essaggio dell’Arciprete
Vivere senza una fede,
senza un patrimonio da difendere,
senza sostenere in una lotta continua la Verità,
non è vivere, ma vivacchiare.
(Pier Giorgio Frassati)
Con gioia presento questa quarta
edizione dell’opuscolo dedicato a San Vito
martire, stampato in occasione dei solenni
festeggiamenti che la nostra Città gli tributa, ormai da cinque ininterrotti secoli, dall’8 all’11 agosto di
ogni anno. Ringrazio tutti coloro che hanno voluto contribuire sponsorizzando questo lavoro dando
così la possibilità a tanti di conoscere non solo le attività artigianali e commerciali della zona, ma anche
e soprattutto il nostro Santo. Un grazie particolare va anche agli Autori che hanno scritto gli articoli
contenuti in questo fascicolo, interessanti per cogliere la dimensione della diffusione del culto a San
Vito in Sicilia e in Europa (Plumari, Guglielmino) e per comprendere la giusta dimensione e
collocazione del culto dei santi nella Chiesa cattolica (Scardilli).
Organizzando la festa di quest’anno, una domanda ha guidato la mia riflessione. Che senso ha
nel 2012, a quasi XVII secoli di distanza dal tempo in cui ha vissuto, continuare a tributare devozione
e onori a un giovane martire di nome Vito? Che cosa ha a che fare con noi gente del terzo millennio e
in special modo che cosa ha da dire alle giovani generazioni un giovane di cui conosciamo pochissimo
ma di cui ancora in molti portano il suo nome? Sono convinto che il messaggio di questo giovane
martire della Chiesa è sicuramente un messaggio valido anche oggi. E la sua attualità sta proprio
nell’essere stato un martire. Questa parola martire proviene dal greco martyria che tradotta in italiano
significa testimonianza. Il martire è quindi uno che rende testimonianza, non solo nel senso di chi offre
un resoconto di un fatto di cui ha conoscenza diretta, ma anche nel senso di chi compie un vero e
proprio atto di fede per cui il testimone vede in quel fatto Dio stesso in azione. Il compito del testimone nel senso cristiano primitivo è di far riconoscere ad altri un certo fatto o verità. Testimoniare, sta
quindi ad indicare, la comunicazione agli altri della propria convinzione di fede. «La testimonianza del
Vangelo significa allora la comunicazione agli altri, con la propria vita e nei propri discorsi,
dell’annuncio di Gesù che il Regno è inaugurato colla sua persona, che nella croce di Cristo cioè Dio si
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avvicina a ogni uomo per condurlo a salvezza»¹. Il martire è quindi colui che offre questa testimonianza fino al gesto supremo di considerare l’amore per Cristo superiore al valore della sua stessa vita: la
offre per Cristo perché sa, come Lui, di poterla riprendere di nuovo (cfr. Gv 10,17). Essere martiri ed
essere testimoni della fede sono due dimensioni che si equivalgono e la dimensione del martirio deve
sempre accompagnare l’autentica testimonianza cristiana: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (cfr Gv 15,18-21). Il mondo non ama il Vangelo e fa tutto il possibile per oscurarlo.
