Classics on Line Laura Bassi Di Marta Cavazza (Università di Bologna) 1. Laura Bassi (1711-1778). Profilo biografico e bibliografico La fama di Laura Bassi, la “Bolognese Filosofessa” ( F. Algarotti, Il newtonianismo per le dame, ovvero Dialoghi sopra la luce, i colori, e l’attrazione, Napoli [ma Venezia], 1739, p.6), e il valore simbolico della sua figura, nell’Italia e nell’Europa del XVIII secolo furono in gran parte dovuti all’impressione suscitata dalla serie di inauditi onori e riconoscimenti che il Senato, l’Università e l’Accadenia delle scienze di Bologna (la più importante città dello stato pontificio, dopo Roma) le conferirono nel corso dell’anno 1732. Bassi non era la prima donna a ricevere una laurea dottorale (c’erano precedenti leggendari nel Medioevo italiano e il caso recente di Elena Lucrezia Cornaro Piscopia, laureata in filosofia a Padova nel 1678), ma era certamente la prima alla quale venisse assegnata una lettura universitaria, quindi la prima ad entrare stabilmente, sia pure a particolari condizioni, in quel “mondo senza donne” (David F. Noble, A World Without Women. The Christian Clerical Culture of Western Science, New York, Knopf, 1992) che era, fin dalle sue origini, l’università. Gli anni successivi vedranno la volontà e la capacità della dottoressa bolognese di costruirsi una carriera di donna di scienza del tutto nuova per i tempi. Oltrepassando i limiti fissati dalle autorità cittadine (avrebbe dovuto insegnare dalle cattedre dell’università solo su comando del Senato, in particolari solenni occasioni), Bassi seppe guadagnarsi la stima della comunità scientifica con le lezioni di fisica sperimentale tenute per trent’anni in casa propria (ma ufficialmente riconosciute e ricompensate), e con le memorie presentate nell’Accademia delle scienze della città. Era stata ammessa a questo prestigioso consesso, come socia onoraria, fin dal 1732, e nel 1745 avrà un posto nella ristretta classe degli accademici Benedettini, istituita dal papa Benedetto XIV allo scopo di incrementarne la produttività scientifica. L’elenco dei titoli e i testi delle poche dissertazioni rimaste (per lo più in quanto pubblicate nei Commentarii dell’Accademia ) testimoniano l‘ampiezza degli interessi scientifici della dottoressa, che spaziavano dalla meccanica razionale alla dinamica dei fluidi, dalla fisica elettrica alla chimica dei gas. Assieme al ricco epistolario (che comprende lettere di Lazzaro Spallanzani, Antoine Nollet, Felice Fontana, Leopoldo Caldani, Alessandro Volta ed è la miglior prova del suo perfetto inserimento in una fitta rete di relazioni scientifiche e sociali), questi testi rappresentano la fonte principale per comprendere e valutare il contributo di Bassi alle discussioni scientifiche del tempo. Se il suo carteggio è tuttora in attesa di un’edizione unitaria e completa, solo recentemente le memorie accademiche hanno cominciato ad essere oggetto di analisi approfondite (Ceranski, 1996), che hanno confermato la modernità dei temi scientifici e delle metodologie di ricerca da lei adottati e in particolare il suo ruolo nella diffusione in Italia della fisica newtoniana e della spiegazione dei fenomeni elettrici proposta da Benjamin Franklin e ulteriormente sviluppata da Giambattista Beccaria. Gli interessi per le ricerche sull’elettricismo, come per quelle di argomento chimico, erano condivisi dal marito di Laura, il medico Giuseppe Veratti. Si sposarono nel 1739 ed ebbero otto figli, di cui solo cinque sopravvissuti. Il nome di Veratti è legato in particolare agli esperimenti sull’uso terapeutico dell’elettricità e sull’elettricità atmosferica, ma egli fu anche un protagonista delle ricerche svolte nell’Istituto bolognese delle scienze sugli effetti degli stimoli elettrici sul sistema nervoso, ricerche che aprirono la strada alla scoperta dell’elettricità animale da parte di Luigi Galvani, allievo in gioventù sia di Veratti che di Bassi. La casa della coppia Bassi Veratti, dotata di un ricco gabinetto di fisica, divenne uno dei più vivaci punti d’incontro della parte più innovativa della comunità scientifica bolognese e meta di molti visitatori, italiani e stranieri. Nel 1776 la preparazione scientifica e le doti didattiche di Laura ebbero un ufficiale e definitivo riconoscimento da parte del Senato, che la chiamò ad occupare il posto di professore di fisica sperimentale nell’Istituto delle scienze, affidando nel contempo a Veratti il ruolo di assistente. Quando, solo due anni dopo, nel 1778, a sessantasette anni, Laura Bassi morì, il marito le succederà nel ruolo di professore. 