Pubblicazione edita con il sostegno di Comune di Corinaldo Patrocinio di Unitre di Corinaldo PAOLA POLVERARI TESTIMONI DI PIETRA le epigrafi di Corinaldo dall’Evo antico al secolo XVII volume I Comune di Corinaldo 2005 Si ringraziano per l’autorizzazione alla riproduzione delle immagini: Amministrazione comunale di Corinaldo Associazioni “Pro loco” e “Pozzo della Polenta” ASUR - Zona Territoriale n. 4 Curia Vescovile di Senigallia - Ufficio Beni Culturali Ecclesiastici I cittadini di Corinaldo in possesso delle epigrafi Poste Italiane; per la generosa collaborazione e per i competenti suggerimenti che hanno favorito la definizione di gran parte della ricerca: Simona Antolini, Ettore Baldetti, Massimo Battistini, Andrea Baroncioni, Marinella Bonvini Mazzanti, Manlio Brunetti, Giuliano Chelotti, Dario Cingolani, Rodolfo Coccioni, Stanislao De Angelis Corvi, Eros Gregorini, Giuseppe Lepore, Mario Luni, Giorgio Mangani, Ettore Montesi, Terenzio Montesi, Renzo Paci, Giuseppina Piana Marcheselli, Francesca Pongetti, Padre Bernardino Pulcinelli, Maria Grazia Sassi, Graziano Secchiaroli, Flavio e Gabriela Solazzi, Giuliano Vichi, Virginio Villani; per la loro disponibilità e collaborazione, i concittadini: Paolo Angeletti Agnoletti, Esterina e Anna Baci, Giancarlo Balducci - Via della Murata, Giancarlo Balducci - Via S. Pietro, Luigi Bartera, Paola Bartolini, Pierluigi Basili, Alberto Battistini, Romolo Bettini, Alfonso Bizzarri, M. Teresa Bolognini, Laura Bucci, Luisa e Domizia Carafòli, Anna Maria Cesarini, Lucio Ciceroni, Fabio - Chiara - Jacopo - Donato - Gabriele Ciceroni, Mario Frati, Antonietta Gregorini, Martina Hoffmeister, Raffaella e Ilde Lattanzi, A. Maria Marcolini, Mariella Marinelli Rossi, Mons. Umberto Mattioli, Ferdinando e Stefania Mencucci, Quintiliano Mencucci, don Franco Morico, Famiglia Muggenthaler, Gilberto - M. Grazia - Anna Paolini, Girolamo Patrignani, Leonardo Peserico, Aldo e Igino Rocchetti, Sandrina Rocchegiani, Romualda Rocconi, Giuseppe Rossi, Marta Santolini, Romano Sbarbati, Roberto Spallacci, Vittorio Venturoli Orlandi Romaldi, Ettore Vieri; e inoltre Fernando De Iasi, Assessore alla Cultura del Comune di Corinaldo Paolo Pirani Dirigente dell’Ufficio Cultura. © by Comune di Corinaldo - Paola Polverari Riproduzioni fotografiche: Studio L’Immagine di Antonio Moroni - Corinaldo Stampa: Tecnostampa - Ostra Vetere AN - 2005 Presentazioni è stato detto e riaffermato, da parte di studiosi, politici, storici e comuni cittadini dotati di un minimo di buon senso, che non c’è un futuro se non c’è un passato. Ovvero, il futuro si costruisce in forza del passato, magari contraddittorio, non necessariamente condiviso ma mai rifiutato aprioristicamente o misconosciuto o negato solo per il fatto che è passato, dunque archiviato come pratica chiusa. Nella quotidianità si sostiene (e si consiglia) che occorre evitare la palude del passato per non rimanerne invischiati e immobili come i fossili, animali e vegetali, nell’ambra o in altra sostanza organica che li conserva inalterati in eterno. In realtà, è il giusto equilibrio tra le parti che può garantire la dialettica necessaria a porre nella dovuta prospettiva il passato e il futuro: mediazione di un presente che trattiene la memoria storica di ciò che si è e che è stato fatto mentre si appresta ad affrontare le sfide e le necessità del contingente e del domani. Quando poi la memoria del passato è impressa in epigrafi, lapidi, cippi, statue e monumenti che accompagnano da sempre la nostra esistenza ma che, per distrazione o abitudine, perfino ignoriamo, il lavoro di reperire, censire e descrivere quei manufatti, nella forma e nel contenuto, assume lo spessore di un’impresa di grande valore scientifico, storico e umano. Questo e non solo è il merito ascrivibile alla presente pubblicazione, frutto di uno studio profondo, di una passione inveterata, di una capacità acclarata dell’Autrice, alla quale va la nostra gratitudine e il nostro apprezzamento. La gratitudine per avere offerto un ulteriore punto di vista all’indagine storico – storiografica su Corinaldo ed il suo territorio; l’apprezzamento per la quantità e qualità dei materiali prodotti, anche iconografici, che fanno del libro “Testimoni di pietra” un bagaglio conoscitivo articolato e palpitante. Un’indagine accurata, minuziosa, certosina. 6 Testimoni di Pietra Non cediamo alla tentazione di pensare che queste “pietre” siano anonime, immobili, inespressive testimonianze di un tempo che su di esse è trascorso, levigandole e scolorendole forse un poco. è vero, su quelle “pietre” il tempo è volato, accarezzandole o ghermendole a seconda degli eventi storici alternatisi nei secoli; ma su quelle “pietre” fatti, persone e cose hanno lasciato un segno, talvolta un monito, sempre una testimonianza. Ecco perché è stato importante, fortunatamente inevitabile, nominare e numerare quei “testimoni”; recuperarli alla percezione degli anziani (o dei distratti) ed alla conoscenza dei più giovani. Discrete ma persistenti, fidate sentinelle dei destini della turrita Corinaldo, e del suo territorio, nel corso del tempo. Corinaldo, 13 ottobre 2005 Livio Scattolini Sindaco presentazioni 7 La presente pubblicazione ha origini lontane, da un lato nella passione per l’archeologia dell’autrice, Paola Polverari, coltivata con cura già dagli anni dell’Università a Milano, che è maturata e si è approfondita nel tempo; dall’altro nella sua attività professionale di insegnante, nella quale hanno trovato uno spazio privilegiato i percorsi di didattica laboratoriale di storia locale. La ricerca più sistematica prende avvio già dall’anno scolastico 1994-1995, in occasione del 50° anniversario della liberazione, nell’ambito di un progetto che aveva il significativo titolo di un noto libro di archeologia: “Le pietre parlano”. Il lavoro di raccolta e di studio è proseguito negli anni successivi con eccellenti risultati educativi e didattici, perché i giovani alunni di scuola media, coinvolti direttamente in un’attività di ricerca, si sono sentiti protagonisti di una ricostruzione storica concreta e sicuramente più coinvolgente rispetto ad uno studio condotto in maniera monotona su un libro di testo. Paola Polverari ha poi proseguito la sua indagine negli ultimi anni mettendo a punto il materiale che era venuta via via raccogliendo ed effettuando le necessarie verifiche secondo i canoni di ricerca nel settore archeologico ed epigrafico: un lavoro portato avanti da sola, ma anche denso di coralità, perché lo studio sempre più puntuale e l’approfondimento, da sempre caratterizzanti la sua attività, hanno richiesto contatti e collegamenti sui versanti più ampi, dai cattedratici delle discipline specifiche ai cultori di storia locale, dagli ultimi eredi delle famiglie storiche corinaldesi agli abitanti delle contrade, dagli anziani a quanti altri potessero fornire anche solo testimonianze orali o semplici indizi utili alla sua ricerca. Il contributo che emerge da questo lavoro, restituisce, per la parte più antica fino al secolo XVII, una storia di Corinaldo da un’angolazione inusuale, quasi ardita per la esiguità del materiale disponibile; ma sulle testimonianze raccolte, che poi sono più numerose di quanto si possa pensare, si struttura per la competenza e l’abilità dell’autrice un percorso storico di rilievo, che 8 Testimoni di Pietra collega con frequenza passato e presente a sottolineare la continuità della vita sociale della comunità. Nel libro le tracce vive lasciate sulla pietra diventano quasi una filigrana per un racconto storico sicuro, preciso e avvincente. Le epigrafi sono presentate con completezza e con tutti gli elementi utili per lo studioso del settore, ma nello stesso tempo con una forma comunicativa che coinvolge e appassiona tutti quelli che hanno a cuore la scoperta del passato di Corinaldo e dell’identità della propria tradizione storica. Lo studio infatti non si ferma alle epigrafi, ma si sposta su diverticoli quasi naturalmente ad esse conseguenti, che si aprono a ventaglio sui personaggi storici che hanno dato lustro alla città, sulle famiglie importanti che hanno retto nei secoli le sorti della collettività, sulla nobiltà con gli emblemi e i simboli ad essa connessi, sulla struttura urbana e le forme architettoniche dei palazzi signorili, sulle numerose chiese nelle quali si sono espressi nei secoli un forte sentimento religioso e una diffusa pietà popolare, sull’ospedale e sul monte di pietà che mitigavano le condizioni delle classi sociali più povere, sulle campane…, in un tentativo egregiamente riuscito di rendere chiaro ed intelligibile il visibile parlare delle pietre. La lettura del percorso di ricerca suscita sensazioni simili a quelle che si provano allo sfogliare di un vecchio album di fotografie di famiglia, quando riaffiorano i ricordi, si definiscono vicende che il tempo aveva sfocato, si gioisce per un evento lieto, si è pervasi di mestizia per le difficoltà incontrate. Ritengo che questo studio su Corinaldo sia tra i più originali per la prospettiva, tra i più accurati per l’acribia della ricerca e tra i più accattivanti anche per lo spessore del linguaggio che rende piacevole la lettura; ha inoltre il merito di tramandare sulla carta la memoria incisa sulla pietra: sì, perché i denti delle scavatrici e l’incuria degli uomini sono più voraci del tempo che pure divora i suoi figli, come il mitico Crono. Come appassionato di ricerca storica esprimo sentimenti di stima e di riconoscenza a Paola Polverari per questo contributo che restituisce tante puntuali memorie dei secoli passati, con l’invito a continuare il lavoro intrapreso, con lo stesso stile, anche per il periodo successivo, fino ai giorni nostri. Corinaldo, 30 luglio 2005 Dario Cingolani Dirigente dell’Istituto Comprensivo di Corinaldo presentazioni 9 nota dell’autore è perduto per la storia tutto ciò che non viene tra mandato ad altri e della storia l’uomo è protagonista solamente in quanto abbia memoria del passato e se ne avvalga per trasmettere ciò che ha saputo a chi verrà dopo di lui. Mostra Documentaria Internazionale “Cristoforo Colombo il Genovese”, 1992 Ad accarezzare le pietre si comincia da bambini: quando la piccola mano segue il fine piumaggio delle oche di marmo alla fontana o i segni rigidi di un alfabeto ancora incomprensibile, il tatto stabilisce un rapporto sensoriale con l’uomo antico che su quella pietra si è affaticato perché nel tempo racconti una storia. Si accende la curiosità, si intreccia un colloquio. Verranno poi gli studi a stabilire una dotta distanza tra la materia del documento epigrafico e la sua interpretazione storica; resta, istintivo, il gusto di inseguire con la mano la voluta, di assecondare le pieghe della veste marmorea. Si può “andar per pietre” per il gusto estetico dell’osservazione, ma non può mancare un legame di interesse verso la storia di chi le ha volute proprio lì. Specie se le pietre raccontano le vicende del tuo paese, se si dispongono lungo il tragitto quotidiano. Gli oggetti e i monumenti assumono un valore speciale nel loro contesto, nella loro geografia, nella memoria e nella tradizione del luogo in cui sono stati concepiti. Se poi è stata incisa la compatta pietra e forgiato il tenace metallo per testimoniare quella storia, raccomandare quel volto, celebrare quel giorno e quell’anno, la memoria da tramandare si impone sulle altre e più prepotentemente attraversa il tempo. è dei testimoni di pietra e di metallo che questo opuscolo presenta la raccolta. Con limiti precisi: solo manufatti presenti entro il territorio comunale di Corinaldo; solo documenti per i quali è stato volutamente usato un materiale duraturo; solo “testimoni” ancora presenti e tangibili, con esclusione di altri 10 Testimoni di Pietra ormai dispersi e solamente citati da fonti scritte od orali. E con modesta ambizione: entrare nella storia senza affogare nel mare dei documenti, sorreggendoci un po’ pavidamente ai solidi scogli dei pochi materiali prescelti per definire il percorso. Del resto non si può trascinare in alto mare il gruppo di ragazzi che ti segue - un po’ condotto a forza e un po’ incuriosito - in un percorso didattico vòlto alla conoscenza storica del proprio paese. La testimonianza delle pietre è stata scelta dalla solita prof., a preferenza dei documenti di archivio, perché di più facile ed immediato accesso per gli alunni di una classe della scuola media, coinvolti nel progetto “La scuola adotta un monumento”: i nostri monumenti erano singole pietre, poste lì però a vero monumentum, cioè a ricordo e ad ammaestramento. Il paese non ne è ricco, né la documentazione raccolta presenta particolari valori artistici ed estetici; nell’attuale cultura dell’immagine appariscente, le nostre lapidi si porgono pallide e appartate negli atri o lungo i muri della città, e attendono il passante con la pazienza della loro immobile staticità: raramente figurate, talvolta sbiadite o collocate troppo in alto, cercano lo sguardo di chi a sua volta le ricerca, e solo così intrecciano il loro colloquio con noi e si dispongono a scandire la storia locale, ordito indissolubile nella trama della cosiddetta “grande storia”. Di via in via, di palazzo in palazzo, il cercar pietre parlanti ha preso la mano, ha suscitato sempre maggior curiosità, fino a destare l’interesse delle famiglie dei ragazzi, di altri concittadini, delle Associazioni e infine della stessa Amministrazione comunale, che ha sollecitato la pubblicazione dei risultati dell’indagine. Il progetto rappresentava un percorso insolito nel panorama della ricerca storica su Corinaldo, affrontata dagli studiosi locali attraverso le carte degli archivi e pubblicata negli ultimi decenni per ampi squarci monografici: al mosaico delineato aggiungiamo il nostro modesto tassello, con l’unico scopo di additare agli specialisti un “deposito” finora tralasciato dalle ricerche e quasi totalmente inedito, che potrà essere approfondito con maggior competenza. L’ampio arco cronologico lungo il quale si dispongono i documenti che pubblichiamo, richiede infatti conoscenze specifiche dei singoli momenti storici, della cultura che li sottende, delle caratteristiche epigrafiche del periodo, patrimonio culturale che a noi fa certo difetto: è quindi con notevole apprensione che presentiamo al pubblico il nostro lavoro, uscendo dall’area limitata e protetta della ricerca scolastica. le pietre antiche 11 Non è mancato invero il lungo impegno nel leggere le pubblicazioni reperibili su Corinaldo, per confrontarle e raccordarle, nel ricercare la documentazione archivistica attinente a singole epigrafi, nel consultare persone informate ed esperte: per il resto, abbiamo fatto tesoro del lavoro di ricerca operato dagli studiosi precedenti, che chiaramente indichiamo in bibliografia ed ai quali rimandiamo il lettore. Confidiamo del tutto nella comprensione, se non degli studiosi, almeno dei concittadini, ai quali è dedicato l’opuscolo, frutto della loro collaborazione disponibile, delle loro segnalazioni e indicazioni, del loro incoraggiamento a procedere. Restituiamo con gratitudine a ciascuno di essi, spesso passante frettoloso, la voce delle singole pietre ed il loro corale racconto, come un richiamo costante al nostro proprio passato, alla nostra civiltà di appartenenza. Proprio ad uso dei concittadini, abbiamo cercato di inserire la presentazione dei documenti in un testo espositivo in cui il passato si intreccia con il presente, i personaggi antichi dialogano con i contemporanei, la ricostruzione del contesto sociale dei secoli trascorsi si affianca allo stato delle cose della realtà contemporanea. Ai Corinaldesi, ai miei alunni e a tutto il mondo della scuola che ha stimolato e sostenuto con attiva collaborazione il primo nucleo dell’indagine, e continua ad aderire a progetti di ricerca innovativi, dedico il mio lavoro. Agli appassionati studiosi e ricercatori della storia locale, ai tanti specialisti delle varie discipline che mi hanno generosamente aiutata ed assistita con la loro competenza, la mia stima e la più sentita gratitudine. All’Amministrazione comunale di Corinaldo, alla Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, all’ASA Azienda Servizi Ambientali, che hanno consentito con il loro contributo la pubblicazione del lavoro, esprimo viva riconoscenza e insieme l’auspicio di poter offrire in altro tempo il completamento della rassegna delle epigrafi, ora arrestatasi al secolo XVII, fino ai documenti contemporanei. Paola Polverari TESTIMONI DI PIETRA le epigrafi di Corinaldo dall’Evo antico al secolo XVII Avvertenze In corsivo la trascrizione delle epigrafi nelle didascalie delle foto; in parentesi tonde lo scioglimento delle abbreviazioni, in parentesi quadre le integrazioni. In maiuscoletto, nel testo, la traduzione delle iscrizioni latine e la trascrizione di quelle italiane. Le indicazioni cronologiche “anni Sessanta”… “anni Settanta”… sono riferite al secolo XX. La documentazione fotografica, fatta eccezione per alcune immagine di cui si forniscono i dati, è stata interamente realizzata negli anni 2004-2005. In Appendice I, i criteri di trascrizione dell’epigrafe nell’ex Palazzo Ottaviani. In Appendice II l’elenco dei Sindaci, dei Pievani e degli Arcipreti di Corinaldo, per un miglior inquadramento cronologico dei dati esposti nel testo. Capitolo I le pietre antiche Cineribus orta… Non sfuggirà, al passeggero che si accinga a varcare le porte della città murata di Corinaldo, il solenne stemma (fig. 1) che le sovrasta. Come un antico araldo, preposto alla cerimonia di annuncio, esso esibisce le chiavi incrociate, simbolo del rango di città, e un’iscrizione latina: Cineribus orta combusta revixi. è da questa pietra che prende avvio il racconto delle vicende di Corinaldo, le cui tappe principali sono state fissate dai cittadini delle varie epoche storiche su strutture di pietra e metallo, perché fossero durevoli nel tempo: le percepiamo come l’ossatura scheletrica e resistente del lento accrescimento civile, un robusto fossile che guida il ricercatore – non si parla certo nel nostro caso di uno storico – alla lettura delle epoche del suo esistere. Ci sono pietre mute e pietre parlanti, come questa con la quale la città si presenta: Nata dalle ceneri, dopo essere stata distrutta dal fuoco, son tornata a vivere. Ma per quanto parlante, lo stemma non concede che un sibillino distillato della propria essenza: occorrerà porre domande di senso per forzarne il linguaggio e comprenderlo meglio. Per buona sorte, al lapidario eloquio del nostro primo testimone di pietra fanno da corteo più loquaci ancelle, modestamente vestite di pelli conciate e di stracci di lana: le carte appunto. Da esse possiamo trarre ulteriori notizie consolidate e già note, ma anche altre meno conosciute, ricercate per l’occasione. Gli stemmi araldici (tre sulle porte della cinta muraria: Porta di Sotto, Porta San Giovanni, Porta Nuova ed uno sopra il portale d’ingresso del Palazzo comunale) sono stati voluti dall’Amministrazione comunale per nobilitare l’arredo urbano. Del progetto fu incaricato l’architetto Antonio Dominici che consegnò il modello in creta, derivato dai disegni cartacei, alla ditta Guerrino Roberti di Fano, perché ne ricavasse i getti in cemento, ad imi- 16 Testimoni di Pietra 1 – Stemma della città di Corinaldo; getti in cemento, ad imitazione della pietra arenaria, a Porta Nuova, Porta di Sotto, Porta San Giovanni, Loggiato del Palazzo comunale; leggenda: Cineribus orta combusta revixi Stemma blasonato di rosso al monte d’oro di sei colli, ristretto, sormontato da due chiavi decussate ed addossate, una d’oro in banda, l’altra d’argento in sbarra, questa attraversante, legate d’azzurro, sormonta to dalla turrita d’oro. 2 – Getto in cemento con lo stemma di Corinaldo privo del motto, nell’area del Monumento ai Caduti in Viale degli Eroi, proveniente da un precedente monumento già eretto in Piazza Il Terreno. le pietre antiche 17 tazione della pietra arenaria, più costosa e friabile1. Molti cittadini ricordano la posa in opera degli stemmi, avvenuta nel 1974, ma assai pochi sono a conoscenza della nascita della scritta, assente in altri esemplari (fig. 2), ma ormai tanto nota e ripetuta da non suscitare più alcuna curiosità sulla sua origine, se non negli ostinati inquisitori delle pietre. è una delibera del Consiglio comunale di Corinaldo che dà vita 3 – Timbro di ferro con la leggenda Communitatis Corinalti; proprietà prial motto: nel maggio 1894 il sindaco vata. Pompeo Perozzi propose, ottenendo dodici voti favorevoli ed uno contrario, di “togliere dallo stemma di Corinaldo la leggenda Communitas Civitatis Corinalti (fig. 3) che non ha nessun significato e che potrebbe essere comune a tutti i paesi e di apporvi un motto che esprima l’origine e la storia di Corinaldo come Cineribus orta combusta revixi, perché Corinaldo ebbe origine dalla distruzione di Suasa nel 406 e fu nel 1360 arsa e distrutta da Galeotto Malatesta”2. Citare in uno stemma le origini di un centro urbano come risalenti ad una fondazione di epoca romana è sentito come fonte di prestigio fin dal l’Umanesimo: a sostegno di questa ideologia erano chiamati dalla classe dirigente gli eruditi del tempo. Nel nostro caso l’efficacia del motto, ristretto in due emistichi di sei sillabe ciascuno e della stessa scansione ritmica, ci ha fatto pensare che si trattasse della ripresa di antichi versi latini, sicuramente riferiti alla famosa fenice, l’uccello che morendo rinasceva dalle proprie ceneri; ma una ricerca affidata ad esperti di letteratura latina non ha permesso di trovare la presenza di tali parole in nessun testo noto. Dovremmo pensare dunque che il motto sia stato coniato da qualche illustre retore del tempo, nativo di Corinaldo o attivo all’interno della città, che ci offre l’occasione per una rapida memoria degli intellettuali corinaldesi di fine Ottocento: Sergio Stefanini (1866–1935), direttore didattico e “dotto” del paese; il conte e sindaco Pompeo Perozzi (1835-1908), interessato e aperto ad ogni rinnovamento tecnologico e culturale; l’archivista Efrem Rossi (1861-1913), cultore della storia locale che vedeva emergere dai documenti di archivio a lui affidati. 18 Testimoni di Pietra O ancor meglio Francesco Turris, nato a Corinaldo nel 1824, insegnante e scrittore, costretto a riparare a Firenze per i suoi atteggiamenti liberali e anticlericali nel 1859, ma sempre legato sentimentalmente ed epistolarmente a Corinaldo: buon conoscitore del latino, che insegnò a lungo nel Regio Ginnasio di Firenze, scrisse anche da lontano epicedi per la morte di noti personaggi di Corinaldo e, proprio nel 1894, alcuni versi “Per la festa dell’acqua”, per l’inaugurazione dell’acquedotto corinaldese voluto fortemente da Perozzi: forse fu il sindaco medesimo a sollecitare da lui, in quello stesso anno, il nuovo motto per la città3. Ora la pietra parla più apertamente delle ceneri da cui si dichiara nata: il motto fa riferimento alle ceneri di Suasa, la città romana edificata nella media valle del vicino fiume Cesano, arsa e distrutta dall’empio Alarico, dalla quale fuggendo, gli scampati determinarono di riedificarla sulla selva dei colli vicini4. Le ceneri si ravvivano: le fa riaccendere la dotta penna del più conosciuto storico di Corinaldo, Fra Vincenzo Maria Cimarelli, Maestro domenicano, qui nato nel 1585, e rinato alla conoscenza dei contemporanei grazie anche al Convegno di studi indetto nel 1985, IV centenario della nascita, dall’Am ministrazione comunale di Corinaldo e agli Atti pubblicati5. Giovinetto affascinato dalla mitologia e dai resti delle antiche civiltà, Nicolò (questo il nome di battesimo di Cimarelli) risaliva attraverso i poderi paterni fino all’antica Suasa, curioso di conoscerne i misteri. Avrebbe tentato di decifrarli da adulto, consegnando le indagini ad alcuni capitoli della sua storia sullo Stato di Urbino, dove soggiornò dal 1619 al 1629 come teologo di corte. Il libro terzo delle Istorie, dedicato a Corinaldo, è comunemente ritenuto il testo base per ricostruire le vicende del territorio, dall’antichità agli anni contemporanei a Cimarelli, ed è termine di riscontro per ogni nuova acquisizione storica6. Anche noi ci faremo accompagnare dalle parole del nostro autore, che esporremo in corsivo nel testo, per non ricorrere a continue citazioni in nota. Al nome dello storico è stato opportunamente intitolato il “Premio Vincenzo Maria Cimarelli”, riservato a saggi di storia locale, istituito sotto l’egida del Comune di Corinaldo e dell’Università degli Studi di Urbino nel 1986 (ultima edizione 1996), che ha costituito un rilancio del nome di Cimarelli; a lui è stata parimenti intitolata la sezione dell’Università delle tre età (Unitre) di Corinaldo. le pietre antiche 19 4 – Epigrafe di marmo 60X65x3 dedicata a Vincenzo Maria Cimarelli, alla parete dell’abitazione di Via Cimarelli, n. 48. L’11 novembre 1585 / da antica e nobile famiglia corinaldese / in questa casa / nacque / Fra Vincenzo Maria Cimarelli / sto rico insigne / del Ducato d’Ur bino Amante e ricercatore delle pietre antiche, ha meritato di essere ricordato lui stesso da una lapide dedicatoria (fig. 4) che l’Amministrazione comunale, alla fine degli anni Settanta, ha fatto apporre sulla parete della sua casa natale, al numero 48 di quella via dorsale del tessuto urbano medioevale che ha sempre mantenuto il nome di Via Cimarelli: L’11 novembre 1585, da antica famiglia corinaldese, in questa casa nacque fra Vincenzo Maria Cimarelli, storico insigne del Ducato di Urbino. L’epigrafe moderna colloquia con una più antica, visibile nell’imponente portale a bugnato alla sua destra (fig. 5/6) : sui conci di volta, la scritta in lettere capitali afferma, in latino, Cimarelli abitò qui ai suoi tempi. Se all’iscrizione si può credere con certezza, più problematica è invece l’attribuzione alla famiglia Cimarelli dello stemma (fig. 5) che compare sul concio di chiave del portale, comunemente attribuito ad essa anche negli opuscoli illustrativi su Corinaldo. Nell’esporre la storia della propria famiglia attraverso i suoi più illustri ed antichi rappresentanti, Vincenzo Cimarelli risale fino al trisavolo Cimarello di Gualtiero Mausulio, morto nel 1519 dopo essersi fatto stimare per le sue virtù guerriere e le sue capacità di governo; ma non afferma mai che la famiglia appartenesse al ceto nobiliare. è invece il già nominato Sergio Stefanini che in una “Storia di Corinaldo”, dattiloscritta nel 1930 e presente fino a pochi anni fa nella Biblioteca comunale (ma ora introvabile), attribuisce ai Cimarelli uno stemma che “innalza in campo azzurro sopra i tre monti un braccio che impugna una clava”7. Non ci è stato possibile chiarire da quale disegno egli abbia potuto desu- 20 Testimoni di Pietra 5 /6 – Portale di Via Cimarelli, n. 48; nel riquadro, stemma attribuibile alla famiglia Cimarelli; in alto, stemma non attribuito. Sui conci di volta: a sinistra Cimarell; a destra Habit. Temp. le pietre antiche 21 7 – Stemma nell’inferriata sopra il portale di via Cimarelli, n. 32: è riconoscibile la scacchiera bianca e rossa della nobile famiglia Romaldi, imparentata con la famiglia Cesarini. mere i colori dello stemma, non visibili naturalmente nella pietra, del resto ormai corrosa e di difficile lettura; pare piuttosto di riconoscere, più che una clava, un ramoscello con due fiori, una “cima”, che potrebbe essere rapportata al nome “Cimarelli”. Possiamo pensare ad un rifacimento più moderno dello stemma, in onore dello storico, nel momento stesso in cui si è voluto far memoria di Cimarelli nei conci di volta; si può anche pensare che lo stemma sia appartenuto ad una famiglia precedente, della cui casa siano entrati in possesso i Cimarelli. A meno che Stefanini abbia fatto confusione con un altro stemma, oggi collocato al di sopra del concio di chiave, che presenta chiaramente un braccio che impugna un’arma. Fino alla metà degli anni Novanta il manufatto era esposto nell’atrio interno del palazzo, ma l’ultima proprietaria Nivea Torelli non sa dire a quale famiglia nobile esso potesse appartenere; durante la ristrutturazione realizzata dagli attuali proprietari, le famiglie Bolognini Morbidelli, lo stemma è stato nuovamente esposto alla vista dei cittadini, come poteva esserlo stato ai tempi di Stefanini, e come potrebbe dimostrare la presenza di un alloggiamento e di un gancio precedenti, proprio sopra il portale: di qui la possibilità di un equivoco. 22 Testimoni di Pietra 8 – Conci di volta iscritti nel portale di pietra di Via Cimarelli, n. 6; a sinistra: Andreas, a destra: Albus / I(uris) V(triusque) D(octor) le pietre antiche 23 9 – Frammento di iscrizione su lastra di calcare 15x78x6, riusata in contesto edilizio come davanzale della finestra al primo piano, in Via Cimarelli n. 6; lettere capitali 6x3; il contesto dell’iscrizione, probabilmente rinascimentale, non è ricostruibile. dleet.vita isrentii ma /XXXXI etd […] X august Lungo la signorile via si esibiscono altri segnacoli di pietra e metallo, voluti dagli antichi proprietari per dar nobile rilievo alla propria residenza: lo stemma della famiglia Cesarini Romaldi (fig. 7), ormai oscurato dalla ruggine del tempo, al n. 32; il nome e la professione di un giurista, dottore di diritto civile ed ecclesiastico, Andrea Albi, impresso sui conci di volta della porta di casa, al n. 6 (fig. 8). Proprio al primo piano di questo palazzetto, in corrispondenza del portale, nessun ricercatore di lapidi, per quanto attento, potrebbe notarne una, che invano emette una debole voce di richiamo verso i passanti con la sua iscrizione mutila (fig. 9). Utilizzata come davanzale di una finestra, e pertanto illeggibile dalla strada, si nota tra gli altri davanzali soltanto per il bordo irregolare, risultato dalla frattura dell’antica lapide8. è ignoto da quale luogo e contesto provenga, in quale periodo storico sia stata lì collocata: forse l’avrà voluta nella sua casa, come cimelio storico, il dotto Andrea Albi, la cui famiglia apparteneva ai cittadini principali di Corinaldo, che Cimarelli ricorda per i generosi lasciti alla chiesa di San Pietro. L’iscrizione, sottoposta all’esame di epigrafisti dell’Università di Macerata e di Urbino, è quasi incomprensibile per la brevità del testo e le mutilazioni: riportiamo nella didascalia della fig. 9 24 Testimoni di Pietra la semplice trascrizione delle lettere visibili. Difficile la datazione anche per gli esperti: forse rinascimentale, per i caratteri capitali ripresi in quell’epoca dalla romanità, forse del tardo periodo imperiale. è comunque tra le più antiche epigrafi presenti all’interno della cerchia muraria e offre l’occasione per porci altre domande: resta ancora qualcosa tra noi delle ceneri di Suasa? Suasae ruinis... Se ogni lettore di Cimarelli – ed ogni storico moderno – è facilmente convinto dello stretto legame tra la città di Suasa e i molti centri collinari, tra i quali l’altura di Corinaldo, che furono occupati come nuova residenza, una volta lasciato il fondovalle in seguito alle invasioni barbariche e all’abbandono dell’asse stradale antico, non altrettanto facile è trovare oggi tra pietre mute ed iscritte le testimonianze di tale legame. Una pietra c’è, invero, che si impone con prepotenza ad emblema della continuità storica tra le due città: è una colonna di marmo che sorregge l’acquasantiera (figg. 10-11-12) del Santuario dell’Incancellata, innalzato verso la metà del Cinquecento alle pendici nord orientali del paese, oggi Viale dell’Incancellata, in onore di un’immagine miracolosa della Madonna: la presentazione più completa della chiesa, anche se ormai datata, si deve al concittadino Domenico Clemente Sforza 9. Il manufatto, a nostro parere assai interessante, è stato trascurato nelle recenti pubblicazioni su Corinaldo, e la sua immagine è assente dagli opuscoli illustrativi della città. L’attenzione verso di esso è stata sollecitata da una segnalazione presente in uno dei primissimi studi, pubblicati negli anni Cinquanta su Suasa e sulle emergenze archeologiche della valle del Cesano, ad opera di Gello Giorgi, pioniere di tali ricerche10. è infatti l’unica pietra presente nel territorio corinaldese che porta chiaramente impresso il nome di Suasa e ne dichiara, in latino, la lenta fine: Sono fatta con le rovine di Suasa, corrosa dai denti del tempo. Il messaggio è particolarmente significativo per la nostra ricerca, giacché l’iscrizione vuol stabilire un rapporto tra due luoghi e due epoche; per noi moderni ha soprattutto valore storico, ma nell’ideologia del tempo essa rappresenta un legame simbolico di intonazione morale, attinente al trionfo del cristianesimo sulla religione pagana, tema assai caro a Cimarelli: la colonna innalzata in onore di divinità nella romana Suasa, si sottomette a sostenere in questo luogo l’acqua di vita eterna elargita dal Dio cristiano: il suo simbolo, le pietre antiche 25 11 – Acquasantiera dell’Incancellata: particolare della colonna con iscrizione e data. 12 – Acquasantiera dell’Incancellata, riproduzione grafica dello scudo con la croce, dell’iscrizione e della data sottostante 1635. 10 – Chiesa dell’Incancellata, colonna di bardiglio su base quadrangolare, rastremata verso l’alto e iscritta, a sostegno di un’acquasantiera di marmo pentelico; alt. totale 108; colonna alt. 62, circonferenza massima 68; tazza alt. 30, diametro 53. Al centro della colonna, entro cornice rettangolare incisa 8x14, iscrizione: Suasae ruinis / aevi dentibus / vitiatae; sopra la cornice è incisa una croce patente, racchiusa entro uno scudo 13x13; sotto la cornice la data 1635. 26 Testimoni di Pietra una croce, è rappresentato enfaticamente entro uno stemma sopra la scritta. Chiara la data incisa: 1635. Essa ci riporta agli anni di trasformazione dell’“Incancellata”, come venne chiamato l’edificio di culto, dopo che la cella con la sacra immagine fu isolata dall’aula per mezzo di una cancellata di ferro. L’immagine di Maria, dipinta nella prima metà del Cinquecento da un artista ignoto, notevole per la precisione del disegno, la ricchezza dei colori caldi e sfumati, l’efficacia nel trasmettere lo sguardo mesto ma intimamente benevolo di Maria, era stata dapprima racchiusa entro un’edicola, poi ampliata in forma di cappellina ed aggregata alla Compagnia del Gonfalone; in seguito, come afferma Cimarelli, a cominciare dal 1625, da picciola fabbrica viene rafforzata e ampliata come si vede al presente, utilizzando materiale nuovo e trasportandola più a monte, nella località allora chiamata “Pozzo antico”, per evitare i frequenti allagamenti. Proprio il 26 novembre 1627, il Consiglio comunale di Corinaldo stabilisce di donare “per ornamento dell’altare o altro che fosse necessario” alla chiesa dell’Incancellata “quelle pietre che la nostra Comunità ha comprato dallo Rettore della Santissima Madonna del Piano”11. Il Rettore dell’antica chiesa vicina al Cesano, era allora uno dei maestri dai quali Cimarelli stesso aveva imparato “li primi erudimenti delle scienze”, don Andrea Veronica: grazie al recupero della fisionomia del personaggio, recentemente operato dallo storico Dario Cingolani, all’antico maestro l’Amministrazione comunale ha voluto intitolare, all’apertura dell’anno scolastico 1985-86, la Scuola Materna del capoluogo, inaugurata in quell’anno in Viale Dante n. 1712. Andrea Veronica (Corinaldo 1568-1659) aveva dunque deciso di vendere le pietre e le colonne antiche, oggi possiamo dire con certezza di origine romana, giacenti intorno alla sua chiesa: più sensibile ai valori dell’ antichità, la Comunità corinaldese decide di acquistare il materiale e di collocarne parte in luogo conveniente davanti al Palazzo di governo - precedente all’attuale ma eretto nello stesso luogo - parte per abbellire l’Incancellata: pochi anni separano l’acquisto delle pietre dalla data incisa sul supporto dell’acquasantiera 1635; a questo si aggiunga la data del 1638, anno in cui Cimarelli registra che da Madonna del Piano con sommo rammarico mio, e d’ogn’altra intelligente persona in quella Contrada…, la maggior parte delle dette colonne sono state da quei cimiteri levate, e trasportate in Corinalto. Le coincidenze archivistiche, cronologiche ed epigrafiche sembrano dunque inequivocabilmente confermare la provenienza di pietre antiche dall’area di Madonna del Piano, e vorremmo dire sicuramente anche della piccola colonna di reimpiego giunta fino a noi, testimone della romana Suasa. le pietre antiche 27 13 – Chiesa dell’Incancellata, epigrafe di arenaria definita da cornice quadrangolare 70x70, sopra il fregio del portale d’ingresso. D(eo) O(ptimo) M(aximo) / Mariae Deiparae /de Incancellata / templum hoc / Confalonis / Corinalti Societas / [opibus] piorum collectis / perf[ecit]. Nella l.8 è riconoscibile parte di un numerale: M […] Virgo incancellis... Nella chiesa dell’Incancellata, altri testimoni di pietra confermano le notizie esposte da Cimarelli sulle trasformazioni dell’edificio: sopra il fregio del portale d’ingresso, entro una cornice quadrangolare, è inserita un’epigrafe dedicatoria (fig. 13) della chiesa: In onore di Dio ottimo massimo, di Maria madre di Dio dell’Incancellata, la Società del Gonfalone di Corinaldo a spese dei devoti ha portato a termine questo tempio nel Mille ... La scritta non risulta completamente leggibile a causa di un malaccorto restauro che ha coperto con un velo indelebile di cemento varie lettere, facilmente ricostruibili, e proprio la data, del tutto illeggibile. Solo poche sbiadite parole mantengono oggi in vita, sulla costanza della pietra, il ricordo della Venerabile Compagnia del Gonfalone di Corinaldo, istituzione laicale di grande prestigio, potente per ricchezze spirituali e religiose ma anche per mezzi economici ed influenza sociale. Tutto l’archivio cartaceo, conservato nelle numerose chiese di proprietà della Confraternita, è stato sottovalutato e in gran parte disperso dopo che la Confraternita fu “trasformata”, nel 1912. I pochi relitti presenti nell’Archivio storico comunale sono stati pubblicati da Carlo Giacomini che, con un 28 Testimoni di Pietra grande gioco di pazienza da lui stesso dichiarato, si è impegnato negli anni Novanta al riordino delle carte dell’archivio di Corinaldo13. Al Libro delle notizie della Confraternita del Gonfalone, dal 1595 al 1816, si uniscono carteggi, verbali ed atti diversi che testimoniano l’attività dell’istituzione fino al 1939 e permettono all’archivista di ricostruire la storia della Confraternita. Resta tra le memorie cittadine anche il volume degli Statuti dell’Arcicon fraternita, datato 1735, contenente una “breve narrazione dell’origine e dei progressi” del sodalizio, presentato in un recente studio di Francesca Pon getti che tocca anche il patrimonio librario di alcune famiglie di Corinaldo14. Non a caso il volume apparteneva a Francesco Arcangielo della nobile famiglia Ciani, cha avrà molto probabilmente fatto parte dei nobili Signori Confrati di cui parla Cimarelli, se dobbiamo dedurre con la Pongetti, dal possesso di certi libri, l’adesione di un personaggio alle coordinate culturali di un’epoca. Del radicale cambiamento di tali coordinate culturali, iniziato nel secolo dei lumi e protrattosi per tutto l’Ottocento, sono chiaro segno le pressioni del Commissario prefettizio presentate al Consiglio comunale di Corinaldo appunto negli anni 1911 e 1912: il 22 marzo 1912 il Commissario pretese, dopo un veemente discorso contro l’inutilità dell’istituzione, divenuta a suo dire un covo di interessi economici, che i beni della Confraternita del Gonfalone fossero trasformati e convertiti a pubblico beneficio, secondo la nuova Legge sulle Opere Pie dell’Italia unitaria, conseguente alla soppressione degli ordini religiosi. Alcuni Consiglieri avevano tentato, in precedenti sedute, di difendere il valore sociale del patrimonio dell’antica istituzione; prevalse tuttavia infine l’atteggiamento favorevole al Commissario e si votò a strettissima maggioranza la concentrazione dei capitali della Confraternita nella “Congregazione di Carità”, finalizzando le rendite al mantenimento dei ricoverati dell’Ospi zio dei cronici dell’Ente Ricovero di Mendicità Umberto I15. Anche nella nostra comunità lo Stato laicista riuscì a distruggere “in larga misura il monumentale impalcato eretto dalla convinta e costante millenaria applicazione del principio solidaristico cristiano esplicitato dall’intero movimento confraternitale”: parole dello storico Alberto Fiorani. Nell’approfondito studio sulle Confraternite nella Diocesi di Senigallia, lo studioso ha riportato opportunamente alla ribalta le vicende di questa realtà religiosa e sociale che si era mantenuta vitale nel tempo, fin dalle sue origini nel tredicesimo secolo16. Fiorani lamenta che la storiografia corrente ha sistematicamente tralasciato la trattazione del movimento confraternitale, le pietre antiche 29 e che anche nel Seicento e nel Settecento, quando le Confraternite avevano il loro massimo rigoglio, gli autori contemporanei ne trattano appena. Noi Corinaldesi invece dobbiamo essere grati ancora una volta a Cimarelli che si sofferma ampiamente sulle numerose Confraternite dei suoi tempi (sulle quali non possiamo qui dilungarci, mancando riguardo ad esse ogni riferimento epigrafico), e in modo particolare su quella del Gonfalone: una “società entro la società”, aperta a tutti, uomini e donne, anche appartenenti ai ceti più modesti; tra gli Uffiziali preposti al buon andamento della Confraternita, dovevano infatti essere eletti, con un preciso e complicato rituale, “quattro Priori, due dei quali dovranno essere del ceto dei Cittadini, uno di quello degli Artisti ed uno del ceto dei Contadini”: tanto prescrivono gli Statuti della Confraternita del Gonfalone di Corinaldo del 1787, rinnovati per volere del vescovo di Senigallia, cardinale Bernardino Honorati 17. La prefazione agli Statuti suddetti ricorda che in Corinaldo si trovava già eretta fin dall’inizio del secolo XVI una Confraternita sotto l’invocazione di Santa Maria detta del Mercato e quindi sotto quella della Santissima Annunziata, ma i confratelli pensarono opportunamente di chiedere l’aggregazione all’Archiconfraternita del Gonfalone di Roma: essa per uso antico era solita aggregare sia membri singoli sia interi sodalizi di città lontane da Roma; trasmetteva ai nuovi adepti le indulgenze speciali ricevute fin dal 1267 da papa Clemente IV, sotto le regole dettate da San Bonaventura da Bagnorea, e insieme gli impegni di solidarietà e di beneficenza, come il riscatto dei prigionieri catturati dai pirati turchi. L’aggregazione, se comportava una certa sottomissione alla Società romana, aumentava tuttavia il prestigio della confraternita locale, grazie all’importanza sociale, religiosa ed anche politica che i confratelli di Roma si erano guadagnata nei secoli. Proprio il titolo di Gonfalone derivò alla Società, prima chiamata dei “Raccomandati di Madonna Santa Maria”, dal fatto che i Raccomandati romani si schierarono sotto uno stesso gonfalone, la loro bandiera confraternale, per ripristinare il governo papale quando, nel 1351, Luca Savelli si era impadronito del potere in Campidoglio, esautorando il vicario papale. Tanta era l’autorevolezza morale ed organizzativa della Compagnia. Per l’importanza dell’unione con Roma, la data della “Patente di aggregazione” di Corinaldo è più volte ripetuta negli Statuti del 1787, e si fissa ai 5 Agosto 1581 (e non al 1586, come afferma lo Sforza nell’opuscolo citato). Evidentemente rinvigoriti da quest’innesto, i confratelli corinaldesi moltiplicarono la loro attività e la devozione: Cimarelli afferma che nel 1586 furono 30 Testimoni di Pietra scelti dal