Terapie di supporto nel tumore del polmone A cura di: Silvia Novello Università di Torino, AOU San Luigi Orbassano (TO) e Cristina Mantovani Università di Torino, AOU San Giovanni Battista (TO) Indice pag. 4 pag. 5 pag. 12 pag. 16 pag. 20 1. Ruolo dei globuli bianchi e dell’emoglobina 2. Neutropenia 3. Anemia 4. Nausea e Vomito 5. Metastasi ossee pag. 21 - DIFOSFONATI pag. 23 - RUOLO DELLA RADIOTERAPIA pag. 25 pag. 34 6. Il Dolore 7. Glossario 1. Ruolo dei globuli bianchi e dell’emoglobina Il midollo osseo produce tre importanti componenti del sangue: globuli rossi, che sono i trasportatori dell’ossigeno del nostro organismo globuli bianchi, che rappresentano le nostre difese nei confronti delle infezioni piastrine, che contribuiscono nel processo di coagulazione La chemioterapia, la radioterapia e i farmaci a bersaglio molecolare (questi ultimi in maniera meno marcata rispetto alla chemioterapia) possono distruggere alcune cellule del midollo osseo, così che vengano prodotti meno componenti del sangue. Spesso la tossicità ematologica richiede una sospensione della terapia e/o una sua riduzione di dose. Sarà il medico di riferimento a valutarne l’entità e a decidere i provvedimenti adeguati 4 2. Neutropenia Si parla di: LEUCOPENIA se si riduce il numero di globuli bianchi. Per NEUTROPENIA si intende la riduzione del numero di neutrofili, che sono quella parte di globuli bianchi specificatamente deputati a combattere le infezioni. In molti casi la tossicità ematologica è assolutamente asintomatica (ossia non causa nessun disturbo) e si riscontra solo con gli esami del sangue che vengono effettuati periodicamente durante la chemioterapia. Nella maggior parte dei casi, qualora il trattamento chemioterapico provochi neutropenia, questa si verifica intorno al quindicesimo giorno dal termine del trattamento. Questa tempistica varia comunque a seconda del trattamento. Il giorno in cui è maggiore il rischio di abbassamento dei componenti del sangue viene identificato come nadir. La LEUCOPENIA (e la NEUTROPENIA) può comportare una difficoltà dell’organismo nel difendersi dalle infezioni. La reazione a tale evento dipende comunque dalle condizioni generali della persona e dall’entità del calo dei valori. LIEVE MODERATA IMPORTANTE 1500-1000/μL 1000-500/μL < 500/μL Gravità della Neutropenia in base al numero dei Neutrofili riscontrati con l’esame del sangue L’infezione può insorgere in qualunque parte del corpo (cavo orale, cute, apparato respiratorio, tratto urinario o intestinale, apparato genitale, ecc) e si può associare a febbre. 5 Quali possono essere segni di infezione, a cui prestare attenzione e da riferire al proprio medico: temperatura corporea 38°C (o superiore) brividi sudorazione diarrea (che può peraltro essere anche un effetto collaterale della terapia) sensazione di bruciore quando si urina tosse (non presente prima o con diverse caratteristiche: es. con più espettorato) arrossamento e dolore nei pressi della sede di inserzione dell’accesso venoso centrale (se presente) dolore addominale Quali accorgimenti adottare in caso di Neutropenia In alcuni casi il medico di riferimento può porre indicazione ad eseguire terapia antibiotica a scopo profilattico (ossia per prevenire una possibile infezione) e/o terapia (fiale da iniettare per lo più sottocute) con fattori di crescita per la serie bianca, ossia farmaci che aiutano la produzione di globuli bianchi da parte del midollo osseo. 6 Che cosa sono i fattori di crescita per la serie bianca? I fattori di crescita per la serie bianca sono farmaci che aiutano il nostro midollo a produrre più globuli bianchi. I fattori di crescita sono normalmente prodotti dal nostro organismo ed esistono anche sotto forma di farmaci. I fattori di crescita per la serie bianca possono ridurre la possibilità di sviluppare un’infezione. È importante seguire anche gli accorgimenti indicati a pagina 11 e segnalare al proprio medico possibili segni/sintomi di infezione (vedi pag. precedente), pur eseguendo correttamente la terapia con i fattori di crescita per la serie bianca. In Italia esistono in commercio diversi tipi di fattori di crescita per la serie bianca: lenograstim filgrastim filgrastim peghilato Questi tre farmaci lavorano in modo simile; la forma peghilata ha una sostanza aggiunta, che le consente di restare attiva più a lungo. È comunque il medico di riferimento che prescriverà uno di questi farmaci. Come eseguire la terapia con i fattori di crescita per la serie bianca Il farmaco va conservato in frigo. Prima di somministrarlo va lasciato a temperatura ambiente per qualche minuto. Non scuotere la fiala o la siringa prima di praticare l’iniezione. La cadenza con cui il farmaco va somministrato verrà indicata dal medico di riferimento. Come indicazioni generali: la somministrazione è giornaliera (con una durata complessiva della cura indicata dal medico di riferimento, fino ad un massimo di 14 giorni) la forma peghilata viene somministrata ogni 21 giorni (ossia con la stessa cadenza della maggior parte dei cicli di chemioterapia) La maggior parte dei fattori di crescita per la serie bianca oggi in commercio, è già pronta per l’uso in sirighe preriempite. 7 Qualora invece il farmaco prescrittovi fosse all’interno di una fiala, seguite le indicazioni riportate nella figura di seguito. Fiala Come preparare la siringa per l’iniezione 1 Preparare il materiale su un piano pulito. Lasciare che il composto raggiunga temperatura ambiente (pochi minuti). 2 Togliere il tappo alla fiala ripulendo la parte in cui inserire l’ago con cotone imbevuto di alcool. 3 Inserire l’ago nel gommino della fiala spingendo dentro l’aria. 4 Aspirare il contenuto della fiala nella siringa. Chi esegue l’iniezione deve prima lavarsi accuratamente le mani col sapone. 8 Iniezione Dove eseguirla Detergere bene la zona corporea in cui verrà effettuata l’iniezione con salviettine disinfettanti oppure cotone imbevuto di alcool o disinfettante. Una volta preparata la siringa, individuare la zona per voi più agevole. L’iniezione può essere praticata in vari punti del corpo: identificate una zona e disinfettatela accuratamente prima di inserire l’ago. L’iniezione sottocutanea è facile da eseguire, non è pericolosa e può essere eseguita anche da personale non necessariamente medico o infermieristico. Iniezione Come eseguirla 1 Dopo aver disinfettato la cute, sollevare una piega tra due dita. 2 Inclinando la siringa di circa 45°, inserire tutto l’ago nella pelle. Premere lentamente lo stantuffo. Se dovesse risalire del sangue nella siringa interrompete l’iniezione ed eseguitela in un’altra zona. 3 Terminata l’iniezione rimuovere l’ago con la stessa inclinazione con la quale è stato inserito. 