, che per la sua originalità ed eleganza squisita è tale da far onore a te e al grande editore Hoepli. Naturalmente il ‘Giornale’, per la
penna del suo redattore più competente, il Debenedetti, compira il dover suo » (30/1/1934). Debenedetti, tra l’altro amico cordiale dello
Zingarelli, scriverà invece la recensione acidetta che vedremo.
Infine i rallegramenti per il passaggio, che egli stesso Cian, nella
sua qualità di presidente di sezione del Consiglio Superiore aveva
proposto di approvare, di Zingarelli alla cattedra di letteratura italiana
14
C. DIONISOTTI, La scuola storica, cit.
33
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di Milano, liberatasi nel 1931 dopo la morte dello Scherillo: « di proporre toto corde l’approvazione della proposta fatti con così bella e
giusta unanimità da codesta Facoltà pel trasferimento dell’amico
Nicola, il quale, in grazia d questo trasferimento, avrà il bollo ufficiale
come aveva titoli di figurare fra gli italianisti. Al futuro collega li italianità letteraria i miei rallegramenti e auguri cordiali ». (18/2/IX°
1931)
7. La corrispondenza e le relazioni con San torre Debenedetti e con
Giulio Bertoni si può dire comincino, tra il 1913 e il ‘20, quando quelle con il Reniere e con i Novati finivano.
E d’altro canto il Debenedetti ed il Bertoni appartenevano ad
un’altra generazione, di diciotto anni più giovani dello Zingarelli, si
laureavano entrambi alla scuola del Renier e degli altri maestri di Torino nel 1901, quando lo Zingarelli saliva in cattedra straordinario a
Palermo.
L’uno e l’altro, discepoli d’ingegno di quella gran. de scuola, dominata ora dal Rajna, erano andati a perfezionarsi a Firenze ed avevano subito il fascino di quella più duttile scuola filologica, tanto che il
Debenedetti pupillo del Renier al quale pure rimase legato da riconoscenza e da affetto, non esitò a dichiarare in uno dei suoi lavori maturi
che « se da queste pagine traspare un certo spirito d’abnegazione e
qualche oscura virtù di sacrifizio, sappia il lettore ch’io debbo tutto ai
miei Maestri di Firenze »15 . La crudeltà dei discepoli, non di rado,
com’è noto, è almeno pari all’egois mo dei maestri. Entrambi si erano
affinati nella frequentazione di università straniere ed avevano ascoltato i grandi maestri tedeschi, francesi, il Tobler, il Meyer, il Grober,
prendendo consuetudine con i metodi della grande filologia europea.
De Benedetti dopo il periodo all’Archivio di Stato di Firenze farà
il suo noviziato d’insegnamento universitario a Strasburgo allora tedesca, dall’08 al ‘13, quando conseguita la docenza e passata la tempesta
15
34
S. DEBENEDETTI, prefazione a Il Sollazzo, Torino, Bocca, 1922.
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della guerra, passò come incaricato a Pavia e poi, dal ‘23 ordinario, infine a Torino nel ‘28, ove ebbe pure responsabilità di redattore (1929)
e il condirettore (1938) del « Giornale ».
Le vicende dell’ultimo decennio di Debenedetti, costretto ad abbandonare l’insegnamento ed il « Giornale » per le leggi razziali
(1938 e ‘39) sono note, così il suo ritiro a Giaverno, la partecipazione
alla Resistenza ed alla lotta antifascista, il ritorno all’insegnamento
dopo la Liberazione, la sua solitudine, la sua morte nel ‘48: una vicenda che non tocca la relazione con lo Zingarelli che s’interrompe nel
‘35 per la morte di questi.
Così come è nota la sua fisionomia intellettuale, il suo gusto per la
ricerca, la sagacia dei suoi studi, il rigore e la sobrietà dello stile,
l’ideale aristocratico di discrezione ed eleganza che lo portava a scartare immensi materiali di scavo per trarne lavori apparentemente esigui, ma di estremo interesse e lucidezza. Con Zingarelli poteva incontrarsi ed ammirare la erudizione la vastità della ricerca, la curiosità intellettuale, non certo il disordine e la copia lutulenta di certi scritti e la
trasandatezza dello stile che caratterizza tante cose del piccolo pugliese.
Epperò la loro relazione fu rispettosa e misurata nei primi anni, via
via sempre più affettuosa e sciolta16 .
16
Ringraziamenti per pubblicazioni ricevute, contraccambi, richieste di giudizi e di
pareri, come in una cartolina del 27-2-27 in cui si ringrazia di un giudizio favorevole e
si chiede una opinione sull’articolo Intorno ad alcuni versi di Dante; si lodano alcuni
lavori che « hanno, oltre agli altri pregi, quello di essere molto coscienziosi, e perciò si
ricorre a lei volentieri ». (1922) si loda un articolo zingarelliano su Monti: « Dei contributi che sono apparsi in questo felice centenario (fra l’altro me lo vogliono far passare
per un gran poeta!) il tuo è uno dei più seri, importanti e conclusivi. Tutto quello che si
riferisce alla storia della lingua ha per noi — naturalmente senza scorze di pedanteria —
il massimo interesse ».
Lo invita ad una visita a T orino: « A Torino c’è una esposizione di cui si parla in
tutto il mondo: e tu la lasci passare senza nemmeno farci una capatina » (cart. del 14-1028).
Quando nel ‘28 è chiamato a Torino ne dà comunicazione affettuosa all’amico: «
Carissimo, Ricevo ora il telegramma che mi chiama a Torino a succedervi al Bertoni
sulla cattedra di filologia romanza.
35
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Affetto, simpatia, stima, dunque.
E tanto più stupisce la recensione puntigliosa e decisamente acida
che Debenedetti avrebbe scritto per il « Giornale » al Furioso uscito
presso Hoepli per le cure dello Zingarelli in edizione elegante ma destinata ad un vasto pubblico.
La votazione diede ottimi risultati: quindici votanti, quindici voti. Mi affretto a comunicano al mio ottimo amico, etc. » (cart. del 13-11-28); notizie sulla lunga preparazione della edizione del Furioso, « quando sia libero dalla influenza e dal Furioso, cioè
dalle due influenze, vengo a Milano a passarvi una sera con te. (Cart. del 2-4-28) sollecitazioni di corrispondenza ed augurio di lavoro: « Mio carissimo, da un secolo non ho
tue notizie, e per quanto sappia che hai sulle spalle grandi pesi, fra l’altro la nuova ed.
della Vita di Dante, non posso non dolermi di così lungo silenzio. La nuova Vita di Dante avrà certo un magnifico successo. Non è un augurio, ma una fermissima fiducia. Ho
letto in questi giorni quella un po’ romanzesca di Gallarati Scotti. Molto fervore, un
senso d’arte non comune, una visione nobile ed elevata della vita spirituale rendono agile il libro; ma troppi errori l’ingombrano che potevan senza gran fatica evitarsi e non
mancano le inclinazioni per far colpo. Io preferisco quelli che chiamano pane il pane, e
acciughe le acciughe ». (Cart. del 9-6-29). Chiede notizie del Dante: «A che punto è il
tuo Dante? Desidero che appena venga fuori il « Giorn. Storico » ne parli quando e come si conviene... Finito il Dante, prenditi qualche giorno di riposo a Torino ». (cart. del
16-10-29); si parla del Dante di Cosmo: « Il Dante di Cosmo, se già non ti è pervenuto è
in viaggio »: Z. ne avrebbe dovuto fare la recensione. Notizie di viaggi e di vacanze, la
Spagna, la Grecia. Si associa alle commemorazioni e necrologie dello Schenillo e « del
nostro Rajna »: «gli volevo bene anch’io e molto, e le tue parole così affettuose, pur nel
tono temperato e austero d’una pubblica commemorazione, mi hanno veramente commosso » (cart. del 19-2-31). Una commossa attestazione di amicizia: « Mio carissimo,
grazie di tutto e con cuore profondamente amico. Vorrei anch’io poterti una buona volta
servire in qualche cosa, e aspetto da lungo tempo tuoi ordini (mi si fanno troppe ordinazioni) con vivo desiderio. Ci siamo conosciuti tardi, e da pochi anni si è stretta la nostra
amicizia, ma quando ti penso, mi pare che risalga alle prime, alle più lontane, alle migliori ».
Ma quando, nel ‘33, si fecero onoranze solenni a Milano per i cinquant’anni di insegnamento dello Zingarelli, Debenedetti non fu invitato dal Comitato e se ne lamentò
con l’amico. Dopo una conferenza tenuta dallo Zingarelli a Torino per la Società di Cultura gli scrive affettuosamente: « Carissimo amico, quante volte ritorni nelle nostre conversazioni il tuo nome non ti saprei dire. La tua visita ha avuto un grande significato per
noi che non sapevamo più staccarci da te (fu una vera persecuzione!), e nei Soci della
Cultura che, dopo tanti chiacchiericci han sentito finalmente un oratore che dice delle
cose buone, lungamente meditate e conquistate con acume e fatica ».
36
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Mario Casella gli aveva scritto ringraziandolo del « tuo elegantissimo Ariosto con bella e sintetica (sic!) prefazione, dove hai saputo
adunare ed esporre con ammirevole chiarezza questioni intricate di
storia letteraria e d’arte » (lettera del 12/2/1934).
Cian, che era ancora direttore del « Giornale », se ne era dichiarato
assai contento, lo aveva detto « delizioso » e ne aveva lodato eleganza
ed originalità. Ma passato poi nelle mani dello specialista Debenedetti,
« perché il ‘Giornale’ compisse il dover suo », eccone la recensione,
cioè alcuni passi, tra ironia e sufficienza:
« Bella carta, bei caratteri, e soprattutto molta roba (ma già comincia in nota ad indicare imprecisioni e sconvenienze). Settantacinque
pagine d’introduzione. Poi il testo accompagnato da sunterelli che non
l’abbandonano mai, e finalmente un Indice del Furioso che è insieme
un Indice dell’Innamorato, etc.... Il Proemio discorre della Chanson
de Roland e dei suoi derivati, nonché dei poemi amorosi di Chrétien
de Troyes; discorre della poesia franco-veneta e della letteratura romanzesca toscana da cui trassero ispirazione il Pulci e il Boiardo. Poi
parla anche di Ariosto (da pag. 43). L’informazione è amplissima e
certo questo capitolo potrà giovare. Solo dispiacciono qua e là certe
osservazioni curiose... (e si Citano una serie di « ingenuità » che vanificano quella ombra di apprezzamento e consenso che sembrava pure
ci fosse). Al testo lo Z. dedica un paio di pagine e ce da rammaricare
che un uomo di tanto valore, certo per colpa della fretta, non ci abbia
dato intorno a questo punto quanto ci s i poteva ben aspettare da lui. Lo
Z. sa che certe correzioni ne implicherebbero non so quante altre; sa
Sulla « fretta » con cui era stata compilata l’edizione, Z. stesso non poteva non essere d’accordo, se aveva scritto al Barbi: « Causa (del ritardo) è stata l’ed. del Furioso,
sulla quale mi sono impegnato sei o sette mesi fa. Non ho potuto attendere ad altro, ho
trascurato corrispondenza di sorta. Ora è finita, rimangono le ultime revisioni... » (Z. 111-1933).
37
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che è doveroso dar le ragioni di quello che si fa; dice e ripete che edizione critica significa ‘fatta con criterio’. E poi... (ed anche qui esempi
su esempi di correzioni al testo ritenute arbitrarie e non coerenti).
Poi v’è la questione dei morti resuscitati: alcuni re che muoiono in
alcuni canti e si ritrovano resuscitati in altri (Furioso, XL, 73 e XVI,
81-83). Z. con molta ingenuità dichiara, almeno per alcuni, di rifarsi
alla « errata » della edizione 1521, e poi per l’ultimo di essi, che non
poteva giustificare altrimenti, tira fuori l’invenzione che l’Ariosto si
sarebbe rimesso « al benevolo lettore », non potendo far capire nel
verso altro dei nomi disponibili. La qual cosa pare « enorme » al Debenedetti, che si sostiene sulla tesi del Rajna circa le edizioni del Furioso, e non può consentire con una forzatura di tal fatta. La svista è
svista del poeta, e non valgono giustificazioni posticce.
La recensione prosegue con l’indicazione di qualche altra ingenuità del testo (XV, 23, etc.). Ironizza su certi sunti non corrispondenti al
fatto. Infine conclude:
« Molte altre cose si potrebbero osservare, ma non è opportuno. Al
libro, come già s’accennava, ha nociuto la troppa fretta. Ma anche così
com’è può rendere servizi, sia per quei sunterelli cui ho accennato (se
nelle scuole si fanno di questi esercizi) sia infine per l’amplissimo indice ». (« Giornale storico » vol. 105, 1935, pp. 181-184).
Certo Debenedetti era scrittore e critico assai meno currenti calamo dello Zingarelli. La sua edizione del Furioso per i classici di Laterza, uscita nel ‘28, era un miracolo di attenzione e di scrupolo critico; e più sarebbe stata, se l’editore non si fosse opposto alla documentazione completa di tutte le fasi di elaborazione del poema nelle successive edizioni curate dall’Ariosto (come sarà fatto poi nella sua edizione dal Segre del 1960, basata sui materiali debenedettiani). Inoltre
quella introduzione di Zingarelli era ben fragile ed affastellata e non
priva di forzature ed ingenuità.
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La recensione, tra ironia e sufficienza, era ineccepibile. Ma non era
né affettuosa né amichevole, come pure era stato l’autore in tanta corrispondenza.
Si sa bene, Amicus Plato, sed magis amica veritas.
E poi il Debenedetti era di quelli che amavano « chiamar pane il
pane e acciughe le acciughe ». Il « Giornale », e in questo caso Debenedetti, sapeva ben fare queste spiacevoli scelte. E Zingarelli non era
alla prima amarezza 17 .
Con arguzia e cordialità aveva invece toccato il problema dei morti
resuscitati il Bertoni, il quale, sia pure in una corrispondenza privata e
non in una pagina a stampa, se ne era quasi complimentato con lo
Zingarelli, anche se non senza ironia:
« E’ saporitissimo (l’Ariosto novissimo): nella introduzione, nella
stampa, nei finissimi riassunti, nella magistrale appendice che tu
chiami Indice, mentre è una cosa preziosa da consultare. Ho subito notato varie novità. Per es. il disseppellimento, almeno di due morti operato dall’Ariosto pare divenga, per merito tuo, una fiaba. Te ne son
grato per messer Ludovico » (10/3/34).
Bertoni era modenese, ma torinese ed europeo di studi; allievo del
Graf, del Renier, anche lui aveva percorso il curriculum regolare a Firenze col Rajna, a Parigi, a Berlino, a Strasburgo, con maestri tedeschi
e francesi.
Più giovane di diciott’anni dello Zingarelli, la sua libera docenza è del
1905, l’insegnamento a Friburgo in Svizzera dura dal ‘05 al ‘21,
quando lo Zingarelli era già ordinario a Palermo e poi a Milano. Nel
‘22 è a Torino, sulla cattedra di Renier; dal ‘29 a Roma, su quella di
De Lollis. Una carriera pienamente realizzata, non ostacolata da in tralci politici; autorevole studioso, fu Accademico d’Italia, coordinatore di sezione della Enciclopedia Italiana.
17
La figura del Debenedetti è stata recentemente ricordata da C. DIONISOTTI in
un articolo in « Medioevo romanzo » 1978, 2-3, di cui ho avuto notizia solo dopo la
stesura di questa relazione. Il Dionisotti mi raccontava anche un aneddoto su certa «incomunicabilità » tra il gigantesco Cesareo e il piccolissimo Zingarelli che non si rivolgevano parola, per antiche ruggini accademiche palermitane; ed il Debenedetti, segretario nella commissione di concorso, che era costretto a far da tramite tra i due reciprocamente muti ed accigliati.
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MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
Le missive sue a Zingarelli sono 25, cominciano dagli anni di Friburgo e sciolgono progressivamente la reverenza iniziale verso «
l’illustre professore » « nel caro collega e amico » degli ultimi anni;
né presentano particolare interesse per il nostro discorso, riducendosi a
testimonianze di vita accademica e di civiltà tra letterati.
Ma proprio negli anni del suo maggior « rispetto » Bertoni non si
astenne dal venir fuori nel vol. 590, 1912, del « Giornale » con una recensione a due lavori zingarelliani, quello su Rambaldo di Vaqueiras e
l’altro sul Bei cavaliere, con due osservazioni sul primo: « Lo Z. intorno a questo breve e difficile componimento ha scritto alcune pagine
che a me paiono molto infelici, sopra tutto per questo: che, messo su
una falsa strada da una cattiva identificazione, s’è lasciato trascinare,
dietro vane parvenze, a conclusioni quanto mai arrischiate, anzi, debbo dire, erronee ». E passava ad esemplificare argutamente i suoi rilievi.
La stessa considerazione vale per le cinque cartoline di Ferdinando
Neri, un altro di quei prodigiosi laureati dell’anno 1901 della Università di Torino (De Benedetti, Bertoni, come si è visto, etc.), arrivati
speditamente in cattedra e redattore e poi direttore del « Giornale ».
Non contengono se non notizia di scambi di saluti e di opuscoli e un
accenno alla controversa questione della attribuzione del Fiore a Dante.
8. La corrispondenza con Arturo Farinelli, il germanista e filologo
romanzo di fama e frequentazioni europee, si estende dal 1905 al ‘34 e
copre dunque un arco di tempo più esteso. Farinelli era quasi coetaneo
di Z., di soli sette anni più giovane, e per giunta senza quel curriculum
regolare e prodigioso che faceva dei vari Debenedetti, Bertoni, Neri,
dei prodotti finiti della scuola, sempre e comunque diversi anche perché più giovani, rispetto a chi da quella regolarità era stato distolto da
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_____________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL « GIORNALE STORICO »
ragioni di vita e solo più tardi era tornato agli studi.
Farinelli aveva cominciato con studi tecnici, era stato allievo del
Politecnico di Zurigo e solo dopo molti trascorsi avventurosi e romanticamente inquieti era approdato alla filologia romanza ed alla germanistica, passando da Zurigo a Parigi ad Innsbruck ove tenne un incarico d’insegnamento e da cui venne a Torino chiamato da quella università per la letteratura tedesca.
Inoltre la quasi ossessiva necessità d’indipendenza del Farinelli
s’incontrava con la incapacità e diffidenza dello Z. verso schematismi,
discipline scolastiche e accademiche. Farinelli aveva notato egli stesso
il contrasto ch’era in lui « di una fantasia accesa per un nulla sino al
delirio e di una ragione dimessa, fatta di prosa e di caparbietà che dai
voli del cielo (lo) conduceva prontamente alla terra.. .il piccolo pedante . . .a lato dell’entusiasta ardente che si riteneva non mai contenuto
da freni e da briglie... » 18 .
Senza i romantici atteggiamenti e fervori del germanista, Zingarelli
mescolava sovente nella vita e nel lavoro l’attività del certosino paziente e laborioso ricercatore con certi atteggiamenti ed ostentazioni di
sregolatezza e di indisciplina formale; e certi « pasticci » e « zibaldoni
» in cui spesso si risolvevano le sue ricerche più lunghe e che gli venivan rimproverati dalla critica, si dovevano in parte al rifiuto di quella
disciplina e di quella misura che eran dono di altri.
Farinelli, inoltre, dopo i suoi primi lavori nati da infaticabili ricerche particolari, da una congerie di erudizione e da una esasperazione
del metodo positivo, dopo l’incontro con Croce intorno al 1905-06,
veniva sempre più rendendosi conto che « scovar fonti, registrar confronti,. senza un pensiero alla creazione intima, desta dall’urto interiore, accesa dalle scintille cadute, è ozioso trastullo » (prefaz. al Dante
in Francia, Milano 1908, p. IX). E via via venne assumendo atteggiamenti
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A. FARINELLI, Episodi di una vita. Milano, Garzanti, 1946, p. 36.
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MICHELE DELL’AQUILA_______________________________________________________________________
e non lesinò dichiarazioni di indipendenza rispetto al metodo storico
(anche se in realtà la sua polemica finiva col rivolgersi contro i suoi
eccessi) e non rinunciando mai alla precisione ed alla cura inesausta
della ricerca, si avvicinò come molti altri in quegli anni, al filosofo
dell’Estetica e non fu alieno da atteggiamenti crociani, anche se meramente esteriori e sempre sotto l’equivoco di certe forme romanticoestetizzanti che gli erano proprie.
Un tal carattere e temperamento di studioso poteva forse essere di
esempio allo Z., proprio per certe Comuni debolezze delle quali, peraltro lo Z. non ebbe mai chiara coscienza e non seppe certo liberarsi.
Così Farinelli diventava più che lo specchio della coscienza, come
avrebbe potuto, l’amico cui sfogare certi malumori e dal quale avere
certi risarcimenti che gli ortodossi della scuola storica gli negavano19 .
19
Le prime corrispondenze di Farinelli sono degli anni di Innsbruck, cioè i primissimi del 900: e fin da allora il tono è appassionato, affet tuoso, qualche volta eccessivo
ed enfatico: « dammi ormai familiarmente del tu — mio diletto — stimatissimo amico.
Pur troppo debbo ripetere a te quello che nel marzo scorso scrissi al Galletti: Non parteciperò mai a nessun concorso in Italia neppure se mi promettessero l’oro di Creso o
quella pace ancor più preziosa che io sventuratissimo cercherò invano sino alla morte.
Diavolo, ch’io debba essermi mendico nella patria mia! (Da Vienna, 7-5-06, ove era andato per cercare di parare il colpo che lo escludeva da Innsbruck, dopo i moti antitaliani).
L’esempio sembra eloquente e indicativo del temperamento dell’uomo. Ma da Farinelli, insieme a quelle appassionate dichiarazioni di affetto e di sdegno, gli venivano
anche lodi per gli Appunti lessicali danteschi, per l’articolo sul Ventadorn; solidarietà
per « la disavventura della recensione del Rocca, per gli attacchi della « Rivista d’Italia
», per certe vicende accademiche e concorsuali, etc. ed ancora notizie di sé, foscoliani
atteggiamenti di esule desideroso di affetti, (« Ricordo le ore troppo fugaci che passai
ottimamente con te a Milano e poi a Roma e pare davvero che sia nei nostri spiriti una
specie di sicura consonanza non mai l’ombra di un disaccordo, malgrado la mia turbolenza e gli uragani che l’anima mia patisce ». 30-1-1918); alcune feroci accuse al De
Lollis, per certe ruggini e risentimenti accademici (pare si fosse opposto alla sua chiamata a Roma) (« Al D. L. ormai degeneratissimo, incapace di far altro che l’uom geniale poggiato sul nulla aggrappato ad un lembo dell’Estetica del Croce, che non assimila e
non comprende, presuntuoso quanto ignorante...») (16-11-1908): esempi di intemperanza e detriti di vita accademica, senza varianti negli anni.
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______________________________________________NICOLA ZINGARELLI E IL «GIORNALE STORICO»
9. Intanto, lo Zingarelli, dopo il secondo Dante vallardiano del
‘31 e l’Ariosto di Hoepli del ‘34, compiuti i cinquant’anni di insegnamento, si spegneva nel giugno del 1935, quando s’accingeva a pronunciare la sua ultima lezione.
Quel volume di Scritti di varia letteratura nel quale gli amici avevano raccolto le sue cose più rappresentative per fargliene dono in
quel giorno che doveva essere di festa, si ebbe dal « Giornale » una recensione postuma nell’annata 1080 del 1936 in un breve annuncio a
firma di E. Testa nel quale in due righe si accennava ad un « omaggio
alla sua cara memoria» e al « compianto maestro ».
Nè il « Giornale », ancora diretto dall’amico Cian, ritenne doveroso pubblicarne un necrologio, come pure era costume ricorrente della
rivista e testimonianza di omaggio e riconoscimento. Ma il piccolo
pugliese di Cerignola certo non vi aveva fatto mai affidamento. Aveva
imparato a diffidare, e aveva mostrato di non aver mai scambiato i segni di civiltà e buon costume epistolare tra gente di lettere, con la pienezza del consenso.
Tra lui e il tempio della « scuola storica » — anzi, tra lui e i diversi
templi in cui la ricerca letteraria ormai si organizzava e si articolava la
feroce guerra delle « scuole » — vi sarebbe stata sempre la « macula»
di una origine ibrida, di certe frequentazioni e trascorsi, oltre, beninteso, e certamente innanzitutto, le sue bizzarrie e intemperanze di studioso.
M ICHELE DELL’A QUILA
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LA POESIA DI CRISTANZIANO SERRICCHIO
In un elzeviro apparso sulla « Gazzetta del Mezzogiorno » (6-11977), Aldo Vallone scriveva: «A guardar dentro a certa nuova poesia
del Sud, poniamo dell’alta Puglia, tra S. Agata di Puglia, Manfredonia
e Siponto, due modi sembrano più decisamente proporsi: quello di chi
guarda alle cose, alle piccole cose della realtà e della famiglia, e quello di chi, invece, dinanzi alle stesse si pone in stato di reminiscenza e
di soggezione [...] attraverso la prima via si giunge a quella civiltà «
contadina », di che mi pare genuino rappresentante Gerardo Maruotti,
attraverso la seconda via si approda al mito, ad una realtà che più vale
e pesa quanto più si sveste del concreto e si rifonde nel passato, e di
questo modo mi pare schietto rappresentante Cristanziano Serricchio.
E’ evidente che lì, nel primo, domina la cosa in quanto tale e per essa
l’elegia della vita rusticana: qui, nel secondo, la suggestione della realtà e per suo mezzo l’epica della vita umana che guardando nel passato
fila insieme presente e futuro [...]. Lì sono rappresentati il contadino, il
proprietario o il fattore, il vecchio e il giovane con legami insolubili
dinanzi alla casa e alla campagna; qui l’ombra impalpabile, eppure
presente, degli dei della terra o del cielo che si ridestano, la forza indomita di Diomede, creatore e custode di quei luoghi, presente ovunque « ora che il vento sibila (come si dice nella bella raccolta L’estate
degli ulivi), tra i ruderi di San Nicola e nelle cale il pescatore riascolta
‘l’urlo saraceno’ ».
E’ un modo questo abbastanza sui generis di avviare il discorso,
stabilire cioè un paragone tra due poeti, dando però più ampio spazio
al primo, con un’analisi anche molto lunga ed accurata che qui non riporto per comp rensibili ragioni di spazio, e lasciando un po’ in ombra
o, almeno, trattando solo di scorcio, il secondo, del quale, invece, andava seguita, mi pare, la ben più complessa e quasi trentennale evoluzione artistica.
Già il primo « tentativo » poetico del Serricchio, Nubilo et sereno
(Foggia, Società Dauna di Cultura, 1950), pur rivelando la carenza di
un suo nucleo centrale, di una sua reale forza di ispirazione, può essere assunto a paradigma di quel ben più nutrito e composto mosaico di
idee e di sentimenti presenti tanto nell’Ora del tempo (Lecce, Ed. dell’
« Albero », 1956) che nell’edizioncina Fuori sulle pietre, composta
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______________________________________________________LA POESIA DI CRISTANZIANO SE RRICCHIO
« per gli amici » e ormai introvabile, tanto nell’Occhio di Noè (Padova, Rebellato, 1961 che nell’Estate degli ulivi (ivi, 1943) e, da ultimo,
nelle Stele daunie (Manduria, Lacaita, 1978).
I temi presenti nella prima raccolta (affetti familiari e domestici,
serene visioni di paesaggio, aspetti vari e contrastanti della vita), pur
ricchi di tepida affabulazione, rivelano una vaga e non mai bene organata struttura sentimentale e di pensiero. Il limite di questa silloge va
sicuramente indicato qui, in questo dimensionarsi del poeta su una realtà un poco troppo personale « privata » oserei dire, cosicché le immagini, le parole, i fatti non sono mai pienamente allusive, non si elevano a valore simbolico, non rivelano una loro pregnanza, ma sono
come invischiate dal duro impatto con la realtà della materia, si trascinano dietro un congenito torpore che fiacca loro le ali né con sente che
ci si possa liberare dalla tentazione di una poesia sola mente visiva, da
un impressionismo tout court: « Andiamo verso la sera. / S’accendono
insegne / lungo la strada / alla nuovi giornata. / L’aria fresca ristagna. /
Sui volti il riso ha il colore delle vetrine accese. / Passano figure snelle, / morbide sete, / pupille fugaci. / Diafani veli / innanzi a paurosi
misteri» (Miraggio); oppure: « Ora tace la sera sul mare / e già posano
lievi le forme / dei ricordi in quel lento cullare. / Tra le acacie si racqueta il vento / nel velato giardino che dorme / e nel sogno appoggiato
sul mento / dolci pupille vedo brillare» (Visione).
In altri componimenti, però (Sorrento, Distacco, Cara luminosa
innocenza, Il castello, Naufragio), l’impressione, l’immagine è come
sospesa, con distaccato candore, sui ricordi storici del l’antica Daunia,
sull’ampio ed assolato Tavoliere e sul Gargano interamente avvolti da
una solitudine millenaria, ma animati da un respiro d’Alba: « T’ho
colta con avidi occhi / emergente da mare. / Al tocco una corolla, / si
accese a rive lontane / e li barche, d’ombra nudate, / emersero fresche
nel porto. / Un richiamo / ruppe l’intatto silenzio. / Si scrollò una barca / nacque una vela »; un respiro quasi cosmico, universale: «
Dov’era un lago increspato di luce, / un vasto richiamo d’aspre cicale /
i corpo disfatto geme / dell’estate caduta. / Nell’innocente infantile
fiorire / di gemme a passi di bimbi / preme l’ansia d’ignote foreste, /
irte di venti e d’urli selvaggi, / risorte / dagli ossi de tempi » (Tavoliere).
Nell’Ora del tempo è presente ancora il tema dell’infanzia dei ricordi, che si è come ammantato di un’atmosfera crepuscolare. Alla
callida escogitazione di stampo ironico, caratteristica fondamentale
della poesia del « crepuscolo », succederà però qui una più attenta ricerca della parola, scavata in interiore homine recante una sua levità e
una sua precisa forza d’urto; inoltre all’iniziale impressionistico «gioco» descrittivo presente nella prima raccolta, fa qui seguito una più
coerente ricchezza e purezza di immagini ed una più meditata sistemazione degli « oggetti » poetici.
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GIUSEPPE DE MATTEIS________________________________________________________________________
Liberatosi finalmente dalle facili tentazioni descrittivistiche ed entrato a più diretto contatto con il gruppo dei più noti poeti pugliesi del
secondo dopoguerra, orbitanti un poco tutti intorno alla forte personalità di Girolamo Comi, ma anche intorno alla rivista da lui fondata,
cioè 1’ « Albero », Serricchio sente il bisogno di conferire alla parola
e al verso una modernità di accenti, un valore simbolico, una musicalità nuova, una salda tensione lirica insomma: « A screpolati muri
chiama il sole / a tepori di fibre abbandonate / vecchi simili a barche
secche sulla riva / che il vento sfalda lentamente in polvere. / Il tempo
è ora quiete, attesa d’ombre, / lento gabbiano che disegna in volo / fili
di lievi pensieri, memorie / che tornano al tramonto come vele. / La
vita fu penoso remigare / in mari senza prode: / in legno che andò contro le tempeste / a sera è un po’ di carta in fondo al tino... ». (Ai muri
chiama il sole); bisogno che in parte, ad esempio, si realizza anche in
questa raccolta immagine di famiglia: « La sera è ancora un alito di
luce / che tinge le vetrine. Un filo / invisibile, che penetra nell’ombra,
/ è la quiete e ci conduce / fuori del tempo, dove le bimbe / giocano e
si tengono per mano / la fanciullezza lieve. / Con occhi d’adolescente /
assorta a riposare / riascolti i tempestosi silenzi / gli ignari approdi
dell’anima / risolti in docile abbandono. / Sei nella casa lo sguardo
buono / che fa crescere, come il pane, / giorno per giorno segreta /
un’altra vita » (Segreta un’altra vita). L’ultima lirica della raccolta,
Dove ti cerco, mio Dio, già contiene in nuce l’anelito alla preghiera e
alla ricerca del Divino, ossia i pressanti interrogativi che costituiranno
la tematica di fondo dell’Occhio di Noè: « Nella vastità dei cieli / dove ti cerco, mio Dio, la voce è grido / fra mura abbandonate. / Per meandri, senz’eco, m’aggiro, / per labirinti di mondi / che accendono il
silenzio delle notti / di minuscole forme. / Innumeri fili di luce / una
mano pietosa / mi tende da abissi remoti... ».
In questo gruppo di componimenti il poeta mette a frutto la sua capacità di filtrazione della parola, alla quale restituisce la primitiva
immagine di purezza, « un modo continuamente felice — ha osservato
bene il Rosato — di scoprirsi, trovarsi nuovo, lavato e purificato in
ogni suo aspetto come dopo il biblico diluvio dovevano mostrarsi i
prototipi delle nuove generazioni. L’occhio del Poeta guarda con la
stessa colma vibrazione del mistico patriarca sopravvissuto al finimondo, ma con in più il presentimento — voluto ad ogni costo per un
incondizionato atto di fede — che qualcosa di quella rinnovata verginità possa essere ancora trovabile oggi, guardando nelle cose e negli
esseri al di là delle follie della materia »: « Ora i treni forano i monti
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______________________________________________________LA POESIA DI CRISTANZIANO SE RRICCHIO
e dalle pietre / di stupefatte lucertole nuove freccie / corrono gli spazi
accesi di comete, / e ai tuoni, che innalzano in giganteschi / funghi atomi di luce velenosa, / gli uomini affidano tranquilli i minacciati / silenzi dei tetti sotto la luna » (L’occhio di Noè).
La furia tecnologica, con il conseguente perenne correre ed affannarsi dell’uomo, determina in questo poeta dal carattere schivo, taciturno, quasi contemplativo, un senso di smarrimento, di contenuta disperazione a volte: « Solo erravo legato al fragile moto / del remo su
rotte sconosciute. / Ma il filo dell’acqua giungeva / alle altezze di uccelli migratori » (Dopo il diluvio).
L’estate degli ulivi segna il momento di più consapevole forza espressiva del Serricchio, ché egli continua, è vero, ad indugiare orizzontalmente sul tempo e nello spazio della memoria, qualche volta
con venature di compiaciuta svenevolezza, ma cerca di attualizzare e
di rendere vivo il proprio discorso tanto dal punto di vista contenutistico che dal punto di vista formale e stilistico.
Di tanto in tanto fan capolino nella raccolta moduli desunti dal repertorio della poesia ermetica (da « ...la sete [che] spacca le uova alla
vipera », « dorme il talamone con occhiaie di pietra », « Il mare rode
ancora le pietre e gli anni », « Riemersa dalle spume / una danzante
adolescente », un po’ quasimodiani, ai versi « Tre soldati in libera uscita / che fumano alla brezza... », penniani; dal « Si sta come
d’autunno... » e « Madre, di giorno in giorno / come il figlio nato / per
mettersi in ginocchio / e, amandoti... », di chiara derivazione ungarettiana, al « C’è sempre una timida lucertola / nel mio giardino », di sapore pascoliano; dall’ « attenta cicala » o dalle cicale nella stoppia »,
che ricordano il limìo montaliano delle cicale, al « sole a picco » di
Vincenzo Cardarelli), i quali non intaccano, però, il candore delle immagini né incrinano la compattezza del discorso. Tutto è sostanzialmente più lieve, più aerato, più sospeso: i ricordi, tristi o lieti, il
sole, i colori, il mare, il cielo, il vento, la stessa presenza dell’uomo di
pena su questa terra, creatura tanto fragile, inerme, diluviana insomma, che non tenta nemmeno di opporsi al dilagante fenomeno
dell’avanzata tecnologica: « Erompono frequenti mine dove tra uliveti
/ superstiti il sole odore di sansa / e nelle cale il mare è stato /
l’autunno dolce dei pescatori. / Fra unghie dissacrate si contorcono /
abbrividendo le radici e sotto la fragile / crosta, umana di selci scheggiate, / le ruspe scoperchiano acque e caverne. / Ma, calando nella
tramata armatura, il grasso cemento piomba carie e dolore / e attorno
alla mole che cresce l’asfalto / disegna strade e spiazzi deserti. / Vasti
contenitori d’alluminio / e perfette cupole d’argento / rifletteranno
domani, sorgendo, il sole, / e altissime canne refrattarie / gonfieranno
di fumo le nubi / e la rosata luce delle pietre / avrà brividi d’acciaio
nell’indifeso / disumanante spegnersi del giorno» (Erompono frequenti mine).
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GIUSEPPE DE MATTEIS________________________________________________________________________
All’amara constatazione della forza diluviana, caratterizzata dalla
presenza del « cemento » e dell’ « acciaio », il Serricchio non ha che da
contrapporre il ritorno ancestrale, mitico alla propria fanciullezza, la
costante, dolente immagine, anch’essa rimemorata, di un’estate garganica, di un’ « estate degli ulivi » appunto, dov’egli possa appagare lo
sguardo e la mente e possa attingere un soffio di speranza per la dura
ripresa: « Non ho che le tue mani stasera / a ridarmi il tepore della
spenta estate, a suscitare nel tremulo tocco / della tastiera la luna dei
ricordi. / Si leveranno ancora dal mare / con strida di gabbiani e l’eco /
rimbalzerà tra i silenzi roccioso / senza voce che chiami / o tinga
un’esile speranza. / Non ho stasera che la dolcezza / dei sereni fuochi
nella piana / e l’onda che sollevi / muove tra le ventilate ginestre / la
calma luce della quiete » (Non ho che le tue mani).
Coglie, a mio avviso, nel segno Bartolo Pento quando scrive (Cfr.
« Messaggero veneto », 18 ottobre 1978) che questa lirica è « da annoverare tra le cose più finemente e comunicativamente calamitanti
del libro, sommossa com’è da un affiato tenero (e intenerito), da un
flusso affettivo-emozionale che si trasferisce nel segno alfabetico con
il fluttuare calmo e rasserenato, — ma saturato anche nel profondo da
una pungente e struggente iniziazione elegiaca —,di una condizione di
impagabile intimità domestica
L’ultimo libro del Serricchio, Stele daunie, comprende poesie
nuove e una cospicua cernita di poesie apparse già in precedenti raccolte.
Riandando idealmente alla storia delle nobili stirpi italiote, Japigie
e Messapiche, che popolarono l’antica Daunia e che, secondo una nota
leggenda (non ancora potuta accreditare, sebbene numerosissimi reperti archeologici della zona di Ascoli Satriano e di Ami facciano
supporre, abbastanza seriamente, che esiste ormai sufficiente materiale
per poter dimostrare, e forse in maniera inequivocabile e definitiva, la
derivazione greca della popolazione italica), ebbero nei Greci i loro
più diretti progenitori (si ricorderà, anzi, che una delle leggende più
famose è quella di Diomede, a cui già Orazio fece esplicito cenno nella quinta satira del libro primo: « Incinit ex illo montis Apulia notos
ostentare mihi, ciuos torret Atabulus [...] panis [...] nam Canusi lapidosus, aquae non ditior urna / ciui locus a forti Diomede est conditus
olim » [la sottolineatura è nostra]. Da qui la Puglia cominciò a mostrarmi / i noti monti che Scirocco avvampa [...] il pane [...] infatti a
Canosa / è duro come pietra: in quel paese / fondato da Diomede esiste solamente un orcio d’acqua »), il Serricchio propone al lettore le
asciutte ma eloquenti parole delle stele, cioè le « immagini non contestate d’un tempo / sepolto da spessi strati di silenzio, / i liberi segni
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______________________________________________________LA POESIA DI CRISTANZIANO SE RRICCHIO
riscoperti di antichi / ritornanti drammi non conclusi / nel semplice
quadro inciso d’una pietra ». Attraverso un’ostinata paziente operazione di filtraggio della parola, che non rivela alcun « tremito di voce /
o concitato spasmo delle arterie », ma che, semmai, assume un valore
catartico e salvifico per l’uomo (Cfr. soprattutto quanto scrive in proposito Oreste Macrì nel saggio intitolato Momenti della poesia di Serricchio premesso alla raccolta). l’artista consegna alla pagina
l’immagine ricavata da quei « gesti fermi da millenni, passioni / calcificate vicende scolorite d’amore / e di lotta, divelte dagli aratri meccanici / all’infocato rumore di settembre... ». Serricchio disseppellisce,
dunque, parole e gesti e vicende d’amore e di lotta che i tempo non è
riuscito a scalfire e che le pietre incise han conservato. Nei luoghi garganici, così cari e familiari a questo poeta (egli vive e svolge attività di
preside in una scuola media superiore di Manfredonia, ma è nativo di
Monte S. Angelo, il balcone del Gargano, dal quale può ammirarsi
l’immensa « piana » di Puglia), « i Dauni primitivi non parole / ma
una lenta cronaca di morte / affidarono alle pietre sui dossi delle dune
»; qui essi « vennero con vele Quadrate / dalla Tracia [...] e costruirono / capanne rotonde lungo i fiumi / e barattarono anfore / colme di
grano coi vicini ».
