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no la parole CISUL; onde venne pensiero che il guerriero
di distinzione ch’era stato trovato nella tomba fosse Gisulfo»
5
. «E finalmente la pubblica curiosità potè essere soddisfatta, poichè la parola CISUL ..., scolpita a caratteri della prima epoca longobarda, fece conoscere essere quelli li avanzi
del primo duca del Friuli GISULFO, nipote del famoso re
Alboino» 6.
Cominciò, quindi, ad essere da tutti conosciuta e raccontata la storia del primo duca cividalese, l’eroe Gisulfo,
e di sua moglie Romilda la traditrice 7, che, durante l’attacco avarico a Cividale, innamoratasi del re nemico, gli aprì
le porte della città 8. «I Cividalesi marciano più pettoruti
dell’ordinario, colla test’alta, e il capello ben calcolato sulla fronte. Sembrano molto superbi, o assai preoccupati da
altri pensieri che non siano quelli del presente. Interrogati,
o non rispondono, o vi parlano con vostra somma sorpresa
del medio evo. Tutti i loro discorsi, cominciati dalle cose
del giorno vanno inevitabilmente a finire sui Longobardi.
Il primo duca del Friuli ricomparso alla luce del giorno
dopo tredici secoli di durissimo sonno ha quasi sconvolto i
loro cervelli. La storia di Gisulfo e di Romilda è il tema
comune di ogni conversazione» 9.
Lo scalpore e l’interesse suscitati dalla scoperta della
sepoltura e dall’iscrizione sono ben manifesti negli articoli
comparsi sui quotidiani locali: Il Giornale di Udine del 18
Giugno 1874 dà notizia della visita al sarcofago cividalese
del Prefetto e del Sindaco di Udine. In un altro articolo
comparso sul Giornale di Udine del 24 Giugno 1874,
l’Arboit scrive: «Il pellegrinaggio alla tomba di Gisulfo prende di dì in dì proporzioni sempre maggiori. Se si va di questo passo tutti gli altri pellegrinaggi, compreso quello di
Lourdes, ne rimarranno eclissati. Più di mille persone in
due settimane sono ite a visitare il museo e a veder quel
pugno di polvere in cui fu ridotto dal tempo il principe
longobardo. I nostri vicini di oltre Judri ci vengono a frotte. Ieri Cormons, Gorizia, e la stessa Trieste vi hanno mandato un buon contingente. Quest’emigrazione straniera fu
iniziata giorni sono dal podestà di Gorizia, e dall’ex-Governatore imperiale: Coronini di Cronberg. Quale meraviglia che un di questi dì non ci piova addosso un esercito di
prussiani per vedere le reliquie di questo antico figlio dell’Elba? L’accorrere di tanti forestieri è una fortuna per Cividale ...».
Ma dopo una così entusiastica partecipazione e un forte
coinvolgimento, testimonianza di un caso singolare di pellegrinaggio, la certezza che l’individuo dissotterrato fosse
proprio Gisulfo iniziò a vacillare.
Archeologia Medievale
XXV, 1998, pp. 345-357
Irene Barbiera
«E ai di’ remoti grande pur egli il
Forogiulio appare».
Longobardi, storiografia e miti delle origini a Cividale del Friuli
*
1. LA TOMBA DI GISULFO
Nel maggio del 1874, furono avviati a Cividale del Friuli
dei lavori di ristrutturazione delle tubature della piazza detta
un tempo della Fontana e ora di Paolo Diacono. Nella notte del 27 sotto la direzione del sindaco, Sig. De Portis, fu
ritrovato, entro una muratura in calce e mattoni, un sarcofago di marmo. Il «Sindaco volle che la tomba venisse aperta
con ogni solennità e cura. Perciò il sindaco mandò un espresso al regio Prefetto di Udine, pregando volesse mandare il
professore Wolf. Il 29 maggio alle ore 9 antimeridiane, essendosi procurato di disporre tutto perché le cose andassero regolarmente, come per il fatto procedettero, riunitisi lo
stesso Sindaco coi 4 assessori municipali, il R. Commissario distrettuale Sig. Trabuchelli, il R. pretore Avv. Signor
Melli, il R. direttore del museo monsignor D’Orlandi, il
cav. Prof. Wolf, l’ingegnere civile Dott. Marzio De Portis e
il medico Dott. Fanna, si scoverchiò la tomba alla vista di
uno stragrande numero di persone, che si accalcavano al
dintorno della fossa, e su tutte le finestre della piazza, persino vedendosi alcuni sui tetti delle case» 1. All’interno del
sarcofago, alla grande folla si presentò «una massa confusa
di evidente cadavere in pieno stato di putrefazione
saponeide», nonché un ricco corredo: una croce in oro con
incastonata una moneta aurea dell’imperatore Tiberio, una
guarnizione di lamina d’oro con cornice a doppia perlinatura, recante al centro la raffigurazione di una papera stilizzata eseguita a smalto policromo (turchino, rosso, verde, giallo), due guarnizioni di cintura in bronzo dorato a
forma rettangolare, una linguella per cintura d’argento a
forma di «U», una fibbia per cintura in bronzo a forma
ovale con ardiglione scudiforme, frammenti di pettine in
osso con traccia di decorazione ad occhi di dado, una bottiglia in vetro di colore verde chiaro, fili d’oro e di stoffa.
Erano inoltre presenti armi ed elementi dell’armatura, quali
due speroni in oro e argento, una guarnizione dello scudo
a forma di croce in bronzo dorato, l’umbone dello scudo
con decorazione centrale in bronzo dorato, l’impugnatura
in bronzo e ferro dello scudo, un coltello in ferro, un elemento in ferro a forma di croce 2. «Tutte bellissime cose ma
nessun indizio per riconoscere a chi appartenesse quel corpo; sicché la folla che andò a visitare il sepolcro esposto
per alcune ore al pubblico, se ne tornò poco contenta, non
potendo porre un nome a quegli avanzi» 3.
«Di chi quel cadavere? Si andava in congetture tra un
duca e l’altro dei Longobardi ...» 4, nel frattempo il sarcofago fu trasportato dallo scavo al museo, dove si iniziò l’operazione di pulitura; «... si cominciò a levare dal coperchio
dell’arca il cemento, e non potendovi riuscire appieno per
la soverchia tenacità del calcestruzzo, si dovette ricorrere
allo scalpello per iscrostarlo. Fu con tale mezzo che lo scalpellino Zanetti Cesare, alla presenza di 5 testimoni pose
allo scoperto 5 lettere ch’egli, né alcuno dei presenti, né il
sindaco stesso mandato a chiamare, seppe leggere. Fatto
sospendere il lavoro, il sindaco mandò per il signor ab.
Tomadini, di caratteri antichi conoscitore, che per essere
fuori di città non potè venire che il dì sucessivo. Intanto
vennero poste a guardia del monumento alcune persone
fidate affinché nessuno toccasse le lettere strane che tutti
potevano vedere, ma non decifrare. Il Tomadini, adoperando il sistema della carta bagnata che introdusse nella
scanalatura delle lettere, rilevò tosto che queste costituiva-
2. «VOI DITE: LA TESTIMONIANZA NON VALE.
OIBÒ!» 10
Fu il goriziano De Bizzarro a dubitare dell’autenticità
dell’iscrizione; la prova della falsificazione consisterebbe
in tracce di matita ritrovate tra le lettere scolpite 11; e dopo
un’indagine paleografica il De Bizzarro concluse: «... l’ispezione di quegli informi sgorbi segnati appena, appena nel
marmo del coperchio da mano timida ed inesperta m’induce a ritenerli assolutamente apocrifi» 12. Insospettivano anche motivi di altro genere: non avrebbe avuto senso scolpire l’iscrizione in un punto del sarcofago che non era visibile a causa dell’interramento; inoltre il corredo, mancante
di alcuni elementi dell’armatura, come ad esempio l’elmo,
non sarebbe quello di un duca longobardo. Concluse quindi il De Bizzarro: «La convinzione dei cividalesi sull’identità del cadavere del duca Gisulfo era tale, che ne vedevano
il nome da ogni lato, tanto più nei fantastici ghiribizzi fatti
dai solchi dello scalpello sul coperchio dell’arca. Era facile
ravvisare quei segni e condurli a rappresentare il nome sognato: le forbici stesse di un sarto potevano facilmente riuscirvi» 13.
Come ci si può aspettare, queste osservazioni diedero
vita ad una vivace polemica tra i sostenitori dell’autenticità
dell’iscrizione, i cividalesi, e coloro che, come il de Bizzarro, la negarono; il portavoce dei primi fu Angelo Arboit, il
quale rispose alle accuse in diverse occasioni. Sul Giornale
1
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fu inviato un calco dell’iscrizione; dall’esame di quest’ultimo i due studiosi espressero il loro dubbio sul fatto che
l’iscrizione potesse essere autentica 21.
Sarebbe stato il sindaco, quindi, a commissionare l’iscrizione, il cui grande successo, come si è visto, è confermato
dallo scalpore e dal coinvolgimento generale suscitato, non
solo dalla scoperta della ricca sepoltura, ma soprattutto dal
fatto che il defunto fosse un ben noto e valoroso cavaliere.
L’idea di giostrare il ritrovamento al fine di renderlo un
fatto sensazionale funzionò a meraviglia, permettendo al
sindaco e ai sui collaboratori di svolgere un ruolo di primo
piano.
La scoperta di questa sepoltura rappresenta certo di per
sé un ritrovamento importantissimo, per il ricco corredo
che non trova eguali nelle altre sepolture cividalesi; per il
tipo di sepoltura, completamente diversa da quelle delle
tombe extra urbane che avevano al massimo un muretto a
secco, costruito per delimitare il defunto; per la posizione
stessa della deposizione, entro le antiche mura della città.
Per quali motivi, però, il ritrovamento del sarcofago
suscitò così tanto scalpore, e perché i cividalesi così tanto
si accanirono nel voler difendere l’appartenenza a Gisulfo
della ricca tomba? Risulta singolare il fatto che il ritrovamento coinvolse non soltanto pochi studiosi o eruditi, come
di solito avveniva, ma l’intera comunità cittadina, in testa
il sindaco che molto si diede da fare per coordinare le vari
fasi della scoperta. Quali, dunque, le cause di un così ampio e diffuso interessamento?
di Udine del 16 Giugno 1874 scrisse: «se nel fondo di una
o due lettere si veggono tracce recenti, questo non toglie
che esse lettere abbiano da essere antiche; perché la stessa
calce tenacemente incrostata nel fondo delle loro
scanellature le ha mantenute di una freschezza sorprendente;
come accade altresì in tutti gli altri solchi che scendono nel
senso dei spioventi, i quali sembrano recentissimi ...». E
ancora: «Le lettere sarebbero il risultato dell’impostura,
perché i loro orli furono veduti tinti di matita nera. Come
l’hanno imboccata bene! Debbono, però, essere molto ingenui questi critici, i quali, pur ammettendo che un impostore abbia scritto il nome di Gisulf, possono immaginare
che egli non avesse usata la precauzione di smorzare il bianco in fondo al solco delle lettere e di levare dal marmo le
tracce della matita mistificatrice, se avesse fatta la frode».
La prova decisiva, che dimostrerebbe, secondo l’Arboit,
l’autenticità dell’iscrizione, sarebbe infine questa: «Ho poi
una mia ragione particolare, appoggiata alla semplice osservazione, per poter indicare autentica l’iscrizione in discorso. Ed è questa: che nel fondo dei solchi delle cinque
lettere esistono tuttavia dei granelli di cemento, tredici volte
secolari, le cui impronte ho veduto chiaramente nei rilievi
di gesso fatti dall’egregio artista Marco Bardusco di Udine» 14. La presenza, dunque, di tracce di antico rilevate dallo stesso Arboit nel calco di gesso dell’iscrizione rappresenterebbe l’inconfutabile elemento datante.
La questione passò sotto silenzio nei decenni successivi
al 1874 15, e fu nuovamente rinverdita da un articolo comparso sul quotidiano il Popolo del Friuli, nel 1940, dal titolo Gisulfo e la sua tomba. Si può comprendere come fosse
prevalsa l’opinione dell’Arboit e come la convinzione che
si fosse ritrovata proprio la tomba del primo duca di Cividale risultasse troppo affascinante per potervi rinunciare.
L’articolo incomincia così: «Gisulfo, nella storia di Cividale, è, forse, il personaggio più illustre e popolare, tanto che
si può ritenere non esservi qui persona anche di giovane
età e di modesta cultura alla quale questo nome non sia
famigliare» 16. Segue poi il racconto della storia di Gisulfo,
secondo la testimonianza di Paolo Diacono, e la descrizione del ritrovamento del sarcofago, senza alcuna menzione
alla polemica suscitata dall’iscrizione, concludendo: «Ora
tutto il prezioso materiale è gelosamente custodito nel
Museo Archeologico di Cividale ed è ancora oggetto di attento esame da parte degli studiosi che vi si soffermano a
lungo e con interesse particolare».