Vescovo di Senigallia per dedicarsi alla cura dell’Incancellata, farvi officiare una Messa ogni sabato, provvederla di tutte le cose necessarie. A partire dal 1625, come si è detto, la Società ampliò e trasformò la chiesa, erigendo anche nuovi fabbricati per l’accoglienza dei pellegrini. Di tale benemerita opera volle preservare il ricordo sulla lapide d’ingresso sopra presentata, che tuttavia ci impedirebbe oggi di conoscere l’anno, illeggibile, del completamento dei lavori: indica però l’anno 1690 la tabella esplicativa fatta apporre dall’Amministrazione comunale sulla parete esterna di questa chiesa (e di tutti i principali monumenti cittadini), a partire dal 1995. Esiste infatti, negli Inventarii dal 1775 al 1825 dell’Archivio vescovile di Senigallia, una descrizione dei beni della Confraternita, dalla consultazione della quale lo storico corinaldese Eros Gregorini ha potuto verificare la data “in cui fu ingrandita la medesima chiesa con fabbricarvi sagrestia e casa, a ciò la chiesa fosse custodita di giorno e di notte e rinnovata quindi la detta chiesa circa il 1690 nello stato in cui al presente ritrovasi”18: ancora una volta i testimoni di pietra e di carta si integrano, per confermare un dato storico. Ai nostri giorni i pochi documenti superstiti, già sparsi negli armadi di varie chiese, sono custoditi da Ettore Vieri, segretario della rinnovata Con fraternita del Gonfalone e priore della Confraternita dell’Addolorata e Santo Spirito, dei quali è riconosciuta anche attualmente la personalità giuridica. A Corinaldo infatti, nonostante l’esproprio dei beni immobiliari e terrieri, nonostante le campagne di controllo e di scoraggiamento seguite anche al Concordato tra Stato e Chiesa del 1929, sono rimaste sempre in vita almeno tre Confraternite, delle otto erette dal 1430 al 1788: Gonfalone, Santo Spirito e SS. Sacramento. I verbali delle adunanze e i registri di cassa da noi consultati presso Vieri lo confermano. Nel 1984 è avvenuto a Corinaldo, come anche in altre parrocchie della Diocesi, un recupero di visibilità delle antiche confraternite: esse sono oggi composte da circa quaranta membri in totale, uomini e donne, e partecipano alle processioni di tutto l’anno liturgico; si è provveduto al rinnovo delle uniformi che utilizzano i colori delle antiche istituzioni, presenti in un mantello invece che nel sacco e nella mozzetta. Si è perduto invece l’uso dello “scudetto”, un cartone ovale portato sul petto, nel quale era effigiato il simbolo delle confraternite. La croce di color bianco e rosso in campo turchino, che campeggiava nel gonfalone (fig. 14), è rimasta visibile oggi soltanto in uno stucco sul soffitto dell’Incancellata, sopra l’altare, e nello stendardo riposto in una sacrestia della chiesa parrocchiale. Prima di raggiungere l’immagine della Madonna chiusa dai cancelli, gli antichi costruttori della chiesa hanno voluto creare quasi un percorso le pietre antiche 31 14 – Chiesa dell’Incancellata, la croce di color bianco e rosso in campo turchino, emblema della Confraternita del Gonfalone, affrescato al soffitto della cella. spirituale, rivolgendosi con sollecitazioni ed inviti in lingua latina al devoto visitatore: nel fregio (fig. 15) del portale, l’iscrizione esorta il viandante ad entrare con fiducia nel luogo sacro: Entra, tu che leggi, mira attentamente colei che è la vita del mondo, prega con fervore, la Vergine beata ti darà un segno delle sue benevoli grazie. Altre due scritte sovrastano le porte laterali della chiesa, ancora invitando alla confidenza nella Madonna; sopra la porta di sinistra (fig. 16) sono ormai illeggibili molte lettere, ma possiamo dare qui la lettura che ne fece lo Sforza: La Vergine che guarda dalla cancellata libera le anime dalla colpa, conduce in cielo i peccatori; sopra la porta di destra (fig. 17) si distinguono chiaramente le parole: Fermati viandante, innalza qui le tue preghiere, la Vergine e Santa Madre pregata da un cuore sincero ti inonderà di una rugiada divina. L’espressione poetica fa riferimento all’acqua di un piccolo ruscello che scorreva davanti al Santuario, poi raccolta in un pozzo e usata per ottenere guarigioni da molti mali e perfino dalla lebbra. E in verità molti poteri sono stati attribuiti all’intercessione della Vergine: scomparsi purtroppo gli innumerevoli ex voto appesi alle pareti, preziosi ed asportabili, c’è soltanto una pietra che resiste al suo posto, murata com’è alla 32 Testimoni di Pietra 15 – Chiesa dell’Incancellata, iscrizione nel fregio sopra il portale d’ingresso. Ingredere o lector / mundi bene respice vitam / funde preces / Virgo signa beata dabit le pietre antiche 33 16 – Chiesa dell’Incancellata, iscrizione nel fregio di arenaria gravemente sfaldato sovrastante il portale d’ ingresso di sinistra. [Virgo incancellis quae prospicit / almas cancell]at culpa / [duc]it ad astra reos 34 Testimoni di Pietra 17 – Chiesa dell’Incancellata, iscrizione nel fregio di arenaria sovrastante il portale d’ ingresso di destra. Siste viator / effunde hic preces / nam puro ex corde rogata / Virgo et Sancta Parens / rore divino ditat 18 – Chiesa dell’Incancellata, epigrafe di arenaria 60x90 definita da cornice con modanature, murata nella parete interna, sopra l’entrata laterale destra. Aram hanc divo Cajetano dicatam / caelestis irae pacandae / Philippus presbiter corinal tensis / ex antiqua et nobili Fontinorum familia / superstes / erigendam et ornandam disposuit / anno ab orbe redempto / MDCLXXXXI le pietre antiche 35 parete interna destra della chiesa, un’epigrafe in latino (fig. 18) di invocazione e di dedica: Il sacerdote corinaldese Filippo, superstite dell’antica e nobile famiglia Fontini, dispose nel suo testamento che fosse eretto ed ornato questo altare dedicato a San Gaetano, per placare l’ira celeste, nell’anno della redenzione 1691. L’altare, evidentemente posto sotto lo iuspatronato della famiglia Fontini, è collocato sulla parete destra, all’esterno della cella, ed è arricchito da una pala d’altare con “il Santo che tiene in mano il Redentore bambino”, elencata tra gli arredi della chiesa negli inventari già ricordati; dalla scheda descrittiva di Donato Mori apposta di recente all’altare, sappiamo oggi che la tela ad olio è opera attribuita al pittore fermano Ubaldo Ricci (1669-1732). Abbiamo cercato di far parlare la lapide più diffusamente, sollecitati dal termine “superstite” e dal timoroso intento di “placare l’ira celeste”. La famiglia Fonti, in seguito divenuta Fontini, nominata da Cimarelli tra le più antiche, è presente a Corinaldo nella persona del luogotenente di Carlo d’Angiò, Giacomo Fonti di Mineo, che nel 1294 sposò la figlia di un ricco patrizio corinaldese; lo stemma, una fonte zampillante, è rappresentato sotto il ritratto (fig. 19), esposto nella Sala Grande del Palazzo comunale, di due giovani fratelli della famiglia, Pandolfo e Livio, insigniti del titolo di cavalieri dei Santi Maurizio e Lazzaro. Illustri membri della famiglia si segnalarono come capitani al servizio di vari Ducati italiani nel corso del Cinquecento e del Seicento, anche se la pratica delle armi non sembra aver arricchito molto la famiglia che, nel 1617, risultava possedere pochi ettari di proprietà, suddivisi tra vari eredi; partecipano al governo cittadino fin dalla prima metà del Seicento ma l’ultimo esponente, Cristofaro, cessa di comparire negli elenchi dei Consiglieri nel 167519. Pochi anni separano questa data dal testamento del 1691 e dunque veramente Filippo può apparire come l’ultimo rappresentante del casato. Varie famiglie si estinguono a Corinaldo nel corso del Seicento, secolo nel quale gli eventi negativi si presentano con frequenza e con intensità, specialmente nei primi decenni: uno studio di Carlo Giacomini sulle epidemie, carestie e povertà diffuse nei territori di Ancona, Jesi e Corinaldo, attesta per il nostro paese un vero collasso demografico nel biennio 1621-1622, quando ad un anno di carestia si aggiunge l’influentia maligna del tifo petecchiale che determina la morte di un decimo dei consiglieri e della quinta parte degli abitanti, e questi de’ più ricchi20. Negli Annali di Senigallia di Giovanni Monti Guarnieri, a partire dall’anno 1650 si sottolinea più volte che la Fiera franca di Senigallia non fu autorizzata per motivi di prudenza sanitaria, dato il faci- 36 Testimoni di Pietra 19 – Sala Grande del Palazzo comunale, stemma della nobile famiglia Fontini sotto il ritratto dei fratelli Pandolfo e Livio, cavalieri dei Santi Maurizio e Lazzaro, datato 1577. le diffondersi della peste 21. Appare pertanto comprensibile il desiderio di Fontini di placare l’ira di Dio attraverso l’intercessione di San Gaetano da Thiene (1480-1547), che nella sua vita si era dedicato agli infermi più abbandonati; i suoi chierici furono molto apprezzati durante la carestia e la peste del 1528-29, una sua nobile discepola fondò a Napoli l’“Ospizio degli incurabili”; in alcune raffigurazioni viene presentato con un cartiglio che, uscendo dalla bocca, recita Placare Domine, parole che si accordano con quelle della nostra epigrafe. Aggiun giamo la circostanza che Gaetano da Thiene era stato proclamato Santo poichi anni prima, nel 1671; notiamo infine che l’erezione dell’altare è stata disposta da Fontini proprio in occasione del completamento dei lavori della le pietre antiche 37 20 – Chiesa del l’Incancellata, epigrafe di arenaria 70x50 murata all’interno della sacrestia, nella parete di fondo. Priores Soc(ietatis) Confal(onis) pro tempore curent ut sin / gulis hebdoma dis in per / petuum celebretur i(n) hoc / templo die Lunae et Mer / curii una Missa pro salute / D(omini) Galeotti Arcang(eli) de cas / a Montenovo ac totius / ipsius familiae utque iide(m) / pro eodem fieri mandent / prima do(mini)ca octob(ris) offi / cium quindecim Missar(um) / sic(ut) n(unc) ordinatur in inst(rumento) num(ero) […] / donat(ionis) per Io(hannem) Christophor(um) / Bevilaquam rogat(o) die / 5 Iulii 1629 chiesa, avvenuto nel 1690, come si è visto. Era tanta la volontà di essere continuamente soccorsi dalla protezione divina particolarmente presente nella chiesa dell’Incancellata, che non si esitava a spendere una buona somma per far scolpire sulla pietra i diritti alle Messe e ai suffragi voluti dagli offerenti, anche dei paesi vicini. Lo testimonia un’epigrafe (fig. 20) che sopravvive, sconosciuta ai più, murata a circa due metri di altezza dal pavimento, nella parete di fondo dell’attuale sacrestia. L’iscrizione in corretto latino, con lettere di accurata fattura, tanto impone: I Priori in carica della Società del Gonfalone si prendano cura che ogni settimana per sempre si celebri in questo 38 Testimoni di Pietra tempio, di lunedì e di mercoledì, una Messa per la salvezza dell’anima del signor Galeotto Arcangeli di Montenovo e di tutta la sua famiglia e gli stessi comandino che a favore del medesimo sia fatto celebrare, la prima domenica di ottobre, un ufficio di quindici Messe, come viene ora ordinato nell’atto di donazione numero […] rogato da Giovanni Cristoforo Bevilacqua il giorno 5 luglio 1629. Se è scomparsa la memoria del meticoloso committente, riconosciamo nel nome del notaio fissato sulla pietra, il personaggio che compare in altri documenti cartacei, emersi dall’archivio comunale in occasione degli studi sul pittore Claudio Ridolfi, di cui si parlerà in seguito: è proprio il notaio Giovanni Cristoforo Bevilacqua che nel gennaio 1635 roga l’atto di acquisto di una casa da parte di Ridolfi, in contrada Terreno22; è lo stesso notaio che sottoscrive un importante documento concernente il quadro che raffigura l’Orazione di Gesù nell’Orto , nel settembre 1643, a un anno circa dalla morte del pittore23. L’epigrafe è la testimone superstite dei molti altri testamenti e donazioni a favore della Società del Gonfalone, che le avevano procurato il possesso di beni fondiari ed edilizi, nonché di ben quattro chiese, ora demolite: Santa Maria di Piazza, Madonna degli orti o di San Biagio, chiesa dell’Annunziata, Santa Maria del Mercato. Nel corso del primo Novecento il santuario venne piuttosto trascurato, ma lapidi moderne ricordano il rinnovarsi dell’antichissima venerazione alla Madonna del latte, invocata col titolo di “Regina della pace”, dopo la seconda guerra mondiale. I reduci e le loro famiglie, riuniti in un’Associazione, operarono il ripristino della chiesa dopo il crollo del tetto del 1939 e l’abbellirono con nuovi decori24. Nell’altare alla sinistra della cella, in precedenza dedicato alla Madonna di Loreto la cui antica statua è stata oggi trasferita in una nicchia della stessa parete, si stabiliscono nuove devozioni: prima ad un Crocifisso riportato da alcuni reduci nella chiesa patria, dopo che li aveva seguiti e protetti in guerra e in prigionia; poi a Santa Maria Goretti. Dopo la santificazione della virtuosa fanciulla, celebrata nel 1950, si volle infatti ricordare in questa chiesa l’affetto e la devozione di “Marietta” per la Vergine Incancellata, secondo quanto affermava la madre Assunta: una lapide di marmo (fig. 21) affissa alla parete interna sinistra, sopra la porta laterale, ricorda: Questo altare della martire corinaldese Santa Maria Goretti, devota di questo santuario, fu dedicato il 15 agosto 1950 da Sua Eccellenza Mosignor Umberto Ravetta vescovo di Senigallia e le pietre antiche 39 21 – Chiesa dell’Incancellata, epigrafe di travertino 50x100 affissa alla parete interna sinistra, sopra l’ingresso laterale. Questo altare della martire corinaldese / Santa Maria Goretti / devota di questo Santuario / fu dedicato il XV VIII MCML / da S. E. Mons. Umberto Ravetta / Vescovo di Senigallia e Conte / presenti / Assunta ed Ersilia Goretti / mamma e sorella della Santa / autorità e popolo. conte, presenti Assunta ed Ersilia Goretti mamma e sorella della Santa, autorità e popolo. Più in basso, alla sinistra dell’altare, una lastra di marmo più piccola (fig. 22) sottolinea: La prima Messa in questo altare venne celebrata dal Cappellano della Marina militare don Giuseppe Filipponi di Ascoli Piceno . La pala del nuovo altare, dipinta nel 1950 dal pittore corinaldese Mirco Mariani, rappresenta appunto Maria Goretti mentre prega davanti alla Madonna dell’Incancellata. Ancora del 1950 è la lapide (fig. 23) affissa ad altezza d’uomo su una lesena della parete destra della chiesa, che ricorda l’incoronazione della Vergine con un diadema d’oro, sotto il pontificato di Pio XII: Questa miracolosa immagine venne incoronata dal CapitolO Vaticano il 14 agosto 1950. Di nuovo un lungo periodo di chiusura è stato inflitto alla chiesa in seguito al terremoto del 1997: dichiarata inagibile e chiusa dal marzo 1998, solo nel gennaio 2003 è stato possibile riaprirla al culto, grazie all’interessamento dell’Arciprete parroco Mons. Umberto Mattioli e ai volonterosi e devoti abitanti della contrada. Secondo un’antichissima costumanza, gli abitanti di ogni “contrada” (Corinaldo non ha frazioni) eleggono i loro deputati, 40 Testimoni di Pietra 22 – Chiesa dell’Incan cellata, epigrafe di marmo 40x20 affissa ad altezza d’uomo alla parete interna sinistra, vicino all’altare di S. Maria Goretti. La prima Messa / in que sto altare / venne celebra ta / dal Capp. della Marina / Militare D. Giuseppe / Filipponi di Ascoli P. 23 – Chiesa dell’Incan cellata, epigrafe di marmo 40x20 affissa ad altezza d’uomo nella parete interna destra. Questa miracolosa / immagine / venne / incoronata dal Capitolo / Vaticano / XIV VIII MCML responsabili della chiesa che caratterizza la località: all’Incancellata i nuovi eletti si sono assunti con grande dedizione l’impegno della custodia, come preteso dalla Soprintendenza ai Monumenti che ha curato i restauri, pur sempre sotto la responsabilità della Confraternita del Gonfalone, proprietaria della chiesa; tuttavia molti oggetti ed arredi registrati nell’elenco redatto da Stanislao De Angelis Corvi interessato alle memorie della chiesa, nel 1980 e consegnato per opportuna memoria ai deputati di allora, risultano attualmente mancanti. Ricordiamo che una riproduzione dell’immagine della venerata Madonna del latte è stata consegnata da una delegazione della nostra Parrocchia, nell’ottobre 1997, al Passionista Padre Giovanni Alberti del Santuario di Santa Maria Goretti a Nettuno, in partenza per la Terra Santa, perché la collocasse, insieme con altre immagini dello stesso soggetto provenienti da varie località del mondo, nella cappella della “Madonna del latte”, a Betlemme. L’immagine sacra, portata così lontano, vigila premurosa, all’insaputa di tanti Corinaldesi, anche da uno dei punti più alti della città, la torre del cam- le pietre antiche 41 24 – Palazzo comunale, campana di bronzo della torre civica con le immagini del Crocefisso, di Sant’ Anna, di Maria San tissima dell’Incancel lata e lo stemma della città; nel riquadro è visibile il Crocefisso. panile civico: lì la campana (fig. 24) che invita (o invitava) democraticamente i cittadini ad accorrere alle riunioni del Consiglio comunale, porta raffigurate nel bronzo le immagini del Crocifisso, di Sant’Anna e di Maria Santissima dell’Incancellata, insieme con lo stemma della città: consegniamo ai concittadini anche questa immagine inedita, di difficile lettura per l’inaccessibilità del luogo, ma che documenta l’antico legame della città con i santi patroni25. Abbiamo raccolto con simpatia e ammirazione le confidenze del campanaro comunale Ferdinando Mencucci ormai in pensione, l’ultimo ad avventurarsi senza tema sul campanile: era lui a far risuonare le campane nelle precise circostanze imposte dalla tradizione, Sant’Anna, Corpus Domini, S. Maria Goretti, ed anche in occasione di pericolosi temporali, per allontanare la grandine. Repertae in agro Corinaltensium columnae & tabulae marmoreae… Ci allontaniamo dall’Incancellata, pervasi dalle tante suggestioni evocate in quel ricco contenitore di memorie cittadine, mentre riflettiamo su altre possibili vestigia di Suasa, sottratte ai denti del tempo, conservate ancor oggi nel territorio comunale di Corinaldo. Che ne è stato delle altre pietre e colonne acquistate dalla Comunità per ornamento dell’Incancellata e del Palazzo pubblico? Esistevano fino ai tempi più recenti due colonne adagiate davanti alla facciata della chiesa, ed oggi scomparse (in qualche giardino?): lo testimoniano nel suo scritto lo Sforza e il 42 Testimoni di Pietra vivo ricordo di concittadini viventi. Non vediamo più lungo la parete esterna sinistra della chiesa di Sant’Anna il frammento di colonna antica, pure da noi fotografato pochi anni or sono. Reperti antichi abbelliscono il suggestivo parco della villa di campagna dei conti Cesarini, situata a un paio di chilometri dal paese, in contrada Montale: l’arredo del parco esibisce ancor oggi, benché in un triste abbandono, tre colonne di granito rosa allineate, che rappresentavano gli alberi di una nave, ricostruita immaginosamente come spina divisoria del viale di accesso alla villa (fig. 25), mentre frammenti architettonici di varie tipologie (fig. 26) sono adagiati ai margini delle aiuole26. Pur in mancanza di una documentazione scritta che attesti la provenienza da Suasa di tali manufatti, non sembra troppo fantasioso pensare al trasporto nel giardino della villa di materiale antico, come si è usato fare per tutto il Settecento e l’Ottocento da parte dei proprietari terrieri della zona, per abbellire e nobilitare le loro residenze. Tutto il fiabesco arredo del parco, con le statue, le nicchie, lo stemma, gli stucchi, è preda, in questi ultimi anni, di ladri e di vandali che invano si tenta di arrestare. Alcuni manufatti sottratti appunto alla villa ed in seguito recuperati, sono attualmente in deposito nella “Sala del Costume e delle tradizioni popolari”, allestita nel centro storico: si tratta di due capitelli corinzi (figg. 27 e 28) in ottimo stato di conservazione, di provenienza ignota ma attribuibili ad epoca rinascimentale e di una lastra di pietra, sulla quale è rappresentato uno stemma (fig. 79, cap. II) con elementi figurativi che richiamano a grande nobiltà. Oltre alle colonne, Cimarelli (e prima di lui altri autori che egli cita nelle Istorie) afferma che esistevano nel territorio di Corinaldo tabulae marmoreae, cioè lapidi di marmo, contenenti iscrizioni latine: le descrive, le trascrive, e dietro di lui vanno altri storici moderni che, sulla sua parola, ribadiscono piuttosto affrettatamente (e certo senza aver operato una ricognizione personale) la presenza a Corinaldo di epigrafi romane27. In realtà ne restano pochissime, se la nostra ricerca, per quanto accurata, non verrà smentita (e ce lo auguriamo) da altre indicazioni. Fedeli al nostro proposito, presentiamo pertanto solo i reperti romani visti con i nostri occhi, trascurando le altre segnalazioni. Un fortunato incontro avvenuto nel 1997 con una laureanda dell’Uni versità degli Studi di Macerata, e un’amichevole collaborazione, ci permettono oggi di dare voce definitiva alle iscrizioni romane ancora presenti sul territorio: la ricerca già avviata nella nostra Scuola media, ha permesso alla le pietre antiche 43 25 – Colonne antiche erette lungo il viale di accesso di Villa Cesarini, in Via del Montale: tre di granito rosa con fusto liscio e imoscopo, diam. 40, di cui due alte 180 ed una 120; una di calcare, diam.40, alta 190. 26 – Spigolo sinistro di elemento architettonico a dentelli e modanature, 35x135x45, lungo il viale di accesso alla Villa Cesarini. 44 Testimoni di Pietra 27/28 – Due capitelli corinzi provenienti da Villa Cesarini, depositati nella “Sala del costume e delle tradizioni popolari” in Largo XVII settembre 1860; alt. 35, base superiore 45x45, base inferiore diam. 25, privi di foro per l’innesto; tre facce presentano due giri di foglie d’acanto sormontate da due volute che sorreggono l’abaco, al centro fiore d’abaco ed elici; la faccia posteriore è solo sbozzata. studiosa Simona Antolini di entrare in contatto con i reperti da noi identificati, che sono stati approfonditamente stu diati e presentati nell’ambito della sua tesi di laurea e successivamente in riviste archeologiche specializzate28. Rimandiamo, per gli studi precedenti, alla bibliografia ivi citata, e non esitiamo a servirci di tale recentissima pubblicazione per presentare con sicurezza il volto svelato delle nostre pietre antiche. Domino nostro imperatori maxentio... Domino nostro imperatori constantino... La più nota di esse è la colonna di età romana imperiale (fig. 29), identificata nei pressi della chiesa di Madonna del Piano di Corinaldo, costruita o almeno utilizzata come cippo miliare: sul percorso della strada lungo la quale era collocato sussistono varie incertezze da parte degli studiosi che hanno ripetutamente esaminato il reperto, registrato nel Corpus Inscriptionum Latinarum da Eugenio Bormann29. Negli studi più recenti le ipotesi si restringono a due, che cerchiamo di sintetizzare sulle indicazioni di Gianfranco Paci presentate in un recente con- le pietre antiche 45 vegno a Corinaldo del 200130: se il miliario è stato da sempre collocato all’altezza della chiesa di Madonna del Piano, dove è stato segnalato per primo da Cimarelli (anche se da lui male interpretato), è presumibile che indicasse un punto della strada che collegava la conca di Sassoferrato (Sentinum) alla colonia marittima di Senigallia (Sena Gallica); il percorso si snodava sul crinale spartiacque tra la vallata del torrente Nevola, tributario del Cesano, e quella del torrente Fenella, affluente di sinistra del Misa, scendendo infine attraverso il terrazzo fluviale di Suasa fino al mare; la strada era preesistente alla Flaminia stessa, aperta nel 220 a. C., e ricalcava un percor29 – Area del Monumento ai Caduti, in so preromano. Sembra questa Viale degli Eroi: cippo miliare in pietra l’ipotesi più verosimile: infatti calcarea a fusto cilindrico, alt.110, diam. è l’esistenza di una strada anti50, recante tre iscrizioni ed un numerale; ca documentata a determinasulla sommità si conserva un anello di ferro piombato entro una cavità; il cippo è re l’attribuzione di un miliario attualmente collocato all’interno della chiee non viceversa. è inoltre da sa di Madonna del Piano (Archivio Mario considerare che in età tardoCarafòli, per g.c. della moglie Luisa). antica la funzione delle colonne come pietre viarie sembra quasi scomparire a favore di una funzione propagandistica (come è del nostro cippo), che avrebbe meno senso lungo strade secondarie. è però vero che la forma dei miliari ne fa un materiale particolarmente adatto al riuso, specialmente come colonne delle chiese e delle cripte: il cippo dunque potrebbe essere stato trasportato da altro luogo, come materiale di spoglio, e collocato in posizione votiva davanti alla chiesa in periodo alto- 46 Testimoni di Pietra medievale, uso non raro ai tempi; potrebbe allora provenire da qualche altra strada importante, dal tratto della strada Sentinum – Sena Gallica che percorreva invece la valle del Misa o dalla strada Helvillum (Fossato di Vico) – Ancona che percorreva la valle dell’Esino; si tratta comunque dei tre percorsi principali, tutti collegati alla Flaminia, della viabilità antica su cui gravitava Suasa. Sul cippo è inciso infatti con marcatura profonda, nella parte inferiore, il numero romano CLXXXIIII (184), che indica la distanza in miglia dal punto di origine della strada. Esso presenta, oltre al numerale, tre iscrizioni inneggianti una a Mas senzio e due a Costantino, che risultano deteriorate per l’esposizione all’aperto, corrose e in cattivo stato di conservazione; l’impaginazione è poco curata e l’incisione dei caratteri frettolosa, con difformità di altezza e di inclinazione delle lettere. Per di più le iscrizioni A e C hanno subito un intervento moderno che ne ha snaturato alcune parti, rendendole ancora più incomprensibili al lettore sprovveduto: per questo ci affidiamo all’esperta indagine di Antolini. Su di un lato (iscrizione A) è incisa una dedica Al Nostro signore Imperatore Cesare Marco Aurelio Valerio Massenzio, pio, felice, invitto ed eterno Augusto, che sovrasta il numerale CLXXXIIII. Sul lato opposto, al centro, (iscrizione B) la dedica è rivolta Al nostro signore Imperatore Valerio Costantino, pio, felice, invitto Augusto, figlio del divo Costante. Sopra l’iscrizione B (iscrizione C) di nuovo una dedica All’ Imperatore cesare Flavio Valerio Costantino, pio, felice, invitto Augusto (fig. 30). L’iscrizione più antica è costituita dalla dedica a Massenzio (A), erasa, di cui si riconoscono a malapena due lettere; contemporanea è l’indicazione del numerale sottostante, CLXXXIV. Massenzio era il rivale di Costantino per la conquista del primato sull’impero, ma fu da questi sconfitto definitivamente nei pressi del Ponte Milvio, alle porte di Roma. La vittoria, secondo la tradizione, fu ottenuta grazie ad una visione di Costantino: visitato in sogno, nella notte precedente la battaglia, dal Dio cristiano al quale si era già convertita sua madre Elena, fece apporre sui vessilli del proprio esercito il segnacolo apparso nel sogno, il monogramma di Cristo, ottenendone la protezione e divenendo per la storia Costantino il Grande. Massenzio, al contrario, dopo la morte subì, anche se non ufficialmente, la damnatio memoriae, cioè la cancellazione del suo nome e del suo ricordo dalle iscrizioni31; il miliario fu pertanto girato e sul lato opposto fu scritto il testo B, le pietre antiche 47 30 – Cippo miliare nell’atrio di Madonna del Piano: trascrizione delle iscrizioni A-B-C operata da S. Antolini (da Supplementa Italica, 18, Roma 2000, pag. 55). Datazione: A: inizio del 307–28 ottobre 312; B - C: 28 ottobre 312–3 luglio 324. in onore del vincitore Costantino, in posizione centrata. Sulla base del riutilizzo e dei titoli attribuiti a Costantino, le iscrizioni B e C si datano tra il 28 ottobre 312 ed il 3 luglio 324; l’iscrizione C però, che ripete stranamente lo stesso testo di B, potrebbe essere stata apposta successivamente, in occasione forse del decennale del regno di Costantino, il 25 luglio 315. Un cippo che appare come speculare al nostro è stato ritrovato lungo il tratto umbro della Flaminia32: anche in quello, su un lato è stata scritta e poi erasa la dedica a Massenzio e sul lato opposto incisa la dedica a Costantino; ma notiamo con paesana soddisfazione che é proprio il cippo di Corinaldo ad essere stato scelto da Mario Luni dell’Università di Urbino come rappresentante della tipologia, per comparire nella documentazione fotografica del recente e benemerito volume di presentazione dell’archeologia nelle Marche33. 48 Testimoni di Pietra Del nostro cippo potremmo dire che ha mantenuto nel tempo una sorta di proprietà da masso erratico: il Radke lo fa provenire da Ostra antica34; fu osservato però da Cimarelli, a metà del Seicento, in prossimità del Cesano, fuor della porta principale della chiesa di Madonna del Piano (e non, come interpreta l’epigrafista Eugenio Bormann, fuor della porta principale di Corinaldo); trasportato nel centro storico di Corinaldo, si ignora da chi e quando, fu collocato in vari luoghi all’aperto del paese: il Bormann lo vide “al corso, dirimpetto all’estremità del palazzo municipale”; è stato fotografato all’inizio di Viale degli Eroi negli anni Settanta (fig. 29), ma in seguito fu riposto nel chiostro dell’ex convento degli Agostiniani, in Via del Corso; lì è stato studiato negli ultimi decenni, anche per le indicazioni sulla collocazione fornite negli anni Cinquanta a Gello Giorgi dal sindaco di Corinaldo35. Finché, nell’estate del 2004, è di nuovo rotolato nella sua valle di origine: l’Amministrazione comunale di Corinaldo lo ha infatti ricoverato all’interno della chiesa di Madonna del Piano, nella contrada omonima, sul terrazzo di fondovalle prospiciente il Cesano, ai piedi dell’altura su cui sorge il paese. Seguiamolo in questo suo ritorno. Sancta maria que dicitur in portuno La scelta del luogo non è certo casuale. Negli ultimi anni il sito di Madonna del Piano è oggetto di uno studio sempre più approfondito, che continua a fornire conferme tangibili alle intuizioni dello storico Mons. Alberto Pol verari: egli per primo colse l’identità dell’attuale chiesa di Madonna del Piano con l’antico monasterium di Sancta maria que dicitur in portuno, sul fiume Cesano, nel territorio di Corinaldo, la cui presenza aveva visto attestata da documenti di Fonte Avellana36. In un documento del 1224 è infatti attestato un cambiamento nella denominazione della chiesa, che viene ora indicata come “ecclesia Sancte Marie de Plano”, titolo che oggi conserva. Già negli anni 1227-29, in un censimento di tutte le proprietà avellanesi chiamate “obbedienze”, la chiesa è registrata alle dipendenze del Monastero di S. Croce di Fonte Avellana: la curtis di Madonna del Piano rappresenterà uno dei più apprezzati possedimenti sia per la produttività, frutto dell’equa amministrazione fondiaria, sottratta dai monaci alle dure regole della servitù della gleba, sia per l’apporto pastorale e l’elevazione morale e religiosa della popolazione, dovuti alla costante presenza sul luogo di monaci, cappellani, conversi, oblati e famuli. I secoli seguenti segnano le fasi di declino dell’abbazia, probabilmente le pietre antiche 49 in concomitanza con quella di fonte Avellana (devoluta dal 1392 agli Abati Commendatari, ben lontani dallo spirito avellanita), tanto che non sono più attestate le visite pastorali. Forse in seguito alla gestione poco trasparente degli Abati, nel 1569 papa Pio V soppresse la Congregazione Avellanita, aggregandola a quella di Camaldoli; Gregorio XIII nel 1578 ne assegnò le rendite al Collegio Germanico Ungarico dei Gesuiti, che le utilizzò per i suoi fini di educazione dei seminaristi tedeschi; la chiesa fu da esso restaurata nell’attuale forma di cappella rurale, priva di particolari valori architettonici, nel corso del Settecento37. Ma sono proprio alcuni testimoni di pietra ad indicare al visitatore l’antica e nobile origine dell’edificio: inglobate nella muratura della parete destra, tre colonne su basamento, una delle quali di granito grigio (figg. 31-32-33), sormontate due da capitelli dorici ed una da capitello corinzio asiano, sorreggono ancor oggi le campate della navata di una chiesa evidentemente molto più grande ed antica. Nell’atrio d’ingresso, lungo la parete di destra, si notano altri tre frammenti di colonne di granito grigio (fig. 34) ed una porzione di fregio, sormontato da un’iscrizione di casato, certamente più recente; interessanti due piccoli reliquiari (fig. 35) di pietra, di cui uno completo di copertura, attribuibili a manifattura bizantina, contenenti ancora parti di scheletro, trovati nel tessuto murario della parete perimetrale sinistra della chiesa, durante moderni lavori di restauro. Testimoni da sempre muti perché non iscritti, le pietre hanno oggi acquisito voce grazie alle campagne di scavo iniziate nel 2001 dal Dipartimento di Archeologia dell’Università degli Studi di Bologna, in accordo con il Comune di Corinaldo, la Diocesi di Senigallia e la Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche, che già nel 1970 aveva messo in luce le colonne della navata e le rispettive fondazioni, ora visibili attraverso grate di ferro38. L’interesse per la storia del sito si è riacceso di recente, in concomitanza con le campagne di scavo nell’area dell’antica Suasa, oggi nel territorio comunale di Castelleone di Suasa, iniziate dal Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna nel 1987, e proseguite fino ad oggi con sempre nuove ed anche inaspettate scoperte39. Nell’ambito del progetto di valorizzazione del Parco archeologico “Città romana di Suasa”, e della media valle del Cesano, perseguito con il supporto dell’omonimo Consorzio, il Dipartimento di Archeologia ha iniziato sistematici scavi anche nel territorio comunale di Corinaldo, nel sito di Santa Maria in Portuno40. Oggi si ritiene che il sito rappresenti un’importante testimonian- 50 Testimoni di Pietra 31/32/33 – Madonna del Piano, tre colonne, di cui una di granito, su basamento, a sostegno delle arcate dell’antico impianto medievale, inglobate nella parete destra, due con capitello dorico ed una con capitello corinzio asiano, quest’ultimo risalente alla metà del V - inizi del VI sec. d. C. za del sorgere della civiltà cristiana, nel momento di transizione tra la fine di Suasa e l’inizio dello sfruttamento del territorio da parte delle comunità monastiche. La denominazione stessa della località, in Portuno, può esser messa in relazione con la divinità romana Portunus, etimologicamente legata a portus e quindi ad attività fluviali, tra le quali l’attraversamento dei corsi d’acqua41. A questa divinità (e non alla dea Venere, come afferma Cimarelli) poteva essere le pietre antiche 51 34 – Cippo miliare, colonne antiche ed altri reperti nell’atrio d’ingresso della chiesa Madonna del Piano. stata innalzata qualche struttura architettonica che avrebbe favorito una frequentazione stabile del luogo, legata al traghettamento del vicino fiume Cesano: può farlo ipotizzare la presenza sia nella chiesa sia nelle vicinanze dei già descritti frammenti architettonici romani o tardo romani, anche se non si può escludere che siano stati trasportati da altro luogo. Non si tratta certamente del tanto marmo romano descritto da Cimarelli come presente intorno alla chiesa: ma potrebbe averlo divorato, insieme con i denti del tempo, proprio il fuoco di una “calcara”, la fornace che produceva calce riutilizzando materiali antichi; una ne è stata trovata, durante gli scavi, al di sotto della cripta della chiesa: era stata obliterata al momento della costruzione del pavimento della prima chiesa cristiana, eretta tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo, con murature di età romana utilizzate come fondazioni. La presenza delle fornaci - un’altra è stata individuata nell’attua- 52 Testimoni di Pietra 35 – Madonna del Piano, due reliquiari a cassa litica, privi di elementi figurativi, uno mancante della lastra di copertura, attribuibili a manifattura bizantina. le magazzino adiacente alla cripta - fa supporre che sul luogo fosse presente un deposito di materiale antico, marmi e calcare, adatto per essere bruciato ad alte temperature e ridotto in calce. Proprio nel tempo che dagli Impressori il presente Capitolo si poneva al Torchio, succede a noi come a Cimarelli che si debba aggiungere un’ultima importante notizia, riguardante altri ritrovamenti di materiale romano nelle vicinanze di Madonna del Piano: durante lo scavo di composto ghiaioso in una cava vicina al sito e vicinissima all’alveo del fiume Cesano, sono state individuate almeno ottanta tombe attribuite al II secolo d. C., alcune contenenti i modesti corredi di deposizione intatti42. All’interesse per la scoperta in se stessa si aggiungono ulteriori elementi di ricerca sugli insediamenti antichi situati lungo l’asse viario della Valle del Cesano, ad est di Suasa: se fino ad ora il materiale romano di maggior rilievo artistico presente a Madonna del Piano poteva essere attribuito allo spoglio di Suasa, si avanza adesso l’ipotesi che possa provenire da qualche vicus o pagus più vicino alla chiesa, al quale poteva essere annessa l’area tombale appena ritrovata. Dunque le prospettive di le pietre antiche 53 36 – Madonna del Piano, saggio di scavo per l’individuazione dell’accesso alla cripta della chiesa: architrave di pietra grigia con decorazione a dente di lupo, sottostante alla pavimentazione della chiesa; fase edilizia alto-medievale (da Archeologia medie vale, XXX, 2003, pag.356, fig. 17). documentare la presenza della popolazione romana sul territorio corinaldese aumentano di anno in anno e giustificano pienamente le campagne di scavo iniziate nella zona per la lungimiranza della Soprintendenza archeologica delle Marche e dell’Università di Bologna. La ricognizione archeologica nel sito di Madonna del Piano è iniziata nell’estate 2001: essa ha permesso di redigere una sequenza cronologica della vita del monumento, suddivisa in vari periodi caratterizzati da distruzioni e ricostruzioni dell’edificio, attestati dallo studio del materiale costruttivo, ceramico e numismatico rinvenuto durante l’analisi stratigrafica delle strutture e degli alzati della chiesa da parte dell’équipe di archeologi43 . Noi li ripercorriamo attraverso la testimonianza di alcune pietre caratteristiche di ogni fase. Dopo il periodo di frequentazione romana già presentato, tre elementi architettonici riportano all’Alto medioevo: un architrave di pietra grigia, probabilmente calcarea (fig. 36), emerso nel saggio di scavo effettuato all’interno 54 Testimoni di Pietra 37 – Madonna del Pia no, frammento architettonico di pietra grigia a dente di lupo del contrafforte esterno alla cripta; fase edilizia altomedievale (da Archeo logia medievale, XXX, 2003, pag. 357). 38 – Madonna del Piano, porzione di transenna di finestra in calcare, databile alla metà del IX secolo, rinvenuta nel saggio di scavo all’ interno del magazzino adiacente all’abside (da Archeologia medievale XXX, 2003, p. 356, fig. 16). della chiesa, nel punto di passaggio tra il vano centrale della cripta e il vano sottostante la navata sinistra, decorato sulla faccia frontale con un motivo geometrico “a dente di lupo”. Un frammento architettonico (fig. 37) di pietra grigia, reimpiegato nell’angolo del contrafforte esterno all’abside, anch’esso decorato con un motivo a dente di lupo, forse una mensola o un piccolo capitello cubico. Una transenna da finestra (fig. 38), in calcare di colore ambrato, in tre frammenti ricomponibili che ne restituiscono la parte sommitale e curvilinea, ospitata in un’apertura che doveva svilupparsi nel senso dell’altezza piuttosto che della larghezza. Le pietre sono uniche testimoni dell’impianto altomedievale (secondo periodo, secoli VIII-IX), reso noto solo grazie agli scavi, perché distrutto da un poderoso incendio le cui ceneri, lasciate sul posto durante le successive le pietre antiche 55 39 – Madonna del Piano, parete nord edificata con tecniche costruttive tipicamente medievali e utilizzo di materiale antico nel tessuto murario. fasi edilizie, sigillano tutte le strutture precedenti. Le arcate sostenute dalle già descritte colonne antiche (figg. 31-32-33) ancora visibili, si riferiscono al terzo periodo, collocabile nei secoli successivi al X: la chiesa si presenta ora con tre navate, l’aula basilicale è scandita da sei campate, con alternanza di colonne di reimpiego e di pilastri; il presbiterio è rialzato sopra la cripta. L’impianto della chiesa, ormai ben ricostruibile attraverso l’indagine archeologica, conferma la prosperità dell’abbazia in questi secoli, in pieno accordo con le carte di Fonte Avellana che riportano per l’epoca donazioni di terreni, ville, mansi, mulini. Un drastico restauro nella prima metà del secolo XIV (quarto periodo, Basso Medioevo) modifica la planimetria della chiesa: crollate le navate laterali, l’edificio viene ristretto ad una sola navata, conclusa dall’abside pentagonale già esistente e tuttora mantenuta. Se mancano frammenti architettonici tipici dell’epoca, testimoni ne sono una decorazione interna ad affresco ed il materiale e le tecniche costruttive della parete nord (fig. 39), tipicamente medievali. 56 40 – Portale di arenaria di Madonna del Piano. Testimoni di Pietra le pietre antiche 57 Segue un periodo di evidente decadenza dell’abbazia, testimoniato dalla scomparsa delle visite pastorali e dalla sostituzione di un rettore al posto dell’abate: ma una storia più articolata potrebbe riemergere attraverso lo studio di nuove carte di Fonte Avellana, finora pubblicate solo fino al 1325. Estesi lavori di restauro alterano definitivamente l’aspetto originario della struttura nel corso del Cinquecento, fino alle modifiche apportate (quinto periodo, secolo XVIII), con interventi nella facciata, nel portale e nella torre campanaria, dal Collegio GermanicoUngarico dei padri Gesuiti, divenuti proprietari della chiesa e delle sue entrate, come si è già detto, in seguito alla sop41 – Madonna del Piano, particolare del pressione della Congregazione portale: dal basso, mascherone a volto umano; frammento dello stemma del Avellanita. Collegio Germanico Ungarico: monogramDue testimoni di pietra conma latino del nome di Gesù IHS intrecfermano le proprietà del Col ciato con l’iniziale di M(aria); stemma del legio Germanico: sul bel portale vescovo di Senigallia Umberto Ravetta di arenaria della chiesa (fig. 40) (1938-1965). su cui resiste ancora lo stemma del vescovo di Senigallia, Umberto Ravetta (1938-1965), sopra un mascherone di pietra a volto umano, presente anche in altri portali del centro storico, permane un frammento di stemma (fig. 41) con il monogramma latino del nome di Gesù e l’iniziale del nome di Maria. Lo si può confrontare con lo stemma completo del Collegio Germanico, riprodotto nello studio su tale istituzione operato da Nazzareno Gianfranceschi nell’ambito della sua storia di Monterado44. 