9 Quali effetti collaterali possono causare questi farmaci Quando vengono somministrati, questi farmaci provocano un aumento notevole dei globuli bianchi: per questo, pur essendo fondamentalmente dei prodotti naturali, possono causare degli effetti collaterali. Le possibili reazioni sono soggettive e quindi difficili da prevedere, ma in genere questi sono farmaci ben tollerati e gli eventuali effetti collaterali di breve durata e facilmente controllabili. Dolore osseo e muscolare: alcune persone lamentano dolore alla schiena, al bacino, alle braccia e alle gambe, che scompaiono comunque quando la terapia con i fattori di crescita per la serie bianca viene interrotta. Possono dare sollievo massaggi nella zona dolente, così come l’utilizzo (previo colloquio con il medico di riferimento) di un farmaco antidolorifico antinfiammatorio. Arrossamento e prurito nella zona dove è stata praticata l’iniezione: solitamente tale reazione sparisce rapidamente. Reazione allergica generalizzata: con febbre, brividi, mancanza di fiato, battiti cardiaci accelerati e ritenzione di liquidi. È importante informare subito il medico di riferimento; può essere utile assumere paracetamolo e, ove necessario, recarsi al più vicino Pronto Soccorso. Nausea, vomito e diarrea: sono effetti che si verificano molto raramente (vedi suggerimenti su Libretto “Gestione pratica dei più comuni effetti collaterali - Terapie a Bersaglio Molecolare”). 10 Come comportarsi in caso di leucopenia/neutropenia? lavarsi spesso le mani durante il giorno (soprattutto prima dei pasti e dopo essere andati alla toilette) non frequentare persone con infezioni che si potrebbero facilmente contrarre (raffreddore, influenza, morbillo, ecc) non frequentare ambienti sovraffollati (come cinema, mezzi di trasporto pubblico, bar, teatri) utilizzare guanti di protezione nel fare giardinaggio o nell’effettuare pulizia di animali o bambini piccoli (es. nel cambiare loro il pannolino) non utilizzare nessun farmaco che possa modificare le difese immunitarie, prima di consultare il medico di riferimento Neutropenia Febbrile Si parla di Neutropenia Febbrile quando viene riscontrata anche una sola volta una temperatura corporea pari a 38.5 °C o una temperatura persistentemente superiore o uguale a 38 °C, che si accompagna a un numero totale di neutrofili inferiore a 500/μL. La concomitanza della febbre e della neutropenia è da tenere in alta considerazione: diventa pertanto indispensabile segnalare l’aumento della temperatura corporea, qualora il medico abbia riferito l’abbassamento dei neutrofili emerso dagli esami del sangue. 11 3. Anemia L’ANEMIA può comportare uno o più dei seguenti disturbi: stanchezza mancanza di fiato (detta anche dispnea) pallore tendenza ad avere freddo vertigini/capogiri Come affrontare i disturbi legati all’anemia? concedersi dei periodi di riposo durante la giornata limitare le attività giornaliere a ciò che è strettamente indispensabile e chiedere il supporto di amici e familiari nel gestire attività più impegnative consultarsi con l’oncologo di riferimento e/o con il personale infermieristico su attività fisiche consentite/consigliate cercare di mantenere una dieta bilanciata (non è mangiando solo più carni rosse che i globuli rossi torneranno a valori normali!) e bere molti liquidi non fare movimenti rapidi nell’alzarsi dal letto o da una poltrona, per evitare vertigini/capogiri In caso di anemia il medico di riferimento può porre indicazione ad eseguire una terapia (fiale da iniettare per lo più sottocute) con fattori di crescita per la serie rossa, ossia farmaci che aiutano la produzione di globuli rossi da parte del midollo osseo, e/o ad effettuare una o più trasfusioni di sangue. 12 Che cos’è l’eritropoietina? L’eritropoietina è una proteina prodotta dal nostro organismo deputata a stimolare il midollo osseo a produrre globuli rossi. Esiste anche come composto farmacologico. Ci sono casi in cui il medico di riferimento potrà prescrivere l’eritropoietina, nel caso in cui sia presente anemia. L’eritropoietina (che può essere utilizzata in corso di radioterapia o chemioterapia) non si sostituisce alle trasfusioni di sangue. Ci sono in commercio due tipi di eritropoietina, che lavorano in maniera simile: epoetina darbepoetina La darbepoetina ha un profilo farmacologico che le consente di restare attiva più a lungo. È comunque il medico di riferimento che prescriverà uno di questi farmaci. Perché in alcuni casi l’eritropoietina è utile? Quando la chemioterapia e/o la radioterapia provocano una riduzione del numero di globuli rossi circolanti nel sangue, in conseguenza di un rallentamento della loro produzione a livello del midollo osseo, si manifesta l’anemia. Questa può essere asintomatica (ossia solo un riscontro casuale durante i periodici esami del sangue di controllo) o provocare sintomi quali stanchezza o mancanza di fiato (vedi “anemia” pag. 12). Al termine del trattamento il numero dei globuli rossi pian piano risale, ma questo può richiedere del tempo. La terapia con eritropoietina aumenta la produzione di globuli rossi a livello midollare nell’arco di 2-3 settimane dall’inizio del suo utilizzo. Come viene effettuata la terapia con eritropoietina? L’eritropoietina viene somministrata per via iniettiva sottocutanea (vedi Figura “Iniezione: Dove eseguirla” e Figura “Iniezione: Come eseguirla”, pag. 9). La cadenza della somministrazione e la durata della terapia verranno indicate dal medico di riferimento. Come informazione generale, l’eritropoietina può essere somministrata giornalmente (per un numero totale di giorni, che verrà indicato dal medico di riferimento), settimanalmente o ogni 3 settimane. 