24.12.69. Veglia di Natale. La strada dei pastori e quella di Erode. BA049
(Interventi di: Urbano Cipriani, Gabriella Bellucci, Amedeo Bellosi, Raffaele della Valle del Belice,
Enzo Mazzi, Ruiz Gonzales).
Urbano C.: Stiamo al di fuori del cerchio di fuoco.
Canto: E sia la pace con voi
E sia la pace con voi
E sia la pace con voi
E sia la pace, e sia la pace, pace, pace con voi.
Gabriella B.: Adesso tutti insieme leggiamo la prima lettura dalla lettera di San Paolo ai romani. [Si
tratta di un errore perché è dal Vangelo di Matteo,
"Non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati. La stessa misura di
cui vi sarete serviti sarà usata anche con voi. Perché osservi la pagliuzza nell'occhio di tuo fratello e
non badi alla trave che è nel tuo occhio? Ipocrita, togli prima dal tuo occhio la trave e poi ci vedrai
per togliere la pagliuzza dall'occhio di tuo fratello. Chi si adira con suo fratello merita di essere
punito in giudizio e chi avrà detto al suo fratello stolto merita di essere punito e condannato. Se
dunque stai facendo l'offerta all'altare e là ti ricordi che tuo fratello ha qualcosa contro di te, lascia
la tua offerta davanti all'altare e vai prima a riconciliarti con lui, poi tornerai ad offrire il tuo dono.
Urbano C.: Perché stasera siamo qui? Perché prima di tutto ci siamo da un anno sotto le stelle e poi
perché stasera vogliamo essere così, idealmente, coi pastori che ebbero la fortuna di udire il
Vangelo, cioè il lieto annunzio, quella famosa notte del 25 dicembre dell'anno zero. Leggo solo due
righe dal Vangelo di San Luca al capitolo secondo: "C'erano in quei dintorni dei pastori che
vegliavano di guardia al loro gregge, pernottando all'aperto". Questo Vangelo ce lo leggerà poi
Enzo alla messa che stanotte dirà perché così si è voluto noi. noi stasera ci troviamo qui proprio
come quei pastori sotto le stelle, all'aperto, facendo il fuoco. E dobbiamo starci un po' con il loro
spirito e anche con la loro serenità. Il nostro, ce l'hanno cantato i ragazzi ora, è un messaggio di
pace e di speranza. Noi, di qui, stasera, si rappresenta queste due grandi cose: la speranza e la pace.
Quindi la nostra è una riunione serena. Lo spirito con cui siamo qui l'abbiamo già praticamente
manifestato nel nostro bollettino ultimo. Lo riguardiamo insieme brevissimamente. "Ci ha colpito
particolarmente l'annunzio udito dai pastori che pernottavano in mezzo ai campi per fare la guardia
ai greggi”. Quest'annunzio cos'era? Non temete, state tranquilli, siate contenti. Perché? Perché oggi
è nato per voi il Salvatore. Gloria a Dio in cielo e pace agli uomini in terra. I pastori cosa fanno?
Sentono una cosa del genere e rimangono entusiasmati. I pastori accolgono con entusiasmo
l'annunzio della nascita di Gesù e ne divengono testimoni. Divengono testimoni di questo annunzio
e vengono scelti per indicare a tutti la strada della pace. La Scrittura ci dice con chiarezza che Dio si
comporta sempre così. Cioè Dio sceglie proprio gli umili, gli ultimi come noi si dice, quelli
disprezzati, quelli considerati fuori legge o ai margini della legge, quelli sempre alle prese, in parole
povere, sempre così coi custodi della legge. Dio sceglie questi: i poveri, gli oppressi, gli ignoranti, i
disprezzati per dare il suo annunzio, il suo Vangelo. E proprio i poveri, i disprezzati sono oggi gli
uomini di buona volontà, i glorificatori d'Iddio, coloro che Dio sceglie per indicare a tutti la strada
della pace. Noi stasera siamo qui un po' come pastori. Così dobbiamo pensare, non so, ai pastori
sardi dei dintorni di Orgosolo, che stanno su nel sopra monte, quelli che abbiamo visto nel film
ultimo alla televisione e stasera ci saranno loro qui che ci portano questo annunzio. Cioè, quelle
parole, che ci dicono loro, sono parole proprio evangeliche. Qualsiasi siano le parole che dicono
sono le parole del Vangelo, perché rappresentano Cristo. Ci saranno qui, come pastori che portano
l'annunzio di Cristo, operai e un pastore. Cristo, attraverso l'operaio, parlerà. Verrà dalla Galilea o
verrà dalla STICE e ci saranno qui i baraccati di Roma e ci sarà un pastore, dalle baracche di Roma,
a portare l'annuncio, quello che hanno dentro il cuore i baraccati di Roma, cioè quello che c’è
dentro il cuore di Cristo oggi 25 dicembre 1969. Poi ci saranno i cosiddetti invalidi che stanno
proprio qui con noi. Hanno dimostrato di possedere una energia dentro di loro per cui la parola
invalidi suona così come una stonatura. Loro portano a noi stasera il Vangelo, l'annunzio di Cristo.
Quello che loro sentono, quello che loro dicono è quello che sente e dice Gesù Cristo stanotte. E
non così per scherzo. Ci saranno gli spagnoli e ci diranno quello che ci hanno già tante volte detto.
Ci saranno gli studenti, gli studenti greci particolarmente. Staranno qui muti, leggeremo un
messaggio loro e non lo possono leggere direttamente. Il perché lo diranno loro in questa lettera, in
questo messaggio che ci hanno dato. Ci saranno qui stasera i negri dei ghetti americani che hanno
mandato una lettera, una lettera che è grande quella lettera. E noi? Noi siamo qui per accogliere
l'annunzio dei pastori. Il Vangelo dice che gli angeli dissero ai pastori: andate e raccontate a tutti
quello che avete visto e sentito. Questo persone che vengono qui sono i pastori che vengono a
raccontarci quello che hanno visto e sentito, non solo, ma dopo, noi, come loro, anche noi
diventiamo pastori e abbiamo l'obbligo di andare da tutti a raccontare e dire quello che abbiamo
visto e sentito. E' un anno che noi lo raccontiamo quello che abbiamo visto e sentito. E poi, come
conclusione di tutto, noi stasera abbiamo voluto che Cristo ci fosse offerto sull'altare da quello che
si è fatto veramente pastore in questo senso, togliendosi così, Enzo dico, Enzo stasera dirà la messa
e noi abbiamo voluto così e la dirà proprio come un pastore di quelli veri, di quelli veramente
custodi del gregge, non di quei pastori melati, caramellati, o così un po' stereotipati. Enzo stasera
per noi rappresenta davvero l'essenza del messaggio dei pastori e noi ci riconosciamo in lui, un
prete che è messo ai margini, che viene così disprezzato, anche calunniato, soprattutto che viene
incolpato di dare retta a noi. "Non dare retta alla gente": questo gli viene rinfacciato esplicitamene o
implicitamente. Questa messa stasera ha anche questo significato particolare per noi: noi, in Enzo,
stasera, vogliamo così onorare, nella nostra semplicità, la partecipazione reale alla vita, alle
sofferenze degli uomini, vogliamo onorare veramente il messaggio vero di speranza e di pace
portato avanti con una testimonianza di fatti oltre che di parole.
E ora sarà qui proprio un operaio. E' uno dei nostri, Amedeo.
