Anno VIII - n° 4 Aprile 2011 www.comune.bologna.it/iperbole/buonenuove TARIFFA REGIME LIBERO: POSTE ITALIANE S.P.A. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE 70% - DCB (BOLOGNA) In mostra dal 7 Bragalini l’artista ritrovato 3 Figure da ricordare Teresita, un vulcano tra i libri 8 Celebrazioni a Bologna In festa per l’unità d’Italia Il 19 aprile in S. Domenico 15 Torna il Requiem dei record 5 Difficile, ma non impossibile, rimanere ottimisti Difficile restare ottimisti di questi tempi. La tristezza ti attanaglia pensando ai tanti anonimi martiri della centrale atomica giapponese. E ti vien voglia di ricordarli uno ad uno, figli di un paese civile dove, nel bel mezzo di una catastrofe epocale, qualcuno si presenta alla cassa del supermercato e dice: “Mi scusi, pagherò appena possibile”. Da noi sarebbe una catastrofe nella catastrofe, con code a perdita d’occhio di furbi e furbetti. Loro no, si guardano negli occhi e, con un cenno d’intesa, chiudono qualsiasi contenzioso. Perché sanno che torneranno a pagare e che l’onestà è una virtù che si ha nel sangue. Penso, con tristezza, alle bombe che solcano i mari e vanno ad impattarsi sul suolo libico. La guerra non è mai un gioco, lascia sempre dietro di sé una scia di lutti e di miseria. Non esistono guerre per spaventare l’avversario, per costringerlo ad arrendersi. Si spara e qualcuno muore, si spara ed è il segnale che la diplomazia si è messa da parte per far posto alla forza. Ogni bomba, sentivo, costa più di un milione di dollari. E con tale cifra pensate a quanto bene si potrebbe fare. Ai pozzi che si potrebbero scavare per alleviare la sete proprio in quei territori africani che oggi sono in prima linea. Mi si dirà che l’industria bellica ha bisogno, anche lei, di sopravvivere e di crescere. Sarà. Resto comunque scettico, come sempre quando vedo feriti, sofferenze e penso ai tempi, lunghissimi, della ricostruzione. Perché, quando tutto sarà finito, bisognerà ridare un volto alla Libia, come alla Tu- nisia, come all’Egitto. Difficile indulgere all’ottimismo quando la tv ci mostra i canili spagnoli che, dopo dieci giorni, mettono i loro piccoli ospiti, bestie che non hanno nessuna voce in capitolo e nessuna colpa, in una camera a gas o peggio. Non usano sonniferi ma iniezioni con medicinali scaduti. Una strage che coinvolge anche veterinari che forse hanno studiato per curare e non per sopprimere. Penso che, la prossima estate, non andrò in Spagna. E che forse l’unico mezzo per Visitate il nostro sito www.comune.bologna.it/iperbole/buonenuove Il Consiglio direttivo dell’Associazione no profit, editrice di “Le Buone Notizie”, è così formato: Giorgio Albéri - Presidente Fabio Raffaelli - Vice Presidente Ornella Elefante - Segretario/Tesoriere Maria Dagradi - Consigliere Paola Miccoli - Consigliere Andrea Ponzellini - Consigliere Luisella Gualandi - Revisore dei conti (Presidente) Donatella Bruni - Revisore dei conti Comitato di Redazione: Cecilia Canella, Giorgia Schvili, Massimo Guandalini fargli capire che così non va bene è quello di boicottarli. Si va altrove in vacanza, il mare è tanto bello anche da noi o in Grecia. Mi consolo pensando che, fatte le debite eccezioni, siamo un paese più civile, almeno sotto questo profilo. Torniamo a noi: Bologna ci offre, in questo debutto di primavera, tanti eventi e tante notizie (buone) su cui meditare. Ripartiamo dal nostro cortile, mettendocela tutta per far girare un po’ meglio questo malandato pianeta. Buona lettura e un po’ d’ottimismo dal vostro Direttore Fabio Raffaelli Le Buone Notizie nasce da un’idea di Francesca Golfarelli e Fabio Raffaelli Testi e fotografie vanno inviati all’e-mail [email protected] Edito da Associazione Buone Notizie Redazione: Piazza Volta, 7 - 40134 Bologna Tel. 051.6142327 - Fax 051.436558 Direttore responsabile: Fabio Raffaelli Direttore editoriale: Giorgio Albèri Segreteria di redazione: Ornella Elefante Stampa: Tipolito Casma - via B. Provaglia 3 - Bologna Registrazione al Tribunale di Bologna n° 7361 del 11/09/2003 BASTANO 30 EURO PER SOSTENERE da ritornare via fax al 051/436558 SCHEDA PER SOSTENERE E ABBONARSI ALLA RIVISTA “LE BUONE NOTIZIE” Io sottoscritto, per conto - proprio, dell’Associazione, dell’Ente - chiede di attivare n° ...................... abbonamenti (10 numeri a 30 euro) a partire dal mese di ............................................ dell’anno ............................... Allego fotocopia del pagamento avvenuto sul c/c postale n° 60313194, ABI 07601, CAB 02400, Codice Iban IT47 N076 0102 4000 0006 0313 194 intestato all’Associazione Buone Notizie. La rivista è da inviare a: 1. Nominativo ............................................................................................................................................................. 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Via .............................................................................................................................. cap ............................................ città .......................................................................................................................... prov. ...................................... tel. ............................................................................. e-mail ............................................................................................... data ............................................ 2 Firma ............................................................................................................... Torna per una sera il Requiem dei primati L o chiamano il ‘Requiem’ dei primati. Record raccontati dai numeri: quattro repliche, nel 2010, e tutte coronate dal ‘tutto esaurito’. Un prodotto musicale bolognese che non smette di stupire. E’ stato uno dei cavalli di battaglia dell’operazione ‘Salviamola’, oggi torna a grande richiesta e in uno scenario unico come quello della Basilica di San Domenico (19 aprile, ore 21, unica rappresentazione) per anticipare la Pasqua in un modo unico e irripetibile. Tutto questo per riassaporare le magiche e intense atmosfere vissute o sentite raccontare. Melomani e semplici appassionati hanno fatto in modo che il Requiem di Mozart tornasse ancora una volta ad emozionare la platea bolognese e non solo. Ancora una volta centocinque elementi, tra coro e orchestra, per una serata di gala che rappresenta non solo una replica chiesta a gran voce ma anche una collaborazione importante con il Centro San Domenico che ha dedicato proprio all’evento uno dei suoi preziosi Martedì. Diretto dal Maestro Antonio Ammaccapane il Requiem di Mozart si avvale ancora una volta del Coro Jacopo da Bologna e di un’orchestra formata da alcuni tra i più validi professionisti dell’Emilia-Romagna. Biglietto unico Euro 20. Prevendita presso Zinelli, in Piazza della Mercanzia 5, Bologna. Perché il Requiem Il Requiem di Mozart è un tema spinoso, irto com’è di punti interrogativi e di interpreta- zioni controverse. Fissare un’opera d’arte in un’immagine precisa costituisce quasi sempre un azzardo, che gli stessi autori cercano spesso di evitare, tornando sul testo per aggiustare qualche gamba zoppa del tavolo, come diceva Verdi. Quando si tratta addirittura di dar voce a un capolavoro incompiuto, qual è il Requiem appunto, i dubbi e gli interrogativi si moltiplicano all’infinito. Incompiuto, sì, ma fino a che punto non sappiamo. Il Requiem era stato commissionato a Mozart da un nobile di provincia appassionato di musica, F ra n z vo