PROBLEMATICHE MINORILI dott.ssa Chiara Benedetti A.A. 2012/13 Programma -Introduzione: dalla sociologia alla psicologia delle relazioni familiari; i minori nelle famiglie post-moderne; la tutela del minore; l’indagine del sistema familiare in ottica transgenerazionale: il genogramma; la valutazione ed il sostegno delle capacità genitoriali. -I minori nelle separazioni conflittuali: aspetti psicologici e sociali dei conflitti di coppia; il disagio del minore nella conflittualità dei genitori separati; la Sindrome da Alienazione Genitoriale. -Il maltrattamento e l’abuso di minori: aspetti psicologici e sociali del maltrattamento intrafamiliare; le dinamiche relazionali nella famiglia maltrattante; la sofferenza del minore maltrattato e abusato; la valutazione ed il recupero delle capacità genitoriali nei casi di maltrattamento e abuso. -Adolescenti devianti: adolescenza e trasgressione; fattori di rischio della delinquenza minorile e influenza del contesto familiare; significati affettivi dei comportamenti trasgressivi; le risposte degli adulti alla trasgressione giovanile. -I minori stranieri: aspetti psicologici e sociali dei progetti migratori; le dinamiche relazionali nelle famiglie immigrate; essere bambini e adolescenti in una società multiculturale; minori stranieri non accompagnati. -L’adozione e l’affido: l’allontanamento del minore dalla famiglia; curare i bambini con le relazioni; il percorso di conoscenza degli aspiranti genitori adottivi e affidatari; l’abbinamento; il sostegno alla genitorialità affidataria e adottiva; la conclusione dell’affido. Introduzione* Crescita delle aspettative nei confronti dei figli e riduzione del tempo della cura; donne divise tra desiderio di maternità e mondo del lavoro; «indebolimento» della figura del padre come modello autoritario; aumento separazioni e divorzi; codice dell’amore come prevalente mezzo simbolico di interscambio tra le generazioni («famiglia affettiva» come culla dell’individualismo.) * Di Nicola P., Famiglia: sostantivo plurale, Franco Angeli, 2008. Permissivismo a selezione a scuola casa e poca Generazione di giovani fragili, con scarso principio di realtà, incapaci di «autoregolarsi» e ripiegati narcisiticamente (secolo del narcisismo). Richiesta di istituzioni. contenimento alle Il genogramma: strumento grafico simile ad un albero genealogico utilizzato per rappresentare importanti informazioni sulla famiglia del soggetto e sulle relazioni nelle tre generazioni. MINORI NELLE SEPARAZIONI CONFLITTUALI* Il divorzio non è causa del cambiamento delle relazioni familiari e di coppia, ma ne è una conseguenza. Oggi come un tempo la relazione di coppia si basa sulla mutua dipendenza e complementarietà tra i coniugi, anche se ne sono cambiate forme ed intensità. Non a caso, l’instabilità coniugale tende a crescere in concomitanza ai diffusi processi di individualizzazione… * A.Dell’Antonio, Il bambino conteso. Il disagio infantile nella conflittualità dei genitori separati, Giuffrè, 1993. Separazione come crisi Separarsi vuol dire mettere in discussione l’immagine di sé che era stata costituita dal ruolo coniugale. La fatica che ne deriva implica una maggiore labilità emotiva e acuisce la conflittualità. La conflittualità può esplodere con particolare violenza dopo la separazione nelle coppie che hanno comunicato poco, reprimendo e negando i propri sentimenti. Il “distacco psichico”, che è paragonabile all’elaborazione di un lutto, non coincide sempre con la separazione Distacco psichico = arrivare a vivere coniuge come appartenente al passato non più necessario per autodefinirsi. E’ più difficile se non è consensuale e permangono in interessi comuni: particolare i figli! Anche gli “altri” possono acuire conflitto e ostacolare il distacco. il e se in il Separazione come perdita Si perdono i punti di riferimento della vita quotidiana Si perde lo status che soprattutto in alcuni contesti culturali è particolarmente importante per la valorizzazione di sé (vedi il ruolo della Chiesa Cattolica) Specialmente le persone con scarsa autostima perdono con lo status di coniugato, quella base sicura che conferma il valore della propria identità Nel costituirsi della coppia… …la sicurezza dei singoli e il loro grado di distacco emotivo dalla famiglia d’origine sono fattori fondamentali! Ognuno dei due coniugi tende a portare con sé nella vita di coppia i modelli relazionali acquisiti nella famiglia d’origine e porta quindi anche una dose di “indifferenziazione”, cioè di dipendenza emotiva. Se i coniugi sono più differenziati, cioè emotivamente più maturi, la loro relazione è basata su elementi di realtà che permettono un adattamento reciproco senza che vi siano timori di perdita. Viceversa, si inserisce il “fantasma” della famiglia d’origine. A volte il diverso livello di differenziazione dei coniugi può portare ad un migliore funzionamento della coppia oppure ad una rapida separazione. Lo stesso figlio, coppia… coniuge bambino si può dire per la nascita di un che può cementare o spaccare la per vari motivi (ad es. un non tollera lo spostamento sul delle attenzioni dell’altro). Superare la crisi della essere molto difficile… separazione può Nella fase iniziale è frequente che i coniugi debbano svalutare l’altro per valorizzare se stessi… Solo recuperando un’ottica più realistica e nuovi motivi di autovalutazione, si può uscire dalla crisi e dare un “rilettura” di ciò che è successo in ottica più integrata (ridimensionando l’idealizzazione di sé e la svalutazione dell’altro). Anche le problematiche dei figli possono esasperare le tensioni tra i coniugi: il conflitto tra loro può sancire una continuità, seppur negativa, del rapporto, che spesso è più tollerabile della fine del rapporto stesso. Ci sono anche fattori esterni che possono rendere il divorzio “costruttivo” o “distruttivo”. Il rientro di un coniuge nella famiglia d’origine. Appoggio esterno della famiglia d’origine (cassa di risonanza dei sentimenti). La presenza di un nuovo partner di uno o entrambi i coniugi. Le famiglie ricostituite sono una molto presente nella nostra società. realtà Il ruolo del partner del genitore non è sempre chiaramente definito. Sono soprattutto le donne a volerlo definire, conformandosi solitamente a tre modelli: • “madre tout court”, • “l’altra madre”, • “l’amica”. Meno definibili sembrano i ruoli dei partner maschi, anche se generalmente essi tendono a ritagliarsi ruoli allevanti circoscritti. Gli atteggiamenti del partner del diversi: dei figli nei confronti genitore possono essere Accettazione per bisogno di appoggio e comprensione Rifiuto e competizione indotti dalla marcata interdipendenza con il genitore affidatario Incapacità di tollerare che il nuovo venuto prenda il posto di colui che se n’è andato Indifferenza e provocazione Nelle famiglie implicito di repressione membri della dei figli ricomposte può esistere un accordo “fedeltà” basato sulla negazione o di ogni sentimento ostile tra i famiglia Ostacolo all’autonomia La contesa dei figli Nel processo di separazione i genitori possono provare per i figli sentimenti molto diversi e a volte ambivalenti, ma spesso tendono a contenderseli e ad ostacolare il loro rapporto con l’altro coniuge… Perché? Vanno indagati i motivi per cui il figlio è stato desiderato… Ciò che si desidera è il bambino? O il fatto di generarlo? E lo si desidera per quello che è? O per quello che rappresenta per l’immagine di sé? O per le reazioni sociali che provoca? Ancora oggi molte donne desiderano un figlio per definire la propria identità… Mentre gli uomini sono motivati dalla prospettiva di continuazione di sé stessi e delle proprie opere nei figli… Vi sono poi casi in cui il bambino è desiderato per farne dono ad altri (il coniuge o i nonni…) Più realisticamente possiamo dire che nel desiderio di avere un figlio intervengono varie motivazioni personali, più o meno egoistiche e che dopo la sua nascita, quando può essere visto come persona, l’atteggiamento dei genitori può diventare più altruistico… Fondamentale è capire qual è il «posto» del bambino nella famiglia… Ogni individuo ha nella sua famiglia uno «spazio psicologico» garantito da regole implicite e scaturito da una ricerca di equilibrio tra le esigenze e le aspettative reciproche. Alla nascita di un bambino l’equilibrio si altera ed è necessario ridefinire le regole… Il figlio può diventare oggetto di proiezioni ed identificazioni da parte dei genitori…sono più a rischio quei genitori che portano con sé il fantasma della famiglia d’origine, per cui il figlio non è visto per quello che è, ma solo per ciò che rappresenta…(genitore, fratello…) Nella crisi coniugale gli interessi dei figli tendono a rimanere in secondo piano (vedi ricerca di Zussman sull’attenzione e il comportamento dei genitori nei confronti dei figli in una situazione di competizione. Inoltre, in una situazione di competizione il coniuge sente il bisogno di avere un alleato… Tale ruolo spesso spetta ad un figlio, che si trova invischiato nel conflitto dei genitori e si sente costretto a scegliere da che parte stare, con l’inevitabile perdita che ne consegue… (Nei casi estremi si arriva alienazione genitoriale PAS) alla Sindrome da Manovre difensive che il genitore mette in atto per salvare la propria immagine: Proiezione , ad esempio di bisogni insoddisfatti ( iperprotezione)o di pensieri e sentimenti. Identificazione, spesso con il partner che sta perdendo. Al bambino-partner è implicitamente chiesta una fedeltà che può seriamente minare il suo sviluppo psicologico. Entrambi i genitori possono mettere in atto meccanismi difensivi e il figlio si trova disorientato… …anche perché è spesso strumentalizzato da uno o entrambi i genitori (ad es. arma di ricatto o «spia») Ruolo difficile spetta al genitore che si allontana, poiché il timore di perdere il figlio è maggiore… In questa situazione posso aprirsi svariati scenari: Il genitore ha una sufficiente autostima per riprendere il rapporto in modo diverso ma ugualmente gratificante Il genitore non riesce a mantenere il rapporto col figlio Tenta di recuperare il rapporto con un’ossessiva, a