I versi di quest’ultima raccolta sono intessuti di una materia litica,
in cui sono rinserrate « archeologiche e mitologiche risonanze ». «
Sono versi — come ha osservato Giovanni Tesio (Cfr. ‘Tuttolibri’, 2110-’78) — levigati e incisi di forte tensione emo tiva e civile », in
Quanto « Nei simboli della vecchia Daunia e dei suoi abitanti secolari
fanno irruzione improvvisa i simboli della nostra civiltà, nè la forza
del poeta si appaga di immagini a sé stanti. La presenza dell’oggi si
permea di lontani, un po’ misteriosi richiami, anche tristemente premonitori: ‘Pàgano antiche / colpe i braccianti-pastori di questa / morta
pianura, dove le stoppie / bruciano su bianche tombe / la fierezza antica’ ». E, giudizio non molto dissimile mi pare esprima Ugo Reale sull’
« Avanti! » (Cfr. il numero del 4 settembre 1978): « Nel Tavoliere,
terra cosparsa di memorie di antichissime civiltà, Serricchio legge nel
marmo le vicende di lontani fratelli di lavoro, di sofferenze e di speranze; compone una storia di vinti che è vicina a molte condizioni odierne, pur nell’evoluzione di millenni ».
La passione storico-archeologica del Serricchio affiora a chiare note soprattutto nelle Stele daunie e nel Canto di Diomede, i due poemetti che sono appena scanditi dalla tecnica versale e che nella loro
struttura tematica e stilistica seguono quasi diaristicamente le vicende
storiche del passato; una sorta di storia, anzi, che non è avvertita «
come romantica nostalgia del passato, ma con la stessa profondità del
nostro essere, come qualcosa che arricchisce e potenzia il sentimento
del tempo » (Cfr. V. TERENZIO, « La Gazzetta del Mezzogiorno, 22
luglio 1978).
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GIUSEPPE DE MATTEIS________________________________________________________________________
Quest’ampio scenario di vicende umane e storiche non è turbato
però da momenti di intensa drammaticità, ché ogni immagine ogni resto d’antichità è come avvolto da un’atmosfera sacrale da un senso di
mistero profondo, da un « velano di solitudine » e di malinconia.
In quest’ultima silloge Serricchio pare raggiunga la sua maturità
artistica, poiché riesce a presentare elementi diversissimi fra di loro,
affioranti da stele spesse volte indecifrabili, e tuttavia suscitatrici di
sentimenti, che egli compone « in limpidi schemi compositivi », con «
mirabile senso delle sfumature e delle gradazioni ». Per questo la sua
musa è parsa « casta e sobria nel disseppellire i segni, le’ incontaminate briciole / della memoria... »: « delfini su tombe sommerse », nenia «
fenicia », il « talamone » le « isole di Diomede » dove uccelli piangono ancora la morte dell’eroe garganico analogo a Enea laziale, « il
riemerso ossame di trachite » dove si scopre il « ghigno di pietra »
della cartaginese dei Tanit. La sobrietà è data dallo stesso timore del
sacro o religio coi progenitori defunti, dal vano e dall’impossibile
d’una riedificazione alla vita » (Cfr. O. MACRÌ, cit., p. 13). Ma si
tratta è evidente, di « sobrietà » scavata anche in altra direzione, in
quella, ad esempio, che scaturisce dall’esercizio attento della forma. I
versi del Serricchio sono, infatti, sempre « vigili e scanditi » e « sbalzano in ritmi nitidi e dolenti le atmosfere del tempo, in commistione
profonda di significati » (Cfr. G. TESIO, cit.); nel « loro riflettersi ed
atteggiarsi stilistico-discorsivo, linguisticocomp ositivo » risiede, anzi,
quella loro impronta di « classicità e di modernità » (Cfr. B. PENTO,
cit). E potrebbe trattarsi, infine, di una « sobrietà » desunta
dall’auscultazione di vibrazioni biografiche o dianistiche, connotate
dal quotidiano e dal domestico o ricavata da sensazioni sfumate, pronunciate appena in purezza di linea figurale, in lievitazione di ritmi,
come ad esempio accade di fronte alla visione del paesaggio di Borgo
Celano: « M’affaccio per empirmi il cuore / di nuovi germogli, sottilmente / verdi nell’incerto oro del giorno, / graffiato dalle unghie del
vento / nascosto fra muraglie mobili / di nuvole in lampeggii remoti. /
Un ramo ha il frullo timido / di passera ch’esca dal nido / e il filo di
frescura rinnova / le lontananze amiche: / tenero lume di ciclamino /
sulle nude colline ».
Il terreno sul quale il Serricchio realizza il nucleo ispiratore della
sua poesia non è solamente il recupero della storia passata, aureolata
di miti, ma anche quello, non meno realistico ed oggettivo, del paesaggio garganico, sul quale pare dispiegarsi appieno il canto
dell’Estate degli ulivi, silloge che, se per un verso ricorda — come ha
giustamente osservato il Macrì — suggestioni e prestiti di grandi poeti
meditemranei, Quali Valéry, Ungaretti, Montale, Quasimodo e Comi
(amico e maestro in un certo senso, quest’ultimo, del Serricchio),
50
______________________________________________________LA POESIA DI CRISTANZIANO SE RRICCHIO
ovvero se si scopre in qualche modo vicino alla « peregrinazione lorchiana nella sotterranea Andalusìa », cui si conformeranno anche, secondo il folclore della propria terra, « Bodini salentino, Gatto camp ano, Sinisgalli lucano [e non calabro, come erroneamente crede il Macrì], Quasimodo siracusano », Carrieri pugliese — aggiungerei io —
per talune predilezioni cromatiche, per il verso opposto rivela la sua
piena aderenza alla concretezza della vita.
L’estate degli ulivi, maturato in seno all’insistito ma, per fortuna,
vario e mosso registro di « rive corrose, mummie dormienti, città sepolte, strade opache, vuote città, ceneri secche, sogni neri della morte,
cardi rinsecchiti, calcinati scogli, relitti di mare, lacrime nude della
madre, allucinanti gabbiani lampare campani cicale lucertole braccianti pugliesi » (Cfr. O. MACRÌ, cit., p. 12), rivela, infine, un sincero desiderio del poeta, quello cioè di voler contribuire, come e quando può,
alla costruzione di un discorso di speranza e di liberazione per l’uomo:
un messaggio validissimo, mi pare, che è stato riproposto con più viva
partecipazione e con più sereno equilibrio anche nelle Stele daunie.
GIUSEPPE DE M ATTEIS
51
DUE INEDITI DEL POETA GIUSEPPE REGALDI
Di Giuseppe Regaldi1 , poeta piemontese dell’Ottocento, si
conservano, nella Biblioteca Comunale di Lucera, ricca di numerosi e preziosi manoscritti2 , due interessanti lettere, dirette
entrambe al sindaco dell’allora capoluogo culturale e letterario
della Daunia Giovan Battista Gifuni.
Nella prima lettera il Regaldi riferisce di una sua « accademia » (oggi diremmo recital di poesie) tenuta nel 1845 nella
casa della nobilissima famiglia Mosca, alla quale parteciparono
1
Giuseppe Regaldi (Varallo 1809 - Bolzano 1883) fu appassionato cultore
di lettere e « poeta estemporaneo ». Era noto soprattutto come improvvisatore,
e in questo genere ottenne successi notevoli sia per la prestanza fisica sia per il
modo enfatico e tuonante col quale soleva declamare i suoi versi (va però aggiunto che l’atteggiamento retorico fu una carat teristica piuttosto diffusa in
quell’epoca; ciò, anzi, dovrebbe indurre gli studiosi a riesaminare, dopo tanti
anni di silenzio e di abbandono, l’opera di questo poeta, specie le Poesie — ediz. postuma a cura di E. CAMERINI, Firenze 1894, voll. 2 —, nelle quali, a
prescindere dall’assai diffuso tono retorico ed ampolloso, vanno apprezzate la
versatilità — tutti i metri son da lui trattati con grande destrezza, e per qualsiasi
argomento egli sembra abbia pronto un suo armamentario di reminiscenze,
concetti e vocaboli —e le doti d’ingegno. Ciò che nocque al Regaldi, comunque, e che tarpò le ali della sua ispirazione, fu quel suo volersi ergere, a tutti i
costi, a poeta ufficiale della scienza). Fu definito l’ultimo degli improvvisatori,
né servì a togliergli questo marchio da dosso il lusinghiero giudizio che
l’amico e collega Carducci in più occasioni ne diede, lodandone l’ingegno e la
bontà. Sul versante della prosa, prodotta perlopiù negli ultimi anni, si dimostrò
più equilibrato, manifestando una squisita sensibilità nella descrizione di luoghi, di persone e curiosità varie (Cfr. La Dora, 2 a ed., Torino 1867 e L’Egitto
antico e moderno, Firenze 1882, entrambe apprezzate dal Carducci), conosciute dallo stesso poeta nei suoi numerosi viaggi attraverso l’Europa, l’Asia e
l’Egitto.
2
Tutti i manoscritti sono, per l’esattezza, 379 e trattano di diversi argomenti: filosofici, letterari, scientifici; riguardano anche la medicina e
l’astronomia. Tra le firme più autorevoli si ricordano quelle di Domenico Cotugno e Domenico Cirillo, scienziati, Francesco Lastaria, clinico, Del Prete, Di
Lecce, Corrado, Caracciolo, Lombardi, De Iorio ed Emanuele Cavalli, tutti interessati perlopiù a problemi giuridici, oltre che storici e letterari, - Antonio Salandra, statista, i cui diari (Cfr. G. B. GIFUNI, Il diario di Salandra e I retroscena di Versailles, editi entrambi a Milano, Pan, 1969 e 1971) offrono del ministro troiano un volto abbastanza originale; e, tra gli altri carteggi inediti, non
van dimenticati tutti i manoscritti teatrali di Umberto Bozzini, le prose di romanzo di Giuseppe Colucci, le poesie, le prose, e soprattutto l’assai cospicuo
carteggio di Giuseppe Checchia, che ebbe tra i suoi corrispondenti nomi di
grande prestigio della cultura nazionale: Camillo Antona Traversi, Roberto Ardigò, Giacomo Barzelletti, Giovanni Pastonchi, Giovanni Pascoli, Giacomo
52
__________________________________________________DUE INEDITI DEL POETA G. REGALDI
gli uomini più culturalmente impegnati della città e di alcuni
paesi vicini. Il poeta ebbe calorose accoglienze per il suo « estemporaneo poetare », tanto è vero che considerò questa sua
visita in Capitanata come uno dei suoi « ricordi » più graditi.
La prima lettera non è datata e non è contenuta in busta, così come è senza busta la seconda missiva, che però reca in calce la data in cui è stata scritta. Le parole che in entrambe questo poeta così amato dal Carducci rivolge al sindaco sono di
doveroso ringraziamento per le accoglienze ricevute, ma al sciano intendere anche la meraviglia che egli ha provato nel visitare l’antica città.
Rispettabile Signor Sindaco
L’invito che Le piacque farmi per un esperimento di estemporaneo poetare mi è caro argomento del pregio in che si hanno
le lettere, e del culto che si presta all’ospitalità nella illustre
memorabile Lucera 3 . Io non ho parole accomodate a riferire le
Zanella, Francesco Torraca, Giovanni Marradi, Benedetto Croce, Nicola Misasi, Alfredo Galletti, Giovanni Lanzalone, Gaetano Pitta, Mario Rapisardi, Achille Pellizzari, Ferdinando Russo, Bonaventura Zumbini, Egidio Corra (si
coglie qui l’occasione per comunicare che, a cura nostra, apparirà fra poco in
stampa tutto il carteggio Checchia). Vanno, infine, ricordati gli autografi di
Giacomo Leopardi, dell’archeologo Giuseppe Fiorelli, dello storico Teodoro
Mommsen, di Francesco De Sanctis, di Giuseppe Garibaldi, di Ruggiero Bonghi, di Umberto Giordano, di Ferdinando Martini, del Cialdini, Minghetti, Crispi, Ferri, Barattieri, Rosati, Zanardelli, Bovio, Zuppetta, Salvemini, Silvio
Spaventa, Paolo Ferrari, Lombroso, Cantù, Pitrè, D’Ovidio, D’Annunzio, De
Amicis, Fogazzaro, Settembrini, Gentile, Serao e Giustino Fortunato, le cui lettere, indirizzate al prof. Antonio Iamalio, segretario particolare del De Sanctis,
trattano, tra l’altro, della questione meridionale e dell’opera letteraria del grande critico irpino. Ma, per notizie più det tagliate su quest’argomento, e per tutto
quanto concerne anche l’antico e ricco patrimonio culturale conservato nella
Biblioteca Comunale di Lucera, si veda la rapida ma precisa sintesi di G.
TRINCUCCI, La Biblioteca « R. Bonghi», di Lucera, Lucera, Catapano, 1977,
soprattutto le pp. 16-37.
3
Lucera è una bella ed antica cittadina, di circa 30.000 abitanti, a solo 18
Km. da Foggia, capoluogo della Daunia. Per la ricchezza delle sue memorie
storiche è da considerare uno dei più importanti centri dell’Apulia. Dal punto
di vista artistico, oltre alla buona conservazione dell’anfiteatro romano,
d’epoca augustea, rivestono particolare importanza il castello e il Duomo. Il
primo, sorto sull’acropoli dell’antica città per opera di Federico II, venne successivamente ampliato, dal 1269 al 1283, da Carlo I d’Angiò. Enormi e solidissime sono le due torri cilindriche dette del « Leone » e della « Leonessa ».
L’entrata principale presenta un ampio portale a sesto ribassato all’esterno e a
sesto acuto all’interno. Altissime cortine recingono il fortilizio angioino, a
pianta di pentagono irregolare, rinforzato tutt’intorno lungo i lati da torri quadrilatere e pentagonali.
Sempre dai d’Angiò (presumibilmente da Carlo II) fu iniziato il secondo
complesso artistico, all’incirca intorno al 1300, misto di forme romaniche e go53
GIUSEPPE DE MATTEIS_______________________________________________________________
debite grazie a Lei, ed a’ suoi degni cittadini delle accoglienze
fattemi, e della benevolenza con che gli animi si dispongono a
ascoltare le mie povere rime. Siccome Ella largheggiando in
ogni maniera di cortesia lasciò in mio arbitrio il fissare il giorno del l’accademia, eleggo il 5 del volgente mese, sabato prossimo; ed ove un tale giorno a Lei, od a’ suoi concittadini non
convenga Ella potrà eleggere qualunque altro giorno che meglio si con faccia a’ que’ buoni che seco Lei si affamigliarono
per farmi onore.
La prego di gradire gli schietti sentimenti di riverenza e d
gratitudine coi quali mi reco a distinto onore di protestarmi di
Lei,
Dev.mo ed obb.mo Servo
G. Regaldi
Rispettabile Signor Sindaco
Le accoglienze largite a’ miei versi nella colta Sua Patria
staranno in ogni tempo fra le più care memorie della mia vita
poetica. Mi palpiterà il cuore tutte le volte che mi avverrà di ricordare l’illustre Lucera, scrivendo dei fatti memorabili, che la
rendono gloriosa nelle istorie italiane. Ricordando le rovine
maestose del Castello, e gli archi acuti della spendita Cattedrali
risentirò un grato olezzo di fiori, un suono soave di musiche,
un accorrere di gente festiva, ed un plauso ardente di generosi
che alla squisitezza dell’ingegno sanno accoppiare la bontà del
cuore. E Lei, rispettabile Signor Sindaco, ricorderò in particolar modo chè fatto cortese interprete de’ miei ottimi concittadini, tutto operò che potesse maggiormente onorarmi. Con animo
grato ed ossequente sono altero di protestarmi a Lei
8 luglio 1845.
G. Regaldi
tiche, fiancheggiato da una torre campanaria cuspidata con due piani di eleganti
bifore e monofore. Nell’interno, in tre navate a tetto e arcate di stile gotico, si
trovano l’altare maggiore, il ciborio, il pulpito e varie sculture e affreschi
d’epoca rinascimentale.
Ma, oltre a questi edifici, van ricordate anche la chiesa gotica di S. Francesco, fondata sempre da Carlo II d’Angiò, che, sotto il profilo strutturale, specie
negli sporgenti contrafforti dell’abside poligonale, richiama chiaramente il
Duomo, e la chiesa di S. Domenico, nella quale s può ammirare il coro ligneo,
di stile barocco, dello scultore Fabrizio Iannulo da Monopoli, eseguito nel
1640.
GIUSEPPE DE M ATTEIS
54
LA FORMAZIONE PROFESSIONALE
NEL SETTORE DEI BENI CULTURALI:
LE BIBLIOTECHE
I problemi e le questioni che sempre nascono e si agitano intorno
alle rare occasioni di riflessione tra operatori a vario titolo di settori
complessi come quello dei beni culturali, autorizzano qualche libertà
nello svolgimento dei temi assegnati.
Per quel che riguarda il settore in cui opero, mi preme sottolineare
l’impossibilità di affrontare alcun tema specifico della questione bibliotecaria — sia pure quello più tecnicamente e teoreticamente più
neutrale e astratto (ammesso che ve ne sia uno) — senza fare i conti
con il quadro complessivo e concreto della situazione. Tanto più che
non si tratta di un quadro qualsiasi: ignorano o, peggio, parcellizzarlo
in tanti problemi —poco importa se tecnico-organizzativi o più ampiamente culturali —, come spesso si è fatto e si continua a fare, significherebbe illudersi di espungere i problemi generali e di fondo. Come
è, infatti, possibile sperare che il caos, lo sperpero, la disorganicità,
accumulati in decenni di totale assenza di una politica bibliotecaria
non si riverberino su ogni specifico problema tecnico-organizzativo o
politico-culturale? Riandare costantemente ai « nodi » non è perciò
sintomo di una mancanza di immaginazione né di una volontà di fuga
dai problemi specifici e concreti; è, al contrario, voler fuggire il rischio di illusorie scorciatoie tecnocratiche o di una totale assenza di
analisi sulle cause, sui processi, sulle responsabilità che sono alla base
della situazione e sui meccanismi comuni da innescare per superarla.
Si può, per esempio, realisticamente pensare che le biblioteche diventino e funzionino quali moderne strutture informative aperte e come centri capaci di produrre oltre che di trasmettere e far circolare
cultura solo perché si è inventata a tavolino una riverniciata figura di
bibliotecario: fuori cioè di una rifondazione, di un duro e lungo lavoro
che assegni, ridefinisca moli, compiti, funzioni e obiettivi precisi ai
singoli e diversi tipi di istituti nell’ambito di un « sistema nazionale »
fondato su diversi livelli territoriali?
Relazione tenuta al Seminario « La formazione professionale nel set tore dei beni
culturali », organizzato dalla rivista Economia, istruzione e formazione professionale, in
collaborazione con l’Ufficio Studi del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali e svoltosi a Bari nei giorni 18-19 maggio 1979. La rivista organizzatrice, in un numero doppio
(7/8, luglio-dicembre 1979) ha curato la pubblicazione degli atti.
55
GUIDO PENSATO______________________________________________________________________________
E’ vero esattamente il contrario: prendono corpo e saranno più
precisamente delineate nuove figure professionali solo nel vivo di un
processo complessivo di costruzione di un moderno « sistema bibliotecario ».
Il capovolgimento del rapporto: problemi, scelte e volontà politicoculturali generali / problemi tecnici, è stata — secondo i casi, in buona
o cattiva fede — la paralizzante risposta data dagli addetti ai lavori e
dai responsabili della politica delle biblioteche a quello che resta, da
un secolo a questa parte, il problema di fondo della nostra cosiddetta
organizzazione bibliotecaria: realizzare il passaggio dalla struttura
immediatamente post-unitaria, élitaria, di classe, omogenea a un assetto sociale ed economico fondato sulla scarsa partecipazione dei cittadini, su bassi livelli di scolarizzazione e di cultura a una struttura
moderna che facesse e faccia i conti con la società di massa, con gli
accresciuti livelli di scolarizzazione e culturali, con la fondamentale
esigenza di produttività e di integrazione di tutto il sistema formativo,
educativo e culturale nel processo di trasformazione sociale ed economica.
Sono trascorsi così — tra resistenze, incapacità, tentativi di strumentalizzazione — cento anni di storia bibliotecaria italiana, nel corso
dei quali, non a caso, si è tentato di consolidare e rendere definitiva
una concezione tutta retorica delle biblioteche — sacrari della civiltà!
— nell’ambito di quella più generale dei beni culturali come beni da
godere non mai da usare!
In questo quadro non c’è problema tecnico che sfugga a un rapporto di funzionalità alla logica sostanzialmente paralizzante, conservatrice che ha caratterizzato la gestione di questo settore.
Non far nulla per modificare e adeguare alla radice la struttura bibliotecaria del Paese significa non vedere che per questa strada passa
ogni problema tecnico. Affrontare in questo modo per esempio il problema di fornire le biblioteche, le biblioteche italiane oggi, di strumenti catalografici, informativi e bibliografici nuovi, rispondenti al ruolo
nuovo che esse devono svolgere nella vita democratica, civile e culturale del Paese, significa ignorare che anche le tecniche catalografiche
sono espressione di un rapporto di totale identificazione ed omogeneità culturale tra le biblioteche e le ristrette élites di utenti che, prima
ancora di essere fruitori e destinatari di un codice e di un sistema informativo, erano, e sono tuttora in grande misura, coproduttori di quel
codice e di quello più generale del sistema culturale e sociale, la cui
chiave universale è rappresentata proprio da quella omogeneità.
In questo stesso quadro si comprende bene lo scars o peso che hanno avuto le riflessioni e le sollecitazioni di quanti pure in questi cento
anni sono riusciti talora a cogliere la scarsità del contributo che poteva
56
_________________________________________LA FORMAZIONE PROFESSIONALE NELLE BIBLIOTECHE
venire dalla « vecchia e solida » e « pertinente » cultura umanistica dei
bibliotecari italiani al rinnovamento di strutture di cui si indovinavano
compiti ben più complessi, vasti e, soprattutto, qualitativamente nuovi.
Ma provvedimenti, iniziative, novità non ne sono venuti nemmeno
per quel che riguarda il reclutamento, la qualificazione,
l’aggiornamento degli addetti alle biblioteche. Anzi, di fronte al mo ltiplicarsi di problemi e ritardi di ogni genere — da quello della scarsità di mezzi e delle scelte legislative a quello della trasformazione e
crescita dell’utenza —, la tradizionale strumentazione tecnica e culturale non è bastata più nemmeno a garantire i compiti tradizionali delle
nostre biblioteche: conservazione e tutela dei fondi preziosi e antichi,
servizio a favore degli alti studi o della ricerca erudita.
Lo stato delle nostre più gloriose istituzioni bibliotecarie, lo scarsissimo livello di accessibilità del patrimonio, il tributo che siamo costretti a pagare all’estero in termini di strumenti di informazione e di
ricerca e quindi di dipendenza culturale ed economica sia in campo
umanistico che in quello scientifico, sono una conseguenza e una testimonianza assurte a livello di luogo comune.
L’immobilismo, la totale assenza di interventi anche in materia di
formazione di quadri tecnici e culturali ha prodotto una progressiva e,
almeno apparentemente, inarrestabile regressione dei livelli di professionalità: nei grandi istituti come nelle piccole strutture di base.
Nessun rapporto dialettico, di movimento, quindi, almeno fino a
ieri, tra nuova — reale o potenziale — utenza, figure professionali e
istituzioni bibliotecarie.
Come conseguenza: perdita di identità, confusione e sovrapposizione di compiti e funzioni, nebulosità di certi nuovi profili
professionali — « animatore culturale », « tecnico dell’informazione »
— che pure vorrebbero essere la risposta alla molteplicità della domanda che investe le nostre istituzioni.
Nonostante tutto però i bisogni obiettivi della nostra realtà economica e culturale, oltre che una domanda, esplicita o potenziale, complessa e di dimensioni rilevanti, la presa di coscienza dei termini reali
e generali dei problemi da parte di larghi strati di addetti ai lavori,
l’assunzione diretta di responsabilità da parte delle Regioni e degli Enti Locali, la conseguente, caotica per molti versi, ma pur sempre vivacissima proliferazione di esperienze formative: tutti questi fattori
spingono ed autorizzano a ritenere improponibile una posizione attendista che condizioni alla definizione e alla costruzione del « sistema
bibliotecario » la precisazione delle nuove professionalità che, viceversa, si possono cominciare a precisare, sperimentare, delineare immediatamente.
57
GUIDO PENSATO______________________________________________________________________________
In particolare, appare fin d’ora chiaro che un’azione specifica va
condotta ai vari livelli — sia attuali sia quelli che emergeranno finalmente dalle riforme in cantiere ormai da qualche lustro — del nostro
sistema d’istruzione e di formazione. Uno dei pochi punti concreti che
possono essere segnati a favore dell’esperienza degli organi collegiali
della scuola è forse proprio la « scoperta » del ruolo che le biblioteche
— a cominciare da quelle scolastiche — possono giocare nella realizzazione di una ipotesi di radicale trasformazione dei modi e dei contenuti della pratica educativa.
E’ quindi necessario non solo che gli insegnanti acquisiscano quelle nozioni e quelle capacità — che dovranno poi trasmettere e usare
insieme agli studenti — relative alla ricerca bibliografica, all’uso delle
fonti e delle strutture informative, che devono entrare a far parte integrante della pratica educativa a tutti i livelli e in tutte le aree disciplinari; ma anche che la biblioteca scolastica sia messa in condizione di
diventare davvero strumento indispensabile all’attività formativa. E
questo è possibile — per quel che riguarda il personale — sia attraverso l’intervento diretto di Regioni ed Enti Locali (che portata reale avrebbe altrimenti ogni discorso sulla loro titolarità della competenza
in materia di diritto allo studio?), sia ipotizzando — nel quadro di una
riforma dell’istruzione che riconduca anche a una utilizzazione unitaria e coordinata delle risorse scolastiche — la istituzione di un ruolo di
bibliotecari scolastici, — la cui formazione sia specificamente caratterizzata sul piano psicopedagogico e didattico. Ma la perdurante fluidità di tutto il processo di riforma consente — a mio parere — ipotesi
più avanzate, quale per esempio — nell’ambito di uno stretto collegamento « secondaria superiore » / « formazione professionale » — la
individuazione di corsi biennali di formazione per aiuto-bibliotecari
innestati su un auspicabile biennio della « secondaria ».
Per quel che riguarda la biblioteca pubblica — luogo in cui si sono
in questi ultimi anni manifestate le esperienze più stimolanti, i bisogni
più tumultuosi e contraddittori e quindi anche le ipotesi di professionalità più nuove anche se talora confuse — è certo che ampio spazio
nella formazione degli addetti va fatto a quelle discipline in grado di
conferirle una dimensione sociale e ampiamente educativa rispetto a
un utenza complessa, in trasformazione e strettamente legata alla realtà del territorio. Non quindi una generica infarinatura di sociologia,
ma una formazione sociologica e antropologica in grado di cogliere e
interpretare i complessi e vari fenomeni della produzione, della comunicazione e della fruizione culturale; non una sommaria o invecchiata
infarinatura di « storia locale »fatta di dilettantismo, campanili e uomini illustri, ma un complesso di strumenti conoscitivi — dalla storia
culturale, economica e sociale alla statistica, all’analisi
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_________________________________________LA FORMAZIONE PROFESSIONALE NELLE BIBLIOTECHE
delle culture popolari, etc. — collegati a livello pluridisciplinare e in
grado di concorrere a configurare la biblioteca pubblica non più come
la nebulosa struttura del passato — miraggio del contenitore universale ed enciclopedico delle conoscenze o sacrario della cultura provinciale — ma come luogo e strumento per l’accesso, veramente aperto a
tutti, al complesso delle risorse bibliografiche del territorio; ma soprattutto come referente pubblico dei bisogni e delle domande culturali e
di lettura di un’utenza organizzata, come strumento critico collettivo
attraverso il quale anche l’utenza individuale si moltiplica e si rafforza.
E’ evidente — a questo punto — che gli stessi aspetti più squis itamente tecnici della nuova professionalità del bibliotecario cosiddetto
pubblico: catalogazione, gestione dei servizi, cooperazione tra biblioteche, automazione etc., acquistano un ruolo diverso, perché fondamentalmente diretti a misurarsi con problemi affatto nuovi: da quelli
posti da un’utenza non tradizionale, a quelli della costituzione della
memoria storica dei gruppi sociali produttori di cultura in senso lato.
Non vi è dubbio: rispetto alle certezze immobili della tradizione
bibliotecaria italiana, mettersi su questa strada può apparire avventuroso. Così non è se si rinuncia all’immagine della biblioteca pubblica
come « universalità di beni ... immobili » e si sostituisce ad essa quella
di un complesso flessibile, variabile e mobile di beni il cui valore aumenta in funzione del numero di scambi che subisce e consente; se si
chiede ad essa ed al bibliotecario, come metodo di lavoro, un rapporto
costante con il territorio, le sue istituzioni, i suoi gruppi sociali, i suoi
bisogni e, come obiettivo, la trasformazione della cultura scritta — ma
non solo di essa — da strumento del privilegio culturale di pochi a patrimonio diffuso e utilizzabile potenzialmente da tutti. Si tratta, in somma, di non fermarsi all’obiettivo — che pure è tutto da realizzare
— di erogare servizi adeguati a favore dell’utenza così come è.
E’ quindi soprattutto con riferimento al settore della biblioteca
pubblica che le strutture formative devono assumersi non come date e
definite una volta per tutte, ma capaci, per un lungo periodo, di mis urarsi con i bisogni e le esigenze emergenti.
Questa parte innovativa del discorso sui bibliotecari delle biblioteche
pubbliche nulla toglie all’esigenza — soprattutto nelle grandi istituzioni di questo tipo e fatta salva l’ipotesi di strutture di conservazione
specifiche con compiti specifici di archivi del libro ai livelli regionali
— di formazione rispetto alla parte antica e di pregio del patrimonio:
anche se l’obiettivo della produttività culturale e di un diverso uso della professionalità pone ugualmente problemi ai vecchi metodi e ai
vecchi contenuti formativi.
59
GUIDO PENSATO______________________________________________________________________________
Presenta minori problemi — almeno sul piano della definizione dei
profili professionali e degli stessi curricula — la formazione dei bibliotecari delle università e delle biblioteche speciali di Enti pubblici o
privati.
Per queste ultime — per le quali la natura dei materiali e
dell’utenza delineano abbastanza chiaramente il rapporto che deve
correre tra tecniche biblioteconomiche e di documentazione e conoscenze specifiche delle materie cui l’istituto si riferisce — il problema
fondamentale è quello di non lasciare più oltre all’autoformazione o
all’iniziativa del singolo Ente di appartenenza — con conseguenze di
estemporaneità e di eterogeneità facilmente immaginabili — ogni iniziativa.
Problema, questo, comune, d’altra parte, anche ai bibliotecari delle
università e che non sarà risolto fino a quando lo Stato — invece di
occuparsi del coordinamento e della gestione di istituzioni, servizi e
funzioni di carattere generale e nazionale — continuerà a voler gestire
strutture o settori d’intervento il cui carattere generale o nazionale
nessuno può sostenere.
Un ruolo determinante rispetto ai problemi di formazione, qualificazione e aggiornamento del settore bibliotecario spetta all’università,
aldilà dei termini appena accennati e su vari piani:
1) collaborazione e sostegno alle Regioni e agli Enti Locali nella
definizione e nella realizzazione di programmi e corsi di formazione
professionale del personale da immettere nei servizi e di aggiornamento del personale in servizio;
2) istituzione — in sedi universitarie in cui sono presenti strutture
bibliotecarie e di ricerca adeguate — di corsi di laurea imperniati su
un’area comune di discipline tecniche specifiche: procedure catalografiche e di classificazione, gestione dei servizi, bibliografia, storia delle
biblioteche e della documentazione, statistica, automazione e informazione etc.; e di formazione culturale: lingua e storia della cultura e
delle istituzioni culturali, storia della scienza, storia della filosofia, sociologia della comunicazione e della cultura, etc.; e completate da aree di specializzazione: per bibliotecari documentalisti, per bibliotecari conservatori, per bibliotecari moderni;
3) istituzione di corsi speciali intermedi pre-laurea;
4) istituzione — in relazione alla natura delle risorse bibliografiche del territorio, a specifici piani di sviluppo e al fine della formazione dei docenti — di corsi di specializzazione postlaurea.
Va, comunque, in conclusione ribadito, in presenza di una complessa e crescente domanda culturale e di lettura che non riesce a trovare referenti istituzionali con caratteristiche e funzioni chiare e defi-
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_________________________________________LA FORMAZIONE PROFESSIONALE NELLE BIBLIOTECHE
nite di bisogni di formazione che provengono da tutte le biblioteche
italiane; di esperienze formative disparate realizzate ai livelli locali e
regionali; di una latitanza pressoché totale da parte dello Stato: in questa situazione, va riaffermato che ogni discussione sui profili professionali che non voglia ridursi a mera esercitazione teorica deve costantemente far riferimento a una serie di precondizioni, che costituiscono
la griglia strategica complessiva di ogni ipotesi di politica bibliotecaria.
In particolare vanno — a mio parere — considerati come obiettivi
di fondo e immediati:
— liberare la figura professionale del bibliotecario da quelle connotazioni burocratico-amministrative che ne impediscono una caratterizzazione e uno sviluppo sul piano tecnico-scientifico;
— far coincidere questa battaglia con l’occasione della riforma di
tutto il settore del pubblico impiego e della Pubblica Amministrazione;
— ancorare, inoltre, le diverse professionalità non semplicisticamente alla natura — giuridica o culturale — del patrimonio librario, ma soprattutto alla destinazione di uso, all’utenza configurabile;
— definire — attraverso la emanazione delle leggi-quadro e la ripresa di un confronto ravvicinato e costruttivo — dei ruoli e delle funzioni rispettive dello Stato, delle Regioni e del sistema delle autonomie. Particolarmente per quel che riguarda la formazione del personale delle biblioteche, un’azione di coordinamento e di indirizzo da parte
dello Stato sarebbe auspicabile. Non costituisce certo un buon viatico
su questa strada l’assenza di qualsiasi riferimento al problema della
qualificazione e dell’aggiornamento professionale di cui soffre lo stesso decreto 805 istitutivo del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali;
— scongiurare — proprio attraverso il confronto delle esperienze
di formazione maturate in sede locale e spesso a livello di singole biblioteche come risposte immediate ai bisogni emergenti e concreti —
il rischio che prendano piede figure professionali parcellizate (più che
specialistiche) o anche generalissime (più che polivalenti);
— condurre nell’ambito delle strutture statali e di quelle operanti
sul territorio regionale, un’analisi sulla natura e sui livelli della professionalità; che costituisca un quadro preciso delle risorse .disponibili e
dei bisogni complessivi presenti nel settore delle biblioteche ai vari livelli.
Rendere produttiva un’ipotesi di formazione per il personale delle
biblioteche significa — come è ovvio — soprattutto legarla strettamente agli obiettivi fissati dalla programmazione del settore.
I segnali che continuano a pervenire non sono dei più confortanti.
61
GUIDO PENSATO______________________________________________________________________________
Tarda a prendere corpo una sia pure iniziale ipotesi pro- grammatoria dello Stato, il quale per di più non trova di meglio — per quel
che riguarda la formazione professionale — che ipotizzare, attraverso
il Ministero dei Beni Culturali e li occasione della Conferenza Nazionale delle Biblioteche, un Centro Nazionale per la Formazione Professionale dei Bibliotecari che ha tutta l’aria di un miraggio nel deserto e
rischia di configurarsi — sia pure a livello di ipotesi — come del tutto
separato da quel Consiglio Nazionale che, per quanto progressivamente svuotato di poteri reali e di funzioni, resta pur sempre l’organo della
programmazione.
« Tractant fabrilia fabri »: è stato per decenni l’accorato slogan dei
bibliotecari italiani in lotta quotidiana con una burocrazia centrale
chiusa e arretrata. La dimensione dei problemi che affliggono il nostro
sistema bibliotecario deve, da sola, far giustizia dell’illusione che sia
sufficiente a risolverli un quadro professionale moderno e preparato.
Al contrario, solo l’impegno comune — accanto agli addetti ai lavori,
portatori di una rinnovata professionalità fortemente caratterizzata sul
piano sociale — delle istituzioni culturali pubbliche, titolari di strategie generali di sviluppo e di una nuova utenza, di nuovi soggetti, titolari di bisogni e diritti culturali, può allontanare la sensazione e la prospettiva di costruire un bibliotecario fantasma. destinato ad aggirarsi e
a celebrare vuoti rituali in immobili cimiteri di carta.
GUIDO PENSATO
62
FRANCESCO BARBERI E LA PUGLIA *
Avv. Francesco KUNTZE (Presidente Amministrazione Provinciale
Foggia).
Sono particolarmente lieto di poter accogliere questa sera nella
nuova sede della biblioteca Provinciale così illustri rappresentanti del
mondo della cultura e delle biblioteche e di poter porgere ad essi il saluto dell’Amministrazione Provinciale e dei cittadini di Capitanata.
L’incontro di questa sera, che la nostra biblioteca ha voluto organizzare con l’intelligenza che segna costantemente le sue iniziative, è
un’occasione particolare, in un certo senso atipica. rispetto alle consuetudini semplicemente celebrative che connotano talora gli incontri
con il mondo della cultura.
Al Prof. Barberi, ad uno dei maggiori bibliotecari e studiosi della
cultura scritta che possa vantare la storia contemporanea delle nostre
biblioteche, la biblioteca foggiana e la cultura dauna non tributano stasera un omaggio tradizionale, io credo, la cui opera di soprintendente
in Puglia in un momento storico, tragico e dolorosissimo per il paese e
per la Capitanata è tra le vicende più nobili che registri la cultura militante della nostra terra e di essa credo dirà efficacemente il nostro
Dott. Celuzza. Il prof. Barberi è con noi ancora una volta come intellettuale protagonista, come uomo di cultura non accademico, al
quale la cultura offre un omaggio diverso, nel modo che il prof. Barberi, ne sono certo, apprezzerà ben più di ogni altro tradizionale; un
omaggio vale a dire che è tutto un contributo di ricerca, di lavoro
intellettuale produttivo, di impegno culturale attivo. In una sede che è
forse il più bel segno della continuità fra ciò che l’opera vigile e persino trepida di Francesco Barberi ha voluto conservare, la vecchia Provinciale, è la nuova Biblioteca che ancora da Barberi hanno ricevuto il
segno della vocazione professionale nel suo senso più completo. Questa sera il prof. Petrucci e la dott.ssa Vinay dedicheranno a Barberi e a
tutti noi interessati al mondo del libro due contributi scientifici che avranno in sé oltre la formula del volume miscellaneo e dell’opera di
catalogazione a repertorio un valore ulteriore di riflessione critica e di
generalizzazione problematica.
* Tavola rotonda tenuta a Foggia nell’Auditorium della Biblioteca Provinciale 22
ott. 1977 con la partecipazione: Avv. F. KUNTZE, Prof. P. RICCIARDELLI, Dott. A.
CELUZZA, Dott. A. VINAY, Prof. A. PETRUCCI, Prof. F. BARBERI.
Nella stessa seduta il Prof. A. PETRUCCI ha presentato al pubblico il volume « I
manoscritti della Biblioteca Prov.le ».
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La intelligenza scientifica che dedica il meglio di sé negli studi biblioteconomici ad approfondire i temi della pubblica lettura, il loro
collegamento costante e dinamico con la polimorfi e talora contraddittoria — nel versante sociale e culturale — struttura del territorio; i
rapporti tra biblioteche ed istituzioni della nostra democrazia rinnovate, ancora profondamente da rinnovare: penso al solo grosso problema
della legge 382 così rilevante e così ancora aperta, per usare un eufemismo, nel campo delle biblioteche; i temi della strutturazione a livello nazionale delle maggiori istituzioni bibliotecarie e della loro adeguazione alla realtà contemporanea dei bisogni del paese, troveranno
tutti un’eco competente e appassionata in quanto ci dirà la dottoressa
Angela Vinay, che non per la prima volta ci onora della sua presenza e
che quale presidente dell’Associazione Nazionale degli operatori delle
biblioteche nonché per la sua opera intelligente di responsabile
dell’Istituto Centrale per il Catalogo Unico molto ci fa attendere in favore della nostra organizzazione bibliotecaria nazionale.
Al prof. Armando Petrucci, che questa biblioteca ha già avuto la
fortuna di ospitare presentando un suo interessantissimo volume «
Primo: non leggere », in una occasione di cultura anch’essa non formale anzi vivacissima, spetta questa sera un compito che egli troverà
non solo non sgradevole, ma anzi gradito presentando il « Catalogo
dei manoscritti della Biblioteca Provinciale », approntata dal valente
direttore dell’Archivio di Stato di Foggia dott. Di Cicco, al quale va il
nostro caldo ringraziamenti per l’opera realizzata anche con la valida
collaborazione degli operatori della nostra biblioteca: la signora Altobella-Galasso, i sig. Ventura e il dott. Mancino per la parte editoriale.