58 Testimoni di Pietra 42 – Monogramma CVG del C (ollegio) V(ngarico) G(ermanico) in una formella di pietra murata nella parete esterna, lato nord, dell’abitazione di Via Madonna del Piano, n. 45. E ancora, non lontano dalla chiesa, al n. 45 di via Madonna del Piano, nella parete esterna di un’abitazione privata è murata una pietra (fig. 42) il cui colore grigio ben si distingue tra il rosso dei laterizi: in essa è inciso il monogramma CVG, lettere iniziali di C(ollegio)V(ngarico) G(ermanico). Ricordiamo che nelle carte dell’archivio comunale ricorrono spesso controversie tra la Comunità corinaldese e i ministri del Collegio Germanico Ungarico, per conflitti di vario genere. Se finora i risultati delle indagini archeologiche sul sito di Madonna del Piano erano accessibili solo ai lettori di riviste specializzate, oggi gli accordi tra gli Enti promotori degli scavi e la liberalità di uno sponsor hanno dato vita ad un percorso espositivo dedicato a tutti i visitatori, costituito da pannelli esplicativi, collocati fuori e dentro la chiesa, che accompagnano alla conoscenza della storia del luogo: in un locale interno è stato infine inaugurato un Antiquarium che offre, insieme con saggi del materiale reperito sul luogo, una ricostruzione del paesaggio antico e delle attività produttive realizzate nel corso dei secoli nell’area indagata45. Sono state dunque ricreate e ampiamente documentate le fasi edificatorie della chiesa: nessuna pietra però ci parla della vita che si è svolta, lungo i secoli, all’interno del monastero, della chiesa, dell’hospitale; delle novità sociali ed economiche indotte dalla signorìa rurale dei monaci, divenuta “signorìa dei poveri”; tantomeno della spiritualità, dei rapporti con l’Abbazia madre di le pietre antiche 59 43 – Sagrato di Madonna del Piano, epigrafe di marmo affissa ad un basamento quadrangolare in laterizio, sormontato da una croce di ferro. SS. Missioni / 18-25 apri le 1945. / La contrada / Madonna del Piano / per la protezione / ottenuta dalla B.V. del / Buon Conforto / nel periodo bellico Fonte Avellana e soprattutto con la popolazione di Corinaldo. Parlano però le carte di Fonte Avellana, che esulano dal nostro studio: non per se stesse parlerebbero, a causa della supposta aridità della loro natura giuridica, ma per la sagacia dello studioso che penetra nel loro linguaggio, sa coglierne le connotazioni, sa ricostruire la ricca vita che le sottende. Quest’opera ha compiuto lo storico Manlio Brunetti, sorretto dalla liberalità di Don Giuseppe Bartera, nativo della contrada di Madonna del Piano: invitiamo dunque il lettore alla conoscenza della storia sommersa di Madonna del Piano e dell’esperimento di “cristianesimo sociale” lì prodottosi, narrati con appassionata partecipazione nella monografia di Brunetti a ciò dedicata46. Della secolare devozione alla “Madonna del buon conforto”, venerata nella chiesa, restano nella sacrestia numerosi ex voto su tavolette di legno, in gran parte ottocenteschi, presentati tra i documenti della religiosità popolare 60 Testimoni di Pietra delle valli del Misa e dell’Esino, in un apposito studio di Sergio Anselmi 47. Ma non manca anche per il nostro secolo un voto alla Madonna per grazia ricevuta: sul sagrato della chiesa un’epigrafe di marmo (fig. 43) affissa ad un piccolo basamento di laterizi, sormontato da una croce di ferro, ricorda la protezione di Maria in una data drammatica per la storia italiana contemporanea, la definitiva liberazione del territorio italiano dalle truppe di occupazione tedesche: SS. Missioni 18–25 aprile 1945. La contrada Madonna del Piano per la protezione ottenuta dalla Beata Vergine del Buon Conforto nel periodo bellico. In tempi di furti di arredi sacri, meglio ancorare la testimonianza devota alla solidità della pietra. have Saturnina In questo storico contenitore di testimonianze millenarie è stato dunque riportato il cippo romano, ora ricongiunto alle pietre antiche consorelle. Ad esse meriterebbe di essere associato un altro e assai notevole manufatto romano, fortunosamente salvato dalla dispersione proprio grazie all’oblìo che lo avvolge anche attualmente: è collocato nel cuore del centro storico, nascosto nelle viscere della città, in una cantina del palazzo gentilizio Mazzoleni che si affaccia sulla piazza principale del paese, Il Terreno. Nel corso della presente ricerca, e proprio grazie ad essa, la sua presenza ci è stata segnalata dalla proprietaria del palazzo, Ea Lenci Ciani Paolini, che aveva ricoverato all’ interno il manufatto per proteggerlo da danni e mutilazioni durante lavori di pavimentazione della piazza48. Da molti decenni infatti, il piccolo monumento funebre (figg. 44 e 45) giaceva all’aperto, a fianco del portale (fig. 46), e lì lo aveva visto l’eminente studioso ed epigrafista Eugenio Bormann nel 1894, forse in occasione di una visita nel nostro territorio49. Nella scheda descrittiva, egli afferma che il monumento era stato portato a Corinaldo pochi anni prima, provenendo dalle rive del Cesano50; sappiamo che nella frazione Borghetto di Castelleone di Suasa, situata proprio sulle due rive del Cesano, sono stati rinvenuti resti murari e diversi blocchi di pietra, tra i quali “un’epigrafe funebre in pietra d’Istria”51; si può pensare ad un’area suburbana, occupata da tombe monumentali romane, dalla quale è facile ipotizzare che sia stato prelevato e trasportato a Corinaldo il nostro monumento. Il manufatto, studiato per la prima volta da Simona Antolini in maniera le pietre antiche 61 44/45 – Piazza Il Terreno n. 4, interno di Palazzo Mazzoleni: ara funeraria romana di marmo d’Istria a corpo parallelepipedo: 118 x 60 sul coronamento, 48 sul dado, 64 sullo zoccolo x 58 sul coronamento. D(is) M(anibus). / Have Saturnina. / T. Hoenius / Pardus / coniugi / bene mer(enti) approfondita, è assai ben conservato e presenta solo una frattura sull’angolo inferiore sinistro della fronte, talune sbrecciature e tracce di corrosione sulla superficie scrittoria52. Le specchiature laterali sono occupate da due oggetti connessi al rituale funerario, un urceus e una patera, con i quali venivano versati cibo e bevande rituali agli spiriti dei defunti; il retro è solo spianato; una cavità presente sulla sommità, al centro, serviva per poter fissare con il piombo un coronamento ora disperso. è l’unico esemplare presente in tutto il territorio di Corinaldo e di Castelleone di Suasa: appartiene alla tipologia delle basi di marmo a corpo parallelepipedo, diffusa nell’officina lapidaria di Urbino soprattutto nel II secolo d. C.: l’onomastica trinominale, l’invocazione agli dei Mani abbreviata e la paleografia orientano infatti verso la prima metà del II secolo. L’ara rappresenta l’omaggio imperituro alla memoria di una sposa, resasi 62 Testimoni di Pietra benemerita in vita verso il marito: dopo la consacrazione Agli dei Mani, gli spiriti della defunta, l’uomo saluta tristemente la moglie e le dedica il monumento con il il messaggio, impresso nella specchiatura centrale: Addio Saturnina. Tito Enio Pardo alla benemerita sposa. Possiamo conoscere qualcosa del personaggio che ha commissionato il monumento attraverso il nome gentilizio Hoenius, noto solo a Roma e nella Regio VI (una delle regioni in cui l’Italia era stata divisa da Augusto), che comprendeva anche il nostro territorio: ci viene incontro l’approfondimento operato da Rosetta Bernardelli Calavalle sulla gens Hoenia, in uno studio dedicato alle iscrizioni romane del Museo civico di Fano, nel quale viene citata anche l’epigrafe di Corinaldo53. La presenza nel museo di Fano di una stele con iscrizione sepolcrale dedicata a Hoenius Severus permette alla studiosa una ricognizione sulla diffusione del nome e dello status della famiglia, della quale un esponente, forse padre di Severus, fu console. La famiglia aveva probabilmente delle proprietà terriere a Fanum Fortunae, l’attuale Fano, ed è pensabile che famiglie imparentate potessero occupare terreni anche nel Suasano. A Suasa è stata trovata un’altra epigrafe dedicata a Lucio Enio Gemino, morto a venti anni54. La gens Hoenia doveva appartenere al ceto medio, di probabile estrazione libertina, come fa pensare il cognome di origine greca, e poteva permettersi spese di rappresentanza, come potrebbe testimoniare la buona qualità del manufatto, che Bormann definisce di marmo pregiato. Considerata l’eccezionalità del rinvenimento e la singolarità della tipologia nell’area suasana, riterremmo doveroso restituire alla cittadinanza e agli studiosi la vista di un reperto tanto insolito. Il liberto Panfilo Di un altro personaggio romano resta tra noi il ricordo, inciso su un’epigrafe mutila (fig. 47) che ce ne tramanda il nome: Publio Acuzio Panfilo [liberto di Publio]. Ci ha guidati a conoscerlo un’alunna, incuriosita dal nome latino e coinvolta nella ricerca scolastica sui monumenti di pietra: in realtà il documento era già noto agli studiosi del Dipartimento di Archeologia di Bologna, che lo avevano registrato, pur con alcune imprecisioni, in occasione della ricognizione archeologica delle valli del Misa, del Nevola e del Cesano 55. La nostra segnalazione a Simona Antolini ha permesso un ulteriore esame del reperto, che ci consente ora di descriverlo più accuratamente56. le pietre antiche 63 46 – Nel particolare, l’ara funeraria romana già collocata alla sinistra del portale di Palazzo Mazzoleni, in Piazza Il Terreno, riprodotta in una cartolina illustrata spedita nel 1905. 47 – Epigrafe mutila reimpiegata come materiale edilizio sul muro esterno dell’ex villa Sandreani: due blocchi di arenaria di cui il primo, anepigrafe, sbrecciato in alto a sinistra, il secondo scheggiato in alto a destra e spezzato in due secondo una linea di frattura di andamento verticale;19+51 x 39 x ?; età augustea. P. Acutius [P. l.] / Pamphilus 64 Testimoni di Pietra 48 – Residenza di campagna della nobile famiglia corinaldese Sandreani, oggi proprietà Rocchetti, in contrada Sant’Isidoro, Strada del Perino: all’angolo sinistro del prospetto principale è inserita un’epigrafe mutila di epoca romana. Le pietre iscritte sono state utilizzate come materiale edilizio nella muratura di una villa di campagna dei nobili corinaldesi Sandreani, nella contrada Sant’Isidoro, e sono visibili nello spigolo sinistro del prospetto principale (fig. 48). La villa è stata venduta dall’ultimo erede, Sandro Sandreani residente a Cantiano, ai fratelli Aldo e Igino Rocchetti di Corinaldo agli inizi degli anni Settanta; il restauro dell’edificio, attuato dai nuovi proprietari, ha reso meglio leggibile l’iscrizione. Il reperto è costituito da due lastre di arenaria iscritte ma di grana diversa, e da una lastra priva di iscrizione, che appartenevano a due blocchi distinti, probabilmente pertinenti ad un monumento funerario “a dado”, costituito da blocchi di pietra accostati o da lastre di rivestimento di un nucleo cementizio. è ignoto da quale luogo provengano e in quali circostanze siano stati trovati e riutilizzati; è significativo però che la costruzione in cui sono inserite le pietre si trovi vicino all’area dell’antico municipio di Suasa, da dove provengono altri reperti romani. La scritta di ottima fattura, le lettere di modulo quasi quadrato e la tipologia monumentale permettono di datare il manufatto all’età dell’imperatore Augusto. le pietre antiche 65 Il nomen del personaggio, Acutius, è presente in altre iscrizioni a Pesaro e a Cluentensis vicus (località riconoscibile sul sito collinare poi occupato dall’abitato medievale di Civitanova Alta) nel Piceno57. Ci ha incuriositi la presenza di questo stesso nome, appena modificato, in un documento redatto in pieno medioevo: all’atto di vendita di cinque salme di grano, necessarie per pagare al Marchese il sussidio dovutogli dall’antica chiesa di San Michele di Collurbano in Corinaldo, nel 1341, sono presenti due personaggi, Cuti(us) Romanelle ed Andrea(s) Actuti(us), il primo dei quali rinnova l’antico nome della nostra epigrafe58. Benché non possa trattarsi della persistenza del nome romano, dal momento che la popolazione antica fu completamente dispersa nei secoli successivi alle invasioni barbariche, notiamo il collegamento onomastico legato ad un appellativo desunto probabilmente nel Medioevo, come in antico, dalla forma del capo piuttosto appuntito: più esplicito è il cognome “Testaguzza”, mentre per gli “Aguzzi” si può pensare anche ad una foggia del cappello. La permanenza di una famiglia in una stessa curtis per due, tre o anche cinque o sei generazioni - se venivano rinnovati i contratti di enfiteusi – determinava anche la permanenza dei nomi in una stessa area. Avanziamo dunque la semplice ipotesi che le famiglie “Aguzzi”, tuttora diffuse nella media valle del Cesano e in particolare nei comuni di Castelleone di Suasa e di Corinaldo, mantengano nel loro cognome una particolarità legata agli avi del Medioevo. Altre notizie sul defunto romano ci provengono dal cognomen di origine greca, Pamphilus: esso permette di ipotizzare, nella prima linea di scrittura, la presenza di altre due lettere P(ubli) l(ibertus), cioè liberto di Publio, che renderebbero la scritta più simmetrica e giustificano, nella seconda linea, la posizione centrata del nome Pamphilus. Dunque Panfilo era stato uno schiavo, liberato da Publio con la procedura della manumissio, l’affrancamento: da quel momento egli era entrato nel nuovo stato di liberto ed aveva assunto il prenome, Publius, ed il nome, Acutius, del suo ex padrone mentre il suo nome di schiavo, Pamphilus, diveniva il cognomen. I liberti giocavano un ruolo importante nella vita delle città e svolgevano anche professioni di rilievo come medici, architetti, musicisti, grammatici; spesso si arricchivano e potevano permettersi un ricco apparato funebre. Il tipo di monumento a dado da cui è evidentemente tratta la lastra di Panfilo era infatti caratteristico di un ceto sociale formato per lo più da magistrati locali e da liberti che, dedicandosi al commercio e ad altre attività, ne traeva- 66 Testimoni di Pietra no la possibilità di un’elevazione economica e sociale. Amor di patria (e testimonianza epigrafica) ci spinge a ricordare come questo stesso nome, Panfilo, ricco dell’alone di benignità conferito dall’etimologia greca del nome, “l’amico di tutti”, sia caro al popolo di Corinaldo perché portato da uno dei cristiani che per Cristo, ed in testimonianza della veridica fede, li 21 di settembre, come nel Romano Martirologio si legge, acerba morte sofferse. Non sono invero molte le conoscenze che abbiamo intorno a San Pan filo, da non confondersi con San Panfilo martire a Cesarea nel 307: nulla di documentato sulla sua vita e sul suo martirio, tranne l’identificazione del suo sepolcro in un cimitero della Via Salaria Vecchia da parte di Enrico Josi, secondo le indicazioni fornite dagli Itinerari del VII secolo. è inserito al 21 settembre nel Martirologio Romano, dove è passato dal Martirologio di Usuardo attraverso il Martirologio di Gellone 59. Cimarelli riferisce che il corpo del santo, per particolare interessamento del corinaldese Francesco Brunori, fu inviato da papa Urbano VIII, nel 1639, ai Corinaldesi, che riposero le reliquie nella chiesa di San Pietro Apostolo e lo accolsero con tanta gratitudine da volerlo dichiarare patrono e protettore della città, insieme con Sant’Anna. In seguito da quella chiesa, andata distrutta alla fine dell’Ottocento, l’urna venne trasferita sotto la mensa dell’altare della nuova chiesa del cimitero, Santa Maria delle Grazie: in occasione della ricostruzione del cimitero, attuata nel 1870, era stato lì collocato anche l’affresco di una Madonna col Bambino, già venerata in una cappella costruita dopo la metà del Seicento proprio davanti all’ingresso dell’attuale cimitero, nell’area ora occupata da un monumento alla memoria dei Caduti della Prima guerra mondiale. I due culti contemporanei ma spazialmente separati nel Seicento, vennero pertanto riuniti in un unico luogo sacro nell’Ottocento. Oggi sono proprio e solo le due iscrizioni dedicatorie in latino (fig. 49) che affiancano il vetro dell’urna, a far memoria degli antichi eventi: alla Vergine, a cui è dedicato il tempio e A Panfilo a cui è dedicato l’altare; al centro, sopra il vetro, corre la scritta a dio padre di tutti, alla vergine madre di tutti. Le reliquie di San Panfilo tuttavia non sono più riposte sotto questo altare: forse per timore di una profanazione, in un luogo isolato come il cimitero, forse per ravvivare un culto ormai assopito, a cavallo degli anni Cinquanta (i nostri informatori non sono stati più precisi), l’urna fu trasportata dalla chiesa del cimitero a quella di Sant’Agostino – oggi Santuario di Santa le pietre antiche 67 49 – Cimitero di Corinaldo, chiesa di Santa Maria delle Grazie, iscrizioni affiancanti l’urna reliquiaria collocata sotto la mensa dell’altare; a sinistra: Virgini / cuius / est / templum; a destra: Pamphilo / cuius / est / ara; al centro: Deo omnium patri / Virgini omnium matri Maria Goretti – e deposta sotto il secondo altare di sinistra. Se ne interessò la Confraternita del Gonfalone, sollecitata dal priore Antonio (Toto) Ciceroni, che aveva anche ideato il progetto di una cripta. I concittadini Mario Frati, Quintiliano Mencucci, Giuseppe Rossi, che ci hanno fornito la testimonianza orale, ricordano la processione con la quale fu effettuato il trasferimento; molti altri Corinaldesi confermano di aver pregato davanti al nuovo altare di S. Panfilo, del quale noi stessi abbiamo trovato una bustina di reliquie in casa Ciceroni. L’urna è stata tolta tuttavia anche da questo altare, in occasione dei restauri della chiesa negli anni Ottanta, ed è attualmente custodita entro un armadio della sacrestia, dove ce l’ha mostrata il rettore del Santuario don Franco Moricoli, su indicazione del parroco mons. Umberto Mattioli. L’urna di vetro e metallo non presenta oggi alcuna indicazione scritta che ne attesti il contenuto, ma è sigillata con tre bolli di ceralacca sui quali è impresso lo stemma del vescovo di Senigallia Umberto Ravetta, che probabilmente fece operare una ricognizione negli anni del trasferimento. Anche per questa fragile memoria, e per le molte altre reliquie contenute confusamente entro lo stesso armadio della sacrestia, sollecitiamo una collo- 68 Testimoni di Pietra cazione più degna. Il devoto di bronzo L’offerta eroica di se stesso fatta dal buon Panfilo a Dio, è diventata con il cristianesimo la cruenta e mistica sublimazione di un altro simile atto di offerta che i pagani (non sembri irrispettoso il raffronto) rivolgevano alle loro divinità. In Etruria come in Grecia e nel Lazio, le forme del culto prevedevano offerte di oggetti votivi: atto di religiosità con il quale il dedicante si privava di un bene personale destinandolo alla divinità. In seguito, ai beni d’uso si sostituiscono o si accompagnano rappresentazioni miniaturizzate delle offerte, e immagini ridotte di figure umane di bronzo. Nel caso di santuari urbani, i fedeli si rappresentano con un aspetto particolare, quello del “devoto” che offre se stesso alla divinità: è l’immagine del Kouros di ascendenza greca, il giovane nudo in cui si incarna l’ideale di perfezione. Immagine astratta di modello eroico, la figura definisce uno stato sociale, quello dei liberi, e una condizione specifica legata all’età. In questa tipologia si inserisce la statuetta di bronzo (figg. 50 e 51) rinvenuta nel 1922 in contrada Sant’Apollonia di Corinaldo, nel campo dei fratelli Lorenzo e Sante Paolini, durante lavori di aratura60. Le affermazioni di Cimarelli nei piani del suddetto Cesano… per ogni luogo dagli aratori sovente si trovano statuette di bronzo, sono confermate dall’archeologa Delia Lollini: nella guida al Museo Archeologico Nazionale delle Mar che di Ancona, ella afferma che per tutto il V secolo a. C. depositi votivi di bronzetti a figura umana compaiono nel territorio marchigiano e che singole statuette di bronzo, sia di officine etrusche sia di produzione locale, sono state occasionalmente trovate a Pergola, a Corinaldo e in altre località. A Corinaldo la statuetta non c’è più: si trova ora esposta in una vetrina del Museo di Ancona, insieme con gli altri giovinetti bronzei ritrovati nella regione61. Lì è stata collocata dopo un avventuroso viaggio: un antiquario di Bologna l’aveva acquistata dallo scopritore, ma se l’era vista sequestrare per essere consegnata alla Soprintendenza per i Beni archeologici delle Marche, che l’ha infine fatta collocare nel Museo archeologico. Il giovane è nudo, con le gambe divaricate di cui la sinistra sopravanza la destra; i capelli corti a zazzera formano una banda di riccioli sulla fronte e una frangia sulla nuca; il volto presenta occhi grandi, con iride incisa, naso diritto, bocca ben segnata, mento sporgente; il collo, piccolo, si innesta su un corpo dall’anatomia robusta, con spalle marcate, segno a V per indicare le cla le pietre antiche 50 – Kouros da Corinaldo, posizione laterale. 69 51 – Ancona, Museo Archeologico Nazionale delle Marche, inventario n. 4865: Kouros da Corinaldo, bronzetto alto cm 24, datato al 500-480 a. C. 70 Testimoni di Pietra vicole, gambe ben tornite. Le mani e i piedi appaiono eccessivamente grandi; le braccia sono distese verticalmente in basso ed esprimono forse il gesto di preghiera rivolta alle divinità del mondo sotterraneo: così viene accuratamente descritto da Mauro Cristofani nel suo studio sui bronzi degli Etruschi. è la testimonianza di valore artistico più antica ritrovata a Corinaldo: la sua produzione è collocata negli anni 500-480 a. C., ad opera di un’officina etrusca settentrionale, e sembra unire i caratteri stilistici migliori della serie fabbricata a Populonia con quelli di fabbrica aretina. I due perni infissi sotto i piedi fanno pensare che il bronzetto fosse collocato su un supporto di pietra, come era in uso nei santuari: in tal modo la figura del devoto si presentava individualmente alla divinità, messa in rilievo dalla base62. Nel ritrovamento di Corinaldo manca ogni riferimento ad una zona sacra, ad un contesto monumentale preciso, ma forse una base per la statuetta poteva esistere. Abbiamo raccolto la testimonianza diretta del nipote dello scopritore, Ciro Paolini, presente da ragazzo al rinvenimento e deceduto nel 1998: egli affermava che la terra che circondava il bronzetto era di natura spugnosa, simile ad uno scoglio, diversa da quella del campo; dunque potrebbe trattarsi dei resti di una base costruita con materiale non metallico, in seguito degradato, fino a dare l’impressione di una ”terra ribollita”. L’uso di consegnare alla divinità la raffigurazione di una parte del corpo, per grazia ricevuta o per ottenere protezione, si è mantenuto anche con il sopravvento del cristianesimo: ne abbiamo una testimonianza locale nelle raffigurazioni miniaturizzate di metallo di parti del corpo umano, conservate in alcune teche nella Chiesa dell’Incancellata (fig. 52), come in altri numerosi santuari di tutta la cristianità. Della presenza degli Etruschi nel nostro territorio non si hanno altre testimonianze materiali, ma pare opportuno ricordare che reperti etruschi frammisti a reperti gallici sono stati rinvenuti nel sito di Montedoro di Senigallia. è stata trovata anche un’anfora etrusca negli scavi operati presso Villa Bianchi, nei dintorni di Scapezzano di Senigallia63. ville e casali romani nella campagna Non sono mancati nel territorio di Corinaldo ritrovamenti di oggetti anche più antichi del bronzetto etrusco ma certo privi di valore artistico equivalente: pietre e ceramica risalenti alle popolazioni picene e addirittura preistoriche, che ci parlano degli antichissimi insediamenti umani nelle nostre valli e le pietre antiche 71 52 – Rappresenta zioni miniaturizzate di metallo, raffiguranti il corpo umano o parti di esso: ex voto raccolti entro cornice nella sacrestia della Chiesa dell’Incan cellata. nelle alture di collina64. La recente tesi di laurea sulla carta archeologica della media valle del Cesano, presentata da Silvia Sangiorgi all’Università di Bologna, offre nelle schede sul territorio corinaldese, i risultati di una capillare ricognizione che ha permesso ai ricercatori di censire numerosissime aree con presenza di materiale romano sporadico: al laterizio - tegole, coppi, mattoni - si unisco no ceramica comune o a vernice nera, ceramica picena, manufatti di pietra, nuclei di selce, tessere di mosaico e frammenti di intonaco dipinto, sparsi su aree vaste anche centinaia di metri65. I reperti segnalano la presenza di abitati romani diffusi in tutte le attuali contrade di Corinaldo, luoghi da molti anni frequentati e depredati da raccoglitori di oggetti e di monete antiche, messi in luce dalle arature. Segnaliamo qui in modo particolare un manufatto che arricchisce le nostre testimonianze di pietra: in contrada Le Ville, in Via Qualandro n. 3, a circa duecento metri ad est del Fosso della Valle, è stata esaminata un’area molto estesa di frammenti laterizi e ceramici che fanno ipotizzare la presenza di una villa o fattoria, con necropoli di età romana; in passato sono state trovate 72 Testimoni di Pietra 53 – Contrada Ville, Via Qualandro, n.3: frammento di cippo in pietra calcarea alt. 36, diam. 25, privo di iscrizioni; superficie laterale in parte levigata e in parte sbozzata. nell’area monete di età imperiale risalenti ai secoli I a. C. e I-II d. C. Tra i reperti è stata individuata la parte sommitale di un probabile cippo con grappa di bronzo: grazie alla disponibilità dei proprietari, la famiglia di Goffredo Luzietti, abbiamo potuto fotografarlo (fig. 53) per completare la nostra indagine. Nella maggior parte dei casi invece, i materiali emersi dagli scavi non sono visibili al pubblico: alcuni esemplare sono conservati in collezioni private, la grande maggioranza è riposta nei depositi della Soprintendenza archeologica delle Marche. Forse in un tempo futuro, quando si riuscisse a realizzare un lapidarium nella nostra città, anche quelle pietre, uscite dalle loro attuali custodie e mostrate al pubblico, potranno parlarci del nostro più lontano passato. le pietre antiche 73 Note 01 Le fasi di ideazione e di costruzione dello stemma sono documentate nel carteggio conservato dai figli di Antonio Dominici (Corinaldo, 1896-1980), Giorgio e Licia, nell’archivio di Via del Fosso n. 13. Dominici è stato il progettista di numerosi altri monumenti cittadini dei quali sarà data ulteriore notizia. 02 Archivio Comunale di Corinaldo, Registro delle deliberazioni del Consiglio Comunale, anno 1894, Deliberazione n. 33 del Consiglio Comunale di Corinaldo del 26 maggio 1894. 03 Le notizie su Francesco Turris (Corinaldo 1824 - Firenze ?) cortesemente indicate dal concittadino e storico Dario Cingolani, sono tratte da “Le Marche”, 2, 1902, rubrica Bio-bibliografia marchigiana, pagg. 225-241. 04 Vedi V. M. CIMARELLI, Istorie dello Stato di Urbino dà Senoni detta Umbria Senonia e dè lor gran fatti in Italia, delle città e luoghi che in essa al presente si trovano, di quelle che distrutte già furono famose et di Corinaldo che dalle ceneri di Suasa hebbe l’origine, Brescia 1642, libro III, pag. 1. Una ristampa del testo in copia fotomeccanica è stata effettuata dall’editore Forni di Bologna nel 1967. 05 Vedi in particolare D. CINGOLANI, Vita ed opera di un tardo umanista in Atti del Convegno di studi su Vincenzo Maria Cimarelli da Corinaldo (1585-1662), Centro Culturale Comunale, Corinaldo 1988, pagg. 9-45. 06 Vedi E. GREGORINI, Corinaldo nel terzo libro delle Istorie dello Stato di Urbino in Atti del Convegno..., cit., pag. 67. Una “nota storica” su Corinaldo, desunta da Fabio Ciceroni dagli scritti di Cimarelli e corredata delle foto di Mario Carafòli, è stata pubblicata nel 1978 a cura dell’Associazione Turistica Pro Corinaldo con il titolo Giro delle mura. 07 L’attribuzione dello Stefanini è riportata in A. MENCUCCI, Senigallia e la sua Diocesi. Storia, Fede, Arte, II, Editrice Fortuna, Fano 1994, pag. 938. 08 La fotografia dell’epigrafe, cortesemente segnalataci dal concittadino e storico locale Eros Gregorini, è stata sottoposta all’esame dell’epigrafista prof. Gianfranco Paci, dell’università di Macerata, e del prof. Mario Luni dell’Università di Urbino. 09 Ampie notizie sulla storia della chiesa “Incancellata”, sugli arredi e le iscrizioni sono state pubblicate da D. C. SFORZA (Corinaldo 1884-1972) nella Guida storico artistica di Corinaldo, Corinaldo 1949, e ripresentate in MENCUCCI, Senigallia e la sua Diocesi..., cit., pagg. 1267-1275. 10 Vedi G. GIORGI, Suasa Senonum, Parma 1951, pag. 127. 11 Vedi E. GREGORINI, Santa Maria in Portuno, poi del Piano in Senigallia e la sua Diocesi..., cit., III, pagg 751-753; e inoltre Archivio Comunale di Corinaldo, Riformanze 1627, ff. 148r, 149r. 12 Vedi CINGOLANI, Vita ed opera... cit., pag. 15. 13 Vedi C. GIACOMINI, L’Archivio del Comune di Corinaldo. Antico Regime e Aggregati, Fondi storici nelle biblioteche marchigiane, 6, Regione Marche, Centro Beni Culturali, 1998, pagg. 669-711. 14 Vedi F. PONGETTI, La “Marca” e le famiglie nobili e notabili di Corinaldo, Futura, Seni gallia 2004, pagg. 244 -245. 15 Archivio Comunale di Corinaldo, Registro delle deliberazioni del Consiglio Comunale, ad annum. 16 Vedi A. FIORANI, Storia delle confraternite nella Diocesi di Senigallia, in Senigallia e la sua Diocesi..., cit., III, pagg. 885-973. 17 Vedi Statuti della Ven. Confraternita del Confalone della città di Corinaldo, presso 74 Testimoni di Pietra Domenico Lazzarini, Sinigaglia 1787, pag. 4. 18 Archivio Vescovile di Senigallia, Inventari dal 1775 al 1825; alle carte 235r fino a 237r, descrizione dei beni della Compagnia del Gonfalone di Corinaldo, redatta il 29.12.1783; la citazione, resa possibile grazie alla cortese indicazione di Eros Gregorini, compare al f. 236v. 19 Vedi PONGETTI, La “Marca”..., cit., pag. 185. La presenza dei nobili corinaldesi nel Consiglio è registrata nel ms. 1756 dell’Archivio Comunale di Corinaldo, Famiglie nobili di Corinaldo, di mano di Giuseppe Maggi, del quale ci serviamo anche per le successive citazioni 20 Vedi C. GIACOMINI, Archivi e memoria storica. Segni della vita artistica e civile di Claudio Ridolfi a Corinaldo, in Claudio Ridolfi. Un pittore veneto nelle Marche del Seicento, Atti del Convegno di Corinaldo, 24 settembre 1994, a cura di C. Costanzi, F. Mariano, M. Massa, Edizioni Quattroventi, Urbino 1997, pag. 49. 21 Vedi G. MONTI GUARNIERI, Annali di Senigallia, Società Amici Arte e Cultura, Senigallia 1961, pag. 141. 22 Vedi Regesti a cura di E. Gregorini, in Claudio Ridolfi. Un pittore veneto nelle Marche del Seicento a cura di C. Costanzi e M. Massa, il lavoro editoriale, Ancona 1994, pag. 206. 23 Vedi M. BALDELLI, L’Orazione di Gesù nell’orto dipinta da Claudio Ridolfi, “avuta e ricevuta” da Girolamo Cervasi di Pergola, in Claudio Ridolfi, Atti del convegno…, cit., pag. 168. 24 Vedi “Foglia d’olivo”, numero speciale a cura dell’Associazione Mariana Amici Del Santuario dell’Incancellata, anno IV, n. 6, 14 agosto 1949. 25 La campana è descritta dallo Sforza in Senigallia e la sua Diocesi…, cit., pag.1269; viene indicato come artefice del manufatto Hieronimus Sanctonus Fanensis. 26 La costruzione della villa, di proprietà della famiglia Spadoni, risale ai primi dell’Ottocento, con ampiamenti successivi. La residenza fu acquistata in seguito dalla famiglia Cesarini e definitivamente abbandonata dopo la morte senza eredi dell’ultimo rappresentante della casata, Ippolito Cesarini (1894 -1989). La villa e il parco sono stati assegnati con lascito testamentario del conte Giacomo Cesarini Romaldi agli attuali Istituti Riuniti di Beneficenza; vedi anche a pag. 97 del cap. II. 27 Notizie sulle epigrafi romane scomparse da Corinaldo in GIORGI, Suasa…, cit., 2° ed. 1981, pag. 122; S.VAGNINI COCCI, Il municipio di Suasa Senonum in Castelleone di Suasa. Vicende storiche, I, a cura di A. Polverari, Castelleone di Suasa 1984, pagg. 71-86; A. POLVERARI, Iscrizioni latine in Cimarelli in Atti del Convegno…, cit., pagg. 88-98; Archeologia delle valli marchigiane Misa, Nevola e Cesano a cura di P. L. Dall’aglio, S. De Maria, A. Mariotti, Associazione intercomunale Valli Misa e Nevola, Electa Editori Umbri, Perugia 1991, pag. 56, scheda 5/1b. 28 Vedi S. ANTOLINI in “Supplementa Italica”, nuova serie, 18, Unione Accademica Nazionale, Ed. Quasar, Roma 2000, pagg. 317-394; della stessa Le iscrizioni romane di Suasa, tesi di laurea in Epigrafia Latina, relatore prof. Gianfranco Paci, Università degli studi di Macerata, a. a.1997-1998. 29 CIL, XI 6631. 30 Recenti approfondimenti sulla viabilità romana nella valle del Cesano in Archeologia delle valli…, cit., pag. 19; “Supplementa Italica”, cit., p. 328; M. VERGARI, Corinaldo (AN) in “Picus”, 19, 1999, pagg. 367-372; G. PACI, Cippi milliari e viabilità romana nella Valle del Cesano in L’Appennino in età romana e nel primo medioevo, Atti del Convegno di Corinaldo, 28-30 giugno 2001, “Studi e Scavi”, nuova serie, 6, pagg. 47-55; S. SANGIORGI, La carta archeologica della media valle del fiume Cesano come strumento di tutela e valorizzazione territo le pietre antiche 75 riale, tesi di laurea in Topografia Antica, relatore prof. Pier Luigi Dall’Aglio, Università di Bologna, a. a. 2002-2003. 31 Sembra essere sfuggito alla damnatio un cippo miliare cilindrico di granito, identificato nel cortile esterno del Palazzo Malatestiano di Fano, dedicato all’imperatore Cesare Marco Aurelio Valerio Massenzio Augusto, in cui il nome risulta consunto e deteriorato ma non eraso appositamente; vedi R. BERNARDELLI CALAVALLE, Le iscrizioni romane del Museo Civico di Fano, Fano 1983, pag. 180. 32 CIL, XI 6635. 33 Vedi M. LUNI, Archeologia nelle Marche, Banca delle Marche, Nardini editore, Firenze 2003, pag. 111. 34 Vedi G. RADKE, Viae publicae Romanae (trad. ital. di I. Sigismondi dell’art. in R. E., suppl. XIII, 1971), Bologna 1981, pagg. 193-196. 35 Il sindaco Dino Poeta indicò nel 1953 la collocazione del cippo a Gello Giorgi, che riporta l’episodio in Suasa…, cit., ed. 1981, pag. 173. 36 Vedi A. POLVERARI, L’abbazia di Santa Maria in Portuno unita all’eremo di Fonte Avellana in Atti del VI Convegno del Centro di Studi Avellaniti, Fonte Avellana, 30-31 agosto-1 settembre 1982, pagg. 259-265. La ricca produzione storica dello studioso, insieme con la sua biblioteca personale, è stata donata alla Biblioteca comunale di Senigallia, dove una sala di lettura è stata intitolata al nome di Alberto Polverari (Monteporzio 1912–Senigallia 1991). 37 La ricostruzione storica delle fasi di vita dell’edificio, basata su fonti archivistiche, si deve a E. GREGORINI, Studio delle pievi e delle chiese medioevali di Corinaldo, in Senigallia e la sua Diocesi…, cit., pagg. 831–874; dello stesso, Santa Maria in Portuno poi santa Maria del Piano, in “La nostra valle”, suppl. al n. 154, febbraio 1992, pagg. 13-16. 38 Vedi Archeologia delle valli..., cit., pag. 57, scheda 5/3. 39 Vedi Archeologia delle valli…, cit., pagg. 99-140; P. CAMPAGNOLI - M. DESTRO - E. GIORGI, La città romana di Suasa, in Scoprire. Scavi del dipartimento di archeologia, Catalogo della Mostra, Bologna, San Giovanni in Monte, 18 maggio-18 giugno 2004, a cura di M.T. Guaitoli - N. Marchetti - D. Scagliarini, pagg. 87-95. 40 Il “Consorzio Città romana di Suasa” è stato istituito nel luglio 1994 come trasformazione del “Consorzio per la gestione del parco archeologico di Suasa”, costituito nel luglio 1990. Ha sede nel comune di Castelleone di Suasa ed è costituito tra le province di Pesaro e di Ancona ed i comuni di Arcevia, Castelleone di Suasa, Corinaldo, Mondavio, San Lorenzo in Campo, tra Serra de’ Conti, Pergola, Ostra Vetere (i due ultimi receduti dal consorzio rispettivamente il 9 sett. e il 30 nov. 2004), per la valorizzazione e la gestione dei beni archeologici, storici, artistici, culturali e scientifici di Suasa e dei territori degli Enti aderenti al consorzio. 41 Una ricostruzione a mo’ di favola delle trasformazioni subite dal sito a partire dall’età romana fino alle positive sperimentazioni agricole dei monaci avellaniti, è stata tracciata da M. BRUNETTI, Il ritorno del dio Portuno, in Sulle sponde del Cesano a cura di M. Giardini, Edizione Amici della Foce del Cesano, Senigallia 2003, pagg. 27-45. 42 La notizia del ritrovamento è comparsa nell’ articolo Scoperte ottanta tombe di epoca romana in “Corriere Adriatico” del 30 giugno 2005, pag. 22. 43 Vedi G. LEPORE - A. BARONCIONI - T. CASCI CECCACCI - G. GIANNOTTI - E. RAVAIOLI - R. VILLICICH, Ricerche e scavi nel sito di Santa Maria in Portuno presso Corinaldo (An): relazione preliminare degli anni 2001-2002, in “Archeologia Medievale”, XXX, 2003, pagg. 345-365; G. LEPORE, Edifici di culto cristiano nella Valle del Cesano (Pesaro-Ancona). La documentazione storica e archeologica tra tardo antico e medioevo, in“Studi e scavi”, 14, Bologna- 76 Testimoni di Pietra Imola 2000; G. LEPORE, Corinaldo (An): Scavi nella cripta della chiesa della Madonna del Piano, in “Ocnus” 9-10, 2001-2002, pagg. 283-286; G. LEPORE, Area archeologica di S. Maria in Portuno. Relazione di scavo, Campagna di scavo 24 giugno-20 luglio 2002, Dipartimento di Archeologia, Università degli Studi di Bologna; A. BARONCIONI, Archeologia dell’ar chitettura nella Valle del Cesano: la chiesa di Santa Maria in Portuno a Corinaldo (An), tesi di laurea in Archeologia, relatore prof. A. Augenti, Università di Bologna, a. a. 2001-2002; A. BARONCIONI, La chiesa altomedievale di Corinaldo (An) in Scoprire…, cit., pagg. 101-104. 44 Vedi N. GIANFRANCESCHI, Monterado. Storia di un paese, Banca Popolare di Ancona, Monterado 1994, pag. 24. 45 L’inaugurazione dell’Antiquarium e del percorso espositivo completo è avvenuta il 20 luglio 2005. 46 M. BRUNETTI, Madonna del Piano (dalle Carte di Fonte Avellana), Edizione 2002, Corinaldo. 47 Le 17 tavolette votive di Madonna del Piano , fotografate da Mario Carafòli, compaiono alle pagine 181-213 del volume Religiosità popolare e vita quotidiana. Le tavolette votive del territorio jesino-senigalliese, a cura di S. ANSELMI, Cassa di Risparmio di Jesi 1980. 48 La gentile collaborazione di Ea Lenci Ciani Paolini ha permesso la riscoperta del monumento, da noi segnalato alla Soprintendenza Archeologica delle Marche ed all’allora sindaco di Corinaldo Luciano Antonietti, per una debita valorizzazione. La sopravvenuta morte della signora Ea nel l998 ha interrotto le trattative che ci auguriamo possano essere presto riprese. 49 Vedi A. ANSELMI, La visita del prof. Bormann in Arcevia, in “Nuova rivista misena”, 7, 5, 1893, pag. 78. 50 CIL, XI 6183. 51 Vedi Archeologia delle valli…, cit., pag. 55, scheda 4/1. 52 Vedi ANTOLINI, in “Supplementa italica”, cit., pag. 351. 53 Vedi BERNARDELLI CALAVALLE, Le iscrizioni…, cit., pag. 118. 54 CIL, XI 6182 a, ora non più reperibile. 55 Vedi Archeologia delle valli..., cit., pag. 56, scheda 5/2. 56 Vedi ANTOLINI, in “Supplementa italica”, cit., pag. 366. 57 Vedi rispettivamente CIL, XI 6392 e CIL, IX 5805. 58 Vedi GREGORINI, Studio delle pievi…, cit., pag. 856. 59 Vedi Bibliotheca Sanctorum, Città Nuova Editrice, Roma 1968, X, pag. 93. 60 Il toponimo Sant’Apollonia è riferito in maniera imprecisa nell’articolo di Vergari Corinaldo…, cit., p. 367, ed in Archeologia delle valli..., cit., pag. 57 scheda 5/7. 61 Museo Archeologico Nazionale delle Marche di Ancona, inventario n. 4865. 62 Sul bronzetto di Corinaldo vedi M. CRISTOFANI, I bronzi degli Etruschi, Istituto geografico De Agostini, Novara 1985, pag. 145 e pagg. 266-280; G. MORETTI, “Notizie degli scavi”, 1924, pagg. 34–44; GIORGI, Suasa..., cit., ed. 1953, pag. 87; Archeologia delle valli…, cit., pag. 57, scheda 5/7. 63 Vedi A. POLVERARI, Senigallia nella storia. Evo antico, Edizioni 2 G, Senigallia 1979, pag. 50. 64 Vedi G. DAMIANI, Genesi del territorio e preistoria, in Castelleone di Suasa..., cit., pagg. 24-34. 