13 Solitamente l’utilizzo dell’eritropoietina viene protratto fino ad un mese dalla fine della terapia (chemioterapia o radioterapia), ma la durata della terapia con eritropoietina viene comunque decisa dal medico di riferimento sulla base dei valori dei globuli rossi e dell’emoglobina. In alcuni casi il medico di riferimento prescriverà una terapia con ferro in aggiunta all’eritropoietina. Seguendo le indicazioni di pagina 9, o del medico di riferimento (o del personale infermieristico) l’iniezione sottocutanea la può praticare lo stesso paziente e/o un familiare. Quali sono i possibili effetti collaterali dell’eritropoietina? La quantità di ertitropoietina necessaria al nostro organismo in condizioni normali è molto bassa. Quando si rende necessaria la somministrazione di eritropoietina, il suo livello nel nostro organismo aumenta notevolmente e questo può provocare l’insorgenza di alcuni effetti collaterali. Solitamente, qualora si presentino, gli effetti collaterali non sono gravi. Sintomi simili ad un’influenza: dolori diffusi, stanchezza, vertigini. Solitamente questi effetti compaiono all’inizio della terapia con eritropoietina e il medico potrà prescrivere farmaci, quali il paracetamolo, che solitamente attenuano questi disturbi. Cefalea (mal di testa) Aumento della pressione sanguigna: è importante segnalare al medico di riferimento se si assumono farmaci per il controllo della pressione e, qualora si abbia la possibilità di misurarla al domicilio, se vi sono dei rialzi pressori dopo l’inizio della terapia con eritropoietina. Il medico di riferimento controllerà i valori pressori durante le visite periodiche. Irritazione cutanea: arrossamento, prurito nella sede dove l’iniezione viene praticata. Questo effetto può essere attenuato cambiando ogni volta la sede in cui praticare l’iniezione. (vedi Figura “Iniezione: Dove eseguirla”, pag. 9) Molti studi riportano i benefici dell’utilizzo dell’eritropoietina in pazienti affetti da patologia tumorale. Esistono anche studi che riportano una crescita tumorale e un aumento di eventi trombotici in associazione con l’utilizzo di questo farmaco. L’indicazione alla terapia con eritropoietina si basa su valutazioni soggettive che il medico oncologo fa caso per caso. 14 Trasfusione di sangue La trasfusione di sangue deve essere considerata semplicemente come uno dei mezzi per correggere l’anemia. I sintomi correlati all’anemia (vedi pag. 12) si attenuano in genere rapidamente dopo aver eseguito una trasfusione di sangue, portando un beneficio alla qualità di vita nell’arco delle successive 24 ore. Questo beneficio a volte è transitorio e ci sono casi in cui possono essere necessarie più trasfusioni di sangue. Ricevere una trasfusione di sangue Qualora il medico di riferimento dia indicazione a eseguire una trasfusione di sangue per la prima volta, viene controllato il gruppo sanguigno: anche quando questo sia già noto, verrà comunque eseguito un prelievo di sangue per accertarlo e il risultato verrà allegato alla cartella clinica per eventuali future trasfusioni di sangue. La trasfusione viene eseguita per via endovenosa, utilizzando un accesso venoso del braccio o l’accesso venoso centrale. Il sangue è contenuto in sacche di materiale plastico, che ne contengono mezzo litro: una singola trasfusione può prevedere una o più sacche a seconda del valore dell’emoglobina registrato al controllo di sangue e secondo la prescrizione del medico di riferimento. La trasfusione di una singola sacca può durare da una a due ore. Qualora siano sufficienti 1 o 2 sacche di sangue, la trasfusione può essere praticata in Day Hospital. Possibili effetti collaterali correlati alla trasfusione di sangue Durante la trasfusione può esserci un aumento della temperatura corporea, dei battiti cardiaci o della pressione arteriosa: il personale infermieristico può monitorare questi parametri. Possono poi comparire: cefalea e arrossamento cutaneo, che possono essere alleviati per esempio con la somministrazione del paracetamolo (secondo indicazione del medico di riferimento). Molte persone temono le infezioni dall’infusione di sangue, ma il controllo che viene oggi fatto sulle sacche e sui donatori è rigoroso e i casi di infezione sono da considerarsi eventi eccezionali. 15 4. Nausea e vomito Nausea e vomito sono disturbi che spesso si verificano in modo contemporaneo, ma sono anche due condizioni cliniche distinte. La nausea è una sensazione spiacevole, che non sempre è seguita dal vomito: si manifesta come un vago disagio o malessere localizzato nell’area sotto lo sterno (l’osso centrale piatto del torace), a livello della gola o diffuso in tutto l’addome (pancia). In associazione alla nausea si possono manifestare: aumento della salivazione, vertigini, lieve cefalea, difficoltà nella deglutizione (detta disfagia), variazioni della temperatura cutanea e aumento della frequenza cardiaca (tachicardia). Il vomito (emesi) è un meccanismo attraverso il quale il nostro organismo espelle le sostanze tossiche e corrisponde a un’energica contrazione della muscolatura dello stomaco e addominale, che provoca la fuoriuscita del contenuto dello stomaco, del duodeno e del digiuno prossimale (due parti dell’intestino) attraverso la bocca. A volte si presentano solo dei conati, ossia degli sforzi muscolari senza emissione di materiale. Oltre che dai farmaci e/o dalla radioterapia la nausea e il vomito possono dipendere anche dalla reattività individuale, dalla malattia stessa, da eventuali infezioni concomitanti, da fattori psicologici e dallo stato emotivo. Qualora la nausea e il vomito si manifestino UNICAMENTE nei giorni in cui ci si reca in ospedale (per visite periodiche, esecuzione esami), a indicare lo stato di ansia legato al timore che vengano date nuove comunicazioni in merito a malattia e/o terapia e all’esito degli esami, allora possono essere utili farmaci ansiolitici (come le benzodiazepine), sempre su indicazione del medico di riferimento. Sia la nausea che il vomito sono controllabili nella maggior parte dei casi con l’utilizzo di farmaci appositi (detti antiemetici) e con alcuni accorgimenti pratici. I farmaci antiemetici funzionano diversamente e pertanto non bisogna scoraggiarsi qualora il primo prescritto non dovesse funzionare. 