n Walsegg zu Stuppach. Nel luglio 1791 un incaricato del conte aveva sollecitato il lavoro, ancora da portare a termine. Mozart però non doveva cercare di conoscere l’identità del committente, per il motivo che questi aveva la debolezza di far passare per proprie le musiche che amava dirigere con la sua orchestra. Forse accadde proprio questo il 14 dicembre 1793, quando Walsegg eseguì per la prima volta il Requiem in pubblico, nella Chiesa di Neustadt a Vienna, in occasione dell’anniversario della morte della moglie. L’ipotesi però solleva parecchi dubbi. È difficile credere che un artista come Mozart, ben consapevole del proprio valore e della propria posizione, ab- bia potuto cedere i diritti d’autore, per così dire, di un’opera tanto importante e tanto impegnativa. E non è neppure immaginabile che un amateur di provincia, per quanto abbagliato dalla vanità, fosse realmente convinto di far credere sua una musica di quel livello. Il progetto era rimasto indietro per l’accavallarsi di impegni importanti come La clemenza di Tito e Il flauto magico. Mozart non fece in tempo a finire la musica del Requiem. Il 5 dicembre morì, lasciando un fascicolo manoscritto in particella (le linee vocali e qualche sintetica indicazione musicale) e forse altri appunti sconosciuti. La vedova, Constanze, fece in modo che il lavoro fosse ritenuto compiuto, in modo che il committente versasse l’onorario pattuito. In realtà Constanze mise al lavoro sul materiale rimasto gli allievi più fedeli dell’entourage di Mozart: Joseph Eybler, Franz Freistädler e soprattutto Franz Xaver Süßmayr. Qual è il peso del loro lavoro, di preciso non sappiamo. Di sicuro il Requiem costituisce un’opera di bottega, per così dire, frutto di un artigianato collettivo caratteristico di un’epoca intera. L’epoca romantica immediatamente successiva, forgiando l’idea del genio, impedì di venire realmente a capo della controversa questione delle attribuzioni, offuscando la verità per creare la leggenda. Quel che importa, però, non è la mano che ha scritto la singola nota, ma la strategia poetica del Requiem. Di Mozart è l’idea della morte come ‘sorella e amica dell’uomo’, del ciclo eterno della rinascita, del mistero (e non della punizione) che ci attende oltre la soglia della vita. Questo è il Requiem che parla ancora a noi, nel nostro tempo. In ciò consiste pienamente il suo essere un’opera di Mozart. Oreste Bossini 3 Una buona notizia anche per l’influenza C ol nome di “influenza” viene ancora oggi designata la patologia respiratoria che si presenta annualmente con grande regolarità all’inizio dell’inverno e che, in passato, era, di conseguenza, attribuita alla “influenza” negativa delle congiunzioni astrali che si verificano con altrettale regolarità nello stesso periodo dell’anno. Oggi sappiamo che l’influenza è causata da un virus sulla cui struttura e sul cui funzionamento sappiamo oramai molte cose. La singola particella virale o virione, contiene al suo interno il materiale genetico formato da otto minicromosomi ognuno del quali codifica la produzione di una specifica proteina. Il virione è delimitato da una sorta di membrana, formata da una proteina virale rivestita a sua volta da un involucro lipidico derivato dalla membrana della cellula ospite, in cui sono inserite alcune glicoproteine virali, di cui le principali sono rappresentate dall’emoagglutinina (H) e dalla neuraminidasi (N), ciascuna presente in numerosissime copie. L’emoagglutinina rappresenta lo strumento con il quale il virione si ancora allo specifico recettore delle cellule sensibili, mentre la neuraminidasi è un enzima che demolisce specificamente il recettore virale ed ha la funzione precipua di favorire l’eliminazione e la liberazione dei virioni neoformati dalla superficie della cellula infetta. Emoagglutinina e neuraminidasi sono strumenti essenziali della patogenicità del virus influenzale, il che ha la controprova nel fatto che gli anticorpi nei loro confronti hanno un efficace valore protettivo. 4 I virus dell’influenza comprendono due principali generi o tipi denominati rispettivamente con le lettere A e B. I virus di tipo A e B sono in grado di provocare manifestazioni epidemiche, ma solo i virus di tipo A, possono dar luogo ad epidemie di notevole consistenza, capaci di diffondersi rapidamente in tutto il globo (pandemie), spesso con elevata mortalità. La guarigione dell’infezione si accompagna alla comparsa di una relativamente buona immunità, ma nonostante ciò, ad ogni stagione invernale, pressoché regolarmente si susseguono più o meno consistenti manifestazioni epidemiche causate da virus influenzali A e B. Questo fenomeno, che prende il nome di deriva antigenica, è dovuto alla comparsa di stipi- ti virali meno efficacemente neutralizzati dagli anticorpi presenti nella popolazione. I virus di tipo A sono gli unici distinti in diversi sottotipi sulla base delle differenti caratteristiche antigeniche (cui corrisponde la produzione di differenti anticorpi da parte dell’organismo infetto). I virus di tipo B sono virus “umani”, con una circolazione esclusivamente interumana e non presentano sottotipi diversi per sostanziali differenze antigeniche nelle glicoproteine H ed N. I virus di tipo A, invece, anche se alcuni sottotipi sono chiaramente adattati alla specie umana, infettano numerose specie animali ed è ben noto che il serbatoio naturale di tutti i virus influenzale di tipo A, è rappresentato essenzialmente da alcune specie di uccelli acqua- tici (anatre soprattutto) che vivono allo stato selvatico e dove l’infezione trascorre senza una particolare sintomatologia clinica. Dai volatili acquatici l’infezione può essere trasmessa ad uccelli domestici (polli, tacchini, etc.) o ad altri animali (suini, equini, etc). I virus aviari possono penetrare non solo nelle cellule delle mucose respiratorie, ma anche in quelle di numerosi altri organi, provocando infezioni estese e assai gravi. Ben si comprende, quindi, come, alcuni anni or sono, la presenza di infezioni umane ad opera di virus aviari sia stato sufficiente ad innescare l’attenzione delle organizzazioni sanitarie in tutto il mondo.Va, però, tenuto presente che i casi di infezione umana, sono stati soltanto poco più di un centinaio e si sono verificati esclusivamente nelle zone in cui il virus sembra ormai stabilmente insediato nella fauna avicola. Non solo, ma va anche considerato che i casi di infezione umana hanno interessato solo soggetti dimoranti in condizioni di scarsissima igiene ambientale che ne favorivano l’esposizione a dosi massicce di saliva ed escrementi di volatili infetti (e, quindi di virus) e che, al momento, l’infezione non ha presentato alcuna tendenza alla trasmissione interumana. Un nuovo allarme è iniziato nell’aprile 2009 con la comparsa in Messico di un consistente focolaio (oltre un centinaio di casi ed alcune decine di decessi) causato da un virus A (H1N1) di probabile origine suina, ed un peculiare assetto genico che sembra il risultato di una mescolanza di geni di virus influenzali umani, aviari e, ovviamente, suini. Il virus ha dimostrato una notevole capacità di trasmissione interumana e, in pochi mesi, sono stati segnalati numerosi (alcune decine di migliaia) di casi e in quasi tutti i continenti, il che ha portato gli “esperti” della OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ad emanare l’allarme “pandemia” che ha avuto una notevole risonanza nei “medza”. L’infezione, a parte il relativamente elevato tasso di letalità nel focolaio iniziale, ha però