PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
UFFICIO DELLA CONSIGLIERA DI PARITA'
Relazione Annuale 2011
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SOMMARIO
A) INTRODUZIONE........................................................................................................................
1. La Consigliera di Parità nella legislazione nazionale....................................................................
2. Le funzioni e la condizione della Consigliera di Parità nella Provincia autonoma di Trento.......
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B) ATTIVITA' ANTIDISCRIMINATORIA....................................................................................
1. Metodologia di intervento della Consigliera.................................................................................
1.1. L’iter dell’Ufficio al primo contatto con l’utente.......................................................................
1.2. Interventi di tutela a livello individuale (Casi)...........................................................................
1.3 La schedatura del caso (la scheda “standard”)............................................................................
1.4 La valutazione dei dati statistici..................................................................................................
2. Analisi dei dati relativi ai casi di discriminazione trattati nel 2011..............................................
a) L’utenza in base al genere.............................................................................................................
b) Tipologia di discriminazione.........................................................................................................
c) Tipologia del soggetto discriminato e rivoltosi all’Ufficio nel 2011............................................
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C) AZIONI POSITIVE.....................................................................................................................
1. CONVEGNO: “Donne e Leadership. Meccanismi di esclusione e di autoesclusione”................
2. CONVEGNO: “Il lavoro molesto. La violenza sulle donne nei luoghi di lavoro”………..….…
3. CONVEGNO: “Sistemi di valutazione delle prestazioni del personale in ottica di genere”…....
4. PROGETTO: “Nuove Trentine e Pari Opportunità nelle scelte e nei percorsi lavorativi”...........
5. PROGETTO: Donne straniere con sè e con gli altri. Prosecuzione della prima annualità:
“Dalla formazione alla prestazione”..................................................................................................
6. PROGETTO: Mostra d'Arte: “Verso la luce… Insieme”……………………...……………..…
7. PROGETTO: “Donne straniere e Impresa: una sfida di Pari Opportunità lavorativa”……….…
8. PROGETTO: Il “Distretto Famiglia”…………………………………………………….……...
9. PROGETTO di INFORMAZIONE: “LE PUBBLICAZIONI A CURA DELLA
CONSIGLIERA DI PARITÀ: “Lo Stalking. Caratteristiche del fenomeno e strumenti di tutela”.
10. PROGETTO di FORMAZIONE: “Incontri sul Territorio Provinciale”………...……….….…
11. RETE PROVINCIALE dei COMITATI PARI OPPORTUNITA'………………………….…
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D) ATTIVITA' DI FORMAZIONE ED INFORMAZIONE TRAMITE INTERVENTI
SPECIALISTICI................................................................................................................................ 79
E) AUTOFORMAZIONE.................................................................................................................
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F) DIALOGO INTERISTITUZIONALE.......................................................................................... 82
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A) INTRODUZIONE
1. La Consigliera di Parità nella legislazione nazionale
Il Consigliere/la Consigliera di Parità (d’ora in poi “Consigliera di Parità”) è una figura
istituzionale prevista dalla legge, con funzione di promozione e di controllo dell’attuazione
dei principi di pari opportunità e di non discriminazione tra uomini e donne nel mondo del
lavoro.
L’organismo è articolato a vari livelli territoriali. L’art. 12 del D.lvo. 11 aprile 2006 n. 198,
intitolato “ Codice delle pari Opportunità tra uomo e donna a norma dell’art. 6 della legge
18.11.2005 n. 246” (d’ora in poi “Codice delle pari opportunità”) prevede infatti che “A
livello nazionale, regionale e provinciali sono nominati una consigliera o un consigliere di
parità, Per ogni consigliera o consigliere si provvede altresì alla nomina di un supplente”.
In conseguenza di tale previsione normativa, esiste anzitutto un Consigliere/una Consigliera
Nazionale di Parità Nazionale. Esso/a è nominato/a dal Ministero del lavoro e delle
Politiche sociali di concerto con il Ministro per le Pari Opportunità1, ed domiciliato/a presso
una Direzione Generale del Ministero del Lavoro2. Ci sono, poi, le Consigliere di parità
regionali e provinciali, che hanno competenze limitate al territorio di appartenenza. In ragione
dell’autonomia che contraddistingue la Provincia di Trento, la Consigliera di parità della
Provincia di Trento è equiparata, a tutti gli effetti, ad una Consigliera di parità regionale (cfr.
art. 10, comma 5, l. p. n. 41 del 1993).
La figura della Consigliera di parità, risalente al 1984, ha subito negli ultimi quindici anni una
significativa evoluzione. Tale organismo di parità è volto ad attuare il principio di pari
opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e
impiego. L’assetto attuale del medesimo è ricostruibile in base agli artt. 12-19, 25-56 del
Codice delle Pari Opportunità, non essendo stato sostanzialmente modificato dal decreto
legislativo n. 5 del 2010 di attuazione della direttiva 2006/54/CE, se non nella parte
relativa al rinnovo del mandato (ora possibile “per non più di due volte” anzichè “una sola
volta”, ai sensi del novellato art.14, comma 1, Codice delle pari opportunità). Con tale
direttiva l’Unione Europea ha modificato e raggruppato in un unico testo, per maggior
chiarezza, i principali atti normativi comunitari in materia (direttiva 76/207/CEE, direttiva
86/378/CEE, direttiva 75/117/CEE, direttiva 97/80/CE) nonché i principi risultanti dalla
Giurisprudenza della Corte di Giustizia delle Comunità Europee. Gli Stati membri erano
tenuti a dare attuazione alla direttiva entro il 15 agosto 2009. Lo Stato italiano ha provveduto,
come detto, con il recente decreto legislativo del 25 febbraio 2010, n. 5.
Volendo ripercorrere brevemente la suddetta evoluzione, al fine di meglio comprendere
l’attuale fisionomia della Consigliera/del Consigliere di Parità, occorre ricordare che tale
organismo di parità ha visto le sue origini nel 1984 (cfr. art. 4, comma 4, Legge n. 726 del
1984), qualche mese dopo la costituzione del Comitato Nazionale di Parità e della
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Cfr. art. 12 Decreto legislativo 11 aprile 2006 n. 198, Codice delle pari Opportunità tra uomo e donna a norma
dell’art. 6 della legge 28 novembre 2005, n. 246.
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Cfr. Decreto legislativo 23 maggio 2000, n. 196, art. 5, c. 1. “...L'ufficio della consigliera o del consigliere
nazionale di parità è ubicato presso il Ministero del lavoro e della previdenza sociale. L'ufficio è funzionalmente
autonomo, dotato del personale, delle apparecchiature e delle strutture necessarie per lo svolgimento dei loro
compiti. Il personale, la strumentazione e le attrezzature necessari sono assegnati dagli enti presso cui l'ufficio è
ubicato, nell'ambito delle risorse trasferite ai sensi del decreto legislativo del 23 dicembre 1997, n. 469.
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Commissione per le Pari Opportunità tra uomo e donna, istituiti rispettivamente presso il
Ministero del Lavoro e presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri. Con il D.lvo n. 226
del 2003 la Commissione per le Pari Opportunità tra uomo e donna è stata trasformata
nell’attuale Commissione Nazionale per le Pari Opportunità, incardinata presso il
Dipartimento per le Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei Ministri.
Nelle intenzioni originarie la figura della Consigliera fu inserita in seno alle Commissioni
Regionali per l’Impiego, con poteri di intervento in tale ambito ai fini dell’attuazione dei
principi di parità di trattamento tra lavoratori e lavoratrici.
In seguito, nell’intento di rendere tale istituzione realmente operativa, il legislatore ha ritenuto
opportuno realizzare un collegamento anche con la Commissione Centrale per l’Impiego,
disciplinata dalla Legge n. 285 del 1977: si è perciò previsto l’inserimento in tale
Commissione di un membro3 con funzioni di Consigliere per l’attuazione dei principi di parità
di trattamento tra uomo e donna in materia di lavoro (art. 4, comma 2, legge n. 56 del 1987).
Qualche anno dopo, è stata infine istituita la figura del Consigliere di parità presso la
commissione circoscrizionale del lavoro, che ha sede nel capoluogo di provincia, con facoltà
di intervento anche nelle altre Commissioni circoscrizionali nell’ambito della stessa provincia
(art. 8, comma 2, legge 10 aprile n. 125 del 1991, Azioni positive per la realizzazione della
parità uomo-donna nel lavoro).
Come noto, la legge n. 125/1991, adottata per adempiere agli obblighi comunitari, ha
rappresentato il primo importante intervento normativo in materia di pari opportunità, essendo
volta a colmare carenze sia strutturali che strumentali della normativa precedente. Oltre a
definire meglio, al triplice livello centrale, regionale e provinciale, la figura della Consigliera
di parità, ha infatti precisato ed ampliato le attribuzioni di tale organismo, includendovi pure
funzioni di impulso processuale. In sintesi, tali organismi sono stati muniti di legittimazione
processuale a promuovere azioni in giudizio davanti al giudice del lavoro o al tribunale
amministrativo regionale competente, su delega della persona interessata oppure a tutela di un
gruppo indistinto di persone, come nei casi di discriminazione di carattere collettivo che non
consenta di identificare in modo diretto ed immediato i lavoratori lesi dal comportamento
discriminatorio. Ciò nella logica di rendere effettiva la tutela contro le discriminazioni di
genere in ambito lavorativo, sia sul versante giudiziario, sia sul versante promozionale delle
c.d. “azioni positive”.
Sotto il primo profilo (tutela giudiziaria contro le discriminazioni in materia di lavoro), oltre a
risolvere l'annoso problema della ripartizione dell'onere della prova con la previsione della
sua parziale inversione, ed a introdurre la c.d. prova statistica, la legge richiamata ha
introdotto nel nostro ordinamento le definizioni di discriminazione “diretta” e “indiretta” (art.
4). Si tratta di nozioni oggi riviste, ma solo in parte, dal provvedimento di attuazione della
Direttiva 73 del 2002, ovvero il d.lgs. n.145 del 2005, raccolto, unitamente alle disposizioni
in materia di pari opportunità, nel “Codice delle pari Opportunità” (d. lgs. 11 aprile 2006, n.
198).
Sotto il secondo profilo (contrasto delle discriminazioni e promozione della parità mediante
azioni positive), la legge n. 125/1991 ha ammesso esplicitamente la legittimità nel nostro
ordinamento dello strumento delle azioni positive, da realizzare per favorire la presenza e la
qualificazione delle donne nel mercato del lavoro, in modo da colmare il divario e ridurre gli
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Nominato dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale. Cfr art. 4, comma 2, legge n. 56 del 1987.
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ostacoli che impediscono la realizzazione delle pari opportunità tra donne e uomini
nell'accesso al lavoro e nella carriera professionale.
Tra le azioni positive sono ricomprese quelle che favoriscono la diversificazione delle scelte
professionali, ma anche quelle che eliminano gli ostacoli organizzativi che hanno effetti
diversi, e meno vantaggiosi, per le donne rispetto agli uomini, nonché quelle che promuovono
la conciliazione tra lavoro professionale ed esigenze personali e familiari, e la ripartizione
degli oneri familiari tra i due generi. Le azioni positive possono essere finanziate anche
mediante fondi distribuiti dal Comitato nazionale per le pari opportunità costituito presso il
Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Riassumendo, relativamente alle competenze di tale organismo di parità, le disposizioni
della legge n.125/1991 e del decreto legislativo n. 196 del 23 maggio 2000 (oggi raccolte nel
Codice delle pari Opportunità , D.lvo. 11 aprile 2006 n. 198, così come emendato dal decreto
legislativo n. 5 del 2001) prevedono che le Consigliere di parità intraprendano ogni utile
iniziativa ai fini del rispetto del principio di non discriminazione e della promozione di pari
opportunità per lavoratori e lavoratrici, svolgendo in particolare i seguenti compiti:
rilevazione delle situazioni di squilibrio di genere, al fine di svolgere le funzioni
promozionali e di garanzia contro le discriminazioni dirette e indirette “nell'accesso
al lavoro, nella promozione e nella formazione professionale, ivi compresa la
progressione professionale e di carriera, nelle condizioni di lavoro compresa la
retribuzione, nonche' in relazione alle forme pensionistiche complementari
collettive di cui al decreto legislativo 5 dicembre 2005, n. 252”; (cfr. art. 15, comma
1, lettera a), del Codice delle pari opportunità, come emendato dal d.lgs 25 gennaio
2010, n. 5);
promozione di progetti di azioni positive, anche attraverso l'individuazione delle
risorse comunitarie, nazionali e locali finalizzate allo scopo (cfr. art. 15, comma 1,
lettera b), del Codice delle pari opportunità);
promozione della coerenza della programmazione delle politiche di sviluppo
territoriale rispetto agli indirizzi comunitari, nazionali e regionali in materia di pari
opportunità (cfr. art. 15, comma 1, lettera c), del Codice delle pari opportunità);
sostegno delle politiche attive del lavoro, comprese quelle formative, sotto il profilo
della promozione e della realizzazione di pari opportunità (cfr. art. 15, comma 1,
lettera d), del Codice delle pari opportunità);
promozione dell'attuazione delle politiche di pari opportunità da parte dei soggetti
pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro (cfr. art. 15, comma 1, lettera
e), del Codice delle pari opportunità);
collaborazione con le direzioni regionali e provinciali del lavoro al fine di
individuare procedure efficaci di rilevazione delle violazioni alla normativa in
materia di parità, pari opportunità e garanzia contro le discriminazioni, anche
mediante la progettazione di appositi pacchetti formativi (cfr. art. 15, comma 1,
lettera f), del Codice delle pari opportunità);
diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attività di
informazione e formazione culturale sui problemi delle pari opportunità e sulle varie
forme di discriminazioni (cfr. art. 15, comma 1, lettera g), del Codice delle pari
opportunità);
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verifica dei risultati della realizzazione dei progetti di azioni positive previsti dagli
articoli da 42 a 46 del Codice delle pari opportunità (cfr. art. 15, comma 1, lettera h),
del Codice delle pari opportunità);
collegamento e collaborazione con gli assessorati al lavoro degli enti locali, e con
organismi di parità degli enti locali (cfr. art. 15, comma 1, lettera i), del Codice delle
pari opportunità);
svolgimento di inchieste indipendenti in materia di discriminazioni sul lavoro e
pubblica relazioni indipendenti e raccomandazioni in materia di
discriminazioni sul lavoro (cfr. art. 15, comma 1-bis, introdotto dal d.lgs 25
gennaio 2010, n 5);
promozione di progetti di azioni positive e valutare i dati emersi dai rapporti
biennali sulla situazione del personale redatti dalle aziende con oltre 100 dipendenti
(cfr. art. 46 del Codice delle pari Opportunità);
promozione dell’azione civile per l’accertamento di atti e comportamenti
discriminatori ai sensi degli articoli 4 e 8 della legge 125/1991, e intervento nei
giudizi promossi dai lavoratori e dalle lavoratrici per lo stesso fine (cfr. art. 36,
comma 2, e 37 del Codice delle pari opportunità).
2. Le funzioni e la condizione della Consigliera di Parità nella Provincia autonoma di
Trento.
Com’è noto, in conformità allo Statuto Speciale di Autonomia, la Provincia autonoma di
Trento ha adottato una propria legge in materia, la legge provinciale 10 dicembre 1993 n.
41, “Interventi per la realizzazione delle pari opportunità fra uomo e donna”, che trae il
proprio fondamento nei principi dell’ordinamento nazionale e li attua nel contesto
provinciale.
Ne discende innanzitutto una procedura di nomina diversa da quella prevista dalla legge
nazionale, poiché nella nostra Provincia fa capo alla Giunta Provinciale4. Inoltre, la legge
provinciale 23 luglio 2004 n. 7 ha introdotto nella Provincia autonoma di Trento la
procedura selettiva pubblica come metodo di individuazione della Consigliera di Parità e
della Vice, richiedendo il possesso di requisiti di professionalità analoghi a quelli previsti
dalla legge nazionale, ovvero “una specifica competenza ed esperienza pluriennale in
materia di lavoro femminile, di normativa sulla parità e pari opportunità nonché di mercato
del lavoro, comprovati da idonea documentazione” (art. 10 l.p. 41/1993 modificata dall’art.
1 l.p. 7/2004, e art. 13 del Codice delle Pari Opportunità).
La stessa legge provinciale del 2004 ha rafforzato l’organismo della Consigliera di Parità
distinguendone in maniera più netta l’ambito di operatività rispetto ad altri enti che
esercitano competenze in materia di pari opportunità, quali la Commissione Provinciale per
le Pari Opportunità e la Provincia. La posizione della Consigliera di Parità in Trentino
risulta potenziata anche per effetto delle disposizioni economiche a garanzia della sua
indipendenza, in sintonia con i principi della legge nazionale, ossia il decreto legislativo
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Cfr. art. 10 l.p. n. 41 del 1993. Diversamente, nelle altre regioni e province la Consigliera di Parità e la Vice
sono “nominate, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro per le
pari opportunità, su designazione delle regioni e delle province, sentite le commissioni rispettivamente regionali
e provinciali tripartite di cui agli articoli 4 e 6 del decreto legislativo 23 dicembre 1997, n. 469, ognuno per i
reciproci livelli di competenza , sulla base di specifici requisiti di professionalità” (cfr. art. 12 del Codice delle
pari Opportunità).
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23.5.2000 n. 196.
Sotto il profilo delle funzioni e compiti, la normativa provinciale ricalca – e non poteva essere
diversamente – la normativa statale, tanto che si sancisce, testualmente, che “il consigliere di
parità è pubblico ufficiale ed esercita i poteri e le funzioni previsti dalla normativa statale
vigente per i consiglieri regionali e provinciali di parità, in quanto detto esercizio sia
compatibile con le competenze attribuite dalla normativa provinciale alla commissione
provinciale per le pari opportunità, agli organi e alle strutture provinciali” (art. 10, comma
5, l.p. n. 41 del 1993).
Si prevede, inoltre, che la Consigliera di parità sia, a tutti gli effetti, componente della
Commissione Provinciale per le Pari Opportunità (CPPO), membro della Commissione
Provinciale per l'Impiego (CPI) e delle Commissioni Locali per l'Impiego (CLI) di cui alla
legge provinciale 16 giugno 1983, n. 19, come modificata da ultimo dalla legge provinciale
23 agosto 1993, n. 19 (art. 10, comma 3, l.p. n. 41 del 1993).
E ancora, è previsto che la Consigliera di parità elabori progetti di azioni positive in
collaborazione con la CPPO e funga da tramite tra la Commissione e l'Agenzia del Lavoro su
problematiche particolari concernenti l'attuazione del piano degli interventi di politica del
lavoro (art. 10, comma 4, l.p. n. 41 del 1993); che sviluppi rapporti di collaborazione con i
Consiglieri di parità esistenti a livello internazionale, nazionale, locale e che raccolga le
segnalazioni dei Consiglieri di parità istituiti a livello locale (art. 10, comma 6, l.p. n. 41 del
1993).
Sotto il profilo delle strutture organizzative, la normativa provinciale prevede che la
Consigliera e la Vice Consigliera di parità siano domiciliati presso il Servizio Lavoro e si
avvalgano della segreteria tecnica di cui all'articolo 9, comma 1 della l.p. n. 41/93 (5).
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Venendo ora alla Consigliera (avv. Eleonora Stenico) e alla Vice- Consigliera (avv. Gabriella
Di Paolo) attualmente in carica, si rammenta che le medesime sono al secondo mandato.
La loro prima nomina è avvenuta nel 2006 ad opera della Giunta Provinciale (cfr. delibera n.
105 del 26 gennaio 2006), a seguito di una procedura selettiva pubblica bandita nel 2005.
Poiché ai senso dell’art. 10 della legge provinciale n. 41/1993 «il consigliere/la consigliera e
il viceconsigliere/la viceconsigliera di parità restano in carica per la durata della legislatura »,
il mandato di entrambe è stato prorogato ex lege (cfr. art. 3, comma 1, legge prov. n.
3/1996 ) sino al 26 marzo 2009 e poi sono decadute dall’incarico.
In data 6 febbraio 2009 è stata indetta una nuova procedura di valutazione comparativa per
titoli, di cui le medesime sono risultate vincitrici. Il nuovo mandato ha avuto inizio in
seguito alla nomina effettuata dalla Giunta provinciale con delibera n. 1210 del 22
maggio 2009.
Dal punto di vista delle strutture logistico-organizzative, la Consigliera e la Vice Consigliera
dispongono di locali e di una segreteria organizzativa che permettono di svolgere
adeguatamente le funzioni di competenza.
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Cfr. art. 9 l.p. 10 dicembre 1993, n. n. 41 “Strutture organizzative: La Commissione ha sede presso la Giunta
provinciale e si avvale di una segreteria tecnicia incardinata presso il servizio relazioni pubbliche.
Per l’espletamento dei suoi compiti la Commissione si avvale di un funzionario provinciale con compiti di
segretario e di altro personale messo a disposizione della Giunta provinciale.
La Commissione può avvalersi anche della collaborazione delle strutture provinciali, di istituti e dipartimenti
universitari, nonché di esperti esterni secondo le modalità stabilite dalle leggi vigenti”.
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L’ufficio e la segreteria tecnica in questione sono ubicati presso l’Agenzia provinciale per la
famiglia, la natalità e le politiche giovanili - Ufficio delle politiche per le Pari Opportunità,
via Jacopo Aconcio, 5, primo piano, 38122 Trento, tel. 0461/493134, fax 0461/493218, email: [email protected].
La segreteria opera dal lunedì al venerdì, con orario dalle 8.30 alle 12.30; e nelle giornate di
martedì e giovedì anche dalle 14.30 alle 16.30.
Al fine di agevolare i contatti con il pubblico, è stata creata, nell’ambito del Portale sulle Pari
Opportunità della Provincia autonoma di Trento (http://www.pariopportunita.provincia.tn.it),
una pagina specificamente dedicata alla Consigliera di Parità, all’interno della quale gli
interessati possono rinvenire notizie sulle funzioni istituzionali della Consigliera e
sull’apertura dello sportello di ascolto ed orientamento.
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B) ATTIVITÀ ANTIDISCRIMINATORIA:
RILEVAZIONE DEI CASI DI DISCRIMINAZIONE
ATTRAVERSO LO SPORTELLO DI ASCOLTO ED ORIENTAMENTO,
E INTERVENTI SPECIFICI
Premessa
Uno dei compiti qualificanti la figura istituzionale della Consigliera di Parità è, come noto,
l’attività antidiscriminatoria, ossia la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori contro ogni
discriminazione, diretta o indiretta, basata sul genere.
Infatti, le Consigliere di Parità, nell’ambito della loro attività definita dal dlgs 196/2000, art.
3, si occupano della promozione e tutela del principio di non discriminazione e della
promozione delle pari opportunità per lavoratori e lavoratrici “in forma subordinata,
autonoma o in qualsiasi altra forma”, anche attraverso attività di accoglienza delle vittime di
discriminazione, di mediazione per la risoluzione del problema, di intervento in giudizio nei
casi che lo necessitino.
Di conseguenza, esse possono adottare tutti gli interventi ritenuti necessari – finanche,
appunto, l’attivazione di procedure di conciliazione ai sensi dell’art. 410 c.p.c. o previste dai
CCNL, e l’azione in giudizio dinnanzi al giudice del lavoro o al tribunale amministrativo –
per porre fine alle attività o ai comportamenti discriminatori (cfr. artt. 36, 37, 39 del Codice
delle Pari Opportunità).
In questa logica, di estremo rilievo appaiono le attività attraverso le quali la Consigliera
acquisisce notizia della realizzazione di condotte discriminatorie a danno dei lavoratori o
delle lavoratrici, prima fra tutte la gestione di un servizio di sportello aperto al pubblico (il
c.d. sportello di ascolto e orientamento), deputato appunto alla raccolta ed alla tutela, in
forma gratuita, delle richieste di intervento e all’offerta di informazioni. La conoscenza del
fenomeno discriminatorio e delle necessità dell’utenza rappresenta, invero, anche
logicamente, il presupposto per lo svolgimento delle funzioni di garanzia e promozionali che
le competono.
La presente parte della relazione annuale è perciò volta all’analisi, dal punto di vista
qualitativo e quantitativo, dell’utilizzo dei servizi offerti dall’Ufficio della Consigliera di
Parità della Provincia di Trento.
La prima parte dell’analisi riassume la metodologia di intervento e il percorso “tipo” che fa
seguito al contatto con l’ufficio della Consigliera, al fine di classificare le richieste più
frequenti e tracciare di conseguenza le modalità di risposta del servizio.
La seconda parte riporta l’analisi dei dati socio-anagrafici e delle tipologie di
discriminazioni emerse nei casi trattati nel 2011, anche in confronto con i dati pregressi di cui
si è a disposizione (ovvero del periodo 2006-2010, come illustrati nelle Relazioni degli anni
precedenti).
Il confronto dei dati pregressi con quelli disponibili per l’anno in corso attesta che il
numero degli utenti si è stabilizzato nella fascia (80-100), il che sembra confermare
l’apprezzamento per il servizio e conforta l’impegno posto dalle Consigliere nel presidio
e nella pubblicizzazione dell’Ufficio.
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1. Metodologia di intervento della Consigliera
Atteso che una delle funzioni qualificanti l’ufficio delle Consigliera di Parità è l’attività
antidiscriminatoria, di estremo rilievo appaiono le modalità attraverso le quali la
Consigliera acquisisce notizia della realizzazione di condotte discriminatorie a danno dei
lavoratori o delle lavoratrici, prima fra tutte la gestione di un servizio di sportello, aperto al
pubblico (il c.d. sportello di ascolto e orientamento), deputato appunto alla raccolta e tutela,
in forma gratuita, delle richieste di intervento e all’offerta di informazioni.
La conoscenza del fenomeno discriminatorio e delle necessità dell’utenza rappresenta,
invero, anche logicamente, il presupposto per lo svolgimento delle funzioni di garanzia e
promozionali che le competono.
Come noto, il servizio di sportello in questione è gratuitamente a disposizione della
cittadinanza di tutta la Provincia, ed in particolare delle persone che hanno bisogno di
informazioni, o che ritengono di subire – o aver subito - una discriminazione di genere
nell'ambito lavorativo. Questa parte del lavoro della Consigliera è, come poc’anzi detto, di
particolare rilevanza, poiché permette un contatto diretto con i problemi che la Consigliera è
chiamata ad affrontare, e l’immediata raccolta delle richieste di intervento.
Tale attività costituisce un osservatorio fondamentale per l’elaborazione di risposte a più
livelli, in modo particolarmente efficace ed aderente alla realtà.
In concreto, l’operatività dello sportello di ascolto e di orientamento è stata garantita sin da
subito individuando tempi e modalità flessibili, secondo le specifiche esigenze di un’utenza
principalmente impegnata nel lavoro. Lo sportello è perciò aperto al pubblico per due
pomeriggi alla settimana, nelle giornate di giovedì pomeriggio (dalle 13.15 alle 17.15) a cura
della Consigliera di Parità, avv. Eleonora Stenico, e di martedì pomeriggio (dalle 14.00 alle
18.00), a cura della Vice Consigliera, avv. Gabriella Di Paolo. Si riceve preferibilmente su
appuntamento, fissato contattando telefonicamente o via e-mail la segreteria organizzativa
presso l'Ufficio delle Politiche per le Pari Opportunità, in Via Jacopo Aconcio, 5, 38122
Trento. La struttura logistica ed organizzativa messa a disposizione della Consigliera
durante il presente mandato permette di svolgere al meglio le funzioni di competenza, nel
rispetto delle esigenze di orari e riservatezza dell’utenza.