volte anche molesta, ricerca di contatto col figlio La situazione è complicata dall’atteggiamento del coniuge con cui il figlio vive e/o dall’assunzione del ruolo genitoriale da parte di altre persone. Il timore di perdere il figlio può riguardare entrambi i genitori e portare a profonde modifiche dello stile educativo che può divenire iperpermissivo ma anche troppo rigido. Possono subentrare ricatti affettivi o atteggiamenti che ostacolano il rapporto con l’altro genitore, nonché vere e proprie lotte tra i genitori. Non tutti i figli vengono ugualmente coinvolti nel conflitto coniugale… …poiché non tutti i figli rappresentano la stessa cosa per il genitore. Ad esempio il primogenito, oltre ad essere generalmente più investito di aspettative, rappresenta la capacità procreativa dei genitori. Le caratteristiche di cui ogni bambino è dotato alla nascita innescano risposte diverse da parte dei genitori e quindi, in ottica circolare, si vanno ad alimentare dinamiche relazionali differenti (ad es. un genitore bisognoso di conferme tenderà a privilegiare il rapporto con il figlio più docile e dipendente). Le conseguenze sul bambino A seconda della fase evolutiva in cui il figlio è al momento della separazione, ci possono essere conseguenze diverse… In ogni fase, comunque, un adeguato sviluppo richiede un atteggiamento di disponibilità da parte dei genitori, la loro capacità di comprendere e soddisfare le sue esigenze e la loro possibilità di fornirgli validi modelli di identificazione. Tali fattori sono seriamente minacciati dall’alta conflittualità tra i genitori, prima, durante e dopo la separazione. La marginalizzazione… Se il bambino è molto piccolo ha effetti immediati su di lui. Se il bambino ha già delineato i propri confini e ha già iniziato a strutturare un’immagine di sé distinta, la scarsa attenzione può provocare angosce di perdita e di abbandono ( rischio sviluppo «falso sé») Se il bambino ha già iniziato un processo di identificazione con un genitore, la marginalizzazione può indurre una maggiore dipendenza e un ritardo nello sviluppo dell’autonomia. Situazione dei bambini ai cui viene prestata attenzione nella misura in cui vengono inseriti nel conflitto coniugale… I bambini sviluppano autostima attraverso la propria capacità di destreggiarsi tra opposti atteggiamenti o di trarre vantaggio dal litigio dei genitori. Il loro modo di essere ha un senso infatti solo in funzione del dissidio tra i genitori. Il bambino può scegliere di allearsi con il genitore che gli appare più disponibile a soddisfare le sue esigenze, ma può sceglierlo anche secondo meccanismi più complessi. Tali dinamiche hanno una notevole influenza anche nei processi di identificazione sessuale. L’allontanamento di un genitore dal nucleo familiare alimenta nei figli il timore di essere abbandonati. - I più piccoli presentano solitamente sintomatologie abbandoniche (regressione, irritabilità, alterazioni del sonno e dell’alimentazione, malattie psicosomatiche). - I più grandicelli hanno crisi depressive ed esprimono verbalmente i timori di abbandono che manifestano anche con la ricerca a tutti i costi di accettazione, anche a costo della propria autonomia. - In adolescenza soprattutto possono prevalere sentimenti ambivalenti nei confronti dei genitori. I figli contesi, talvolta, sentono di doversi difendere da tentatici di strumentalizzazione, tramite un atteggiamento passivo ed emotivamente distaccato, o anche con la messa in atto di comportamenti di fuga o , se c’è senso di colpa, anche autolesivi. Le reazioni di fronte alla contesa dei genitori diventano più complesse e diversificate quando nella famiglia vi sono più figli. Spesso la competizione tra genitori si trasforma in competizione anche fra fratelli, con sentimenti reciproci negativi, di ostilità, invidia e gelosia oppure di accudimento reciproco. Il dividere i fratelli può essere positivo in certe situazioni. In generale, per il superamento del processo di crisi è necessario che gli adulti aiutino il bambino a sentirsi sicuro nella nuova situazione, ma ciò è possibile solo se entrambi i genitori riescono a non riflettere il loro conflitto sul rapporto che hanno con il figlio e lo incoraggiano a mantenere il rapporto con lui sostenendone gli aspetti positivi. Sindrome da alienazione genitoriale (PAS) La Sindrome di Alienazione Genitoriale (PAS) è stata definita da Gardner (negli anni ‘80) come un disturbo psicopatologico che colpisce i figli minori, tipicamente a seguito di del coinvolgimento in separazioni molto conflittuali. La PAS è dovuta a due fattori concomitanti: la programmazione o indottrinamento di un genitore (alienante) ai danni dell’altro; l’allineamento dei figli col genitore alienante. Questi sono personalmente coinvolti in una campagna di denigrazione - che non ha giustificazione, e non è sostenuta da elementi realistici nei confronti dell’altro genitore (alienato), che viene odiato fino ad essere escluso dalla loro vita. Gardner descrive tre tipi di PAS: lieve, moderato e grave; otto sintomi principali e quattro criteri diagnostici aggiuntivi. Sintomi principali della PAS 1. Campagna di denigrazione 2. Razionalizzazioni deboli, superficiali e assurde per giustificare il biasimo 3. Mancanza di ambivalenza 4. Il fenomeno del pensatore indipendente 5. Appoggio automatico al genitore alienante 6. Assenza di senso di colpa 7. Scenari presi a prestito 8. Estensione dell’ostilità alla famiglia allargata ed agli amici del genitore alienato. Criteri diagnostici aggiuntivi 1. Difficoltà di transizione 2. Comportamento durante le visite presso il genitore denigrato 3. Il legame col genitore alienante 4. Il legame col genitore alienato prima che intervenisse il processo di alienazione Criticità al modello di Gardner - La PAS non è annoverata dal DSM, e molti sostengono che vada considerata un disturbo relazionale, non psicopatologico. - E’ necessario distinguere i casi di PAS da quelli in cui c’è stata incuria o abuso da parte del genitore rifiutato, e da quelli in cui la preferenza di un figlio per un genitore è «normale» o dovuta ad altre cause. La mediazione familiare* Cos’è la Mediazione familiare? Un servizio pubblico, gratuito, riservato, diffuso su tutto il territorio provinciale. E' pensato per tutte le coppie con figli, in via di separazione, separate o divorziate, che desiderano essere aiutate a ritrovare un dialogo, a giungere ad accordi nell'interesse del ruolo di genitori e soprattutto per il benessere dei figli. Chi è il Mediatore familiare? Il mediatore familiare è un terzo imparziale rispetto alla coppia che ha l'obiettivo di sostenere la coppia stessa durante la fase della separazione e del divorzio. All'interno di questo spazio neutrale il mediatore familiare si propone dunque come una risorsa specifica - alternativa al sistema giudiziario - volta a favorire la negoziazione di tutte quelle questioni relative alla separazione o al divorzio. La coppia è incoraggiata dal mediatore a strutturare gli accordi che meglio rispondono alle esigenze di tutti i componenti del nucleo familiare. La coppia diventa protagonista nella gestione del proprio conflitto ed indirizza le proprie risorse per trovare un dialogo il più possibile funzionale ai cambiamenti che si prospettano per tutta la famiglia. Il mediatore familiare affronta sia gli aspetti emotivi (affidamento dei figli, continuità genitoriale, comunicazione della separazione al nucleo familiare, etc.) che quelli più strettamente materiali (divisione dei beni, assegno di mantenimento, casa coniugale, etc.). *http://www.tribunale.trento.giustizia.it MALTRATTAMENTO E ABUSO DI MINORI “ L’abuso o il maltrattamento sull’infanzia è rappresentato da tutte le forme di cattivo trattamento fisico e/o affettivo, abuso sessulae, incuria o trattamento negligente nonché sfruttamento sessuale o di altro genere che provocano un danno reale o potenziale alla salute, alla sopravvivenza, allo sviluppo o alla dignità del bambino, nell’ambito di una relazione di responsabilità, fiducia o potere”**. S.Cirillo, P.Di Blasio, La famiglia maltrattante, Raffaello Cortina, 1989 **WHO, World Report on Violence and Health, 2002. * Il danno cagionato è in genere tanto maggiore quanto più: - Il maltrattamento resta sommerso; - Il maltrattamento è ripetuto nel tempo; - La risposta di protezione alla vittima nel suo contesto familiare o sociale ritarda; - Il vissuto traumatico resta non espresso o non elaborato; - La dipendenza fisica e/o psicologica tra la vittima e il soggetto maltrattante è forte; - Il legame tra la vittima e il soggetto maltrattante è di tipo familiare; - Lo stadio di sviluppo ed i fattori di vulnerabilità della vittima favoriscono un’evoluzione negativa. Classificazione Maltrattamento fisico*: quando i genitori o le persone legalmente responsabili del minore eseguono o permettono che si producano lesioni fisiche, o mettono i bambini in condizioni di rischiarle. (di grado lieve, moderato, severo) Maltrattamento psicologico*: comportamenti attivi od omissivi che vengono giudicati psicologicamente dannosi in base a principi comuni e a indicazioni tecniche specifiche (rifiuto, terrorismo psicologico, isolamento, umiliazione…). Patologie delle cure: Incuria, quando le cure sono insufficienti (cibo, igiene, cure mediche); discuria, quando le cure vengono fornite in modo non appropriato; Ipercuria, quando le cure dello stato fisico sono caratterizzate da un’eccessiva e persistente medicalizzazione (ad es. Sindrome di Munchausen per procura). * Malacrea M., Lorenzini S., Bambini abusati, Cortina, 2001. Abuso sessuale:coinvolgimento in pratiche sessulai di soggetti minori che, per ragioni di immaturità psico-affettiva e per condizioni di dipendenza verso gli adulti non sono ritenuti in grado di compiere scelte consapevoli. Abuso sessuale intrafamiliare e intradomestico; Abuso sessuale intrafamiliare extradomestico; Abuso sessuale extrafamiliare. Violenza assistita: qualsiasi atto di violenza fisica, verbale, psicologica, sessuale ed economica compiuta su figure di riferimento o su altre figure significative, adulte o minori. Il bambino può