Il Santamarina, Salina e la II guerra mondiale nelle Eolie
Una borghesia vivace e intraprendente
Nel primo dopoguerra a Salina, grazie alle rimesse degli emigrati, fa la comparsa una banca. E’ la
Cassa di risparmio Vittorio Emanuele per le provincia siciliane che apre uno sportello a Santa
Marina. Qualche anno dopo, nel 1920, nasce la Società anonima cooperativa di produzione e lavoro
“Santa Marina” che diventa la più importante impresa di costruzione dell’arcipelago. La gran parte
delle opere pubbliche dell’isola le vengono affidate e non sono poche fra difese degli abitati,
costruzione di banchine, e realizzazione della rotabile S. Marina- Lingua. Ma le opere pubbliche
non sono che il volano capace di attirare anche investimenti privati. Così nell’arco di cinque anni
l’impresa si consolida e da lavoro stabilmente a cinquanta dipendenti.
Ora i momenti della crisi sembrano veramente lontani e l’isola vive un momento di grande euforia
che traspare nei discorsi ufficiali e nelle celebrazioni che accolgono la venuta nell’isola di Umberto
di Savoia, principe di Piemonte, il 22 agosto del 1923. A fare gli onori di casa al principe è il prof.
Giuseppe d’Arrigo, clinico napoletano conosciuto a corte ed amico del colonnello Giuseppe Giuffré
uno dei personaggi più in vista di Salina.
Santa Marina Salina. L’inaugurazione della centralina elettrica a destra si intravede la targa
dedicata al donatore Antonio Traina.
Il 30 novembre dello stesso anno – con circa tre anni di anticipo su Lipari - a S. Marina si inaugura
la prima centrale elettrica delle Eolie. Si tratta di un regalo di Antonio Traina emigrato a New York
a cui i salinari dedicano una lapide marmorea. Ma è l’occasione per spingere lo sguardo oltre
l’orizzonte. E nei discorsi celebrativi si parla di riprendere le vie del mare in cui gli abitanti di
Salina si sono distinti.
Forse è qualcosa di più di un auspicio e può darsi che chi parla sappia che qualcosa sta maturando
in questo settore. Infatti poche settimane prima Gaetano de Luca, Carmelo Biscotto e Giuseppe
Arena erano sbarcati a Napoli con una nave acquistata a Marsiglia di 273 tonn. di stazza lorda
abilitata a trasportare 150 passeggeri d’estate e 62 d’inverno. Il 20 ottobre immatricolano il vapore
in Italia col nome “Vulcano”. E’ il primo nucleo di un progetto che diventa subito ambizioso:
costituire una società che gestisca tutti i servizi di collegamento da e per le Eolie.
A sinistra, Mons. Paino con i maggiori azionisti dell’Eolia e a destra l’Ammiraglio Luigi Rizzo.
Ma per fare questo bisogna avere entrature nel governo a cui spetta decidere sulle convenzioni
marittime. E come arrivarci? Il pensiero corre subito a mons. Paino, satamaritano e figlio di
santamaritani, che da poco è divenuto arcivescovo di Messina ed è in buona sintonia con il regime.
A mons. Paino gli parlano del progetto il col. Giuffrè ed il cugino del prelato, Salvatore Re, l’estate,
quando il vescovo torna a casa in vacanza. Ed al primo incontro ne seguono altri ai quali prenderà
parte anche l’ammiraglio Luigi Rizzo, nativo di Milazzo, medaglia d’oro al valore e, nel 1918, con
d’Annunzio e Ciano, protagonista della cosiddetta “beffa di Buccari”. E proprio Luigi Rizzo sembra
la persona più indicata per caldeggiare il progetto a Galeazzo Ciano che è ministro della marina
mercantile.