Per venire incontro alle necessità di un’utenza appartenente a tutto il territorio provinciale –
la cui naturale conformazione montana e in vallate (unita a servizi di trasporto pubblico non
sempre eccellenti), può essere di ostacolo all’incontro di persona durante lo sportello – si è
previsto che i colloqui con l’utenza possano essere anche telefonici. Va detto, peraltro, che in
base ai dati raccolti emerge una nettissima preferenza degli utenti per l’incontro (ed il
colloquio) personale con la Consigliera e la Vice presso la struttura appena descritta. Non va
sottaciuto, inoltre, che sempre più spesso giungono all’ufficio della Consigliera richieste di
informazioni, di sostegno o segnalazione di condotte discriminatorie anche tramite
l'intervento delle Organizzazioni sindacali, e pure a mezzo della posta elettronica
direttamente all’indirizzo [email protected]
Comunque sia, la scelta di offrire la massima flessibilità sull’orario degli appuntamenti,
personali o telefonici, nonché sulle modalità del contatto con l’ufficio, si è rivelata molto
efficace, poiché sta permettendo a molte donne lavoratrici, in malattia o in gravidanza, di
usufruire con regolarità del sostegno della Consigliera di Parità e della Vice, anche al di
fuori dei normali orari di apertura al pubblico degli uffici. La posta elettronica consente,
invero, di inoltrare domande (ed ottenere risposte) al di fuori degli orari di sportello indicati.
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Anche i contatti telefonici possono avvenire, in caso di urgenza, al di fuori dell’orario di
sportello.
Nel tentativo di dare, ora, un quadro di sintesi delle attività di sportello e antidiscriminatorie
sino ad oggi svolte, si ritiene opportuno premettere alcune informazioni di tipo metodologico
sulle modalità di intervento della Consigliera .
1.1. L’iter dell’Ufficio al primo contatto con l’utente
L’Ufficio della Consigliera risponde ai quesiti che vengono posti attraverso il sito Internet,
per e-mail o con contatto telefonico. Le domande poste da lavoratrici e lavoratori incontrano
un primo filtro che seleziona i quesiti a cui il personale può dare risposta immediata e
rimanda alla Consigliera i casi complessi che richiedono approfondimento, fissando pertanto
un appuntamento per un colloquio.
Molte domande fanno riferimento alla maternità e ai diritti di congedo parentale. Un discreto
numero di richieste perviene dai padri, non solo per informazione riguardo ai diritti della
moglie, ma in prima persona, per le modalità di utilizzo del congedo parentale.
Come già accennato, le risposte immediate fornite via telefono non sono conteggiate nelle
statistiche dell’Ufficio.
1.2. Interventi di tutela a livello individuale (Casi)
L’intervento della Consigliera avviene dunque solo in seguito alla analisi della domanda posta
dall’utente e secondo criteri di urgenza.
Il colloquio, generalmente nel giro di pochi giorni, avviene in forma privata in un locale
destinato a tale scopo. Le domande della Consigliera mirano in primo luogo a determinare se
il caso è di pertinenza dell’Ufficio o se deve essere rinviato ad altri servizi (Sindacato, Servizi
sociali, Centri per l’impiego...).
Ove il caso lo richieda, e con esplicito consenso della lavoratrice e del lavoratore, la
Consigliera convoca il datore di lavoro al fine di confrontare i punti di vista e ricercare le vie
di conciliazione amichevoli. Se ciò non risulta fattibile e se ci sono gli estremi per una azione
legale, la Consigliera ha la facoltà di promuovere anche quest'ultima.
Più nel dettaglio, e come già anticipato, la prima fase è quella dell’ascolto, ed è finalizzata a
dare voce all’utente per comprendere le reali necessità della persona rivoltasi all’ufficio.
Questa fase è molto rilevante per due ordini di ragioni.
Anzitutto, perché poter offrire un luogo e del tempo per un incontro diretto rappresenta spesso
di per sé la soluzione a taluni problemi: non è un caso che alla fine del colloquio alcune donne
rinuncino a proseguire con azioni legali o di altro tipo, in quanto hanno chiarito a sé stesse le
motivazioni del disagio e le possibili soluzioni.
In secondo luogo, perché serve per vagliare il tipo di intervento necessario, all’interno di una
gamma estremamente varia: a volte è sufficiente fornire attività meramente informativa; altre
volte occorre invece una vera a propria consulenza legale, per comprendere, ad esempio, se si
è in presenza di una condotta discriminatoria oppure no, per risolvere questioni interpretative
inerenti alla normativa nazionale o contenuta nei CCNL in materia di maternità o di pari
opportunità, o altre tematiche affini. Talvolta la consulenza legale così fruita nell’ambito dello
sportello conclude l’intervento della Consigliera; nei casi più gravi, invece, se l’utente lo
13
richiede, si procede con ulteriori attività, volte a far cessare la condotta discriminatoria o a
promuovere le pari opportunità.
Rispetto a questa seconda fase, ossia la presa di contatto con il datore di lavoro, pubblico o
privato, asserito autore della condotta pregiudizievole per la lavoratrice o il lavoratore
(vertenza individuale), oppure con le OO.SS, anche eventualmente per segnalare
inadeguatezze o dubbi interpretativi della normativa contrattuale al fine di sollecitarne
l’emendamento in sede di rinnovo contrattuale (vertenza collettiva), si è privilegiato il
metodo, per così dire, soft. Si è preferito, infatti, tentare una composizione informale delle
controversie, in sede stragiudiziale, anche perché la via giudiziale rischia di pregiudicare
irrimediabilmente il rapporto fiduciario che è alla base del rapporto di lavoro.
Tale modalità comporta che solitamente la Consigliera prende contatto con il datore di lavoro,
telefonicamente o tramite lettera, al fine di concordare un incontro informale, con o senza la
presenza della lavoratrice o del lavoratore, per discutere del caso portato alla sua attenzione. Il
successivo incontro, che può svolgersi tanto presso la sede della Consigliera quanto presso
quella dell’impresa o dell’ente, pubblico o privato, permette alla Consigliera di vagliare il
punto di vista datoriale, per verificarne i profili di effettiva illegittimità e, soprattutto, di
sondare la concreta disponibilità a giungere ad un accordo. Anche questo colloquio è perciò
di estrema importanza, in quanto può condurre ad una soluzione del problema piuttosto
celere.
Non è un caso, che nonostante per taluni casi le trattative siano ancora in corso, anche nel
2011 l’ufficio della Consigliera non abbia intentato alcuna azione in giudizio: su 95 casi
trattati complessivamente, oltre la metà sono stati risolti direttamente con una serie di
incontri presso lo sportello, mentre i restanti si sono conclusi con la conciliazione informale
grazie all’intervento della Consigliera; solo qualcuno è tuttora pendente.
1.3 La schedatura del caso (la scheda “standard”)
Lo strumento di rilevazione dei dati si basa su una scheda “standard” che mette in evidenza,
nell’ordine:
- l’ente discriminante (tipologia di datore di lavoro, pubblico o privato; dimensione
aziendale);
- i dati socio anagrafici dell’utente (sesso, età, nazionalità, titolo di studio, situazione
familiare);
- il lavoro (tipologia contrattuale e posizione professionale;
- tipo di discriminazione/problematica (accesso al lavoro, cessazione lavoro, flessibilità,
maternità, congedi; progressione carriera; retribuzione/premi produttività; altro);
- il tipo di intervento della Consigliera ed il relativo esito (in corso; esaurito).
La scheda è volutamente molto sintetica, per ridurre al minimo gli aspetti formali di
rilevazione statistica. E’ generalmente l’ultimo atto di un colloquio, della durata media di
circa un’ora, in cui la Consigliera mira a capitalizzare la storia della persona, acquisire gli
eventuali documenti a supporto, analizzare il problema, classificare la tipologia di
discriminazione.
Questa raccolta di informazioni permette di delineare, al di là delle situazioni personali, un
14
quadro statistico delle tipologie aziendali, degli atti discriminatori, del profilo personale e
professionale delle lavoratrici, delle strategie di intervento della Consigliera.
1.4 La valutazione dei dati statistici
Sempre sotto il profilo del metodo va rilevato che l’attività antidiscriminatoria della
Consigliera è oggetto di valutazione ad un duplice livello.
A livello provinciale, da parte della Consigliera medesima, al fine di individuare i principali
profili di criticità e le linee di intervento sul territorio di sua competenza.
A livello nazionale, in quanto la Rete Nazionale delle Consigliere di parità regionali e
provinciali ha predisposto, tramite l’ISFOL, un sistema centralizzato di monitoraggio, che
raccoglie ed elabora, anno per anno, tutte le attività eseguite dalle Consigliere di parità, ai vari
livelli territoriali. Per queste ragioni l’ufficio della Consigliera ha predisposto una “scheda
privacy”, mirata alla raccolta del consenso dei singoli utenti rispetto al trattamento dei dati
raccolti.
Inoltre, su invito dell’ISFOL è stata predisposta un’ulteriore “scheda standard”, di cui si è già
detto.
15
2. Analisi dei dati relativi ai casi di discriminazione trattati nel 2011
a) L’utenza in base al genere
Passando ora ad una descrizione, in termini quantitativi e qualitativi, delle richieste di
intervento trattate nel 2011 dai dati raccolti con le modalità appena descritte emerge che
molte sono le persone rivoltesi alla Consigliera di Parità.
Le richieste accolte dall’Ufficio nel 2011 sono state 95, oltre ad un numero considerevole
di contatti telefonici e via e-mail.
Nello specifico, la Consigliera di Parità ha accolto 84 donne e 5 uomini, la gran parte
delle/dei quali sono lavoratrici/tori dipendenti, solitamente con figli/e, con un livello di
istruzione e di posizione lavorativa prevalentemente medio.
Nei residuali 6 casi, la persona che si è rivolta allo sportello non lo ha fatto a titolo
individuale, ma per lo più al fine di lamentare una discriminazione collettiva. In simili ipotesi
il contatto è avvenuto per lo più con i rappresentanti delle OO.SS., che hanno segnalato
potenziali discriminazioni, riconducibili di frequente a lacune o dubbi interpretativi della
normativa contrattuale, nazionale, provinciale o aziendale.
Grafico dell’utenza del 2011 in base al genere:
16
Schema riassuntivo dell’utenza in base al genere
Numero
casi/
Percentual
i utenza
2006
A)
Donne
n. casi
Donne
%
71
% 2006
B)
Uomini
n. casi
5
94,32 %
65
2007
% 2007
2008
% 2008
2009
% 2009
2010
% 2010
2011
%2011
Uomini
%
6,58 %
83,33 %
74
8
8
81
3
15
84
85
3,35 %
6
14,71 %
5
88,42 %
92
8,70 %
9,41 %
79,41 %
78
8,98 %
8,70 %
87,06 %
76
7
8
Totale
casi
Aggregat
o sub B)
7,69 %
82,60 %
Discrim.
Collettiva
Aggregato
sub B)
6
76
C)
Discrim.
Collettiva
102
5,88 %
6
5,26 %
95
6,32 %
100
80
60
donne
uomini
40
azione collettiva
20
0
2006 2007 2008 2009 2010 2011
17
b) Tipologia di discriminazione
Secondo il decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, Codice delle pari Opportunità
(recentemente emendato dal d.lvo 6 novembre 2007, n. 196), prima della riforma attuata dal
recentissimo decreto legislativo 25 gennaio 2010, n. 5, di attuazione della direttiva
2006/54/CE le discriminazioni venivano definite come
- discriminazione diretta - art. 25 … ”qualsiasi atto, patto o comportamento che produca un
effetto pregiudizievole discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso e,
comunque, il trattamento meno favorevole rispetto a quello di un’altra lavoratrice o di un
altro lavoratore in situazione analoga.”
- discriminazione indiretta - art. 25 ...”quando una disposizione, un criterio, una prassi, un
atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono e possono mettere i
lavoratori di un determinato sesso in una posizione di particolare svantaggio rispetto a
lavoratori dell’altro sesso, salvo che riguardino requisiti essenziali allo svolgimento
dell’attività lavorativa, purché l’obiettivo sia legittimo e i mezzi impiegati per il suo
conseguimento siano appropriati e necessari”
- molestie - art. 26 “Sono considerate discriminazioni anche le molestie, ovvero quei
comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, aventi lo scopo o
l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima
intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo.”
- molestie sessuali - art. 26 “Sono, altresì, considerate come discriminazioni le molestie
sessuali, ovvero quei comportamenti indesiderati a connotazione sessuale, espressi in forma
fisica, verbale o non verbale, aventi lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice
o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o
offensivo.”
Tali definizioni, di per sé molto ampie, sono state parzialmente riscritte per effetto del
succitato decreto legislativo 25 gennaio 2010 n. 5, che ha dato attuazione alla direttiva
2006/54/CE, relativa al principio di parità di trattamento tra uomini e donne in materia
di occupazione e impiego.
Si ricordi che con la Direttiva 2006/54/CE, l’Unione Europea ha riunito in un unico testo le
principali disposizioni in materia, ossia la direttive 76/207/CEE del Consiglio del 9/2/1976, in
materia di attuazione del principio di parità uomo-donna nell’accesso al lavoro, la direttiva
86/378/CEE del Consiglio del 24/7/1986, in materia di parità di trattamento uomo-donna nel
settore dei regimi professionali di sicurezza sociale, la direttiva 75/117/CEE del Consiglio del
10/2/1975, per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di parità di
trattamento uomo-donna, nonché la direttiva 97/80/CE del Consiglio del 15/12/1997 in
materia di onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso.
Ebbene, seppur tardivamente (il termine finale assegnato agli Stati membri per l’attuazione
della direttiva era il 15 agosto 2009), nel gennaio 2010 l’attuale Governo ha dato attuazione
alla citata direttiva 2006/54/CE emanando, appunto, il decreto legislativo n. 5/2010.
Come si è detto, tale provvedimento legislativo ha emendato in più parti il c.d. Codice
18
delle pari opportunità.
In sintesi (cfr. Discriminazioni Uomo-Donna, maxisanzioni al datore di lavoro, in Il Sole 24
Ore, 7 febbraio 2010, M.R. Gheido) il nuovo testo rafforza il principio che la parità di
trattamento e di opportunità fra donne e uomini deve essere assicurata in tutti i campi,
compresi quelli dell'occupazione, del lavoro e della retribuzione, accompagnandolo con
sanzioni più severe.
Il rafforzamento della tutela contro le condotte discriminatorie passa anzitutto attraverso
l’irrobustimento delle sanzioni penali e amministrative previste dal Codice delle Pari
opportunità. Infatti, in caso di condanna per comportamenti discriminatori, l'inottemperanza
al decreto del giudice del lavoro non sarà più punita, in base all'articolo 650 del Codice
penale, per «inosservanza del provvedimento dell'autorità», bensì con l'ammenda fino a 50
mila euro o con l'arresto fino a sei mesi. E aumentano anche le sanzioni amministrative per la
violazione ai divieti di discriminazione in materia di formazione, accesso al lavoro,
trattamento retributivo.
Il rafforzamento del principio della parità di trattamento si è realizzato, poi, attraverso
l’ampliamento della nozione di discriminazione sopra riportata, in sintonia con le finalità
indicate nel novellato art. 1 del Codice della Pari opportunità, che è stato interamente riscritto
come segue:
«Art. 1 (Divieto di discriminazione e parita' di trattamento e di opportunita' tra donne e
uomini, nonchè integrazione dell'obiettivo della parita' tra donne e uomini in tutte le
politiche e attività).
- 1. Le disposizioni del presente decreto hanno ad oggetto le misure volte ad eliminare
ogni discriminazione basata sul sesso, che abbia come conseguenza o come scopo di
compromettere o di impedire il riconoscimento, il godimento o l'esercizio dei diritti
umani e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale, culturale e
civile o in ogni altro campo.
2. La parità' di trattamento e di opportunità' tra donne e uomini deve essere assicurata
in tutti i campi, compresi quelli dell'occupazione, del lavoro e della retribuzione.
3. Il principio della parità' non osta al mantenimento o all'adozione di misure che
prevedano vantaggi specifici a favore del sesso sottorappresentato.
4. L'obiettivo della parità' di trattamento e di opportunità' tra donne e uomini deve
essere tenuto presente nella formulazione e attuazione, a tutti i livelli e ad opera di tutti
gli attori, di leggi, regolamenti, atti amministrativi, politiche e attività'.»;
Più in dettaglio, l’ampliamento della nozione di discriminazione è stato realizzato mediante
l’emendamento degli art. 25, 26, 27, 28, 29, 20, e con l’introduzione dell’art. 30-bis, in tema
di forme pensionistiche complementari. Significativo è pure l’inserimento nel Codice delle
pari opportunità dell'articolo 41-bis, che assicura la tutela giurisdizionale alla
«vittimizzazione», ossia ai comportamenti messi in atto contro una persona che si è attivata
per ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento fra uomini e donne.
19
In sintesi gli emendamenti più significativi concernono i seguenti punti:
DEFINIZIONE DI DISCRIMINAZIONE (ARTT. 25 e 26 Codice pari opportunità, come
emendati dal decreto legislativo n. 5/2010)
Al fine dell'applicazione del principio di parità in materia di occupazione e impiego è
considerata discriminazione diretta ogni disposizione, criterio, prassi, atto, patto o
comportamento che comporta per ragioni riconducibili al sesso, un trattamento meno
favorevole rispetto a quello di un'altra persona in situazione analoga. Si ha
discriminazione indiretta, invece, quando una persona è messa in condizioni di
svantaggio rispetto ad altra di sesso diverso, da norme, prassi, criteri, atti o
comportamenti, apparentemente neutri.
Con l'aggiunta all'articolo 25 del Dlgs 198/06 del comma 2-bis, è definito
discriminazione, ai fini della tutela in esame, ogni trattamento meno favorevole in
ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive,
ovvero in ragione della titolarità e dell'esercizio dei relativi diritti.
Si noti che in caso di adozione internazionale il divieto di licenziamento scatta dalla
comunicazione della proposta di adozione o dalla comunicazione dell'invito a recarsi
all'estero per ricevere la proposta di abbinamento. Il divieto dura poi fino a un anno
dall'ingresso del minore nel nucleo familiare.
Quanto alle molestie, l’aggiunta nell’art. 26 del comma 2-bis comporta che "Sono,
altresi', considerati come discriminazione i trattamenti meno favorevoli subiti da una
lavoratrice o da un lavoratore per il fatto di aver rifiutato i comportamenti di cui ai
commi 1 e 2 o di esservisi sottomessi.
ACCESSO AL LAVORO, FORMAZIONE, PROMOZIONE PROFESSIONALI E
CONDIZIONI DI LAVORO (ART 27 Codice pari opportunità, come emendato dal decreto
legislativo n. 5/2010)
Il nuovo articolo 27 estende il divieto di discriminazione nell’accesso al lavoro, anche
alla formazione e alla promozione professionali e nelle condizioni di lavoro".
In particolare, il comma 1 è sostituito dal seguente: "1. E' vietata qualsiasi
discriminazione per quanto riguarda l'accesso al lavoro, in forma subordinata,
autonoma o in qualsiasi altra forma, compresi i criteri di selezione e le condizioni di
assunzione, nonche' la promozione, indipendentemente dalle modalita' di assunzione e
qualunque sia il settore o il ramo di attivita', a tutti i livelli della gerarchia
professionale."
Nel comma 3 il divieto è esteso anche alle iniziative in materia di aggiornamento e
riqualificazione professionale, inclusi i tirocini formativi e di orientamento".
RETRIBUZIONE (ART 28 Codice pari opportunità, come emendato dal decreto legislativo
n. 5/2010)
Il nuovo articolo 28 del Dlgs 198/06 vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta,
su qualunque aspetto o condizione delle retribuzioni per quanto riguarda uno stesso
lavoro o un lavoro a cui è attribuito un valore uguale.
20
AGGIORNAMENTO E PROGRESSIONE DI CARRIERA (ART 29 Codice pari
opportunità, come emendato dal decreto legislativo n. 5/2010)
E’ vietata qualunque forma di discriminazione tra sessi in materia di aggiornamento
professionale e di progressione di carriera dei lavoratori.
PENSIONI COMPLEMENTARI VECCHIAIA (ART 30-bis Codice pari opportunità,
introdotto ex novo dal decreto legislativo n. 5/2010)
E’ vietata qualunque forma di discriminazione nelle forme pensionistiche complementari,
sulle regole di accesso, sui contributi e sulle prestazioni. Alla Covip il potere di verificare i
dati attuali dei Fondi pensione che giustificano eventuali deroghe.
PENSIONE DI VECCHIAIA (ART 30 Codice pari opportunità, come emendato dal decreto
legislativo n. 5/2010)
In linea con il diritto comunitario, che vieta formalità o adempimenti che costituiscano
discriminazione di genere, è abrogato il comma 2 dell'articolo 30 del Dlgs 198/06 che,
nel disciplinare il divieto di discriminazioni dell'accesso alle prestazioni professionali,
poneva alle lavoratrici che intendessero proseguire l'attività lavorativa oltre l'età per il
pensionamento di vecchiaia (60 anni), l'obbligo di comunicarlo al datore di lavoro
almeno tre mesi prima della maturazione del diritto (onere già dichiarato illegittimo
dalla Corte costituzionale nell’ottobre 2009).
Con l'entrata in vigore del Dlgs 5/2010, il 20 febbraio prossimo, le lavoratrici in
possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia hanno semplicemente il diritto di
proseguire il rapporto di lavoro fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini (65
anni).
NON RIMOZIONE DELLA DISPARITÀ DI TRATTAMENTO (ART7 37 e 38 Codice
pari opportunità, come emendati dal decreto legislativo n. 5/2010)
La disparità di trattamento verso i dipendenti, uomini o donne, può ora costare al datore
l'ammenda fino a 50 mila euro e l'arresto fino a sei mesi.
La sanzione penale ricollegata all’inottemperanza del provvedimento del giudice che
ordina la cessazione della condotta discriminatoria e la rimozione degli effetti è stata
infatti determinata in modo autonomo, senza rinvio all’art. 650 c.p. Prima la sanzione
pecuniaria arrivava a un massimo di 206 euro, e l'arresto non oltre i tre mesi.
INOSSERVANZA DEI DIVIETI DI DISCRIMINAZIONE (ART 41 Codice pari
opportunità, come emendato dal decreto legislativo n. 5/2010)
Le sanzioni amministrative previste per la violazione degli artt. 17,18,19, 30, che
andavano da 103 a 516 euro, sono state aumentate da un minimo 250 euro a un massimo
di 1.500 euro.
TUTELA GIURISDIZIONALE CONTRO LA VITTIMIZZAZIONE (ART 41-bis
Codice pari opportunità, come introdotto ex novo dal decreto legislativo n. 5/2010)
Al Codice delle pari opportunità è aggiunto l'articolo 41-bis che assicura la tutela
giurisdizionale alla «vittimizzazione», ossia ai comportamenti messi in atto contro una
persona che si è attivata per ottenere il rispetto del principio di parità di trattamento fra
21
uomini e donne.
****
****
****
Sulla scorta di tali criteri, si è cercato di dare conto, nella tabella che segue, dei tipi di
discriminazioni denunciate nel 2010. La tabella seguente riporta le tipologie, il numero dei
casi e le relative percentuali, con il proposito di evidenziare le variazioni registrate nell’arco
2006-2011. Si segnala che in alcuni casi le problematiche erano molteplici (ad esempio, il
mobbing è stato spesso realizzato tramite demansionamento o mutamento non necessario
dell’orario giornaliero), cosicché nella classificazione del caso si è tenuto conto del profilo
prevalente (nell’esempio citato, il caso è stato qualificato come mobbing):
PROBLEMATICHE
Accesso al lavoro
Part-time
Flessibilità (Aspettativa per maternità,
congedi parentali, congedi per motivi
familiari etc.)
Flessibilità (articolazione dell’orario di
lavoro settimanale)
Condizioni di lavoro
Mobbing (da parte di colleghi o del
datore)
Molestie o stalking sul luogo di lavoro
Trasferimenti
Demansionamento
Formazione professionale
Progressione di Carriera (anche per
mancato riconoscimento delle mansioni
superiori svolte)
Retribuzioni
Diritti e Prestazioni previdenziali/
assistenziali legate alla maternità di
lavoratrici
precarie,
autonome,
professioniste, imprenditrici
Cessazione lavoro (licenziamento o
dimissioni, anche durante gravidanza o in
seguito a maternità)
Ammortizzatori sociali e CIG (indennità
di mobilità, di disoccupazione)
Nidi aziendali (richiesta di informazione i
2006
2007 2008
2009
2010
2011
4
12
14
6
12
13
12
14
10
8
6
7
15
7
14
6
8
14
1
10
4
17
20
4
1
3
0
10
3
12
0
10
0
6
1
10
3
4
2
1
2
3
1
1
0
2
3
0
1
2
2
4
1
3
0
4
3
0
3
0
2
2
5
3
3
1
1
0
0
0
2
8
2
5
2
0
0
0
2
1
9
8
14
10
0
0
1
0
2
0
0
0
0
2
0
1
22
su come istituirli)
Pericolosità del lavoro e interdizione al 0
lavoro durante (o dopo) la gravidanza
Esenzione da lavoro notturno del padre
lavoratore
Altro
26
TOTALE
76
0
19
78
0
9
92
2
6
85
2
0
3
0
6
102
27
95
Dalla tabella suesposta, escono a grandi linee confermate le linee di tendenza evidenziate
nelle relazioni degli scorsi anni.
Si conferma anzitutto un discreto numero di casi (6 su 95) in cui l’utenza femminile ha
lamentato notevoli difficoltà nell’accesso al lavoro (subordinato od autonomo),
principalmente per le seguenti cause:
a) irregolarità nelle procedure pubbliche di selezione del personale (ad es. la previsione di
criteri potenzialmente discriminatori, come un limite massimo di età).
b) difficoltà nel reperimento di un’occupazione.
Si conferma altresì la presenza di utenti di genere femminile con problematiche legate alla
cessazione del rapporto di lavoro (per effetto di licenziamento o di dimissioni). All’interno di
tale categoria, che annovera ben 10 casi, alcuni riguardano licenziamenti o mancato rinnovo
del contratto di lavoro a tempo determinato a seguito di gravidanza od entro il primo anno di
età del bambino, e altri concernono dimissioni “estorte” o sollecitate dal datore di lavoro in
ragione dello stato di gravidanza della lavoratrice o entro l’anno di vita del bambino. Questa
circostanza dimostra come la maternità costituisca ancora oggi un fattore fortemente
penalizzante, soprattutto nei rapporti di lavoro di natura privatistica.
Infine e soprattutto, i dati del 2011 si pongono decisamente in linea di continuità rispetto a
quelli precedenti per quanto concerne le problematiche maggiormente trattate. Dalla tabella
emerge infatti chiaramente che percentuali considerevoli riguardano richieste in tema di
flessibilità per esigenze di conciliazione dei tempi/orari di lavoro con le esigenze di vita
privata e/o familiare, l’esercizio di diritti connessi alla maternità di lavoratrici subordinate
nonché il part-time, tanto da raggiungere, complessivamente, considerati, circa il 30,58% dei
casi (26 casi su 95).
Si conferma un discreto numero di casi di mobbing (10).