farne esperienza direttamente o indirettamente. Sfruttamento sessuale di minori per ottenere prestazioni o ai fini della produzione di materiale pornografico. Il modello di riferimento* Le manifestazioni di trascuratezza, di violenza fisica o di abuso sessuale sono il segno di una patologia che investe non solo l’individuo, ma il funzionamento globale della famiglia. L’obiettivo non è solo la comprensione delle ragioni dell’abuso, ma la modificazione dei pattern disfunzionali su cui la violenza si radica per mettere la famiglia in condizioni di recuperare le proprie funzioni di allevamento dei figli. * Cirillo S., Di Blasio P., La famiglia maltrattante, Cortina, 1989. Fattori predisponenti (1), fattori di mediazione(2) e fattori precipitanti(3) nel MODELLO ECOLOGICO Per uscire dalla rigida dicotomia famiglia/individuo è stato adottato il modello fondato sulla metafora del gioco. Tale modello permette di integrare il livello del funzionamento individuale con quello delle determinanti socioambientali, attraverso il livello intermedio relativo ai pattern relazionali del gruppo familiare. La presa in carico quando la famiglia si presenta spontaneamente Se è un congiunto che segnala il genitore maltrattante è necessario fare attenzione a non colludere con un sistema che scinde la famiglia in “buoni” e “cattivi” alleandosi con il segnalante. Se è il maltrattante che denuncia se stesso bisogna cercare di capire se l’autodenuncia rappresenta un messaggio per un altro membro della famiglia. Le insidie del contesto spontaneo Si impone sempre un immediato intervento di protezione del minore per far cessare l’abuso, in attesa che venga attivata una presa in carico di altro tipo (ad es. psicoterapia) che possa eventualmente rimuovere le cause del maltrattamento. E’ necessario dunque segnalare immediatamente alla Magistratura e mettersi in condizioni di sicurezza! La relazione con l’utente maltrattante deve essere da subito inserita in un contesto che è contemporaneamente di aiuto e di controllo (l’utente non si sentirà tradito). La segnalazione è anche uno strumento di aggancio poiché inchioda i genitori maltrattanti alle loro responsabilità, smuovendo la condizione di stallo. La presa in carico in situazioni di coazione Serie di operazioni in sequenza: a)Referto e rapporto dei segnalanti b)Il decreto del Tribunale per i minorenni e i provvedimenti provvisori c)Definizione dei compiti e integrazione tra i servizi a) Molti operatori credono di poter risolvere il problema con procedure informali, quali colloqui falsamente amichevoli o paternalistici. Questi metodi non producono risultati duraturi e spesso peggiorano le conseguenze sulla vittima. Gli operatori scolastici, sanitari, socioassistenziali non devono dimenticare che il proprio ruolo di pubblici ufficiali impone l’obbligo, nei casi di reati di violenza sui minori, di denuncia all’autorità giudiziaria. A volte agire in questo modo non è facile; si tratta di individuare modalità d’intervento capaci di superare da un lato la negazione del problema e dall’altro la semplice incriminazione del colpevole. Il primo passo consiste nel raccogliere rapidamente elementi sicuri attestanti la violenza. b) Dopo la segnalazione in alcuni casi la magistratura minorile disporrà una prima indagine da parte dei servizi; in altri sarà già in grado di adottare delle misure di protezione dei minori e di avviare un programma di valutazione della famiglia. La magistratura minorile non può svolgere il proprio compito di tutela senza l’ausilio dei servizi sociali e viceversa! c)Per delineare il complesso e dinamico problema della violenza in famiglia, è necessario considerare una costellazione di fattori giuridici, sanitari, sociali e psicologici. I diversi operatori si rivelano indispensabili in virtù della loro specificità a patto, però, che si possano integrare in un programma unitario che li comprenda e li valorizzi. La valutazione della famiglia Il primo passo è quello di compilare una cartella familiare, per cominciare ad ipotizzare il “gioco patologico”. Strumento fondamentale a tal fine è il genogramma. La cartella familiare permette di decidere anche chi invitare al primo colloquio di i Durante il primo colloquio è necessario chiarire alcuni elementi: - Tutti i dati oggettivi attestanti il maltrattamento, - Doppia trasparenza nei confronti dell’utente e del Tribunale, - Condivisione del provvedimento provvisorio, - Distinzione tra compiti valutativo-diagnostici e di controllo. L’esito diagnostico Se la prognosi è positiva si prevede un riavvicinamento graduale o il reinserimento dei figli in famiglia. Nei casi in cui si prevedano tempi di recupero lunghi, una buona soluzione può essere l’affido. Se la prognosi è negativa (da subito o nel corso del trattamento) è necessario predisporre per i minori soluzioni alternative alla famiglia d’origine (adozione o affidamento ai parenti o a comunità). Giochi familiari tipici delle famiglie maltrattanti 1) L’incapacità genitoriale come messaggio: il genitore maltrattante o più spesso trascurante si presenta come genericamente incapace di allevare e accudire la prole, solitamente rappresentata da uno o più bambini molto piccoli. Il ruolo del bambino maltrattato può essere considerato trascurabile e il maltrattamento ha un significato di richiamo nei confronti di un congiunto che si dimostra disinteressato al genitore maltrattante (partner o genitore). 2) Capro espiatorio: l’oggetto del maltrattamento, più che della trascuratezza, è uno specifico figlio, mentre gli altri ne risultano indenni. I bambini maltrattati hanno solitamente almeno 2 anni e rafforzano con il loro comportamento i meccanismi connessi con lo scatenarsi della violenza. Il bambino nel processo del maltrattamento fisico: 1- Il conflitto di coppia, 2- lo schieramento dei figli, 3- La coalizione attiva del figlio, 4- la strumentalizzazione delle risposte del bambino. In ottica psicoanalitica… …i genitori maltrattanti reagiscono con rabbia, ansia e ostilità all’angoscia di perdita e di abbandono. Tale timore ha radici nelle esperienze passate che tendono ad essere rievocate dalla coalizione, vera o presunta, che si crea tra il partner e il proprio figlio. Nel dicembre 2002 la Regione Veneto ha approvato il Progetto Pilota di prevenzione, contrasto e presa in carico delle situazioni di maltrattamento, abuso e sfruttamento sessuale dei minori che ha previsto l’istituzione dei centri terapeutico-riabilitativi a livello provinciale e interprovinciale. I centri regionali di cura e protezione, dei bambini, dei ragazzi e delle famiglie Caratteristiche: Equipe multidisciplinare, carattere diurno. Destinatari: - I minori allontanati dalle famiglie per maltrattamento o in situazione di accertato o sospetto abuso e/o maltrattamento, sia intra che extra-familiare; - I genitori per il supporto (in caso di maltrattamento e.f.) o la diagnosi e l’eventuale presa in carico (maltrattamento i.f.); - Gli operatori del territorio e gli insegnanti. Compiti: - Validazione e valutazione di situazioni di maltrattamento e abuso; - Supporto alla genitorialità disfunzionale; - Presa in carico educativa, terapeutica e sociale del minore e della sua famiglia; - Sostegno ai minori nel percorso giudiziario; - Lavoro di rete con i servizi territoriali; - Consuelenza agli operatori per i casi dubbi o complessi. ADOLESCENTI TRASGRESSIVI* Trasgressività: caratteristica universale dell’adolescenza Espressione di un desiderio di crescita e autonomia o segnale di disagio? * A. Maggiolini, E.Riva, Adolescenti trasgressivi, Franco Angeli, 2003. Comprendere non è giustificare La giustificazione genera deresponsabilizzazione perché spesso invoca fattori esterni all’individuo; La comprensione dei significati affettivi cerca le ragioni soggettive, responsabilizza e aiuta a trovare risposte adeguate Per crescere un ragazzo deve mettere in discussione le regole interiorizzate nell’infanzia Le regole assumono forme diverse: - Abitudini (sonno, cibo, igiene); - Norme (più esplicita); - Ideali (si passa dalla norma imposta ad un proprio sistema di valori) Famiglia etica famiglia affettiva Famiglia etica: cinghia di trasmissione dei valori sociali, più uniformi e condivisi Famiglia affettiva: più attenta ai bisogni dei bambini (orari, controllo sfinterico,inserimento…) Le regole solo in parte possono essere trasmesse con l’insegnamento esplicito verbale. Soprattutto dall’adolescenza fondamentale è l’esempio dato dalle figure parentali e i conseguenti processi imitativi ed identificatori. Col passaggio alla vita adulta si acquista consapevolezza del valore intrinseco delle regole, che diviene più indipendente dalle regole Per la psicoanalisi è fondamentale: Rapporto tra soddisfazione e frustrazione nella regolazione dei bisogni primari; Acquisizione del controllo e consapevolezza della distinzione tra dimensione pubblica e privata; Proibizione dell’incesto (padre come terzo e rappresentante della norma). Chiarimenti concettuali… Super-Io: istanza psichica interna in cui sono organizzate le regole familiari interiorizzate; Ideale dell’Io: si costituisce dalla preadolescenza; istanza che rappresenta un sistema di valori più personalizzato, frutto del rimaneggiamento delle immagini idealizzate di sé e dei genitori, sia delle norme acquisite. Deidealizzazione dei genitori perdita dell’immagine di Sé infantile onnipotente Lo stile educativo attuale porta all’evitamento della frustrazione e al prolungamento dell’onnipotenza infantile Adolescenti poco preparati al confronto col mondo esterno Superamento dipendenza dagli adulti Nuovi legami con il gruppo dei pari; nuove regole condivise; conformismo e contagio “Adolescenza lunga” e meno tutelata dagli adulti (mancanza di riti iniziatici collettivi) I fattori di rischio della delinquenza minorile Vulnerabilità individuale (deficit cognitivi, handicap fisici, disturbi dell’affettività) Disagio familiare (perdite, conflitti, rifiuto o abuso) Disagio relazionale (incompatibilità temperamentali e di personalità tra bambino e genitore, processi di attribuzione e valutazione) Disfunzione dei sistemi di sostegno