A Renato Lenti Algarotti, Gasparo Gozzi e la lezione di Pope Copyright © MMXIII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, /A–B Roma () ---- I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: settembre Gasparo Gozzi: la Difesa di Dante e la libera traduzione... Ai tre angioletti che mi allietano la vita: mio figlio Sandro e i miei nipoti Sandro e Brando Gasparo Gozzi: la Difesa di Dante e la libera traduzione... Ringrazio i miei famigliari e gli amici più cari per essermi stati vicini ed avermi sostenuto durante la realizzazione di questo studio. Un ringraziamento particolare al professore Giuseppe A. Camerino per i suoi preziosi suggerimenti e la sua costante disponibilità. 8 Capitolo I Gasparo Gozzi: la Difesa di Dante e la libera traduzione... 9 Indice 11 Prefazione 13 Nota introduttiva 19 Capitolo Primo Gasparo Gozzi: la Difesa di Dante e la libera traduzione di An Essay on Criticism di Pope 71 Capitolo Secondo An Essay on Criticism in tre Saggi di Francesco Algarotti 2.1. Saggio sopra la rima, 71 - 2.2. Saggio sopra la pittura, 101 - 2.3. Saggio sopra Orazio, 110 127 Bibliografia 10 Capitolo I Gasparo Gozzi: la Difesa di Dante e la libera traduzione... 11 Prefazione In questo studio su Gasparo Gozzi, Francesco Algarotti e il Saggio sulla critica di Alexander Pope, per la prima volta negli studî settecenteschi vengono indagati a tappeto specifici testi e l’impianto di poetica ivi contenuto di due autori centrali del Settecento. Per la prima volta cioè viene rilevato, con un’analisi comparativa serrata e puntuale che la Difesa di Dante di G. Gozzi e il Saggio sopra la rima, il Saggio sopra la pittura e il Saggio sopra Orazio di Algarotti sono testi concepiti ed elaborati in strettissima dipendenza con le indicazioni di poetica di Pope, il quale, pur nell’ambito del classicismo razionalistico del secolo, aveva saputo configurare idee fondamentali per la definizione del “buon gusto” in preminenti generi letterarî del secolo dei lumi: dall’eroicomico al pastorale o bucolico, dal didascalico al genere delle eroidi, alla epistola morale di stampo oraziano. La interrelazione che Renato Lenti ha saputo mettere in luce sul piano delle coincidenze formali e tematiche dei testi di Gozzi e Algarotti con quelle di Pope (per Gozzi operata attraverso la mediazione della traduzione francese del Du Resnel dello Essay on Criticism, assai famosa nel Settecento) è ineccepibile; così come ineccepibile e determinante si rivela l’incidenza del Pope di Essay on Criticism nella netta contestazione gozziana della assai riduttiva idea di Dante sostenuta dal Bettinelli. Questo volume apre un capitolo nuovo negli studî della storia del gusto del xviii secolo, colmando lacune critiche notevoli e mettendo in discussione tesi stereotipate: basti pensare che nell’Introduzione all’edizione più recente della gozziana Difesa di Dante, curata da Maria Grazia Pensa (Marsilio 1990), il prefatore Giorgio Petrocchi, autorevolissimo filologo dantesco, non faceva ancora cenno a una benché minima traccia di Pope. Giuseppe A. Camerino 12 Capitolo I Nota introduttiva 13 Nota introduttiva Se si riflette sul celebre, ormai classico, libro di Arturo Graf (L’Anglomania e l’influsso inglese in Italia nel secolo xviii)1 e soprattutto sul tempo che ci separa dalla data della sua pubblicazione (1911), si fa davvero fatica a comprendere come mai l’attenzione così efficacemente richiamata dallo studioso sull’importanza di un fenomeno o, se si vuole, di una tendenza culturale che ha inciso profondamente sulla cultura italiana del Settecento abbia stimolato e prodotto, in un secolo di