Amedeo B.: Urbano - io sono un operaio, mi conoscete - ha detto avanti che stasera è una serata di
pace, una serata d'amore specialmente per tutti coloro che credono fermamente in Cristo. Pertanto
vorrei dirvi alcune parole sulle lotte che tutti gli operai italiani hanno concluso in questi giorni e che
da mesi questa gente non hanno né pace e né amore. L'autunno è stato caratterizzato da grandi lotte
che hanno avuto come protagonisti oltre cinque milioni di lavoratori italiani. Un milione di edili,
oltre trecentomila chimici, centocinquantamila cementieri, oltre un milione e mezzo di metallurgici,
centinaia di migliaia di poligrafici, bancari, pellettieri, portuali e braccianti hanno duramente lottato
per conquistare contratti che garantissero aumenti salariali, riduzioni di orari e nuovo potere nelle
aziende. Oltre venti milioni di italiani con lo sciopero del 19 novembre hanno iniziato la battaglia
per risolvere il problema della casa. I benefici di questi contratti sono in particolare di carattere
normativo: parificazione con gli impiegati per il trattamento di malattia e infortunio, riduzione
dell'orario di lavoro e parità di salario, limitazione di lavoro straordinario, miglioramento delle
ferie, eccetera; di carattere economico: aumenti che vanno dalle dodici alle quindicimila lire
mensili; di carattere sindacale: diritti di propaganda e di assemblea in fabbrica, diritto al contrattare
qualifiche e ritmi di produzione, tutela degli attivisti sindacali. Naturalmente le conquiste di
carattere economico sembrano le più importanti perché era indispensabile un aumento sostanziale
dei salari perché il costo della vita era salito enormemente e i salari di settanta, ottantamila lire
mensili non erano più sufficienti per vivere. Ma le conquiste più importanti riguardano il
riconoscimento di quei diritti e di quel potere di contrattazione che i padroni erano sempre riusciti a
reprimere. La lotta contrattuale ci è costata molti sacrifici. Ognuno di noi ha gettato nella lotta in
media un mese di salario o di stipendio. Questo sacrificio pesa ancora su di noi e su le nostre
famiglie ma siamo orgogliosi si averlo fatto poiché siamo usciti dalla lotta più forti, più uniti, più
uomini. Abbiamo imparato a discutere, a scegliere e a decidere tutti insieme senza discriminazioni
sindacali o politiche. Abbiamo capito che il Sindacato siamo noi e che a nessuno poteva essere
demandato il compito di decidere per noi. Abbiamo dimostrato che uniti siamo più forti di qualsiasi
padrone. Siamo coscienti di avere vinto una grande battaglia ma non ci facciamo illusioni perché
sappiamo che il padrone è forte e che cercherà presto la rivincita. Ci sono già padroni e ministri che
parlano di grave crisi determinata dagli aumenti salariali; c'è già chi parla dell'esigenza di far fronte
alla concorrenza riducendo gli organici e richiedendo a chi rimane un maggiore sforzo. E' un
linguaggio che conosciamo bene. A Firenze, molte volte, alla Pignone, alla Galileo, alla FIVRE ci
siamo trovati di fronte a discorsi del genere che servivano a mascherare i licenziamenti. Oggi però
la situazione è diversa: siamo più forti e più uniti e in grado di sconfiggere le manovre dei padroni.
Sappiamo bene che il padrone non si arrende, che ricorre ad ogni strumento, che sfrutta ogni mezzo
pur di tirare acqua al proprio mulino. Si cerca di creare in Italia un clima di terrore e di allarmismo
che permetta di colpire i migliori tra noi per colpirci tutti. Migliaia di nostri compagni di lotta sono
stati licenziati, denunciati, arrestati. Alcuni sono in carcere per avere organizzato picchetti, cortei,
manifestazioni mentre un industriale, che aveva sparato agli operai, è stato rimesso in libertà. In
questo clima può anche succedere che dei segretari di commissione interna, uomini incensurati, si
vedano arrivare in casa i carabinieri, con mandato di perquisizione, in cerca di bombe e di esplosivi.
Noi siamo convinti che tutto ciò venga fatto per intimorirci, per scoraggiarci, per farci ritornare in
fabbrica a testa bassa, per permettere poi al padrone di riprenderci con una mano quello che è stato
costretto a darci con l'altra. Noi ci batteremo per salvaguardare le nostre conquiste e per andare
avanti. Ci batteremo perché la riduzione dell'orario venga applicata subito non per poter fare più
straordinari ma per imporre l'assunzione di centinaia di migliaia di lavoratori disoccupati. E' questo
per noi un Natale di gioia per i successi raggiunti ma anche di seria riflessione e di fermo impegno
per le dure battaglie che ci attendono fin dai prossimi giorni.
Urbano C.: In questo momento, e da questo momento in poi, a Palermo, sfilano gli abitanti delle
zone terremotate della Sicilia. Vanno a portare il loro Vangelo come i pastori andarono ad
annunciare il Vangelo ed a portare le pace. I palermitani sanno qual’è la pace e come possono
ottenere la pace. Cinquantamila case antisismiche, tre dighe, ventisettemila ettari irrigati,
ventottomila ettari di bosco, millecinquecento chilometri di strade, ventimila posti di lavoro in
nuove industrie: questi sono i mezzi per costruire la pace: questo dicono oggi i pastori a Palermo nel
Natale del 1969. Questo è il Vangelo per i palermitani cioè per tutti noi. Se non gli diamo queste
cose la pace non ci sarà, non ci sarà per loro e non ci potrà essere per noi. Perché? Perché
cinquantamila persone se ne devono andare, non solo dalle loro baracche dove sono, ma dalla loro
Sicilia, dalla loro terra. Uno di loro, uno che rappresenta loro è qui. Quindi il Vangelo ci viene
portato direttamente qui in questa piazza, l'annuncio viene da Raffaele.
Raffaele: Già l'anno scorso di ottobre io ho parlato all'Isolotto per la zona terremotata. A quel tempo
ancora si sperava che le case si sarebbero costruite. Io sono andato in Sicilia subito dopo il
terremoto e ora abito a Gibellina in una baracca da due anni. Siamo venuti qui e non soltanto qui in
questo giorno appunto, perché in questo giorno a Palermo i terremotati stanno facendo una
manifestazione. E come qui, anche a Roma, anche a Milano, anche a Torino si stanno dicendo le
stesse parole, le stesse cose che io ora dico a voi. Il 15 gennaio 1968 il terremoto ha distrutto sei
paesi e semidistrutti diciassette. Duecentomila persone sono rimaste senza casa e sono state
costrette ad andarsene in ogni parte d'Italia e anche all'estero. Hanno fatto la triste esperienza di
essere stati esclusi. Dopo pochi giorni che tutti eravamo disponibili nei loro confronti - chi dava
qualcosa, chi ha dato dei soldi - sono stati molto spesso sfruttati e sono ritornati sulla loro terra.
Sono stati accampati sotto le tende per circa sette mesi sicuri che avrebbero ricostruito il loro paese.