Presentando il catalogo il prof. Petrucci potrà essere spero ben lieto di
coniugare l’esercizio scientifico della sua nota competenza di paleografo e di studioso della cultura scritta con il piacere d farlo qui in una
biblioteca che è a lui carissima come lo fu per suo padre Alfredo Petrucci. Non a caso ho ricordato questo nome a tutti noi caro. Il prof.
Petrucci me lo consenta qui, così come mi vorrà consentire di rinnovargli il ringraziamento doveroso e caldo che la Capitanata, non solo
la Biblioteca Provinciale gli devono per la generosità da lui dimostrata
nel confronto del nostro maggiore istituto bibliotecario, donando ad
esso ed a suoi fruitori pubblici un patrimonio di opere che di Alfredo
Petrucci e della sua multiforme testimonianza di poeta e d artista insigne ci restituiscono la cifra e l’eredità maggiore.
Vorrei chiudere queste mie brevi parole di saluto a voi illustri ospiti ed al pubblico venuto così numeroso con un impegno che mi consentirete di esprimere, anche se esso, partendo, da occasioni di cultura
come queste di stasera ed anzi proiettandola in avanti per generalizzare il senso può, sembrare scavalcarne limiti; oggi accogliamo
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tra noi e festeggiamo un uomo come Francesco Barberi che della propria competenza di bibliotecario e di organizzatore di cultura ha fatto
non una missione solitaria ed in sé trattenuta ma un nodo di passione
civile al servizio della comunità. Il nostro impegno di amministratori
che lavorano nella stessa direzione di socializzazione delle competenze della cultura e dei valori per la reale democrazia nuova è di proseguire pur tra incertezze e difficoltà personali e storiche il lavoro che
uomini come lui ci insegnano e ci invitano a fare ed a proseguire. Una
nuova politica della pubblica lettura in Capitanata ha già segnato importanti successi. S un compito non facile per realizzarne l’intera curvatura di problemi e di implicazioni. Malgrado le difficoltà che ancora
esistono e sono realissime non saremmo amministratori autentici né
interpreti di una volontà democratica di massa qual è quella che si esprime nella « fame di leggere » dei cittadini di Capitanata se non dedicassimo le nostre migliori energie anche ai problemi di un potenziamento del Sistema Provinciale di Lettura, alle residue difficoltà di
gestione della nostra « Provinciale », alla collaborazione necessaria
con altri livelli di autonomia locale per la creazione di un sistema urbano di pubblica lettura. Impegni questi che, ne sono certo, sono
nell’auspicio anche dei nostri ospiti di stasera che leggeranno in esso
il senso del loro stesso impegno per la riappropriazione sociale viva
della cultura e per il rinnovamento civile della nostra società.
Prof. RICCIARDELLI (Presidente dell’Associazione
l’A.I.B.)
Pugliese del-
Gentili ospiti, signore e signori. Quale presidente della sezione regionale pugliese dell’A.I.B., vi ringrazio di essere intervenuti e porgo il
mio saluto cordiale a tutti. Ringrazio, con l’occasione, il presidente
della
Provincia
per
il
rinnovato
impegno
a
nome
dell’Amministrazione Provinciale di portare avanti più incisamente il
discorso per le biblioteche e per la rete bibliotecarie nella nostra provincia. Un impegno civile, politico e sociale che fa certamente onore
alla Giunta Provinciale in carica. Mi sia consentito di rivolgere un più
caloroso saluto, a nome dei bibliotecari pugliesi, ai nostri illustri ospiti
ed al prof. Barberi, al quale mi lega un antico sentimento di rispettosa
amicizia, unita ad una profonda riconoscenza per quanto egli ha saputo dare agli studi e alle battaglie di rinnovamento con lui condotte dai
bibliotecari italiani. In particolare, desidero personalmente ricordare la
lontanissima prima grossa battaglia democratica di Rimini, piena di
sussulti innovatori. Allora, per noi più giovani, Barberi fu subito amico oltre che maestro. Rivolgo, altresì, un saluto grato ed affettuoso alla
dott.ssa Vinay, cara amica e valentissima bibliotecaria, la quale, oggi,
alla guida dell’A.I.B. nazionale, va compiendo quella
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preziosissima opera di coordinamento operativo e di sensibilizzazione
di massa ai problemi delle biblioteche italiane, di cui le strutture fondamentali della pubblica lettura avevano inderogabile bisogno. Infine,
saluto il prof. Petrucci, che è caro agli studiosi del libro e della cultura
scritta, non solo per la sua autorevolezza scientifica (bene e meglio diceva il presidente della Provincia), ma anche per quella opera di rinnovamento e direi di codificazione che ha saputo introdurre in un ambito di studi finora contrassegnato, forse ingiustamente, da un’area di
aristocratica riservatezza. La mia singolare veste, doppia veste di amministratore e di bibliotecario, lungi dall’essere motivo di qualche imbarazzo, mi suggerisce un’osservazione che non mi pare inopportuna:
non credo sia casuale che un bibliotecario, un’operatore della cultura,
che si realizza compiutamente nella fruizione pubblica e nella sua socializzazione, si trovi in una certa fase della propria vita a gestire la
cosa pubblica. Lungi, altresì, dal considerare in qualche modo esemplare la mia personalissima piccola esperienza, credo di poterne generalizzare il senso, collegandomi proprio a quel che appunto intellettuali civilmente impegnati come Francesco Barberi, Angela Vinay ed
Armando Petrucci hanno fatto e continuano a fare ancora. Essi hanno
sentito, come pochi, che è impossibile essere uomini di cultura senza
essere in campo con gli altri e per gli altri, al di là di ogni narcisismo
ed ogni malinteso senso della neutralità della cultura. Per questo noi
siamo stasera lieti di averli tra noi; per questo sono con me ad essi grati tutti gli operatori pugliesi delle biblioteche e l’intera comunità civile
di Capitanata.
Dott. ANGELO CELUZZA
E’ ancora vivo in me il ricordo di una giornata di studi tenuta in
Arezzo, nell’ambito del Congresso Nazionale delle Biblioteche Italiane organizzato dall’A.I.B..
In quella circostanza bibliotecari italiani e stranieri, autorità, il Ministro ai Beni Culturali e Ambientali e il Direttore Ge nerale
dell’Ufficio Centrale delle Accademie e Biblioteche onorarono in maniera solenne il professore Francesco Barberi, presentando per la prima volta al pubblico il volume « Studi di biblioteconomia e di storia
del libro », curato e pubblicato dall’A.I.B. e realizzato con il concorso
del Ministero ai Beni Culturali e. Ambientali e della Scuola Speciale
per Archivisti e Bibliotecari dell’Università di Roma, per festeggiare i
70 anni dell’illustre maestro.
Ho partecipato con trepida commozione a quella cerimonia e ricordo l’applauso prolungato, insistente, dei bibliotecari e delle autorità
presenti, allorché, emozionato per quanto succedeva proprio a lui,
schivo di onori e di paludate cerimonie, prese la parola il prof.Barberi,
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per ricordare il suo lungo impegno a favore delle biblioteche italiane e
l’attività di studioso, impegnato in un paese in cui la biblioteca registrava e registra forti ritardi.
« In Italia — scrive infatti il Barberi — non è stato, non solo risolto, ma neppure impostato il problema della biblioteca, a causa delle
cui carenze, le popolazioni meridionali guadagnate all’istruzione, causa la mancanza di un servizio di pubblica lettura di che alimentarla,
sicché la giungla cresceva subito negli scarsi terreni bonificati, e la civiltà contadina — la civiltà degli analfabeti — sopravvive indisturbata
fino ai nostri giorni ». Direbbe Gavino Ledda oggi: « lo studio è roba
per i ricchi ... quello è per i leoni e noi siamo agnelli » (Padre Padrone,
p. 11).
Al bibliotecario, questo sconosciuto, e alla sua formazione ha dedicato molto dei suoi studi, che, nella bibliografia compresa nel volume citato, raggiungono, fino al 31 dicembre 1976, ben 180 voci.
Rammenterò alcuni titoli di questi importanti saggi:
1) Al bibliotecario, questo sconosciuto;
2) Il bibliotecario uomo di azione;
3) La formazione del bibliotecario;
4) Preparazione, specializzazione e utilizzazione del personale
delle biblioteche;
5) Gli studi del bibliotecario;
6) Il bibliotecario e la storia delle biblioteche;
7) Un monito coraggioso;
8) Bibliotecario educatore;
9) Obbiettività del bibliotecario.
E a proposito di quel sentimento di profonda insoddisfazione che
amareggia spesso i bibliotecari e in generale « tutti coloro che esercitano la professione come apostolato » il Barberi nota con acutezza che
ciò non dipende da « un sentimento di vanità insoddisfatti, [o da] una
velleità di esibizionismo» che fa lamentare ai bibliotecari di non essere abbastanza conosciuti dalla società a cui servono: bensì dipende
dalla « consapevolezza dell’importante loro funzione sociale e del loro
attaccamento ad essa », tutti protesi come sono a cancellare
l’immagine di un bibliotecario immerso in un passato di erudizione,
allorché il suo tavolo costituiva « un angolo di protetta, tranquilla operosità letteraria ».
A me preme questa sera riportare il discorso sulla Puglia e sul periodo trascorso in Puglia dal prof. Barberi, durante il quale egli operò
in qualità di Soprintendente Bibliografico.
La nostra terra di Puglia del resto è rimasta ben viva nel suo ricordo,
se a distanza di più di venti anni, ad apertura del suo saggio « Biblioteca e democrazia» pubblicato per la prima volta nella nostra rivista «
La Bibl. Prov. di Foggia» A. I (1962) N. 5-6 e poi compreso nel volume « Biblioteca e bibliotecario » riporta l’episodio di un ragazzo
pugliese, protagonista di un tentativo di incendio alla biblioteca civica,
perché tolto dal padre agli studi.
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« L’insano gesto — scrive il Barberi — di schietta marca meridionale, mirava giusto nel senso che il ragazzo, appena tredicenne,
volle vedere nella biblioteca pubblica quello che non ne riescono ancora oggi a vedere tanti educatori e sociologi italiani: lo strumento
principale quasi il simbolo della liberazione attraverso il libro — una
liberazione alla quale ogni individuo, desideroso e capace, ha diritto in
una società democratica ».
A me — dicevo — preme questa sera ricordare il notevole importante contributo dato dal prof. Barberi in favore della costituzione, della crescita e dello sviluppo delle biblioteche pugliesi, in genere, e della
Provinciale di Foggia, in particolare fondata 40 anni or sono dal Preside della Provincia pro tempore prof. Giustiniano Serrilli, e sostenuta
con notevoli sacrifici nella realtà che è sotto gli occhi di tutti, dalle
amministrazioni democratiche di questi ultimi 30 anni.
Lo farò con il sussidio dei scarsissimi documenti di archivio, sopravvissuti alle vicende belliche, che riguardano l’attività del prof.
Barberi e i suoi rapporti con la Biblioteca Provinciale di Foggia, e in
particolare con il suo primo direttore, il compianto dr. Arturo Marcone.
Quanta trepidazione si coglie dalla lettera del 28 dicembre 1940
con la quale il prof. Barberi approva la decisione di trasferire nel Convento di S. Matteo in S. Marco in Lamis i « manoscritti e stampati
pregevoli appartenenti alla biblioteca ».
Suggerisce per la tutela e la salvaguardia del materiale ogni possibile precauzione e precisa in ogni dettaglio le operazioni da effettuarsi
affinché — egli scrive — « nulla possa andare smarrito o deteriorato
».
La guerra purtroppo si avvicinava a grandi passi e il prof. Barberi
divideva con i pugliesi angosce e preoccupazioni.
E’ del 23 settembre 1943 il seguente laconico, ma preoccupato
messaggio telegrafico, indirizzato dal prof. Barberi al Marcone, in angoscia per la sorte dell’amico e della biblioteca, nata da poco ma ormai semidistrutta dalle bombe piovute dal cielo sulla nostra povera
città: « Pregola darmi notizie sue et biblioteca ».
Nella seconda lettera del 15 febbraio 1942, di grande interesse perché in essa il Barberi suggerisce, pensoso del futuro della biblioteca,
tutto quanto era da predisporre, e l’assunzione dei relativi oneri, per
l’applicazione della legge 24 aprile 1941 n. 393, che detta norme per
le biblioteche dei comuni capoluoghi di provincia.
Le ultime due lettere sono del prof. D’Amato, il soprintendente
della ricostruzione, succeduto in Puglia al Barberi e strappato al nostro
affetto prematuramente; e l’altra del dr. Marcone a Beniamino
D’Amato.
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FRANCESCO BARBERI E LA P UGLIA____________________________________________________________
Nella prima lettera il D’Amato dà notizia al Marcone del partenza
da Bari del prof. Barberi, chiamato dalla Direzione Generale delle Accademie e Biblioteche a dirigere a Roma Biblioteca Angelica.
Tra l’altro Io informa di quanto accadde al Barberi in Bai in quegli
anni difficili, allorché tornando da Roma ebbe la sgradita sorpresa di
trovare la casa invasa e requisita e scrive della profonda amarezza del
prof. Barberi, ripartito poi per Roma nel luglio successivo.
La seconda lettera, per noi di estrema importanza, è indirizzata dal
Marcone al D’Amato. Dopo aver auspicato che buona parte della sua
[del D’Amato, cioè] futura attività sia spesa a favore della biblioteca
di Foggia, che, tra, le consorelle, è l’unico che abbia subito danni mo lto gravi e forse irreparabili dalla guerra, continua testualmente: « sarei
sconoscente e ingrato se anche parlando con lei e scrivendo a lei suo
successore, il mi pensiero non si fermasse un momento a ricordare
l’opera veramente mirabile che il dr. Barberi ebbe modo di svolgere i
queste stesse regioni, durante il suo lungo ministero di apostolato fra
le neglette biblioteche di nostra terra.
Io lo conobbi — continua — appena pochi giorni dopo aver accettato di dirigere, contro i miei meriti, questa biblioteca nel 1937. Egli
mi fu subito largo di consigli e di aiuti materiali.
Non disdegnò neppure farmi vedere praticamente, pedestremente
come si incollava una etichetta sul dorso di un libro. A me ignaro di
biblioteconomia fu il dr. Barberi che mi insegnò come si schedava un
libro, quali erano i criteri di scelta per incrementare le raccolte e via
via tutto quello che poteva servire per dare impulso all’allora nascente
Biblioteca Provinciale c Foggia. Soleva dire il dr. Barberi che questa
era la sua creatura fra tutte le sue predilette.
Ed invero egli l’aveva vista nascere, ne aveva seguito ogni passo
compiacendosene, e, dopo, fu fiero della crescente popolarità di quella
biblioteca che rapidamente si portava tra le principali di Capitanata.
Io stesso devo a lui tutto quello che so...Con lui — continua il dr.
Marcone — ho diviso i timori, le ansie, le gioie, i trionfi che la biblioteca ci dava ».
La lettera si conclude con un caloroso invito al prof. D’Amato a
non abbandonare la Biblioteca Provinciale di Foggia e lui stesso.
Purtroppo, poco tempo dopo, anche per le amarezze e i disagi affrontati, di fronte allo stato di lacrimevole abbandono in cui era la sua
biblioteca dopo il bombardamento dell’agosto 1942 e dopo aver invano chiesto aiuto a destra e a manca alle autorità, il Marcone si ammalò
gravemente e decedette, lasciando figli in tenera età.
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Ecco perché, prof. Barberi, abbiamo voluto che lei fosse qui questa
sera tra noi, nella rinnovata sede della Biblioteca Provinciale di Foggia, sicuri come siamo che questa sarà la degna continuatrice della sua
« creatura prediletta ».
Mi auguro di aver potuto, più che saputo, contenere la serata nei
limiti rigorosi di un incontro di studio, fra amici, senza fronzoli né
trionfalismi, e né compiacimenti retorici, così come mi ero impegnato
telefonicamente con lei.
Se così non fosse, vorrà perdonarmi!
Alla serata abbiamo voluto che fossero presenti il Presidente
dell’A.I.B., dott. Angela Vinay, che le esprimerà, prof. Barberi, il ringraziamento dell’Associazione che verso di lei ha contratto un grosso
debito, e il ch.mo prof. Armando Petrucci, ordinario di Paleografia
dell’Università di Roma, il quale, con entusiasmo e con squisita cortesia, ha accettato di presentare il recente importante volume edito dalla
Biblioteca « I manoscritti della Biblioteca Provinciale di Foggia », a
cura di Pasquale Di Cicco.
Alla dott. Vinay e al prof. Petrucci un grazie sincero; all’amico
Armando il rinnovato ringraziamento, che gli esprimo anche a nome
di tutti gli studiosi di Capitanata, per aver voluto destinare, in dono a
questa Biblioteca, importanti autografi, un ricco epistolario e preziosi
disegni e incisioni dell’illustre compianto genitore, prof. Alfredo Petrucci, al quale la cultura di Capitanata deve moltissimo.
A lei prof. Barberi, insieme con l’omaggio resole questa sera dalla
Puglia tutta intera, la gratitudine dei bibliotecari, dei collaboratori di
ieri e di quelli di oggi, tutti uniti nel doveroso debito di rigorosa professionalità, che riconoscono nel suo lungo e appassionato insegnamento.
Dott.ssa Angela VINAY (Presidente A.I.B.)
Ringrazio per le amabili parole che il Presidente della Provincia e i
colleghi di Foggia hanno avuto nei miei riguardi. Debbo subito aggiungere che dovrei essere io a ringraziare gli amici di Foggia per
questi incontri.
Questa Miscellanea in onore del Prof. Barberi è stata voluta
dall’Associazione Italiana Biblioteche e dai bibliotecari tutti, non per
un omaggio formale ma per un doveroso atto di riconoscenza per
quello che il Prof. Barberi è stato nelle biblioteche da sempre. Non
possiamo pensare ad un sol momento della vita delle biblioteche in
questi ultimi venticinque anni senza avere Barberi come termine di
confronto; e Barberi la persona che ci ha sempre dato le direttive o ha
incoraggiato agli studi dei quali il volume miscellanea è la testimonianza. Gli studi infatti che sono stati raccolti in questa miscellanea
sono indicativi della ricchezza e della varietà degli interessi che hanno
animato la vita professionale del Prof. Barberi e dei riflessi che essi
hanno avuto sulla nostra vita professionale.
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Troviamo contributi più specificatamente bibliologici dal cinquecento al seicento, dall’arte illustrativa alla tipografica; temi che sappiamo più vicini agli interessi del Prof. Barberi. Ma troviamo anche, e
questo significativo e interessante, contributi più tecnici come ad esempio quello di Diego Maltese sulla ristrutturazione dei servizi tecnici di una biblioteca e quello della dott.ssa Carosella «Considerazione
di vent’anni di cooperazione nel campo dell’informazione» o ancora
della dott.ssa Califano-Tentori sulla « Biblioteca Nazionale della
scienza e della tecnica ». Temi tutti che indicane l’apertura delle biblioteconomia ad argomenti diversi da quelli che si è soliti pensare
possano avere interessato lo studioso della tipografia italiana.
La caratteristica infatti di Barberi nei confronti dei bibliotecari è
sempre stata questa: una grande disponibilità a considerare le novità
via via che esse si affacciavano sulla scena inter nazionale e ad indirizzare ad esse i giovani colleghi. Il che ha permesso ad intere generazioni di realizzarsi in settori specifici in maniera armoniosa e completa. La testimonianza più significativa di questa sua qualità, mi pare si
possa ricavare dal bellissimo saggio introduttivo del Prof. Wieder, amico personale di Barberi ed amico di molti bibliotecari italiani. Wieder traccia di Barberi un profilo molto suggestivo. Da un felice confronto tra Barberi e Luigi De Gregori — il bibliotecario della vecchia
generazione nel quale il giovane Barberi cercò un modello da imitare
— Wieder trae la conclusione di una certa rassomiglianza di carattere
tra i due, rafforzata da una singolare analogia di carriera
Barberi impersona quella virtù indicata da De Gregori come fondamentale per i bibliotecari: la modestia. « La semplicità e li schiettezza a lui proprie si riflettono perfino nel suo linguaggio dal quale
sono stati sempre assenti la declamazione, la retorica e ogni virtuosismo. La sua figura, piccola e certo non imponente sembra crescere
quando egli si trova ad esporre e a far valere con intimo vigore la propria opinione: chiara, intelligente, creta, sempre frutto di profonda
esperienza ».
« Energia e dinamismo, osserva sempre Wieder, nascevano in lui
dall’esemplare senso di responsabilità che lo aiutava a rispettare un
ordine di priorità nei suoi impegni. La coscienza del dovere, mai venuta meno, e la specifica competenza gli hanno permesso di trovare la
giusta via in un mondo di profondo rivolgimento e di continue tensioni come quelle che turbano oggi la professione dei bibliotecari nel
contrasto fra passato e presente fra tradizione e rinnovamento, fra teoria e pratica, fra attività scientifica e attività amministrativa ».
Si può capire come la sua vita professionale abbia dovute subire
amarezze e delusioni le quali, in un paese così pieno di ricchezze del
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passato, dovevano venirgli proprio dal fatto che nelle biblioteche italiane lo splendore e la miseria si trovano fianco a fianco e che è così
evidente il divario tra l’epoca della rinascenza dell’illuminismo e
l’inefficienza delle attrezzature di molte biblioteche del presente.
La conoscenza della letteratura specialistica internazionale della
biblioteconomia straniera, ad esempio degli Stati Uniti della Repubblica Federale Tedesca, paese nei quali aveva compiuto viaggi di studio non hanno fatto che accrescere in lui la convinzione che fossero
necessari sforzi giganteschi per raggiungere gli sviluppi e progressi
degli altri paesi democratici per uscire dall’inferiorità di struttura arretrata, di mezzi finanziari e di personale insufficiente, di edifici inadeguati.
Di qui i suoi continui decisi sforzi in favore della formazione professionale, della specializzazione adeguata ai tempi, dell’applicazione
dei più qualificati principi funzionali e tecnici, di qui la sua azione
impegnata, ammonitrice, stimolante di politica bibliotecaria e culturale e la sua propensione per la salvezza e il successo della nostra moderna società pluralistica. Particolarmente pensoso per lui è stato il
constatare che la famiglia dei bibliotecari italiani relativamente piccola ma operosa e vivace ha avuto scarsi risonanza e considerazione
nell’opinione pubblica, e che la missione da essa svolta non ha trovato
la dovuta comprensione nelle autorità politiche e responsabili della vita del paese Wieder osserva, inoltre, molto opportunamente come « un
tal instancabile amico dei libri delle biblioteche sia stato anche sempre
amico dei giovani e non soltanto grazie alla sua attività di docente universitario. Gli è accaduto così spesso di scoprire nuovi talenti che ha
saputo sempre incoraggiare e avviare ad una proficua attività
Questa miscellanea è il risultato di questa attività di stimolo del
Prof. Barberi. I contributi che vi sono contenuti sono per ciascuno di
coloro che li ha scritti il risultato di un colloquio di un suggerimento,
di una suggestione venutagli dal contatto con il Prof. Barberi: funzione instancabile che non ha a tutt’oggi avuto un termine.
Noi consideriamo questa miscellanea non il punto finale di
un’attività, ma un momento di riflessione, un momento che con senta
a tutti noi di fare un bilancio. Che la sua attività sia ancora nel suo
pieno sviluppo appare evidente dalla bibliografia a fin volume: si arriva al 1976 con la recensione, vivacissima, polemica, al volume del
prof. Petrucci « Primo: non leggere », volume che ha suscitato in Barberi naturalmente una serie di reazioni e di contrappunti a dimostrare
come tutti i problemi sollevati da Petrucci siano per lui ancora oggi
problemi vivi, noi problemi da trattare in maniera teorica. Per questo
la Miscellanea ha un preciso significato: non si è trattato di esercizio
accademico, non ha voluto essere un omaggio formale.
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Ha voluto veramente presentare al Prof. Barberi il frutto di quanto
egli ha seminato dimostrandogli che in tutti questi anni nei quali è stato « fuori » dall’amministrazione si è continuato a produrre qualche
cosa proprio grazie alla sua « presenza » in tutte le sedi dove si tratta
di biblioteche. Sottolineo questa sua presenza « produttiva » stimolo
ad affrontare i problemi, ad inserirli nel vivo della realtà in cui si vive,
calati in un discorso politico generali inteso come premessa necessaria
per consentirci di uscire dalle secche in cui da sempre siamo impantanati.
Prof. ARMANDO PETRUCCI
Il Catalogo dei manoscritti della Biblioteca Provinciale di Foggia,
che io questa sera ho il compito di presentare, è un’open importante ed
opportuna, perché rivela un fondo assai ricco di cui ben pochi « addetti ai lavori » conoscevano fino ad ogg l’esistenza. Esso comprende la
descrizione di circa trecento pezzi in parte già appartenuti alla Biblioteca Comunale, e in parti acquisiti dalla Provinciale per varie vie, e
soprattutto per acquisto. La descrizione dei vari pezzi, opera del Dr.
Pasquale Di Cicco Direttore dell’Archivio di Stato di Foggia, è accurata ed attenta sia agli aspetti esterni, sia a quelli interni dei singoli
manoscritti ma vorrei dire che il pregio maggiore del volume consiste
ne] l’organicità e unitarietà del fondo che è descritto: un fondi legato
direttamente alla storia della città che lo ospita e al suo territorio, e
prevalentemente moderno; tranne, forse, l’unico codice scritto in Toscana nel 1475, che contiene la Vita di Dante del Boccaccio (N. 1 del
Catalogo) e che proviene dalla biblioteca Zingarelli. In effetti la raccolta di manoscritti foggiana è prevalentemente costituita dai fondi già
privati appartenuti nel passato a tre studiosi dauni di notevole fama ed
importanza: Michele Bellucci, Nicola Zingarelli e Romolo Caggese.
I problemi di conservazione, ordinamento e catalogazione chi i
fondi di manoscritti moderni presentano agli studiosi ed a bibliotecari
sono molteplici e di non facile soluzione, anche per la diversa tipologia che essi di solito presentano. Essi possono infatti, essere semplicemente dei libri manoscritti, eseguiti a volte ad imitazione del libro a
stampa, soprattutto al fine di diffondere testi la cui stampa era proibita; possono essere minute, brogliacci, fogli sciolti costituenti la prima
stesura d autore di opere poi diversamente elaborate e quindi pubblicate possono consistere in archivi letterari veri e propri, ove, al di là dei
puri e semplici carteggi, confluivano materiali vari, a stampi e manoscritti, raccolti dal singolo personaggio, infine, essere veri e propri archivi o serie di natura archivistica; nel qual caso vari problemi
dell’ordinamento e della descrizione vanno risolti con metodi e criteri
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archivistici, non bibliotecari, privilegiando i concetti di unità organica
e di serie, non già quello di singolo pezzo.
Sento anche il dovere, a questo punto, di rispondere ad un quesito
che forse alcuni o molti dei presenti si pongono: come mai lo stesso
personaggio che qualche tempo fa è stato qui in questa stessa sala, a
discutere di temi assai diversi, riguardanti i problemi della pubblica
lettura, a proposito di un su libro un po’ « scandaloso » (Primo: non
leggere), scritto insiemi con Giulia Barone, torna oggi fra noi a farci
tutt’altro discorso di manoscritti moderni, di metodi di descrizione e di
conservazione, ecc. ecc.; come si collegano i due discorsi? Ebbene, io
credo che proprio a proposito di un fondo di manoscritti come quello
foggiano si possa avviare un discorso sul valore sociale, in rapporto
con il territorio, di raccolte di documentazione storica quali quella di
cui stiamo qui discorrendo; poiché, infatti, a me sembra che ove questi
fondi di manoscritti mantengano, come in questo nostro caso, la loro
integrità nei tempi, essi finiscono per costituire e rappresentare la
memoria storica di una regione, di una città, di un territorio. Ordinarli,
catalogarli, studiarli, metterli a disposizione del più vasto pubblico significa recuperare nelle sue stesse fonti una tradizione storicoculturale con la quale è necessario confrontarsi, anche per avviare processi di rinnovamento su strade tutt’affatto diverse da quelle che nelle
fonti rivivono.
Un esempio eloquente della validità di tale impostazione è fornito
qui dai due fondi Zingarelli e Caggese. Nicola Zingarelli, grande studioso di filologia romanza e dantista, autore di un famoso vocabolario
della lingua italiana, era nato a Cerignola, ma svolse tutta la sua attività di letterato e di professore fuori della Puglia, e morì a Milano nel
1935; ebbene, anche l’attività di studioso dello Zingarelli, apparentemente lontana dagli interessi specifici del territorio dauno, serve a
rappresentare al vivo la figura di uno di quei tanti intellettuali pugliesi
trasferitisi al Nord fra Ottocento e Novecento, a disegnare il profilo di
una figura caratteristica del panorama culturale italiano e della élite
colta meridionale del primo Novecento. Un tale discorso vale ancora
di più per Romolo Caggese, nato ad Ascoli Satriano, anche lui professore universitario, anche lui morto a Milano nel 1938, e protagonista
di una vicenda culturale e politica assai più complessa di quella di
Zingarelli, che lo vide prima socialista è poi anche fascista e vicino a
Giovanni Gentile. Ebbene, conoscere meglio, attraverso le lettere, i
documenti, gli appunti personali, l’archivio privato, le vicende intellettuali e politiche di uomini come Zingarelli o Caggese non è indifferente a quella presa di coscienza del proprio passato che è primo dovere di una comunità cosciente del proprio ruolo storico in una società
democratica.
76
FRANCESCO BARBERI E LA P UGLIA____________________________________________________________
E’ evidente a tutti che la ricostruzione della civiltà culturale di una
qualsiasi realtà geografico-politica è possibile soltanto se se ne ricostruiscono, ordinano, studiano gli archivi delle testimonianze. Ed io ritengo che sarebbe di grande importanza se qui a Foggia la Biblioteca
Provinciale e l’Archivio d Stato, attraverso opera di acquisti, ma anche
di rilevamento in loco e di riproduzioni, provvedessero a costituire un
archivio delle testimonianze della cultura scritta della Daunia di ogni
tempo, delle iscrizioni classiche e medievali, ai documenti, a quadernetti del movimento sionista del Manduzio di Sannicandro; e ciò in
parte già si sta facendo, e ho fiducia che si continuerà a fare.
Prof. BARBERI
Ringrazio di cuore, prima di tutto, dell’invito che mi è stato rivolto
a questa manifestazione; in secondo luogo, con commozione, delle
troppo benevole parole che nei miei riguardi hanno avuto il Presidente
dell’Amministrazione Provinciale, il Presi. dente della sezione pugliese dell’AIB, il Direttore della Biblioteca amico Celuzza e la signora
Vinay, Presidente nazionale del l’Associazione.
Penso che non si potesse celebrare in modo migliore il quarantesimo anniversario della fondazione della Biblioteca Provinciale
che presentando un’opera, la quale ha il valore scientifico che Armando Petrucci ha sottolineato, e secondo me ne ha anche un altro. Nella
descrizione dei manoscritti — il fondo più pregevole della Biblioteca
— mi sembra di cogliere un nesso con la Biblioteca Comunale, che fu
riunita a questa dopo cento anni dalla sua nascita. Questo è bello: dimostra, come meglio non si potrebbe, come una biblioteca viva, assume e valorizza l’eredità di istituti più modesti, che in passato assolsero una nobile funzione. La Comunale, infatti, fondata nel 1833, per
oltre un secolo custodì gelosamente il suo patrimonio librario.
L’amico Celuzza, in modo toccante, mi ha provocato riesumando
alcuni ricordi. A essi, se permettete, vorrei aggiungerne qualche altro.
Fui soprintendente della Puglia e della Lucania dal 1935 al ‘43. Torno
a Foggia dopo trentaquattro anni. Nel luglio del 1943 mi recavo da
Bari in Abruzzo, pochi giorni dopo un disastroso bombardamento di
Foggia. Il treno fu fermato alla stazione prima, perché la ferrovia era
saltata: come deportati in Siberia, di notte, attraversammo la città deserta e ridotta ad allucinanti cumuli di macerie, dalle quali emanava un
fetore di cadaveri. Questo ricordo, che si affaccia per primo, accresce
la mia ammirazione per una città oggi fiorente e per questa Biblioteca,
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____________________________________________________________FRANCESCO BARBERI E LA P UGLIA
la cui realizzazione spettacolosa dovrebb’essere conosciuta non solo
dai bibliotecari e dagli amministratori italiani, anche settentrionali, ma
da quegli stranieri che conoscono una realtà bibliotecaria italiana assai
diversa.
Nei ricordi che mi legano a questa città torno volentieri agli anni di
fervida operosità, quando la mia attività di soprintendente fu affiancata dalla iniziativa, che il Preside (così allora si chiamava) della Provincia, Giustiniano Serrilli, — uomo di lettere e umanista di San Marco in Lamis — coraggiosamente intraprese di creare una Biblioteca
Provinciale: una iniziativa nella quale fu sostenuto dal prefetto Avenanti, fascita tutto d’un pezzo, che andò volontario in Russia, di dove
non fece ritorno. I prefetti, in generale, non amano le biblioteche, tagliano dai bilanci comunali i modesti stanziamenti che le riguardano
(mai, però, quelli per le squadre di calcio); ma Avenanti faceva eccezione alla regola: una volta redarguì severamente il podestà di San
Giovanni Rotondo, il quale, alle prese con la distribuzione delle tessere annonarie, si era mostrato insofferente verso di me, che ero andato a
parlargli della povera biblioteca comunale (dopotutto, aveva ragione
lui).
Delle biblioteche, in particolare di capoluogo di provincia, quella
di Foggia mi dette le maggiori soddisfazioni, anche se non potevo
prevedere che il seme gettato avrebbe poi dato frutti così eccezionali.
Era fin da allora intenzione del Preside Serrilli di dare alla Provinciale
una sede più degna dì quella di palazzo Dogana; la guerra travolse il
progetto e, in parte, la Biblioteca stessa. Al nome di Serrilli va doverosamente associato quello del bravissimo, zelante incaricato della direzione Arturo Marcone — spentosi quarantaduenne, perché sofferente di cuore — e anche quello dell’anziano direttore della Comunale
Rodolfo Santollino: bibliotecario di vecchio stampo, che, tormentato
dal conflitto interiore di chi, geloso custode della sua biblioteca, doveva distaccarsene, pur convinto di ciò che rappresentava di positivo il
passaggio del vecchio istituto al nuovo.
In un primo tempo il Preside Serrilli pensò di affidare la direzione
di questa al migliore bibliotecario della Puglia, Giambattista Gifuni di
Lucera, morto pochi mesi fa in età molto avanzata. Gifuni era affezionatissimo alla sua città e alla sua biblioteca, e stimato cultore di storia
non soltanto locale; era perciò dubbioso se accettare l’incarico. Chi lo
dissuase fu l’amico Benedetto Croce, il quale gli disse: — che cosa
andate a fare a Foggia? Foggia non ha le tradizioni culturali di Lucera.
— Il filosofo napoletano concepiva le tradizioni culturali come qualcosa di statico, e la biblioteca volta esclusivamente al passato, riservata a una élite di intellettuali, sia pure di provincia; non si rendeva
conto della missione che in una città-capoluogo la biblioteca pubblica
assolve soprattutto verso i giovani, ma anche verso quelli che Giuseppe Lombardo-Radice chiamava gli analfabeti avvocati, e perfino verso
ceti proletari che si affacciavano al mondo dell’alfabeto e
dell’istruzione.
79
FRANCESCO BARBERI E LA P UGLIA____________________________________________________________
Questo, in una provincia dove qualche decennio prima il bracciante Giuseppe Di Vittorio aveva scoperto il vocabolario. Che Benedetto
Croce avesse torto non solo in teoria ma anche di fatto lo dimostrò il
numero dei lettori che prima della crisi bellica, che impose riduzioni
di nevamo le lezioni io, Marcone e Santollino.
Per dare un riconoscimento e una valorizzazione alla nascente
Provinciale, nel 1939 proposi al Ministero di tenere
Foggia il corso annuale per dirigenti di biblioteche popolari. I corso riuscì in modo sorprendente, perché maestre e aspiranti maestre,
che dal certificato di frequenza si ripromettevano i mezzo punto per la
loro carriera e i loro concorsi, parteciparono con vivo interesse, “scoprirono” la biblioteconomia e la bibliografia, si appassionarono a casi
difficili di catalogazione. Tenevamo le lezioni io, Marcone e Santallirio.
Lasciai la Puglia nel 1943; mi successe Beniamino D’Amato colto
e appassionato del suo lavoro; Celuzza lo ha ricordato poco fa, rammaricandosi per la grave perdita che la sua morte immatura rappresentò per la Provinciale di Foggia, e ovviamente non solo per essa.
Alle figure scomparse che ho ricordato vorrei aggiungere un’altra,
non di bibliotecario professionista e non foggiano: Giovanni Tancredi
di Monte S. Angelo. Egli fu insieme apostolo della biblioteca popolare
— che aveva fondato e gestiva con sacrificio nella sua città — e raccoglitore instancabile delle sue testimonianze orali, scritte, iconografiche, artigiane. Ho pubblicato anni fa su una rivista di Foggia una lunga lettera, che il Tancredi mi scrisse e nella quale si mescolava stranamente il pessimismo dell’intellettuale meridionale e una spolveratura di fascismo. L’opera di Giovanni Tancredi va ricordata da questa
Biblioteca, che ne ha assunto e sviluppato la duplice attività pionieristica.
Concludo questi brevi ricordi con le parole del Poeta: quel che è
scomparso, ridiviene (per un momento) reale, « und was verschwand,
wird mir zu Wirtalich, keiten ». Grazie.
80
MOSTRA BIBLIOGRAFICO-DOCUMENTARIA
NEL DECIMO ANNIVERSARIO DELLA MORTE
DI ALFREDO PETRUCCI
Foggia. 8 ottobre 1979. Catalogo.
Nella ricorrenza del decimo anniversario della morte di Alfredo
Petrucci, l’Amministrazione Provinciale di Foggia e la Sezione Dauna
della Società di Storia Patria per la Puglia hanno organizzato per il
giorno 8 ottobre, presso la Biblioteca Provinciale, una cerimonia
commemorativa in onore dell’illustre conterraneo.
Per l’occasione è stata allestita una mostra, nella quale, accanto ad
opere a stampa, sono stati presentati manoscritti, autografi, incisioni di
Alfredo Petrucci, donati dal figlio professor Armando alla Biblioteca
Provinciale.
La mostra, allo scopo di meglio evidenziare gli interessi culturali e
l’attività artistico-letteraria di Alfredo Petrucci è stata articolata in
cinque sezioni: « Scritti su Gargano e sulla Puglia »; « Scritti d’arte e
di critica d’arte »; « Il poeta e il narratore »; « Incisioni e disegni »; «
Epistolario ».
Il contenuto delle opere presentate, i soggetti delle incisioni e dei
disegni, gli argomenti dibattuti negli articoli giornalistici e nella fittissima corrispondenza con molte personalità del mondo culturale italiano e straniero consentono di delineare l’eclettica personalità ed molteplici interessi di Alfredo Petrucci studioso ed artista « non provinciale
» della provincia di Foggia.
Nacque a Sannicandro Garganico il 12 marzo 1888 da Carlo e da
Gerolamina De Grazia e, poiché il Gargano del secolo scorso era una
regione estremamente periferica e depressa, tanto Alfredo quanto i
suoi sei fratelli dovettero affrontare notevoli difficoltà per studiare ed
inserirsi nella società.
81
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
A Napoli frequentò contemporaneamente l’Università e l’Istituto
di Belle Arti; si laureò in Lettere e Filosofia con il filosofo Igino Petrone e successivamente entrò nella carriera delle Antichità e Belle Arti. Fu soprintendente ad Ancona, a Siena, dove nel 1915 sposò Nilla
Ruggiero, a Bari ed infine a Roma nel 1922, qui rimase sino alla mo rte, nel 1969.
Nel 1923 vinse insieme ad Achille Geremicca il concorso nazionale dei romanzo, bandito dalla Società degli autori di Roma, con un libro intitolato nel manoscritto « La casa della sapienza » e
nell’edizione a stampa « Le parole per tutte le ore ».
Nello stesso anno organizzò a Roma, in Palazzo Salviati, una mostra di artisti pugliesi, che fece conoscere, tra gli altri, lo stesso Petrucci, il quale vi espose le sue due più note acqueforti: « Beethoven »
e « Leopardi ».
A Roma si affermò come esperto in materia di stampe antiche e
moderne, divenendo nel 1940 direttore dei Gabinetto Nazionale delle
Stampe; questo incarico, cui sarebbe seguita nel 1953 la nomina di
conservatore onorario dell’Istituto, fu ricoperto per molti anni, durante
i quali allestì importanti mostre: « I capolavori dell’incisione »; «
L’Ottocento italiano »; « L’Ottocento europeo »; « Il Durer ».