attività critica, solo analisi sporadiche, isolate e per lo più parziali, anziché — come c’era da attendersi — una ricerca sistematica, un intero ciclo di studi sull’argomento. I diversi anni che intercorrono tra un contributo e l’altro sono, del resto, l’indicazione più eloquente dell’esigua e discontinua attenzione riservata dalla critica al tema. Il discorso — si precisa — vale anche per le indagini specificamente dedicate all’analisi del rapporto tra Pope e la cultura letteraria italiana del Settecento2. Alcuni di questi lavori si risolvono quasi interamente nell’elencazione, A. Graf, L’Anglomania e l’influsso inglese in Italia nel secolo xviii, Loescher, Torino 1911. Eppure lo stesso Graf — benché due soli capitoli della sua opera siano riservati alla fortuna riscossa in Italia dagli scrittori inglesi — non aveva certo mancato di cogliere e rimarcare la popolarità di Pope, valutandola superiore a quella di ogni altro autore inglese del Settecento: «Ed ora largo a quello che di tutti gli scrittori inglesi fu, nell’Europa intera, quanto durò il secolo xviii, il più letto, il più citato, il più acclamato, il più tradotto, il più imitato: Alessandro Pope» (ivi, p. 266). Ma già due anni prima di Graf, Francesco Viglione, in un articolo incentrato — come precisa l’autore stesso — sulla fortuna italiana di An Essay on Man, sosteneva: «È risaputo come Alessandro Pope, il maggior poeta dei tempi della regina Anna, godesse tra noi nel sec. xviii un’aura di popolarità invano sognata da altri scrittori inglesi»: F. Viglione, Una nota all’influsso di A. Pope sulla letteratura italiana, in A Vittorio Cian. I suoi scolari dell’Università di Pisa (1900‒1908), Tipografia Editrice del Cav. F. Mariotti, Pisa 1909, p. 133. Viglione stesso, peraltro, in una nota posta a piè di pagina, mentre affermava l’opportunità di una ricerca specifica sull’incidenza di Pope sulla letteraria italiana del Settecento, non mancava di cogliere la complessità della problematica; notare, del resto, come questa ricerca non potesse esaurirsi nelle pagine di un volume e nell’impegno di un solo studioso equivaleva a riconoscere la necessità di un’indagine sistematica sull’argomento: «Sarebbe assai importante studiar l’influsso del Pope sulla letteratura italiana e raccogliere in un volume il frutto delle ricerche, ma il lavoro richiederebbe molto tempo, e d’altra parte non credo che uno studioso con le sole sue forze possa trattar il soggetto in modo esauriente» (ibidem). 1 2 Nota introduttiva 14 se pure ragionata, delle traduzioni, delle riscritture, delle imitazioni italiane — di quelle ovviamente conosciute — delle varie opere di Pope, mentre all’analisi testuale e intertestuale degli scritti considerati è riservata poca e spesso superficiale attenzione3; altri studi rivelano invece un’analisi più attenta e approfondita dei testi presi in esame4. Negli ultimi anni, tuttavia, il problema dell’influsso di Pope sulla nostra letteratura è tornato prepotentemente di attualità. Il cresciuto interesse verso la complessa fenomenologia settecentesca del riuso letterario dei testi antichi e moderni, nelle diverse e maggiormente praticate forme della traduzione, della riscrittura e dell’imitazione, il riconoscimento che queste pratiche di scrittura rappresentano l’ambito privilegiato entro cui matura nella seconda metà del Settecento il rinnovamento del gusto letterario, ha inevitabilmente portato a fare i conti con la figura e l’opera di Alexander Pope, il quale, pur nella sostanziale adesione al classicismo razionalistico del xviii secolo, rinnova in maniera davvero significativa, sia sul