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2
La politica come opera pedagogica1
Le pagine che seguono assumono ad indicazione di lavoro quanto Luigi Dal Pane ebbe a dire sull’impegno
politico del Labriola, inteso, «in largo senso», come «attività pedagogica»; un Cassinate immerso, quindi, in
una dimensione di «educatore politico»2, la cui tensione socratica è alimentata e alimenta la ricerca di una
prospettiva politico-culturale che va acquistando i caratteri di una indagine intorno alla fondazione di una
nuova concezione del mondo che sarà segnata dai limiti propri del primo socialismo che furono anche di
natura pedagogica.
In ogni caso l’impegno teorico del Labriola fa scrivere a Gramsci nei Quaderni che il Cassinate, «con la
sua affermazione (non sempre sicura a dire il vero) che la filosofia della praxis è una filosofia indipendente e
originale», è il solo che abbia colto la sua specificità, quella di possedere «in se stessa gli elementi di un
ulteriore sviluppo per diventare da interpretazione della storia filosofia generale»3.
Per quanto poi riguarda la scarsa fortuna del Cassinate si
può dire […] ciò che Rosa Luxemburg disse a proposito dell’economia critica e dei suoi problemi più alti: nel periodo romantico
della lotta, dello “Sturm und Drang” popolare, tutto l’interesse si appunta sulle armi più immediate, sui problemi di tattica, in
politica e sui minori problemi culturali nel campo filosofico. Ma dal momento in cui un gruppo subalterno diventa realmente
autonomo ed egemone suscitando un nuovo tipo di stato, nasce concretamente l’esigenza di costruire un nuovo ordine intellettuale
e morale, cioè un nuovo tipo di società e quindi l’esigenza di elaborare i concetti più universali, le armi ideologiche più raffinate e
decisive4.
Ebbene, nonostante il contesto storico in cui opera il Labriola, caratterizzato per l’appunto dallo «“Sturm
und Drang popolare”», il suo impegno va nella direzione della fondazione di una filosofia della prassi
indipendente da ogni sostegno ideologico esterno, da ogni «completamento».
Nella lettera a Filippo Turati, del 5 giugno del 1897, con cui interveniva a proposito del «messaggio […]
che il signor Antonio De Bella, sociologo calabrese, dirigeva contro quei socialisti esclusivi» perché si
«completino d’altra più vasta coltura sociologica e naturalistica»5, il Cassinate precisava che al marxismo
non aveva mai chiesto «se non ciò ch’esso effettivamente contiene: ossia quella determinata critica
dell’economia che esso è, quei lineamenti del materialismo storico che reca in sé, quella politica del
proletariato che enuncia o preannucia». D’altra parte la «nostra dottrina non pretende di essere la visione
intellettuale di un gran piano o disegno, ma è soltanto un metodo di ricerca e di concezione»6; ed ogni suo
ulteriore sviluppo non può che essere l’esito del processo che lo ha generato, «non […] personale e
discutibile opinione di due scrittori, ma […] una nuova conquista del pensiero per la inevitabile suggestione
di un nuovo mondo che si sta generando già»7.
Ma la «“dottrina non è se non agl’inizi suoi ed ha bisogno ancora di molto sviluppo”»8. Da qui l’invito del
Labriola ai socialisti ad immergersi in provincie determinate della realtà, per farne emergere i ritmi della
generazione attraverso la ricerca critica e circostanziata dei fatti storici.
Un’indagine che deve avere i caratteri propri della filosofia della praxis e che pertanto non può essere
affidata ai piccoli borghesi scontenti e camuffati da socialisti. Agli intellettuali il compito di illustrare,
chiarire, discutere, aiutare la formazione di una coscienza critica della classe operaia; quindi, dal punto di
vista del Cassinate, anche la consapevolezza che il passaggio al socialismo può darsi solo se «sia stata già
percorsa tutta la via crucis delle trasformazioni economiche, a capo delle quali s’è avverato altrove ciò che
1
Il presente saggio è stato pubblicato sul «Giornale di Storia contemporanea», anno XIII, n. 1, giugno 2010, pp. 212 – 239.
L. Dal Pane, Antonio Labriola nella politica e nella cultura italiana, Torino, Einaudi, 1975, p. 327.
3
A. Gramsci, Quaderni del carcere, Edizione critica dell’Istituto Gramsci, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, p.
1855.
4
Ivi, pp.1508- 1509.
5
A. Labriola, Discorrendo di socialismo e di filosofia, in Id., La concezione materialistica della storia, con Introduzione di E.
Garin, Bari, Laterza, 1965, p. 238.
6
A. Labriola, Del materialismo storico. Delucidazione preliminare, in ivi, p. 85.
7
Ivi, p. 99.
8
A. Labriola, Discorrendo di socialismo e di filosofia, in ivi, p. 241.
2
3
dicesi sistema capitalistico, del quale il marxismo, alla sua volta, è poi il contraccolpo critico»9.
Nonostante i pesanti vincoli storici che di fatto incrinano l’equilibrio tra libertà e necessità a vantaggio del
secondo dei due termini, il socialismo diventa un’impresa collettiva a cui il «maestro» si sente chiamato a
partecipare sulla base di quel persistente socratismo che fin dagli esordi liberali specifica la pedagogia
labrioliana e che andrà intrecciandosi con la sua concezione filosofica e politica.
Il maestro perpetuo
Se in lui non c’è l’intellettuale e il professore tradizionale e convenzionale,
«c’è qualcos’altro, che stringe a sé i giovani»: qualcosa come «la familiarità, la sincerità» dell’uomo con gli altrui uomini;
qualcosa come «l’amore oggettivo del sapere, la ricerca continua, infaticabile, insaziabile della verità». Proprio come il vecchio
Socrate, su cui tanto inchiostro aveva versato […] scrivendo della «dottrina» del grande ateniese, della sua «personalità» e del
«metodo», del suo «valore filosofico», del «concetto del bene», e di tutto il resto.
Labriola quindi, maestro perpetuo, «“uomo tutto entusiasmo per il sapere e per l’educazione”»10, che
individua in una crescita culturale generalizzata quel cambiamento organizzativo ed economico che avrebbe
dovuto garantire, sul terreno della produttività economica, «il minimo vitale necessario» per tutti.
Ma nell’immediato, per il Labriola liberale, si pone la questione dell’educazione dei ceti borghesi perché
siano effettivamente in grado di svolgere una funzione dirigente.
Per la borghesia italiana valgono le stesse osservazioni svolte, sulle colonne del Journal des Débats, sullo
stato della borghesia francese, di cui è necessario, per la rivista, migliorare innanzitutto la cultura, perché
«s’infondano in questa sentimenti più retti e conoscenze più esatte»; «che insomma l’istruzione secondaria,
che è di natura sua destinata a preparare la coltura generale, e l’istruzione universitaria, che deve diffondere
fra i più la scienza dei pochi, siano rese più pratiche, più adatte ai bisogni del tempo, meno letterarie
insomma e dottorali». Mentre è bene che gli «uomini di stato» comincino ad occuparsi dell’istruzione
elementare più tardi; «se la borghesia non è migliorata, se in essa non sono gettati i germi di una coltura più
moderna e più pratica sarà inutile invocare in aiuto della presente generazione il famoso tocca sana
dell’istruzione obbligatoria». Per il giovane Labriola, come per il Journal des Débats, la riforma
dell’istruzione superiore e nell’istruzione secondaria è ancora più urgente di quella nell’istruzione primaria.
«“Le idee si spandono nella società dall’alto al basso, se le classi inferiori sono oggi così portate al
socialismo, è in gran parte perché le nozioni sociali delle classi più elevate sono state difettosissime;
l’esperienza prova che il popolo non tarda a ricevere ed a partecipare le dottrine che hanno corso negli ordini
superiori della società”».
Le osservazioni del Journal al Labriola «paiono tutte giuste e, quel che è più, non solo rispondenti alle
condizioni della Francia, ma benanche alle nostre» 11, quindi si «cominci» anche «fra noi a curare seriamente
che la coltura divenga utile e pratica12, che la borghesia sanamente colta divenga il mezzo onde dalle sfere
più elevate della scienza e dell’esperienza sociale filtri nelle classi inferiori l’utile consiglio, la savia
ammonizione, il concetto sano e corretto».
