LA GAZZETTA DEL VARA PAGINA 27 L’ angolo della cultura Ricordando Sirio Guerrieri Domenica 18 aprile 2010 ricorreva il 1° anniversario della morte di Sirio Guerrieri, nato nel 1916 a Vezzano Ligure, ex ufficiale partigiano della Brigata Val di Vara, scrittore che ha curato, insieme a Luigi Ceresoli, un importante saggio sulla Resistenza ligure “ Dai Casoni alla Brunella”. Ma soprattutto Guerrieri è stato ed è un poeta molto colto che “cerca e trova il suo aiuto nella ricognizione e nell’amore alla natura, nei suoi colori e nella sua umiltà primigenia” ( come scrive Piera Bruno nella sua intesa testimonianza critica ). L’Assesorato alla Cultura del Comune di Calice al Cornoviglio ha inteso ricordarlo con un'iniziativa che si è inscritta nella Settimana della Cultura e che ha raccolto un folto gruppo di persone provenienti non solo da Calice e dintorni. Dopo il saluto dell’Assessore Mario Scampelli e del Presidente dell’Associazione “Davide Beghè”, Flavio Cucco, sono stati letti gli interventi di Daniele Bucchioni, ex generale della Brigata Val di Vara, e del professore Luigi Ceresoli, che non hanno potuto essere presenti per motivi di salute. Tali interventi sono riportati in un opuscolo su Sirio Guerrieri, da me curato, realizzato dal Comune di Calice e distribuito in sala. Queste testimonianze rappresentano uno spaccato vivo ed appassionato degli eventi storici a cui Bucchioni, Guerrieri, e molti calicese e spezzini avevano partecipato “profondendovi cuore ed esperienza personale”. Calice è stata la cornice ideale di queste rievocazioni, in quanto, insieme alla sua gente, ha dimostrato nel 1943/44 grande senso di abnegazione e solidarietà nei confronti di sfollati, alleati, perseguitati politici, ebrei per cui ha ricevuto nel 2007 una medaglia d’argento al merito civile, come ha ricordato l’Assessore Scampelli. La professoressa Piera Bruno, docente universitaria e critica letter- aria, ha infine parlato di Sirio Guerrieri poeta con un intervento molto approfondito e commosso, che a fianco dell’articolo riportiamo per intero. A me è toccato il compito di presentare e coordinare gli interventi e di porre l’accento sul ruolo educativo di Guerrieri che, oltre che poeta, è stato docente, critico letterario, promotore di prestigiosi premi letterari spezzini e liguri. Diventare un educatore, un esempio da imitare è compito, come scrive Schelley, che ogni poeta ha da assolvere e che, in particolare Sirio, ha dimostrato di essere, soprattutto nella sua ultima, folgorante espressione di creatività, quando ha concepito e messo in atto, vicino alla morte, l’idea di riunire in un’antologia poetica dal titolo emblematico “Con diritto di asilo” – presentata per la prima volta in questa occasione da Eugenio Miano, editore Helicon – , “poeti e scrittori esclusi senza motivo dalla critica militante che sicuramente meritano più degli altri di farsi sentire” (dalla Lettera all’Autore di S. Guerrieri dicembre 2007). La lettura di alcune liriche di Guerrieri, tra un intervento e l’altro, effettuata dal giornalista di Tele Liguria Sud Enrico Colombo ha concluso questo ricco, intenso pomeriggio, in cui si spera di avere contribuito, da una parte a ricordare che “la pace, la libertà, la giustizia e la democrazia sono conquiste che vanno difese giorno per giorno, come patrimonio tramandato da coloro che operarono per realizzarle e consegnarle a noi come beni grandi” (L.Ceresoli), dall’altra a far presente che “ è prerogativa del poeta dire parole di saggezza, spargere semi di bellezza e bontà (ciò che restituisce) alla nostra confusa umanità anima e ragioni per essere in una dimensione di eternità” (P. Bruno). M. Gabriella Carbonetto Benito Croxatto poeta cassanese Benito Croxatto, nato a Cassana, abita a Brescia da molti anni. Ha composto una cinquantina di poesie in dialetto cassanese Quande a pallida scignua Traduzione Quande a pallida, silenziusa scignua, a m’aveà ciantau ‘ndu collu a sua mesua, nu me vestì de scûu cumme ‘n scignuru che nu sun mai stau. A scumenzà dai pé infième i scapìn arepûntai - che ghe n’ho sulu ‘n pa’ – e i cauzùn dä revèrtega strinà. Sutta ä tèsta mettèimeghe u pagettu e deré ä schena u ganciu du penattu. U marriollu frûstu, e u camixottu stintu dau sûu. Nu stève a credde… ü faggu pe’ fäme ricunusce dau Segnù. Quando la pallida, silenziosa signora mi avrà piantato nel collo la sua falce, non vestitemi di scuro come un signore che non sono mai stato. A cominciare dai piedi infilatemi le calze rammendate -che ne ho solo un paio – e i pantaloni dal risvolto bruciacchiato. Sotto la testa mettetemi il primaccino e dietro la schiena il gancio del falcetto. La maglia