piano tematico che su quello formale, alcuni tra i più praticati generi letterari del tempo — dall’epico all’eroicomico, dal pastorale al didascalico, dall’epistola morale di matrice oraziana al genere delle eroidi — assurgendo a imprescindibile, decisivo modello di riferimento per cultura letteraria dell’Europa intera. Basti qui rimandare a: Augusto Serena, A. Pope e i traduttori veneti dall’inglese nel secolo xviii, in Id., Appunti Letterari, Forzani e C., Roma 1903; F. Viglione, Una nota all’influsso di A. Pope sulla letteratura italiana, cit.; Ugo E. Vanzan, La fortuna di Alessandro Pope in Italia, «Rivista d’Italia», ii, 1920, pp. 407‒437; Maria R. Catalano, La fortuna del Pope in Italia, «Annali della Facoltà di Magistero della R. Università di Messina», xviii, 1940, pp. 73‒128 e xix, 1941, pp. 147‒174. 4 Anche al riguardo basti rimandare a: Giovanna Gronda, Tradizione e innovazione: le versioni poetiche di Antonio Conti, «Giornale storico della letteratura italiana», cxlvii, 1970, pp. 292‒353; Deirdre O’ Grady, Alexander Pope and Eighteenth‒Century Italian Poetry, Peter Lang, Bern‒New York 1986. Sulla fortuna di Pope in Italia si registrano inoltre i successivi contributi di Jürgen von Stackelberg, Anton Francesco Adami traducteur de Du Resnel. L’Essay on Man de Pope en traduction française et italienne, in Il genio delle lingue. Le traduzioni nel Settecento in area franco‒italiana, Istituto della Enciclopedia Italiana, Roma 1989, pp. 271‒279 e di Michele Mari, Riflessi della fortuna di Eloisa nelle traduzioni italiane del Settecento, in Id., Momenti della traduzione fra Settecento e Ottocento, Istituto Propaganda Libraria, Milano 1994, pp. 7‒45 (due precedenti versioni dell’articolo erano apparse con lo stesso titolo in Ricerche di lingua e letteratura italiana, (Quaderni di acme, n. 10), Milano 1988, pp. 35‒69 e in Il genio delle lingue, cit., pp. 153‒78. 3 Nota introduttiva 15 La centralità della funzione svolta da Pope nella delicata e complessa fase di transizione dalla stagione neoclassica a quella romantica è emersa alcuni anni fa in tutta la sua evidenza nell’ambito di un progetto di ricerca, coronato da un Convegno e dai relativi Atti, teso ad analizzare in tutte le sue implicazioni il fenomeno delle traduzioni letterarie in Italia nella seconda metà del Settecento5. Lo studio che segue si inserisce nel solco di questo rinnovato interesse per l’autore inglese e per la sua determinante influenza sul gusto letterario del periodo in questione. La complessità della problematica, che coinvolge l’intera, eterogenea, produzione popiana e che — occorre precisare — è tutta ancora da approfondire e chiarire, ha suggerito l’opportunità di restringere il campo di indagine all’analisi di una sola opera dello scrittore (An Essay on Criticism) e della relazione di questa con alcuni scritti composti nei primissimi anni della secondo Settecento da due fondamentali autori italiani del secolo, Gasparo Gozzi e Francesco Algarotti. La scelta di privilegiare questo testo in particolare dell’autore è da ricondursi all’obiettivo specifico cui mira il presente lavoro: iniziare a studiare, partendo proprio da alcune opere italiane significativamente vicine nel tempo, in che termini e in quale misura la poetica di Pope, quale risulta elaborata nell’Essay, abbia inciso sullo sviluppo della riflessione estetica italiana del periodo (si è detto iniziare a studiare non a caso, dal momento che non si registrano, ad oggi, indagini specifiche sull’argomento). Tale scelta — va inoltre sottolineato — presuppone il riconoscimento della centralità di uno scritto la cui