16 Quando associati al trattamento chemioterapico la nausea e il vomito possono essere: a inizio acuto: ossia pochi minuti dopo la somministrazione della chemioterapia, con un massimo dopo 5-6 ore e con regressione nell’arco delle prime 24 ore a inizio ritardato: ossia più di 24 ore dopo la somministrazione della chemioterapia. Per esempio dopo un farmaco come il cisplatino (un chemioterapico spesso utilizzato nel trattamento del tumore polmonare), la nausea e il vomito possono essere intensi dopo 48-72 ore dalla somministrazione e talvolta protrarsi per 6-7 giorni anticipati: ossia influenzati da precedenti esperienze di vomito o scatenati dal semplice accesso in ospedale È importante parlare di questi disturbi con il medico di riferimento perché esistono farmaci e accorgimenti utili per affrontarli. La nausea e il vomito sono forse tra i sintomi che più preoccupano i pazienti che debbano iniziare un trattamento chemioterapico e la chemioterapia spesso viene considerata dal paziente causa diretta e certa di nausea e vomito. In realtà non tutti i farmaci causano questi disturbi e soprattutto non tutti lo fanno allo stesso modo. La capacità di un farmaco antitumorale di provocare nausea e vomito, detta “potenziale emetogeno”, è quindi diversa da un farmaco all’altro, ma anche da un paziente all’altro e dipende inoltre dalla dose di farmaco chemioterapico utilizzata. Esistono 5 livelli di potenziale emetogeno in base alla frequenza con cui si verifica la sintomatologia: Potenziale emetogeno 5 4 3 2 1 Frequenza dell’emesi >90% 60 – 90% 30 – 60% 10 – 30% <10% Farmaci chemioterapici Carmustina (>250 mg/mq) Cisplatino (>50 mg/mq) Ciclofosfamide (>1500 mg/mq) Dacarbazina Mecloretamina Streptozocina Carboplatino Citarabina (>1 g/mq) Doxorubicina (>60 mg/mq) Metotrexate (>1000 mg/mq) Procarbazina Epirubicina Idarubicina Ifosfamide Mitoxantrone Doxorubicina Oxaliplatino Irinotecan Exametilmelamina Docetaxel Etoposide 5Fluorouracile Gemcitabina Mitomicina Paclitaxel Pemetrexed Topotecan Bleomicina Busulfan Clorambucile Idrossiurea Vinblastina Vincristina Vinorelbina Bevacizumab Cetuximab Gefitinib Erlotinib Questa tabella è solo indicativa: il medico di riferimento potrà fornire indicazioni più dettagliate e personalizzate. 17 A C C O R G I M E N T I C O N T R A S T A R E V O M I T O U T I L I P E R N A U S E A E Evitare gli odori che inducono nausea (cibo, profumi, fumi). Cercare di non mangiare e comunque non restare a lungo nella stanza dove vengono cucinati i cibi Bere tendenzialmente fuori dai pasti e non durante gli stessi Prediligere bevande non gassate, fresche e non zuccherate Prediligere le carni bianche Introdurre piccole quantità di cibo, privilegiando piccoli pasti più volte nell’arco della giornata, in modo che lo stomaco non resti mai completamente vuoto Masticare i cibi lentamente Introdurre i cibi a temperatura ambiente (evitando cibi e bevande troppo fredde o troppo calde) Può aiutare tenere in bocca un cubetto di ghiaccio Dopo i pasti riposare in poltrona, evitando di andare a letto Solitamente la mattina è il momento di maggiore benessere: in tal caso fare una prima colazione ad alto contenuto nutritivo Quando si ha la nausea, cercare di respirare in modo tranquillo e dalla bocca Indossare scarpe e vestiti comodi Possono essere utili tecniche di rilassamento: chiedete al medico di riferimento se è a conoscenza di iniziative vicino al vostro domicilio. 18 I N C A S O D I N A U S E A M E G L I O E V I T A R E D I O VOMITO Coricarsi nelle 2 ore successive all’assunzione del cibo Sforzarsi di ingerire cibo contro la propria volontà Mangiare carni rosse Mangiare cibi troppo pesanti, che risulterebbero difficili da digerire (cibi fritti, speziati, grassi o troppo dolci) Farmaci contro la nausea e il vomito Sarà il medico di riferimento a indicarvi se è necessaria una terapia antiemetica (ossia per controllare nausea e vomito) e in tal caso a prescrivervi il farmaco appropriato. Esistono numerosi farmaci antiemetici, tra cui metoclopramide, clorpromazina, aloperidolo oppure ondansetron, granisetron, dolasetron, palonosetron, aprepitant. Spesso l’aggiunta di cortisone aiuta l’effetto del farmaco antiemetico. 19 5. Metastasi ossee Lo scheletro è la più comune sede di metastatizzazione (ossia le cellule tumorali possono raggiungere l’osso attraverso la circolazione sanguigna) e le metastasi ossee sono una delle principali cause di dolore riportate nei pazienti affetti da tumore. La presenza di metastasi ossee può essere responsabile di alcune complicanze importanti quali: l’immobilizzazione protratta: in considerazione della presenza di metastasi ossee in determinate sedi il medico di riferimento vi consiglierà di rimanere a letto anche per tempi lunghi fratture ossee patologiche: ossia si possono avere delle fratture in alcuni punti dello scheletro NON come conseguenza di un trauma, ma proprio perché l’osso è indebolito dalla presenza della malattia ipercalcemia (incremento della quantità di calcio presente nel sangue): tutti noi abbiamo una quota di calcio che circola nel sangue e che può aumentare in caso di metastasi ossee. Per questo il medico di riferimento può richiedere esami del sangue per valutare questo valore. L’ipercalcemia può causare alcuni sintomi quali: stanchezza, irritabilità, nausea e vomito, confusione mentale. I difosfonati (vedi pag. 21) possono ridurre il calcio circolante in caso di ipercalcemia da metastasi ossee compressione midollare e/o delle radici nervose: a seconda del punto dello scheletro, interessato dalla metastasi, il midollo osseo (contenuto all’interno della colonna vertebrale) o alcune radici nervose possono rimanere schiacciate. Alcuni esami radiologici mirati aiuteranno il medico di riferimento a capire meglio dove sia localizzata la metastasi e quali problemi possa eventualmente creare In alcuni casi le metastasi ossee possono richiedere un intervento chirurgico oppure un trattamento radioterapico (vedi pag 23). Nell’osso normale sono presenti due tipi di cellule (che si chiamano: osteoblasti e osteoclasti), che lavorano per mantenere la compattezza e la forza di questo tessuto. Molto schematicamente: gli osteoclasti distruggono l’osso vecchio gli osteoblasti costruiscono nuovo osso 20 Le metastasi ossee causate da tumore polmonare sono caratterizzate da un aumento dell’attività degli osteoclasti. Quello che succede all’osso sede di metastasi da tumore polmonare è che viene a mancare una parte della sua struttura (proprio perché gli osteoclasti lavorano di più), rendendolo così più fragile. Questo processo viene chiamato osteolisi tumorale e alla radiografia appare come un’area meno densa, meno compatta rispetto all’osso circostante. I DIFOSFONATI In caso di metastasi ossee, insieme alla chemioterapia, alla radioterapia e/o ad altri trattamenti (per esempio con farmaci a bersaglio molecolare), anche i difosfonati rivestono un ruolo molto importante. I