2. Bologna, 1732: come si costruisce una “filosofa”. La glorificazione di Laura Bassi. La ricca documentazione relativa agli eventi di cui nel 1732 fu protagonista Laura Bassi, conservata nella Biblioteca Comunale dell’Archiginnasio e nell’Archivio di Stato di Bologna, ha un’indubbia rilevanza per la storia della scienza, in quanto ci permette di ricostruire gli inizi dell’unica carriera universitaria di una donna cultrice di scienza prima del XIX secolo e di conoscere meglio il contesto sociale e culturale che la rese possibile. In quell’anno a Bologna il sapere di una giovane donna venne celebrato e premiato con titoli e onori che in tutta Europa erano riservati esclusivamente agli uomini. Ci si può chiedere se si trattò di un episodio favorito dalla reviviscenza nell’Italia del XVIII secolo dell’annosa querelle des femmes, in un quadro sociale caratterizzato da un nuovo protagonismo femminile, o di un caso che alla fin dei conti veniva a confermare, se non addirittura a rafforzare, l’intrinseca connotazione maschile delle istituzioni, (università e accademie scientifiche) in cui al tempo venivano coltivate la filosofia naturale e le matematiche. Certamente i promotori di quegli eventi non erano mossi, come si potrebbe anacronisticamente pensare, dalla volontà di riconoscere alle donne in generale il diritto di accedere all’istruzione e alle istituzioni formative. Al contrario, essi puntarono sulla singolarità del caso bolognese per destare l’attenzione e la meraviglia dell’Europa colta e rinverdire la fama della città e della sua antica università. Almeno in una prima fase, la giovane Bassi non fu che lo strumento di un disegno ideato e portato avanti da altri: maestri, senatori, prelati. Autorità maschili, patriarcali, certo, in cui però ebbe un ruolo secondario, defilato, proprio il padre di Laura, Giuseppe Bassi, un oscuro avvocato stabilitosi da poco in città. Gli venne richiesto il consenso di istruire la figlia e poi di organizzare una pubblica discussione delle tesi: annuì e tornò nell’ombra. L’appartenenza a un ceto sociale modesto potrebbe spiegare il suo comportamento, del tutto difforme da quello di altri padri di giovani donne dotte, che cercarono in tutti i modi di trarre vantaggi per sé e per la propria famiglia dalla celebrità delle figlie: dal procuratore di San Marco, Giovanni Battista Cornaro, padre di Elena Lucrezia, al ricchissimo commerciante milanese don Pietro Agnesi, padre della matematica Maria Gaetana, al conte bolognese Alfonso Delfini Dosi, che tentò inutilmente di ottenere una laurea in legge per la figlia Maria Vittoria. E’ anche vero però che Bologna negli anni ’20 del XVIII secolo era stata teatro di un’accesa discussione sugli studi delle donne e più precisamente sul dottorato femminile, suscitata dal già ricordato caso Delfini Dosi. Il conte Delfini Dosi aveva fatto studiare materie giuridiche alla figlia con l’obiettivo di farle ottenere alla fine una “laurea dottorale”. Il 3 luglio 1722 la giovane Maria Vittoria discusse tesi legali sul matrimonio nel cortile del Collegio di Spagna, alla presenza della regina di Spagna Elisabetta Farnese, di passaggio a Bologna Tuttavia, nonostante le promesse in precedenza fatte, il Collegio dei dottori legisti rifiutò di concederle una laurea in giurisprudenza, adducendo una serie di interessanti motivazioni, tutte incentrate sulla perturbazione dell’ordine sociale, giuridico e perfino linguistico che sarebbe derivata da una tale decisione: il timore che alla laurea potesse succedere una “pubblica lettura” e la preoccupazione che una donna lettrice avrebbe diminuito le chances dei lettori maschi; l’estensione alla “donna accademica parlatrice”dei divieti di S. Paolo alla predicazione femminile; l’interdizione degli uffici pubblici alle donne stabilita dal diritto romano; infine, il disonore che al Collegio sarebbe venuto da una simile “disdicevole” decisione, contraria alla natura e alla logica insieme, essendo una “discordanza grammatica il dire una femmina dottore, come sarebbe chi dicesse femmina cavaliere”. Non erano mancati tuttavia i sostenitori della legittimità storica e giuridica del dottorato femminile, tra i quali si distinse in particolare l’avvocato Alessandro Macchiavelli, autore di un’opera intitolata Bitisia Gozzadina seu de Mulierum Doctoratu (uscita nel 1722, sotto il nome del fratello Carlo Antonio), che si richiamava ai precedenti medievali, alle figure di donne laureate e/o docenti nello Studio di Bologna, in particolare a Bitisia Gozzadini, della cui laurea in diritto portava prove documentarie in realtà false e forse da lui stesso costruite. Questi dibattiti bolognesi non furono certamente estranei alla decisione del grande naturalista Antonio Vallisneri di dedicare nel 1723 una seduta dell’Accademia dei Ricovrati di Padova, di cui era principe, alla discussione del tema: “Se debbano ammettersi le donne allo studio delle scienze e delle belle arti”. Dopo un discorso a favore e uno contrario, Vallisneri concluse la seduta pronunciandosi per l’ammissione agli studi superiori non di tutte le donne, ma solo di quelle