A Roma, nel marzo, abbiamo fatto una marcia. A quella marcia hanno partecipato anche persone
dell'Isolotto e abbiamo ottenuto due leggi importanti. La prima dice che la ricostruzione doveva
incominciare il primo gennaio 1969 e finire nel 1971 con la spesa di centottancinque miliardi. La
seconda diceva che il Governo era impegnato a preparare entro il 31 dicembre 1968 un piano di
sviluppo agricolo e industriale che avrebbe permesso a quella gente di poter abitare nelle case
appena ricostruite, perché fino ad allora, in dieci anni, su duecentomila persone ne erano emigrate
trentamila persone. Il 9 luglio ancora una volta i terremotati si muovono e vanno a Palermo. Ancora
una volta sono uniti e chiedono delle leggi precise. Vogliono che si incominci un piano di sviluppo
agricolo per poter lavorare nella loro terra. Questa volta si risponde con la polizia, con le bombe
lacrimogene e i terremotati vengono caricati dalla polizia. Oggi, a due anni di distanza dal
terremoto, non è stata ancora costruita una casa, anzi nessuna famiglia della Valle del Belice sa
ancora dove poter ricostruire la sua casa, dove andrà a finire la sua casa. Ci sono dei paesi che in
due anni non sanno ancora in che posto sarà scelto l'area dove ricostruire il paese. A Gibellina, a
Salaparuta, a Poggioreale, a Montevago, i paesi completamente distrutti, si continua ancora a
costruire baracche. Dei soldi della ricostruzione non é stata ancora spesa una lira, mentre sono stati
spesi centotrentacinque miliardi soltanto per assistenza e baracche. Ora questi soldi non è che siano
andati ai siciliani. Questi soldi sono andati alle ditte del Nord che hanno costruito le baracche, sono
andati alla Fiat perché gli operai hanno comprato le macchine, agli industriali che costruiscono gli
elettrodomestici, che costruiscono i vestiti impermeabili, perché quella gente non ha niente e in
Sicilia non si produce niente. Tutto ciò che si produce si produce quassù. Quindi quei
centotrentacinque miliardi invece di diventare dighe, case, invece di diventare posti di lavoro sono
diventati soltanto miseria e questa miseria ha costretto noi oggi a venire qui a dirlo a voi e
soprattutto (ha costretto) gli abitanti della Valle del Belice ad andare a Palermo, a lasciare le loro
capanne di legno dove il vento e l'acqua entra. E io posso dire questo: circa dieci giornifa una
persona è morta perché l'acqua è entrata dentro la baracca. Siccome era vecchia non ce l'ha fatta ad
uscire ed è caduta dentro ed è morta sia per la fatica sia per l'acqua dentro la baracca. Ora la voce
dei terremotati a Palermo è una voce lontana ma il sentire che noi, che loro, che noi siamo uniti a
voi in questo momento, uniti a tutti quelli che sono oppressi - parleranno i baraccati, parleranno gli
studenti greci, parleranno gli spagnoli - uniti a tutta questa gente la nostra voce diventa una voce
forte, una voce grande che siamo sicuri riuscirà a vincere la battaglia che altrimenti sarebbe
disperata. Se non avessimo la certezza di questa unione sarebbe inutile muoverci, sarebbe inutile
fare qualunque cosa. Sarebbe da disperati rimanere in Sicilia a lottare, perché gli ostacoli sarebbero
troppo grossi. Ma noi siamo sicuri, e questa è la cosa importante, siamo sicuri che questa unione,
che si realizza qui con tutte queste persone, ci porterà un giorno a vincere. Questa unione ci dà
anche il coraggio e la forza di denunziare le persone che vogliono distruggere la Valle del Belice, le
persone che costruendo le baracche invece delle case, vogliono costringere questa gente ad
emigrare e ad andare a Torino e insieme a loro (denunciare) anche quei Vescovi, quei preti che
fanno le raccomandazioni agli operai del Sud per andare a lavorare al Nord. In questo modo questa
gente si rende complice degli assassini, di coloro che vogliono distruggere quella valle. Questo qui,
però, questa lotta non è la lotta soltanto di noi che stiamo giù in Sicilia, di noi siciliani, è anche la
lotta di tutti gli operai del Nord, di tutti noi, perché cinquantamila operai siciliani della valle
terremotata che si spostano al Nord, dalle baracche dalla Sicilia alle baracche che in questi giorni il
Governo ha commissionato alla stessa Ditta che ha costruito le baracche in Sicilia per Milano e
Torino, circa quattrocento milioni di baracche, mettere i terremotati dalle baracche del Sud alle
baracche del Nord vuol dire bisogno ancora di case, bisogno ancora di lavoro, bisogno di aule e
quindi di tutte le lotte che abbiamo fatto noi in questi giorni non valgono niente. Bisogna
ricominciare ancora daccapo. Quindi la lotta dei terremotati, la lotta di quelli del Sud è anche la
nostra lotta. Quindi la lotta dell'Isolotto unita a questa, alla lotta di tutti noi, anche del Sud, di tutti
quelli che sono oppressi, ha un grande valore e noi siamo molto contenti, siamo felici di essere
venuti a parlare qui, di sapere che siamo fratelli fra voi.
Urbano C.: Un amico di Orgosolo.
Orgolosese: A nome del Circolo giovanile di Orgosolo voglio portare il saluto alla popolazione
dell'Isolotto dei pastori sardi, dei braccianti, degli operai e degli studenti. Noi abbiamo avuto
occasione di conoscere e di apprezzare il contributo della popolazione dell'Isolotto in occasione di
una visita fatta da una delegazione di questa Comunità ad Orgosolo il giorno di Pasqua di
quest'anno. Ora vogliamo contraccambiare la nostra solidarietà con quella espressaci sempre
attraverso anche il bollettino dell'Isolotto per le lotte che ad Orgosolo sono state fatte durante il
corso del 1968 e del 1969. Ora vorrei leggervi un documento che abbiamo fatto in comune ad
Orgosolo con i compagni del Circolo che parla un po' della situazione sarda e di Orgosolo in
particolare.
"La Sardegna ha una estensione di circa ventitremila chilometri quadrati. E' grande quasi quanto la
Sicilia ma la sua popolazione è solamente di circa un milione e mezzo di abitanti e perciò
scarsamente popolata. La maggioranza della popolazione attiva è dedita alla pastorizia e
all'agricoltura. Queste attività sono praticate con metodi e strumenti di tipo precapitalistico.