65 Vedi SANGIORGI, La carta archeologica…, cit., Schede di ricognizione, pagg. 91-324. Il cippo di Via Qualandro è registrato nella scheda n. 785, pag. 312. Capitolo II Entro il rosso cerchio delle mura In monte Collinalti… In castro Curinalti… Benvenuti a Corinaldo. “antico colore del tempo”. Nel Borgo di Sotto, al centro dell’aiuola spartitraffico di Piazza Sant’Anna, un’epigrafe (fig. 1) apposta nel 2004 dall’Amministrazione comunale, con questa scritta avverte il visitatore di essere giunto ad una città capace di offrire, tra le sue mura ambrate, le suggestioni di una storia ancor viva1. Sarà di aiuto all’ospite nella sua visita anche la toponomastica cittadina rinnovata nel 1977, dopo i lavori di un’apposita commissione, con la denominazione di nuove vie a servizio dei moderni quartieri e con la modifica della denominazione di altre2: le tabelle viarie ricordano i nomi, i tempi e le caratteristiche dei personaggi principali che hanno determinato la storia della città, le strade utilizzate per le attività artigianali medievali, i luoghi legati ad avvenimenti straordinari locali o nazionali. Curiosamente, l’epigrafe di benvenuto è l’unico manufatto di pietra che porta iscritto il toponimo “Corinaldo”: per il resto, il nome del paese è presente solo in tabelle di metallo e manca anche nello stemma cittadino. Gli stemmi e i simboli che circondano la scritta inseriscono Corinaldo nella realtà amministrativa di cui fa parte – la Provincia di Ancona – e illustrano i riconoscimenti ottenuti per aver ben conservato il suo patrimonio architettonico e civile. è venuto dunque il tempo di interessarci dell’origine della struttura urbana e del suo nome, servendoci ancora una volta di una pietra iscritta. Dopo l’esame delle nobili rovine di Suasa sopravvissute in Corinaldo, affrontiamo l’oscuro periodo della dispersione delle popolazioni sul territorio, fuori dall’area protetta delle città romane distrutte o in mano ai nuovi popoli barbarici. Il fenomeno è visto da Cimarelli come ristretto in un brevissimo periodo: arsa Suasa nel 409 d. C., i fuggitivi già l’anno del parto della Vergine 411 diede 78 Testimoni di Pietra ro principio a fabbricare una Città formata con regole e disegno d’Architettura … Vollero anche che con altro nome si appellasse: giacché dalla bassa Suasa erano corsi su un colle, la chiamarono Corinaldo, quasi curre in altum. La fortuna popolare di questa espressione, ancor oggi diffusa, è stata naturalmente ridimensionata dai moderni studi storici, che tracciano un quadro molto diverso dell’origine del toponimo. Solo oggi infatti, grazie alle indagini sulla storia locale, approfondita in modo capillare specialmente dai saggi di Virginio Villani, possiamo renderci conto dei processi di trasformazione e dei fenomeni insediativi che hanno dato vita all’attuale assetto territoriale delle valli del Cesano e del Nevola3. I primi nuclei abitativi che hanno costituito elemento di aggregazione della popolazione, a scopo difensivo, economico, politico, erano caratterizzati in origine da una semplice palizzata che circondava una torre o, nei casi più evoluti, da un borgo difeso da una cinta muraria. Nel secolo XI, nell’attuale provincia di Ancona, prende avvio il processo dell’incastellamento che promuove la ripresa sociale e l’organizzazione politica delle popolazioni, dislocate prima in insediamenti sparsi, in grandi fattorie o in modesti villaggi. è il momento della rinascita demografica in Occidente, legata alla stabilizzazione delle popolazioni che durante i due secoli precedenti l’avevano sconvolto con disastrose incursioni, ed alla Renovatio Imperii di Ottone I. Sono i “signori” laici, spesso in collaborazione con le comunità monastiche, a dare inizio all’accentramento abitativo. Il fenomeno è di durata relativamente breve a causa dell’eccessiva vicinanza dei molti insediamenti (castellum, castellare, castrum, roca, pogium) e del rapido avvicendarsi delle famiglie al potere. Dalla fine del secolo XII prevale la nuova istituzione del “comune” che distrugge molti insediamenti signorili concorrenti, costruisce ampi castelli circondati da più valide muraglie, riorganizza il territorio, lo amministra e lo difende. Nelle nostre colline, il castrum si erge isolato in mezzo alle campagne e si distanzia notevolmente dai simili insediamenti circostanti. Le città murate segnano visivamente il territorio ancora oggi, nonostante le propaggini dei nuovi quartieri che si snodano e si fondono lungo le strade di collegamento, nei fondovalle, nelle zone industriali. è in questo lungo processo che matura la scelta dei nostri avi di racchiudersi tra strutture difensive: già nel 1186 le carte di Fonte Avellana registrano beni dell’abbazia dislocati in monte Collinalti e in castro et in curte Collinalti. A distanza di quaranta, cinquanta anni il nome del luogo presenta una diversa grafìa: in castro Curinalti…, communis Curinalti…, comune castri Corinalti 4. Entro il rosso cerchio delle mura 79 1 – Lapide composta da due tipi di marmo intersecati, nell’aiuola spartitraffico di Piazza Sant’Anna; agli angoli superiori destro e sinistro, gli stemmi della Provincia di Ancona e della città di Corinaldo; all’angolo in basso a sinistra il logo “I Borghi più belli d’Italia” e il logo “Bandiera arancione - Touring Club” Benvenuti / a / Corinaldo. / “Antico colore del tempo” Dunque il toponimo non si correla al verbo curre e nemmeno al più poetico termine cuore - cor in altum - come piacque idealizzare argutamente ai corinaldesi Domenico Clemente Sforza e Mario Carafòli, cultori delle memorie locali, bensì ai vocaboli colle o curia o curtis: curia Inaldi, colle di Inaldo, colle di Aldo designano l’insediamento di altura, il villaggio, e il territorio annesso, di proprietà di una sola famiglia dominante, la cui organizzazione interna è stata diffusa dai Longobardi. Anche la chiesa di “San Cristoforo di Alduccio”, fondata nel corso del Trecento, e il “castello di Monte Aldano”, documentato nel territorio di Corinaldo fin dal 1186 e in seguito scomparsi, presentano nella radice ald un elemento non estraneo al toponimo Corinaldo5. Gli studi di Alberto Polverari e di Ettore Baldetti sui toponimi medievali nelle valli del Misa e del Cesano, rivelano il passaggio di proprietà delle terre dai romani ai nuovi conquistatori: Aldo o Inaldo sono nomi di origine longobarda (ald ha il significato di “vecchio”, “sapiente”) e attestano non il semplice transito di milizie al seguito dei re longobardi nei secoli VII e VIII d.C., ma stanziamenti veri e propri di quelle popolazioni, unite ai loro mer- 80 Testimoni di Pietra cenari bulgari dei quali parimenti sussistono toponimi6. La denominazione longobarda del nostro colle è perdurata nei secoli, anche dopo la sconfitta dei Longobardi ad opera dei Franchi nel 774, che certo non causò il totale annientamento di quel popolo. Non ci aspettiamo di reperire testimonianze epigrafiche di queste fasi di insediamento sul nostro colle, anche se Cimarelli dà grande rilevo a tre pietre contenenti iscrizioni gotiche che, fino agli inizi del Seicento, facevano base alle Piramidi della Cappella gotica dell’altar maggiore di Santa Maria del Mercato. Le iscrizioni avrebbero testimoniato l’erezione di quella chiesa ad opera del goto Scriba, principe di Corinaldo, con materiale romano proveniente dalle rovine del tempio della dea Bona: si precisa anche la data, l’Anno della nostra salute 504. Non dovremmo soffermarci su queste pietre, dal momento che non esistono più a Corinaldo, ma la data così remota ci impone qualche riflessione: si è già chiarito che non poteva esistere nel VI secolo d. C. una città vera e propria, con chiese erette architettonicamente da munifici principi barbarici; ma potremmo trarre segnale dalle pietre gotiche di Cimarelli per comprendere come la conversione dei condottieri goti e poi longobardi, abbia favorito la diffusione del Cristianesimo sul territorio. Lo storico tende a concentrare in pochi decenni fenomeni che in realtà hanno avuto un’evoluzione di secoli: dalla lenta evangelizzazione delle campagne, sempre restie alle novità, all’organizzazione ecclesiale basata sulla “Pieve”, centro religioso e nello stesso tempo amministrativo del territorio rurale, corre molto tempo. Per avere un quadro documentato del radicamento delle istituzioni religiose nel nostro territorio, dobbiamo poi salire almeno all’anno Mille. Del fenomeno ha fornito un esame dettagliato, attraverso documenti d’archivio, Eros Gregorini, e ad esso rimandiamo naturalmente il lettore: a noi spetta rilevare, del lungo percorso, le poche testimonianze epigrafiche tuttora reperibili, soprattutto nelle edicole sacre sparse nella campagna, che conservano memoria dei primi culti cristiani. Proprio negli ultimi anni è stata eretta un’edicola sacra, all’incrocio tra la Strada di San Vito e la Strada di San Bartolo, sulla dorsale collinare compresa tra la Strada di San Benedetto e Via Lepri: la denominazione delle strade conserva il ricordo di due luoghi di culto già presenti nel sec. XI, destinati ad aumentare nel vasto territorio comunale. Alla fine del Duecento erano ben diciassette le chiese di Corinaldo, e saliranno a venticinque nel corso del secolo XIV. Non si pensi a chiese monumentali, ma a edifici di piccole dimensioni costruiti in muratura, utilizzando mattoni, pietre e materiale di Entro il rosso cerchio delle mura 81 2 – Lapide di marmo affissa all’edicola sacra dedicata a San Vito, in prossimità dell’omonima chiesa distrutta, all’incrocio tra Strada San Bartolo e Strada San Vito. Nei pressi di questo sito / sorgeva / fin dal secolo XIII / la chiesa “de Arutio” / detta poi di San Vito / diruta nella seconda metà / del secolo XX / Con questa sacra edicola / i fede li della Parrocchia di / Corinaldo / ne fanno memoria / li 3 novembre 2002 recupero, pertanto soggetti a facile deperimento. è questa la sorte toccata anche a San Vito De’ Arutio: la chiesa possedeva terre ed entrate cospicue, tanto da versare decime assai notevoli alla fine del Duecento, e proprio per la sua autonomia economica poté sopravvivere più a lungo di altre. L’edificio, benché fatiscente, era ancora ben noto alla generazione precedente la nostra, ma è stato del tutto abbattuto nel 1998 per la sua impraticabilità: lo ricorda l’iscrizione della lapide affissa alla base dell’edicola (fig. 2) che racchiude la piccola statua di San Vito, giovane martire cristiano del IV secolo, consegnato dal padre stesso al tribunale romano per non aver voluto abiurare: Nei pressi di questo sito sorgeva fin dal secolo XIII la chiesa “de Arutio” detta poi di San Vito, diruta nella seconda metà del secolo XX. San Vito, commemorato nel martirologio romano il 15 giugno, è rappresentato come un giovinetto in abiti da antico romano, affiancato da un cane: l’iconografia si ispira alle leggende ed alle attribuzioni sedimentate in una passio composta probabilmente nel VII secolo e arricchita nel corso del 82 Testimoni di Pietra Medioevo, quando San Vito fu annoverato tra i quattordici Santi Ausiliatori, invocati per i loro attributi di guarigione e di tutela7; San Vito viene invocato come protettore dalle convulsioni – il “ballo di San Vito” dal quale avrebbe liberato il figlio di Diocleziano – e dalla rabbia provocata dal morso dei cani: di qui la sua venerazione tra il popolo, spesso afflitto da tali mali e poco propenso alla critica storica, che elimina tutto l’alone dalla leggenda e conferma solo la veridicità del martirio. Liberato dagli angeli in varie occasioni, dopo essere stato imprigionato e torturato, col consenso del suo stesso padre, perché rinnegasse Cristo, fu infine giustiziato presso il fiume Sele. Tutta l’Italia è costellata da chiese e località che portano il suo nome: anche nel nostro territorio il culto per San Vito era diffuso, come dimostra un’altra chiesa dedicata al Santo, ora in territorio di Ostra Vetere, di cui si dirà più oltre. Quanto alla determinazione de Arutio, ricordiamo che esisteva anche, nella stessa area collinare, la chiesa di San Pietro de Arutio o de Rutio, documentata alla fine del Duecento8: in entrambe compare l’antroponimo di origine romana Ruti(us), che attesta la sopravvivenza dei nomi di famiglia italici commisti a quelli delle genti longobarde. Tutto il territorio comunale di Corinaldo è costellato di edicole sacre alle quali, di recente, è stata dedicata nuova attenzione, con conseguente recupero. Se ne sono interessati, in particolare, le maestre e gli alunni di quinta classe della Scuola elementare di Corinaldo, che hanno pubblicato la loro ricerca, utile per integrare il presente studio (fig. 3): le quindici “figurette” identificate segnano ancora oggi il territorio con l’impronta del sacro che l’aveva pervaso in antico, mano a mano che si diffondeva il Cristianesimo a sostituire la tradizione delle erme romane9. Spesso esse rappresentano i testimoni di pietra delle ricerche di archivio, specialmente nei casi in cui mantengono la memoria di chiese distrutte o, viceversa, anticipano una devozione che in seguito verrà continuata all’interno di una chiesa vera e propria, come è avvenuto per l’Incancellata. Le iscrizioni delle figurette testimoniano devozioni antichissime, ma sono state apposte in epoca moderna. Nessuna pietra iscritta contemporanea getta sprazzi di luce sui cosiddetti “secoli bui”, il lungo periodo dell’età altomedievale. Dal Basso Medioevo però – tra i secoli XI e XV – ci giunge una voce antica attraverso i rintocchi di una campana (fig. 4): impresso indelebilmente nel bronzo, il saluto dell’angelo a Maria in latino è preceduto dalla vetusta data: Anno del Signore 1281. Ave Maria, piena di grazia, il Signore è con te, tu sei benedetta tra le donne e benedetto è il frutto del 3 – Le edicole sacre presenti nel territorio di Corinaldo, studiate e pubblicate dalla locale Scuola Elem en tare Statale. 84 Testimoni di Pietra 4 – Campana di bronzo nella torre campanaria della chiesa parrocchiale di San Francesco, con data ed iscrizione incise in caratteri capitali. A.D. MCCLXXXI Ave Maria gratia plena dominus tecum /benedicta tu in mulieribus et benedictus fructus ventris tui Jesus ventre tuo, Gesù. La campana suona ormai da più di settecento anni dal campanile della chiesa di San Francesco ed è ben nota ai Corinaldesi: è stata anche oggetto di studio, insieme con tutta la chiesa, da parte di una classe della locale Scuola Media, nell’ambito del progetto “La scuola adotta un monumento”10. La data della campana testimonia il compimento dei lavori della chiesa, iniziati con la posa della prima pietra nel 1265. Il luogo scelto per la costruzione ha giocato un ruolo determinante per la sua conservazione: vicina al castello, ma fuori delle mura, la chiesa francescana è scampata quasi certamente alla distruzione di Corinaldo del 1360 e, benché più volte ricostruita, ha mantenuta intatta la campana sul primitivo campanile che risulta infatti più basso di tutto il complesso. Una data altrettanto antica, il 1233, era incisa su una pietra utilizzata al naturale e murata all’interno della chiesa di San Vito, sulla sommità dello spartiacque tra gli attuali comuni di Corinaldo e di Ostra Vetere, allo sbocco collinare di Via Ripa; la località, con il nome di San Vito mantenuto sino ad Entro il rosso cerchio delle mura 85 oggi, è testimoniata fin dal 1155 dalle fonti studiate da Virginio Villani e relative al vicino castello di Buscareto; la pietra dava conferma della presenza, meno di un secolo dopo, dell’edificio di culto forse rinnovato in quella data11. Di essa ci resta purtroppo solo la testimonianza fotografica, gentilmente fornita da Dario Cingolani, autore dello scatto alla fine degli anni Settanta, che presentiamo come raro documento (fig. 5). Nelle more della ricostruzione della chiesa, dopo il terremoto del 1997, la pietra ed altri arredi sono stati 5 – Pietra di foggia triangolare, recentemente asportati da ignoti, seconscomparsa, già murata all’interno della chiesa do la testimonianza resaci di San Vito, allo sbocco collinare di Via Ripa (g. c. di Dario Cingolani). è chiaramente leggibile dalla custode della chiela data 1233 die […] de maio. setta, tuttora officiata, e da Padre Rolando Màffoli, già bibliotecario di Ostra Vetere, che ben conosceva la pietra, sparita praticamente sotto i suoi occhi: ci auguriamo che la segnalazione possa permettere il recupero dell’antica testimonianza. Combusta ... Oltre alla campana di San Francesco, poche pietre sono sopravvissute all’incendio del 1360, tanto terribile che il motto dello stemma cittadino ne fa una tappa della sua sintesi storica: Combusta, cioè distrutta dal fuoco. Cimarelli ce ne fa sentire tutto l’orrore, quasi ponendosi lui stesso a guardar di lontano le fiamme, tra i suoi concittadini, flagellati e cacciati a forza fuori dalle loro case su per il colle degli Olmigrandi. Ma ancor più agghiac- 86 Testimoni di Pietra ciante perché contemporanea è la relazione del legato pontificio Egidio Albornoz sull’espugnazione del castello: il documento descrive con accesa soddisfazione l’assalto, l’uccisione di molti ribelli e l’incendio del castrum12. A far appiccare il fuoco, un ordine del generale Galeotto Malatesta, inviato dalla Santa Sede a reprimere la ribellione dei Corinaldesi: erano stati sobillati dal ghibellino Niccolò Buscareto contro le Sante e giustissime Leggi con le quali lo stesso Egidio Albornoz aveva poco prima ricondotto l’Italia all’obbedienza della Chiesa romana. Troppo tardi avvedutisi della cattiva scelta politica, ai Corinaldesi non resta che mirare disperati gli più alti edifici con strepito fiero precipitare a terra. Tra l’ardore delle fiamme e l’insulto del fumo, due piccole pietre iscritte resistono alla distruzione: le troviamo ancora oggi acquattate e come compresse nella Porta del Mercato, utilizzate come conci d’ imposta alla base della volta ogivale (fig. 6). Le aveva già notate Gello Giorgi che era riuscito ad interpretarle parzialmente13; molti le hanno osservate con curiosità per gli insoliti caratteri, detti rustici, della scrittura, interpretati addirittura come etruschi. Oggi siamo in grado di darne una trascrizione sicura, grazie a Dario Cingolani, che ha sottoposto le pietre all’esame di Augusto Campana, di passaggio a Corinaldo in occasione di un convegno di studi, a metà degli anni Settanta. L’illustre studioso, allora docente di epigrafia all’Università La Sapienza di Roma, ha fornito lettura delle poche parole decifrabili, che sorprendentemente rivelano una data, un nome, un luogo: sulla pietra del lato ovest, caratterizzata da una vistosa frattura (fig. 7), è stato letto: 1240. Quest’opera Fulbe[rto], possiamo sottintendere fece ; sul lato est (fig. 8): Alla porta di Santa Maria. Una rilettura più accurata, possibile grazie alla moderna digitalizzazione delle immagini, ha permesso a Cingolani di individuare altre lettere: sul lato ovest, dopo la frattura, alla seconda riga si distinguono le lettere capitali CAPITAN, forse tracciate da altra mano. Altre iscrizioni incise più superficialmente su un laterizio del voltone antistante la porta, non sono state decifrate. La costruzione della porta è probabile opera di Fulberto, ignoto maestro carpentiere forse di Corinaldo, forse forestiero: come i molti lapicidi provenienti dall’Italia settentrionale che concorsero al buon mantenimento delle mura a metà del Quattrocento14. Il nome è di origine germanica, variante di Filiberto. Entro il rosso cerchio delle mura 6 – Porta ogivale della cinta muraria trecentesca, detta Porta del Mercato. 87 88 Testimoni di Pietra La lettura, per quanto frammentaria, del documento epigrafico, apre un nuovo interesse verso la porta in cui è inserito. Essa era sicuramente presente nel nuovo perimetro delle mura, ricostruite dopo il 1367, a pochi anni dall’incendio distruttivo. In quell’anno papa Urbano V permise infatti ai Corinaldesi dispersi di riedificare la città e la fortificazione, concedendola in feudo a Niccolò Spinelli. La ricostruzione delle nuove mura viene eseguita con tecniche più moderne: si usa, al posto di calce mescolata con sabbia, l’argilla, materiale che salda tenacemente i mattoni dalle rovine raccolti. L’uso di reimpiegare materiale edilizio preesistente non è certo una rarità: ci piace però pensare che le parole di Cimarelli siano riferite proprio alle pietre di Fulberto. Esse ci permettono di ricreare una situazione topografica molto antica: la data impressa nella mensola di pietra, 1240, ci riporta alla cinta difensiva precedente all’incendio la quale benché eretta in gran parte con legname, doveva avere le porte in muratura. Una di esse si apriva nello stesso luogo di quella attuale, di fronte allo spiazzo in cui si svolgeva il mercato. Su questa stessa spianata si affacciava un altro edificio, coevo alla porta: la chiesa di “Santa Maria di Corinaldo” o “de Foro” o “del Mercato”, attestata in documenti del 1283 come abbazia avellanita e dunque costruita già da tempo15; Cimarelli la descrive come la maggiore che in Corinaldo si trovasse, costruita con ornamenti al modo gotico: la campana maggiore, di suono esquisita, portava la data 1284. L’iscrizione di Fulberto lo conferma: alla porta di Santa Maria. Le pietre iscritte di Fulberto non andarono disperse ma furono certo recuperate dopo l’incendio del 1360 ed immesse sugli stipiti del nuovo fornice, che mantenne il nome di Porta del Mercato: nulla infatti era cambiato, e l’indicazione “verso Santa Maria” era ancora valida, dal momento che anche la chiesa di Santa Maria era scampata all’incendio ed era sempre al suo posto, continuando a sussistere, molto onorata, fino all’Ottocento. La sua presenza è attestata nel catasto di Corinaldo, pubblicato nel 1835 per volere di Gregorio XVI; nell’elenco delle chiese esistenti nel comune di Corinaldo, redatto nel 1812, si parla di una “chiesa di San Biagio nel sobborgo di Santa Maria del Mercato aperta al culto e di pertinenza dell’abbazia di Santa Maria del Mercato…”16; la chiesa infatti nel corso del Settecento aveva cambiato noime e veniva indicata con il titolo di San Biagio, con il quale viene registrata anche nei carteggi di sacra visita del vescovo di Senigallia Fabrizio Sceberras Testaferrata del 1836. Lo storico Gregorini che ci ha fornito le indicazioni, ritiene lecito pensare che con la confisca dei beni degli Entro il rosso cerchio delle mura 89 7/8 – Due conci di arenaria all’imposta della volta ogivale della Porta del Mercato. Lato est, 7: 14x58x30; anepigrafe nel lato esterno dell’arco, reca sul lato interno una scritta in caratteri rustici della quale sono leggibili le lettere: ad porta s(an)c(t)e Marie Lato ovest, 8: 14x50x35; anepigrafe nel lato esterno dell’arco, nel lato interno 7 presenta una frattura che la divide in due parti; la parte sinistra integra presenta un’iscrizione in caratteri rustici su due righe, di cui leggibili, nella prima: MCCXL hoc op(us); nella seconda: […] fulbe(rtus); la parte destra scheggiata rende illeggibile la prima riga; nella seconda riga si leggono in caratteri capitali le lettere CAPITAN 8 ordini religiosi della seconda metà dell’Ottocento, l’edificio sia passato in mano di privati ed utilizzato per altre funzioni, così come è avvenuto in molti altri casi, tanto che oggi se ne è persa traccia. Resta l’indicazione nell’arco ogivale, perché solo in seguito i due edifici, la porta e la chiesa del mercato, furono separati: le mura di Corinaldo dovevano infatti adattarsi a una realtà politica e militare fortemente trasformata nel corso del Quattrocento. Le perniciose guerre tra le Signorie italiane nelle quali anche Corinaldo era stata coinvolta, avevano favorito la conquista dell’Italia da parte dei Francesi e, in seguito, degli Spagnoli. Truppe allo sbando percorrevano il territorio e gli stessi capitani corinaldesi, già in forza nelle armate dei vari Signori, ritornavano ora in una patria troppo esposta agli assalti delle nuove artiglierie. Fu necessario procedere ad un più efficace assetto difensivo che 90 Testimoni di Pietra 9 – Gli attuali edifici adibiti a magazzino, sorti sull’area dell’antica chiesa di Santa Maria del Mercato, in Borgo di Sotto. ampliasse e fortificasse le mura cittadine: il rinnovato circuito murario ampliò di un terzo quello trecentesco, secondo un disegno complessivo certo predisposto da un abile architetto. La poderosa fortificazione di Corinaldo è stata analizzata e riproposta ai cittadini negli Atti del Convegno su Francesco Di Giorgio Martini, tenutosi a Corinaldo nel 1989 (vedi nota 14), curati da Fabio Mariano; un rilievo grafico dei vari prospetti delle mura, ad opera di Ettore Montesi, è stato pubblicato nella collana “Le mura delle Marche” nel 199917. La nuova fortificaziione ci interessa in modo particolare perché proprio allora la Porta del Mercato fu inglobata nel “bel bastione poligonale (il For tino) che costituisce l’opera fortificata più efficace della cinta corinaldese”18. Nel perimetro del fortino fu ricavata una nuova apertura a tutto sesto, volta ad oriente, che indichiamo col nome di “Porta di Sotto”, per distinguerla da quella ogivale di Fulberto, alle sue spalle19: in tal modo la Porta e la Chiesa del Mercato non si fronteggiarono più e della loro collocazione reciproca si spense il ricordo, testimoniato invece dalle nostre pietre. Santa maria del mercato Tuttavia, negli ultimi anni, anche l’antica Santa Maria del Mercato ci ha inviato il suo messaggio di pietra per non farsi dimenticare. Entro il rosso cerchio delle mura 91 10/11/12 – Tre pietre di arenaria trovate nell’area in cui sorgeva la chiesa di Santa Maria del Mercato, conservate nell’abitazione di Via della Murata n. 43. fig. 10: 20x15x6 in due frammenti combacianti, divisi da frattura obliqua; sullo sfondo colorato di rosa, in rilievo un girale con motivi vegetali. Fig. 11: 11x22x15 in unico frammento ad angolo retto; sulla faccia anteriore presenta l’iscrizione in caratteri capitali Hoc op(us) Fig. 12: 11x25x15 in unico frammento, presenta nella parte inferiore una serie di tredici ovoli. Al posto della chiesa, in Borgo di Sotto, si trova oggi un edificio già adibito a deposito di macchinari, anonimo e senza alcun rilievo urbanistico (fig. 9). Durante i lavori di sterro per la pavimentazione, intorno agli anni Ottanta, sono venute alla luce alcune pietre di insolita fattura che hanno incuriosito i proprietari, le famiglie Bartolini e Martelli. Gentilmente segnalateci, le reli- 92 Testimoni di Pietra quie di pietra ci permettono oggi di documentare materialmente la presenza della chiesa, ben nota attraverso i numerosi riferimenti letterari e d’archivio già ricordati. Si tratta di tre frammenti di arenaria principali che presentiamo, trascurando alcune altre pietre prive di connotazione. La più interessante, perché iscritta, è lo spigolo sinistro di un frammento architettonico, probabilmente un architrave (fig. 11), conservato per circa venti centimetri, che presenta un’iscrizione in caratteri capitali molto accurati: HOC OPUS, cioè questa opera possiamo sottintendere fu fatta...; la scritta doveva essere completata dal nome dell’artefice o del committente, e probabilmente dalla data; così abbiamo trovato nell’iscrizione di Fulberto. Nella parola opus è presente un’abbreviatura simile a quella che si usava nei manoscritti: il dizionario Hoepli l’attribuisce al secolo XIV20. Un secondo elemento (fig. 10), recuperato in due frammenti separati da una frattura obliqua, faceva evidentemente parte di una fascia decorativa, inserita in linea obliqua sulla costruzione: sullo sfondo rosa acceso si eleva in rilievo un elegante girale con semplici motivi vegetali, certo collegato ad altri uguali. Il terzo frammento (fig. 12), all’incirca delle stesse dimensioni del primo, è caratterizzato da una serie di piccoli ovoli uniti tra loro, che decorano il bordo inferiore. Troppo poco per azzardare qualsiasi ipotesi sull’architettura della chiesa e sulla fase costruttiva a cui risalgono i frammenti; ci basti aver individuato un sito di antica e ricca memoria. Di esso abbiamo conferma dal ritrovamento di ossa umane nelle immediate adiacenze dell’attuale magazzino, intorno ai locali di un antico mulino di granaglie, poi trasformato in frantoio, di proprietà dei fratelli Gino e Antonio Patrignani. Alla fine degli anni Settanta, per la ristrutturazione dei macchinari, passati da trazione animale a trazione elettrica, fu eseguito uno scasso ad una certa profondità: ne emersero materiali di varia tipologia e soprattutto scheletri umani, con un mattone posto sotto la testa, che risultava rivolta verso il basso21. Un disegno di fantasia, ma basato sulla documentazione storica, presenta la chiesa in elevato, con annesso il cimitero, così come doveva apparire a Cimarelli che la descrive accuratamente: l’ha proposto Ettore Montesi nel 1984, in una mappa di Corinaldo da lui ricostruita e distribuita in omaggio, datata intenzionalmente al 1642, l’anno di pubblicazione delle Istorie di Cimarelli. La riproduciamo alla figura 13, in aiuto al lettore, per una visualizzazione dei monumenti che andiamo esaminando. Entro il rosso cerchio delle mura 93 13 – Mappa di Corinaldo, datata 1642, ricostruita dall’architetto Ettore Montesi nel 1984, sulla base di documenti archivistici e storici. revixi L’Augel, cui solo al Mondo il Mondo ammira Vago era omai di rinovarsi gli anni, Onde per far la Pira in Rogo, i vanni Batteva al Sol su l’odorata Pira. E mentre il Tempo reo, la Morte dira A lui stavan tessendo ardenti affanni Una penna gli cadde: e questa ai danni De l’un s’oppose, e in un de l’altra a l’ira. Cadde nella tua man VINCENTIO, e scrivi Tu dell’arsa Suasa il duro Annale Oggi con essa, e i nomi estinti avvivi. 94 Testimoni di Pietra E che la Penna tua sia penna tale Qual più vivo segnal puoi darne ai Vivi? Nel Cenere ella or fassi anco immortale. Trascriviamo qui un po’ scherzosamente il sonetto dedicato dal Signor Guid’Ubaldo Benamati a Cimarelli, per rallegrarsi con lo storico in occasione della pubblicazione delle sue Istorie, perché in esso si fa chiaro riferimento alla fenice, il mitico uccello che risorgeva dalle proprie ceneri e riprendeva vita da se stesso22: una penna, caduta dal piumaggio della fenice, ha permesso a Cimarelli di superare il tempo e la morte, e di portare alla resurrezione le vicende dell’arsa Suasa, destinate all’oblìo. L’immagine, ricca di simbologie e di rimandi colti, è stata utilizzata anche dall’ideatore dell’iscrizione allo stemma di Corinaldo, che ugualmente paragona la storia del paese alla sorte della fenice: nata dalle ceneri di Suasa, distrutta dal fuoco di una dura punizione, è stata capace di risorgere dalle nuove ceneri. Abbiamo trovato, quasi a ribadire il concetto, l’mmagine della fenice affrescata al centro del soffitto, in una sala del piano nobile dell’ex Palazzo Ottaviani, e la proponiamo ai lettori come simbolo visivo della città rinata (fig. 14). Infatti, con la fine dei conflitti tra i vari Signori, volta a volta sostituiti da nuovi conquistatori, nel gioco politico drammatico e violento dei secoli XIV e XV, “Corinaldo può finalmente sperare in quello sviluppo economico e demografico impedito dai lunghi anni di guerra che hanno travagliato la regione23” L’ultima parola dello stemma cittadino revixi: son tornata a vivere, ci trasporta in una città ricostruita, rafforzata come si è visto da più solide cortine murarie che i soprastanti architetti non cessano di custodire e potenziare, mentre nuovi quartieri sono costruiti a nord-ovest, anch’essi racchiusi dalle nuove mura. A dare testimonianza eloquente della rinascita non sono singole pietre, ma il complesso stesso della struttura e dell’architettura cittadina, che avvolge il visitatore nel caldo abbraccio del rosso laterizio. Pochi sono infatti i manufatti di pietra visibili all’esterno, lungo le vie: si tratta soprattutto di portali, scalini ed architravi, spesso insigniti di un motto e di uno stemma gentilizio. La pietra utilizzata è per la maggior parte calcare organogeno, proveniente con ogni probabilità dalle cave del Furlo o delle Cesane: presentiamo quasi a simbolo una conchiglia fossile ben visibile in una pietra di fondazione di un palazzo nella piazza Il Terreno (fig. 15). Non mancano epigrafi, portali e fregi Entro il rosso cerchio delle mura 95 14 – Palazzo Tarsi Marcolini, già Ottaviani, in Piazza Il Terreno n. 20: la mitica Fenice affrescata al centro del soffitto in una sala del piano nobile. di arenaria, facilmente reperibile nel pesarese, ma in percentuale minore24. Procedendo lungo le vie, nella città cinta da nuove mura, si avvertono i segni superstiti di decoro artistico, si scoprono aspetti inattesi, perché trascurati dagli sguardi quotidiani, del volto urbano signorile, di interni sconosciuti ma ricchi ancora di oggetti di pregio. Del Rinascimento permangono rari manufatti, pervasi di armonia e di bellezza ma privi di iscrizioni: segnaliamo qui i pochissimi che abbiamo potuto individuare, non tutti accessibili al pubblico. è il caso di una graziosa loggia dai caratteri rinascimentali, tornata alla luce casualmente, durante i lavori di riadattamento di un palazzo destinato ad ospitare il locale Ufficio postale. Il palazzo sorge fra Piazza del Cassero e Il Terreno, un luogo legato alle vicende storiche più importanti del nostro paese. I nomi stessi delle due piazze sono tra loro collegati: secondo le ipotesi più recenti, la spianata denominata “Terreno” prende nome dall’abbattimento del Cassero, le cui rovine erano rimaste ammucchiate lì intorno per lungo tempo25. Furono gli stessi Corinaldesi a distruggere la loro rocca, divenuta simbolo 96 Testimoni di Pietra 15 – Calcare organogeno, comunemente usato nei manufatti di pietra dei palazzi gentilizi del centro storico. di oppressione: essa aveva ospitato prima il prepotente uomo d’armi, rappresentante di Francesco Sforza, Cattabriga o Accattabriga, che l’aveva fatta costruire; cacciato da un coraggioso gruppo di Corinaldesi il Cattabriga, la rocca fu ricetto in seguito di una guarnigione di soldati papalini, più disposti a vessare che a difendere gli abitanti. Indignati, furono proprio i cittadini a demolirla nel 1466, spargendo a terra il materiale da costruzione. La rocca non fu più ricostruita, il terreno di risulta fu spianato e nuovi edifici sorsero su quell’area, inglobando le fondamenta e alcuni settori dell’antico Cassero: Cimarelli racconta le vicende della distruzione della fortezza, e della ricostruzione su quell’area del palazzo della nobile famiglia Simonetti, in seguito estinta. Anche in questo caso, il suo racconto risulta sostanzialmente veritiero: lo confermano le indagini condotte dagli architetti Ettore Montesi, Stefano Lenci, Fabio Mariano nei sotterranei dell’edificio, dove sono riconoscibili muraglie di fondazione ed archi di scarico di un probabile pontile. Al primo piano poi, la sorpresa più straordinaria: a malapena affiorante dalla cortina muraria di tamponamento, è stata riconosciuta “una stupenda loggia costituita da quattro archi con tre colonnine in marmo ed agli estremi due lesene”26. La loggia potrebbe corrispondere ad un ambiente della residenza del castellano, ricostruibile attraverso un documento dell’epoca, l’Inventarium Roche Corinaldi, redatto nel 1455 per la consegna della rocca da parte del Commissario pontificio (Corinaldo da poco si era sottomessa alla Chiesa) al nuovo castellano. Nel documento vengono elencati minuziosamente gli oggetti contenuti nei vari locali, fra i quali si nomina una loggia con pozzo27: la balconata ci appare rappresentata nella mappa del 1642 ricostruita da Entro il rosso cerchio delle mura 97 Montesi. Non è solo un sottile piacere della fantasia intravedere tra le arcate della loggia la figura di una donna di inestimabile bellezza, modestia e dolcezza di costumi, Bianca Maria Visconti, moglie del conte Francesco Sforza. La presenza della dama a Corinaldo è attestata sicuramente nel 1443 e nel 144528: la comunità si sottopone a spese di rappresentanza, di cui ci resta la registrazione scritta, per fornirle una degna accoglienza e il Cattabriga la ospita con tutti gli onori proprio nel Cassero, residenza che lui stesso ha fatto costruire e dove risiede con la moglie Antonella 29. La fantasia si sposa dunque con la realtà storica, ricostruibile attraverso i documenti d’archivio e gli eleganti marmi della loggia, certo disegnata da un’abile mano. Lo stile dei capitelli ricorda quello usato nella biblioteca Malatestiana di Cesena, costruita per Novello Malatesta tra il 1450 ed il 1452 dall’architetto umbro Matteo di Nuccio detto Nuti. Il personaggio costruisce l’alto mastio della Rocca malatestiana di Fano tra il 1438 e il 1452, una delle opere esaminate da Fabio Mariano come coeva e verosimilmente similare al Cassero corinaldese30: “il gusto un po’ di invenzione” del Nuti si intravede anche nei capitelli di Corinaldo La loggia, fortunosamente preservata nel tempo, ha rischiato di scomparire ai nostri giorni, non appena riscoperta. L’antica dimora dei Simonetti è stata infatti assorbita, nel corso del Settecento, dal grandioso Palazzo Romaldi, che prospetta al Terreno, oggi purtroppo in stato di grave decadenza a causa dei decenni di abbandono. Il fabbricato è passato nella proprietà dell’Opera Pia Asilo infantile, amministrata dagli Istituti Riuniti di Beneficenza, in seguito a lascito testamentario del conte Giacomo Cesarini Romaldi, stilato nel 1930 e accettato nel 197831. Nel 1991 il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, tramite la Società Italposte-Edilizia, instaura la procedura espropriativa dell’immobile, richiesto come sede dell’Ufficio postale, e ben presto vengono iniziati i lavori di ristrutturazione per la nuova funzione32. In quella circostanza una ricognizione di Ettore Montesi e Italo Pelinga, molto interessati alla storia dell’edificio, permise l’individuazione della loggia che fu subito segnalata per salvaguardia; ma i lavori della ditta appaltatrice proseguirono tanto rapidamente che la struttura rinascimentale fu abbattuta e le pietre pregiate trasportate, insieme con il restante materiale, in una discarica. Soltanto un fermo intervento dello stesso Montesi presso l’Amministrazione comunale permise il recupero dei marmi che furono 98 Testimoni di Pietra 16 – Marmi della loggia rinascimentale estratti in frantumi dal palazzo ex Simonetti in Piazza del Cassero e collocati temporaneamente nei depositi comunali di Via del Teatro (foto1997). momentaneamente accatastati in un deposito comunale, dove noi stessi li abbiamo fotografate (fig. 16). Successivamente la loggia è stata ricostruita, utilizzando gran parte del materiale recuperato, al primo piano dell’Ufficio postale (fig. 17): purtroppo possono lì ammirarla soltanto gli impiegati e gli addetti, dal momento che l’accesso ai locali è vietato agli estranei. Le colonnine non sostengono più le antiche volte, ma si elevano isolate al di sopra di un ricostruito muretto di mattoni, distanziate in maniera diversa dall’istallazione originale. In luogo della volta affrescata, le copre un soffitto a travature di legno dal quale pendono moderni tubi di metallo e plastica per l’illuminazione; alla parete di fondo permangono tracce di affreschi quasi illeggibili e due rombi a bande azzurre e gialle, che ricordano i colori dello stemma dei Della Rovere, labile traccia di una presenza oscurata. Un convento per ospedale è facile notare che il marmo, usato per le colonne e le lesene della loggia ora descritta, è rarissimo negli arredi urbani pubblici e privati e denota particolare ricchezza e raffinatezza. Per altri manufatti ornamentali del Rinascimento si usa il calcare, pur lavorato con notevole raffinatezza: ce ne Entro il rosso cerchio delle mura 99 17 – La loggia rinascimentale dell’ex Palazzo Simonetti ricostruita nell’ambiente in cui è stata ritrovata, attualmente adibito ad Ufficio Postale dall’Ente Poste Italiane, in Piazza del Cassero. Quattro colonne h 160, circonferenza 58; base h 15; capitelli h 25; due lesene 185x18x7; le colonne sono state ricomposte su un muretto di laterizio e distanziate tra loro di cm 130 nella parte anteriore, di cm 180 sul fronte laterale, secondo un modulo che si discosta da quello originale. 100 Testimoni di Pietra 18 – Pozzo rinascimentale di pietra calcarea a sezione ottagonale nel chiostro della chiesa di San Francesco. Sono visibili sei lastre di rivestimento 80x60x4, inserite tra la base inferiore e la vera, bocciardate nello sfondo e decorate con fasce geometriche levigate e dipinte di nero; altre due lastre sono occultate dal rivestimento in laterizio che copre la sommità del pozzo. offrono esempio le eleganti lastre che rivestono il pozzo del chiostro (fig. 18) dei Minori Conventuali, adiacente alla chiesa di San Francesco33. Cimarelli aveva già ammirato la bella cisterna al centro del bel Chiostro di molti archi formato, in quattro ale diviso, con le doppie volte rinnovato e d’inestimabile bellezza rifatto dopo il Capitolo del 1503, con i lasciti di messer Francesco di Domenico da Corinaldo. Attualmente l’ambiente è degradato a causa delle trasformazioni subite, ma le belle pietre della cisterna parlano ancora il linguaggio del rigore e dell’armonia rinascimentale. Sei lastre visibili rivestono il vano verticale del pozzo a sezione ottagonale, inserite tra le pietre calcaree della base e della vera, consunta in due punti dalle corde dei secchi. Lo specchio delle lastre è inciso da nitidi disegni geometrici, che alternano figure più complesse a semplici rombi, e creano un armonico gio co di linee rette e curve. La sovrapposizione a tutto il pozzo di una copertura in laterizio, alquanto rozza, nasconde due lastre laterali ma non oscura la Entro il rosso cerchio delle mura 101 grazia originaria del manufatto. Anche questo leggiadro monumento è oggi praticamente escluso dalla vista dei cittadini perché il chiostro è stato destinato a luogo di servizio per le cucine. L’antico convento è stato infatti trasformato in ospedale e tutta la struttura, la miglior sede che i Minori Conventuali avessero nella Diocesi di Senigallia, ne è rimasta sconvolta. Il passaggio ebbe inizio con l’abolizione di tutti gli ordini, compagnie, congregazioni e associazioni religiose imposta dal regime napoleonico nel 1810; i locali, ancora abitati da otto religiosi e quattro studenti, furono convertiti in ospedale nel 1817, quando un gruppo di Corinaldesi (“nobili filantropi” secondo alcuni, “pochi fanatici” secondo altri) ottenne di ricoverarci alcuni malati di tifo petecchiale. In precedenza l’ospedale era allestito vicino alla Porta San Giovanni e annesso alla chiesa di San Rocco, di fondazione quattrocentesca, rifatta e ben attrezzata ai tempi di Cimarelli ma decadente agli inizi dell’Ottocento ed attualmente abbattuta: l’ubicazione è visibile nei disegni della mappa già nota. Nonostante il disappunto del vescovo di Senigallia Fabrizio Sceberras Testaferrata, che invano tentò di arrestare il provvedimento, nel 1820 la Sacra Congregazione acconsentì alla trasformazione del convento in ospedale, e la decisione fu sancita da un rescritto di papa Pio VII dello stesso anno. Parecchie lapidi si affiancano sul primo ripiano del luminoso scalone d’onore per testimoniare le trasformazioni subìte dall’edificio: la più antica (fig. 19) collocata in mezzo alle due ampie finestre e contornata da una ricca cornice di stucco, è stata apposta dagli stessi Conventuali ed esalta il convento quale luogo scelto in molte occasioni dalla gerarchia dell’Ordine per tenervi le assemblee, destinate ad eleggere i padri provinciali. L’intitolazione in latino dell’epigrafe: Monumentum, cioè testimonianza indica l’importanza che si volle dare, con questo documento di pietra, alla storia del convento: se ne ricorda la presenza e la rilevanza fin dal 1527, anno in cui si tenne un Capitolo provinciale, registrato anche negli archivi consultati da Padre Gustavo Parisciani, tra i più approfonditi studiosi della storia del Francescanesimo nelle Marche. La lapide è stata affissa due secoli più tardi, e l’occasione non era trascurabile: dopo vari terremoti infatti, e specialmente dopo quello del 1727, il convento fu ricostruito dalle fondamenta nelle forme e nello stile in cui appare oggi ai nostri occhi, soprattutto per quel che riguarda gli interni. Il convento poteva dunque di nuovo ospitare i Capitoli a partire dal 19 – Lapide di arenaria 70x115 delimitata da una cornice di stucco, murata tra le due finestre al primo ripiano dello scalone d’accesso all’Ospedale, Viale degli Eroi n. 7. Monumentum. / Habitis Comitiis pro(vincialibus) in hoc coenobio F(ratrum) M(inorum) Con(ventualium) / D(omini) Francisci terrae Corinalti a(nno) D(omini) MDXXVII XVI cal(endas) / Iun(ias) renunciatus est Min(ister) Pro(vinci)alis a(dmodum) r(everendus)P(ater) M(agister) Ludovicus de S(ancto) / Leone Feltrius. / Praeterea a(nno) D(omini) MDCCXLVIII convocata est hic et peracta annua / lis Congreg(ati)o XIV. XIII. XII. cal(endas) Iun(ias) Praeside a(dmodum) r(everendo) P(atre) M(agistro) Iosepho / Maria Avetrani de Monte S(ancti) Petri Angel(orum) Min(istro) Pro(vinci)ali et Com(missario) / Gen(erali). / Postremo recurrentib(us) Comitiis pro(vinci)alibus a(nno) D(omini) MDCCXLIX in hoc / ipso coeno bio ea laute splendideque celebrata sunt XV XIV XIII / cal(endas) Iun(ias) Moderatore ac Praeside a(dmodum) r(everendo) P(atre) M(agistro) Iosepho Maria Mode / stini de Perusio exsecr(etario) Ord(inis) Prov(inciae) Seraph(icae) Min(istro) Pro(vinci)ali et Com(missario) / Gen(erali) atque omnium consensione P(atrum) declaratus est Min(ister) Pro(vinci)alis / a(dmodum) r(everendus) P(ater) M(agister) Philippus Tommasini Forosempronien(sis) Sopra la lapide è affisso un ritratto in stucco, alla cui base una lastra di marmo 20x45 contiene l’iscrizione: Conte Pompeo Perozzi, Presidente della Congregazione di Carità. Operò efficacemente all’affermazione e all’incremento di questo Istituto 103 Entro il rosso cerchio delle mura 1748, anno in cui era certo completato, e nel 1749 era onorato dalla presenza di personaggi insigniti delle maggiori cariche della gerarchia: Durante il Capitolo provinciale in questo convento dei Frati Minori Conven tuali di San Francesco della terra di Corinaldo, nell’anno del signore 1527, fu eletto Ministro Provinciale il molto Reverendo Padre Maestro Ludovico da San Leo Feltrio. Inoltre nell’anno del Signore 1748 fu convocata e qui si svolse la Congregazione annuale il 19, 20 e 21 maggio, presieduta dal molto Reverendo Padre Maestro Giuseppe Maria Avetrani da Montesanpietrangeli, Ministro Provinciale e Commissario Generale. Infine nell’anno 1749 in questo stesso convento fu celebrato il Capitolo provinciale con solennità e splendore il 18,19 e 20 maggio, essendo moderatore e Presidente il molto Reverendo Padre Maestro Giuseppe Maria Modestini da Perugia, Segretario dell’Ordine della Provincia Serafica, Ministro Provinciale e Commissario Generale, e all’unanimità fu eletto ministro provinciale il molto Reverendo Padre Maestro Filippo Tommasini da Fossombrone. Della successiva ricostruzione della chiesa di san Francesco, avvenuta ad opera dell’architetto Arcangelo Vici tra il 1752 e il 1759, ci dà conferma un’altra epigrafe (fig. 20) della stessa epoca e dello stesso stile: è affissa all’interno della chiesa, nella prima cappella di destra, e ricorda l’indulgenza plenaria per i defunti, concessa da Benedetto XIV: Questo altare eretto a gloria di Dio Onnipotente, in onore di San Francesco Confessore, fu insignito del privilegio quotidiano perpetuo a suffragio di tutti i defunti: vi possono celebrare tutti i sacerdoti in forza del Breve del 4 ottobre 1751 del sommo Pontefice Benedetto XIV; altare a ciò designato dal Ministro generale dell’Ordine il 16 settembre 1757. Anche questo privilegio papale è un segnale dell’importanza sia della chiesa sia del gruppo dei Conventuali che lo richiese e ai quali fu concesso. La chiesa mantenne la sua funzione, ma il convento, come si è visto, fu trasformato in ricovero per malati ed ospizio per i poveri. A darcene testimonianza si incaricano altre lapidi collocate vicino a quella dei Conventuali, nelle pareti