presentato nella maggior parte degli altri soggetti un decorso assolutamente benigno e facilmente controllabile dalle solite terapie sintomatiche. Lo stesso virus si è ripresentato anche nell’inverno 2010-2011 con circa le stesse conseguenze cliniche. Ma dobbiamo assolutamente tenere in considerazione che anche se, durante ogni epidemia influenzale, si possono osservare alcuni casi gravi e occasionali decessi in soggetti debilitati da altre patologie preesistenti, l’infezione influenzale (e questa è la buona notizia) passa a guarigione spontaneamente non lasciando alcun problema al soggetto “colpito”. Michele La Placa professore emerito dell’Università di Bologna Albéri con l’eccellenza Renato Servidio, Colonello Alfonso Manzo e la Prof. Carla Faralli La compagnia al termine dello spettacolo Un grande pubblico per l’unità d’Italia I l 7 gennaio scorso il Presidente della Repubblica ha inaugurato a Reggio Emilia, città del tricolore, i festeggiamenti per i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia. Da allora sono state molteplici le manifestazioni organizzate in ogni città italiana ed anche Bologna ha voluto dare il proprio contributo. Infatti, la terza Circoscrizione del Distretto 108/tb del Lions Club, unitamente all’”Associazione Imprenditrici Donne Dirigenti d’Azienda” (Aidda), la “Federazione Italiana delle Donne nelle Arti, Professioni e Affari” (Fidapa) e l’Associazione “Profutura”, hanno presentato al teatro Dehon in Bologna, lo spettacolo storicomusicale “150 anni fa: l’Unità d’Italia”, ideato e diretto da Giorgio Albéri. L’autore ha preso in considerazione uno spaccato del periodo che va dalla metà del 1800 all’inizio del 1900, intervallando il testo con cori, musiche e canzoni che hanno rievocato momenti di lotte intestine e periodi più allegri di pace. Sul palcoscenico la “Corale Lirica San Rocco”, diretta da Maria Luce Monari, al pianoforte Lamberto Lipparini che ha magistralmente accompagnato il soprano Tiziana Scaciga Della Silva e, come attrice e voce recitante Gaia Ferrara che ha fatto da traitd’union tra un brano musicale e l’altro. Il regista ha evidenziato, fra le al- Il presidente del tribunale dei minori Maurizio Millo con il Procuratore Generale Emilio Le Donne Alcune signore con la fascia tricolore tre cose, il sacrificio di coloro che hanno dato la vita per un ideale, anche per quei soldati che ve- musiche alla piéce di Albéri. Uno dei momenti più emozionanti si è avuto quando è stato intonato l’Inno di Mameli ed il tricolore ha attraversato tutta la sala per essere poi issato sul palcoscenico. Grande è Colonello Marco Buscaroli con il Col. Giovanni stata la De Cicco ed il Generale Giuliano Busi partecipazione, tra stivano una diversa cui numerose autouniforme. rità civili e militari, Verdi, Bellini, Rossini, che hanno applaudito Strauss, Di Capua, ripetutamente gli aralcuni dei composi- tisti sia per la bravutori risorgimentali ra, sia per i ricordi che hanno dato le che hanno saputo evocare. Lo spettacolo ha chiuso con un auspicio che ci piace riportare integralmente: “Ci auguriamo che le celebrazioni dell’unità nazionale non siano condizionate da esigenze politiche, né tanto meno partitiche, legate all’attualità, ma siano mosse soltanto dal dovere di custodire la memoria storica nella fedeltà dei principi di ciascuno. Onoriamo i caduti di tutte le parti, senza recare inutile offesa ad alcuno. La classe politica ricordi che una nazione non può sopravvivere se disprezza il suo passato”. 5 Mangiare bene? Aiuta a vivere meglio L a maggior parte di noi ama i piaceri della buona tavola, spesso ignorando i problemi annessi ad un uso smodato o ad una scelta di cibo non corretta. “Sapere di …mangiare per guadagnare salute” è un progetto che, da marzo a fine novembre 2011, coinvolgerà oltre una cinquantina di esercizi commerciali di Bologna e provincia. Tale iniziativa è nata dalla collaborazione tra Confcommercio Ascom e il Dipartimento di Sanità pubblica dell’Ausl di Bologna, con il contributo della Camera di Commercio. “Confcommercio Ascom provincia di Bologna – ha riferito il vice Presidente Celso De Scrilli ha coinvolto direttamente macellai, panificatori, ortofrutta, farmacie ed erboristerie per diffondere e promuovere informazioni e consigli in merito a tematiche di tipo alimentare, con l’obiettivo di incrementare e valorizzare lo scambio e le relazioni tra il commercio di vicinato, punto di riferimento del territorio e importante strumento di informazioni e di risposta ai clienti”. Fausto Francia, Direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica della AUSL di Bologna ha sottolineato “Sviluppare nella popolazione conoscenze tese a favorire una scelta consapevole degli alimenti e l’adozione di una dieta equilibrata, rappresenta uno dei baluardi principali a difesa della salute pubblica. Se poi queste iniziative vedono coinvolti oltre a chi ha il mandato istituzionale, come la AUSL, anche gli operatori del settore alimentare, l’efficacia degli interventi aumenta enormemente in quanto si crea un clima di fiducia e collaborazione con il consumatore”. Giancarlo Tonelli, Direttore Generale Confcommercio Ascom ha chiuso “Questo progetto si realizza attraverso una campagna d’informazione e sensibilizzazione indirizzata al pubblico negli esercizi commerciali aderenti al circuito è prevista sia la distribuzione di opuscoli informativi di diversa tipologia, secondo i mesi e le fasi calendarizzate dal progetto sia la presenza di una dietista che fornirà risposte in merito a più tipologie di informazioni nutrizionali. I temi affrontati riguarderanno soprattutto la corretta alimentazione, con una particolare attenzione al profilo sanitario, ai valori nutrizionali degli alimenti, alla stagionalità dei prodotti ortofrutticoli, alle sane ricette del nostro territorio, all’importanza del movimento a supporto della salute a tutte le età.” 30 Come sostenere le Buone Notizie? Bastano Euro Vedi a pagina 2 6 “Sapere di …mangiare per guadagnare salute”, è sostenuto nella sua presentazione e nel suo sviluppo successivo da un apposito Kit divulgativo, diversificato per le tre stagioni, disponibile all’interno dei punti vendita aderenti al progetto. Oltre ad informazioni nutrizionali vengono proposte anche ricette tradizionali con indicati i rispettivi valori nutrizionali e sarà presente anche una dietista per dare consigli, disponibile anche per incontri personalizzati. Tutti allora a lezione per imparare a mangiare. Ornella Elefante Innovazione, un treno che non si può perdere E ntovation (www.entovation.com), la rete internazionale d’innovazione con quartier generale a cademica ed è stato relatore e ospite d’onore in conferenze internazionali, è considerato tra i più autorevoli teorici per Maurizio Godoli Boston, ha definito Piero Formica “l’uomo del Rinascimento delle comunità di conoscenza e tra gli autori più prolifici e competenti nell’economia della conoscenza, la circolazione dei cervelli, l’innovazione e l’imprenditorialità”. Nella regione del Golfo Persico, dove ha svolto attività ac- il suo patrimonio di conoscenze ed esperienze sull’imprenditorialità internazionale. Piero Formica è il nuovo ospite dell’Osservatorio Economico Baker Tilly Consulaudit voluto dal presidente della società, Maurizio Godoli, che l’ 11 aprile alle 17 e 30 presenterà, nella sede di via Guido Reni 2/2 l’atteso suo nuovo saggio dal titolo “La vista di Linceo – Cronache e storie d’innovazione” (Editutto). L’incontro, realizzato in collaborazione con BNL-BNP PARIBAS sarà