difosfonati intervengono quando l’attività degli osteoclasti è eccessiva (come nell’osteolisi) ricostituendo l’equilibrio fra l’attività di osteoblasti ed osteoclasti, facendo così in modo che meno calcio passi dall’osso al circolo sanguigno e facilitando la ricalcificazione dell’osso sede della/e metastasi. I difosfonati maggiormente utilizzati per le metastasi da tumore polmonare sono il pamidronato e l’acido zoledronico. Entrambi vengono somministrati per via endovenosa con schemi, dosaggi e tempistiche, che vengono valutate dal medico di riferimento. In generale: l’infusione può durare da 30 minuti a più di 3 ore solitamente la somministrazione viene ripetuta ogni 3-4 settimane per un totale di 6-8 somministrazioni questi farmaci non interferiscono con le altre terapie (quali la chemioterapia o la radioterapia) periodicamente il medico di riferimento controllerà i livelli di calcio nel sangue mediante esami del sangue 21 Possibili effetti collaterali dei difosfonati Ogni individuo reagisce in modo differente ai farmaci e quindi, anche per i difosfonati, le reazioni cambiano da persona a persona. In linea generale questi sono comunque farmaci ben tollerati, che causano solitamente effetti collaterali blandi e in una percentuale minima di pazienti. Qualora si presentino degli effetti collaterali, i più frequenti sono: Aumento del dolore osseo: ci sono casi in cui il dolore correlato alle metastasi ossee può temporaneamente aumentare dopo la somministrazione del difosfonato. È importante parlarne con il proprio medico di riferimento così che possa riaggiustare la terapia del dolore fino a quando questo effetto non si risolva Sintomi simil-influenzali: comprendenti febbre, brividi, dolori articolari e muscolari Ancora meno comuni rispetto agli effetti collaterali sopra riportati: Una importante riduzione del calcio circolante: che è un evento raro e comunque transitorio. Viene evidenziato facendo periodicamente gli esami di sangue secondo l’indicazione del medico di riferimento Nausea e vomito: (vedi pag. 16) Dolori addominali (mal di pancia), stitichezza o diarrea: sono effetti transitori, che vanno peraltro segnalati al medico di riferimento (vedi parte dedicata nel Libretto “Gestione pratica dei più comuni effetti collaterali - Terapie a Bersaglio Molecolare”) Alterazione della funzionalità renale: è un evento raro, che solitamente non si accompagna a nessun sintomo e viene rilevato solo dagli esami del sangue Cefalea (mal di testa): non è un evento comune. È importante mantenere una buona idratazione (ossia introdurre almeno 1.5-2 litri di liquidi al giorno). Chiedere consiglio al medico di riferimento su quale/i farmaci utilizzare Problemi mandibolari (osteonecrosi): Questo è un effetto molto raro correlato ad alcuni difosfonati. L’osso mandibolare può perdere le sue caratteristiche (struttura, compattezza). Per questo motivo il medico di riferimento può chiedere informazioni in merito alla situazione dentaria ed eventualmente prescrivere una radiografia (panoramica dentaria) prima o durante terapia con difosfonati 22 RUOLO DELLA RADIOTERAPIA IN CASO DI METASTASI OSSEE La radioterapia fa parte delle possibilità terapeutiche per il paziente affetto da tumore polmonare con metastasi ossee. La decisione di irradiare (ossia di praticare la radioterapia su una o più sedi con metastasi ossee) un paziente viene presa di comune accordo dal medico oncologo di riferimento e dal medico radioterapista. La radioterapia ossea ha un ruolo antalgico (ossia nel controllo del dolore), decompressivo (qualora vi siano delle strutture “schiacciate” dalla metastasi), preventiva su alcuni danni secondari alla metastasi stessa, fra cui anche le fratture patologiche (vedi pag. 20). La risposta alla radioterapia dipende dal tipo di malattia, dalla sede interessata e dal soggetto trattato. La probabilità di risposta antalgica (ossia di un miglioramento del dolore) alla radioterapia oscilla tra il 75 e l’85%, ottenendo nel 30-50% dei casi una risposta che può definirsi completa, ossia che comporta il totale abbandono dei farmaci antidolorifici e il recupero della funzionalità (l’attività di quella parte di scheletro colpita dalla metastasi). La durata della risposta alla radioterapia è soggettiva e il dolore non si ripresenta nel 50-70% dei casi. La risposta alla radioterapia può comparire anche 4 settimane dopo la fine del trattamento, occasionalmente è quasi immediata e più raramente si manifesta dopo più di 4 settimane dalla fine della terapia. Quando la metastasi interessa una vertebra (ossia una parte della colonna vertebrale) o un osso lungo (come quelli della coscia o delle braccia) è possibile che il medico di riferimento chieda anche un consulto ortopedico e che si debba intervenire chirurgicamente prima di iniziare la radioterapia. La modalità (sede da irradiare, numero di sedute di radioterapia) viene decisa dal medico radioterapista e viene comunicata durante il primo colloquio. Uno degli schemi più usati dai radioterapisti è quello che viene definito “ipofrazionato”: significa che la dose di radiazioni (che viene misurata in Gray=Gy) durante una seduta di radioterapia è un po’ più alta, ma si riduce il numero delle sedute. Questo fa sì che il trattamento sia complessivamente di più breve durata, ma anche che l’azione sul dolore sia più rapida. 23 Alcune possibilità di terapia: 30 Gy in 10 sedute (ossia 10 giorni, che corrispondono a 2 settimane di trattamento, in quanto la radioterapia viene praticata tutti i giorni dal lunedì al venerdì) oppure 20 Gy in 5 sedute (ossia 5 giorni, che corrispondono a 1 settimana di trattamento) oppure 8 Gy in una singola seduta. Solitamente la radioterapia ossea è ben tollerata e raramente si osservano effetti collaterali: nei giorni immediatamente successivi all’inizio della radioterapia, il dolore osseo nella sede in cui si sta facendo la radioterapia può aumentare (questo perché si forma un alone di infiammazione, detto edema, intorno alla zona irradiata) e va controllato con un aggiustamento della terapia antidolorifica con il medico oncologo o radioterapista di riferimento e può verificarsi un arrossamento o un eritema in corrispondenza della cute del campo di trattamento. 