Ciò che accadde realmente nel maggio del 1874 emerse
solo un secolo più tardi, nel 1974, quando Luigi Bront si
decise a pubblicare una serie di testimonianze orali a lui
raccontate nel 1926 dall’allora direttore del museo, Ruggero
della Torre. Si tratta di frammenti di frasi, discorsi e fatti,
accaduti nel retroscena durante i giorni del ritrovamento,
che scioglierebbero l’enigma dell’iscrizione; è il direttore
stesso che racconta: «Giorno della scoperta: nessuna incisione. Chi sarà? Chi non sarà? – il prete già studente a
Padova viene a dire: potrebbe essere Gisulfo – Il sindaco
Portis piglia la supposizione per vangelo – si divulga che
col metodo della carta bagnata si è riusciti a decifrare l’incisione CISUL» 17. È la tagliente accusa sferzata dal notaio
Cucovaz a svelare il responsabile del falso: «L’è stat chel
stupidat di Puartis, ripete il testimone oculare dottor
Cucovaz» 18; il sindaco Portis risulta, quindi, colpevole. Lo
stesso Ruggero Della Torre conferma: «Non è molto, io
entro una mattina in Museo e il custode mi presenta un
vecchio e mi dice: Lo conosce? Non lo conosco. È Zanetti,
il capo muratore durante gli scavi e la scoperta del sarcofago. Dunque, dico io, rivolgendomi a Zanetti, la vogliamo
fare finita con Cisulf? Zanetti ha confessato! – Ma sì, ma
sì, el ga confessà!» 19.
Secondo il Bront, al momento della scoperta del sarcofago furono rilevate alcune incisioni appena abbozzate sul
coperchio, furono poi alcuni falsari, forse con l’aiuto dell’allora sindaco, a trasformarle nel nome del primo duca
longobardo cividalese 20. Solo nel 1974 furono interpellati,
da parte del museo di Cividale, due docenti dell’università
di Monaco, Joachim Werner e Bernhard Bischoff, ai quali
3. «E QUI SORGEA IL FOROGIULIO UN DÌ»
Cividale, capitale del ducato del Friuli al tempo dei longobardi, residenza del potere politico e temporale, riscopriva
ed esaltava, ora che non possedeva più tali privilegi, il momento in cui da municipium divenne civitas. Il caso di Cividale risulta isolato, dato che, nel resto d’Italia alla metà
dell’Ottocento, gli storici e gli archeologi si concentravano
principalmente sull’epoca classica, non ritenendo il periodo alto medievale come fase significativa della storia italiana 22. Fu proprio il ritrovamento del sarcofago, a Cividale,
a indirizzare decisamente le ricerche verso l’epoca longobarda. Ma vediamo come si arrivò alla grande scoperta di
Gisulfo e quali antefatti avevano spinto le élite della cittadina friulana a intervenire così attivamente negli avvenimenti storici e archeologici.
Da un rapido excursus 23 di scritti storici relativi alle città di Cividale e di Udine tra 1600 e 1700 emerge una forte
conflittualità tra le due cittadine entrambe alla ricerca della propria identità storica intorno alla rispettiva rilevanza
nel passato. Due erano gli attributi contesi: la sede
metropolitica e il sito di Forum Iulii. Gli udinesi e i cividalesi si disputavano infatti, durante il XVII e il XVIII secolo,
per stabilire quale delle due città fosse stata l’antica
«Forogiulio», fondata da Giulio Cesare, secondo quanto
scritto da Paolo Diacono 24, e ritenuta città natale del poeta
Cornelio Gallo 25. Mezzi della contesa furono alcune iscrizioni lapidee, risultate false quelle di Udine, di cui parla lo
stesso Liruti 26. Scrisse infatti quest’ultimo: «Ma dove in
passato sia il sito di questa Città Colonia Forogiulio, che a
tutta questa nostra provincia diede il suo nome ... fu ne
passati secoli XVI e XVII varia discordante opinione tra
dotti cittadini delle nostre due Città di Cividale, e di Udine, pretendendo i cittadini di questa di sostenere tuttavia
quel posto nella provincia, che sostenne né tempi antichi
Forogiulio, ed anzi essere quella Città medesima, che abbia
poscia cangiato quel nome in quello di Udine ... e sostenendo i Signori Cividalesi di essere la stessa Città, o Civitas
forijulii, detta comunemente secondo la lingua Italiana
Cividal di Friuli ... Ora però che siamo in un secolo più
illuminato, e sgombero da certa fissezza, e senza certi
pregiudicj, pare che la gara, e la contesa si sia ne’ dotti e
ragionevoli Signori Udinesi raffreddata, e che le ragioni
Cividalesi evidenti gli abbiano, se non persuasi e convinti
affatto, almeno ridotti alla convenienza di quietamente e
in silenzio rimaner contenti della gloria e del loro stato
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vestigia comparissero di città romana che chiameremo Forogiulio» 36. Il canonico credette di aver ritrovato tali somiglianze. Si legge, infatti, ad esempio: «Questo tempio pare
che possa corrispondere a quello che gli arcadi eressero in
onore di Cesare sul monte Palatino vicino al Circo»; e ancora più sotto: «Nella tavola XI le figure 1 e 2 non sono
che una illustrazione dello scavo fatto nel 1823 a questo
luogo riconosciuto pel Quirinale, ora detto S. Quirino 37 ed
anche castello di Purgessimo» 38. Nel prospetto storico III,
capitolo V si legge; «... siccome io sapeva che i Romani
tenevano il campo degli esercizi militari, detto Astiludio,
possibilmente vicino al circo, al tempio della Dea Ebe e a
quello degli Arvali, così mi venne pensiero di rintracciare
le vestigia di queste parti ... Sceso pertanto coi lavori a questa parte, vi trovai ferri, ossa e denti di cavallo, come pure
fibule per cavalli, anelli e fibule per militari. Qual più evidente indizio adunque può desiderarsi per stabilire in Cividale il campo Astiludio?». Non solo i ritrovamenti, ma anche la natura del terreno viene analizzata quale prova della
romanità di Cividale: «Era mio divisamento di verificare se
il colle Viminale di Roma, il quale era diviso da una valle,
si potesse appropriare al primo colle, che si ascende per
andare alla Madonna del Monte, con i colli di Zuccola,
che restano divisi dalla città di Cividale verso settentrione
e levante». Qui fu ritrovato un frammento di marmo con
raffigurata la testa di un uomo che «avea tutti gli attributi
di Giove Vimineo ... Studiando quindi la posizione e la
denominazione del locale, ritrovai che al colle Viminale di
Roma si doveva trovare il tempio di Giove Vimineo. Così
questo colle di S. Rocco a Carraria, da a conoscere ch’egli
ha tutta la corrispondenza al colle Viminale di Roma» 39.
Il della Torre, discendente da un ricca famiglia di Pordenone, aveva studiato a Milano, dove nel 1776 era entrato
nel monastero di S. Barnaba; fu trasferito a Cividale nel
1802, dove «le sue occupazioni furono la diplomazia e la
cognizione delle cose antiche, in cui per la famigliarità avuta
in Milano col celebre Fumagalli, luminare in tali scienze,
avea acquisito non comune perizia» 40. Dagli scritti del della Torre emerge come le sue conoscenze storiche si basavano non solo sui classici, ma soprattutto sulla letteratura a
lui contemporanea o sulle expertises di alcuni personaggi
locali da lui direttamente interpellati. Essi erano, ad esempio: «Bartolomeo Giuliari, direttore degli scavi dell’arena
di Verona», «il signor maggiore de Mulverth dello stato
maggiore, generale delle truppe austriache», «il signor
Igniazio Scagliossas, archimandrita di Tessaglia, colta persona», e ancora «il Rosini antiquarium romanorum» e «il
Milizia» scrittore di un dizionario degli uomini illustri; tutti (o quasi) personaggi le cui competenze possono, ora, far
sorridere.
La Storia degli scavi si conclude così: «Per questo modo
ho terminato gli scavi concessi dalle benigne risoluzioni
Sovrane: ho cercato con essi di sciogliere la tanto dibattuta
questione sull’antico Forogiulio romano, e di fissarlo una
volta in Cividale, perché città costruita in quei tempi dietro le norme di Roma, in base agli’infallibili prinicipj di
Plutarco e di Varrone. Se vi sono riuscito ho pienamente
ottenuto il mio scopo» 41. L’accanimento del Della Torre
nel ricercare analogie e riscontri puntuali con Roma superava l’antica querelle con gli udinesi a proposito del sito di
Forum Iulii, proponendo di rispondere alla relazione Udine-Aquileia con una nuova e ben più significativa relazione: Cividale-Roma, di cui Cividale diventava la fotocopia
planimetrica, monumentale e dunque istituzionale.
Al Della Torre si deve la fondazione, nel 1817, di un
museo che raccogliesse i suoi ritrovamenti per la maggior
parte attribuiti al periodo romano; fu questo motivo di grande vanto per i cividalesi 42. L’avvenimento venne vissuto a
Udine come uno stimolo a fare altrettanto: anche il capoluogo friulano voleva avere il suo museo. Jacopo Pirona,
erudito friulano, in un discorso tenuto nell’accademia di
Udine il 3 Giugno 1832, lamentò il fatto che non fosse
stato fondato, come a Cividale, un museo che raccogliesse
le antichità della regione e soprattutto di Aquileia e invitò
gli accademici ad impegnarsi in un progetto di fondazione
di una tale istituzione 43.
presente, che godono di avere tutte le onorevoli prerogative di Capo e metropoli regionaria della provincia ...». In
realtà tra le due cittadine friulane si trascinavano conflitti e
rivalità politiche di vecchia data 27: prima del dominio veneziano in Friuli si erano combattute tra Udine e Cividale
delle vere e proprie guerre per il controllo del patriarcato
28
.
La soluzione della disputa relativa alla posizione dell’antica Forum Iulii, a favore dei cividalesi, spinse a ricercare altre antiche origini per la città di Udine, anche se di
epoca meno remota 29. A partire dalla metà del ’700 si preferì infatti presentarla quale erede dello splendore e dell’importanza antichi di Aquileia. Scrisse a questo proposito
Nicolò Madrisio: «... la città d’Udine, ov’ho avuto la fortuna, e la gloria di nascere, è interamente per quello almen
riguarda questa particolare provincia, succeduta nel di lei
posto, essendo ora ella la capitale del Friuli, siccome lo era
in altri tempi Aquileia: Ne solo essa si fregia d’essere figlia
ed erede, ma pare che in certa maniera da qualche secolo
in quà sia diventata una cosa stessa con lei.» 30. Si sottolineò
come Udine fu il luogo di residenza scelto dal patriarca
Bertoldo nel 1222, in seguito ad un terremoto che aveva
devastato Cividale; fu poi la sede di diversi dicasteri dell’amministrazione statale dal 1344, e in seguito divenne il
principale centro politico ed economico della regione 31.
Significativo, ancora una volta, l’atteggiamento continuista di Nicolò Madrisio che scrisse: «È noto il disegno ch’han
sempre nutrito i nostri gran Patriarchi da che con non poco
lor comodo, e con nostro più che molto vantaggio han trasferito la Metropolitana lor Sede tra noi, d’unire, e
d’immedesimare, per quanto fusse mai stato possibile, il
nome, e gl’interessi di queste due illustri Città. Ebbero tanto zelo, e pietà per quella, che rimiravan distrutta, che tentarono a tutto studio di ravvivarla nell’altra che vedean felicemente fiorire, volendo ch’essa portasse il glorioso titolo di Nuova Aquileia» 32.