L’attualità di Vito sta quindi nella sua testimonianza. Guardando al suo esempio anche noi oggi
dobbiamo ricordarci dell’importanza di vivere una vita coerente con la fede che professiamo. Il
testimone non è colui che semplicemente afferma di credere ma colui che alla professione fatta con la
bocca affianca la professione fatta con il cuore e con la vita, fino alle estreme conseguenze. J.P. Jossua
nel suo libro su La condizione del testimone ha scritto: «Io non concepisco il testimone come qualcuno che
prende l’iniziativa per rivolgere una parola agli altri. Lo vedo piuttosto come un uomo, una donna, la
cui vita è tale - ed è tale il modo in cui guarda il mondo e gli esseri - che agli altri accade di interrogare se stessi e di poter porre loro la domanda sull’origine della loro singolarit໲. Il martire non è quindi un fanatico che a tutti i costi deve morire e far morire, ma un vero credente che pur non cercando la
morte sa che davanti alla proposta dell’abiura in cambio della vita sceglie di vivere per sempre in Cristo
Gesù. La forza che muove il testimone-martire è l’Amore. È la stessa forza che ha mosso Vito ed è la
stessa forza che dovrebbe muovere i credenti di ogni tempo compresi tutti noi battezzati del terzo
millennio. Ecco l’attualità di Vito. Siamo ancora capaci di una testimonianza libera e coraggiosa del
Vangelo? Davanti alla sfida della coerenza siamo vincitori o perdenti? I nostri giovani - quasi tutti
battezzati, cresimati e ammessi alla comunione eucaristica - sono capaci di vivere la misura alta della
vita cristiana? O piuttosto in molti, e non solo giovani, preferiamo la misura bassa del terreno che
calpestiamo? «Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla
perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece è la porta e angusta la via
che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!» (Lc 7,13-14).
L’augurio che rivolgo a tutti i regalbutesi, agli emigrati che trascorreranno alcuni giorni di
vacanza nel loro paese nativo, bentornati, e a tutti i forestieri, benvenuti, che vorrete condividere con
noi la gioia di questi giorni in occasione delle prossime festività patronali è che possiamo dare con la
vita una bella, coraggiosa e luminosa testimonianza di fede.
Sac. Alessandro Magno
1. G. Ruggieri, Il cristianesimo tra religione civile e testimonianza evangelica, in Gianfranco Bottoni (a cura di),
Fine della cristianità? Il cristianesimo tra religione civile e testimonianza evangelica, Bologna, 2002, p. 23.
2. Ibidem.
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Il culto di San Vito conobbe fin dall'antichità una grande diffusione. Egli fu indubbiamente uno dei santi
più venerati nel Medioevo, sia in Italia che nell'Europa centrale e settentrionale. Molte sono le località italiane e
straniere che, per motivi diversi, fanno riferimento a San Vito. Solo in Italia il nome di San Vito è parte del nome
di 14 comuni e 46 piccoli centri, mentre in 72 è il patrono; da notare che ognuna di queste città, specie lì dove
il nostro santo è il patrono, trova in lui il protettore benefico e taumaturgico.
Quello che è sorprendente è l'inossidabile immutata devozione dei suoi fedeli che si trasmette di
generazione in generazione, nonostante di lui non sappiamo quasi niente. Infatti, le uniche notizie che si possono riportare sono che fu discepolo di Cristo e suo martire, il cui culto è attestato in Lucania nel VII-VIII secolo.
Il vuoto di notizie è colmato dalle passioni, antiche narrazioni leggendarie, risalenti anch'esse al VII-VIII secolo. Queste ci raccontano della nascita di Vito in Sicilia, del suo viaggio in Lucania e del suo martirio a Roma,
sotto l'impero di Diocleziano, all'inizio del IV secolo. Il racconto si
conclude con la narrazione degli angeli che lo trasportano presso il
Sele dove muore e trova sepoltura. Delle due versioni della Passio,
quella greca e quella latina, solo la seconda fa riferimento alla Sicilia,
quale patria di origine del nostro santo. A questa si uniscono anche
varie tradizioni che identificano Vito come siciliano, sia per la sua
provenienza, sia come luogo del suo martirio.
Dopo la stagione musulmana dell'isola, all'alba del secondo
millennio, i normanni riportano alla cristianità la Sicilia, dove trovano viva la memoria di Vito. Nel giro di alcuni secoli non ci sarà città,
villaggio e paese nel regno che non avrà innalzato una chiesa, una
cappella o, almeno, un altare al nostro santo martire. In età Moderna
il processo di devozione vede il culto verso San Vito ormai diffuso in
tutta l'Isola.
Questa constatazione è oggi avvalorata da uno studio di A.