interamente dedicato ad un tema di grande attualità, come quello dell’Innovazione “un treno che l’Italia non può perdere”, come ama sottolieare lo studioso. Un appuntamento importante per una società, la Baker Tilly Consulaudit che, con le sue sei sedi sparse in tutta Italia (Milano, Bologna, Torino, Roma, Genova e Verona) è oggi un punto di riferimento nel consigliare gli imprenditori sul come fare impresa nel mercato critico e innovativo di oggi: “I nostri incontri - osserva Godoli – servono ad avere una visione ampia e senza pregiudizi del mondo finanziario ed economico nazionale ed internazionale, ma anche ad orien- La sala congressi dello Studio Godoli Piero Formica tare certe scelte, a rafforzare alcuni convincimenti. Appuntamenti concreti, quelli dell’Osservatorio Baker Tilly Consulaudit ben lontani dai salotti che all’economia continuano a privilegiare la politica”. Sul piano strettamente economico, Maurizio Godoli dà atto che la ripresa procede a ritmi diseguali, le politiche economiche dei vari paesi non sono convergenti, i tassi d’ interesse sono bassi ed i debiti aumentano. Solo un’ azione concentrata a livello europeo potrebbe assicurare una ripresa durevole e consentire all’ economia dei vari paesi che la compongono una crescita concretamente sostenibile e solida. Tornando a Piero Formica egli ha ricoperto incarichi accademici in Europa, Golfo Persico, AsiaPacifico, America Latina. Nel 1999 ha fondato con capitali di rischio olandesi l’International Entrepreneurship Academy (www.intentac.org), una rete globale per la creazione di imprese innovative ad alta aspettativa di crescita, il cui quartier generale è attualmente ospitato p r e s s o l ’ I n n o va tion Value Institute (www.ivi.ie) della National University of Ireland (www. nuim.ie – Maynooth, Dublin) dove ricopre il ruolo di Senior Research Fellow. Recentemente è stato eletto presidente di Startup Associate, l’Associazione Italiana delle Startup innovative. 7 Angelo Bragalini, l’artista ritrovato U n nome tristemente famoso quello dell’Andrea Doria. Degna erede dei transatlantici degli Anni Trenta la ‘Doria’ era la più grande e veloce nave da passeggeri della flotta italiana di linea. Le cronache che accompagnano il viaggio inaugurale, siamo nel gennaio del 1953, parlano di un capolavoro della tecnologia in grado di traghettare da una sponda all’altra dell’Atlantico, in tutta sicurezza, qualcosa come 1241 passeggeri. L’Italia finalmente torna a mostrare i muscoli, nei mari di mezzo mondo, per ricostruire un’immagine uscita distrutta dal secondo conflitto mondiale. Sogni di grandezza che s’infrangono, il 25 luglio del 1956 quan- do, in allontanamento dalla costa di Nantucket e diretta a New York, l’Andrea Doria si scontra con la nave svedese Stockholm della Swedish America Line: il gioiello dei cantieri Ansaldo di Genova, con una fiancata completamente squarciata, si corica su un fianco e affonda in undici ore. Il bilancio è tra i più pesanti della storia marittima di tutti i tempi: 46 8 CAVOUR (nell’omonima Galleria) con orario dalle 10 alle 19.30. L’iniziativa è stata subito appoggiata dal Commissario Cancellieri che ha concesso il patrocinio del Comune di Bologna. In questo prima esposizione si andrà alla scoperta del Bragalini scultore e orafo. Questa seconda veste, sconosciuta ai più, gli diede un fama mondiale e fece dei suoi collier pezzi pregiatissimi per il jet set vittime. Con il naufragio si chiude un’epoca, dove le distanze erano ancora tali e il viaggio era pur sempre un’avventura, tra lusso ed eleganza. Riconquisterà le pri- me pagine, il transatlantico gloria della marina italiana, anni dopo, grazie all’immane operazione di recupero finanziata dal miliardario americano Peter Gimbel: tornano alla luce gioielli, suppellettili, ornamenti che caratterizzavano l’estrema eleganza di quella città galleggiante che era l’Andrea Doria. Ma torna anche agli onori della ribalta il nome di un grande artista, caro al mondo della cultura bolognese, Angelo Bragalini. Tra gli arredi e le opere d’arte che riempivano la nave vanto della Italian Line spiccano, infatti, quelle del bolognese. Qualcuno, osservando con più attenzione le foto del viaggio inaugurale, comincia a riscoprire la vena creativa di Angelo, noto come pittore, ma anche come grafico, scultore, orafo, architetto e arredatore. Tanti erano gli interessi di questo eclettico artista nato a Fidenza nel 1913 ma trapiantato in giovane età a Bologna che, con la sua opera, ha caratterizzato una parte importante della storia artistica italiana del Novecento. Dopo studi di eccellenza con nomi del calibro di Del Debbio, Moretti, Ricci, Torres, Cleto Tomba, Vincenzi e Ghermandi l’opera di Bragalini trovò importanti estimatori, oltre che nei galleristi più quotati, anche nel mondo del cinema: Federico Fellini e Bruno Vailati vollero, infatti, avvalersi della sua collaborazione in celebri pellicole, da “Giulietta degli spiriti” a “Il ladro di Baghdad”, passando per quell’ ‘8 e ½’ che cementerà definitivamente il sodalizio artistico tra il grande regista riminese e Bragalini. Sarà lui, infatti, a dare corpo alle ossessioni oniriche di Federico, scolpendo foreste di braccia e di gambe, donne monumentali, inquietanti e sensuali. Mettere ordine e riproporre al meglio parte della sterminata produzione di un artista così difficile da catalogare nel suo genio creativo è lo scopo che si è prefissa l’Associazione bolognese Editutto. Partendo da una Mostra, prima di un intero ciclo dedicato ad Angelo Bragalini, che si svolgerà dal 7 al 17 aprile 2011 presso il M.U.S.E.è degli anni Cinquanta e Sessanta. Non si contano o quasi gli innumerevoli premi ricevuti un po’ in tutte le parti del mondo. Il “Times” dell’ottobre ’86 gli regala una mezza pagina firmata da Alan Craknell, il “Western Business” lo lancia in Canada, indicandolo come artista completo e tutto da scoprire. Anche l’Italia comincia ad esaltarlo per la sua ‘ricerca, continua, affascinante’, per quel suo pescare nella tradizione, reinterpretando i materiali classici in una maniera unica e irripetibile Notevole la testimonianza della produzione plastica, in questo evento di aprile. Tren- tacinque sculture, in prevalenza di bronzo e gesso ma con interessantissime digressioni nelle terracotte e nel vetro, sono il fulcro di questa prima esposizione che verte sulla femminilità. Angelo Bragalini, infatti, è sempre stato stregato dalla figura femminile che ha dominato, in gran parte, la sua ricerca artistica. Monica Vitti, tra le tante modelle senza nomi altisonanti, gli confida, in una lettera di ringraziamento, che la scultura che la ritrae firmata da Bragalini ‘è l’unica opera d’arte che quotidianamente mi piace sentirmi accanto’. Una ricerca che trae spunto dalla vita quotidiana che, per Bragalini, non è mai stata monotona o riduttiva, bensì fonte costante d’ispirazione. In ogni campo. Gian Carlo Musi, sulle Al lavoro con i più grandi A ngelo Bragalini nasce a Fidenza il 14 ottobre del 1913 ma viene presto ‘adottato’ da Bologna. Compie gli studi di architettura a Roma, Venezia e Firenze (ma anche all’ombra delle Torri) con maestri del calibro di Del Debbio, Moretti, Ricci, Torres e Michelucci. Parallelamente si appassiona di scultura guidato dalla mano esperta di un Cleto Tomba, passando per Vincenzi, Ghermandi e Bortolotti. Più avanti, confermando una natura artistica eclettica, si concentrerà su pannelli decorativi che gli vengono commissionati dai più importanti armatori. Sue opere viaggeranno a bordo dell’Andrea Doria