Dal canto loro, agli inizi dell’Ottocento, malgrado Udine non rivendicasse più di essere stata l’antica Forum Iulii,
e fosse evidentemente soddisfatta della sua posizione di
nuova sede patriarcale, gli storici cividalesi erano ancora
impegnati a dimostrare la loro ragione nell’antica querelle,
questa volta con l’aiuto dell’archeologia 33. Fu in occasione
delle campagne di scavo condotte tra il 1817 e il 1826 34
che il monsignor Michele della Torre, canonico dell’Insigne Collegiata di Cividale, riaffrontò la questione, e affermò di aver definitivamente risolto la disputa in favore della sua città. Scrisse, sul grande successo del della Torre, il
D’Orlandi: «... taluni pensarono negli ultimi tempi doversi
cercare fuori di questa città e dell’agro congiunto l’antico
Forogiulio, opponendosi in questo all’autorità de più insigni antiquarj, che aveanli preceduti, Liruti Tiraboschi e del
dottissimo de Rubeis, e ai monumenti che quivi ne attestano l’esistenza. Gloria peraltro al Turriani (Michele Della
Torre), che animato dalla munificenza di Franceso I di sempre benedetta memoria, propose di verificare col fatto quello
che da taluni sopra levissime congetture veniva contraddetto. E quindi penetrando le viscere del terreno, e con
saggio accorgimento il lavoro drizzando dove e la posizione e l’antico nome indicassero ciò ch’eravi stato, appoggiato all’autorità di classici scrittori ... in pochi anni tanti vi
dissoterrò oggetti di monete, di vasi, di urne, di mosaici da
far toccare con mano, che in Cividale e non altrove, doveva ricercarsi quel municipio romano ...» 35.
Durante questa ricerca il Della Torre, non si limitò a
portare alla luce reperti romani. Con l’ausilio delle nuove
scoperte egli volle dimostrare l’esistenza di una analogia
topografica tra Cividale e Roma: poiché Udine veniva prospettata dai suoi eruditi come discendente da Aquileia, Cividale veniva messa in diretta relazione con la stessa capitale dell’impero romano. Si legge, infatti, nella sua Storia
degli scavi: «... Cividale, al tempo dè Romani, doveva essere a simiglianza di Roma stessa in base all’infallibili principi di Plutarco e di Varrone. [ ... ] S’incominciarono pertanto i lavori nelle contrade più ampie nei cortili e negli orti
dell’attual Cividale, osservando io minutamente se alcune
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1839, in un opuscolo, si scrisse come questo fu fondato
dalla longobarda regina Piltrude, madre di «tre figli principi longobardi detti Erfo, Marco, Zanto o Zanantonio» 52.
Entro un’urna sarebbero state custodite le ossa della fondatrice e dei suoi tre figli: una tale convinzione si fonda sul
fatto che «nel 1810, anno della sopressione del convento,
si volle aprire quest’urna e si riconobbero frammisti alle
ossa quattro teschi, uno di persona matura e tre di età più
fresca. Da ciò si dedusse che con la madre fossero state
riposte anche le ceneri dei tre nominati figli» 53. Anche in
questo caso è manifesta l’esigenza di associare, pur senza
alcun indizio probante, una scoperta archeologica ad un
personaggio storicamente noto. Il tempietto era, dunque,
valutato non più come uno dei tanti resti romani a riprova
della continuità di insediamento tra Forum Iulii e Cividale,
quanto una fondazione regia di epoca alto medievale.
Infine il tempietto fu restaurato nel 1859 grazie a sovvenzioni ministeriali, la direzione dei lavori fu affidata al
conte cividalese G.U. Valentinis; la notizia è data nella Rivista Friulana, il 7 Ottobre 1860, dove vengono descritte le
varie fasi dell’operazione, non mancando di sottolineare
l’importanza del monumento per la «città del Natiso» e la
benemerenza del conte Valentinis «essendoché per lui quel
vetusto monumento longobardico sarà conservato integralmente eziandio all’ammirazione della posterità» 54.
Così, dopo una prima fase in cui gli interessi storici e
archeologici locali erano stati in linea con quelli del resto
d’Italia e orientati dunque all’indagine sul periodo romano, subito dopo la Restaurazione, in seguito all’indirizzo
dato dai già citati studiosi austriaci, le ricerche vennero
orientate verso il periodo delle invasioni e dei regni germanici; i risultati furono soddisfacenti, dato che i resti longobardi a Cividale erano di notevole valore e immediatamente visibili agli occhi di tutti. Questo orientamento restò invariato anche in seguito all’annessione del Friuli, nel 1866,
all’Italia, e interpretato come carattere distintivo del passato della città.
In quegli stessi anni furono iniziati gli scavi archeologici
ad Aquileia 55. Molte furono le pubblicazioni, tra gli anni
1863-75, relative alle scoperte nell’antica città, ritenuta
seconda soltanto a Roma 56. Le scoperte archeologiche aquileiesi stimolarono l’interesse degli udinesi, infatti furono
pubblicati nel biennio 1859-1861 numerosi articoli sulla
Rivista Friulana, relativi ai patriarchi vissuti tra Aquileia e
Udine, mettendo in rilievo, ancora una volta, la continuità
tra le due città 57.
In questo contesto, in cui Udine e Cividale continuamente si confrontavano, ben si può comprendere quale
importanza avesse rappresentato la scoperta dell’antico sarcofago nel maggio del 1874. Udine di certo non possedeva
delle testimonianze così ricche, illustri e antiche: «Gisulfo,
primo duca longobardo in Italia» era vissuto ed era stato
sepolto in Cividale, molto prima che iniziasse le serie dei
patriarchi udinesi.
Il grande interesse dei cividalesi nei confronti della propria storia alto medievale perdurò anche nel Novecento.
La cittadina, ai margini dell’Italia, ora di minore importanza rispetto a Udine, era ben interessata a mantenere vivo il
ricordo dell’epoca in cui essa era stata il centro coordinatore della regione.
Dopo il 1874, si cominciò a portare alla luce una grande quantità di resti longobardi; le necropoli alto medievali
extra urbane furono per la grande maggioranza scavate a
partire dagli anni intorno al 1886. In alcuni casi però l’attribuzione delle sepolture al periodo longobardo risulta infondata. Tale atteggiamento durerà fino agli anni Settanta
di questo secolo, quando una sepoltura ritrovata in piazza
Duomo, priva di corredo, fu datata all’VIII sec. in base al
fatto che l’individuo inumato era orientato da est ad ovest
58
. Analogamente furono trattate le sepolture extra urbane
ritrovate rispettivamente nel cortile del ricreatorio di borgo S. Pietro e in piazza XX Settembre 59.
Nel 1905 fu fondato da alcuni studiosi il periodico «Memorie Storiche Cividalesi», bollettino del regio museo storico di Cividale. Il programma della rivista risulta molto
4. UNA NUOVA GENESI: L’EREDITÀ LONGOBARDA
DI CIVIDALE
Il canonico Della Torre si era occupato della Cividale
romana. Ma nella sua attività aveva contemporaneamente
ritrovato molti reperti di età longobarda che egli non era
riuscito a riconoscere come tali. È il caso, ad esempio, della necropoli sita in località Cella.
Nel corso della sua ingente ricerca, volta a ritrovare
Roma in Cividale, fu messa in luce, infatti, questa importante necropoli, sita nella zona nord del nucleo cittadino.
Dagli scavi emersero ossa ed oggetti di corredo, non attribuibili all’età romana, ma che il della Torre non era stato in
grado di datare correttamente all’epoca longobarda. Credeva, invece, che si trattasse di un cimitero di guerra greco,
in cui erano stati deposti i guerrieri morti in seguito ad una
battaglia combattuta contro i Goti. Scrive, infatti in una
lettera indirizzata ai nobili Masotti di aver scavato, dal 26
Novembre al 7 Dicembre 1822 «... in questi campi ove
furono tumulati li defunti Greci che furono spediti nella
battaglia contro i Goti da Giustino e Giustiniano I Imperatori greci tra il 518 e il 553 dell’era cristiana» 44. E ancora
nella Storia degli scavi: «... io opino che venuto da questa
parte l’esercito greco, quivi abbia avuto luogo la battaglia
tra questo e quello dè Goti, e che i prodi guerrieri de greci
qui morti abbiano qui pure avuto la tomba» 45. Si trattava
di sepolture di cui non è stata disegnata alcuna planimetria; anche gli oggetti furono raccolti alla rinfusa, senza
essere suddivisi per tombe. L’unica documentazione dello
scavo consiste nel diario, dal quale non è possibile capire
che relazione ci fosse tra gli individui ritrovati e gli oggetti
ad essi relativi. I longobardi e la loro storia non erano stati
argomento di interesse per il canonico.
Furono, invece, le generazioni successive al Della Torre
che cominciarono a dare spazio al periodo longobardo e ai
racconti di Paolo Diacono; dando così rilievo ad una fase
storica certamente più documentata, a Cividale, rispetto al
periodo romano. L’impulso venne dagli studiosi Richter e
Turck, di area tedesca, alla quale il Friuli era assoggettato;
sono a questo proposito significative alcune loro pubblicazioni relative al periodo altomedievale nella regione, pubblicate intorno agli anni venti dell’Ottocento 46. In uno specifico contributo relativo a Cividale del Friuli, pubblicato a
Vienna nel 1857, l’autore 47 descrive alcuni monumenti ritenuti di età longobarda: il battistero di Callisto, l’altare
del duca Pemnone, la piccola chiesa di Piltrude (in riferimento al tempietto detto “longobardo”), la pace del duca
Orso, la croce nel monastero delle orsoline. Un anno più
tardi fu pubblicata a Cividale la guida della città, dove si
narrò della discesa di Alboino in Friuli, del duca Gisulfo,
dell’invasione avarica e del tradimento di Romilda; si sottolineò la discendenza della nobiltà cividalese dalle casate
longobarde quivi insediatesi; e tra i celebri cividalesi venne
ricordato Paolo Diacono, la cui opera rappresenta «il più
prezioso monumento di quell’età, senza la quale noi saremmo all’oscuro de’ fatti della nazione Longobarda» 48.
Vennero, inoltre, descritte le chiese cividalesi, tra le quali
quella dei SS. Pietro e Biagio, in borgo Brossana, nella quale un’iscrizione ricorderebbe la vittoria del duca Wectari
sugli Slavi 49 avvenuta a Broxas; poi la chiesa di S. Giovanni
in xenodochio 50, in cui nacque lo stesso Paolo Diacono, e
la chiesa di S. Martino in cui furono scoperte alcune sepolture longobarde, di cui però non rimane, oggi, alcuna traccia né reperto.
Indice, forse, di una rivalutazione dell’età longobarda,
da parte dei Cividalesi, nel periodo posteriore al Della Torre, è la storia del tempietto di S. Maria in Valle. Il canonico
si era personalmente interessato al monumento in rovina:
scrisse, infatti, diverse lettere intorno agli anni 1831, rivolte alla comunale Deputazione di Cividale, sottolineandone
l’importanza per la comunità locale, al fine di sollecitare
degli interventi di protezione e conservazione dello stesso.
In questa occasione scrisse che il tempietto sarebbe stato
fondato in età romana e successivamente modificato secondo il gusto longobardo 51. Solo pochi anni più tardi, nel
4
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Michele Della Torre circa il 1821 la grande necropoli barbarica di cui avremo occasione di riparlare» 66.
Da quanto scrisse il Cecchelli sembra che Paolo Diacono non parli di Pavia 67, ma direttamente di Cividale, nel
descrivere l’esistenza di un’area sepolcrale denominata pertica. Forse lo storico pensava che tutte le aree sepolcrali
longobarde dovessero dare origine ad un toponimo di questo tipo, o che a Cividale dovesse per forza esistere un’area
così chiamata perché anche in Pavia ce n’era una. Di fatto,
come si vedrà tra poco, nelle vicinanze di Cividale un’area
denominata pertica è esistita, ma non è Paolo Diacono a
fornircene la notizia.
Negli anni Settanta, il Brozzi, visto che nell’area ad ovest
della città furono ritrovati diversi nuclei di sepolture, ritenne che il toponimo si riferisse a quest’area. Citando il
de Rubeis il Brozzi scrive: «la precisazione di B.M. De Rubeis
è molto importante per poter, oggi, stabilire l’ampiezza di
questa vasta zona, posta fuori del complesso urbano di Cividale e che fu, in epoca longobarda, una delle più importanti necropoli della capitale del ducato» 68. Nello stesso
articolo, più sotto, si legge «... Dalle mura del lato ovest
arriva, quindi, sino a Grupignano per estendersi – nella sua
larghezza – dalla riva destra del fiume Natisone fino all’attuale linea ferroviaria un’area che possiamo calcolare in
circa 100.000 metri quadrati ... esaminando la topografia
e lo sviluppo dei cimiteri longobardi che trovarono il loro
spazio fuori la cinta urbana, abbiamo osservato che quello
posto ad ovest della città, fu costruito dai longobardi stessi
sin dal loro arrivo in Forum Iulii: questo proprio per la
sopravvivenza del toponimo pertica, denominazione che si
è mantenuta nel tempo sino a noi. È molto verosimile che
l’antica chiesa di S. Stefano Protomartire, oggi scomparsa,
– detta, poi in pertica – di probabile fondazione bizantina,
abbia anche assunto la funzione di chiese cimiteriale della
necropoli longobarda. Molti scrittori hanno confermato
l’esistenza di questo cimitero prima ancora che le testimonianze archeologiche lo documentassero» 69. L’articolo si
conclude con la ricostruzione delle fasi di sviluppo del cimitero: da un’area più antica (identificabile con la necropoli Gallo), le deposizioni sarebbero state spostate via via
verso la città 70.