Per quanto poi riguarda la classe operaia, «non abbiamo qui fra noi da combattere l’influenza
dell’Internazionale […]. Siamo dunque a tempo. E noi che rappresentiamo quella borghesia colta, e di retto
pensare, […], noi, sebbene scarsa minoranza, dobbiamo sforzarci perché altri non ci preceda per questa via,
e proporci seriamente l’educazione degli operai»13.
9
A. Labriola, A proposito della crisi del marxismo, in ivi, p.156.
N. Siciliani de Cumis, Studi su Labriola, Urbino, Argalìa Editore, 1976, pp. 28 – 29.
11
A. Labriola, L’educazione degli operai, in «il Piccolo», Napoli 9 novembre 1871, in A. Labriola, Scritti pedagogici, a cura di
N. Siciliani de Cumis, Torino, Utert, 1981, pp. 155- 156.
12
Labriola sottolinea tra l’altro come il Journal des Débats suggerisca, quale «“contrappeso indispensabile all’insegnamento
classico”», allo «“studio dell’antichità latina, […] intaccata da giacobinismo e socialismo”», lo «“studio serio dell’economia
politica. […] vera scienza sociale per eccellenza”» (ivi, p. 156).
13
Ivi, pp. 157 – 158.
10
4
Della questione sociale è necessario fare una seria materia di studio e a tale proposito fa riferimento a
paesi come la Germania e la Svizzera, dove la «“collisione sempre crescente fra i capitalisti e operai”» è
oggetto, da parte dei primi, di «“uno studio serio e ponderato”»; un impegno che si propone, tra l’altro,
l’esame e la eventuale sperimentazione di riforme promosse da imprenditori interessati al «benessere fisico e
morale dei loro operai»14.
La borghesia colta deve farsi tramite, presso i lavoratori, di diffusione dell'«utile consiglio», della «savia
ammonizione», del «concetto esatto e corretto»; deve proporsi «seriamente l'educazione degli operai», prima
che altri non la precedano per questa via15.
Labriola, allo stesso tempo, si dimostra ben consapevole di come non sia sufficiente diffondere l'istruzione
«per trionfare [...] dell'Internazionale». L'iniziativa didattica ed educativa deve essere accompagnata da
cambiamenti sociali, «l'immegliamento [...] delle nostre province» non può che essere «morale e
materiale»16.
I problemi scolastici non potevano non continuare ad essere al centro dell’attenzione del Labriola,
d’altronde la questione di fondo rimane sempre quella di favorire, attraverso l’educazione, un più elevato
livello di civiltà.
Ma la scuola, assunta da Labriola ad una delle leve per la trasformazione dell’esistente, non può svolgere
alcuna funzione innovativa se si prescinde dalla questione dei maestri e dei professori, dalla loro formazione
e dalle loro concrete condizioni materiali. Già per il Labriola giornalista è necessario «formare la nuova
generazione di professori», «provvedere che la posizione del professore secondario sia una volta per sempre
circondata di quelle guarantigie di rispettabilità e di seria coltura che sole possono invogliare la parte eletta
della gioventù a consacrarsi all’insegnamento»17. Molti professori, per quanto «siano colti nel ramo speciale
al quale attendono», non hanno «studi sufficienti di didattica e di pedagogia»18, pertanto risulta
indispensabile organizzare le Università in «scuole normali superiori, e non si dia più licenza d’insegnare a
nessuno che non abbia studiato in queste scuole normali.[…]. E qui appunto la questione più grave: sapere
organizzare le scuole normali»19.
Sulla formazione degli insegnanti ritorna, ancora molti anni dopo, in una lettera del 4 luglio 1888 a
Giovanni Ferrando, direttore capo dell’istruzione superiore. In considerazione della volontà espressa dal
Ministro Boselli di elaborare un nuovo regolamento «per le scuole di magistero in scienze e lettere»,
Labriola avanza la proposta «di rendere obbligatoria la pedagogia pei laureandi in lettere, che di regola
subiscono quell’esame col solo intento di abilitarsi all’insegnamento nelle scuole secondarie». Magari
«senza esame speciale sarebbe meglio; come già si pratica all’Università di Roma» su proposta dello stesso
Labriola e che, «confermata dal voto della facoltà, ebbe la sanzione del Ministero»20.
Va detto che gli scritti scolastici e pedagogici spesso cercano di tradurre sul terreno del concreto operare
momenti di riforma del pensiero labrioliano; come nel caso della conferenza del 1888 sulla scuola popolare,
dove uno dei motivi è quello della «violenta polemica contro lo Stato accentratore e contro la pretesa di
identificare in una dipendenza dei maestri dallo Stato il carattere di riforma in senso progressivo». Così il
concetto dello Stato etico è posto in crisi, questo è l’altro punto, ed in luogo insorge quello della cultura e
della società che si plasmano a cominciare dalle comunità locali21.
Per quanto riguarda la specificità della scuola popolare, questa «è condizione e conseguenza a un tempo
stesso della lotta per la civiltà, mezzo e fine della elevazione morale delle classi meno abbienti o non
abbienti, perché sentano dentro di sé viva la coscienza dei loro diritti e dei loro doveri». In questo senso
viene considerata quale «necessario complemento di democrazia», che richiede alla «sciatta e insipida
14
Id., La questione sociale in Svizzera, in «Il Piccolo. Giornale politico della sera», del 19 ottobre 1871, ora in N. Siciliani de
Cumis, Antonio Labriola 1868 – 1872, Biblioteca di «De homine», Firenze, Sansoni Editore, 1981, pp. 82 – 84.
15
Cfr. A. Labriola, L'educazione degli operai, in Id., Scritti pedagogici, cit., pp. 157-158.
16
Id., L'Associazione Unitaria Meridionale, in Id., , Scritti liberali, a cura di N. Siciliani de Cumis, Bari, De Donato, 1981, p.
91.
17
Ivi, p. 137.
18
A. Labriola, Carteggio I 1861 – 1880, a cura di S. Miccolis, Napoli, Bibliopolis, 2000, p. 287.
19
Id., Scritti pedagogici, cit., p. 138.
20
Id., Carteggio II 1881- 1889, a cura di S. Miccolis, Napoli, Bibliopolis, 2002, p. 448.
21
Cfr. N. Badaloni, Labriola politico e filosofo, in “Critica marxista” n. 2, 1971, pp. 21-24.
5
politica liberalesca, la quale ha fatto il comodo di pochi, con l’incomodo dei più», di «cedere il posto a
quella politica sociale, che fa dello Stato l’organo necessario e la necessaria funzione del benessere del
maggior numero»22.
La scuola popolare in Italia presenta gravi ritardi e i tentativi riformisti, hanno incontrano l’opposizione
della minoranza dominante23, così alla legislazione in vigore.
non solo manca il concetto intrinseco della scuola popolare24, […] ma le manca quel che è peggio, il congegno amministrativo
facile, pronto, congruo, efficace, di cui c’è bisogno perché l’obbligo non sia e rimanga una enfatica proclamazione. Manca poi
soprattutto l’organo di governo, che con sicura autorità valga a vincere la resistenza dei corpi locali, e la tiepidezza dei cittadini,
che ostacolano il progresso della cultura25.
.
Ebbene, in Italia mentre «manca il primo nucleo della scuola di pochi anni, che serva di avviamento e di
sollecitazione alla scuola di più anni», mentre «manca l’abito in molti comuni di amare e favorire
l’istruzione popolare […] e fanno altresì difetto nel Governo centrale, e la forza legale e la buona volontà di
costringere codesti comuni»; ancora, mentre il paese è privo del «pane cotidiano del leggere e dello scrivere,
che è tutto quello che ci possa dare la scoletta delle due classi d’obbligo, mentre sappiamo quanto sia scarsa
la frequenza di così meschina scuola, e quanto vergognosamente grande il numero degli analfabeti, ci siam
messi comodamente a discutere delle alte ragioni scientifiche della pedagogia».
Proprio
noi che abbiamo un gran numero di contadini, che a scuola, né vanno, né possono andare, noi che perfino nelle maggiori città non
sappiamo rendere accessibile la scuola ai figliuoli degli operai, noi che assai di sovente lamentiamo la mancanza dello strumento
più elementare, dei buoni libri, cioè, di lettura; oh! Proprio noi ci siam fatto lecito di portare in pubbliche conferenze, e di
sottoporre al giudizio delle maggioranze, questioni di metafisica e di antimetafisica;
quando invece è necessario «ricondurre la speculazione pedagogica nei suoi veri termini di guida e di mezzo
di orientazione per la cultura preparatoria e complementare del maestro»26. Dalla cui «ordinata
preparazione» e «indipendenza morale e didattica»27 dipende l’efficacia della scuola popolare.