dei ceti superiori. Nel 1729 questi discorsi accademici vennero pubblicati in un volume che appariva decisamente più sbilanciato in favore delle donne, in quanto conteneva anche un appassionato intervento della nobile senese Aretafila Savini de’ Rossi, che rivendicava per tutte le donne, di qualunque condizione, il diritto all’istruzione, e un’orazione latina della prodigiosa decenne Maria Gaetana Agnesi, esempio vivente delle potenzialità intellettuali femminili. Questi precedenti (la laurea a Elena Cornaro, la mancata laurea alla contessa Delfini Dosi, le discussioni bolognesi e padovane sugli studi delle donne) erano certamente noti al bolognese Gaetano Tacconi, medico e professore di medicina e filosofia nello Studio cittadino. E’ in questo contesto che va inserita la sua idea di diventare il maestro della dodicenne Laura Bassi (della quale aveva potuto conoscere le eccezionali doti intellettuali e il grande amore per lo studio frequentando la sua casa come medico di famiglia), e la sua offerta di occuparsi della sua istruzione a condizione che fosse mantenuto il segreto sui suoi studi fino al compimento della sua preparazione, quando sarebbe stata in grado di sostenere una pubblica discussione di tesi filosofiche, come i suoi coetanei che avevano seguito le lezioni nelle aule universitarie. Evidentemente il dottor Tacconi accarezzava già allora l’idea di incassare parte della gloria che un caso così raro e meraviglioso avrebbe portato, oltre che alla protagonista, anche al suo pigmalione. La piccola Laura aveva già iniziato a studiare grammatica, latino e francese con un parente, il sacerdote Lorenzo Stegani. Tacconi impresse una maggior sistematicità alla sua formazione e scrisse addirittura appositamente per lei delle Istituzioni di logica e metafisica. Quando, nel 1731, la ritenne pronta, invitò alcuni dei suoi colleghi professori dello Studio (tra cui Francesco Maria Zanotti e Eustachio Manfredi) ad esaminarla, discutendo con lei di logica, di filosofia e di metafisica. Venne a sentirla anche l’arcivescovo di Bologna, il cardinale Lambertini, il futuro papa Benedetto XIV. Il giudizio sulla sua preparazione e sulla sua abilità dialettica nelle dispute fu unanimemente positivo e, nonostante i visitatori fossero stati richiesti di non divulgare la notizia, di lì a poco a Bologna non si parlava d’altro. Soprattutto per influenza del cardinale Lambertini (fin da allora il più convinto e autorevole patrono di Laura Bassi), nel senato cittadino si fece strada l’idea di puntare sulla risonanza che avrebbe avuto un fatto unico come una laurea e una cattedra a una donna. Le celebrazioni andarono ben al di là delle aspettative del dottor Tacconi e della sua allieva, coinvolgendo tutta la città, dalle autorità civili, universitarie e religiose, alla nobiltà e al popolo. Le pubbliche disputazioni e le solenni cerimonie attraverso cui Bologna portò alla ribalta non solo cittadina l’inaudito spettacolo del sapere femminile diventarono gli eventi principali dell’anno 1732, tanto da costituire il soggetto di ben tre delle miniature che illustravano le insignia, pergamene destinate a celebrare ogni due mesi la nomina del nuovo gonfaloniere di giustizia, una carica tanto prestigiosa quanto ininfluente. Il primo prestigioso riconoscimento venne dall’Accademia delle scienze, che nella seduta del 20 marzo 1732, per acclamazione, accolse Laura Bassi tra i propri soci onorari. L’accademia faceva parte del pubblico Istituto delle scienze fondato da Luigi Ferdinando Marsili all’inizio del secolo, allo scopo di promuovere lo studio e l’insegnamento delle discipline e dei metodi moderni, che l’università tradizionale era restia ad accogliere. Bassi era la prima donna in Europa a diventare socia di un’accademia scientifica. Le tanto attese conclusioni, cioè la pubblica discussione [Miscellanea p. 12] delle tesi, che precedeva la concessione della laurea, si svolsero il 17 aprile in Palazzo Pubblico, nella galleria degli Anziani appositamente addobbata per l’occasione. E’ il caso di ricordare che normalmente le disputazioni di tesi si tenevano nelle chiese degli ordini religiosi: la scelta di Palazzo Pubblico sottolineava l’eccezionalità e l’importanza attribuita all’evento. Tutti gli aspetti del cerimoniale erano stati fissati dal senato: la candidata giunse in Palazzo Pubblico sulla carrozza di gala del gonfaloniere, accompagnata dal dottor Tacconi e da due nobili dame, la contessa Ranuzzi e la marchesa Ratta. Nella grande sala erano installati da un lato un trono sopraelevato dove sedevano il cardinale Legato (cioè il governatore nominato dal papa) e l’arcivescovo cardinale Lambertini, e dall’altro una cattedra pure sopraelevata e ricoperta da un baldacchino, su cui prese posto la candidata, avendo alla sua destra le dame accompagnatrici e alla sinistra il suo maestro