Verso la nascita di una società di navigazione
Avuto un consenso di massima, mentre si segue a Roma presso il Ministero la trafila per la
concessione, si cominciano a raccogliere i fondi per costituire la società. E quando il 3 novembre
1925 vengono firmate le concessioni con il Ministero ed il 9 dicembre viene pubblicato il decreto
che ufficializza la concessione, nulla più si frappone alla sua costituzione.
Così, quattro giorni prima di Natale, nella casa di Bartolo Giuffré, uno dei promotori e dirigenti
della cooperativa di produzione e lavoro, davanti al notaio, ben sessantadue soci sottoscrivono l’atto
costitutivo della Società Eolia Anonima di Navigazione la solennità del momento è sottolineata
anche da un espediente scenico. Il col. Giuffrè tira una cordicella e dal soffitto scende un grande
telo con lo stendardo della nuova società: una ancora che incrocia la bandiera della Trinacria con
sette stelle contornata da un ovale con il nome della impresa. L’ammiraglio Rizzo viene nominato
per acclamazione presidente della Società.
La bandiera della Società Eolia di Navigazione.
Costituita la società al piroscafo “Vulcano” si aggiungono l’”Adele”, il “Flora” e l’”Etna” che
vengono acquistati.
Ora l’Eolia ha una sua flotta è può iniziare il servizio mentre vicino agli approdi delle isole, a
Napoli e Messina si aprono le agenzie di riferimento. Toccherà all’Adele inaugurare i servizi il
primo gennaio 1926 portando a Santa Marina l’amm. Luigi Rizzo.
Nella compagnia l’entusiasmo è alle stelle e dopo appena cinque mesi di attività – il 6 giugno 1926
– un’assemblea dei soci convocata nella nuova sede in via Risorgimento a S. Marina Salina, decide
di raddoppiare il capitale sociale e di potenziare la flotta facendo costruire tre nuovi piroscafi. Il
raddoppio del capitale pone un problema che peserà sul futuro della società anche negli anni a
seguire. Dove collocare le nuove azioni? Rivolgersi al più ampio mercato col rischio di farsi
sottrarre il controllo della società o limitare la sottoscrizione alle sole famiglie di Salina magari
coinvolgendo quelle che sono emigrate? Così la campagna promozionale per la collocazione delle
nuove azioni procede a rilento mentre incalza l’esigenza di attuare il piano di armamento. E mentre
si ottiene dal Consorzio Governativo di credito un prestito di oltre 5 milioni, nel marzo del 1927 i
cantieri di Palermo ricevono la commessa del primo piroscafo.
Si crea comunque un deficit di bilancio che si cerca di coprire vendendo nuove azioni. Il 28 aprile
1928 in una lettera circolare ai nuovi azionisti si fa il punto della situazione: occorre arrivare in
fretta a completare la sottoscrizione di tre milioni di capitali per cui si invita chi è già socio ad
acquistare almeno una azione a testa, ed a farsi propagandista della “bella iniziativa con i vostri
congiunti ed amici sia in patria che all’estero perché sottoscrivano con voi”. Nel procurare nuovi
soci si raccomanda però “che essi siano tutti Eoliani, affinché questo potente organismo abbia
sempre più a sviluppare la propria benefica attività, particolarmente a vantaggio della laboriosa
famiglia eoliana[1]”.
Santamarina, primo piroscafo dell'Eolia
Il 19 novembre del 1928 viene varato a Palermo il primo piroscafo interamente nuovo della
compagnia che viene battezzato “Santamarina”. L’entusiasmo nell’isola è alle stelle. In un elegante
opuscolo il col. Giuffrè descrive le caratteristiche di questo modernissimo naviglio che ha una
stazza lorda di 762 tonnellate ed una portata di carico nelle stive per 450 ton. I motori sono dotati
della potenza di 1.080 cavalli capaci di imprimere alla nave una velocità oraria di 14 miglia. “Le
cabine di prima classe e il relativo salone, al centro del piroscafo, offrono al passeggero tutto il
confort per rendere piacevole il viaggio. Le due cabine di lusso, con annesso salotto sul ponte di
passeggiata, sono arredate con signorile eleganza. Complessivamente i posti di classe superiore
con letti sono 50. La terza classe è situata a poppa. Ha una comoda saletta, una passeggiata,
cabine da 4 e 6 posti, per un totale di 36 letti, con reparto separato per le donne. Anche i meno
abbienti possono, così, godere delle comodità necessarie. Una biblioteca di 80 volumi è stata
offerta, con geniale, civilissima iniziativa, dal comitato di signore e signorine sorto in Santa
Marina, che ha pure donato la bandiera sociale ricamata con volontarie offerte”.