Tre sono gli elementi che devono concorrere affinché
l’ipotesi formulata dal Brozzi sia valida; e cioè la presenza
di sepolture estese in tutta l’area compresa tra borgo S.
Pietro e Grupignano, l’esistenza del toponimo pertica, documentato dalle fonti e riferito al territorio considerato, e
infine le prove che la chiesa di S. Stefano esistesse in età
longobarda.
Scavi archeologici condotti dall’Ottocento in poi, hanno portato alla luce alcuni nuclei di sepolture e deposizioni
isolate nell’area della nostra indagine. Si tratta della necropoli detta di S. Stefano scavata per la prima volta negli
anni Sessanta 71 e successivamente nel 1987-1988 72, che
comprende 43 sepolture, raggruppate in quattro nuclei. In
ognuno di questi le deposizioni sono ordinate in file grossomodo parallele 73. Le datazioni proposte, per le sepolture
contenenti un corredo, sono comprese tra la seconda metà
del VI sec. e la seconda metà del VII 74. Il sito è ubicato sulla
sponda destra del Natisone, nella ex Braida Zimero, fuori
la porta di Borgo S. Pietro, a sud-ovest delle antiche mura
della città. L’area, ora completamente urbanizzata, è occupata dalle scuole elementare e materna e da alcune palazzine. Tali edifici hanno impedito uno scavo sistematico e completo.
Una seconda necropoli, denominata Gallo, è stata messa in luce negli anni 1949-1951 75 ed è situata a sud-ovest
delle antiche mura della città in un’area compresa tra la
statale 54 e via Roma. Ha restituito 17 tombe, disposte
anche in questo caso in file parallele. Come per la necropoli precedente le deposizioni sarebbero avvenute tra la
seconda metà del VI e la fine del VII 76.
Nei pressi della stazione ferroviaria fu ritrovata nel 1886
una sepoltura con corredo datata ai primi decenni del VII
secolo 77. In seguito, nel 1907, furono ritrovate alcune sepolture con corredo, il cui numero resta imprecisato 78. È
esplicito nell’indicare l’orientamento scelto e il periodo storico che maggiormente avrebbe interessato: «Cividale è la
patria di Paolo Diacono, di Paolino d’Aquileia, è la cittadella longobardica dei duchi e dei re, è la sede dei patriarchi. Qui si celebrano i millenari col concorso degli studiosi
del mondo intero; perché di qui pare che meglio si contemplino le oscure età dell’alto medioevo ... più lungo campo lasceremo agli studiosi dell’alto medioevo quando essi,
anche con ricerche d’indole generale, vengano indirettamente ad illustrare i monumenti e le antiche memorie forogiuliesi. Come nel foro di Roma, oggi si vanno raccogliendo, con geniale idea, le memorie gloriose che l’impero
del popolo romano lasciò sparse nel mondo, così in questo
Foro Giulio, che succedette alla potenza di Aquileia e fu la
sede dei nuovi signori, dovrebbe essere raccolto ed amorosamente studiato ogni ricordo di quell’età oscura che vide
lo sfasciarsi della potenza romana e il nascere dei tempi
nuovi, di quell’età che il glorioso diacono cividalese contemplò e descrisse» 60.
Questo orientamento restò ancora vivo nei decenni successivi, quando si iniziò a paragonare Cividale non più a
Roma, come aveva fatto il della Torre, ma a Pavia, capitale
Longobarda e città più grande del regno; fonti scritte e dati
archeologici furono, così, messi in relazione fra di loro al
fine di dimostrare questa corrispondenza.
5. CIVIDALE E PAVIA: DUE CAPITALI
Vale la pena di illustrare, in modo particolareggiato, la
forza del metodo analogico analizzando un caso concreto
di data recente. Paolo Diacono testimonia, nella Historia
61
, l’esistenza fuori dalle mura di Pavia di una chiesa chiamata Ad Perticas, perché in quel luogo esistevano delle pertiche, pali in legno con una colomba scolpita sulla sommità, che avevano lo scopo di commemorare i familiari morti
in luoghi lontani. Similmente a Cividale sarebbe esistita, in
una zona definita ad Perticas, una vastissima necropoli sita
a ovest di Cividale, nella zona di borgo S. Pietro, fuori dalle mura antiche, estesa fino a Grupignano e orbitante intorno alla chiesa di S. Stefano, probabilmente ubicata tra
borgo S. Pietro e la sponda sinistra del Natisone e demolita
nel 1772. Questa ipotesi fu formulata negli anni settanta
del Novecento, ma il suo ideatore prendeva spunto da alcuni eruditi friulani a lui antecedenti.
Fu il De Rubeis, nel 1757, il primo a mettere in relazione il toponimo pertica con la chiesa di S. Stefano, in un
libercolo dedicato alla vita della santa Benvenuta Bojani.
Racconta il De Rubeis che il capostipite della famiglia Bojani
era chiamato Corrado di Pertica e che «da molte antiche
scritture raccogliesi che col nome di pertica chiamavasi allora una parte del sobborgo di S. Pietro, la quale fuori del
medesimo si estendeva fin presso la villa di Grupignano» 62.
E ancora: «Veggonsi tutt’ora le tracce di una chiesa situata
nella parte dove avevano il loro domicilio i Bojani, la quale
apparteneva all’antica ed insigne prepositura di S. Stefano
di cui si fa menzione in un antico documento dell’anno
1015 che viene riportato per intero dal De Rubeis 63 nei
suoi monumenti d’Aquileia dal che è facile congetturare
che appunto nel vicino cimitero si seppellissero i nobili longobardi e che dalla pertica che piantavasi sulla loro sepoltura, prendesse quel luogo adiacente il nome di Pertica» 64.
Il De Rubeis intendeva, pertanto, sottolineare come il luogo di origine della famiglia Bojani fosse nobilitato dalla
presenza di una chiesa molto antica e da un’area cimiteriale in cui erano stati sepolti i nobili longobardi.
Un secolo più tardi, il Cecchelli travisando il senso della
Historia Langobardorum, sostenne che «... appresso all’ospizio nazionale fondato da Rodoaldo 65 vi fu il luogo dell’ultima dimora che Paolo ci dice aver avuto nome Pertica». E
ancora: «Uno dei cimiteri longobardi attorno a Cividale
potè essere nella località ad Ovest, ancor oggi detta Pertica, benché non abbia dato – mi avverte il Leicht – materiale di scavo che confermi tale ipotesi. Ma un cimitero fu
certamente nel lato in cui parlo, giacché presso il rivo Emiliano, fuori porta S. Giovanni, fu rinvenuta da monsignor
5
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nord-ovest della cittadina) 92. Da questi documenti sembra
che il nome pertica sia in riferimento ad un’area che ancora nel XIII secolo risultava indipendente da borgo S. Pietro
e da Grupignano. Se così non fosse stato, credo che si sarebbe sottolineata la correlazione tra questi luoghi. Sempre dai documenti della famiglia Boiani è ricavabile un altro indizio; il nipote di Corrado de Pertica si chiamava
Corrado detto Boiano e in due documenti, uno del 1292
ed uno del 1315, viene definito «domini Boyani de burgo
Sancti Petri Civitatis» 93 e «domini Boyanni de Civitate» 94.
È chiaro dunque che se il nipote residente in borgo S. Pietro viene definito cittadino, il nonno soprannominato de
Pertica non era né cittadino né proveniente da una zona
identificabile con borgo S. Pietro. Anche questo esempio
pare suggerire che la zona denominata pertica fosse un’area
esterna alla città, forse posta ad ovest di questa, dove la
famiglia Boiani aveva la maggior parte dei suoi beni, ma
non comunque identificabile con Borgo S. Pietro né con
Grupignano.
Per quanto concerne i dati relativi alla chiesa di S. Stefano, il più antico documento relativo ad essa risale al 1015
e riguarda la concessione, ai canonici di S. Stefano, da parte del patriarca di Aquileia Giovanni IV, della decania di
Lauco e Fusea, del monte “Onuf ” in Carnia, della decima
della villa di Pergola, di una masseria in Osoppo, una in
Gemona, una in Artegna, inoltre di quattro campi in S.
Daniele, della decima della pieve di Valanza e di quella di
Borgo di Ponte e di S. Pietro e della decima di tutte le case
che appartenevano alla corte del patriarca sita in Cividale,
infine della villa di Premariacco con terre, vigne, decime,
pensioni ed ogni cosa che i precedenti patriarchi avevano
donato a quel capitolo 95. Da questo documento si ricava
che la chiesa di S. Stefano era stata fondata in un epoca
non precisata, anteriore al 1015; lo Sturolo, dal canto suo,
ne testimonia la demolizione avvenuta nel 1772 96. Essa
quindi era collocata in Borgo S. Pietro, non lontano dal
luogo in cui fu ritrovata la necropoli chiamata appunto di
S. Stefano. Risulta, invece, del tutto privo di documentazione il fatto che la chiesa esistesse in età longobarda e che
le sepolture fossero ad essa relative.
Anche a proposito della relazione tra la chiesa e il toponimo pertica non pare possibile scorgere alcun dato. Nel
documento del 1015 si parla infatti di «omnibus Sancti
Stephani canonicis abitantibus in Civitate Forojulii» e ancora di «Canonicae S. Stephani et omnibus futuris
Prepositis»: non c’è nessun riferimento ad un luogo definito pertica, così che risulta difficile supporre una qualche
relazione tra il toponimo e la chiesa.
In conclusione appare del tutto priva di fondamento
l’idea che esistesse una vasta necropoli estesa da borgo S.
Pietro a Grupignano, orbitante attorno alla chiesa di S. Stefano e alla quale era associato il toponimo pertica.
Un altro esempio di fittizia analogia con Pavia riguarda
l’urbanistica della cittadina friulana in età longobarda. Anche in questo caso, gli scarsi dati documentari e archeologici sono stati interpretati al fine di creare un’immagine
chiara e completa della città.
In un loro studio, dal titolo Contributo allo studio topografico di Cividale in età Longobarda, Mario Brozzi e
Amelio Tagliaferri 97 hanno individuato un’area interna alle
mura e sita a sud-est, in cui sarebbero sorti i principali edifici pubblici/sacri e profani fondati durante l’occupazione
longobarda; questi sarebbero: il tempietto detto longobardo, gravitante intorno ad un monastero di monache benedettine, il palazzo di residenza del gastaldo regio, il palazzo
ducale, il palazzo patriarcale e infine, uno xenodochio dedicato a S. Giovanni. In tal modo sarebbe stato individuato
un quartiere ben distinto, all’interno della città, di nuove
fondazioni longobarde; «si veniva così a creare in Forogiulio
un agglomerato etnicamente distinto dalla rimanente popolazione latino-bizantina, divisione del resto non nuova
nelle cittadinanze medioevali» 98.
Anche nel caso di Pavia, infatti, si era ipotizzato che l’area
nord-est della città avesse rappresentato il nucleo dello stanziamento delle fare longobarde 99, supponendo, così, l’esistenza di un persistente acquarteramento separato dei lon-
stato possibile datare un vaso in vetro frammentario agli
inizi del VII secolo 79. Nel 1826, a Grupignano, fu ritrovata
una sepoltura contenente alcuni oggetti di artigiano 80, la
datazione proposta risale al 600 d.C. 81. Altre sepolture furono ritrovate a sud-est della stazione ferroviaria, nel cortile del ricreatorio di Borgo S. Pietro, nel 1948 82 e in Piazza
XX Settembre, nel 1972 83. La mancanza di corredo e di un
contesto stratigrafico non ne consentono la datazione.
La distribuzione delle sepolture nel territorio risulta
quindi multiforme: un nucleo singolo (come nel caso della
necropoli Gallo), nuclei attigui (S. Stefano) e probabili sepolture isolate (stazione ferroviaria e Grupignano). Questa
situazione, che si ripete anche nelle altre zone circostanti la
città, potrebbe indicare come non ci sia stata una tendenza
unica nella scelta delle aree sepolcrali. Potrebbero aver influito le esigenze e le possibilità economiche delle famiglie
dei defunti o anche motivi di ordine pratico: mentre le aree
più fertili sarebbero state utilizzate per la coltivazione, soltanto le zone più aride sarebbero state riservate alla deposizione dei defunti 84.