Tacconi. Ai lati del trono cardinalizio stavano il vicelegato, il gonfaloniere e i senatori anziani in carica in quel bimestre. Nei primi tre ordini di sedie posti di fronte sedevano i lettori dell’università e di alcuni ordini religiosi; nel quarto i senatori. Attorno si accalcavano nobili e borghesi, letterati e curiosi. La funzione si aprì con una praefatio [Miscellanea p. 15] pronunciata dalla candidata, che, rivolgendosi alle autorità presenti confessava di dover assumere la maschera del filosofo (philosophi persona) per affrontare la disputa. In questo testo, che era stato probabilmente concordato con il suo maestro, la giovane laureanda ricorre addirittura alla volontà e alla prescienza divina, che dall’eternità ha previsto gli inizi, il progresso e l’esito dei suoi studi, per giustificare la sua presenza in quel luogo e la natura e risonanza dell’evento celebrato, incompatibili (per età, sesso, condizione) con le regole sociali e morali vigenti. Venne poi distribuito ai presenti l’opuscolo a stampa contenente le tesi filosofiche [Miscellanea pp. 1-11] che, secondo prassi, la candidata alla laurea avrebbe dovuto difendere contro coloro, pubblici lettori o lettori di ordini religiosi, che erano stati prescelti per argomentare contro di esse. Le 49 tesi presentate (6 di logica, 16 di metafisica, 18 di fisica, 9 de anima) riflettevano in gran parte gli orientamenti di Tacconi, anche se in alcuni punti si intravedono già i futuri interessi di Laura. Un contemporaneo, il medico riminese Giovanni Bianchi, rilevava come le poche tesi moderne fossero immerse in una “brodaiola fratesca e peripatetica”. In realtà, malgrado il persistere, soprattutto nella logica e nella metafisica, di tematiche e terminologie scolastiche (si vedano, per esempio, gli articoli sugli angeli), a prevalere sono le idee metafisiche di Descartes e di Malebranche, che da alcuni anni cominciavano ad essere insegnate all’università da Francesco Maria Zanotti e da altri. Si veda per esempio la tesi VI di metafisica, in cui si sostiene la centralità del principio cartesiano dell’evidenza, fondata sulla chiarezza e distinzione delle idee, la VII, che riconduce le quattro cause aristoteliche all’efficiente, la VII, che nega possano esistere cause seconde che agiscono a distanza, la XIII, che per spiegare il moto ricorre all’intervento diretto di Dio. Le tesi di fisica, tuttavia, presentano una concezione della materia chiaramente atomistica, che appare inoltre fortemente influenzata dalla tradizione della iatrochimica paracelsiana, profondamente radicata a Bologna e alla quale il medico Tacconi era evidentemente favorevole. E negli articoli dedicati al moto si dice che i corpi, solidi e liquidi, oltre che da una forza esterna impressa, possono essere mossi da una vis intrinseca, identificata con la naturale tendenza a discendere per impares numeros al centro di gravità (tesi VII-XI di fisica). Si tratta di una riformulazione moderna della teoria dei luoghi naturali di Aristotele o di una prudente parziale apertura alla fisica gravitazionale newtoniana? Certo è che tra i diversi articoli non mancano segni di attenzione per le teorie ottiche di Newton, che si andavano sempre più diffondendo a Bologna, specie dopo la risonanza che ebbero gli esperimenti sulla diversa rifrangibilità dei raggi costituenti la luce bianca, tentati con successo nel 1728, nelle sale dell’Istituto, da Francesco Maria Zanotti e dal suo giovanissimo allievo, Francesco Algarotti. Si veda, a questo proposito, nella tesi XVII della sezione De meteoris, la spiegazione dell’arcobaleno, come “quell’arco multicolore prodotto dalle riflessioni e rifrazioni dei raggi solari che illuminano le gocce d’acqua di una nube”, e soprattutto la tesi V della sezione De anima, che spiega la visione dei colori come dovuta al diverso grado di rifrangibilità dei raggi emessi dai corpi lucidi, attraverso una vibrazione velocissima, ma non istantanea. Se il taglio complessivamente prudente delle tesi rispondeva probabilmente alla preoccupazione di Tacconi di non allontanarsi troppo, in una situazione di così grande visibilità, dai programmi ufficiali in vigore nello studio bolognese, piace pensare che gli articoli sull’ottica newtoniana fossero voluti personalmente da Laura Bassi. Del resto, uno dei momenti più applauditi della discussione delle tesi fu la sua risposta alle difficoltà sulla riflessione ottica dei corpi sollevata da uno degli oppugnatores designati, il matematico Gabriello Manfredi, che le diedero occasione di esporre una sintetica e lucida spiegazione delle teorie ottiche newtoniane. Tra gli altri professori chiamati ad argomentare contro le sue tesi, ricordiamo solo Iacopo Bartolomeo Beccari, fisico e chimico di grande valore, che le propose alcuni problemi di idrostatica, probabilmente in relazione alle tesi X e XI della