Sono evidenti le distanze che separano il liberale Labriola, interessato alla formazione di un ceto politico
borghese, dallo studioso che dalle file radicali da lì a poco passerà al socialismo e che fa del diritto alla
cultura uno degli obiettivi fondamentali del suo impegno civile.
Anni dopo Labriola richiamava ancora l’attenzione su quella «cultura popolare» a cui manca «la
condizione primissima della scuola elementare», e aggiungeva che «sarebbe tempo che a ciò provveda chi
ha il dovere di applicare le leggi esistenti, o d’introdurne delle nuove, perché l’Italia non rimanga a dirittura
al di sotto della Finlandia»28.
L’insegnamento della storia
All’impegno di studioso di questioni scolastiche si affianca la concreta pratica dell’educatore sempre
nutrito dalla socratica attenzione al suggerire, al sollecitare idee in opposizione ad ogni pretesa trasmissione
di dottrine sistematiche; socratismo e antiscolasticismo andranno successivamente sostenendo un socialismo
inteso come filo conduttore, come ricerca collettiva.
Già in precedenza lo stesso «insegnamento della storia» per Labriola andava costruito
sull’antiscolasticismo, in più istruire voleva dire
22
A. Labriola, Della scuola popolare, conferenza tenuta nell’Aula Magna dell’Università di Roma il 22 gennaio 1888, in A.
Labriola, Scritti pedagogici, cit., pp. 501- 502.
23
Cfr. Ivi, p. 505.
24
Infatti i cittadini «assolto l’obbligo della scuola elementarissima fra i sette e i dieci anni, se non provvederanno altrimenti alla
cultura loro, avran tempo fino al ventunesimo di ridiventare analfabeti» (ivi p. 508).
25
Ivi, p. 507.
26
Ivi, p. 510- 511.
27
Ivi, p. 517.
28
Ivi, p. 596.
6
adoperarsi perché nello svolgimento interiore, che mette capo nella personale autonomia, prevalgano quegli appunto fra gli
elementi della vita spirituale, nei quali si prepara il predominio dell’ideale etico. Le operazioni educative sono adunque indirette,
in quanto che non si ha in mira di ottenere per mezzo loro il nudo effetto dell’imitazione, ma si di promuovere i princìpi interiori
della retta scelta e della retta operazione. Attività ordinata, rivolta a produrre attività, ecco il preciso assunto del compito
educativo29;
che non può che acquisire, herbartianamente, l’interesse a leva del processo di insegnamento e di
apprendimento.
Ed è così «che tutte le questioni circa la scelta e l’uso delle materie didattiche» trovano
norma certa e […] adeguata espressione nel concetto di interesse, come di quella movenza interiore in cui il conoscere e l’operare
sono ancora implicati l’uno nell’altro, perché fanno uno nelle apprensioni, nei giudizi e negli apprezzamenti che lo spirito, sotto
l’influsso della cultura, viene poco per volta formando dentro di sé come per viva ed ingenita virtù propria30.
Compito dell’attività didattica è quello di «suscitare», per «mezzo dell’istruzione», «l’interesse immediato,
multiforme e concentrato per le cose del mondo interiore ed esteriore»31.
Pertanto, in merito all’insegnamento della storia, se per quest’ultimo «s’intende la nuda narrazione dei fatti
per ordine cronologico, come si usa nei manuali, o il discorso astratto dei filosofi e dei politici su gli
accadimenti umani», non ci si può aspettare dall’insegnamento della storia «un qualche frutto educativo».
Or la storia che importa d’insegnare pei fini dell’educazione non consiste nella disposizione metodica dei fatti e delle date, né è
da considerare quale ordinamento sistematico delle cause generatrici degli avvenimenti umani. Essa ha da essere come il
completamento dell’esperienza attuale con la narrazione dei fatti che la precedettero e la prepararono, deve arricchire l’immagine
del variato spettacolo delle cose umane presenti con la esposizione delle assenti e delle passate, deve presentare all’animo il vivo
dei rapporti sociali fuori delle fluttuazioni dell’empirismo giornaliero; in una parola vuol essere il vario del vivere umano destinato
a suscitare il vario degli spirituali interessi.32
La storia è chiamata ad «offrire» lo «spettacolo variato delle opere dell’uomo, fuori dai limiti
dell’esperienza personale»33, dell’«uomo in quanto volontà individuale e sociale»34. Ogni interpretazione
moralistica della storia deve cessare, tutto lo sforzo deve concentrarsi «nel dare idea di uomini vivi e reali,
palpitanti dei moti degli animi loro»35.
Pertanto
giovano a formare il retto senso delle sociali necessità tutte quelle forme di vivere umano, mercè le quali l’arbitrio degl’individui
rimane vincolato ed assogettato alle esigenze della legge e del costume.
Tutte le nozioni intorno all’ordinamento della vita sociale, che di solito si raccolgono in forma di speciali discipline in quei libri,
che hanno ad obietto la storia dei costumi, delle leggi, delle istituzioni, del rito e del culto, devono essere messe a profitto per
presentare, come in viva immagine, l’insieme delle condizioni normali, dentro delle quali le opere individuali si generano e si
compiono. […].
Ma sopra ad ogni altra cosa conviene che emerga l’idea della legge, qual comune guarentigia ideale degli ordini, e quella dello
stato che è la potenza e la forza esecutrice della legge36.
L’insegnamento storico però non può essere condotto «con fondata speranza di durevole effetto, se non si
procura di tenerlo connesso con tutte le discipline, che in qualche modo posson dargli chiarezza e
compimento»37. Non può essere trattato indipendentemente da discipline come la geografia, per la «piena
29
A. Labriola, Dell’insegnamento della storia, in A. Labriola, Scritti pedagogici, cit. , p. 259.
Ivi, p. 261.
31
Ivi, p. 262.
32
Ivi, p. 266.
33
Ivi, p. 269.
34
Ivi, p. 267.
35
Ivi, p. 275.
36
Ivi, pp. 277 - 278.
37
Ivi, p. 289.
30
7
intuizione della plastica del suolo, come di campo a cui l’uomo viene faticosamente sovraimponendo i
prodotti dell’operosità sua»38, ancora non può fare a meno dell’etnografia e dell’antropologia39.
E’ necessario inoltre porre attenzione sulla quotidianità, sull’arte, sulla cultura e sulla tecnica, per
dare una qualche nozione intuitiva degli esteriori costumi della vita giornaliera, delle forme architettoniche delle città, delle case e
dei pubblici edifizi, […], dei monumenti, in fine, che rilevano in maniera caratteristica la potenza del genio artistico delle varie
epoche, ed il mutare delle forme estetiche secondo i popoli e la civiltà. Tutte coteste cose, quando non si possa altrimenti, saran
poste sott’occhi in libri figurati, e poi descritte e chiarite a tempo e luogo opportuno, or per mettere principalmente in vista gli
aspetti di bellezza, ora per dare orientazione spaziale al racconto che si venga facendo in ordine di tempo, ora in fine per assegnare
con evidenza il grado di cultura tecnica cui si sia giunti nelle diverse epoche della vita storica40.
Ma è un errore credere che l’insegnamento della storia possa essere ridotto alla spiegazione e alla lettura
dei manuali e dei trattati compilati «da mediocri collettori ed ordinatori di notizie». Testi che «quando sien
fatti con sufficiente discernimento della successione cronologica e del sincronismo», servono tutto al più a
dare «come in prospetto generale una certa riconnessione agli avvenimenti, che siano stati studiati ad uno ad
uno, e che poi si voglia percorrere tutti in linee ascendenti e discendenti, ora in linee parallele». I «trattati
generali» vanno usati con molta cautela poiché «per la uniformità del loro colorito, per la monotonia della
lingua, e per la schematica del loro ordinamento, in luogo di promuovere deprimono gl’interessi
dell’intelletto e della simpatia». La notizia storica va attinta «direttamente dalla coscienza di quegli uomini
che furono principali autori e spettatori degli avvenimenti». Usare quanto «più si possa gli autori originali» e
quando ciò non sia possibile è bene ricorrere a «quei libri almeno che furon composti col preciso intento di
dare all’esposizione una forma congeniale a quella dei grandi scrittori». Un espediente che va abbandonato
tutte le volte che sarà possibile «tener lo studio della storia in più stretta relazione con quello delle discipline
filologiche, che dan mezzo di giungere alla interpretazione dei documenti».