sociale (affiliazione a gruppi devianti, difficoltà economiche, emarginazione sociale). Meccanismi di giustificazione e di deresponsabilizzazione (Bandura): - Giustificazione morale Etichettamento eufemistico Confronto vantaggioso Dislocazione della responsabilità Diffusione della responsabilità Distorsione delle conseguenze Deumanizzazione della vittima Attribuzione di colpe alla vittima I disturbi del comportamento (DSM IV) Il disturbo della condotta Il disturbo oppositivo provocatorio Il disturbo da deficit di attenzione e iperattività Dinamica della personalità delinquenziale Il punto di vista psicodinamico non si basa sulla descrizione di comportamenti osservabili, ma cerca di analizzare vissuti ed esperienze soggettive. - Freud: azione deviante come modo per esteriorizzare i conflitti interni. - Bowlby: correlazione tra un attaccamento difettoso o carente nella relazione madre-bambino e l’indifferenza affettiva dell’adulto criminale. - Anna Freud: rapporto tra stili educativi genitoriali incoerenti e trasgressività. - Klein: orientamento criminale e sviluppo di un SuperIo eccessivamente rigido. - Winnicott: tendenza antisociale collegata alla perdita e alla deprivazione di una relazione affettiva originariamente positiva. Mahron distingue diverse tipologie di adolescenti devianti: Minori caratterizzati dall’impulsività nel ricorso all’azione: il pensiero non media tra impulso e comportamento motorio. Minori in cui sono le problematiche narcisistiche a dominare la scena: non sono gli impulsi a innescare il comportamento delinquenziale, ma il tentativo di raggiungere o mantenere un’immagine di sé adeguata (consumo di sostanze, furto di oggetti) Minori in cui sono i vissuti depressivi a determinare il comportamento deviante (“delinquenti per senso di colpa” che agiscono per essere puniti) Minori passivi, privi di carica vitale, che delinquono per sentirsi vivi. Per Charmet la famiglia interna del giovane deviante sarebbe caratterizzata dall’interiorizzazione di una figura materna depressa, immatura e priva di competenze educative, che chiede al figlio di consolarla e vendicarla dei soprusi subiti dagli uomini, e da una figura paterna assente affettivamente ed educativamente, spesso violenta, comunque ostile alla crescita del figlio maschio rivale. L’azione delittuosa ha lo scopo di rinsaldare il legame di gruppo, mitigare la profonda disperazione per la perdita della speranza di uscire indenni dal labirinto di una crescita bloccata. Caso di Andrea a pag. 45 Significati affettivi dei comportamenti trasgressivi Mentire: per esibire o per nascondere parti di sé; gli interlocutori possono cambiare. L’uso della bugia in adolescenza può essere considerato come una fisiologica difficoltà di integrazioni di diversi aspetti di sé, in una fase in cui i mondi relazionali non sono ancora integrati tra loro. Saper mentire è l’espressione iniziale della capacità di tollerare segreto. L’uso sistematico della bugia in ogni ambito relazionale può essere sintomo di un “falso sé”, per cui è l’intera personalità ad essere falsificata. Rubare: nei primi furti prevale il desiderio di essere più che il bisogno di avere; dopo si aggiungono vantaggi secondari, che finiscono per divenire più importanti dei motivi inconsci. Spesso le emozioni che precedono il furto sono la noia e la tristezza, più che la rabbia e l’aggressività. Cruciale è anche la questione della dipendenza: dover chiedere viene vissuto come umiliante conferma della dipendenza infantile, che il furto cerca di negare ed annullare. Rubare con scaltrezza può conferire un sentimento di potenza. Il furto femminile viene solitamente considerato un segreto intimo, mentre il furto maschile è esibito per affermare la virilità nascente. Se il furto è connesso alla dipendenza, esso è strumentale, mezzo per raggiungere il fine (droga, situazioni o oggetti irrinunciabili).Nelle situazioni in cui al furto non segue il consumo ma la rivendita, si esce dall’ambito dell’agito per entrare in un circuito più elaborato e cosciente, in cui la violazione della legge è rivolta ad uno scopo conveniente. Aggredire: i maschi lottano o simulano la lotta; le femmine si attaccano verbalmente, spesso con insulti che riguardano l’area della sessualità. Oggi forme socialmente ritualizzate di organizzazione dell’aggressività virile si trovano soprattutto nell’agonismo sportivo (in campo e sugli spalti). Da un punto di vista psicologico l’aggressività può essere considerata in vario modo:una risposta alle frustrazioni, una reazione alla paura, il risultato dell’identificazione con un ideale, oppure il bisogno di differenziazione nell’ambito di una relazione simbiotica. Aggressioni ai genitori tematiche di separazione Aggressività a scuola riconoscimento mancato Risse coi coetanei affermare la virilità Aggressioni ai diversi tematiche persecutorie Le tematiche spesso si sovrappongono. (Caso di Lucio pag.73) Distruggere: attraverso il comportamento distruttivo gli adolescenti intendono segnalare di esistere (anche negli adulti “mitomani”), in risposta ad un sentimento di noia e di vuoto profondo. I danneggiamenti scolastici più diffusi nella scuola superiore. Sporcare per trascuratezza Rompere per protesta Scrivere per esprimere e comunicare (amore, politica…) L’eccitamento di gruppo Mentre la motivazione occasionale è esibizionistica o aggressiva, quelle più profonde rimandano a: Mancanza di senso di appartenenza, vissuto di abbandono e di svalorizzazione Frustrazione e rabbia in seguito ad ingiustizie Espressione di bisogni pulsionali, espressivi e competitivi L’adolescente che distrugge i propri oggetti quando è infuriato con i genitori perché non riesce a separarsi psicologicamente da loro, aggredisce se stesso e loro fusi con lui, e insieme si punisce per l’incapacità di rendersi autonomo. (Caso di Angelo pag.82) Violentare. Il desiderio dei genitori di differenziarsi dalle precedenti generazioni abolendo i tabù sessuali porta ad una maggiore comunicazione sulla sessualità in famiglia, non accompagnata però da un idoneo linguaggio affettivo. In alcuni casi la barriera dell’intimità tra genitori e figli stenta a costituirsi: l’imbarazzo a parlare di sessualità tra genitori, fondata sul divieto dell’incesto, serve a proteggere da eccessi di confusione. I comportamenti sessuali precoci nelle adolescenti tendono ad avere lo stesso significato dei comportamenti devianti maschili: difficoltà nella gestione dell’impulsività che spesso deriva da carenze affettive precoci (fame di relazione, fuga in avanti, richieste di conferma…). L’aggressione sessuale che coinvolge adolescenti può essere diversamente caratterizzata: - Immaturità e ritiro sociale, sessualità infantile che si ritrova in un corpo da grande (isolata, nascosta, esercitata singolarmente, a volte omosessuale o agita su bambini).A volte c’è ritardo mentale (Carlo pag.90). - Il tentativo di liberare un’identità sessuale sequestrata all’interno di una relazione materna che non vi dà accesso o di una figura paterna con cui non ci si può identificare (Ivan pag.91). - Celebrazione della nascita sessuale dei singoli all’interno di un gruppo, fatta di impulsività ed eccitamento (pag.93) N.B. Mentre dal punto di vista legale l’azione di gruppo accentua la gravità dei fatti, da un punto di vista psicologico l’agire in gruppo è espressione delle debolezze individuali più che della forza collettiva! Spacciare I motivi soggettivi addotti a giustificazione di sostanze: - Bisogno di appartenenza - Far fronte a difficoltà emotive, come la scarsa tolleranza del dolore psichico - Cultura dello sballo - Espressione della creatività (anni ’70) - Aggressività conseguente ai conflitti familiari Il piccolo spaccio è spesso un’estensione del consumo e viene inteso come condivisione tra amici ( chi si procura la sostanza acquisisce prestigio) In alcuni casi (Marco pag.104) lo spaccio si colloca all’interno della cultura giovanile, coniugandosi con il disagio personale e sociale. In altri casi lo spaccio avviene in contesti sociali non disagiati, in cui sono le aspettative dei genitori che portano l’adolescente a cercare percorsi alternativi (Filippo pag.105) I reati di gruppo: ancora incapaci di una morale autonoma gli adolescenti utilizzano il gruppo come riferimento normativo. Sottrarsi alle proposte del gruppo può risultare molto difficile. La consapevolezza della gravità del comportamento deviante è spesso molto bassa. In un clima di noia, di vuoto, nasce l’idea di un’azione in cui sembra potersi magicamente avverare una fantasia che accomuna i membri del gruppo(aggressione di adulti degradati, l’espropriazione di coetanei con più possibilità…)Sono ragazzi che non si esprimono simbolicamente, né attraverso i canali riconosciuti (musica, scrittura, graffiti…). Il loro linguaggio è quello dell’azione. Le risposte degli adulti alla trasgressione giovanile E’ importante che gli adulti che si occupano di adolescenti capiscano che il comportamento trasgressivo è una forma di comunicazione ai cui fornire delle risposte. Il significato che gli adulti attribuiscono al comportamento degli adolescenti può contribuire a rinforzarlo (a volte l’intervento penale è iatrogeno). Le logiche attraverso le quali gli adulti possono rispondere sono: - Logica Logica Logica Logica di controllo e sanzione (sistema penale) sociale (servizi socio assistenziali) educativa (famiglia e scuola) terapeutica Ogni logica presenta delle controindicazioni… - Logica sociale deresponsabilizzazione - Logica terapeutica non sempre c’è un disturbo di personalità, e quando c’è richiede interventi molto lunghi - Logica educativa spesso non affronta il nucleo della trasgressività - Logica di controllo e sanzione può essere iatrogena L’integrazione delle logiche, dei sistemi e delle professionalità appare tanto più indispensabile quanto più gravi sono i comportamenti da affrontare La funzione parentale: controllare e proteggere La combinazione di funzione di attaccamento e funzione normativa dà vita a diversi stili educativi: - Stile Stile Stile Stile autoritario indulgente trascurante autorevole Una buona integrazione