Due immagini interne del Santamarina.
Sembra che lo sviluppo della società non debba mai arrestarsi. Non si é ancora spento il clamore per
il Santamarina che il 7 ottobre del 1929 il quindicinale “Risveglio eoliano” annuncia che ad Ancona
è stato varato il “Luigi Rizzo” piroscafo quasi gemello del Santamarina.
Aumenta l’esposizione economica e la passività di Bilancio mentre ancora non tutti i 3 milioni di
capitale risultano coperti. I soci di minoranza che, si dice, siano sostenuti da gruppi finanziari del
nord, scalpitano per acquistare loro le azioni rimanenti ma i soci di maggioranza resistono. La
gestione del primo quinquennio degli anni trenta da risultati positivi e così si decide di completare il
piano di armamento ed il 16 febbraio del 1936 da Palermo viene varato il terzo piroscafo chiamato
“Eolo” che ha una stazza lorda di 703,84 tonn.
I buoni risultati della gestione e il mantenimento del piano hanno un effetto tonico sull’immagine
dell’Eolia e la domanda di acquisto di azioni si intensifica. Il cav. Giovanni Alberto Giuffrè che ora
rappresenta la maggioranza della compagnia dopo la morte del colonnello Giuffrè avvenuta il 10
maggio 1936, può eludere molte richieste di acquisto ma non quelle dell’amm. Luigi Rizzo che non
vuole continuare a svolgere solo una funzione onorifica ma desidera divenire anche lui azionista.
Ma quando nell’assemblea dei soci del 27 settembre 1937 la minoranza scopre che sono state
cedute quote a Rizzo e altri ma è stata ignorata la sua precedente offerta contesta l’operato. Per tutta
risposta la maggioranza fa votare dall’Assemblea una risoluzione che abbassa il capitale sociale a
quota 2.300.000 cioè la quota sottoscritta. La minoranza si rivolge allora al Tribunale di Messina
che però nel maggio del 1939 respinge il ricorso.
In alto, una locandina del film. Qui sopra, gli attori con al centro Primo Carnera la “star” del
fim ed alcuni estimatori.
Nel 1938 il Santamarina partecipa alla produzione di un film “Traversata nera” della Sovrana film
che ha fra i protagonisti anche Primo Carnera. Il film non ha successo ma la Società è soddisfatta
ugualmente per avere mostrato a livello nazionale i lussuosi arredi della sua nave ammiraglia.
Comunque a Salina nessuno vedrà il film perché non esistono sale cinematografiche.
Il triste epilogo della società Eolia
Intano però a frenare e bloccare i sogni di gloria arriva la seconda guerra mondiale. Ed è l’Eolia a
farne le spese. Nel novembre del 1940 la marina militare requisisce l’Eolo e lo spedisce nel mare
Egeo: tornerà nell’arcipelago solo a febbraio del 1948. Dopo poche settimane viene requisito anche
il Vulcano che verrà affondato a Tobruck. Il 9 maggio del 1943 – come vedremo più avanti – viene
silurato il Santamarina a largo di Vulcano ed affonderà con 43 vittime. Infine il 19 settembre dello
stesso anno nello Stretto di Messina, il Luigi Rizzo ha una collisione ed affonda.