È un’evidente indicazione ad operare nella direzione di una didattica della ricerca, per l’acquisizione «di
uno spirito di critica e di esame», inoltre fondata anche sulla consapevolezza dell’educatore, quindi
dell’educando, di come la ricerca «nel campo delle cose umane» sia «incessante cosicché di giorno in giorno
[…] si trovano nuovi rapporti e si chiariscono fatti speciali e nessi causali»41.
Una proposta pedagogica che nel complesso si propone socraticamente di suscitare l’interesse per il
dibattito, per la ricerca
A tale scopo l’insegnamento della storia per Labriola deve tenere conto, come abbiamo già sottolineato,
«delle forze molteplici e varie che sulla scena della storia agiscono e si muovono», dimostrando piena
consapevolezza «dell'influenza limitata degli uomini cosi detti eccezionali nella determinazione delle
vicende umane». Di conseguenza il Cassinate, già nel 1876, voleva che dall'insegnamento uscisse fuori «il
gran sistema della vita sociale», raffigurato «non come ordinamento astratto di concetti, ma si bene come
viva immagine di naturali e di morali necessità», sicché «in presenza di tale spettacolo lo arbitrio individuale
svanisse»42.
L'insegnamento della storia deve presentare il «vario» e il «molteplice» che agiscono sulla scena della
storia, pertanto essa consiste nella narrazione delle vicende dei gruppi e dei popoli, delle loro tradizioni,
delle loro lotte, del loro lento, faticoso procedere verso forme superiori di civiltà; l'insegnamento della storia
deve condurre l'attenzione dell'educando nel bel mezzo del «lavorio sociale»43.
Ma all’apice di tale complesso di relazioni c’è il diritto e lo stato, quale «potenza e […] forza esecutrice
della legge»; in Discorrendo di socialismo e di filosofia, invece, la «storia [...] potrebbe essere rappresentata
[...] come tragedia del lavoro» che «è premessa di ogni umana esistenza [...], condizione di ogni
progresso»44. In questo testo siamo alla concezione del lavoro e delle tecniche produttive, delle strutture
38
Ivi, p. 290.
Cfr. ivi, p. 291.
40
Ivi, pp. 291-292.
41
Ivi, pp. 291-294.
42
L. Dal Pane, op. cit., pp. 107-108.
43
Cfr. A. Labriola, Dell'insegnamento della storia, in Id., Scritti pedagogici, cit., pp. 291-292.
44
A. Labriola, Discorrendo di socialismo e di filosofia, in Id., La concezione materialistica della storia, cit., p. 251.
39
8
economiche, sociali e del conflitto di classe, soprattutto, come basi per l'interpretazione dei processi storici e
dei vari tipi di ordinamento sociale. Ovviamente ne L’insegnamento della storia c'è, rispetto agli indirizzi
tradizionali, un maggiore senso dello spirito collettivo e dei fenomeni di massa intesi in senso generico, ma
non la «rappresentazione delle lotte di classe come fatti predominanti e caratteristici»45.
Mentre la didattica, nei Saggi come nel 1876, «non è attività che produca nudo effetto di cosa fissa (come
nudo prodotto); ma è quella attività che generi altra attività. Insegnando noi riconosciamo, come il nocciolo
primo di ogni filosofare sia sempre il Socratismo; ossia la virtuosità generativa dei concetti»46. Qui il
Labriola ritorna allo scritto sulla dottrina di Socrate, con la chiara intenzione di indicare una continuità ed
una coerenza profonda nello sviluppo del proprio pensiero pedagogico.
Socratismo e antiscolasticismo, quindi, vanno sostenendo un socialismo inteso come filo conduttore, come
ricerca collettiva.
Ed è anche da questo punto di vista che, a proposito di crisi del marxismo, sollecita, l’8 ottobre 1898 in una
lettera a Kautsky, una risposta da parte del movimento socialista che non riduca la «dottrina» ad «una nuova
forma di onniscenza»47.
Già il 24 settembre del 1896 aveva manifestato a Eduard Bernstein la convinzione che il movimento
socialista si apprestava a vivere «una pausa relativamente lunga nel [suo] sviluppo».
Noi possiamo per il momento ignorare le cause: - il materialismo storico non ci ha resi veggenti – ma la pausa c’è. Ciò che noi
tutti vediamo, è soltanto la evidente complicazione politica – cioè la superficie della storia: - e quello che possiamo prevedere, è
soltanto questo: - il mondo capitalistico vivrà un grande spostamento. Giappone – Cina – Russia – Africa - il mercato mondiale ; chi può abbracciare con lo sguardo e penetrare tutto questo?48
Quasi ad un anno di distanza ritorna sulle trasformazioni in corso.
Ora - scrive a Karl Kautsky - la situazione del mondo s’è molto cambiata negli ultimi anni, e si va, ogni giorno più cambiando –
ed al marxista tocca sempre di farsi questa domanda: a che ne siamo, e Was nun ? […].
Ma qui mi vengono naturali molte domande. Come va che nuove forze intellettuali non vengono in aiuto? Come va che da tutta
la massa dei dottori ed accademici non si muovono delle nuove forze verso il socialismo ( - certo queste forze non le cercheremo
nel socialistischer Akademiker49)? – Come va che cresce in modo così colossale, specie in Germania, la letteratura antisocialista,
che rimane quasi senza risposta. Se tutto ciò dimostra, che le forze conservative della società presente sono troppo potenti e troppo
attrattive, dimostra anche, che sotto CERTI RISPETTI il partito in alcune parti della sua azione è, o repellente, o utopistico, o
trascurante della ricerca di quei mezzi, senza dei quali i fini più nobili sono fantasie50.
Ancora, in una lettera dell’8 ottobre 1898 sempre indirizzata a Kautsky, affermava che in
Germania la letteratura sociale, sociologica, economica e storico-economica cresce in modo sorprendente. Che molto di tutto
questo sia diretto contro il socialismo, è ben noto. Ora, com’è che la socialdemocrazia non ha attratto a sé nuove energie
intellettuali (specialmente in Germania, dove di dottori ce n’è in sovrannumero), perlomeno per proseguire la polemica con la
necessaria cognizione di causa e abilità dialettica? […]. Mi pare che, dopo il primo brillante periodo della popolarizzazione del
marxismo, nei socialisti la vena scientifica si è esaurita. […]. La colpa è in ciò, che molta gente considera il marxismo come una
nuova forma di onniscenza! Queste persone non capiscono che, anche se sono buoni marxisti, per poter parlare di storia, filosofia
ecc., devono semplicemente studiare tutto dal principio, come fanno tutti gli uomini51.
D’altronde aveva già affermato nel secondo saggio che anche ai comunisti critici spetta «l’obbligo della
minuta e diretta ricerca»52; inoltre, scriveva nel 1899, «quella intuizione della vita e del mondo» che «si
compendia nel nome di materialismo storico, non è giunta a perfezione negli scritti di Marx e di Engels, e
45
L. Dal Pane, op. cit., p. 108.
A. Labriola, Discorrendo di socialismo e di filosofia, in Id., La concezione materialistica della storia, cit., p. 280.
47
Id., Carteggio IV 1896 – 1898, a cura di S. Miccolis, Napoli, Bibliopolis, 2003, p.641.
48
Ivi, p. 210.
49
Labriola fa riferimento al periodico socialista Der Sozialistische Akademiker.
50
A. Labriola, Carteggio IV 1896 – 1898, cit., p. 375.
51
Ivi, pp. 640 – 641.
52
A. Labriola, Del materialismo storico. Delucidazione preliminare, in Id., La concezione materialistica della storia, cit., p. 9.
46
9
dei loro seguaci», ora «la continuazione di quella dottrina procede ancor lenta, e forse procederà allo stesso
modo per un buon pezzo»53.
Ciò implica, fermo restando il «nerbo» del marxismo che si sostanzia nella «concezione generale dello
sviluppo storico sotto l’angolo visuale della rivoluzione proletaria», la «conveniente revisione dei concetti
che abbiano subito o subiscano correzione dal corso naturale del pensiero»54.