consumata e il camiciotto stinto dal sudore. Non crediate che… lo faccio per farmi riconoscere da Dio. I racconti di Alba Franci Rossi Alba Franci Rossi di Cavanella. Abbiamo letto questi brevi appunti di vita vissuta. Ci sono piaciuti. Eccoli a voi: in queste righe ci sono immediatezza, spontaneità e amore per quest angolo della Val di Vara. nascondeva aspettando tempi migliori…. Questa è una delle tante piccole cose che io non posso dimenticare di quegli anni trascorsi nella paura quotidiana che sopraggiungesse qualcosa a cambiare o anche solo turbare la nostra semplice ma serena esistenza, così come non posso dimenticare che, probabilmente anche senza essersene reso conto, Ercole, chissà quante vite ha salvato. 21 Gennaio 1945 Ercole Ogni mattina, immancabilmente alle 6, suonava dal campanile della Chiesa che stava proprio di fronte a casa mia, l’Ave Maria. Nei mesi estivi poteva anche andare perché a quell’ra il sole era già alto nel cielo, ma in inverno invece era ancora molto freddo e buio. Io fingevo di non sentire le campane e mi voltavo dall’altro lato, ma mia madre si affacciava alla porta e di diceva:”Forza alzati, lo sai che devi andare a mungere la mucca. Tra poco passa il lattaio e se non trova il latte pronto va via e ce lo lascia, così domani non sarà più buono e lo dovremo buttare”. Io con grande fatica mi alzavo e ancora mezza addormentata prendevo il secchio e andavo. Per svegliarmi mi lavavo il viso al ruscello del mulino, perché non era possibile farlo in casa perché non c’era acqua corrente.Solitamente, appena uscivo di casa, incontravo il campanaro, ero sempre arrabbiata con lui e ogni giorno gli chiedevo:” Ma perché non andate più tardi a suonare le campane?”. Lui mi sorrideva sempre e sempre sdrammatizzava facendo una battuta scherzosa.Il nome del campanaro era Ercole, era una persona buona e con ottimo carattere; sempre allegro e sereno anche se i tempi erano tristi e difficili.Una mattina fra le tante nelle quali Ercole mi vide arrabbiata e addormentata mi disse:”Vuoi davvero sapere perché suono l’Ave Maria così presto ogni mattina? Lo sai che i giovani uomini del paese alla sera vanno a dormire nei boschi per paura dei rastrellamenti?” ( Eccome se lo sapevo, io in casa avevo tre fratelli che facevano questa vita!) “ Io dal campanile vedo tutta la vallata da nord a sud e individuo qualsiasi movimento. Ebbene cara Alba, a seconda di come suono le campane gli uomini che sono nei boschi, capiscono se c’è del pericolo e allora si allontanano, diversamente vengono a casa “. I ricordi che vanno dal 1943 al 1945 sono rimasti, più che nella storia, nella memoria della gente che li ha vissuti. Ho in mente che nel settembre del 1943 ci eravamo illusi che tutto fosse finito, invece tutto è continuato per molto tempo e peggio di prima, perché anche nei piccoli paesi come Cavanella, si è sentito veramente l’odio che porta una guerra, la sete di vendetta anche tra paesani che pochi anni prima dividevano quel poco che avevano come fratelli, a volte gli scontri erano addirittura tra parenti. C’era chi voleva ancora il fascismo e chi, invece, stanco di lotte e di soprusi non aderiva più alle loro leggi. Chi andava nei partigiani e chi si Erano già diversi giorni che la neve cadeva implacabile; sul monte Gottero, alle spalle della valle nella quale sono cresciuta, era in corso un rastrellamento. Tedeschi, brigate nere e partigiani combattevano una guerra della quale nemmeno loro erano consapevoli e per 5 lunghi giorni, a noi giù in paese, arrivavano notizie sconfortanti di neve sporcata di sangue. Quando sapemmo che i tedeschi si erano ritirati, alla gioia di questa notizia immediatamente seguì la preoccupazione per la paura di avere perso qualche amico, un fratello, un parente. Le notizie che arrivavano non davano dati certi e poi le compagnie, durante i combattimenti, si erano separate e con tutta quella neve non era facile riunirsi. Uscivamo di casa solo per andare a dare da mangiare alle besti nelle stalle e ci guardavamo attorno nella speranza di vedere qualcuno che scendend dai monti venisse ad informarci, ma allo stesso tempo poiché tra quei monti c’era anche mio fratello, forse preferivamo continuare a vivere nell’incertezza.La sera del quinto giorno, Alessandro, arrivato nella sua stalla che si trovava su un collina ai piedi del bosco, a governare gli animali con il suo cane Fido, meticcio con l’inclinazione per la caccia e un fiuto da segugio, si accorse che il cane era molto agitato: correva avanti e indietro nel bosco, continuando ad abbaiare. Sembrava volesse richiamare l’attenzione del suo padrone che in un primo momento cerò di calmarlo pensando che