24 6. Il Dolore Alcune persone con diagnosi di tumore polmonare NON sviluppano MAI dolore. Il polmone di per sè non è un organo “che fa male”, poiché non possiede i recettori per il dolore, ossia quelle strutture cellulari che danno il primo impulso per il dolore. Qualora il dolore si dovesse presentare bisogna partire dal presupposto che questo sintomo si può controllare, con la propria partecipazione e con l’aiuto del medico di riferimento, degli infermieri e dei familiari. Le varie cause del dolore sono oggi note ed è pertanto molto difficile che vi siano ancora casi in cui il dolore non si riesca a tenere sotto controllo. Le caratteristiche del dolore variano da una persona all’altra e ogni caso va trattato singolarmente: per questo è importante descrivere esattamente al medico di riferimento tutti gli aspetti del dolore nell’arco della giornata, perché possa valutare la terapia antidolorifica più adeguata. L’entità del dolore NON è direttamente proporzionale a quanto è esteso il tumore e quindi avere molto male non significa necessariamente avere un tumore molto esteso o più grave di chi non abbia dolore. Cause del dolore Il dolore associato ad un tumore è cronico (ossia persistente) nella maggior parte dei casi e le cause possono essere diverse: per azione diretta del tumore, che infiltra tessuti/strutture vicini o che provoca infezione (nel 70% dei casi): invasione del sistema scheletrico, invasione o compressione di strutture nervose, ostruzione di visceri cavi, ostruzione o invasione vascolare. Sindromi indotte dal tumore (<10% dei casi): sindromi paraneoplastiche o dolore associato a debilitazione dovute alla formazione di piaghe da decubito come conseguenza del trattamento chirurgico, chemioterapico o radioterapico (circa 20% dei casi): dolore correlato a una procedura diagnostica (per esempio la biopsia), dolore acuto post-operatorio, dolore post-radioterapia cause non direttamente collegate al tumore o alle terapie (vedi disturbi cardiovascolari, gastrointestinali, neurologici o altro). Meno del 10% dei casi 25 La paura, l’ansia, la depressione e la stanchezza possono peggiorare il dolore. Questo non significa che il dolore sia solo “un fatto di testa”, ma affrontare anche queste componenti può migliorare il controllo del dolore stesso. Che cos’è il dolore? Il dolore è una spiacevole esperienza sensoriale ed emotiva che insorge quando un tessuto è in qualche modo danneggiato. È un sintomo soggettivo, che può determinare cambiamenti importanti della personalità, dello stile di vita e delle capacità della persona. Il dolore viene percepito quando un nervo viene in qualche modo stimolato. Il nervo trasmette un segnale al cervello e la persona sente dolore. Descrivere il dolore La descrizione precisa delle caratteristiche, durata, tipologia di dolore aiutano il medico e il personale infermieristico a impostare la migliore cura per combatterlo. Per descrivere il dolore ponetevi alcune domande: rispondere a queste annotandole su un diario, può aiutare voi e chi vi sta intorno ad affrontare e risolvere il dolore. Dove avete male? È una sola parte o più punti del vostro corpo? Parte da un punto per poi diffondersi nell’arco della giornata? Come è il dolore che percepite? (utilizzate le frasi/parole qui sotto riportate per meglio descrivere il vostro dolore) Acceso Pungente Irradiante (che si irradia in altri punti) Intenso Graffiante Intermittente (va e viene) Sensazione di bruciore Lieve Deprimente Costante Moderato Diffuso 26 Fastidioso Devastante Crea intorpidimento Molto intenso Come un formicolio Procura sensazione di scariche elettriche Penetrante Genera fatica Straziante Acuto Insostenibile Avete mai avuto un dolore come questo in precedenza? Assomiglia per esempio a un dolore come il mal di denti o a crampi? Vi sembra che il dolore sia superficiale o è un dolore profondo? Quanto è intenso il dolore? Per meglio descrivere l’intensità del dolore, cercate di paragonarlo a un dolore provato in precedenza, come un forte mal di testa, mal di denti, mal di schiena, il dolore del parto per le donne o un dolore percepito nel corso di un pregresso incidente. Se pensate possa essere più preciso, potete utilizzare una scala di gravità del dolore come quella sotto riportata dove zero significa assenza di dolore, mentre 10 è il dolore massimo che voi abbiate mai avuto. 0 Nessun dolore 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Dolore massimo C’è qualcosa che fa sì che il vostro dolore vada meglio o peggio? Per esempio state meglio se siete seduti o se siete in piedi o coricati? Trovate sollievo nell’applicare qualcosa di freddo oppure qualcosa di caldo sulla zona dolente? Provate sollievo (anche poco e di breve durata) utilizzando farmaci anti-infiammatori quali paracetamolo o aspirina? Se sì questi farmaci fanno sparire il dolore del tutto o lo attenuano soltanto (e per quanto tempo)? Riuscite a stare un po’ meglio se vi distraete davanti alla TV o ascoltando la radio o leggendo un libro? Il dolore è sempre presente? Oppure va e viene? Il dolore scompare se rimanete seduti per un po’? Peggiora durante la notte? Capita che siate svegliati a causa del dolore? È già presente quando vi svegliate la mattina? Come interferisce questo dolore sull’andamento della vostra giornata? Vi impedisce di stare seduti per un po’ (per esempio quando dovete mangiare)? Vi impedisce di concentrarvi nella lettura del giornale, di un libro; vi impedisce di dormire? Vi impedisce di camminare, anche per percorsi brevi? L’elenco delle domande precedenti vi dà l’idea di come non dobbiate avere paura di entrare nei minimi dettagli nel descrivere il dolore, perché più indicazioni voi fornite, più sarà semplice trovare le soluzioni adatte a voi. Se pensate possa essere più facile, annotate le risposte a queste domande su un diario da rivedere con il medico di riferimento (oncologo o medico della terapia antalgica). 