Questa sembra essere la ragione di fondo che lo porta a misurarsi, in Da un secolo all’altro, con la fine
dell’«era liberale» che annuncia il sorgere di un nuovo dissidio tra Oriente e Occidente le cui ragioni non
vanno più ricercate nell’«invidia degli dei» ma nelle «invidie fra gli uomini»; nella concorrenza che è
«l’assioma della società liberale la quale si eserciterà attorno più furiosamente nel nuovo secolo»55.
Un impegno di ricerca, quello avanzato nel quarto saggio incompiuto, che va maturando, ancora una volta,
nel corso dell’attività didattica.
Nei corsi di filosofia della storia, come egli stesso precisa, ha
spaziato per anni su campi svariati. Una volta, Vico ragguagliato alla scienza modernissima, un’altra volta un raffronto
metodologico fra storia e filologia. Un anno mi fermai ad illustrare il variare dei rapporti fra chiesa e stato, un altro, a ripigliare in
esame la preistoria del Morgan col raffronto coi più recenti studii. Due volte trattai documentariamente la storia del socialismo
moderno da Babeuf alla Internazionale, e illustrai in un altro corso le origini della borghesia italiana, e la condizione d’Italia in
sulla fine del secolo decimoterzo. Discorsi più volte della rivoluzione francese […], come per dare, e in compendio, l’avviata alla
retta cognizione di ciò che costituisce l’essenziale, in buona o in mala parte che ciò si prenda, della società moderna. Tutto questo
materiale […] mi sta ora innanzi alla mente, come per illuminare la scena attuale del mondo civile, che io voglio tratteggiare nei
suoi contorni, nel suo interiore assetto, e nell’intreccio delle forze che la configurano e la sorreggono56
Ma il testo che Labriola si accinge ad elaborare non può essere la riproduzione integrale delle lezioni
svolte dal novembre 1900 al giugno del 1901.
Ogni lezione comincia dall’inevitabile preambolo, e termina con la chiusa obbligata. Tante volte si ripete: «come dissi già»; o:
«come dirò inseguito». Si vanno di continuo aprendo delle parentesi, o per ispiegare un termine, o per dare un qualche ragguaglio
sopra un autore, citato, o per colorire con qualche cenno biografico la figura di un personaggio storico del quale sia fatta
menzione. Tutto ciò contraddice allo stile del libro, turba l’attenzione del più paziente lettore, e rende esosa a chiunque la dotta
compilazione.
In ogni caso sono i «pensieri principali di quelle lezioni» a venire raggruppati «senza che dell’apparato e
dello stile della lezione stessa rimanesse più nulla»57. Lezioni, quelle del corso straordinario di filosofia della
storia, in cui Labriola ricorre ad «uno stile di molto diverso di quello che è proprio» del «corso ordinario di
etica e pedagogia».
Ed ecco allora che io, […], in cotesto corso mi lascio andare di buon grado ad una certa agile combinatoria di elementi, e di cose
e di idee, che la stringata classificazione delle discipline suol sempre tenere quasi pedantescamente distinte separate del tutto; uso
in larga misura della libertà, della ricerca e della opinione58.
Ciò che si propone è stabilire una interlocuzione con i suoi «uditori», di cui aveva anni prima affermato il
diritto, a precise condizioni, di partecipare alla discussione scientifica nel corso degli stessi insegnamenti.
Il discutere è condizione dell’apprendere; e la critica è la condizione d’ogni progresso. Ma per discutere, occorre d’aver già
imparato. La scienza è lavoro, e il lavoro non è improvvisazione.[…]. Ma saremo, per fermo, più orgogliosi, se associando voi
all’opera nostra la vostra intelligente docilità, ci permetterete di chiamarvi cooperatori nostri in questo lavoro, che è il più gradito
e nobile che capiti ad uomo di esercitare ordinatamente, anzi commilitoni sotto l’insegna di quella libera e spregiudicata ricerca,
59
che per noi e per voi tutti è diritto e dovere ad un tempo .
53
Id., A proposito della crisi del marxismo,in Id., La concezione materialistica della storia, cit., p. 161.
Ivi, p. 159.
55
Id., Da una secolo all’altro, in Id., La concezione materialistica della storia, cit., p. 324.
56
Ivi, pp. 320 – 321.
57
Ivi, p. 322.
58
Ivi, p. 319.
59
A. Labriola, L’Università e la libertà della scienza, in Id., Scritti pedagogici, cit., pp. 615 - 616.
54
10
Il Socrate socialista
Tutta la ricerca del Labriola viene così alimentata da un’azione educativa che si svolge in forme e
situazioni diverse: sebbene sempre «appassionatissimo dell’arte dell’insegnamento orale», una volta
abbracciato «il socialismo, in cotale rinascenza dello spirito» divenne «più desideroso di comunicar col
pubblico, per mezzo di opuscoli, di lettere d’occasione, d’indirizzi e di conferenze»60; sollecitando anche la
creazione di giornali «di propaganda e di discussione socialistica – di forma istruttiva ed educativa per gli
operai – pien[i] di notizie – e indipendent[i] da ogni consorteria»61; e precisa, non «un bollettino, ma un
giornale di propaganda e d’istruzione»62.
Il compito che Labriola attribuisce a se stesso, fin dalla sua iniziale adesione al movimento proletario, è
quello di sollecitare la formazione di una cultura socialista in Italia, in un paese in cui
gli operai […] sono in gran parte dei semplici artigiani, e anzi dei famuli dei loro padroni, o dei prestatori di servizi personali.
[…]. La parte poi, non molto numerosa, degli operai moderni dei gran centri, che sarebbe adatta all’agitazione socialistica, è come
colta da un’infermità epidemica di scetticismo. Le cause sono evidenti: le fantasmagoriche promesse dei radicali, dei mazziniani e
dei socialisti improvvisatori già durate 20 anni; i frequenti tradimenti, e le continue insidie della polizia; - e soprattutto il metodo
sincretistico di propaganda, che confonde in una l’utopia e la scienza, l’ipocrisia settaria e l’abilità politica, la corruzione
demagogica, la burletta63.
Inoltre i lavoratori italiani, scrive il 7 aprile 1891,
s’agitano in un moto appena iniziale che per ora non accenna a raccogliersi e ad affermarsi nella coesione d’un partito. Le idee più
varie e le più contraddittorie gorgogliano nelle loro menti, i propositi più difformi spuntano dai loro discorsi; rifanno, così per dire,
tutta la scala dei tentativi già superati e armonizzati negli altri paesi; recitano i primi elementi di una lezione, che già altrove ha
dato i frutti di una matura esperienza. […]. Questi operai fanno ora per la prima volta la loro educazione di proletariato moderno
militante, e impareranno poi dall’esperienza e dall’attrito a sceverare il possibile dall’impossibile, e ad intendere come
l’impossibile di oggi sia il possibile di domani64.
Labriola rimane fermo nella convinzione che «il moto del proletariato si possa stimolarlo, ma» non
affrettarlo. Il partito operaio si deve venir costituendo per l’azione spontanea dei lavoratori messi in opposizione col capitalismo
dalle stesse condizioni di fatto, e dalla propaganda condotta con oculatezza. Noi socialisti, dirò così, teorici possiamo offrire le
armi più generali e comuni, ma non possiamo e non dobbiamo turbare il movimento proletario con proposte anticipate, premature,
astratte65.
A tale scopo è necessario anche «un giornale settimanale, a grandi linee, socialistico di spirito, ma scritto
con accorgimento politico, internazionale per informazioni, istruttivo senza saperlo, che esponga la dottrina a
proposito delle cose, e faccia la polemica ragionando»66.
Un’idea, quella del giornale, che Turati sembra realizzare con l’acquisizione nel 1890 di Cuore e Critica,
fino ad allora diretto da Arcangelo Ghisleri, e la trasformazione della rivista in Critica Sociale; della prima
però, secondo l’esponente socialista milanese, non doveva perdere «quel carattere largo, eclettico, che è […]
una delle sue forze» e deve diventare allo stesso tempo «organo […] del socialismo scientifico italiano»67
60
Id., Discorrendo di socialismo e di filosofia, Id., La concezione materialistica della storia, cit. p. 277.
Id., Carteggio IV 1896 – 1898, cit., p. 189.
62
Ivi, p. 213.
63
Id., Carteggio III 1890 – 1895, cit., p. 215.