fra funzioni affettive ed etico-normative ha maggiori probabilità di garantire un equilibrio tra un’immagine positiva di sé e un’immagine positiva degli altri. Evitare il conflitto è comunque impossibile in adolescenza! La risposta educativa: perdonare o punire Per la prevenzione educativa dei comportamenti trasgressivi: - Combinazione di diversi stili educativi - Intervento immediato accompagnato da un intervento più strategico - La sola punizione innesca circoli viziosi - Profonda empatia con chi commette trasgressioni - Dimensione soggettiva della valutazione dei comportamenti - Non pretendere di incarnare la legge - Favorire fin dall’infanzia la socializzazione extrafamiliare - Se la situazione è grave, chiedere aiuto - Counseling individuale o familiare L’inserimento in comunità E’ anche una misura prevista dal codice penale minorile nei casi in cui il contenimento familiare non garantisce un contesto affettivo ed educativo sufficientemente buono, che funga da fattore protettivo alla messa in atto di comportamenti delinquenziali. A volte gli operatori, travolti dall’urgenza, scelgono le strutture disponibili, senza valutare la reale corrispondenza con i bisogni del ragazzo. Le comunità per adolescenti sono nate in Italia negli anni ’70 per rispondere alla dilagante tossicodipendenza. Tali strutture propongono un contesto in cui viene favorita la dipendenza dal gruppo controindicato per i minori devianti, per i quali sono meglio contesti caratterizzati da regole chiare e riferimenti adulti significativi, da un sostegno allo sviluppo di un’immagine positiva di sé su cui fondare il reinserimento sociale. Spesso i ragazzi devianti rifiutano la comunità e preferiscono il carcere, poiché questo fornisce un etichettamento facile, mentre il lavoro comunitario richiede un faticoso percorso di crescita. Inoltre alcuni vivono la comunità come un ambiente che infantilizza e il carcere come un luogo che rafforza (gli aspetti devianti e pseudo-adulti del sé). Alcuni preferiscono dipendere dalla norma rigida del carcere, a cui sono costretti ad aderire, piuttosto che dipendere dalle relazioni. Altri preferiscono il carcere per sostenere le competenze educative dei genitori. E’ importante scegliere la comunità più adatta considerandone il modello d’intervento e l’ideologia affettiva (maternalizzata, paternalizzata o che usa le relazioni come sostegno alla crescita) A volte le permanenze in comunità si concludono con fughe o espulsioni leggere il significato affettivo! L’intervento penale La separazione dal contesto evolutivo e l’isolamento si sono dimostrati spesso inutili o controproducenti nei confronti dei minori Il nuovo codice di p.p. minorile tenta di conciliare la necessità di fornire una risposta all’atto trasgressivo, con l’esigenza di proteggere il percorso evolutivo dell’adolescente dall’impatto con il sistema penale stesso, evitandogli per quanto possibile sradicamenti dalle realtà affettive primarie e dal contesto naturale di socializzazione, e salvaguardandone le esigenze educative e di sviluppo. Dopo una più o meno lunga serie di trasgressioni rimaste senza risposta ( onnipotenza e vissuti abbandonici) può accadere che il ragazzo venga fermato e condotto al CPA in cui viene accolto da operatori psicosociali. L’arresto evidenzia l’esistenza di un parere degli adulti sul reato e ciò rompe l’univocità del punto di vista della banda. Il ragazzo viene indotto a riflettere. All’arresto in CPA può seguire un provvedimento di custodia cautelare a cui il ragazzo può reagire in modo diverso: - Risposta depressiva con richiesta d’attenzione e sostegno da parte degli adulti (ragazzi provenienti da famiglie deprivanti); - “Tengono” in carcere ma “deludono” una volta usciti poiché non hanno interiorizzato le acquisizioni. - Mettono alla prova la loro leadership organizzando alleanze, in linea con la cultura carceraria adulta. La permanenza a casa può essere vissuta dall’adolescente in modo ambivalente: da una parte il sollievo per l’evitamento del carcere, dall’altra il disagio di una relazione stretta e costretta con i genitori (impatto antievolutivo reazioni d’ansia e panico) La messa alla prova, principale innovazione del nuovo codice di p.p., consiste nella formulazione di un programma che l’adolescente contribuisce a costruire a partire dall’ammissione della propria colpevolezza. Esito positivo estinzione del reato, esito negativo processo al punto di partenza. E’ lo sfondo di un progetto psicopedagogico che può essere realizzato con strumenti diversi. Non inibisce le azioni ma sostiene in modo individualizzato l’inserimento sociale e la responsabilizzazione dell’adoelscente. (Mauro pag.163) La psicoterapia di adolescenti con disturbi del comportamento Particolarmente indicato è un intervento psicologico finalizzato all’individuazione del significato simbolico sotteso ai comportamenti trasgressivi. Un intervento integrato psicologico ed educativo è ottimale! In ambito penale richiede la collaborazione di diverse figure professionali: psicologo, assistente sociale, educatore e giudice, che insieme rappresentano la funzione adulta. MINORI STRANIERI* «…le famiglie di oggi non sono più quelle di ieri e quelle di domani lo saranno ancora meno. I nostri bambini no si trovano più la stessa struttura, le stesse basi, gli stessi elementi per costruire se stessi…Vivono l’esperienza della mescolanza e della molteplicità. Ormai un bambino può nascere in una famiglia dove i sono solamente due uomini, due donne o un solo genitore. Può nascere in una famiglia e crescere in un’altra, ma può anche passare da una famiglia all’altra o essere affidato a un altro membro della famiglia. Un bambino può essere figlio di genitori migranti, di coppie miste o un minore non accompagnato che arriva in Europa clandestinamente… *- M.R.Moro, I nostri bambini domani. Per una società multiculturale, Franco Angeli, 2011. - Strategie per l’accoglienza. L’affidamento omoculturale di bambini e ragazzi in EmiliaRomagna. Quaderno 17. - Materiale gentilmente concesso dalla dott.ssa Nives Martini Con uno sguardo antropologico tutti ingredienti sono culturali, non naturali… questi Cultura = un sistema di interpretazioni, complesso e sublime, che esclude che ve ne sia una sola possibile; non è mai uno strumento di misura oggettivo. Superamento dell’atteggiamento etnocentrico tipico della nostra cultura… Diversi tipi di viaggio: - migrazioni interne - migrazioni esterne - rotture senza cambio di luogo (guerre, catastrofi naturali). Ragioni per cui si migra: - motivi politici - motivi economici - la ricerca del meglio Ogni migrazione è potenzialmente traumatica, nel senso che porterà alla riorganizzazione difensiva, adattiva e strutturante. Fattori sociali sfavorevoli, sia nel paese d’origine sia in quello ospitante, sono fattori aggravanti, così come la modalità d’accoglienza nel nuovo territorio… Una migrazione racchiude anche potenzialità creatrici; da qui la necessità di identificare i fattori che permettono di gestire il rischio legato alla condizione di transculturalità e di trasformarlo in carte vincenti per l’individuo e per le società. Le fasi della migrazione La migrazione, nei suoi aspetti progettuali e di realizzazione, si inserisce all’interno di una dimensione familiare (e collettiva), sia per realizzare la partenza, sia per finanziare il viaggio, sia per i contatti nel Paese d’arrivo. Le pre-condizioni (un progetto lontano, un evento); Il progetto concreto: la decisione (chi può/chi deve partire); La partenza e il viaggio (i saluti, gli addii, l’organizzazione); L’arrivo e il primo insediamento (chi accoglie?); La sistemazione e l’adattamento (i costi della migrazione, nostalgia e nuove strategie identitarie); Il ritorno (“..non si torna mai, si parte sempre!) Altre variabili significative… Motivi della migrazione Area geografica di partenza e di arrivo Consenso/non consenso della famiglia Divisione/non divisione della famiglia in emigrazione Presenza/assenza di connazionali Durata della permanenza Politiche migratorie del paese di accoglienza Età di partenza Atteggiamento della popolazione locale nei confronti degli immigrati Sentimenti personali prima, dopo, durante la partenza Personali capacità di interagire nei confronti delle difficoltà Bambini di qui venuti da altrove… Bambini nati in Italia da genitori stranieri Bambini/ragazzi ricongiunti (migranti) Ragazzi non accompagnati (minori “senza”) Bambini/ragazzi profughi/rifugiati Bambini arrivati in Italia per adozione internazionale Figli di coppia mista Elementi di vulnerabilità Bambini migranti (“ricongiunti”) Vissuto di sradicamento Riorientamento spaziale, temporale, affettivo Distacco dalle figure affettive di riferimento (nonni, zii, cugini, fratelli..) Necessità di riallacciare legami affettivi con il/i genitore/i emigrato/i in precedenza Discrepanza tra aspettative e impatto con la realtà Figli d’immigrati: la 2°generazione Isolamento e solitudine delle neo-madri (mancanza reti d’aiuto femminili) Minori controlli ed esami durante la gravidanza Appartenenza ad un nucleo familiare monogenitoriale Problemi di cura, custodia e accudimento (fascia 0-3 anni) Rischio di separazione dalla madre Rischio di “pendolarismo”tra i due paesi Minori stranieri non accompagnati Perdita dei riferimenti affettivi, del ruolo educativo della famiglia, del controllo sociale Rischio di devianza e marginalità Frequente mobilità sul territorio nazionale Necessità di produrre reddito immediato Diffidenza dei nativi e isolamento sociale Irregolarità giuridica Bambini profughi Vissuto traumatico dovuto alle condizioni di vita nel paese d’origine Condizioni di viaggio e d’arrivo spesso drammatiche Famiglia “spezzata” Cambiamento improvviso, discontinuità rispetto al passato Incertezza e provvisorietà rispetto al futuro Vissuto di isolamento e solitudine Frequente mobilità sul territorio nazionale o transnazionale Rischio transculturale Atteggiamento di ambivalenza dei genitori nei confronti della migrazione (qui/là); Impossibilità di presentare al figlio il mondo “in piccole dosi”; Difficoltà nello svolgere il ruolo di