Nonostante i metodi arcaici di lavoro la pastorizia potrebbe essere altamente redditizia se il pastore
non fosse sottoposto a due tipi principali di sfruttamento. Prima di tutto pagare un affitto altissimo
per il pascolo agli agrari proprietari dei terreni a pascolo. Tale affitto incide per circa il 60% del
reddito lordo del pastore. Poi ancora, in secondo luogo, sottostare ai prezzi del latte e del formaggio
imposti dai grossi capitalisti industriali del latte quali Galbani e Locatelli. Per ciò che riguarda i
contadini, quasi tutti sono possessori di piccoli appezzamenti di terra, spesso poco fertile e dalla
quale riescono a malapena a tirare fuori tanto per campare. In tutta la provincia di Nuoro c'è una
sola industria. Non è né una centrale del latte né una fabbrica di fertilizzanti ma è una cartiera. Si
trova ad Arbatax. Occupa appena cinquecento operai. E' stata pagata completamente con i soldi di
tutti cioè col Piano Regionale di Rinascita ma è di proprietà della Timavo, una società capitalistica
di Trieste. Nel polo industriale di Porto Torres e Cagliari sono insediate una serie di industrie del
tutto estranee all'economia generale dell'isola. Lavorano infatti il petrolio portato in Sardegna
dall'Africa e dall'Asia minore. Queste industrie tanto decantate dai governanti regionali rispondono
ai nomi di SIR, Saras, Rumianca, Snia Viscosa. Sono state impiantate tutte con il Piano di Rinascita
che copre le spese del 100% e a volte anche del 120%. I padroni di esse si chiamano Esso Standar,
Rovelli, Moratti, eccetera, nomi abbastanza noti a tutti voi. Questi signori, venuti in Sardegna
esclusivamente per intascare i miliardi della Cassa per il Mezzogiorno e della Regione, hanno la
pretesa di farsi passare come benefattori dei lavoratori sardi e come pionieri di una giusta e
sacrosanta colonizzazione dell'isola. Come colonizzatori in effetti agiscono e come tali trattano i
lavoratori. Infatti gli operai di Porto Torres e di rCagliari e della cartiera di Arbatrax non superano
mai le settantamila lire mensili di salario e, se vogliono conservare il posto di lavoro, devono restare
a bocca chiusa e ringraziare il padrone. In Sardegna comunque, oltre all'attività degli industriali
colonizzatori, c'è un'altra attività molto remunerativa e in piena espansione. E' quella militare. Tutti
gli anni aumenta vertiginosamente il numero di basi militari in atto e servitù militari varie. La terra
dei contadini e dei pastori è usata come bersaglio di missili e per le bombe della NATO e le caverne
sottomarine come rifugio dei sommergibili Polaris. L'ultima trovata è stata la progettazione di un
Parco Nazionale nella zona del Gennargentu. Dovrebbe diventare il più grande d'Europa,
centosessantamila ettari, metà della provincia di Nuoro, comprendente quarantasette paesi e la zona
più densamente popolata da pastori e dal bestiame. La scusa ufficiale è quella umanitaria di salvare
poche centinaia di mufloni dalla estinzione mentre in realtà si vuole creare un grande parco utile per
i signori oziosi. Come si vede tutto sta congiurando contro il pastore e il contadino, contro la parte
più povera della popolazione sarda. Ciò significa che il pastore e il contadino, pur essendo poveri e
senza poteri, danno estremamente fastidio ai padroni capitalisti sardi continentali, danno loro
fastidio perché sono produttori in proprio e intralciano quindi i loro progetti di razionalizzazione
dello sfruttamento. Come è nella logica capitalistica, chi intralcia la loro strada verso il massimo
profitto deve essere o integrato o soppresso. Ecco quindi svelati i piani dei padroni: sperperare
prima di tutto i miliardi del pubblico denaro, regalandoli ai capitalisti e ai militari, mettere in crisi
l'economia dei pastori e dei contadini spingendoli alla disperazione e alla emigrazione, opprimere
sempre più la popolazione della campagna attraverso le misure eccezionali di polizia quali il
domicilio coatto, sorveglianze speciali, ritiro di patenti di guida, eccetera. Il tutto motivato con la
scusa della lotta al banditismo, poi ancora convincere, attraverso opportune campagne di stampa,
quella parte dei lavoratori sardi meno politicizzati che un posto di lavoro in fabbrica è la cosa più
bella di questo mondo. Risultato: fare della Sardegna una seconda Corsica, utile solo alle vacanze
dei super-ricchi e alle manovre militari dei generali. Di fronte a questa situazione noi ad Orgosolo,
paese di circa cinquemila abitanti in provincia di Nuoro, specialmente in questo ultimo anno e
mezzo, abbiamo tentato di opporci a tutti questi tentativi di sterminio. Prima di tutto, a novembre
del 1968, tutta la popolazione di Orgosolo blocca le strade di accesso al paese con camion e carri e
occupa il Municipio ribattezzandolo Casa del Popolo. Per quattro giorni tutti quanti discutiamo e
deliberiamo sui problemi più urgenti del paese, della Sardegna: pastorizia, disoccupazione, Parco
Nazionale, Scuola, repressione poliziesca. Da questo momento la giunta comunale, che si era
opposta alla manifestazione, viene dichiarata decaduta e il potere effettivo passa alle Assemblee
popolari. Febbraio 1969: viene pubblicato un opuscolo ciclostilato a cura del Circolo giovanile in
circa duemila copie contenente il piano segreto di progettazione del Parco Nazionale del
Gennergentu che prevedeva, per la sola Orgosolo, l'eliminazione di ben centocinquanta pastori e
con la conseguenza fame immediata per circa seicento persone. In un convegno tenuto il 2 marzo
del corrente anno, con la rappresentanza di base di quasi tutti quanti i quarantasette paesi interessati,
viene nettamente rifiutato il progetto di Parco Nazionale. Nessuno è disposto a fare la fine dei
pellirossa d'America costretti a far divertire gli oziosi e ricchi turisti. Per il momento il progetto di
Parco viene insabbiato. Poi giugno '69: per sette giorni consecutivi tutta la popolazione di Orgosolo
tiene in scacco, sui diecimila ettari di territorio comunale di Orgosolo, più di seimila militi della
brigata Trieste e circa quattromila poliziotti e carabinieri che tentano di usare la maniera forte per
imporre alla popolazione due mesi di esercitazione di tiro al proietto in territorio comunale di
Orgosolo, con conseguente cacciata di tutti i pastori dalla zona. Per sette giorni ad Orgosolo
comanda veramente il popolo che con assemblee plenarie giornaliere decide la linea di lotta e le
rivendicazioni da portare avanti. Il compromesso, a cui siamo dovuti giungere, ha lasciato un po' la
bocca amara a molti lavoratori che speravano di liberarsi definitivamente dall'oppressione militare,
poliziesca ed economica. Rimane però il fatto importante l'aver dimostrato a tutta la popolazione
della Sardegna che quando un popolo si muove unito, anche se disarmato, può sconfiggere
qualunque esercito e qualunque forma di repressione. Il nostro obbiettivo e quindi quello di riuscire
a unificare pastori, contadini, operai e studenti nella lotta comune per la riconquista della terra
rubataci dagli agrari, dagli industriali colonizzatori, dai militari e dagli speculatori turistici.
Voce femminile: quando hanno finito si suonare le campane cantiamo tutti insieme il secondo
canto.
Canto: Magnifico il Signore, misterioso salvatore
Magnifico il Signore perché ha scelto me.
Egli ha compiuto prodigi, disperse gli oppressori
Rovesciò i potenti dai loro troni d'or
Magnifico il Signore, misterioso salvatore,
Magnifico il Signore perché ha scelto me.
Ha esaltato gli umili colmandoli di beni,
[parole incomprensibili]
Magnifico il Signore misterioso salvatore
Magnifico il Signore perché ha scelto me.