laterali dello stesso scalone dell’attuale ospedale, diverse tra loro per dimensioni, materiale e periodi storici. Le accomuna però lo stesso contenuto e la stessa lingua, l’italiano: fanno tutte menzione di personaggi, corinaldesi e non, che hanno elargito i loro averi a favore degli Enti benefici, che con vari nomi si sono susseguiti nel 104 Testimoni di Pietra 20 – Lapide di arenaria 70x85 racchiusa da una cornice di stucco, nel primo altare di destra della chiesa di San Francesco; l’iscrizione è sormontata e conclusa da due croci poste al centro della scritta. Altare hoc omnipotenti Deo in / honorem S(ancti) Francisci confes(soris) / erectum privile gio quotidiano / perpetuo ac libero pro omnibus / defunctis ad quoscumq(ue) Sacerdotes / vigore brevis Benedicti P(a) P(ae) / XIV die IV octob(ris) MDCCLI / insignitum atq(ue) a Ministro Gener(ali) / Ord(inis) die XVI mensis septembris / MDCCLVII designatum tempo per migliorare le condizioni dei cittadini più poveri. Il dato più antico riguarda l’anno 1500: messer Francesco Fata, contemporaneo e forse parente del Cavaliere aurato Giovanni Andrea Fata che conosceremo più oltre, per primo assegnò una quantità del proprio grano per dar vita al Monte Frumentario, il deposito di riserva del prezioso seme, da consegnare, dietro idonea fideiussione o “sigurtà”, a quanti, per disgrazie varie, non avessero potuto trattenere le scorte necessarie per la nuova semina: Messer Francesco Fata nel 1500 diede some 40 di grano per distribuirsi ai poveri e così ebbe origine il Monte frumentario. Il primo deposito avrà uno sviluppo notevole, tanto che potrà stabilirsi in seguito su 32 salme di grano, gestito dal Monte di Pietà; a distanza di quindici anni infatti, nascerà questa nuova istituzione, per iniziativa di un Entro il rosso cerchio delle mura 105 altro privato, ricordato nella stessa lapide (fig. 21): Bartolomeo Calcagni di Agostino da Crema, abitando in Corinaldo, del 1515 legò fiorini 100 ad erigere il Monte di Pietà a condizione che vi contribuisse col doppio della stessa somma la Comunità di Corinaldo la quale il 3 gennaio 1517 depositò i fiorini 200 e nel Consiglio del 6 dello stesso mese nominò tre Conservatori ed un Ufficiale per l’amministrazione del Monte di Pietà Arricchiscono le pur precise parole della lapide le notizie presenti nell’archivio comunale di Corinaldo, ormai estremamente scarse rispetto ai fondi originari, e pubblicate, con la relativa bibliografia, ad opera dell’archivista Carlo Giacomini, nel volume già citato; ulteriori notizie sono presenti nello studio di Renzo Fiorani sui Monti di Pietà della Diocesi di Senigallia34. Possiamo così sapere che la condizione imposta da Bartolomeo fu rispettata dalla Comunità di Corinaldo, che versò i duecento fiorini traendoli da un dazio imposto sulle ghiande e dalla vendita del legname delle selve comunali. Il deposito avrà certo rappresentato notevole aggravio per le risorse della cittadina, impegnata proprio in quegli anni ad armarsi per sostenere gli scontri tra i Medici e i Della Rovere, che sfoceranno nel duro assedio di Francesco Maria I della Rovere, nel 1517. Eppure l’impegno fu assolto, a dimostrazione del favore in cui era tenuta dalla sensibilità civica, proprio in quell’epoca, l’istituzione dei Monti. Il lascito di Bartolomeo Calcagni ci ricorda che erano gli stessi notai che, per obbligo imposto dal Consiglio, sollecitavano i testatori a lasciare offerte per il Monte di Pietà: l’esortazione veniva spesso assecondata, a giudicare dai cospicui beni accumulati nel corso dei secoli dal Monte, enumerati da Cimarelli, registrati in numerosi atti del Consiglio di quegli anni e, come si vede, trasferiti anche sulla pietra. Un Officiale detto Montista e quattro Conservatori eletti dal Consiglio curavano l’amministrazione dei beni; il Monte gestiva anche l’ospedale annesso alla chiesa di San Rocco, di cui si è parlato, ricovero per i bambini abbandonati dai genitori, gli “esposti”, e per le fanciulla da maritare con una minima dote, offerta dai fondi del Monte. è questo probabilmente il legame che permette di giustificare la presenza delle lapidi all’interno dell’ospedale attuale: notiamo che anche quelle che riportano le donazioni del 1500 non sembrano dell’epoca, perché allora per le iscrizioni si usava il latino; ci viene persino il dubbio che alcune iscrizioni siano state tratte proprio dai documenti di archivio, per la coincidenza delle parole usate Su chi le abbia volute lì, da dove provengano, in quale 106 Testimoni di Pietra 21 – Due lapidi di marmo sovrapposte, murate nella parete destra del primo ripiano dello scalone dell’Ospedale; in alto, lapide 20x53, con iscrizione: Filippo Vicerè nel 1816 legò / ai poveri un terreno / del valore di circa L. 500; in basso, lapide 73x85, con due iscrizioni: sopra Bartolomeo Calcagni di Agostino da Crema / abitando in Corinaldo del 1515 legò fiorini 100 / ad erigere il Monte di Pietà a condizione che vi / contribuisse col doppio della stessa somma la co / munità di Corinaldo la quale il 3 gennaio 1517 / depositò i fiorini 200 e nel Consiglio del 6 dello / stesso mese nominò tre Conservatori ed un Ufficiale / per l’ammini strazione del Monte di Pietà; sotto: Messer Francesco Fata nel 1500 diede some 40 di grano per distribuirsi ai poveri e così ebbe origine il M(onte) Frumentario Entro il rosso cerchio delle mura 107 epoca siano state scritte, nessuno ha saputo darci notizia: azzardiamo pertanto noi qualche ipotesi. Riteniamo che provengano dall’ospedale di San Rocco o, forse meglio, dalla vecchia sede del Monte, allestito negli ambienti del Palazzo pubblico (come ricorda Cimarelli) e allargatosi in seguito in altri magazzini, ricavati in locali vicino a Porta Nuova. Quando, nel 1817, fu costituita la Congregazione di Carità per amministrare il nuovo ospedale, possiamo pensare che l’istituzione volesse ribadire subito la nuova funzione dell’edificio, evidentemente contrastata da molti. Alla lapide dei Conventuali furono affiancate, pensiamo in funzione ideologica, le altre iscrizione, ben cinque, che esaltano le benemerenze di quanti nel tempo si erano schierati dalla parte della “pubblica assistenza”, diremmo oggi, favorendola con offerte anche molto cospicue. Negli elenchi dei benefattori sono infatti presenti donazioni risalenti a prima della trasformazione del convento in ospedale: una del 1718, un’altra del 1816 (fig. 22B). Una lapide a sé stante (fig. 22A) ricorda che Bernardino Mazzoleni nel 1665 legò ai poveri le rendite di un podere del valore di circa L. 19.000 col quale podere, cedutane dagli eredi la proprietà, fu istituita l’Opera Pia Mazzoleni Sandreani. La lapide più recente, benché priva di date, ci sembra proprio quella della Congregazione (fig. 23): La Congregazione di Carità di Corinaldo, memore e riconoscente, designa alla pubblica beneficenza (sic) i benemeriti…; segue l’elenco, corredato delle cifre versate, dei privati e delle istituzioni che contribuirono al mantenimento della sezione cronici, dell’ospedale, degli Istituti di beneficenza: notiamo che tra i benefattori è presente anche la Cassa di Risparmio che ci permette di stabilire come termine ante quem gli anni 1927 o 1928, dopo i quali la Cassa di Risparmio di Corinaldo, che ebbe origine nel 1858, fu assorbita dalla Cassa di Risparmio di Jesi, assumendone il nome. Del resto il Monte assicurava la funzione anche di pubblica cassaforte (e per questo fu anche visitato dai ladri), anzi questo servizio si mantenne più a lungo di quello dei prestiti, fino a trasformare gran parte dei Monti in moderni istituti di deposito e credito monetario. Più in alto di tutte, domina le altre lapidi un ritratto di stucco, sotto il quale corre l’iscrizione: Conte Pompeo Perozzi. Presidente della Congregazione di Carità, operò efficacemente all’affermazione e all’incremento di questo istituto. Anche questo riconoscimento si colloca nei primi anni del Novecento, a ricordo di un sindaco di Corinaldo (1890-1896) che molto si interessò ai problemi sociali della città, fino alla morte avvenuta nel 1908. Il Monte di Pietà 108 Testimoni di Pietra A B 22 – Due lapidi di marmo sovrapposte, murate nel primo ripiano dello scalone dell’Ospedale, parete sinistra; in alto, lapide 30x60, con iscrizione: Bernardino Mazzoleni nel 1665 legò ai poveri / le rendite di un podere del valore di circa L. 9.000 / col quale podere, cedutane dagli eredi la proprietà, / fu istituita l’Opera Pia Mazzoleni Sandreani; in basso, lapide 70x80, con iscrizione: Lasciarono alle opere pie di Corinaldo: Il canonico don Felice Brunoro Brunori nel 1718 la metà del fruttato di 4 censi di scudi 25 ciascuno. / Cristina Brunori in Savelli nel 1849 coppe quattro di grano all’anno. / La contes sa Carolina Filippi vedova Gaetani nel 1852 L. 1596. / Don Pasquale Marchetti nel 1855 un fondo rustico del valore di L. 2280. / Annacleta Giombi ved. G.B. Orlandi il suo patrimonio. / Elisabetta Fermani ved. Brunori nel 1862 L. 532. / Il nobil uomo Domenico Brunori nel 1867 L. 2006,29 in censi attivi. / Adelaide Pasqualini fu Giuseppe nel 1867 il fabbricato in Borgo mercato detto Le caselle. / Giacomo Brunori di Luigi nel 1870 L. 1266 Entro il rosso cerchio delle mura 109 23 – Lapide di marmo 145x60, murata alla parete destra nel primo ripiano dello scalone dell’Ospedale; è delimitata da una linea incisa e dipinta di nero che disegna motivi geometrici ai quattro angoli. La Congregazione di Carità di Corinaldo / memore e riconoscente / designa / alla pubblica beneficenza / i benemeriti Boscarini don Pietro che donò alla sezione cronici L. 500 Municipio di Corinaldo “ “ “ “ L. 3000 Cassa di Risparmio “ “ “ “ L. 100 Cesarini Romaldi Vincenzo“ “ “ “ L. 100 Bonci Luca all’ospedale L. 500 Ciani Giuseppe= fondo rustico“ “ “ “ L. 6500 Manfredi Matilde in Ceccacci“ “ “ “ L. 50 Barbaresi Nicola “ ““ “ L. 250 Silviotti Maria“ ““ “ L. 750 n.d. Elena Orlandi Romaldi agli istituti L. 18.000 110 Testimoni di Pietra Originate o no da una polemica istituzionale, a questo punto ci pare che le lapidi in memoria dei Monti di Pietà, e della loro evoluzione, stiano bene proprio lì, nel convento dei Padri francescani. è opportuno ricordare con Renzo Franciolini che la nascita dei Monti si deve proprio all’iniziativa e alle esortazioni dei Francescani, e in modo particolare a quelli della nostra regione: il francescano Domenico da Leonessa fondò il primo Monte ad Ascoli nel 1458, seguito da molti altri in varie località delle Marche, come Fano e Arcevia. è il padre predicatore minore francescano Giovanni da Fermo che convince i Confalonieri e i Priori del Consiglio di Sassoferrato a istituire un Monte di Pietà, che sarà creato nel 1472; così pure gli Statuti del Monte di Fabriano del 1470 furono ispirati e in larga misura elaborati dal minore francescano Beato Marco da Montegallo, autorità indiscussa nell’apostolato contro l’usura35. Vicini al popolo più dei monaci, ne vedevano le miserie e le vessazioni da parte degli usurai, ebrei e cristiani, che pretendevano interessi fino al 65%. I Francescani non si accontentarono delle prediche contro questo male sociale, ma presero per primi l’iniziativa: allontanatosi il grande predicatore che dava l’impulso iniziale, semplici frati organizzarono nelle nostre città la pratica di un piccolo prestito sul quale non veniva applicato nessun interesse, mo solo richiesto un pegno. Dall’originaria spinta caritativa cristiana, spesso ci si allontanò molto da parte degli amministratori; alla fine dell’Ottocento l’istituzione aveva ormai perso i motivi del suo essere e fu sostituita da altre forme di statuti (tuttavia il Monte di Pietà di Corinaldo era ancora attivo nel 1891), fino a scomparire definitivamente: a Corinaldo nel 1915. Non stona pertanto la testimonianza di pietra sull’origine del Monte dentro un edificio francescano. Da venti anni ormai anche la sorte del convento-ospedale è molto cambiata: dagli anni Sessanta agli Ottanta l’istituto è stato al centro dell’afflusso di malati da tutti i paesi vicini, grazie alla presenza di medici (ricordiamo per tutti il dottor Federico Alfonso Pagliariccio, deceduto nel 1980) e di attrezzature qualificate; ma l’accentramento degli istituti ospedalieri, ritenuto necessario nel corso degli anni Ottanta, e le trasformazioni operate dalle Unità Sanitarie Locali, determinarono, nonostante le proteste e l’opposizione della cittadinanza, la chiusura dei reparti di degenza a Corinaldo e la loro trasformazione in Residenza Sanitaria. Attualmente sono rimasti in funzione un poliambulatorio e un reparto per gli esami radiografici. Il cedimento di un’ala moderna dell’edificio ha imposto inoltre la Entro il rosso cerchio delle mura 111 ristrutturazione totale del complesso, che avviene sotto i nostri occhi, e che sta oscurando, per motivi tecnici, anche l’aspetto settecentesco del nobile edificio: altre lapidi ne racconteranno forse l’evoluzione, ci auguriamo in positivo. Le chiavi per la città C’è un’altra pietra di stile rinascimentale che, a differenza del pozzo di San Francesco, può essere ammirata da tutti, collocata com’è in un luogo pubblico, il ristorante “Ai nove Tarocchi”, lungo il Viale Dietro le Monache. Chiun que si avvicini al bancone di mescita la vede di fronte a sé, ben collocata in alto sul muretto laterale di sinistra. La bella pietra dal caldo colore della sabbia, esibisce al centro lo stemma della città (fig. 24), le chiavi incrociate sui sei colli, racchiuso entro una ricca cornice e sormontato da un motivo decorativo a membrana. Due ampie volute ornano lo spessore delle facce laterali fino alla sommità. è con molta probabilità il concio di chiave di un portale a cui potevano essere affiancati gli altri due decori, ora posti ai lati di un’apertura interna: due trionfi di frutta - a nostro parere montati in posizione rovesciata - sostenuti da un calice. Da dove provengano e quale edificio abbiano ornato, non è stato possibile definire: sappiamo soltanto che si trovavano nello stesso luogo in cui sono ora esposti, luogo adibito negli anni Sessanta a deposito comunale. Un gruppo di giovani del tempo, riunito nel “Centro sociale culturale” che diede in seguito vita all’associazione “Pro loco”, desideroso di rianimare la vita piuttosto spenta del paese, chiese i locali all’Amministrazione comunale per poterli trasformare in un bar, destinato soprattutto ai giovani. Durante i lavori di ristrutturazione di cui si interessò anche economicamente il concittadino Romolo Bettini, venne ritrovato il manufatto, oggi opportunamente riesposto alla vista di tutti. Chiamiamo la pietra tra i testimoni più antichi del nuovo stemma della civitas che, dal 19 gennaio 1452, può insignirsi del simbolo delle chiavi, ancora oggi custodite nell’ufficio del sindaco (fig. 25): il papa Nicolò V, in quell’anno, con un suo Breve riconosce a Corinaldo numerosi privilegi; conferma i Capitoli nei quali i Corinaldese domandavano di essere immediatamente soggetti alla Santa Sede e di potersi governare con statuti propri36; dona insieme le chiavi di San Pietro, le stesse che nei suoi stendardi usa in 112 Testimoni di Pietra 24 – Ristorante “Ai 9 Tarocchi”, Viale dietro le Monache, n. 8. Concio di volta 50x26 nel bordo superiore, x16 nel bordo inferiore, ornato da due volute nelle facce laterali e, in quella centrale, da un motivo ornamentale a membrana; tracce di gocce alla base; al centro, entro uno scudo, è presente lo stemma di Corinaldo, sei colli sormontati dalle chiavi decussate. Roma la Sede Apostolica e vuole che quelle incrocciate aggiungessero all’Ar ma del Comune che sono li sei monti. Se consideriamo la bellezza del manufatto, la sua evidente funzione celebrativa e l’ottimo stato di conservazione, lo possiamo pensare esposto sotto il loggiato dell’antico Palagio malatestiano; o forse come ornamento della Porta Nova, che si trova nelle immediate vicinanze dei “Tarocchi” e che fu completata alla fine del Quattrocento: Cimarelli afferma che una lapide (spesso citata ma ora perduta) era affissa alla porta e dichiarava in latino Quest’opera fu terminata nel 1490. Entro il rosso cerchio delle mura 113 25 – Le chiavi simboliche della città di Corinaldo, donate nel 1452 alla Comunità da papa Nicolò V e conservate nell’ufficio del Sindaco. La lapide è perduta, ma ci resta questo stemma, insigne simbolo del rango di città; Corinaldo ne otterrà però l’attuazione formale solo con il Breve di papa Pio VI del 20 giugno 178637. Sono purtroppo spariti i documenti originali che attestavano questi importanti snodi politici della storia di Corinaldo: l’archivista Giacomini pubblica nel 1998, come si è visto, il contenuto dell’Archivio comunale di Corinaldo e presenta anche l’elenco delle pergamene disperse: tra queste risultano sparite le Bolle e i Brevi di Nicolò V e il Breve di Pio VI, in copia, con la concessione del titolo di Città a Corinaldo. Nell’archivio Carafòli una foto, da lui stesso donata nel 1980 a Fabio Ciceroni allora sindaco e datata 1936, presenta le chiavi simboliche della città, appoggiate sopra la copia manoscritta del Breve di Pio VI: l’immagine emblematica, prodotta con intenti artistici più che documentari, resta tuttavia un’importante testimonianza cronologica della presenza del documento a Corinaldo, e insieme 114 Testimoni di Pietra della soddisfazione che i Corinaldesi antichi e moderni hanno sempre provato per l’ambìto titolo. Scalinari e polentari E ben meritarono il riconoscimento i Corinaldesi che, dopo essersi liberati nel 1447 prima del Cattabriga e poi delle pretese degli Sforza sul loro territorio, spontaneamente inalberarono alla cima delle Torri i Pontifìci stendardi e in tutte le circostanze successive mostrarono intiera e candida fe’ verso la Chiesa. Si presenterà l’occasione di mettere alla prova la reciproca affezione tra i Papi e la Comunità corinaldese all’inizio del nuovo secolo. La Chiesa, come è noto, è retta in quegli anni da prìncipi più che da pontefici: essi dispongono spesso delle terre soggette alla Santa Sede per assegnarle ai propri parenti e nipoti, sottraendole ai precedenti signori, legati al casato del papa deceduto: si invocava infatti l’argomento che occorreva deputare al governo degli Stati della Chiesa, anche per il bene dei sudditi, persone che godevano la piena fiducia e benevolenza del Pontefice in carica. Il papa Leone X, della famiglia dei Medici, succeduto a Giulio II Della Rovere, assegna nel 1516 i domini feltreschi e rovereschi a suo nipote Lorenzino de’ Medici, creandolo Duca di Urbino al posto di Francesco Maria I della Rovere: quest’ultimo tenta un accordo con la munita piazzaforte di Corinaldo, ma il suo atteggiamento eccessivamente sospettoso porta i Corinaldesi a schierarsi con Lorenzino e con il Papa e ad affrontare, per questo, un terribile assedio: esso risulterà tuttavia inutile e renderà straordinariamente famoso il coraggio degli assediati e la resistenza delle mura, invano sottoposte ai colpi di artiglieria di Francesco Maria. Si tratta del famoso assedio del 1517 sul quale Cimarelli si dilunga ampiamente, che viene citato anche da Francesco Guicciardini tra gli episodi memorabili della storia d’Italia, e divulgato da tanti altri scrittori che ce ne lasciano testimonianza letteraria38. Lo stesso Leone X, in un Breve del 6 dicembre 1517 riportato per intero da Cimarelli, loda i Corinaldesi, fidelissi mi subditi, per aver mostrato tanta fede e costanza nell’affrontare i pericoli del lungo ed aspro assedio. Non ne potremmo invece parlare noi, se non ci soccorresse un documento epigrafico modestamente affisso al n. 1 di Via dei Simonetti: la piccola targa di metallo (fig. 26), già parzialmente ossidata, lancia un messaggio che può risultare oscuro e che ci incarichiamo di chiarire, sulla testimonianza degli autori: Qui nel 1978 scoccò la scintilla che incendiò lo spirito gioioso degli “scalinari”, i quali vollero ribaltare la nomea di polen- Entro il rosso cerchio delle mura 115 26 – Targa di metallo apposta alla parete esterna dell’abitazione di Via Simonetti n. 1. Qui nel 1978 / scoccò la scintilla / che incendiò lo spirito gioioso / degli “scalinari” / i quali vollero ribaltare / la nomea di polentari loro attribuita / in una risonanza festo sa / che diede lustro a / Corinaldo tari loro attribuita, in una risonanza festosa che diede lustro a Corinaldo. La targa è stata affissa dai primi ideatori di una festa paesana, oggi divenuta tanto nota e pubblicizzata da far dimenticare al grande pubblico la sua stessa origine: la “Festa del pozzo della polenta”. L’iscrizione rivendica il primo impulso dato alla manifestazione da parte di alcuni corinaldese residenti nel quartiere della Piaggia, la bella scalinata che dalla Porta di sotto al Palazzo del Publico ascende: gli scalinari appunto. Per spirito gioioso e voglia di stare insieme, nell’estate del 1978 avevano iniziato a cenare all’aperto, lungo la scalinata, sotto gli occhi ammirati e vogliosi dei passanti; generosi e divertiti, pensarono di rendere pubblici i loro festini e idearono per l’anno successivo una festa in comune: estrassero dai bauli delle nonne abiti tradizionali, monili e ornamenti, infilarono ai giovanotti calzamaglie verdi e nere per una sfilata che si concludeva con un ballo finale: era la “Prima festa rionale della Scalinata”. Negli anni seguenti gli spiriti più dotti suggerirono di inserire la festa in una cornice storica e, attingendo alle Istorie di Cimarelli, si soffermarono sull’episodio glorioso dell’assedio del 1517: presi dal piacere del gioco, e forzando un poco la mano, immaginarono che la sfilata in costume si dovesse svolgere per accogliere Lorenzino de’ Medici, venuto a Corinaldo dopo l’assedio per rendere omaggio ai coraggiosi Corinaldesi. Il fatto che la visita ducale non avvenne mai nella realtà, è diventato ormai un dettaglio trascurabile: da quel giorno, di anno in anno, si accorre a Corinaldo dai lidi e dalle convalli per attendere l’arrivo del Duca e della Duchessa di Urbino e dei loro cortigiani, in splendidi abiti rinascimentali. 116 Testimoni di Pietra Il popolo gode della visione principesca, ma gli scalinari non dimenticarono i risvolti più popolari della tradizione corinaldese; pescarono tra storie e storielle di Corinaldo e, invece di vergognarsene, ribaltarono in gloria la nomèa di polentari loro attribuita dagli stizzosi paesani delle vicine vallate. Li rinfrancava anche l’appoggio morale di Mario Carafòli, sostenitore delle tradizioni corinaldesi esposte in articoli ed opuscoli; egli stesso diffuse proprio in quegli anni, in una trasmissione radiofonica, la leggenda della polenta nel pozzo di Corinaldo, già motivo di polemica tra lui e il Consiglio comunale negli anni Cinquanta39. Il ”pozzo della polenta” non c’era più, ma gli scalinari ne costruirono uno di legno in mezzo alla scalinata; il villano con il sacco di farina gialla di granturco lo si prese tra i costumanti ed ecco che, appoggiata al pozzo e rovesciata inavvertitamente la farina dentro, il nome di polentari era bello che giustificato. Quanto al pozzo, ricordiamo che se ne stava per perdere la memoria, perché era stato disimpegnato alla fine dell’Ottocento quando, nel 1894, l’Amministrazione comunale, col sindaco Perozzi, aveva ottenuto di poter allacciare l’acquedotto di Corinaldo alla sorgente di Montesecco, un contrafforte del Catria, depositandone le acque nel serbatoio del colle S. Maria40. Da allora la scalinata era rimasta vuota, ma ben ricordava l’ubicazione del pozzo, pensiamo indicata dai suoi genitori, l’anziano corinaldese Nicola Bolognini Bordi, nato nel 1889 e morto nel 1982, titolare di un’impresa edile e memoria storica degli eventi cittadini: egli indicò il punto preciso agli amministratori del tempo ed essi, nel 1980, fecero ricostruire sul posto la sponda del pozzo, tra la soddisfazione degli scalinari che l’avevano appunto sollecitato, e il mugugno di altri che ritenevano inutile l’impresa. La polemica è ripresa recentemente, in occasione del rifacimento in mattoni della scalinata, nel 2003-2004: un’assemblea cittadina si è riunita per rimettere in discussione l’ubicazione e la fondatezza del pozzo, secondo alcuni inesistente nel passato. Pozzo sì o pozzo no, possiamo oggi rassicurare i cittadini tutti: il pozzo esisteva veramente, e proprio lì dove sorge oggi: lo provano i ducati otto e bolognini ventidue pagati a mastro Mariano dalla Roccha per saldo e pagamento del pozo facto in la piaza (cioè la piaggia) cavato et murato per cinquanta pie, spesa registrata in un libro delle entrate e delle uscite del 144541. Quel pozzo lo aveva fatto costruire proprio il Cattabriga: ben si può dunque accettarlo ancor oggi e metterlo al centro dell’attenzione, durante la festa rinascimentale di Corinaldo e durante tutto l’anno, per la memoria dei Entro il rosso cerchio delle mura 117 27 – Largo XVII Settembre 1860, n. 1. Pannello di ceramica colorata, con la raffigurazione di un uomo e di una donna in costume rinascimentale; agli angoli gli emblemi dei quattro rioni che si contendono il Palio nella “Festa del pozzo della polenta”: Centro storico – Porta San Giovanni – Porta del Mercato – Porta Nuova. Sala del costume e delle tradizioni popo lari cittadini e dei visitatori: Cimarelli stesso si dilunga a descriverlo tra le cose memorabili non meno ivi (a Corinaldo) dalla Natura prodotte, che dall’industria degl’ingegnosi artefici fabricatevi; e colloca con precisione il pozzo in mezzo alla strada, che dalla Porta di sotto al Palazzo del Publico ascende, chiamata Piaggia. Nessun timore dunque di un grossolano falso storico. La targa degli scalinari, apposta nel 1998, a venti anni dalla prima edizione, rivendica un po’ polemicamente i meriti degli ideatori originari della festa, non sempre tenuti in conto nella gestione ufficializzata e nelle premiazioni degli anni successivi. Alzando gli occhi dalla piccola iscrizione, proprio di fronte a sé, il lettore scorge invece una grande e colorata insegna di ceramica con la scritta Sala del costume e delle tradizioni popolari (fig. 27): l’epigrafe porta a completo sviluppo l’accenno della targa e i due messaggi si completano a vicenda. Nella sala del costume, infatti, sono oggi conservati ed esposti al pubblico gli abiti delle coppie ducali, ideati ogni anno nuovamente per la sfilata, e ormai in numero considerevole: si è giunti, nel 2005, alla ventisettesima edizione della rievocazione. L’attento studio dei costumi dell’epoca, rigorosamente ricostruiti da Gianni Giacomelli ed Ettore Montesi, l’esecuzione 118 Testimoni di Pietra accurata e puntigliosa delle sartorie locali, hanno arricchito la comunità di un patrimonio artigianale che giustamente si è voluto conservare e mostrare ai visitatori, nell’attuale gestione congiunta delle associazioni “Pro loco” e “Pozzo della polenta”. Per l’edizione della Festa del Pozzo 2005, in occasione del ventennale della morte di Mario Carafòli, nella Sala del costume è stata allestita una mostra antologica retrospettiva delle immagini del fotografo; il suo nome è legato anche ad un concorso fotografico nazionale che dal 1985 porta in Italia la fama di Corinaldo come “il paese più bello del mondo”, titolo di un opuscolo dedicato dallo scrittore al suo paese di origine42. L’Amministrazione comunale ha fornito i locali per l’allestimento dei costumi rinascimentali in una sede storica, la chiesa antica di San Nicolò da Bari, forse coeva alla prima costituzione del castrum di Corinaldo e comunque attestata nel 1290: l’accesso ai locali espositivi si apre proprio nell’antica abside di quella chiesa, che per circa tre secoli è stata l’unico edificio sacro all’interno delle mura. Solo alla fine del Quattrocento diventerà la “chiesa inferiore” riservata ai fedeli, sottostante alla chiesa superiore ricostruita dagli Agostiniani che ne avevano preso possesso, ampliandola e dotandola di un convento43. Anche nell’attuale ricostruzione settecentesca, non si è perduta la testimonianza epigrafica del primo Santo a cui era stata dedicata la chiesa: in una ricca cornice di stucco apposta sull’arco rivolto all’ingresso, dei quattro che sostengono l’impianto della cupola, è ben visibile la scritta A Dio Ottimo Massimo In onore di San Nicola da Bari patrono di questa chiesa eremitana (fig. 28)). Ricordiamo che l’Ordine mendicante degli Agostiniani è il risultato dell’aggregazione in un’unica entità giuridica di diverse esperienze di vita religiosa, unite dal comune elemento di essere eremiti e di essere agostiniani: è del 1256 la “Grande Unione” sollecitata dalla Santa Sede, tra cinque gruppi eremitici, tre di regola agostiniana e due di regola benedettina, questi ultimi presto distaccatisi: di qui il termine di chiesa eremitana presente nell’epigrafe. i segni della gloria Durante la rievocazione storica in costume, le sontuose dame e gli eleganti cavalieri, nell’affluire in corteo al Terreno principale sede della festa, escono dai portali di nobili palazzi che ben ricordano i personaggi che usavano realmente quelle fogge nella vita quotidiana: il patriziato civico di Corinaldo. Entro il rosso cerchio delle mura 119 28 – Ex chiesa di Sant’Agostino, oggi Santuario di Santa Maria Goretti: iscrizione entro ricca cornice di stucco, sopra uno degli archi di sostegno della cupola, rivolto verso l’ingresso. D(eo) O(ptimo) M(aximo). / D(omino) Nicolao Bariensi / huius Eremitanae Ecclesiae Patrono Protagonista della vita politica e amministrativa della città per lunghi secoli, esso ha ora abbandonato le sue belle dimore e gli ultimi rappresentanti, trasferiti altrove, tornano raramente a visitarle. Il complesso della struttura e dell’architettura cittadina mantiene invece la solida impronta lasciata dagli edifici nobiliari, eretti a partire dal Quat trocento e trasformati nel corso del Seicento e del Settecento. In parte vuoti e in declino, in parte ristrutturati da nuovi proprietari, essi hanno perduto il legame connesso ad una precisa necessità dell’epoca: rappresentare con segni esteriori, in forma immediatamente evidente agli occhi del mondo, la particolare eminenza della posizione del nobile tra i ceti inferiori. Si è nobili quando si può rivendicare uno statuto giuridico di superiorità rispetto alle altre fasce sociali e quando tali prerogative possono essere trasmesse per via ereditaria; ma anche quando l’esclusività di certi diritti si fonde con l’ostentazione di un genere di vita assai elevato. La dimora cittadina del nobile dev’essere costituita da un palazzo sontuoso dotato di componenti strutturali ed architettoniche precise: una sala di 120 Testimoni di Pietra rappresentanza, la cappella privata, spesso un teatrino, i locali per la servitù. Per il periodo di riposo dagli impegni di governo e dalla partecipazione alle cerimonie pubbliche e religiose, la famiglia dispone di una residenza di campagna che riproduce in proporzioni più ridotte i locali della città. Palazzi e ville di campagna caratterizzano ancora il territorio di Corinaldo e parlano allo studioso e al visitatore con la voce del caldo laterizio: sono i testimoni della storia e della cultura dominante dei nuovi secoli Sedicesimo e Diciassettesimo. Il numero più cospicuo di documenti lapidei, muti ed iscritti, è infatti concentrato nel corso del Seicento; se ne ricava il volto di una società che ribadisce sulla pietra i due elementi su cui fonda la propria autorità di governo temporale e spirituale: la nobiltà e gli ordini religiosi. Il messaggio che essi trasmettono ci permette di cogliere un modo di vivere, un modello e una cultura che hanno segnato un momento molto rappresentativo della storia sociale di Corinaldo. Dal 1575 al 1691 restano ben 15 epigrafi, molte esposte alla pubblica lettura, altre conservate in abitazioni private. La caratteristica che le accomuna è il contenuto di carattere privato ed autocelebrativo: singoli cittadini o comunità religiose esibiscono i propri attributi sociali e le cariche che rivestono; spesso, in base alle funzioni che svolgono, ricordano di essersene serviti per il bene collettivo. Mancano invece, per questi secoli, iscrizioni della Comunitas, che ha lasciato memoria delle sue opere negli statuti e nelle riformanze, ma non ne ha ritenuta nessuna degna di essere affidata alla pietra. O almeno non se ne sono trovate. Il fatto è comprensibile: già dalla fine del Cinquecento il governo del Comune è passato nelle mani del ceto nobiliare i cui membri comporranno in breve la totalità del Consiglio Generale, e otterranno di trasmettere ereditariamente i seggi nel Consiglio, attuando la cosiddetta “chiusura di ceto”. Dunque Comunitas e ceto nobiliare finiscono col coincidere: quest’ultimo si potenzia inoltre attraverso le cariche prelatizie delle quali molti suoi membri sono insigniti, e cura le più importanti realizzazioni monumentali a nome e col denaro proprio. I loro volti ci osservano ancor oggi dai dipinti esposti nella Sala Grande del Palazzo comunale; restaurata entro l’anno 2004 presso il laboratorio urbinate di Isidoro Bacchiocca, la galleria degli antenati non si discosta dai personaggi presentati da Cimarelli nella sua rassegna dei cittadini illustri Entro il rosso cerchio delle mura 121 di Corinaldo: ammirati e ammirabili per aver riposto la nobiltà personale non solo nel sangue ma nella dignitas, vale a dire nelle opere dell’ingegno, della fede, del governo cittadino, del braccio: un braccio armato, giacché dal Consiglio generale erano esclusi i rappresentanti delle arti meccaniche. Sulle caratteristiche della dignitas, nella nuova concezione elaborata dagli umanisti in contrapposizione con le posizioni medioevali, ci ha fatto soffermare Dario Cingolani in una interessante conferenza, nella quale sono state richiamate le riflessioni di un umanista, Ser Johannes Tintus de Vicinis de Fabriano, mandato a governare Corinaldo negli anni 1407-1408 da Pandolfo III Malatesta: nel suo libro sull’istituzione del governo dei nobili, il notaio e capitano Giovanni Tinto Vicini sostiene, nella forma letteraria di un dialogo tra discepolo e maestro, che quanti occupano responsabilità di governo debbono essere i più degni, quelli in grado di operare in modo onesto, lodevole ed utile alla società umana; tali virtù si acquisiscono attraverso lo studio, l’educazione della mente, la riflessione sull’insegnamento dei classici antichi, e non sono garantite solo dalla discendenza da nobile sangue o dal possesso di proprietà e di feudi, conquistati e mantenuti con le armi. Che anzi, come rincalza in una più tarda orazione, rivolta ai nobili di Lucca, Giovanni Guidiccioni, Governatore della Marca in Macerata, dove morì nel 1541, “… vedevansi alcuni nobili, non solamente salire i gradi de’ magistrati e degli onori, ma avere in dispregio gli inferiori…e con ingiusto arbitrio dominarli; volevano ancora godersi, anzi usurparsi il patrimonio pubblico con mille sconci interessi e mille aperte ruberie…”44. Le esortazioni degli umanisti dovevano rappresentare una novità nell’atmosfera culturale del nostro paese, ma Cingolani ritiene che il Vicini abbia dibattuto a lungo gli argomenti con i membri più responsabili della nobiltà e si sia positivamente confrontato con loro prima di pubblicare il libro, riuscendo probabilmente a convincerli: ne possiamo cogliere qualche segnale dall’apprezzamento verso la cultura e le arti che si dispiega nei secoli seguenti. La nobiltà locale, ormai rassicurata sulla stabilità del proprio potere ereditario nel Consiglio cittadino, dirige le sue energie verso il piacere della cultura, l’otium raccomandato dagli antichi e dagli umanisti, a ulteriore conferma del prestigio del casato: i palazzi ricostruiti ospitano opere d’arte, affreschi e quadri; le famiglie esercitano il giuspatronato su cappelle ed altari che arricchiscono di dipinti, arredi e reliquie. Molte chiese cittadine rurali sono fatte erigere dal patriziato corinaldese o dalle confraternite religiose 122 Testimoni di Pietra 29 – Lapide di marmo sagomata, affissa con borchie di metallo alla parete sinistra dell’atrio del Palazzo comunale. In memoria / della contessa Elena Orlandi Romaldi Pasqui / dei suoi antenati e dei suoi discendenti i nepoti / Luigi e Maria, Giuseppe ed Emma Venturoli Orlandi Romaldi / il comune di Corinaldo / con stima e gratitudine verso l’illustre famiglia storica e benefattri ce / pone. / Corinaldo, aprile 1998 da esso sostenute: Francesco Orlandi nel 1574 dona un ampio campo per la costruzione del nuovo convento dei Padri Cappuccini, in aperta campagna; Domenico Brunori fa erigere la chiesa di San Domenico nel 1618; Giuseppe Maria Sandreani quella di Sant’Angelo Custode (oggi San Vincenzo) nel 1735; Antonio Ciaffoni la chiesa gentilizia di Sant’Antonio al Borgo di Sotto nel 1654; la famiglia Ciani quella di Sant’Isidoro alla fine del Settecento; le confraternite del Suffragio e quella del Gonfalone portano a termine rispettivamente la chiesa del Suffragio nel 1640 e l’Incancellata nel 1690. Di tante benemerenze restano tuttavia testimonianze epigrafiche riferite solo alla famiglia Orlandi, di cui si tratterà anche in seguito, che ha il merito di averle conservate. Gli antenati e gli esponenti più vicini nel tempo sono ricordati in un’epigrafe (fig. 29) affissa nell’aprile 1998 nell’atrio del Palazzo comunale, alla sinistra di chi entra: l’Amministrazione comunale, interessata dalla reverenza familiare di Vittorio Venturoli Orlandi Romaldi, ne ha curato la realizzazione per gratitudine verso quella famiglia: In memoria della contessa Elena Entro il rosso cerchio delle mura 123 Orlandi Romaldi Pasqui, dei suoi antenati e dei suoi discendenti i nipoti Luigi e Maria, Giuseppe ed Emma Venturoli Orlandi Romaldi, il Comune di Corinaldo con stima e gratitudine verso l’illustre famiglia storica e benefattrice pone. Segue la data. Della nobildonna, figlia di Giovan Battista Orlandi e di Doralice Ricci di Montenovo e moglie del conte fiorentino Alessandro Pasqui, deceduta nel 1928, si conosce la generosità: il suo nome compare tra i maggiori benefattori della Congregazione di Carità, nell’epigrafe dell’ospedale già presentata, e tra quanti fecero offerte a favore dell’asilo infantile “Margherita di Savoia”, anch’essi ricordati in un’epigrafe apposta sulla parete dell’asilo stesso, in Piazza San Pietro. Si deve a lei anche la trasmissione del nome Orlandi Romaldi (che altrimenti si sarebbe estinto, come è accaduto per tanti altri casati), alle generazioni successive: ella infatti, poiché il figlio Pietro era privo di eredi, affiliò nel 1902 Luigi e Giuseppe, figli di sua nipote Giuseppina Serra e di Enrico Fausto Venturoli, e ad essi trasmise il nome gentilizio. Alla moderna lapide fanno riscontro iscrizioni molto più antiche degli Orlandi, relative al secolo che stiamo illustrando: due di esse si riferiscono ad uno stesso personaggio, Francesco Orlandi. Gentiluomo estremamente generoso, fece erigere e decorare con il proprio patrimonio familiare la chiesa di San Pietro Apostolo entro le mura cittadine, in sostituzione di quella che sorgeva con lo stesso titolo nell’attuale Borgo di Sotto, vicino a Santa Maria del Mercato. San Pietro è testimoniata fin dal XII secolo e aveva assunto un ruolo sempre più rilevante tra le chiese di Corinaldo, tanto che il rettore aveva ricevuto la dignità di pievano. Essa però aveva subito notevoli danni ad opera di Francesco Maria I Della Rovere, durante l’assedio del 1517 e, benché in parte restaurata, era ridotta in condizioni di notevole decadenza. Per munifica iniziativa di Francesco Orlandi la chiesa fu dunque ricostruita con caratteri monumentali nel 1574, con archi e grosse colonne, in tre navi, secondo l’arte della moderna architettura partita; più tardi, nel 1645, fu elevata a Collegiata insigne, officiata da un arciprete e da un arcidiacono assistiti da dodici canonici e da quattro mansionari: anche di questa chiesa ci viene restituita l’immagine nella mappa già nota. Nei secoli successivi tuttavia l’edificio dovette subire notevoli restauri, a causa della precaria situazione statica: fu il principale edificio che, nell’area dell’ampliamento rinascimentale, fece le spese dell’inconsistenza statica dei riporti necessari alla creazione 124 Testimoni di Pietra dei terrapieni, che nel tempo hanno determinato vari crolli; in una planimetria del 1870 conservata nel locale Ufficio tecnico comunale, San Pietro risulta atterrata, e da allora non è stata più riedificata. In seguito a ciò, la sede parrocchiale mantenuto il titolo di San Pietro Apostolo - venne trasferita, e rimane fino ad oggi, fuori le mura, nella chiesa di San Fran cesco annessa al convento dei Padri Minori Conventuali. Della chiesa antica 30 – Il ritratto a olio di Francesco Orlandi, costruttore di San Pietro restano e rettore della chiesa di San Pietro Apostolo, nella Sala Grande del Palazzo comunale. un’abitazione, resi duale delle case per la residenza dei Rettori e abitazioni de’ Cappellani, e il campanile, tuttora utilizzato per le funzioni parrocchiali. Giuseppe Rossi, “Peppino” per i suoi concittadini, ha letto personalmente e trascritto le date incise su tre delle quattro campane del campanile, grazie alla sua funzione di sacrestano ma soprattutto alla sua passione per la documentazione storica orale e scritta su Corinaldo: spesso lo abbiamo consultato con successo ed anche in questa occasione ci ha fornito i dati, difficilmente riscontrabili oggi per l’inaccessibilità del campanile ormai elettrificato. Una campana riporta l’anno 1759, altre due gli anni 1783 e 1885. La data più antica conferma che in quegli anni, dopo il terremoto già ricordato del 1727, si procedette a rifacimenti e migliorìe: la targa di metallo apposta al campanile di San Pietro ricorda che l’edificio e il campanile furono rimaneggiati all’inizio del Settecento per volere dell’Arciprete Gian Orazio Mazzoleni, Entro il rosso cerchio delle mura 125 31 – Lapide di arenaria 75x75 affissa con grappe di ferro alla parete dello scalone del Palazzo comunale, al terzo ripiano; lo specchio epigrafico ribassato, 55x55, è delimitato da una cornice a cartiglio. D(eo) O(ptimo) M(aximo) / D(ominus) Franc(iscus) Orland(us) I(uris) V(triusque) Do / ctor opt(imus) / Divi Petri rec / tor cuius aedem condidi(t) / ac decoravit vir praecla / ris moribus p(rae)ditus in omne(s) / p(rae)cipue in pauperes munific(us) / iustitiae religionisq(ue) ob / servantiss(imus) obiit incre / dibili suorum maerore / MDLXXV annum agens / quinqua gesimum cui piiss(imus) / fr(ater) Lucangelus Orlandus / eques pius hu(n)c sarcofagu(m) / erexit come successe a San Francesco in questo stesso periodo. L’area già occupata dal tempio è attualmente adibita in parte a Piazza San Pietro ed in parte a giardino: vi potevano giocare, protetti da un muro ora abbattuto e da un rigoglioso esemplare di cedro, universalmente noto come “il pino dell’asilo”, i bambini ospitati dall’Opera Pia Asilo infantile “Regina Margherita”, gestita dagli Istituti Riuniti di Beneficenza fino al 30 giugno 1994 e i cui locali sono attualmente utilizzati per altre attività45. La memoria del costruttore della chiesa non è tuttavia perduta: di Francesco Orlandi conosciamo il volto, rappresentato ad olio tra i ritratti della Sala Grande, (fig. 30) e soprattutto le doti personali e i meriti sociali 126 Testimoni di Pietra 32 – Lapide di arenaria 57x148x 6,5;in alto a sinistra presenta una frattura ricomposta in massima parte con la pietra originale e, all’angolo sinistro, con pietra diversa che impedisce parzialmente la lettura delle prime due lettere della l. 2; nelle parole finali delle ll. 5 e 6 sono presenti vistose correzioni; la lapide è conservata nei depositi comunali di Via del Teatro, in attesa di collocazione in luogo idoneo. D(eo) O(ptimo) M(aximo). / [Ec]clesiam