sezione De motu. Il 12 maggio successivo, nella sala dei collegi dottorali di filosofia e medicina del palazzo dell’ Archiginnasio (sede dell’università), alla presenza di tutti i dottori collegiati, del gonfaloniere di giustizia, degli anziani del senato, delle due dame accompagnatrici, del cardinale legato e del cardinale arcivescovo, si svolse l’esame di laurea. Non solo la giovane candidata fu dichiarata degna del dottorato, ma fu anche cooptata, come membro onorario, nel collegio dei dottori di filosofia. Un corteo di carrozze accompagnò i presenti a Palazzo Pubblico, dove nella sala d’Ercole appositamente addobbata, gremita di dame, cavalieri, letterati e curiosi bolognesi e forestieri e alla presenza di un illustre prelato francese, il cardinale de Polignac, Laura Bassi fu proclamata dottore in filosofia dall’arcidiacono Formagliari, gran cancelliere dell’Università Questi consegnò alla candidata vestita di nero, le insegne dottorali (libro, corona d’alloro in argento, anello e mantelletta d’ermellino) e pronunciò un discorso in cui fra l’altro rievocò i casi di due donne romane dotate di virtù virili, Hortensia e Anasia, che osarono patrocinare cause nel foro, e lodò la forza e la sapienza dell’Onnipotente, che di tanto in tanto compie il miracolo di “aprire la bocca dei muti, oppure rendere le lingue degli infanti eloquenti, oppure di rivestire dall’alto le donne con la virtù e illuminare le loro menti con il supremo lume affinché sfidino i valorosi e perfino confondano i forti” [Miscellanea pp. 16-17]. Quindi Matteo Bazzani, presidente del collegio filosofico e dell’Istituto delle scienze pronunciò un’orazione in lode della neo-dottoressa. Passarono poi tutti nell’appartamento del cardinale legato, dove ebbe luogo un abbondante e affollato rinfresco. I festeggiamenti proseguirono il giorno successivo con un fastoso ricevimento nel palazzo di una delle famiglie nobiliari più in vista della città. A Bologna non si parlava d’altro. La marchesa Elisabetta Ratta, una delle due dame accompagnatrici, scriveva ad Algarotti: “Io non veggo altro per la città che ciglia inarcate per la meraviglia e fronti abbassate per venerazione”. Segni inequivocabili del rilievo sociale degli eventi di cui la giovane Bassi era protagonista sono le raccolte di versi, ben tre a stampa e altre rimaste manoscritte, e un numero imprecisato di componimenti singoli pubblicati in fogli volanti o rimasti inediti. Una vera e propria mobilitazione di poeti, non solo bolognesi. E non solo italiani, come dimostra l’ode dai forti accenti femministi composta dalla poetessa tedesca Cristiane Marianne von Ziegler alla notizia dell’attribuzione del dottorato a una donna (Ceranski, 1996, pp. 200-201). Esce da una penna femminile anche il componimento d’apertura di una piccola raccolta Rime per la Conclusione filosofica [Miscellanea pp. 83-92], pubblicata e venduta a Bologna, “All’Insegna della Rosa, sotto le Scuole” .. Ne è autrice la veneziana Luisa Bergalli, curatrice pochi anni prima di un’importante raccolta di rime di poetesse italiane. La sua canzone è piena di orgoglio femminile, esplicito nell’ultima stanza: “Donne gentili, questi / Pregi c’imparte il Facitor divino; / Ch’atte siam pure a gloriose imprese”. Anche la seconda canzone è di un veneziano, Gaspare Gozzi, marito della Bergalli, mentre gli altri autori provengono da altre città italiane. Sono tutti non Bolognesi anche gli autori delle Rime in lode della Signora Laura Maria Cattarina Bassi [Miscellanea pp. 93-123], stampato a Bologna da Lelio dalla Volpe, con una interessante dedica,alla candidata dottoressa di Lorenzo Stegani, il sacerdote suo parente che era stato il suo primo maestro. Di questo volume venne offerto a Laura un esemplare con una sontuosa copertina in seta ricamata. Si tratta di componimenti per lo più di scarso valore, ma questa iniziativa editoriale, come la precedente, è indicativa della volontà di estendere l’eco degli eventi bolognesi ben oltre le mura cittadine. La più significativa delle raccolte poetiche uscite a Bologna nei primi mesi del 1732, appare quella intitolata Rime per la famosa laureazione [Miscellanea pp. 35-82] edita sempre da Lelio dalla Volpe, alla quale avevano contribuito autori bolognesi o comunque strettamente legati all’ambiente culturale della città, che avevano quindi una diretta conoscenza della dottoressa. Da alcune di queste composizioni Laura Bassi, al di là delle ambiguità delle theses, emerge come filosofa newtoniana. Come tale la presenta Algarotti nel sonetto Ombra del gran Britanno e soprattutto nella canzone Non la Lesboa, in cui la definisce “ricca miniera inesauribile di nuovo, oltremarino, alto saper”, perfetta conoscitrice del sistema newtoniano, dalle orbite degli astri (tra i quali però mette ambiguamente anche il sole) alla spiegazione delle maree, alla