Il consiglio di amministrazione presieduto da Salvatore Re cerca di reagire a questa incredibile
successione negativa riattivando i servizi attraverso piccoli motovelieri e noleggiando il piroscafo
Nesazio. Ma i traffici si sono molto ridotti. In più si aggiunge nell’estate del 1945 un drammatico
incendio nel versante est dell’isola e quando, in autunno giungeranno alluvioni e frane verrà
spazzata via i tre quinti delle proprietà coltivate a S. Marina. Si va avanti in qualche modo
noleggiando altri piroscafi all’esterno – come il Pola e il Rismondo – o indebitandosi nel recupero
del Luigi Rizzo e questo facendo leva su sovvenzioni e contributi governativi. Ma lo scenario
rimane cupo. Di questa situazione di incertezza ne approfitta il dott. Francesco Santisi nativo di
Scaletta Zanchea che tornato da Boston dopo un certo periodo in cui aveva insegnato inglese nelle
scuole di Mesina si era impiegato alla Eolia dove nel 1944 era divenuto procuratore generale del
gruppo con l’incarico di curare la liquidazione dei danni di guerra.
Con lo sbarco degli alleati aveva collaborato col comando ed aveva cercato di recuperare il
piroscafo Eolo guadagnando considerazione e prestigio nella società. Quando Gaetano de Luca
diventa Amministratore delegato il Santisi stringe una alleanza di ferro con lui mentre prende a
coltivare i rapporti politici con l’on. Gaetano Martino, deputato liberale di Messina. Ed è grazie a
questo appoggio che tra la fine del 1947 ed i primi del 1948 riesce ad ottenere un primo contributo
governativo straordinario per coprire le spese del recupero del Luigi Rizzo. Infine il 30 giugno del
1949 viene eletto Amministratore delegato della Società e poi anche presidente del Consiglio
d’Amministrazione e presidente dell’Assemblea. Quando nel 1949 muore il suo socio De Luca
riesce a farsi cedere la sua quota azionaria. Ma è una situazione abbastanza delicata perché è
vivace l’opposizione dei salinari che gli rimproverano soprattutto il fatto di avere spostato la sede
del la Società da S. Marina a Messina.
L’11 febbraio del 1952 giunge la legge n. 74 che autorizza la rivalutazione delle azioni fino a
quaranta volte il valore nominale. Ed è facendo leva su di essa che Santisi punta ad acquisire la
grande maggioranza delle azioni e contemporaneamente chiudere l’Eolia le cui convenzioni sono
in scadenza. Santisi si allea con l’armatore liparese Giovanni La Cava, costituiscono una nuova
società regolarmente iscritta all’Albo delle imprese mercantili e decidono di partecipare alla gara
per acquisire le nuove concessioni. Alla gara partecipano anche la Navigazione Generale Italiana
(N.G.I.) che ha come principale azionista Bartolino La Cava che è cugino di Giovanni e come
presidente l’on. Stagno d’Alcontres, e la Compagnia Siciliana Marittima Navisarma con sede a
Palermo e Trapani. La società di Santisi e La Cava viene esclusa dalla competizione perché
incredibilmente Giovanni La Cava si dimentica, malgrado se ne fosse assunto il compito, di versare
la cauzione prevista; la NGI viene esclusa perché il suo presidente è un parlamentare e questo è
incompatibile col bando e la gara la vincerà la Navisarma. Si chiude così la gloriosa e sofferta
pagina dell’Eolia forse la più importante società promossa nell’arcipelago.