importanza risiede in ciò che esso soprattutto rappresenta, vale a dire la Cfr. Traduzioni letterarie e rinnovamento del gusto: dal Neoclassicismo al primo Romanticismo, Atti del Convegno internazionale di studi (Lecce‒Castro, 15‒18 giugno 2005), a cura di Giuseppe Coluccia e Beatrice Stasi, 2 vol., Mario Congedo Editore, Lecce 2006. Ben quattro contributi sono incentrati su Pope: Giuseppe A. Camerino, Parini e Pope, Traduzione e reinvenzione, pp. 275‒300 (il saggio si legge anche in Id., Dall’età dell’Arcadia al “Conciliatore”. Aspetti teorici, elaborazioni testuali, percorsi europei, Liguori, Napoli 2006); Michela Fantato, Pope nel Veneto: traduzioni settecentesche dell’Essay on Man, pp. 77‒98; Renato Lenti, Gasparo Gozzi e il dibattito sul gusto nel Settecento: la libera traduzione di An Essay on Criticism di Pope e la Difesa di Dante, pp. 99‒119; Irene Reverberi, Aspetti dell’editoria in Italia nei secoli xviii e xix con un primo censimento delle edizioni delle traduzioni italiane da Alexander Pope tra Neoclassicismo e primo Romanticismo, pp. 121‒136. 5 Nota introduttiva 16 volontà dell’autore di racchiudere la propria poetica in un sistema organico e coerente6. L’obiettivo della ricerca assume, peraltro, un interesse tanto maggiore se si riflette soprattutto su un dato e cioè sul fatto che in An Essay on Criticism Pope si assume il difficile compito, che da circa un secolo i teorici classicisti tentavano di realizzare nei modi più vari, di armonizzare, per quanto possibile, concetti e formulazioni teoriche difficilmente conciliabili con i principi fondanti del classicismo tradizionale e tuttavia ben radicati in esso e più che mai ferventi e forieri di cambiamenti decisivi nel gusto. Nel primo capitolo si analizza in modo particolareggiato la relazione che intercorre tra la cosiddetta Difesa di Dante (1758), scritta da Gasparo Gozzi in risposta ai giudizi negativi espressi da Saverio Bettinelli sulla poesia dantesca nelle Lettere virgiliane e la traduzione del Saggio popiano compiuta dallo stesso Gozzi sulla libera versione francese di Du Resnel e aggiunta, significativamente, alla Difesa. La relazione tra i due scritti dell’autore veneziano è risultata assai più stretta e articolata di quanto non sia stato fino a oggi osservato dalla critica. I vari e minuziosi riscontri individuati tra il testo dell’operetta in prosa e quello del volgarizzamento hanno permesso infatti di appurare l’incidenza decisiva esercitata da quest’ultimo, sia a livello tematico che formale, sul discorso critico gozziano e, più in generale, sull’elaborazione della Difesa. Nel secondo capitolo si prendono in esame, uno dopo l’altro, tre scritti di Francesco Algarotti (come noto, tra i maggiori ammiratori italiani dell’autore inglese), il Saggio sopra la rima, il Saggio sopra la pittura e il Saggio sopra Orazio (opere i cui titoli stessi lasciano già intuire quanto spazio trovi in esse la riflessione estetica), cercando di Con questo — sia chiaro — non si vuole certo affermare che la riflessione estetica di Pope, o la parte di essa più significativa, sia condensata tutta in quel Saggio: si pensi, per esempio, alla Receit to Make an Epick Poem, di tre anni più tarda dell’Essay, in cui Pope manifesta il proprio dissenso non già nei confronti delle regole, bensì della loro applicazione meccanica (si veda, al riguardo, Flavio Gregori, Rettorica dell’epica. La dissoluzione dell’epica neoclassica e le traduzioni americhe di Alexander Pope, Cisalpino, Bologna 1998, pp. 149‒157); o si pensi anche alle non meno rilevanti considerazioni sviluppate diversi anni dopo dall’autore nella “Prefazione” alla sua versione dell’Iliade, per non dire delle innumerevoli osservazioni disseminate nelle lettere inviate nel corso degli anni a conoscenti e amici. 