guida; Richieste contraddittorie (buona riuscita scolastica/mantenimento della tradizione); Esposizione a categorizzazioni negative rispetto alle proprie origini. VULNERABILITA’: periodi critici e fattori protettivi Primi anni di vita (effetto protettivo nel mantenimento di alcuni patterns culturali) Età scolare (effetto protettivo del bilinguismo aggiuntivo) Adolescenza (strategie di meticciamento) Interazioni distali e prossimali in puericultura… - In Occidente prevale l’interazione distale («mondo a culla»); vengono valorizzati gli scambi uditivi e visivi a discapito di altri registri…Ai bambini viene insegnato molto presto a stare da soli. Importante è la separazione del bambino dalla madre con cui è in simbiosi. - Altrove prevale un’interazione prossimale («mondo senza culla»): i neonati sono guardati poco (aïn in Maghreb) ma si valorizza il registro corporeo, cinestetico (massaggi vigorosi…), olfattivo e gustativo (neonati al curry o al peperoncino). I neonati dormono con la propria madre e vengono allattati a richiesta. Il bambino proviene dal mondo degli antenati, degli dei…e va umanizzato dalla madre. Tre dimensioni per comprendere i genitori venuti da altrove: Rappresentazioni ontologiche, a priori, del bambino e di ciò che è una madre e un padre. Nella migrazione conviveranno le rappresentazioni portate dai genitori e quelle del paese d’accoglienza. Significato attribuito a ciò che accade ad un bambino nel quotidiano (soprattutto disfunzioni, sofferenze…) Teorie eziologiche specifiche di un tempo e di un luogo, tramandate da una generazione all’altra (es. jinn) Il fare: vi sono mille modi di fare coerenti con il modo di pensare e di attribuire un significato a ciò che capita ai bambini. Il fare si lega alla matrice ontologica ed eziologica (imporre consigli è inutile!) Importanza della lingua madre… I bambini figli di migranti che riescono bene a scuola hanno tutti una buona stima della propria lingua materna e il 75% di loro è bilingue Importanza della prima lingua come supporto per una buona stima di sé sul piano linguistico e per la propria identità. Presenza di un traghettatore Per Winnicott ci sono tre tipi di atti nelle cure al bambino: Holding (contenimento, anche culturale); Handling (manipolazione e cura tramite i vari registri sensoriali); Object-presenting: «presentare il mondo a piccole dosi». Quest’ultimo atto è minacciato dalla migrazione. Se i genitori non riescono a mostrare al bambino il mondo a piccole dosi, questo lo incontra tutti i giorni in modo traumatico. A volte i figli arrivano a conoscere il mondo meglio dei genitori inversione di ruoli e falsa autonomia In condizioni di meticciato vanno tenuti presenti questi fattori: Vulnerabilità Competenza Resilienza creatività I minori stranieri non accompagnati* La definizione di “minore straniero non accompagnato” a livello legislativo recita: «Per minore straniero non accompagnato si intende il minorenne non avente cittadinanza italiana o di altri stati dell’Unione Europea che, non avendo presentato domanda d’asilo, si trova per qualsiasi causa nel territorio dello Stato privo di assistenza e rappresentanza da parte dei genitori o di altri adulti per lui legalmente responsabili in base alle leggi vigenti nell’ordinamento italiano». Oltre ai minori completamente soli, dunque, rientrano in tale definizione anche i minori che vivono con adulti diversi dai genitori, che non ne siano tutori o affidatari in base a un provvedimento formale, in quanto questi minori sono comunque privi di rappresentanza legale in base alla legge italiana». *I minori stranieri non accompagnati. Problematicità educative e prospettive d’intervento in un’ottica interculturale a cura di Ivana Bolognesi, Laura Corazza in Strategie per l’accoglienza. L’affidamento omoculturale di bambini Romagna. Quaderno 17. e ragazzi in Emilia- La definizione di minore straniero non accompagnato non coincide con quella di minore in stato di abbandono: infatti, un minore straniero non accompagnato può tuttavia non versare in stato di abbandono perché, ad esempio, accolto da familiari entro il quarto grado che però non sono i suoi rappresentanti legali. Tipologie di m.s.n.a. presenti sul territorio italiano: a) i minori non accompagnati richiedenti asilo, o minori per i quali sono richieste misure di protezione per motivi umanitari. A questi soggetti dovrebbe essere applicata una procedura specifica, che per ora in Italia non si attua a causa della mancanza di una legge sull’asilo politico; b) i minori non accompagnati che giungono in Italia per ricongiungersi con i propri genitori. Questi ultimi però spesso non hanno i requisiti per poter avviare un ricongiungimento familiare regolare; c) i minori non accompagnati sfruttati dal racket, per traffici illeciti come prostituzione, accattonaggio, lavoro minorile, trasporto e spaccio di stupefacenti. I minori vengono a volte rapiti, altre volte partono con il consenso delle famiglie. Sfortunatamente questa è una realtà abbastanza diffusa. In questi casi si adottano in Italia delle misure specifiche di “protezione sociale”; d) i minori migranti “economici”, provenienti dall’Albania, dal Marocco e dalla Romania. Arrivano in Italia attraverso la rete dei trafficanti della malavita organizzata per cercare lavoro e guadagni, spesso con il consenso delle stesse famiglie. Approcci differenti: - Approccio espulsionista basato sulla convinzione che la famiglia d’origine sia sempre e comunque terapeutica: - Moderato (rimpatrio assistito); - Espulsionista. - Approccio incorporazionista: favorire le aspettative del ragazzo e la sua crescita e attivare un processo di inserimento socio-economico e culturale. In alcuni casi si favorisce anche la ricomposizione del nucleo familiare nel contesto d’insediamento prescelto. - Approccio adozionista: si basa sulla convinzione che, se non si possono espatriare i ragazzi e ricongiungerli nel proprio nucleo familiare originario, diventa pedagogicamente necessario affidarli a famiglie italiane. - Approccio intermedio: valorizzare e facilitare le esperienze differenti dalla nostra affinché le nostre forme culturali e le loro siano negoziate e armonizzate. integrazione interattiva anziché assimilativa. Posizione che pone al centro l’interesse del minore e i suoi desideri, sia che essi consistano nel ritornare a casa, sia che essi si fondino su un voler rimanere e implementare il suo progetto di migrazione. In effetti, ci possono essere situazioni in cui è molto meglio per il ragazzo il rimpatrio e situazioni in cui esso avrebbe conseguenze disastrose e, per questo, la soluzione migliore sarebbe inserire il ragazzo in un percorso di formazione nel paese di arrivo, ricongiungendo se necessario il nucleo familiare. In questi casi sono necessarie strutture che operino nell’ottica della cooperazione internazionale cercando soluzioni compatibili e collaborando con i servizi nazionali. Nella ricerca d’identità il m.s.n.a. può mettere in atto differenti atteggiamenti nei confronti della società ospitante: «Resistenza culturale» (chiusura rispetto alle altre etnie); Completo adeguamento e assimilazione alla cultura del Paese d’accoglienza; «alternanza dell’identità»: il minore si adatta per molti aspetti alla vita del gruppo di maggioranza pur mantenendo i tratti della cultura d’origine. Marginalizzazione (di frustrazione o di passaggio): non si è più pienamente parte della cultura e delle tradizioni del proprio Paese di origine, ma nello stesso tempo non si è parte della cultura e delle tradizioni del Paese accogliente. L’approccio interculturale dei servizi: linee guida L’approccio interculturale dovrebbe partire: - dal riconoscimento di un cambiamento che caratterizza di fatto la nostra società e dalla convinzione che il cambiamento non sia solo inevitabile, e debba essere in qualche modo subito, ma ci coinvolga e ci chiami ad essere soggetti attivi; - dal presupposto che il cambiamento, se assunto consapevolmente e affrontato con competenza, sia un fatto che schiude delle potenzialità di evoluzione della nostra identità, arricchendo i nostri punto di vista sul mondo e permettendoci di comprendere meglio una complessità culturale, sociale, che costituirà il nostro futuro. Si tratta quindi di sviluppare “un atteggiamento critico che permetta di decentrarsi rispetto al proprio punto di vista per sforzarsi di acquisire un etnocentrismo critico: la coscienza cioè della propria identità in dialogo e in interazione con le altre culture”. Si tratta quindi di superare sia gli atteggiamenti di assimilazione, attraverso cui si assorbono le altre culture attraverso la propria cultura, sia la convivenza statica delle culture, rispettate come “uguali” ma anche cristallizzate e rese impermeabili l’una all’altra. Un dialogo interculturale è invece un progetto dinamico di incontro e di cambiamento per la costruzione di una nuova identità. Un servizio per tutti, un servizio per ciascuno E’ necessario rivedere il proprio lavoro: - coinvolgendo in prima persona gli operatori, nello sforzo di verificare o cambiare il proprio punto di vista. - connotandosi come servizio innovativo nelle risposte e nelle modalità di azione. Lavorare in un contesto multietnico in prospettiva interculturale rende necessarie delle attenzioni specifiche: - nella comunicazione con le persone (verbale e non verbale): ciò che posso presumere sia “chiaro” o scontato per un utente italiano può non esserlo per un utente straniero, non solo dal punto di vista linguistico, ma “culturale”, e magari anche nel suo aspetto di comunicazione non verbale…(silenzio, sguardo rivolto verso il basso, sguardo diretto, stretta di mano…); - nella comprensione/definizione del progetto e della storia di migrazione del singolo, della coppia, della famiglia, del minore: per la comprensione dei bisogni e per elaborare una soluzione, occorre “fare i conti” con i progetti, a breve, lunga scadenza che possono comprendere il periodo da passare in Italia, il rapporto con la famiglia rimasta nel paese d’origine, il cambiamento di ruoli e di compiti nella migrazione…; - nell’attenzione alle culture e alle