ma anche della Cristoforo Colombo e dell’Amerigo Vespucci. Persino il re Faruk d’Egitto gli affiderà la decorazione del suo fastoso yacht ‘Marhoussa’. Anche il cinema lo affascina e dà il meglio di sé per due grandi nomi della settima arte, Federico Fellini e Bruno Vailati. Il suo nome figurerà nei titoli di ‘Giulietta degli spiriti’, de ‘Il ladro di Baghdad’ ma soprattutto di uno dei capolavori del regista riminese, ‘8 e ½’. Nel campo della grafica lavora, a Parigi, per Elizabeth Arden, in Svizzera per Hoffmann La Roche, Geigy, Automobil Club di Basilea, Textiles Suisses di Losanna. In Italia lo chiamano la Cinzano, la Marti- pagine del ‘Corriere della Sera’, felicemente sintetizzerà: ‘I suoi ritratti sono sempre espressione di forte umanità, i suoi busti femminili sempre ricchi di suggestioni scaturite dalla loro trasparente bellezza. Bragalini non segue le facili mode o le cor- renti passeggere, ma esprime soprattutto se stesso, la propria personalità, con la maestria di una tecnica raffinata attraverso la quale si rivela un artista di ogni tempo, uno dei pochi in grado di trattare la materia dandole il soffio della vita’. Così lo hanno raccontato ni & Rossi, Barbisio, Borsalino, Barilla, Gazzoni, Alemagna e Motta. Sue decorazioni figurano all’Hotel Hilton di Roma. Tra i vari riconoscimenti ottenuti ricordiamo il premio per l’oreficeria attribuitogli a Firenze e il Sole d’Oro a Sanremo per il vetro decorato. Sue opere figurano in importanti collezioni italiane e straniere. Angelo Bragalini si è spento a Bologna il 18 marzo 1994. Bragalini è un artista ‘scomodo’, in un momento in cui la preparazione culturale, la capacità tecnica, l’osservanza dei canoni formali, sono sopraffatti dai fantomatici problemi letterari, questioni filosofiche, simboliche relazioni tra materiali, spazio e strutture. La plasticità della sua raffinata e allo stesso tempo pungente collezione di ritratti conferma un sentimento profondo di antica serenità. Volti fissati perfettamente nei loro tratti essenziali, si ergono in un clima di composta dignità, di meditati religiosi silenzi. Personaggi splendenti di gioventù, composti nel segno di una classica misura, ma soprattutto viventi nella sfera di un mondo idealizzato, libero dalle angustie e da traumi esistenziali Luciano Bertacchini Da Arterama, Milano – Maggio 1979 Le sue sculture testimoniano non solo il valore e la storia del suo tormento creativo, ma rivelano un sentimento profondo, lo stesso forse che accompagna l’Artista al lavoro, plasmando l’argilla, seguendo la fusione del bronzo, cuocendo le terre nel forno. Quei sentimenti, quegli stati danimo fugaci, improvvise ombre di malinconia, istanti di felicità, momenti di dolore, sono fissati per sempre. Gian Carlo Musi Corriere della Sera Le esposizioni di Bragalini sono completamenti differenti da ogni altra esposizione, per il loro peculiare carattere di novità. è indubbiamente una lezione di buon gusto che ci viene da Bragalini in un momento in cui l’Arte sembra non avere altra funzione che quella di deformare la vita. Da ‘La Capannina di Porfiri’ – Roma 1957 9 Quando la nonna comincia a dimenticare... di Paola Miccoli E’ molto importante ascoltare il bambino. Non rivolgiamogli domande specifiche, aspettiamo che sia lui a farlo, perché vuol dire che è pronto per ricevere risposte. Fondamentale sarà riuscire a stare con le emozioni del piccolo, anche quelle più tristi o dolorose; se piange non dovremo cercare di consolarlo con frasi banali, ma rassicurarlo sul fatto che L a comunicazione della diagnosi di Alzheimer all’interno di una famiglia è quasi sempre percepita come un evento fortemente traumatico che genera angoscia, preoccupazione e disorientamento. Le risposte emotive sono personali, risentono del grado di parentela con il soggetto malato, del rapporto instaurato durante l’arco di vita precedente la malattia ed inoltre molto hanno a che fare con le proprie capacità di reazione ad eventi complessi. Nel mio lavoro di counselor, incontro spesso persone che vivono questa difficile condizione. Una persona malata di Alzheimer richiede una assistenza particolare e delicata; gli importanti cambiamenti cognitivi e comportamentali necessitano di una continua rivisitazione circa le modalità di accudimento e cura. Non è semplice trovare subito le giuste strategie e le soluzioni ai problemi che via via si affacciano, tenendo conto del fatto che la presenza accanto al familiare deve essere garantita durante tutto l’arco delle ventiquattro ore. La famiglia può ritrovarsi in una condizione di grande esaurimento di forze ed energie; tutti i membri del nucleo familiare sono coinvolti, 10 anche i bambini. Pochi giorni fa è venuta da me una signora; suo marito è affetto da Malattia di Alzheimer e lei era davvero molto preoccupata di come affrontare questa difficile situazione con il nipotino di dieci anni, che ama il proprio nonno immensamente. Spesso, quando un evento traumatico incontra la vita di una famiglia, si può essere portati a credere che sia meglio tacere con i bambini presenti. Natural- mente tale decisione nasce dal desiderio di volerli proteggere e tutelare. In realtà, il bambino, pur con modalità differenti rispetto alla propria età ed al conseguente grado di consapevolezza, si rende conto che qualcosa è cambiato o sta cambiando. Per lui è molto importante poterne parlare, perché questo lo aiuta a trovare un senso a quello che sta accadendo. Alcuni bambini possono percepire i pro- pri familiari come sopraffatti dal dolore ed evitano di parlarne perché temono che facendolo potrebbero farli arrabbiare o potrebbero farli andare via. I numeri utili per aiutare chi soffre Ecco un elenco di alcune realtà operative che, a Bologna, si occupano di disturbi cognitivi: CENTRO ESPERTO DISTURBI COGNITIVI, presso Ospedale S. Orsola - Malpighi, Ospedale Maggiore, Ospedale Bellaria, Clinica Neurologica AIMA Associazione Italiana Malattia di Alzheimer www.alzheimer-aimabologna.it ARAD Associazione di Ricerca e Assistenza alle Demenze www.aradbo.org AMA AMARCORD ASSOCIAZIONE (San Pietro in Casale) Cell.: 3332225965 NON PERDIAMO LA TESTA - www.nonperdiamolatesta.it è normale piangere quando si è tristi. Le spiegazioni ed i concetti sulla malattia del proprio nonno o nonna dovranno essere adeguati all’età, se il bambino è molto piccolo potremo aiutarci con una favola o con l’utilizzo di metafore. Occorre spiegare bene che il nonno non lo riconosce o a volte lo tratta male, non perché lui è stato cattivo ed il nonno non gli vuole più bene, ma perché è malato anche se la malattia non si vede. Il bambino infatti, può essere disorientato davanti al comportamento della nonna che fino a poco tempo prima era la sua migliore amica ed inseparabile compagna di giochi ed ora… Se il nipotino esprime il desiderio di rendersi utile, è bene assecondarlo perché non solo questo gli consentirà una migliore elaborazione del lutto per la perdita del precedente legame, ma lo aiuterà a trovare un nuovo modo di stare e di essere accanto alla nonna. Molto importante però fornirlo delle competenze e degli strumenti che dovranno essere adeguati all’età e tenere conto delle problematiche del familiare malato. Spieghiamo sempre bene cosa può o non può fare e perché e lodiamolo molto, sottolineando quanto sia stato bravo e amorevole. Può accadere, al contrario, che un bambino non se la senta di avvicinarsi al nonno o alla nonna. Forse il suo rifiuto può nascere dal timore per il fatto di non riconoscerlo più. Non dobbiamo sentirci feriti od