avesse visto qualche animale selvatico, ma la bestia insisteva al punto da prendere tra i denti i pantaloni del padrone per condurlo con sé. Quando riuscì a convincerlo a tornare indietro l’uomo vide con sorpresa e spavento, steso per terra in mezzo alla neve, un giovane partigiano che sembrava morto. Cercò di alzarlo, ma non ci riuscì, per fortuna aveva con sé una bottiglietta di grappa e con questcominciò a massaggiargli le mani ed il viso e, con l’aiuto del cane che non smise nemmeno di un attimo di alitargli in faccia e di leccarlo, il ragazzo si riprese.Raccontò che nei giorni dei combattimenti si era perso nel bosco e che solo alla vista di Beverone era riuscito ad orientarsi dirigendosi quindi verso Cavanella dove sapeva avrebbe trovato aiuto, ma le forze lo avevano abbandonato e il freddo e la neve avevano fatto il resto e se non fosse arrivato Fido per lui quella sarebbe stata l’ultima battaglia. Ottobre 1944 Era una mattina come tante altre dell’ottobre 1944. Non era freddo, ma tanto umido, come è sempre stato nella nostra valle. Nella notte, in casa mia avevano pernottato diversi partigiani assieme a mio fratello, reduci da una missione che io certo non conoscevo, però sapevo, come tutti i miei familiari, che giù in una stalla che si trovava all’Ara, facilmente visibile dalle finestre della nostra cucina, avevano passato la notte quattro muli a sentinella di diverse casse di armi e munizioni. Io e la mia numerosa famiglia abitavamo alla Costa, proprio davanti alla via che conduce alla chiesa, era una casa secchia priva di ogni comodità, nella quale però per una consuetudine consolidatasi nel tempo, molti erano soliti fermarsi. Mio padre era ospitale, la nostra porta era sempre aperta e quel poco che avevamo siamo sempre stati abituati a dividerlo con che ne aveva meno, così lui, per noi e per tutti quelli che da noi si fermavano, faceva una gran fuoco.e questo, chissà perché , ci faceva sentire privilegiati. Uno dei miei tre fratelli era “arruolato” nella Compagnia di Giustizia e Libertà ( un nome ambizioso per un gruppo di giovani partigiani che credevano nella giustizia e provavano a difendere la propria e l’altrui libertà ) quando poteva veniva a casa, non era mai solo perché sapeva, come lo sapevano i suoi compagni, che da noi c’era sempre qualcosa per tutti, anche solo il calore di una famiglia oppure l’affetto di una mamma.Quella mattina appunto del 28 ottobre, mentre mia mamma stava cercando di moltiplicare il latte caldo per non farne mancare a nessuno, mio padre entrando in casa tutto trafelato, avvisò che lungo il fiume Vara c’erano molti tedeschi accompagnati dalle brigate nere. Era molto spavento Alba Franci Rossi, urlava, piangeva, correva da una parte all’altra della casa e della cantina per chiamare tutti e dirgli di affettarsi a fuggire. Ovviamente in pochi secondi la casa si svuotò e nessuno pensò a quello che era stato depositato nella stalla dell’Ara, nessuno pensò che se i tedeschi avessero trovato quel bottino le conseguenze sarebbero state terribili, nessuno pensò…… Io ero solo una ragazzina, ma ricordo quei momenti come se li avessi vissuti poco tempo fa, ed ho chiara la percezione delle mie emozioni di allora. Non avevo paura,ero piuttosto eccitata, sentivo che probabilmente anch’io avrei potuto avere un ruolo e dimostrare il mio coraggio (oggi direi la mia incoscienza).Non aspettai richieste, uscii di casa approfittando della confusione e corsi a chiamare Vittorio, un caro amico che abitava nel borgo a pochi passi da me. Gli raccontai gli eventi ed insieme andammo nella stalla, con fatica riuscimmo a sollevare le casse e corremmo a nasconderla in una macchia di rovi vicino al cimitero, poi frustammo i muli affinchè scappassero nel bosco e cose se niente fosse successo tornammo verso casa. Appena in tempo. I tedeschi arrivarono in paese e passarono inutilmente la giornata a cercare quelle armi, non fu facile per noi capire come avessero fatto a sapere che erano state portate lì. Dovettero passare degli anni perché potessimo scoprire che erano stati avvisati da un doppiogiochista che stava con i partigiani, ma era amico dei tedeschi. Per fortuna quella mattina, per non essere scoperto, dovette fuggire assieme a tutti gli altri e non seppe dove io e Vittorio nascondemmo le armi. Ancora oggi, quando vado al cimitero a trovare molte di quelle persone che in quell’ottobre e negli anni successivi divisero con me il loro tempo, rivedo quel luogo dove nascondemmo quelle casse, risento quelle voci concise e trafelate, percepisco quell’odore di terra umida e di foglie cadute, rivivo quelle emozioni….Ancor oggi mi sento parte di quella guerra.