Non credo si possa supporre, allo stato attuale delle ricerche, che l’area ad ovest della città fosse interamente occupata da sepolture. Senza contare, inoltre che si verrebbe
a supporre l’esistenza di una necropoli dalle dimensioni
assolutamente spropositate rispetto a quelle della città alto
medievale. Le testimonianze archeologiche non costituiscono, dunque, un dato probante per la ipotesi formulata dal
Brozzi.
Vediamo ora quali informazioni si possono ricavare della fonti a proposito del toponimo pertica.
Questo compare, per la prima volta, in una charta
donacionis dell’805, conservata, in originale, all’archivio
di stato di Venezia 85, redatta da un diacono di nome Pietro
ed indirizzata al convento di Sesto in Silvis, dove vengono
elencate alcune proprietà site nei pressi di Cividale del Friuli
ed entro la città. Nel documento i beni sono raggruppati in
tre nuclei definiti in base alla posizione rispetto alla città;
si tratta di beni in «comitatu Foroiulii», «infra Civitatem» e
«prope Civitate». Dalla prima definizione si ricava che le
proprietà si trovavano in Friuli in un punto non meglio
precisato, dal momento che non ci sono, come negli altri
due casi, riferimenti che le pongano in diretta relazione
con la città di Cividale. È in questo primo nucleo che rientrano i beni dell’area pertica, case, corti e vigne che il diacono intende donare. Si dice infatti: «... ego Petrus diaconus
ante hos annos feci cartam offersionis de omnibus rebus
meis quas habere visus sum in comitatu Foroiulii. Id sunt
casis, curtis, vineis in vico qui dicitur Leproso et in pertica,
sicut vias et lateras et capita cernuntur in integrum» 86. Dal
momento che tutt’oggi il villaggio di Leproso è situato a 67 Km a sud di Cividale, tra Ipplis, Premariacco e Orsaria 87,
si può legittimamente supporre che anche l’area pertica si
trovasse da quelle parti. Anche se non è possibile stabilire
con precisione dove tale luogo fosse ubicato, sembra trattarsi dunque di un’area posta nelle vicinanze della città, ma
non in stretta relazione con essa, né «prope Civitatem», né
«infra Civitate».
Il Brozzi, a dimostrazione della sua tesi, porta come prova
il documento in cui «il 27 febbraio 1091 il diacono Bertoldo
compera alcune terre da Gerardo prope Civitatem ad locum
qui dicitur in perticas» 88. Nella pergamena originale 89 si
legge, invece, che le terre si trovavano: «... in comitatu
Foroiulii in loco ... infra pertinentia civitati Austriae ... ad
locum ubi dicitur in perticas ...». Tale documento sembrerebbe confermare quanto si ricava dalla charta donacionis
dell’805. La zona pertica risulta essere posta al massimo
nel territorio circostante o pertinente a Cividale ma non è
adiacente alla città, come invece è stato sostenuto.
Il termine pertica compare di nuovo intorno al 1200,
era il luogo di provenienza del bisnonno della santa cividalese Benvenuta Boiani, chiamato Corrado de Pertica 90. Dai
documenti della famiglia discendente da Corrado risulta
che questa avesse dei possedimenti in «Muymaco», «Grupignano», «Premariaco», «Bultinico», «in burgo Sancti Petri»,
aree queste poste ad ovest di Cividale, e inoltre in «Braçano»,
91
in «Pertica» e in «Rubignacho» (quest’ultimo situato a
6
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gobardi dal resto della popolazione pavese 100. Comunque,
come è stato giustamente osservato 101, se è stato possibile
identificare un’area di prevalente occupazione longobarda, questo non deve far pensare a delle barriere invalicabili
tra i nuovi venuti e la comunità di autoctoni: inoltre, il
processo di fusione iniziò molto probabilmente pochi decenni dopo la conquista 102.
Per quanto riguarda Cividale, in realtà, le testimonianze
sia documentarie che archeologiche risultano non prive di
problemi. Se per quanto riguarda il tempietto e le sue adiacenze non si è ancora raggiunto un accordo tra gli storici
dell’arte, gli archeologi e gli storici, a proposito del periodo di edificazione, delle sue funzioni, e della relazione con
altre strutture ad esso attigue 103, rimane da verificare l’esistenza degli altri edifici sopra elencati.
In una notizia di mano del XVIII secolo 104 si parla della
donazione, da parte dell’imperatore Berengario, della corte detta Gastaldagna al monastero di S. Maria in Valle.
Questa è l’unica testimonianza relativa all’esistenza, nella
zona detta Valle, della cosiddetta Gastaldaga, ossia la residenza del Gastaldo regio. E, nonostante la datazione così
recente del documento, si afferma: «Dobbiamo quindi ritenere che gli edifici, costituenti il complesso della
Gastaldaga, sorgessero sull’attuale area occupata dal monastero maggiore, prospiciente all’attuale via omonima ...»
105
.
Secondo il Brozzi e il Tagliaferri la presenza, entro la
città, del palazzo ducale sarebbe testimoniata da Paolo Diacono; egli, infatti, scrive: «Siquidem, ut superius
praemiseramus, Grasulfo Foroiulianorum duce defuncto,
sucessor ei in ducatu Ago datus, de cuius nomine usque hodie
domus quaedam intra Foroiuli constituta domus Agonis
apellatur» 106. Nel passo citato, però, viene utilizzato il termine casa, lasciando aperto il dubbio se si trattasse del palazzo oppure no. Si è anche voluta ritrovare la posizione
precisa dell’edificio; questa sarebbe testimoniata dal toponimo «in corte», relativo alla chiesa di S. Maria, sita nell’area ad est della città. Infatti, il termine «corte» deriverebbe da curia ducis, la chiesa, quindi, sarebbe stata la cappella palatina adiacente alla quale avrebbe dovuto trovarsi
il palazzo ducale 107. Il primo documento relativo alla chiesa di S. Maria risale al 1122; qui si parla della concessione,
da parte del patriarca Gerardo, del diritto arcidiaconale al
capitolo di Cividale. L’originale del documento, che dovrebbe essere conservato nell’archivio del museo di Cividale, risulta disperso 108, mentre una copia settecentesca riporta i nomi di due chiese cividalesi: S. Maria e S. Stefano,
ma senza alcun riferimento al toponimo “corte” 109.
Similmente fu trovata una precisa posizione anche per il
palazzo patriarcale, la cui presenza nella città è confermata
da Paolo Diacono 110. In Piazza Duomo, in corrispondenza
dell’attuale palazzo pretorio, furono scoperti da Michele
della Torre 111 alcuni ambienti che, secondo il Brozzi e il
Tagliaferri, sono databili all’età alto medievale e identificabili con il palazzo patriarcale fatto costruire dal patriarca
Callisto. Le prove però, anche in questo caso non sembrano schiaccianti. Si deduce, infatti, l’esistenza dell’edificio
invocando «il ricordo di una processione che andava a prendere il Patriarca, per accompagnarlo nella chiesa di S. Maria Assunta, proprio sul lato dei nostri ritrovamenti archeologici» 112, testimonianza sul cui valore non vale la pena di
soffermarsi oltre.
Infine la fondazione, da parte del duca Rodoaldo, di
uno xenodochio denominato a S. Giovanni sarebbe attestata da un documento emanato da Carlo Magno nel 792.
Si tratta della conferma di beni alla chiesa di Aquileia, tra i
quali compare lo «xenodochium, quod dux Roduald
edificavit in Foroiuli vocabulo sancti Ioannis» 113. Dal momento, però che tale documento risulta interpolato in epoca più tarda, proprio nella parte che comprende il passo
citato da Brozzi, il problema della data di fondazione dello
xenodochio rimane irrisolto.
Da un esame approfondito emerge come la supposizione dell’esistenza di un quartiere longobardo nella zona di
sud-est a Cividale abbia ben poco fondamento; il metodo
di indagine adottato da Brozzi parte già dal presupposto
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che tale area esistesse senz’altro, come si era ipotizzato per
Pavia. E la tenacia nel ribadirla non esita a considerare come
prove documentarie atti inesistenti o interpolati, citazioni
scorrette e analogie fantasiose. Il paragone tra Cividale e
Pavia, nato da un’esigenza ottocentesca di legittimazione,
perde, oltre alla sua motivazione originaria, qualsiasi dignità scientifica.
6. CONCLUSIONI
Con questo lavoro si sono volute ripercorrere alcune
tappe fondamentali degli studi storici e archeologici cividalesi nell’Ottocento e nel Novecento; ne è emersa una
situazione del tutto particolare, in cui la forte identificazione nei confronti del passato longobardo ha influito notevolmente sulla ricerca, sul metodo utilizzato, nonché sui
risultati della ricerca stessa. Nel secolo XVII, infatti, l’indagine storica era stata condizionata da una evidente rivalità tra le città di Udine e di Cividale, antico contrasto politico e giuridico che si manifestava in seguito come contrasto culturale, attraverso la ricerca di testimonianze che
attestassero la maggiore antichità e dunque rilevanza istituzionale dell’uno o dell’altro centro. Estremamente significativa è la pretesa, da parte di entrambe le città di essere
state l’antico Forogiulio; quando Cividale potè rivendicare
per sé questa identità ponendo fine alla questione, Udine le
oppose una prevalenza “patriarcale”, proclamandosi erede
di Aquileia.
La falsificazione dell’iscrizione incisa sul sarcofago di
piazza Paolo Diacono, fatta scolpire dallo stesso sindaco,
risulta emblematica delle attese e delle aspettative nei confronti dei longobardi da parte delle élite cittadine. Anche
in seguito, non fu mai abbandonato dai cividalesi il desiderio di far rivivere l’epoca dei nobili e valorosi longobardi,
in cui la loro città era capitale del ducato. Passato il momento delle più esplicite rivendicazioni di campanile, alla
storiografia di Cividale rimaneva, così, tutto uno stratificato patrimonio di ipotesi, supposizioni, ricostruzioni del passato longobardo della città e dei suoi abitanti, con il quale
essa non sempre è riuscita a fare i conti in modo corretto.
NOTE
* Questo lavoro è tratto dalla mia tesi di laurea in Lettere con indirizzo archeologico, presso l’università degli studi di Venezia, sotto la
guida dei professori Stefano Gasparri e Cristina La Rocca. Ringrazio C.
La Rocca e S. Gasparri per aver seguito la ricerca con attenzione e disponibilità, e per i loro consigli.
1
Archeologia, «Gazzetta di Venezia», 1 Giugno 1874, pp. 1-2, l’articolo non risulta firmato. La documentazione relativa allo scavo è conservata nell’Archivio del Museo archeologico nazionale di Cividale del
Friuli, cartella AM-I-26, Relazione di scavo della piazza Paolo Diacono,
1874.
2
Gli oggetti e il sarcofago sono ora visibili al Museo archeologico di
Cividale. Si veda, anche, A. TAGLIAFERRI, Il ducato di Forum Iulii, in
G.C. MENIS (a cura di) I Longobardi, Milano 1990, pp. 358-475.
3
Si veda, L. ARCHINTI, La tomba di Gisulfo, «Illustrazione Universale», 1 Novembre 1874, pp. 13-16.
4
Gisulfo primo duca longobardo in Friuli (568-612). Cenni sulla
recente scoperta della tomba con notizie ed episodi storici, per I Fagnani,
Cividale 1874, p. 5; non è, in alcun punto, specificato chi sia l’autore di
questo opuscoletto.
5
A. ARBOIT, La tomba di Gisulfo e il Dr. P.A. De Bizzarro, 1874, p.
12.
6
Si veda l’articolo di L. ARCHINTI, La tomba di Gisulfo, pubblicato
sull’Illustrazione Universale del 1 Novembre 1874, pp. 13-16.
7
Si fa notare che negli articoli e opuscoli pubblicati Romilda viene
ritenuta la moglie del primo duca Gisulfo, e non di Gisulfo II, come
invece era.
8
Si veda: A. ARBOIT, Cose cividalesi, «Giornale di Udine», 16 Giugno 1874, pp. 1-2; si vedano ancora L. A RCHINTI, La tomba di Gisulfo,
«Illustrazione Universale, rivista italiana», 1 Novembre 1874;
l’opuscoletto dal titolo: Gisolfo primo duca longobardo in Friuli, cit.
Del perdurare della fama di Gisulfo e della sua storia, anche a livello
della narrativa popolare, è prova un articolo comparso il 4 Gennaio del
1940 sul quotidiano «Il Popolo del Friuli», sottotitolato: col Duce e per
il Duce, anno di fondazione (Giornale di Udine) 1866; l’articolo di A.