6 Nota introduttiva 17 chiarire il valore e il peso della presenza dell’Essay in questi testi non solo, si badi, in riferimento alle frequenti citazioni dal Saggio inglese in essi presenti, ma anche alla luce di tutta una serie di richiami e di riferimenti indiretti, di considerazioni che Algarotti sviluppa in modo apparentemente autonomo ma che in realtà — come si dimostra per la prima volta in questo studio — rimandano di sicuro a concetti e affermazioni contenuti nel testo popiano. I dati emersi dall’indagine che qui si presenta attestano in modo inequivocabile in che misura rilevante la poetica di Pope — così come risulta elaborata e, entro i limiti che si sono indicati, codificata in An Essay on Criticism — abbia segnato la riflessione estetica di Gasparo Gozzi e Francesco Algarotti, due autori che, se pure con modalità diverse, esercitano, nell’Italia del maturo Settecento, un ruolo parimenti rilevante nel mosso e variegato dibattito sul gusto. È opportuno ribadire che questo studio intende proporsi quale primo momento di definizione di una problematica tutta ancora da indagare. Davvero poco si sa, infatti, sulla natura e le dimensioni dell’influenza esercitata dal Saggio sulla critica sia sulla riflessione estetica dei “teorici” in senso stretto, sia sulla produzione propriamente artistica del secondo Settecento, a cominciare dalle opere di quegli autori che hanno sistematicamente accompagnato l’attività creativa con la riflessione sulla natura, sul fine e sul linguaggio dell’arte. Si pensi — per citare uno dei maggiori autori del secolo — a Vittorio Alfieri, il cui interesse per il Saggio di Pope (che egli incominciò a tradurre dal testo originale, pur non conoscendo a fondo l’inglese, nel 1790) è, a onor del vero, più noto che concretamente indagato. Si tenga inoltre presente che in Italia il testo popiano fu, nel corso del Settecento, letto e conosciuto più spesso in traduzione che in originale. In un primo tempo sicuramente nelle versioni francesi più fortunate, soprattutto quella in versi di Du Resnel, senz’altro la più nota (non è un caso che Gasparo Gozzi conduca proprio su di essa la propria traduzione); in un secondo tempo anche in versione italiana7. 7 Oltre a quella di Gozzi (v. Cap. i, nota 1), sono note, allo stato attuale, tre altre versioni settecentesche del Saggio popiano, quella di Antonio Pillori (Saggio / sopra / la critica / dalla poesia inglese / di / Alessandro Pope / nell’italiana trasportato / da / Antonio Pillori / accade- 18 Nota introduttiva Ora, se si riflette sui processi di rielaborazione a cui il testo di Pope, in accordo con il carattere settecentesco del “tradurre”, è sottoposto, in misura e maniera di volta in volta diverse, dai vari traduttori del periodo, francesi o italiani che siano, per ragioni di gusto personale e per le inevitabili sollecitazioni e influenze derivate dalle versioni già esistenti, appare evidente come non si possa pensare di definire le dimensioni e la natura dell’influenza esercitata dal testo dell’autore inglese sul gusto e, conseguentemente, sulla produzione letteraria italiana del secondo Settecento senza analizzare a fondo le varie riscritture del periodo e, soprattutto, senza verificare — quando si rinvenga nell’opera di un autore italiano la presenza di concetti chiaramente mutuati da Pope — se questi derivino (come nel caso di Algarotti) dal testo originale dell’autore o, piuttosto (è il caso di Gozzi), da uno o