Filippi che è stato fatto rintracciando sulla cartografia siciliana
dell'Istituto Geografico Militare, tutti i luoghi a cui è stato attribuito il
nome di San Vito (monte, contrada, ecc.) e dei luoghi di culto ad esso
dedicato (chiesa, cappella, ecc.). Da questa ricerca è emerso che nella
nostra isola si rileva che il nome e il culto di San Vito è
particolarmente forte in tutta la Sicilia occidentale (comprendente la
provincia di Trapani, parte della provincia di Palermo e alcune
Particolare della processione dell'alloro
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porzioni della provincia di Agrigento, in
particolare l'area dei monti Sicani). La
stessa cosa si rileva anche nella parte più
orientale dell'isola intorno all'Etna e, in
misura minore, lungo il versante ionico e
tirrenico dei monti Peloritani. Più scarse,
o quasi assenti, sono invece le attestazioni nella porzione centrale dell'isola,
dall'area delle Madonie alla provincia di
Caltanissetta, a gran parte della provincia
di Enna e fino agli Iblei.
Ma in quali luoghi della Sicilia la
tradizione di venerazione e di culto di
questo Santo appare essere molto antica e
molto radicata? La prima località non
può che essere Mazara del Vallo, antica
città, voluta come capovalle dagli Arabi,
Un momento della solenne processione dell’undici sera
sede di un grande vescovado fondato nel
1090 dai Normanni. La Chiesa Mazarese, custodendo la memoria dei martiri del territorio e avendo una forte
coscienza del suo particolare legame con San Vito, giunge ad identificarsi con la patria del Santo e quindi con il
luogo della sua nascita.
La devozione popolare, poi, conserva la memoria del culto legato al giovane santo in un luogo isolato e
impervio, ma affermato dalla tradizione come la casa di Vito. Si tratta di Capo San Vito, allora nell'agro Ericino,
dove si trova un antico santuario in onore del Santo, che apparteneva al Beneficio della Mensa vescovile
mazarese. Gli storici ericini del XVI e XVII secolo furono difensori della tesi del Capo San Vito come il luogo
più autorevole in riferimento alla vita del nostro santo.
L'eredità storica della tradizione del culto di San Vito in Sicilia continua ad essere viva in vari centri
dell'isola e in particolare lì dove egli è il patrono.
In provincia di Trapani la città che vede grandi festeggiamenti del nostro Santo è Mazara del Vallo dove,
oltre ad essere patrono della città lo è anche della diocesi. La festa si svolge la penultima settimana di agosto, di
cui particolare è la processione con i Quadri viventi che rievocano la vita del santo. A San Vito lo Capo i
festeggiamenti si svolgono il 15 giugno presso il santuario-fortezza dentro cui è inglobata la Casa di San Vito.
A Campobello di Mazara viene festeggiato il 15 giugno con la particolare consegna delle chiavi della città al
Santo. A Vita, nome derivato dal forte culto in onore del nostro Santo, viene festeggiato la prima domenica di
settembre. A Partanna viene festeggiato dall'8 al 15 giugno con il particolare Corteo storico.
In provincia di Palermo San Vito è venerato come patrono a Ciminna dove viene festeggiato l'ultima
domenica di agosto con la caratteristica processione figurata che rievoca episodi della vita e del martirio del
Santo.
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A Carini, nonostante sia il patrono,
il culto popolare si indirizza maggiormente sul SS. Crocifisso il 14 settembre.
Ravanusa è l'unico centro in
provincia di Agrigento dove viene
celebrato Vito come patrono in concomitanza con la festa di Sant'Antonio di
Padova il 13 giugno.
In provincia di Enna San Vito è
patrono solo a Regalbuto, dove dal XVI
secolo si conservano alcune importanti
reliquie che vengono portate in processione il 9 agosto, lo si festeggia dall'8 all'11
agosto con la particolare processione
dell'alloro.
In provincia di Catania troviamo il
Particolare della solenne celebrazione dell’undici sera
nostro Santo patrono a Mascalucia, dove
lo si festeggia il 15 giugno con la presenza particolare del Carro di San Vito con i personaggi viventi che
rappresentano la vita del Santo e a Macchia di Giarre dove lo si festeggia l'ultima domenica di agosto.