27 Farmaci antidolorifici Ci sono molti tipi di farmaci antidolorifici che servono per controllare i vari tipi e livelli di dolore. Questi farmaci vengono anche chiamati analgesici. Siccome il dolore che accompagna la malattia tumorale è spesso cronico, anche la terapia antidolorifica va assunta regolarmente e per lunghi periodi di tempo. Questo anche perché è meglio controllare costantemente il dolore, piuttosto che aspettare che diventi intenso per poi assumere i farmaci. Come vengono assunti i farmaci antidolorifici Per lo più sono farmaci orali, ossia si assumono per bocca come compresse, capsule o in polverina da sciogliere in acqua. Questa è la via preferibile e più comunemente utilizzata. Esistono peraltro farmaci antidolorifici anche in altre formulazioni, come le supposte o i cerotti da applicare sulla pelle. I farmaci antidolorifici possono poi essere somministrati anche per via intramuscolare (la classica iniezione) oppure per via endovenosa mediante fleboclisi o ancora attraverso piccoli tubicini posizionati sottocute. Dove conservate il vostro farmaco antidolorifico Se il farmaco viene assunto regolarmente e avete il timore di dimenticarvi di assumerlo all’orario esatto lasciate dei bigliettini promemoria in giro per la casa oppure mettete un segnale (tipo sveglia) a un orologio, al telefono, al computer. Possono essere utili scatoline con diversi scomparti già contenenti il/i farmaco/i che dovete assumere ad una determinata ora. Vari livelli nel controllo del dolore Esiste un sistema graduale nell’impostazione della terapia antidolorifica, in rapporto all’entità del dolore stesso. Questo sistema graduale riconosce un: dolore lieve: blandi antidolorifici o antinfiammatori (quali ad esempio il paracetamolo o l’aspirina o l’ibuprofene, ecc) dolore lieve-moderato: oppioidi detti minori (come la codeina, il tramadolo, l’ossicodone, codeina+paracetamolo) in associazione o meno ai farmaci del livello precedente dolore moderato-grave: oppioidi detti maggiori (come morfina, metadone, fentanyl, buprenorfina, idromorfone) in associazione o meno ai farmaci di primo livello 28 Il concetto di questa terapia “a livelli” sta nel fatto che quando il farmaco di primo livello non funziona per quella persona e/o per quel tipo di dolore, il medico prescriverà un farmaco del livello successivo. Per esempio, se voi state assumendo del paracetamolo e il vostro dolore non è controllato, il medico di riferimento (oncologo o medico della terapia antalgica) vi prescriverà un oppioide minore. Se è il medico di riferimento a dirvi di assumere (per esempio) un antiinfiammatorio e un oppioide minore alla stessa ora, non abbiate timore nel farlo, anche perché i due tipi di farmaci agiscono in maniera differente. Insieme ai farmaci antidolorifici veri e propri, altri farmaci possono essere di aiuto, quali il cortisone (vedi pag. 32) o i difosfonati (vedi pag. 21). Antidolorifici Tra questi ne elenchiamo alcuni per aiutarvi a capire di quali farmaci si stia parlando: il paracetamolo, l’acido acetilsalicilico, il diclofenac, l’ibuprofene, il ketolorac, il metamizolo, il ketoprofene, la nimesulide, il piroxicam, ecc. Molti di questi farmaci possono irritare lo stomaco, per questo è meglio assumerli dopo aver mangiato qualcosa e comunque non con bevande alcoliche. La dose di questi farmaci va sempre verificata con il proprio medico di riferimento per evitare di assumerne una quantità eccessiva. Oppioidi minori Tra questi ne elenchiamo alcuni per aiutarvi a capire di quali farmaci si stia parlando: codeina, tramadolo, ossicodone, codeina+paracetamolo, ecc. La dose di questi farmaci va sempre verificata con il proprio medico di riferimento per evitare di assumerne una quantità eccessiva Tutti i farmaci antidolorifici di questo gruppo causano stitichezza: accorgimenti dietetici (per esempio kiwi, frutta cotta, prugne, cereali, yogurt) possono essere di aiuto così come una buona idratazione (almeno 1.5 litri di liquidi al dì). Il medico di riferimento potrà poi darvi indicazione su farmaci lassativi da assumere Questi farmaci possono causare sonnolenza (che peggiora se si aggiungono bevande alcoliche): pertanto è consigliabile usare molta prudenza nel guidare oppure farsi accompagnare da un amico o un familiare che guidi al vostro posto Questi farmaci possono causare secchezza orale (bocca asciutta con scarsa saliva): può essere utile tenere in bocca una caramellina, una gomma da masticare, un cubetto di ghiaccio e comunque bere molto durante la giornata 29 Oppioidi maggiori Tra questi ne elenchiamo alcuni per aiutarvi a capire di quali farmaci si stia parlando: morfina, fentanyl, buprenorfina, idromorfone, ecc. È importantissimo che seguiate le indicazioni del medico di riferimento in merito alla dose e alla modalità con cui assumere questi farmaci. Solitamente si inizia con una dose più bassa, per poi aumentarla gradualmente, finché non si ottiene un buon controllo del dolore, e questo può richiedere alcuni giorni. Due persone con la stessa malattia possono necessitare di dosi di farmaco diverse Questi farmaci possono causare sonnolenza, che può migliorare dopo alcuni giorni di assunzione di una determinata dose. Per questo motivo meglio non guidare dopo l’assunzione del farmaco e comunque chiedere al medico di riferimento come questo farmaco (nella dose e nelle modalità con cui viene assunto) possa interferire con la vita di tutti i giorni Tutti i farmaci antidolorifici di questo gruppo causano stitichezza: accorgimenti dietetici (es. kiwi, frutta cotta, prugne, cereali, yogurt) possono essere di aiuto, così come una buona idratazione (almeno 1.5 litri di liquidi al dì). Inoltre, il medico di riferimento potrà darvi indicazione su farmaci lassativi da poter assumere. Possono essere di aiuto anche enteroclismi (clisteri già pronti con glicerina o con acqua tiepida) Questi farmaci possono causare secchezza orale (bocca asciutta con scarsa saliva): può essere utile tenere in bocca una caramellina, una gomma da masticare, un cubetto di ghiaccio e comunque bere molto durante la giornata In alcuni casi il medico della terapia antalgica valuterà se adottare un sistema di infusione di questi farmaci (da soli o in associazione ad altri) attraverso un sistema di cessione continua, utilizzando delle ricariche, che solitamente vanno sostituite settimanalmente. Alcune indicazioni in più sulla morfina La morfina è un oppioide maggiore molto utilizzato. La parola morfina non deve incutere timore: se utilizzata in maniera appropriata può controllare il dolore e ridare la possibilità di vivere più serenamente la giornata, affrontare i vari impegni, frequentare gli amici. Se il dolore è sotto controllo, anche la terapia antitumorale potrà essere meglio affrontata e tollerata. 