Sempre nel campo della storia dell’incisione pubblicò opere di rilievo come: « Le magnificenze di Roma di G. Vasi »; «Il Caravaggio
acquafortista e il mondo calcografico romano »; « I maestri incisori »;
le tre parti finora pubblicate del « Panorama della incisione italiana » e
cioè « Il Quattrocento »; « Il Cinquecento » e « L’Ottocento ». Infine
« Gli incisori italiani all’estero » .
Per questi studi gli fu conferita dal Presidente della Repubblica,
nel 1959, la medaglia d’oro dei benemeriti della cultura e dell’arte.
Gli interessi del Petrucci non si limitarono alla storia
dell’incisione; infatti, non dimenticò mai la terra d’origine, anzi i suoi
primi studi furono rivolti a descrivere e valorizzare i monumenti di
Puglia ed in particolare del Gargano, come testimoniano gli appunti, le
82
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
bibliografie, i disegni autografi e le fotografie conservati tra le sue carte.
D’altronde l’amore per la terra d’origine traspare chiaramente nelle opere; sia che descriva quello splendido monumento che è Castel
del Monte, sia che cerchi di risolvere l’affascinante mistero della
Tomba di Rotari, sia che si soffermi sui segreti dell’antichissima chiesa di Siponto, scoprendo in Capitanata, prima che in Toscana, alcuni
elementi del cosiddetto « stile pisano ».
Le continue ricerche sulle antichità pugliesi gli ispirarono ancora
le belle pagine su San Leonardo di Siponto e quelle intense per la riscoperta della rara e pregevole statua premillenaria in legno della Madonna di Siponto, da lui portata alla luce della notorietà.
Queste giovanili esperienze storico-artistiche pugliesi e l’amore
sempre presente per la sua terra si sintetizzarono, negli anni della vecchiaia, in una delle opere più riuscite e fortunate — « Cattedrali di Puglia » — ricca di incisioni e dis egni originali.
Nell’opera, oltre a rivendicare con forza gli elementi autoctoni
dell’arte pugliese, risolse anche il mistero dell’epigrafe all’interno della Tomba di Rotari, intuendo e spiegando che il termine « incolamontani » costituiva una unica parola per intendere « montanari », cioè abitanti di Monte Sant’Angelo.
Inoltre, segnalò due dei più preziosi manufatti in legno della Puglia
bizantina: il Cristo benedicente di S. Giovanni in Lamis, camuffato
poi da S. Matteo e la Madonna col bambino della chiesa sotterranea di
Siponto.
La terra natia divenne anche soggetto di disegni ed incisioni, apparsi in giornali, riviste, pubbliche esposizioni e conservati in gallerie
italiane ed estere.
Nei suoi disegni accanto ai più suggestivi angoli di antiche città italiane — Siena, Bari, Perugia, Cagliari — con le stradine, gli archetti,
le torri merlate, è sempre presente il Gargano raffigurato nei suoi mo lteplici volti: aspro e sereno; tempestoso e calmo. Basti pensare alla
Torre costiera, a Rodi, Montepuccio, Vieste ed al Castello dei
83
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
Giganti, muraglia stagliata contro un cielo di tempesta.
La sensibilità artistica che si manifesta nei disegni e nelle acqueforti è la stessa che vibra nelle opere letterarie.
Poesie: da « Ruit hora » del 1910 al « Piccolo poema dei nostri
giorni » a « Dietro l’opaca siepe », « La Radice e la Fronda », « Tre
paesi e tre canti », sino alla raccolta più completa ed intensa « Esitazione della sera ».
Novelle: « La povera vita » del 1914, « Due scarpette di panno
rosso ».
Romanzi: « La luce che non si spegne », « Le parole per tutte le
ore », « Il romanzo di una primavera ».
In quasi sessant’anni di attività letteraria Alfredo Petrucci conobbe
le correnti poetiche degli ultimi tempi: Futurismo e Crepuscolarismo;
Ermetismo e Neo-realismo, ma tale conoscenza gli impedì di cadere
negli eccessi e gli consentì di rimanere ugualmente distante dal semplicismo crepuscolare o dall’aridità dell’esagerato ermetismo.
Come nella poesia anche nelle novelle Petrucci si mantenne in perfetto equilibrio tra concreto e fantastico e riuscì a portare la Puglia e le
sue genti nella letteratura. Nelle novelle, infatti, non appaiono soltanto
i luoghi ed i personaggi dei paesi pugliesi di mare e di montagna, ma
vive anche l’intima essenza della Puglia e della sua gente nei momenti
di gioia e di dolore.
Oltre che all’amore della terra natia, Petrucci si ispirò anche alla
vita quotidiana ed agli affetti familiari, sentimenti che animano opere
come il « Piccolo poema dei nostri giorni » del 1918, « La luce che
non si spegne » e « Le parole per tutte le ore ».
Si potrebbe parlare ancora a lungo del Petrucci artista, storico,
poeta, ma è estremamente difficile seguire tutte le fila della sua straordinaria operosità.
Fu, infatti, anche storico di Roma e del Risorgimento; novelliere
per l’infanzia in due opere edite dalla S.E.I.: « Fra terra e cielo » e «
Arcobaleno »; infine, pubblicista di grande successo nella terza pagina
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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
de « Il Messaggero » e de « Il Gargano » che ospitarono a lungo le sue
prose d’arte e di storia, le novelle e le poesie.
Pertanto, oltre ogni altra considerazione, il ritratto che si ottiene di
Alfredo Petrucci dalla lettura delle opere, delle lettere e degli appunti
è quello di un uomo con una visione senza incertezze del dovere, del
giusto, del bene, addolcita però dalla profonda umanità e dalla vivacità
dell’intelligenza, pronte sempre a cogliere con sorriso l’intima essenza
della vita.
Antonio Ventura
BIBLIOGRAFIA
BIORDI, Raffaello, Alfredo Petrucci. In: GA RGANO (IL). Anno XX.
1969. N. 7, pag. 3.
CAPUANO, Michele, I grandi garganici. Foggia 1966, pp. 215-234.
D’ADDETTA, Giuseppe, Ricordo di Alfredo Petrucci. In: GA RGANO (IL). Anno XX. 1969. N. 6, pag. 1.
FRATTAROLO, Renzo, Alfredo Petrucci. In: GARGANO (IL). Anno
II. 1951. N. 8, pag. 3.
RICORDO di Alfredo Petrucci. In: CRONACHE DI ALTRI TEMPI.
Anno XVI. 1969. N. 184.
SERRICCHIO, Cristanziano, Il Gargano, la Puglia, la Natura nell’opera di Alfredo Petrucci. Foggia, 1961. « Quaderni de Il Gargano. 15 ».
SERRICCHIO, Cristanziano, La Puglia nell’opera di un suo figlio. In:
STUDI di storia dell’arte bibliologia ed erudizione in onore di Alfredo Petrucci. Milano-Roma, s. d.
SOCCIO, Pasquale, Ultimo viaggio. In: PETRUCCI, Alfredo, Pernix
Apulia, pagine sparse di vita, di storia e di arte pugliese. Bari,
1971, pp. 5-14.
VALLONE, Aldo, La « vaga favolosità » di Petrucci. In: NUOVA
ANTOLOGIA. 1971. N. 2045, pp. 63-75.
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CATALOGO
MANOSCRITTI
1 - PETRUCCI, Alfredo
Antico e moderno. Dissidio fittizio.
Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 6; numerazione originale a matita; sciolte;
dattiloscritte con correzioni autografe.
2 - PETRUCCI, Alfredo
Appunti su correnti artistiche italiane.
Cart.; sec. XX; mm. 240 x 185; cc. 22; numerazione recente a matita; sciolte;
bianche le cc. 3 - 5 t., 10 - 14 t., 16 - 17 t.; autografo.
La disposizione degli appunti è la seguente: Neoclassicismo; Romanticismo;
Piemonte; Primo e Secondo romanticismo lombardo; Napoli.
3 - PETRUCCI, Alfredo
Artisti foggiani. Bibliografia ed appunti.
Cart.; sec. XX; mm. 220 xx 160; cc. 22; numerazione recente a matita; sciolte;
bianche le cc. 1 t., 2 - 6 t., 19 t.; autografo.
Sotto il frontespizio: « Di pertinenza personale collocate qui temporaneamente
per cavarne le notizie bibliografiche utili » e la firma.
Notizie su artisti foggiani nelle cc. 14 - 22: Niccolò da Foggia; Bartolomeo da
Foggia; Riccardo da Foggia; Gualtiero da Foggia.
4 - PETRUCCI, Alfredo
Bibliografia autografa.
Cart.; sec. XX (1903-1959); mm. 80 x 120; cc. 2000; sciolte; scritte solo recto; autografo.
Ricchissima bibliografia artistica, ordinata per schede, nella quale compaiono
tutte le opere di Alfredo Petrucci, le recensioni e le opere di vari critici d’arte.
5 - PETRUCCI, Alfredo
Bibliografia storico-artistica della Provincia di Bari. Cart.; sec. XX; mm. 310
x 210; cc. 30 (in origine numerate sino a 31); sciolte; scritte su r. e t.,; mancano le cc. 4, 5, 6, 8, 10, 11, 12; le cc. 1, 15, 17, 19, 23, 25, 27, 29 sono numerate due volte; numerazione originale a penna; autografo.
La bibliografia riguarda le seguenti città: Acquaviva delle Fonti; Alberobello;
Altamura; Andria; Bari; Barletta; Bisceglie; Bitonto; Canosa; Castel del Monte; Ceglie; Conversano; Corato; Egnazia; Gioia del Colle; Giovinazzo; Gravina; Modugno; Mola di Bari; Molfetta; Monopoli; Ruvo; Terlizzi; Trani.
6 - PETRUCCI, Alfredo
Canti del tempo antico. Un amore provinciale.
Cart.; sec. XX; mm. 230 x 140; cc. 9; numerazione recente a matita; sciolte;
autografo.
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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
Poesie.
7 - PETRUCCI, Alfredo
Consolazione del canto.
Cart.; sec. XX; mm. 180 x 220; cc. 75; numerazione recente a matita; sciolte;
dattiloscritte con correzioni autografe.
Poesie.
8 - PETRUCCI, Alfredo
Dietro l’opaca siepe. Poesie.
Cart.; sec. XX; mm. 285 x 200; cc. 58; numerazione originale a matita; sciolte; dattiloscritte con correzioni ed aggiunte autografe.
L’opera si divide in cinque parti: Terra dei padri; Ombre di nuvole in terra;
L’ilare burattinaio; Il mio pane; Consolazione del canto.
9 - PETRUCCI, Alfredo
Donatello.
Cart.; sec. XX (1908); mm. 210 x 140; cc. 44; numerazione originale a penna;
sciolte; scritte sul recto; autografo.
In fine la data 1908 e la firma.
L’opera fu pubblicata a Buenos Ayres nel 1914.
10 - PETRUCCI, Alfredo
Disegni, abbozzi di vedute di Siena (1915) e Bari (1915-1922).
Cart.; sec. XX (1915-1922); mm. 190 x 130; alcune di diverso formato; cc. 51,
sciolte; autografo.
I 51 disegni sono stati eseguiti ad inchiostro di china.
Ai bozzetti di Siena è allegato un dattiloscritto di cc. 9 intitolato “Vecchie
strade di Siena », pubblicato con i disegni a Bergamo nel 1917.
11 - PETRUCCI, Alfredo
E così cento e così mille di mille.
Cart.; sec. XX (1917); mm. 195 x 145; cc. 4; numerazione recente a matita;
sciolte; scritte su r. e t.,; autografo.
In fine la data « Bari, 12 giugno 1917 » e la firma.
Poesia dedicata ai caduti della Grande Guerra.
12 - PETRUCCI, Alfredo
Epigrammi della montagna. (La strigghia e ‘u punzeche).
Cart.; sec. XX (1950); mm. 250x 220; cc. 21; numerazione originale a matita;
sciolte; scritte su r. e t.; autografo.
Allegato dattiloscritto di cc. 23 e la presentazione di Cristanziano
Serricchio di cc. 4 dattiloscritte.
13 - PETRUCCI, Alfredo
F. Lenormant: “A’ travers l’Apulie et la Lucanie ».
87
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
Cart.; sec. XX; mm. 227 x 160; cc. 4; sciolte; bianca la c. 4 t.; autografo.
Articolo sull’opera di F. Lenormant « A’ travers l’Apulie et la Lucanie ».
14 - PETRUCCI, Alfredo
Gargano monum (entale).
Cart.; sec. XX; mm. 205 x 150; alcune di diverso formato; cc. 37; numerazione recente a matita; bianche le cc. 1 t.; 5 t.,; 6 r.; 9 r. e t.; 10 t.; 17 t.; 20 t.; 22
t.; 26 t.; 29 t.; 30 - 31 r. e t.; 34 t.; 36 t.; autografo.
L’argomento è distribuito nei seguenti paragrafi; Tomba di Rotari (cc. 2-9);
Manfredonia. Cappella della Maddalena (cc. 10-16); Lesina (cc. 17-31); Castel del Monte (cc. 32-37).
15 - PETRUCCI, Alfredo
Gargano monumentale.
Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 42; sciolte; dattiloscritte.
Dei dieci paragrafi ne sono conservati solo quattro: il 2° - S. Maria di Siponto;
il 5° - S. Maria Maggiore di Monte; l’8° - La Tomba di Rotari; il 10° - Tramonto dell’età monumentale (in doppia copia).
16 - PETRUCCI, Alfredo
Il Gargano e i suoi monumenti medioevali. Con illustrazioni nel testo e fuori
testo.
Cart.; sec. XX; mm. 280 x 220; cc. 55 (in origine numerate sino a 123); sciolte; dattiloscritte con correzioni autografe; numerazione originale a penna; sotto il frontespizio in un riquadro di mm. 50 x 50 un disegno autografo riproducente il « Pellegrino al Gargano ».
L’argomento è distribuito nei seguenti paragrafi: Il volto del promontorio (cc.
3-4); 1. Nascita d’uno stile (cc. 5-6); 2. Primitive botteghe garganiche (cc. 710; le cc. 7 a 9 sono in duplice copia); 3. I tre amboni di Acceptus (cc. 11-14);
mancano le cc. 15 a 38; 8. Il costruttore « Benedictus» (c. 39, manca la e. 40);
9. La cattedra del litigio (cc. 4146); 10. L’« Ecclesia deserta » di Calena (cc.
47-49); 11. Da Calena a Pizzomunno (c. 50, mancano le cc. 51-52); 12. Ricchezza e povertà di Montesacro (cc. 53-56, manca la c. 54); mancano le cc. 57
a 88; 21. S. Maria di Pulsano (cc. 89-91); 22. L’occhio del Ciclope (cc. 91 bis94); mancano le (cc. 95 a 110); Note (cc. 111-123).
Allegati 22 disegni autografi in bianco e nero.
17 - PETRUCCI, Alfredo
Giulio Giannelli.
Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 8; numerazione originale a penna; sciolte;
dattiloscritte con correzioni autografe.
88
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
In fine la firma.
Allegata una poesia autografa con firma di Giulio Giannelli.
18 - PETRUCCI, Alfredo
I due solchi. Poema del Tavoliere. Testo di Alfredo Petrucci musica di Raffaele Gervasio.
Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 15; numerazione originale matita; sciolte;
dattiloscritte con correzioni autografe.
Allegata una seconda copia dattiloscritta del lavoro di cc. 10 numerate originalmente a matita da c. 4 a c. 14.
19 - PETRUCCI, Alfredo
Il paesaggio pugliese nella pittura.
Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 10; numerazione originale penna; sciolte;
scritte su r. e t., autografo.
Sono esaminate le opere dei pittori Francesco Netti, Saverio Altamura, Giuseppe De Nittis, Giuseppe Casciaro, Vincenzo Verrino, Salvatore Maddalena,
Francesco Romano.
20 - PETRUCCI, Alfredo
Il ratto di Cunizza. Tre atti di Alfredo Petrucci per la musica di [Ettore Porto].
Cart.; sec. XX (1919); mm. 300 x 200; cc. 7; numerazione recente a matita;
sciolte; scritte su recto; autografo.
Le cc. 1-6 contengono appunti sulla storia di Cunizza la c. 7 una minuta di
contratto tra Petrucci e Porto, il quale S’impegna d versare una somma di L.
800 per i tre atti, riservandosi il 10% su ogni utile del lavoro.
21 - PETRUCCI, Alfredo
La casa della sapienza (minuta).
Cart.; sec. XX (1923); mm. 290 x 210; cc. 24; numerazione recenti a matita;
sciolte; bianche le cc. 1-2 t.; 5-7 t.; 11-12 t.; 15-16 t. 20-23 t.; autografo.
Fu pubblicato nel 1923 col titolo « Le parole per tutte le ore e vinse il Concorso Nazionale del Romanzo bandito dalla Società degli Autori di Roma.
22 - PETRUCCI, Alfredo
La luce che non si spegne.
Cart.; sec. XX (1918); mm. 280 x 205; cc. 84; numerazione originale a matita;
sciolte; scritte sul recto; autografo.
In fine « Bari, luglio del 1918 » e la firma.
Allegate le bozze dell’opera che fu pubblicata a Siena nel 1921
23 - PETRUCCI, Alfredo
La maschera di Democrito.
Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 20; numerazione recente matita; sciolte;
bianche le cc. 2 t.; 4-12 t.; 15-19 t.; autografo.
89
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
Il lavoro, secondo l’indice riportato a c. 20 t., doveva articolarsi in 4 paragrafi:
« Il paradosso del riso », « La sinfonia numerosa », « Il circolo dello spirito »,
« La visione della vita ». E’ presente solo il primo.
24 - PETRUCCI, Alfredo
La nostra lingua. Nozioni di grammatica.
Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 37, numerazione originale a matita; sciolte; dattiloscritte con correzioni autografe.
25 - PETRUCCI, Alfredo
La terra canta.
Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 105 sciolte; dattiloscritte con correzioni e
note autografe.
Poesie.
26 - PETRUCCI, Alfredo
Lucera. Nicchia affrescata nella chiesa di S. Francesco.
Cart.; sec. XX (1916); mm. 285 x 205; alcune di diverso formato; cc. 9; numerazione recente a matita; bianche le cc. 1 t.; 2 t.; 5-8 t.; autografo.
Minuta della relazione alla Soprintendenza ai monumenti della Puglia e del
Molise sul ritrovamento a Lucera nella chiesa di S. Francesco di una nicchia
affrescata. La c. 2 r. riporta un bozzetto autografo dell’affresco. Allegata una
foto.
27 - PETRUCCI, Alfredo
Manoscritto autografo di Cattedrali di Puglia.
Cart.; sec. XX (1960); mm. 290 x 225; cc. 269 sciolte; scritte sul r.; le cc. 27 a
88 dattiloscritte con correzione autografe; autografo. Allegati n. 33 disegni autografi di vario formato - 4 a colori e 29 in bianco e nero; n. 290 fotografie di
vario formato e la 1a edizione dell’opera con aggiunta e correzioni autografe.
28 - PETRUCCI, Alfredo
Materiali e appunti. Bari vecchia.
Cart.; sec. XX; mm. 210 x 140; cc. 14; numerazione recente a matita; bianche
le cc. 1 t; 3 t.; 4 r.; 7 r:; 9 r.; 10 t.; 11 r.; 12 t.; 14 r.; autografo.
29 - PETRUCCI, Alfredo
Nel buio delle anime.
Cart.; sec. XX (1905); mm. 225 x 150; cc. 5; numerazione recente a matita;
sciolte; autografo.
Infine « Scritto nel 1905, a 17 anni ».
30 - PETRUCCI, Alfredo
Obelischi e piramidi.
Cart.; sec. XX; mm. 265 x 210; cc. 8; numerazione recente a matita; sciolte;
dattiloscritte con correzioni autografe.
Sul tergo di ciascuna carta sono riportati titoli autografi di racconti non pervenuti: c. 1 - Una battiraffia; c. 2 - Lo sguardo di Dio; c. 3 - Le scarpe
all’americana; c. 4 - Avventura sul campanile; c. 5 - Inferno e paradiso; c. 7 L’anello di Angelica; c. 8 - La sorte di capitan Soffione.
90
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
31 - PETRUCCI, Alfredo
Pensieri di critica d’arte (abbozzi autografi).
Cart. miscell.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 65, numerazione recente a matita;
sciolte; bianche le cc. 3 t.; 6 t.; 8 t.; 9-10 r. e t; 14-16 t.; 20 r.; 21 t.; 22 r. e t.;
24 t.; 26-28 t.; 32 r. e t.; 33-37 t; 39-40 t.; 41 r. e t.; 43 r. e t.; 45 r. e t.; 47-49
t.; 50 r. e t.; 51 t; 53 t.; 56 r. e t.; 59-61 t.; 63-65 t.; autografo.
L’argomento è così suddiviso: Il contenuto dell’esperienza (cc 3-10); Impressione ed espressione (cc. 11-13); La selezione (cc. 14-25); Il pittore e il quadro (cc. 24-32); Lo spettatore e il quadro (cc. 33-37); Il « luogo comune » (cc.
38-41); La materia speciale dell’arte (ce. 42-45); La funzione della cultura (ce.
60-61); Il talento del silenzio (e. 63); Il critico (cc. 64-65).
32 - PETRUCCI, Alfredo
Poesie.
Cart.; sec. XX (1906-1926-1929); mm. 230 x 140, alcune di diverso formato;
cc. 7; numerazione recente a matita; sciolte; autografo.
Le poesie sono: I sonetti della Bohéme (Napoli 1906); Spelonca di Calcante
(1929); Ecco, s’io batto le ciglia (1926); Solitudine della terra; Da te nato mi
sento; Di te felice ninna nanna.
33 - PETRUCCI, Alfredo
Relazione alla Soprintendenza ai Monumenti della Puglia e Molise.
Cart.; sec. XX (1916); mm. 307 x 210; cc. 3; bianca la e. 2 t. autografo.
Minuta di una relazione alla Soprintendenza sui dipinti posseduti dalla signora
Giuseppina Villani. Dei diciotto quadri esaminati giudica di valore il « Cantastorie » e il « Ritratto di gentiluomo che attribuisce alla scuola di Giuseppe
Ribera.
La e. 2 r. riporta un bozzetto del « Cantastorie ».
34 - PETRUCCI, Alfredo
Romanzo d’una primavera. (Stesura per la stampa).
Cart.; sec. XX; mm. 310 x 210; cc. 3, con 23 ritagli di giornale rimontati su
fogli bianchi; note e correzioni autografe.
Gli articoli di giornale sono i seguenti: La porta chiusa; L’agghiaccio; Inferno
e Paradiso; Le scarpe all’americana; Un batti- raffia; Esperienza antelucana;
L’anello di Angelica; La caduta de giganti; Lo sguardo di Dio; Storia d’un paesello di cartone; La Voce del mare; Avventure sul campanile; Il viaggio più
lungo La fiumara; Una cartolina illustrata; L’ultima scivolata; I ceri
91
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
dipinti; Che cosa è l’amore; Le prove; La seconda morte del Pinturicchio; Vedere il treno; I poveri occhi; Credo.
35 - PETRUCCI, Alfredo
5. Maria di Siponto. Appunti iconografici.
Cart.; sec. XX; mm. 285 x 220; cc. 9; numerazione recente a matita; bianche
le cc. 2 r.; 4 t.; 5 t.; 6 r.; 7 t.; autografo.
36 - PETRUCCI, Alfredo
Storia.
Cart.; sec. XX.; mm. 280 x 220; cc. 54; sciolte; dattiloscritte con correzioni
autografe.
L’impaginazione autografa del manoscritto è la seguente: cc. 24-31; cc. 37-43;
cc. 49-56; cc. 65-66; e. 76; cc. 84-87; cc. 90-91; cc. 96-98; cc. 107-108; cc.
114-117; cc. 134-136; cc. 143-147; cc. 150-152; cc. 157-158; Mancano le cc.
1-23; cc. 32-36; cc. 44-48; cc. 57-66; cc. 67-75; cc. 77-83; cc. 88-89; cc. 9295; cc. 99-106; cc. 109-113; cc. 118-133; cc. 137-142; cc. 148-149; cc. 153156.
Il materiale è suddiviso nei seguenti paragrafi: Una storia che sembra una favola (cc. 24-31); I primi martiri del Risorgimento (cc. 37-43); La prima guerra
per l’indipendenza (1848-1849) (cc. 84-87; 90-91); La terza guerra per
l’indipendenza (1866) (cc. 96-98; 107-108; 114-117; 134-136); La guerra
mondiale (1914-1918) (cc. 143-146; 150-152; 157-158).
37 - PETRUCCI, Alfredo
Stratosfera ovvero il diavolo appicca il fuoco. Romanzo.
Cart.; sec. XX; mm. 290 x 220; cc. 232; sciolte; dattiloscritto con correzioni
autografe.
Del romanzo sono presenti due copie uguali.
38 - PETRUCCI, Alfredo
Un processo di veneficio nel ‘600.
Cart.; sec. XX; mm. 280 x 220; cc. 8; sciolte; numerazione originale a penna;
tutte bianche sul tergo; autografo.
INCISIONI E DISEGNI
39 - PETRUCCI, Alfredo
Beethoven.
1923; incisione; mm. 290 x 190; firmato.
Nel margine inferiore la scritta autografa: « Beethoven, quest’è la tua voce,
fiume del mondo che cerca la foce ».
40 - PETRUCCI, Alfredo
Gargano. Scogliera.
S.d.; incisione; mm. 170 x 240; non firmato.
41 - PETRUCCI, Alfredo
Il Gargano. Castello dei Giganti.
S.d.; incisione; mm. 130x 160; firmato.
42 - PETRUCCI, Alfredo
La Ritrosetta.
92
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
S.d.; incisione; mm. 200 x 160; firmato.
43 - PETRUCCI, Alfredo
Leopardi.
1923; incisione; mm. 350 x 240; firmato.
44 - PETRUCCI, Alfredo
Pescatore.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 240 x 180; non firmato.
45 - PETRUCCI, Alfredo
Pescatore.
S.d.; incisione; mm. 240 x 180; non firmato.
[Riprodotto in G. D’ADDETTA, San Menaio e dintorni. Foggia, 1947, pag.
112.]
46 - PETRUCCI, Alfredo
Ritratto di vecchio.
S.d.; incisione; mm. 390 x 200; firmato.
47 - PETRUCCI, Alfredo
Architettura rustica di Sannicandro Garganico.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 270 x 140; firmato.
48 - PETRUCCI, Alfredo
Architettura rustica di Sannicandro Garganico.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 160 x 86; firmato.
49 - PETRUCCI, Alfredo
Arco della neve. Siena.
[1915]; disegno a inchiostro; mm. 155 x 100; non firmato.
50 - PETRUCCI, Alfredo
Arco Stalloreggi e angolo via Baldassarre Peruzzi. Bari.
[1922]; disegno a inchiostro; mm. 270 x 190; firmato.
51 - PETRUCCI, Alfredo
Bari vecchia.
10 aprile 1917; disegno a matita; mm. 280 x 200; non firmato.
52 - PETRUCCI, Alfredo
Campanile.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 210 x 130; non firmato.
53 - PETRUCCI, Alfredo
Capitello dell’ambone di Acceptus. Santuario S. Michele.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 95 x 90; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960,
pag. 36.]
54 - PETRUCCI, Alfredo
Cattedrale di Otranto. Mosaico pavimentale.
S.d.; acquerello a colori; mm. 125 x 175; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960,
pag. 98.]
55 - PETRUCCI, Alfredo
Chiesa abbaziale di San Benedetto a Conversano. Resti di mosaici.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 126 x 197; non firmato.
93
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
56 - PETRUCCI, Alfredo
Corte Colagnano. Bari vecchia.
1920; disegno a inchiostro; mm. 100 x 50; firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Pernix Apulia. Bari, 1971, tav. 14.]
57 - PETRUCCI, Alfredo
Cripta del Duomo di Otranto. Particolare.
Otranto 1910; acquerello a colori; mm. 110 x 110; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 113.]
58 - PETRUCCI, Alfredo
Cripta del Duomo di Otranto. Particolare.
Otranto 1910; acquerello a colori; mm. 225 x 125; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 110.]
59 - PETRUCCI, Alfredo
Discesa di Fontebranda. Siena.
[1915]; disegno a inchiostro; mm. 190 x 135; firmato.
60 - PETRUCCI, Alfredo
Il campanile della Chiesa Madre a Sannicandro Garganico. S.d.; disegno a inchiostro; mm. 110 x 215; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Pernix Apulia. Bari, 1971, tav. 175.]
61 - PETRUCCI, Alfredo
La Corte di San Giorgio a Sannicandro.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 87 x 58; firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 131 e
A. PETRUCCI, Pernix Apulia. Bari, 1971, tav. 41.]
62 - PETRUCCI, Alfredo
La costa di Maletta.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 150 x 175; firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 105.]
63 - PETRUCCI, Alfredo
Michele Vocino. Caricatura.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 85 x 160; firmato.
64 - PETRUCCI, Alfredo
Montesacro. Avanzi della primitiva cella.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 90 x 130; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 48.]
65 - PETRUCCI, Alfredo
Paesaggio garganico.
S.d.; dipinto a olio; mm. 335 x 240; firmato; in cornice.
66 - PETRUCCI, Alfredo
Portale di Sant’Antonio Abate. Monte S. Angelo.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 76 x 66; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 44.]
94
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
67 - PETRUCCI, Alfredo
Portale di Sant’Egidio.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 135 x 100; non firmato.
68 - PETRUCCI, Alfredo
Pozzo del Tritone. Squinzano.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 180 x 150; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 132.]
69 - PETRUCCI, Alfredo
Ricordo di Lecce.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 230 x 195; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 138.]
70 - PETRUCCI, Alfredo
Santa Caterina d’Alessandria. Galatina.
S.d.; disegno a matita; mm. 310 x 210; non firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 129.]
71 - PETRUCCI, Alfredo
Tomba di Rotari. Sezione W.E. Monte S. Angelo. S.d.; disegno a inchiostro;
mm. 105 x 65; firmato.
[Riprodotto in A. PETRUCCI, Cattedrali di Puglia. Roma, 1960, pag. 46.]
72 - PETRUCCI, Alfredo
Tomba di Rotari. Finestre interne. Particolare.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 170 x 125; non firmato.
73 - PETRUCCI, Alfredo
Torre Alemanna presso Ascoli Satriano.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 125 x 110; non firmato.
74 - PETRUCCI, Alfredo
Veduta di Siena.
[1915]; disegno a inchiostro; mm. 210x 135; firmato.
75 - PETRUCCI, Alfredo
Via de’ Termini. Arco delle travi. Siena.
[1915]; disegno a inchiostro; mm. 120x 70; firmato.
76 - PETRUCCI, Alfredo
Vicolo attraversato da archi.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 110 x 90; non firmato.
77 - PETRUCCI, Alfredo
Vicolo attraversato da archi.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 150 x 75; firmato.
78 - PETRUCCI, Alfredo
Vicolo del Contradino. Siena.
[1915]; disegno a inchiostro; mm. 180x 130; firmato.
79 - PETRUCCI, Alfredo
Vicolo del lauro. Bari.
1921; disegno a matita; mm. 260 x 180; non firmato.
95
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
[Riprodotta un’acquaforte dello stesso soggetto in A. PETRUCCI
Pernix Apulia. Bari, 1971, tav. 15.]
80 - PETRUCCI, Alfredo
Vicolo di Macta Salaia. Siena.
S.d.; disegno a inchiostro; mm. 230 x 120; firmato.
OPERE A STAMPA
81 - PETRUCCI, Alfredo
Acqueforti di Sanzio Giovannelli. Saggio critico di Alfredo Petrucci.
San Benedetto del Tronto, ed. tip. Sciocchetti, 1959. cm. 25, cc. 8 2 tav. f.t.
[Sul frontespizio dedica autografa dell’autore a Mario Simone.
82 - PETRUCCI, Alfredo
Antonio Piccinni pittore e incisore tranese. Roma, ed. Il Mezzogiorno, 1957.
cm. 28,4, pp. 51 tav. dp. n.t.. « Estratto da Il Mezzogiorno. Fascicolo 3-4.
Marzo-Aprile 1957. »
[Dedica autografa dell’autore a Mario Simone]
83 - PETRUCCI, Alfredo
Cattedrali di Puglia.
Roma, ed. Carlo Bestetti, (Tivoli, tip. Chicca), 1960. cm. 30,7 pp. 146 300 tav.
dp. f.t. 1 allegato pp. 1-17. [Prima edizione di « Cattedrali di Puglia » con appunti correzioni e aggiunte autografe nel testo.]
(Recensioni allegate alla prima edizione di « Cattedrali di Pu glia »: 1)
BIANCALE, Michele, La Puglia delle cattedrali. In MOMENTO-SERA. 2 dicembre 1960; 2) BIORDI, Raffaello, Cattedrali di Puglia. In FOGLIETTO
(IL). 27 ottobre 1960; 3) BIORDI, Raffaello, Nelle sue meravigliose cattedrali
risplende la nobiltì della Puglia. In REALTA’ POLITICA. 15 ottobre 1960; 4)
CERAVOLO, Pasquale, Cattedrali di Puglia. In ECO (L’) DI BERGAMO 25
novembre 1960; 5) D’ADDETTA, Giuseppe, Cattedrali di Pu glia. In GARGANO (IL). 25 novembre 1960; 6) DEL PRETE, Pasquale, Arte e fede di popolo nelle Cattedrali di Puglia. In GAZZETTA (LA) DEL MEZZOGIORNO.
8 settembre 1960; 7) GABRIELI, Francesco, Pellegrini di Puglia. In MESSAGGERO (IL) 9 dicembre 1960; 8) MARTINELLI, Valentino, Cattedrali
pugliesi. In MOMENTO-SERA. 4 luglio 1964; 9) PISSACROIA, Raffaele A.,
Cattedrali di Puglia. In VOCE DEL POPOLO. 10 dicembre 1960; 10) SPAINI, Alberto, Invito in Puglia. In SECOLO (IL) XIX. 11 dicembre 1960; 11)
VOCINO, Michele, Le cattedrali di Puglia. In NUOVO MEZZOGIORNO. 10
ottobre 1960).
84 - PETRUCCI, Alfredo
Cattedrali di Puglia. Seconda edizione riveduta ed ampliata. Roma, ed. Carlo
Bestetti, (tip. Visigalli-Pasetti), 1963, ed. 2a . cm. 30,5 pp. 571 192 tav. dp. n.t.
[Seconda edizione di « Cattedrali di Puglia »]
96
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
85 - PETRUCCI, Alfredo
[Seconda edizione di « Cattedrali di Puglia »]
Dietro l’opaca siepe. Poesie. Introduzione di Cristanziano Serricchio.
Foggia, ed. Amm. Prov. Foggia, (Napoli, tip. Laurenziana), 1979. cm. 21 pp.
91. « L’Amministrazione Prov.le di Capitanata nel decennale della morte del
Poeta. »
86 - PETRUCCI, Alfredo
Due scarpette di panno rosso ed altre novelle. Illustrazioni di Salvatore Cabasino.
Roma, ed. tip. R. Danesi, 1942.
cm. 28 pp. 117 fig. « Edizione numerata. Esemplare n. 421. »
87 - PETRUCCI, Alfredo
Epigrammi della montagna. La strigghia, ‘u pungeche e li meravìgghie. Presentazione di Cristanziano Serricchio.
Foggia, ed. Amm. Prov. Foggia, (Napoli, tip. Laurenziana), 1973. cm. 20 pp.
53 6 tav. f.t.
88 - PETRUCCI, Alfredo
Forme d’arte paesana in Puglia.
Foggia, ed. Giuseppe Pilone, (tip. Frattarolo), 1930.
cm. 21,8 pp. 35 7 tav. f.t. «Monografie di arte e storia pugliese. 3.»
89 - PETRUCCI, Alfredo
Fra cielo e terra, ovvero il troppo... storpia. Avventura fiabesca. Illustrazioni
di A. Urbani Del Fabbretto.
Torino, ed. tip. Società Editrice Internazionale, 1953. cm. 26,8 pp. 114 fig.
90 - PETRUCCI, Alfredo
I diritti della fantasia e i doveri della civiltà letteraria. Sta in: “LEGGE (LA) di
Roger Vailland nel giudizio critico di M. Brandon Albini, T. Fiore, A. Petrucci, M. Vocino e a traverso l’inchiesta di « France-Observateur ». Disegni di
Petrucci e Vocino. Napoli, ed. Mario Simone, (Foggia, tip. Leone), 1958.
pp. 39-52.
91 - PETRUCCI, Alfredo
Il Caravaggio acquafortista e il mondo calcografico romano. L’indovina - Leoni - Borgianni - Maggi - Villamena – Onofri - Mercati - Amici del Caravaggio.
Roma, ed. tip. F.lli Palombi, 1956. cm. 25,7 pp. 160 26 tav. dp. f.t.
92 - PETRUCCI, Alfredo
Il Gargano di Alfredo Petrucci. Roma, ed. tip. «La Italiana », 1932. cm. 28 pp.
68 fig.
93 - PETRUCCI, Alfredo
Il pellegrino al Gargano.
Foggia, ed. Amm. Prov. Foggia, (Napoli, tip. Laurenziana), 1968.
97
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
cm. 24 pp. 27 4 tav. dp. f.t. « Quaderni de La Capitanata 7. »
94 - PETRUCCI, Alfredo
La Madonna dagli occhi sbarrati.
Foggia, ed. tip. Giuseppe Pilone, 1927.
cm. 22 pp. 35 5 tav. f.t. « Monografie di arte e storia pugliese.»
95 - PETRUCCI, Alfredo
Le magnificenze di Roma di Giuseppe Vasi. Roma, ed. tip. F.lli Palombi, s.d.
cm. 25,8 pp. 151 313 tav. dp. f.t.
96 - PETRUCCI, Alfredo
Le parole per tutte le ore. Avventura spirituale di questo e d’ogni altro tempo.
Roma, ed. « La Italiana », (Napoli, tip. Laurenziana), 1974. cm. 24 pp. 312
tav. f.t.
97 - PETRUCCI, Alfredo
L’incisione carraccesca.
Roma, ed. Libreria dello Stato, 1950.
cm. 28,6 pp. 131-144 [14] fig. « Estratto dal Bollettino d’Arte del Ministero
della Pubblica Istruzione. N. 11. Aprile-Giugno 1950. »
98 - PETRUCCI, Alfredo
L’incisione italiana di Alfredo Petrucci. L’Ottocento. Roma, ed. tip. R. Danesi, 1941.
cm. 37,6 pp. 39 fig. 60 tav. f.t. [in contenitore]. “Edizione Speciale di 1500
esemplari ».
99 - PETRUCCI, Alfredo
Muratori in casa. Roma, ed. « Il Mezzogiorno », 1958.
cm. 28,5 pp. 3 fig. « Estratto da Il Mezzogiorno. Anno VII. N. 1. Gennaio
1958. »
[Dedica autografa dell’autore a Mario Simone.]
100 - PETRUCCI, Alfredo
Pernix Apulia. Pagine sparse di Vita, di Storia e di Arte pugliese. Presentazione di Pasquale Soccio.
Bari, ed. Adda, (tip. Dedalo litostampa), 1971. cm. 25 pp. 318 fig.
101 - PETRUCCI, Alfredo
Pittori pugliesi dell’800. Domenico Caldara.
Roma, ed. Associazione Pugliese (tip. Tullio Minervini), 1929. cm. 26,4 pp. 9
1 ritr. 3 tav. f.t. « Quaderni pugliesi. Collezione di cultura regionale diretta da
D.M. Simone. N. 1.»
102 - PETRUCCI, Alfredo
Rassegna d’arte personale di Luigi Schingo col patrocinio dell’ Ente Autonomo Fiera di Foggia. Presentazione di Alfredo Petrucci. Foggia. Palazzetto
dell’arte 29 aprile - 15 maggio 1962. Foggia, tip. Leone, s.d. [ma 1962].
cm. 17 pp. 36 7 tav. dp. n.t.
98
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
103 - PETRUCCI, Alfredo
Rembrandt fra noi.
Roma, ed. Libreria dello Stato, 1951.
cm. 28 pp. 188-191 [4] fig. « Estratto dal Bollettino d’Arte del Ministero della
Pubblica Istruzione. N. 11. Aprile-Giugno 1951. »
104 - PETRUCCI, Alfredo
Roma. Novanta vedute moderne di D.R. 55 incisioni e disegni antichi. Testo
di Alfredo Petrucci.
Roma, ed. Banca Nazionale del Lavoro, (Torino, tip. Donaggio), 1949.
cm. 42 pp. 64 fig. 91 tav. f.t.
105 - PETRUCCI, Alfredo
Savino Papalia incisore. Testo di Alfredo Petrucci. Roma, tip. Lampo, 1959.
cm. 29,7 pp. 22 31 tav. f.t.
[Dedica autografa dell’autore a Michele Vocino.]
106 - PETRUCCI, Alfredo
Tre paesi tre canti.
Foggia, ed. Ente Prov. Turismo Foggia, (tip. Pescatore), s.d. cm. 21 pp. 38. «
Collana di Quaderni turistici dell’E.P.T. di Foggia. IV. »
107 - PETRUCCI, Alfredo
Una città morta: Siponto. Sta in: EMPORIUM. Bergamo giugno 1921. Vol.