- Relativamente alle difficoltà di conciliazione dei tempi di lavoro con le esigenze di vita
privata/familiare:
i casi giunti all’attenzione dell’ufficio purtroppo confermano che la necessità di
conciliazione dei tempi di lavoro/cura della famiglia ricade ancora oggi in prevalenza
sulla donna, fortemente penalizzata da un insieme di fattori, tra cui:
1. la carenza di servizi per l’assistenza a bambini e anziani (genitori, famigliari di lei o
di lui), che spesso costringe la lavoratrice alle dimissioni;
2. le difficoltà che insorgono nell’ambiente di lavoro a seguito della nascita (o
23
adozione) di un figlio: le responsabilità di cura gravanti sulle lavoratrici le rendono, dal punto
di vista datoriale, meno affidabili, meno appetibili e potenzialmente meno “produttive”. Ciò
spiega non solo la limitata disponibilità del datore a concedere loro il part-time, anche
laddove non sarebbe d'ostacolo alle esigenze organizzative; ma spiega, soprattutto, molte
condotte pregiudizievoli che le aziende pongono in essere nei loro confronti per indurle alle
dimissioni dopo il loro rientro al lavoro in seguito alla maternità: si pensi, ad esempio, ai
trasferimenti delle lavoratrici in sedi lontane; oppure all’imposizione di orari di lavoro
incompatibili con le esigenze di conciliazione (e non necessari); al frequente loro
“demansionamento”, ossia all’assegnazione a mansioni diverse, richiedenti una
professionalità inferiore rispetto a quella per cui la lavoratrice era stata assunta e che svolgeva
prima dell’assenza per maternità.
Ciò rende necessario sottolineare come l’opinione (molto diffusa) secondo cui la maternità e
conciliazione sono “fatti privati”, cui le donne devono far fronte “in proprio”, sia
profondamente sbagliata. Un corretto approccio alla gestione della conciliazione richiede, al
contrario, di considerare la lavoratrice soltanto come un tassello di un più ampio mosaico, al
quale concorrono anche e soprattutto altri soggetti, quali: il mercato del lavoro,
l’organizzazione aziendale, la divisione dei ruoli all’interno della famiglia, sindacati, politiche
sociali, organizzazione dei servizi di cura, ecc.
- Con specifico riguardo al contratto di lavoro a tempo parziale:
i casi trattati confermano che le lavoratrici – notoriamente rappresentanti la categoria che
maggiormente ricorre al part-time, soprattutto in seguito alla maternità, per conciliare il
lavoro con le esigenze di cura dei figli – incontrano spesso difficoltà ad ottenerlo, soprattutto
nei rapporti di lavoro di natura privatistica – ove non è configurabile un “diritto” ad
ottenerlo, ed ove lo stesso contratto collettivo solitamente non prevede una percentuale
minima obbligatoria di lavoratori part-time in organico - tanto da essere costrette, in caso di
diniego, alle dimissioni.
Una breve considerazione, per concludere, rispetto alla categoria indicata come “Altro”.
Dai dati raccolti risulta che talvolta le richieste dell’utenza vertono su questioni che esulano
dall'ambito di competenza della Consigliera di Parità, perché esorbitanti dalla
discriminazione di genere nell’ambito lavorativo, come ad esempio: procedimenti
disciplinari; condizioni di lavoro incompatibili gravi malattie; fruizione delle ferie; mancato
pagamento delle retribuzioni o TFR, e via dicendo.
Rispetto a tali situazioni, dopo l’ascolto e l’esame del caso, si è provveduto a fornire le
informazioni necessarie per meglio orientare la richiesta di aiuto, rinviando poi alle
istituzioni effettivamente competenti (organizzazioni sindacali, difensore civico, etc.).
c) Tipologia del soggetto discriminato e rivoltosi all’Ufficio nel 2011
Dall’analisi dei casi presi in esame è possibile delineare una sorta di utente “tipo” che si
rivolge all’ufficio della Consigliera alla ricerca di un possibile aiuto.
Prevalentemente è:
• donna (su 95 utenti, 84 di genere femminile);
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•
•
•
•
•
•
•
•
di nazionalità italiana (su 95 utenti, 71 utenti di nazionalità italiana);
di età compresa tra i 35-45 anni (su 95 utenti, 27 rientrano nella fascia di età 35-45; per
39 il dato non è pervenuto all’ufficio, per i restanti 29 l’età è ricompresa nelle fasce 2534 oppure 46-65);
in possesso di diploma di scuola media superiore (su 95 utenti, 22 sono in possesso del
diploma della scuola media superiore; 20 della laurea; 8 del diploma di scuola media
inferiore, per i restanti utenti, il dato non è pervenuto all’ufficio);
coniugata (su 95 utenti, 27 risultano coniugati; per 22 il dato non è pervenuto all’ufficio; i
restanti comprendono utenti separati, utenti divorziati, conviventi more uxorio,
nubili/celibi (19), rimasti vedovi);
con uno o più figli (su 95 utenti, 47 hanno figli e alcune utenti erano in gravidanza; dei
restanti, alcuni (11) non hanno figli e per altri (33) il dato non è pervenuto all’ufficio);
con contratto di lavoro a tempo indeterminato (su 95 utenti, 46 sono dipendenti a tempo
indeterminato; per 22 il dato non è pervenuto all’ufficio; dei restanti, alcuni sono a
tempo determinato o con contratti atipici);
con un lavoro a tempo pieno (su 95 utenti, 38 sono a tempo pieno, 14 a tempo parziale,
per i restanti il dato non è pervenuto all’ufficio);
con un livello di professionalità medio (su 95 utenti, 27 hanno un ruolo impiegatizio; per
22 utenti, il dato non è pervenuto all’ufficio; i restanti formano un gruppo misto che
comprende operaie, insegnanti, addette alle pulizie nel settore socio-sanitario, addetti
nel settore del commercio, disoccupati, il dato non è pervenuto all’ufficio).
Quanto alla tipologia del datore di lavoro, c’è una netta prevalenza di aziende private: su 95
utenti, 41 sono dipendenti di aziende private; per 23 utenti il dato non è pervenuto all’ufficio;
i restanti del settore pubblico.
La richiesta prevalente riguarda informazioni relative ai diritti di maternità e la ricerca di
soluzioni per agevolare la conciliazione dei tempi di lavoro con quelli di cura della famiglia.
Non mancano, peraltro, richieste di informazioni da parte dell’utenza maschile, nonché
dell’utenza femminile straniera.
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26
C) AZIONI POSITIVE
1. CONVEGNO:
“DONNE E LEADERSHIP.
Meccanismi di esclusione e di autoesclusione”.
L'art. 15 d. lg. 198/06, intitolato alla “Disciplina dell'attività delle consigliere e dei
consiglieri di parità e disposizioni in materia di azioni positive”, definisce così i Compiti e le
funzioni delle Consigliere/i di parità:
“Le Consigliere ed i Consiglieri di parità intraprendono ogni utile iniziativa ai fini del
rispetto del principio di non discriminazione e della promozione delle pari opportunità per
lavoratori e lavoratrici, svolgendo in particolare i seguenti compiti: (...)
lettera g): diffusione della conoscenza e dello scambio di buone prassi e attività di
informazione e formazione culturale sui problemi delle pari opportunità e sulle varie forme
di discriminazione”;
lettera e): promozione dell'attuazione delle politiche di pari opportunità da parte di soggetti
pubblici e privati che operano nel mercato del lavoro.
Allo scopo di dare attuazione a tale disposizione, la Consigliera di Parità ha promosso un
Convegno intitolato “DONNE E LEADERSHIP. Meccanismi di esclusione e di
autoesclusione”, tenutosi a Trento il 25 febbraio 2011 presso la Sala Conferenze della
Facoltà di Economia dell'Università degli Studi di Trento.
L'evento è stato effettuato in collaborazione con la Confprofessioni Nazionale, l'Ordine degli
Avvocati di Trento -Comitato Pari Opportunità-, l'Ordine dei Dottori Commercialisti ed
Esperti Contabili di Trento -Comitato Pari Opportunità- e con l'Assessorato alla Solidarietà
Internazionale e Convivenza.
Il Convegno ha inteso indagare la “questione” della leadership femminile, riflettendo e
dialogando sulle specificità di ruoli di responsabilità ricoperti da donne, e sul valore aggiunto
e la capacità di innovare che il talento femminile porta nelle aziende.
Esso ha mirato, altresì, ad approfondire la problematica del correlato difetto di rappresentanza
femminile negli Organismi di Governo delle Libere Professioni, approfondendone
caratteristiche, cause e meccanismi, al fine di individuare adeguati strumenti ed interventi per
correggere l'esclusione e l'autoesclusione femminile.
Invero, di fronte al paradosso di una preparazione e di competenze femminili decisamente
superiori a quelle maschili e di una presenza delle donne nello spazio pubblico – soprattutto
nei posti apicali- esigua, specialmente se rapportata a livello europeo, è doveroso interrogarsi
su come modificare questa situazione inaccettabile. Alcuni interventi sono stati fatti in
Europa, con maggiore o minore successo a seconda del frame culturale e legislativo di
riferimento: per esempio, il tipo di sistema elettorale in vigore può essere più o meno utile, il
ricorso alle “quote rosa” (che in Europa vengono chiamate più correttamente “quote di
27
genere”), come del resto un'ipotetica ostilità culturale degli elettori di fronte a candidatura
femminili.
A proposito va subito detto che chi è contrario alle quote, potrebbe (e dovrebbe) proporre
soluzioni diverse per modificare lo stato delle cose, da tutti ormai riconosciuto come
imbarazzante; ma il fatto è che la sola soluzione alternativa è quella di lasciare le cose come
stanno e, se si è ottimisti, pensare che il riequilibrio si realizzerà naturalmente, mentre, se si è
pessimisti, si può colpevolizzare le donne, tacciandole di scarsa determinazione. Ma questa
soluzione è sconfessata dalla ricerca e dai dati statistici, scolastici ed universitari, che
comprovano, al contrario, donne capaci e determinate.
Purtuttavia, sembra di capire che la forzatura delle quote di genere sia la sola soluzione
possibile, o comunque la condizione necessaria, anche se non sempre sufficiente, per superare
quello che è senza alcun dubbio in impasse democratico.
Le indagini scientifiche ci confermano che non esiste, in assoluto, un sistema, un correttivo,
che dia la certezza del risultato. Esistono piuttosto un insieme di fattori che, presenti
contemporaneamente, possono permettere lo sviluppo di una società paritaria; essi vanno da
un sistema elettorale favorevole alla donne (tendenzialmente proporzionale), alle norme che
regolano l'applicazione delle quote (coattive o facoltative), alla diffusione di una politica
paritaria capillarmente implementata. Quest'ultima è necessariamente frutto di una cultura
diffusa delle pari opportunità, che non ammette cecità di fronte alle disparità di genere in tutti
i campi dell'organizzazione sociale.
Dunque, il deficit di rappresentanza femminile ai vertici delle società è tuttora un dato
generalizzato, che comprova il perdurare della segregazione occupazionale femminile
verticale, cioè l'impossibilità o la notevole difficoltà per le donne di fare carriera, non soltanto
mortificando la loro professionalità, atteso che raggiungono di contro i livelli più elevati
dell’istruzione scolastica e della competenza professionale, ma traducendosi anche in un
abbassamento del livello complessivo dell’efficienza organizzativa dell'azienda e della sua
stessa produttività e competitività, proprio per la mancata valorizzazione di risorse interne
altamente qualificate.
Si tratta di impedimenti non dichiarati e, anzi, contrastati da numerosi provvedimenti
normativi; ciononostante, non c'è un solo ambito professionale, nel nostro Paese, in cui nelle
posizioni apicali si osservi una equilibrata composizione di genere e ciò fa emergere un
modello di democrazia incompiuta, povero di quelle doti di competenza, professionalità,
sensibilità, creatività, intuito e capacità organizzativa particolarmente presenti nelle donne ed
oggi indispensabili per affrontare in modo adeguato la crisi economica e le sfide della
globalizzazione.
I dati confermano che l'Italia è il paese europeo dove la presenza femminile nei ruoli aziendali
con responsabilità direttive è la più bassa in assoluto: meno del 20% contro una media
europea del 30%.
I dati sono talmente evidenti da convincere che non vi è nulla di casuale nello svantaggio
sistematico delle donne. Le spiegazioni sono però diverse.
28
Una prima spiegazione fa riferimento alle caratteristiche organizzative delle imprese, che
vincolano l'accesso ai ruoli dirigenziali all'accettazione di condizioni di lavoro
particolarmente invasive, che per le donne, che hanno una famiglia o intendono crearla,
diventano proibitive: prima di tutto un altissimo investimento di tempo, ma anche una
disponibilità pressoché totale, che spesso comprende trasferte o trasferimenti in altre città, e il
divieto assoluto di assentarsi. Secondo questa interpretazione, dunque, l'ampia esclusione
delle donne dai vertici aziendali sarebbe l'effetto diretto dei modelli organizzativi prevalenti.
Un secondo tipo di spiegazione attribuisce l'esclusione femminile dai luoghi di decisione alle
relazioni di potere al maschile: gli uomini che comandano tenderebbero a preservare, più o
meno consapevolmente, il sistema di potere che li ha sostenuti e portati ai vertici, perpetuando
le disparità di genere, cioè selezionando e promuovendo soprattutto altri uomini, attraverso
meccanismi di reclutamento e di avanzamento tutt'altro che imparziali.
A tali spiegazioni, tutte parzialmente vere, si devono però aggiungere altre considerazioni
rilevanti.
In effetti, va detto che la carriera professionale si costruisce oggi sostanzialmente in quello
stesso periodo della vita in cui si costruiscono le famiglie: tra i 30 e i 40 anni. La coincidenza
di tali eventi penalizza le donne, che in una competizione giocata in primo luogo sul tempo
dedicato al lavoro risultano, evidentemente, sfavorite. La maternità pare confliggere, perciò,
con la carriera in modo evidente, soprattutto se non si introducono significativi correttivi
all'organizzazione del lavoro e degli orari.
Ancora. La stessa proliferazione attuale di occupazioni precarie, instabili, discontinue – che
colpisce, oltre chè i giovani, soprattutto le donne anche meno giovani -, non giova certo alla
carriera femminile.
A ciò si devono poi aggiungere quelle che sono le radici più profonde della segregazione
occupazionale, le quali risiedono in ciò che molti stentano ad ammettere: gli stereotipi e i
pregiudizi.
Soltanto per citarne uno, alle c.d. “Donne in carriera” viene attribuita ancor'oggi un'immagine
non del tutto positiva: al riconoscimento di doti professionali eccellenti, si aggiunge la critica
verso la rinuncia ad avere figli o ad occuparsene troppo poco. È tipico che ad una donna di
successo venga domandato come ha fatto a costruirsi una carriera pur avendo una famiglia
(quando ce l'ha), mentre a nessuno verrebbe mai in mente di fare una domanda simile ad un
uomo nella stessa posizione. Si insinua quasi sempre il dubbio che le donne che dedicano
interesse ed energie al proprio lavoro siano madri inadeguate o incapaci, mentre ben di rado
un giudizio di inadeguatezza sul ruolo paterno viene associato all'impegno maschile per la
carriera.
Infine, opinione ancora diffusa, ma spesso non coincidente con la verità, è quella secondo cui
le donne hanno meno interesse per la carriera ed una minore aspirazione alla gestione del
potere.
In sintesi, la persistente disparità di genere negli accessi ai ruoli di responsabilità è legata a
fattori di tipo culturale, sociale ed organizzativo. E' difficile dire quale pesi di più, ma è certo
che la loro combinazione risulta straordinariamente efficace nel mantenere elevata la
segregazione femminile.
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Tutto ciò dimostra come la crescente partecipazione delle donne al mondo del lavoro non
corrisponde affatto al raggiungimento di pari opportunità di accesso, permanenza e
progressione di carriera tra uomini e donne. Le conquiste in termini di pari opportunità non
sono affatto soddisfacenti, anche perchè lo spazio riservato alle politiche di pari opportunità è
ancora frequentemente quello di politiche aggiuntive, deboli, che si inseriscono quando le
questioni importanti sono già state affrontate e le risorse finanziarie sono già state destinate.
In ogni caso, sotto il profilo concreto, le difficoltà delle donne nella progressione di carriera
possono essere affrontate con diversi approcci: attraverso il rafforzamento di competenze utili
per l'esercizio del potere e l'assunzione di decisioni; con percorsi di formazione adeguata in
tema di management, leadership, gestione del personale; oppure attraverso
figure
professionali di supporto interne (o esterne) all'azienda, con il compito di seguire il percorso
di sviluppo professionale e di carriera delle donne (mentoring, o coaching, sull'esempio di
altri Paesi Europei); o, ancora, attraverso percorsi guidati di mobilità ascendente contrattati tra
le parti sociali; l'approccio del “gender mainstreaming”, che significa tenere conto
sistematicamente dell'impatto di genere di ogni intervento o provvedimento introdotto nei più
diversi settori: dal lavoro alla sanità, dal diritto di famiglia agli incentivi per le imprese, ecc;
o, infine, mediante lo strumento operativo delle “quote”, volte a sostenere la partecipazione
delle donne nei settori lavorativi nei quali sono sottorappresentate e nei livelli di
responsabilità, come imprescindibile rimedio (c.d. “male necessario”) a fenomeni di
segregazione occupazionale verticale dovuti a discriminazioni sistemiche nella progressione
di carriera o nella nomina a posizioni di vertice.
Ma le donne sono anche in grado di determinare un grosso cambiamento, una grande
evoluzione, nella gestione del “potere”, mostrando nella pratica che un altro management è
possibile: nell'ambito del Convegno è stato ricordato un elenco di regole e consigli da mettere
in pratica per diventare donne leader senza fare errori: sorridere poco, interrompere molto,
non essere troppo contratte ma nemmeno troppo sexy, con un sì al power look, ed un no ai
tacchi alti, sì alla stretta di mano vigorosa, no a giocherellare con capelli e gioielli, no a
concludere le frasi in modo interrogativo, e no ai flirt; infine, non mostrare troppo le emozioni
(gioia o rabbia), e non essere troppo autoritarie né troppo buone; non annuire troppo e non
essere troppo disponibili.
In ogni caso, bisogna fare attenzione a ciò che si vuole trasmettere, al pubblico al quale ci si
rivolge e all'insieme di valori immateriali che regolano la vita di ciascuna azienda.
*** *** ***
30
2. CONVEGNO:
“IL LAVORO MOLESTO.
La violenza sulle donne nei luoghi di lavoro”
La Consigliera di Parità, in collaborazione con la Commissione Provinciale Pari Opportunità
fra Uomini e Donne ha promosso, il 05 dicembre 2011, un Convegno intitolato: “IL
LAVORO MOLESTO. La violenza sulle donne nei luoghi di lavoro”, con l'obiettivo di
indagare il fenomeno della violenza contro le donne, con specifica attenzione al contesto
lavorativo e, dunque, alle fattispecie del mobbing, dello stalking e delle molestie, anche
sessuali, sul luogo di lavoro. Ciò, al fine di evidenziare le lacune o criticità dell'apparato
normativo, anche provinciale, le tecniche di tutela delle vittime, gli strumenti di prevenzione.
Il Convegno ha posto in evidenza, anzitutto, alcuni dati preoccupanti: nel 2009 in Italia gli
uomini hanno ucciso 119 donne; nel 70'% dei casi sono italiane, e i loro assassini sono italiani
per il 76%. Nell'83% dei casi l'assassino ha le chiavi di casa, è il partner o un famigliare. Gli
omicidi avvengono dunque soprattutto in famiglia - mentre sul posto di lavoro si verificano
più frequentemente episodi di molestie o di mobbing-, riguardano tutte le classi sociali e si
concentrano per il 46% nel Nord Italia. Spesso l'omicidio non è che l'apice di una storia di
violenza agita da un uomo contro una donna, molte volte alle spalle ci sono anni di abusi e
maltrattamenti.
E' stato sottolineato, altresì, che in Italia non c'è sufficiente attenzione istituzionale all'analisi e
al contrasto del femminicidio, sol che si pensi che soltanto il 2,8% delle vittime (fonte Istat)
ha accesso ai programmi di protezione, e che il nostro Paese è fanalino di coda per il numero
di posti in case rifugio per vittime di violenza: il 90% in meno rispetto alla media europea.
Di frequente, poi, coloro che dovrebbero aiutare le donne a uscire dalla violenza – servizi
sociali, medici, forze dell'ordine, psicologi, avvocati – non hanno ricevuto un'adeguata
formazione sulla violenza in genere, sebbene esistano strumenti, utilizzati con efficacia in altri
Paesi, non solo per sostenere le donne che vogliono liberarsi dalla violenza, ma anche per
prevenire ed individuare le situazione di maggiore rischio: il metodo Spousal Assault Risk
Assessment, per esempio, consente di prevedere in linea di massima se e quanto un uomo che
ha agito violenza nei confronti della propria partner (moglie, fidanziata, convivente), o expartner, è a rischio nel breve o nel lungo termine di usare nuovamente violenza.
L'incontro ha rilevato, altresì, la necessità che venga riconosciuta la specifica natura della
violenza sulle donne, e quindi venga tenuta distinta dal concetto di “conflitto”, in coerenza
con le linee di atti di indirizzo internazionale ed europeo, quali, in particolare, la
Dichiarazione dell’Assemblea generale dell’Onu sull’eliminazione della violenza sulle donne
del 1993; le Risoluzioni della IV Conferenza mondiale sulla donna di Pechino del 1995; la
Raccomandazione europea n. 1582/5 2002, e la Risoluzione 48/104 del 20 dicembre 1993,
Nazioni Unite 1993b, articolo 40 e seguenti.
Parimenti, è stato sottolineato come il fenomeno debba essere indagato ed affrontato sotto i
suoi molteplici profili, ossia come violenza fisica, psicologica, morale, economica e sessuale,
31
e come debba essere considerato di estremo rilievo un approccio preventivo, e quello volto ad
evitare il reiterarsi delle condotte violente.
Da più parti è stata infine rilevata la mancanza, in Italia, di formazione e prevenzione
adeguata, l'assenza di un piano di azione nazionale che preveda servizi statali e capillari, la
tendenza dei mezzi di comunicazione a parlare di “passione”, l'assenza di strumenti e pratiche
giuridiche efficaci, la mancanza dunque di un ragionamento e di una prassi culturale e
istituzionale che faccia propria la battaglia contro la violenza sulle donne: tutto ciò fa sì che
ogni anno più di cento donne muoiano per atti di violenza inaudita.
Il Convegno ha poi approfondito, grazie principalmente agli interventi delle Consigliere di
parità del Trentino e del Veneto, i fenomeni del mobbing, dello stalking e delle molestie,
anche sessuali, sul luogo di lavoro, approfondendone i caratteri, gli elementi costitutivi, le
tecniche di tutela ed i soggetti deputati sul territorio ad intervenire per contrastarli.
E' stato sottolineato, altresì, come il fenomeno della violenza sul lavoro vada sempre più
“esplodendo”, sol che si pensi che dal 1997 ad oggi sono state denunciate in Italia un milione
e trecentomila molestie sul luogo di lavoro, di cui trecentomila negli ultimi tre anni, e senza
considerare il sommerso, cioè le molestie non denunciate. Un peso significativo hanno,
altresì, i ricatti sessuali, che negli ultimi tre anni risultano essere 220.000 a scopo di
assunzione, e 208.000 quelli finalizzati al mantenimento del posto di lavoro.
Su altro versante, però, il luogo di lavoro può diventare, di contro, luogo di “riscatto”, per
tutte quelle donne che, uscite da un percorso di violenza domestica, necessitino di autonomia
economica che consenta loro di non ritornare insieme a colui che ha attuato comportamenti
violenti, e di far fronte a problematiche economiche legate alla conciliazione, alla gestione
delle spese, all'accudimento dei figli.
Il luogo di lavoro allora può diventare:
LAVORO
come luogo di possibile “violenza”
(fisica, sessuale, psicologica
-mobbing e stalking-)
come luogo di “riscatto”
(per rendersi indipendenti ed
autonome dall'autore della violenza
domestica).
Infine, è stato dato ampio spazio all'illustrazione della Legge provinciale n. 6 del 2010,
“Interventi per la prevenzione della violenza di genere e per la tutela delle donne che ne sono
vittime”, nei confronti della quale è stato espresso un consenso diffuso.
*** *** ***
32
3. CONVEGNO:
“SISTEMI DI VALUTAZIONE DELLE PRESTAZIONI
DEL PERSONALE IN OTTICA DI GENERE”
La Consigliera di Parità, in collaborazione con la Rete Provinciale dei Comitati Pari
Opportunità, la Commissione Provinciale Pari Opportunità fra Uomini e Donne e
l'Assessorato alle Pari Opportunità, ha promosso, il 04 ottobre 2011, un Convegno intitolato:
“SISTEMI di VALUTAZIONE DELLE PRESTAZIONI DEL PERSONALE IN
OTTICA DI GENERE”, con l'obiettivo di indagare i sistemi di rendimento del personale più
diffusi sul territorio provinciale, sia all'inteno delle aziende private che degli enti pubblici;
verificarne i processi ed i caratteri, evidenziarne la portata ed anche le criticità ed offrire
spunti di miglioramento e/o di rielaborazione.
L'evento ha coinvolto una relatrice d'eccellenza, la prof.ssa Marcella Chiesi -sociologa e
consulente esperta nell'analisi dei sistemi organizzativi complessi, nella gestione e nello
sviluppo delle risorse umane nell'ottica del Diversity Management-, ed ha dato la parola, altrì,
con interventi programmati, ad esponenti privilegiati del mondo imprenditoriale e sindacale.
La Prof.ssa Chiesi ha evidenziato che la valutazione del rendimento del personale è
un'importante politica di management per ogni organizzazione di successo; essa, infatti,
definisce i rapporti fra i leader ed i loro subordinati, permettendo ai leader di crescere nella
loro posizione, ed ai dipendenti di crescere nei loro ruoli, evidenziando aree dove vi possono
essere miglioramenti. E' inoltre uno strumento utile per riconoscere validi dipendenti ed
offrire loro nuovi e positivi stimoli.
Dal Convegno è emerso, sinteticamente, che con la locuzione “valutazione del rendimento del
personale” si allude ad una procedura organica e sistematica per assicurare che su ogni
dipendente venga espresso periodicamente un giudizio che serva a valutarlo ed a definirne,
secondo criteri omogenei, il rendimento e le caratteristiche professionali che si estrinsecano
nell'esecuzione del lavoro.
Le finalità della valutazione si possono così sintetizzare:
• migliorare le prestazioni, orientandole verso una sempre maggior partecipazione dei
singoli al raggiungimento degli obiettivi aziendali;
• censire il potenziale umano e le competenze detenute in funzione delle attività e
servizi erogati;
• valorizzare al meglio le risorse umane dell'azienda, facendo emergere sia le esigenze e
le condizioni per un miglior impiego del personale, sia le eventuali esigenze ed
opportunità di formazione.
Peraltro, nell'ambito della “valutazione del rendimento del personale” si può individuare una
serie di sistemi di valutazione, fra i quali emergono:
1) La valutazione delle posizioni
2) La valutazione delle prestazioni lavorative
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3) La valutazione del potenziale
4) La valutazione delle competenze
L'insieme di questi sistemi forma il SISTEMA PERMANENTE DI VALUTAZIONE.
1) La valutazione delle posizioni.