Un invalido: Dopo le esperienze che hanno portato a questa vostra veglia gli operai, i baraccati della
Sicilia, i pastori di Orgosolo, non poteva mancare quella degli invalide che nella vostra Comunità
hanno un peso notevole. Non poteva mancare l'esperienza, questa nostra esperienza di pochi mesi
del nostro Comitato Unitario Invalidi, una cosa unica in Italia che abbiamo realizzato qui a Firenze,
una cosa importante. Per parlarvi del nostro Comitato Unitario Invalidi è necessario fare un po' la
storia, una storia che i vostri invalidi conoscono perché è un problema che abbiamo ampiamente
dibattuto nella grande manifestazione unitaria regionale che abbiamo realizzato a Firenze
nell'ottobre scorso ma che è bene che la vostra Comunità, in questa veglia di pace, conosca. Come è
nato? E' nato perché alcuni esponenti della Commissione provinciale per il collocamento,
rappresentanti degli invalidi, dopo alcune riunioni di questa commissione, hanno detto, hanno
concordato fra loro che se non si fosse fatto qualcosa non si sarebbe mai potuto mandare un
invalido a lavorare. La legge 482 sul collocamento obbligatorio degli invalidi, una legge che gli
invalidi si sono conquistati con anni e anni di lotta ce l'avevamo, però, per le sue insufficienze, per
le resistenze che le aziende private e soprattutto che le aziende pubbliche statali opponevano, non
diventava di pratica attuazione. Così ci siamo riuniti due, tre esponenti di questa Commissione, io
per gli invalidi de lavoro, il rappresentante degli invalidi civili, il rappresentante dei sordomuti e
abbiamo concordato di chiamare gli invalidi a lottare per far rispettare questa legge. Questo fu nel
marzo dello scorso anno. E guardate: la situazione a Firenze era soprattutto precaria, anche per la
instabilità politica che regna a Firenze ormai da qualche anno. Il Comune che ha amministratori e
non ce li ha. E pensate che al Comune di Firenze non si era ancora potuto avviare - io vi parlo di un
invalido del lavoro - nemmeno un invalido del lavoro al Comune di Firenze, due o tre invalidi civili,
perché li avevano trovati fra i loro già dipendenti. Avevano fatto loro passare le visite in
commissione e, in tre e tre sei, li avevano classificati invalidi civili. Quindi iniziammo tutta una
serie di azioni, avemmo contati con personalità politiche locali, con parlamentari, minacciammo di
portare gli invalidi alla lotta per conquistarsi questo loro diritto e li avremmo portati fin quando
finalmente riuscimmo a raggiungere un primo accordo di una piccola parte di assunzioni dal
Comune di Firenze. Da allora le cose sono assai cambiate per quello che riguarda il collocamento
anche se la legge non è completamente di pratica attuazione. Comunque le aziende private, che fino
allora avevano opposto un netto rifiuto, cominciavano anche loro a opporre un netto rifiuto dicendo:
il comune di Firenze non assume perché dovremmo assumere noi, hanno aperto, dopo l'accordo
raggiunto col Comune di Firenze, le loro fabbriche agli invalidi, così il Comune di Firenze, così la
Provincia, così in questi giorni l'ospedale più grosso di Firenze. Questo sta a dimostrare che se ci
uniamo, come ha detto prima il rappresentante degli operai, possiamo ottenere qualcosa. E guardate
che il nostro Comitato Unitario è una cosa che ci invidiano anche nelle altre città. Io ne parlavo
alcuni giorni fa con alcuni grossi esponenti della mia associazione, candidati al prossimo Comitato
Centrale, delle esperienza fiorentine del Comitato Unitario Invalidi e quando ho detto che alcune
aziende statali che per legge devono assumere soltanto a Roma ne i ministeri, ho detto loro che per
esempio il Ministero del Tesoro sta assumendo a Firenze, il Ministero dei Trasporti sta assumendo a
Firenze, proprio per la lotta che abbiamo fatto a Firenze, si sono meravigliati. Quando ho detto loro
che abbiamo fatto la grande manifestazione del 25 ottobre, che abbiamo portato a manifestare con
dignità, con grande senso di dignità, che le autorità costituite, la Prefettura ci riconobbe cinquemila invalidi per le strade di Firenze - si sono meravigliati. Quando ho detto loro che poi
successivamente siamo andati a Roma e siamo stati ricevuti dal Presidente della Camera dei
Deputati, dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e ho detto loro quello che ci avevano detto alla
Presidenza del Consiglio dei Ministri ne hanno fatto tesoro e sono venuti alle conclusioni che il
nostro Comitato Unitari Invalidi va portato su scala nazionale, soprattutto va portato su scala
nazionale perché con le Regioni, con i governi regionali abbiamo più possibilità di operare perché le
Regioni hanno maggiore libertà, maggiore autonomia da un punto di vista assistenziale. Quindi è
l'unione, come diceva poc'anzi il rappresentante degli operai parlando delle lotte sindacali, è
l'unione che ci permetterà di conquistare i nostri diritti, che ci permetterà di fare approvare, di
portare nel Parlamento leggi migliori per tutte le categorie. E concludo con una considerazione
personale. Permettetemela una considerazione personale che mi porta a dirvi questo: voi Comunità
dell'Isolotto avete una grande fede. Io vi ho seguito nelle ultime domeniche. Ho seguito le messe su
questa piazza sferzata dal vento e dal gelo, disturbata dalle campane e sarebbe proprio il caso di dire
la poesia del Giusti, toscano, di Monsummano, ricordarla la poesia del Giusti che diceva. "Mi
meraviglio che ancor ci sia qualche coglion che gliele suona". Comunque ritorno alla
considerazione personale di poc'anzi per dirvi che la vostra è una grande fede, una fede che è
arrivata a farmi pensare, io che con la fede da anni non avevo più grande dimestichezza. E un'altra
considerazione che è questa: la vostra è veramente la Chiesa dei poveri, la Chiesa che quel Gesù che
una notte, questa stessa notte di Natale, lui, padrone del mondo, il più grande, il più potente, il più
ricco, scelse per nascere in una capanna fra dei pastori. quindi la vostra è veramente la Chiesa dei
poveri, la Chiesa del Cristo.
Urbano C.: I baraccati delle borgate romane.
Voce maschile: Cari fratelli, qui ci rivediamo da i primi di novembre in cui già da Pratorotondo
eravamo venuti a parlare sulla nostra situazione, lì, nelle baracche di Roma. Vorrei dire poche
parole perché già molti hanno parlato e stiamo aspettando di vivere insieme il momento della
messa. Allora, quando ci eravamo visti, avevamo parlato di quello che si stava facendo per il
sacerdote che è con noi, padre Gerardo di cui già, penso, ancora Enzo avrà parlato e anche altri.
Abbiamo avuto la fortuna, chiamiamola, di poterlo ottenere. E' venuto il Vescovo a parlare con noi,
con tutta la gente e dopo l'assemblea non si è potuto, non si è sentito di negare di lasciarlo. E’
ritornato un'altra volta e l'ha lasciato in mezzo a noi. Quindi, come già abbiamo scritto poi una volta
qui alla Comunità. anche grazie allo sforzo, anche grazie alla sofferenza dell'Isolotto, c'è stata una
vittoria da parte dei poveri delle baracche di Roma, una vittoria sulla burocrazia ecclesiastica come
dicevano alcuni di noi negli interventi al Vescovo. Qui sono venuto a rappresentare tutti fratelli
poveri di Pratorotondo perché c'è stato comunicato da voi e perché siamo contenti di ritrovarci
insieme, di ritrovarci insieme negli stessi ideali, a vivere in questa notte per noi così significativa.
Anche a Roma questa sera c'è stato organizzato una piccola assemblea, una dimostrazione, una
preghiera diciamo, una veglia dei poveri, dei baraccati, una veglia simile, anche se con meno
partecipazione naturalmente, perché purtroppo molti, molti di noi, degli abitanti delle baracche, non
se la sentono, non se la sentono di partecipare, non hanno più fiducia nemmeno in questo.