LIII. N. 318. pp. 320-327 fig.
108 - PETRUCCI, Alfredo
Una terrazza, un arco. Roma, ed. Il Mezzogiorno, 1958.
cm. 28,4 pp. 7. « Estratto da Il Mezzogiorno. Fasc. 5. Anno VII. Maggio
1958. »
[Dedica autografa dell’autore a Mario Simone.]
109 - PETRUCCI, Alfredo
Un monumento misterioso: la Tomba di Rotari. Sta in:
EMPORIUM. Bergamo novembre 1919. Vol. L. N. 299. pp. 243-252 fig.
ARTICOLI GIORNALISTICI DA: EPOCA (L’); LAVORO (IL) D’ITALIA;
MESSAGGERO (IL); GARGANO (IL). 1921-1969 (in ordine cronologico).
110 - PETRUCCI, Alfredo
Movimento artistico pugliese. Vecchie e nuove mostre. Sta in:
EPOCA (L’). 19 febbraio 1921. [ritaglio di giornale]
111 - PETRUCCI, Alfredo
La tradizione pittorica in Puglia. Sta in:
EPOCA (L’). 26 maggio 1921. [ritaglio di giornale]
99
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
112 - PETRUCCI, Alfredo
Antiche sembianze d’Italia. Il fascino sempre vivo e nuovo delle contrade senesi. Sta in:
LAVORO (IL) D’ITALIA. 26 agosto 1927, pag. 3. [ritaglio di giornale]
113 - PETRUCCI, Alfredo
Ritorno al borgo natio. Dove non fu offesa la virtuosa Lucrezia.
Sta in: MESSAGGERO (IL). 4 giugno 1933, pag. 3. [ritaglio di giornale]
114 - PETRUCCI, Alfredo
L’agghiaccio. Sta in:
MESSAGGERO (IL). 23 agosto 1933, pag. 3.
[ritaglio di giornale]
115 - PETRUCCI, Alfredo
Credo. Sta in:
MESSAGGERO (IL). 29 settembre 1933, pag. 3.
[ritaglio di giornale]
116 - PETRUCCI, Alfredo
Il cuore di Brigida. Sta in:
MESSAGGERO (IL). 16 novembre 1935, pag. 3.
[ritaglio di giornale]
117 - PETRUCCI, Alfredo
Una lirica ed una prosa. Sta in:
GARGANO (IL). Anno I. 1950. N. 1, pag. 3.
118 - PETRUCCI, Alfredo
La grondaia. Sta in:
GARGANO (IL). Anno I. 1950. N. 5, pag. 3.
119 - PETRUCCI, Alfredo
Raggio sperduto. Sta in:
GARGANO (IL). Anno II. 1951. N. 9, pag. 3.
120 - PETRUCCI, Alfredo
Dove finisce il mare. Sta in:
GARGANO (IL). Anno III. 1952. N. 7, pag. 3.
121 - PETRUCCI, Alfredo
Al crocevia dei ricordi. Sta in:
GARGANO (IL). Anno III. 1952. N. 7, pag. 3.
122 - PETRUCCI, Alfredo
La piccola vita. Sta in:
GARGANO (IL). Anno III. 1952. N. 12, pag. 3.
123 - PETRUCCI, Alfredo
Si spezza una corda. Sta in:
GARGANO (IL). Anno IV. 1953. N. 5-6, pag. 3.
124 - PETRUCCI, Alfredo
Dolce sulla tua zolla. Sta in:
GARGANO (IL). Anno V. 1954. N. 1, pag. 3.
100
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
125 - PETRUCCI, Alfredo
Come il mendico. Sta in:
GARGANO (IL). Anno VI. 1955. N. 1, pag. 3.
126 - PETRUCCI, Alfredo
L’epigrafe della « Tomba di Rotari ». Sta in:
GARGANO (IL). Anno VI. 1955. N. 3-4, pag. 3.
127 - PETRUCCI, Alfredo
Il vecchio campanile. Sta in:
GARGANO (IL). Anno VII. 1956. N. 9-11, pag. 3.
128 - PETRUCCI, Alfredo
Suono di lontananza. Sta in:
GARGANO (IL). Anno IX. 1958. N. 1-2, pag. 3.
129 - PETRUCCI, Alfredo
Una terrazza, un arco. Sta in:
GARGANO (IL). Anno X. 1959. N. 1-2, pag. 3.
130 - PETRUCCI, Alfredo
Casa. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XI. 1960. N. 1-5, pag. 3.
131 - PETRUCCI, Alfredo
Il ligustro. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XI. N. 1-5, pag. 3.
132 - PETRUCCI, Alfredo
I becchini della civiltà. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XIV. 1963. N. 3, pag. 3.
133 - PETRUCCI, Alfredo
Terra di Puglia. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XV. 1964. N. 1, pag. 3.
134 - PETRUCCI, Alfredo
Una medaglia al valore. .Sta in:
GARGANO (IL). Anno XV. 1964. N. 7, pag. 3.
135 - PETRUCCI, Alfredo
Tavoliere di Puglia. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XV. 1964. N. 8, pag. 3.
136 - PETRUCCI, Alfredo
Una musica dolce e veloce. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XV. 1964. N. 11-12, pag. 3.
137 - PETRUCCI, Alfredo
Puglia di ieri e di oggi. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XVI. 1965. N. 5, pag. 3.
138 - PETRUCCI, Alfredo
Circe e il Gargano. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XVII. 1966. N. 9, pag. 3.
139 - PETRUCCI, Alfredo
Lo spettro. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XVIII. 1967. N. 1, pag. 3.
140 - PETRUCCT, Alfredo
La desolata. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XVIII. 1967. N. 4, pag. 3.
101
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
141 - PETRUCCI, Alfredo
La « Murgia » di Sannicandro. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XIX. 1968. N. 7, pag. 3.
142 - PETRUCCI, Alfredo
Hai pregato. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XX. 1969. N. 2, pag. 3.
143 - PETRUCCI, Alfredo
Preghiera. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XX. 1969. N. 2, pag. 3.
144 - PETRUCCI, Alfredo
Si spezza una corta. Sta in:
GARGANO (IL). Anno XX. 1969. N. 7, pag. 3.
EPISTOLARIO (1914-1965)
(I.) = lettera; (c) = cartolina; (t.) = telegramma; (b.p.) biglietto postale; (b.v.)
biglietto da visita; (b.) busta.
1 - J.J.G. ALEXANDER: Prospeet House. Upton. Dideat. Barkshire luglio
1963 (I.).
2 - Roberto ALMAGIA’: Roma 21 maggio 1957 (I.).
3 - Corrado ALVARO: Roma 4 gennaio 1941 (I.).
4 - Luciano ANCESCHI: Milano 16 gennaio 1952 (c.).
5 - Giuseppe ANDRETTA: Roma 19 settembre 1950 (I.).
6 - Ciro ANGELILLIS: 1) Capolona 6 luglio 1927 (I.); 2) Capolona (Arezzo)
29 settembre 1929 (I.); 3) Capolona 10 dicembre 1929 (I.); 4) Capolona 9
ottobre 1930 (c.); 5) Capolona 4 aprile 1931 (c.); 6) Capolona 11 aprile
1931 (c.); 7) Capolona 30 aprile 1931 (c.); 8) Capolona 18 maggio 1931
(c.); 9) Capolona 10 giugno 1931 (I.); 10) Capolona 26 aprile 1937 (c.);
11) Arezzo 18 settembre 1949 (I.); 12) Arezzo 12 febbraio 1954 (I.); 13)
Arezzo 10 marzo 1954 (I.); 14) 8.1 s.d. (I.).
7 - Gian Battista ANGIOLETTI: 1) Milano 22 giugno 1928 (b.p.); 2) Roma
13 gennaio 1936 (I.); 3) Roma 13 giugno 1946 (b.p.); 4) Roma 11 dicembre 1946 (b.p.).
8 - Guido ARCAMONE: Roma 22 aprile 1953 (I.).
9 - Paolo ARCARI: 1) 8.1. 17 febbraio 1941 (I.); 2) Roma 16 febbraio 1941
(c.).
10 -Carlo Giulio ARGAN: 1) Roma 3 maggio 1951 (b.p.); 2) Roma 20 maggio 1965 (I.).
11 -Romolo ARTIOLI: S.l. 25 febbraio 1929 (I.).
12 -Carlo AZZARITA: Roma 20 giugno 1953 (b.v.).
13 -Antonio BALDINI: 1) Roma 13 luglio 1935 (c.); 2) Roma 18 luglio 1935
(c.); 3) Roma 4 settembre 1937 (c.); 4) Roma 8 settembre 1937 (c.); 5)
Roma 28 gennaio 1938 (c.); 6) Roma 1 marzo 1938 (c.); 7) Roma 7 marzo
1938 (c.); 8) Roma 19 settembre 1938 (c.); 9) Roma 2 novembre 1940
(c.); 10) Roma 3 febbraio 1941 (c.); 11) Roma 7 novembre 1944 (c.); 12)
Roma 8 gennaio 1945 (c.); 13) Roma 2 gennaio 1947 (c.);
102
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
14) Roma 22 novembre 1947 (c.); 15) Roma 24 luglio 1950 (c.); 16) Roma 29 settembre 1950 (c.); 17) Roma 18 gennaio 1952 (c.); 18) Roma 1
giugno 1955 (I.); 19) Roma 6 novembre (b.v.); 20) Roma (b.v.); 21) Roma
13 novembre (b.v.); 22)Roma 20 settembre (b.v.); 23) Roma 17 settembre
(b.v.); 24)Roma 25 dicembre (b.v.).
14 -Gino BALZANI: Lecce 2 gennaio 1924 (I.).
15 -Carlo BARBIERI: 1) Portici 20 giugno 1953 (I.); 2) Portici 23 luglio 1953
(I.); 3) Portici 8 gennaio 1954 (c.); 4) Portici 7 novembre 1960 (b.p.).
16 -Piero BARGELLINI: s.l. 8 dicembre 1952 (b.v.).
17 -U. BARONE MELODIA: Roma 16 luglio 1924 (b.v.).
18 -Eugenio BARONI: 1) Sestri Levante 14 settembre 1926 (I.); 2) Genova 23
settembre 1926 (I.); 3) Genova 16 ottobre 1926 (c.).
18 bis - Domenico BARTOLINI: Roma 24 agosto 1953 (b.v.).
19 -Luigi BARTOLINI: 1) Roma 12 novembre 1951 (I.); 2) s.l. 16 giugno
1953 (I.); 3) Roma 22 luglio 1953 (c.); 4) Roma 31luglio 1953 (b.v.); 5)
Roma 27 dicembre 1953 (c.).
20 - Arturo BASSI: Trani 21 agosto 1926 (b.v.).
21 - Fortunato BELLONZI: 1) Roma 1 agosto 1951 (I.); 2) Roma 27 agosto
1951 (I.).
22 -Achille BERTINI-CALOSSO: 1) Roma 18 febbraio 1929 (I.); 2) Roma 3
aprile 1929 (c.); 3) Perugia 18 dicembre 1949 (c.).
23 -Antonietta Maria BESSONE-AURELJ: 1) s.l. 1925 (b.v.); 2) Roma 8
agosto 1933 (I.); 3) s.1. s.d. (c.).
24 -Ugo BETTI: 1) Camerino 3 settembre 1911 (c.); 2) Roma 19 gennaio
1933 (c.); 3) Roma 25 novembre 1940 (c.); 4) La Spezia 2 ottobre 1941
(c.); 5) Roma 19 gennaio 1951 (c.); 6) Roma 27 luglio 1951 (c.); 7) Roma
10 febbraio 1952 (c.); 8) Roma 14 ottobre (I.); 9) s.l. s.d. (I.); 10) s.l. s.d.
(I.); 11) s.l. s.d. (I.); 12) s.l. s.d. (I.); 13) s.l. s.d. (I.); 14) s.l. s.d. (b.v.; 15)
s.l. s.d. (b.v.).
25 - Michele BIANCALE: Roma 22 novembre 1940 (I.).
26 - D. BIANCHI: Fasano 18 ottobre 1926 (c.).
27 - Ranuccio BIANCHI BANDINELLI: Roma 18 ottobre 1945 (I.).
28 - Raffaello BIORDI: 1) Chieti 10 gennaio 1921 (c.); 2) Aquila 23 settembre 1931 (I.).
29 - Carlo BISI: 1) Milano 29 gennaio 1965 (I.); 2) Milano 12 febbraio 1965
(c.); 3) Milano 16 febbraio 1965 (I.).
30 - Mario BLASI: Osimo 30 gennaio 1921 (c.).
31 - Mario BLAVE: Chambéry 2 ottobre 1930 (I.).
32 - Marcello BOGLIONE: 1) Torino 17 gennaio 1930 (I.); 2) Torino 2 febbraio 1930 (I.).
33 - Giulio BONARELLI MODENA: Ancona 24 gennaio 1922 (I.).
34 - M assimo BONTEMPELLI: 1) Milano 11febbraio (I.); 2) Milano 23 marzo (I.); 3) Venezia 6 novembre (I.); 4) s.l. s.d. (I.).
35 - Giuseppe BOTTAI: Roma 1 aprile 1943 (I.).
103
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
35 - Giuseppe BOTTAI: Roma 1 aprile 1943 (I.).
36 -BOTTEGA DI POESIA - Casa Editrice: 1) Milano 31 maggio 1923 (L);
2) 2 agosto 1923 (I.).
37 -S. BOTTO: Genova 4 aprile 1933 (c.).
38 -Cesare BRANDI: 1) Roma 15 settembre 1959 (I.); 2) Roma 20 gennaio
1961 (I.).
39 - Gustavo BRIGANTE-COLONNA: 1) Roma 1 settembre 1933 (I.); 2)
Roma 25 settembre 1932 (I.).
40 -Laetitia BOSCHI HUBER: Santa Marinella 1 ottobre 1931 (I.).
41 -Paolo BREZZI: Roma 5 giugno 1956 (I.).
42 -Antonio BRERES: Roma 15 marzo 1941 (I.).
43 -Bruno da Osimo: Ancona 25 ottobre 1941 (c.).
44 -Palma BUCARELLI: 1) Roma 28 agosto 1953 (I.); 2) Roma 6 giugno
1965 (I.).
45 -Anselmo BUCCI: 1) Monza 14 maggio 1952 (I.); 2) Monza 25 giugno
1952 (I.).
46 -Salvatore CABASINO: Roma 9 ottobre 1966 (I.).
47 -Giuseppe COCCIA: 1) Torino 5 dicembre 1953 (I.); 2) Torino 5 dicembre
1953 (I.); 3) Torino 26 aprile 1955 (I.).
48 -Sipontino CAFARELLI: Manfredonia 22 gennaio 1931 (I.).
49 -F. CAFFARELLI: Roma 29 dicembre 1960 (I.).
50 -G. CALO’: 1) Firenze 27 novembre 1923 (I.); 2) Roma 29 maggio 1923
(I.).
51 -Temistocle CALZECCHI: Roma 21 dicembre 1921 (b.v.).
52 -Carlo CALZECCHI-ONESTI: 1) s.l. 4 maggio 1929 (I.); 2) Milano 18
febbraio 1933 (I.); 3) s.l. 10 marzo 1933 (I.); 4) s.l. 10 novembre 1941 (I.);
5) Firenze 17 gennaio 1942 (I.); 6) Firenze 26 gennaio 1942 (I.).
53 -Pasquale CAMASSA: 1) Brindisi 25 aprile 1931 (I.); 2) Brindisi 9 giugno
1931 (I.).
54 -Leonardo CAMPANELLI: 1) Torino 10 luglio 1950 (I.); 2) Volturino s.d.
(c.).
55 -Raimondo CANAVESSO: Milano 10 novembre 1934 (I.).
56 -Alfredo CAPUANO: 1) Foggia 8 giugno 1914 (c.); 2) Foggia s.d. (b.p.).
57 -Michele CAPUANO: 1) S. Giovanni Rotondo 10 aprile 1959 (I.); 2) 5.
Giovanni Rotondo 8 ottobre 1965 (I.).
58 -Giuseppe CAPUTI: 1) Roma 19 agosto 1945 (I.); 2) Roma 12 aprile 1952
(I.).
59 -Antonio CARBONATI: Roma 26 novembre 1953 (b.v.).
60 -Tommaso CASCELLA: 1) Pescara 10 febbraio 1921 (L); 2) Montecatini
25 ottobre 1928 (c.); 3) Pescara 18 dicembre 1928 (I.); 4) Bari 14 gennaio
1929 (I.); 5) Siena s.d. (b.p.) (b.n. 1).
61 -Piero CASOTTI: Taranto 25 agosto 1926 (I.).
104
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
62 -Giuseppe CASSIERI: 1) Rodi 30 luglio 1952 (I.); 2) Roma 28 marzo 1953
(I.); 3) Roma ottobre 1958 (I.); 4) Roma 29 novembre 1960 (I.); 5) Roma
14 marzo 1961 (c.); 6) Roma 18 giugno (I.); 7) Roma 19 giugno (I.); 8)
s.l. 14 novembre (b.v.).
63 -Giorgio CASTELFRANCO: 1) 28 ottobre 1954 (I.); 2) 18 gennaio 1955
(I.).
64 -Enrico CASTELLANETA: 1) Gioia del Colle 7 giugno 1923 (c.); 2) Gioia
del Colle 19 marzo 1924 (I.); 3) Gioia del Colle 27 marzo 1924 (I.); 4)
Gioia del Colle 15 aprile 1925 (I.); 5) Gioia del Colle 16 aprile 1924 (I.);
6) Gioia del Colle 25 aprile 1924 (c.); 7) Gioia del Colle 30 aprile 1924
(c.); 8) Gioia del Colle 22 maggio 1924 (c.); 9) Gioia del Colle 4 giugno
1924 (I.); 10) Gioia del Colle 11 luglio 1924 (I.); 11) Gioia del Colle 26
luglio 1924 (c.); 12) Gioia del Colle 15 marzo 1925 (c.); 13) Gioia del
Colle 6 luglio 1925 (c.); 14) Gioia del Colle 7 luglio 1926 (c.); 15) Polignano a Mare 15 agosto 1926 (c.); 16) Polignano a Mare 24 agosto 1926
(c.); 17) Polignano a Mare 8 settembre 1926 (I.); 18) Gioia del Colle 27
settembre 1926 (c.); 19) Gioia del Colle 8 ottobre 1926 (c.); 20) Gioia del
Colle 14 ottobre 1926 (c.); 21) Gioia del Colle 2 novembre 1926 (c.); 22)
Gioia del Colle 13 novembre 1926 (c.); 23) Gioia del Colle 1 dicembre
1926 (c.); 24) Gioia del Colle 11 gennaio 1927 (c.); 25) Gioia del Colle 28
luglio 1927 (c.); 26) Gioia del Colle 16 gennaio 1931 (c.), (b.n. 3).
65 -Onorato CASTELLINO: 1) Torino 22 ottobre 1934 (c.); 2) Torino 25 ottobre 1934 (I.); 3) Torino 24 novembre 1934 (I.).
66 -Umberto CAVASSA: Genova 27 maggio 1960 (b.v.).
67 -Angelo CELUZZA: Foggia 16 giugno 1965 (I.).
68 -Pasquale CERAVOLO: 1) Cremona 3 giugno 1923 (I.); 2) Bergamo 12
ottobre 1928 (I.); 3) Retafuori (Bergamo) 14 agosto 1928 (I.); 4) Bergamo
10 maggio 1928 (c.); 5) Bergamo 6 dicembre 1929 (I.); 6) Bergamo 31 ottobre 1929 (I.): 7) Bergamo 22 ottobre 1929 (I.); 8) 19 aprile 1929 (I.); 9)
Bergamo 7 aprile 1929 (I.); 10) Bergamo 20 dicembre 1930 (I.); 11) Bergamo 26 gennaio 1930 (I.); 12) Bergamo 2 gennaio 1931 (I.); 13) Bergamo 26 gennaio 1931 (c.); 14) Bergamo 3 marzo 1931 (I.); 15) Bergamo 6
ottobre 1931 (b.v.); 16) Peveragno (Cuneo) 20 agosto 1932 (c.); 17) Peveragno 9 luglio 1932 (I.); 18) Bergamo 5 ottobre 1932 (I.); 19) Bergamo 27
aprile 1937 (I.); 20) Bergamo 3 giugno 1950 (I.); 21) Bergamo 16 agosto
1950 (I.); 22) Bergamo 14 gennaio 1952 (c.); 23) Bergamo 4 novembre
1960 (I.); 24) Bordighera 6 marzo 1965 (I.); 25) Bergamo s.d. (I.); 26) s.l.
s.d. (I.); 27) Bergamo s.d. (I.); 28) Bergamo s.d. (I.); 29) Bergamo s.d.
(b.p.); 30) Bergamo s.d. (I.); 31) Bergamo s.d. (I.).
105
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
69 -Armando CERMIGNANI: 1) Riviera di Castellammare 1 marzo 1931 (I.);
2) Pescara 18 marzo 1932 (I.); 3) Pescara 11 ottobre 1932 (I.); 4)11 ottobre 1933 (b.); 5) Pescara 2 dicembre 1934 (I.); 6) Peseara 13 febbraio
1941 (I.); 7) Roma 18 dicembre 1949 (b.v.), (b.n. 5).
La busta datata 11 ottobre 1933 contiene 5 prove di silografia.
70 -Arturo CECCHI: Firenze 6 febbraio 1954 (I.).
71 -Gustavo CHIANTORE: Torino 16 marzo 1929 (c.).
72 -Mario CIAMPI: Foggia 4 agosto 1949 (I.).
73 -Vincenzo CIAMPI: 1) Foggia 14 dicembre 1928 (c.); 2) Foggia 7 aprile
1929 (c.); 3) Foggia 18 giugno 1931 (I.).
74 -Vittorio CIAMPI: Lucera 18 gennaio 1920 (c.).
75 -Vincenzo CIARDO: 1) Pozzuoli 4 gennaio 1926 (I.); 2) Poz- zuoli 22 febbraio 1926 (c.); 3) Pozzuoli 8 giugno 1926 (c.) 4) Pozzuoli 8 agosto 1926
(c.); 5) Pozzuoli 14 agosto 1924 (I.); 6) Gagliano del Capo (Lecce) 31 agosto 1926 (c.); 7 Pozzuoli 19 agosto 1926 (c.); 8) Pozzuoli 2 novembre
1924 (c.); 9) Napoli 16 dicembre 1926 (c.); 10) Pozzuoli 20 giugno 1927
(c.); 11) Pozzuoli 3 marzo 1929 (I.); 12) Roma luglio 1932 (I.); 13) Napoli
8 marzo 1941 (I.); 14) Gaglian del Capo 27 dicembre 1950 (I.); 15) Roma
5 dicembre 1951 (I.); 16) Napoli 17 novembre 1952 (I.).
76 -Filippo CIFARIELLO: 1) Napoli 4 aprile 1919 (I.); 2) Roma 30 gennaio
1925 (c.); 3) Napoli 5 marzo (I.); (b.n. 6) La busta contiene inoltre una
scheda di adesione all’Associazione Nazionale Indipendente Artistico Industriale - Camera di Commercio Napoli - Direzione Sociale pel Mezzogiorno.
77 -Nicola CILENTI: Roma 14 ottobre 1954 (I.).
78 -Pietro CIMARA: Milano 28 settembre 1932 (I.).
79 -Giulio CISARI: Milano agosto 1953 (I.).
80 -Guelfo CIVININI: Firenze 5 febbraio (c.).
81 -Erminio COLANERA: 1) Foggia 8 ottobre 1930 (c.); 2) Foggia 11 gennaio 1931 (c.); 3) Foggia 31 gennaio 1931 (c.); 4) S. Severo 22 dicembre
1958 (I.).
82 -Virgilio COLANTONIO: Sannicandro Garganico 22 febbraio 1935 (I.).
83 -M ario COLUCCI: 1) Milano 15 marzo 1921 (I.); 2) Milano 19 marzo
1921 (c.).
84 -Girolamo CONCI: 1) Lucugnano (Lecce) 17 febbraio 1932 (c.); 2) Lucugnano 16 novembre 1950 (c.); 3) Lucugnano 8 aprile 1961 (I.).
85 -Francesco COMO: 1) Taranto 5 maggio 1924 (I.); 2) Manduria 28 aprile
1924 (I.); 3) Taranto 16 agosto 1926 (c.).
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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
86 -Vittoria CONTINI BONACOSSI: s.l. 10 maggio 1941 (b.v.)
87 -Giovanni COPERTINI: 1) Parma 18 febbraio 1933 (I.); 2 Parma 22 maggio 1933 (c.); 3) Parma 22 maggio 1953 (I.).
82 bis - Carlo CORRA’: Rimini 6 giugno 1961 (I.).
83 bis - Carlo D’ALESSIO: Taranto 26 dicembre 1959 (I.).
84 bis - Maria DALL’OSSO OSTA: Ancona 12 agosto 1914 (l.).
85 bis - B. D’AMELJ CAROVITA: 1) S. Spirito 24 agosto 1924 (I.). 2) S.
Spirito 12 agosto 1924 (I.); 3) S. Spirito 20 agosto 1924 (I.).
86 bis - Silvio D’AMICO: Roma 28 gennaio 1954 (I.).
87 -Manlio DAZZI: 1) Venezia 13 luglio 1940 (I.); 2) Piné 34 agosto 1940
(I.).
88 -Guglielmo DE ANGELIS d’OSSAT: 1) Roma 16 aprile 1952: (I.); 2)
Roma Pasqua 1951 (c.); 3) Roma Capodanno 1955 (e); 4) Roma 9 giugno
1955 (I.); 5) Roma 19 luglio 1955 (c.) 6) Roma 20 dicembre 1955 (c.).
89 -Alba DE CESPEDES: 1) Roma 18 marzo 1941 (I.); 2) Roma 8 aprile
1941 (I.).
90 -Riccardo DEL GIUDICE: Roma s.d. (b.v.).
91 -Michelangelo DE GRAZIA: 1) Rodi Garganico 30 giugno 1923 (c.); 2)
Rodi Garganico 19 maggio 1937 (I.); 3) Rodi Garganico 15 ottobre 1941
(I.); 4) Rodi Garganico 11 gennaio 1952 (I.).
92 -Idilio DELL’ERA: Siena 1952 (c.).
93 -Matteo DELLI MUTI: Foggia 16 agosto 1929 (c.).
94 -Giuseppe DE LOGRI: Venezia 15 maggio 1956 (I.).
95 -Federico DE MARIA: 1) s.l. 2 settembre 1933 (e); 2) s.l s.d. (b.v.).
96 -Mario DE MEO: Foggia s.d. (I.).
97 -Enrico DE NICOLA: s.l. s.d. (b.v.) (b.n. 7).
98 -Aldo DE RINALDIS: 1) Roma 11 agosto 1935 (c.); 2) s.1 s.d. (b.v.).
99 -Lina DE RINALDIS SFORZA: Roma 7 luglio 1941 (I.).
100 -Gino DE SANCTIS: 1) Roma 13 aprile 1942 (I.); 2) Roma 9 settembre
1942 (b.v.).
101 -G. DE RUBERTIS: 1) Roma 6 novembre 1920 (c.); 2) s.1. 27 febbraio
1929 (I.).
102 -Antony DE WITT: 1) Firenze 1 febbraio 1932 (c.); 2) Firenze 10 marzo
1932 (I.); 3) Firenze 4 marzo 1933 (c.); 4 Firenze 23 febbraio 1965 (I.).
103 -Teoerito DI GIORGIO: Siracusa 24 agosto 1929 (I.).
104 -Filippo DI PIETRO: Urbino 12 luglio 1929 (I.).
105 -Lamberto DONATI: 1) Roma 18 ottobre 1932 (I.); 2) Roma 10 novembre 1952 (c.).
106 -Teodoro EHRNESTAIN: Vienna 29 ottobre 1936 (c.).
107 -Giulio EINAUDI: Torino 28 novembre 1962 (I.).
108 -Nicola FABIANO: 1) S. Nicandro Garganico 3 luglio 193( (I.); 2) S. Nicandro Garganico 22 maggio 1932 (I.); 3) Roma 11 giugno 1932 (c.);
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4) S. Nicandro Garganico 23 giugno 1932 (I.); 5) S. Nicandro Garganico
30 marzo 1933 (I.); 6) S. Nicandro Garganico 8 maggio 1933 (I.).
109 -Enrico FALQUI: 1) Roma 6 febbraio 1930 (I.); 2) Roma 1 dicembre
1930 (c.); 3) Roma 18 febbraio 1931 (c.); 4) Roma 19 marzo 1935 (c.); 5)
Roma 5 novembre 1949 (I.); 6) Roma 22 febbraio 1950 (I.); 7) Roma 7
novembre (b.p.); 8) novembre (I.); 9) 23 settembre (I.).
110 -Carlo A. FELCI: Milano 27 giugno 1925 (I.).
111 -Luigi FERRARIS: Roma 30 settembre 1957 (I.).
112 -FERROVIE E TRANVIE DEL MEZZOGIORNO: 1) Roma 4 gennaio
1932 (I.); 2) Roma 21 gennaio 1932 (I.); 3) Roma 17 giugno 1933 (I.); 4)
Roma 5 ottobre 1933 (I.); 5) Roma 13 ottobre 1933 (I.) (b.n. 9). La busta
contiene 4 bozzetti.
113 -Nicola Costantino FESTA: Roma 13 febbraio 1936 (I.).
114 -Filippo FICHERA: 1) Bergamo 18 dicembre 1949 (I.); 2 Bergamo 30
aprile 1950 (I.); 3) Bergamo 3 giugno 1952 (I.) 4) Bergamo 20 giugno
1952 (I.); 5) Bergamo 1 gennaio 1954 (I.); 6) Bergamo 4 marzo 1954 (I.);
7) Milano 15 agosto 1958 (I.); 2) Milano 25 dicembre 1958 (I.); 9) Milano
31 marzo 1964 (I.); 10) Milano 24 agosto 1964 (I.); 11) Milano 28 settembre 1964 (I.).
115 -Angiolo FINI: 1) Rodi 18 settembre 1949 (I.); 2) Bari 10 settembre 1960
(I.); 3) Bari 23 maggio 1965 (I.); 4) Bari 15 giugno 1965 (I.).
116 - Domenico FIORITTO: 1) Foggia s.d. (c.); 2) Napoli 20 dicembre 1933
(b.n. 8).
117 - Francesco FLORA: 1) Napoli 18 marzo 1931 (c.); 2) Ischia 14 aprile
1952 (c.); 3) Roma 28 agosto 1952 (c.); 4) Bologna 27 aprile 1953 (I.).
118 - Luciano FOLGORE: 1) Roma 12 febbraio 1941 (c.); 2) Roma s.d. (I.).
119 - Corrado FOSCARINI: 1) Gallipoli 15 giugno 1927 (I.); 2) Gallipoli 18
settembre 1927 (I.); 3) Gallipoli 30 aprile 1929 (c.).
120 - Rodolfo M. FOTI: Firenze 14 aprile 1951 (I.).
121 - Augusto FRACCACRETA: 1) Roma 20 marzo 1952 (I.); 2) Roma 22
settembre 1953 (I.); 3) Berlino s.d. (c.).
122 - Umberto FRACCACRETA: San Severo 30 aprile 1931 (c.).
123 - Giuseppe FRANCAVILLA: Roma s.d. (I.).
124 - Emilio FIORE: Foggia 21 gennaio 1921 (c.).
125 - Renzo FRATTAROLO: 1) Roma 2 novembre 1959 (I.); 2) Roma 26 dicembre 1960 (I.); 3) Roma 16 dicembre 1962 (I.).
126 - Arsenio FRUGONI: 1) 30 dicembre 1957 (I.); 2) Roma 4 luglio 1958
(I.).
127 - Giuseppe GABRIELI: 1) s.l. 2 marzo 1931 (I.); 2) Roma 2 agosto 1931
(I.); 3) Roma 29 marzo 1932 (I.); 4) Roma 5 settembre 1932 (c.).
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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
128 - Francesco GALANTE: 1) s.l. 29 gennaio 1924 (I.); 2) Napoli 7 aprile
1924 (I.); 3) Napoli 9 settembre 1924 (I.); 4) Napoli s.d. (t.); 5) Napoli 8
agosto 1926 (I.); 6) Napoli 14 agosto 1926 (I.); 7) Napoli 28 agosto 1926
(I.); 8) Napoli 14 settembre 1926 (I.); 9) Napoli 23 settembre 1926 (I.);
10) Napoli 18 ottobre 1926 (I.); 11) Napoli 19 ottobre 1926 (I.); 12) Napoli 1 novembre 1926 (I.); 13) Napoli 2 gennaio 1927 (I.); 14) Napoli 12
dicembre 1954 (I.).
129 - C. GALASSI PALUZZI: 1) Roma 15 febbraio 1925 (I.); 2) Roma 27 ottobre 1928 (I.); 3) Roma 9 dicembre 1931 (I.); 4) 8.1. 31 dicembre 1931
(I.).
130 - Antonio GALEAZZO GALEAZZI: s.l. 1919 (I.).
131 - Nino GALIMBERTI: 1) Bergamo 1 ottobre 1929 (c.); 2) Bergamo 22
novembre 1929 (c.); 3) Roma 26 luglio 1930 (c.).
132 - Alfredo GALLETTI: Bologna 30 giugno 1931 (I.).
133 - Cesare GASTALDI: Milano 3 settembre 1959 (I.).
134 - Tiberio GENNARO: 1) Chieti 18 gennaio 1921 (c.); 2) Chieti 23 gennaio 1921 (c.).
135 - Carlo GENTILE: Foggia 12 giugno 1952 (c.).
136 - Giovanni GENTILE: 1) Roma 12 aprile 1933 (I.); 2) Roma 16 dicembre
1936 (I.); 3) Roma 5 gennaio 1937 (I.).
137 - Vincenzo GERACE: 1) s.l. 25 maggio 1921 (I.); 2) Roma 22 luglio
1921 (c.); 3) Castellammare Alviatico 18 agosto 1921 (c); 4) Roma 5 aprile 1922 (I.); 5) Roma 16 giugno 1926 (c.); 6) Roma 17 dicembre 1926
(c.); 7) Roma 18 gennaio 1928 (I.); 8) Roma 10 febbraio 1928 (I.); 9) Roma 13 marzo 1928 (I.); 10) Roma 26 febbraio 1929 (c.); 11) Roma 6 gennaio 1930 (c.); 13) s.l. s.d. (I.).
138 - Achille GEREMICCA: 1) s.l. 16 giugno 1923 (I.); 2) Napoli 28 agosto
1932 (I.).
139 - Michele GERVASIO: 1) Bari 24 aprile 1932 (I.); 2) Bari 31 maggio
1933 (c.); 3) Bari 12 settembre 1933 (c.); 4) Bari 24 dicembre 1933 (b.p.);
5) Bari 20 luglio 1934 (c.).
140 - Alberto Maria GHISALBERTI: Roma 11 marzo 1960 (I.).
141 - Giulio GIANELLI: 1) Roma 20 marzo 1913 (I.); 2) Ancona 25 settembre 1913 (c.); 3) Rosazza (Biellese) s.d. (I.).
142 - Gaetano GIGLI: 1) Roma 17 novembre 1931 (I.); 2) Roma 11 giugno
1941 (c.).
143 - Lucia GIGLI: 1) Roma 16 ottobre 1950 (I.); 2) Roma 18 agosto 1957
(I.).
144 - Lorenzo GIGLI: 1) Torino 7 dicembre 1930 (I.); 2) Torino 11 dicembre
1930 (I.).
145 - Odoardo GIGLIOLI: 1) Firenze 17 aprile 1930 (c.); 2) Firenze 1 luglio
1930 (e); 3) Firenze 25 novembre 1930 (c.); 4) Firenze 29 gennaio 1932
(c.).
146 - Gian Pietro GIORDANA: 1) Collemontano di Spoleto 13 agosto 1932
(I.); 2) s.l. s.d. (b.v.).
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147 - Tullio GIORDANA: 1) s.l. 29 settembre (I.); 2) s.1. venerdì 31(I.).
148 – Sanzio GIOVANNELLI: 1) S. Benedetto del Tronto 21 dicembre 1958
(I.); 2) 8. Benedetto del Tronto 28 dicembre 1962 (I.); 3) s.l. Pasqua 1963
(I.); 4) S. Benedetto del Tronto 19 settembre 1963 (I.); 5) S. Benedetto del
Tronto 9 ottobre 1963 (I.); 6) S. Benedetto del Tronto 26 maggio 1964 (l.).
149 - Lorenzo GIUSSO: Roma s.d. (I.).
150 - R. GORJUX: Bari s.d. (c.).
151 - Corrado GOVONI: 1) Roma 27 luglio 1939 (c.); 2) Roma febbraio 1941
(c.); 3) Roma 10 febbraio 1941 (c.); 4) Roma 14 marzo 1951 (I.).
152 - Virgilio GUIDOTTO: Bergamo 4 febbraio 1931 (I.).
153 - Federico HERMANIN: 1) Roma 28 dicembre 1923 (I.); 2 Roma 9 aprile
1924 (c.); 3) Roma 10 ottobre 1924 (c.); 4) Roma 26 novembre 1924
(b.v.); 5) Roma 21 dicembre 1924 (I.); 6) Roma 20 aprile 1925 (I.); 7)
Roma 18 febbraio 1925 (1); 8) Roma 27 giugno 1925 (b.v.); 9) Roma 18
novembre 1925 (b.v.); 10) Roma 13 aprile 1925 (b.v.); 11) Roma 27 giugno 1925 (I.); 12) Roma 21 ottobre 1925 (I.); 13) Roma 11 novembre
1925 (b.v.); 14) Roma 23 febbraio 1926 (I.); 15) Roma 20 maggio 1926
(I.); 16) Roma 31luglio 1926 (I.); 17) Roma 20 ottobre 1926 (I.); 18) Roma 27 novembre 1926 (I.); 19) Roma 22 dicembre 1926 (c.); 20) Roma 5
gennaio 1927 (I.); 21) Roma 1 febbraio 1927 (I.); 22) Roma 13 aprile
1927 (I.); 23) Roma 26 aprile 1927 (I.); 24) Roma 10 maggio 1927 (I.); 25
Roma 20 maggio 1927 (I.); 26 s.l. 13 giugno 1927 (I.); 27) Roma 18 giugno 1927 (I.); 28) Roma 18 giugno 1927 (I.); 29) Roma 11 luglio 1927
(I.); 30) Roma 19 luglio 1927 (I.); 31) Roma 8 novembre 1927 (I.); 32)
Roma 10 novembre 1927 (I.); 33) Roma 10 ottobre 1927 (I.); 34) Roma
29 novembre 1927 (I.); 35) Roma 29 novembre 1927 (I.); 36) Roma 23
dicembre 1927 (I.); 37) Roma 2 gennaio 1928 (I.); 38) Roma 12 gennaio
1928 (I.); 39) Roma 28 gennaio 1928 (I.); 40) Roma 15 febbraio 1928 (I.);
41) Roma 17 marzo 1928 (I.); 42) Roma 28 marzo 1928 (I.); 43) Roma 9
aprile 1928 (I.); 44) Roma 26 aprile 1928 (I.); 45) Roma 8 maggio 1928
(I.); 46) Roma 18 maggio 1928 (I.); 47) Bari 7 luglio 1928 (c.); 48) Roma
18 agosto 1928 (b.v.); 49) Roma 28 settembre 1928 (b.v.); 50) Roma 1 ottobre 1928 (b.v.); 51) Roma 4 ottobre 1928 (I.); 52) Roma 16 ottobre 1928
(I.); 53) Roma 17 ottobre 1928 (I.); 54) Roma 30 ottobre 1928 (I.); 55)
Roma 15 novembre 1928 (I.); 56) Bari 22 novembre 1928 (c.); 57) Bari 29
dicembre 1928 (c.); 58) Roma 1 aprile 1929 (I.); 59) s.l. 14 aprile 1929
(b.v.); 60) Roma 28 dicembre 1929 (I.); 61) Roma 14 marzo 1930 (I.); 62)
Roma 7 agosto 1930 (b.v.); 63) Roma 3 giugno 1930 (I.);
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64) Roma 18 giugno 1931 (I.); 65) Roma 10 settembre 1931 (I.); 66) Roma 10 agosto 1932 (I.); 67) s.1. 10 giugno (b.v.) 68) s.l. s.d. (b.v.); 69) s.l.
s.d. (I.); 70) s.l. s.d. (b.v.).
154 - Arthur M. HIND: s.l. 3 ottobre 1946 (I.).
155 - Tomaso IACOANGELI: 1) s.l. 18 giugno 1928 (I.); 2) s.l. 2 giugno
1928 (I.); 3) Roma 21 marzo 1929 (I.).
156 - Renato IAVARONE: 1) s.l. 1 maggio 1924 (I.); 2) Roma 1 settembre
1926 (I.).
157 - Enrico IRMICI: s.l. 17 febbraio 1921 (b.v.).