teoria della luce e dei colori. E Giampietro Zanotti, pittore e poeta, forse il più devoto ammiratore di Laura, in una lunga canzone celebra il piacere e la diligenza (“diletto” e “cura”) con cui la giovane filosofa sa penetrare “entro i più riposti, inaccessibili / Misteri (…) di natura”, attraverso un’avventurosa ricerca che la fa infine approdare all’”Anglica spiaggia”, per offrire l’estremo onore alle ceneri “del britanno filosofo”. Ci si può chiedere se davvero l’interesse di Bassi per Newton e l’adesione al suo sistema era già allora, nel 1732, così decisa come appare dai versi di Algarotti e di Zanotti. Una conferma e insieme una correzione viene da un’altra composizione della raccolta, una canzone di Gioseffo Pozzi diretta al maestro di Laura, Tacconi. Per Pozzi Newton non è l’unico grande con cui Laura si sia misurata. Infatti egli vede “l’ombra del Filosofo Inglese / Per man tenerla”, ma aggiunge che “il sottil Renato a Laura omaggio rese”. Bassi ha studiato tutta la natura e le è noto “degli astri il giro e de la terra il moto”. Quanto alle teorie ottiche, Pozzi è più preciso di Algarotti nel descriverne l’approccio newtoniano (ibid.) ma elenca anche una serie di altri temi delle theses estranei alla fisica di Newton. La spiegazione più convincente dell’incoerenza epistemologica di questo testo è quella che ipotizza che l’adesione all’ottica e forse anche alla filosofia naturale di Newton, nelle forme prudenti caratteristiche di altri bolognesi, fosse già matura nella ventenne candidata e conosciuta da quelli che nell’anno precedente erano stati ammessi a discutere privatamente con lei. E che un’aperta professione pubblica di fede newtoniana fosse stata giudicata imprudente e poco adatta al ruolo di Minerva bolognese, che un’accorta strategia propagandistica le veniva cucendo addosso (Cavazza, 1990) L’insistenza sull’eccezionalità del sapere della giovane Bassi e l’associazione della sua gloria con quella di Bologna (l’antica Felsina) sono del resto temi ricorrenti anche nei versi di questa raccolta, che è anche la più ufficiale. Ferdinando Antonio Ghedini indirizza il suo sonetto alla stessa Felsina, in onore della quale Laura ha compiuto “la sua rara impresa, ed ammiranda”. Il Padre Achilleo Geremia Balzani chiude la sua canzone con quest’apostrofe a Bassi: “Tu gloria, e tu tesauro / sei del felsineo nome, e del tuo sesso”. E Flaminio Scarselli, devoto amico della giovane laureanda, la definisce “Laura gentil, delizia, e amore / del secol nostro, anzi pur gloria, e onore”. Secondo Giovanni Battista Vicini, Laura, emula dell’ispiratrice di Petrarca, “del suo Sesso l’onor spento ravviva”. “Gran Vergine,/ Che adorni Felsina” è l’appellativo con cui si rivolge a lei Gioseffo Manfredi. Il legame tra Bologna e Bassi, tra la virtù e la gloria dell’una e dell’altra, è tematizzato nel modo più completo nelle ultime due strofe della già citata canzone di Gioseffo Pozzi. Egli da un lato invita la sua “Patria (…) felice” a richiamare “a farle onor” le sue “antiche Eroine”, cioè le leggendarie donne bolognesi che nel medioevo ottennero il dottorato e insegnarono legge o medicina nella sua università, mentre dall’altro, nel congedo, esorta Tacconi a non ritentare con altre il miracolo compiuto con Laura, per l’impossibilità di trovare un’altra donna “d’ugual virtute, e di sì eccelsa mente”. I successi della giovane Bassi e la loro risonanza in Italia e all’estero, uniti alle pressioni del cardinale Lambertini, contribuirono a far maturare l’idea di concederle una cattedra stipendiata nell’università. A questo fine era necessaria una nuova difesa di conclusioni filosofiche, che avvenne il 27 giugno 1732 nel palazzo dell’Archiginnasio alla presenza del cardinale legato, del vicelegato, dell’arcivescovo Lambertini, delle autorità bolognesi e del solito foltissimo pubblico di cittadini e forestieri. Le tesi [Miscellanea p. 32] per ottenere la lettura erano relative a un preciso argomento di filosofia naturale: l’acqua come corpo naturale, come elemento degli altri corpi e come parte dell’universo. Argomentarono contro di esse cinque professori, tra cui Matteo Bazzani, Marc’Antonio Laurenti e Giovanni Antonio Stancari. Le spiegazioni della struttura corpuscolare e della fluidità dell’acqua, dei suoi passaggi dallo stato liquido a quello di ghiaccio e a quello di vapore acqueo nonché della sua presenza e funzione in tutti i corpi misti sono da collocare nella tradizione post-galileiana di ricerche in ambito meccanico e medico-naturalistico sul tema, rappresentata a Bologna da personalità di primo piano come Geminiano Montanari e Domenico Guglielmini. Potrebbe distinguersene quando nega (tesi II) che la viscosità dell’acqua sia legata alla figura delle sue particelle (come pensava Montanari), ma prudentemente, perché evita di attribuirla positivamente all’attrazione