Fra paura e disagi della guerra
Con l’arrivo della guerra il 10 giugno 1940 comincia per gli eoliani un duro periodo di difficoltà, di
incertezze, di lotta per la sopravvivenza. Lipari vedrà la guerra da vicino solo poche volte ed in un
solo caso essa procurerà dei morti. Oltre all’evento dell’affondamento del Santamarina su cui ci
soffermeremo due altri episodici di natura bellica furono registrati nelle isole. Nel 1942 un
sottomarino inglese silura l’incrociatore Bolzano della Marina nelle acque di Panarea e negli stessi
mesi – ricordano gli anziani che vissero quegli anni – ci fu una sorta di mobilitazione popolare per
dei volantini che erano stati trovati per le strade con su scritto “Cittadini scappate del mare che
stanotte bombarderemo”. Non si seppe mai se veramente questo volantino fosse destinato a Lipari o
era lì giunto o per un disguido o per lo scherzo di qualche bontempone – non mancano mai
nemmeno nelle situazioni meno opportune – che l’aveva raccolto a Messina o in altra parte della
costa tirrenica. Il fatto è che la notizia del volantino passò di casa in casa e nel pomeriggio ci fu un
esodo verso le campagne di intere famiglie con i beni di prima necessità. Poi la notte non
bombardarono. Ci fu solo un rapido volo di aereo che gettò sull’area del porto spezzoni incendiari
per illuminarlo e poi andò via. Fu una notte a metà fra una veglia carica di preoccupazioni per le
case, il futuro e la scampagnata paesana. Comunque l’indomani mattina la maggior parte dei
liparesi tornò alle sue case archiviando l’evento.
Il caso di Stromboli
Forse l'unica isola che visse in un vero e proprio stato di guerra, presidiata da una guarnigione
tedesca fu Stromboli. Sulla vicenda dell'occupazione dell'isola, dei rapporti con gli abitanti e quindi
dell'arrivo degli americani dopo l'occupazione della Sicilia ne parla in un libretto di ricordi di suo
nonno Fabio Famularo. Sugli eventi narrati da questo libro pubblicheremo una scheda a parte.
Ma se non ci furono bombardamenti ed azioni cruente sul territorio non per questo alla
popolazione furono risparmiati disagi e sofferenze[2]. I cibi cominciarono a scarseggiare e alcuni
beni di prima necessità – il pane, la pasta, lo zucchero, ecc. – erano razionati a mezzo di una tessera
familiare. La carne si poteva acquistare una sola volta la settimana – per solo 100 grammi – con
lunghe file estenuanti di fronte alle macellerie autorizzate. Si consumava farina di mais ed anche di
piselli e il pane aveva a volte un colore assai strano. Il caffè era quello ottenuto dai ceci o dall’orzo.
“Quando mio padre – ricorda Renato De Pasquale allora appena ventenne – portava in casa un
chilo di farina di grano o un etto di caffè era una vera festa. Per chi disponeva di sufficiente denaro
era tuttavia facile ricorrere al mercato nero, assai florido e diffuso in quel tempo. Nacque così
l’intrallazzo cioè l’arte di arrangiarsi”[3].
Pur in un clima di totale censura per le informazioni resa più efficace dall’insularità, qualche notizia
sul reale andamento del conflitto filtrava anche a Lipari e che le cose non andavano bene la gente
comincia a capirlo perché alla propaganda euforica dei primi mesi fa seguito,nel tempo, un silenzio
sempre più assordante e così il pessimismo comincia a serpeggiare. Anche le modalità dell’austerità
e dell’autarchia che in un primo momento erano state accettate quasi con divertito interesse e così si
canticchiava la canzone – in perfetta sintonia con la propaganda fascista - sull’”orticello di guerra”
e alcuni riconvertivano il pezzetto di terreno vicino casa seminando ortaggi invece di fiori, col
tempo divengono sempre più pesanti e accolti con insofferenza. Così è per l’oscuramento e la
limitazione della luce elettrica a cui ormai da quasi quindici anni la gente si era abituata.
Dall’imbrunire all’alba i paesi e le città dovevano rimanere al buio e dalle finestre e dai balconi non
doveva filtrare alcuna luce.
Un’altra occasione di disagio erano divenuti i trasporti marittimi. Requisiti i piroscafi della Eolia,
Vulcano, Luigi Rizzo ed Eolo rimaneva a svolgere il servizio regolare solo il Santamarina fino a
quando il 9 maggio del 1943 non fu affondato da un sommergibile inglese. L’evento fu un grande
dramma per la popolazione eoliana perché nell’affondamento perirono 61 persone e non ci fu
famiglia che non fosse toccata dalla tragedia.