offesi, accoglieremo con rispetto e dolcezza il vissuto del piccolo. Probabilmente avrà bisogno di un po’ più di tempo per rendersi conto di ciò che sta accadendo e saranno proprio i nostri comportamenti ed atteggiamenti nei confronti del congiunto che se manifestati con equilibrio e serenità, potranno aiutarlo a riprendere i contatti con quella persona tanto amata ed ora così diversa e lontana. Quanto amore può esserci tra il nonno, la nonna ed i propri nipotini. Anche adesso, proprio adesso che sembra tutto perduto, quel nonno e quella nonna, pur inconsapevolmente stanno ancora donando loro qualcosa. Forse, attraverso la loro presenza confusa e lontana stanno testimoniando quanto nella vita di ognuno di noi, grandi o piccoli, sia importante trovare un senso ed una strada. Paola Miccoli 11 è sempre un piacere festeggiare gli over 100 U n secolo di vita: questo ambito traguardo è stato superato da Maria Mioli, classe 1910. Nata a Vedrana di Budrio da una famiglia contadina, ultima di cinque figli di genitori ormai avanti con l’età, ha iniziato a lavorare presto, per contribuire al bilancio familiare, come balia asciutta a Bologna. Il suo sogno era però fare la sarta e, piano piano, riuscì a realizzare tale sogno. Il matrimonio e la nascita di un figlio coronarono felicemente il quadro, ma la guerra e i bombardamenti spezzarono l’armonia serenamente costruita, portandosi via per sempre il marito. La nonna Maria non si perse d’animo e da sola, con il suo mestiere di sarta, riuscì a crescere il suo unico figlio e a farlo anche studiare e diplomare: un traguardo di cui ancora oggi va molto fiera. Gli anni passano e nonna Maria, alleva le due nipoti che sono la luce dei suoi occhi; è sempre sollecita alle necessità della nuova famiglia con 12 infinita disponibilità e smisurato affetto. E’ la nipote Martina che ci racconta la storia della nonna, la quale interviene ogni tanto nel racconto puntualizzando che l’unico problema che attualmente ha è la vista debole; per il resto sta bene ed è stata in ospedale solo due volte nella vita: per partorire e a 99 anni per il femore rotto. La nonna Maria sorride e prosegue nel racconto sottolineando come la fede cattolica, fortissima, sia stato il suo pilastro e la sua forza. La sua vita è piena anche adesso che ha passato il traguardo dei 101 anni, con tre bisnipoti che vivono con lei ed anche 12 gatti e due cani che fanno compagnia e una pet therapy continua. Nonna Maria continua a intrattenere i bambini con giochi, favole e insegnamenti e rimane con lo spirito lucido misto a furbizia, per farsi ascoltare o anche coccolare. Chissà il segreto di tanta longevità! Sandra Margheri Cavallette, grilli e formiche in vendita nei supermercati Una dieta proteica ed ecosostenibile a base d’insetti. è la ricetta di Johan Van Dongen, manager che dirige il «reparto carni» nella catena di supermarket olandesi. Oltre a offrire ai suoi clienti bistecche e polli, da qualche tempo Van Dongen ha riempito gli scaffali dei suoi supermarket con nuovi singolari prodotti: confezioni che contengono cavallette, formiche e grilli sono solo alcuni dei tanti beni alimentari che i suoi negozi commercializzano e che si presentano come una preziosa fonte di proteine per i consumatori. Fino a pochi anni fa gli allevatori d’insetti olandesi producevano per lo più cibo per animali domestici: gli insetti erano i pasti privilegiati di gechi, lucertole e uccelli che gli esseri umani tenevano in casa. Oggi invece, anche grazie al sostegno del governo che ha stanziato circa 1 milione di euro per la ricerca sugli insetti come cibo, per gli allevatori si è aperto un nuovo mercato. Catene di supermarket come Sligro vendono non solo gli insetti allo stato puro, ma anche prodotti chiamati «Bugs Sticks» o «Bugs Nuggets», pezzi di cioccolato mescolati a insetti di varia natura. Lo sviluppo di questi nuovi prodotti è promosso anche dalle «Nazioni Unite per l’alimentazione e il cibo» che confermano come l’allevamento di insetti sia ecosostenibile perché procura scarsi danni all’ambiente a differenza dell’allevamento di bestiame che, secondo le stime dell’Onu, causa circa un quinto dell’emissioni di gas serra. Negli scorsi giorni proprio Van Dongen ha organizzato una manifestazione a ‘S Hertogenbosch, città olandese di 140 mila abitanti, durante la quale sono stati presentati i piatti più succulenti a base d’insetti. Mentre la gente guardava perplessa i prodotti, Van Dongen preparava piatti di verdure asiatiche con grilli e cavallette. Il manager è certo che nei prossimi anni i cibi a base d’insetti saran- no accolti con favore dagli europei. Per superare i luoghi comuni e i preconcetti Michel van de Ven, trentottenne allevatore d’insetti, ha una soluzione: «Basterebbe non dire ai consumatori di cosa sono fatti i nostri prodotti - dichiara l’allevatore Dopo poco tempo la gente si abituerebbe a mangiarli e ad apprezzarli». Tuttavia al di là dei pregiudizi un altro ostacolo limita il successo dei cibi a base d’insetti: il loro prezzo è ancora eccessivamente alto. «Nel commercio all’ingrosso questi prodotti costano come la migliore carne di manzo - dichiara Roland van de Ven - Le locuste addirittura raggiungono il prezzo del caviale». Dello stesso avviso Margot Calis, che assieme a sua figlia e a dieci dipendenti alleva insetti in una fattoria: «Il prezzo degli insetti è ancora troppo alto - dichiara la sessantaduenne - Per allevarli c’è bisogno di un grande lavoro manuale». In prima linea nella battaglia per l’educazione T ra le mura del vecchio edificio di Via Zamboni 32 in Bologna, nella Facoltà di Scienze dell’Educazione, lo stesso in cui mi recavo alle lezioni quando ero studentessa, ho respirato l’antico sapore dei 20 anni, pieni di forza e di coraggio di cambiare il futuro. Ho visto con i miei occhi l’unirsi di forze diverse, ma accomunate dallo stesso interesse per il futuro incerto dell’educatore, tra tagli ai servizi e mancanza di riconoscimento professionale. Al recente incontro organizzato dal gruppo studentesco “Formazione Attiva” a cui sono stata invitata come relatrice, erano presenti il direttore, professor Guerra, come espressione del mondo accademico, l’organizzatore Valentino Paoloni rappresentante degli studenti, Luca Balducci rappresentante ANEP Emilia Romagna (Associazione Nazionale Educatori Professionali), Fabio Perretta USB Coop Sociali e il gruppo Educatori di Casalecchio Di Reno . Il direttore Guerra ha precisato le battaglie che l’università ha sempre sostenuto per difendere l’idea epistemologica dell’educazione e quindi del profilo professionale dell’educatore, battaglie combattute e perse. Il riconoscimento di questa figura, fin dagli anni 80, ha visto il fronte accademico portare avanti le lotte per togliere dalla mera esecuzione passiva l’operato degli educatori, dipendenti dalla diagnosi medica, in cui per fare questa professione non necessitava la laurea. La storia del riconoscimento dell’educatore viaggia assieme all’individuazione della dignità della persona educante. cademici, ma occorre condurre la battaglia “insieme”, tenendo conto della presenza e dell’esperienza che nel frattempo hanno fatto gli educatori professionali sanitari della Facoltà di Medicina. Occorre essere uniti tutti, il mondo accademico, il terzo settore, le associa- della persona nella sua globalità e unicità, che puntino alla relazione e all’attivazione delle risorse insite nella persona. Insomma l’accettazione e il riconoscimento dell’importanza dell’educatore non possono se non passare dalla