In provincia di Messina si festeggia a Condrò la seconda domenica di luglio con il particolare ballo che
fa volteggiare con un movimento particolare la statua del Santo.
Infine troviamo San Vito patrono in provincia di Ragusa a Chiaramonte Gulfi dove viene festeggiato l'ultima
domenica di agosto con l'uscita del prezioso simulacro.
Infine non possiamo non far riferimento alle reliquie di San Vito custodite con grande devozione in varie
città della Sicilia quali: Palermo, Catania, Siracusa, Agrigento, Caltagirone, Ragusa, Acireale, Noto, Trapani,
Marsala, Erice, Custonaci, Carini, Partanna, Regalbuto, Salemi e Chiaramonte Gulfi.
Come abbiamo visto, il culto dedicato a San Vito in Sicilia lo troviamo radicato ampiamente sia nel
tempo della storia come nello spazio che abbraccia tutta la nostra isola.
Angelo Plumari
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San Vito è un santo taumaturgo invocato ed amato sin dai primi secoli. Non a caso fu inserito per la sua
potente intercessione tra i quattordici santi ausiliatori a patire dal Medioevo. Ma com’è stato possibile che la
fama di questo giovane martire cristiano, nato in un isola dell’estremo Sud del continente sia dilagata nei paesi
del Centro e Nord Europa, tanto lontani geograficamente, ma anche culturalmente, dalla sua terra natale? Pur
non avendo dati certi sul luogo del martirio e della sepoltura, il culto di questo santo si propagò
sorprendentemente in molte zone dell’Europa, a partire dal Sud Italia, poi a Roma e nell’Italia Settentrionale
dominata dai Longobardi. La diffusione del culto di San Vito nei
paesi d’Oltralpe fa riferimento soprattutto alla traslazione delle sue
reliquie. Sappiamo che la venerazione delle reliquie, in epoca
medievale, era molto diffusa in Europa e rappresentava un fenomeno di notevole importanza, forse per il bisogno di sicurezza e di
protezione avvertito da una popolazione sempre in bilico tra guerre, epidemie e carestie. Un racconto medioevale narra del trasferimento delle reliquie del santo dall’Italia alla Francia al tempo di
Pipino il Breve ( VII/IX Sec.). Secondo questa tradizione, un monaco del monastero di San Dionigi, presso Parigi, si recò a Roma per
raccogliere reliquie dei martiri da portare in Francia e accrescere
così la fama del suo convento. Gli sarebbero state consegnate
alcune reliquie di san Vito che portate e Parigi sarebbero state lì
custodite fino all’836. Da San Dionigi le reliquie sarebbero poi state
portate in Sassonia, a Corvey, sull’onda dell’espansione del
cristianesimo in quei territori. Si pensa che i carolingi, e soprattutto Carlo Magno, abbiano fatto leva sulla devozione al santo ritenuto miracoloso e potente, così da diffonderne il culto tra popolazioni
ancora pagane. Il monastero benedettino di Corvia Nova, oggi
Corvey, divenne uno dei centri propulsori della cristianizzazione
della Sassonia e la tradizione vuole che proprio le reliquie di San
Cattedrale di Praga intitolata a San Vito
Vito siano state traslate nell’836. Si narra che il viaggio delle
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reliquie del santo da Parigi a Corvey sia stato segnato da eventi miracolosi e da prodigi. Nei villaggi toccati dal
corteo di monaci e devoti, secondo il racconto, molti fedeli sarebbero stati guariti da malattie e i miracoli
sarebbero proseguiti anche dopo l’arrivo al monastero, tanto che l’Abbazia sassone divenne meta di pellegrinaggi da ogni parte del mondo germanico. Il culto del giovane martire, dunque, dal monastero sassone si diffuse
progressivamente nell’Europa orientale, raggiungendo Praga e arrivando persino in Polonia. Da un documento
dell’epoca, la cronaca sassone “Rerum gestarum saxoricarum libri”, del 970, si evince che la figura di San Vito
era tenuta in grande considerazione sia dai franchi che dai sassoni e qualcuno vide nell’ascesa del potere
germanico un segno tangibile della cessione delle reliquie da parte dei franchi. Da Corvey la venerazione del
martire si propagò in molti altri monasteri benedettini, dalla Westfalia alla Renania, alla Baviera, e allora San
Vito divenne il santo nazionale sassone. Lo stesso San Bonifacio, apostolo del mondo germanico, pare abbia
fondato una chiesa dedicata a San Vito presso il fiume Werra. Il culto del nostro santo raggiunse successivamente la Svevia e la Carinzia e le regioni del Nord Europa. Ancora oggi molte sono le chiese e le località dell’Europa
centrale a lui dedicate, e la cattedrale di Praga ne è forse l’esempio più grandioso e importante.