Nella valutazione della posizione viene valutato il ruolo organizzativo, indipendentemente
dalla persona che lo ricopre; questa valutazione assume l'obiettivo di creare un sistema di
classificazione del lavoro che permetta di retribuire le diverse posizioni organizzative (Job
evalutaion).
2) La valutazione delle prestazioni lavorative.
Se nella valutazione delle posizioni la persona non è oggetto di interesse e l'attenzione è
focalizzata sul lavoro ed il ruolo organizzativo nella valutazione delle prestazioni il
riferimento è tutto sull'individuo.
La valutazione della prestazione valuta l'individuo e quanto questo ha contribuito ai risultati
dell'organizzazione.
3) La valutazione del potenziale.
Nella valutazione del potenziale, invece, vengono analizzate le caratteristiche dell'individuo in
termini di sue attitudini e capacità soprattutto per il miglioramento produttivo dell'azienda in
divenire.
4) La valutazione delle competenze
Da ultimo possiamo individuare i sistemi di valutazione delle competenze, nei quali il focus è
ancora l'individuo, però con l'insieme delle sue capacità, esperienze e conoscenze.
Tra i diversi sistemi di valutazione del personale quello che ricopre un valore centrale per la
gestione dei sistemi operativi del personale (retribuzione, sviluppo, formazione, carriera) è
sicuramente il sistema di valutazione delle prestazioni.
Le riforme normative e contrattuali di questi ultimi anni hanno introdotto e sviluppato principi
di valutazione che collegassero il raggiungimento di risultati di efficienza e di qualità dei
servizi alla valutazione delle prestazioni individuali, e sulla base di quest'ultima,
all'attivazione di sistemi di ricompensa.
La valutazione della persona è composta da due voci:
1) LA VALUTAZIONE DELLE PRESTAZIONI
A sua volta ricomprensiva della divisa “Valutazione dei comportamenti organizzativi” e della
“Valutazione dei risultati”;
2) LA VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE
1) Nella valutazione delle prestazioni si valutano anzitutto i comportamenti collegati al
lavoro, e quindi, ad esempio, lo spirito di iniziativa; l'autonomia, l'impegno, la capacità di
relazione, la capacità di gestione di persone e di risorse; la programmazione, la precisione,
l'auto-controllo emotivo e così via.
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In secondo luogo, si valutano i risultati raggiunti rispetto a determinati obiettivi; e così si
possono avere risultati individuali (risultati direttamente attribuiti al singolo);
risultati di gruppo (risultati raggiunti da gruppi di lavoratori, ma in cui si può valutare anche il
contributo individuale); ed anche progetti e piani di lavoro (si tratta di progetti definiti nel
tempo).
2) Nella valutazione delle competenze si valutano, invece, le conoscenze, le esperienze e le
capacità detenute dal personale: a mero titolo d'esempio, le conoscenze informatiche,
giuridico/amministrative, la capacità di gestione di progetti
e di processi tecnici, le conoscenze ed esperienze in tema di bilancio, urbanistica, e così via.
Queste caratteristiche attengono all'insieme delle attitudini e delle capacità dell'individuo
(gestionali, di relazione, intellettive, emotive), e determinano risultati eccellenti nella
prestazione; si possono perciò tradurre in fattori rilevanti nei comportamenti organizzativi e
quindi, per l'appunto, nella valutazione della prestazione.
Il processo di valutazione è articolato in una serie di momenti orientati a sviluppare il
confronto all'interno dell'ente, il coinvolgimento del personale e l'affermazione di modalità di
lavoro bastate sulla pianificazione e la verifica dei risultati.
Si dovranno così realizzare le seguenti attività:
• Introduzione del sistema di valutazione: si dovrà realizzare la formazione del
personale coinvolto, creare condivisione rispetto alle finalità del sistema e rilevare
elementi che permettano di portare miglioramenti alla metodologia;
• Definizione dei tempi e delle fasi operative: ovvero il momento in cui vengono definiti
gli obiettivi; il periodo in cui effettuare il colloquio preliminare e la valutazione finale,
e così via;
• Definizione delle regole per il colloquio di valutazione;
• Definizione delle modalità di comunicazione della valutazione;
• Definizione del legame tra valutazione e sistemi di ricompensa e sviluppo;
• Individuazione di meccanismi e regole di garanzia, e tutela della correttezza della
valutazione. Relativamente a questo punto bisogna sottolineare come ogni processo di
controllo della valutazione non debba sostituirsi al ruolo del valutatore; eventuali
commissioni di controllo non dovranno così delegittimare “il valutatore”, ma
intervenire nella verifica complessiva del processo di valutazione.
Una volta definite le diverse fasi operative, a livello complessivo di ente potrà avviarsi il
processo di valutazione vero e proprio, che vedrà coinvolti direttamente i dirigenti e coloro
che hanno responsabilità di valutazione; la responsabilità della valutazione sarà infatti a
cascata, e vedrà coinvolto un numero rilevante di soggetti nel ruolo di valutatori.
La prima fase sarà quella del colloquio preliminare; tale colloquio sarà gestito dal
responsabile diretto della valutazione (il dirigente o funzionario che coordina il singolo
settore/unità) e servirà a chiarire gli obiettivi di lavoro per il periodo di riferimento (es. un
anno) e i contenuti della scheda di valutazione. La finalità è quella di definire ciò che ci si
attende dal personale e di programmare le attività o gli obiettivi.
Successivamente si procederà a verifiche in itinere dell'andamento delle prestazioni.
Infine si procede all'analisi ed alla valutazione dei risultati, e alla loro comunicazione ed
35
eventuale discussione in contraddittorio con i singoli dipendenti. Ciò al fine di garantire
trasparenza, oggettività ed imparzialità al processo valutativo.
*** *** ***
36
4. PROGETTO:
NUOVE TRENTINE E PARI OPPORTUNITA’
NELLE SCELTE E NEI PERCORSI LAVORATIVI
Il progetto ha inteso promuovere la cultura del lavoro femminile tra la popolazione di donne
straniere che vivono nel Comune di Ledro, mirando a supportarle nella costruzione di un
proprio progetto lavorativo, possibile e soddisfacente.
Partendo dalla convinzione che la dimensione lavorativa rappresenti per le donne straniere
un’opportunità importante per un positivo radicamento nel nuovo contesto sociale, il progetto
ha offerto alle protagoniste la possibilità di partecipare attivamente ad un percorso di
formazione che, muovendo dalle loro rispettive aspettative, giungesse a potenziarne le abilità
per affrancare un loro specifico progetto lavorativo.
Un modo concreto per valorizzare le loro conoscenze e le loro capacità, contrastando in tal
modo i principali aspetti di debolezza legati all’esperienza dell’immigrazione, quali la
solitudine familiare, l’emarginazione sociale e la discriminazione lavorativa.
Dall’altro lato l’intervento ha voluto rafforzare la cultura dell’accoglienza e della
condivisione, promuovendo il consolidamento di reti tra le amministrazioni, le associazioni
sul territorio e la cittadinanza straniera, capaci di cogliere le sfide in atto e di elaborare buone
prassi a favore della crescita civile e democratica del nostro territorio.
Il progetto si è caratterizzato, quindi, per una forte valenza formativa, basata però sulle
specifiche capacità ed aspettative individuali, con una metodologia innovativa ed originale.
Gli obiettivi individuati hanno mirato, infatti, a dotare le donne straniere di una sorta di
“Cassetta degli attrezzi”, teorici e pratici, utile per avviare con consapevolezza il loro ingresso
nel mondo del lavoro.
L'iniziativa è stata realizzata in collaborazione con l'Assessorato alla Solidarietà
Internazionale e alla convivenza, Cinformi e il Comune di Ledro, ed ha coinvolto un gruppo
di circa 15 donne straniere, molte delle quali di origine africana, giunte in Val di Ledro
nell’arco negli ultimi 4 anni.
I Paesi comunque rappresentati sono: il Marocco, la Romania, La Colombia, la Costa
d’Avorio.
Il gruppo ha svolto un percorso di formazione sulla cultura locale, sulla cultura del lavoro e
delle regole sociali e di convivenza.
Un crescita personale importante che ha consentito alle donne di acquisire maggior
consapevolezza della loro posizione di “nuove trentine”, ampliando la rete delle conoscenze e
intensificando il sentimento di appartenenza.
Sul fronte del lavoro sono stati compiuti importanti passi:
• la partecipazione ai corsi di formazione e aggiornamento per inoccupati promossi
37
•
•
•
dall’Agenzia del lavoro,
la partecipazione a un corso di formazione professionale dedicato alla figura di aiuto
cuoco,
la realizzazione di uno stage formativo della durata di un mese presso il settore cucina
della Casa di Riposo di Bezzecca,
l’occupazione presso operatori turistici locali.
Alcune donne africane hanno trovato impiego per la prima volta da quando risiedono a Ledro,
altre donne hanno svolto colloqui di lavoro che potranno risolversi positivamente.
In generale le donne hanno costruito una possibile prospettiva occupazionale ed acquisito
nuove competenze sociali, migliorato la conoscenza della lingua italiana ed ampliato la rete
delle conoscenze sul territorio, apprendendo stili di convivenza positivi e costruttivi,
contribuendo così a migliorare la coesione e l'armonizzazione sociale di quel territorio.
*** *** ***
38
5. PROGETTO:
DONNE STRANIERE CON SÉ E CON GLI ALTRI
PROSECUZIONE DELLA PRIMA ANNUALITÀ:
“DALLA FORMAZIONE ALLA PRESTAZIONE”
L’iniziativa è stata promossa dalla Consigliera di Parità, in collaborazione con la Comunità
della Val di Non, l’Assessorato alla Solidarietà internazionale alla convivenza e Cinformi.
Il progetto ha inteso accompagnare le donne straniere che avevano partecipato alla prima
edizione del progetto (v. Relazione Annuale Consigliera di Parità 2010) a compiere quegli
ulteriori e necessari passi per un radicamento personale e professionale nella comunità
locale e dare così una giusta compiutezza agli sforzi realizzati fino ad ora.
Il percorso di socializzazione alla cultura e alle regole del lavoro ha visto la partecipazione di
30 donne straniere, di cui circa la metà di origine indiana.
Le nuove azioni progettuali si sono rivolte in maniera specifica a due gruppi di donne: quello
formato da donne che dispongono di buone competenze sociali e lavorative, e quello che
raggruppa donne impegnate a contrastare un isolamento culturale e lavorativo più profondo.
Lo scopo è stato quello di trasferire a ciascun gruppo quel ventaglio di competenze utili a
proseguire l’investimento formativo intrapreso nel corso della prima edizione al fine di
reperire un impiego.
L’iniziativa si è articolata in alcune specifiche aree di intervento, dedicate a valorizzare
ciascuna donna con le sue capacità e le sue esperienze.
SARTORIA – primo gruppo:
Il Gruppo delle donne di origine indiana che mostrava maggiori debolezze personali e
culturali è stato coinvolto in un corso di sartoria, gestito in collaborazione con il Centro
Canossa di Trento. Il percorso si è articolato in 6 incontri laboratoriali, della durata di 4 ore
ciascuno, per un totale complessivo di 24 ore.
Le lezioni sono state frequentate sia dalle donne indiane che avevano preso parte alla prima
edizione del progetto, sia da quelle nuove donne straniere che mostravano interessi e capacità
per questa specifica attività.
Le partecipanti sono state impegnate nell’apprendimento di competenze tecniche di base,
nella progettazione e nel cucito di circa 100 borse di staffa di differenti misure e per diversi
utilizzi (la spesa, la raccolta differenziata, la custodia di calzature, ecc.).
Le donne hanno mostrato un impegno costante e proficuo, assicurando una presenza costante
e la disponibilità a svolgere a casa alcuni compiti che venivano assegnati loro.
Attraverso il coinvolgimento allargato di tutte le altre donne straniere del progetto, le borse di
stoffa sono state proposte negli eventi organizzati sul territorio nel periodo estivo, riscuotendo
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molto gradimento.
Nelle occasioni pubbliche il progetto ha voluto sostenere in modo mirato le donne per favorire
proficue relazioni con la cittadinanza.
A tale proposito è stata costruita una sorta di “campagna sociale” di presentazione delle
singole persone, che ha consentito di redigere per ciascuna partecipante un deplian di autopresentazione allo scopo di facilitare la conoscenza e il dialogo con i vicini. L’iniziativa ha
riscosso una buona adesione e facilitato le prime importanti relazioni di buon vicinato.
LAVORO DOMESTICO – secondo gruppo:
Dando seguito all’importante esperienza vissuta dalle donne straniere nel corso del primo
progetto pilota nell’ambito degli stage di prossimità dedicati al lavoro domestico, e per
valorizzare le esperienze delle nuove donne straniere coinvolte nel progetto, questa azione si
proponeva di accompagnare le protagoniste alla ricerca di un impiego, principalmente di
lavoro domestico, mediante il loro affiancamento nella presentazione di se stesse e nella
valorizzazione delle loro capacità personali.
In particolare le donne sono state preparate e sostenute a gestire relazioni dirette nei seguenti
ambiti di attività:
- ricerca di informazioni presso gli Uffici dell’Agenzia del Lavoro,
- presentazione della domanda come badante presso gli interlocutori competenti,
- gestione di colloqui mirati con cooperative e imprese,
- incontri di formazione sul lavoro autonomo,
- definizione di un documento di presentazione personale.
Da un punto di vista metodologico, l'intervento mirava a trasferire loro le competenze
professionali, sociali e culturali di base, per la ricerca attiva di lavoro.
Per questo le donne sono state adeguatamente formate al primo colloquio, per poi essere
affiancate nella gestione dei vari colloqui di lavoro.
Un’attività che è stata molto apprezzata dalle donne perchè ha trasferito loro un senso di
sicurezza e di protezione, ed allo stesso tempo le ha spronate a fare del loro meglio per
affrancare la propria autostima e le relazioni positive avviate nell’ambito del progetto.
Durante il percorso progettuale è stata avviata anche una riflessione con alcuni potenziali
datori di lavoro del territorio per comprendere sia il fabbisogno di personale e di formazione,
sia la presenza di eventuali pregiudizi o stereotipi. A tale proposito è emersa una situazione
culturalmente favorevole, in quanto non sono stati rilevati tra gli operatori economici elementi
di ostacolo all’incontro con la donna straniera lavoratrice. Come spesso accade, anche in
baase a passate esperienze negative, rimane un atteggiamento di prudenza ma non di chiusura,
e questo testimonia l’importanza di progetti che sappiano uscire dalla logica dello “sportello”
per mettersi in gioco in prima persona al fianco delle lavoratrici straniere. Accompagnare le
donne nella ricerca di un impiego offre all’operatore economico una sorta di garanzia e di
rispetto della cultura e delle regole del lavoro.
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Non sono quindi mancati importanti risultati sul fronte dell’occupazione, tra i quali si
sottolinea:
1. la collaborazione con il Servizio Conservazione Natura e Valorizzazione Ambientale –
PAT che ha permesso a due donne, 1 indiana e 1 venezuelana, di svolgere l’attività di
custodia presso il Comune della valle per i tre mesi estivi, con molta soddisfazione da
parte dell’amministrazione e dei visitatori.
2. la collaborazione con una cooperativa locale che ha portato all’assunzione di 1 donna
rumena per due attività: accompagnamento studenti e sanificazione/pulizie enti pubblici.
3. La partecipazione di dieci donne straniere ad attività sartoriale nell’ambito della
manifestazione “Cles delle Meraviglie”, e nella successiva gestione di attività sartoriale
per conto terzi, rivolta al confezionamento di borse di stoffa con tema natalizio.
4. la promozione delle donne presso aziende private disponibili ad eventuali assunzioni.
Anche sul fronte della convivenza le donne sono state accompagnate all’incontro con la
società locale, in un percorso di reciproca condivisione, solidarietà e partecipazione attiva.
Importante a tale proposito le relazioni avviate sia con le istituzioni locali che le hanno
coinvolte in alcune loro manifestazioni, sia con le associazioni del territorio. Relazioni che
sicuramente rimarranno come patrimonio agli interlocutori più attenti e che saranno di
supporto nel contrastare la solitudine che spesso la donna straniera conosce.
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6. PROGETTO:
MOSTRA D’ARTE: “VERSO LA LUCE … INSIEME”.
E' purtroppo noto che il lavoro delle donne nel mondo artistico incontra molti ostacoli, perchè
il più delle volte le artiste vengono discriminate in quanto tali, non valorizzate e
marginalizzate nella loro attività professionale. Con la realizzazione della mostra “Verso la
luce …insieme” si è inteso dare sostegno a questa professione.
Il progetto ha inteso promuovere un’esposizione di artiste locali.
La mostra è stata pensata come momento di partecipazione alla giornata mondiale contro la
violenza sulle donne e la finalità dell’iniziativa è stata quella di dare la parola all’arte,
affinché il linguaggio artistico, senza mediazione alcuna, diventi occasione quotidiana di
incontro e di dialogo con le donne.
La proposta artistica si è così proposta di regalare - a quella parte femminile che porta dentro
di sé le tracce della paura, delle prepotenze e degli abusi - un attimo di sollievo, una tregua
emotiva, un navigare in pensieri lieti; una pausa dai mille affanni quotidiani, che rispecchia il
desiderio di calma e di serenità che accomuna il mondo delle donne in generale.
Attraverso l’uso dei colori e delle tinte che più richiamano la luce, le opere esposte miravano
ad intercettare un pensiero positivo, un sentimento di speranza e, perché no, un sorriso.
La mostra ha voluto essere, infatti, un’occasione per guardare avanti, al di là degli oltraggi
subiti, nella convinzione che un nuovo progetto di vita sia possibile: insieme!
Alla mostra hanno partecipato 8 artiste trentine, tre delle quali molto giovani, al fine di
sostenere il coinvolgimento delle nuove generazioni a importanti temi della vita sociale. Sono
stati esposte 15 tele e 10 installazioni.
La mostra è stata inaugurata il 16 novembre 2011 presso il Consultorio per il singolo, la
coppia e la famiglia di Trento, grazie alla disponibilità dell’Azienda Provinciale per i Servizi
Sanitari.
La mostra è stata aperta per circa 4 mesi ed ha riscosso un alto gradimento.
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7. PROGETTO:
DONNE STRANIERE E IMPRESA:
UNA SFIDA DI PARI OPPORTUNITÀ LAVORATIVA.
Si tratta di un percorso di formazione innovativo a sostegno all’auto-imprenditorialità
femminile, che ha visto coinvolto un gruppo di 10 donne straniere residenti nel comune di
Trento.
Il progetto ha previsto la realizzazione di tre fasi:
a) un primo percorso di creazione del gruppo e di condivisione delle idee di impresa.
b) una fase d’aula dedicata ad una formazione specifica svolta in collaborazione con
Trentino Sviluppo, che ha portato le donne a partecipare ad un ciclo di incontri rivolti alla
stesura di un proprio “bussines plan”.
c) una serie di incontri nei quali le donne straniere sono state accompagnate a raccogliere
presso gli interlocutori competenti tutta quella serie di informazioni e documenti necessari
a valutare l’apertura operativa di una propria realtà economica.
Le partecipanti hanno espresso un alto grado di soddisfazione per il percorso di formazione
compiuto, che ha dato loro l’occasione di apprendere contenuti rilevanti e di rafforzare la
propria autostima; il progetto ha conseguito, altresì, importanti risultati sul fronte della
convivenza e della cultura del lavoro autonomo.
Sulla base dell’impianto progettuale si sono costituiti 2 sotto-gruppi:
uno finalizzato al lavoro di sartoria, mentere l'altro alla ristorazione.
In entrambi i casi si e’ trattato di donne con diverse esperienze lavorative, capaci di creare un
favorevole clima di gruppo, di mettere in campo un sostegno reciproco, e motivate a
“costruire” un proprio sapere, ad essere le protagoniste delle proprie scelte.
Nell’insieme i due gruppi, dopo aver fatto numerosi incontri di formazione specifica, hanno
incontrato:
- gli uffici competenti alla creazione di nuove imprese dell’associazione artigiani,
- gli uffici del comune di trento competenti per il rilascio delle licenze commerciali,
- gli uffici dell’agenzia del lavoro competenti al sostegno dell’imprenditorialita’,
- gli uffici della pat competenti al sostegno dell’imprenditorialita’,
- due diversi studi di commercialista,
- varie agenzie immobiliari che trattano locazioni commerciali,
- proprietari di negozi in affitto,ù
- uno studio di geometra per le autorizzazioni alla ristrutturazione dei locali pubblici,
- gli uffici dell’accademia del commercio per l’iscrizione ai corsi di abilitazione alla
vendita al pubblico di cibo e bevande,
- punti vendita di attrezzatura all’ingrosso.
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Com'è evidente, si e’ trattato di una formazione molto operativa, che ha inteso trasferire alle
donne la giusta idea della complessita’ delle loro aspettative, e allo stesso tempo mettere nelle
loro mani informazioni preziose da condividere con il proprio contesto familiare, al fine di
tradurre in realta’ del loro “sogno imprenditoriale”.
Nel ciclo di incontri le donne sono state sollecitate a confrontarsi con i mille aspetti inerenti
la gestione di un’impresa:
• la definzione del prodotto e del servizio,
• l’individuazione degli aspetti di qualita’ e di innovazione dell’offerta,
• la conoscenza del territorio e dei concorrenti,
• la scelta dei target di clienti,
• le proposte pubblicitarie,
• i fornitori,
• le leggi di settore,
• la contabilita’,
• e tanto altro ancora.
Ed al termine del ciclo formativo le donne hanno redatto i documenti relativi ad un proprio,
specifico “bussines plan”.
In conclusione, si può affermare che il progetto ha testimoniato l'esistenza due importanti
prospettive nell'affrontare l'autoimprenditorialità per donne straniere:
a) che fare impresa significa esserci come famiglia. La donna cerca nel proprio impegno
lavorativo di affrancare per se stessa un nuovo ruolo nel contesto familiare e nella
crescita dei figli, ma allo stesso tempo scopre che la famiglia e’ chiamata a
partecipare alla sua scommessa;
b) fare impresa al femminile significa irrorare la societa’ di iniziative con un forte
significato di coesione sociale, di tessuto sociale solidale. Le idee imprenditoriali
proposte dai due gruppi di donne non sono volte esclusivamente alla ricerca del
profitto, ma si propongono di esserci nella societa’ per dare risposta a nuovi bisogni
di relazioni positive.
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8. PROGETTO:
Il “DISTRETTO FAMIGLIA”
A partire dal 2010 la Consigliera di Parità ha iniziato una fruttuosa collaborazione con il
“Progetto Speciale per il coordinamento delle politiche familiari e di sostegno alla natalità”,
posto in capo al dott. Luciano Malfer.
Si tratta di una “dimensione strategica”, circoscritta ad un determinato territorio non
predefinito, all’interno della quale si mettono in rete le Istituzioni locali, gli operatori
pubblici, i soggetti privati profit e non profit, le famiglie, e tutti coloro che intendono
impegnarsi per dare il proprio contributo per il benessere della famiglia, riconosciuta come
risorsa che unisce e dà senso alla comunità, come ambito privilegiato che rafforza la coesione
nella società e crea capitale sociale.
Questo percorso rappresenta uno sviluppo ulteriore di quanto già attivato ed attuato in
Trentino in questi ultimi anni per qualificare il territorio “Amico della famiglia”, ovvero un
territorio accogliente ed attrattivo per le famiglie e per i soggetti che interagiscono con esse;
un territorio capace di connettere le politiche familiari con quelle orientate allo sviluppo
economico e culturale, in grado dunque di offrire servizi ed interventi qualitativamente
aderenti alle esigenze ed alle aspettative delle famiglie residenti ed ospiti.
In tale contesto, il lavoro è stato riconosciuto quale aspetto determinate per il benessere
familiare; la conciliazione dei tempi e la condivisione dei ruoli fra partners, quali elementi
decisivi per garantire stabilità alla famiglia, programmazione futura, serenità e tutela della
stessa dal rischio povertà.
Il progetto “Distretto famiglia” riconosce, dunque, che la relazione tra famiglia e lavoro è
fondamentale sia per la qualità del lavoro che per la qualità della vita e per il benessere dei
singoli individui, del nucleo familiare, della società nel suo complesso; conseguentemente,
che impegnarsi per la conciliazione fra tempi di lavoro e non-lavoro impone un’ottica di
corresponsabilità e di condivisione di obiettivi fra tutti gli attori del sistema. E' quindi
necessario “fare sistema”: bisogna che istituzioni, servizi pubblici, famiglie, imprenditori,
associazioni di categoria, sindacati, si mettano attorno ad un tavolo per individuare e
verificare se siano attuabili e generalizzabili modalità organizzative più family friendly, e con
quali condizioni normative, con quali regole, con quali supporti, con quale cultura di
riferimento.
A questo scopo, è necessario intervenire sul sistema dei servizi, e sull'organizzazione
d'impresa; sui tempi del territorio e sulla relazione fra partners; sulle politiche pubbliche e le
iniziative imprenditoriali private. E' necessario attivare laboratori territoriali ed innovare i
modelli organizzativi; riorientare i servizi erogati dai soggetti pubblci e da quelli privati.
Il “Distretto famiglia” intende dunque procedere verso questi obiettivi con nuovi interventi
frutto della collaborazione di sistema, al fine di dare risposte sempre più appropriate al
singolo bisogno espresso dalla famiglia, arricchendo, sperimentando e sostenendo il ventaglio
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già piuttosto ricco ed articolato di servizi, incentivi alle famiglie ed iniziative organizzate
anche dal privato-sociale e dagli operatori economici (asili-nido, scuole materne, tagesmutter,
colonie estive, voucher, sostegni economici, modelli gestionali innovativi, processi di
riorganizzazione della produzione e del lavoro, ecc.).
Negli “Accordi volontari di Area”, ad oggi sottoscritti, la Consigliera di Parità si è impegnata
a:
1. incoraggiare e sostenere azione svolte a favorire l’occupazione, con particolare
riguardo per quella femminile, ed a contrastare ogni possibile forma di
discriminazione tra uomini e donne nei contesti di lavoro e professionali promuovendo
l’adesione all’accordi di altre parti interessare oltre alle prime firmatarie;
2. favorire la realizzazione di progetti finalizzati a conciliare tempi di lavoro e tempi di
vita, ed a valorizzare i talenti e le capacità espressi dalla componente femminile nel
mercato del lavoro;
3. operare costantemente al fianco della famiglie e degli attori locali, istituzionali ed
economici, per favorire la messa in comune di idee ed obiettivi, di responsabilità e di
risorse, a sostegno ed a vantaggio della donna madre e lavoratrice, della famiglia nel
suo complesso e dell’intera comunità di riferimento;
4. promuovere sul territorio la comunicazione sulle finalità, sugli obiettivi e sugli attori
che aderiscono al distretto famiglia secondo le modalità ed i tempi che saranno definiti
dal gruppo di lavoro;
5. partecipare all’attività promossa dai gruppo di lavoro di cui all’art. 4 del presente
accordo finalizzato alla predisposizione del Programma di lavoro dell’accordo di area;
6. promuovere tutte le attività necessarie per diffondere tutte le opportunità oggi già
esistenti sulla tematica della conciliazione famiglia-lavoro.
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9. PROGETTO di INFORMAZIONE:
LE PUBBLICAZIONI A CURA DELLA CONSIGLIERA DI PARITÀ
LO STALKING.
Caratteristiche del fenomeno e strumenti di tutela.