storie personali: sapendo riconoscere comportamenti che nascono da differenti modi di concepire il rapporto con il corpo, con il tempo, con l’autorità, con l’altro sesso…ma che sono anche propri dell’identità e del percorso di una persona. Occorre evitare una sopravvalutazione o una sottovalutazione della differenza culturale; - nella capacità di lavorare in rete con altri servizi e realtà del territorio: vale anche per gli utenti italiani, ma in particolare per gli stranieri, molti dei quali tendono ad essere utenti multiproblematici: il problema di un minore straniero, raramente è il problema di un minore straniero nel rapporto con i genitori, ma è il problema del lavoro dei genitori, della casa, del contesto della famiglia allargata, del permesso di soggiorno…: questo richiede a maggior ragione conoscenza, collaborazione e coordinamento tra i servizi; - nella capacità di lavorare con un territorio e con la comunità che vi abita. Lavorare in dimensione interculturale implica il riconoscimento anche del ruolo della società italiana intorno a noi e dell’importanza di un dialogo con essa; - nella ricerca di soluzioni “creative” dei problemi e della capacità di negoziazione: lavorando con gli stranieri ci si scontra con pregiudizi, nostri e degli altri, stereotipi che danno origine a “incidenti interculturali”. Sperimentiamo lo “spiazzamento” di fronte a reazione inaspettate da parte nostra e degli altri. Spesso la risposta ai problemi ci chiede capacità innovativa, creativa che nasce dallo sforzo di mettersi da un altro punto di vista (esercizio non facile...); - nella flessibilità: disponibilità a interrogarsi a modalità di funzionamento al servizio più accessibili ad una determinata utenza, a prevedere una gradualità nel percorso; - a partire dall’acquisizione di nuove conoscenze: normative, sociologiche, antropologiche: per acquisire consapevolezza di noi stessi, dei fenomeni che avvengono attorno a noi, dei “paletti” in cui siamo costretti a muoverci. Migrazione ed adolescenza: la doppia crisi* Quando ai cambiamenti indotti dalla migrazione si sovrappongono i cambiamenti dovuti al passaggio da un’età all’altra della vita i rischi dell’uno e la vulnerabilità specifica dell’altro possono determinare gravi scompensi nella persona e sfociare nella psicopatologia. L’adolescenza, non v’è dubbio, è l’età migliore o peggiore per ogni tipo di esperienza, ma non si deve dimenticare che in questo periodo della vita il problema principale è la ricerca e il consolidamento del sentimento di identità: se in esso si introduce un evento come l’emigrazione, per sua natura destabilizzante, tale sentimento può esserne profondamente turbato. Alla base dei diversi tipi di migrazione vi è comunque un elemento comune, individuabile nell’alterazione dell’equilibrio precedentemente raggiunto. Da una situazione di sicurezza, di noto, di conosciuto (non necessariamente positivo o gradevole) il migrante passa ad una situazione in cui tutto è ignoto, sconosciuto. *A cura di Nives Martini in Strategie per l’accoglienza. L’affidamento omoculturale di bambini e ragazzi in Emilia-Romagna. Quaderno 17. L’aspetto più colpito in emigrazione è il senso di appartenenza, poiché tutto l’ambiente circostante è sconosciuto, e lo stesso migrante è sconosciuto all’ambiente che lo circonda. La perdita del ruolo all’interno della propria comunità, come membro del gruppo familiare (padre,figlio, fratello,…), sociale o amicale, suscita vissuti di “non appartenenza” che possono arrivare a mettere in dubbio la stessa esistenza. La migrazione è un’esperienza di traumi cumulativi, il cui esito potrà essere “catastrofico” se il soggetto si lascerà sopraffare dagli eventi in causa, oppure, al contrario, di “rinascita”, un vero e proprio arricchimento, in cui vecchio e nuovo potranno integrarsi. Migrazione come metafora dello sviluppo umano. Il procedere da una fase all’altra della vita - da bambino ad adolescente, da adulto a vecchio - è caratterizzato da fasi di transizione in cui le certezze devono essere abbandonate e devono essere assunte nuove competenze; ciò costituisce per ogni individuo un’occasione di crescita e al tempo stesso una minaccia, comportando di per sé una maggior vulnerabilità psicopatologica. Quando la “rottura” con il mondo esterno avviene durante l’adolescenza, il lutto per quanto si è lasciato si innesta con una fase della vita di per sé caratterizzata dai cambiamenti e dagli abbandoni; la perdita della propria casa, della “terra madre”, della famiglia, è complicata dall’abbandono della posizione infantile e della non ancora raggiunta maturità. L’adolescente si trova nella singolare situazione di sentirsi doppiamente straniero: rispetto al mondo esterno e rispetto a se stesso. “La presunzione che i ragazzi manifestano di essere adulti e maturi, presunzione che viene loro dall’aver compiuto un viaggio importante ed affrontato tante traversie da soli nonché, forse, dalla cultura di appartenenza, che riconosce loro più precocemente la condizione di adulto, si scontra di fatto con una maturità affettiva che abbisogna ancora del supporto degli adulti per modulare il movimento ancora incompiuto verso l’indipendenza, caratterizzato dall’oscillazione tra spinte in avanti e regressioni” . L’adolescente immigrato e solo avrà quindi la necessità, per poter completare in modo sufficientemente armonioso la propria crescita, di essere sostenuto, curato e guidato da adulti che sappiano contenere la sofferenza psichica del ragazzo e che siano in grado di presentargli il mondo esterno “a piccole dosi” (Winnicott, ’88). Quando la funzione di accogliere e ricevere i nuovi arrivati è assicurata da familiari o gruppi di connazionali già stabiliti nel nuovo Paese vi è la possibilità di esporsi al cambiamento in modo meno traumatico, poiché al contempo viene mantenuto uno spazio in continuità con ciò che si è lasciato. Se i connazionali adulti non sono loro stessi dei neo-arrivati, ma hanno raggiunto una sufficiente stabilità interiore e una soddisfacente collocazione sociale, possono svolgere una funzione di sostegno indispensabile al minore straniero non accompagnato. ADOZIONE E AFFIDO* Quali differenze? * C.A.M. , Nuove sfide per l’affido. Teorie e prassi, Franco Angeli, 2012.(cap. 1-8) L’intervento tutelante dovrebbe avere due finalità: Salvaguardare il diritto fondamentale di ogni bambino di essere cresciuto ed educato dai suoi genitori; Prendersi cura dei legami familiari, feriti o compromessi, con uno sguardo particolare al futuro dei figli. Tutto ciò ha senso solo se il contesto di tutela ha una visione precisa, condivisa ed esplicita dei diritti che intende tutelare e delle violazioni no tollerabili. Gli interventi di tutela dovrebbero essere pensati non solo sul piano delle relazioni familiari affettive, ma anche sul piano delle relazioni familiari etiche. E’ un diritto fondamentale del minore essere sempre informato del perché dell’intervento di tutela. Importanza della rete di servizi e dell’integrazione di professionalità. Il progetto di affido consiste nella collocazione di un minore in una famiglia affidataria e nella presa in carico della sua famiglia di origine per l’assistenza e la cura del disagio cha ha portato il Tribunale alla decisione di allontanare il minore. La mancanza di presa in carico della famiglia d’origine, come spesso accade, può determinare il fallimento dell’intero progetto. Le funzioni del servizio territoriale Funzione tutela minori: vigilanza da parte di tutte le agenzie pubbliche affinché ai minori siano garantiti, dentro e fuori la famiglia, i loro diritti. L’equipe interdisciplinare che lavora a questo livello non dovrebbe occuparsi del trattamento terapeutico o del sostegno alle famiglie d’origine, né di famiglie affidatarie, al fine di mantenere separate le funzioni di aiuto e di controllo. Rischi: solitudine dell’operatore unico e mancanza di adeguate procedure. Funzione di coordinamento: prendersi cura dell’intera visione progettuale di ciascun caso, del suo monitoraggio in termine di risorse, della verifica della sua coerenza nel tempo, delle proposte di modifica. Per il responsabile o l’A.S. coordinatore valgono le stesse incompatibilità della funzione minori. Funzione di ascolto, di aiuto alla famiglia di origine e al minore: si occupa della valutazione e del trattamento, ascolto e cura delle difficoltà della famiglia d’origine e/o del minore, al fine di creare o ripristinare, quando possibile, adeguate condizioni di crescita per il minore e di sviluppo per la sua famiglia. Gli operatori non dovrebbero essere gli stessi della funzione minori, né occuparsi delle famiglie affidatarie. Rischio ideologico. Funzione famiglie affidatarie: creare collaborazioni fruttuose tra il servizio tutela e le famiglie disponibili a diventare affidatarie. Gli operatori (di solito A.S. e psicologo) non dovrebbero essere coinvolti come funzione minori in nessun caso portato dalle famiglie affidatarie nei gruppi. Rischi: considerare la famiglia affidataria come un utente. Funzione di abbinamento: costruzione dell’ipotesi di abbinamento e la verifica della sua pertinenza e fattibilità. Va valutata la compatibilità fra il progetto di affido e alcune famiglie affidatarie e fra le esigenze del minore e le esigenze della famiglia individuata. Risorse: gli operatori della funzione famiglia affidataria, della funzione minori e della coppia genitoriale della famiglia scelta. Rischi: abbinamento frammentato e non frutto di collaborazione. L’esperienza di affidamento riguarda tutte le fasce di età, compresa quella adolescenziale (15-17) che risulta proporzionalmente la più numerosa; mentre le fasce infantili (0-2 e 3-5) sono minoritarie. La formazione di una nuova relazione di attaccamento con i caregivers sostituti avvengono in una fase dello sviluppo in cui i bambini hanno formato già formato una relazione di attaccamento. Affido come processo di perdita La perdita ha una doppia valenza: separazione dai genitori, dal suo ambiente, dal contesto sociale; perdita della possibilità di essere curato adeguatamente dai propri genitori. Nello stesso momento in cui