L'affondamento del Santamarina
“Quel giorno a Lipari si era svolta nella mattinata la “festa dell’impero” – scriveva Bartolino
Ferlazzo su “Questeolie” dell’8 aprile 1993 – con grande partecipazione di pubblico, come
succedeva in quegli anni. Nel pomeriggio intorno alle 15 e 10 il piroscafo salpava gli ormeggi da
Marina Corta per far rotta su Vulcano- Milazzo… Il mare era particolarmente mosso, ma
certamente non metteva in crisi una imbarcazione che per quel tempo era considerata
d’avanguardia. Lasciato lo scalo di Vulcano. il Santamaria proseguiva speditamente il suo percorso,
quando a nove miglia da Lipari e non più di tre o quattrocento metri da Punta Luccia, un siluro
lanciato da un sommergibile inglese, lo colpiva al centro ed esattamente all’altezza della sala
macchina spaccandolo in due e facendolo colare a picco in pochissimi minuti: portandosi dietro il
suo immane carico di morte e disperazione.
L’equipaggio del Santamarina con il Comandante Basile (il terzo da sinistra).
Ma non sarà il solo e unico siluro ad essere lanciato dallo scafo inglese perché all’accorrere del
motoscafo della polizia marittima che era di stanza a Pignataro ne viene sparato un secondo che non
centra lo scafo grazie alla poca chiglia di cui era dotata l’imbarcazione. Cosa sarebbe potuto
succedere, ci domandiamo ancora oggi, se questo attacco fosse stato portato nella mattinata di quel
triste giorno, quando a bordo del Santamarina si trovavano circa 200 giovani in partenza per la
visita di leva? A bordo in quest’ultimo viaggio avevano preso posto 73 passeggeri (oltre a 17
membri dell’equipaggio), molti dei quali non hanno più visto la loro terra, le loro isole, i loro
parenti”[4].
La paura, lo sgomento e la disperata lotta per salvarsi emerge dal racconto di un testimone,
Antonino Biviano che lo racconta a Chiara Giorgianni sempre per Questeolie. “ Mi trovavo sul
ponte ed ero in compagnia di due amici, Domenico Barca e Angelino Mazza. Eravamo seduti su un
banchetto quando all’improvviso l’esplosione…Riprendendomi vidi Domenico con il capo
rovesciato in avanti, era morto. Angelino si era invece già buttato in mare.
L’affondamento del Santamarina in un dipinto-ricordo di Giovanni Giardina.
Mi sono immediatamente reso conto di quello che era successo e cercai, nonostante le gravi ferite
al volto, di portarmi in salvo… Quando fui in mare vidi il piroscafo, ormai tagliato in due,
inabissarsi, trascinando con se nel risucchio, coloro che per impotenza o per paura non riuscirono
a fare nulla per se stessi. Ricordo Domenico detto “u curtu” aggrappato all’asta della bandiera del
Santamarina, terrorizzato non riusciva a staccarsene. Il caso volle che saltasse un banchetto da lui
istintivamente afferrato; fu proprio quel banchetto di legno a trarlo in salvo. Salii insieme ad altri
su una zattera cui diveniva sempre più difficile stare; dopo più di tre ore arrivarono due natanti,
quello della Questura e la motovedetta. Il sommergibile era ancora sul posto ed avvistate le
imbarcazioni venute in nostro soccorso, sparò due siluri che fortunatamente, non le colpirono, ma
le costrinsero, ovviamente, ad allontanarsi. Fu l’avvistamento improvviso di tre motosiluranti
tedeschi provenienti da Messina a costringere il sottomarino ad allontanarsi”[5].