Al fine di sensibilizzare la collettività sulle “questioni di genere” ed in particolare
sull'esigenza economica e sociale che aumenti il tasso di occupazione femminile, in ossequio
al principio di uguaglianza ma anche per necessità legate al sostegno del reddito delle
famiglie e della società nel suo complesso, la Consigliera di Parità ha proceduto alla
pubblicazione di 5 “volumi” inerenti ad altrettanti argomenti di specifico interesse rispetto a
quanto indicato: rispettivamente, sul lavoro femminile e le discriminazioni di genere (nel
2006); sulle azioni positive per eliminare le disuguaglianze di genere nel rapporto di lavoro
con riferimento specifico al Rapporto biennale delle imprese sulla situazione del personale
(nel 2007); sugli strumenti di tutela della maternità nei diversi ambiti professionali (nel 2008);
su come difendersi dagli atti persecutori -di cui sono vittime principalmente le donne, e pure
nel contesto lavorativo-professionale-, c.d. “Vademecum Anti-Stalking” (nel 2009); sulla
condizione dei detenuti, con una particolare attenzione al versante femminile, nell'ottica del
loro recupero sociale e reinserimento lavorativo, “Codice a sbarre. Bagaglio minimo dentro e
fuori la realtà carceraria” (2010); e sullo Stalking come condotta persecutoria frequentemente
attuata anche in occasione del rapporto di lavoro, con la presentazione della giurisprudenza
più significativa pronunciatasi al riguardo nei due anni dall'entrata in vigore del reato (2011).
Il primo volume, intitolato “INFORMAZIONI e DISCRIMINAZIONI DI GENERE”
intende ribadire, anzitutto, che il “lavoro delle donne” non è solo una questione di
“uguaglianza costituzionale”, ma una necessità socio-economica atta a sostenere lo sviluppo
del nostro Paese e del nostro specifico territorio.
Il mercato del lavoro trentino, e italiano, è anche, e sempre più, una “questione di genere”,
che richiede politiche di parità e di pari opportunità, perchè seppur in crescita, non lo è in
egual misura per donne e per uomini: permangono, per le prime, difficoltà di accesso,
differenze salariali, ostacoli alla carriera, trattamenti peggiorativi nelle condizioni di lavoro.
Per far fronte a tale situazione il sistema italiano, in conformità alle direttive dell'Unione
Europea, prevede una serie di strumenti ed organismi di parità e di pari opportunità volti al
sostegno ed alla promozione dell'occupazione femminile e delle politiche di pari opportunità,
ed alla repressione delle discriminazioni di genere.
In particolare, la figura del/la Consigliere/a di Parità appare strategica a questi fini, grazie alla
sua articolazione territoriale (nazionale, regionale e provinciale), che la rende idonea a
rilevare, nelle differenti realtà territoriali e nei diversi contesti lavorativi, le situazioni di
squilibrio di genere nell'accesso al lavoro, nello svolgimento del rapporto, e nelle condizioni
professionali in generale, ed a inserirsi efficacemente nel processo di decentramento in atto
dei compiti relativi al collocamento ed alla politica attiva del lavoro.
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Si tratta però di una figura e di un ruolo tuttora non universalmente noti; carenze di
informazioni che possono generare carenze di reazioni, individuali – della singola vittima
delle discriminazioni – e collettive – del “gruppo” coinvolto nei casi di discriminazioni di
carattere sistemico-, e di azioni dello/a stesso/a Consigliere/a, anche in sinergia con gli altri
attori del territorio a ciò preposti – Assessorato alle Pari Opportunità, Commissione per le
Pari Opportunità fra Uomini e Donne, Comitati ed Associazioni.
Per queste ragioni la Consigliera di Parità ha ritenuto opportuno organizzare, e pubblicare i
risultati, dell'iniziativa “inFormAzioni e discriminAzioni di genere”, costituita da due
Convegni, il primo dei quali dal titolo“La Consigliera di Parità e le pari opportunità nel
mondo del lavoro” ed il secondo “Dalle discriminazioni di genere alle discriminazioni
multiple”, aventi l'obiettivo di favorire la conoscibilità della figura e delle funzioni del/la
Consigliere/a di Parità e degli strumenti ed iniziative volte a combattere le discriminazioni,
siano esse individuali o collettive, dirette o indirette, di “genere” o multiple, affinchè la nostra
società offra realmente le stesse opportunità a uomini e donne nel mondo del lavoro.
Il secondo volume, intitolato “IL RAPPORTO SULLA SITUAZIONE
OCCUPAZIONALE NELLE IMPRESE MEDIO-GRANDI DELLA PROVINCIA
AUTONOMA DI TRENTO” vuole indagare la composizione degli organici delle aziende
trentine al fine di rilevare eventuali fenomeni di discriminazione di genere e procedere alla
loro repressione.
Al riguardo, la legge contempla espressamente, nell'ambito delle funzioni della Consigliera di
Parità, la rilevazione delle situazioni di squilibrio di genere, abilitandola a «richiedere alle
Direzioni provinciali e regionali del lavoro di acquisire nei luoghi di lavoro informazioni
sulla situazione occupazionale maschile e femminile, in ordine allo stato delle assunzioni,
formazione e promozione professionale, delle retribuzioni, delle condizioni di lavoro, della
cessazione del rapporto di lavoro. Ed ogni altro elemento utile, anche in base a specifici
criteri di rilevazione indicati nella richiesta». Si tratta, ad ogni evidenza, di informazioni
acquisibili anche in base al Rapporto sulla situazione del personale di cui all'art. 9, legge n.
125/1991 (ora art. 46, d. lgs. 198/06), costituisce uno strumento strategico di
antidiscriminazione, volto com'è a dare una prima forma di attuazione alle finalità previste
dalla normativa antidiscriminatoria vigente, ossia il perseguimento dell'uguaglianza
sostanziale fra i generi nel contesto lavorativo e la promozione delle pari opportunità,
mediante azioni mirate nelle diverse unità produttive ad eliminare gli ostacoli che si
frappongono alla partecipazione delle donne al mercato del lavoro in condizioni di parità con
gli uomini.
Infatti, ai sensi dell'art. 9 citato, le imprese con più di cento dipendenti sono obbligate a
predisporre, con cadenza almeno biennale, un Rapporto sulla situazione del personale,
maschile e femminile, che indichi, attraverso dati disaggregati per sesso, la loro situazione
occupazionale in relazione allo stato delle assunzioni, della formazione e della promozione
professionale, dei livelli di inquadramento e retributivi, sia in senso statico che dinamico
(passaggi di categoria o di qualifica, trasformazioni di contratti a termine in contratti a tempo
indeterminato, ecc.), delle procedure di intervento della cassa integrazione guadagni (c.i.g),
dei licenziamenti e di altre forme di cessazione del rapporto di lavoro.
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L’esigenza di monitorare tali fenomeni si riallaccia alla necessità di favorire l’eguaglianza
non solo formale ma anche sostanziale fra uomini e donne, sollecitata in campo internazionale
ed europeo mediante l’indicazione dell’obiettivo della parità fra i sessi come obiettivo
fondamentale dell’UE e quello dell'aumento dell'occupazione femminile come uno degli assi
portanti delle linee strategiche definite a Lisbona, essenziale per lo sviluppo socio-economico
nell'attuale mercato “globalizzato”.
In tale contesto, il Rapporto biennale sulla situazione del personale costituisce uno strumento
strategico per la promozione delle pari opportunità secondo le finalità individuate dall’art. 1, l.
n. 125/91, identificabili principalmente nell’aumento dell’occupazione femminile, mediante
l’eliminazione delle disparità di fatto di cui le donne sono oggetto nella formazione
professionale, nell’accesso al lavoro, nella progressione di carriera, e più in generale nella vita
lavorativa; ma anche mediante la modifica delle condizioni di lavoro e di organizzazione e
distribuzione del medesimo, che provocano effetti diversi tra uomini e donne anche in
relazione all'accesso al lavoro o al trattamento economico e normativo; ed altresì, mediante la
promozione dell’inserimento delle donne nei settori e nei livelli nei quali sono
sottorappresentate. Un ulteriore obiettivo è quello di favorire la condivisione dei ruoli
familiari e le connesse responsabilità, attraverso la promozione di strumenti di conciliazione
anche innovativi, che comportino una diversa organizzazione dell'attività produttiva e degli
orari.
In effetti il Rapporto ha lo scopo di porre in evidenza, mediante la comparazione tra la
situazione dell’occupazione femminile rispetto a quella maschile in un determinato
ambito/contesto economico-territoriale, l’andamento della medesima ed i c.d. fenomeni di
“segregazione” orizzontale e verticale, ovvero la concentrazione dell’occupazione femminile
in determinati settori oppure in determinate qualifiche o categorie professionali, che
coincidono spesso con quelle meno remunerate o con minori possibilità di carriera.
I dati forniti possono inoltre rendere visibile la minor propensione da parte dei datori di lavoro
verso l’assunzione di personale femminile e verso l’investimento del medesimo nella
formazione ed aggiornamento professionale, sollecitando, sul versante più generale di politica
di welfare o di politica occupazionale, le istituzioni pubbliche a calibrare interventi che
rispondano nel modo più appropriato al perseguimento degli obiettivi di pari opportunità e di
incremento occupazionale di genere, (secondo i noti esempi relativi agli incentivi in materia
di orari di lavoro flessibile, all’introduzione di servizi di assistenza ai figli delle donne
occupate, o ancora alle scelte in materia di formazione professionale), e, sul versante più
specifico della realtà locale, il singolo datore di lavoro ad individuare le strategie più
opportune nel contesto della propria azienda per favorire il riequilibrio fra i generi come
obiettivo di uguaglianza sostanziale.
Per dare attuazione a questi intenti il primo passo deve essere di natura conoscitiva, volto ad
una rilevazione della presenza femminile e degli squilibri di genere nei diversi ambiti
considerati. In tal senso il rapporto configura un primo momento di analisi della situazione in
atto nei contesti produttivi, che può richiedere altre successive verifiche cui sono preordinate,
fra l'altro, le ulteriori prerogative riconosciute alla Consigliera di parità. L’evidenza statistica
ha infatti un valore innegabile, sol che si pensi che i piani di promozione delle pari
opportunità sono stati sovente elaborati proprio a partire dalla constatazione di una situazione
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di disparità sostanziale a danno del personale femminile.
Sulla base del dato conoscitivo possono poi essere ricercate le cause, anche indirette, che
hanno generato gli squilibri riscontrati; si può trattare di criteri “di fatto” nella gestione del
personale, come l’attribuzione alle lavoratrici di determinate mansioni a contenuto meno
professionalizzante, oppure di criteri formali incorporati nelle procedure di selezione o di
valutazione del personale.
In esito a tali indagini, possono infine essere progettati interventi appropriati per conseguire
una più equa distribuzione occupazionale fra i generi nei vari settori e livelli di
inquadramento.
Attesi i suoi obiettivi di rango costituzionale, la predisposizione del Rapporto costituisce un
obbligo di legge per le aziende che occupano oltre cento dipendenti, la cui violazione
comporta l'irrogazione di sanzioni pecuniarie e, nei casi più gravi, la sospensione per un anno
dei benefici contributivi goduti eventualmente dall’azienda.
Tali sanzioni sono dotate di una certa efficacia deterrente, considerato che molte aziende
hanno alle proprie dipendenze lavoratori assunti con tipologie contrattuali che prevedono
sgravi contributivi.
Ciononostante, molti soggetti responsabili della gestione del personale nelle aziende
considerate sono al corrente in modo ancora piuttosto vago del contenuto della legislazione in
materia di pari opportunità ed azioni positive, così come del ruolo della Consigliera di parità,
e dunque la dovuta compilazione del Rapporto, se non sconosciuta, suscita comunque
resistenza e persino qualche aperto rifiuto. Parimenti poco chiare, laddove note, sono le
modalità corrette di compilazione del modulo, o le informazioni da rendere nelle diverse
caselle.
A tali motivi è ascrivibile il perdurante non soddisfacente adempimento da parte delle aziende
trentine di medio - grandi dimensioni, oppure l’incompletezza che caratterizza comunque
molti dei Rapporti pur presentati.
Infatti, in base ai Rapporti compilati in quest'ultimo decennio, è possibile affermare che
mentre, generalmente, le Tabelle nn. 1, 3, e 6 sono complete (ossia quelle relative alle
informazioni generali sull’azienda, all’attività economica esercitata, e ai contratti collettivi
applicati; ai dati dei dipendenti occupati complessivamente nella Provincia di Trento, nonché
alle “entrate” e alle “uscite” complessive nel biennio; ed infine alle assunzioni, trasferimenti o
cessazioni o trasformazioni contrattuali, distinti per categoria professionale), le Tabelle n. 2,
4, 5, 7 e 8 (ovvero inerenti ai dati disaggregati degli occupati distinti per ciascuna unità
produttiva, alle assunzioni ed alle promozioni per categoria professionale, al tipo di contratto
di assunzione, nonché alla formazione professionale ed alla retribuzione) vengono compilate
solo parzialmente, se non per nulla.
Allo scopo di agevolare una maggiore e corretta osservanza del disposto normativo, al duplice
fine, da un lato, di perseguire gli scopi già richiamati di lotta alle discriminazioni, favorendo
pari opportunità di genere nel lavoro, e, su altro versante, di limitare quanto possibile il
ricorso all'apparato sanzionatorio in pregiudizio alle imprese inadempienti, la Consigliera di
Parità, in collaborazione con l'Assessorato alle Pari Opportunità e con l'Agenzia del Lavoro –
Osservatorio del Mercato del lavoro, ha ritenuto di predisporre il volume “Il Rapporto sulla
situazione occupazionale nelle imprese medio-grandi della Provincia Autonoma di
50
Trento - Guida alla compilazione”, quale strumento utile nella comprensione e
identificazione dei dati e del contenuto di ciascuna Tabella del Rapporto, intendendo
agevolarne così la predisposizione.
Il terzo volume, intitolato “LA TUTELA DELLA MATERNITA’. DIFFERENZE DI
TRATTAMENTO TRA LE DONNE LAVORATRICI” mira a proporre una riflessione sul
tema della tutela e del sostegno economico della maternità, cercando di far luce sulle
differenze esistenti tra le donne occupate in Trentino rispetto alle disposizioni per il sostegno
della maternità definite dalla legislazione, dalla contrattazione collettiva, dalle Associazioni di
Categoria., dagli Ordini professionali, sollecitando la loro implementazione.
Per accrescere il tasso di occupazione delle donne sono necessari interventi che favoriscano il
loro inserimento e la loro permanenza all’interno del mercato del lavoro, e per raggiungere
tale risultato è importante non solo la legislazione in materia di lavoro, ma anche le
disposizioni normative per la tutela della maternità,; ciò, a propria volta, impone
l'individuazione di strumenti che agevolino la conciliazione dei tempi di cura con i tempi di
lavoro, favorendo il mantenimento reale ed effettivo del posto di lavoro, del tipo di mansioni
svolte e della correlata retribuzione.
Per le madri è tuttora particolarmente “complicato” armonizzare i tempi di vita con quelli del
lavoro, soprattutto nei primi anni di vita del bambino. Sono numerose le ricerche che
documentano le difficoltà incontrate dalle donne in Italia nel conciliare le esigenze di vita
familiare con tempi e modalità organizzative proprie del mondo della produzione. Non
sorprende, pertanto, che la maternità in Italia continui ad essere il principale motivo di
abbandono del lavoro da parte delle donne, il fattore primario che determina lo scivolamento
verso l’inattività (o il sommerso), e la principale fonte di discriminazione sui luoghi di lavoro.
Troppo spesso si assiste, infatti, alla fuoriuscita delle lavoratrici-madri dal mercato del lavoro
a causa dell'insostenibilità dei ritmi e delle condizioni concrete della loro occupazione, dovuti
ad una disciplina che tutela la maternità tuttora non soddisfacente dal punto di vista
dell'effettività e/o dell'efficacia.
Il volume ha indagato tale disciplina, costituita non soltanto dal complesso delle disposizioni
legislative attualmente in vigore, ma anche e soprattutto da quanto statuito dai contratti
collettivi che, ai diversi livelli e nei diversi settori, sono chiamati ad integrare in senso
migliorativo quanto statuito ex lege.
In tale contesto non va poi dimenticato l'importante ruolo delle Associazioni di Categoria in
relazione a quell'insieme di professioni ed ambiti, di carattere autonomo, che sfugge alla
disciplina contrattuale.
L'indagine si è appalesata particolarmente utile, in considerazione del fatto che sono poco
indagate, e quindi poco note, le differenze esistenti in Italia nel sistema delle tutele, anche
economiche, della maternità e le conseguenti disparità di trattamento.
Infatti, sebbene nel nostro Paese vi sia una normativa all'avanguardia in tema di protezione
della lavoratrice madre, va tuttavia sottolineato che essa si differenzia in base allo status
occupazionale della medesima: lavoro autonomo, rapporti di lavoro “parasubordinato”,
contratti “atipici”, si discostano significativamente dal rapporto di lavoro “standard”, a tempo
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pieno ed indeterminato, facendo sì che donne che svolgono lavori simili dal punto di vista del
contenuto professionale, spesso godono di un diverso tipo di trattamento in termini di tutele,
potendo fruire di disposizioni più o meno “forti”, effettive, efficaci e/o coercibili, sulla base
della diversa natura del contratto che regola il rapporto o del tipo di prestazione professionale.
Ma le differenze significative sussistono non soltanto fra chi fruisce di un rapporto di lavoro
autonomo e chi, invece, di uno subordinato, ma anche fra chi è impiegato nel settore pubblico
e chi in quello privato e, nell'ambito del lavoro alle dipendenze, fra chi è protetto da un certo
contratto collettivo, e chi da un altro, di diverso settore merceologico.
La ricerca, che si è focalizzata sui contesti lavorativi più rilevanti dal punto di vista
dell'occupazione delle donne nella provincia di Trento, intende dunque proporre una lettura
ragionata delle differenze esistenti nei diversi profili circa il trattamento normativo ed
economico della maternità, sulla base della esemplificazione di un insieme di posizioni
occupazionali specifiche individuate in forza di alcune variabili di rilievo, al fine di mettere a
fuoco gli aspetti problematici e le criticità maggiormente significative, e di poter individuare
possibili aree di intervento, anche a livello di contrattazione collettiva decentrata
territoriale/locale.
Il lavoro appare di particolare pregio anche per il fatto che dà atto dell'evoluzione normativa
più recente sulla tematica della maternità, tenendo presente l'applicazione concreta delle
disposizioni di riforma del mercato del lavoro a partire dal d. lgs. 276/03, e, specificamente,
del contratto di collaborazione “a progetto”.
Il volume si conclude con una serie di “schede” di sintesi volte ad evidenziare con
immediatezza le disparità di trattamento ed i riflessi in termini economici tra i casi specifici
analizzati.
Il quarto volume, intitolato “VADEMECUM ANTI-STALKING: COME DIFENDERSI
DAGLI ATTI PERSECUTORI” mira a consentire la diffusa conoscenza del fenomeno e
della normativa di riferimento nella convinzione che disporre di uno strumento che agevoli
nell'identificazione dello stalking e che suggerisca cosa fare, ora e come, possa aiutare
ciascuno a difendere la propria persona ed a restare padrone della propria vita!
Gli “atti persecutori” (stalking), infatti, sono comportamenti indesiderati, molesti e persistenti,
con i quali una persona (lo stalker) ne perseguita un’altra (la vittima) cercando ripetutamente
dei contatti, invadendo pesantemente la sua vita privata e provocando, con atteggiamenti
aggressivi o falsamente benevoli, disagio e paura.
Si tratta di condotte che non devono essere sottovalutate perché spesso costituiscono
l'anticamera di episodi gravi di violenza.
Va ricordato, al proposito, che una recente ricerca dell'Osservatorio Nazionale sullo Stalking
evidenzia che negli ultimi 8 anni il 20% degli italiani (la maggioranza dei quali donne) sono
stati vittime di atti persecutori. Anche l' “Indagine Multiscopo sulla sicurezza delle donne”
condotta nel 2007 in Italia dall'Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT, 2007) ha rilevato che
gli atti persecutori colpiscono ogni anno oltre 2 milioni di donne e si riferiscono ad episodi
messi in atto principalmente da ex-partner: mariti/mogli, conviventi, fidanzati/e (seppur
possano essere commessi anche da conoscenti, colleghi, o estranei).
Allo scopo di combattere con decisione questo fenomeno, che nell'ultimo decennio è emerso
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in tutta la sua gravità e complessità, il nostro Paese si è dotato, lo scorso 23 aprile 2009, della
legge n. 38, che punisce come reato gli “atti persecutori” (stalking, dall'inglese to stalk, fare la
posta, inseguire, cacciare).
Accanto alle norme penalistiche, esistono peraltro anche misure di tipo civilistico, quali ad
esempio ingiunzioni o ordini di protezione, che vietano allo stalker di avvicinarsi alla vittima,
oltre che forme di protezione specifiche per gli atti persecutori posti in essere nel rapporto di
lavoro; salva, in ogni caso, la possibilità di ottenere il risarcimento dei danni.
Proprio al fine di consentire alle vittime di reagire, è apparso utile e doveroso alla Consigliera
di Parità introdurre uno strumento che consenta la diffusa conoscenza del fenomeno e della
normativa di riferimento, degli strumenti di tutela e dei soggetti e servizi a cui rivolgersi sul
territorio per ottenere aiuto.
Così la brochure spiega che lo stalker, molestatore assillante, realizza condotte moleste e/o
violente, progressivamente sempre più gravi con un aumento del rischio per la vittima in caso
di abuso di sostanze stupefacenti o alcooliche, ovvero se presenta un disturbo della personalità
o se vi è stata in precedenza una relazione intima con la vittima. In particolare, quest'ultima
condizione favorisce le minacce e porta a gesti aggressivi e pericolosi a causa della sua
familiarità con la quotidianità della vittima e per la condivisione di reazioni emotive più
intense.
L'opuscolo sottolinea, inoltre, che spesso lo stalker ha una storia di vita molto problematica,
caratterizzata di sovente da una famiglia originaria violenta, o da taluno dei familiari affetto
da disturbi mentali, o da devianze comportamentali, o ancora facente abuso di droghe; e
riporta gli esiti degli studi scientifici in materia, che hanno distinto gli stalkers in 5 tipologie:
-
il “risentito”: ex partner rancoroso, che desidera vendicarsi per essere stato lasciato per
motivi da lui ritenuti ingiusti;
-
il “bisognoso d’affetto”: soggetto motivato dalla ricerca di amicizia, affetto o amore,
agisce con insistenza nel tentativo di instaurare una relazione affettiva con la vittima,
soprattutto nell’ambito di rapporti professionali particolarmente stretti, quali pazientepsicoterapeuta o cliente-avvocato (help profession);
-
il “corteggiatore incompetente”: soggetto con forti difficoltà relazionali, che, con
l'intenzione di corteggiare una persona, finisce per essere invadente, fastidioso,
ossessivo ed opprimente;
-
il “respinto”: persona rifiutata che attua comportamenti persecutori a causa del rifiuto
subito, ed ha due obiettivi: da un lato, stabilire o ristabilire la relazione con la vittima,
dall'altro vendicarsi per l'abbandono subito; diventa un vero e proprio persecutore.
Rientra in questa tipologia l'80% dei casi di stalking.
-
il “predatore”: è il tipo di stalker più temibile e pericoloso; ha una mente
profondamente sconvolta e presenta gravi disturbi nella sfera sessuale. Ambisce ad
esercitare il suo potere fisico sulla vittima con lo scopo di avere rapporti sessuali, e
trova eccitazione nel pianificare la caccia alla preda, preparando lucidamente
l'agguato, assoggettando la vittima ad un persistente stato di paura.
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Ancora, la Guida in esame chiarisce le modalità con cui solitamente agisce lo stalker,
evidenziando che egli:
- attende la sua vittima sotto casa, o nei luoghi che la vittima frequenta abitualmente o
sul posto di lavoro, cercando di avvicinarla insistentemente ed in ogni modo;
- la segue per strada, la spia, la sorveglia, le scatta fotografie di nascosto;
- le telefona in continuazione, anche di notte, spesso senza parlare;
- le lascia continui messaggi sulla segreteria telefonica;
- la tempesta di sms, mms, e-mail, fax, di giorno e di notte;
- la molesta via internet (Cyberstalking);
- le fa trovare propri bigliettini, scritte, lettere, o perfino graffiti e murales, a casa, nelle
giacca o nel cappotto, sul parabrezza dell’auto, sul posto di lavoro o nei luoghi da lei
abitualmente frequentati;
- le fa recapitare oggetti indesiderati, cibo avariato, animali senza vita;
- le fa la “posta” sotto casa, nei pressi del posto di lavoro o nei luoghi da lei
abitualmente frequentati;
- la minaccia e la intimidisce insistentemente, oppure minaccia o intimidisce persone a
lei vicine (colleghi, familiari, amici, figli, genitori);
- compie atti di danneggiamento e vandalismo sulle sue cose (automobile, cassetta della
posta, giardino, cancello, porta di casa, ecc.).
Particolarmente interessante appare poi la parte dedicata al c.d. “Decalogo anti-stalking”, che
raccoglie utili indicazioni su come difendersi dalle persecuzioni, precisando che per evitare di
divenire “vittima” dello stalker, è bene che ogni persona:
1. cerchi di conoscere realmente la persona depositaria dei propri sentimenti amorosi;
2. mantenga la riservatezza dei propri dati (indirizzo, cellulare, mail, carte e servizi,
frequentazioni, lavoro...) in ragione del livello di confidenza che vuole dare alla
relazione intrapresa;
3. in presenza di azioni insistenti, non desiderate e minacciose, esprima apertamente e
chiaramente il proprio dissenso e mantenga con il molestatore un atteggiamento
emotivamente freddo, formale e distaccato;
4. annoti e conservi possibili elementi di prova (contatti, minacce scritte o verbali, numeri
di telefono, sms, registrazioni telefoniche, oppure biglietti, lettere, mail e regali
indesiderati);
5. attivi una serie di accorgimenti con i quali rispondere drasticamente alla ricerca di
contatto da parte dello stalker, fra i quali la modifica, almeno parziale, delle abitudini di
vita, alternando orari, luoghi e tragitti; la protezione costante dei propri dati personali;
6. si muova in auto con attenzione, parcheggiando in luoghi illuminati, non viaggiando da
sola, annotando la targa dei veicoli che la insospettiscono;
7. si doti di una rubrica con alcuni numeri di telefono da chiamare in caso di urgenza e di
un telefono cellulare con funzione di chiamate rapide o vocali;
8. intervenga sulla sicurezza domestica con soluzioni e sistemi di allarme su porte, finestre
e altri accessi;
9. informi delle condotte moleste familiari, amici, colleghi, ed anche i condomini,
invitandoli a non dare alcuna informazione sul proprio conto, segnalando con una
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fotografia il sospetto e chiedendo di chiamare la Polizia in caso di rumori inusuali in
casa;
10. in caso di pericolo si metta a gridare “al fuoco” e non “aiuto”, e, comunque, si rivolga
sempre, tempestivamente, alle Forze dell'Ordine, evitando di precipitarsi a casa propria
o di amici, perchè lo stalker potrebbe “fare la posta”.
Nella parte finale, la pubblicazione riporta le previsioni legislative in merito ed i
provvedimenti/strumenti di repressione, indicando anche i soggetti a cui ci si può rivolgere sul
territorio per chiedere ed ottenere tempestiva tutela.