158 - ISTITUTO ITALIANO ARTI GRAFICHE: Bergamo 2 maggio 1917
(I.).
159 - ISTITUTO NAZIONALE LUCE: Roma 26 giugno 1934 (I.)
160 - Jules G. KIRALY: s.l. s.d. (b.v.).
161 - Rosario IURLARO: Brindisi 8 gennaio 1964 (I.). Allegata una lettera di
Petrucci: Roma 25 dicembre 1963
162 - Rosario LABADESSA: Roma 4 maggio 1937 (I.).
163 - Arturo LANCELLOTTI: 1) Roma 6 settembre 1926 (c.); 2 Roma 9 ottobre 1926 (c.). Allegata lettera di Petrucci: Roma 9 gennaio 1927.
164 - Giovanni LA SELVA: 1) S. Marco in Lamis 3 febbraio 1929 (I.); 2) S.
Marco in Lamis 8 aprile 1929 (I.).
165 - Saverio LA SORSA: 1) Bari 25 marzo 1924 (c.); 2) Bari 25 ottobre
1930 (c.); 3) Bari 22 dicembre 1930 (c.); 4) Bari 19 settembre 1951 (c.);
5) Bari 25 settembre 1955 (c.); 6) Bar 3 dicembre 1963 (I.); 7) Bari s.d.
(c.).
166 - Giuseppe LATERZA: Bari 18 aprile 1921 (I.).
167 - Emilio LAVAGNINO: Roma 20 ottobre (I.).
168 - Nadina LAVIANO: 1) Gallipoli 3 marzo 1925 (I.); 2) Gallipoli 17 marzo 1925 (I.); 3) Gallipoli 21 marzo 1925 (I.).
169 - Ester LOIODICE: 1) Foggia 28 gennaio 1928 (I.); 2) Foggia
8 febbraio 1932 (I.); 3) Foggia febbraio 1933 (I.); 4) Milano
24 giugno 1933 (I.); 5) Foggia 7 luglio 1933 (I.).
170 - A. LOMBARD: Neuchatel 1935 (I.).
171 - Momo LONGARELLI: 1) s.l. 11 giugno 1918 (c.); 2) Ancona 1 giugno
1922 (c.).
172 - Roberto LONGHI: 1) Firenze 11 gennaio 1955 (I.); 2) Firenze 14 aprile
1955 (I.).
173 - Aldo LUSINI: Siena 13 maggio 1959 (I.).
174 - Alessandro LUZIO: Mantova 12 agosto 1938 (c.).
175 - Eugenio MACCAGNANI: s.l. s.d. (I.).
176 - Mino MACCARI: s.l. 23 settembre 1965 (I.).
177 - Maffio MAFFII: Firenze 30 dicembre 1940 (I.).
178 - Giorgio MAGGIONI: Roma 29 marzo 1956 (I.).
179 - Domenico MAGGIORE: 1) Napoli 9 febbraio 1933 (I.); 2) Foggia 3 aprile 1933 (c.); 3) Napoli 27 giugno 1933 (I.); 4) Napoli 15 gennaio 1951
(I.).
180 - Guido MARANGONI: Milano 2 giugno 1926 (c.).
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181 -Matteo MARANGONI: Roma 1 marzo 1925 (I.).
182 -Francesco MARATEA: 1) Como 9 ottobre 1914 (I.); 2) Roma 31 dicembre 1958 (b.p.).
183 -Filippo Tommaso MARINETTI: Capri 20 agosto (c.).
184 -Ottavio MARINI: s.1. 30 maggio 1925 (b.v.).
185 -Gaetano MARTINEZ: 1) Roma 10 giugno 1926 (b.p.); 2) Galatina 7 agosto 1926 (c.); 3) Galatina 10 agosto 1926 (c.) 4) Roma 27 agosto 1926
(c.); 5) Galatina 6 ottobre 1926 (c.) 6) Roma 23 ottobre 1926 (b.p.); 7) s.l.
s.d. (I.).
186 -Arcangelo MASOTTI: Bari 21 ottobre 1941 (I.).
187 -Guido MASTROPASQUA: 1) Roma 18 ottobre 1925 (I.); 2) Roma 21
novembre 1925 (I.); 3) Roma 14 febbraio 1926 (I.) 4) Roma 28 febbraio
1926 (I.); 5) Roma 28 marzo 1927 (b.v.); 6) Roma 7 novembre 1927 (I.);
7) Roma 14 novembre 1927 (I.); 8) Roma 24 gennaio 1933 (I.); 9) Roma
24 dicembre 1934 (I.).
188 -Nunzietta MASTROVALERI: S. Menaio 8 luglio 1914 (c.)
189 -Luciano MATARAZZO: Roma 4 novembre 1933 (I.).
190 -Evelino MELCHIONDA: 1) Firenze 5 aprile 1965 (I.);2) Firenze 17
maggio 1965 (I.); 3) Firenze 14 giugno 1965 (I.). 4) Firenze 7 dicembre
1965 (I.).
191 -Salvatore MININNI: Roma 8 aprile 1931 (I.).
192 -Vincenzo MODONI: Lecce 10 dicembre 1930 (c.).
193 -Ottorino MODUGNO: Roma 12 gennaio 1931 (I.) (b.n. 10). Allegato
frontespizio a stampa dell’opera: « Ottorino Modugno: Il poema di Rossana ».
194 -Corradina MOLA: Milano 20 gennaio 1939 (I.).
195 -Enrico MOLE’: 1) Roma s.d. (b.v.); 2) Roma 25 novembre (b.v.); 3)
Roma 1 gennaio 1958 (b.v.).
196 -Giorgio MORANDI: 1) Bologna 9 luglio 1951 (I.); 2) Bologna 2 agosto
1953 (I.).
197 -Riccardo MORBELLI: Roma 18 ottobre 1960 (I.).
198 -Margherita MORCALDI PISTORESI: Roma 8 giugno 1951.
199 -Marino MORETTI: 1) Cesenatico 29 agosto 1914 (c.); 2) Roma 13 gennaio 1918 (c.); 3) Cesenatico 12 febbraio 1921 (c.); 4) Cesenatico 18 dicembre 1940 (I.); 5) Senigallia 10 luglio 1948.
200 -Raffaello MORGHEN: 1) Roma 20 marzo 1957 (I.); 2) Roma 19 ottobre
1960 (I.).
201 -Ciccio MOSCA: Bologna 14 aprile 1931 (I.) (b.n. 11).
202 -Nicola MOSCARDENI: 1) Roma 13 settembre 1921 (c.); 2) Roma 9
giugno 1931 (c.); 3) Ofena 1 agosto 1941 (I.); 4) Roma s.d. (I.).
203 -Giacomo NEGRI: Torremaggiore 10 ottobre 1931 (I.). Allegata fotografia dell’opera: « Giocatore di pallone: ‘Parata’ ».
204 -Francesco NEGRO: Roma 30 luglio 1931 (I.).
112
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
205 - Asbite Ezio NEPI: Roma 18 febbraio 1953 (I.).
206 - Giorgio NICODEMI: 1) Milano 29 aprile 1957 (I.); 2) Milano 25 settembre 1957 (I.); 3) Milano 24 marzo 1958 (I.); 4) s.l. 24 maggio 1958
(I.); 5) Milano 20 giugno 1958 (I.); 6) Milano 25 aprile 1959 (I.); 7) Milano 19 dicembre 1960 (I.); 8) Milano 7 novembre 1961 (I.); 9) Milano 24
dicembre 1963 (I.).
207 - Giuseppe NICOLI: Bergamo 24 ottobre 1950 (I.).
208 - Giuseppe NOTARNICOLA: 1) Alberobello 16 marzo 1925 (c.); 2) Bari
17 maggio 1927 (c.).
209 - Antonio NUNOZ: s.l. 13 giugno 1953 (I.).
210 - Ugo OIETTI: 1) Firenze 14 luglio 1922 (I.); 2) Firenze 21 novembre
1931 (I.); 3) Firenze 19 marzo 1935 (c.) (b.n. 12).
211 - Vincenzo OLIVIERI: s.l. 12 maggio 1961 (1).
212 - Aldo OLSHKI: Firenze 4 dicembre 1952 (I.).
213 - Paolo ORANO: 1) Siena 17 marzo 1914 (I.); 2) Siena 20 giugno 1914
(I.); 3) Perugia 5 dicembre (c.).
214 - Ramiro ORTIS: 1) Bucarest 18 aprile 1931 (c.); 2) Bucarest 27 aprile
1931 (c.).
215 - Giulio PAGLIANO: 1) Gallipoli 24 marzo 1924 (I.); 2) Gallipoli 10 aprile 1924 (I.); 3) Gallipoli 24 aprile 1924 (I.); 4) Gallipoli i maggio 1924
(I.); 5) Gallipoli 1 maggio 1924 (c.); 6) Gallipoli 21 maggio 1924 (I.); 7)
Gallipoli 26 maggio 1924 (c.); 8) Gallipoli 17 luglio 1924 (I.); 9) Gallipoli
21 luglio 1924 (I.); 10) Gallipoli 1 agosto 1924 (I.); 11) Gallipoli 15 agosto 1924 (I.); 12) Gallipoli 5 settembre 1924 (I.); 13) Gallipoli 23 settembre 1924 (I.); 14) Gallipoli 6 giugno 1926 (I.); 15) Gallipoli 7 agosto 1926
(c.); 16) Gallipoli 29 luglio 1926 (c.); 17) Gallipoli 19 agosto 1926 (I.);
18) GaIlipoli 24 agosto 1926 (I.); 19) Gallipoli 4 settembre 1926 (I.); 20)
Gallipoli 9 settembre 1926 (I.); 21) Gallipoli 29 settembre 1926 (I.); 22)
Gallipoli 13 ottobre 1926 (I.); 23) Gallipoli 16 ottobre 1926 (I.); 24) Gallipoli 31 ottobre 1926 (I.); 25) Gallipoli 22 novembre 1926 (I.); 26) Gallipoli 14 novembre 1926 (c.); 27) Gallipoli 22 novembre 1926 (I.); 28) Gallipoli 31 maggio 1927 (I.); 29) Gallipoli 18 giugno 1927 (I.); 30) Gallipoli
29 marzo 1929 (I.); 31) Gallipoli 23 ottobre 1929 (c.); 32) Gallipoli 12
maggio 1930 (e). (b.n. 13).
216 - Michele PALMIERI: 1) Bari 24 novembre 1968 (I.); 2) Bari 30 novembre 1968 (I.).
217 - Michele PALUMBO: 1) Lecce 4 aprile 1924 (c.); 2) Lecce 8 aprile 1924
(I.); 3) Lecce 4 agosto 1924 (I.).
218 - Pier Fausto PALUMBO: Bari 25 luglio 1957 (I.).
219 - Pietro PANCRAZI: S.1. 6 ottobre 1952 (I.).
220 - F. PAOLIERI: Firenze 5 dicembre 1914 (c.).
221 - Savino PAPALIA: Roma s.d. (I.).
222 - Giuseppe PAPIANI: Roma 12 giugno 1938 (c.).
113
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
223 - Gino PARENTI: Venezia 14 giugno (I.).
224 - Achille PELLIZZARI: Genova 5 aprile 1928 (I.).
225 - Giovanni PENSA: Roma 12 settembre 1953 (I.).
226 - Raffaele Pio PETRILLI: 1) Roma 7 aprile 1950 (I.); 2) Roma 26 dicembre 1951 (I.); 3) Roma 11 marzo 1953 (I.); 4) Roma 7 maggio 1956 (I.); 5)
Roma 25 dicembre 1957 (b.p.); 6) Roma 31 marzo 1959 (b.v.); 7) Roma
23 dicembre 1960 (b.p.).
227 - Guglielmo PETRONI: Roma s.d. (I.).
228 - Armando PETRUCCI (fratello): i) Foggia 26 maggio 1923 (I.); 2) New
York 2 febbraio 1931 (I.)..
229 - Michele PETRUCCI: Roma 31 gennaio 1921 (I.) (b.n. 13).
230 - Silvio PETRUCCI: 1) Fronte 9 novembre 1917 (c.); 2) Fronte 12 novembre 1917 (c.); 3) Fronte 13 novembre 1917 (c.); 4) Fronte 13 novembre 1917 (c.); 5) Fronte 14 novembre 1917 (c.); 6) Fronte 16 novembre
1917 (c.); 7) Fronte 19 novembre 1917 (c.); 8) Fronte 19 novembre 1917
(c.); 9) Fronte 23 novembre 1917 (c.); 10) Fronte 26 novembre 1917 (c.);
11) Fronte 30 novembre 1917 (c.); 12) Fronte 2 dicembre 1917 (c.); 13)
Fronte 9 dicembre 1917 (c.); 14) Fronte 20 dicembre 1917 (c.).
231 - Diego PETTINELLI: Roma 2 ottobre 1962 (I.).
232 - Ferdinando PICCININO: Torremaggiore 22 luglio 1922 (c.).
233 - Francesco PICCOLO: 1) Lucera 26 dicembre 1920 (c.); 2) La Spezia 13
gennaio 1921 (c.); 3) La Spezia 25 febbraio 1921 (c.); 4) La Spezia 4 aprile 1921 (c.); 5) La Spezia 12 maggio 1921 (c.); 6) Oneglia 12 gennaio
1925 (c.); 7) Roma 22 febbraio 1935 (I.); 8) Roma 6 ottobre 1940 (I.).
234 - Enrico PICENI: 1) Milano 18 giugno 1963 (I.); 2) Milano 11 novembre
1963 (I.); 3) Milano 4 luglio 1964 (I.); 4) Milano 20 luglio 1964 (I.).
235 - Giuseppe Mario PILO: 1) Bassano del Grappa 7 ottobre 1963 (I.); 2)
Bassano del Grappa 22 maggio 1964 (I.).
236 - Giuseppe PILONE: 1) Foggia 22 novembre 1926 (I.); 2) Foggia 28 novembre 1926 (I.); 3) Foggia 10 dicembre 1926 (I.); 4) Foggia 10 febbraio
1927 (I.); 5) Foggia 19 febbario 1927 (I.); 6) Foggia 22 febbraio 1927 (I.);
7) Foggia 27 febbraio 1927 (I.); 8) Foggia 2 marzo 1927 (I.); 9) Foggia 13
marzo 1927 (I.); 10) Foggia 1 aprile 1927 (I.); 11) Foggia 22 maggio 1927
(I.); 12) Foggia 4 giugno 1927 (I.); 13) Foggia 6 luglio 1927 (I.); 14) Foggia 19 ottobre 1927 (I.); 15) Foggia 4 novembre 1927 (I.); 16) Foggia 28
gennaio 1928 (I.); 17) Foggia 29 ottobre 1928 (I.); 18) Foggia 7 marzo
1929 (I.); 19) Foggia 15 marzo 1929 (I.); 20) Foggia 9 maggio 1929 (I.);
21) Foggia 31 maggio 1929 (I.); 22) Foggia 22 luglio 1929 (I.); 23) Foggia 20 settembre 1929 (I.); 24) Foggia 3 dicembre 1929 (I.); 25) Foggia 27
dicembre 1929 (I.); 26) Foggia 17 febbraio 1930 (I.); 27) Foggia 14 maggio 1930(I.); 28) Foggia s.d. (c.); 29) Foggia s.d. (b.v.); 30) Foggia s.d.
(b.v.); 31) Foggia s.d. (t.).
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_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
237 - Pietro (padre) PIRRI: 1) Roma 4 giugno 1953 (I.); 2) Roma 14 dicembre
1953 (I.); 3) Roma 26 aprile 1962 (I.); 4) Roma 4 luglio 1962 (I.); 5) Roma 17 febbraio 1965 (I.).
238 - Raffaele PISSACROIA: 1) Taranto 11 giugno 1950 (I.); 2) s.l. s.d. (I.);
3) s.l. s.d. (I.).
239 - G. PITTA: 1) Lucera 11 marzo 1913 (c.); 2) Sansevero 20 ottobre 1928
(I.).
240 - Nicola PITTA: 1) Apricena 25 luglio 1933 (I.); 2) Apricena 17 settembre 1933 (I.); 3) Apricena 7 dicembre 1958 (I.); 4) Apricena 4 ottobre
1965 (I.). Allegato un tema di Francesco Florio studente di II media su un
articolo di Petrucci: « L’antica arte del telaio »; Messaggero di Roma
3.8.1965.
241 - Mario PITTALUGA: 1) Firenze 20 marzo 1930 (c.); 2) Firenze 25 ottobre 1930 (I.); 3) Firenze 12 aprile 1951 (I.); 4) Firenze 14 aprile 1953 (I.);
5) Firenze 27 giugno 1963 (I.); 6) Firenze 12 luglio 1963 (I.); 7) Firenze
18 maggio 1964 (I.); 8) Vallombrosa 30 agosto 1964 (I.); 9) s.l. s.d. (I.).
242 - Ernesto PONTIERI: 1) Napoli 16 marzo 1956 (I.); 2) Napoli 10 giugno
1956 (I.); 3) Napoli 22 giugno 1956 (I.).
243 - Amadore PORCELLA: s.1. s.d. (b.v.).
244 - Fernando PORFIRI: Roma 16 novembre 1954 (I.).
245 - Giovanni PRATICO’: Mantova 26 agosto 1953 (I.).
246 - Carlo Felice PRENCIPE: Potenza 22 gennaio 1926 (I.).
247 - Umberto PRENCIPE: s.l. 17 febbraio 1961 (I.).
248 - Mario PUCCINI: 1) Senigallia 17 luglio 1942 (c.); 2) Formia 6 giugno
1952 (I.); 3) Roma 11febbraio (I.); 4) s.l. s.d. (b.v.); 5) s.l. s.d. (b.v.); 6)
s.l. s.d. (b.v.); 7) s.l. s.d. (b.v.); 8) s.1. s.d. (b.v.).
249 - Filippo Maria PUGLIESE: 1) Lecce 11 ottobre 1947 (I.); 2) Lecce 16
febbraio 1948 (I.); 3) Lecce aprile 1952 (I.).
250 - Giuseppe RASI: Milano 6 giugno 1927 (I.).
251 - Corrado RICCI: 1) Roma 29 marzo 1931 (I.); 2) Roma 18 novembre
1932 (I.); 3) Roma 9 luglio 1951 (c.) (b.n. 14).
252 - Domenico RICCI: 1) Mondano 5 settembre 1919 (I.); 2) Orvieto 3 novembre 1920 (c.); 3) Ancona 23 aprile 1923 (c.); 4) Ancona 28 maggio
1923 (c.); 5) Ancona 8 aprile 1924 (c.); 6) Ancona 24 gennaio 1931 (c.);
7) Ancona 2 aprile 1931 (c.); 8) Ancona 19 aprile 1931 (c.); 9) Roma 11
ottobre 1941 (c.).
253 - Mario RIVOSECCHI: 1) Roma 14 febbraio 1964 (I.); 2) Roma 9 gennaio 1965 (I.). 254 - Antonio RIZZO: 1) Taranto 20 dicembre 1949 (I.);
2) Taranto 22 maggio 1950 (I.); 3) Taranto 8 agosto 1950 (I.); 4) Taranto
21 ottobre 1965 (I.); 5) Taranto 26 aprile 1968(I.); 6) Taranto 4 maggio
1968 (I.); 7) Taranto 17 gennaio 1969 (l.).
115
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
255 - Francesco ROMANO: 1) Gioia del Colle 23 maggio 1917 (c.); 2) Gioia
del Colle 8 febbraio 1921 (I.); 3) Gioia del Colle 30 dicembre 1922 (c.).
256 - Rosso di San Secondo: 1) Lido di Camajore 18 novembre 1940 (I.); 2)
Lido di Camajore 5 dicembre 1940 (I.); 3) Lido di Camajore 23 giugno
1941 (b.v.); 4) Lido di Camajore 10 luglio 1941 (I.); 5) Lido di Camajore
18 agosto 1941 (I.); 6) Lido di Camajore 24 luglio 1942 (I.); 7) s.l. s.d.
(b.v.); 8) s.l. s.d. (b.v.).
257 - Alberico SALA: Bergamo s.d. (I.).
258 - Mario SALMI: 1) Milano 5 maggio 1922 (I.); 2) Firenze 10 marzo 1933
(c.); 3) Firenze 6 gennaio 1953 (I.); 4) Roma 15 marzo 1954 (I.); 5) Roma
1 gennaio 1955 (I.); 6) Firenze 1 febbraio 1955 (I.); 7) Roma 8 aprile 1957
(I.); 8) Roma 22 marzo 1963 (I.); 9) Porto S. Stefano 30 giugno 1963 (I.);
10) Arezzo 21 maggio 1965 (I.).
259 - Gina SALZA BOSCO: 1) Roma 21 giugno 1939 (I.); 2) Roma 15 luglio
1939 (I.).
260 - Fausto SALVATORI: Roma 24 febbraio 1924 (I.).
261 - Sergio SAMEK-LUDOVICI: 1) Modena 13 maggio 1953 (I.); 2) Modena 19 luglio 1953 (I.); 3) Modena 29 novembre 1957 (I.).
262 - Rodolfo SANTOLLINO: 1) Foggia 11 giugno 1923 (I.); 2) s.l. 7 luglio
1931 (I.); 3) Foggia 25 dicembre 1951 (c.); 4) Foggia 12 maggio 1932 (I.).
263 - Michele SAPONARO: 1) Milano 17 febbraio 1921 (c.); 2) Milano 1 dicembre 1940 (c.); 3) Milano 3 febbraio 1941 (c.).
264 - Francesco SAPORI: 1) Macerata 18 febbraio 1914 (c.); 2) Macerata 26
giugno 1914 (c.); 3) Roma 5 luglio 1921 (c.); 4) Roma 24 aprile 1922 (I.);
5) Roma 26 maggio 1923 (I.); 6) s.l. 27 febbraio 1925 (b.v.); 7) Roma 5
dicembre 1927 (I.); 8) Roma 18 marzo 1941 (I.); 9) Roma 19 luglio 1941
(I.); 10) Roma 1 ottobre 1941 (I.); 11) s.1. 27 ottobre 1941 (b.v.); 12) Roma 21 gennaio 1942 (I.); 13) Roma 13 aprile 1942 (I.); 14) Firenze 22 aprile 1942 (I.); 15) Firenze 25 luglio 1942 (I.); 16) s.l. 1 agosto 1942 (I.);
17) Roma 16 settembre 1942 (I.); 18) Roma 10 ottobre 1942 (I.); 19) Roma 28 maggio (I.); 20) s.l. 5 maggio (I.); 21) s.l. s.d. (b.v.) (b.n. 15).
265 - Nino SAVARESE: Enna 22 dicembre (I.).
266 - Piero SCARPA: Roma 17 novembre 1952 (I.).
267 - Ignazio SCATURRO: 1) Roma 19 maggio 1931 (I.); 2) Roma 18 ottobre (I.); 3) s.l. s.d. (I.); 4) Roma 15 luglio 1952 (I.).
268 - Luigi SCHINGO: 1) Molfetta 14 aprile 1924 (I.); 2) Molfetta 7 settembre 1926 (c.); 3) Molfetta 30 ottobre 1926 (c.);
116
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
4) Salerno 28 settembre 1929 (I.); 5) Molfetta 18 dicembre 1930 (c.); 6)
s.l. 26 dicembre 1930 (I.); 7) Molfetta 6 gennaio 1931 (c.); 8) Molfetta 24
gennaio 1931 (c.); 9) San Severo 8 gennaio 1933 (c.); 10) San Severo 26
giugno 1933 (c); 11) San Severo 19 settembre 1933 (I.); 12) Lamiano 9
febbraio 1935 (c.).
269 - Giuseppe SCIORTINO: Roma 27 ottobre 1942 (I.).
270 - Leopoldo SEBASTIANI: Bari 13 aprile 1922 (c.).
271 - Eugenio SELVAGGI: 1) Lecce 31 gennaio 1921 (I.); 2) Manduria 22
marzo 1926 (I.); 3) Napoli 13 aprile 1926 (I.); 4) Manduria 19 aprile 1926
(c.); 5) Lecce 13 maggio 1926 (c.); 6) Roma 12 aprile 1952 (I.); 7) Roma
18 maggio 1952 (I.). Allegate n. 4 schede di articoli di A. Petrucci.
272 - Cristanziano SERRICCHIO: 1) Manfredonia li giugno 1950 (I.); 2)
Manfredonia 20 gennaio 1951 (I.); 3) Manfredonia 18 febbraio 1952 (I.);
4) Manfredonia 2 dicembre 1952 (I.); 5) Manfredonia 9 settembre 1953
(I.); 6) Napoli 10 luglio 1954 (I.); 7) Manfredonia 16 aprile 1957 (I.); 8)
Manfredonia 22 dicembre 1962 (I.); 9) Manfredonia 21febbraio 1965 (I.);
10) Manfredonia Pasqua 1967 (I.); 11) Manfredonia 25 dicembre 1968
(I.).
273 - Luigi SERVOLINI: 1) s.l. 5 marzo 1930 (c.); 2) Livorno Pasqua 1931
(c.); 3) Livorno 26 luglio 1931 (e); 4) Livorno 25 dicembre 1931 (c.); 5)
Urbino 14 gennaio 1932 (c.); 6) Urbino 20 gennaio 1933 (c.).
274 - Salvatore SIBILIA: Anagni 20 aprile 1950 (I.).
275 - Mario SIMONE: 1) Roma 13 marzo 1929 (c.); 2) Roma 12 maggio 1929
(I.); 3) Roma 6 luglio 1932 (I.); 4) Foggia 19 febbraio 1933 (I.); 5) Foggia
25 settembre 1933 (I.); 6) Foggia 28 settembre 1933 (I.); 7) Foggia 14 ottobre 1933 (I.); 8) Foggia 2 novembre 1933 (I.); 9) Foggia 31 marzo 1934
(I.); 10 Foggia 1 agosto 1934 (I.); 11) s.l. s.d. (I.).
276 - Pasquale SOCCIO: 1) S. Marco in Lamis 24 luglio 1931 (I.); 2) S. Marco in Lamis 24 novembre 1934 (I.); 3) S. Marco in Lamis 19 dicembre
1934 (I.); 4) Roma 10 aprile 1935 (c.); 5) Roma 22 ottobre 1935 (c.); 6)
Roma 29 ottobre 1935 (c.); 7) Roma 13 novembre 1935 (c.); 8) S. Marco
in Lamis 30 dicembre 1935 (I.); 9) S. Marco in Lamis 16 luglio 1936 (I.);
10) S. Marco in Lamis 14 luglio 1937 (I.); 12) S. Marco in Lamis 3 maggio 1938 (I.); 12) 5. Marco in Lamis 10 maggio 1938 (c.); 13) Lucera 24
gennaio 1941 (b.v.); 14) Lucera 19 gennaio 1961 (I.); 15) Lucera 15 febbraio 1964 (I.); 16) Lucera 5 dicembre 1964 (I.); 17) Lucera 10 marzo
1965 (I.); 18) Lucera 15 marzo 1965 (I.); 19) Lucera 6 ottobre 1965 (I.);
20) Lucera 19 gennaio 1968 (I.); 21) Lucera 22 giugno 1968 (I.).
277 - Ardengo SOFFICI: 1) Poggio a Caiano 13 marzo 1941 (I.);
117
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
2) Poggio a Calano 19 novembre 1941 (I.); 3) Poggio a Caiano 20 giugno
1942 (b.v.).
278 - Giacinto SPAGNOLETTI: 1) Taranto 9 febbraio 1947 (I.). 2) Taranto
23 giugno 1947 (I.); 3) Mozzano (Parma) 1 agosto 1947 (c.); 4) Mozzano
3 settembre 1947 (I.); 5) Parma ottobre 1947 (I.); 6) Taranto 7 ottobre
1947 (c.); 7) Taranto 14 ottobre 1947 (I.); 8) Milano 9 dicembre 1947 (c.);
9) Milano 26 maggio 1948 (I.).
279 - Alberto SPAINI: 1) Bologna 11febbraio 1942 (b.v.); 2) Roma 11 gennaio 1961 (I.); 3) Bologna 2 luglio (b.v.); 4) s.l. 28 giugno (I.); 5) Roma
14 agosto (I.).
280 - Raffaele SPATOCCO: Chieti 16 agosto 1946 (I.).
281 - Vittorio SPINAZZOLA: Milano i maggio 1942 (I.).
282 - Gaetano SPINELLI: 1) Firenze 5 aprile 1924 (I.); 2) Firenze 16 aprile
1924 (I.); 3) Firenze 30 aprile 1924 (I.); 4) Firenze 1 giugno 1924 (L); 5)
Firenze 9 giugno 1924 (I.); 6) Firenze 6 luglio 1924 (I.); 7) Firenze 21 agosto 1924 (c.); 8) Firenze 24 settembre 1924 (I.); 9) Firenze 1 settembre
1926 (I.) 10) Firenze 8 settembre 1926 (c.); 11) Firenze lunedì 27 settembre 1926 (c.); 12) Firenze 2 novembre 1926 (I.); 13) Firenze 30 novembre
1926 (c.); 14) Firenze 15 novembre 1926 (c.).
283 - Jacques STIENNON: 1) Liegi 2 dicembre 1963 (I.); 2) Liegi 6 gennaio
1964 (I.). Allegata una lettera di A. Petrucci: Roma 3 marzo 1964.
284 - Filippo SURICO: 1) Roma 8 giugno 1925 (c.); 2) Roma 6 gennaio 1926
(c.); 3) Roma 2 marzo 1931 (I.).
285 - Oiva Joh. TALLGREN-TUNLIO: 1) Helsinki 27 novembre 1931 (I.); 2)
Helsinki s.d. (b.v.).
286 - Alberto TALLONE: Alpignano 29 dicembre 1958 (I.).
287 - Mario TARONNA: Foggia 14 aprile 1935 (I.).
288 - Laura TERRACCIANO: s.l. 4 dicembre 1954 (I.).
289 - Adriano TILGHER: 1) s.l. 3 giugno 1931 (I.); 2) s.l. 20 gennaio 1932
(I.); 3) Roma s.d. (I.); 4) s.l. s.d. (I.).
290 - Eugenio TINTO: 1) s.l. 21 settembre 1929 (I.); 2) Bologna 12 ottobre
1934 (I.); 3) s.l. s.d. (I.).
291 - Pietro TOESCA: 1) Roma 17 febbraio 1933 (I.); 2) Roma 26 febbraio
1935 (I.).
292 - Fabio TOMBARI: Genova 10 gennaio 1941 (c.).
293 - Luigi TONELLI: 1) Parma 9 gennaio 1931 (c.); 2) Parma 13 gennaio
1931 (c.); 3) Parma 21 gennaio 1931 (I.); 4) Parma 26 gennaio 1931 (c.);
5) Parma 8 aprile 1931 (b.v.); 6) Parma 18 novembre 1931 (c.); 7) s.l.
1931-1932 (c.); 8) Roma 13 dicembre 1932 (c.) (b.n. 16).
294 - Walter TOSCANINI: Milano 7 marzo 1923 (I.).
295 - Orazio TOSCHL: 1) Arezzo 22 gennaio 1922 (c.); 2) Arezzo 23 novembre 1923 (c.); 3) Arezzo 20 maggio 1924 (c.); 4) Arezzo 8 maggio1929
(c.); 5) San Sepolcro 14 agosto 1929 (I.); 6) Arezzo 1 novembre 1930 (c.);
118
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
7) Arezzo 10 gennaio 1931 (I.); 8) Arezzo 15 febbraio 1931 (c.); 9) Arezzo 26 ottobre 1932 (c.); 10) Arezzo 10 dicembre 1932 (e); 11) Arezzo 30
gennaio 1933 (c.); 12) Conegliano 11 settembre 1945 (I.); 13) Firenze 16
giugno 1950 (I.); 14) Firenze 14 gennaio 1952 (I.); 15) Arezzo 28 aprile
1952 (c.); 16) Firenze 20 febbraio 1952 (I.); 17) Ovaro (Udine) 7 luglio
1960 (I.); 18) Firenze 21 aprile 1964 (I.); 19) Firenze 19 gennaio 1965
(b.v.); 20) Firenze 10 luglio 1966 (b.v.); 21) Firenze s.d. (b.v.).
296 - Paolo TOSCHI: 1) Livorno 13 gennaio 1929 (I.); 2) Livorno 8 ottobre
1930 (I.); 3) Livorno 16 novembre 1930 (c.); 4) Livorno 18 gennaio 1931
(I.); 5) Livorno 4 febbraio 1931 (I.); 6) Livorno 12 febbraio 1931 (c.); 7)
Livorno 20 febbraio 1931 (c.); 8) Livorno 8 marzo 1931 (c.); 9) Roma 27
giugno 1950 (I.).
297 - Carlo TRIDENTI: Roma 24 novembre 1946 (I.).
298 - Pietro Paolo TROMPEO: 1) Roma 13 giugno 1947 (I.); 2) s.l. s.d. (b.v.).
299 - Luigi TUCCI: i) Foggia 28 settembre 1929 (h.p.); 2) Foggia 26 febbraio
1930 (b.p.); 3) Foggia 11 gennaio 1931 (I.).
300 - Calogero TUMMINELLI: Milano 10 febbraio 1929 (I.).
301 - Giuseppe TUSIANI: 1) New York 30 marzo 1951 (I.); 2) New York 21
giugno 1952 (I.); 3) New York 10 luglio 1953 (I.); 4) New York 30 aprile
1955 (I.); 5) New York 5 ottobre 1955 (I.) (b.n. 17).
302 - Filippo UNGARO: 1) Roma 6 novembre 1960 (I.); 2) Roma 13 giugno
1969 (I.).
303 - Domenico VALENTINI-VISTA: Foggia 15 marzo 1931 (I.).
304 - Diego VALERI: 1) Venezia 21 dicembre 1952 (I.); 2) Venezia 22 aprile
1953 (I.); 3) Padova 10 maggio 1954 (c.); 4) Venezia 25 settembre 1954
(c.); 5) Venezia 1 maggio (c.).
305 - Jean VALLERY-RADET: 1) Parigi 31 agosto 1953 (I.); 2) Parigi 18
febbraio 1956 (I.); 3) Parigi 9 giugno 1956 (I.).
306 - Aldo VALLONE: 1) Galatina 5 agosto 1950 (c.); 2) Roma 22 gennaio
1951 (c.); 3) Roma 17 novembre 1951 (c.); 4) s.1. 24 aprile 1952 (c.); 5)
Roma 15 luglio 1954 (I.); 6) Galatina 28 giugno 1956 (c.); 7) Galatina 30
luglio 1956 (c.); 8) s.l. 7 marzo 1959 (I.); 9) Galatina 5 ottobre 1959 (I.);
10) Roma 7 settembre 1960 (I.); 11) s.I. 7 ottobre 1960 (I.).
307 - Alfredo VANNI: Roma 14 luglio 1931 (I.).
308 - Alessandro VARALDO: Roma 6 marzo 1941 (c.).
309 - Tommaso VENTRELLA: Ischitella 26 luglio 1.953 (I.).
310 - Lionello VENTURJ: 1) Roma 5 gennaio 1950 (I.): 2) Roma 24 novembre 1951 (I.); 3) Roma 13 febbraio 1953 (I.) (b.n. 18).
311 - Nicola VERNIERI: 1) Roma 29 settembre 1933 (I.); 2) Roma 9 nove-
119
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
mbre 1933 (I.); 3) Roma 7 aprile 1941 (I.); 4) Roma s.d. (b.v.).
Allegata la poesia « Vento sull’aula ».
312 - Renato VERNOLA: 1) Foggia 4 ottobre 1931 (c.); 2) Foggia 12 ottobre
1931 (c.); 3) Foggia 13 ottobre 1931 (I.); 4) Foggia 14 ottobre 1931 (I.); 5)
Foggia 21 marzo 1932 (c.); 6) Foggia 1 aprile 1932 (c.); 7) Foggia 5 dicembre 1932 (c.) (b.n. 19).
313 - Ettore VERNON: Gallipoli 19 maggio 1930 (I.).
314 - Renè VINCENTI: Roma 29 gennaio 1952 (I.).
315 - Cesare Giulio VIOLA: 1) Roma 9 aprile 1929 (I.); 2) s.1. 14 marzo
1941 (I.); 3) Roma 28 giugno 1947 (I.).
316 - Alfredo VIOLANTE: 1) Bari 18 maggio 1914 (I.); 2) Milano 20 luglio
1927 (I.); 3) Milano 11 aprile 1931 (I.).
317 - Michele VITERBO: 1) Roma i giugno 1922 (c.); 2) Bari 26 aprile 1930
(I.) (b.n. 20).
318 - Michele VOCINO: Roma 21 marzo 1923 (I.).
319 - Leo WOLLEMBORG: Padova 11 settembre 1932 (c.).
320 - Giuseppe ZUCCA: Roma 19 gennaio 1954 (I.).
LETTERE DI ALFREDO PETRUCCI A MARIO SIMONE.
(Dall’Archivio di Mario Simone).
1) Roma 10 gennaio 1936 (c.); 2) Roma 30 dicembre 1941 (c.); 3) Roma 21
marzo 1945 (c.).; 4) Roma 1 maggio 1945 (I.); 5) Roma 3 giugno 1945 (I.); 6)
Roma 9 luglio 1945 (I.); 7) Roma 15 luglio 1945 (I.); 8) Roma 14 ottobre
1945 (c.); 9) Roma 11febbraio 1945 (c.); 10) Roma 12 ottobre 1955 (I.).
INDICE TOPOGRAFICO DELLE OPERE CONTENUTE
NEL CATALOGO
(Il numero corrisponde alla posizione della scheda nel catalogo)
INCISIONI E DISEGNI: 10; 16; 27; 39; 40; 41; 42; 43; 44; 45; 46; 47; 48; 49;
50; 51; 52; 53; 54; 55; 56; 57; 58; 59; 60;61; 62; 63; 64; 65; 66; 67; 68;
69; 70; 71; 72; 73; 74; 75; 76; 77; 78; 79; 80.
POESIE NOVELLE ROMANZI: 6; 7; 8; 11; 12; 18; 20; 21; 22; 24; 25; 29;
30; 32; 34; 36; 37; 38; 85; 86; 87; 89; 96; 99; 106; 108; 113; 114; 115;
116; 117; 118; 119; 120; 121; 122; 123; 124; 125; 127; 128; 129; 130;
131; 132; 134; 136; 139; 140; 142; 143; 144.
SCRITTI D’ARTE E DI CRITICA D’ARTE: 1; 2; 4; 9; 10; 17; 19; 23; 26;
31; 33; 81; 82; 90; 91; 95; 97; 98; 102; 103; 104; 105; 110; 111; 112.
SCRITTI SUL GARGANO E SULLA PUGLIA: 3; 5; 13; 14; 15; 16; 27; 28;
35; 83; 84; 88; 92; 93; 94; 100; 101; 107; 109; 126; 133; 135; 137; 138;
141.
EPISTOLARIO.