più rifacimenti settecenteschi del poemetto inglese. R.L. mico fiorentino. // In Firenze mdcclix. / Appresso Andrea Bonducci. / Con licenza de’ Superiori), quella di Giovanni Paolo Ricolvi (Saggio / sulla critica. / Poema / del signor / Alessandro Pope, / Tradotto dall’idioma Inglese / in versi sciolti, in Opuscoli postumi / del signor / Giovanni Paolo Ricolvi, / dedicati / a S. S. R. Maestà / Carlo Emanuele / Re di Sardegna. // In Torino, mdcclxii. / Nella Stamperia Reale.) e quella di Gian Vincenzo Benini (I principi del gusto ossia saggio sulla critica di Alessandro Pope recato all’italiana poesia e corredato d’un discorso critico e di note da Creofilo Sminteo p. a., impresso nel seminario di Padova, Padova 1792). Gasparo Gozzi: la Difesa di Dante e la libera traduzione... 19 Capitolo Primo Gasparo Gozzi: la Difesa di Dante e la libera traduzione di An Essay on Criticism di Pope Nel marzo del 1758 Gasparo Gozzi pubblica, presso l’editore veneziano Antonio Zatta, la cosiddetta Difesa di Dante1, accompagnandola con la propria traduzione, la prima in lingua italiana, di An Essay on Criticism di Pope2. Come è noto, la Difesa fu scritta da Gozzi in risposta ai giudizi negativi espressi da Saverio Bettinelli sul valore della poesia dantesca nelle sue Dieci lettere di Publio Virgilio Marone scritte dagli Elisi all’Arcadia di Roma sopra gli abusi introdotti nella poesia italiana (comunemente note come Lettere virgiliane)3. La scelta di accostare 1 Giudizio / degli antichi poeti / sopra la moderna censura di Dante, / attribuita ingiustamente a Virgilio; / con li Principi del buon gusto, / ovvero / Saggio di Critica, / poema inglese / del sig. Pope, / ora per la prima volta fatto italiano / da Gasparo Gozzi. // In Venezia, / mdcclviii. / Con licenza de’ Superiori. 2 An Essay on Criticism fu pubblicato anonimo sullo «Spectator» di Addison il 15 maggio 1711. 3 Sulla genesi delle Virgiliane Mario Fubini osserva: «Eppure casuale, in apparenza almeno, fu l’origine dell’operetta: il Bettinelli la compose, si sa, perché il gentiluomo veneziano Andrea Cornaro, il quale attendeva alla stampa dei dodici poemetti di lui in verso sciolto, accompagnati dagli sciolti dell’Algarotti e del Frugoni — il celebre volume dei Versi sciolti di tre eccellenti moderni autori — gli aveva chiesto “qualche cosa da precederli e da invitare il pubblico all’acquisto del libro”, né molto agio gli fu dato di meditarla, perché accintosi con grande impegno all’opera, non la interruppe quando dovette partire per Parigi, ma la continuò e la condusse a termine durante il viaggio negli ultimi mesi del 1757» (M. Fubini, “Introduzione alla lettura delle «Virgiliane»”, in Id., Dal Muratori al Baretti. Studi sulla critica e sulla cultura del Settecento, 1ª ed. riveduta e ampliata, 2 vol., Laterza, Roma–Bari 1975, vol. ii, p. 252). Le Dieci lettere di Publio Virgilio Marone scritte dagli Elisi all’Arcadia di Roma sopra gli abusi introdotti nella poesia italiana, seguite dai Versi sciolti di tre eccellenti moderni autori, uscirono a Venezia nel dicembre del 1757 con la data del 1758. Gozzi aveva avuto modo di leggerle ancora in bozze di stampa. L’opera era in evidente contrasto con gli interessi del tipografo Antonio Zatta, il quale si accingeva a curare una nuova edizione delle opere di Dante (la silloge comprendeva quattro volumi: i primi tre, pubblicati nel 1757, relativi alla Divina Commedia; l’ultimo, uscito nel 1758, alle opere minori. All’edizione aveva collaborato anche Gozzi, premettendo a ogni canto della Divina Commedia due terzine riassuntive degli argomenti). Così, mentre si procedeva