RIEPPI, intitolato, Gisulfo e la sua tomba, racconta la storia del primo
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duca longobardo che fu posto a capo di Cividale. Questi viene presentato come indiscutibile eroe, si dice infatti: «Egli ricevette una buona scorta
di soldati e cavalli di sceltissima razza ... Sembra inoltre che da qui
origini la più antica nobiltà friulana ... Con l’aiuto dei suoi militi e con
quello degli uomini qui raccolti Gisulfo potè servire fedelmente il suo
Sovrano sino alla morte ... mentre Gisulfo cadeva come eroe sul campo
...».
9
A. ARBOIT, Cose cividalesi, cit., p. 1.
10
A. ARBOIT, I longobardi e la tomba di Gisulfo, Udine 1874, p. 37.
11
Queste osservazioni sono pubblicate in P. DE BIZZARRO, I longobardi e la tomba di Gisulfo del Prof. Arboit, Udine 1874. In un articolo,
scritto da C. BAFFANI, Ancora sul sarcofago di Cividale, comparso sul
«Giornale di Udine» del 12 giugno, 1874, p. 2, il dubbio che l’iscrizione
sia falsa viene risolto con le seguenti parole: «... in sulle prime appare di
data recente: inoltre qualche striscia di matita oscura, fatta entro a qualche altra, le deturpa alla prima visione. Ma la rotondità degli orli rimasta inalterata su tutte le lettere, e l’essere l’incavo di alcune, specialmente nelle ultime, ancora fornito del cemento, che rivestiva coll’addossata
muratura tutto l’avello, levano ogni tema di una apocrifa iscrizione.»
12
A. ARBOIT , La tomba di Gisulfo e il D.P.A. De Bizzarro, Udine
1874, p. 21
13
Ibid.
14
Ibid.
15
Si veda OCCIONI BONAFONS, Bibliografia storica friulana 1861-1882,
Udine 1883.
16
A. RIEPPI, Gisulfo e la sua tomba, «Il Popolo del Friuli,», 4 gennaio
1940.
17
L. BRONT, Una testimonianza secca, «Quaderni Cividalesi», n. 3
(1974), pp. 22-23.
18
Ibid.
19
Ibid.
20
L. BRONT, Gisulfo. Piccola storia di una polemica non ancora esaurita, «Quaderni Cividalesi», n. 3 (1974), pp. 7-23.
21
Il resoconto di questa indagine paleografica è riportato in L. BRONT,
Gisulfo. Piccola storia di una polemica non ancora esaurita, cit., pp. 723. Condividono l’idea che si tratti di un falso A. TAGLIAFERRI, Il ducato
di Forum Iulii, in G.C. MENIS (a cura di), I longobardi, Milano 1990,
pp. 470-475 e L. BOSIO, Cividale del Friuli, la storia, Udine 1977 p. 66.
Il Cecchelli, che non ritiene si tratti di un falso, sostiene che l’iscrizione
non sia riferita al duca Gisulfo, quanto piuttosto «che la parola rappresenti una indicazione qualunque apposta dallo scalpellino o da altri,
indicazione che potrebbe avere un valore nullo». In C. C ECCHELLI, I
monumenti del Friuli, Milano 1943 pp. 185-187. Un diverso esempio
di falsa iscrizione è presentato in: M. ANGELINI, L’invenzione epigrafica
delle origini famigliari (Levate Ligure, secolo XVIII), «Quaderni Storici»
93, a. XXXI, n. 3, dicembre 1996, pp. 653-682. Per una trattazione più
generica del problema cfr. A. GRAFONI, Falsari e critici. Creatività e finzione nella tradizione letteraria occidentale, Torino 1990; C. WICKHAM,
Social Memory, Oxford 1992; The Invention of Tradition, a cura di E.J.
Hobsbawn e T. Ranger, Cambridge 1983 (trad. it. L’invenzione della
tradizione, Torino 1987).
22
Si veda, per un confronto con la situazione italiana, e in particolar
modo con il caso di Verona, in cui operava Carlo Cipolla, C. LA ROCCA,
Uno specialismo mancato. Esordi e fallimento dell’archeologia medievale italiana alla fine dell’Ottocento, «Archeologia Medievale», XX (1993),
pp. 13-41. Gli studi ottocenteschi relativi al periodo longobardo a Vicenza sono illustrati in A. SETTIA, Vicenza di fronte ai Longobardi e ai
Franchi, «Storia di Vicenza» vol. II, Vicenza 1988, pp. 1-20.
23
Non esiste alcuno studio relativo alla storiografia friulana di età
moderna, i dati, quindi, relativi a Udine, da me raccolti risultano incompleti, ma li ritengo tuttavia significativi allo scopo di focalizzare gli
orientamenti storiografici cividalesi.
24
Si veda Historia Langobardorum, II 14. L’opinione che Udine fosse stata un tempo l’antico Forum Iulii è, ad esempio, espressa in G.
CAPADOGLI, Udine Illustrata, Parte prima, Udine 1665, pp. 12-15. La
disputa seicentesca tra le due città viene descritta e definitivamente risolta a favore del cividalesi un secolo più tardi, in G.G. LIRUTI, Notizie
delle cose del Friuli, Udine 1776, pp. 208-235.
25
Cornelio Gallo nacque nel 69 a.C. nella Gallia narbonense, a Forum
Iulii, l’attuale Frejus; ritenuta invece “Forogiulio” dagli storici friulani;
si veda, infatti, G.G. LIRUTI, Notizie delle cose del Friuli, Udine 1776,
pp. 232-235.
26
G.G. LIRUTI, Notizie delle cose del friuli, Udine 1770, p. 216. È
interessante, a proposito della creazione di epigrafi false e del valore
storico ad esse attribuito, il lavoro di C. La Rocca, su Pacifico da Verona; significativo il caso del monaco Onofrio Panvinio, il quale, nel XVI
secolo, nel ricostruire la vita di Pacifico, non esitò a trascrivere una
cospicua appendice di iscrizioni che «conteneva in molti casi passi di
autori classici riprodotti in forma epigrafica»: si veda C. LA ROCCA, Le
molte vite di Pacifico di Verona, arcidiacono carolingio, «Quaderni Storici», n. 93 (1996), p. 530.
27
Scrive a questo proposito il Leicht: «Cividale fu quant’altra mai
varia di vicende e la di lei storia, ancora intatta, sarebbe interessante per
numerosi mutamenti. Detta successivamente Carnica Romana Longo-
NON RIPRODUCIBILE PER SCOPI COMMERCIALI
barda Franca Patriarcale e Veneta, assorbì per alcun tempo la vita politica di tutto il Friuli; e decadde quando, la preponderanza aristocratica
fece prevalere la rivale Udine ...» in: P. LEICHT, Studi e documenti relativi al Friuli, «Rivista Friulana», 18 agosto 1861, p. 1.
28
A. CREMONESI, L’epoca patriarcale (1077-1420), «Enciclopedia
monografica del Friuli Venezia Giulia», vol. 3, parte prima, Udine 1978,
pp. 137-178.
29
Un riesame delle diverse ipotesi sulle origini di Udine e la supposizione dell’origine romana della città, fondata in età augustea, sono
espresse, nel 1700, da Paolo Fistulario, alcuni scritti del quale vennero
pubblicati intorno alla metà del ’800. Si veda P. FISTULARIO, Intorno alla
origine della città di Udine, «Monografie friulane», Udine 1847, pp. 330. In questo scritto si dice che Udine doveva essere stata fondata in
un’epoca anteriore al X secolo, dato che, quando Ottone II donò, nel
983, il castello di Udine al patriarca Rodoaldo, la cittadina risultava già
discretamente estesa. Inoltre, Udine sorge su un colle artificiale, secondo il Fistulario (per un maggiore approfondimento sulle probabili origini moreniche del colle di Udine, cfr. B. MARTINIS, Geologia generale e
geo morfologia, «Enciclopedia monografica del Friuli Venezia Giulia»,
vol. I parte prima, Udine 1971, pp. 85-171), che potrebbe essere stato
costruito soltanto dai romani, unico popolo capace di una tale opera; e
ancora Augusto, «prossima essendo a scoppiare la famosa guerra della
Germania e della vicina Pannonia», fece costruire la fortezza di Udine,
e, sostiene il Fistulario, se Paolo Diacono non ne parla, quando elenca
le fortezze Friulane preesistenti all’occupazione longobarda, è per sua
negligenza dal momento che ha tralasciato di nominarne altre che sicuramente esistevano in età romana. Si vedano, anche, gli scritti di Paolo
Fistulario comparsi, in prima pagina, sulla Rivista Friulana del 24 febbraio, 10 marzo, 17 marzo del 1861.
30
N. MADRISIO, Apologia per l’antico stato e condizione della famosa
Aquileia, Udine 1721, p. 128. Il Madrisio, con questo scritto intende
dimostrare come Aquileia fosse stata importante metropoli della provincia romana della Venezia, contro quanto sostenuto da Scipione Maffei,
con lo scopo di tessere gli elogi della stessa Udine che aveva ereditato la
grandezza di Aquileia.
31
J. VALVASONE DI MANIAGO, Della Città di Udine, «Monografie friulane», Udine 1847, pp. 37-43; qui si dice infatti che: «... questi patriarchi, con matura considerazione procurarono con tanti mezzi la grandezza d’Udine: perciocché la natura istessa in ogni genere di cosa creata
ricerca e vuole un capo, ad ogni provinci vi fa bisogno di un città principale alla quale, come a madre di tutto il paese, si ricorra per apparar
virtù, prender creanza, pigliar ordini, leggi e robe pertinenti al viver
umano, e non essendo più la ricca e grande città d’Aquileia, era cosa
necessaria d’aggrandir un’altra; per il che il giudizio cadde sopra di
questa per esser situata nell’umbelico della patria, in un piano allegro,
spazioso e comodo a tutti i popoli circonvicini, ed acciocché il Signore
di lei standovi sopra il suo bellissimo colle, e mirando spesse volte col
paese d’ogni intorno, s’eccitasse di continuo alla conservazione di essa e
di tutta la regione».
32
N. MADRISIO, Apologia per l’antico stato e condizione della famosa
Aquleia, Udine 1721, pp. 128-129.
33
Si veda, L. D’ORLANDI, I.R. Museo Forogiuliese in Cividal del Friuli, osservazioni sull’antico Forogiulio in relazione alle due lapidi marmoree scoperte in Cividal del Friuli nel 1843, Cividale 1853; e L.
D’ORLANDI, Discorsi funebri in elogio di tre benemeriti cittadini di Cividal
del Friuli, Udine 1853.
34
Tutti i manoscritti e le tavole dei disegni sono conservati nell’Archivio del Museo archeologico nazionale di Cividale del Friuli, Fondo
Della Torre. Parte del Giornale dei lavori degli anni 1821-1822 e della
Storia degli scavi sono stati pubblicati in M. BROZZI, Il sepolcreto longobardo “Cella”: un importante scoperta archeologica di Michele della
Torre alla luce dei suoi manoscritti, «Forum Iulii», I (1977) pp. 21-56 e
in M. BROZZI, Michele Della Torre e la sua storia degli scavi (18171826), «Memorie storiche forogiuliesi», LXII (1982) pp. 87-115. Si tenga
conto però che le pubblicazioni non mirano ad essere una edizione fedele dell’opera del Della Torre. Il Brozzi, infatti, trascrive a suo giudizio
quelle parti del testo che a lui paiono più significative per la comprensione della situazione archeologica di Cividale.
35
L. D’ORLANDI, Discorsi funebri in elogio di tre benemeriti cittadini
di Cividal del Friuli, cit., p. 12-13.
36
M. DELLA TORRE, Storia degli Scavi, Prospetto storico I, cap. II;
Archivio del Museo archeologico nazionale di Cividale del Friuli, Fondo Della Torre.
37
Si tratta di una località sita nei pressi di Cividale.
38
M. DELLA TORRE, Storia degli scavi, Prospetto storico VIII, cap.
XV, Archivio del Museo archeologico nazionale di Cividale, Fondo Della Torre. Si vedano, inoltre, le tavole dove compare una rappresentazione grafica delle analogie tra Roma e Cividale.
39
M. DELLA TORRE, Storia degli scavi, Prospetto storico V, cap. III e
IV, Archivio del Museo archeologico nazionale di Cividale, Fondo Della
Torre.
40
L. D’ORLANDI, Discorsi funebri in elogio di tre benemeriti cittadini
di Cividal del Friuli, cit., p. 10.
41
M. DELLA TORRE, Storia degli scavi, Prospetto storico VIII, cap
XV, Archivio del Museo archeologico nazionale di Cividale, Fondo Della
8
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Torre.