64
Id., Scritti politici 1886 – 1904, cit., p. 256.
65
Id., Carteggio III 1890 – 1895, cit. , p. 33.
66
Ivi, p. 61.
67
Ivi, p. 109. «Al giornale – scrive il Cassinate - dovrebbe poi coordinarsi la pubblicazione di una piccola biblioteca socialista
popolare che contribuisse a creare ciò che più manca, la coscienza socialista precisa» (ibidem).
61
11
Dietro tale progetto c’è la convinzione del Turati, espressa il 17 gennaio 1891 in risposta ad un preciso
quesito del Labriola68, che
un partito socialista od operaio, nel puro senso della parola, in Italia […] non esiste ancora, e che si tratta ancora di crearlo, o
piuttosto di aiutarne i germi, mano mano che lo sviluppo della industria e la diffusione delle idee lo va alimentando: aiutarli con
ogni sorta di propaganda, sia coi giornali che direttamente vanno fra gli operai, sia con quelli che vanno nella borghesia magra e
creano attorno al moto operaio nascente un ambiente meno ostile, sia con pubblicazioni che creino o stimolino i propagandisti,
aiutino il formarsi in noi stessi della coscienza socialista e dello spirito di propaganda, sia con conferenze, indirizzi, influenze
personali69.
Ma le obiezioni che il Labriola solleva non riguardano la considerazione gradualista dello sviluppo del
movimento operaio e socialista in Italia e gli specifici e necessari presupposti materiali, d’altra parte aveva
già dichiarato, allo stesso Turati che l’Italia non era «matura per il socialismo»70. Le critiche sollevate dal
Cassinate alla linea politico – culturale che Turati intendeva dare alla Critica sociale erano rivolte tanto
contro l’eclettismo culturale e ideologico del nascente movimento socialista quanto contro la pretesa del
socialista milanese di «rendere simpatico il socialismo» fra i borghesi. Certo Turati, scriveva ad Engels il 21
maggio 1892,
è un ottimo figliolo, onesto e disinteressato – ma di animo e temperamento esclusivamente italiano, anzi milanese. Conosce assai
poco l’Italia reale, e il rimedio che propone è peggio del male. È la vecchia canzone bakuniniana del mettere assieme una
combriccola di spostati della borghesia, di malcontenti per temperamento, e di pessimisti per invidia, per formare un partito
socialista, che vorrebbe poi dire una consorteria di politicanti71.
Alla degenerazione che intravede, alla lotta tra legalitari ed antilegalitari, ai vistosi episodi di mancanza
di democrazia interna alle due componenti, o meglio «fazioni politiche», Labriola contrappone la
rappresentazione netta della «dottrina socialista» e la subordinazione di ogni iniziativa «alle assemblee
operaie»72. I «socialisti devono essere innanzi tutto democratici, parlar chiaro, apertamente, e in pubblico,
cessando di essere giacobinelli e politicanti»73.
È ciò che può consentire ai socialisti di diventare, come scriverà più tardi,
i naturali e risoluti alleati di quelle frazioni della borghesia, le quali si trovino, nei diversi paesi, impegnate a combattere, o gli
avanzi della feudalità, o la reazione cattolica o il dominio della sciabola, o ogni altra forma di regresso, ma devono essere e
rimanere alleati dalle mani nette. Devono essere alleati come organizzazione politica del proletariato, che per sua indipendenza
disponga, ad ogni istante della propria iniziativa e della libertà dei suoi propri movimenti74.
Mentre svolge aspre critiche al «socialismo italiano», all’Università il professore romano tratta «della
interpretazione materialistica della storia, spiegando anche il manifesto comunista»75.
All’Università – scrive ad Engels il 21 febbraio 1891 - , dove finalmente ho ripreso lena e libertà di parola, svolgo già da quattro
mesi la teoria materialistica della storia. Ai giovani mal preparati riescono troppo astruse le dottrine del Capitale; e perciò
cominciai dalla lettura e dal commento del Manifesto Comunista, lavoro insuperato per densità del pensiero nella semplicità della
forma76.
68
«La vostra lettera gentilissima non rispondeva a tono alle mie domande. Io non vi chiedevo informazioni su l’atteggiamento
letterario del vostro giornale, ma volevo per indiretto chiedervi che cosa ne pensate ora del così detto partito socialista italiano:
perché io non capisco più per chi e per che cosa dobbiamo scrivere ed adoperarci» (ivi, p. 112).
69
Ivi, p. 113.
70
Ivi, p. 60.
71
Ivi, p. 215.
72
Ivi, p. 116.
73
Ivi, p. 112.
74
A. Labriola, Scritti politici 1886 – 1904, cit., p. 463.
75
A. Labriola, Carteggio III 1890 –1895, cit., p. 119.
76
Ivi, p. 120.
12
Allo stesso tempo continua a seguire con attenzione gli eventi sociali di quei mesi e non manca di
registrare come ad un vago socialismo si vada sostituendo «poco per volta il concetto della lotta di classe»77.
D’altra parte, come aveva dichiarato ad Engels il 23 maggio 1892, non era sua intenzione ridarsi «alla vita
della contemplazione, e di ripigliare il semplice mestiere dell’erudito»78. Non poteva rimanere nel suo
studio «per ivi rinchiudersi a meditare solitario e sdegnoso. Rimaneva invece in mezzo agli uomini per
studiarli da vicino, per spronarli alla lotta, per fustigarli, per ammaestrarli, per correggerli. Dall’Università al
Caffè Aragno, nelle conversazioni, nelle lettere, negli articoli, negli opuscoli, nei libri, egli insegnava
sempre»79.
Il problema è che tra l’espressione spontanea delle lotte popolari
e la coscienza sviluppata della rivoluzione proletaria manca in Italia un anello di congiunzione, che è appunto la cultura
socialistica. I nostri operai non saranno certo gli eredi della filosofia classica tedesca, appunto perché quella filosofia a mala a
pena passò per il solitario cervello di qualche professore italiano. La nuova generazione non conosce che i positivisti, che sono per
me i rappresentanti della degenerazione cretina del tipo borghese80.
Ecco allora un’affermazione con cui il filosofo, il teorico, il pedagogista sui generis esprime un preciso
programma di lavoro: se «l’azione pratica in Italia non è possibile», allora è necessario «scriver libri per
istruire quelli che vogliono farla da maestri. Manca all’Italia mezzo secolo di scienza e di esperienza degli
altri paesi. Bisogna colmare questa lacuna»81.
A poche settimane di distanza il Congresso di Genova del 1892 sembra rappresentare per Labriola una
qualche novità positiva, c’è infatti «un gruppo di persone impegnate a seguire una linea di condotta; c’è un
comitato responsabile per lo meno di quello che non farà; c’è, spero, un giornale di propaganda; c’è
l’embrione di qualche cosa»82.
Il «piccolo partito sorto di sorpresa» con un «programma votato alla rinfusa»83 e il «bisogno in Italia di
libri» fanno superare a Labriola ogni indugio e rafforzano i dichiarati intenti politico -pedagogici
Eccole – scrive ad Engels il 2 settembre 1892 – in poche parole che lavoro preparo: la genesi del manifesto comunista. Fine
prossimo, una traduzione decente. E come ci vorrebbe un gran commentario, così rifaccio tutto l’ambito ideale e reale da cui il
Manifesto è sortito. Spero di venirne a capo entro dicembre. Farò di fondere italianamente il pensiero astratto con la trattazione
concreta – Mi arrendo a ciò con ripugnanza. I miei studi furono sempre di filosofia, filologia e storia. Accettando il socialismo
come cosa fatta ed elaborata, per anni me ne sono servito come oratore ed occasionalmente. Temo la taccia di incompetente. Ma
oramai c’è bisogno in Italia di libri84.
Un lavoro che al momento passa per le sue lezioni universitarie85, svolte con il necessario scrupolo
scientifico, anche in considerazione del fatto che l’«“interpretazione materialistica della storia”» ha «bisogno
per arrivare a maturità di un più largo studio di analisi particolari»86.
Ma le difficoltà che Labriola incontra nell’elaborazione dell’«opuscolo» sulla «“genesi del manifesto
comunista”», risiedono nelle mancanza di «precedenti letterarii nazionali» a cui riferirsi, «siano pure erronei
o sbagliati». Come «colmare la lacuna di un secolo di storia? Come presentare di scorcio fatti, persone,
teorie etc. che sono tante fasi, e tanti momenti né subiti né conosciuti dall’Italia?».