Il sommergibile inglese Unrivalled
Sul perché questo atto di terrorismo più che di guerra contro una inerme nave di passeggeri si sono
dette molte cose. Si è detto che forse gli inglesi pensavano che sulla nave avrebbero viaggiato i
duecento giovani di leva – che invece erano partiti con una corsa speciale la mattina - ed era questo
il vero obiettivo dell’attacco. Si disse anche, più recentemente, che era una conseguenza del fatto
che il 3 maggio il Quartier Generale comandato da Sir Harold Alexander sulla base
dell’”operazione Husky”, termine con cui si faceva riferimento all’invasione della Sicilia, puntava a
neutralizzare e distruggere tutti i mezzi e basi navali ed aeree del nemico in Sicilia[6]. Comunque
voci come tante altre.
L'idrovolante tedesco ammarato a Lingua di Salina
A lungo non si seppe nemmeno di quale sottomarino si trattasse finchè Guss Britten e Florrie Ford,
ufficiali della Marina inglese, allora in servizio su sottomarini nel Mediterraneo, rivelarono che il
sommergibile affondatore era stato Unrivalled comandato dal tenente H.B. Turner e partito dalla
base di Malta l’1 maggio. Ma non una parola sulle motivazioni. A maggio del 2002 Antonio
Brundu, ha avanzato una ipotesi che ci sembra interessante. “Qualche giorno prima
dell’affondamento – scrive Brundu - , un idrovolante da guerra tedesco, proveniente dall’Africa, era
ammarato per emergenza nel laghetto di Lingua [Salina], dopo essere stato colpito da aerei alleati.
Sembra che su quell’aereo ci fossero alti ufficiali tedeschi con importanti documenti. Di ciò erano
venuti a conoscenza gli inglesi. I tedeschi, quindi, avrebbero dovuto imbarcarsi sul Santamarina, in
partenza dall’isola di Salina il 9 maggio. Gli inglesi, sapendo ciò. Ordinarono al sommergibile
Unrivalled che si trovava in zona di colpire la nave eoliana con l’obiettivo di eliminare il gruppo di
tedeschi. Ma il controspionaggio germanico riuscì, a sua volta, ad intercettare tale iniziativa degli
inglesi e così gli ufficiali, all’ultimo momento, furono prelevati da Salina da un idrovolante tedesco
e portati in salvo; mentre gli inglesi, ignari di quest’ultima novità, silurarono l’innocente piroscafo
Santamarina carico di inermi passeggeri[7]”.
Oltre al dramma delle morti e delle famiglie colpite, l’affondamento del Santamarina rappresenta
per le Eolie un periodo di grandi difficoltà senza più collegamenti regolari con la terraferma. Al
trasporto dei generi di prima necessità e dei pochi viaggiatori che si avventuravano fuori casa in
questi tempi tristissimi, si provvedeva con piccoli motovelieri di armatori eoliani.
[1] M. Saija e A. Cervellera, Mercanti di mare, op. cit., pag. 221. Tutto questo paragrafo è ispirato a
questo lavoro facendo riferimento, in particolare, alle pp. 201- 250.
[2] Per questa descrizione del periodo bellico come anche per molti aspetti del dopoguerra ho fatto
riferimento a R.De Pasquale, Il mio tempo. Ricordi e immagini., op. cit. pp.50-64. vedi anche R. De
Pasquale, Momenti eoliani, op. cit.
[3] R. De Pasquale, Il mio tempo, op. cit., pag. 50.
[4] B. Ferlazzo, Cinquant’anni fa, il Santa Marina, in Questeolie, n.4 anno II del giovedì 8 aprile
1993.
[5] C. Giorgianni ( a cura di), “Mi trovavo sul ponte…” I ricordi di Antonino Biviano, superstite,
Questeolie, n. 4 anno II, dell’8 aprile 1993.
[6] A. Brundu, “Dossier Santamarina, Spionaggio e misteri”, in Stretto indispensabile, 15 maggio
2002.
[7] A. Brundu, idem.
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