Il volume del 2010, “CODICE A SBARRE. Bagaglio minimo dentro e fuori la realtà
carceraria” è stata pensato e voluto dalla Consigliera di Parità in diretta e stretta
collaborazione con la Conferenza Regionale Volontariato Giustizia del Trentino Alto Adige,
come uno strumento utile a tutti/e i detenuti/e, ai loro familiari, ai servizi sociali, alle
parrocchie, ai volontari e volontarie, ed a tutti coloro che nella loro vita entrano ed entreranno
in contatto con il mondo penitenziario, a conoscere a fondo quel “mondo” ed i suoi molteplici
aspetti inerenti il periodo della pena e del post-pena, allo scopo di poter offrire consapevole ed
adeguata accoglienza, consulenza o, finanche, possibilità di reinserimento lavorativo. E ciò, a
maggior ragione ora, in considerazione dell'apertura del novo carcere a Trento-nord, Spini di
Gardolo, che ospiterà tutti i detenuti della Provincia, ivi comprese le donne già presenti
nell'Istituto penitenziario di Rovereto.
La guida ha quindi lo scopo di colmare il gap di informazioni che troppo spesso si avverte in
quest'ambito, offrendo al contempo una “mappa territoriale” di tutti i servizi che si occupano
di detenuti/e ed ex-detenuti/e, affinché sia più facile attivarsi e/o attivare i canali giusti per
favorire loro il reperimento di una nuova possibilità occupazionale.
E la suddivisione in sezioni ha lo scopo di facilitare l’accesso alle informazioni anche delle
persone non “addette ai lavori”.
Nella prima sezione viene inquadrato il mondo penitenziario, per comprendere in che contesto
ci si trova ad operare.
La seconda sezione è stata pensata per le persone che indendano impegnarsi nel mondo
penitenziario come volontari, in particolare come assistente volontario in carcere.
Nella terza sezione sono state approfondite tutte le varie fasi processuali e di esecuzione
penale, dunque dall’indagine alla pena, ossia l’iter e le figure professionali in esse coinvolte.
La quarta sezione è invece il frutto del monitoraggio fatto sul territorio, con una lista divisa
per le due province, degli enti che a vario titolo offrono servizi per detenuti/e – ex detenuti/e –
familiari.
La guida rappresenta, quindi, un valido strumento per tutti coloro che intendano mettere a
disposizione se stessi e parte del proprio tempo per aiutare chi subisce, per i motivi più
diversi, un periodo di restrizione della libertà personale.
Appare utile richiamare, al riguardo, alcune disposizioni normative particolarmente rilevanti e
significative per comprendere il ruolo ed il senso del volontariato penitenziario e degli attori
sociali che vi ruotano attorno:
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“Art. 17 Ordinamento Penitenziario”
PARTECIPAZIONE
DELLA
COMUNITÀ
ESTERNA
ALL’AZIONE
RIEDUCATIVA:
La finalità del reinserimento sociale dei condannati e degli internati deve essere perseguita
anche sollecitando e organizzando la partecipazione di privati e di istituzioni o associazioni
pubbliche o private all’azione rieducativa.
Sono ammessi a frequentare gli istituti penitenziari con l’autorizzazione e secondo le direttive
del magistrato di sorveglianza, su parere favorevole del direttore, tutti coloro che, avendo
concreto interesse per l’opera di risocializzazione dei detenuti, dimostrino di poter utilmente
promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera.
“Art. 78 Ordinamento Penitenziario”
ASSISTENTI VOLONTARI:
L’amministrazione penitenziaria può, su proposta del magistrato di sorveglianza, autorizzare
persone idonee all’assistenza e all’educazione a frequentare gli istituti penitenziari allo
scopo di partecipare all’opera rivolta al sostegno morale dei detenuti e degli internati, e al
futuro reinserimento nella vita sociale.
Gli assistenti volontari possono cooperare nelle attività culturali e ricreative dell’istituto
sotto la guida del direttore, il quale ne coordina l’azione con quella di tutto il personale
addetto al trattamento.
Gli assistenti volontari possono collaborare coi centri di servizio sociale per l’affidamento in
prova, per il regime di semilibertà e per l’assistenza ai dimessi e alle loro famiglie.
“Art. 27 Costituzione Italiana”:
La responsabilità penale è personale.
L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva.
Le pene non possono consistere in pene contrarie al senso di umanità e devono tendere alla
rieducazione del condannato.
Dunque, in base alle citate disposizioni normative il volontariato penitenziario, ed il
volontariato in generale, assume un ruolo importante ai fini del reinserimento sociale e
lavorativo dei/le detenuti/e o ex detenuti/e.
La presenza del volontariato in carcere è infatti prevista dagli indicati artt. 17 e 78
dell’Ordinamento Penitenziario (legge 354/75) e specificata dagli art. 68 e 120 del D.P.R.
320/2000, “Regolamento sull’ordinamento penitenziario”. Questi articoli prevedono la
partecipazione di assistenti volontari alle attività che hanno come “finalità il reinserimento
sociale dei condannati e degli internati e all’opera rivolta al sostegno morale dei detenuti e
degli internati e al futuro reinserimento nella vita sociale” (art. 78).
Il volontariato passa, quindi, da un ruolo assistenziale ad un ruolo più attivo: gli viene
riconosciuto il compito di cooperare al reinserimento sociale previsto dall’art. 27 della
Costituzione, un ruolo che, quindi, non è di supplenza e neppure di sostegno a ciò che non
funziona nel sistema carcerario. Il volontariato penitenziario viene così ad agire in un’ottica
più ampia e finalizzata, che si colloca nella linea della legge quadro n. 266 del ’91, che
riconosce al volontariato organizzato un ruolo attivo di partecipazione e stimolo alle
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istituzioni e agli enti pubblici, in particolare svolgendo all'interno del carcere le seguenti
funzioni:
- instaurare un rapporto col detenuto che miri a dargli un sostegno morale (e non solo)
immediato, ma che lo aiuti anche a ricucire lo strappo con la società che si è creato
con il reato e poi con la reclusione;
- fare da ponte fra ambiente interno ed esterno al carcere, rompendo la separatezza che
caratterizza la vita carceraria, con lo scopo di preparare il detenuto al reinserimento
alla fine della pena;
- promuovere il reinserimento sociale dei detenuti anche attraverso la sensibilizzazione
dell’opinione pubblica.
Il presente vademecum, dunque, intende essere un valido aiuto per capire il pianeta carcere e
la sua complessità, e per favorire la conoscenza degli strumenti, delle possibilità e degli attori
che possono giocare un ruolo significativo nel reinserimento positivo dei/le detenuti/e nella
vita lavorativa e sociale della nostra comunità.
Il “manuale” del 2011, intitolato “Lo Stalking. Caratteristiche del fenomeno e strumenti
di tutela”, ha inteso affrontare il fenomeno dello stalking, al fine di agevolarne la
comprensione e l'identificazione, di suggerire adeguate tecniche di prevenzione e di tutela,
nonché di contribuire allo sviluppo di un effettivo sistema integrato di protezione degli
individui, principalmente donne, vittime di questa odiosa forma di violenza.
Il Volume si caratterizza, in particolare, per l'approccio multidisciplinare e l'appendice
giurisprudenziale, con l'illustrazione della giurisprudenza più significativa pronunciatasi al
riguardo nei due anni dall'entrata in vigore del reato (2009-2011).
Per la sua attitudine a pregiudicare seriamente l’integrità psico-fisica delle persone che lo
subiscono, il fenomeno dello stalking non deve infatti essere sottovalutato, e per la sua
complessità, esso richiede un approccio che tenga in adeguata considerazione sia le
caratteristiche psicologiche-criminologiche del suo autore, sia il contesto (solitamente una
relazione-affettivo morbosa) da cui scaturisce.
Il volume trae spunto dal Convegno “LO STALKING. Comportamenti persecutori e
strumenti di tutela”, tenutosi a Trento il 5 marzo 2009 ed organizzato dalla Consigliera di
Parità della Provincia Autonoma di Trento.
*** *** ***
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10. PROGETTO di FORMAZIONE:
“INCONTRI SUL TERRITORIO PROVINCIALE”
Per adempiere compiutamente al proprio mandato la Consigliera di Parità ha proseguito
nell’azione comunicativa rivolta alle lavoratrici e ai lavoratori, già intrapresa sin dal gennaio
2006, attraverso una serie di incontri di informazione e formazione sul territorio provinciale.
Nello specifico, infatti, il c.d. “Codice delle Pari Opportunità” (d. lgs. 198/2006), prevede
all'art. 15, lett. g), che la Consigliera di Parità intraprenda “ogni utile iniziativa ai fini del
rispetto del principio di non discriminazione e della promozione delle pari opportunità per
lavoratori e lavoratrici” anche tramite “la diffusione della conoscenza e dello scambio di
buone prassi e attività di informazione e formazione culturale sui problemi delle pari
opportunità e sulle varie forme di discriminazione”.
L'attività è dunque proseguita anche per l'intero 2011 tramite interventi specialistici ed
Incontri Pubblici nei Comuni di Baselga di Pinè, Arco, Cavalese, Pozza di Fassa, Moena,
Malè, Dimaro, Cles, Rovereto, ed altri territori ancora, ed ha avuto ad oggetto
l'approfondimento di alcune tematiche di particolare rilievo per il rispetto del principio di
uguaglianza e non discriminazione e per la promozione delle pari opportunità di genere nel
contesto lavorativo.
Gli interventi hanno riguardato principalmente:
a) il ruolo e le funzioni della Consigliera di parità (sportello gratuito di consulenza ed
assistenza legale, e promozione di azioni positive per l'incremento dell'occupazione
femminile);
b) la nozione e l'approfondimento del principio di uguaglianza, nell'ottica di parità di
trattamento e pari opportunità di genere;
c) il concetto di “discriminazione di genere” nelle sue molteplici forme: diretta-indiretta,
palese-occulta, individuale-collettiva, e di “discriminazione multipla”, accompagnato
dall'analisi della casistica più ricorrente;
d) la nozione di azione positiva, con l'esemplificazione concreta di strumenti sussumibili nel
suo ambito, come i corsi di formazione, di aggiornamento, o di riqualificazione professionale
rivolti alle donne; le c.d. “quote rosa” nel lavoro ed anche in politica; il “Rapporto biennale
sulla situazione del personale” nelle imprese di medio-grandi dimensioni; la c.d. “clausola di
reversibilità” nel contratto di lavoro a tempo parziale, e così via;
e) l'analisi delle condotte integranti il c.d. “mobbing”, lo “stalking” e le molestie sessuali, e
dei principali riferimenti normativi e giurisprudenziali;
f) l'approfondimento della disciplina a sostegno della maternità e della paternità;
g) l'individuazione dei principali strumenti di conciliazione, dedicando specifica attenzione ai
servizi per la prima infanzia (asili nido) ed agli strumenti di flessibilità dell'orario di lavoro;
h) il c.d. “distretto famiglia”.
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Volendo ora richiamare sommariamente il contenuto di alcune delle summenzionate
tematiche:
- Con riguardo alla nozione di discriminazione di genere e di discriminazione multipla, in
tali incontri sul territorio la Consigliera ha voluto porre in rilievo che:
nel nostro Paese il divieto di discriminazione si è andato costruendo attorno al fattore
“genere”, ossia inizialmente come divieto di discriminazione per ragioni di sesso, ed è stato
concepito come strumento principe per garantire l'eguaglianza (l'eguaglianza formale, in
prima battuta, e l'eguaglianza anche sostanziale in una seconda e più evoluta fase). Ciò sulla
base di una definizione di discriminazione, diretta e indiretta, sufficientemente precisa
quantomeno a partire dagli anni '90:
- sussiste discriminazione diretta quando una persona è trattata in modo pregiudizievole in
ragione del sesso (es.: non ti assumo perchè sei incinta).
c) - sussiste discriminazione indiretta quando una disposizione, un criterio o una prassi
apparentemente neutri pregiudicano in realtà le persone appartenenti ad un genere rispetto
all'altro, e non sono essenziali allo svolgimento dell'attività lavorativa (es.: altezza fisica
come requisito per accedere a determinate professionalità – vigili urbani).
Tale “modello” antidiscriminatorio è stato poi più recentemente utilizzato, appunto come
modello, di fronte alla prepotente emersione di altri fattori potenzialmente discriminatori,
come l'orientamento sessuale, l'etnia, la nazionalità, l'handicap, l'età, la fede religiosa e la
razza, ed anche di fronte al fenomeno delle c.d. “discriminazioni multiple”, che si verifica
quando una persona è discriminata a causa di più caratteristiche individuali che la
contraddistinguono, comportando effetti fortemente pregiudizievoli e lesivi dei suoi diritti e
libertà fondamentali e della sua dignità personale: ad es., genere ed età (non ti assumo perché
sei donna, ed oltretutto hai un'età in cui è facile presumere che avrai dei figli), oppure
handicap ed orientamento sessuale (non ti assumo perché sei parzialmente invalido ed
oltretutto omosessuale), e così via.
Con particolare riferimento alla razza, ad esempio, bisogna ricordare che la 1egge n. 40/98,
poi confluita nel T.U. sull'immigrazione - D.lgs. 286/98-, (modificato ulteriormente da recenti
interventi del legislatore, a partire dalla c.d. Legge Bossi-Fini, n. 189/02) è stata debitrice
delle nozione di discriminazione introdotta dall'art. 4 della 1egge n. 125/91 relativa alle
discriminazioni per ragioni di sesso, anche se tale nozione è stata parzialmente ritoccata per
adattarla al diverso fattore di discriminazione (la razza) ed anche al suo diverso campo di
applicazione, che non è ristretto alle sole condizioni lavorative ed al solo rapporto
interpersonale tra datore di lavoro e lavoratore ma è relativo all'”integrazione sociale” in
senso lato degli extracomunitari.
La definizione di discriminazione per i motivi sopracitati – diversi da quello di genere -, è
perciò più ampia e appunto di portata generale, ed è formulata nel seguente modo: “ogni
comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione,
esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine
nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l'effetto di
distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni
di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico economico,
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sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica”.
Si tratta di una nozione importante, nella quale si individua chiaramente la strumentalità del
divieto di discriminazione rispetto all'obiettivo di garantire i diritti e le libertà fondamentali
della persona.
Il divieto appare assoluto, sia nel senso che in linea di principio nessuna giustificazione può
restringerne la portata, sia nel senso che la discriminazione è condannata ogni qual volta sia
finalizzata alla lesione dei diritti fondamentali o della dignità della persona.
La prima conclusione che si può trarre è dunque che il legislatore ha volutamente utilizzato la
consolidata definizione di “discriminazione di genere” per vietare la discriminazione fondata
su fattori diversi dal sesso, individuati in questo caso nella razza, colore, ascendenza, origine
nazionale o etnica, convinzioni e pratiche religiose.
Il legislatore, cioè, è passato dalle differenze di genere a considerare “altre” differenze che
possono intercorrere tra le persone, e, nel far questo, si è correttamente basato su quanto era
avvenuto nel frattempo a livello comunitario, ove l'U.E. aveva ritenuto che “la
discriminazione basata su religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze
sessuali può pregiudicare il conseguimento degli obiettivi del Trattato CE, in particolare il
raggiungimento di un elevato livello di occupazione e di protezione sociale, il
miglioramento del tenore e della qualità della vita, la coesione economica e sociale, la
solidarietà e la libera circolazione delle persone” (Dir. 2000/78/CE), ed aveva emanato due
provvedimenti di grande rilevanza, cioè la Dir. 2000/43/CE che attua il principio della parità
di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica, e la Dir.
2000/78/CE che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di
occupazione e di condizioni di lavoro.
L'attuazione da parte del nostro ordinamento di queste due direttive comunitarie (2000/43/CE
e 2000/78/CE) ad opera dei d.lgs. nn. 215 e 216 del 2003, rappresenta nel complesso un
significativo passo in avanti sulla via del riconoscimento dei diritti fondamentali della
persona, anzitutto nei luoghi di lavoro, passo in avanti compiuto attraverso l'estensione della
tutela giurisdizionale prevista per le discriminazioni sessuali alle discriminazioni per motivi
di religione, di convinzioni personali, di handicap, di età e di orientamento sessuale, anche se
tuttora permangono molti punti lacunosi ed oscuri.
Da sottolineare, in particolare, che è stata introdotta per la prima volta la definizione legale di
“molestia” quale illecito civile che integra al tempo stesso gli estremi della discriminazione,
comportando la possibilità di attivare tutte le tutele, inibitorie, ripristinatorie e risarcitorie,
tipiche della disciplina antidiscriminatoria. Ed in base a questa definizione si ha “molestia”
ogni qualvolta venga subito dalla vittima un comportamento indesiderato che viola la
sua dignità personale o crea un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante od offensivo
anche per motivi, oltre che di sesso, di razza, origine etnica, religione, handicap, convinzioni
personali, età, incluso espressamente l'orientamento sessuale.
Un'interpretazione convincente di tale disposizione fa propendere per l'estensione dell'ambito
della competenza della Consigliera di Parità anche alle molestie sessuali, proprio in quanto
ora sono configurabili giuridicamente come discriminazioni fondate sul sesso.
*****
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- In relazione al mobbing la Consigliera di Parità ha evidenziato che:
si tratta di un fenomeno particolarmente complesso, il cui termine spesso è abusato per il fatto
che se ne parla senza conoscerne esattamente il contenuto.
Infatti, esso investe una serie di settori, dalla psicologia del lavoro al diritto, dalla medicina
del lavoro alla sociologia, e, al contempo, molteplici branche del diritto stesso, potendo
comportare, come vedremo, danno morale, o biologico, oppure esistenziale; responsabilità di
tipo civile o penale, in capo all'autore della condotta mobizzante, e nell'ambito di quella
civile, una responsabilità di natura contrattuale o extracontrattuale.
L'approfondimento del mobbing dal punto di vista giuridico costituisce una chiave di lettura
fondamentale per l'individuazione delle possibili difese, ossia adeguate contromisure, atteso
che le condotte mobbizzanti arrecano gravi danni alla salute psicofisica dei lavoratori/trici,
sino a sfociare, nei casi più gravi, in forme depressive e in lesioni rilevanti della capacità
lavorativa e dell'autostima. Da tale contesto emerge in modo evidente l'urgenza di intervenire
anche legislativamente per tutelare la personalità del lavoratore, sia attuando opportuni
strumenti di prevenzione all'insorgere del fenomeno, sia predisponendo adeguate sanzioni
idonee a reprimere tali comportamenti lesivi; invero, non esiste, nel nostro ordinamento
giuridico vigente, una disciplina dell'istituto del mobbing a livello di normazione primaria,
neppure di rango comunitario: per quel che riguarda gli atti interni nazionali, di mobbing si fa
menzione solo al punto 4.9 del Decreto Presidente Repubblica 22 maggio 2003, con il quale è
stato approvato il piano sanitario nazionale 2003/2005; quanto agli atti comunitari, esiste
specificamente la sola Risoluzione del Parlamento europeo n. AS-0283 del 21 settembre
2001, avente ad oggetto “Mobbing sul posto di lavoro”, con la quale al punto 13 si esorta la
Commissione ad esaminare la possibilità di chiarire o estendere il campo di applicazione
della Direttiva-quadro per la salute e la sicurezza sul lavoro, oppure di elaborarne una nuova.
La Consigliera di Parità ha poi proceduto aggiungendo che se è vero che manca una
regolamentazione legislativa, la nozione risulta di elaborazione giurisprudenziale: il
fenomeno con sempre più frequenza è approdato nelle aule giudiziarie grazie a lavoratori e
lavoratrici che hanno avuto il coraggio di iniziare azioni di risarcimento di danni da
dequalificazione professionale e da pregiudizio subito nella salute psico-fisica, in
conseguenza delle vessazioni, delle angherie, dell'emarginazione, della sotto-utilizzazione,
dei controlli ossessivi, e delle persecuzioni disciplinari di cui sono stati fatti oggetto dal
proprio superiore gerarchico o dai propri colleghi. Elementi che caratterizzano il mobbing
sono, infatti, la ripetitività e la frequenza degli episodi mobbizzanti, il loro protrarsi per un
apprezzabile periodo di tempo e l'intento persecutorio da parte dell'autore delle azioni
dannose; ma il mobbing può essere costituito non solo da comportamenti vietati in sé
dall'ordinamento, ma anche da atteggiamenti leciti se valutati singolarmente, che diventano
illeciti una volta inseriti in quella cornice di vessazioni e di atteggiamenti ostili tipici della
fattispecie. Così, la definizione datane dalla Corte Costituzionale, è quella di un “fenomeno
complesso consistente in una serie di atti o comportamenti vessatori, protratti nel tempo, posti
in essere nei confronti di un lavoratore da parte dei componenti del gruppo di lavoro in cui è
inserito o dal suo capo, caratterizzati da un intento di persecuzione ed emarginazione,
finalizzato all'obiettivo primario di escludere la vittima dal gruppo”.Analoga è la definizione
della Corte di Cassazione, per la quale il “mobbing consiste in una condotta sistematica e
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protratta nel tempo, con caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, che
concreta, per le sue caratteristiche vessatorie, una lesione dell'integrità fisica e della
personalità morale del prestatore di lavoro, garantite dall'articolo 2087 del c.c.”.
Sotto il profilo della responsabilità, essa è in capo al datore di lavoro per aver violato
l'obbligo di sicurezza a cui è tenuto in base al nostro codice civile: si tratta, dunque, di una
responsabilità di natura contrattuale, perchè scaturente dal contratto di lavoro con il
dipendente. Tuttavia, ad essa può aggiungersi anche la responsabilità “aquiliana o
extracontrattuale”, che punisce chi cagiona ad altri un danno ingiusto; può, infine, trattarsi di
una responsabilità “per vigilanza” che grava sul datore di lavoro per la condotta (in questo
caso) mobbizzante posta in essere da propri dipendenti.
Naturalmente a ciò si aggiunge la responsabilità penale, che è personale, e colpisce
direttamente l'autore della condotta lesiva, tutte le volte in cui essa integri anche un'ipotesi di
reato. Al proposito, secondo la Suprema Corte, in assenza di una tipizzazione normativa della
fattispecie vietata, il mobbing può integrare nelle sue modalità esplicative, tenuto conto delle
conseguenze dannose per l'integrità psico-fisica e delle peculiarità della condotta di cui si
compone, l'ipotesi di reato di lesioni personali, di ingiuria, di diffamazione, o anche di
violenza privata, ed altre ancora.
*****
- Con specifico riferimento allo “stalking” la Consigliera di Parità ha invece spiegato che:
Il fenomeno dello stalking (altrimenti detto “sindrome del molestatore assillante”) ha
cominciato a destare interesse, non solo nell’opinione pubblica, ma anche in psicologi,
psichiatri e sociologi, in seguito a certi fatti avvenuti negli anni 80 a danno di personaggi di
spicco dello “star system” (personalità dello spettacolo e dello sport).
Infatti è l'America che, dopo l’assassinio a Los Angeles delle attrici Theresa Saldana nel 1982
e Rebecca Schaffer nel 1989, mostra di interessarsi per prima al fenomeno dello stalking termine inglese derivato dal linguaggio venatorio (letteralmente “fare la posta”) -, varando la
prima legge anti-stalking in California nel 1991, la quale testualmente recita:
“chiunque volontariamente, intenzionalmente e ripetutamente segue, o volontariamente e
intenzionalmente molesta, un’altra persona e pone in essere una minaccia credibile al fine di
fare ragionevolmente temere l’altra persona per la sua sicurezza o per la sicurezza della sua
famiglia è colpevole del reato di stalking”.
Gli studi effettuati, ma anche la realtà quotidiana a cui assistiamo, dimostrano che gli episodi
di stalking avvengono con notevole frequenza all'interno delle mura domestiche e vengono
messi in atto principalmente da ex partners, mariti o conviventi, che non accettano la fine
della relazione e, soprattutto, vogliono continuare ad esercitare una forma di controllo sulla
vita della ex compagna.
Gli stessi studi citati confermano, poi, che il contatto telefonico (ora anche via “sms”) è il
mezzo di molestia preferito, e comunque più utilizzato, dallo “stalker” nella fase iniziale, a
cui seguono i pedinamenti, il controllo a distanza, l’incontro “casuale” sul luogo di lavoro o
in ambienti frequentati dalla vittima, l'invio di messaggi per posta elettronica.
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Effettivamente, la traduzione della parola stalking con il termine “fare la posta” rende
figurativamente, in maniera perfetta, il senso di quelle azioni che spesso, nella maggiore parte
dei casi le donne, sono costrette a subire da parte del “molestatore assillante”: egli segue la
vittima prescelta in ogni movimento, appostandosi per cogliere ogni attimo della sua vita,
cercando un contatto con ogni mezzo, costringendola a rimanere per lunghi periodi, spesso
per anni, in uno stato di perenne allarme.
Le condotte più frequenti sono gli ininterrotti appostamenti nei pressi del domicilio, degli
ambienti abitualmente frequentati, l’ossessivo invio di lettere, telefonate. sms, e-mail, scritte
sui muri, sull’automobile, sulla porta di casa. Ma esistono anche forme più violente, come la
continua provocazione in posti pubblici o nel posto di lavoro, gli atti vandalici ai danni dei
beni della vittima, l’uccisione di animali domestici o l’abbandono di animali morti in
prossimità dell’abitazione della molestata.
L’impiego del computer e la navigazione in Internet forniscono un ulteriore strumento allo
stalker per introdursi nella sua vita: la creazione di siti web diventa lo spazio ideale per
diffondere notizie personali o diffamatorie sulla vittima o, addirittura, assumerne l’identità.
L’ONS – Osstervatorio Nazionale sullo Stalking - dell’Associazione Italiana di Psicologia e
Criminologia evidenzia che in Italia, nel biennio 2003-2004, il 10% degli omicidi dolosi ha
avuto come prologo atti di stalking.
L’ONS ha effettuato una ricerca in 14 regioni italiane da cui è emerso, oltre ad un’assoluta
trasversalità del fenomeno, che le vittime sono per l’80% di sesso femminile e che il 70%
circa dei persecutori è di sesso maschile.
Secondo il centro Antipedinamento di Roma il 21% degli abitanti della capitale è vittima,
almeno una volta nella vita, di stalking.
Peraltro, nella “misurazione” del fenomeno non va trascurato il cosiddetto “numero oscuro”,
ossia tutti i casi in cui la molestia assillante non viene segnalata alle autorità o denunciata, per
“paura di peggiorare la situazione, per mancanza di fiducia nella giustizia o, più
semplicemente, per il timore di non essere credute”.
Le vittime temono che le condotte di stalking siano considerate fatti minori, che la gente le
possa giudicare come persone “fissate”, donne “stralunate”, dotate di un precario equilibrio
mentale.
Le conseguenze sono molteplici, diverse e particolarmente gravi: il 20% delle vittime
dichiara di aver avuto propositi suicidi, nell’83% dei casi si sono verificati sintomi ansiosi o
depressivi, nel 74% disturbi del sonno, e nel 55% ricordi intrusivi e flashbacks.
La Consigliera di Parità ha inoltre sottolineato come nel nostro codice non esista una figura
autonoma di reato che individui il comportamento ripetitivo ed assillante, ma come ciò si
renda indispensabile a fronte di un fenomeno oltremodo diffuso e dilagante; un'autonoma
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figura di reato volta a contrastare efficacemente il fenomeno, allo scopo di garantire
un'adeguata tutela alle vittime, evitando così una pericolosa escalation dei comportamenti da
parte dello stalker.