Problemi che il professore risolve brillantemente nel corso delle lezioni universitarie dedicate alla «
“genesi del socialismo moderno”».
77
Ivi, p. 127.
Ivi, p. 216.
79
L. Dal Pane op. cit., p. 290.
80
A. Labriola, Carteggio III 1890 – 1895, cit., p. 127.
81
Ivi, p. 228.
82
Ivi, p. 244.
83
Ibidem
84
Ivi, p. 245.
85
Cfr. ivi, p. 284.
86
Ivi, p. 269.
78
13
Nel far lezione – scrive ad Engels - è tutt’altro. Ne dedico quest’anno (92-93) circa sessanta, […], come le dissi, alla «genesi del
socialismo moderno». Nel parlare si ha subito la coscienza di quel che manca all’uditore. E poi c’è tempo di fare delle digressioni,
di spiegare i nomi, le date storiche, i termini che si adoperano. Ora si parte dalle biografie, ora dalla definizione. Si aprono delle
parentesi, si ripete il già detto, si amplia si corregge etc.87
Ma nessun individuo può colmare «una lacuna della storia»88, pertanto non risultava agevole trattare in
opuscolo «(- qui i libri non li legge nessuno -) quello, o parte di quello» che aveva «insegnato»89; realizzare
una trattazione che allo stesso tempo voleva essere rigorosa, accessibile e didatticamente efficace.
Testi quindi preparati nel corso delle lezioni universitarie, durante le quali tratta «il socialismo come materia
di insegnamento in piena regola».
Già da anni – scrive a Richard Fischer il 22 aprile del 1894 – tento, qui all’Università, di trattare il socialismo come una materia
di insegnamento in piena regola. Così, ad esempio, nell’anno accademico 1890 – 91 […] ho esaminato il Manifesto del partito
comunista come introduzione alla concezione materialistica della storia.
Dall’ottobre 1892, continua nella lettera al Fischer,
ho stabilito un saldo piano di lavoro dal titolo “La genesi del socialismo moderno”. Tratterò ogni anno il tutto in modo rapido e
descrittivo, e ne approfondirò una parte o un’altra attraverso lo studio dei documenti e l’analisi critica. Così, nell’anno accademico
1892 – 93 mi sono occupato della rivoluzione francese e del cartismo, e quest’anno (1893 – 94) tratto principalmente dello
sviluppo del marxismo e dell’Internazionale.
Non tutto quello che è stato trattato nelle lezioni può essere messo «in forma di libro», Labriola ritiene
opportuno tradurre in volume «alcune parti» e in primo luogo la «“genesi del manifesto comunista”». Ciò
ha anche un risvolto concreto, la «situazione sociale complessiva dell’Italia – fatta astrazione dai fattori
politici di disturbo o di antagonismo – è ancora al di sotto del livello, che nel Manifesto è considerato come
presupposto storico». E’ necessario «ripercorrere, teoricamente e praticamente, tutto il processo dello
sviluppo, perché non siamo andati di pari passo con le altre nazioni» 90.
L’«ufficio» del socialismo
Tutto questo mentre il movimento dei Fasci siciliani sembrava rappresentare in Italia il passaggio del
socialismo da «idea astratta di un qualche isolato pensatore», da «frettolosa deliberazione di pochi associati»
a «sentimento che investe le masse», a «forza che le sospinge»91. Certo la lettera a Pablos Iglesias, da cui
sono tratti i passi poc’anzi citati, risente dello «stile ed intonazione» propria di un testo destinato alla
pubblicazione e alla propaganda politica, ma a Victor Adler ribadisce la sua fiducia «nello sviluppo del
socialismo in Italia»; la questione di fondo è che va considerato «l’insieme delle condizioni storiche»92 in cui
il movimento opera. Condizioni che per quanto riguarda l’Italia rendono precarie le possibilità stesse di
affermazione del movimento socialista.
87
Ivi, p. 291.
Ibidem
89
Ivi, p. 567.
90
Ivi, p. 395.
91
Ivi, p. 391. Dopo una iniziale perplessità, determinata dalla scarsa stima che Labriola nutriva per i dirigenti del movimento, i
Fasci siciliani risultano essere «il secondo gran movimento di massa dopo quello di Roma 1888 – 91, e certo con più
fondamento di cause permanenti» (ivi, p. 344). «Fino ad ora la parola di un italiano non poteva essere che modesta, anzi
modestissima, nei rapporti del socialismo internazionale. […]. Ora ciò è cambiato. Coi tristi casi di Sicilia il proletariato è
venuto su la scena. Questa è la prima volta in Italia, che il proletariato, con la sua coscienza di classe oppressa e con la
tendenza al socialismo, s’è trovato di fronte la borghesia. Alla prima mossa è succeduta rapida la repressione. Ma ciò non
rimarrà senza effetto. Gli stessi errori commessi serviranno di ammaestramento. La stessa borghesia, che per difendersi ha
bisogno di reprimere, fa da maestra. D’ora innanzi non ci sarà che progresso. Il socialismo come forza propulsiva, investirà la
massa proletaria» (A. Labriola, Scritti politici 1886 - 1904, cit., p. 319). Ancora, nel primo saggio afferma che in «Italia, il
primo segno di vita, che il proletariato abbia dato di sé, è consistito nelle sollevazioni dei contadini di Sicilia, alle quali altre
dello stesso tipo ne tennero dietro sul continente, ed altre assai probabilmente ne succederanno in seguito» (ivi, p. 41).
92
A. Labriola, Carteggio III 1890 – 1895, cit., p. 462.
88
14
Così, il 24 dicembre del 1896, scrive a Benedetto Croce: «Noi non siamo usciti dal Bakunismo, e il
socialismo italiano è ancora fatto dagli spostati, dagli avventurieri, dagli imbroglioni e dagli snobisti»93.
Inoltre «l’Italia ha la disgrazia non solo di non avere il socialismo, ma di non avere nemmeno una borghesia
capace di concorrere con quella degli altri paesi »94.
Si tratta di affermazioni che hanno profonde implicazioni politiche ed ideologiche, infatti, per quanto il
rapporto struttura – sovrastrutture si presenti nell’elaborazione del Labriola dotato di una complessa
reciprocità, l’autore dei Saggi rimane convinto che la storia ha le sue regole i suoi vincoli a cui non possiamo
sottrarci.
È con il Manifesto che il comunismo, cessando di essere «speranza, aspirazione, ricordo, congettura o
ripiego, trova per la prima volta la sua adeguata espressione nella coscienza della sua propria necessità»;
cioè nella «coscienza di essere l’esito e la soluzione delle attuali lotte di classe. […]. Di questa lotta il
Manifesto trova la genesi, determina il ritmo di evoluzione, e presagisce il finale effetto»95.
Il comunismo sarà la conseguenza del dissolversi della società capitalistica, ma in quest’ultima «la
dissoluzione non può essere inoculata ad arte, né importata ab extra.[…] Cadrà come forma di produzione,
che genera da sé in se stessa la costante e progressiva ribellione delle forze produttive contro i rapporti
(giuridici e politici) della produzione»; una morte «inevitabile», «un caso fisiologico»96.
Alla «tattica delle sommosse» Labriola contrappone l’«educazione democratica» della «massa proletaria»
che si svolge attraverso l’elezione e la discussione dei «suoi rappresentanti», facendo «sue, esaminandole, le
idee e le proposte, che quelli per anticipazione di studio o di scienza abbiano intuito e presagito».
La «conquista del potere politico non dee né può esser fatta da altri in nome suo»; la massa proletaria deve
intendere «che la dittatura del proletariato, la quale dovrà preparare la socializzazione dei mezzi di
produzione, non può procedere da una somma di una turba guidata da alcuni, ma deve essere e sarà il
resultato dei proletari stessi che siano, già in sé, e per lungo esercizio una organizzazione politica»97.
Un processo che non può che avere un carattere profondamente democratico e retto da una solida attività di
educazione e autoeducazione; così «del termine composto» di democrazia sociale per Labriola conviene
innanzitutto «accentuare la prima parola».