42
Si veda l’elogio intessuto dal D’Orlandi in memoria del Della Torre e dei suoi meriti, tra i quali, appunto quello di aver fondato il museo,
in L. D’ORLANDI, Discorsi funebri in elogio di tre benemeriti cittadini di
Cividal del Friuli, cit., pp. 5-21. Anche in Guida di Cividale, Udine
1858, si trova un capitolo dedicato al regio museo di Cividale e al suo
fondatore. Un’altra testimonianza significativa è fornita dal breve poema in versi, S. PACIANI, Il museo di Cividale, Udine 1833, dove il “poeta” immagina di illustrare alla giovane sposa del figlio gli oggetti raccolti e custoditi nel museo di Cividale.
43
J. PIRONA, Pei monumenti storici del Friuli, discorso tenuto nell’accademia di Udine, Udine 1832. Il tema della valorizzazione della storia
patria attraverso l’istituzione di un museo, viene ripreso da Pirona l’anno sucessivo, sempre in un discorso tenuto di fronte agli accademici
udinesi, si veda: J. PIRONA, Pei monumenti storici del Friuli, Discorso II
tenuto nell’accademia di Udine, Udine 1833.
44
La lettera, datata al 10 settembre 1822, è conservata nell’Archivio
del Museo archeologico nazionale di Cividale, Fondo Della Torre, nella
cartella XVII.
45
M. DELLA TORRE, Storia degli Scavi, volume VI, Prospetto storico
V, cap. XLIX, Archivio del Museo archeologico nazionale di Cividale,
Fondo Della Torre.
46
Per un quadro generale si veda VALENTINELLI, Bibliografia del Friuli, Udine 1861; per un maggiore approfondimento si veda: F.I. RICHTER,
Forschungen zur Geschichte und Geographie Krains, Istriens und Friauls
in Mittelalter, «Hormayr’s Archiv», n. 27 (1822), F.I. RICHTER, Friaul
unter longobardischer Herrschaft, «Hormayr’s Archiv», n. 2 (1825); C.
TURK, Die Langobarden und ihr Volksrecht bis zum Jahre 774, Rostock
1853; una prima edizione, in italiano, della Historia langobardorum,
pubblicata a Udine risale al 1827: Q. V IVIANI , Storia dei fatti
de’Longobardi di Paolo Diacono del Friuli, Udine 1827.
47
R. E ITELBERGER VON E DELBERG , Cividale in Friaul und seine
Monumente, Wien 1857.
48
Guida di Cividale, Udine 1858, pp. 134-136.
49
Guida di Cividale, Udine 1858 p. 74. L’iscrizione porta la data del
1564, secondo il Grion fu infissa verso la metà del ’700, si veda G.
GRION, Guida storica di Cividale e del suo distretto, Cividale 1899, pp.
381-389.
50
Il primo documento che menziona questa chiesa risale al 792 e
riguarda la conferma di beni alla chiesa di Aquileia, il documento, però
risulta interpolato, si veda: M.G.H. Diplomata Karolinorum, I, a cura
di E. MUHLBACHER, München 1979, n. 175 pp. 234-236, per un commento su tale documento si confronti P. CAMMAROSANO, Il Medioevo, in
Storia della società friulana, a cura di P. Cammarosano, F. De Vitt, D.
De Grassi, Udine 1988, p. 52.
51
Nella lettera, datata al 14 gennaio 1832, conservata nell’Archivio
del Museo archeologico nazionale di Cividale, cartella AM-I-24, il Della Torre scrive: «Egli è indubitato che i governi sogliono impiegare non
lievi somme di denaro in acquisti di oggetti archeologici onde arricchire
i propri gabinetti o di qualche statua o di qualche pezzo architettonico
o di qualunque altro frammento di tempi antichi ... Si aggiunga che qui
non si tratta di un pezzo architettonico solo, non d’una statua, non
d’una colonna, non d’una pittura, ma si bene di un intero tempietto di
originale costruzione romana, indi ridotto al gusto longobardo. Scorgesi
in esso ancora l’originalità architettonica: ancora esistono di romano i
muri, le colonne, un’iscrizione ecc. Che formavano il tempio al tempo
dé romani, ed infatti con gli scavi praticati in Cividale per sovrana risoluzione nel 1817 si trovò la continuazione del fabbricato romano, itaque
pavimenti, frammenti architettonici, che si univano al tempio, ed una
bella moneta di traiano di primo modulo vicino alla porta d’ingresso;
come pure nel corrente anno 1832, nel fare la fondamenta per le prigioni di Cividale, si trovò la consecuzione del fabbricato, con pavimenti
romani, che cammina anco da quella parte. Al lume della religione cattolica fu esso ridotto, diceva, al gusto longobardo, e ciò fu fatto dalla
longobarda principessa Piltrude nel 762 fondatrice anco del monastero
di benedettine a’ tempi del patriarca d’Aquleia Ligualdo, ma quella riduzione fu fatta in modo che si conservarono i muri quadrilateri del
tempio romano, le colonne, le fasciatura di marmo, il pavimento, gli
architravi, tutti i pezzi di pietra e di marmo solo trasportando ciò che
era possibile, e lo si accrebbe di tre navatine, che formano l’altare, ornandolo di stucchi e d’architravi di longobardo lavoro con un nobilissimo fogliame di stucco: tutte le quali cose, disegnate in cinque tavole,
furono illustrate dal sottoscritto con una dissertazione nel 1807».
52
L. D’ORLANDI, Il tempietto di S. Maria in Valle di Cividale del
Friuli, Udine 1839, p. 6; ristampe successive furono effettuate nel 1858
(come parte integrante la guida di Cividale) e nel 1864, in seguito al
restauro eseguito nel 1859. In un documento datato al 916-924, in copia del sec. XVIII, relativo ad una donazione di Berengario imperatore
al monastero di S. Maria in Valle, si dice che il monastero venne ampliato furono qui trasferite le ossa di Portrude; si veda I diplomi di Berengario I, a cura di L. Schiaparelli, Roma 1903, (Fonti per la storia d’Italia,
35), n. 46 (diplomi perduti), pp. 424-425. Si veda, inoltre la Carta
Donacionis del 763 in cui tre fratelli Efro, Anto e Marco dotano di beni
i monasteri, di Sesto in Silvis e di Salto presso Cividale, da loro fondati.
Nel documento si fa menzione al fatto che la loro madre, Piltruda, abitasse nel monastero di Salto. Si veda: Codice diplomatico longobardo, I,
NON RIPRODUCIBILE PER SCOPI COMMERCIALI
a cura di L. Schiaparelli, Roma 1929 (Fonti per la storia d’Italia), n.
162, pp. 98-109. Forse la leggenda di Piltrude si basa sul travisamento
di quest’ultimo documento e su quanto testimoniato da quello del XVIII
sec.
53
D’ORLANDI, Il tempietto di S. Maria in valle a Cividale del Friuli,
cit., p. 12.
54
C. GIUSSANI, Tempio longobardico in Cividale del Friuli, testè restaurato a cura della Commissione centrale per la conservazione dei monumenti, «Rivista Friulana», 7 ottobre, 1860, p. 1. Fu il Leicht, in due
articoli comparsi sempre sulla Rivista Friulana, il 18 e il 25 Agosto 1861,
a criticare la posizione di quanti sostenevano che il tempietto era stato
fondato dalla regina Piltrude; secondo questo studioso, infatti il tempietto sarebbe stato in origine un sacello di età tardo romana, riadattato
in età cristiana. Una rivisitazione della leggenda di Piltrude si trova in
C.G. MOR, La leggenda di Piltrude e la probabile data di fondazione del
monastero maggiore di Cividale, «Ce Fastu?», XXIX (1953), pp. 3-16.
55
Si vedano gli articoli pubblicati in Appendice sul Giornale di Udine del 26, 28, 29 maggio 1875.
56
In generale si veda OCCIONI-BONAFONS, Bibliografia storica friulana 1861-1882, Udine 1883. In particolare, cfr. gli articoli comparsi sul
«Triester Zeitung» negli anni 1863, 1864 e 1865; L. MENIN, Sulla città e
gli scavi di Aquileia, «Atti dell’i.r. Istituto veneto di scienze ed arti»,
Venezia 1865; V. ZANDONATI, Lettera di V. Zandonati a Nicolò Barozzi,
sulle antichità di Aquileia, «Raccolta veneta, collezione di documenti
relativi alla storia, all’archeologia alla numismatica», serie I, Tomo I, p.
123 e seg., Venezia 1866; F. DI TOPPO, Di alcuni scavi fatti in Aquileia,
«Atti delle accademie di Udine», Udine 1870.
57
Si vedano gli articoli pubblicati sulla prima pagina del settimanale
«Rivista Friulana», nel 1859 il 2, 9, 16 gennaio e 13 febbraio, nel 1861
il 24 febbraio, il 3 e 17 marzo, il 2, 9, 16, 30 giugno, il 7, 14, 21, 28
luglio, il 4, 11, agosto, il 22 settembre e il 6 ottobre.
58
Si veda, a questo proposito, M. BROZZI, Friuli, Schede di archeologia longobarda in Italia, «Studi Medioevali», XIV, II, (1973), pp. 11341150. In realtà, l’orientamento delle sepolture non costituisce affatto
un elemento datante, in quanto la disposizione est-ovest si riscontra in
tutte le epoche storiche; per una trattazione più specifica del problema
si veda: P. BARKER, Tecniche dello scavo archeologico, Milano 1981.
59
Anche in questo caso le sepolture prive di corredo e di contesto
stratigrafico sono state ritenute di età longobarda poiché orientate da
est ad ovest; si veda: M. BROZZI, Pertica: un vasto campo cimiteriale
longobardo a Cividale del Friuli, «Aquileia Nostra», (1974-75) p. 746.
60
G. FOGOLARI, P.S. LEICHT, L. SUTTINA, Programma, «Memorie storiche cividalesi», I (1905), pp. 1-2.
61
Historia Langobardorum, Lib. V, 34.
62
G.F.B.M. DE RUBEIS, Vita della Benvenuta Boiani vergine del terz’ordine di S. Domenico, Venezia 1767, pp. 1-10.
63
Si tratta dello stesso G. F. B. M. De Rubeis che parla di se stesso in
terza persona.
64
G. F.B.M. DE RUBEIS, Vita della benvenuta Boiani, cit., p. 10.
65
A proposito della data di fondazione dello xenodochio si rimanda
alle note 48 e 110 di questo testo.
66
C. CECCHELLI, I monumenti del Friuli, Milano 1943 p. 95.
67
Historia Langobardorum, V, 34; si dice, infatti: «... la regina
Rodolinda fece costruire con lavoro mirabile una basilica alla Santa madre
di Dio fuori dalle mura della città di Pavia, chiamata Ad Perticas, e la
abbellì di splendide opere. Quel luogo si chiama Ad Perticas perché una
volta c’erano delle pertiche, cioè delle travi erette, che soleano essere
disposte a quel modo secondo un uso longobardo».
68
M. BROZZI, Pertica: un vasto campo cimiteriale longobardo a Cividale del Friuli, «Aquileia Nostra» (1974-75), p. 741.
69
Ibid.
70
Ibid.
71
M. BROZZI, La necropoli di S. Stefano in Pertica, «Quaderni della
Face» n. 19 (1960), pp. 10.
72
I. AHUMADA, P. LOPREATO, A. TAGLIAFERRI (a cura di), La necropoli
di S. Stefano “in Pertica”. Campagne di scavo 1987-1988, Udine 1990.
73
I. AHUMADA, Le tombe e i corredi, in I. AHUMADA, P. LOPREATO, A.
TAGLIAFERRI, La necropoli di S. Stefano “in Pertica”, cit., pp. 21-97.
74
Le datazioni si basano su un confronto tra quelle proposte in A.
TAGLIAFERRI, Il ducato di Forum Iulii, in G.C. MENIS (a cura di), I Longobardi, Milano 1990, p. 364-474, e in I. AHUMADA, Le tombe e i corredi,
cit., pp. 21-97. Le datazioni da essi proposte sono state confermate dal
von Hessen nel corso di un colloquio a me concesso.
75
G. MARIONI, Cividale del Friuli. Scoperta di tombe barbariche in
località “Gallo”, «Atti dell’Accademia dei Licei, notizie degli scavi di
antichità», s. VIII V (1951), pp. 7-9; la relazione dello scavo redatta da
Marioni è conservata nell’Archivio del Museo archeologico nazionale
di Cividale, cartelle AM-I-30 e AM-I-36.