hanc olim parochialem, / Principi apostolorum dicatam, / aere proprio / R(everendi) D(omini) Francisci Orlandi rectoris / a fundamentis erectam, (sotto “rectoris” si legge “plebani”; sotto “erectam” si legge “rectoris”) incisi nell’epigrafe (fig. 31) che il fratello, insignito del titolo di cavaliere pio, fece apporre sul suo sarcofago: A Dio Ottimo Massimo. Don Francesco Orlandi, ottimo dottore in legge civile ed ecclesiastica, rettore di San Pietro di cui fece erigere e decorare la chiesa, uomo dotato di eccelse doti morali, munifico verso tutti e specialmente verso i poveri, scrupoloso custode della giustizia e della religione, morì nel 1575 a cinquanta anni tra l’indicibile compianto dei suoi; il suo devotissimo fratello Lucangelo Orlandi, cavaliere pio, fece erige- re questo sarcofago. Il testo latino dell’epigrafe, insieme con elogi e riconoscimenti ulteriori, è riportato da Cimarelli, che evidentemente la lesse al suo posto, sul sarcofago all’interno dell’antica chiesa. All’esterno invece, ultimato l’edificio, sarà stata affissa, così almeno riteniamo, un’altra più imponente lapide (fig. 32) che ne ricordava a tutti il fondatore: Questa chiesa, un tempo parrocchiale, dedicata al Principe degli Apostoli, è stata eretta dalle fondamenta con il patrimonio privato del reverendo Rettore don Francesco Orlandi. Entro il rosso cerchio delle mura 127 L’iscrizione presenta vistose correzioni nelle ultime parole delle ultime due righe: la lettura, ancora possibile, delle parole corrette, ci dà forse testimonianza delle fasi di passaggio subìte dalla chiesa nella sua istituzione giuridica: nel testo la si considera “un tempo parrocchiale”; nella prima correzione il termine “rettore” sostituisce “pievano”, che è ancora ben leggibile; nell’ultima riga, il termine “rettore” è stato corretto con “eretta”. Correzioni e pentimenti che possono offrire materia di approfondimento per la discussa identificazione degli istituti giuridici di “parrocchia e pieve”, sostenuta da alcuni, o per l’affermazione di una differenza specifica tra i due istituti, come vogliono altri46. Un’ulteriore particolarità dell’epigrafe è costituita dalla costruzione latina della frase, inammissibile da un punto di vista grammaticale47: sull’errore si possono presentare varie ipotesi, ma il messaggio resta chiarissimo e ci offre una preziosa testimonianza dell’evento, di cui troppo poco potè rallegrarsi il committente Francesco Orlandi, morto l’anno successivo all’erezione della chiesa. Cimarelli la pone con sicurezza nel 1574: forse la data di fondazione si poteva leggere nel testo stesso della lapide, se si volesse assecondare la nostra ipotesi che la lastra sia stata segata nella parte inferiore; può farlo pensare la presenza di un’interpunzione dopo l’ultima parola, simile ad altre interpunzioni delle righe precedenti, che fa supporre, nella prosecuzione della frase, la presenza di altri dati e la giustificazione dell’attuale errore. Entrambe le lapidi sopra presentate ci sono state conservate grazie all’interessamento della famiglia Orlandi, che probabilmente le prelevò dopo l’abbattimento della chiesa, le conservò per lungo tempo nel palazzo di città, e in un secondo tempo nel villino di campagna, poco fuori le mura; là le aveva fatte trasportare Luigi Venturoli Orlandi Romaldi, con l’intenzione di farne in seguito dono alla comunità. Sono ora rientrate ufficialmente nel possesso pubblico, grazie alla donazione fatta all’Amministrazione comunale nel 1998 delle epigrafi e di altri beni, da parte del figlio Vittorio, l’unico discendente dell’antica famiglia che, dopo l’attività professionale svolta a Roma, ha scelto di vivere stabilmente a Corinaldo. Delle due epigrafi donate, l’elogio funebre è stato affisso alla parete dello scalone di accesso al Palazzo comunale, al terzo ripiano; la lapide in memoria dell’erezione della chiesa di San Pietro è provvisoriamente riposta nei locali comunali di Via del Teatro, in attesa di essere affissa sopra la porta di accesso al sopravvissuto campanile, in accordo con la Parrocchia, l’Amministrazione comunale e i proprietari dell’edificio in cui è inserito il 128 Testimoni di Pietra 33 – Ex chiesa di Sant’Agostino: lapide di arenaria 90x72 murata alla destra dell’altare, nel braccio sinistro del transetto; lo specchio epigrafico è delimitato da una cornice rettangolare liscia. D(eo) O(ptimo) M(aximo) / Hanc sacram aram / divo Bartholomaeo apostolo dicatam / aere paterno erexit locupletavit / sacrisq(ue) reliquiis et vestibus decoravit / fr(ater) Bartholomaeus Orlandus corinalten(sis) / sacrae theol(ogiae) Mag(ister) Ord(inis) S(ancti) Augustini /an(no) Dom(ini) MDCXXII. / Super eandem hanc aram / cuilibet sacerdoti Missam celebranti / facultatem quotidie unius animae / e purgatorio liberandae /et contra quoscunq(ue) / ipsius bona surripientes / et quomodolibet distrahentes / anathema impe travit / a Gregorio XV Pont(ifice) Max(imo) / idem fr(ater) Barth(olomaeus) campanile stesso. Una quarta epigrafe (fig. 33) della famiglia Orlandi è visibile nell’ex chiesa di Sant’Agostino, ora Santuario di S. Maria Goretti, murata alla destra dell’altare dedicato a San Bartolomeo, nel braccio sinistro del breve transetto. L’altare raccoglie le memorie di una precedente cappella fatta erigere da fra Bartolomeo Orlandi in onore del suo santo patrono, l’apostolo Bartolomeo. Alle notizie sul personaggio, fornite da Cimarelli, possiamo aggiungere il Entro il rosso cerchio delle mura 129 34 – Ex chiesa di Sant’Agostino: altare di San Bartolomeo nel braccio sinistro del transetto; sono visibili la lapide, la pala d’altare del Maggeri con il supplizio di San Bartolomeo, commissionata da fra Bartolomeo Orlandi e, nel riquadro, il ritratto del committente. nome di nascita del frate agostiniano: Filippo, figlio di Orlando Orlandi e di Cornelia Vanni da Sangiorgio. Il nome di battesimo è stato tratto, insieme con altre inedite notizie sulle più importanti famiglie corinaldesi, dagli alberi genealogici e dai manoscritti conservati nell’archivio della famiglia Brunori: di essi spesso ci serviremo per molti approfondimenti, grazie alla cortese disponibilità di Stanislao De Angelis Corvi che, con i dati ivi registrati e da lui trascritti, ha arricchito e guidato la nostra ricerca storica sul Cinquecento e sul Seicento a Corinaldo. Il supplizio di San Bartolomeo è rappresentato nella grande pala commissionata dall’Orlandi stesso nel 1622 al pittore urbinate Cesare Maggeri: l’artista ha ritratto il viso assai espressivo del committente in basso a sinistra della tela (fig. 34). Al “Gran Padre Orlandi ” sono state dedicate da un anonimo contemporaneo rime encomiastiche che possiamo leggere tra i documenti dell’archivio storico corinaldese, in una miscellanea forse proveniente dalla stessa famiglia Orlandi 48. Cimarelli si sofferma sulla ricchezza della cappella quando descrive la 130 Testimoni di Pietra chiesa di San Nicolò e il monastero degli Eremitani di Sant’Agostino: gli Eremitani, come si è detto, avevano occupato l’edificio sacro alla fine del Duecento, uscendo dalla loro vera chiesa di Sant’Agostino fuori le mura, per sfuggire ai disordini causati dalla lunga mancanza di un nuovo pontefice, alla morte di Nicolò IV. La chiesa era piuttosto angusta, trovandosi ristretta tra altri edifici (ce la ricostruisce in maniera evidente la mappa già nota), ma Cimarelli si sofferma sulla ricchezza delle entrate economiche e degli arredi, in modo particolare su quelli della Capella del Padre Maestro Fra Bartolomeo Orlandi, ad onore di S. Bartolomeo apostolo eretta; poi dal medesimo di grosse entrate dotata e di molte Sante reliquie arricchita. Le parole dello storico sono confermate dall’iscrizione della lapide, certo nota a Cimarelli: A Dio Ottimo Massimo. Questo sacro altare, dedicato a San Bartolomeo apostolo, lo fece erigere col patrimonio paterno, arricchire di arredi, completare di corredi tessili e di sacre reliquie, Fra Bartolomeo Orlandi di Corinaldo, Maestro di sacra teologia dell’Ordine di Sant’Agostino, nell’anno del Signore 1622. Lo stesso fra Bartolomeo ha ottenuto dal pontefice Gregorio XV la facoltà, per qualunque sacerdote che vi celebri la Messa, di liberare dal purgatorio un’anima al giorno e inoltre l’anatema contro chiunque rubi i beni di questo stesso altare o in qualunque modo li porti via. Le reliquie ricordate nell’epigrafe furono portate a Corinaldo da Sara gozza di Sicilia, dove l’Orlandi era diventato Provinciale: lo stesso Cimarelli, parente del frate agostiniano sulle cui cariche, capacità e virtù si sofferma a lungo nei propri scritti, curò il riconoscimento delle reliquie da parte del vescovo di Senigallia Antaldo degli Antaldi, nel 1617. Anche dopo la costruzione in due fasi degli attuali monastero e chiesa di Sant’Agostino ad opera dell’architetto A. M. Carbonari Geminiani, tra il 1750 e il 1787, l’altare di San Bartolomeo fu mantenuto, e i preziosi reliquiari conservati in due armadi a muro, a destra ed a sinistra dell’altare maggiore: lì, aperti gli sportelli artisticamente decorati e dorati come i molti altri infissi lignei della chiesa, le reliquie venivano esposte alla pubblica venerazione in rare occasioni, specialmente ad Ognissanti. Oggi invece, che nessuno più teme l’anatema di papa Gregorio, i bei reliquiari sono stati prelevati dalla chiesa e trasferiti nella Civica raccolta d’arte, in Piazza del Cassero n. 4, dove possono essere quotidianamente ammirati. Sono stati inoltre esposti, insieme con altri manufatti di carattere Entro il rosso cerchio delle mura 131 35 – Lapide di marmo 60x60 affissa con grappe di ferro, in Piazza Il Terreno n. 5. In questa casa / nella quiete di Corinaldo / tra scorse / la secon da metà della vita / Claudio Ridolfi / pittore veronese / e qui morì / a set tantaquattro anni / il 26 novembre 1644 sacro, nella mostra “Reliquiari e statue sacre”, allestita nel 2002 nella chiesa del Suffragio. “Le virtù e buone qualità” di claudio ridolfi Alla Civica raccolta d’arte ci richiama un’epigrafe moderna (fig. 35), che fa memoria di un altro personaggio del Seicento, il secolo che stiamo analizzando; nel 1978 è stata affissa dall’Amministrazione comunale nella Piazza Il Terreno, al n. 5, perché in quella casa aveva abitato il pittore Claudio Ridolfi che, come dichiara l’iscrizione, scelse Corinaldo per trascorrervi gran parte della vita, in piena attività artistica: In questa casa, nella quiete di Corinaldo, trascorse la seconda metà della sua vita Claudio Ridolfi pittore veronese e qui morì a settantaquattro anni, il 26 novembre 1644. Per onorare la figura del pittore, allievo di Paolo Veronese e seguace di Federico Barocci durante il suo soggiorno ad Urbino, a trecentocinquant’anni dalla morte, nel 1994, il Centro Beni Culturali della Regione Marche ha promosso una serie di studi e di mostre, da tenersi nelle città dove l’artista aveva operato o dove le sue opere sono presenti in maggior numero: Per gola, Ostra, Mondolfo, Arcevia49. Anche Corinaldo naturalmente è stata sede di mostra, allestita nel com plesso conventuale delle Benedettine e nella vicina chiesa del Suffragio, dove i numerosi quadri di Ridolfi presenti a Corinaldo sono stati esposti da 132 Testimoni di Pietra giugno a settembre, per tutta la durata dell’evento: esso ha rappresentato il momento conclusivo di un precedente lavoro di studio e di rivalutazione dell’artista, ma soprattutto l’occasione per un necessario restauro di numerosissimi quadri. Il notevole impegno organizzativo ed economico dell’Amministrazione comunale, sostenuta dalla Regione Marche, non si è esaurito nei pochi mesi dell’esposizione, ma ha dato vita ad una istituzione culturale permanente: la mostra ha infatti rappresentato il punto di partenza per l’apertura, nel 1996, della Civica raccolta di opere di pittura, scultura e arredi sacri intitolata a Claudio Ridolfi. Il personaggio è stato protagonista e artefice di una reviviscenza culturale che ha notevolmente coinvolto la cittadinanza: a suggello della mostra, al pittore sono stati dedicati un Convegno di studio e la successiva pubblicazione degli Atti, voluta dal Centro Studi Domenico Grandi, sorto nel 1987 per contribuire alla valorizzazione del patrimonio culturale delle Marche in vari settori. Alla riflessione di critici e di studiosi si è unita la presentazione di una Unità didattica realizzata dagli studenti della locale Scuola media, coinvolti dai docenti nella nuova conoscenza dell’artista50. Dall’Archivio comunale di Corinaldo sono infatti emersi, grazie alla ricerca dei già citati studiosi locali, numerosissimi documenti che testimoniano la presenza e l’attività non solo artistica, ma umana e quotidiana, di Ridolfi e della sua famiglia51. L’artista giunse a Corinaldo con la moglie Vittoria Maschi di Urbino e i cinque figli nati in quella città; a Corinaldo nasceranno altri quattro figli, dal 1623 al 1631, tanto che per la numerosa famiglia il pittore dovette acquistare prima una casa e poi un’altra contigua, proprio nella piazza dove è attualmente collocata la lapide che lo ricorda. Fin dal 1621 Claudio Ridolfi viene aggregato alla civiltà di Corinaldo, con decreto del Consiglio generale, considerate le virtù e buone qualità dell’artista. Si inserì presto nell’alta società e fu protetto e familiare di nobili cittadini, gli Amati, gli Ottaviani, i Sandreani, i Mazzoleni, presenti come testimoni al battesimo dei suoi figli ma anche ai numerosi atti di compravendita e alle diatribe per pagamenti e more. Ricorrono spesso documenti relativi ai suoi quadri, che continuerà a dipingere fino a tarda età, pur dolorante agli occhi; fu deposto nella chiesa di San Pietro, mentre la moglie, che gli sopravvivrà di tredici anni, volle essere sepolta in Sant’Agostino. La tomba del pittore è andata distrutta insieme con la chiesa, ma la sua memoria è mantenuta viva anche grazie all’epigrafe ed al nome “Claudio Ridolfi” imposto alla pinacoteca civica, raccolta di beni culturali allestita in Entro il rosso cerchio delle mura 133 un contenitore che rappresenta esso stesso un bene architettonico: il Mona stero delle monache di San Benedetto. monache, nobili e re Individuare un palazzo per la mostra su Ridolfi ha rappresentato un gravoso impegno burocratico e finanziario per l’Amministrazione comunale di Corinaldo: erano necessari saloni di grande ampiezza e di elevato decoro, non facilmente reperibili. Nel centro storico i locali più adatti sono subito sembrati quelli che dal Seicento fino all’Ottocento avevano ospitato il Monastero delle Benedettine di Sant’Anna, edificio monumentale che si appoggia alle mura di ponente, le ingloba e si erge al di sopra di esse, costituendo un elemento architettonico inscindibile dal disegno urbano di Corinaldo: il viale “Dietro le Monache”, che corre lungo parte del perimetro del monastero, testimonia con il suo nome popolare l’impatto della costruzione sull’immaginario collettivo e sulla toponomastica cittadina. è ancora Cimarelli che presenta la storia dell’edificio; egli tuttavia non vide completato il grandioso complesso attuale, ma solo l’insediamento iniziale delle monache dell’abito e istituto di San Benedetto, costruito sopra le fondamenta della rocca di Cattabriga, già abbattuta come si è detto e appunto utilizzata come sostruzione del nuovo edificio. L’ampliamento del monastero, la chiesa oggi consacrata alla Vergine Addolorata e la sottostante cripta, dedicata a S. Maria Goretti, sono la risultanza di un massiccio intervento iniziato nel 1637, che ha inglobato due tratti delle mura quattrocentesche formanti approssimativamente un angolo retto52. Alla descrizione solo letteraria e archivistica delle origini del monastero, rispondono due documenti epigrafici che testimoniano invece le vicissitudini subite dall’edificio in tempi moderni. Numerosi sono stati infatti i passaggi e le suddivisioni di proprietà, da quando l’edificio è stato requisito alle monache per entrare a far parte dei beni destinati all’“Appannaggio del Principe Eugenio Napoleone, nostro amatissimo figlio adottivo”: tanto stabilisce Napoleone Bonaparte con il Nono statuto del 15 marzo 1810. L’appannaggio, cioè una dotazione o assegnazione beneficiaria, era stato reputato necessario per le spese di corte del Palazzo Reale di Milano, dove risiedeva Eugenio, Vicerè d’Italia: Napoleone stesso aveva concluso il matrimonio tra Eugenio, figlio di sua moglie Giuseppina, già maritata Beauharnais, e Amalia, figlia del principe elettore Massimiliano di Baviera. 134 Testimoni di Pietra La coppia, dopo il matrimonio a Monaco, si era stabilita a Milano, circondandosi della fastosa corte che si addiceva ad un erede della Corona d’Italia, corte per la quale erano necessari i ricchi proventi dell’Appannaggio. In quell’assegnazione confluirono gran parte dei beni appartenuti a conventi, monasteri, congregazioni ed altri enti religiosi, requisiti in base ad una legislazione già in vigore nell’Impero francese e subito introdotta nel Regno d’Italia53: fin dal 1805 un “Decreto sull’organizzazione del Clero secolare, regolare e delle Monache” aveva disposto che “i beni dei conventi… e le case parimenti… si aggregheranno al Demanio nazionale”. A Corinaldo sono requisite le proprietà delle Benedettine di Sant’Anna, dei Francescani e degli Agostiniani. Il vescovo di Senigallia Fabrizio Sceberras Testaferrata tentò, alla caduta di Napoleone, di riportare alcune comunità monastiche nei chiostri, dove potessero riparare di nuovo “le devote donne a cui era stata disdetta l’ombra delle sacre bende e il religioso ritiro”, ma non ci riuscì con le Benedettine di Corinaldo: esse furono ospitate a Senigallia presso le consorelle del monastero di Santa Cristina, eretto nel 1574 ed ora abbattuto54: possiamo conoscere anche i nominativi, la provenienza e la dote delle monache e delle educande espulse dal monastero, tra le quali risultano tre monache ed un’educanda della famiglia Brunori55. Così oggi il grande portale dell’ex Monastero, che si apre sulla Piazza del Cassero al n. 3, esibisce nell’inferriata le iniziali e lo stemma dei nuovi padroni francesi (fig. 36): una corona granducale che sormonta le iniziali della Casa Ducale Leuchtemberg: C. D. L. Il nome del casato tedesco si inserisce i mezzo agli stemmi della nobiltà locale in quanto Eugenio, dopo il tramonto politico di Napoleone, al quale tuttavia era rimasto lealmente fedele, aveva spontaneamente rinunciato alla Corona d’Italia e si era ritirato a Monaco presso il suocero, che lo aveva insignito dei titoli di Duca di Leuchtemberg e Principe di Eichstadt. L’ex Vicerè d’Italia fu tra i pochissimi che, dopo il Congresso di Vienna, convocato per ripristinare il vecchio ordine politico sovvertito dagli sconvolgimenti napoleonici, si vide riconfermare “il libero ed intero usufrutto delle sue dotazioni in tutti gli Stati che hanno fatto parte del Regno d’Italia”, in base all’articolo 64, separato e segreto, del Protocollo di Vienna , redatto nell’aprile 1815. La concessione era chiaramente volta a danno dello Stato Pontificio entro i cui confini erano situati i beni dell’ Appannaggio. Tra proteste, minacce ed infiniti carteggi tra il papato e le potenze assegnatrici dei beni, si giunge infine ad un contratto di enfiteusi legato al principe Eugenio e alla sua discendenza; ma nel 1816 si ribadisce il principio che la proprietà Entro il rosso cerchio delle mura 135 36 – Grata di ferro con corona ducale e iniziali C D L della Casa Ducale Leuchtemberg, al portale dell’ex Mona stero delle Benedettine, oggi “Oasi Santa Maria Goretti”, in Piazza Il Terreno n. 3. dei beni rimane allo Stato Pontificio. Sarà Giacomo Antonelli, nominato cardinale da Pio IX, a intavolare trattative con Massimiliano, il figlio di Eugenio ormai deceduto, particolarmente legato alle tenute di caccia di Monterado in cui risiedette spesso, nel castello trasmessogli tra i beni dell’Appannaggio, da lui stesso trasformato in lussuosa residenza. Il 3 aprile 1845 viene firmato un contratto in cui si prevede che Massimiliano e sua madre Amalia cedano alla Santa Sede, a prezzo concordato, tutte le proprietà possedute nello Stato Pontificio; subito dopo Antonelli stipula un contratto di compra e vendita dei beni dell’Appan naggio tra la Santa Sede ed una Società degli Acquirenti, che si impegna a rivendere entro 12 anni i beni al dettaglio, dando la precedenza alle offerte dei “Luoghi pii” e dei cittadini dello Stato Pontificio. è questo il momento in cui molti edifici rientrano in possesso della nobiltà o dell’alta borghesia italiana, in grado di acquisirli: nel nostro caso è la famiglia Brunori che acquista all’asta il grande complesso conventuale (in parte comperato anche dai conti Augusti e dalla famiglia Coen) ed orna il soffitto dello scalone d’onore con il proprio stemma (fig. 59); acquista insieme anche il castello e la tenuta di Monterado e li possiede fino agli anni Trenta circa, quando furono venduti dal conte Silvio Brunori. Ai nostri giorni, nel 1976, altri passaggi di proprietà hanno suddiviso l’ex monastero in residenze di varia funzione: la vendita della maggior parte del complesso da parte di Giovanni Brunori a Romolo Bettini e in parte minore alla Curia vescovile di Senigallia, ha permesso la completa ristrutturazione di tutti gli ambienti, precedentemente in notevole degrado. I tre monumentali saloni sovrapposti, nei quali quasi un centinaro di 136 Testimoni di Pietra moniales hanno trascorso la loro vita in comunità, sono adibiti ad usi diversi ma in qualche modo affini: nel piano inferiore, utilizzato come cantine dai Brunori, l’ambiente grandissimo è diventato il “refettorio” degli ospiti del ristorante “I Tigli”; nel piano medio c’è ora il refettorio dei pellegrini che visitano il Santuario di Santa Maria Goretti, mentre il panoramico salone superiore, ottenuto in affitto dalla Curia, è stato utilizzato dall’Am ministrazione comunale per la refezione dello spirito: la mostra e la successiva raccolta d’arte intitolata a Ridolfi, come si è detto. Un’epigrafe (fig. 37) di notevoli dimensioni aggiunge notizie alla storia del complesso: è stata 37 – Lapide di travertino m.1,40x3 sopra il portale della chiesa dell’Addolorata in affissa alla facciata della chiesa Piazza Il Terreno; lo specchio epigrafico delle Benedettine, oggi poposu piano ribassato è delimitato da una larmente detta “L’Addolorata”, cornice modanata. fronte rimasta incompiuta nei Templum Virg(inum) Benedictinar(um) / an(no) Chr(isti) MDLV conditum / ab an(no) secoli precedenti: nel 1925, in MDCCCLIX / imagini prodigiali Virginis / occasione dell’Anno Santo, la Perdolentis sedem / curiatorum piorumq(ue) facciata fu completata nel gusto largitas / fronte exornavit / An(no) Sacro del tempo, che oggi ci appaMCMXXV PII XI P(ontificis) M(aximi) IV re discutibile, con mattoncini di rivestimento rossi e travertino, su progetto dell’architetto Antonio Dominici. L’iscrizione in latino è sor-montata da una “pietà” scolpita da Don Enrico Paniconi, ai nostri giorni affermato pittore espressionista, e testimonia recenti avvenimenti: La generosità dei curatori e dei fedeli ha fatto ornare con questa facciata, nell’Anno Santo 1925, anno quarto del pontificato di Pio XI, la chiesa delle Monache benedettine, fon- Entro il rosso cerchio delle mura 137 data nell’anno 1555, dal 1859 sede dell’immagine miracolosa della Vergine Addolorata. La data di fondazione della chiesa è stata evidentemente desunta da un documento dell’Archivio vescovile di Senigallia: negli inventari dei Luoghi Pii della Diocesi risulta che “Il monastero delle Monache di Sant’Anna dell’ordine di San Benedetto ha avuto la sua origine nell’anno 1555 nel qual tempo molti, per secondare l’animo di talune persone pie, anche delle loro figliole, stabilirono di fabricare un Monastero al qual ogetto concordarono l’elemosina dotale; con tal disposizzione furono comprate le case e immediatamente fabricato il Monastero; nel medesimo tempo ebbe il suo principio la fabrica della Chiesa”56. Delle notizie più recenti riportate nell’epigrafe ci interesseremo nelle sezioni riguardanti quei secoli. gli stemmi del patriziato cittadino Lo stemma napoleonico sul Monastero delle benedettine è in ordine cronologico il più recente, e quasi un parvenu tra gli altri stemmi dei casati corinaldesi, che rappresentano una nobiltà di ben più antica data: scomparsa ai nostri giorni ogni tipo di distinzione tra classi sociali, resiste tuttavia sui portali dei palazzi e delle chiese, o al loro interno, o nelle cappelle funerarie, lo stemma o blasone o arme, segno della condizione di nobile, elemento che distingue il personaggio di rango elevato da qualsiasi altro soggetto. In origine, non un ornamento ma una necessità: è infatti la presenza di un disegno particolare a far distinguere sui campi di battaglia le bandiere dei vari feudatari e delle loro schiere. Disegni non elaborati casualmente, ma sistemi di figure governati da precise regole: di essi, nati appunto nel medioevo, gli stessi detentori, spesso hanno perduto la documentazione storica e leggono i simboli traendone congetture talvolta devianti. Per comprendere il significato degli stemmi che vediamo ancora lungo le nostre vie, eloquenti per i nostri avi ma muti ormai per i passanti, è necessario fare ricorso alla disciplina dell’araldica. Ci apre la strada Francesca Pongetti con il recente volume sulla Marca e le famiglie nobili e notabili di Corinaldo: lo studio intorno alle origini della nobiltà civica nelle Marche, alla sua funzione di governo a volte ristretta a poche famiglie, a volte allargata ad uomini nuo vi, si conclude con la storia delle famiglie nobili più cospicue di Corinaldo57. Rimandiamo dunque ancora una volta il lettore ad un testo monografico, nel quale è già stata esplicitata la descrizione e l’interpretazione di molti 138 Testimoni di Pietra emblemi. Noi affianchiamo e arricchiamo la rassegna, tratta dalla Pongetti anche da testi cartacei, con la documentazione dei soli manufatti di pietra o di metallo - com’è nel programma della nostra ricerca - e con il competente supporto del seni galliese Giuliano Vichi, esperto di araldica, che ci ha permesso di descrivere molti emblemi inediti e sconosciuti ai più. 38 – Stemma degli Agostiniani al centro del portale di pietra d’Istria dell’ex chiesa di S. Agostino: un cuore da cui zampillano rivoli di sangue, appoggiato su un libro, in alto il particolare. Nella piazza Il Terreno e nelle sue adiacenze si concentra il maggior numero di stemmi, giacché vi sono stati edificati i palazzi e le chiese più imponenti della città. La chiesa di Sant’Agostino, divenuta nel 1987 Santuario diocesano di Santa Maria Goretti, presenta al centro del portale in pietra d’Istria, concluso da un timpano triangolare a base spezzata, l’emblema degli Agostiniani: un libro sormontato da un cuore trafitto e fiammeggiante (fig. 38), ispirato alle parole di Sant’Agostino “Tu avevi trafitto il nostro cuore con le fiamme del tuo amore”58; lo stemma è ripetuto all’interno della chiesa, negli arredi di legno e di marmo (fig. 39). Alla chiesa era annesso il monastero, il cui ingresso si apre in Via del Corso n. 8: sull’inferrriata del grandioso portale, si leggo- Entro il rosso cerchio delle mura 139 no le iniziali intrecciate dell’antico Monastero Agostiniano, M A (fig. 40). Anche questo convento ha subito l’esproprio dei beni e la cacciata dei frati, in seguito alle leggi napoleoniche di cui si è detto. Oggi su quel portale compare l’insegna “Albergo-Ristorante Il Giglio”: la denominazione è stata ideata in riferimento a Santa Maria Goretti, giglio di purezza. La ristrutturazione del possente edificio è avvenuta infatti in un’occasione di carattere religioso, il Giubileo dell’anno 2000, 39 – Lo stemma degli Agostiniani in ed era stata finanziata inizialmente marmi colorati sulle porte di accesso per ospitare soprattutto i pellegrini al coro dell’ex chiesa di Sant’Ago di passaggio in quell’anno. In precestino. denza il convento era stato a lungo occupato dalla locale Scuola elementare statale, oggi trasferita nella nuova costruzione eretta sullo spazio di un precedente campo sportivo, in Viale Dante n. 1. Parallela alla fiancata destra della chiesa corre la Via Santa Maria Goretti, lungo la quale, al n. 6, si apre il portale del Palazzo Sandreani, nobile famiglia originaria di S. Andrea di Suasa, presente a Corinaldo fin dal XIV secolo con personaggi illustri in molti campi militari, civili e religiosi: i ritratti di famiglia, corredati dello stemma che innalza una zampa leonina rampante sormontata da gigli, figurano nella Sala Grande del Palazzo comunale (fig. 41): tra loro il Padre Angelo Antonio Sandreani, maestro di teologia nell’ordine dei Conventuali, morto in odore di santità nel 1750. L’emblema di famiglia si esibisce distesamente sulla sommità del palazzo: lì, l’intera figura di un leone rampante scolpito nell’arenaria, all’incontro dei cornicioni completamente decorati da una serie di gigli, è poco visibile ai passanti: lo si può però ammirare tra le belle immagini fotografiche di Dino Montesi che corredano il recente suggestivo volume sul paese di Corinaldo, definito “la casa del tempo”dall’autrice dei testi Domizia Carafòli59. Al primo ripiano della bella scala del palazzo, conservata nell’originale pietra arenaria, le porte di accesso agli appartamenti del piano nobile sono sormontate da imponenti stemmi (fig. 42) di stucco bianco raffrontati: in 140 Testimoni di Pietra 40 – Grata di ferro con le iniziali intrecciate del M(onasterium) A(gostinianum) al portale dell’ex Monastero degli Agostiniani, in Via del Corso n. 8. 41 – Lo stemma dei nobili Sandreani raffigurato sotto il ritratto ad olio del Canonico Luca Sandreani, nella Sala Grande del Palazzo comunale. Lo stemma innalza in campo azzurro una zampa rampante sormon tata da tre gigli uno campeggia l’arme dei Sandreani, nell’altro lo stemma partito degli Orlandi e dei Sandreani, tra loro imparentati (fig. 43). Gli stemmi compaiono anche nei soffitti dipinti dell’appartamento nobile, ristrutturato alla fine degli anni Novanta da Alberto Battistini, che lo utilizza come studio commerciale: vanno ascritti a merito del nuovo proprietario l’assoluto rispetto e l’accurato restauro degli affreschi e degli arredi originari, in un luogo che coniuga l’eleganza della dimora patrizia con l’efficienza della nuova destinazione funzionale. Entro il rosso cerchio delle mura 141 42 – Palazzo Sandreani, Via S. Maria Goretti n. 6: portone interno, al primo ripiano dello scalone, sormontato dallo stemma di famiglia entro un ricco ornamento di stucco 43 – Lo stemma dei Sandreani e, sopra, lo stemma Sandreani partito con lo stemma Orlandi, sui portoni al primo ripiano del Palazzo Sandreani. Sulla storia della famiglia Sandreani, presentata anche da Pongetti, segnaliamo gli aggiornamenti esposti in sintesi a Corinaldo da Flavio e Gabriela Solazzi in occasione di un recentissimo convegno, e destinati in forma più ampia alle stampe60: i due ricercatori hanno studiato tre manoscritti presenti nell’archivio Augusti Arsilli della Biblioteca comunale di Senigallia, riferititi agli anni 1542, 1651, 1668, e riguardanti tutta la famiglia Arsilli, dalle origini alla sua estinzione avvenuta nell’Ottocento; dagli scritti emerge la provenienza della famiglia da Sant’Andrea, con l’originario nome di De’ Rossi; per contese con i Malatesta, alcuni esponenti si trasferirno a Corinaldo, dove 142 Testimoni di Pietra vennero indicati dalla popolazione come Sandreani, ma preferirono chiamarsi Selvatici o Silvatili di Corinaldo, mentre soltanto un Aloisio mantenne a Corinaldo il nome di Sandreani; solo nelle generazioni successive la famiglia, passata a Senigallia si denominò Arsilli. Tra i documenti esaminati, compare anche un manoscritto del 1685 di Panfilo Orazio Orlandi, richiestogli da Senigallia da parte di Giuseppe Tiraboschi, nel quale il dotto corinaldese conferma la presenza a Corinaldo della famiglia Selvatici. La pubblicazione della ricerca fornirà maggiori dettagli sull’interessante ricostruzione storica. giovanni andrea fata, Cavaliere aurato, e la sua discendenza Parallelo alla fiancata sinistra della chiesa di Sant’Agostino, si erge un palazzo che occupa quasi interamente il lato meridionale della Piazza Il Terreno: l’imponente mole, iniziata nel Cinquecento, è citata come Palazzo Ottaviani fino a tutto l’Ottocento61; esso è passato attraverso numerosi rifacimenti e possessori, fino alla famiglia di Maria Vittoria Tarsi Marcolini che attualmente ha posto in vendita la proprietà. Nel palazzo non ci sono più tracce degli stemmi delle varie famiglie che l’hanno posseduto, e sarebbe stato impossibile individuarne il soggiorno tra quelle mura attraverso i segnali di pietra che ci guidano. E invece siamo incorsi nello stupefacente incontro con un casato che ha voluto consegnare di sé una testimonianza epigrafica di straordinario vigore, la più lunga di tutte le epigrafi di Corinaldo: la nobile famiglia dei Fata. Il loro messaggio non è stato certo lasciato in un luogo riposto, anzi è collocato in modo che non sfugga a chiunque salga e scenda l’ampio scalone d’accesso al piano nobile della dimora: ma nessuno gli aveva più rivolto l’attenzione. Eppure la lapide di notevoli dimensioni s’impone allo sguardo, murata com’è sulla parete di fronte all’ampia finestra, al primo ripiano della scala (fig. 44). L’ha voluta in quella posizione Giovanni Battista Fata, che nel 1623 fece trascrivere sulla pietra un Decreto di privilegio concesso più di un secolo prima ad un illustre antenato della famiglia, Giovanni Andrea Fata, dal re di Francia Francesco I: il sovrano stesso lo confermò da Lione col grande sigillo regale il 17 luglio 1515. I ritratti dei due personaggi, il re di Francia (fig. 45) e il Cavaliere aurato Giovanni Andrea Fata (fig. 46), sono presenti nelle sale del Palazzo comunale. Giovanni Andrea Fata è noto agli storici e a tutti coloro che hanno letto, nelle Istorie di Cimarelli, il Trattato di quelli huomini illustri che si ha per cogni tione esser in diversi tempi fioriti in Corinalto62. Nel presentare le benemerenze 44 – Lapide di arenaria137x75x2 murata alla parete destra, primo ripiano dello scalone, nel Palazzo Tarsi Marcolini, già Ottaviani Fata, in Piazza Il Terreno n. 20; presenta una frattura orizzontale ricomposta tra le ll. 44-45; nell’unico margine di sinistra di cm 7, sono incisi due stemmi, il primo all’altezza delle ll.1-2, il secondo tra le ll.18-21; sono visibili le linee di guida; caratteri cm. 3x2 alle ll. 1-2, e per la parola CVM alla l. 3; cm 1,7x2 per i restanti caratteri. Trascrizione in Appendice I. 144 Testimoni di Pietra 45 – Sala Grande del Palazzo comunale: il ritratto di Francesco I re di Francia che elargì il privilegio di “Cava liere aurato” a Giovanni An drea Fata. di costoro, Cimarelli è costretto a fare un elenco parziale, servendosi delle note che a caso di loro negli archivi ritrovate si sono. Ma che si servisse davvero di carte d’archivio e non inventasse, per eccesso di amor patrio, le virtù ed i successi degli antenati, di ciò possiamo dare ora riconoscimento allo storico, su conferma di questo nuovo documento epigrafico, che non può certo suscitare dubbi sulla sua autenticità e che registra sulla pietra quanto riportato da Cimarelli. Le caratteristiche della storiografia del Seicento sono state delineate nell’intervento di Marinella Bonvini Mazzanti al Convegno su Cimarelli63: si apre in questo secolo uno straordinario interesse per tutte le fonti, che segna la nascita della moderna metodologia storica, fondata sulla ricerca e sullo studio della documentazione. Anche Cimarelli rientra in questa mentalità, riscontrabile nello sforzo di raccogliere il maggior numero possibile di dati: la sua fatica ci permette oggi almeno di conoscerli, anche solo per vagliarne l’attendibilità con altri strumenti di controllo e con il confronto con testi contemporanei o successivi: ricordiamo qui le Notizie particolari di Corinaldo nella Marca d’Ancona, Entro il rosso cerchio delle mura 145 46 – Il ritratto ad olio di Giovanni Andrea Fata, nella Sala Consiliare del Palazzo comunale, con la scritta: Jo(hannes) Andreas Fata Reipub(licae) Genuen(sis) orat(or) / apud Franciscum I Galliae regem / a quo Equitis Aurati insignia promeruit / Datum Lugduni 17 Juli 1515 riportate a metà del Settecento in un raro volume del corinaldese Francesco Saverio Brunetti, che riferisce e aggiorna le notizie sulle Famiglie antichissime, e cospicue, lodate dal P. Cimarelli64. C’è da notare infatti che la ricca messe di conoscenze riportata dal nostro storico-guida, ha finora diretto gli studiosi locali ad approfondire i suoi testi, tralasciando altri autori ed altri scritti su Corinaldo, sparsi nelle biblioteche di molte città, nei negozi di antiquari, nei manoscritti degli archivi delle famiglie nobili cittadine. Ne abbiamo avuto consapevolezza attraverso i colloqui con un appassionato raccoglitore, lettore e trascrittore di manoscritti e documenti storici, il bibliofilo Stanislao De Angelis Corvi, interessato alla storia di Corinaldo fin da bambino, attraverso i racconti della madre Elena, della nobile famiglia Brunori: a lui dobbiamo gran parte degli approfondimenti e delle precisazioni che abbiamo potuto apportare nel corso della nostra ricerca, in aggiunta alle notizie già pubblicate dagli studiosi locali. Il testo della lapide in onore di Giovanni Andrea Fata, affissa negli anni in cui Cimarelli era attivo a Corinaldo, è da quest’ultimo riassunto nel corso della presentazione del personaggio, inserito tra gli uomini illustri: ciò con- 146 Testimoni di Pietra ferma che lo storico registrò dall’originale i documenti che in mano dei suoi congiunti si vedono, e che davano notizie assai più ampie sull’attività del personaggio, ricercato da principi, papi e re: ricordiamo rapidamente il suo servizio di ambasciatore della Repubblica di Genova presso il re di Francia, Francesco I; le cariche di Commissario della Marca e di Governatore del l’Umbria; di Luogotenente Generale e in seguito di Governatore di Urbino, su incarico di Leone X, proprio al tempo delle lotte tra i Medici e i Della Rovere. Tornati questi ultimi nel possesso del Ducato, il nostro personaggio fu tanto apprezzato da Francesco Maria I e da sua moglie Eleonora Gonzaga, che fu trattenuto presso la loro corte e impiegato come ambasciatore e luogotenente. Ma, triste sorte di un uomo tanto degno e probabilmente altrettanto invidiato, durante una sosta nella sua terra di Corinaldo, fu ucciso da un sicario. Tra tutte le carte riguardanti le sue benemerenze, uno degli ultimi rappresentanti del casato dei Fata, Giovanni Battista, scelse di trasmettere sulla pietra la più onorifica, e soprattutto quella che concedeva privilegi non solo per i membri della famiglia contemporanei di Giovanni Andrea, ma anche per i loro successori, per trasmissione ereditaria. Il titolo più illustre era quello di “Cavaliere aurato”, che avrebbero ereditato i posteri che saranno nel tempo dottori dignitari ed esperti di leggi, come lo era appunto l’estensore della lapide, Giovanni Battista. Il privilegio reale concedeva inoltre che Giovanni Andrea potesse fregiarsi di uno stemma, accuratamente descritto nel documento, in cui era presente l’emblema stesso del re, tre gigli d’oro in campo azzurro: il lapicida è riuscito ad inserire entrambi, certo su prescrizione dello stesso Fata, nel piccolo margine sinistro della lapide (fig. 47). Possiamo vedere lo stemma a colori dei Fata (fig. 48) sotto il ritratto ad olio di Giovanni Andrea, che viene presentato nell’iscrizione come ambasciatore della Repubblica di Genova presso Francesco I, dal quale ricevette appunto la nomina di Cavaliere aurato. Il titolo di cavaliere, durante l’epoca feudale, era personale e non trasmissibile ereditariamente: nei secoli XII e XIII la cavalleria divenne un’istituzione giuridica ben definita da un codice professionale che regolava l’attività del cavaliere. Solo nel corso del Quattrocento e del Cinquecento, ormai trasformato l’assetto sociale con il prevalere degli stati regionali e nazionali, “il titolo di cavaliere assunse un significato soprattutto onorifico e l’istituto si vuotò del valore e dello spirito originario”65. La Chiesa tuttavia custodì sempre i valori di lealtà, fedeltà, difesa dei deboli che avevano rappresen- Entro il rosso cerchio delle mura 147 47 – Particolare dei due stemmi, del re Francesco I e della famiglia Fata, incisi nel margine sinistro della lapide in onore di Giovanni Andrea Fata. 48 – Lo stemma dei Fata raffigurato sotto il ritratto ad olio di Giovanni Andrea Fata, nella Sala Consiliare del Palazzo comunale. Lo stemma presenta alla som mità dello scudo tre gigli d’oro dipinti a distanza uguale, in campo azzurro, e in basso un albero, il leccio, sopra una base di sassi. tato l’ideale cavalleresco: come ricorda Stanislao De Angelis Corvi in un recente articolo, Paolo III Farnese fu il primo papa che, nell’ambito delle onorificenze pontificie, creò cavalieri in Roma: con bolla del 1540 confermò i privilegi dei cavalieri dello speron d’oro, o milizia aurata, titolo ricevuto appunto nel 1515 dal nostro Giovanni Andrea Fata e, aggiungiamo, anche da altri membri della famiglia Brunori. Recenti studi ci permettono di allargare la nostra indagine sui cavalieri corinaldesi del Cinquecento e del Seicento: Stanislao De Angelis Corvi e Renzo Paci hanno recentemente pubblicato le loro ricerche, il primo sui “cavalieri lauretani” e il secondo sulle guerre nell’Europa del Cinquecento, delle quali fu protagonista e acuto osservatore un contemporaneo di Gio 148 Testimoni di Pietra vanni Andrea Fata, il generale Achille Tarducci da Corinaldo66. La ricerca di De Angelis Corvi offre un dato nuovo per la conoscenza dei Tarducci: lo studio sul Collegio dei cavalieri lauretani, anche se soprattutto riferito ai cavalieri ascolani, mette in evidenza che tra loro fu insignito dell’onorificenza, con la Bolla apostolica di Paolo III Celestis Patrisfamilias, del 1545, Tarduccius de Tarducciis de Corinalto laicus Senogalliensis. Più tardi, nel 1551, il nuovo papa Giulio III, con la Bolla di conferma, erezione e aumento del Collegio dei cavalieri lauretani, inserisce ancora nell’elenco il nome di Tarduccius de Corinalto laicus senogalliensis: le date delle due bolle possono aiutare gli studiosi a far luce sulla cronologia e sull’identità di questo Tarduccio, dal momento che tale nome è presente per più membri del casato, riferiti successivamente nello studio di Paci. I cavalieri lauretani erano soprattutto impegnati nella difesa delle coste adriatiche dalle incursioni dei Turchi, lotta alla quale molto si dedicò Achille Tarducci, esponendo le sue considerazioni nel trattato Il Turco vin cibile in Ungaria con mediocri aiuti di Germania, ampiamente presentato da Paci; altre opere del Tarducci, meno note, sono state reperite negli archivi di famiglia e nelle esplorazioni bibliografiche di De Angelis Corvi, oltre a notizie manoscritte sul medesimo personaggio. Dalle indagini dei due studiosi – in minima parte pubblicate da De Angelis Corvi – emerge con sorprendente chiarezza l’importanza dei nobili corinaldesi nell’ambito della diplomazia e della pratica militare in Europa: nata dalle rivalità e dagli scontri tra fazioni cittadine, l’abitudine alle armi nel corso del Cinquecento e del Seicento era una prassi di vita, sostenuta dalle contingenze storiche, in un paese posto ai confini del Ducato di Urbino sempre in cerca di mercenari, e coinvolto nelle guerre in cui era spesso implicata la Santa Sede. Frequenti bandi anzi vietavano ai Corinaldesi di pigliar soldo per conto di capitani estranei allo Stato Pontificio, ma non sortivano effetto: si andava là dove l’offerta era più allettante per gli strati sociali inferiori, o dove parentele, segnalazioni o raccomandazioni permettevano ai giovani rampolli patrizi di prestare la loro opera d’ingegno e di braccio. Anche la famiglia Fata rientra in questi meccanismi sociali, all’interno dei quali era molto importante esibire titoli di meritato buon servizio, guadagnato anche dagli avi. Il documento epigrafico vuol dunque che a distanza di un secolo sia riconosciuto alla famiglia il prestigioso titolo di Cavaliere aurato, e non se ne perda il ricordo: rammenta Cimarelli che il cavagliero aureato con tutti gli suoi Discendenti, non è costretto a dar prova della sua nobiltà supplen Entro il rosso cerchio delle mura 149 do al tutto l’aureata cavaglieranza, e l’autorità Regale che la dona; da ciò la riproposta sulla pietra dell’ambìto titolo, forse da esibire presso altri nobili imparentati con i Fata, come gli Aldobrandini: Giovanni Battista Fata, Dottore in Diritto civile e canonico, volle che questo documento fosse estratto con cura dal (decreto di) Privilegio, nell’anno del Signore 1623, il 31 maggio, affinché Nicola, Camillo, Giovanni Maria di Giulio, AntenorE della famiglia Aldobrandini e i loro successori, guidati da questo esempio, ne traggano insegnamento e venerino Dio Ottimo Massimo. è ancora la collaborazione di De Angelis Corvi che ha permesso di confermare con altri documenti la presenza a Corinaldo dei membri della famiglia Aldobrandini citata nell’iscrizione: passati a Pergola da Fano, uno dei membri della famiglia, Aldobrandino Aldobrandini, è aggregato alla nobiltà di Corinaldo l’8 settembre 1570; Sinibaldo I Brunori sposa Maddalena Tani di Prato, figlia di Domenico e di Alessandra Aldobrandini, sorella di papa Clemente VIII: una sorella di Alessandra, Elisabetta, sposa il senigalliese Aurelio Passeri. Lo stesso Achille Tarducci dedica la sua opera Il Turco vincibile in Ungaria a Giovanni Francesco Aldobrandini. Tra i personaggi riportati nell’epigrafe compare il nome di Antenore (o Antinoro) Aldobrandini, che acquista una fisionomia precisa grazie alle notizie presenti in uno dei citati manoscritti Brunori che ci è stato esibito67: egli vi viene definito come “uomo di varia letteratura e prudenza, di cui si vedevano tempo fa otto tomi legali che intendeva stampare. Ho l’attestato del dottor Panfilo Orlandi nelle sue memorie manoscritte, è nominato in una lapide scolpita de an(no) 1623 prim(o) Kalendis Junii in domo Ottaviani”. Il manoscritto attesta sorprendentemente la presenza e la data di apposizione della nostra lapide in domo Ottaviani: ciò conferma che la dimora dei Fata, autori della lapide, è stata comune anche agli Ottaviani, imparentati con loro e noti in seguito come proprietari del palazzo, mentre si è oscurato il nome dei Fata. Antenore Aldobrandini risiedette a Corinaldo, dove è presente nel Consiglio al I grado nel 1625 e nel 1628; fu chiamato come podestà a Fano e nominato Vicepretore ad Ascoli Piceno; morì il 17 maggio 1673 a Corinaldo, come attestato nel Libro dei morti dell’Archivio parrocchiale, dopo cinquant’anni dalla data dell’epigrafe: dunque a quell’epoca egli poteva essere un giovinetto, come forse Nicola, Camillo, Giovanni Maria ai quali viene dedicata la lapide e per i quali sembra appropriata l’espressione ut discant, cioè affinché traggano insegnamento, verbo tipico dell’apprendimento giovanile. 150 Testimoni di Pietra La nobile famiglia di Silvestro Aldobrandini, allontanatasi da Firenze per inimicizia verso i Medici e legata da matrimoni alla famiglia ormai senigalliese dei Passeri (chiamati tre generazioni prima dal Bergamasco da parte di Sigismondo Malatesta per il ripopolamento di Senigallia), ebbe tra i suoi più famosi esponenti Ippolito, poi papa Clemente VIII, e Cinzio Passeri Aldobrandini, Cardinal nepote e famoso mecenate, nato a Senigallia nel 1551 da Aurelio Passeri e da Elisabetta Aldobrandini, sorella appunto di papa Clemente e della già citata Alessandra. Cinzio Passeri Aldobrandini, primo cardinale senigalliese, ebbe una lunga attività ecclesiastica e diplomatica e si distinse per la protezione degli artisti e dei letterati, tra i quali è notissima la benevola amicizia verso Torquato Tasso. La sua morte cade nel 1610, un decennio prima della composizione della nostra epigrafe. Ci fa pensare ad una rapida scomparsa del casato dei Fata nel corso del Seicento, la notizia che ci dà lo stesso Cimarelli su due rappresentanti della famiglia, suoi contemporanei: Fabio, figlio di Marco Antonio Fata e gran Dottore di legge, che morì nel pieno della virilità, nel 1612, senza legitimi posteri e naturali successori; la moglie di Fabio, unica erede del patrimonio, persuasa da persone devote (e magari interessate), prese l’habito d’una Religione stimata e a quell’istituto lasciò in eredità tutti gli averi dei Fata, ben centomila scudi, e i suoi beni personali, ritirandosi in povertà. Ricordiamo che lo stesso Giovanni Battista compare nel Consiglio nel 1625, ma ne è già scomparso nel 1627, a pochi anni dalla composizione della lapide; l’ultima testimonianza ufficiale della presenza dei Fata a Corinaldo si ha proprio con Nicola Fata, uno dei giovani dedicatari della nostra lapide, che risulta inserito nel Consiglio, al I grado, fino al 1669; dopo di che il loro nome scompare dagli elenchi. Anche Giovanni Maria, sempre nominato nella lapide, è iscritto nel “Libro dei morti” in data 18 marzo 1688. Il casato dei Fata risulta infine assente dall’elenco delle nobili famiglie corinaldesi redatto, come si è visto, da Francesco Saverio Brunetti nel 1754. Forse in questi anni in cui anche i rami collaterali della famiglia stavano estinguendosi, e per il sangue e per il patrimonio, Giovanni Battista dà incarico di trascrivere il privilegio di Francesco I, complicato documento cartaceo, sulla pietra arenaria, dove potessero resistere per sempre le benemerenze della famiglia: difficile compito per il lapicida, iniziato con accuratezza e terminato un po’ affrettatamente, con alcuni errori, ripetizioni, variabilità nelle abbreviazioni, e lettere piuttosto irregolari negli interspazi e nell’altezza. Entro il rosso cerchio delle mura 151 Per l’eccessiva lunghezza del testo, non lo traduciamo qui per intero, come si è fatto per le altre lapidi ma, nell’appendice I, riportiamo la nostra trascrizione del testo latino con lo scioglimento delle numerosissime e variatissime abbreviazioni e, di seguito, la traduzione italiana. Per scrupolo di documentazione, presentiamo anche la trascrizione dell’epigrafe in latino, mantenendo l’impaginazione con tutte e soltanto le lettere alfabetiche visibili (dunque anche gli errori e le ripetizioni), senza i segni delle abbreviazioni. La consultazione diretta dell’epigrafe permetterà di controllare il testo originale, che ci auguriamo non venga occultato nella ristrutturazione del palazzo, scomparendo di nuovo. Anche questo documento infatti è emerso come un’apparizione inaspettata ed ha chiamato proprio chi cercava la sua testimonianza: gli ultimi abitanti del palazzo e la proprietaria Anna Maria Marcolini Pagliariccio, che ce lo ha segnalato, lo avevano notato, ma mai letto con attenzione68; chi lo avesse fatto per loro, non ne ha data comunicazione ufficiale, almeno per quanto se ne sa tra gli studiosi locali. Così è toccato a noi stupirci per primi davanti a quel testo ignorato che pure, tra i pochi, esibiva nomi, date, personaggi di fama europea e perfino la firma dell’estensore. Ci resta il loro emblema, ancora inserito nella stemma composito della famiglia Brunori Ottaviani Vigilini Fata, oggi in uso tra i discendenti di quelle famiglie più volte imparentate tra loro (fig. 60): i Fata infatti si estinguono negli Ottaviani, che abiteranno come si è visto nel loro palazzo, e a loro volta gli Ottaviani Fata si estinguono nei Brunori quando, ai primi del Settecento, Caterina Ottaviani, ultima erede del nome, sposa Sinibaldo III Brunori. La famiglia Ottaviani è lodata da Cimarelli, oltre che per i meriti acquisiti da alcuni suoi esponenti presso la Sede Apostolica, anche per la sua generosità e liberalità di cui godettero particolarmente i Padri Cappuccini e i poveri della città. Riconsegniamo la conoscenza dei Fata alla memoria dei cittadini, ricordando che l’epigrafe è già scampata ad una possibilissima distruzione: durante la Seconda guerra mondiale infatti, il palazzo è stato colpito da una bomba che ha distrutto l’ingresso e il portone, seppellendo sotto le macerie una povera donna e ferendo altri; ma la lapide è rimasta al suo posto ed ha assolto al suo compito di trasmettere a noi, lettori magari smaliziati e poco riverenti, il barbaglio dorato dei cavalieri antichi. Come abbiamo detto, sul portale del palazzo non compaiono i simboli 152 Testimoni di Pietra araldici dei vari casati, bensì un ornamento in forma di aquila con le ali aperte (fig. 49), che racchiude al centro il monogramma IHS, interpretato comunemente, ma non correttamente, come le iniziali latine di I(esus) H(ominum) S(alvator), Gesù Salvatore degli Uomini. Il monogramma era stato affidato alla devozione cristiana da San Ber nardino nato a Siena nel 1380, particolarmente devoto del nome di Gesù, e divenne ancor più popolare quando fu inserito nello stemma dei Gesuiti. Uno studio del francescano Padre Filippo Ferroni ricostruisce la vera ideazione del monogramma da parte di San Bernardino: egli si servì dell’abbreviazione del nome di Gesù al nominativo della lingua latina IE (SU)S ma con grafìa greca: IHS, e al centro delle tre lettere inserì il celebre Tau di Ezechiele, la lettera dell’alfabeto ebraico che doveva essere impressa sulla fronte di quanti non avevano ceduto all’idolatria, affinché fossero salvati dallo sterminio; la lettera tau assomiglia ad una croce e così viene comunemente interpretata: T. Bernardino pose il monogramma al centro di un sole raggiante e in certi casi aggiunse l’iniziale del nome di Maria, raccomandando di rappresentarlo in molti esemplari e di esporlo nelle abitazioni69 In tal modo il nome di Gesù affisso alle porte, sormontato dal simbolo della salvezza dallo sterminio, avrebbe protetto come in antico le case di chi lo esponeva. La sua diffusione è vasta in tutte le città italiane e anche a Corinaldo è presente in un notevole numero di esemplari: lo vediamo in un frammento già descritto sul portale di Madonna del Piano (fig. 41, cap. I), nel periodo in cui la chiesa appartenne al Collegio Germanico Ungarico gestito, come si è detto, dai Gesuiti; sull’alto terrazzo dell’appartamento della famiglia Ricci Rossi, all’ultimo piano dell’ex Monastero delle benedettine, in Via del Teatro 35: il monogramma è ancora ben visibile (fig. 50), mentre lo stemma di famiglia collocato accanto è ormai completamente eroso; nella facciata dell’abitazione di Via dei Santarelli n. 6 (fig. 51); nel portale (fig. 52) dell’ex Palazzo Ricci, attualmente acquisito e restaurato dalla famiglia Fabio Baldarelli, sul lato occidentale del Terreno, al n. 22; sulla vicina facciata (fig. 53) del Palazzo Romaldi, al n. 23. Lì accanto, al n° 17, uno stemma di piccole dimensioni (fig. 54) parla del grande casato degli Orlandi, già presentato, provenienti da un Monte d’Orlando, nelle alture tra Cagli ed Urbino, ma radicati a Corinaldo fin dalla metà del Trecento: il palazzo è ancora oggi occupato dagli eredi. Lo stemma è presente sul portale fin dagli anni Trenta, dove lo mostra una foto dell’archivio Carafòli, ma proviene dall’antico Palazzo Orlandi di Via del Velluto. Entro il rosso cerchio delle mura 153 49 – Stemma con il monogramma del nome di Gesù, in evidenza nel riquadro sul portale di Palazzo Tarsi Marcolini, già Ottaviani, in Piazza Il Terreno n. 20. 154 Testimoni di Pietra 50/51/52/53 – Dall’alto a sinistra, stemmi con il monogramma del nome di Gesù, IHS, talvolta accompagnato dall’iniziale del nome di Maria, presenti negli edifici: ex Monastero delle Benedettine, ingresso da Via del Teatro n. 35, alla parete del terrazzo di un appartamento all’ultimo piano; abitazione di Via dei Santarelli n. 6; Palazzo già Ricci Rossi, Piazza Il Ter reno n. 22; Palazzo già Romaldi, Piazza Il Terreno n. 23. L’emblema degli Orlandi è rappresentato a colori in molti esemplari, sotto il ritratto degli illustri rappresentanti del casato, nelle sale del Palazzo comunale (fig. 55). Imparentati con altri esponenti della nobiltà, i Romaldi, i Duranti, i Pasqui, i Cesarini, i Brunori, i palazzi degli Orlandi si diffondono nel tessuto urbano: il nome del casato compare nel fregio sopra il portale del Entro il rosso cerchio delle mura 155 54/55 – Stemma di arenaria della nobile famiglia Orlandi sopra il portale del palazzo, in Piazza Il Terreno n. 17; accanto, lo stemma a colori sotto il ritratto ad olio di Francesco Orlandi, nella Sala Grande del Palazzo comunale. Lo stemma, su campo azzurro, innalza tre monti d’oro sormontati da una cometa pendente in palo, fiancheggiata da due archi di luna. palazzo più antico, in Via del Velluto n. 44 (fig 56). L’antica struttura unitaria, attestata già per il 1530 nei catasti cittadini, è oggi parzialmente disabitata e smembrata in varie proprietà, ma resiste sul portale di corrosa arenaria il nome di Ottavio Orlandi70. Sul fregio delle due finestre al primo piano, contornate da eleganti volute, corre un motto in latino: Poiché conosciamo la potenza del suo aiuto, soltanto in esso speriamo (fig. 57). L’attuale degrado della facciata non sminuisce la nobiltà dell’impianto generale del complesso edificio. Il nome del proprietario, iscritto sopra il portale, ci riporta ai primi decenni del Cinquecento, ma la costruzione dell’edificio è sicuramente anteriore, come si vedrà: Ottavio Orlandi compare nell’albero genealogico come figlio di Raimondo di Luca e padre del capitano Mario e del capitano Silvio, zio di Panfilo Orlandi, di cui si ha documentazione per il 1544 tra i membri del Consiglio e che combattè per 156 Testimoni di Pietra 56/57 – Portale di arenaria dell’antico Palazzo Orl andi, in Via del Velluto n. 44; sul fregio dell’architrave è inciso il nome di Ottavio Orlandi; sul fregio delle due finestre al primo piano corrono rispettivamente le scritte: Quia novimus auxi lium In eo tantum speramus Entro il rosso cerchio delle mura 157 Francesco I di Francia contro l’imperatore Carlo V: il documento genealogico manoscritto è conservato, come si è detto, nell’archivio dei Brunori, legati da parentela agli Orlandi; una parte dell’edificio di Via del Velluto è passata nella proprietà di Elena Brunori ed apre ora un ingresso in via Mura del Bargello, n. 6; un recente restauro ha restituito al palazzetto caratteri di sobria signorilità. Nell’inferriata del portale sono presenti lo stemma gentilizio (fig. 58) e le iniziali di Elena Brunori, moglie di Vito De Angelis Corvi di Ascoli Piceno; l’emblema del casato ascolano è visibile in due formelle di ceramica apposte sulla facciata del palazzo, attualmente detenuto dal figlio Stanislao. Agli inizi del Settecento vi dimorava il canonico don Felice Brunoro Brunori (ricordato tra i benefattori delle Opere Pie in una lapide dell’Ospedale già presentata) che, per raggiungere il suo seggio nel bel coro ligneo della vicina chiesa di San Francesco, si era a poco a poco aperto un piccolo varco nelle mura cittadine prospicienti, scendendo all’esterno lungo il pendio di terra allora addossato ad esse. Nel secondo dopoguerra i Brunori, grandi proprietari terrieri, avevano assegnato l’abitazione al “fattore di città”. Lo stemma di pietra dei Brunori compare nella tomba di famiglia: all’esterno accanto a quello dei Querenghi con loro imparentati e, all’interno, in mosaico a colori, inquartato con gli stemmi degli Ottaviani Vigilini Fata, sulla tomba del giovane sottotenente Giovanni Brunori, morto durante la Prima guerra mondiale (fig. 60). I simboli presenti nello stemma dei Brunori sono meglio visibili nello scudo affrescato nella volta dello scalone dell’ex proprietà Brunori, ora Oasi S. Maria Goretti, in Piazza del Cassero n. 3 (fig. 59): il profilo di un volto dal colorito bruno, posto nella sua maestà, ricorda la provenienza della famiglia dall’Armenia; la sua definitiva collocazione tra la nobiltà di Corinaldo, attestata dai documenti manoscritti di famiglia e dalle rassegne di Brunetti e di Cimarelli, si pone circa alla metà del Quattro cento provenendo da Montesecco dove questa famiglia de scuri fù denominata de Brunori e per migliorar paese o altra cagione a Corinaldo fece passaggio. Il legame tra le famiglie Brunori e Orlandi, con la conseguente trasmissione e suddivisione del patrimonio edilizio, è avvenuto attraverso vincoli matrimoniali che, nel ramo principale, risalgono alla prima metà del Cin quecento, al momento dell’unione tra Malagige Brunori e Cleopatra Orlan di; seguono i matrimoni tra Agostino, contemporaneo di Ottavio Orlandi, e Andromeda; tra Paolo e Maria Lucia ai primi del Settecento e, alla fine di quel secolo, tra Domenico Brunori e Tecla Orlandi che risiedettero nel palazzo Brunori di Via del Corso, attualmente acquisito dalla Banca di Credito 158 Testimoni di Pietra 58/59 – Stemma dei conti Brunori nell’inferriata del portale del palazzetto, in via Mura del Bargello n. 6; accanto, lo stemma a colori affrescato nella volta dello scalone dell’attuale “Oasi S. Maria Goretti”, già proprietà Brunori, in Piazza del Cassero n. 3. Lo stemma innalza in campo azzurro il viso di un moro sor montato da una fascia d’oro orizzontale e al di sopra di essa tre comete digradanti in palo. Entro il rosso cerchio delle mura 159 Cooperativo, già Cassa Rurale ed Artigiana. Testimonianze epigrafiche su alcuni componenti della famiglia sono riscontrabili in una delle già note lapidi dell’Ospedale: nell’elenco dei nove benefattori delle Opere Pie, ben cinque personaggi appartengono alla famiglia Brunori, dal 1718 al 1870 (fig. 22). La cortese disponibilità di Stanislao de Angelis Corvi ci ha permesso di documentare due inediti emblemi di pietra della famiglia Orlandi, trovati all’interno del palazzo di via Mura del Bargello durante la ristrutturazione da lui stesso voluta. Dei due stemmi, uno 60 – Lo stemma della nobile famiglia è inserito in un frammento di pietra Brunori Ottaviani Vigilini Fata effigiato (fig. 61) appartenente ad un archiin mosaico e argento sul sarcofago di trave ormai smembrato; il secondo Giovanni Brunori, nella tomba gentilizia è invece ancora ben conservato nell’ al cimitero di Corinaldo. architrave di un elegante e completo portale di pietra arenaria (figg. 62 e 63), attualmente in restauro ad opera del proprietario. Ma il manufatto più straordinario per ricchezza di messaggi e raffinatezza di esecuzione è certo il pozzo ottagonale (fig. 64) di un riposto cortile interno: il recente accurato restauro gli ha restituito la nobiltà originaria. è costituito da una base ed un bordo superiore di pietra, tra i quali sono disposte otto lastre, scandite da altrettante colonnine tortili. Dalla parte da cui si attingeva l’acqua, la continua usura prodotta dalle corde dei secchi ha consunto parzialmente i rilievi delle lastre e di due colonnine, ma gli altri sei specchi mantengono ben visibili le raffigurazioni, certo legate a precise simbologie. Esaminate, come sicuramente meritano, da uno storico dell’arte, le belle pietre sapranno raccontare la loro antica storia e testimoniare le relazioni 160 Testimoni di Pietra 61 – Frammento di pietra arenaria 13x30x4,5 con lo stemma della famiglia Orlandi, recuperato durante il restauro del palazzetto Brunori, in via Mura del Bargello n. 6. 62/63 – Portale di pietra arenaria recuperato all’interno del palazzetto Brunori; accanto, il particolare dello stemma Orlandi al centro dell’architrave 132x18. Entro il rosso cerchio delle mura 161 con la vita della città, le ideologie del tempo, i rapporti con le dinastie dominanti: una delle lastre presenta infatti i simboli dei Della Rovere, riconosciuti dal proprietario. Per tutta la durata della dinastia, frequenti furono i legami tra i Della Rovere e le famiglie nobili corinaldesi i cui membri furono alla loro corte in qualità di Consiglieri, e Conduttori in guerra, Giudici e Governatori dei popoli in pace, come attesta Cimarelli; una documentazione precisa e più domestica ci è fornita dall’attestato di nascita di Giuseppe Brunori, avvenuta il giorno 8 giugno 1589, stilato di pugno dal padre Alessandro, in cui egli dichiara che “detto mio figliolo fu battizzato alli XI del detto mese, e li tenne à battesimo Madama Serenissima e Monsignor Illustrissimo della Rovere” che erano al tempo Francesco Maria II e Lucrezia d’Este, dei quali il Brunori era familiare71. Ci limitiamo a presentare qui una sola delle raffigurazioni del pozzo, quella che ci sembra la pietra testimone dei secoli che stiamo illustrando: uno scudo con al centro due chiavi decussate, sormontate dalla tiara papale (fig. 65). è possibile leggere in questo inedito documento due messaggi: la volontà di celebrare, sulla resistenza della pietra, l’avvenuta donazione delle chiavi alla nostra città, fatta da Nicolò V il 19 gennaio 1452, e insieme il segno del legame con la Santa Sede che Corinaldo rinnovò in quegli anni, certo sorretto e condiviso dall’assenso della nobiltà locale. Questa interpretazione secondo Stanislao De Angelis Corvi, è avvalorata da quanto riportato nel primo manoscritto Brunori nel quale viene riferita la donazione spontanea della Comunità di Corinaldo alla Santa Sede; così come vien fatto anche da Cimarelli, che dedica all’avvenimento e alla trascrizione dei patti e delle convenzioni tutto il capitolo dodicesimo del libro III. Il ricordo dell’evento sicuramente recente, sigillato sulla pietra, conferma l’erezione del Palazzo Orlandi almeno nella prima metà del Quattrocento; nella recente ristrutturazione del resto, sono state riordinate strutture quattrocentesche, riconoscibili soprattutto negli architravi del tetto. La lastra del pozzo ci consegna anche un simbolo, la tiara papale, che invano abbiamo cercato in altri documenti di pietra; nessuno stemma dei tanti pontefici che hanno avuto relazione con Corinaldo è più presente nella città (se lo è mai stato), e soltanto l’effigie di un papa moderno resta tra noi: il mezzo busto di Pio XII che guarda compiaciuto, nell’atrio davanti al battistero di San Francesco, il piccolo monumento a Maria Goretti, da lui proclamata santa nel 1950. 162 Testimoni di Pietra 64 – Pozzo ottagonale di pietra arenaria nel cortile interno del palazzetto Brunori: diametro cm 112 all’imboccatura, larghezza del bordo superiore cm 20; le otto lastre 75x35 di rivestimento del vano verticale, sono intervallate da colonnine tortili, di cui due parzialmente erose; specchi riccamente decorati con raffigurazioni simboliche, tranne due pressoché spianati dall’usura. 65 – Una lastra di rivestimento del pozzo, con la raffigurazione di due chiavi decussate racchiuse entro uno scudo, sormontate dalla tiara papale. Entro il rosso cerchio delle mura 163 Altri stemmi sussistono sugli edifici del lato settentrionale de Il Terreno: se sul portone al n. 6 è comparso, dopo la recente ristrutturazione, uno stemma voluto dal proprietario ma estraneo alla storia corinaldese (fig. 66), nell’imponente palazzo al n° 4, al centro del portale è visibile l’emblema dei Mazzoleni, sormontato da un cappello prelatizio (fig. 67): lo stemma 66 – Uno stemma recentemente inserito sul porè riprodotto a colori, privo del tone al n. 6 di Piazza Il Terreno, proveniente da cappello, in un affresco al cenlocalità estranea alla storia di Corinaldo. tro del soffitto, nella camera conosciuta dai residenti come “la stanza del prelato”, dove è ben visibile il braccio rivestito da corazza che regge la mazza (fig. 68). I rappresentanti della famiglia Mazzoleni, originari di Bergamo e presenti a Corinaldo nella persona del cavalier Malagigi Mazzoleni fin dal secolo XV, come registra il manoscritto Brunori, ricorrono in numerosi documenti, che testimoniano la loro partecipazione alla vita cittadina: per restringerci ai settori trattati nella presente ricerca, dei quali è già stata data la bibliografia, ricordiamo che nel Cinquecento è presente nel convento di San Francesco il Padre Maestro Sante; Claudio Ridolfi fu molto appoggiato ai suoi tempi da membri di quella famiglia; Giuseppe Maria ebbe funzione di Ufficiale del Monte di Pietà agli inizi del Settecento e il suo contemporaneo Gian Orazio fu Arciprete di San Pietro e curò la parziale ristrutturazione della chiesa e del campanile. Tra le testimonianze epigrafiche, il loro nome compare nelle lapidi già descritte dell’Ospedale: Bernardino Mazzoleni, marito di Maria Lavinia Brunori, nel suo testamento del 1665, lasciò ai poveri le rendite di un podere che diede vita in seguito ad una “Opera Pia”. I membri della famiglia Mazzoleni compaiono nell’albero genealogico ricostruito da Arnaldo Ciani, figlio di Clitofonte e di Rosa Madalena Mazzoleni, che abitò nel palazzo al Terreno con sua moglie Edvige Orlandi, egli redasse il documento nel 164 Testimoni di Pietra 67 – Il portale di Palazzo Mazzoleni, in Piazza Il Terreno n. 4, con lo stemma della nobile famiglia sul concio di volta, visibile nel riquadro. Entro il rosso cerchio delle mura 1928, in base alla consultazione dell’Archivio parrocchiale, potendo risalire naturalmente solo ai primi del Seicento; il foglio manoscritto, attualmente conservato nell’archivio degli eredi Paolini, riporta solo le date dei più antichi rappresentanti della famiglia, Pier Andrea Mazzoleni e Antonia Fata, il primo morto nel 1606, e si conclude con la generazione contemporanea di Arnaldo, morto nel 1940. La coppia Arnaldo Ciani ed Edvige Orlandi, non avendo avuto figli, ha lasciato il nome e il palazzo in eredità alla figlia adottiva Ea Lenci Ciani coniugata Paolini, che lo ha ristrutturato per sé e per i figli i quali attualmente lo abitano, dopo la di lei morte avvenuta nel 1998. 165 68 – Lo stemma dei Mazzoleni affrescato al soffitto di una stanza del piano nobile del palazzo, in Piazza Il Terreno n. 4. Stemma d’azzurro alla fascia alzata d’argento abbassato in punta; uscente dal fianco sinistro dello scudo un destrocherio corazzato armato di mazza, attributo di valente guerriero. Nessuno invece ha ancora posto mano al restauro del più imponente edificio del Terreno, il rinascimentale palazzo dei Romaldi, costruito nei primi decenni del Cinquecento: la Soprintendenza regionale per i Beni Ambientali e Architettonici dichiara che il palazzo riveste notevole interesse storicoartistico ed è da ritenersi inserito negli elenchi degli Enti descritti nell’art.4 della legge n. 1089/3972. Confluito nei beni del conte Giacomo Cesarini Romaldi, è stato da questi assegnato in eredità, come si è detto, alla Congregazione di Carità, oggi Istituti Riuniti di Beneficenza. Anche per questo Ente il restauro è risultato troppo oneroso, così che l’immobile è stato prima offerto all’asta pubblica e in seguito, risultata essa deserta, è stato venduto nel 1998 ad un privato residente a Bologna73. Dopo l’acquisto tuttavia il proprietario non ha proceduto ad alcuna sistemazione e l’edificio penosamente mostra i segni di un 166 Testimoni di Pietra 69 – Due stemmi inseriti nella cancellata di accesso alla Villa Cesarini, in Via del Montale; i simboli araldici sono ottenuti dal traforo delle lastre di ferro. La descrizione è ricavata dagli stemmi dipinti al centro di un soffitto a cassettoni, ora perduto, all’interno della villa. A sinistra, stemma della nobile famiglia Cesarini Romaldi: partito nel primo d’azzurro alla fascia d’ argento accompagnata in capo dalla mezzaluna crescente d’argento sor montata da una cometa d’oro ondeggiante in banda, ed in punta da un uccello coronato movente da un monte di tre cime il tutto d’oro; nel secondo di verde alla banda scaccata di rosso e d’argento di due file. A destra, stemma della famiglia Duranti: di azzurro accompagnato in capo da una cometa d’oro posta sopra un monte di tre cime pure al naturale con la torre sormontata da tre stelle e da un lambello. immeritato declino. Nella fascia decorata del sottotetto è oggi a stento visibile la scacchiera di colore bianco e rosso (fig. 46, cap. I) presente nello stemma dei Romaldi; le finestre sono ornate da decorazioni figurate di arenaria, le fondamenta inglobano, come si è detto, i resti dell’antico cassero. I legami matrimoniali tra vari casati nobiliari hanno modificato gli emblemi dei Romaldi, che in altri esemplari si presentano partiti o inquartati: nella cancellata di ferro della villa di campagna al Montale e nella tomba gentilizia, gli scudi raccolgono insieme i simboli dei casati dei Cesarini, dei Duranti e dei Romaldi (fig. 69). Mal conservato ma ancora assai notevole per i caratteri signorili della facciata e le proporzioni armoniose delle finestre, il palazzo della nobile famiglia Amati è oggi disabitato, benché si trovi lungo la principale Via Entro il rosso cerchio delle mura del Corso, al n 44. La proprietà fu smembrata durante la seconda guerra mondiale e l’ erede diretta, figlia di Elde Amati, ne possiede solo alcune stanze. Lo stemma di famiglia è ancora visibile nei fregi di alcune finestre sia della facciata principale (fig. 70) sia di quella posteriore, in Vicolo degli Amati. Le gesta degli antenati ci sono consegnate dalle narrazioni di Cimarelli, che descrive molti illustri personaggi appartenuti all’antica famiglia, tra i quali alcuni particolarmente benemeriti per la storia corinaldese, ritratti con il loro stemma a colori nella Sala Grande del palazzo comunale (fig. 71); l’albero genealogico e le vicende del casato fino al secolo scorso, sono ampiamente presentati nel citato studio di Francesca Pongetti. Mancano ormai lungo Via del Corso gli stemmi sulla dimora dei Cesarini, ai numeri 59 e 61, e su quella dei Brunori, divenuta sede di un istituto di credito, come si è detto: tra i due grandi palazzi, un edificio più basso presenta sui conci di volta il monogramma del nome di Gesù e le iniziali di Maria. Anche il palazzetto Ciani 167 70 – Palazzo della nobile famiglia Amati, in Via del Corso n. 44: nel fregio delle finestre è raffigurato lo stemma di famiglia, visibile nel riquadro. 71 – Lo stemma della famiglia Amati raffigurato a colori sotto il ritratto di Aloysius Amati, nella Sala Grande del Palazzo comunale. Lo stemma innalza in campo azzurro una croce d’oro che lo divide in quattro quarti, nei due supe riori vi sono tre stelle per ogni quarto ed in ognu no dei quarti inferiori tre monti d’oro sormontati da un albero carico di frutti rossi. 168 Testimoni di Pietra al n. 31, ha rinnovato alla fine dell’Ottocento la facciata: la data 1880 è iscritta sul fregio di pietra di una finestra al primo piano. Nella ricostruzione è stato evidentemente smembrato il precedente portale che esibiva uno stemma: ne restano due frammenti, una lastra di arenaria murata nella facciata di ponente, in Via Landroni, ed una conservata all’interno dell’abitazione dagli eredi, la famiglia del già citato archivista di Corinaldo Efrem Rossi: la proprietà di Adele Ciani, figlia di Vincenzo e di Dirce Cesarini e sposa di Carlo Rossi, figlio di Efrem, venne trasmessa infatti a quest’ultima famiglia. La cortese disponibilità di Mariella Marinelli, moglie del figlio di Carlo Rossi, Gianfranco, ci permette di presentare questo emblema ormai sconosciuto. La famiglia Ciani proveniva dalla Toscana, secondo le fonti riferite da Pongetti e da Daniele Ciani, autore di un opuscolo sulla storia familiare74; fu aggregata solo nel 1667 al Consiglio di Corinaldo, dove siede in quell’anno al IV grado Lorenzo Ciani: non poteva pertanto esibire un emblema nobiliare fin dal 1643, l’anno inciso nello stemma di Via Landroni; è da escludere perciò che lo stemma ritrovato in casa Rossi sia appartenuto ai Ciani. Ricordiamo invece che un palazzo dei Ciani sorgeva vicino al citato Palazzo Sandreani, ma era già caduto in rovina alla fine dell’Ottocento, come testimonia Francesco Turris nelle citate memorie su Corinaldo. Lo stemma dei Ciani, una colomba posata su di un grappolo d’uva e sormontata da una stella cometa, è noto solo in documentazione cartacea, mancano documenti di pietra. L’unica testimonianza epigrafica della famiglia si registra nelle lapidi già presentate dell’Ospedale dove, tra i benefattori della Congregazione di Carità, compare il nome di Giuseppe Ciani, che lasciò un fondo rustico. La lastra di arenaria (fig. 72) di Via Landroni, presenta l’elegante figura di un levriero ritto, cinto al collo da un collare, simbolo di fedeltà e dedizione, che leva la zampa destra appoggiandola a un oggetto non più visibile; tale oggetto tuttavia è ricostruibile attraverso il secondo frammento, che presenta la stessa immagine del cane - in figura di “tenente” -, che appoggia però la zampa ad uno scudo in cui è inserito l’emblema: sopra tre colli un braccio destro uscente dal fianco sinistro dello scudo, sostiene un giglio affiancato da una stella di sei raggi (fig. 73). Interessante la data riportata accanto al levriero, 1643: essa ci riporta al periodo dell’erezione dei palazzi nobiliari lungo l’asse del nuovo ampliamento della città verso sud ovest, costruzioni che si addossarono addirittura sopra alcuni tratti delle mura cittadine: il nome di “landroni”, corruzione popolare di “androni”, ha origine appunto dal corridoio coperto che si Entro il rosso cerchio delle mura 169 72 – Frammento di arenaria 17x30 murato in Via Landroni n. 4: vi è raffigurato un cane levriero con collare, in funzione di tenente; in alto a destra è incisa la data 1643. 73 – Lastra di arenaria in frammento 17x23x4,5, all’interno dell’abitazione di Via del Corso n. 31, con la raffigurazione di uno stemma non identificato. Stemma antico sorretto da un cane (tenente). Pro babilmente d’azzurro al destrocherio vestito di rosso uscente dal fianco sinistro dello scudo, tenen te un giglio d’oro posto in palo affiancato da una stel la di sei raggi. venne a creare, per disposizione comunale, al di sotto dei palazzi e che permetteva di percorrere comunque il cammino di ronda, precedentemente a cielo scoperto. Sulla stessa Via del Corso, sul palazzo al numero 64, è recentemente ricomparsa, ad opera del proprietario principale Romolo Bettini, la scritta latina purtroppo in frammento (fig. 74), presente in antico sul fregio del portale: Sopporta e astieniti (dalla vendetta, dal ricambiare il male). La ricostruzione del motto latino è possibile sulla base del confronto con altre simili scritte, note in altri contesti. Il portale, completo di due ornamenti floreali di stile rinascimentale, compare in una fotografia scattata nel 1963 da Mario Carafòli, comproprietario del palazzo, prima di un restauro che ne ha smembrato la struttura, insieme con il fregio 170 Testimoni di Pietra All’interno del palazzo, insieme con altre “maraviglie”, è presente in una sala al primo piano, su un camino monumentale, uno stemma raffigurante una palma piantata su sei colli e sormontata da tre stelle. L’acuta intuizione di Stanislao De Angelis Corvi, esperto anche delle genealogie corinaldesi, ha permesso di individuare la famiglia di cui la palma rappresenta l’emblema: il palazzo è appartenuto nella seconda metà dell’Ottocento alle famiglie Marangoni di Saludecio e Cesarini, imparentate tra loro attraverso matrimoni, ma non rappresentate da questo stemma. Il corinaldese Luca Cesarini Romaldi sposa nel 1876 Leandra Marangoni, figlia di Alfonso da Saludecio; sono ancora presenti a Corinaldo i discendenti di questo ramo della famiglia Cesarini. Nei primi anni dell’Ottocento Ulderico Marangoni aveva sposato la corinaldese Sofia Brunori, che ebbe in dote il palazzo. Lo stemma del camino (fig. 75) testimonia invece la residenza nella bella dimora di famiglie precedenti e si deve considerare uno “stemma parlante”: infatti è stato scelto dal 1599 come simbolo dalla famiglia Palma di Urbino, anch’essa imparentata con i nobili di Corinaldo. Nelle citate notizie di F. Saverio Brunetti sulle famiglie nobili della nostra città, si attesta che Maria Leonora Orlandi fu sposata al conte Eustachio Palma nobile di Urbino; che Giustina Ottaviani (in realtà Sandreani, come risulta dagli alberi genealogici Orlandi Brunori) fu moglie del conte Aurelio Còrboli Brunori di Urbino e ”hanno avuto in sua Casa e date Donne agli Orlandi, Brunori, Sandreani di Corinaldo, alli Conti Palma…”; Girolamo Còrboli sposa nel 1604 Vittoria Brunori, da cui il citato Aurelio; successivi e ripetuti matrimoni, documentati negli alberi genealogici citati, legano i nobili urbinati Còrboli e Palma con i Brunori. A conferma, abbiamo consultato la ricca documentazione di Franco Mazzini sui muri e le pietre di Urbino, e abbiamo riscontrato che lo stemma della famiglia Palma, sulla facciata dell’omonimo Palazzo in via Valbona n. 34 ad Urbino, corrisponde a quello di Corinaldo75. Il testimone di pietra ci permette di avvalorare l’ipotesi, già ben radicata in De Angelis Corvi, che il palazzo corinaldese dove è ancora presente l’emblema dei Palma sia appartenuto nei secoli scorsi anche ai Brunori, e che proprio in esso siano stati ospitati tanti illustri personaggi in visita a Corinaldo, attirati dalla magnifica ospitalità di un nobile in particolare, il canonico Pier Luigi Brunori, arciprete della Collegiata di San Francesco dal 1646, Vicario vescovile della Diocesi di Senigallia, morto nel 1665. L’orazione funebre fu scritta per lui, non a caso, dal marchese Aurelio Còrboli Brunori, Conte di Entro il rosso cerchio delle mura 171 74 – Frammento di epigrafe di calcare 26x65x8 alla scala esterna di accesso al Palazzo già Maran goni, in Via del Corso n. 64; la lastra proviene dal fregio dell’antico portale. [S]ustine et a[bstine] 75 – Stemma di marmo (in evidenza nel riquadro) della nobile famiglia Palma sul coronamento del camino in una sala a pianterreno del Palazzo già Marangoni, Via del Corso n. 64. D’azzurro alla palma al naturale sulla cima di un monte di verde di sei pezzi, alla fascia d’oro accom pagnato in capo da tre stelle dello stesso. Montefiore, abitante a Corinaldo, e recitata dal di lui figlio Pompilio in San Francesco, il 10 ottobre 1665: l’oratore sottolinea che nel palazzo del canonico defunto“sono stati alloggiati, serviti con lautezza e splendidezza superiore allo stato privato tanti illustrissimi signori Cardinali della Marca e tanti altri prelati e signori…”; tra essi vengono ospitati, per il solo motivo di onorare con la loro presenza la casa dell’arciprete, “l’Eminentissimo signor Cardinal (Antonio) Bichi Legato di Urbino, nepote del Gran Pontefice Allesandro 172 Testimoni di Pietra (VII)… e il Cardinal (Cesare) Fachinetti che vi ha dimorato le staggioni intiere tiratovi da comodità dell’abitazione del Signor Arciprete”. L’orazione funebre manoscritta, reperita da Stanislao De Angelis Corvi nell’Archivio Pianetti conservato nella Biblioteca comunale di Jesi, è ritenuta fantasiosa dalla curatrice dell’inventario, ma risultata invece precisa in tutte le sue parti, che sono documentate in altri testi degli archivi Brunori e dell’Archivio parrocchiale di Corinaldo: il documento fornisce una storia dettagliata non solo della famiglia Brunori, ma anche degli altri nobili con loro imparentati, degli ospiti illustri soggiornanti a Corinaldo e, sullo sfondo, dei modi di vita e dei valori dell’epoca76. La ricchezza di rapporti e la circolazione di personaggi illustri - per tutti ricordiamo San Carlo Borromeo ospite della famiglia Brunori nell’agosto 1579 - tra Corinaldo e le corti del tempo, dalle quali era possibile ottenere incarichi e titoli nobiliari, giustifica la presenza di altri stemmi di pietra non attribuibili al patriziato corinaldese più noto, segnalati all’interno di dimore patrizie, ma anche di abitazioni oggi di carattere più popolare: ne è esempio il bello stemma dai caratteri rinascimentali sul fregio di pietra del camino (fig. 76), nell’ampia sala di una casa corinaldese, ancora signorile nonostante il degrado, in Via dei Clementi n. 14: non ci è stato possibile attribuire l’emblema a qualche casato, nonostante la richiesta di aiuto indirizzata agli esperti, ma certo la presenza di un manufatto di tanto pregio sorprende; per di più nella stessa abitazione, all’interno del portone, vicino ad un antico pozzo di laterizio ancora utilizzato negli ultimi decenni ma ora distrutto, è appoggiato un grande mortaio di pietra bocciardata, riutilizzato come bacile per l’acqua del pozzo (fig. 77) e pertanto munito di un foro nella parte inferiore. Sulla faccia anteriore è lavorato sulla pietra uno stemma vescovile assai pregevole rappresentante un’aquila a volo abbassato, scaccata, probabilmente di color giallo e nero, i colori imperiali. Se nessuno finora ha saputo fornire notizie storiche o araldiche sui due manufatti, di essi si sono interessate parecchie persone, per acquistarli e trasferirli nelle proprie case: li veglia però con grande fermezza l’anziana padrona di casa Esterina Tomani Baci, rispettosa della volontà del defunto marito, un modesto operaio che le aveva raccomandato di non venderli. Alla fedeltà della famiglia Tomani Baci, a cui siamo grati, si deve dunque la presenza a Corinaldo dei due artistici testimoni di un nobile passato. Un altro stemma vescovile (fig. 78) si presenta a chi esca dalla città e scenda lungo Via della Murata, la strada di collegamento al fondovalle, così Entro il rosso cerchio delle mura 173 76 – Stemma non identificato (in evidenza nel riquadro) al centro dell’architrave di pietra del camino, in una stanza al piano terra dell’abitazione di Via dei Clementi n. 14. Non si può definire il colore del campo, probabilmente di rosso, al capriolo accompagnato da tre stelle, due in capo e una in punta, probabilmente d’argento. denominata perché, in prossimità del fiume Nevola, conservava i resti di una costruzione, forse un posto di guardia, certo un notevole manufatto in muratura a ridosso di un ponte che collegava Corinaldo all’Oltrenevola, verso Ostra Vetere ed Ostra: la nostra ricognizione personale per documentare il manufatto ai lettori, ci ha messo di fronte ad un pilastro mozzato in laterizio, completamente ricoperto dai rovi e identificato solo grazie alla memoria storica di chi ci ha accompagnati fin là. L’area, un tempo assai importante per i collegamenti viari, è stata oggi destinata all’edilizia industriale, e tutto il paesaggio ne è risultato sconvolto: resta il ricordo dell’antico e sicuro attraversamento del fiume nel nome della via che vi conduceva, e nella denominazione di antiche località disposte lungo la media valle del Nevola, alle quali veniva aggiunta l’indicazione “di Casamurata”: ricordiamo San Paterniano e Sant’Andrea “di Casamurata” e la “selva di Casamurata”, registrata nei catasti rustici di Corinaldo del 1452 e del 1580. Lungo Via della Murata appunto, poco fuori del paese, sulla facciata rivolta alla strada di una villa al numero 10, è ben visibile, nonostante l’ac- 174 Testimoni di Pietra 77 – Mortaio di pietra, riutilizzato come bacile da pozzo, nel vano di ingresso dell’abitazione in Via dei Clementi n. 14, dove era presente un pozzo ora distrutto; sulla faccia anteriore è rappresentato in rilievo l’emblema non identificato. Stemma vescovile rap presentante un’aquila a volo abbassato, scacca ta, probabilmente nera, di giallo e di nero (colori imperiali). 78 – Stemma non identificato, sul muro rivolto alla strada dell’abitazione di Via della Murata n. 11. Stemma vescovile, al cingolo armato di gigli, probabilmente simbolo di una confraternita o di un ordine cavalleresco. curata copertura di pittura murale, uno stemma sormontato da cappello vescovile da cui pendono cordone e mappi: al centro, un cingolo armato di gigli, interpretato dagli esperti come simbolo di una confraternita o di un ordine cavalleresco, pone interrogativi al passante curioso. Inseriamo nell’elenco degli stemmi non ancora attribuiti anche la bella pietra proveniente da Villa Cesarini, presentata nel precedente capitolo, portatrice di segni araldici di grande nobiltà (fig. 79). La segnalazione degli stemmi potrà offrire agli studiosi materia per la loro identificazione: una fonte di ricerca ancora da sondare, che potreb- Entro il rosso cerchio delle mura 175 79 – Stemma non identificato 26x19,5x1,5 in rilievo su una lastra di arenaria 31x45x8, in deposito nei locali della “Sala del costume”, Largo XVII Settembre 1860. Stemma antico e probabilmente di consolidata nobiltà. In capo all’arme compare lo stem ma antico del Regno di Francia “d’azzurro seminato di gigli d’oro”. In punta compaiono tre crescenti (uno montante e due rovesciati) simboleggianti la fortuna e la vittoria sui Mori: forse d’argento. Sul fianco sinistro (destra per chi guarda) compaiono tre stelle di sei raggi, forse d’oro, male ordinate, attributo e simbolo di chi aspira a cose superiori, ad azioni sublimi. be aprire altri capitoli sulla storia sociale del Seicento corinaldese, è data dall’esame dei sigilli, e dunque degli stemmi, dei nobili corinaldesi nei testamenti conservati negli Archivi di Stato. una presenza popolare: i graffiti Ci piace chiudere la rassegna delle testimonianze di questo secolo con la presentazione di deboli voci popolari, affidate non alla costosa pietra ma incise personalmente con un semplice stilo sul cotto, il materiale più disponibile tra la gente comune. Sono in genere date, accompagnate da un semplice disegno ornamentale o da una scritta: le abbiamo viste su un coppo da tetto, conservato nel palazzo ex Marangoni, in cui compare la data 1666 (fig. 80); in anfore da olio o da vino smaltate, classico dono per le spose, su una delle quali è graffita la 176 Testimoni di Pietra 80 – Coppo con iscrizione graffita in corsivo, all’interno del Palazzo già Marangoni, in Via del Corso n. 64. Adì 18 di luglio 1666. 81 – Anfora da olio con la data 1668 e le iniziali G. R. graffite in corsivo, nell’abitazione di Via del Corso n. 31. data 1668 (fig. 81), conservate nell’abitazione già nota di Via del Corso n. 31; in un mattone estratto dalla muratura del Monastero delle benedettine, con incisa la data 1650 (fig. 82). Il messaggio più segreto ci è stato segnalato dal concittadino Giancarlo Balducci in un luogo di incredibile suggestione, rimesso in luce e reso accessibile grazie alla volontà di recupero delle qualità architettoniche dei palazzi Entro il rosso cerchio delle mura 177 82 – Mattone recuperato dalla muratura dell’ex Mona stero delle Bene dettine, con incisa la data 1650. 83 – Foro per l’approvvigionamento idrico della cisterna, nel cortile dell’ex Monastero delle Benedettine, oggi Albergo Ristorante “I Tigli”, Via del Teatro n. 31. cittadini del già noto Romolo Bettini: è in questo caso la grandissima cisterna di raccolta delle acque, riscoperta nella ristrutturazione del monastero delle Benedettine (fig. 83). Vuotato dell’acqua in eccesso, perché non più utilizzata, e dotato di uno scolmatore che ne garantisce il naturale livello, l’anello della cisterna con al centro l’apertura del pozzo, è ora fruibile dai cittadini e dagli avventori del ristorante “I Tigli”per un insolito incontro a fior d’acqua. 178 Testimoni di Pietra 84 – Ex Monastero delle Benedettine: nel muro interno della cisterna di raccolta delle acque è stata graffita la scritta in lettere maiuscole: Io Maria Adelaide e donna Filippa fusimo qua giu del 1686 Lì sotto, un luogo di difficile accesso anche in tempo antico, si sono avventurate due donne che hanno voluto fissare la loro audace impresa con una dichiarazione, incisa con una punta sullo scialbo del muro di contenimento: riflessa a stento dal limpido strato liquido, ai primi volonterosi che si sono calati laggiù è apparsa l’antica scritta (fig. 84): Io Maria Adelaide e donna Filippa fusimo qua giu del 1686. Le ignare donne non sapevano, con il loro ingenuo e forse furtivo attestato, di essere riuscite a rendere testimonianza storica di una fase di avanzamento dell’imponente edificazione del monastero, non chiaramente attestata ancora dalla documentazione d’archivio. Con le loro parole ci congediamo dai lettori, per i limiti temporali concessi dai committenti alla stesura del nostro testo. Con lo scrupolo di non aver chiarito e approfondito a sufficienza molti aspetti, con il desiderio di dar voce anche alle pietre dei secoli più vicini a noi, che attendono il loro turno per raccontarci di sé. Entro il rosso cerchio delle mura 179 Note 1 Lo slogan “Antico colore del tempo” è stato ideato dal concittadino Fabio Ciceroni. 2 Deliberazione del Consiglio Comunale di Corinaldo n. 160 del 20.12.1977. 3 Tra le numerose pubblicazioni utilizziamo qui la recente sintesi di V. VILLANI, I centri murati in età medievale, Provincia di Ancona, Sistema informativo territoriale, Settore VII-Assetto del territorio e difesa del suolo, 2004; dello stesso vedi l’ampia trattazione del periodo storico qui presentato in Serra de’ Conti. Origine ed evoluzione di un’autonomia comunale-secoli X-XV, Comune di Serra de’ Conti, 1995. 4 Vedi VILLANI, I centri murati…, cit. , pag. 120. 5 Vedi GREGORINI, Studio delle pievi…, cit., pag. 871. 6 Vedi lo studio di E. BALDETTI, Aspetti topografico - storici dei toponimi medievali nelle Valli del Misa e del Cesano, ed. Clueb, Bologna 1988. 7 Vedi Bibliotheca Sanctorum, Città Nuova Editrice, Roma 1969, XIII, pag.1244. 8 Vedi GREGORINI, Studio delle pievi…, cit., nell’ordine pagg. 861, 855, 863 per le notizie sulle chiese di San Vito, di San Bartolo, di San Pietro de Arutio. 9 Le figurette, Scuola Elementare Statale “Santa Maria Goretti”, Corinaldo, classi quinte, coordinatori A. M. Frati, D. Maori, P. Scattolini, a. s. 1999/2000, progetto “La scuola adotta un monumento”. Per completezza di documentazione indichiamo un’altra edicola sacra eretta in onore del Sacro Cuore di Gesù, al trivio Via Corinaldese – Via delle Ville – Strada per Montalboddo, in occasione del Giubileo 2000, dopo la pubblicazione dell’opuscolo da parte della Scuola elementare. 10 Chiesa di San Francesco. Corinaldo, Parrocchia San Pietro Apostolo - Scuola Media Statale “Guido degli Sforza”, classe II–III B, coordinatore prof. M. Ferroni, aa. ss. 1996/1997 e 1997/1998, progetto ”La scuola adotta un monumento”. 11 Vedi V. VILLANI, Signori e Comuni nel Medioevo marchigiano. I Conti di Buscareto, Deputazione di Storia Patria per le Marche, Ancona 1992, pagg. 243-245. 12 E. GREGORINI, La distruzione del castello di Corinaldo nel 1360, Cassa Rurale ed Artigiana di Corinaldo, Corinaldo 1987, pag. 58. 13 Vedi GIORGI, Suasa…, cit., (1981) , pag. 123 e pag. 179. Giorgi nel 1952 legge e trascrive: ANO D. MCCXL. HOC OP/US... FACIEBAT. 14 S. LENCI, L’evoluzione storica della cerchia muraria in La Fortificazione di Corinaldo, Atti del Convegno su Francesco di Giorgio nel 550° Anniversario della nascita, Corinaldo 2.3 settembre 1989, a cura di F. Mariano, Centro Studi Domenico Grandi, Edizioni Quattroventi, Urbino 1991, pag. 121. 15 Vedi GREGORINI, Studio delle pievi..., cit., pag. 958. 16 Vedi Archivio Comunale di Corinaldo, Culto ed oggetti di religione dal 1809 al 1812, fascicolo 15, al titolo Elenco delle chiese esistenti nel Comune di Corinaldo e suo circondario; inoltre Archivio Vescovile di Senigallia, Carteggi di Sacra Visita, 1826-1842. 17 E. MONTESI - G. VOLPE, Corinaldo, collana “Le mura delle Marche”, Editrice For tuna, Fano 1999. 18 Vedi F. MARIANO, La Fortificazione di Corinaldo e l’Architettura militare del ‘400 nelle Marche in La Fortificazione…, cit., pag. 29. 19 La distinzione nella denominazione delle due porte è presentata da Lenci, L ’evolu zione…, cit., pag. 121. 20 Dizionario di abbreviature latine ed italiane per cura di A. Cappelli, Hoepli, Milano, ristampa 1987, pag. 251. 21 La testimonianza ci è stata resa da Gerolamo Patrignani senza sostegno di documenti scritti. 180 Testimoni di Pietra 22 Il sonetto compare a pag. 6 delle Istorie di Cimarelli, insieme con altri numerosi componimenti poetici ed attestati di elogio all’autore. 23 E. GREGORINI, Politica e società nel castello di Corinaldo nel XV secolo, in La Forti ficazione… cit., pag. 88. 24 Ci ha accompagnati nella ricognizione delle pietre da costruzione di Corinaldo il geologo Rodolfo Coccioni dell’Università di Urbino, che qui cordialmente ringraziamo. 25 Vedi LENCI, L’evoluzione…, cit., pag. 131. 26 Vedi E. MONTESI, Elementi compositivi della struttura urbana, in La Fortificazione..., cit., pag. 108. 27 Vedi MARIANO, La Fortificazione…, cit., pag. 14 e pag. 16. 28 GREGORINI, Politica e società…, cit., pag. 87. 29 Per i nomi dei due personaggi si vedano le osservazioni dell’archivista corinaldese Efrem Rossi (1861-1913) nel fascicolo ad uso del Consiglio comunale Il riordinamento dell’antico archivio, Comune di Corinaldo, 1907, pag. 8. 30 MARIANO, La Fortificazione …, cit., pag. 20. 31 Vedi Delibera n. 30 del 22.11.1978 del Consiglio di Amministrazione degli II.RR.B. di Corinaldo. 32 Vedi Delibera n. 51 del 6.7.1991 del Consiglio di Amministrazione degli II.RR.B. di Corinaldo. 33 Ampie notizie sul Convento dei Francescani di Corinaldo sono riportate da G. PARISCIANI, I frati minori conventuali nella Diocesi di Senigallia, in Senigallia…, cit., III, pagg. 852-854; dello stesso, I Frati Minori Conventuali nelle Marche (secoli XIII-XX), Falconara 1982 e I Minori Conventuali nelle Marche nel 1535 in “Francescanesimo nelle Marche”, 2, Capodarco di Fermo 1990. 34 GIACOMINI, L’Archivio del Comune…, cit., pagg. 675-683; R. FIORANI, I Monti di Pietà nella Diocesi di Senigallia, in Senigallia…, cit., III, pagg. 1122-1127. 35 Vedi R. FRANCIOLINI, Il Monte di pietà di Sassoferrato, in “Picenum Seraphicum”, nuova serie, XVIII, 1999, pagg. 177-229; dello stesso per i riferimenti ai Monti di Pietà di Arcevia, Osimo, Jesi, vedi I Monti di Pietà nella Marca centrale, in Monti di Pietà, finanza locale e prestito ebraico nelle Marche in età moderna, Quaderni di Studi Storici, I, Centro Studi Avellaniti. 36 Un approfondimento sul periodo storico è stato effettuato nella tesi di laurea di O. PAGONI, Il I libro degli Statuti di Corinaldo del 1457, Università degli Studi di Urbino, a.a. 1980-81. 37 Il Breve di Pio VI compare in traduzione italiana nella citata Storia della Diocesi di Senigallia, II, alle pagg. 886-888. 38 Ricordiamo sul piano locale il volumetto di M. CARAFOLI, Corinaldo. L’assedio del 1517, Cassa Rurale ed Artigiana, Corinaldo 1984; riscontriamo invece che non si fa cenno, per l’anno 1517, all’assedio di Corinaldo nei citati Annali di Senigallia di Monti Guarnieri, che pure tratta ampiamente la vicenda. 39 Si fa qui riferimento al volumetto di M. CARAFOLI, Storie e storielle di Corinaldo e dintorni, Cassa Rurale ed Artigiana, Corinaldo 1978. Sulla “polenta nel pozzo” si accese una vivace polemica negli anni Cinquanta fra Mario Carafòli, che aveva suggerito di usare l’espressione per l’insegna di una trattoria, e il sindaco di allora che, con il Consiglio comunale, aveva avversato l’iniziativa: vedi gli articoli del quotidiano “Il Resto del Carlino”, 12 e 17 ottobre 1956. L’argomento venne ripreso e presentato ad un pubblico più vasto attraverso la rubrica radiofonica “I racconti di Mario Carafòli”, in onda nel terzo trimestre del 1976, per la trasmissione “Qui le Marche” della sede regionale RAI, a cura di Terenzio Montesi. 40 La notizia è riportata dallo Sforza nel citato Corinaldo nel cammino dei secoli, a pag. Entro il rosso cerchio delle mura 181 19; una cartolina del 1898 riproduce infatti la scalinata senza il pozzo (archivio di Stanislao De Angelis Corvi). Del collegamento idrico si dà notizia in un articolo plaudente di G. Pasqualini, Reminescenze e speranze, pubblicato nel 1894 nel periodico “Cesano-Misa”, anno II, 1 gennaio 1894, pag. 1. Il sindaco Pompeo Perozzi ottenne i finanziamenti grazie al sostegno del deputato Domenico Grandi, domiciliato a Corinaldo. Per festeggiare l’avvenimento fu fatta una gran festa nel Teatro cittadino. 41 Vedi GREGORINI, Politica… cit., pag. 98, nota 97 e inoltre ROSSI, Il riordinamento…, cit., pag. 9. 42 M. CARAFOLI, Ricerca del Paese più bello del mondo, Associazione Pro Corinaldo, Corinaldo 1979. 43 La descrizione e la documentazione storica su Sant’Agostino sono presenti in Gli Agostiniani nelle Marche a cura di F. Mariano, Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi, Motta editore, Milano 2004, pag. 183. 44 La ricerca di Dario Cingolani, presentata l’11 febbraio 2005 nella Sala grande del Palazzo comunale, è stata operata sul testo di G. TINTO VICINI, De insitutione regiminis dignitatum, a cura di P. Smiraglia, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1977, e sul testo di G. GUIDICCIONI, Orazione ai nobili di Lucca, a cura di C. Dionisotti, Adelphi, Milano 1994. 45 Sull’imponente cedro dell’Himalaya e sulla vegetazione presente nel centro cittadino di Corinaldo sono stati fatti uno studio e un preciso censimento nel fascicolo Il verde urbano, Progetto “Ragazzi 2000”, Scuola Media Statale “Guido degli Sforza”, classe I B, a.s. 1994/95. 46 La questione è affrontata per l’area locale da A. POLVERARI, Le pievi nel Senigalliese, in Nelle Marche centrali a cura di S. Anselmi, Cassa di Risparmio di Jesi 1979, I, pagg. 429-456. 47 La frase latina presenta una serie di termini espressi nel caso accusativo, con mancanza di un verbo transitivo di cui dovrebbero costituire l’oggetto: errore troppo vistoso per un’iscrizione di tal rilievo celebrativo. 48 Vedi GIACOMINI, L’Archivio…, cit., pagg. 666-667. 49 Il catalogo generale della mostra è stato curato da C. COSTANZI e M. MASSA, Claudio Ridolfi. Un pittore veneto nelle Marche del Seicento, il lavoro editoriale, Ancona 1994. 50 C. COSTANZI - F. MARIANO - M. MASSA (a cura di), Claudio Ridolfi. Un pittore veneto nelle Marche del Seicento, Atti del Convegno di Corinaldo, 24 settembre 1994, Centro Studi Domenico Grandi, Edizioni Quattroventi, Urbino 1997. 51 Le notizie sulla famiglia Ridolfi qui riassunte, sono tratte da Regesti, a cura di E. Gregorini, pubblicati nel Catalogo della mostra citato, alle pagine 202-211, per i quali è stato utilizzato il lavoro di ricerca di Dario Cingolani, Carlo Giacomini, Franco Negroni. 52 I dati sull’ampliamento del Monastero delle Benedettine sono riportati a pag. 215 del volume di Autori Vari, L’architettura teatrale nelle Marche, edito dalla Cassa di Risparmio di Jesi nel 1983. 53 Per un approfondimento sui beni dell’Appannaggio napoleonico nelle Marche vedi M. FRATESI, Il Principe e il Papa, Comune di Camerata Picena, Ancona 2004; N. GIANFRANCESCHI, Monterado, storia di un paese, Banca Popolare di Ancona, 1994; S. SEBASTIANELLI, L’appannaggio del Regno italico nelle Marche (1808-1845) in “Miscellanea sentinate e picena”, 1, gennaio-aprile 1972. 54 Vedi A. POLVERARI, Cronotassi dei vescovi di Senigallia, Editrice Fortuna, Fano1992, pag. 133. 55 Le notizie sulle benedettine di Corinaldo sono state reperite, e cortesemente trasmesse, da Stanislao De Angelis Corvi in A.S. Roma, Cam. III, B 970 f. 3, a. 1808. 182 Testimoni di Pietra 56 Archivio Vescovile di Senigllia, Inventarii de Luoghi Pii della Diocesi di Sinigaglia, tomo I, 1746, carta 231r. La citazione ci è stata cortesemente fornita da Eros Gregorini. 57 Vedi PONGETTI, La Marca…, cit., pagg.133-230. 58 AGOSTINO, Confessioni, libro IX, cap. II. 59 Corinaldo. La casa del tempo, testi di D. CARAFOLI, fotografie di D. MONTESI, Comune di Corinaldo, gennaio 2001, pagine non numerate. 60 ˆLa relazione di Flavio e Gabriela Solazzi è stata presentata nell’ambito del Con vegno di studi La fiamma onde il mio nome ha luce: gli Arsilli, tenutosi a Corinaldo il 4 luglio 2005. 61 Archivio Tarsi Marcolini: la citazione “già palazzo Ottaviani” è presente nell’atto di vendita dell’edificio da parte di Giovanni Ridolfi a Francesco Tarsi, redatto dal dott. Pietro Aguzzi, notaro in Corinaldo, in data 12 giugno1898, registrato a Senigallia il 24 medesimo al n. 335, vol. 30 Atti Pubblici. 62 Cimarelli, Istorie…, cit., Trattato II, pagg. 135-184; notizie su Giovanni Andrea Fata alle pagg. 147-149. 63 M. BONVINI MAZZANTI, Vincenzo Maria Cimarelli storiografo del Seicento, in Atti del Convegno…, cit., pagg. 47-65. 64 F. S. BRUNETTI, Trattenimenti scientifici sulla sfera, geografia istorica, meteore, ed astronomia, Bernabò e Lazzarini, Roma 1754; le notizie su Corinaldo alle pagg. 71-77. 65 Vedi S. DE ANGELIS CORVI, I cavalieri lauretani e la città di Ascoli, in I cavalieri dalla società ai Giochi Storici, VIII Convegno di studi sui Giochi Storici, Ascoli Piceno 12-13 aprile 2002, Quaderno n. 13 dell’Ente Quintana, pagg. 99-116; a pag. 99 le notizie sulla Bolla di Paolo III. 66 R. PACI, La guerra nell’Europa del Cinquecento e il generale Achille Tarducci da Corinaldo, Quaderno n. 31 di “Proposte e Ricerche”, Ancona 2005. 67 Nell’archivio Brunori sono presenti tre manoscritti, risalenti il primo al 1681, di pugno di Ascanio e di Panfilo Orazio Orlandi, il secondo al periodo tra il 1797 e il 1799 e il terzo al 1800, questi ultimi anonimi; da essi il proprietario Stanislao De Angelis Corvi ha tratto e cortesemente fornito ai ricercatori locali numerosi e inediti dati, confluiti nelle loro pubblicazioni. 68 Ringraziamo in modo particolare la proprietaria del palazzo Anna Maria Marcolini Pagliariccio, che ha segnalato la lapide e permesso la ricognizione; Roberto Spallacci per la testimonianza sulle vicende dell’edificio in cui ha abitato per molti anni, e l’ottimo Pierluigi Basili che si è sobbarcato la fatica della prima trascrizione a penna del testo epigrafico. 69 Vedi F. FERRONI, I Francescani a Fabriano, Arti Grafiche “Gentile”, Fabriano 1981, pag. 52. 70 Vedi E. GREGORINI, Variazioni catastali a Corinaldo tra il 1452 e il 1580, in “Proposte e ricerche”, 13, Urbino 1984, pag. 45. 71 L’attestato di nascita è stato reperito da Stanislao De Angelis Corvi nell’Archivio Pianetti della Biblioteca comunale di Jesi, B. 659/2, (1587-1625), fasc. 2. 72 Nota del soprintendente Renzo Mancini del 6/3/1999, inviata agli II. RR. B. di Corinaldo. 73 Vedi delibera n. 27 del Consiglio di Amministrazione degli II. RR. B. del 6/7/1998. 74 I Ciani di Corinaldo, a cura di D. CIANI, opuscolo distribuito dalla famiglia Ciani nell’anno 1999. 75 F. MAZZINI, Urbino. I mattoni e le pietre, Comune di Urbino, Argalìa editore, 2000, pag. 307. 76 Nell’Inventario dell’Archivio Pianetti nella Biblioteca Comunale di Jesi, stampato nel 1996 a cura di E. Federici, il testo è inserito alle pagg. 131-133. appendice I Epigrafe nel palazzo già ottaviani fata Si dà di seguito la descrizione dell’epigrafe riportata a fig. 44 che per la lunghezza del testo, la ricchezza dei dati storici, la novità del ritrovamento, appare degna di particolare attenzione. Per favorire un esame puntuale del testo inedito, si danno inoltre a) la trascrizione ad litteram del testo latino dell’epigrafe, mantenendo l’impaginazione, le abbreviazioni, gli errori e le ripetizioni; b) la nostra trascrizione in latino, con la correzione degli errori, l’uso della punteggiatura e lo scioglimento delle abbreviazioni, senza l’uso delle prescritte parentesi, per comodità di lettura; c) la nostra traduzione in italiano. Lapide di arenaria137x75x2 murata alla parete destra, primo ripiano dello scalone, nel Palazzo Tarsi Marcolini, già Ottaviani Fata, in piazza Il Terreno n. 20; presenta una frattura orizzontale ricomposta tra le ll. 44-45; nell’unico margine di sinistra di cm 7, sono incisi due stemmi, il primo all’altezza delle ll.1-2, il secondo tra le ll.18-21; sono visibili le linee di guida; caratteri cm 3x2 alle ll. 1-2, e per la parola CVM alla l. 3; cm 1,7x2 per i restanti caratteri. a) FRANCISCVS DEI GRATIA FRANCOR REX & C CVM NOBIS NATVRA INSITVM SIT VT PRINCIPEM DECET BENEMERITOS GRATITVDINE HONORIB PREMIIS AC BENEFICIIS AF FICIENDOS FORE ET PRAESERTIM VBI INGENIVM VIVENDI DEXTERI TAS FIDES OPTIMA ET VIRTVTVM AC LITERAR GRAVITAS AC AC NONNVLLA IN NOS COLLATA MERITA ET QVID GRATISSMA AD ID NOS SVADET PROVOCAT AC IMPELIT RESERVATA IN POSTE 184 Testimoni di Pietra RVM AD MAIORA NOS P VENTVROS CVPIENTES IGITVR PR AEMISSIS MOTI TE DNVM IO AND FATA DE CORINALT DIV INI ATQ HVMANI IVR DOCT ALIQVIB ET PREMIIS HONO RIB AC PRAEMINENTIIS DECORARE MOTV PROP ET EX NRA ANIMI CERTA SCIENTIA TE INQVAM INAVREAT MILIT EM NRA REGIA POTESTATE CVM HONORIB ONERIB ET PRI VILEGIIS IN SIMILIB COSVETIS CREAMVS ELIGIMVS FACI MVS AC LIBENTI ANIMO COSTITVIMVS AC DECERNIMVS IN PREM IVM FIDEM AC TESTIMONIV IN NOS COLLATOR MERITORV RE COGNITIONIS NRE VIRTVTIS AC DEXTERITATIS TVE ADDENT ENTES EADEM NRA REGIA POTESTATE TIBI IN PRIVILEGIV VT ET TVE I PRESENTES ET POSTRERITVI QES DEAGATIONE ET FAMILIA TVA QVI ET DOCTORES GRADVATI ET IVRISPERITI PRO TEMPOR FVERIN PRAEFATA AVCTORITATE NRA AC PO TESTATE REGIA APELLENTVR DICANTVR AC NOMINARI QES DE BEAT REGII MILITES AVREATI ET PERINDE QES HABEATVR AC REPVTENTVR IN PRAEMINENTIIS HONORIB AC PRIVILEG ACSI OMNI FORMA SOLITA AC IVRIS SOLENITATE SERVATA PROVT IN SIMILIB FIERI A NOBIS SOLITVM EST CREATI ELETTI AC NOMINATI FVISSENT ET ACSI PRESENTES A NOBIS FORENT QES TALI DIGNITATE AC PRIVILEGIIS DE CORATI ET CVM GRATITVDINIB GRATIOSIS BNFITIIS AC RECOGNITIONIB BNMERITI AD PERSEVERANDVM AC IN DIES DEO FAVENTE AD MELIORA MAGIS MAGISQ REFITIENDVM PROVOCENTVR AC IMPELLAT ET PENITVS E X NTRIS GRANDE EXEMPLV OB ID ALLECTIS ET PVOCAT IS INSIT AC PERIBBATVR LIBERALITER DECERNIMVS AC CONSTITVIMVS VT ET NRIS REGIIS INSGNIS ET ARMIS VTA RIS INFRASCRIPTA FORMA AD VNGVEM INVIOLABILITER OB SERVATA ET PROVT LATIVS AD OCVLV INPNTI PRIVILEGIO SVIS CONGRVIS COLORIB DEPICTA FVERIT V IN CVLMINE SEV SVMITATE SCVTI NRA INSIT INTIGRA INSIGA REGIA TRIA LILIA AVREA EQVALI ORDINE DEPITA I CAPO AZVRRO ET IFRA VEL SVBTER ILLEX ARBOS SVPRA SAXV PRATVRA DEPIGAT VR PROVT LATIVS AC MANIFESTE CVIQ INTVENTE PATEBIT SVIS COLOIB AC FORMIS IN HOC PNTI PRIVILEGIO INTEGRE NVLLO PRETERMISSO ET EA QVA DECET REVERENTIA AC GRAVITATE ONIMO DEOBSERVADO IN QVORVM OMNIB appendice 185 FIDEM ROBVR TESTIMONIVM PREMISSOR IVSSIMVS SIGILLO NRO MAGNIO CONMVNIRI SOLITO. DATVM LVGDVNI DIE 17 IVLII MILLESIMO QINGENTESIMO DECIMO QVINTO IOA BATT FATA I V D E PRIVLEGIO ACCVRATE ID EXTRAEDV CVRAVIT ANN DNI MDCXXIII PRID CAL IVNII VT NCOLVS CAMILLVS IO MARIA IVLII ANTEOR ALDOBRADIVS GENERE EOR SVCCESORS HOC EXEPLO DVCTI DISCAT ET D O M. COLANT b) Franciscus, Dei gratia Francorum Rex et cetera Cum nobis natura insitum sit, ut principem decet, benemeritos gratitudine honoribus, praemiis ac beneficiis afficiendos fore et praesertim ubi ingenium vivendi, dexteritas, fides optima et virtutum ac litterarum gravitas ac nonnulla in nos collata merita et quidem gratissima ad id nos suadet et provocat ac impellit, reservata in posterum ad maiora nostros posteros venturos, cupientes igitur, praemissis moti, te dominum Iohannem Andream Fata, de Corinalto, divini atque humani juris doctorem, aliquibus et praemiis, honoribus et praeminentiis decorare, motu proprio et ex nostra animi certa scientia, te, inquam, inauratum militem, nostra regia potestate, cum honoribus, oneribus, et privilegiis in similibus consuetis, creamus, eligimus, facimus ac libenti animo constituimus ac decernimus, in praemium fidem ac testimonium in nos collatorum meritorum recognitionis nostrae virtutis ac dexteritatis tuae, addentes eadem nostra regia potestate, tibi in privilegium ut et tuae familiae presentes et posteri tui equites delegatione et familia tua qui et doctores, graduati et iurisperiti pro tempore fuerint, praefata auctoritate nostra ac potestate regia appellentur, dicantur ac nominari debeant equites, regii milites aureati et perinde equites habeantur ac reputentur, in praeminentiis, honoribus ac privilegiis, acsi omni forma solita ac iuris solemnitate servata, prout in similibus fieri a Nobis solitum est, creati, electi ac nominati fuissent, et acsi praesentes a nobis forent equites tali dignitate ac privilegiis decorati et cum gratitudinibus, gratiosis benefitiis ac recognitionibus benemeriti ad perseverandum ac in dies, Deo favente, ad meliora magis magisque praeficiendum provocentur ac impellantur et penitus ex nostris grande exemplum ob id allectis et provocatis insit ac perhibeatur. Liberaliter decernimus ac costituimus ut ex nostris regiis insignibus et armis utaris, infrascripta forma ad unguem inviolabiliter observata et prout latius 186 Testimoni di Pietra ad oculum in patenti privilegio suis congruis coloribus depicta fuerit: ut in culmine, seu summitate scuti, nostra insint integra insignia regia: tria lilia aurea equali ordine depicta in campo azzurro et infra, vel subter, illex arbor supra saxuum praturam depingatur prout latius ac manifeste cuique intuenti patebit suis coloribus ac formis in hoc patenti privilegio integre, nullo praetermisso et ea qua decet reverentia ac gravitate, animo deobservanda. In quorum omnibus fidem, robur, testimonium praemissorum, iussimus sigillo nostro magno communiri solito. Datum Lugduni, die 17 iuli millesimo quingentesimo decimo quinto. Iohannes Bactista Fata, iuris utriusque doctor, ex Privilegio accurate id extrahendum curavit, anno Domini MDCXXIII pridie Calendas Iunii ut Nicolaus, Camillus, Iohannes Maria Iulii, Antenor Aldobrandinius genere et eorum successores, hoc exemplo ducti, discant et Deum Optimum Maximum colant. c) Francesco per grazia di Dio re dei Francesi eccetera Poiché è insito in noi per natura, come conviene ad un Principe, ricompensare le persone benemerite con la gratitudine, gli onori, i premi e i benefici specialmente quando a ciò ci consiglia, chiama e sospinge l’ingegno dimostrato nella vita, l’abilità, la lealtà più grande, l’eccellenza delle virtù e degli studi e alcuni meriti invero assai graditi verso di noi, riservandoci che in futuro i nostri posteri possano arrivare a migliori traguardi, desiderando (ricompensarti) e spinti dai tuoi suddetti meriti, dichiariamo di voler onorare te, signor Giovanni Andrea Fata di Corinaldo, dottore nelle leggi sia canoniche sia civili, con alcuni onori, premi e segni di distinzione, e ciò di nostra spontanea volontà e per un sicuro giudizio del nostro animo; e in virtù della nostra regale potestà te, dico, creiamo, eleggiamo e innalziamo e con animo favorevole decretiamo e costituiamo Cavaliere Aurato, con gli onori, gli oneri e i privilegi consueti in simili onorificenze, in premio, in fede e in testimonianza dei meriti che hai verso di Noi e in segno di riconoscenza del tuo valore e della tua destrezza; e aggiungiamo, con la Nostra regia potestà, che come privilegio per te, i membri presenti della tua famiglia e i tuoi posteri (siano) Cavalieri per trasmissione legale; e i tuoi familiari che saranno nel loro tempo Dottori graduati ed esperti di legge, per la suddetta Nostra potestà regia, debbano essere chiamati, detti e nominati Cavalieri appendice 187 Aurati, militi del Re; e come Cavalieri siano considerati e reputati nei diritti di precedenza, negli onori e nei privilegi, come se fossero stati creati, eletti e nominati (da Noi in persona) con tutti i rituali d’uso e osservando la solennità della legge, come si è soliti fare da Noi in simili casi e come se essi fossero stati presenti mentre venivano creati Cavalieri, in tale dignità e privilegi; e bene meritando per la gratitudine, siano stimolati e spinti a bene meritare di giorno in giorno, con l’aiuto di Dio, e a perfezionarsi sempre più, verso mete più alte; e quindi profondamente vi sia e venga notato un grande esempio da parte dei nostri, (che saranno) così attirati e sospinti verso maggiori mete. E Noi generosamente decretiamo e stabiliamo che tu possa anche usare i nostri Regi stemmi e insegne, nella forma qui sotto descritta, da osservare in ogni particolare, senza cambiare nulla; e in modo che alla vista sia più ampiamente presente il privilegio, siano dipinti con i loro appropriati colori: che in alto, ossia alla sommità dello scudo, sia l’intera Insegna Regale , tre gigli d’oro dipinti a distanza uguale, in campo azzurro; e di sotto, ossia in basso, sia dipinto un albero, il leccio, sopra una base di sassi, in modo che appaia più manifestamente e ampiamente a chiunque lo veda, nei suoi colori e forme, in questo evidente privilegio, per intero, senza omettere nessun particolare, e con quella reverenza e solennità che sono necessarie e si debbono osservare nell’animo. E abbiamo comandato che in fede, in forza e in testimonianza per tutti delle cose suddette, (queste disposizioni) siano confermate dal Nostro consueto Grande Sigillo. Emesso da Lione, il 17 giugno 1515. Giovanni Battista Fata, dottore in entrambe le leggi, volle che questo documento fosse estratto con cura dal (Decreto di ) Privilegio, nell’anno del Signore 1623, il 31 maggio, affinché Nicolò, Camillo, Giovanni Maria di Giulio, Antenore della famiglia Aldobrandini e i loro successori, guidati da questo esempio, ne traggano insegnamento e venerino Dio Ottimo Massimo. appendice II sindaci - pievani - arcipreti di corinaldo Sindaci di Corinaldo dal Secondo dopoguerra Arnaldo Ciani 14.08.1944 - 25.11.1944 Antonio Dominici 25.11.1944 - 14.11.1945 Domenico Battistini 14.11.1945 - 18.3.1946 Domenico Cacciani 18.03.1946 - 07.06.1951 Dino POETA 07.06.1951 - 11.06.1956 Sergio MINEO 11.06.1956 - 30.06.1958 Giovanni SARTINI 30.06.1958 - 23.11.1960 Giuseppe SCATTOLINI 23.11.1960 - 07.08.1975 Fabio CICERONI 08.08.1975 - 16.02.1981 Ennio LENCI 16.02.1981 - 22.11.1982 Fabio CICERONI 23.11.1982 - 22.07.1985 Erminio GIANCAMILLI 23.07.1985 - 06.12.1988 Ilario TAUS 24.12.1988 - 28.03.1989 Fabio COSTANTINI29.03.1989 - 18.07.1989 Commissario Prefettizio Stefano FABRIZI 19.07.1989 - 12.06.1994 Luciano ANTONIETTI 13.06.1994 - 26.06.2002 Livio SCATTOLINI 27.06.2002 Pievani ed arcipreti di Corinaldo Francesco ORLANDI Viviano BRUNORI Francesco BRUNORI Girolamo MANETTI Pietro Luigi BRUNORI Terenzo VITALI Filippo ALESSANDRI Bolla non reperibile Bolla non reperibile 1580 1629 1646 1696 1725 190 Testimoni di Pietra Luca Antonio PANTANI 1732 Domenico TADDEI 1748 Claudio RIDOLFI 1774 Filippo ALESSANDRI 1783 Giuseppe MORONI 1816 Luigi PAOLINI 1819 Giacomo MATTEI 1835 Domenico ROTATORI 1848 Domenico COLTORTI 1852 Gherardo EVANGELISTI 1885 Alessandro MARINELLI 1895 Francesco BERNACCHIA 1926 Umberto ROCCHETTI 1949 Piero PIERINI 1971 Umberto ROCCHETTI8.8 - 16.10.1988 Amministratore Parrocchiale Umberto MATTIOLI 16.10.1988 INDICE dei nomi Accattabriga 96, 97, 114, 116, 133 Agostiniani, ordine religioso 118 Aguzzi, famiglia 65, 182 Alarico 18 Alberti Giovanni 40 Albi Andrea 23 Albornoz Egidio 85, 86 Aldo, antroponimo longobardo 79 Aldobrandini Aldobrandino 149 Aldobrandini Alessandra 149 Aldobrandini Antenore 149, 187 Aldobrandini Elisabetta 150 Aldobrandini Giovanni Francesco 149 Aldobrandini Silvestro 149 Aldobrandini, famiglia 149, 150, 187 Alessandri Filippo 189 Alessandro VII 171 Amalia di Baviera 133, 135 Amati Elde 166 Amati, famiglia 132, 166, 167 Anselmi Anselmo 76 Anselmi Sergio 59, 76, 181 Antaldi (Degli) Antaldo 130 Antolini Simona 44, 46, 47, 60, 62, 74, 76 Antonelli Giacomo 135 Antonietti Luciano 76, 189 Arcangeli Galeotto 38 Arcangielo Francesco 28 Arsilli, famiglia 141, 142, 182 Augenti Andrea 76 Augusti, famiglia 135 Augusti Arsilli, famiglia 141 Avetrani Giuseppe Maria 103 Baldarelli Fabio 152 Baldelli Marisa 74 Baldetti Ettore 179 Balducci Giancarlo 176 Barbaresi Nicola 109 Barocci Federico 131 Baroncioni Andrea 75, 76 Bartera Giuseppe 59 Bartolini-Martelli, famiglia 91 Battistini Alberto 140 Battistini Domenico 189 Beauharnais Eugenio 133, 134, 135 Beauharnais Giuseppina 133 Beauharnais Massimiliano 135 Benamati Guid’Ubaldo 94 Benedettine, ordine religioso 134 Benedetto XIV 103 Bernacchia Francesco 190 Bernardelli Calavalle Rosetta 62, 75, 76 Bettini Romolo 111, 135, 169, 176 Bevilacqua Cristoforo 38 Bichi Antonio 171 Bolognini Bordi Nicola 116 Bolognini-Morbidelli, famiglia 21 Bonci Luca 109 Bonvini Mazzanti Marinella 144, 182 Bormann Eugen 44, 48, 60, 62, 76 Boscarini Pietro 109 Brunetti Francesco Saverio 144, 150, 170, 182 Brunetti Manlio 59, 75, 76 Brunori Brunoro Felice 108, 157 Brunori Domenico 108, 122, 157 Brunori Elena 157 Brunori Francesco 66, 189 Brunori Giacomo Di Luigi 108 Brunori Giovanni 135, 157, 159 Brunori in Savelli Cristina 108 Brunori Maria Lavinia 163 Brunori Ottaviani Vigilini Fata, famiglia 192 159 Brunori Pier Luigi 170, 189 Brunori Silvio 135 Brunori Sinibaldo I 149 Brunori Sinibaldo III 151 Brunori Sofia 170 Brunori Vittoria 170 Brunori Viviano 189 Brunori, famiglia 129, 135, 136, 145, 147, 149, 151, 154, 155, 157, 158, 159, 161, 163, 167, 172, 182 Cacciani Domenico 189 Calcagni Bartolomeo 105, 106 Campagnoli Paolo 75 Campana Augusto 86 Cappelli Adriano 179 Cappuccini, ordine religioso 122, 151 Carafòli Domizia 139, 182 Carafòli Luisa 45 Carafòli Mario 73, 76, 79, 113, 116, 118, 152, 169, 180, 181 Carbonari Geminiani A. M. 130 Carlo d’Angiò 35 Carlo V, imperatore155 Casci Ceccacci Tommaso 75 Cattabriga (vedi Accattabriga) Cesare Flavio Valerio Costantino 46, 47 Cesare Marco Aurelio Valerio Massenzio 46, 47, 75 Cesarini Dirce 168 Cesarini Romaldi, famiglia 23, 166 Cesarini Romaldi Giacomo 74, 97, 165 Cesarini Romaldi Ippolito 74 Cesarini Romaldi Luca 170 Cesarini Romaldi Vincenzo 109 Cesarini, famiglia 21, 42, 74, 154, 166, 167, 170 Ciaffoni Antonio 122 Ciani, famiglia 28, 122, 168 Ciani Arnaldo 163, 165, 189 Ciani Clitofonte 163 Ciani Daniele 168, 182 Ciani Giuseppe 109, 168 Ciani Lorenzo 168 Ciceroni Antonio (Toto) 67 Ciceroni Fabio 73, 113, 179, 189 Cimarelli Nicolò (Fra Vincenzo Maria) 18, 19, 20, 21, 22, 23, 24, 26, 27, 28, 29, Indice dei nomi 35, 42, 45, 48, 50, 51, 52, 66, 68, 73, 74, 77, 80, 85, 88, 92, 94, 96, 100, 101, 105, 107, 112, 114, 115, 117, 120, 126, 127, 128, 129, 130, 133, 142, 144, 145, 148, 150, 151, 157, 161, 167, 180, 182 Cimarello Di Gualtiero Mausulio 19 Cingolani Dario 8, 26, 73, 85, 86, 121, 181, 199 Clemente IV 29 Clemente VIII 149, 150 Coen, famiglia 135 Conventuali, ordine religioso 100, 101, 103 Còrboli Brunori Aurelio 170 Còrboli Brunori Pompilio 170 Còrboli Girolamo 170 Costante, imperatore 46 Costantini Fabio 189 Costanzi Costanza 74, 181 Cristofani Mauro 70, 76 Cutius Romanelle 65 D’Este Lucrezia 161 Dall’Aglio Pier Luigi 74 Damiani Giuseppe 76 De Angelis Corvi Stanislao 40, 129, 145, 146, 147, 148, 149, 157, 159, 161, 170, 171, 181, 182 De Angelis Corvi Vito 157 De Maria Sandro 74 De’ Rossi, famiglia 141 Della Rovere Francesco Maria I 105, 114, 123, 142, 144, 146, 147, 150, 155 Della Rovere Francesco Maria II 161 Della Rovere 98, 105, 114, 123, 146, 159, 161 Destro Marco 75 Di Giorgio Martini Francesco 90 Dionisotti Carlo 181 Domenico Coltorti 190 Domenico da Leonessa 110 Dominici Antonio 15, 73, 136, 189 Dominici Giorgio 73 Dominici Licia 73 Duranti, famiglia 154, 166 Evangelisti Gherardo 190 Fabrizi Stefano 189 Indice dei nomi Fachinetti Cesare 171 Fata Antonia 163 Fata Camillo 149 Fata Francesco 104, 106 Fata Giovanni Andrea 104, 142, 144, 145, 147, 182, 186, 199 Fata Giovanni Battista 142, 146, 149, 150, 187 Fata Giovanni Maria 149, 150 Fata Marco Antonio 150 Fata Nicola 149, 150 Fata, famiglia 142, 148, 149, 150, 151 Federici Elena 182 Fermani Ved. Brunori Elisabetta 108 Ferroni Filippo 152, 182 Ferroni Maria 179 Filippi Carolina 108 Filipponi Giuseppe 39 Fiorani Alberto 28, 73 Fiorani Renzo 105, 180 Fonti Di Mineo Giacomo 35 Fontini (O Fonti), famiglia 35, 36 Fontini Cristofaro 35 Fontini Filippo 34, 35, 36, 37 Fontini Livio 35, 36 Fontini Pandolfo 35, 36 Francescani, ordine religioso 110 Francesco Di Domenico 100 Francesi, popolo 89, 134, 186 Franchi, popolo 80 Franciolini Renzo 110, 180 Fratesi Mario 181 Frati A. Maria 179 Frati Mario 67 Fulberto 86, 88, 90, 92 Gellone 66 Giacomelli Gianni 117 Giacomini Carlo 27, 35, 73, 74, 105, 113, 180, 181 Giancamilli Erminio 189 Gianfranceschi Nazzareno 57, 76, 181 Giannotti Giuliana 75 Giombi Annacleta 108 Giorgi Gello 24, 48, 73, 74, 75, 76, 86, 179 Giorgi Enrico 75 Giovanni Da Fermo 110 Giulio II 114 Giulio III 148 Gonzaga Eleonora 146 Goretti Ersilia 39 Goretti Assunta 39 Grandi Domenico 132, 179, 181 Gregorini Eros 30, 73, 74, 75, 76, 80, 88, 179, 180, 181, 182 Gregorio XIII 49 Gregorio XV 128, 130 Gregorio XVI 88 Guaitoli Maria Teresa 75 Guicciardini Francesco 114 Guidiccioni Giovanni 181 Hoenia gens 62 Honorati Bernardino 29 Inaldo, antroponimo longobardo 79 Josi Enrico 66 Lenci Ciani Paolini Ea 60, 76, 165 Lenci Ennio 189 Lenci Stefano 96, 179, 180 Leone X 114, 146 Lepore Giuseppe 75 Lollini Delia 68 Longobardi, popolo 79, 80 Lucio Enio Gemino 62 Ludovico Da San Leo Feltrio 103 Luni Mario 47, 73, 75 Luzietti Goffredo 72 Màffoli Rolando 85 Maggeri Cesare 129 Malatesta 141 Malatesta Galeotto 17, 86 Malatesta Novello 97 Malatesta Pandolfo III 121 Malatesta Sigismondo 150 Manetti Girolamo 189 Manfredi Matilde in Ceccacci 109 Maori Danila 179 Marangoni, famiglia 170 Marangoni Alfonso da Saludecio 170 Marangoni Leandra 170 Marangoni Ulderico 170 Marchetti Pasquale 108 Marchetti Nicolò 75 Marco Da Montegallo 110 193 194 Marcolini Pagliariccio A. Maria 182 Mariani Mirco 39 Mariano dalla Roccha 116 Mariano Fabio 74, 90, 96, 97, 116, 179, 180, 181 Marinelli Alessandro 190 Marinelli Mariella 168 Mario Carafòli 45, 73, 76, 79, 116, 118, 169, 180 Mariotti Amelia 74 Maschi Vittoria 132 Massa Marina 74, 181 Massimiliano IV di Baviera 133 Mattei Giacomo 190 Matteo di Nuccio 97 Mattioli Umberto 39, 67, 190 Mazzini Franco 170, 182 Mazzoleni, famiglia 132, 163 Mazzoleni Bernardino 107, 108, 163 Mazzoleni Gian Orazio 124, 163 Mazzoleni Malagigi 163 Mazzoleni Pier Andrea 163 Mazzoleni Rosa Madalena 163 Mazzoleni Sandreani 107, 108 Mazzoleni Sante 163 Medici (de’) Lorenzino 114, 115 Medici 105, 114, 146 Mencucci Angelo 73, Mencucci Ferdinando 41 Mencucci Quintiliano 67 Mineo Sergio 189 Modestini Giuseppe Maria 103 Montesi Dino 139, 182 Montesi Ettore 90, 92, 93, 96, 97, 117, 179, 180 Monti Guarnieri Giovanni 35, 74 Moretti Giuseppe 76 Mori Donato 35 Moricoli Franco 67 Moroni Giuseppe 190 Napoleone Bonaparte 133, 134 Negroni Franco 181 Nicolò IV 130 Nicolò V 111, 113, 161 Nuti (vedi Matteo di Nuccio) Orlandi, famiglia 127, 129, 139, 152, 154, 157, 159, 160 Indice dei nomi Orlandi Ascanio 182 Orlandi Nicolò (fra Bartolomeo) 128, 129, 130 Orlandi Cleopatra 157 Orlandi Edvige 163, 165 Orlandi Francesco 121, 123, 124, 125, 126, 127, 155, 189 Orlandi Giovan Battista 108, 123 Orlandi Lucangelo 126 Orlandi Maria Leonora 170 Orlandi Orazio Panfilo 142, 182 Orlandi Orlando 128 Orlandi Ottavio 155, 156, 157 Orlandi Romaldi, famiglia 109, 122, 123, 127 Orlandi Romaldi Pasqui Elena 109, 122 Orlandi Tecla 157 Ottaviani Giustina 170 Ottaviani, famiglia 132, 149, 151 Ottone I, imperatore 78 Paci Gianfranco 44, 73, 74 Paci Renzo 147, 148, 182 Pagliariccio Federico Alfonso 110 Pagoni Ornella 180 Palma Eustachio 170 Palma, famiglia 170, 171 Paniconi Enrico 136 Pantani Luca Antonio 190 Paolini Ciro 70 Paolini Lorenzo 68 Paolini Luigi 190 Paolini Sante 68 Paolo III 146, 148, 182 Paolo Veronese 131 Parisciani Gustavo 101, 180 Pasqualini Adelaide Fu Giuseppe 108 Pasqui, famiglia 154 Pasqui Alessandro 123 Passeri Aldobrandini Cinzio 150 Passeri Aurelio 149, 150 Patrignani Antonio 92 Patrignani Gerolamo 179 Patrignani Gino 92 Pelinga Italo 97 Perozzi Pompeo 17, 18, 102, 107, 116, 181 Pierini Piero 190 Pio IX 135 Pio V 49 Indice dei nomi Pio VI 113, 180 Pio VII 101 Pio XI 136 Pio XII 39, 161 Poeta Dino 75, 189 Polverari Alberto 48, 74, 75, 76, 79, 181 Pongetti Francesca 28, 73, 74, 137, 140, 167, 168, 182 Portunus, divinità romana 50 Publio Acuzio Panfilo 62, 65 Radke Gerard 48, 75 Ravaioli Enrico 75 Ravetta Umberto 39, 57, 67 Ricci Doralice 123 Ricci Rossi, famiglia 152, 154 Ricci Ubaldo 35 Ridolfi Claudio 38, 74, 131, 132, 133, 136, 163, 181, 182, 190, 199 Ridolfi Giovanni 182 Roberti Guerrino 15 Rocchetti Aldo 64 Rocchetti Igino 64 Rocchetti Umberto 190 Romaldi, famiglia 165, 166 Rossi Carlo 168 Rossi Efrem 17, 168, 180, 181 Rossi Gianfranco 168 Rossi Giuseppe 67, 124 Rotatori Domenico 190 Rutius (o Arutius), antroponimo romano 82 Sant’Agostino 138 Sant’Anna 41 San Bernardino 152 San Bonaventura da Bagnorea 29 San Carlo Borromeo 172 San Gaetano da Thiene 35, 36 Santa Maria Goretti 38, 39, 139 San Panfilo 66 San Vito 80, 81, 82, 84, 85, 179 Sandreani, famiglia 63, 64, 107, 108, 122, 132, 139, 140, 141, 142, 168, 170 Sandreani Angelo Antonio 139 Sandreani Giuseppe Maria 122, 163 Sandreani Sandro 64 Sandreni Aloisio 141 Sangiorgi Silvia 71, 74, 76 Sartini Giovanni 189 Saturnina 60, 61, 62, 199 Savelli Luca 29 Scagliarini Daniela 75 Scattolini Giuseppe 189 Scattolini Livio 6, 189 Scattolini Paola 179 Sceberras Testaferrata Fabrizio 88, 101, 134 Scriba 80 Sebastianelli Sirio 181 Selvatici (o Silvatili), famiglia 141, 142 Serra Giuseppina 123 Sforza Domenico Clemente 24, 73, 79, 181 Sforza Francesco 96, 97 Silviotti Maria 109 Simonetti, famiglia 96 Smiraglia Pasquale 181 Solazzi Flavio 140, 182 Solazzi Osti Gabriela 140, 182 Spagnoli, popolo 89 Stefanini Sergio 17, 19, 21, 73 Taddei Domenico 190 Tani Maddalena 149 Tarducci Achille 147, 148, 149, 182 Tarducci, famiglia 147 Tarduccius De Tarducciis 148, Tarsi Francesco 182 Tarsi Marcolini Maria Vittoria, 142 Tasso Torquato 150 Taus Ilario 189 Testaguzza, famiglia 65 Tiraboschi Giuseppe 142 Tito Enio Pardo 62 Tomani Baci Esterina 172 Tomani, famiglia 172 Tommasini Filippo 103 Torelli Nivea 21 Turchi, popolo 29, 148 Turris Francesco 18, 73, 168 Urbano V 88 Urbano Viii 66 Usuardo 66 Vagnini Cocci Silvia 74 Vanni Da Sangiorgio Cornelia 129 195 196 Venere, divinità romana 50 Venturoli Enrico Fausto 123 Venturoli Orlandi Romaldi Giuseppe 122, 123 Venturoli Orlandi Romaldi Emma 122, 123 Venturoli Orlandi Romaldi Luigi 122, 123, 127 Venturoli Orlandi Romaldi Maria 122, 123 Venturoli Orlandi Romaldi Vittorio 122, 127 Vergari Marisa 74, 76 Veronica Andrea 26 Indice dei nomi Vichi Giuliano 138 Vici Arcangelo 103 Vicini Giovanni Tinto 181 Vieri Ettore 30 Villani Virginio 78, 84, 179 Villicich Riccardo 75 Visconti Bianca Maria 97 Vitali Terenzo 189 Volpe Gianni 179 INDICE Presentazioni Livio Scattolini, Sindaco di Corinaldo Dario Cingolani, Dirigente dell’Istituto Comprensivo di Corinaldo Nota dell’autore I – LE pietre antiche 1.Cineribus orta… 2.Suasae ruinis… 3.Virgo incancellis… 4.Repertae in agro Corinaltensium Columnae & Tabulae marmoreae… 5.Domino nostro Imperatori Maxentio… Domino nostro Imperatori Constantino… 6.Sancta Maria que dicitur in Portuno 7.Have Saturnina 8.Il liberto Panfilo 9.I devoti di bronzo 10.Ville e casali romani nel territorio II – Entro il rosso cerchio delle mura 1. In monte Collinalti… In castro Curinalti 2. Combusta… 3. Santa Maria del Mercato 4. Revixi 5. Un convento per ospedale 6. Il Monte di Pietà 7. Le chiavi per la città 8. Scalinari e polentari 9. I segni della gloria p. 5 5 7 9 15 15 24 27 41 44 48 60 62 68 70 77 77 85 90 93 98 110 111 114 118 198 indice 10. “Le virtù e buone qualità” di Claudio Ridolfi 11. Monache, nobili e re 12. Gli stemmi del patriziato cittadino 13. Giovanni Andrea Fata Cavaliere aurato, e la sua discendenza 14. Una presenza popolare: i graffiti p. 131 133 137 Appendice I Epigrafe nel Palazzo già Ottaviani Fata Appendice II Sindaci - Pievani - Arcipreti di Corinaldo 183 Indice dei nomi 191 142 175 189 Finito di stampare nel mese di novembre 2005 presso la Tecnostampa di Ostra Vetere AN