Comunque una veglia di preghiera anche, una veglia di Natale, all'aperto, al freddo, al freddo come
è toccato a Gesù, per vivere insieme con tutti i poveri del mondo queste ore, una veglia in cui si
pregherà anche per la Chiesa che si metta i limiti per la gerarchia, anche per il papa che va in una
parrocchia dove ci sono anche dei baraccati, perché si accorga, perché si liberi, perché siamo forti
anche noi nell'aiutare, nell'aiutarlo a liberarsi dai legami che non gli fanno capire, perché le nostre
baracche che sono sul terreno dell'Immobiliare, che è del Vaticano, gli facciano capire che non è
l'andare tra i baraccati la notte di Natale o tra un gruppo organizzato bene magari anche per
l'occasione e dire delle parole più o meno buone, è una posizione di vita che deve, che devono
assumere. E' la stessa situazione dei poveri che devono condividere e quindi devono finirla, devono
cessare di esistere l'Immobiliare, tutte le azioni e tutto il legame con la ricchezza che purtroppo
ancora hanno, che purtroppo con i fatti riconoscono e che ci fa restare ed è la causa del nostro essere
ai limiti, del nostro essere ritenuti al di fuori, del nostro ritrovarci qui questa sera tutti insieme a
pregare, a vivere nello stesso spirito con cui l'Isolotto è sempre andato avanti, nello stesso spirito
che anima tutti i poveri del mondo che non ha speranza, nonostante queste campane che come al
solito suonano e che vengono ad offenderci.
Gabriella B.: Adesso leggiamo insieme la seconda lettura dal Vangelo di Luca: "Beati voi che siete
poveri perché vostro è il regno dei cieli, beati voi che ora avete fame…Guai a voi o ricchi…perché
in tal modo agivano i loro padri verso i falsi profeti". [Luca, …].
Urbano C.: La voce degli studenti greci.
Voce di un giovane: Io ho qui una lettera di una ragazza greca che l'ha scritta a nome di studenti
greci. La situazione degli studenti greci in Italia è questa: ci sono tre categorie. Ci sono quelli che
sono a favore del regime dei colonnelli, coloro che non si interessano e per loro va bene tutto e
coloro che lottano per abbattere questo regime, per far trionfare la libertà e la giustizia. Questa è una
lettera scritta in un italiano un po' sgrammaticato, comunque ora ve la leggo:
"Siamo un gruppo di studenti greci a Firenze. Ci scusiamo di non avere il coraggio di parlare
direttamente. Anche stasera presenti ci sono spie del governo greco pronti a riferire i nomi di chi
avesse l'ardire di parlare. Vorremmo solo una chiarificazione e non potendola chiedere direttamente
né alla polizia per ovvie ragioni né al Governo italiano cogliamo l'occasione per rivolgere l'appello.
Da qui ringraziamo gli amici dell'Isolotto per la loro ospitalità. Siamo circa dodicimila studenti
greci in Italia, seicento circa a Firenze. Molti di noi sono contrari all'attuale governo dei colonnelli.
Vorremmo chiedere a chi di competenza qual è la nostra attuale posizione. L'Italia, al Consiglio
d'Europa, si è dichiarata contraria al governo delle torture greco. Vorremmo sapere perché allora la
stessa polizia italiana perseguita noi studenti contrari ai colonnelli, fornendo addirittura i nomi alla
polizia ellenica, Desidereremmo una risposta da coloro che possono rappresentare questo Paese nel
quale studiamo e vorremmo ritenere una nostra seconda patria".
Mi sembra importante come prima cosa un applauso di incoraggiamento e di partecipazione per
questo loro dolore. In fondo loro sono lontani (dalla loro famiglia).
Urbano C.: Anche i negri dai ghetti di Detroit, negli Stati Uniti hanno voluto mandarci un loro
messaggio:
Voce maschile: "Fratelli e sorelle dell'Isolotto, Daniele questa estate ci ha parlato di voi e della
vostra lotta. Noi siamo un gruppo di operai neri di Detroit. Siamo neri e quindi sapete che cosa
questo significa. Siamo negri e operai, siamo sfruttati insomma. La nostra lotta è dura perché non
vogliamo soltanto stare un po' meglio, non vogliamo soltanto essere trattati diversamente dai
bianchi e non vogliamo neppure una vendetta per tre secoli di schiavitù, di linciaggi, di assassini, di
oppressione totale. Noi vogliamo una società diversa perché questo è l'unico modo per diventare
liberi. Molti studenti bianchi ora ci dicono che anche loro vogliono lottare per cambiare la società.
Allora stiamo anche con loro. Noi non siamo razzisti. Ma veniamo al dunque: Daniele ci ha scritto
raccontandoci di quello che farete per Natale e siccome ci eravamo interessati alla vostra storia ci ha
chiesto di dirvi qualcosa. Veramente ci è difficile dirvi qualcosa. Vedete: noi non crediamo più in
Dio. Per secoli questo Dio, che i bianchi ci hanno costretto ad ossequiare, ci ha detto di stare buoni,
di perdonare, di lasciare che i bianchi ci facessero del male. Questo Dio ci è stato imposto. I
predicatori, soprattutto quelli bianchi, ma talvolta anche quelli come noi, ci dicevano che eravamo
tutti figli di Dio, però intanto continuavano a chiudere le porte delle chiese a noi negri. Ora non
crediamo più e non pensiamo che sia poi tanto difficile il capire perché. Non crediamo più
soprattutto ai discorsi dell'uomo bianco. E' stato molto furbo, dobbiamo ammetterlo. Prima ha usato
la violenza per sottometterci e per impedirci di reagire, poi ci ha riempito la testa di parole, di
promesse, di sogni. Ma noi siamo sempre al punto di prima. E ora non crediamo più alle promesse,
alle parole, ai sogni dell'uomo bianco. Siamo coscienti che non dobbiamo più aspettarci qualcosa
ma sappiamo che la nostra libertà non ci verrà mai data se non ce la prenderemo. Ed abbiamo
deciso di cominciare a prendercela. Qui in fabbrica, per esempio, dovreste vedere che pandemonio
ha suscitato la nostra azione. La rivoluzione nera negli Stati Uniti è già una realtà anche se siamo
ancora divisi, ingenui, impreparati, ma sappiamo che è questione di tempo e di coraggio. Abbiamo
l'uno e l'altro. A voi e a molti altri fratelli in tutto il mondo chiediamo la vostra solidarietà. Ma in
che modo? Lottate perché la vostra lotta è la nostra. Il nemico da sconfiggere è lo stesso. Questa
estate abbiamo letto uno dei vostri bollettini che era tradotto anche in inglese, Daniele poi ci ha
spiegato le cose che non capivamo perché molte situazioni sono per noi difficili da inquadrare
nell'ambiente italiano che non conosciamo per niente. Ci pare di aver capito che la vostra lotta è
molto importante perché è ispirata dalla giustizia e da un vero internazionalismo degli oppressi ma
non sta a noi giudicare se siete cristiani o no. In fondo ne sappiamo poco però il Cristo di cui parlate
ci sembra un po' negro ed allora lo sentiamo vicino. Anche voi quando siete colpiti dal potere dei
padroni d'Italia e dal Vaticano siete un po' negri. Noi non pensiamo che il nero sia un colore della
pelle. Nel mondo il nero è il colore degli oppressi e noi - è uno slogan che ripetiamo spesso - non
siamo oppressi perché abbiamo la pelle nera, siamo negri perché siamo oppressi. La notte di Natale
per molti nostri fratelli sarà una notte come le altre, fredda, con la disperazione di non avere un
tetto, con la disperazione di avere fame, con la disperazione che li fa imbottire di droga per non
sentir fame, per non sentir freddo, per non sentirsi inutili. E' bello pensare però che in quel
momento ci sarà qualcuno che lotta insieme a noi. Questo è forse l'unico legame che ci unisce. Noi
afroamericani ci stiamo unendo ora in tutti gli Stati Uniti, perché abbiamo capito che la
discriminazione e la fame che sentiamo hanno una unica origine: l'imperialismo dei padroni a
livello internazionale. Allora se il vostro papa non vuole essere un padrone, come a noi sembra che
sia, ditegli di venire a vivere qui nei nostri ghetti, ditegli di andare nel Vietnam a Song-Mi, ditegli
di andare nel Biafra, ditegli di andare nelle campagne del Sud d'Italia a lavorare, ditegli di essere
diverso insomma. Noi non ci aspettiamo molto dalle Chiese cristiane, cattoliche o protestanti, però
voi ci sembrate essere una speranza. Continuate a lottare, non fermatevi. Sarebbe un brutto colpo
anche per noi. Grazie. Lega degli operai negri rivoluzionari di Detroit".