30 Esistono diverse tipologie di morfina, con azione rapida o lenta, per via orale, intramuscolare, endovenosa o sottocutanea. Il dosaggio e i tempi di assunzione vanno concordati con il medico di riferimento: è importante che vengano annotati dose e orari di assunzione. Se la morfina e gli eventuali farmaci di accompagnamento vengono assunti come da prescrizione non vi è alcun rischio di overdose; è peraltro importante non aumentare improvvisamente e di propria iniziativa il dosaggio. Non esiste un periodo massimo di assunzione della morfina: questa andrà assunta per tutto il tempo che sarà necessario. Alcune indicazioni in più sugli oppioidi maggiori sotto forma di cerotto. Ricordate che non è necessario posizionare il cerotto esattamente nel punto in cui avete male: l’importante è che sia una zona priva di peli Uno dei posti ideali è la spalla (ad esempio): nell’applicazione del cerotto ricordarsi di rimuovere la sottile pellicola di rivestimento Solitamente questi cerotti vanno rimossi e sostituiti dopo 72 ore: se non si è sicuri di ricordare il giorno e l’orario, si possono annotare sul calendario o su un’agenda o mettere una sveglia sul cellulare o sul computer. Si può riposizionare il nuovo cerotto nella stessa zona, solo spostandolo lateralmente (o in alto o in basso) di pochi centimetri Anche con il cerotto applicato si può fare il bagno o la doccia, bisogna solo fare attenzione a non sfregare la zona e a non rimanere con il getto di acqua a lungo proprio sul punto in cui il cerotto è posizionato. 31 È importante assumere il farmaco antidolorifico appena il dolore compare (non aspettare che diventi più forte) o comunque assumere il farmaco antidolorifico agli orari indicati da medico di riferimento. Molte persone tendono ad aspettare di avere il massimo dolore prima di assumere l’analgesico, ma così diventa più difficile controllarlo. I farmaci antidolorifici non diventano meno efficaci se li si assume per lunghi periodi, per cui non ha senso “preservarli” per quando il dolore sarà peggiorato. Lo stesso vale per i farmaci antidolorifici che vanno assunti a orari prestabiliti: è importante rispettare gli orari di assunzione, anche se in quel momento sembra di non avere troppo male. Se si ha la sensazione che il farmaco non dia più un controllo del dolore come faceva in precedenza è importante discuterne con il medico di riferimento Il fatto che sia stata prescritta morfina non significa necessariamente che la malattia tumorale sia grave o si sia aggravata I farmaci antidolorifici possono essere prescritti insieme ad altre medicine Il cortisone Quando il dolore sia causato dalla compressione di una struttura e/o di un nervo, anche il cortisone può essere di aiuto nel controllo del sintomo. Può essere prescritto da solo e/o in associazione con altri antidolorifici. Le formulazioni più utilizzate sono il desametasone e il prednisolone. Il cortisone è di aiuto anche nel far sentire meglio e nell’aumentare l’appetito. Il cortisone può far aumentare leggermente il peso corporeo (anche per ritenzione di liquidi). I livelli dello zucchero nel sangue possono salire: è per questo che il medico di riferimento richiederà periodicamente dei controlli se si sta assumendo cortisone o una maggiore attenzione ai valori se si è affetti da diabete. In alcune persone il cortisone può causare irritabilità e agitazione. Può causare insonnia, ma questo è quasi sempre risolvibile assumendo la terapia al mattino, al momento della colazione. Il cortisone può dare irritazione dello stomaco ed è pertanto importante assumerlo a stomaco pieno o è possibile che il medico di riferimento prescriva anche un farmaco protettore dello stomaco. 32 Altre tecniche per il controllo del dolore Insieme ai farmaci antidolorifici si possono utilizzare altre tecniche per migliorare il controllo del dolore. Il medico di riferimento può aiutare a valutare quale tecnica sia più indicata e appropriata. Tra queste ricordiamo la meditazione, le tecniche del rilassamento, la fisioterapia, l’agopuntura, i supporti emozionali e spirituali, lo yoga, tecniche di visualizzazione. Anche per queste tecniche è importante far sempre riferimento a personale preparato e con esperienza adeguata. 33 7. Glossario Agopuntura: tecnica terapeutica che si prefigge di promuovere la salute e il benessere mediante l'inserimento di aghi in particolari punti del corpo, eseguita da personale appositamente preparato. Anemia: è definita dalla caduta del tasso di emoglobina (Hb) nel sangue. Antiemetico: un qualunque procedimento che riesca a diminuire il disagio di nausea e vomito o nel riuscire a prevenirlo, compreso un farmaco che agisca in questo senso. Biopsia: esame medico che consiste nel prelievo di una porzione o di un frammento di tessuto, che viene analizzato al microscopio o anche con tecniche di microbiologia o biologia molecolare al fine di escludere o confermare un sospetto di malattia e arrivare a una diagnosi. Evento trombotico: si ha un evento trombotico, venoso o arterioso, quando il sangue (anche in piccole quantità) si coagula all'interno di un vaso sanguigno, aderisce alla sua parete e lo ostruisce in maniera parziale o completa, impedendo il flusso del sangue. Il coagulo prende il nome di trombo. Piaghe da decubito: lesioni che possono derivare da prolungata immobilità di un soggetto: questo porta alla riduzione della quantità di sangue e del relativo nutrimento nelle aree continuamente sottoposte a pressione. Sindromi paraneoplasiche: insieme di segni e sintomi correlati alla compromissione di vari organi, apparati o funzioni, per l’azione a distanza di un tumore. La maggior parte dei tumori maligni può dare origine a una o più sindromi paraneoplastiche. 34 WALCE Onlus (Donne Contro il Tumore del Polmone in Europa) è una organizzazione senza scopo di lucro nata per sensibilizzare le donne nei confronti del significativo aumento di tumori del polmone nel sesso femminile e si propone di favorire la conoscenza di questa patologia in termini di prevenzione, diagnosi e terapia. WALCE nasce nel 2006 da un’idea italo-spagnola e vuole essere la prima associazione a “respiro europeo” nella lotta contro il tumore polmonare, una malattia difficile ed impegnativa, che vede coinvolte quotidianamente le donne come protagoniste nel ruolo di medici, infermiere, pazienti, familiari e assistenti. Le donne sono spesso un punto di riferimento in grado di dare sostegno e speranza. WALCE Onlus c/o Divisione di Pneumologia Oncologica Ospedale San Luigi - Regione Gonzole, 10 - 10043 Orbassano (TO) Tel. +39.011.9026978/980 Fax +39.011.9038616 [email protected] Questo opuscolo è stato realizzato grazie a un educational grant di: