Como Cronaca La Chiesa di Como al tempo di Guanella Per comprendere meglio il santo la necessità di ripensare la storia dell’epoca in cui visse L e “celebrazioni guanelliane” inducono a riflettere sull’identità della Chiesa Comense al tempo di san Luigi Guanella. I santi sono considerati persone speciali, ma in verità sono persone normali, che vivono nella realtà del loro tempo. Ciò che li rende diversi è la loro fede in ciò che fanno, conformando le loro scelte al disegno che Dio ha pensato su di loro, avendo come modello Gesù Cristo e il suo amore. Essi non sono avulsi dal mondo: sono anche loro figli di quella Chiesa locale in cui nascono e si formano. Perciò, pensando a san Luigi Guanella, viene da domandarsi: ma qual era la Chiesa Comense del suo tempo? In quale quadro si è venuta a collocare la sua figura? Erano gli anni del beato Pio IX, ossia l’arco temporale del Risorgimento dal ’48 alla breccia di Porta Pia del ’70 e oltre, con la polemica tra i conservatori clericali e i liberali anticlericali; erano gli anni di Leone XIII, che vuol dire la presa di coscienza da parte della Chiesa ufficiale della questione sociale, esaminata col filtro del Vangelo, nella dialettica tra liberalismo capitalistico e socialismo proletario; erano gli anni di S. Pio X, cioè del modernismo, e pure della prima grossa crisi del capitalismo e del nazionalismo sfociata nella prima guerra mondiale. La cultura laicistica dominante spingeva verso la “scristianizzazione” della società. L’industrializzazione amplificava i problemi sociali e creava nuove aree di emarginazione. La posizione dei cattolici nel contesto politico era zavorrata dal “non expedit”, che congelava o frenava il possibile apporto alla vita pubblica delle risorse culturali, economiche, sociali dei fedeli impegnati, che per operare nella realtà economico-sociale dovevano organizzarsi in Sabato, 4 agosto 2012 19 un mondo “parallelo”: le “leghe e le cooperative bianche” alternative alle “leghe e cooperative rosse”, la stampa cattolica in dialettica con la stampa liberale, o socialista, o anarchica; le banche intitolate ai santi in concorrenza con quelle massoniche… Come si collocava la Chiesa, e per essa il clero della diocesi di Como, in tale contesto? Chi erano i preti “in vista” e come si muovevano i preti contemporanei di don Guanella? E chi erano e come si muovevano i laici cattolici del tempo? Forse, per capire meglio san Luigi Guanella (ed anche gli altri santi nelle diverse epoche) bisognerebbe cominciare a scrivere la “vera storia” della Chiesa locale, perché finora (eccetto lo studio di Mario Martinelli sul Movimento cattolico tra il 1900 e il 1914) non se ne è scritta la storia, ma semplicemente o prevalentemente si è solo registrata la successione cronologica delle persone, con l’elencazione di opere ed eventi, senza mettere in luce la dialettica interna, le correnti di pensiero e di azione, l’apporto qualitativo specifico allo sviluppo culturale, economico, sociale, oltre che spirituale, della società. pagina a cura di MARIO MASCETTI Il quadro. Un’immagine stupenda dentro il quale don Luigi si mosse con il suo carisma Fotogramma lariano tra ‘800 e ‘900 E bbene, semplicemente sorvolando a volo d’uccello la Chiesa Comense tra il secondo Ottocento e il primo quindicennio del Novecento, ne esce un quadro sorprendentemente stupendo, dentro il quale don Luigi si è posto con il suo carisma di servo della carità. Spigolando tra il clero del tempo si incontra una galleria di personaggi di primo piano, ed un vasto “sottobosco” non meno interessante, che fanno da trama ad un tessuto di Chiesa, che intrecciata con l’ordito dei laici impegnati, formano un arazzo meraviglioso, da cui nel bene, raramente nel meglio, più spesso nel meno bene, è discesa la storia delle generazioni successive. Tanto per cominciare, incontriamo il beato Gian Battista Scalabrini (1839-1905), che nei soli primi dodici anni del suo sacerdozio (a 36 anni era già vescovo) fu professore e rettore del Seminario Minore, quindi, dal 1870 priore di S. Bartolomeo, la parrocchia del “borgo operaio” di Como. Come vescovo di Piacenza, oltre che della pastorale diocesana, si occupò della tutela sociale e dell’assistenza agli emigrati in America, giacché l’emigrazione era allora uno dei problemi sociali emergenti; amico strettissimo di mons. Geremia Bonomelli, il vescovo di Cremona che ne seguì l’esempio fondando l’opera di assistenza agli emigrati che portava il suo nome. Suo collega di insegnamento in Seminario era don Serafino Balestra (18311886), il promotore ed esecutore dei restauri della basilica di S. Abbondio, ma anche il fondatore della scuola per i sordomuti (oggi si dice non udenti) secondo il metodo fonico appreso a Parigi, introdotto a Como e in Italia, e a Buenos Aires, dove morì. Quasi coetaneo di don Guanella era don Santo Monti (1855-1923), insigne uomo di cultura, presidente della Società Storica Comense, membro della Deputazione di Storia Patria di Torino, presidente della Commissione artistica diocesana, conservatore del Museo Civico: posizioni di prestigio nel mondo Mons. Luigi Mojana (ritratto in un affresco nella chiesa di Uggiate. In alto: Il monumento a don Serafino Balestra nel chiostro di S. Abbondio) culturale; dove pure era in primo piano l’anziano canonico Vincenzo Barelli (1807-1890), geologo, archeologo e letterato, tra i fondatori della Rivista Archeologica Comense, di cui fu anche il primo direttore dal 1872. C’erano in diocesi preti patrioti come don Giuseppe Bernasconi, baldanzoso garibaldino nel 1859 e nel 1866, campione nazionale di tiro a segno, parroco di Civiglio e fondatore di quell’Asilo; o come il prof. mons. Camillo Manzoni, docente di morale nel Seminario teologico, che fu consigliere provinciale e comunale; e c’erano preti antisabaudi conservatori, che credevano nella restaurazione del potere temporale del Papa, arrabbiati per le leggi Sicardi, che avevano espropriato i patrimoni delle chiese, e per il crollo dei titoli di stato compensativi. Tra questi il prevosto di Uggiate mons. Luigi Mojana, devotissimo di papa Pio IX e di Leone XIII, al cui soglio guidò in rappresentanza del vescovo i fedeli comaschi partecipanti al pellegrinaggio lombardo nel 1883. L’anticlericalismo era di casa nelle sedi politico-istituzionali, e la rottura fra Stato e Chiesa aveva tenuto «bloccata» per quasi sei anni anni la nomina di un nuovo vescovo per Como, dopo la morte di mons. Marzorati (1865), fino all’arrivo di mons. Carsana nel 1871; e mons. Nicora (1877-1890) non poté mai prendere possesso della diocesi, perché gli fu negato l’exequatur. Tra il clero minore, molti erano i sacerdoti impegnati sul fronte sociale. Nella pieve di Uggiate, ad esempio, c’era don Giovanni Maspero, nel 1892 nominato da mons. Andrea Ferrari primo parroco di Gaggino, che come don Guanella era stato presso don Bosco e nella sua parrocchia fondò una scuola professionale. Ad Olgiate era prevosto il nipote di don Luigi, minore di 4 anni, don Lorenzo Sterlocchi, fondatore nel 1896 dell’Asilo infantile; poi canonico in Cattedrale, autore di opuscoli agiografici e storici. In Valchiavenna nel 1897 don Primo Lucchinetti fondava le «Pie Figlie della Sacra Famiglia» con fini educativi ed assistenziali. E perché dimenticare mons. Tomaso Trussoni, nativo di Fraciscio, cugino di don Luigi Guanella, vicario generale di mons. Archi, eletto nel 1912 arcivescovo di Cosenza, che nel 1919 avrebbe chiamato le Figlie della