Urbano C.: Ora comincia la parte conclusiva del nostro Natale con la messa celebrata dal nostro
Enzo e da don Borghi e da Ruiz Gonzales. E ora cantiamo: "Noi ce la faremo". Rimaniamo in
cerchio e rimaniamo buoni, come Gesù bambino.
Canto: So che riusciremo
So che riusciremo
Sì, la spunteremo un dì!
Oh! Dal profondo del cuor
Nasce la mia certezza
Che noi ce la faremo un dì!
Bianco e nero insieme
Bianco e nero insieme
Bianco e nero insieme un dì
Oh! dal profondo del cuor
Nasce la mia certezza
Che noi ce la faremo un dì!
Non aver paura…
Urbano C.: Pregano noi che siamo dentro di rimetterci in cerchio. Quando poi sarà il momento della
comunione, dato che abbiamo diversi sacerdoti, penso che sarà opportuno che rimaniamo in cerchio
e che i sacerdoti si spostino magari per tutto il cerchio a dare la comunione per non creare troppa
ressa. Cerchiamo di spostarci il più possibile.
Enzo M.: Nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Amen. Fratelli, prima di celebrare i
santi misteri riconosciamo i nostri peccati…[La messa prosegue secondo il rituale. La lettera di San Paolo a Tito viene letta da
Ruiz Gonzales: "Carissimi si è manifestata a tutti gli uomini la grazia di Dio nostro Salvatore…insegna e raccomanda queste cose in Gesù Cristo
nostro Signore (….); il Vangelo viene letto da Bruno Borghi: "Dal Vangelo secondo Luca: In quel tempo uscì un editto di Cesare Augusto…gloria a
Dio nell'alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà" (Lc. …).
Enzo M.: Questo vangelo non è il momento di commentarlo. Anzi, direi, sarebbe l'ora che i
Vangelo si smettesse di commentarlo e si cominciasse a viverlo. Effettivamente si commenta il
Vangelo quando si vive poco probabilmente, quando si mette poco in pratica. La spiegazione del
Vangelo noi l'abbiamo già avuta: la veglia che abbiamo fatto, le cose che ci hanno dette queste
persone, questi fratelli che sono venuti in mezzo a noi a portarci la testimonianza di una profonda
unione che c'è e che sta nascendo in tutto il mondo tra le persone del popolo, tra le persone che
hanno sempre contato poco e che ora incominciano a muoversi, incominciano a prendere coscienza,
incominciano a cercare di costruire con le loro mani questa pace che i grandi non hanno mai saputo
costruire, anzi che hanno cercato sempre di distruggere coprendo la distruzione con parole di pace
che non erano veramente pace. Dunque il commento al Vangelo lo abbiamo già udito. Il Vangelo
non chiede di essere commentato, il Vangelo chiede la nostra conversione, ci chiede di convertirci
nei fatti, il Vangelo ci chiede di scegliere. Anche oggi noi sappiamo che la nascita di Cristo è viva, è
una realtà attuale. Sarebbe inutile che Cristo fosse nato una volta e non continuasse la sua nascita, la
realtà viva della sua nascita di epoca in epoca. Cristo nasce sempre e Cristo, come allora, impone
una scelta a noi. Ha detto Gesù: "chi non è con me è contro di me". "Non si può servire a due
padroni: non si può servire insieme a Dio e al danaro". Chiede il Vangelo una scelta. E questa sera,
lo stesso, ci è stata posta davanti una scelta. E ogni giorno ci viene posta questa scelta. E ogni
generazione si trova di fronte a una scelta. Ecco che cosa ci chiede il Vangelo: scegliere. Che cosa
scegliere? Quando è nato Gesù noi vediamo che gli uomini si sono trovati divisi in due sentieri, in
due strade: da una parte Erode che fa la sua scelta. La scelta di Erode la si conosce bene: uccidere
Gesù e tutti quelli che assomigliano a Gesù, i bambini. Uccidere, distruggere. Per che cosa? Per
costruire la pace. Lui lo faceva per costruire la pace, per l'ordine, per mantenere l'ordine. In realtà
sappiamo che era per mantenere i privilegi. Distruggere: ecco la scelta di Erode. E con Erode la
scelta della distruzione la fanno i sacerdoti che lui interroga. Vi ricordate, va ad interrogare i
sapienti, i sacerdoti, l'istituzione religiosa di allora, l'istituzione, l'istituto ufficiale, la gente bene di
Gerusalemme, perché a Gerusalemme, la capitale della Palestina ci stava la gente che aveva le
poltrone a Gerusalemme, i posti onorifici, i posti che portano molto danaro nelle tasche. A
Gerusalemme ci stava la gente bene. Erode con Gerusalemme, con tutto quello che rappresentava
Gerusalemme, col tempio e con chi ci stava dentro, fanno questa scelta: distruggere. I pastori fanno
un'altra scelta: andare verso Cristo. E perché Erode fa la scelta di distruggere? Perché Erode stava in
un palazzo, perché Erode aveva tutto quello che aveva da difendere. I pastori fanno la scelta di
andare verso Gesù con entusiasmo perché stavano a sedere intorno a dei fuochi all'aperto: non
avevano nemmeno una casa da difendere. Non avevano da difendere una reputazione perché ormai
erano considerati esclusi, i rifiuti della società di allora i pastori. Era gente che non veniva
considerata gente educata, che non veniva considerata religiosa perché non mettevano in pratica le
leggi di allora, era gente che viveva alla macchia, erano considerati ladri. Si diceva: non comprate le
pelli che vendono i pastori, nemmeno il latte che vendono perché potrebbe essere, anche il
formaggio, roba rubata perché sono tutti ladri, dicevano a quel tempo. I pastori erano considerata
gente poco per bene, da tener distante, gente sporca, gente che viveva una vita indegna, indecente.
Ecco questi pastori non avevano da difendere la reputazione, nulla avevano da difendere e vanno
verso il Signore, verso Gesù e diventano i testimoni di Gesù. Ecco le due scelte che si posero, le due
strade che furono a fondamento della scelta quando nacque Gesù. E oggi è la stessa cosa: due scelte.