120
INDICE DEI NOMI DI PERSONA
(I numeri corrispondono alle pagine)
Acceptus 88; 93
Alexander J.J.G. 102
Almagià Roberto 102
Altamura Saverio 89
Alvaro Corrado 102
Amministrazione Provinciale Foggia 81
Anceschi Luciano 102
Andretta Giuseppe 102
Angelillis Ciro 102
Angioletti Gian Battista 102
Arcamone Guido 102
Arcari Paolo 102
Argan Carlo Giulio 102
Artioli Romolo 102
Azzarita Carlo 102
Baldini Antonio 102
Balzani Gino 103
Barbieri Carlo 103
Bargellini Piero 103
Barone Melodia U. 103
Baroni Eugenio 103
Bartolini Luigi 103
Bartolomeo da Foggia 86
Bassi Arturo 103
Beethoven (incisione) 82; 92
Bellonzi Fortunato 103
Benedictus 88
Bertini-Calosso Achille 103
Bessone-Aurelj Antonietta Maria 103
Betti Ugo 103
Biancale Michele 96; 103
Bianchi D. 103
Bianchi Bandinelli Ranuccio 103
Biblioteca Provinciale Foggia 81
Biordi Raffaello 96; 103
Bisi Carlo 103
Blasi Mario 103
Blave Mario 103
Boglione Marcello 103
Bonarelli Modena Giulio 103
Bontempelli Massimo 103
Bottai Giuseppe 104
Bottega di poesia 104
Botto S. 104
Brandi Cesare 104
Brigante-Colonna Gustavo 104
Boschi Huber Laetitia 104
Brezzi Paolo 104
Breres Antonio 104
Bruno da Osimo 104
Bucarelli Palma 104
Bucci Anselmo 104
Cabasino Salvatore 97; 104
Coccia Giuseppe 104
Cafarelli Sipontino 104
Caffarelli F. 104
Caldara Domenico 98
Calò Giovanni 104
Calzecchi Temistocle 104
Camassa Pasquale 104
Campanelli Leonardo 104
Canavesso Raimondo 104
Capuano Alfredo 104
Capuano Michele 104
Caputi Giuseppe 104
Caravaggio (saggio su) 82; 97
Carbonati Antonio 104
Cascella Tommaso 104
Casciaro Giuseppe 89
Casotti Piero 104
Cassieri Giuseppe 105
121
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
Castelfranco Giorgio 105
Castellaneta Enrico 105
Castellino Onorato 105
Cavassa Umberto 105
Celuzza Angelo 105
Ceravolo Pasquale 96; 105
Cermignani Armando 106
Cecchi Arturo 106
Chiantore Gustavo 106
Ciampi Mario 106
Ciampi Vincenzo 106
Ciampi Vittorio 106
Ciardo Vincenzo 106
Cifariello Filippo 106
Cilenti Nicola 106
Cimara Pietro 106
Cisarj Giulio 106
Civinini Guelfo 106
Colanera Erminio 106
Colantonio Virgilio 106
Colucci Mario 106
Conci Girolamo 106
Como Francesco 106
Contini Bonacossi Vittoria 107
Copertini Giovanni 107
Corrà Carlo 107
D’Addetta Giuseppe 93; 96
D’Alessio Carlo 107
Dall’Osso Osta Maria 107
D’Amelj Carovita B. 107
D’Amico Silvio 107
Dazzi Manlio 107
De Angelis D’Ossat Guglielmo 107
De Cespedes Alba 107
De Grazia Gerolamina 81
Del Giudice Riccardo 107
De Grazia Michelangelo 107
Dell’Era Idilio 107
Delli Muti Matteo 107
De Logri Giuseppe 107
Del Prete Pasquale 96
De Maria Federico 107
De Meo Mario 107
Democrito (manoscritto) 89
De Nicola Enrico 107
De Nittis Giuseppe 89
122
De Rinaldis Aldo 107
De Rinaldis Sforza Lina 107
De Rubertis G. 107
De Sanctis Gino 107
De Witt Antony 107
Di Giorgio Teocrito 107
Di Pietro Filippo 107
Donatello (manoscritto) 87
Donati Lamberto 107
Ehrnestain Teodor 107
Einaudi Giulio 107
EnteAutonomoFiera Foggia 98
Fabiano Nicola 107
Falqui Enrico 108
Felci Carlo A. 108
Ferraris Luigi 108
Ferrovie e Tranvie del Mezzogiorno
108
Festa Nicola Costantino 108
Fichera Filippo 108
Fini Angiolo 108
Fiore Emilio 108
Fiore Tommaso 97
Fioritto Domenico 108
Flora Francesco 108
Folgore Luciano 108
Foscarini Corrado 108
Foti Rodolfo M. 108
Fraccacreta Augusto 108
Fraccacreta Umberto 108
Francavilla Giuseppe 108
Frattarolo Renzo 108
Frugoni Arsenio 108
Gabrieli Francesco 96
Gabrieli Giuseppe 108
Galante Francesco 109
Galassi Paluzzi C. 109
Galeazzo Galeazzi Antonio 109
Galimberti Nino 109
Galletti Alfredo 109
Gastaldi Cesare 109
Gennaro Tiberio 109
Gentile Carlo 109
Gentile Giovanni 109
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
Gerace Vincenzo 109
Geremicca Achille 82; 109
Gervasio Michele 109
Gervasio Raffaele 89
Ghisalberti Alberto Maria 109
Gianelli Giulio 88; 99; 109
Gigli Gaetano 109
Gigli Lucia 109
Gigli Lorenzo 109
Giglioli Odoardo 109
Giordana Gian Pietro 109
Giordana Tullio 110
Giovannelli Sanzio 96; 110
Giusso Lorenzo 110
Gorjux R. 110
Govoni Corrado 110
Gualtiero da Foggia 86
Guidotto Virgilio 110
Hermanin Federico 110
Hind Arthur M. 111
Iacoangeli Tomaso 111
Iavarone Renato 111
Irmici Enrico 111
Istituto Italiano Arti Grafiche 111
Istituto Nazionale Luce 111
Iurlaro Rosario 111
Maccagnani Eugenio 111
Maccari Mino 111
Maddalena Salvatore 89
Maffii Maffio 111
Maggioni Giorgio 111
Maggiore Domenico 111
Marangoni Guido 111
Maratea Francesco 112
Marinetti Filippo Tommaso 112
Marini Ottavio 112
Martinelli Valentino 96
Martinez Gaetano 112
Masotti Arcangelo 112
Mastropasqua Guido 112
Mastrovaleri Nunzietta 112
Matarazzo Luciano 112
Melchionda Evelino 112
Mininni Salvatore 112
Modoni Vincenzo 112
Modugno Ottorino 112
Mola Corradina 112
Molè Enrico 112
Morandi Giorgio 112
Morbelli Riccardo 112
Morcaldi Pistoresi Margherita 112
Moretti Marino 112
Morghen Raffaello 112
Mosca Ciccio 112
Moscardeni Nicola 112
Kiraly Jules 111
Labadessa Rosario 111
Lancellotti Arturo 111
La Selva Giovanni l11
La Sorsa Saverio 111
Laterza Giuseppe 111
Lavagnino Emilio 111
Laviano Nadina 111
Lenormant Francois (articolo su)
87
Leopardi (incisione) 82; 93
Loiodice Ester 111
Lombard A. 111
Longarelli Momo 111
Longhi Roberto 111
Lusini Aldo 111
Luzio Alessandro 111
Negri Giacomo 112
Negro Francesco 112
Nepi Asbite Ezio 113
Netti Francesco 89
Niccolò da Foggia 86
Nicodemi Giorgio 113
Nicoli Giuseppe 113
Notarnicola Giuseppe 113
Nunoz Antonio 113
Oietti Ugo 113
Olivieri Vincenzo 113
Olschki Aldo 113
Grano Paolo 113
Ortis Ramiro 113
Pagliano Giulio 113
Palmieri Michele 113
123
ANTONIO VENTURA___________________________________________________________________________
Palumbo Michele 113
Palumbo Pier Fausto113
Pancrazi Pietro 113
Paolieri F. 113
Papalia Savino 99;113
Papiani Giuseppe 113
Parenti Gino 114
Pellizzari Achille 114
Pensa Giovanni 114
Petrilli Raffaele Pio 114
Petrone Igino 82
Petroni Guglielmo 114
Petrucci Alfredo 81; 82; 84; 85; 86102
Petrucci Armando (figlio) 81
Petrucci Armando (fratello) 114
Petrucci Carlo 81
Petrucci Michele 114
Rivosecchi Mario 115
Rizzo Antonio 115
Romano Francesco 89; 116
Rosso di San Secondo 116
Ruggiero Nilla 82
Rotari (Tomba di) 88; 99; 101
Sala Alberico 116
Salmi Mario 116
Salza Bosco Gina 116
Salvatori Fausto 116
Samek-Ludovici Sergio 116
San Francesco (chiesa) 90
Santollino Rodolfo 116
Saponaro Michele 116
Sapori Francesco 116
Petrucci Silvio 114
Pettinelli Diego 114
Piccinino Ferdinando 114
Piccinni Antonio 96
Piccolo Francesco 114
Piceni Enrico 114
Pilo Giuseppe Mario 114
Pilone Giuseppe 114
Pirri (Padre) Piero 115
Pissacroia Raffaele 96; 115
Pitta G. 115
Pitta Nicola 115
Pitta.luga Maria 115
Pontieri Ernesto 115
Porcella Amadore 115
Porfiri Fernando 115
Porto Ettore 89
Praticò Giovanni 115
Prencipe Carlo Felice 115
Prencipe Umberto 115
Puccini Mario 115
Pugliese Filippo Maria 115
Savarese Nino 116
Scarpa Piero 116
Scaturro Ignazio 116
Schingo Luigi 98; 116
Sciortino Giuseppe 117
Sebastiani Leopoldo 117
Selvaggi Eugenio 117
Serricchio Cristanziano 87; 97; 117
Servolini Luigi 117
Sibilia Salvatore 117
Simone Mario 96; 98; 99; 117
Soccio Pasquale 98; 117
Società Storia Patria per la Puglia
81
Soffici Ardengo 81; 117
Soprintendenza Monumenti Puglia
e Molise 90
Spagnoletti Giacinto 118
Spaini Alberto 96; 118
Spatocco Raffaele 118
Spinazzola Vittorio 118
Spinelli Gaetano 118
Stiennon Jacques 118
Surico Filippo 118
Rasi Giuseppe 115
Rembrandt (saggio su) 99
Ribera Giuseppe 91
Riccardo da Foggia 86
Ricci Corrado 115
Ricci Domenico 115
Tallgren-Tanlio Oiva Joh. 118
Tallone Alberto 118
Taronna Mario 118
Terracciano Laura 118
Tilgher Adriano 118
124
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
Tinto Eugenio 118
Toesca Pietro 118
Tombari Fabio 118
Tonelli Luigi 118
Toscanini Walter 118
loschi Orazio 118
loschi Paolo 119
Tridenti Carlo 119
Trompeo Pietro Paolo 119
Tucci Luigi 119
Tumminelli Calogero 119
Tusiani Giuseppe 119
Ungaro Filippo 119
Urbani Del Fabbretto A. 97
Vailland Roger 97
Valentini-Vista Domenico 119
Valeri Diego 119
Vallery-Radet Jean 119
125
Vallone Aldo 119
Vanni Alfredo 119
Varaldo Alessandro 119
Vasi Giuseppe 82; 98
Ventrella Tommaso 119
Venturi Lionello 119
Vernieri Nicola 119
Vernola Renato 120
Vernon Ettore 120
Verrino Vincenzo 89
Villani Giuseppina 91
Vincenti Renè 120
Viola Cesare Giulio 120
Violante Alfredo 120
Viterbo Michele 120
Vocino Michele 94; 96; 99; 120
Wollemborg Leo 120
Zucca Giuseppe 120
INDICE DEI NOMI DI LUOGO
(I numeri corrispondono alle pagine)
Acquaviva delle Fonti 86
Alberobello 86; 113
Alpignano 118
Altamura 86
Anagni 117
Ancona 103; 104; 107; 111; 115
Andria 86
Apricena 115
Arezzo 102; 118; 119
Ascoli Satriano 95
Conversano 86; 93
Corato 86
Cremona 105
Egnazia 86
Enna 116
Fasano 103
Firenze 104; 106; 107; 109;111;112;
113; 115; 116; 118; 119
Foggia 104; 105; 106; 107; 108; 109;
111; 114; 115; 116; 118; 119
Bari 86; 87; 90; 93; 94; 95; 109; 111;
112; 113; 117; 120
Galatina 95; 112; 119
Barletta 86
Gallipoli 108; 111; 113; 120
Bassano del Grappa 114
Gargano 88; 92; 97; 101
Bergamo 105; 108; 109; 110; 111; 113; Genova 103; 105; 114; 118
116
Gioia del Colle 86; 105; 116
Berlino 108
Giovinazzo 86
Bisceglie 86
Gravina 86
Bitonto 86
Bologna 109; 112; 118
Helsinki 118
Brindisi 104; 111
Ischitella 119
Bucarest 113
Buenos Ayres 87
La Spezia 114
Lecce 103; 112; 113; 117
Cagliari 83
Lesina 88
Calena 88
Lido di Camajore 116
Camerino 103
Liegi 118
Canosa 86
Livorno 117; 119
Capri 112
Lucera 90; 106; 114; 115
Capolona 102
Lucugnano 106
Castel del Monte 86
Ceglie 86
Macerata 116
Cesenatico 112
Maletta 94
Chambèry 103
Manfredonia 104; 117
Chieti 103; 109; 118
Mantova 111; 115
Collemontano di Spoleto 109
Milano102;103;106;108;109;111
Como 112
112; 113; 114; 116; 118; 119
126
_____________________________________________MOSTRA DOCUMENTARIA SU ALFREDO P ETRUCCI
Modena 116
Modugno 86
Mola di Bari 86
Molfetta 86; 116; 117
Monopoli 86
Monte S. Angelo 94;
Montesacro 88; 94
Monza 104
Napoli 106; 108; 109; 111; 115; 117
Neuchatel 111
New York 119
Osimo 103
Otranto 93; 94
Padova 119; 120
Parigi 119
Parma 107; 118
Perugia 103; 113
Pescara 104; 106
Poggio a Calano 117; 118
Polignano a mare 105
Portici 103
Potenza 115
Pozzuoli 106
Puglia 90; 96; 97; 99; 101
Rimini 107
Rodi Garganico 105; 107; 108
Roma 102; 103; 104; 106; 107; 108;
109; 110; 111; 112; 113; 114; 115;
116; 117; 118; 119; 120
Ruvo 86
Salerno 117
San Benedetto del Tronto 110
San Giovanni Rotondo 104
San Marco in Lamis 111; 117
San Menaio 93; 112
Sannicandro Garganico 93; 94; 102;
106; 107; 108
San Severo 108; 115; 117
Santa Marinella 104
Senigallia 115
Siena 87; 93; 94; 95; 96; 104; 107;
111; 113
Siponto 88; 99
Siracusa 107
Squinzano 95
Taranto 104; 106; 107; 115; 116; 118
Terlizzi 86
Torino 103; 104; 105; 106; 107; 109
Torremaggiore 112; 114
Trani 86
Urbino 107; 117
Venezia 104; 107; 114; 119
Vienna 107
Vieste 83
127
RECENSIONI
ENZO MANCINI, Isole Tremiti Milano.
Questa biografia delle piccole
Tremiti, dalla leggenda alla realtà attuale, si snoda nelle pagine che
Mancini ha scritto con cuore di innamorato, e scorrono come avvincente film fatto di sequenze luminose e di colori sempre più vivi e diversi.
L’ultima pagina è l’ultima ora di
un meraviglioso viaggio che fà nascere nel lettore il desiderio di tornare in quelle isole prima ancora di esserne partito o di averle conosciute.
Questo è il grande merito
dell’Autore che con il suo « andar
per isole » ha trovato il modo di avvicinarsi alle azzurrità marine che gli
mancavano nella sua regione di nascita (la verde Umbria) e non ha trovato nella sua regione di elezione (la
nebbiosa Lombardia).
Da attento biografo, Mancini ha
voluto conoscere il soggetto nel suo
ambiente e lo ha intervistato interrogandolo nelle diverse ore del giorno
per ascoltarne la voce segreta e la vita dei suoi lunghi millenni. Da esperto autore di radioteatro, è entrato nel
personaggio, lo ha sentito e descritto
con parole che sono pennellate di colore, date con mano maestra, sotto la
spinta (come si legge nella Premessa) di « un canto pieno di dolore che
mi tentava e mi
128
chiamava verso le uniche isole italiane di questo mare », intese anche
« come luogo giusto per essere più
vicini a Dio in un dialogo silenzioso
».
Che geologicamente siano i leggendari sassi scagliati dal. l’erculeo
Diomede, o le tre punte risparmiate
dal sollevamento del mare che coprì
le parti più basse dell’unica isola, resta la magnifica realtà di oggi che ne
fà un paradisiaco complesso offerto
dalla
natura
all’ammirazione
dell’uomo e alle sue cure, quale prezioso « risultato di una incessante irrequietezza o nervosismo della crosta terrestre » in quella zona, che fà
pensare ad una lontanissima condanna a sparizione per consunzione.
Oasi di godimento e di sofferenze, di morte e di isolamento
contemplativo, le isole Tremiti sono
tornate al loro destino di deliziosi
luoghi riservati ai visitatori in cerca
di pace e di riposo.
Appena cinque chilometri quadrati, per assicurare la vita ai residenti e la presenza di oltre centomila
ospiti
estivi,
rappresentano
un’assurdità fisica che, purtroppo, è
una qualità negativa da fronteggiare
e combattere per evitare nefaste conseguenze all’economia locale e alla
vitalità dell’ambiente, altrimenti destinato, come avverte l’Autore, « a
scoppiare in una esplosione che produce soltanto ruderi e nostalgici ri-
______________________________________________________________________________________________RECENSIONI
cordi di un tempo che si era annunciato felice e non lo è stato ».
Occorre meditare su questi richiami e intervenire perché si ricostituisca il giusto equilibrio di questo
microcosmo annullando errori e pretese di impossibile sfruttamento, che
possono rivelarsi origine e causa di
irreparabile collasso ecologico.
La difficile coltivazione delle
poche zone idonee, abbandonate per
attività più rimunerative, ha salvato
sopratutto la macchia mediterranea,
minacciata — come rileva Mancini,
giustamente preoccupato — da insediamenti turistici irrazionali e incontrollati.
Gli aspetti della costa, vista dal
mare, sono incantevoli e cambiano
ad ogni colpo di remo o giro di elica,
anche per la efficace punteggiatura
delle numerose « grotte » che ne aumentano il fascino, con sensazioni
che nel libro sono pagine di rara efficacia e di esaltazione di tanta bellezza.
Le tre sorelle maggiori sono descritte fissando le impressioni dirette
dello scrittore; come per la « perla
verde dell’Adriatico » (San Domino)
« prezioso gioiello naturalistico che
spes so cerchiamo di contaminare,
corrompere, lordare, e perfino distruggere »; o per San Nicola « tormentata e sconvolta massa rocciosa
sormontata dall’antica fortezza »; o
per la Caprara « piatto zatterone inclinato verso oriente, selvaggia e coperta da rada macchia di lentisco,
solitaria e silenziosa ».
La vegetazione spontanea, tipicamente mediterranea, va dalle pinete di S. Domino alle distese di rosmarino, capperi, euforbie, anemoni,
orchidee selvatiche.
Le piante coltivate comprendevano vigneti, agrumeti, frutteti, orti e leguminose. Attualmente, sono
quasi scomparse perché le zone fertili sono state trascurate dai tremitesi
allettati dal filone turistico disordinato e perciò distruttivo (si ripete anche qui il fenomeno
dell’industria incontrollata che scaccia l’agricoltura).
La fauna conta una ventina di
specie fra uccelli e terrestri, stanziali
e di passo. Le specie ittiche presenti
nel mare vicino sono oltre trenta, sapientemente descritte e catalogate
con la indicazione dei periodi utili
per la cattura.
La presenza dell’uomo sulle
Tremiti risale da settemila a quattromila anni prima di Cristo. Al III
sec. dopo Cristo, risalgono le prime
notizie storiche che poi si ordinano
in periodi ben precisi (Benedettino,
Cistercense,
Lateranense,
Borbonico, contemporaneo) ricchi di
eventi legati soprattutto alla presenza
di potenti comu nità religiose non estranee alle lotte fra i vari protettori
politici. In sole diciotto pagine, è
raccontata la storia di mille anni, con
abbondanza di nomi, fatti e date, tale
da costituire una vera miniera di notizie in efficace sintesi di conoscitore
che vede i personaggi spesso ignorati, ma di particolare interesse per la
129
RECENSI ONI______________________________________________________________________________________________
la nostra provincia.
Miti, leggende, piccola storia, affiorano da una paziente opera di ricerca e sono esposti creati dall’uomo
nell’infanzia della sua intelligenza, e
li immagina — forse — ancora vivi
sulla scena delle isolette, facendo
pensare che potrebbero — con buona volontà e partecipazione di esperti — dare mano ad originali spettacoli di alto valore classico.
Da Diomede (principe sfortunato) a Giulia (insaziabile nipote
di Augusto); dal beato Tobia da
Como allo stravagante Federico Tiberi da Cesena; da padre Adamo (amico e sostenitore di pirati) all’abate
Desiderio (restauratore dei valori religiosi locali) a Francesco Maria della Rovere Duca di Urbino. Fino alle
cronache corali di deportati, contrabbandieri, prostitute, confinati politici; protagonisti di fosche vicende,
di sangue, di morte, di in cubi e di
sofferenze che il tempo ha sepolto
nell’archivio dei ricordi, purificando
l’aria e le pietre di questi scogli ricchi di segreti e di misteri non del tutto svelati.
La popolazione stanziale viveva
di abbondante pesca azzurra. Quando questa è cessata per esaurimento,
si è sviluppato il turismo che dura
una stagione e deve assicurare l’esistenza per l’intero anno.
Si tratta di una nuova pesca? Se
così è, « speriamo che i nuovi pesci,
cioè i turisti, un brutto giorno non
finiscano pure loro » osserva Manci-
130
ni, colpito da « certe piccole o grandi
ruberie di cui gli ospiti sono spesso
vittime », dovute al disaccordo su
come sviluppare l’attività turistica,
fra quantità e qualità degli ospiti.
Sta ai residenti decidere per il
meglio, guidati da chi ne ha il potere
e la competenza, in modo da sfruttare razionalmente la ricettività e le caratteristiche locali senza inaridirne le
fonti. E, infine, senza dare spazio alla sporcizia purtroppo abituale, da
combattere ed eliminare giorno per
giorno, evitando danni ecologici che
comprometterebbero il buon nome
dei Tremitesi ed i loro interessi legati al tesoro naturale di cui sono depositari.
Un libro è un atto di amore verso
il soggetto trattato, di fiducia nella
propria sensibilità, di rispetto e di richiamo verso il lettore.
Mancini si è uniformato a tali
principi ed ha scritto il suo bel volume, completo sotto ogni aspetto,
parlando delle Tremiti con devozione
filiale
e
consegnandolo
all’attenzione dei Tremitesi e della
intera nostra Provincia, perché questo tesoro naturale che Dio ha dato
all’Italia sia più protetto e conservato come merita per la gioia dei suoi
visitatori. Ringraziamolo con un
sincero applauso.
Se queste sono le Tremiti, viste
in ogni loro aspetto; se per la nostra
terra e per l’Italia rappresentano un
tesoro di arte naturale, esposto in un
ambiente generale che ogni giorno e
______________________________________________________________________________________________RECENSIONI
per mille ragioni perde le caratteristiche originarie rischiando di essere
sommerso dall’inquinamento fisico e
morale che è una concreta minaccia
per tutti gli esseri viventi; abbiamo il
dovere di preoccuparci in tempo e di
intervenire per conservare tale tesoro
che è patrimonio di tutti, da non abbandonare a se stesso e alla rozza avidità di chi non vede che il proprio
« particulare » poco curandosi del
bene comune.
Nell’opera di Mancini, come ho
accennato prima, sono indicate —
con molto garbo — alcune note stonate che riguardano l’avvenire delle
piccole Tremiti e la loro importanza
turistica. Si tratta di eliminarle e di
correggere gli errori commessi fino
ad oggi, per indifferenza, disinteresse, ignoranza dei problemi che riguardano la vita stessa del prezioso
arcipelago da conservare, proteggere, educare e integrare senza
strappi e deformazioni che possono
comprometterla e distruggerla.
Il destino delle nostre Isole è legato al turismo. Ma di quale turismo:
di qualità o di quantità? di rispetto
del suo ambiente o di abbandono al
peso negativo del numero e della
massa che possono cancellarne la originalità?
Deve guardarsi a un’attività locale e — quindi — a una economia turistica incontrollata, o ad uno sviluppo
guidato, non soltanto
nell’interesse dei residenti, con ni terventi diretti, concreti e costanti
delle autorità locali, provinciali e regionali responsabili e competenti?
Certamente, occorre conservare
senza soffocare le iniziative; sviluppare e utilizzare senza deturpare il
volto di questi antichi scogli. Occorre renderli produttivi assicurando la
vita dei suoi abitanti senza tentativi
di sfruttamento indiscriminato, capaci di comprometterne il futuro e la
sicurezza.
A Proposito del verde spontaneo,
Arrighetti (Dirigente del Settore Forestale dell’Alto Adige), si chiede «
dove finiranno tutte le altre specie
che si accompagnano alla macchia
mediterranea, come il lentisco e il terebinto, ricchi di caldi aromi? Perché
ci si dimentica di queste specie caratterizzanti 1’ inimitabile paesaggio
delle coste italiane? ».
Nel recente Convegno nazionale
di Napoli, sul futuro del turismo, tutti hanno sostenuto la necessità di
collaborazione concreta fra Regioni,
organismi subregionali, aziende di
soggiorno, EPT, pro loco, per combattere la rovinosa frammentarietà
attuale degli interventi. Si è detto
che occorre stimo lare gli interventi
anche tra i piccoli operatori, pensando soprattutto a una penetrazione turistica articolata e capillare nelle
singole zone. Si è riconosciuto che
occorre evitare il turismo di transito
con una efficace attivazione attraverso nuove infrastrutture e piani di azione
locale
per
riqualificare
l’offerta turistica in Italia. Per fare
131
RECENSI ONI______________________________________________________________________________________________
questo, si è aggiunto, bisogna agire
in tre direzioni: maggiore assistenza
finanziaria (non nel senso assistenziale), adeguate strutture per i singoli
comprensori (le Tremiti ne sono uno
dei più caratteristici ed importanti),
attività promozionale di largo raggio
e respiro.
Non devono cadere nel nulla i
suggerimenti che vengono da voci
tanto qualificate, perché non si perda
la grande ricchezza che può derivare
alla nostra economia dalla riqualificata
direttrice
turistica
Gargano/Tremiti.
Per turismo di qualità non va inteso quello riservato a piccoli gruppi
chiusi ed esclusivi di frequentatori di
un certo tipo, ma quello organizzato
e articolato a tal punto da portare gli
ospiti ad essere e sentirsi amici fedeli degli operatori locali (per il trattamento loro riservato) e non critici severi e demolitori per le delusioni
provate.
Senza dimenticare che il turismo
corre anche sui binari della gastronomia. Perciò, prospera dove si offre
una cucina non stereotipata e monotona, ma viva, invitante, varia ed originale; accoppiata a vino possi-
bilmente prodotto in loco, genuino e
di facile avvicinamento. In un ambiente di assoluta pulizia (affidato
alla preoccupazione quotidiana di
tutti), difeso da gente educata alla
discrezione e al rispetto, perché ciò
che la natura ha prodigato sia bene
utilizzato in ogni stagione e per tutte
le esigenze, come punto di richiamo
e di riferimento, per l’intera provincia.
Il libro di Mancini è bello e completo, ma è sopratutto utile ed interessante, perché porta a considerare
anche i problemi da risolvere in modo che i « Sassi di Diomede » siano
fonte di razionale lavoro per i suoi
figli, nonché motivo di orgoglio e di
soddis fazione per chi ha la responsabilità di amministrarli e portarli allo splendore che meritano di raggiungere, tenendo presente gli esempi che vengono da altre regioni che
hanno valorizzato e bene (e in poco
tempo) altri sassi o isolette non più
belli e più dotati delle nostre Tremiti.
Non è difficile: basta svegliare la
volontà e sostenerla con l’amore per
le cose belle che Dio ci ha dato.
Mario Frejaville
132
______________________________________________________________________________________________RECENSIONI
CATHERINE DELANO SMITH, Daunia
vetus. Terra, vita e mutamenti
sulle coste del Tavoliere. Foggia,
Amministrazione Provinciale di
Capitanata 1978, pp. 249, 13 tav.
dp. nel testo.
E’ senz’altro degno di molta attenzione questo studio nel quale Catherine Delano Smith ha saputo sintetizzare i dati raccolti sul Tavoliere
in oltre dieci anni di ricerche svolte
dapprima presso l’Apulian Research
Project, dove nel 1963 subentrò a
John Bradford, e successivamente
presso la Notthingam University
come insegnante di geografia storica.
L’originalità e la novità di queste
sue indagini suscitarono consensi
anche al Convegno internazionale
sui paesaggi rurali europei, indetto a
Perugia nel 1973, quando tenne la
relazione sui villaggi abbandonati
del Tavoliere (cfr.: C. DELANO
SMITH, Villages désertés dans les
Pouilles: le Tavolière. In. PAESAGGI (I) RURALI EUROPEI. Perugia 1975 up. 125-140).
Oggi è opportuno attribuire alla
Delano Smith anche un altro merito
e cioè di aver saputo condurre a termine una ricerca fondamentale sullo
sfruttamento del terreno e sul paesaggio agricolo di Capitanata dalla
preistoria all’età del bronzo senza
l’ausilio di strumenti idonei a tale tipo di indagine, mancando del tutto
statistiche, mappe catastali ed un
museo di antichi strumenti agricoli
che potessero introdurla non solo ai
modi di utilizzazione del suolo, ma
anche alle attività agricole ed alla ripartizione della popolazione che vive va di agricoltura.
Pure l’utilizzazione dei reperti
archeologici è risultata inadeguata,
perché non forniscono che scarsi elementi per comprendere i più antichi sistemi agricoli, i rapporti tra territorio ed insediamenti e d conseguenza i mutamenti de paesaggio agricolo.
Il metodo di ricerca, pertanto, è
stato quasi esclusivamente quello
dell’analogia storica consistente nel
procedere a ritroso da ciò che è noto
a ciò che è sconosciuto. A partir
dall’inizio del XX o anche de XIX
secolo esiste un quadro fedele
dell’ambiente agricolo mentre la situazione cambia per il Medio Evo ed
ancora d più per il periodo romano e
preistorico. E sempre possibile, però,
conservare un legame con l’età precedente ad ogni passo indietro, tanto
più che frequentemente accade che
un epoca intermedia sia stata più
studiata ed abbia conservato una d ocumentazione più ricci di altre; in tal
caso lo studioso deve muoversi in
avanti o al l’indietro, partendo dai
dati certi, nel tentativo di creare una
continuità.
Nell’uso di questo metodo la Delano Smith è stata molto abile ed ha
documentato il su percorso attraverso i secoli nel l’ultima parte del lavoro intitolata appunto « In cerca di
testimonianze »; nelle altre due parti
di cui si comp one lo studio analizza
dapprima la natura geo-pedologica
del Tavoliere e succes sivamente la
sua storia agraria nel pe-
133
RECENSI ONI______________________________________________________________________________________________
riodo neolitico e nell’età del bronzo.
Geologicamente la Capitanata è
un immenso accumulo di depositi,
formatisi tra il Pliocene ed il Pleistocene, nei quali notevole interesse
scientifico desta lo strato calcareo
della « crusta », che si venne formando immediatamente sotto il suolo tra il Quaternario e l’inizio
dell’Olocene e che tuttora conserva
nel suo spessore di parecchi metri
tracce del Neolitico, Mesolitico e Paleolitico.
Geograficamente la provincia di
Foggia ricopre un’area superiore ai
7000 chilometri quadrati, il suo territorio si divide in tre categorie: il 4%
è montuoso; il 42% collinoso; il rimanente pianeggiante costituisce il
Tavoliere. I condizionamenti sulla
vegetazione da parte del clima mediterraneo — estati calde ed asciutte e
inverni freschi ed umidi — determinano un paesaggio piatto e
spoglio a causa della mancanza di
alberi. Tuttavia le praterie del Tavoliere conservano ugualmente una
bellezza scenica incomparabile, perché se in estate la vegetazione è secca e la continua monotonia del paesaggio può apparire desolante, esso
si trasforma non appena cadono le
prime piogge autunnali, l’aratro rivolta le zolle che assumono un fresco colore marrone grigio e noi in
primavera il verde brillante dei campi contrasta con l’arido paesaggio estivo.
Il senso di vuoto dovuto alla
134
mancanza di alberi è accentuato anche dalla scarsa densità della popolazione, 93 abitanti per chilometro
quadrato, una delle più basse di tutta
l’Italia. Tale scarsezza di uomini
contrasta, però, con la ricchezza archeologica che attesta la costante
presenza di popolazioni per lunghi
millenni: dai preistorici neolitici e
dell’età del bronzo ai Dauni, Greci,
Romani,
Bizantini,
Longobardi,
Normanni, Svevi, Angioini, ai più
recenti.
Tuttavia, è l’amaro commento
della Delano Smith, malgrado una
simile ricchezza archeologica la
maggior parte dei viaggiatori nel
Meridione oggi passa velocemente e
distrattamente attraverso il Tavoliere, pochi sono coloro che si fermano
a Foggia e si avvicinano alla cultura
ed alle tradizioni delle comunità rurali delle colline e delle montagne.
Il lungo susseguirsi di civiltà nel
Tavoliere iniziò, secondo i reperti
archeologici, intorno al 6000 - 5500
a.C. ad opera di quei neolitici che,
per primi, in tutta la penisola italiana
praticarono l’agricoltura, anche se la
loro economia fu soprattutto di sussistenza, cioè vivevano di quanto
produceva la terra — prodotti agricoli e bestiame — con sporadici contatti esterni.
Le caratteristiche degli insediamenti sono tutte riscontrabili nel
sito più notevole, Passo di Corvo
(Foggia), le cui dimensioni sono m.
540 x m. 870; il fossato, che circon-
______________________________________________________________________________________________RECENSIONI
da il sito, è circolare ma poteva anche essere ovale, all’interno si aprono altri fossati, detti « compounds »,
ciascuno dei quali misura circa 20
m. di diametro, probabilmente erano
recinti domestici, perché sono ancora visibili in essi tracce di buche per
pali, forse sostegni di capanne; accanto, infine, restano ancora fosse
per depositare il grano e pozzi, tutti
elementi indispensabili per la vita
rurale del tempo.
I fossati delle aree domestiche
avevano sul bordo esterno un muretto a secco per evitare franamenti del
terreno oppure per tenere gli animali
lontani dall’acqua conservata in cisterne scavate nella « crusta ». Le
case dei neolitici dovevano avere
una sovrastruttura di pali che sorreggeva pareti ricoperte di fango e tetto
di rami o giunchi, i pavimenti quasi
certamente erano in terra battuta.
Per comprendere quali fossero le
disposizioni dei terreni coltivati durante il Neolitico, la Delano Smith
esamina oltre 70 siti nel Tavoliere e
prende le misure tra insediamento e
scarpata più vicina e tra insediamento e corso d’acqua. Giunge
così alla conclusione che la maggior
parte di essi si trovavano nel punto
in cui si incontravano due zone ecologiche contrastanti ma complementari: le foreste delle valli e gli interfluvi pianeggianti. I motivi della
scelta di tali luoghi per la costruzione dei villaggi sono evidenti: il fondo valle forniva foraggio estivo, ac-
qua per uomini ed animali e legno
per costruzioni e combustibile; le aree tra i fiumi, essendo più aride ed
aperte, si prestavano sia ad essere
arate che al pascolo.
Una evoluzione qualitativa e
quantitativa nelle colture si ve-del
bronzo, quando gli insediarificò nella media e tarda età menti diminuirono all’interno del Tavoliere ed
aumentarono nella regione costiera.
Contemporaneamente si distinse nell’ambiente sociale una classe di « aristocratici » che fondava il proprio
potere su di una agricoltura privilegiata, la quale produceva un surplus
agricolo eccedente rispetto alle richieste domestiche o locali e disponibile su un « mercato »regionale o
interregionale; in altre parole durante
l’età del bronzo l’agricoltura commerciale soppiantò quella di sussistenza dell’età neolitica.
Anche la pastorizia si adeguò alla
commercializzazione,
prevalendo
spesso sull’agricoltura; quest’ultima
circostanza può contribuire a spiegare il parziale abbandono del Tavoliere durante l’età del bronzo, infatti,
fu la pressione esercitata dagli allevatori sulle piccole fattorie di agricoltori, a causa della necessità di pascoli, a provocare una restrizione
degli insediamenti e persino un abbandono dei villaggi.
Il risultato, quindi, delle ricerche
della Delano Smith è che in età preistorica esistevano nel Tavoliere due
tipi di fattorie: una perseguiva esclusivamente scopi di sussistenza, l’al-
135
RECENSI ONI______________________________________________________________________________________________
tra, con intenti soprattutto commerciali, apparve nell’età del bronzo insieme alla pastorizia transumante. I
due sistemi — sussistenza agricola e
specializzazione economica — dapprima coesistettero poi sembra che
siano venuti in contrasto con definitiva supremazia del sistema commerciale. Non è possibile, allo stato
attuale degli studi, precisare quali
siano stati i fattori che alterarono
l’equilibrio tra i due sistemi, perché
mentre si conosce abbastanza sul
ruolo svolto dagli elementi socioeconomici nei cambiamenti agricoli,
molto poco si sa ancora sulla storia
fisica del Tavoliere.
Come si vede, quindi, nel suo lavoro la Delano Smith accanto a problemi risolti ne ha lasciati altri in attesa di una soluzione; non per Questo, tuttavia. diminuisce il valore
scientifico del suo studio, che resta,
anzi, la più idonea premessa per le
future ricerche storiche ed archeologiche nel Tavoliere.
Antonio Ventura
136
CAPITALISMO AGRARIO E TERRITORIO
NEL TAVOLIERE DI PUGLIA
(1860-1900 — Appunti per uno studio di F. Crisafulli e A. Miccolis)
E’ già stato detto molto e molto è stato scritto sul Capitalismo Agrario e sul Territorio del Tavoliere di Puglia. La cosa, d’altra parte, è
dimostrata anche dalla vasta bibliografia citata dagli stessi autori degli
« appunti » che andiamo presentando.
Tuttavia Fabrizio Crisafulli e Adriana Miccolis nel saggio pubblicato nel n. 9/1979 della rivista STORIA URBANA (F. Angeli - Ed.
Milano) caratterizzano, rispetto alle altre, la loro ricerca, orientandola
verso sbocchi di natura urbanistica, molto interessanti per uno studio
panoramico e globale dell’aspetto degli agglomerati urbani pugliesi,
integrando in questo modo le ricerche che, sporadicamente, sono apparse, in campi limitati, con indagini sulla origine della città di Foggia.
Spaziando dagli Abruzzi alla Lucania, dalla capitale del Regno al
Tavoliere di Puglia, gli autori analizzano storicamente un arco di tempo che va dalla istituzione della obbligatorietà della transumanza
(1447) e dalla fondazione della Dogana della merce delle pecore, al
periodo post-unitario ed oltre, fino al fallimento delle borgate rurali
realizzate in epoca fascista, nel tentativo di una trasformazione agraria
del Tavoliere di Puglia.
Viene così inquadrato in una cornice vasta ma regionale, il susseguirsi di vicende sfavorevoli a tutto un territorio che va considerato, di
volta in volta, come « campagna » nei riguardi della grande città di
Napoli, e come « colonia pastorale » rispetto alle ricche proprietà armentizie ed ovine degli Abruzzi.
Il Tavoliere, legato per legge al vincolo della transumanza, viene
quasi tutto destinato ad erbaggio, mentre solo in minima parte viene
riservato a culture agricole del tipo estensivo, a cereali ed a carattere
137
RECENSI ONI__________________________________________________________________________________
di avvicendamento, con rotazioni triennali o quadriennali.
I conflitti tra i contrastanti interessi di allevatori e di agricoltori sono gravi e non favoriscono insediamenti fissi di contadini nelle campagne.
Né ad insediamenti di diverso tipo si può pensare a favore dei pastori, numerosamente presenti nel Tavoliere, ma a stagioni alterne,
perché legati al carattere nomade e migratorio della loro attività transumante.
Quando nel 1865 viene definitivamente liquidato il grande demanio pastorale, il diritto di prelazione a favore dei ricchi allevatori che
da anni aveva goduto della concessione di vaste estensioni, provocò
solo il sorgere del latifondo terriero e l’incremento delle primitive rare
masserie pastorali.
Il problema dell’agricoltura non era perciò stato risolto.
Il Tavoliere conservò per lunghi anni ancora l’aspetto di una sconfinata landa desolata, dove ristagni stagionali e paludi permanenti, se
pure giovavano all’allevamento di mandrie brade, portavano tristezza
e malaria, ostacolando sempre di più ogni forma di insediamento umano.
Non esistevano, per tali insediamenti incentivi costituiti da piccole
proprietà o da contratti di fitto a lunga scadenza, mentre le trasformazioni fondiarie, che avrebbero potuto assicurare raccolti vari e sempre
ricorrenti di stagione in stagione, per la stabilità di una sana economia
contadina, venivano realizzate con pigrizia dai grandi proprietari che,
con contratti a miglioria, miravano principalmente ad incrementare la
propria consistenza fondiaria, sfruttando la forza lavoro di una classe
povera, senz’altra risorsa che quella delle proprie bracce.
Praticamente ripudiati dalla campagna i contadini, o meglio i braccianti agricoli, non potevano che rifugiarsi nelle città, incrementando
lo sviluppo urbano dei grossi centri rurali che, in Puglia, andavano
sempre più assumendo caratteristiche di città dormitorio.
In questi centri rurali le periferie si sono estese senza disciplina, allineandosi lungo strade parallele, con soluzioni urbanistiche povere,
disordinate ed inorganiche, creando rioni di case basse, malsane ed architettonicamente inespressive.
Spesso affogando piccoli centri storici di grande bellezza, è questa
138
__________________________________________________________________________________RECENSIONI
l’origine dei grossi borghi rurali di Puglia, origine che con logica precisione, viene individuata, per gli obbiettivi che lo studio si propone.
Questi grossi borghi si sono sviluppati inconsapevolmente in periodi lunghi, ma sempre legati al tempo che storicamente li ha definiti.
Anche queste città, costituiscono pero un organismo vivo, che nasce cresce e si sviluppa, attraverso fasi spesso inosservate dai contemporanei, dimenticate dai posteri, riscoperte nei secoli successivi ed infine rivalutate o svalutate da moderne indagini storiche.
Esse tuttavia rimangono sempre l’espressione concreta e basilare
di una condizione umana che, attraverso l’evolversi di esperienze sociali, politiche ed economiche, costituiscono comunque la forza spirituale comune delle generazioni che, da quelle precedenti, le città hanno ereditato.