il bambino vive la perdita in modo acuto, gli viene chiesto di affrontare un ambiente familiare nuovo. La famiglia affidataria deve essere preparata a condividere con empatia reazioni di shock, negazione, protesta, disperazione, distacco. L’affido, a differenza dell’adozione, provocando un continuo confronto tra famiglie diverse e l’alternarsi di caregivers, spinge il bambino a conflitti nella definizione dell’identità di sé come figlio. L’affido dovrebbe essere sia un’esperienza riparativa che elaborativa. Riguardo la recuperabilità della genitorialità… Se vi è una prospettiva di cambiamento della famiglia d’origine e le relazioni meritano di essere mantenute, si può procedere all’affido familiare. Viceversa, la soluzione più opportuna è l’adozione. Tuttavia, il recupero della famiglia di origine non è mai del tutto realizzabile del tutto inattuabile. Si tratta quindi di valutare i limiti e le risorse dei genitori al fine di poter costruire un progetto di affido che contempli la possibilità di sostenere adeguatamente la genitorialità d’origine; tale lavoro potrà esitare in un recupero sufficiente a ipotizzare un rientro del bambino, o in un recupero sufficiente a garantire al bambino la fruibilità di una genitorialità residua. Quello che deve essere perseguito è un obiettivo di co-genitorialità. Infatti, affinché il bambino possa sentirsi appartenere a entrambi i gruppi familiari, deve sentire che i caregivers reciprocamente si riconoscono. Indicazioni per genitorialità la valutazione della Una buona valutazione deve avere una cornice ecologica che prenda in considerazione i diversi aspetti personali, relazionali e contestuali che influiscono sul buon funzionamento familiare e sullo sviluppo del bambino. Il focus della valutazione deve essere la genitorialità. Ciò che comprendiamo del funzionamento relazionale della famiglia, del funzionamento mentale del singolo genitore deve essere riportato alla capacità di assolvere i compiti evolutivi legati alla genitorialità. Le funzioni di protezione, sensibilità e responsività, sebbene siano competenze di base di una buona genitorialità, devono essere integrate da altre importanti abilità: l’attitudine a rappresentarsi in modo realistico e accurato il bambino, la capacità di sostenere la funzione riflessiva, la disposizione a un adeguato rispecchiamento emotivo, il sostegno all’autonomia e alla capacità di autoprotezione del figlio. I genitori devono essere sostenuti nel sviluppare tali funzioni. Due caratteristiche sono comuni a numerosi programmi di sostegno: l’home visiting e il video feedback. Principi guida per il sostegno all’affido Garantire un sufficiente livello di apertura comunicativa Favorire l’elaborazione della perdita Assicurare l’integrazione del sé attraverso un buon livello di co-genitorialità Salvaguardare la continuità degli affetti La terapia dei bambini trae enormi vantaggi dal coinvolgimento delle figure di riferimento, sia nel caso in cui questo produca movimenti positivi degli adulti, sia nel caso in cui, da parte degli stessi, si verifichi il fallimento delle istanze di accudimento e di empatia verso i bambini. Nella fase di reperimento delle famiglie affidatarie è necessario costruire una forte coerenza tra le rappresentazioni proposte in fase di promozione e le fasi successive. Il percorso di conoscenza della famiglia candidata all’affido Gli operatori devono effettuare una prognosi sulla capacità del nucleo familiare di prendersi carico di un bambino che vive una situazione di difficoltà e di rispondere alle sue esigenze affettive, educative e di cura. Attenzione ad alcuni costrutti! E’ importante tenere insieme, in modo coerente, le due dimensioni che caratterizzano tutti gli affidatari senza essere contraddittorie: costituire delle risorse preziosissime per i minori in difficoltà ed essere, allo stesso tempo, persone portatrici di specifici bisogni esistenziali che stanno alla base della loro candidatura. Le motivazioni all’affido… Famiglie solidali Famiglie genitoriali E’ sempre importante capire se oltre alle motivazioni altruistiche vi siano altre istanze più profonde e inconsce che muovono degli adulti verso l’opzione dell’affido (ad es. movimenti identificatori nei confronti dei bambini che soffrono). Eventuali istanze autoriparative devono essere comprese e tenute in considerazione. Un modello di valutazione in sette aree: operare un bilancio tra risorse e limiti valutati su diverse aree, con l’idea, che salvo alcuni casi particolari, non vi siano famiglia inidonee all’affido, ma che per ogni candidatura vada compreso quale minore e per quale progetto quel nucleo potrebbe essere di aiuto. 1- Il profilo di personalità dei due partner: comprendere in maniera sufficientemente precisa e puntuale qual è il modo di funzionare interno ed esterno delle persone candidate. In particolare indagare la qualità dell’integrazione tra la funzione emotiva e quella cognitiva, la capacità di entrare in contatto con i propri stati interni, lo stile di attaccamento, la capacità di tollerare la sofferenza, l’espressione delle emozioni, il funzionamento del pensiero, l’adattamento sociolavorativo. 2- Le competenze genitoriali: sono strettamente connesse all’esperienza avuta come figli e al tipo di elaborazione di essa che si è riusciti a fare. Verificare lo stile educativo e di accudimento che la persona pensa di utilizzare con il minore, rispetto alle seguenti dimensioni: - Normativa Accuditiva Ludica comunicativa 3- La relazione di coppia: la qualità del rapporto di coppia ha ricadute molto importanti sul benessere degli individui e sulla loro competenza genitoriale, sia come fonte di sostegno e confronto nell’occuparsi dei figli, sia come relazione romantica che offre conforto e protezione. Fornisce inoltre un supplemento d’informazioni sulle caratteristiche individuali. Vanno indagate le seguenti aree: Comunicazione Presenza dei figli e assunzione del ruolo genitoriale Sostegno reciproco Processi decisionali Interessi comuni L’indagine sarà condotta mediante la ricostruzione della storia di coppia e la sua evoluzione. 4- La relazione con le famiglie estese e con il contesto di vita 5- La motivazione e la disponibilità all’affido: La motivazione: - Carattere generale, normali attese che la relazione con un minore può suscitare: accudimento, gioco, aspetti educativi e scolastici - Peculiari e soggettive motivazioni che li hanno portati a pensare, più o meno consapevolmente, che attraverso l’affido determinati loro bisogni potevano essere soddisfatti. La disponibilità: - Tipologia di affido Genere ed età del minore Numero di minori Caratteristiche psico-affettive e relazionali Caratteristiche del progetto d’affido Caratteristiche della famiglia d’origine 6- La preparazione all’affido: non va sottovalutata l’importanza di creare proposte di formazione strutturate che aiutino i candidati ad entrare, cognitivamente ed emotivamente, nella realtà dell’affido, dando loro strumenti concettuali, emotivi e relazionali per meglio affrontarla. Elementi da indagare: - Capacità di stare nel ruolo di affidatari e fare gioco di squadra - Capacità di affrontare realisticamente e positivamente le diversità - Capacità di accudire un bambino «ferito» - Atteggiamento nei confronti della famiglia di origine (che deve poter essere autenticamente comprensivo e compassionevole). Tale capacità è strettamente correlata al grado di comprensione che ciascun individuo ha raggiunto nei confronti dei propri genitori. 7- La presenza di figli: deve essere attentamente compresa la situazione dei minori già presenti nel nucleo onde evitare che per aiutare un minore se ne danneggino altri. Le aree da indagare sono: - Presenza di specifiche problematiche evolutive Stile di attaccamento Relazione con i genitori Aspettative nei confronti del futuro minore affidato Consapevolezza delle specificità di cui sarà portatore. L’approfondimento delle sette aree può essere generalmente realizzato in 3/5 colloqui, oltre alla visita domiciliare e a un ultimo colloquio di restituzione. Solitamente gli operatori coinvolti sono uno psicologo e un A.S. (ma anche l’educatore professionale può essere utile) che conducono i colloqui insieme o separatamente. In ogni caso è importante che ci sia un adeguato scambio di informazioni. I colloqui vanno preferibilmente fatti con la compresenza dei due partner (per dare un messaggio chiaro, per valutare l’interazione, per evitare difficoltà nella gestione delle informazioni). Generalmente non vengono somministrati test, per non enfatizzare la connotazione valutativa. La restituzione va sempre garantita alla famiglia, evitando di dare rimandi a tutto campo, e riferendo le osservazioni a caratteristiche più o meno direttamente cruciali per l’esperienza di affido. La buona prassi prevede che venga richiesta la documentazione medica attestante la buona salute dei candidati e quella giudiziaria attestante l’assenza di condanne e/o procedimenti pendenti con la giustizia. Le famiglie «speciali»… Nuclei monoparentali e single Coppie senza figli Famiglie adottive Famiglie ricostituite Famiglie colpite dalla perdite di un figlio Coppie omosessuali Le famiglie di altra etnia Criteri di abbinamento: Spazio di crescita Diversificazione dalle precedenti esperienze Compatibilità tra le differenza Continuità delle risorse Rilevare e tenere conto delle preferenze della famiglia affidataria Attenzione da porre all’elemento più fragile del sistema affidatario Bibliografia a) MINORI NELLE SEPARAZIONI CONFLITTUALI A.Dell’Antonio, Il bambino conteso. Il disagio infantile nella conflittualità dei genitori separati, Giuffrè, 1993. b) MALTRATTAMENTO E ABUSO DI MINORI S.Cirillo, P.Di Blasio, La famiglia maltrattante, Raffaello Cortina, 1989 c) ADOLESCENTI DEVIANTI A. Maggiolini, E.Riva, Adolescenti trasgressivi, Franco Angeli, 2003. d) MINORI STRANIERI M.R.Moro, I nostri bambini domani. Per una società multiculturale, Franco Angeli, 2011. e) ADOZIONE E AFFIDO C. Artoni Schlesinger, Adozione ed oltre, Borla, 2006. oppure C.A.M. , Nuove sfide per l’affido. Teorie e prassi, Franco Angeli, 2012. (cap. 1-8)