Di Stefano Guglielmino
(Ricerca effettuata da fonti Internet)
Il culto che noi tributiamo ai santi è un culto liturgico, cioè è preghiera della Chiesa e che la Chiesa
rivolge a Dio Padre per rendergli grazie per quegli uomini e quelle donne che hanno vissuto il vangelo in
pienezza e sono per noi sprono ad una vita santa. Dio è l’unico santo e fonte della santità, l’unico che rende santi
quelli che condividono la sua vita per godere della sua intimità, per compiere la sua volontà, per entrare nel suo regno.
Quando il fedele, figlio di Dio, partecipa già in pienezza
della vita di Dio nel regno dei cieli, allora è simile a lui, è
santo per la comunione di vita con l’unico Santo. Solo Dio
riceve il vero culto di adorazione. Ai santi va dato un culto
di venerazione. Se li veneriamo è perché in essi scopriamo
in maniera assai viva la presenza e il volto di Dio, perché in
essi l’immagine e la somiglianza di Dio, l’unico Santo, si
manifesta in modo splendido. Il culto ai santi, vissuto così,
non sminuisce né svilisce l’adorazione di Dio, al contrario
Pellegrini dell’alloro nella Chiesa di S. Francesco sorta nel
la arricchisce intensamente perché ci avvicina di più
luogo dove la tradizione fa risalire un evento miracoloso
attribuito a San Vito
all’unica santità di Dio che dobbiamo accogliere personal- 15 -
mente, come fecero altri uomini come noi, mentre percorrevano la nostra stessa strada.
Cristo è il Santo di Dio e così noi lo lodiamo nel Gloria: «perché tu solo il Santo». Cristo infatti è
l’immagine del Dio invisibile. Dio si compiace nei suoi santi perché in essi vede l’immagine di Gesù Cristo, suo
Figlio. La santità dell’uomo infatti consiste nella sua perfetta unione con Cristo. I santi sono tali perché imitarono il Signore.
La fede cristiana ci fa confessare che «uno solo è il mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù»
(1Tm 2,5). Egli è l’immagine perfetta di Dio e il modello perfetto che dobbiamo imitare. Chi vede Cristo, vede
il Padre.
Per sua natura l’uomo cerca di avvicinarsi a Dio attraverso mediazioni umane. Abbiamo bisogno di toccare, di
vedere, cerchiamo sempre delle sicurezze. Nei santi, il popolo di Dio ha visto questi amici di Cristo, vicini a Dio
e allo stesso tempo vicini a se stesso. La Chiesa, madre e maestra, ha celebrato il culto dei santi nell’Eucaristia,
nella quale si proclama l’unico sacrificio mediatore e l’esemplarità suprema della vita cristiana nel sacrifico di
Cristo.