valorizzazione della persona, dell’educando, Con il DM 520 l’educatore diventa sanitario e stabilisce che la sua laurea professionale in medicina abilita alla professione nel settore sanitario e riabilitativo, escludendo dalla possibilità lavorativa la laurea umanistica dell’educatore sociale, che da sempre ne aveva occupato il posto. Personalmente, ho cercato di far luce sull’importanza dell’educatore, dal suo personale riconoscimento che non può e non deve essere demandato alle battaglie solo degli ac- zioni di categoria; la politica deve essere coinvolta al di là delle idee corporativistiche, deve essere rete che comunica e stabilisce il valore epistemologico della figura dell’educatore e della persona educata. Ma per farlo occorre essere in rete, e in prima linea essi devono divenire protagonisti attivi per promuoversi, lottare per essere e avere riconoscimento a tutti i livelli. Occorre puntare alle nuove ricerche che guardano al benessere del cliente che viene da noi per trovare aiuto. Luca Balducci, che sta cercando di realizzare con la sua associazione un profilo unico di educatore, ha sottolineato l’arricchimento dei contenuti sanitari, del profilo sociale e delle competenze pedagogiche; ciò puntando ad un rapporto con l’utente basato sul rispetto della persona e delle sue risorse. Professionalità da tutelare sindacalmente ed economicamente, che lo protegga con leggi adeguate dalle onde utilitariste del mercato. Fabio Perretta (USB) ha posto in evidenza la pericolosità della situazione di Casalecchio di Reno che ha operato dei tagli importanti a servizi di prevenzione ed essenziali sui minori e sul disagio; di come la lotta degli educatori influenzi la lotta per i diritti della persona in disagio e bisognosa di aiuto. Poi hanno preso la voce le testimonianze dei miei colleghi, che con passione e forza sono determinati a non fermarsi per il diritto dell’educatore e per il diritto delle famiglie, della persona alla salute, al benessere. I vari interventi che sono seguiti ponevano sempre l’importanza dell’attivismo in rete, della partecipazione e del credere che si possa davvero fare qualcosa per il riconoscimento del nostro lavoro. Da parte degli studenti è emerso il bisogno di essere sempre più coinvolti nel processo formativo, dando spazio anche a loro proposte inserite nell’evoluzione e nei cambiamenti del lavoro. Mi auguro che sia l’inizio di un percorso che un giorno porterà alla ridefinizione ed al consolidamento del valore epistemologico dell’educazione e dell’educatore che come disse il vecchio Socrate “Conduce la persona alla conoscenza della verità che è dentro se stesso”. Assunta Pischedda 13 Parti svantaggiato? Allora lavora per noi C i troviamo nella rinomata via Collegio di Spagna in Bologna che ospita un negozio “sui generis” ed incontriamo Maila Quaglia alla quale domandiamo cosa si vende. Questo esercizio è nato per creare un canale preferenziale per la commercializzazione di manufatti artigianali di pregio, realizzati da persone svantaggiate operanti all’interno di cooperative sociali dislocate su tutto il territorio Annarita Quarta, Direttrice nazionale. Concretizzato dalla Cooperativa Sociale “Arti e Mestieri”, che ha come scopo quello di offrire opportunità di lavoro stabili per persone svantaggiate, attua modalità innovative e rispondenti ai cambiamenti culturali e del mercato del lavoro attuale. Tra i prodotti ceramiche tradizionali, stampa romagnola, carta fatta a mano, articoli in pelletteria, legno selezionati secondo criteri di bellezza ed originalità, criteri che identificano anche il marchio di qualità che coincide con il nome del negozio. All’interno del negozio è attivo anche un laboratorio di confezionamento bomboniere e 14 recentemente è iniziata anche una collaborazione per il confezionamento di cioccolata con la ditta Majani. Ci parli un po’ del progetto della Cooperativa Il marchio di qualità, esprime l’idea imprenditoriale che c’è a monte del progetto, ovvero quello di tentare di creare un mercato tipico e dignitoso di queste produzioni, generalmente vendute alla ristretta cerchia di operatori sociali, familiari o amici che ruotano intorno alle cooperative, con modalità spesso occasionali e provvisorie che avvicinano il cliente già mosso da motivazioni solidaristiche, utili, ma parziali. La scommessa dell’impresa è quella di dare una visibilità dignitosa, ricercata e nel contempo discreta alla produzione realizzata da queste persone in modo tale che il cliente sia attratto innanzitutto dalla bellezza che è il motore umano per eccellenza. Dopo questo primo impatto sarà più facile riconoscere la dignità della persona disabile, l’urgenza del rispetto e dell’accoglienza fino alla creatività di immaginare strumenti intelligenti per aiutarla nella sua espressione. Ci parli delle persone che “lavorano” questi manufatti L’obiettivo a cui si tende, attraverso questo progetto, è quello di favorire una cultura nuova (ma probabilmente “vecchia”, solo che l’abbiamo dimenticata!), una cultura entro la quale c’è posto per la persona “così com’è” non per come “dovrebbe essere” in virtù di misure che abbiamo fabbricato con la nostra presunzione. L’ultima sottolineatura è che l’espressione “C’è posto per la persona così com’è” potrebbe risuonare equivoca, perché rischia nuovamente di porre il soggetto in una posizione “passiva” , ovvero sono “altri” che decidono di “ritagliarti un po- Maila Quaglia, Presidente sto”. Invece quello che a noi interessa è una nuova attività offrire gli strumenti sulla base delle solperché il soggetto tro- lecitazioni dei clienti vi lui il proprio “posto”, che hanno conosciuto il lavoro che maggior- da vicino la nostra mente lo esprime e realtà. L’attività è con il quale collabora partita a Marzo in via al bene comune. Santa Barbara 9 e si Il “Banco Artigiano tratta di proporre alla delle Arti e Mestieri”, città dei laboratori arcome già sottolineato, tistico artigianali ed è anche un marchio di espressivo corporei qualità che esprime la con la forma di corsi volontà di commercia- integrati condotti da lizzare dei manufatti tecnici del settore. artigianali di pregio. È prevista una quota Attualmente i fornitori annuale forfettaria di sono circa 40 distribu- € 150.00 che permetiti su tutto il territorio te l’acceso a tutti i nazionale dal Trentino corsi mentre è gratuialla Calabria. to per persone seguite La cooperativa ha re- da servizi sanitari. centemente avviato Giorgio Albéri Per informazioni: Collegio di Spagna 5/2b Tel./Fax 051.236688 Annarita 348.3639528 www.bancoartigiano.com [email protected] Teresita, l’anima di una grande biblioteca S pesso frequento la biblioteca dell’Archiginnasio, oggi ho avuto il piacere di incontrare un’esposizione che ha più significato che spazio, in cui si racconta la storia di Teresita Mariotti Zanichelli, nata nel 1861 e morta nel 1949, la prima donna ad avere un incarico nella Biblioteca Municipale di Bologna. Chi era costei? Teresita Mariotti nacque a Novara in una famiglia di alti funzionari statali 150 anni fa, pochi giorni prima della proclamazione dell’Unità d’Italia; a undici anni rimase orfana del padre e si trasferì a Bologna con la madre e il fratello. Qui si diplomò maestra e si fidanzò con un giovane giurista, Domenico Zanichelli, figlio dell’editore Nicola. Con il matrimonio Teresita entrò in contatto con il prestigioso ambiente degli intellettuali bolognesi che gravitava intorno a Carducci che fu anche testimone alle sue nozze. Al seguito del marito, docente universitario, Teresita