E’ compito delle popolazioni più giovani conservarne, quando esistono, i valori più rappresentativi dell’eredità accettata, ripudiare gli
episodi decadenti, sanare le anomalie, disciplinare il futuro sviluppo,
orientandolo verso obiettivi più sani, armonici e finalmente qualificati
per la salvaguardia degli interessi e dei diritti di tutti.
Nessuno può occuparsi di urbanistica senza aver prima imparato a
leggere nelle strutture della città la storia dalla quale le città stesse ebbero vita, trasformandosi nelle stratificazioni e nel sovrapporsi di interventi che rappresentano l’avvicendamento di generazioni lontane e
vicine.
Diventa allora necessaria una approfondita indagine ambientale e
territoriale per ricavarne il sufficiente bagaglio culturale che consenta
lo sviluppo di un rapporto diretto tra l’uomo e la città.
Ed è solo in questo rapporto che Fabrizio Crisafulli e Adriana
Miccolis credono che si possa favorire la crescita di una cosciente
possibilità operativa, per accettare o rinnegare, in tutto od in parte, un
passato urbanistico, col presupposto di definire una propria posizione,
nel particolare momento presente, in vista di una storica continuità futura delle città di Puglia e del Tavoliere in particolare.
UGO JARUSSI
139
BIBLIOTECA PROVINCIALE DI FOGGIA
Settore dei periodici
Il settore dei periodici della Biblioteca Provinciale di Foggia, nel
fornire il suo contributo ai lavori del Convegno sul Distretto Scolastico organizzato dal Centro di Servizi Culturali e dal C.I.D.I., intende
assolvere ai compiti di documentazione tipici della struttura, mettendo
a disposizione anche quello strumento di informazione più puntuale ed
aggiornato che è il periodico.
Per una utilizzazione più completa dei periodici, si intende sollecitare una domanda non indifferenziata ma opportunamente guidata e su
prospettive abbastanza flessibili da poter accogliere contributi di particolari fasce di utenti, finalizzata alla riqualificazione stessa del servizio. Tutto questo non può assumere soltanto caratteristiche tecniche da
delegare al solo bibliotecario, ma presuppone la partecipazione e il
pieno coinvolgimento degli operatori dei vari campi di intervento. Si è
scelto come primo interlocutore la scuola perché essa costituisce
tutt’ora il luogo privilegiato in cui si forma la prima domanda di cultura e in cui si dovrebbero fornire i primi strumenti e le indicazioni di
metodo per una corretta impostazione scientifica della ricerca.
Riteniamo di contribuire anche per questa via a superare il vecchio
modello di scuola chiusa — dalle strutture edilizie alla lezione di tipo
tradizionale che aveva come unici strumenti « la voce del maestro e il
libro di testo » — e a creare una struttura aperta e impostata su un serio lavoro di studio e di ricerca che ne faccia un reale punto di riferimento per l’educazione permanente.
Per questo si rende necessaria sì la presenza nella scuola di biblioteche scolastiche purché qualificate da una dotazione libraria specifica
e in stretto collegamento con tutte le strutture esistenti nel territorio, in
particolare le biblioteche pubbliche, con una chiara definizione di aree
di dipendenza e di integrazione fissati dal distretto scolastico.
140
_____________________________________________________________SETTORE PERIODICI BIBL. PROV.LE
* * *
Diamo una prima informazione sulle principali caratteristiche del
settore periodici della Biblioteca Provinciale di Foggia.
Le riviste della B.P. di Foggia sono in totale 1058 (situazione al
1976) di cui 761 correnti e 297 cessate. I periodici in lingua straniera
sono 131.
Rilevante è stato in questi ultimi anni, dopo il trasferimento dalla
vecchia sede, l’incremento negli acquisti, che vede il numero dei periodici correnti salire dai 380 titoli del 1976 ai 761 del 1976. Notevole
l’apporto arrecato ad alcune materie quali la filosofia, psicologia o sociologia, ai periodici di biblioteconomia e di documentazione e
l’inserimento di alcune pubblicazioni di argomento tecnicoscientifico.
Le riviste sono ordinate, come tutto il materiale bibliografico esistente in Biblioteca, con il sistema di Classificazione Decimale Dewey
(CDD) mentre nella preparazione del catalogo specifico si è seguita la
norma « UNI 6392 » elaborata dai gruppi Razionalizzazione, Meccanizzazione, Automazione (RMA) e il gruppo periodici dell’AIB in
collaborazione con il Comitato « Documentazione e Riproduzione documentaria » dell’Ente Nazionale Italiano di Unificazione.
Diamo qui di seguito l’indicazione di quei periodici che ci sembra
possano essere di utile consultazione per gli operatori della scuola:
370 (CDD) - EDUCAZIONE - PEDAGOGIA
Annali della pubblica istruzione
Cultura e scuola
Documentation et information pedagogiques
Giornale dei genitori
Problemi della pedagogia
Rassegna di pedagogia
Riforma della scuola
Scuola e città
371 - DIDATTICA, SCUOLE
Archimede
Cooperazione educativa
Didattica delle scienze
Scienze e loro insegnamento
Scuola italiana moderna
371.33 - MEZZI AUDIOVISIVI
Audiovisivi
Audiovisual instruction
141
FLORA MARTELLI_____________________________________________________________________________
371.425 - ORIENTAMENTO PROFESSIONALE
Orientamento scolastico e professionale
372 - ISTRUZIONE ELEMENTARE
Educateur. Pèdagogie Freinet
Infanzia
Scuola di base
373 - ISTRUZIONE SECONDARIA
Biennio
Giornale della scuola media e superiore
Istruzione tecnica e professionale
Rassegna dell’istruzione artistica
374 - EDUCAZIONE DEGLI ADULTI
Bollettino d’informazioni UNESCO
Confronter
Cultura popolare
Osservatorio sul mercato del lavoro e sulle professioni
Pourquoi?
Quaderni di formazione ISFOL
150 - PSICOLOGIA
Archivio di psicologia, neurologia e psichiatria
Giornale italiano di psicologia
Psicologia contemporanea
Revue francaise de psychanalise
Rivista di psicologia analitica
Rivista di psicanalisi
Rivista di psicologia
Neuropsichiatria infantile
Scilicet
300 - SCIENZE SOCIALI
Aggiornamenti sociali
AJS American Journal of sociology
Animazione sociale
Archives europeennes de sociologie
Critica sociologica
De Homine
Homme e société
Ikon
Inchiesta
Orientamenti sociali
Quaderni di sociologia
Rassegna internazionale di scienze sociali
Rassegna italiana di sociologia
Revue de l’Institut de sociologie
Revue internationale des sciences sociales
142
_____________________________________________________________SETTORE PERIODICI BIBL. PROV.LE
Revue internationale de sociologie
Ricerche demoscopiche
Rivista internazionale di scienze sociali
Rivista di sociologia
Studi di sociologia
301.16 - COMUNICAZIONI DI MASSA
Annali della scuola superiore delle comunicazioni sociali
Communications
Edav. Educazione audiovisiva
Problemi dell’informazione
301.36 - URBANESIMO
Città classe
Archivio di studi urbani e regionali
945.7 - ITALIA MERIDIONALE
Basilicata
Cronache della Regione Puglia
Incontri meridionali
Informazioni Svimez
Meglio
Nel mese
Nord e Sud
Nuova Puglia
Nuovo Mezzogiorno
Politica e Mezzogiorno
Quaderni del Mezzogiorno e delle isole. Quaderni Calabresi
Realtà del Mezzogiorno
Regione
Rieti
Risveglio del Molise e del Mezzogiorno
Studi bitontini
Terra pugliese
945.757 - FOGGIA
Capitanata
Capitanata agricola e industriale
Gazzetta sanitaria dauno-lucana
Gazzetta di Foggia
Gazzettino dauno
Momento sud
Notiziario Consorzio per la bonifica della Capitanata
Ognigiorno
Progresso dauno
Punto
Risveglio
Sette giorni
Stampa
Stud (= Sud) Express
143
FLORA MARTELLI_____________________________________________________________________________
Diamo di seguito, a titolo esemplificativo, uno spoglio dei periodici appartenenti alla sottoclasse 370 (CDD) Educazione Pedagogia
esistenti nella Biblioteca Provinciale di Foggia sui seguenti argomenti: Professionalità dell’insegnante, sperimentazione educativa, distretto scolastico e riforma della secondaria superiore.
-
PROFESSIONALITÀ DELL’INSEGNANTE
E SPERIMENTAZIONE EDUCATIVA
Abbolito E., Procopio M.
Agostini E.
Agostini E.
Armento V.
Becchi E.
Bertin G. M.
Borghi L.
Borghi L.
AA.VV.
Chiarante G.
Colonghi L.
Costa M.
Gozzer G.
144
In tema di sperimentazione di programmi
per il biennio. - sta in - « Istruzione tecnica
e professionale », 1974, n. 40
Formazione ed aggiornamento degli educatori. - sta in - « I problemi della pedagogia », 1974, n. ¾
Sperimentazione e decreti delegati. - sta in
- « I problemi della pedagogia », 1976, n. 7
La sperimentazione e la ricerca educativa.
- sta in - « Istruzione tecnica e professionale », 1974, n. 1
Lo sperimentalismo educativo. – sta in - «
Riforma della scuola » 1976, n. 8-9
La sperimentalizzazione e i decreti delegati. - sta in - « I problemi della pedagogia »,
1975, n. 4-5
La libertà dell’insegnamento. - sta in - «
Scuola e città », 1975, n. 1
Formazione ed aggiornamento degli insegnanti in Francia, Gran Bretagna, Repubblica Federale Tedesca, Stati Uniti, Unione
Sovietica. - sta in - « Scuola e città »,
1976, n. 5-6
Autoaggiornamenti e sperimentazione nella secondaria. - sta in - « Scuola e città »,
1974, n. 11/12
Gli insegnanti e la riforma. - sta in - « Riforma della scuola », 1976, n. 1
Dall’esperienza alla sperimentazione. - sta
in - « Scuola di base », 1973, n. 2/3
Insegnanti e settori dell’insegnamento: gli
insegnamenti storico-sociali - sta in «
Scuola e città », 1974, n. 11/12
Sperimentazione: e adesso, documenti. sta in - « Il Biennio », 1977, n. 1
_____________________________________________________________SETTORE PERIODICI BIBL. PROV.LE
Grussu S.
Grussu S.
Guidoni P., Vicentini M.
Lombardini S., Pii B.
Lombardo Radice L.
Magni V.
Maragliano R., Trittico M.
Raragliano R.
Merlini L.
Mori G.
Persichella V.
Pontecorvo C.
Procopio M., Abbolito E.
Trasformazione della scuola e fabbisogno
del personale docente. - sta in - « Riforma
della scuola », 1976, n. 1
Formazione professionale, riforma della
secondaria, programmazione economica sta in - « Riforma della scuola », 1976, n. 3
Insegnanti e settori d’insegnamento: insegnanti e ricercatori del settore scientifico. sta in - « Scuola e città », 1974, n. 11/12
Il lavoro nella secondaria. - sta in - « Riforma della scuola » 1977, n. 1
La formazione degli insegnanti di scienze.
- sta in - «Riforma della scuola», 1977, n.1
Riorganizzazione delle discipline e nuovi
profili professionali. - sta in - « Riforma
della scuola », 1976, n. 10
Verso una nuova qualifica della professione docente. - sta in - « Riforma della scuola », 1976, n. 1
Interdisciplinarietà. - sta in - « Riforma
della scuola », 1977, n. 1
L’istruzione tecnica di fronte alla sperimentazione. - sta in - « Istruzione tecnica e
professionale », 1974; n. 40
La preparazione degli insegnanti nella prospettiva di una « educazione permanente ».
- sta in - « I problemi della pedagogia »,
1975, n. 4/5 Norme ministeriali sulle sperimentazioni. - sta in « Il Biennio », 1977,
n. 3/4
Gli insegnanti nella società meridionale. sta in - « Riforma della scuola », 1976, n.
10
La formazione degli insegnanti: un problema aperto. - sta in « Scuola e città »,
1974, n. 11/12
I programmi d’insegnamento delle materie
scientifiche nella sperimentazione del
biennio. - sta in - « Istruzione tecnica e
professionale », 1975, n. 41
Proposte per la sperimentazione, a cura del
Comitato tecnico-scientifico
145
FLORA MARTELLI_____________________________________________________________________________
Rattazzi G. C.
Serpico L.
Tornatore L.
Trittico M.
Visalberghi A.
Vita M.
Zaccara E.
del Ministero della Pubblica Istruzione. sta in - « Il Biennio », 1977, N. 1 e 2.
Il difficile cammino della sperimentazione.
- sta in - « Riforma della Scuola », 1977,
n.1
Interventi sulla sperimentazione didattica e
sull’aggiornamento degli insegnanti. - sta
in - « Scuola e città », 1976, n. 5/6
Appunti per una sperimentazione responsabile. - sta in - « Istruzione Tecnica e
professionale », 1976, n. 46
Studi pedagogici e specializzazione. - sta
in - « Scuola e città », 1974, n. 11
Ruolo dell’insegnante, sperimentazione e
nuovi contenuti educativi. – sta in - «
Scuola e città », 1976, n. 3
Insegnanti e scienze dell’educazione. - sta
in - « Scuola e città », 1974, n. 11/12
Insegnanti e settori d’insegnamento. Gli
insegnanti pratici nell’istruzione professionale. - sta in - « Scuola e città », 1974,
n. 11/12
Iniziative di sperimentazione nella scuola
secondaria della Germania Federale. - sta
in - « Istruzione tecnica e professionale »,
1976, n. 47/48
DISTRETTO SCOLASTICO
E RIFORMA DELLA SECONDARIA SUPERIORE
Allulli G.
Ambrosoli
Arcomano A.
Balducci E.
Bonadusi L.
146
Il primo anno di partecipazione scolastica:
elementi per un bilancio. - sta in - « Annali
della pubblica istruzione », n.3
Scuola e territorio: i distretti. - sta in - «
Esperienze amministrative », 1977, n. 3
L’analfabetismo nel mezzogiorno. - sta in « Riforma della scuola, 1976, n. 10
Scuola cattolica e distretto scolastico. - sta
in - « Testimonianze », l974, n. 167
Distretto scolastico e servizi sociali. - sta
in - « Scuola e città », 1974, n. 4/5
_____________________________________________________________SETTORE PERIODICI BIBL. PROV.LE
Bertolini P., Frabboni F.
Bertozzi S.
Bettoni D.
Cives G.
Corradini L.
D’Albergo S.
Del Cormò L.
Fadiga Zavatta A.
Franchi G., Todeschini M.
Giugni G.
Gezezr G.
Grussu S.
Lombardo Radice L.
Montino F.
Mauceri C.
Manduni E.
Orefice P.
Chirurgia facciale per la materna. - sta in « Infanzia », 1976, n. 15
Distretti scolastici e pianificazione territoriale. - sta in - « Città e regione », 1976, n.
4
I nuovi progetti di riforma. - sta in - « Il
Biennio », 1977, n. 3/4
Scuola integrata, stato giuridico e distretto.
- sta in - «Scuola e città », 1974, n. 4/
I centri scolastici distrettuali. - sta in - «
Aggiornamenti sociali », 1974, n. 3
Distretti e democratizzazione dell’amministrazione. - sta in - « Città e regione »,
1976, n. 3
I cattolici e la partecipazione. - sta in - «
Riforma della scuola », 1977 n. 1
La secondaria oggi. - sta in - « Riforma
della scuola », 1977, n. 1
La riforma in Europa. - sta in - « Riforma
della scuola », 1977, n. 1
Distretto scolastico e sperimentazione pedagogica. - sta in - « Orientamento scolastico professionale », 1974, n. 54/55
Commento al progetto di riforma secondaria. - sta in « Il Biennio », 1977, n. 2
Scuola e sviluppo nel mezzogiorno. - sta in
- « Riforma della scuola », 1976, n. 10
La nuova proposta comunista per la scuola
secondaria. - sta in - « Il Biennio », 1977,
n. 3/4
Sul distretto scolastico. - sta in - « Annali
della pubblica istruzione », 1976, n. 2
Strutture, finalità e competenze del distretto. - sta in « Riforma della Scuola », 1976,
n. 1
Le elezioni per il distretto. - sta in - « Riforma della scuola », 1976, n. 1
Distretto scolastico e società educativa. sta in « I problemi della pedagogia »,
1975, n. 1
147
FLORA MARTELLI_____________________________________________________________________________
Pagnoncelli L.
Rossi G.
Sciolla L.
Trentin B.
Visalberghi A.
Visone C.
Zappa F.
Zappa F.
Il distretto scolastico e l’educazione permanente. - sta in - « Scuola e Città », 1974,
n. 4/5
Decentramento e articolazione del potere
politico e amministrativo. – sta in - « Città
e regione », 1976, n. 4
Elezioni scolastiche: dalla partecipazione
in massa alla partecipazione « assente ». sta in - « Città classe », 1977, n. 11/12
Lotte per l’occupazione, il Mezzogiorno e
la riforma della scuola. - sta in - « Inchiesta », 1977, n. 27
Distretti scolastici: innovazione formale o
sostanziale? - sta in - « Città e Regione »,
1976, n. 4
Il distretto scolastico e la regione. - sta in « Orientamento scolastico professionale »,
1974, n. 54/55
Le elezioni un anno dopo. - sta in - « Riforma della scuola », 1976, n. 1
Unitaria per modo di dire. - sta in - « Riforma della scuola, 1977, n. 1
FLORA M ARTELLI
148
IDEOLOGIA SOCIALE E PROFILI STORICI
NELLA NARRATIVA VERGHIANA
La mano sapiente di Giovanni Verga ha scolpito nell’arsa roccia
di Sicilia le meste figure di antichi lottatori vestiti di laceri panni; sui
loro volti ha striato i segni della fame, dei patimenti e dei lutti, nei loro
occhi incavati e asciutti ha fissato le ombre profonde di un’ignota paura ed il velo opaco di un dolente e rassegnato fatalismo; ha chinato il
loro capo in una spenta e stanca immagine di umile e servile soggezione; i loro corpi da forzati ha contorto nell’aspra fatica dei campi,
nel gravoso martellare del piccone, nello sforzo coraggioso e tenace di
resistere alla furia del mare, nel curvo incedere d’i polverose cariatidi
che recano sulla schiena il peso dei mattoni e della calce; ha raffigurato esauste ed ansanti le loro membra bruciate dal sole, scrosciate dalla
pioggia, disseccate dal vento, corrose dalla salsedine; sulla crosta del
pane nero delle povere mense ha posato il sudore delle fronti. Sulle
fragili e minute figure delle formelle impose, gigantesca, pesante ed
opulenta, l’avida e vorace mano del padrone; e su tavole marmoree incise le severe leggi dei padri. Ma la materia gli parve impura, e quelle
morti esistenze segregò in un insuperabile e viscido steccato dal quale
precipitano i corpi disperati vanamente protesi a ris alirlo.
Questo allegorico bassorilievo di Ghibertiana memoria, denominò:
i vinti. Da esso par che si levi un muto urlo disperato:
ma solo un angoscioso silenzio ristagna intorno a quei fantasmi
impietriti ed impenetrabili, nella cui immobile fissità è l’eterna attesa
di una liberazione che solo la morte può donare. Pare che l’artista, nel
rappresentare la penosa epopea degli umili, abbia voluto dare un volto
alla inesorabile sorte, antica ed eterna, di soggezione ai potenti; che
abbia voluto dare consistenza corporea ad una terrena desolazione in
cui non è divina clemenza né umana speranza; che abbia voluto creare
l’immagine di un fatale destino che, impietoso, recide le illusioni di
coloro che osano valicare la soglia di una impura condizione sociale.
149
CATERINA CLEMENTE_________________________________________________________________________
Pare quasi che il rassegnato tormento di quella forma abbia egli realizzato lasciando calare sui deboli la incandescente lava del suo vulcano, per consegnare alla storia il veridico calco di una stirpe di vinti, la
stirpe dei vinti della società.
L’angoscioso messaggio sociale che trasuda dalla Composizione
fu, però, soffocato dal pensiero dell’autore e dalla progressiva involuzione del suo sociale atteggiarsi.
Il Verga aveva scritto che il progresso umano è alimentato dalle
ambiziose inquietudini degli uomini, in un incessante divenire che trasforma i vincitori di oggi nei vinti di domani. Ma egli, che, a differenza del Capuana, fu grande artista e misero teorico, tradì, nelle sue
opere, questo tema ideale. Dal progredire della umana civiltà escluse
il progresso sociale degli umili. Attingeva, forse, dal profondo del suo
animo, che gli umili, eterni sudditi di altrui dominio, erano gli unici
veri vinti della società; che, piegati dalla miseria e mossi solo da un
istinto di sopravvivenza, esaurivano la loro storica funzione sociale in
una naturale soggezione al potere della roba, ed erano, perciò, gli
strumenti passivi e le vittime, ma non gli artefici del progresso umano.
Rattristato e commosso, sentiva quanto fosse penosa ed avvilita la
condizione sociale dei miseri, ne sentiva i patimenti, le frustrazioni e
la fame, ma la sentiva come ineluttabile e fatale. L’intenso e religioso
suo culto della tradizione, personificato nel vecchio Padron ‘Ntoni,
perpetuava nel futuro l’autorità di antiche leggi sociali, ed alla sua
mente i tormenti, gli affanni e gli stenti, che i deboli trascinavano nel
loro affannoso vivere, apparivano come una sorte naturale ed immutabile. Quasi presagiva come sacrilega ed oltraggiosa per gli atavici
canoni la possibilità di una loro evoluzione sociale, di una loro liberazione dalla fame e dalla servitù. Nel loro vivere desolato e senza
speranza, scorgeva un fatale ed inesorabile destino di vinti. Elevava,
perciò, a dura legge di vita quel sentimento di paziente rassegnazione
sedimentato nel loro animo e stroncava, in un tragico destino, gli spiriti che, disperati, a quella legge non si acquietavano.
In questa concezione, chiusa ad ogni divenire sociale dei miseri, è
il limite angusto della sua ispirazione sociale. In essa è l’asfittica visione di un destino di vinti che investe la classe sociale degli umi li e
deboli proletari, e sempre ne consegna le sorti all’arbitrio del potere
150
________________________________________________________________IDEOLOGIA SOCIALE IN VERGA
economico. Nedda, infatti, è vinta nel perire dei suoi affetti, sol perché povera; Rosso Malpelo, come già suo padre Misciu ed il suo amico Ranocchio, è vinto dalla miseria che Io piega alla fatica della miniera, alla solitudine affettiva ed alle percosse dei padroni, finché anche la sua vita non è rapita dal loro vorace sfruttamento; la derelitta
Diodata, vinta dalla fame e dalla solitudine, è preda di un padrone che
ne divora la fatica e la virtù, ne deprime gli affetti, ne mortifica
l’esistenza con le percosse e l’abbandono. Par quasi che la sventura si
nutra solo di deboli, anche quando essi, come Nedda, Rosso Malpelo e
Diodata, sono le rassegnate vittime di un avaro ed inesorabile destino.
E la sventura trafigge anche i Malavoglia, « che avevano sempre avuto delle barche sull’acqua, e delle tegole al sole », non appena ‘Ntoni
va militare e le braccia rimaste nella casa del Nespolo più non bastano
al governo della barca. Se si pensa che il negozio dei lupini era stato
combinato dal vecchio padron ‘Ntoni, simbolo della tradizione e della
rassegnazione, solo per « menare avanti la barca », pare quasi che i
lutti tendano ad assoggettare la famiglia al potere economico
dell’usuraio, a precipitarla in una voragine di povertà con quel debito
che assorbiva ogni loro fatica e condizionava il loro stesso vivere. Divenuti miseri liberti, i Malavoglia sono già dei vinti quando le disperate inquietudini, prima di ‘Ntoni e poi di Lia, lacerano l’unità della famiglia e sono punite da una umana impietosa giustizia. Questi sono i
vinti di una famiglia già vinta dalla società, poiché si ribellarono alla
legge della rassegnazione. Lo scrittore è un severo censore di quel loro
vano aggrapparsi ad una speranza di benessere, pur restando fiacchi ed
immersi in tanta miseria. Credeva egli fermamente che soltanto la roba e la possidenza determinano e mutano la condizione sociale degli
uomini e possono affrancarli dal bisogno, mentre illusorie sono le
stinte utopie egualitarie e le rivoluzionarie aspirazioni ad una chimerica giustizia sociale. Nella sua penna, infatti, stride una sottile ironia
quando descrive l’evangelica democrazia dello speziale don Franco
che «non aveva difficoltà di starsene in sinedrio con quelli senza scarpe purché non mettessero i piedi sui regoli delle scranne »; lo stesso
protendersi di ‘Ntoni Malavoglia verso una eguaglianza umana per
temperare le sperequazioni sociali, assume toni e sfumature
151
CATERINA CLEMENTE_________________________________________________________________________
di parodia in quello oscillare di amorfa ignoranza e grottesca superstizione. Il Verga sentì ineguali gli esseri umani e, dall’alto di una superiore collocazione sociale, concepì una rigida separazione delle tradizionali classi sociali, ed osteggiò ogni interferenza del potere economico diretta a saldare e fondere natali e spiritualità di differente estrazione. Gli mancò l’evangelico cristianesimo e lo spirito popolare
di un Tolstoj, che, in «Guerra e Pace », consente all’ingenua ed istintiva saggezza di un uomo del popolo, Platone Karatajev, di determinare una crisi spirituale nel colto ed aristocratico Pierre Bezuchov; e in «
Resurrezione » lega di un saldo vincolo spirituale e sentimentale un
principe e una serva, pur nelle insormontabili difficoltà esogene che si
frappongono fra essi; mai, come Dostojevskj, si è avvicinato al popolo, umiliato ed offeso, per liberarlo da tanta umiltà e trasformarlo, rigenerarlo. Dai suoi scritti traspare il volto del geloso custode di una
tradizione di casta, del settario difensore della purezza dei ceti elevati,
e non nasconde una scostante ed endemica intolleranza razziale verso
gli impuri quando questi tentano di inquinare l’aristocratico sangue
della razza eletta. Nella vicenda de « Il marito di Elena » infatti, il protagonista è vittima di una moglie sposata al di fuori del suo ceto sociale con sacrificio della sua dignità e delle tradizioni della famiglia; nella relazione di Mastro don Gesualdo e Diodata vi è solo lo svago erotico di un padrone con una serva e la quasi accidentale procreazione di
una impura filiazione naturale, disconosciuta ed ignorata, però,
dall’autore del concepimento. Ed è questo sociale atteggiarsi ad indurre l’autore, che pur aveva assecondato l’eroica fatica del simbolo della
prorompente vigoria borghese, a negare ogni solidarietà a Mastro don
Gesualdo, quando questi, rivendicando i diritti che gli concede la sudata ricchezza, impalma la povera ma aristocratica Bianca Trao. il
Verga, mentre è indulgente con la Trao che a quel connubio fu costretta, quasi venduta dal suo peccato e dalla rovina economica della famiglia, quasi votata ad un sacrificio per donare alla creatura, che già recava in grembo e che era stata concepita da persona dello stesso suo
lignaggio, una legittima paternità ed una ricchezza spettante ad una aristocratica investitura, severamente condanna don Ge sualdo che volle
contaminare, con la sua impura estrazione sociale, l’aristocratica
152
________________________________________________________________IDEOLOGIA SOCIALE IN VERGA
purezza della donna, per una ragione di prestigio sociale. Alla loro vita coniugale concede una reciproca devozione, ma sempre nega una
comunione spirituale, e non consentì una commistione razziale tra le
loro essenze ineguali da essi non nasce una generazione impura. Ed è
in questo vincolo coniugale che Mastro don Gesualdo fu vinto, se vinti
può dirsi; la sua legittima paternità sulla pura ed aristocratica Isabella
restituiva infatti fatalmente la sua ricchezza a quel ceto sociale cui avevano osato rapirla le sue fatiche, i suoi sacrifici, e le sue privazioni,
quasi che altro essere impuro sarebbe stato indegno di possederla. Divenuto ricco borghese e rapace padrone si era egli affrancato dalla sua
originaria condizione sociale, non poteva essere intaccato da quel tragico destino che non risparmiava i deboli e che tanta sventura aveva
seminato nella famiglia Malavoglia.
Tutore di un inesorabile ordine sociale, lo scrittore rispetta in lui
la ricchezza ed il padrone, ma, con sottile disprezzo, noi dimentica la
sua origine impura, ed a quel prepotente e vertiginoso salire nella gerarchia sociale nega la dignità che solo natali e la tradizione possono
conferire; le ambizioni sociali d don Gesualdo sono illuso ne: egli è
solo il rozzo e tenace lavoratore che sfrutta i miseri ed è sfruttato dai
ranghi sociali elevati che, parassitariamente, risucchiano la sua roba.
Nella vicenda di Mastro don Gesualdo spunta anche il di stacco
del Verga dagli umili, le cui esistenze informi sono sfocate ed anonime, senza volto e senz’anima; essi sono sentiti come i potenziali nemici del padrone che nel 1848 avevano attentato alla sua roba; solo alla fedele dedizione di Diodata, sospettata di ignoti natali elevati,
l’autore rivolge una epidermica adesione.
Si delinea, così, la involuzione del pensiero sociale del l’autore che
degrada, nei confronti degli infimi strati sociali da una originaria
commossa adesione spirituale, alla diffidenza in « Mastro don Gesualdo », ed alla ingiusta ostilità al primo apparire delle organizzazioni del
movimento operaio ed al proliferare dei suoi proseliti. Nel 1905, infatti, nel romanzo « Da mio al tuo », il Verga, possidente borghese, rinnega il mesto poeta della dolorosa epopea degli umili e narra del tradimento di Luciano, un capolega operaio, che sposa Lisa, figlia del
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padrone della solfatara, il barone don Raimondo Navarra, e si trova, al
momento del pirogeno sciopero, economicamente e socialmente contro i compagni di lotta. Negando alle inferiori classi sociali ogni divenire nell’unione e nella lotta degli uomini, palesava il conservatore e
reazionario credo politico che alimentava la sua ispirazione sociale.
Tale sua ideologia, che lo distingueva dal rivoluzionario e temerario
Zola, di « J’accuse », non aveva recepito i profetici moniti di Giuseppe Ferrari, di Ippolito Nievo e di tanti altri democratici ingegni che
auspicavano la soppressione di un regime agrario semifeudale e la evoluzione sociale delle masse rurali; non aveva egli intuito che il progresso umano è soprattutto progresso sociale; era rimasto assolutamente refrattario ed impermeabile alle brucianti tensioni sociali
che sorgevano dalla disperata miseria e dalla cieca esasperazione delle
masse contadine ed operaie, ed ai focolai di esplosive conflittualità
che in esse accendeva la conservazione di antichi privilegi di classi, ed
aveva opposto un ermetico diaframma di ostilità, alla nascente ideologia marxista, che, sul tronco dell’azione di Bakunin, tendeva con Antonio Labriola, Andrea Costa, Enrico Bignami, Filippo Turati, Claudio
Treves, Camillo Prampolini, Rinaldo Rigola e tanti altri fondatori del
socialismo italiano, alla emancipazione umana, sociale ed economica
di quelle masse derelitte, asservite e sfruttate allo spasimo. Pare quasi
che la sua idea si incarni in Mastro don Gesualdo il quale, contro i
contadini che vogliono prendergli la roba, urla furente « Voglio ammazzarne prima una dozzina! A chi ti vuol prendere la roba, levagli la
vita ».
Anche se involuto dalle strettoie di siffatta concezione sociale, che
rifletteva l’atteggiarsi della sua generazione e della sua epoca, sempre
si tenne fedele ad un realismo inconsueto per la narrativa italiana, ripudiando il borghese paternalismo e le retoriche mistificazioni del
Prati, il rusticano ed arcadico idillio del Nievo, il gesuitico paternalismo del Manzoni, in cui non era lo spirito egualitario del cristianesimo
evangelico. Con animo sgombero da tali incrostazioni, iscrisse negli
umili personaggi della sua terra il tratto di una sincera compassione. Si
tenne, così, lontano dal Manzoni che sentì per gli umili un amore che
aveva solo sostanza di astratto dovere dettato dalla morale cattolica, e
che cosparse di diffusa ironia le povere figure del sarto, di fra’ Galdi-
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no di Renzo, di Agnese, di Perpetua, di Gervasio e della stessa Lucia,
rappresentando queste creature come gente angusta e priva di vita interiore, mentre a fra’ Cristoforo, al Cardinale Borromeo,
all’Innominato, ed allo stesso don Rodrigo, che erano aristocratici,
conferì autorevole solennità insieme ad una intensa e profonda spiritualità destinata ad illuminare e guidare gli esseri inferiori. Ai miseri
ed al loro animo antico serbò autentica, austera e virile fisionomia e ad
essi si congiunse nei valori ideali generati dalla terra di Sicilia; con
crudo e poetico verismo, senza sbiadirne le tinte e senza alterarne i toni, rappresentò le spinose asperità del loro desolato vivere in cui non
era lume di divina provvidenza o di umana speranza, ma solo una servile soggezione ad un cinico utilitarismo padronale.
In questa poetica iconografia consacrò l’immagine della vita sociale dei suoi tempi, svolgendone i temi e le implicazioni non solo sentimentali e morali, ma anche economiche e di classe; né mancò di effigiare il decadimento ed il deterioramento dell’antica aristocrazia, che
fu soggetto de « I vicerè »di Federico De Roberto e, molto più tardi,
del « Gattopardo » di Giuseppe Tomasi di Lampedusa.
Ma tanta verità non gli fu perdonata dalla falsa sonnolenza e dal
miope egoismo borghese, né dalla fatua e distaccata alterigia aristocratica. La cultura dei suoi tempi, adagiata in un sopito torpore ed incantata dalla spirituale contemplazione di aulici miti, non volle scorgere
l’amara poesia che animava la fame, i patimenti degli umili, e non intravide le nuove frontiere della narrativa italiana che la sua arte verista
aveva additato.
* * *
I profili sociali della narrativa verista di Giovanni Verga furono istoriati nella fucina di un’epoca irretita dalla mitica ed ossessiva unitarietà del sorto Regno d’Italia.
L’assetto politico e territoriale del nuovo Stato era stato concepito
e realizzato dal liberalismo del Cavour come una espansione dello Stato Piemontese e del dinastico patrimonio sabaudo, come conquista regia che strumentalizzava i temi ideali del risorgimento, patrimonio di
piccole minoranze di grandi intellettuali, e da essi derivava una
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investitura di legittimità.
Mancava, però, nella penisola una diffusa coscienza nazionale poiché i
sacerdoti, del risorgimento, nobili e borghesi, distinguendosi dalla positiva strategia dei giacobini francesi, per la conservazione di antichi
privilegi, non avevano osato utilizzare le possenti energie rivoluzionarie delle masse rurali, accogliendone le sostanziali rivendicazioni ed
associandole alla causa unitaria, ed avevano così smarrito la preziosa
occasione di depositare nelle masse popolari, lievitate in un più democratico ordine sociale, il solido cemento di una profonda coscienza nazionale unitaria. E questo indirizzo politico, chiuso ad ogni ispirazione
democratica, si perpetuava nella nazione italica accentuato da una feticistica concezione dell’unità suscitata dalla mancanza di un tessuto
sociale in cui fosse stata radicata una coscienza unitaria e nazionale. Il
Crispi ne diventava il fanatico interprete ed alla sua linea politica il
Giolitti arrecava solo marginali correttivi. L’unità nazionale si identificava, così, nella dinastia sabauda; si estendeva al territorio nazionale
il sistema di accentramento amministrativo dello Stato Piemontese
(legge comunale e provinciale di ispirazione napoleonica nella subordinazione delle autonomie locali al controllo dei prefetti che riassumevano alla periferia le prerogative del governo); si rinsaldava il potere industriale del settentrione per dare al paese una indipendenza economica al prezzo di un protezionismo doganale che apriva nel mezzogiorno e nelle isole una paurosa crisi commerciale. Il meridione era
così ridotto ad un mercato di vendita semicoloniale, ad una fonte di risparmio da utilizzare per finanziare un disegno politico che recava
vantaggi solo al settentrione, ad un’area di prelievo fiscale con imp osizioni prevalentemente indirette, che gravavano pesantemente i settori sociali più poveri. Il potere industriale del settentrione si ampliava e
si arricchiva, così, in proporzione all’impoverimento dell’economia e
dell’agricoltura del meridione, poiché il protezionismo e le tariffe doganali consentivano alle concentrazioni industriali del Nord di vendere
nel territorio nazionale quasi in regime di monopolio, mentre impedivano ai prodotti agricoli del Sud di penetrare nei mercati esteri per le
ritorsioni tariffarie adottate dagli altri paesi. E questa situazione che
aggravava sempre di più, anziché sanarlo, il divario fra il Nord e il
Sud, determinava quel triste fenomeno, teorizzato e diffuso come veri-
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tà scientifica da sociologi del positivismo (quali Niceforo, Ferri, Orano... etc.), che lasciava intendere l’endemico malcontento meridionale
e la penosa miseria ivi diffusa come l’effetto, quasi biologico, di una
organica incapacità della popolazione meridionale ad eguagliare i progressi sociali ed economici realizzati dalle più dotate genti del settentrione.
La politica dello Stato, sorretta nelle scelte impopolari da spietate
repressioni di ogni movimento di massa e da periodici eccidi di contadini, tendeva ad estendere i quadri della classe dirigente agli strati sociali elevati e potenti e ad assorbire nelle sfere della pubblica amministrazione gli esponenti della piccola borghesia che avrebbero potuto
organizzare il caotico e tumultuoso malcontento contadino. Gli aspetti
più negativi di questi politica discriminatoria ed ingiusta, erano proprio nelle cruenti repressioni dei fermenti insurrezionali dell’e masse
rurali meridionali ed in particolare della Sicilia. Basti pensare alla repressione attuata dal Bixio per sedare nel sangue la insurrezione contadina per la iniqua distribuzione delle terre demaniali durante la dittatura di Garibaldi; alla sanguinosa campagna del generale Cialdini per
stroncare il brigantaggio originato dalla esasperazione dei contadini
traditi dall’assegnazione ai borghesi delle terre demaniali confiscate
agli ordini ecclesiastici; alla repressione del movimento Siciliano dei
fasci dei lavoratori, in cui era la caotica disperazione di quei contadini,
realizzata dal Crispi con un vero stato d’assedio e con pesanti condanne pronunciate da Corti Marziali; alla strage di centinaia di persone
inermi, tra cui anche donne e bambini, che si ribellavano al rincaro del
prezzo del pane; agli abusi ed ai privilegi dei potenti, che fu perpetrata
dal generale Bava-Beccaris, poi decorato da Umberto I per tale nobile
gesto.
Il cieco nazionalismo, deteriore eredità del risorgimento. diveniva
così il sipario di una politica conservatrice dei privilegi e del dominio
sociale e politico dell’alta borghesia e dell’aristocrazia che non aveva
recepito i profetici moniti del liberale Cavour, che vanamente aveva
predicato la necessità di un decentramento amministrativo a livello regionale, di una politica economica che fosse estesa con eguaglianza a
tutto il territorio nazionale, di evitare la politica dello stato di assedio,
per assecondare il formarsi di una solida coscienza nazionale, unico
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vero presidio dello Stato; che « è pericolosa grettezza politica » quella
di commisurare le riforme non alle esigenze dei tempi e dei popoli, ma
« allo stretto indispensabile per allontanare il prossimo pericolo di politici sconvolgimenti ».
I disastrosi risultati di questa realtà socio-politica incrostata di
speciosa retorica, che una falsa prospettiva storica cerca invano di redimere, insegnando che l’Italia preesisteva come entità politica
smembrata e soffocata da forze straniere, mentre nella figurazione politica del 1870 non era mai esistita né poteva esistere se non nelle utopie, hanno tramandato, in una dimensione dilatata dal tempo, gravosi
problemi politici e sociali (Meridione, riforme, coscienza nazionale,
senso della dignità dello Stato e del cittadino... etc.) che ancora i nostri
governanti faticano ad intendere, sebbene il Cavour li avesse intuiti
già da oltre un secolo quando puntava a portare la società italiana al
livello di quelle di altre nazioni di più antica tradizione storica.
Il pessimismo del Verga, se pessimismo può dirsi il riflesso della
sua ideologia crispina, che lo indusse a rifuggire dalle lusinghe separatiste della sua Sicilia, traduce la realtà sociale e politica dei suoi tempi;
il suo sarcasmo nei confronti delle utopie rivoluzionarie e la involuzione del suo sentire sociale erano la ineluttabile conseguenza di quella realtà che, mediata dal suo sentire, affiorava nei suoi scritti. E la poetica immagine delle sue creature in cui sembra riconoscere il pathos
dei dannati danteschi, muta testimonianza delle miserie, dei tormenti,
dei patimenti inflitti ad una stirpe di vinti dall’egoismo padronale, distaccate dalla mente che le generò, par quasi che ammonisca i posteri
a riparare gli errori del passato ed a non perpetuarli nel futuro poiché
gli esseri umani, nati eguali, debbono rimanere eguali.
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