Il culto dei santi è spesso fatto di devozioni extraliturgiche e di manifestazioni esteriori: quali possono
essere, per esempio, le processioni. Queste cose sono espressione di religiosità popolare. Il papa Paolo VI, a
riguardo, così scriveva: «La religiosità popolare se ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di
evangelizzazione, è ricca di valori. Essa manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono
conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede;
comporta un senso acuto degli attributi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante;
genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella
vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione. […] La religiosità popolare, si può dire, ha certamente i suoi limiti. È frequentemente aperta
alla penetrazione di molte deformazioni
della religione, anzi di superstizione. Resta
spesso a livello di manifestazioni culturali
senza impegnare una autentica adesione di
fede».
Il culto dei santi deve richiamarci
anzitutto attorno alla mensa dell’Eucaristia,
per l’ascolto della Parola di Dio, per la
comunione gioiosa coi fratelli, per la
frazione del pane eucaristico. Quando le
feste religiose in onore dei santi non
realizzano un incontro privilegiato con Dio
restano svuotate della ragion d’essere. Ora
qui, non si vuole certamente criticare tutte
le manifestazioni di religiosità popolare che
Devoda che bacia le reliquie del Santo
spesso, come ricordava il papa Paolo VI,
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sono frutto di una fede semplice. Ma non dobbiamo neanche dimenticare ¾ e voi me ne potete dare atto - che
la devozione di tanti nostri fratelli e di tante nostre sorelle si riduce a questi atti esteriori che non sempre
manifestano una fede autenticamente evangelica. Il nostro rapporto col Signore non può essere ridotto a una
coroncina, a una novena, a un triduo, a portare la torcia per una grazia ricevuta o per chiedere una grazia. Queste
cose ci fanno avere un rapporto con Dio e cosi santi di tipo pagano: do ut des, cioè: Io ti do, tu mi dai. Non è
forse vero che tante volte il nostro rapporto con Dio è ridotto a commercio, a scambio? Su questo punto
dobbiamo fare molta attenzione perché ci può essere religione senza fede. Anzi, la forza della religione spesso è indice di debolezza di fede. La fede va alimentata con l’ascolto della parola di Dio, con la partecipazione
ai sacramenti, con la preghiera personale e comunitaria, con le opere di carità. Certo, nessuno all’infuori di Dio,
che scruta i cuori, può misurare la fede e quindi può esprimere un giudizio definitivo sulla sua presenza e
autenticità. Tuttavia, la Chiesa, e in essa i pastori, non può esimersi dal dare un giudizio sulle condizioni di fede
di quanti sono chiamati, in quanto battezzati, a vivere secondo il Vangelo.
Mi sembra interessante a questo proposito la nota di mons. Mario Delpini, vescovo ausiliare di Milano,
il quale interrogandosi sul senso delle feste cristiane, dei santi e della comunità, scrive: «Nel nostro tempo sembra che l'arte di far festa abbia dimenticato la pluralità dei suoi linguaggi e così tutte le feste sono uguali: un
corpo di militari, i soci di una società sportiva, gli aderenti ad un partito politico, gli studenti che hanno concluso un corso, i cristiani di una comunità: sembra che tutti facciano
festa allo stesso modo, con una uniformità che rischia di appiattirsi
nella banalità. In tutte le feste si riconoscono lo stesso genere di musica, lo stesso profumino di gastronomia, il medesimo far tardi la notte
e l'esagerare nel mangiare e nel bere, e tutt'intorno penzolano i soliti addobbi dozzinali. Sarebbe bello che l'organizzazione di una festa
della comunità cristiana ne dicesse l'originalità proprio nei segni che
inventa e nella gioia che comunica... la cura perché le persone siano
contente di incontrarsi, di condividere le grazie ricevute e le fatiche
sopportate, l'attenzione perché siano specialmente invitati alla festa
coloro che ne hanno più bisogno, perché sono stati più provati dalla
vita, la capacità di far ascoltare e apprezzare il messaggio che viene
dalla buona notizia di cui si nutre la nostra fede: tutto questo richiede molta intelligenza e un po' di fatica in più...».