Noi siamo chiamati a fare questa scelta. Due strade dico, siamo chiamati a fare questa scelta: la
scelta di chi distrugge o la scelta di chi costruisce, la scelta dei potenti, dei ricchi, di coloro che ci
riempiono le case di doni di Natale, di coloro che ci riempiono le case di belle cose, di frigoriferi e
di altre cose, la scelta di chi distrugge, la scelta di chi spende in un anno centottantatré milioni di
milioni di dollari per armamenti, questa scelta qui possiamo fare per distruggere la faccia della
terra. E' la scelta non della pace, non dell'unità, non è la scelta della fraternità. E' la scelta della
distruzione del genere umano. Noi possiamo fare questa scelta se vogliamo. E spesso noi, come
cristiani, siamo portati a fare questa scelta, perché l'istituzione ecclesiastica, a cui noi apparteniamo,
ha fatto questa scelta, perché è una istituzione che si basa sulla ricchezza, sulla potenza, lo
sappiamo bene. E per non fare questa scelta bisogna ritornare indietro, convertirci. Convertirci vuol
dire ritornare indietro. Dobbiamo resistere, dobbiamo andare contro corrente, dobbiamo stare al
freddo, dobbiamo lottare. Possiamo scegliere questo, la scelta dei ricchi, de potenti, la scelta della
distruzione del mondo e possiamo scegliere invece, possiamo seguire la scelta invece dei poveri, la
scelta che hanno portato qui in mezzo a noi le persone che hanno parlato prima. Ecco perché è
importante tener conto che la spiegazione migliore del Vangelo ci è venuta da loro. La scelta dei
poveri, una scelta che a volte ci fa tremare, che a volte ci fa pensare, che a volte ci turba perché a
volte i poveri hanno rabbia in corpo, perché hanno fame, gridano, a volte si ribellano. I negri che ci
hanno scritto quella lettera a volte si ribellano, rompono le vetrine, ci fanno paura. Noi, sciocchi, si
ha paura dei neri che rompono qualche vetrina e non si ha paura di quelli che spendono
centottantatré milioni di milioni di dollari in armamenti. Ma capite quanto siamo pazzi? La scelta
dei poveri, che a volte fa un po' di paura, ma è la scelta giusta, è la scelta dei pastori che sono andati
incontro a Gesù e l'hanno trovato Gesù. Perché lo hanno trovato Gesù? Erode non lo trovò. Lo
trovarono i pastori perché Gesù si trovava sulla loro strada, perché è la scelta di Gesù, perché è la
scelta, la strada sulla quale si trova Gesù, quella dei poveri. A noi ci chiedono di essere disponibili
alla riconciliazione, alla unità, alla pace. Bene! Dobbiamo essere disponibili sempre alla
riconciliazione, alla unità e alla pace ma su questa strada, non sulla strada di Erode, non sulla strada
della distruzione. Perché se fossimo disponibili alla riconciliazione su quella strada lì noi saremmo
dei pazzi, saremmo dei disgraziati. Noi aiuteremmo il mondo ad andare verso la distruzione. Noi
dobbiamo essere disponibili alla riconciliazione e alla unità e alla pace sempre sulla strada dei
poveri, sulla strada di coloro che costruiscono la pace nella giustizia, sulla strada che ci è stata
indicata da una persona che noi dobbiamo sempre ricordare, dal cardinale Dalla Costa. Lo sapete
che cosa aveva scritto nello stemma il cardinale Dalla Costa? Aveva scritto nel suo stemma: "La
pace viene dalla giustizia", dalla giustizia la pace. Questo è veramente un motto che ci sta bene a
mano. Lo stemma del cardinale Dalla Costa diceva: dalla giustizia la pace. Solo sulla giustizia si
può costruire la pace, solo su questa strada, solo facendo questa scelta noi andremo incontro a Gesù
e lo troveremo veramente tutti uniti. Il messaggio che parte dall'Isolotto questa notte qual è? E'
questo: andiamo insieme ai pastori, andiamo insieme agli operai che ci hanno parlato oggi delle loro
lotte, delle loro sofferenze, di queste buste che questo Natale saranno dimezzate ma per un
obbiettivo ben preciso: per la pace. Hanno pagato: per la pace. Andiamo insieme ai terremotati della
Sicilia che questa notte passano il Natale anche loro all'aperto. Andiamo insieme ai pastori di
Orgosolo, andiamo insieme ai Baraccati di Roma, di Torino, di Milano che lottano per avere una
casa, per avere una dignità. Andiamo insieme a tutti coloro insomma che lottano per un mondo
giusto, per costruire la pace sulla giustizia e convertiamoci, cioè torniamo indietro dalle strade che
portano verso la distruzione. Ecco il messaggio che parte dall'Isolotto. Troveremo così il Cristo,
troveremo l'unità, troveremo così veramente la pace che tanto sospiriamo e che tanto attendiamo.
Lascio ora la parola a Ruiz Gonzales.
Ruiz G. :Mi piace non avere parlato prima fra tutti quelli autentici costruttori di pace e invece
parlare adesso come prete spagnolo, dopo di Enzo, perché posso dire proprio quello che mi ha
toccato profondamente quelle dette che il Vangelo è una scelta. Umilmente devo confessare che io
non sono uno di quelli che hanno fatto la scelta fino al punto di accostarsi decisamente al lato dei
più umili con tutto quello che questo riporta, che fa una nuova vita di uno, piena di amarezze e allo
stesso tempo di gioie ma che si deve fare. Io forse ho appartenuto piuttosto a quella razza di uomini
della quale parla anche il Vangelo che non è né Erode, né i potenti di Gerusalemme, né i pastori, ma
sono quelli scribi, dottori della legge, preti che si trovano accanto a Erode ai quali egli consulta.
Infatti ho finito gli studi di Sacra Bibbia a Roma e vado adesso come professore in Spagna e sono di
quelli. E gli danno il consiglio giusto e allo stesso tempo si impauriscono con tutta Gerusalemme e
hanno paura. E proprio oggi, in questa notte de Natale, un anno giusto dopo avervi conosciuto la
prima volta, quando sono venuto qui proprio per curiosità perché era una vicenda di cui se ne
parlava e io dovevo ritornare in Spagna e così potevo parlare di qualcosa interessante dal punto di
vista ecclesiologico. Sono venuto e all'inizio non capivo tutto e, proprio seguendo tutta la vicenda, i
Notiziari e le tre diverse visite che sono venuto a fare, che almeno ho visto chiaro che questi stessi
discorsi di oggi, che adesso mi sembrano così cristiani, che hanno toccato proprio il nucleo del
cristianesimo, e che sempre lo vedo più chiaro e sempre che studio e faccio più esegesi e studio
della Bibbia lo vedo sempre più chiaro, questo un anno fa mi sembravano discorsi quasi comunisti.
E' stato a voi che lo devo questo. Vi ringrazio e vi dico che per il momento ho già quella clarità
(chiarezza) che (è) il primo passo per dare dopo gli altri passi, per liberarsi di quella paura che
hanno a Gerusalemme tutti quelli dottori della legge. E poi speriamo che abbia anche il coraggio di
fare quella scelta che è l'unica giusta.
[Continua la celebrazione della messa con la recita comune del credo di cui sono registrate solo le prime parole. Poi la registrazione viene sospesa
fino al padre nostro]
Diciamo quella pagina di Vangelo che è il Padre nostro.[Viene recitato comunitariamente. Poi prosegue tutto registrato
fino al congedo e la benedizione]
Enzo M.: Come abbiamo deciso, anche domani mattina alle undici, alle undici e non alle dieci e
mezzo, alle undici precise però faremo di nuovo la messa qui in piazza. Io vi do a tutti la buona
notte e portate gli auguri a tutti i vostri cari: ai vostri bambini, ai vostri familiari e ai malati
specialmente che ce ne sono tanti a letto in questo momento. Buona notte.
[Su gli accordi di chitarra per un canto finale termina la registrazione della veglia di Natale del 1969].
Scarica

1969.12.24 - Comunità dell`Isolotto