Provvidenza in Calabria, trapiantandovi un po’ dell’opera guanelliana? Altri vescovi la diocesi di Como diede alla Chiesa a quel tempo: mons. Giacomo Merizzi (nato a Tirano nel 1833), vicario capitolare, eletto nel 1891 vescovo di Vigevano; mons. Emilio Poletti (nato a Villa di Tirano nel 1860), arciprete di Menaggio, eletto nel 1912 vescovo di Bagnoregio (Viterbo). Nel 1906 don Primo Mojana, vicario nella parrocchia di S. Giorgio, fondava la società sportiva ’”Ardisci e Spera” per raccogliere ed educare i giovani. Nel 1913 avrebbe assunto la redazione del settimanale “La Vita del popolo”, attorno a cui si andava aggregando il movimento politico cattolico, che sarebbe sfociato nel 1919 nel Partito Popolare sturziano. In seguito i fascisti gli avrebbero fatto pagare il suo impegno politico democratico gettandogli vetriolo sul volto e negli occhi. Come trovarono il modo di distruggere l’opera di don Salvatore Sironi, vicario ad Uggiate dal 1904, promotore del gruppo sportivo “Ignis Ardens” e fondatore della Cassa Rurale per sostenere i contadini fittavoli e agevolare loro il credito per l’acquisto delle masserie messe in vendita dai padroni-feudatari: diversi riuscirono a diventare proprietari dei mulini, delle fattorie e dei terreni già condotti in affitto dai loro antenati. Ma già nel 1902 a Como era partita (un mese prima della Camera del Lavoro socialista) la Lega Cattolica del Lavoro, il movimento sindacale cristiano, presieduto da Abbondio Martinelli (anch’egli della parrocchia di S. Giorgio), che avrebbe «allevato» Achille Grandi, padre del Sindacato Italiano Tessile, che sarebbe diventato il primo segretario nazionale della CGIL unitaria nata dopo la caduta del Fascismo nel 1944 e avrebbe fondato le ACLI. Questi, per restare nella metafora, sono alcuni degli orditi del tessuto cattolico comasco, formati nei Circoli popolari fioriti in città e in diocesi e nell’Oratorio di S. Filippo. Altri sacerdoti di prestigio socialmente impegnati a Como, sul Lago, in Valchiavenna, in Valtellina andrebbero citati (come don Agostino Cachat, don Enrico Sala, don Evaristo Peccedi, don Luigi Daelli, don Giovanni Bay Rossi, don Alcide Valli…) ed altri esponenti laici (Giuseppe Enrico Cavadini, il dott. Riccardo Zavaldi, l’avv. Angelo Moro…). Nomi e figure che, se non si fa storia, oggi non dicono nulla a nessuno; ma che figurano in primo piano nell’arazzo della Chiesa Comense intorno a san Luigi Guanella. Questo è solamente un piccolo «assaggio» nell’humus del mondo cattolico comasco al tempo di don Guanella; humus nutrito dall’azione pastorale del beato cardinal Andrea (Carlo) Ferrari, tanto breve, quanto feconda nel suo episcopato a Como tra il 1891 e il 1894. Aggiungiamo pure che a segnalarlo per la sua nomina prima a vescovo di Guastalla e poi per il suo trasferimento a Como fu mons. Andrea Miotti, il suo vescovo di Parma, nativo di Caspoggio, già arciprete di Sondrio. Insomma, il nostro santo non va guardato come palma isolata in un deserto. C’è da saper vedere almeno un’oasi intorno e magari un po’ di savana, che è la variegata comunità della Chiesa Comense, di cui fu pure figlio, prima di esserne un esempio di pratica eroica della carità. Si tratta di tentare di leggere la «storia» della Chiesa locale nel suo contesto complessivo, per coglierne i «tanti spezzoni di santità nascosta e diffusa» nella normale vita di Chiesa, che poi spicca nell’«uno riconosciuto come esempio». Meno agiografia e più storia intorno alle figure dei nostri santi forse aiuterebbe a capire meglio le loro scelte e la loro santità, oltre che l’irradiazione del loro esempio già in vita; e a trovare i parametri da trasporre oggi, per imitarli, tanto più che «i poveri li avrete sempre con voi».