La fede può esistere in gradi diversi ed è dovere primario dei
pastori di farla riscoprire, di nutrirla e di renderla matura. Tutti abbiamo bisogno di crescere, ma dobbiamo farlo. Preghiamo il Signore
perché ci aiuti a comprendere che «il culto autentico dei santi non
consiste tanto nella molteplicità degli atti esteriori, quanto piuttosto
nell’intensità del nostro amore attivo, che si traduce in impegno di
vita cristiana».
Pietro Damiano Scardilli
Statua processionale di San Vito degli inizi del ’600
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feSta Del patrono Della città
San Vito, martire
Programma 2012
TRIDUO DI PREPARAZIONE ALLA FESTA
Tema del Triduo: Essere cristiani oggi
Domenica 5 agosto
ore 19.30: Santa Messa e riflessione sul tema del triduo
LuneDì 6 agosto: tRasFiguRaZione DeL signoRe, Festa
ore 19.30: Santa Messa e riflessione sul tema del triduo
maRteDì 7 agosto
ore 19.30: Santa Messa e riflessione sul tema del triduo
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GIORNI DELLA FESTA
meRcoLeDì 8 agosto
9.00: Annuncio della festa. Suono a festa delle campane, sparo delle bombe, ingresso e giro per le
vie della Città del Corpo Bandistico “Santa Cecilia” di Valguarnera (En), diretto dal M° Giuseppe
Piscitello
ore 10.00: Santa Messa per i pellegrini dell’alloro
ore 17.00: Dalla Chiesa di San Francesco: processione dell’alloro per i devoti che si
concluderà in Piazza della Repubblica con la solenne benedizione con le reliquie di San Vito.
n.B.: A questa processione dell’alloro NON È CONSENTITA LA PARTECIPAZIONE DEI
CAVALLI per motivi di sicurezza e di pubblica incolumità
ore 22.00: Serata musicale a cura dell’Amministrazione Comunale
ore
gioveDì 9 agosto
ore 9.00: Giro per le vie cittadine della Banda Musicale
ore 10.30: Santa Messa per gli ammalati e amministrazione del sacramento dell’Unzione degli Infermi
ore 19.00: Processione delle Reliquie del Protettore dalla Chiesa Madre alla Chiesa di Santa Maria.
Seguirà la celebrazione della Santa Messa e la processione fino al civico n.289 di Via Gian
Filippo Ingrassia.
Al ritorno sosta davanti alla Chiesetta di San Vito, atto di affidamento della Città al Santo
Patrono, benedizione e proseguo della processione fino in Chiesa Madre
ore 22.00: Serata musicale a cura dell’Amministrazione Comunale.
veneRDì 10 agosto
ore 9.00: Giro per le vie cittadine della Banda Musicale
ore 10.30: Nella Chiesa di San Francesco santa Messa dedicata agli Emigrati
ore 19.00: Processione con la statua di San Vito verso il nuovo quartiere Sant’Ignazio.
Celebrazione della Santa Messa nella Chiesa di Sant’Ignazio e rientro della statua di San Vito
in Chiesa Madre. Percorrerà le seguenti vie: V. Emanuele, Del Popolo, Paolo Borsellino, sosta
alla Chiesa di Sant’Ignazio, Paolo Borsellino, Alcide de Gasperi, Garibaldi, G. F. Ingrassia, P.za
della Repubblica.
ore 22.00: Serata musicale a cura dell’Amministrazione Comunale
ore
ore
ore
ore
ore
ore
saBato 11 agosto
9.00: Santa Messa - Giro per le vie della Città della Banda Musicale
11.00: Santa Messa
19.30: Solenne Celebrazione Eucaristica
21.00: Processione con la statua del Santo Patrono, secondo il consueto giro
23.00: Serata Musicale a cura dell’Amministrazione Comunale.
1.00: Conclusione con i fuochi d’artificio al campo sportivo. I fuochi d’artificio sono curati dalla Ditta
D’Amplo di Mineo (Ct)
IL COMITATO
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speciale san vito 2012 - Parrocchia San Basilio Magno