reciproca, come invece farà in scritti degli anni successivi definitivamente ispirati alla fisica newtoniana. Per quel che riguarda le ultime quattro tesi (IX-XII: l’acqua come parte dell’universo) è senza incertezze, anche se non dichiarata, l’adesione alla teoria esposta da Antonio Vallisneri nella Lezione accademica sull’origine delle fontane (Venezia, 1715 e 17262): le sorgenti montane, come i fiumi e i laghi hanno un’origine meteorica, sono cioè originate dalle nevi e dalle piogge penetrate profondamente nel terreno; d’altro canto le precipitazioni atmosferiche derivano dall’evaporazione e dalla condensazione dell’umidità terrestre. Bassi rifiuta invece le tesi di coloro (tra i quali molti cartesiani) che pensavano che le acque delle sorgenti e dei fiumi derivassero da quelle del mare risalite attraverso misteriosi pertugi fino alla sommità dei monti, perdendo la loro salinità. Vallisneri, che per tutta la vita aveva insegnato all’Università di Padova, ma era stato in gioventù allievo di Marcello Malpighi in quella di Bologna, era profondamente legato alla tradizione sperimentale bolognese e all’ambiente dell’Istituto delle scienze. In più la sua famiglia era originaria della stessa cittadina emiliana, Scandiano, dalla quale proveniva quella di Bassi e questa potrebbe essere una ragione ulteriore del rilievo attribuito da quest’ultima alle sue teorie. La discussione delle tesi sull’acqua era stata preceduta da una praefatio della candidata, un discorso che mostra come essa fosse consapevole dello strappo rappresentato dalla sua presenza in quel luogo, e allo scopo di ottenere l’idoneità a insegnarvi. “Audacia” e “arroganza” sono le parole chiave. Laura, foemina adulescentula, si sente osservata e giudicata dai monumenti che sulle pareti del chiostro, dello scalone, della loggia, delle aule dell’Archiginnasio ricordano i docenti dello Studio, grandi uomini che hanno onorato con le loro virtù virili l’istituzione e la città e che ora lei vorrebbe emulare “assumendo uffici di virile gravità“ [Miscellanea pp. 19-20]. In effetti l’intenzione di concedere alla dottoressa una lettura stipendiata nello Studio aveva suscitato malumori nella città, per la preoccupazione che quel posto dato a una donna avrebbe diminuito le chances dei dottori maschi che ben più legittimamente aspiravano a una .lettura. Si trattava di un’opposizione prudentemente manifestata in contesti privati (conversazioni, lettere e diari) o addirittura clandestini (satire anonime), che evitava di contrastare apertamente disegni e strategie di propaganda delle autorità civili e religiose. Il 29 ottobre 1732 il senato assegnò ex officio una lettura onoraria di philosophia universa alla dottoressa Bassi, con uno stipendio annuale di 500 lire, decisamente più alto di quello dei comuni lettori di prima nomina. Che non si trattasse di una normale lettura era del resto reso evidente dalla condizione posta alla giovane lettrice di tenere pubbliche lezioni nell’Archiginnasio solo su comando del cardinale legato o del gonfaloniere di giustizia. La prima lezione [Miscellanea p. 14] di Laura Bassi, un evento davvero eccezionale, si svolse in forma solenne il 18 dicembre in una sala dell’Archiginnasio, con l’ormai solito concorso di autorità, letterati e curiosi. L’argomento della prolusione è da lei stessa così riassunto in una lettera a Flaminio Scarselli: “La necessità della moderazione ne’ studi filosofici, attesa la facilità dell’ingegno umano a lasciarsi sopraffare da arroganza e vanità, onde viene portato a investigare oltre i limiti del poter suo e spesso rimane ingannato dal mirabile e dalla speciosità delle cose” [Melli, 1960]. Il testo [Miscellanea pp. 21-31] rivela l’influenza dell’epistemologia empirista di Locke sulla giovane studiosa, che con sempre maggior sicurezza andava cercando la propria autonomia intellettuale, anche a costo di fortissimi dissidi con il maestro Tacconi. Il Saggio sull’intelletto umano sarà messo all’Indice dei libri proibiti solo qualche anno dopo, ma la sua lettura appariva già sospetta. In Italia e in particolare a Bologna era comunque diffuso e discusso. In pochi mesi la giovane studiosa sembra aver maturato un rifiuto deciso della filosofia di Descartes, assurto a emblema dei filosofi costruttori di vani sistemi fondati su principi razionalmente evidenti.indipendenti dall’esperienza. Compito del filosofo, per Bassi, è dedurre le leggi che governano la natura dai fenomeni osservati sperimentalmente: una posizione dove l’epistemologia newtoniana, il fenomenismo gassendiano e la tradizione sperimentale galileiana vengono a congiungersi in un comune rigetto dell’apriorismo razionalistico cartesiano. La moderazione filosofica è invocata come antidoto all’arroganza e alla vanità umane, pericolose da un lato per la scienza, per il rischio di derive speculative