La necessità del suddetto intervento normativo emerge anche dal fatto che la molteplicità dei
comportamenti che lo stalker può in concreto porre in essere rende difficile definire, sotto il
profilo giuridico, i confini esatti della fattispecie delittuosa, e dal fatto che spesso le attività
del molestatore, se singolarmente considerate, risultano innocue (quali ad esempio fare regali,
spedire lettere con dichiarazioni d’amore, inviare fiori), ma se viste nel loro insieme ossessivo
e ripetitivo, configurano una gravissima invasione della sfera personale della vittima che si
trova costretta a cambiare abitudini di vita, talvolta lavoro, domicilio, recapito telefonico ed a
vivere una esistenza condizionata dalla continua invasione dello stalker.
Ne consegue, allo stato, il richiamo ad una pluralità di illeciti penali che non hanno una
cornice giuridica tale da poter essere collegati fra loro in una visione complessiva: dall'art.
572 (Maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli), all'art. 582 (Lesione personale), all'art. 594
(Ingiuria), all'art. 609-bis (Violenza sessuale), art. 610 (Violenza privata), art. 612 (Minaccia),
art. 614 (Violazione di domicilio), art. 660 (Molestia o disturbo alle persone), ed ancora alle
disposizioni civilistiche introdotte con la Legge n. 154 del 5 aprile 2001 “Misure contro la
violenza nelle relazioni familiari”.
Ecco allora la necessità di predisporre uno strumento legislativo adeguato, accanto ad un
intervento incisivo e deciso della magistratura, finanche in via cautelare. Ed in verità alcuni
Tribunali hanno già emesso dei provvedimenti cautelari significativi, che possono essere presi
come esempio. A questo punto la Consigliera di Parità racconta due casi sottoposti al vaglio
della magistratura.
A Milano il Tribunale è chiamato ad esprimersi sul caso di Cristina e Mario.
Cristina lascia Mario, ma Mario non la lascia.
Iniziano gli appostamenti, i pedinamenti, le telefonate, le pressioni ossessive di Mario nei
confronti di Cristina. Il ragazzo non accetta l'abbandono e bersaglia Cristina con qualsiasi
mezzo.
Cristina è costretta addirittura a cambiare casa, ma Mario riesce a rintracciarla.
Nel frattempo Cristina si è rivolta ben sette volte alla Polizia, ma il problema viene
sottovalutato fino a quando non finisce per caso sulla scrivania di un Magistrato che ha
studiato la fenomenologia dello stalking e ne riconosce quindi tutti gli elementi.
Definisce il comportamento di Mario quale “persecuzione organizzata” e di conseguenza
adotta misure cautelari per preservare la vita privata della donna. A Mario viene impedito di
frequentare i luoghi in cui Cristina si reca abitualmente: casa, lavoro e attività collaterali.
Cristina esce quindi dalla trappola e riprende la sua vita normale.
Altro esempio (ancora una volta magistratura di Milano).
Lo stalker questa volta è una donna di 62 anni accusata di aver perseguitato la compagna del
suo ex marito, un professionista milanese.
La vittima braccata era stata costretta a cambiare più volta numero di telefono, a trasferirsi
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dallo studio dove lavorava, aveva dovuto assoldare agenti privati per la sua protezione ed
aveva fatto installare uno spioncino nella porta di ingresso dello studio e tutte le telefonate
venivano filtrare dai colleghi. Infine era stata minacciata anche di morte.
Anche in questo caso il provvedimento adottato in via preventiva dal Magistrato è pertinente
ed incisivo, imponendo alla donna assillante di stare lontana dal marito e dalla sua nuova
compagna; contestualmente la donna viene sottoposta a consulenza psichiatrica in vista del
processo definitivo.
Infine, la Consigliera di Parità ha anche suggerito alcune indicazioni utili circa il
comportamento che la vittima dello stalking dovrebbe tenere, quali farsi accompagnare da
amici quando è possibile, informare sempre qualcuno dei propri spostamenti, conservare le
lettere, le mail e gli sms, registrare le conversazioni telefoniche, informare gli amici, i vicini
di casa, i colleghi di lavoro di ciò che sta accadendo.
Inoltre, sarebbe utile istituire corsi di formazione per tutti gli operatori che, a vario titolo,
entrano in contatto con questo problema, e quindi forze dell’ordine, magistrati, avvocati ed
assistenti sociali.
*****
- Con riferimento alla nozione di azione positiva, ed in particolare alle c.d. “quota rosa”nel
lavoro ed anche in politica, la Consigliera ha sottolineato che:
la sentenza della Corte Cost. 49/2003 è estremamente rilevante al fine non solo della
elaborazione del concetto di eguaglianza ma anche di quello di pari opportunità tra uomini e
donne e azioni positive, come lo è stato il precedente diretto di tale pronuncia, ovvero la
sentenza n. 422 del 1995. Le questioni sollevate allora erano costituite soprattutto dai confini
di legittimità delle azioni positive, in relazione al principio di eguaglianza, rispetto alle quali
si era registrata una sintonia di orientamenti fra Alte Corti, ovvero la Corte di Giustizia
europea, la Corte costituzionale italiana e la Corte suprema statunitense. Nonostante la
diversità degli ambiti di riferimento - rappresentanza politica e accesso al lavoro - e dei
gruppi di cui promuovere l’inclusione sociale - le donne nel contesto italiano ed europeo, le
minoranze etniche in quello statunitense, le Alte Corti hanno mostrato di condividere una
stessa nozione di pari opportunità e di azioni positive, come misure dirette ad eliminare gli
ostacoli che sono causa della sottorappresentazione, ma non ad eliminare direttamente la
sottorappresentazione: il che equivale a dire parificazione nei punti di partenza, ma non nei
risultati.
Il giudizio di costituzionalità ha avuto ad oggetto alcune disposizioni dello Statuto speciale
della regione Valle d’Aosta che dispongono, sotto il profilo sostanziale, che ogni lista di
candidati all’elezione del Consiglio regionale deve prevedere la presenza di candidati di
entrambi i sessi; e, sotto quello più strettamente sanzionatorio, che devono essere dichiarate
non valide dall’Ufficio elettorale regionale le liste non rispondenti alla condizione indicata.
Tali disposizioni erano state censurate dal ricorrente (Governo) per contrasto con gli artt. 3, I
co., e 51, I co., Cost.
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La Corte Costituzionale, con una serie di argomentazioni per molti aspetti “innovative”, ha
dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale.
Specificamente, la Corte ha rilevato che “nella specie il vincolo imposto, per la sua portata
oggettiva, non appare nemmeno tale da incidere propriamente, in modo significativo, sulla
realizzazione dell’obiettivo del riequilibrio nella composizione per sesso della
rappresentanza”: e da questo inciso pare si possa sostenere che la soluzione della Valle
d’Aosta sia minimale, nel senso che potrebbero essere legittimamente utilizzate anche altre
misure atte a favorire in modo più incisivo nei confronti delle donne l’accesso alla
competizione elettorale: vi si può intravedere un’apertura verso il riconoscimento di
percentuali riservate nelle candidature da assegnarsi ex lege al genere
sottorappresentato.
Altro elemento di interesse sul punto è la configurazione della condizione di legittimità delle
liste elettorali - costituita dalla presenza nelle stesse di candidati di entrambi i sessi -, non
come “azione positiva”, bensì, più semplicemente, come norma antidiscriminatoria.
L’affermazione è decisiva per il fatto che, sottraendo le disposizioni impugnate al genus delle
azioni positive per sussumerle invece nell’ambito delle norme antidiscriminatorie, la Corte
mostra di fare propria una nozione di “azione positiva” legata ad un trattamento in qualche
modo diseguale, che comporta l’attribuzione di concreti benefici differenziati anche in deroga
al principio dell’eguaglianza formale; la disposizione antidiscriminatoria è intesa invece come
misura diretta a rimuovere la situazione ingiusta attraverso tecniche garanti della parità di
trattamento a favore del soggetto o del gruppo discriminato, ma non direttamente attributive
di vantaggi specifici.
L’impostazione della Corte sembra autorizzare a ritenere che le suddette tecniche
preferenziali godano in linea generale di spazi di intervento ben più incisivi delle norme
antidiscriminatorie e possano legittimamente consistere in vere e proprie “misure diseguali”.
E questa distinzione concettuale rilevata dalla Corte, interpretata alla luce del II co. dell’art. 3
nella parte in cui impone alla Repubblica di “rimuovere gli ostacoli…”, induce a ritenere
avvallata la legittimità anche delle c.d. “quote rosa”, poiché proprio la rimozione degli
ostacoli comporta la necessità di utilizzare misure più incisive, volte a promuovere il
raggiungimento del riequilibrio.
*****
- In relazione alla disciplina a sostegno della maternità e della paternità, la Consigliera ha
voluto sottolineare in particolare che:
al fine di favorire la conciliazione delle esigenze di cura della famiglia (in particolare dei
figli) con le necessità lavorative, il legislatore italiano ha emanato la legge 53/2000 intitolata
alle “Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e
alla formazione e per il coordinamento dei tempi nelle città”, confluita poi, in gran parte, nel
decreto legislativo 151/2001, c.d. Testo Unico a sostegno della maternità e della paternità.
E’ una legge che ha introdotto significative innovazioni, non soltanto dal punto di vista
terminologico, ma anche, principalmente, sotto il profilo contenutistico, rispetto all’originaria
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disciplina in materia di astensione dal lavoro e di permessi per la cura e l’assistenza dei figli,
sia naturali che adottivi.
La legge n. 53 costituisce il risultato di un processo di riforma e di ampliamento del
tradizionale sistema di tutele, incentrato sulla figura della lavoratrice madre, alla quale era
riconosciuto il diritto all’assenza dal lavoro nei due mesi precedenti al parto e nei tre mesi
successivi; la facoltà di astenersi dal lavoro per successivi ulteriori sei mesi durante il primo
anno di vita del bambino; nonché il diritto a periodi di riposo giornaliero per allattamento ed a
permessi per le malattie del figlio di età inferiore ai tre anni: la lavoratrice madre restava,
pertanto, la principale destinataria della legislazione di tutela.
Radicalmente diverso è il principio sotteso alla disciplina introdotta dalla Legge 53 del 2000,
che recepisce i principi contenuti nella Direttiva comunitaria n. 34 del 1996: il principale
elemento innovatore rispetto alla legislazione nazionale previgente è costituito dalla totale
equiparazione del padre alla madre nelle attività di cura, assistenza ed educazione dei figli, e
dei genitori adottivi e affidatari rispetto ai genitori biologici.
La Consigliera di Parità ha poi proceduto ad illustrare i punti salienti della normativa .
*****
- Riguardo alla nozione di azione positiva, ed in particolare al “Rapporto biennale sulla
situazione del personale nelle imprese di medio – grandi dimensioni”, la Consigliera ha
evidenziato che:
l’art. 9, L.n. 125/1991, “Azioni positive per la realizzazione della parità uomo – donna”,
attiene alla predisposizione da parte delle imprese con più di 100 dipendenti di un rapporto
sulla situazione del personale, maschile e femminile, che deve essere compilato con cadenza
biennale ed ha carattere dettagliato, dovendo essere indicati dati disaggregati per sesso
relativi all’occupazione, allo stato delle assunzioni, della formazione e della promozione
professionale, ai livelli di inquadramento e retributivi, ed ai licenziamenti.
Il rapporto ha lo scopo di porre in evidenza, mediante la comparazione tra la situazione
dell’occupazione femminile rispetto a quella maschile, i c.d. fenomeni di “segregazione”
orizzontale e verticale, ovvero la concentrazione dell’occupazione femminile in determinati
settori, oppure in determinate qualifiche o categorie professionali, spesso meno remunerate
oppure con minori possibilità di carriera. I dati forniti possono inoltre rendere visibile la
minor propensione da parte dei datori di lavoro verso l’assunzione di personale femminile,
oppure verso la formazione professionale femminile.
Si tratta di uno strumento di rilevante importanza per la promozione delle pari opportunità,
perché consente l’individuazione di azioni positive volte all’eliminazione delle disparità di
fatto di cui le donne sono oggetto nell’accesso al lavoro, nella progressione di carriera, e in
generale nella vita lavorativa; alla modifica delle condizioni di lavoro e di organizzazione e
distribuzione del lavoro al fine di favorire una più equa distribuzione delle responsabilità
familiari, ed alla promozione dell’inserimento delle donne nei settori e nei livelli nelle quali
sono sottorappresentate.
Infatti, la diversità nelle dinamiche occupazionali e retributive, se indica una situazione di
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svantaggio nei confronti delle donne, richiede opportune azioni correttive che si inscrivono
proprio nella logica della rimozione degli ostacoli che, anche dal punto di vista delle scelte di
gestione del personale e di tipo organizzativo, si oppongono al raggiungimento della piena
parità tra uomini e donne nel lavoro.
Tali azioni positive possono consistere, ad esempio, in incentivi in materia di orari di lavoro
flessibili, nell’introduzione di servizi di assistenza ai figli delle donne occupate, nel favorire
la formazione professionale femminile mediante la predisposizione di corsi ad hoc, nel
controllo delle procedure di assunzione onde evitare che siano previsti criteri anche
indirettamente discriminatori, e così via.
In tal senso il rapporto può costituire un significativo indizio di una situazione potenzialmente
discriminatoria secondo la nozione di discriminazione indiretta, che consiste nell’effetto
pregiudizievole determinato dall’adozione di criteri, apparentemente neutri, ma che in realtà
svantaggiano in modo proporzionalmente maggiore i lavoratori dell’uno o dell’altro sesso e
non sono essenziali allo svolgimento dell’attività lavorativa. Si può trattare di criteri “ di
fatto” nella gestione del personale, come l’attribuzione soltanto alle lavoratrici di determinate
mansioni a contenuto meno professionalizzante che si riflettono negativamente anche
sull’entità della retribuzione complessiva, oppure di criteri formali, ma pregiudizievoli per il
genere femminile, incorporati nelle procedure di selezione, come ad. es. il richiedere una
determinata altezza fisica non essenziale allo svolgimento delle mansioni, ecc., secondo i
principi affermati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea in numerose pronunce, a
partire dalla nota sentenza Danfoss in cui, da un’analisi della situazione complessiva delle
retribuzioni all’interno di un’azienda venne posto in evidenza il dato sistemico costituito dalla
diverse e minori retribuzioni corrisposte alla componente femminile del personale, quale
indizio di una discriminazione indiretta di cui il datore di lavoro fornì successivamente le
argomentazioni a difesa, che però non vennero ritenute dalla Corte pienamente legittime.
Altro dato che, in base ad un’analisi dei rapporti, balza agli occhi è il fenomeno della
“segregazione” femminile, sia orizzontale (cioè come minor presenza delle donne in alcuni
settori), che verticale (ossia come minor presenza delle donne nei livelli apicali, cioè
concentrazione della forza lavoro femminile nelle qualifiche professionali più basse
dell’organigramma), ad esempio: per il personale con mansioni impiegatizie le dipendenti
sono bloccate nelle qualifiche meno specializzate, al contrario di quanto accade per il
personale maschile.
L'esame di tali rapporti è utile altresì per rilevare una pesante situazione di “precarietà” del
lavoro femminile causata dal fatto che le donne sono assunte in misura maggiore degli uomini
con contratti a scadenza predeterminata, oppure con contratti di lavoro “parasubordinato”
(c.d. lavoro a progetto), che hanno una diffusione notevole oramai anche nell’ambito delle
pubbliche amministrazioni e non soltanto nel settore privato. Ciò comporta che la percentuale
delle “uscite”, per scadenza del contratto riguarda più le donne che gli uomini. Questo dato
sulla precarietà del lavoro femminile è rilevante anche sotto il profilo della ricostruzione della
propensione all’assunzione delle donne, in quanto conferma quanto sottolineato dalle teorie
economiche sulla discriminazione statistica, ovvero il fatto che pur aumentando il valore
complessivo dell’occupazione femminile, resta in larga misura ancora presente
l’atteggiamento negativo nei confronti della prestazione lavorativa della donna, ed alla sua
minore valorizzazione, anche in termini di minor propensione alla sua formazione
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professionale.
*****
- In merito al c.d. “Distretto famiglia”, la Consigliera di Parità ha chiarito che:
si tratta di una “dimensione strategica”, circoscritta ad un determinato territorio non
predefinito, all’interno della quale si mettono in rete le Istituzioni locali, gli operatori
pubblici, i soggetti privati profit e non-profit, le famiglie, e tutti coloro che intendono
impegnarsi per dare il proprio contributo per il benessere della famiglia, riconosciuta come
risorsa che unisce e dà senso alla comunità, come ambito privilegiato che rafforza la coesione
nella società e crea capitale sociale.
Dunque, un territorio che diventa accogliente ed attrattivo per le famiglie e per i soggetti che
interagiscono con esse. Un territorio in grado di offrire servizi, tariffe, incentivi ed interventi
quantitativamente rispondenti alle esigenze e alle aspettative delle famiglie residenti ed ospiti,
capace di connettere le politiche pubbliche a sostegno della famiglia con quelle orientate allo
sviluppo economico e culturale.
Il fine dell'accordo è quello di realizzare un percorso di certificazione territoriale familiare per
a) accrescere l'attrattività territoriale e b) sostenere lo sviluppo locale. Obiettivi specifici
sono: implementare processi di responsabilità territoriale familiare; dare attuazione ai
contenuti del Libro Bianco della Provincia Autonoma di Trento sulle politiche familiari e per
la natalità del luglio 2009; attivare sul territorio un laboratorio sulle politiche familiari per
sperimentare ed implementare modelli gestionali, organizzativi e di valutazione delle
politiche e sistemi tariffari in linea con le politiche di promozione del benessere familiare,
sostenendo il capitale sociale e relazionale del territorio.
In tale contesto, il lavoro è stato riconosciuto quale aspetto determinate per il benessere
familiare; la conciliazione dei tempi e la condivisione dei ruoli fra partners, quali elementi
decisivi per garantire stabilità alla famiglia, programmazione futura, serenità e tutela della
stessa dal rischio povertà.
Il progetto “Distretto famiglia” riconosce, dunque, che la relazione tra famiglia e lavoro è
fondamentale sia per la qualità del lavoro che per la qualità della vita e per il benessere dei
singoli individui, del nucleo familiare, della società nel suo complesso; conseguentemente,
che impegnarsi per la conciliazione fra tempi di lavoro e non-lavoro impone un’ottica di
corresponsabilità e di condivisione di obiettivi fra tutti gli attori del sistema. E' quindi
necessario “fare sistema”: bisogna che istituzioni, servizi pubblici, famiglie, imprenditori,
associazioni di categoria, sindacati, si mettano attorno ad un tavolo per individuare e
verificare se siano attuabili e generalizzabili modalità organizzative più family friendly, e con
quali condizioni normative, con quali regole, con quali supporti, con quale cultura di
riferimento.
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A questo scopo, è necessario intervenire sul sistema dei servizi, e sull'organizzazione
d'impresa; sui tempi del territorio e sulla relazione fra partners; sulle politiche pubbliche e le
iniziative imprenditoriali private. E' necessario attivare laboratori territoriali ed innovare i
modelli organizzativi; ri-orientare i servizi erogati dai soggetti pubblici e da quelli privati.
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70
11. RETE PROVINCIALE dei COMITATI PARI OPPORTUNITA'
Già a partire dalla seconda metà del 2005 la Consigliera di Parità aveva promosso la
costituzione di una “Rete provinciale dei Comitati pari opportunità” di enti pubblici ed
aziende private esistenti sul territorio provinciale, allo scopo di attivare uno strumento
adeguato per la collaborazione e la condivisione di progetti di interesse comune, e per lo
scambio di esperienze significative.
A tal fine aveva proceduto ad effettuare, in collaborazione con la Commissione Provinciale
Pari Opportunità e con l'Osservatorio del Mercato del Lavoro della P.A.T., una mappatura dei
Comitati già istituiti nella provincia, a seguito della quale aveva organizzato un incontro con i
medesimi allo scopo di sostenerne l'azione e di costituire la descritta Rete provinciale (fine
ottobre 2005). Ivi aveva rilevato che i Comitati Pari Opportunità esistenti sul territorio erano
10, operanti all'interno sia di enti pubblici che di aziende private, seppur in queste ultime
incontrassero più resistenze da parte del management.
Nel corso del 2006 la Consigliera di Parità ha proceduto alla “formalizzazione” della Rete,
che è avvenuta il 1 dicembre 2006, allorché tutti i Comitati presenti in provincia hanno
sottoscritto la:
“DICHIARAZIONE D'INTENTI tra i Comitati Pari Opportunità di Enti ed Aziende
pubbliche e private presenti in Trentino, per la creazione di una Rete provinciale, quale
stabile modalità di confronto, condivisione e collaborazione finalizzata alla realizzazione
delle pari opportunità e valorizzazione delle differenze di genere nei rispettivi ambiti
lavorativi””.
La Rete ha così “suggellato” la propria nascita e le motivazioni della medesima sancendo:
1. che la cultura delle pari opportunità e differenze di genere, al fine di rivestire un ruolo
strategico per lo sviluppo del contesto socio-culturale locale, richiede una forte
cooperazione tra i diversi Soggetti coinvolti ed impegnati nei diversi ambiti di
competenza;
2. che è necessario promuovere una maggiore consapevolezza dell'esistenza e delle iniziative
attivate dai Comitati Pari Opportunità di Enti ed Aziende pubbliche e private operanti per
la realizzazione di condizioni di effettive pari opportunità tra uomo e donna nell'ambito
lavorativo;
3. che tale iniziativa risulta di forte interesse per i Comitati esistenti sul territorio, e dunque
per quelli costituiti all'interno dei seguenti Enti/Aziende: l'Azienda Provinciale per i
Servizi Sanitari, la Camera di Commercio, il Comune di Rovereto, il Comune di Trento, le
Ferrovie dello Stato S.p.a. VR-Alto Adige, il Gruppo ITAS Assicurazioni, le Poste
Italiane S.p.a., la Provincia Autonoma di Trento, la Regione a Statuto speciale TrentinoAlto Adige, l'Università degli Studi di Trento;
4. che la stessa Consigliera di Parità e la Commissione Provinciale Pari Opportunità
intendono proseguire nella promozione e nel sostegno anche economico della Rete e della
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sua attività nel rispetto dei propri ambiti di competenza.
Ciò premesso, ha specificato gli obiettivi della collaborazione dei Comitati al “Tavolo”,
individuandoli:
1. nella promozione e diffusione di una cultura di genere e di pari opportunità, da realizzarsi
nei rispettivi ambiti lavorativi;
2. nello scambio di esperienze e conoscenze, e nella condivisione di buone prassi, di attività
di formazione, di metodologie di intervento e di azioni positive;
3. nella progettazione condivisa e valorizzazione delle specificità, finalizzate
all'individuazione di percorsi e soluzioni comuni, da realizzare nei rispettivi contesti di
lavoro;
4. nella promozione e partecipazione congiunta ad ogni utile iniziativa – come incontri,
convegni e seminari di approfondimento, partecipazione ad eventi e manifestazioni -,
volta a divulgare le attività indicate, ed a favorire la costituzione di nuovi Comitati pari
opportunità nonché la crescita e l'implementazione dell'operatività dei Comitati già
costituiti;
5. nell'esigenza di formazione ed informazione sulle questioni di “genere”, sulle pari
opportunità, e sul concetto di “azioni positive” quali strumenti adeguati per il loro
conseguimento, con specifica attenzione alla legge sui congedi parentali anche a favore
dei papà, alle forme di contribuzione economica da parte dell'ente/azienda di appartenenza
in tali periodi di astensione, e su altro versante, ai fenomeni di mobbing e di molestie
sessuali.
Infine, ha precisato che l'adesione è aperta a tutti i Comitati che desiderino condividerne
modalità ed obiettivi.
Nel corso del 2007 la Rete si è adoperata, principalmente, per la realizzazione di uno
specifico progetto denominato di “formazione adeguata” sulle questioni di genere nei diversi
contesti lavorativi, rivolto a tutti i/le componenti dei Comitati Pari Opportunità esistenti sul
territorio provinciale, il cui momento centrale si è avuto con la giornata di formazione
intitolata: “CPO: PROSPETTIVE, NOVITA', STRUMENTI IN UN APPROCCIO
MULTIDISCIPLINARE”, che ha visto un ricco programma di interventi da parte di 6
docenti universitarie di notevole levatura professionale (Prof.sse Paola Villa, Stefania
Scarponi, Silvia Gherardi, Giovanna Covi, Barbara Poggio, Eleonora Stenico), e con ampi
spazi dedicati al dibattito.
Nel corso del 2008 l'attività di confronto e di di formazione avviata dalla Rete nel 2007 è
proseguita con riunioni al Tavolo a cadenza mensile e con due ulteriori momenti di “alta”
formazione tenuti dalle docenti universitarie, prof.ssa Stefania Scarponi in materia “genere e
di diritto del lavoro”, e prof.ssa Giovanna Covi in materia di “genere e intercultura”.
Volendo qui riassumere l'intervento della Prof.ssa S. Scarponi, si potrà ricordare come la
stessa abbia ricordato che in tema di «gender», la normativa italiana attuale è contenuta in
larga misura nel Codice di pari opportunità al Capo IV e che, in materia di azioni positive, il
codice ha recepito le disposizioni di cui alla l. n. 125/91, privilegiando nel settore privato
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terreni applicativi connessi prevalentemente alla formazione professionale, alla modifica degli
assetti organizzativi delle imprese, alla promozione della conciliazione tra lavoro di cura
familiare e lavoro professionale, affidati al modello volontario incentivato. Il modello
obbligatorio è adottato solo nel settore pubblico, secondo una scelta molto diffusa anche in
altri ordinamenti.
Tra gli obiettivi principali spicca quello della correzione dei fenomeni di segregazione –
orizzontale e verticale – che riallaccia la disciplina descritta a quella comunitaria, ed è oggetto
sia delle azioni esperibili nel settore privato – di tipo volontario ed incentivato con priorità
verso le soluzioni consensualmente decise in via di contrattazione collettiva – sia di quelle
previste per il settore delle pubbliche amministrazioni.
Per ciò che concerne la segregazione orizzontale, in particolare, se da un lato, essa viene
giudicata negativamente in quanto sovente nei settori «femminilizzati» la retribuzione e più in
generale la tutela del lavoro è inferiore agli standards dei settori «mascolinizzati», e pertanto
l’accesso delle donne a questi ultimi è la base per poter raggiungere una condizione lavorativa
migliore; dall’altro lato il fatto che alcuni settori, in particolare quello dei servizi alla persona,
siano composti in prevalenza da forza lavoro femminile è considerato il sintomo dell’accesso
delle donne a tipi di lavoro considerati più congeniali alla loro personalità, ed anche la
conseguenza del disegno politico nei confronti della diffusione dei servizi per alleviare il
carico del lavoro «di riproduzione» che grava in larga misura sulle donne. In sostanza, si
allude al fenomeno che si è diffuso in Italia nel corso degli anni settanta, mediante la presa
d’atto del valore sociale della maternità e del lavoro di cura, e dell’esigenza della sua
condivisione attraverso la predisposizione di servizi pubblici adeguati, dove in larga misura le
donne hanno avuto accesso anche come lavoratrici, trasferendoli sul piano professionale ed
affinando competenze acquisite in alcuni casi già all’interno della famiglia.