Democratica fu la costituzione della Lega dei comunisti; democratico fu il suo modo di procedere, anche nell’accogliere,
discutendola, la nuova dottrina; democratica fu la sua condotta nel mescolarsi alla rivoluzione del 1848, e nel partecipare alla
resistenza insurrezionale contro l’invadente reazione; democratico fu, da ultimo, perfino il modo della sua dissoluzione. […]. Così
fu parimenti della Internazionale […]. Così è e deve essere nei partiti proletarii, e dove ciò non è, o non può essere ancora,
l’agitazione proletaria, elementare appena e confusa, genera soltanto illusioni, o dà pretesto all’intrigo98 .
Allo stesso tempo, dal punto di vista del comunismo critico, è «la società tutta intera che in un momento
del suo processo generale scopre la causa del suo fatale andare»; la «previsione storica» che sta al fondo
della dottrina non può avere natura cronologica né può essere «la dipintura anticipata di una configurazione
sociale, come fu ed è proprio delle antiche e nuove profezie e apocalissi». «La previsione, che il Manifesto
per la prima volta accennava, era […], per dirla in una parola», che per Labriola «esprime tutto in breve,
morfologica»99.
93
Id., Carteggio IV 1896 – 1898, a cura di S. Miccolis, Napoli, Bibliopolis, 2004, p. 264.
Ivi, p. 323.
95
A. Labriola, In memoria del Manifesto dei Comunisti, in Id., La concezione materialistica della storia, cit., p. 9.
96
Ivi, pp. 20 – 21.
97
Ivi, pp. 35 – 36.
98
Ivi, pp. 37- 38. Per quanto riguarda il socialismo da realizzare per Labriola è necessario «insistere su l’espressione di
democratica socializzazione dei mezzi di produzione, perché l’altra di proprietà collettiva, oltre a contenere un certo errore
teorico, in quanto scambia l’esponente giuridico col fatto reale economico, nella mente poi di molti si confonde con
l’incremento dei monopolii, con la crescente stratificazione dei servizi pubblici, e con tutte le altre fantasmagorie del sempre
rinascente socialismo di stato, il cui segreto è di aumentare in mano alle classi degli oppressori i mezzi economici
dell’oppressione» ( ivi, p. 10 n).
99
Ivi, p. 27.
94
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Previsione stabilita sulla base di uno studio «genetico», che «consiste nell’andare dalle condizioni ai
condizionati, dagli elementi della formazione alla cosa formata»100, che muove al ritrovamento «dei veri e
propri principii e moventi di ogni sviluppo umano», dai «cangiamenti», riguardanti i «processi economici
della struttura sottostante»101, all’«avvento di una società, che svolgendosi dalla presente, e anzi dai suoi
contrasti, per leggi immanenti del divenire storico, metta capo in una associazione senza antitesi di
classe»102.
Pertanto la «premessa di tale previsione», cioè dell’«avvento della produzione comunistica, non come
postulato di ricerca, né come meta di una volontaria elezione, ma come il resultato dell’immanente processo
della storia»,
è nelle condizioni stesse della presente produzione capitalistica. Questa socializza di continuo il modo di produrre, avvince
sempre di più il lavoro vivo e regolamentato alle condizioni obiettive della tecnica, concentra di giorno in giorno sempre più la
proprietà dei mezzi di produzione nelle mani di pochi, che come azionisti e negoziatori di azioni si trovano sempre più assenti dal
lavoro immediato, la cui direzione passa all’intelligenza. Col crescere della coscienza di tale situazione nei proletarii, cui
l’insegnamento della solidarietà viene dalle condizioni stesse della loro reggimentazione, e col decrescere della capacità nei
detentori del capitale a conservare la privata direzione del lavoro produttivo, si verrà ad un punto in cui, di un modo o dell’altro,
con l’eliminazione di ogni forma di rendita, interesse e profitto privato, la produzione passerà all’associazione collettiva, ossia
sarà comunistica103.
Si tratta di affermazioni che hanno anche finalità politico – pedagogiche: Del Materialismo storico come
In memoria del Manifesto dei comunisti si rivolge ai settori più coscienti del movimento proletario ma
ancora suggestionati dall’anarchismo, perché acquisiscano i termini di una «dottrina» che consapevole di
essere l’esito del movimento reale non cede ad alcun «arbitrio soggettivo»104 o proclama «giacobino».
Quindi «l’assunto» soprattutto del primo saggio era quello di mostrare
come la concezione materialistica della storia fosse nata precisamente in date condizioni e cioè non come personale e discutibile
opinione di due scrittori, ma come una nuova conquista del pensiero per la inevitabile suggestione di un nuovo mondo che si sta
generando già, ossia la rivoluzione proletaria,[…]. Il che è quanto dire, che una nuova situazione storica si è completata del suo
congruo istrumento mentale105 .
Ogni espressione del pensiero è ben radicata nella storia; la struttura economica della società, ossia «la
forma della produzione dei mezzi immediati della vita», determina «sopra un terreno artificiale106, in primo
luogo e per diretto, tutta la rimanente attività pratica dei consociati» e il variare di tale attività nel processo
storico. Ma da tale «sostrato a tutto il resto il processo di derivazione e di mediazione è assai complicato,
spesso sottile e tortuoso, non sempre decifrabile»107.
La storia pertanto è necessario intenderla integralmente, «spiegare l’intreccio ed il complesso, per
l’appunto in quanto è intreccio e complesso. Non si tratta di scovrire e di determinare il terreno sociale
solamente», le categorie economiche
sono esse stesse divenute e divengono, come tutto il resto; - perché gli uomini mutano quanto alla capacità e all’arte di vincere,
aggiogare, trasformare ed usare le condizioni naturali; - perché gli uomini cambiano animo ed attitudini per la reazione degli
istrumenti loro sopra di loro stessi; - perché gli uomini mutano nei loro rispettivi rapporti di conviventi, e perciò di dipendenti in
vario modo gli uni dagli altri. Si tratta, insomma, della storia, e non dello scheletro suo. Si tratta del racconto e non dell’astrazione;
100
Ivi, p. 63.
Ivi, p. 28.
102
A. Labriola, Del materialismo storico. Delucidazione preliminare, in ivi, p. 96.
103
Ivi, pp. 117 – 118.
104
A. Labriola, In memoria del Manifesto dei comunisti, in ivi, p. 51.
105
A. Labriola, Del materialismo storico. Delucidazione preliminare, in ivi, p. 99.
106
La «natura è sempre il sottosuolo immediato del terreno artificiale, ed è l’ambito che tutti ci cinge. La tecnica ha messo fra
noi animali sociali e la natura i modificatori, i deviatori, gli allontanatori degl’influssi naturali; ma non ha perciò distrutta la
efficacia di essi» (ivi, pp. 135 - 136).
107
Ivi , p. 95.
101
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si tratta di esporre e di tratteggiare l’insieme, e non già di risolverlo e di analizzarlo soltanto; si tratta, a dirla in una sola parola, ora
come prima e come sempre, di un’arte108.
Un’arte che si deve proporre di comprendere e far comprendere «l’intreccio ed il complesso nella sua
intima connessione e nelle sue manifestazioni esteriori; discendere dalla superficie al fondo», e «poi rifare la
superficie dal fondo; risolvere le passioni e i disegni nei moventi loro, dai più prossimi ai più remoti
elementi di una determinata situazione economica: ecco l’arte difficile, che deve esemplificare la concezione
materialistica»109.
Un’arte che deve essere ben consapevole di come la «forma capitalistico borghese» si svolge non «secondo
regole e piani» ma «per via di attriti e di lotte», che nell’insieme formano un «costante intrigo di antitesi»110.
La «relatività» delle formazioni economico - sociali sta nel fatto che si costituiscono in determinate
situazioni, ma non può essere ridotta a «fugacità», a «mera apparenza»: tutt’altro se il «trapasso» è un «caso
fisiologico»111, se il capitalismo più si estende e più suscita le forze che lo seppelliranno, se il socialismo è il
risultato necessario della completa sussunzione del globo all’organizzazione economico-sociale
capitalista112.
Questi i contenuti di fondo della pedagogia politica del Labriola, una lettura dei processi storici che si
traduce di fatto nella rinuncia a fare dell’educazione un atto partecipativo alla costituzione di una volontà
collettiva in grado di stabilire un rapporto dialettico con la realtà.
108
Ivi, p. 140.
Ivi, p. 141.
110
Ivi, p. 148.
111
A. Labriola, In memoria del Manifesto dei comunisti, in ivi, p. 21.
112
Ivi, p. 55.
109
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