76
A. TAGLIAFERRI, Il ducato di Forum Iulii, cit., pp. 373-401.
77
La relazione del ritrovamento si trova nell’Archivio del Museo
archeologico nazionale di Cividale, cartella AM-I-26. Per la datazione
del corredo si veda A. TAGLIAFERRI, Il ducato di Forum Iulii, cit., p. 375
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ALL ’I NSEGNA DEL
G IGLIO –
e p. 381.
78
Il resoconto del ritrovamento è conservato nell’Archivio del Museo archeologico nazionale di Cividale, cartella AM-I-26.
79
A. TAGLIAFERRI, Il ducato di Forum Iulii, cit., p. 375.
80
M. DELLA TORRE, Storia degli Scavi, 1827, cap. VIII, Archivio del
Museo archeologico nazionale di Cividale, Fondo Della Torre.
81
A. TAGLIAFERRI, Il ducato di Forum Iulii, cit., e M. BROZZI, Attrezzi
di un orafo longobardo nel museo di Cividale, «Quaderni della Face», n.
25 (1963), pp. 19-22.
82
Si veda M. BROZZI, Pertica: un vasto campo cimiteriale longobardo
a Cividale del Friuli, cit. L’unico elemento di corredo ritrovato consiste
in una fibbia in ferro il cui pessimo stato di conservazione non permette
alcuna datazione. Secondo il Brozzi si tratterebbe di una sepoltura longobarda poiché orientata da ovest ad est, a questo proposito cfr. nota n.
56 di questo testo.
83
M. BROZZI, Pertica: un vasto campo cimiteriale, cit. Anche in questo caso le sepolture sono state datate sulla sola base dell’orientamento.
Cfr. supra.
84
Per la necropoli di S. Stefano l’utilizzo di terreno non fertile come
area cimiteriale potrebbe essere testimoniato dai dati di scavo. Si veda,
infatti, P. LOPREATO, La necropoli di S. Stefano “in Pertica”, campagne di
scavo 1987-1988, cit., p. 14: «le tombe sono state scavate nel terreno
alluvionale, caratterizzato da un colore grigio pallido, quasi lunare, per
la componente sabbiosa frammista a ghiaia e ciottoli, talora di grossa
pezzatura». Ai fini di un confronto con la distribuzione territoriale delle
sepolture nell’area di Verona si veda C. LA ROCCA, Materiali di età gotica e longobarda, in CASTAGNETTI, VARANINI (a cura di), Il Veneto nel medioevo, Verona 1989 p. 109.
85
Archivio di Stato di Venezia, Fondo corporazioni religiose, S. Maria di Sesto; edito in R. DELLA TORRE, L’abbazia di Sesto in Sylvis, Udine
1979, pp. 89-91.
86
R. DELLA TORRE, L’abbazia di Sesto in Sylvis, cit., p. 89 righe 2-4.
87
La posizione precisa del borgo detto Leproso è attestata da una
mappa disegnata nel Settecento dallo Sturolo, si veda la pubblicazione
della tavola in STUROLO, Il cividalese nel Settecento, a cura di M. Brozzi,
Udine 1980.
88
M. BROZZI, Pertica: un vasto campo cimiteriale longobardo a cividale
del Friuli, cit., p. 742.
89
La pergamena, datata al 27 febbraio 1091 è conservata nell’Archivio del Museo archeologico nazionale di Cividale, Fondo pergamene
capitolari, Regesto Della Torre, Tomo I, documento n. 33.
90
Acta Sanctorum, p. 162C. La storia della famiglia Boiani e stata,
inoltre, ricostruita in A. TILATTI, Benevenuta Boiani, Trieste 1994 pp.
42-45.
91
Si tratta di un inventario dei beni immobili di Corrado detto Boiano,
discendente di Corrado di Pertica, l’originale è conservato nell’Archivio
del Museo archeologico nazionale di Cividale, famiglia Boiani, Pergamene, I, n. 66; il documento, datato tra gli anni 1267 e 1271, è edito in
A. TILATTI, Benvenuta Boiani, cit., pp. 141-143.
92
Questi due ultimi luoghi vengono menzionati nel testamento di
Paolo Boiani, discendente di Corrado, redatto il 28 ottobre del 1315, il
documento è conservato presso l’Archivio del Museo archeologico nazionale di Cividale, famiglia Boiani, Pergamene, II, n. 14, ed è edito in
A. TILATTI, Benvenuta Boiani, cit., pp. 145-146.
93
Documento del 27 maggio 1292, conservato nell’Archivio del
Museo archeologico nazionale di Cividale, Pergamene capitolari, IX, n.
6C, edito in A. TILATTI, Benvenuta Boiani, cit., p. 143.
94
Documento del 28 ottobre 1315, conservato nel Museo archeologico nazionale di Cividale, famiglia Boiani, Pergamene, II, n. 14, edito
in A. TILATTI, Benvenuta Boiani, cit., p. 145.
95
L’originale del documento si trova nell’Archivio del Museo archeologico nazionale di Cividale, Pergamene capitolari, Regesto Della
Torre, tomo I, n. 22, una copia è stata redatta in G.F.B.M. DE RUBEIS,
Monumentae ecclesiae aquileiensis, Venezia 1740.
96
STUROLO, Il cividalese nel Settecento, cit., p. 100.
97
M. BROZZI, A. TAGLIAFERRI, Contributo allo studio topografico di
Cividale longobarda, «Quaderni della Face», XVII (1958), pp. 19-35.
98
Ibid., p. 19.
99
Per una discussione su tale argomento si veda: S. GASPARRI, Pavia
Longobarda, in Storia di Pavia, Pavia 1987; D. BULLOUGH, Urban Change
in early medieval Italy: the example of Pavia, «Papers of the British
school at Rome», 34 (1966); O. BERTOLINI, Ordinamenti militari e strutture sociali dei longobardi in Italia, in Ordinamenti militari in occidente
nell’alto medioevo, I, Settimane di Studio del Centro italiano di Studi
sull’Alto Medioevo, XV (1968), pp. 508-513.
100
Tale ipotesi sarebbe supportata dall’appellativo di faramannia in
riferimento alla suddetta area, testimoniato per la prima volta nel 915
in un diploma di Berengario I. Facendo risalire da farimannia, il termine
fara, si era pensato allo stanziamento, in quest’area, delle fare longobarde nella prima fase di occupazione della città. In realtà, il termine
faramannia presenta dei problemi di interpretazione: innanzi tutto la
parola era sconosciuta in età longobarda, in secondo luogo potrebbe
trattarsi di una semplice corruzione per foro magno, in riferimento al
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foro romano, non ancora identificato con sicurezza dagli archeologi, si
veda a questo proposito S. GASPARRI, Pavia Longobarda, cit., pp. 25-33;
oppure, il termine potrebbe indicare l’esistenza di una “foresteria” regia, come sostenuto da O. BERTOLINI, Orientamenti militari e strutture
sociali, cit., pp. 508-512. Infatti nella Lex Gundobada, emanata agli
inizi del VI secolo nel regno Burugundo, vengono nominati i Faramanni
con l’inequivocabile significato di stranieri (Lex Gundobada, LIV, Ed.
Fr. BEYERLE, Gesetze der Burugunden, Weimar, 1936) L’esistenza di un
quartiere straniero a Pavia potrebbe essere supportata da un tardo diploma del 915, che riferisce la presenza, in quella zona della città, di
una residenza fissa del vescovo di Bergamo; una testimonianza epigrafica, esaminata in S. GASPARRI, Pavia Longobarda, cit., p. 33, invece, indicherebbe la presenza, a Pavia, di un ufficiale addetto alla foresteria regia
nel tardo VII secolo. Se dunque, il termine faramannia risulta poco probante, ci sono comunque altre tracce, più significative della toponomastica, che fanno supporre, per Pavia, l’esistenza se non di un vero e
proprio quartiere di Longobardi, quantomeno una zona dove il loro
insediamento era più fitto e predominante, nel primo periodo del loro
stanziamento. È attestata, infatti, a nord-est della città, l’esistenza della
chiesa di S. Eusebio che originariamente era cattedrale ariana e solo
nella seconda metà del VII secolo divenne cattolica. Tale edificio aveva
sicuramente rappresentato il polo di attrazione per l’insediamento longobardo nel suo complesso. Non lontano da qui si trovava il palazzo
regio, altro punto di riferimento per i longobardi; e sempre in questa
zona è stata messa in luce l’unica sepoltura intramurana della città.
101
S. GASPARRI, Pavia Longobarda, cit., pp. 32-33.
102
Si confronti il caso di Verona, analizzato in: C. LA ROCCA, “Dark
ages” a Verona. Edilizia privata, aree aperte e strutture pubbliche in una
città dell’Italia settentrionale, «Archeologia Medievale», XIII (1986),
pp. 31-78, in cui l’utilizzo delle aree fiscali, destinate ad accogliere edifici di carattere pubblico, determinò la concentrazione dei longobardi
in determinati quartieri.
103
Per un excursus sulle diverse proposte di datazione si veda G.
PAVAN, Architettura del periodo longobardo, in G.C. MENIS, I Longobardi, Milano 1990, pp. 236-242. Si veda, inoltre H.P. L’ORANGE, H. TORP,
Il Tempietto longobardo di Cividale, Roma 1979; i due studiosi attribuiscono il monumento alla seconda metà dell’VIII secolo. Gli scavi condotti da Hyamal Torp hanno messo in rilievo delle strutture che lo stesso ha datato al VI-VII secolo, i dati dello scavo sono pubblicati ibid., pp.
206-216; e in H. TORP, Notizia sommaria delle ricerche nel monastero
di Santa Maria in Valle, «Memorie Storiche Forogiuliesi», XLII (195657), pp. 267-269.
104
L. SCHIAPARELLI, I diplomi di Berengario I, (Fonti per la storia d’Italia
35) Roma 1903, n. 46 (diplomi perduti), pp. 424-425.
105
Si vedano: M. BROZZI e A. TAGLIAFERRI, Contributo allo studio
topografico di Cividale longobarda cit., p. 21; si veda, anche M. BROZZI,
Ricerche sulla zona detta «Valle» in Cividale dal Friuli, cit., pp. 243258; M. BROZZI, Ricerche sulla topografia di Cividale longobarda, cit.,
pp. 137-153; G. LORENZONI, Monumenti di età carolingia. Aquileia, Cividale, Malles, Munster, Padova 1974, pp. 38-40. In questo suo contributo il Lorenzoni suppone che il tempietto longobardo sia stato fondato nell’VIII secolo ad opera del Gastaldo regio, con funzione di oratorio.
106
PAOLO DIACONO, Historia Langobardorum, V 17.
107
M. BROZZI, A. TAGLIAFERRI, Contributo allo studio topografico di
Cividale longobarda, cit., p. 28. A proposito del problema del toponimo corte si veda A. SETTIA, Vicenza di fronte ai Longobardi e ai Franchi,
in G. CRACCO (a cura di), Storia di Vicenza, vol. II, Vicenza 1988, pp. 124.
108
Si vedano le Pergamene capitolari, Museo archeologico nazionale
di Cividale. In uno studio condotto dalla dott. Moro sulle pergamene
capitolari, degli anni tra il 972 e il 1240, conservate al museo di Cividale, non è stata ritrovata le pergamena del 1122.
109
Copia del documento è riportata in G. BELGRADO, Storia di Cividale, Cividale 1789, pp. 246-247.
110
PAOLO DIACONO, Historia Langobardorum, VI 51.
111
M. DELLA TORRE, Prospetti storici, vol. IV, cap. XV, conservato
nell’Archivio del museo archeologico nazionale di Cividale, Fondo Della Torre.
112
M. BROZZI, A. TAGLIAFERRI, Contributo allo studio topografico di
Cividale Longobarda, cit., p. 28; a proposito della processione si veda:
G. GRION, Guida storica di Cividale e del suo distretto, Cividale 1899.
L’identificazione degli ambienti messi in luce dal Della Torre con il palazzo patriarcale si baserebbe, secondo il Brozzi e il Tagliaferri anche, su
due documenti posteriori: uno risalente al 1091 e un altro al 1126. In
realtà in tali documenti, che riguardano il primo un atto di vendita, il
secondo una donazione, il palazzo patriarcale figura solo come il luogo
di erogazione degli atti stessi; non si ricava, invece, alcuna informazione precisa relativa all’ubicazione del palazzo. Si veda, Archivio del Museo
archeologico nazionale di Cividale, Pergamene capitolari, regesti della
Torre, tomo I, n. 33, documento del 27 febbraio 1091 e ibid., tomo II,
n. 12, documento del 15 giugno 1126. In questo secondo documento si
specifica che il palazzo inglobava la cappella di S. Paolino.
113
M.G.H. Diplomata Karolinorum, I, a cura di E. Muhlbacher,
München 1979, n. 175 pp. 234-236.
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