Nel periodo più recente sono state valorizzate le azioni che presuppongono l’intervento sulle
condizioni organizzative e sugli orari di lavoro, per trasformare gli ambienti di lavoro verso
una maggiore aderenza alle esigenze della «conciliazione fra lavoro e vita personale»,
finalizzate quindi indifferentemente ad uomini e donne. La scarsa diffusione di misure di
questo tipo ne ha determinato, tuttavia, il sostanziale fallimento dal punto di vista della
creazione di «massa critica», benchè non siano mancati progetti di sicuro interesse, rivolti alla
sperimentazione di forme di flessibilità ed articolazione degli orari, nonché di «autogestione»
secondo modalità definite a livello aziendale, come nel settore della grande distribuzione.
Infine, la Prof.ssa ha ribadito che il settore pubblico si caratterizza per il modello obbligatorio
delle azioni positive, che impone alle pubbliche amministrazioni di redigere un piano
triennale per la realizzazione delle pari opportunità, e di attuare un meccanismo di correzione
della sottorappresentazione, se risulta pari a due terzi a danno delle donne.
Si tratta di misure che hanno integrato quelle già previste dalla riforma di «privatizzazione»
nei confronti delle pubbliche amministrazioni, tenute in primo luogo al rispetto sia del
principio di parità sia di quello di pari opportunità, secondo l’art. 7 del T.U. 165/2001, nelle
decisioni relative all’organizzazione ed al rapporto di lavoro, ed inoltre al rispetto di alcune
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misure specifiche, basate su sistemi di quote tra loro però differenziate.
Uno strumento utile alla raccolta di dati statistici per favorire gli interventi nella
predisposizione delle azioni positive, soprattutto per la correzione delle situazioni di
sottorappresentazione, è il rapporto sulla situazione del personale, che secondo l’art. 9 della l.
n. 125 (e ora art. 46 codice pari opportunità) deve essere compilato ogni due anni da tutte le
aziende sia pubbliche sia private che abbiano più di 100 addetti. L’esperienza al riguardo non
è tuttavia molto incoraggiante, poiché si è rivelato un obbligo largamente inadempiuto, e lo
stesso strumento a volte di non facile lettura e non sempre attuato correttamente.
Il potenziamento del diritto ad acquisire dati statistici si rivela uno dei nodi più rilevanti non
solo per il contrasto alle discriminazioni soprattutto indirette, ma anche per la predisposizione
di azioni positive verso le dipendenti, tendenti alla correzione della sottorappresentazione,
secondo la proposta avanzata dal Parlamento europeo, nella Risoluzione 14.6.2006, p. 20, e
ripresa nei «considerando» della Direttiva 2006/54/CE.
La Prof.ssa G. Covi, invece, ha affrontato, invece, le questioni relative al dialogo
interculturale ed alle tematiche sviluppate nel campo degli studi di genere. Ha così
sottolineato come non soltanto la collettività nel suo complesso, ma anche molti ambiti di
lavoro e di studio richiedano crescente attenzione alle numerose differenze e diversità che il
nostro tessuto sociale sempre più composito esprime quotidianamente.
La prof.ssa ha offerto quindi una panoramica dei concetti sviluppati nel campo degli studi di
genere per rappresentare le tematiche legate a identità e differenza ed ha affrontato la
riflessione sulle pratiche interculturali secondo l'invito formulato nel 2008 dalla Commissione
Europea, avvalendosi anche dei risultati raggiunti sul tema dalla Rete europea di Ricerca
“Athena”, che ha prodotto il volume “Interculturality and Gender”.
Nel corso del 2009 l'attività di formazione, approfondimento e condivisione in tema di parità
e pari opportunità sui luoghi di lavoro è proseguita con riunioni al Tavolo a cadenza mensile e
con due ulteriori momenti di “alta” formazione tenutisi il 20 febbraio 2009 da parte delle
docenti universitarie, prof.ssa Paola Villa, e prof.ssa Barbara Poggio.
Quest'ultima ha sottolineato, in particolare, che per favorire l'occupazione femminile, sia
nell'accesso al lavoro che per la conservazione del posto, è necessario intervenire sulla
“cultura dell'organizzazione”, esaminando i differenti modelli di organizzazione del lavoro ed
individuando ed approfondendo gli ostacoli che essi presentano ad una maggior equità fra i
generi, al fine di predisporre una riorganizzazione del lavoro attenta ai bisogni del personale –
e non solo di quello femminile -, attraverso l'introduzione di forme di flessibilità oraria, la
banca delle ore, l'orario multiperiodale, la valorizzazione delle competenze, la concessione dei
congedi parentali, l'introduzione di percorsi di reinserimento del personale assente per lunghi
periodi, il telelavoro, e così via.
Inoltre, è doveroso porre attenzione ai sistemi di “reclutamento” del personale, verificare
l'oggettività delle relative procedure, le modalità di assegnazione degli incarichi, i sistemi di
valutazione del personale, le procedure premianti, ecc.
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In tutto ciò, un ruolo di decisiva importanza dovrebbe essere riconosciuto proprio ai Comitati
Pari Opportunità, quali referenti competenti e legittimati all'interno della struttura produttiva.
La Prof.ssa Villa ha segnalato, fra il resto, come in quest'attività di riorganizzazione del
lavoro e dei sistemi produttivi, un ruolo propulsivo potrebbe avere l'ente pubblico, mediante
forme di sostegno alle imprese per l'assunzione del personale femminile, per la concessione
dei congedi di maternità e paternità, per l'introduzione di strumenti di conciliazione come gli
asili-nido aziendali ed interaziendali, ed ha richiamato, sul punto, la legge provinciale n.
17/2007.
Durante il 2010 la Rete ha proseguito nell'approfondimento delle seguenti tematiche:
- costituzione di asili nido privati, aziendali ed interaziendali;
- analisi dei sistemi di valutazione del personale, spesso discriminatori o comunque
penalizzanti per le donne;
- analisi della contrattazione collettiva dei diversi contesti produttivi, pubblici e privati, che
siedono al Tavolo;
- attivazione di percorsi di formazione sulla gestione del personale in un'ottica di genere;
- supporto ai comitati in merito alla predisposizione dei piani triennali di azioni positive;
- introduzione di prassi del “buon rientro” laddove non ancora attivate.
Ciò è avvenuto con riunioni periodiche al Tavolo, mediante ricerche condivise accompagnate
dall'esame, di volta in volta, della documentazione reperita e con continui e fruttuosi
approfondimenti, dibattiti e confronti.
Nel 2011, invece, la Rete ha focalizzato l'argomento dei sistemi di valutazione del rendimento
del personale, analizzando i diversi sistemi in vigore all'interno degli Enti ed Aziende
partecipanti al Tavolo stesso. Data la disomogeneità dei processi valutativi e le criticità
presenti nei più, La Rete ha deciso di promuovere un Convegno sul tema, affidando la
relazione principale ad una Esperta d'Eccellenza, la prof.ssa Marcella Chiesi.
La Prof.ssa Chiesi ha evidenziato che la valutazione del rendimento del personale è
un'importante politica di management per ogni organizzazione di successo; essa, infatti,
definisce i rapporti fra i leader ed i loro subordinati, permettendo ai leader di crescere nella
loro posizione, ed ai dipendenti di crescere nei loro ruoli, evidenziando aree dove vi possono
essere miglioramenti. E' inoltre uno strumento utile per riconoscere validi dipendenti ed
offrire loro nuovi e positivi stimoli.
Dal Convegno è emerso, sinteticamente, che con la locuzione “valutazione del rendimento del
personale” si allude ad una procedura organica e sistematica per assicurare che su ogni
dipendente venga espresso periodicamente un giudizio che serva a valutarlo ed a definirne,
secondo criteri omogenei, il rendimento e le caratteristiche professionali che si estrinsecano
nell'esecuzione del lavoro.
Le finalità della valutazione si possono così sintetizzare:
a. migliorare le prestazioni, orientandole verso una sempre maggior partecipazione dei
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singoli al raggiungimento degli obiettivi aziendali;
b. censire il potenziale umano e le competenze detenute in funzione delle attività e servizi
erogati;
c. valorizzare al meglio le risorse umane dell'azienda, facendo emergere sia le esigenze e le
condizioni per un miglior impiego del personale, sia le eventuali esigenze ed opportunità
di formazione.
Peraltro, nell'ambito della “valutazione del rendimento del personale” si può individuare una
serie di sistemi di valutazione, fra i quali emergono:
1) La valutazione delle posizioni
2) La valutazione delle prestazioni lavorative
3) La valutazione del potenziale
4) La valutazione delle competenze
L'insieme di questi sistemi forma il SISTEMA PERMANENTE DI VALUTAZIONE.
1) La valutazione delle posizioni.
Nella valutazione della posizione viene valutato il ruolo organizzativo, indipendentemente
dalla persona che lo ricopre; questa valutazione assume l'obiettivo di creare un sistema di
classificazione del lavoro che permetta di retribuire le diverse posizioni organizzative (Job
evalutaion).
2) La valutazione delle prestazioni lavorative.
Se nella valutazione delle posizioni la persona non è oggetto di interesse e l'attenzione è
focalizzata sul lavoro ed il ruolo organizzativo nella valutazione delle prestazioni il
riferimento è tutto sull'individuo.
La valutazione della prestazione valuta l'individuo e quanto questo ha contribuito ai risultati
dell'organizzazione.
3) La valutazione del potenziale.
Nella valutazione del potenziale, invece, vengono analizzate le caratteristiche dell'individuo in
termini di sue attitudini e capacità soprattutto per il miglioramento produttivo dell'azienda in
divenire.
4) La valutazione delle competenze
Da ultimo possiamo individuare i sistemi di valutazione delle competenze, nei quali il focus è
ancora l'individuo, però con l'insieme delle sue capacità, esperienze e conoscenze.
Tra i diversi sistemi di valutazione del personale quello che ricopre un valore centrale per la
gestione dei sistemi operativi del personale (retribuzione, sviluppo, formazione, carriera) è
sicuramente il sistema di valutazione delle prestazioni.
Le riforme normative e contrattuali di questi ultimi anni hanno introdotto e sviluppato principi
di valutazione che collegassero il raggiungimento di risultati di efficienza e di qualità dei
servizi alla valutazione delle prestazioni individuali, e sulla base di quest'ultima,
all'attivazione di sistemi di ricompensa.
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La valutazione della persona è composta da due voci:
•
LA VALUTAZIONE DELLE PRESTAZIONI
A sua volta ricomprensiva della divisa “Valutazione dei comportamenti organizzativi” e della
“Valutazione dei risultati”;
•
LA VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE
Nella valutazione delle prestazioni si valutano anzitutto i comportamenti collegati al lavoro, e
quindi, ad esempio, lo spirito di iniziativa; l'autonomia, l'impegno, la capacità di relazione, la
capacità di gestione di persone e di risorse; la programmazione, la precisione, l'auto-controllo
emotivo e così via.
In secondo luogo, si valutano i risultati raggiunti rispetto a determinati obiettivi; e così si
possono avere risultati individuali (risultati direttamente attribuiti al singolo);
risultati di gruppo (risultati raggiunti da gruppi di lavoratori, ma in cui si può valutare anche il
contributo individuale); ed anche progetti e piani di lavoro (si tratta di progetti definiti nel
tempo).
Nella valutazione delle competenze si valutano, invece, le conoscenze, le esperienze e le
capacità detenute dal personale: a mero titolo d'esempio, le conoscenze informatiche,
giuridico/amministrative, la capacità di gestione di progetti
e di processi tecnici, le conoscenze ed esperienze in tema di bilancio, urbanistica, e così via.
Queste caratteristiche attengono all'insieme delle attitudini e delle capacità dell'individuo
(gestionali, di relazione, intellettive, emotive), e determinano risultati eccellenti nella
prestazione; si possono perciò tradurre in fattori rilevanti nei comportamenti organizzativi e
quindi, per l'appunto, nella valutazione della prestazione.
Il processo di valutazione è articolato in una serie di momenti orientati a sviluppare il
confronto all'interno dell'ente, il coinvolgimento del personale e l'affermazione di modalità di
lavoro bastate sulla pianificazione e la verifica dei risultati.
Si dovranno così realizzare le seguenti attività:
- Introduzione del sistema di valutazione: si dovrà realizzare la formazione del personale
coinvolto, creare condivisione rispetto alle finalità del sistema e rilevare elementi che
permettano di portare miglioramenti alla metodologia;
- Definizione dei tempi e delle fasi operative: ovvero il momento in cui vengono definiti gli
obiettivi; il periodo in cui effettuare il colloquio preliminare e la valutazione finale, e così
via;
- Definizione delle regole per il colloquio di valutazione;
- Definizione delle modalità di comunicazione della valutazione;
- Definizione del legame tra valutazione e sistemi di ricompensa e sviluppo;
- Individuazione di meccanismi e regole di garanzia, e tutela della correttezza della
valutazione. Relativamente a questo punto bisogna sottolineare come ogni processo di
controllo della valutazione non debba sostituirsi al ruolo del valutatore; eventuali
commissioni di controllo non dovranno così delegittimare “il valutatore”, ma intervenire
nella verifica complessiva del processo di valutazione.
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Una volta definite le diverse fasi operative, a livello complessivo di ente potrà avviarsi il
processo di valutazione vero e proprio, che vedrà coinvolti direttamente i dirigenti e coloro
che hanno responsabilità di valutazione; la responsabilità della valutazione sarà infatti a
cascata, e vedrà coinvolto un numero rilevante di soggetti nel ruolo di valutatori.
La prima fase sarà quella del colloquio preliminare; tale colloquio sarà gestito dal
responsabile diretto della valutazione (il dirigente o funzionario che coordina il singolo
settore/unità) e servirà a chiarire gli obiettivi di lavoro per il periodo di riferimento (es. un
anno) e i contenuti della scheda di valutazione. La finalità è quella di definire ciò che ci si
attende dal personale e di programmare le attività o gli obiettivi.
Successivamente si procederà a verifiche in itinere dell'andamento delle prestazioni.
Infine si effettuerà l'analisi e la valutazione dei risultati, e la loro comunicazione ed eventuale
discussione in contraddittorio con i singoli dipendenti. Ciò al fine di garantire trasparenza,
oggettività ed imparzialità al processo valutativo.
*** *** ***
78
D) ATTIVITA' DI FORMAZIONE ED INFORMAZIONE
TRAMITE INTERVENTI SPECIALISTICI
Si segnalano di seguito i principali “Interventi specialistici” effettuati dalla Consigliera di
Parità nel corso del 2011:
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02.02.2011, Incontro/Conferenza – Stampa a Cavalese per sottoscrizione del
Protocollo d'Area Distretto Famiglia per la Val di Fiemme, con mio intervento;
25.02.2011, Convegno sulle Libere Professioni al femminile “Donne e Leadership”,
con mio intervento;
02.03.2011, Incontro Pubblico con Ass.ne femminile “Donne Rurali” a Baselga di
Pinè con mia relazione;
08.03.2011, Convegno ad Arco su “Donne, lavoro e famiglia” con mia relazione;
31.03.2011, Tavola Rotonda sulla condizione lavorativa ed economico-sociale della
donna nell'ambito del Corso di “Diritto e Genere” presso Università di Trento, Facoltà
Giurisprudenza, con mio intervento;
11.04.2011, Convegno su Asili Nido e strumenti di conciliazione a cura della Coop.
Bellesini, con mia relazione;
15.06.2011, Incontro/Conferenza – Stampa a Cles per Distretto Famiglia Valle di Non,
con mio intervento;
19.09.2011, Incontro/Conferenza – Stampa a Malè per sottoscrizione Distretto
Famiglia in Valle di Sole, con mio intervento;
04.10.2011, Convegno sui sistemi di valutazione del personale, a cura della
Consigliera di Parità e della Rete Provinciale dei Comitati Pari Opportunità, con mia
relazione;
11.10.2011, Incontro/Conferenza Stampa a Ledro per progetto di avviamento al lavoro
delle donne trentine e nuove-trentine della comunità, con mio intervento;
12.10.2011, Convegno “Percorsi di Democrazia e sottorappresentazione di genere nel
mercato del lavoro”, con mia relazione;
14.10.2011, Incontro Pubblico sulle difficoltà occupazionali delle donne italiane e
mercato del lavoro trentino, a cura del Tavolo per l'Occupazione e l'Occupabilità,
relatrice Prof.ssa Laura Calafà, Università di Verona, con mio intervento;
16.10.2011, Intervento a Comano Terme al Seminario residenziale per le nuove
Amministratrici Pubbliche, con mio intervento;
17.10.2011, Incontro/Conferenza Stampa a Rovereto per il Protocollo d'Intesa
sottoscritto dalla Comunità della Vallagarina con l'Agenzia del Lavoro e la
Consigliera di Parità, con mio intervento;
04.11.2011, Incontro Pubblico a Moena sul progetto “Leames”, formazione,
occupazione e fuga dei cervelli, con mia relazione;
16.11.2011, Incontro/Inaugurazione Mostra d'Arte “Verso la luce..........insieme”, a
cura della Consigliera di Parità, con mia relazione;
25.11.2011, Convegno a Dimaro con la Comunità della Valle di Sole sulla violenza
sulle donne nei lughi di lavoro, con mia relazione;
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26.11.2011, Incontro/Conferenza Stampa a Cles per progetto sull'occupabilità delle
donne trentine e nuove-trentine della comunità, con mia relazione;
01.12.2011, Incontro Pubblico su donne e lavoro in Trentino, a cura del
Coordinamento Donne Trento, con mia relazione;
02.12.2011, Incontro/Conferenza Stampa a Pozza di Fassa per il Progetto “Leames”,
formazione, occupazione e fuga dei cervelli, con mia relazione;
05.12.2011, Convegno “Il lavoro molesto. La violenza sulle donne nei luoghi di
lavoro” , a cura della Commissione Provinciale Pari Opportunità e della Consigliera di
Parità, con mia relazione.
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E) AUTOFORMAZIONE
E' consistita principalmente nella partecipazione a Convegni, Seminari e Tavole Rotonde, di
cui si ricordano di seguito le principali:
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12.01.2011, Presentazione Rapporto Immigrazione in Provincia Autonoma di Trento;
18.01.2011, Incontro/Conferenza Stampa sull'imprenditorialità femminile ed “Albo Comanager”;
24.01.2011, Presentazione Rapporto Occupazione in Provincia Autonoma di Trento;
26.01.2011, Presentazione iniziativa “Oltre la porta chiusa”;
08.02.2011, “SoferInternet Day” a cura del Dott. Luciano Malfer;
14.04.2011, Convegno Ass.ne Donne in Cooperazione: “Siamo all'altezza? “;
03.10.2011, Presentazione XXVI Rapporto sull'Occupazione in Provincia di Trento;
23.11.2011, Incontro/Conferenza Stampa sulla situazione in Provincia di Trento relativa
alla violenza sulle donne;
24.11.2011, Convention a Cles sui Comuni “Family Friendly”;
27.11.2011, Rappresentazione teatrale sul ruolo delle donne nell'unificazione d'Italia, a
cura del Comitato Pari Opportunità Avvocati di Trento.
Si evidenzia che nel corso del 2011 non è stata possibile la partecipazione alla Rete
Nazionale delle Consigliere di Parità a causa della maternità.
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F) DIALOGO INTERISTITUZIONALE
ovvero Collaborazione con le Istituzioni operanti a livello provinciale
e partecipazione ai Tavoli Istituzionali
L’individuazione di strumenti e strategie adeguati per l’attuazione del principio della parità e
delle pari opportunità di genere a livello locale richiede la promozione ed il potenziamento
delle sinergie fra gli Organismi e le Istituzioni esistenti, così da favorire la circolazione, tanto
in senso orizzontale, che verticale, delle informazioni, ed il lavoro di Rete.
In questa logica si intendono ricordare, in codesta sede, le principali collaborazioni effettuate
dalla Consigliera di Parità nel corso del 2011 con le Istituzioni operanti a livello provinciale e
comunale del territorio trentino:
la Consigliera di Parità ha collaborato, in modo particolarmente proficuo, con l’Assessorato
alla Solidarietà Internazionale ed alla Convivenza, con delega alle Pari Opportunità, della
Provincia Autonoma di Trento, nella persona della dott.ssa Lia Giovannazzi Beltrami,
mediante un costante confronto sulle iniziative effettuate, anche in ottemperanza alla funzione
di comunicazione istituzionale sottesa ai compiti della Consigliera (cfr. art. 15, Codice Pari
Opportunità) ed intesa come funzione di dialogo e di interazione di ruolo che le/i Consigliere/i
di parità debbono sviluppare, sia a livello interistituzionale tra soggetti a vario titolo coinvolti
nelle politiche di genere, sia a livello di soggetti sociali e società civile.
Sul versante dell’attività anti-discriminatoria e di risoluzione delle eventuali vertenze di
genere nell'ambito del rapporto di lavoro, il confronto con l’Assessorato ha riguardato casi
particolarmente problematici o segnalati dall’Assessorato stesso.
Ancora, sul versante della realizzazione di azioni positive:
• La Consigliera ha promosso e realizzato, in collaborazione con l'Assessorato alla
solidarietà internazionale ed alla convivenza, con delega alle pari opportunità,
Cinformi ed il Comune di Ledro il progetto: “Nuove trentine e pari opportunita’
nelle scelte e nei percorsi lavorativi”, al fine di promuovere la cultura del lavoro
femminile fra le donne straniere, - c.d. “nuove trentine”-, che vivono nella nostra
provincia, e specificamente nel Comune di Ledro, e supportarle, ciascuna, nella
costruzione di un proprio progetto lavorativo, concreto, fattibile e soddisfacente.
•
La Consigliera ha promosso e realizzato, in collaborazione con l'Assessorato alla
solidarietà internazionale ed alla convivenza, con delega alle pari opportunità,
Cinformie la Comunità della Valle di Non il progetto: “Donne straniere con sé e con
gli altri. Prosecuzione della prima annualità: <dalla formazione alla
prestazione>”, allo scopo di accompagnare le donne straniere che avevano
partecipato alla prima edizione del progetto (v. Relazione Annuale Consigliera di
Parità 2010) a compiere quegli ulteriori e necessari passi per un radicamento personale
e professionale nella comunità locale.
82
•
La Consigliera ha promosso e realizzato, in collaborazione con l'Assessorato alla
solidarietà internazionale ed alla convivenza, con delega alle pari opportunità,
Cinformi ed il Comune di Trento il progetto: “Donne straniere e impresa: una sfida
di pari opportunità lavorativa”, percorso di formazione innovativo a sostegno
all’auto-imprenditorialità femminile, supportando le partecipanti, ciascuna, nella
costruzione di un proprio progetto lavorativo autonomo e sostenibile.
•
Analgamente, la Consigliera di Parità, l'Assessorato alle Pari Opportunità Provinciale
e l'Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Trento e Rovereto hanno
realizzato insieme il Convegno: “Donne e leadership. Meccanismi di esclusione e di
auto-esclusione”, volto ad indagare la “questione” della leadership femminile,
riflettendo e dialogando sulle specificità di ruoli di responsabilità ricoperti da donne, e
sul valore aggiunto e la capacità di innovare che il talento femminile porta nelle
aziende. Esso ha mirato, altresì, ad approfondire la probblematica del correlato difetto
di rappresentanza femminile negli Organismi di Governo delle Libere Professioni,
approfondendone caratteristiche, cause e meccanismi, al fine di individuare adeguati
strumenti ed interventi per correggere l'esclusione e l'autoesclusione femminile.
•
Parimenti in collaborazione con la Commissione Provinciale per le Pari Opportunià
fra uomini e donne, la Consigliera di Parità ha realizzato il convegno: “Sistemi di
valutazione delle prestazioni del personale in ottica di genere”, con l'obiettivo di
indagare i sistemi di rendimento del personale più diffusi sul territorio provinciale, sia
all'inteno delle aziende private che degli enti pubblici; verificarne i processi ed i
caratteri, evidenziarne la portata ed anche le criticità ed offrire spunti di
miglioramento e/o di rielaborazione.
•
Ancora. In collaborazione con la Commissione Provinciale per le Pari Opportunità fra
uomini e donne, di cui è componente ex lege, ha proseguito nell'iniziativa denominata
“Rete Provinciale dei Comitati Pari Opportunità”, effettuando un Convegno sui
“Sistemi di valutazione delle prestazioni del personale in ottica di genere”, con
l'obiettivo di indagare i sistemi di rendimento del personale più diffusi sul territorio
provinciale, sia all'inteno delle aziende private che degli enti pubblici; verificarne i
processi ed i caratteri, evidenziarne la portata ed anche le criticità ed offrire spunti di
miglioramento e/o di rielaborazione.
•
La Consigliera ha inoltre continuato a partecipare, come già nel corso del 2008, al
“Tavolo per l'Occupazione e l'Occupabilità” promosso dall'Assessorato alle Politiche
Sociali del Comune di Trento, collaborando significativamente alla realizzazione delle
iniziative ivi collegialmente assunte, ed in particolare al Convegno annuale tenutosi
all'interno del “Festival dell'Economia”, dal titolo: “Confini diversi. Il fattore
Donna dell'economia che verrà: nuove regole, nuove responsabilità”, che ha visto
l'intervento di Federico Rampini, relatore d'eccellenza. Tale iniziativa è stata sin
dall'origine correlata ad un'altra autunnale, costituita da un ciclo di seminari di
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approfondimento, quali: “Incontro con l'impresa femminile”, relatrici alcune
imprenditrici del mondo trentino; “Le imprese: potenzialità dell'occupazione
femminile”, relatrici prof.ssa Laura Calafà dell'Università degli Studi e dott.ssa avv.
Eleonora Stenico; “Conti aperti e scoperti? Scelte consapevoli nella coppia”, relatrice
prof.ssa Paola Villa dell'Università degli Studi di Trento.
•
La Consigliera di Parità ha collaborato, inoltre, con il “Progetto Speciale Provinciale
per il benessere della famiglia ed il sostegno alla natalità” alla diffusione e
realizzazione sul teritorio provinciale del c.d. “Distretto famiglia”, ed
all'implementazione del processo virtuoso interno alle organizzazione produttive
denominato “Family Audit”.
•
La Consigliera di Parità ha collaborato, inoltre, con la c.d. “Cabina di Regia” a
favore dell'occupazione giovanile, che ha elaborato nel corso del 2011 un prezioso
documento di indirizzo delle politiche provinciali a sostegno dell'occupabilità dei
giovani, ragazzi e ragazze.
•
L'Agenzia del Lavoro si è avvalsa della Consigliera di Parità per la realizzazione
del c.d. “Piano Lavoro 2011 – 2013.
Inoltre la Consigliera ha partecipato ai seguenti (principali) Tavoli Istituzionali:
1. Commissione Provinciale per le Pari Opportunità fra Uomini e Donne
2. Commissione Provinciale per l'Impiego
3. Comitato Provinciale di mobilità
4. Comitato Provinciale per la Formazione Professionale
5. Comitato Antiviolenza
6. Comitato scientifico Family Audit
7. Cabina di Regia per l'occupazione giovanile
8. Tavolo per l'Occupazione e l'Occupabilità, ente capofila Comune di Trento
9. Rete provinciale dei Comitati Pari Opportunità di enti pubblici ed aziende private.
Trento, 31 marzo 2012
La Vice-Consigliera di Parità
Avv. Gabriella Di Paolo
La Consigliera di Parità
avv. Eleonora Stenico
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