si trasferì prima a Firenze e poi a Siena e a Pisa. Per i successivi venti anni fu un’agiata signo- ra borghese, dedita alla cura dei due figli e partecipe dei successi intellettuali del marito, sempre presente nelle rispettose formule di saluto che chiudevano le lettere dei numerosi e importanti corrispondenti di Domenico. La prematura morte del marito, nel 1908, costrinse Teresita, rimasta senza pensione e con due figli ancora studenti, a riorganizzare la propria vita. Tornò a Bologna, dove poteva contare sull’appoggio della famiglia e, probabilmente grazie alle relazioni degli Zanichelli, ottenne un impiego presso l’Archiginnasio. Un lavoro relativamente modesto per una signora come lei, ma decoroso che le assicurò l’indipendenza economica e permise ad entrambi i figli di laurearsi. Svolse la sua attività fino a 71 anni, compilando schede del catalogo e let- tere, mentre presso la Biblioteca di Casa Carducci (una sezione dell’Archiginnasio) collaborò alla gestione del servizio al pubblico. Poche erano in quel periodo le donne che trice tedesca tradotto da un’altra donna. Le vicende personali di Teresita ci aiutano a comprendere la condizione delle donne dopo l’Unità d’Italia, fino a tutto il periodo fascista: frequentavano la biblioteca (una piccola sala a parte era riservata alle poche studiose all’Università), per molti anni nessuna oltre lei vi ha lavorato, dai registri conservati risulta che il primo utente fu proprio una diciottenne che richiese un libro di una scrit- che istruzione ricevevano, che lavori potevano svolgere, quanto erano pagate e che possibilità avevano di fare carriera. La mostra è suddivisa in due parti, corrispondenti alle due vite di Teresita. All’inizio, alcuni documenti della giovane Teresita: un telegramma a Minghetti del padre, vicegovernatore di Novara, alcuni ritratti da adolescente, il suo diploma di maestra. La parte principale è dedicata all’ambiente intellettuale del quale Teresita entrò a far parte con il matrimonio. Le sue nozze furono un evento, come provano i documenti esposti, a cominciare dalla riproduzione del certificato di nozze con le firme di Carducci, testimone dello sposo, e di altri illustri personaggi. Vi sono poi pensieri, disegni e poesie lasciati nell’album di nozze, e le pubblicazioni erudite date alle stampe per l’occasione, secondo l’usanza del tempo. Infine le testimonianze legate all’attività intellettuale e alle vicende della carriera accademica del marito. La seconda parte della mostra è dedicata alla vita di Teresita come impiegata dell’Archiginnasio. Dopo alcuni documenti dell’ingresso di Teresita nel mondo del lavoro, ci sono le prime testimonianze della protagonista: il suo fascicolo matricolare, con le richieste per essere assunta stabilmente in pianta organica e per ottenere un salario più congruo, ma anche le testimonianze della sua attività lavorativa: le schede che redigeva per il catalogo dell’Archiginnasio e il registro delle consultazioni della biblioteca di Casa Carducci. Infine gli elenchi delle opere, provenienti dalla biblioteca del marito, da lei vendute alla Biblioteca; tutti manoscritti, perché Teresita non imparò mai a scrivere a macchina. Un ultimo gruppo di documenti mostra alcune memorie di famiglia: cartoline e lettere private provenienti dal lascito della famiglia Zanichelli all’Archiginnasio. I curatori della mostra hanno il merito di aver riportato alla luce la storia di una donna del tutto sconosciuta, che pur tante affinità ha con le storie di oggi. La mostra rimarrà aperta fino al 14 maggio. Donatella Bruni 15 P aura, timidezza, depressione. Una bella mescolanza di emozioni da gestire, da controllare che, a volte, creano ansia. Questo male indefinibile, caratteristico della nostra epoca, dal quale, oggigiorno quasi nessuno riesce a salvarsi. La paura. Secondo la psichiatria fa bene, bisogna solo imparare a controllarla. Essa innesca una serie di sensazioni simili all’ansia che, però, sono positive. Senza queste manca quella tensione necessaria per raggiungere l’obiettivo. La timidezza. E’ molto importante convivere con le proprie emozioni; se non lo si fa si rischia di fallire. L’esame di maturità, per esempio, è una prova generale di molte situazioni che tutti hanno affrontato nella vita. L’ansia patologica, che deriva dalla timidezza, è molto rara, soprattutto nei giovani e di solito si tratta di situazioni normali anche nei casi in cui viene somatizzata. L’importante è riportare l’ansia sempre alle sue dimensioni naturali. La sua assenza è deleteria. E’ necessario rammentare che l’obiettivo non è combattere le emozioni, ma convivere con esse. Per quanto concerne la depressione, invece, da una certa età in poi sono i fattori neuro ormonali a farla da padroni. La nostra società ha molti modelli irraggiungibili: tutti brillanti, di successo, giovani e pimpanti ad ogni età. Ecco, allora, il crollo dei ruoli: i figli non più 16 Ansia, il nemico invisibile soggetti ai genitori, si esce dal mondo del lavoro, il corpo si modifica, la memoria ed i tempi di reazioni si riducono. Il ritmo delle nostre azioni e dei nostri assilli quotidiani è così spaventosamente cresciuto, in questi ultimi anni, da portarci ad un insostenibile grado di tensione interna. La spiegazione di questo fenomeno è forse nello spirito stesso del nostro tempo; il mondo si ripropone spesso nel suo aspetto di caos e, quando manca una grande padronanza di se stessi, tutto il nostro meccanismo di difesa tentenna, messo in crisi dagli assalti della realtà esterna, insidiosa e travolgente. Insicurezza, illusioni vacillanti, sensazione di pericoli (a volte inesistenti) che ci attendono ad ogni angolo di strada, incapacità di risolvere i troppi problemi che la vita di oggi costringe ad affrontare: ecco alcune delle cause più note dell’inquietudine dell’uomo moderno. Se l’ottocento si può definire il secolo della malinconia privata e solitaria, il novecento ed il duemila sono senz’altro gli anni dell’ansia. In molti Paesi si cerca di combattere questo male facendo ricorso all’alcool, agli stupefacenti, al divertimento sfrenato, ma il rimedio (o preteso tale) più diffuso è quello dei tranquillanti: un bicchiere d’acqua, una pillola e…giù; tutto è più bello, la vita diventa rosea. Ma l’effetto è breve e ben presto bisogna ripetere l’operazione. Così per giorni, mesi, anni. E’ un rimedio questo, o non piuttosto un giocare con se stessi, rifiutando di prendere atto della realtà? L’unico vero rimedio al male della nostra epoca è da ricercare dentro di noi, colpendo alle radici quegli inconvenienti che portano alla nevrosi. Cerchiamo di conoscerci meglio, non concediamo nulla alle cose facili, al ritmo travolgente della vita moderna, adattiamolo, se mai, al nostro passo, alle nostre idee. La natura dell’uomo è un tutto unico con ciò che ci circonda ed è impossibile staccare una creatura dalla Natura-madre senza provocare, di conseguenza, un doloroso trauma. E’ un distacco che significa anche allontanamento dalle proprie più vere tendenze, dal proprio mondo interiore; allora nascono l’instabilità dei sentimenti e degli affetti, il disinteresse dell’individuo per la società, la volontà continua di stordirci. Solo quando l’uomo tornerà ad essere semplice, a cercare il contatto con gli altri e soprattutto con se stesso, potrà dire di avere fatto un gran passo avanti nella cura del “male d’oggi”, più insidioso di un male fisico, perché non basta un farmaco a combatterlo: è come un nemico invisibile, non lo vediamo, ma c’è. Giorgio Albéri