e fantastiche, dall’altro per la religione, per la pretesa di estendere il potere della ragione anche a oggetti da essa irraggiungibili e soggetti alla giurisdizione della teologia e della fede. Una preoccupazione, quest’ultima, che più che mirare a una illuministica rivendicazione di laicità del pensiero sembra richiamare la posizione di “neutralità metafisica” assunta nella seconda metà del XVII secolo dai post-galileiani bolognesi per salvaguardare insieme l’autonomia della ricerca sul mondo fisico e la fedeltà indiscussa alla chiesa cattolica [Cavazza, 1990]. In occasione della lezione venne anche coniata una medaglia commemorativa d’argento [Miscellanea pp. 124-125] e peltro, opera dello scultore e orefice bolognese Antonio Lazzari: sul retto un busto di Laura Bassi con le insegne dottorali (corona d’alloro e ermellino) e una scritta in latino con il nome, i titoli di dottore collegiato, di lettore pubblico, di socia dell’Istituto delle Scienze, l’età (20 anni), la data; sul verso una giovane donna (evidentemente la stessa Bassi) con un grosso libro sotto un braccio, la corona d’alloro nell’altra mano e ai piedi un mappamondo, simbolo della filosofia naturale, sormontato da una civetta, guarda Minerva, che le porge una lucerna e brandisce lo scudo con la Gorgone. Intorno una scritta latina, che dedica la medaglia “alla sola, cui fu concesso di vedere Minerva”, cioè alla sola donna che ha potuto accedere al sapere . Non si potrebbe concepire una sintesi più perfetta dell’immagine che della “filosofessa” di Bologna vollero trasmettere ai contemporanei, ai concittadini, ai forestieri, alle accademie delle altre città che acclamavano loro socia Laura Bassi (come l’Accademia dei Dissonanti di Modena e quella degli Apatisti di Firenze [Miscellanea pp. 33-34]): una donna che aveva ottenuto onori e cariche virili grazie al suo sapere, al suo dominio della filosofia naturale; una donna straordinaria perché unica (come la dea vergine Minerva, partorita da Giove e priva di ascendenze e discendenze femminili); una donna quindi i cui successi non mettevano in discussione le gerarchie di genere vigenti, non si iscrivevano in una genealogia intellettuale femminile e non potevano essere rivendicati come precedenti e modelli da altre donne. Bibliografia F. Algarotti, Il Newtonianismo per le dame, ovvero Dialoghi sopra la luce, i colori e l‘attrazione, Napoli [Venezia], 1739. Id., Opere, Venezia, Palese, 1792-1794, 12 volls. Giovanni Battista Comelli, Laura Bassi e il suo primo trionfo, “Studi e Memorie per la Storia dell’Università di Bologna”, III, 1912, pp. 1-60. Pietro Cazzani, Iconografia di Laura Bassi, in Studi e inediti per il primo centenario dell’Istituto Magistrale “Laura Bassi”, Bologna, 1960, pp. 43-52. Elio Melli (a cura di), Epistolario di Laura Bassi Verati, in Studi e inediti, cit., pp. 53-187. Id., Laura Bassi Verati: ridiscussioni e nuovi spunti, in Alma Mater studiorum. La presenza femminile dal XVIII al XX secolo. Ricerche sul rapporto donne/cultura universitaria nell’Ateneo bolognese, Bologna, CLUEB, 1988, pp. 71-80; Lucia Toschi Traversi, Verso l’inserimento delle donne nel mondo accademico, in Alma Mater Studiorum, cit., pp. 15-37. Marta Cavazza, Settecento inquieto. Alle origini dell’Istituto delle scienze di Bologna, Bologna, Il mulino, 1990, cap. VII. Alberto Elena, “In lode della filosofessa di Bologna”. An Introduction to Laura Bassi, “Isis”, 82 (1991), pp. 510-518; David F. Noble, A world without women. The christian clerical culture of western science, New York, Knopf, 1992 Paula Findlen, Science as a Career in Enlightenment Italy. The Strategies of Laura Bassi, “Isis”, 84, (1993), pp. 441-469; Gabriella Berti Logan, The Desire to Contribute: An Eighteenth Italian Woman of Science, “American Historical Review”, 99 (1994), pp. 785-812; Beate Ceranski, Il carteggio tra Giovanni Bianchi e Laura Bassi, 1733-1745, “Nuncius”, 9 (1994), pp. 207-231; Marta Cavazza, Laura Bassi e il suo gabinetto di fisica sperimentale: realtà e mito, “Nuncius”, 10 (1985), pp. 715-753; Beate Ceranski, “Und Sie fürchtet sich vor niemanden”. Über die Physikerin Laura Bassi (17111778), Frankfurt-New York, Campus Verlag, 1996; Marta Cavazza, “Dottrici” e lettrici dell’Università di Bologna nel Settecento, “Annali di storia delle università italiane”, 1 (1997), pp. 109-125. Ead., Laura Bassi “maestra” di Spallanzani, in Il cerchio della vita. Materiali di ricerca del Centro studi Lazzaro Spallanzani di Scandiano sulla storia della scienza del Settecento, a cura di W. Bernardi e P. Manzini, Firenze, Olschki, 1999, pp. 185-202. Paula Findlen, The scientist’s body: The nature of a woman philosopher in Enlightenment Italy, in Lorraine Daston, Gianna Pomata (eds.), The faces of nature in Enlightenment Europe, Berlin, BWV-Berliner Wissenschafts Verlag, 2003, pp. 211-236.