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ARCHIVUM
HISTORIAE
PONTIFICIAE
10
1972
PONTIFICIA
FACULTAS
UNIVERSITAS
HISTORIAE
ROMAE
13 }11:S5
GREGORIANA
ECCLESIASTICAE
_
MARIO FOIS S. I.
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I COMPITI
E LE PREROGATIVE DEI CARDINALI VESCOVI
SECONDO PIER DAMIANI
NEL QUADRO DELLA SUA ECCLESIOLOGIA PRIMAZIALE
Summarium. - Auctor, nono saeculo a morte Petri Damiani recurrente, hane quaestionem, quae pars est amplioris operis proxime edendi,
publici iuris facit. Exponitur conceptio Petri de cardinalium episcoporum
officiis et praerogativis, habita ratione doctrinae eiusdem Doctoris circa
Romani Pontificis primaturn et reformandae Eeclesiae munus Sedi Apostolicae incumbens. In prima parte quaeritur quis sit in Romana Ecclesia
iurium primatialium subiectum; comprobatur Petrum Damiani semper
asseruisse, hoc subiectum esse solum R. Ecclesiae episcopum, non autem
episcopum cum cardinalibus (sicuti opinio quaedam recentior asserit).
In altera parte exponuntur officia cardinaIium episcoporum (vigiIantia
in Ecclesia, custodia Sedis ApostoIicae, defectuum correctio) eorundemque praerogativae (potiores partes in Papa eIigendo exercere, eius consiliarii in gubemanda Ecclesia universali esse, potestas in ipsos episcopos,
Sede vacante, censuras promulgandi).
Sia detto subito: Pier Damiani è l'unico autore, tra i « Gregoriani » del sec. XI, che si dimostra in possesso di una chiara
coscienza della funzione e dei diritti del cardinalato romano,
anche se limitatamente ai Cardinali Vescovi, e che cerca di definirli ecclesiologicamente ed ecclesiasticamente in più di uno
scritto. Questi scritti appartengono in parte agli anni che precedono immediatamente i decreti sinodali del 1059 e del 1060
e in parte agli anni successivi. Appartengono, cioè, a quei due
periodi di tempo· che possono considerarsi come le prime due
tappe dell'evoluzione storica del cardinalato nel sec. XI, assumendo come termine discriminante i decreti sinodali suddetti 1.
1 Le tappe dell'evoluzione storica del Cardinalato romano sono spiegate al
cap. I" del libro di prossìma pubblicazione. Ma si veda più avanti in questo
stesso articolo alle pp. SS-56.
Per la bibliografia su Pier Daminiani si rimanda a quelle offerte dai seguenti autori, che si completano a vicenda: O.J. BLUM,St. Peter Damian: his
Teaching on the Spiritual Life, Washington 1947, pp. 216-219;Fr. DRESSLER,
Petrus Damiani. Leben und Werke, Studia Anselmiana, XXXIV (1954)X-XVIII;
P. PALAZZINI,
Il Diritto strumento di Riforma in S. Pier Damiani: Eph, luris
26
MARIO FOIS
Le due circostanze indicano già i limiti, non solo cronologici,
delle idee espresse in essi. Ciò nondimeno queste costituiscono
un passo decisivo nella concezione del cardinalato romano.
Per precisare con esattezza il pensiero del Monaco avelIanese, ' bisogna inquadrarlo nella visione teologica del Primato
romano, ripetutamente formulata dal medesimo sia negli scritti
contenenti le idee sui Cardinali Vescovi che in molti altri. Lo
stesso pensiero, inoltre, deve essere letto nel contesto storico
della cosiddetta «riforma gregoriana », della quale insieme a
Umberto da Silvacandida fu' un protagonista e per la cui realizzazione egli ascrive alla Chiesa Romana un ruolo essenziale
decisivo e insostituibile, fin dai primi anni del suo priorato a
Fonte Avellana. Effettivamente a due anni circa dalla sua elezione a priore, quindi nel 1045, scriveva al card. Pietro, Cancelliere della Sede Apostolica:
Nisi enim ad rectitudinis
statum
sedes romana
redeat,
certum
est,
quia totus mundus
in suo lapsus errore perdurat.
Et necesse est jam ut
eadem sit renovandae
principium,
quae nascentis
humanae
salutis extiterat
fundamentum
2.
.
11 (1955) 362-363; K. RmNDEL, Studien zur Uberlieferung der Werke
Archiv 15 (1959) 23-24. Per quanto riguarda questa ricerca qui basta indicare le fonti e le opere realmente utilizzate.
Fonti. Le opere contenute nella PL voll. 144 e 145. Di queste due, il Liber
Gratissimus e la Disceptatio Synodalis sono state edite criticamente
dal De
Heinemann
nella colI. MGH, Libelli de Lite Imperatorum et Pontiflcum, I,
Hannover 1891, pp. 15-75; 76-94. Gli altri scritti di Pier Damiani non contenuti
nell'edizione del Migne e successivamente
pubblicati da diversi autori sono stati
raccolti, e in più di un caso nuovamente
trascritti
dai codici più attendibili,
da Giovanni LUCCHESI,Clavis S. Petri Damianl, in Studi su S. Pier Damiano
(in onore del card. Amleto Giovanni Cicognani), Faenza 1961, pp. 34&-387.
Opere. Quelle maggiormente
utilizzate per il tema generale e per qualche
aspetto particolare del medesimo sono le seguenti; Le opere già citate del BLUM,
deI DRESSLER,del PALAZZINI, del LUCCHESI; quindi A. FLIeHE, La Réforme Grégorienne, I, Paris 1924; O. J. BLUM, The Monitor of the Popes, St. Peter Damian;
Studi Gregoriani II (1947) 459-476; J. RYAN,Saint Peter Damiani and his canonical
Sources, Toronto 1956; J. LEcLERCQ,Saint Pierre Damien Ermite et Homme
d'Eglise, Roma 1960; F. KEMPF, Pier Damiani und das Papstwahldekret von 1059;
AHP 2 (1964) 73-89; G. ALBERIGO,Cardinalato e Collegialità, Firenze 1969. Circa
il pensiero del Damiani sul Cardinalato
sono stati tenuti presenti
i lavori
seguenti; J. B. SÄGMULLER,Die Thätigkeit und Stellung der Cardinäle bis Papst
Bonifaz VUI, Freiburg 1896 (citato, Cardinäle); W. H. KLEWITZ, Die Entstehung
des Kardinalkollegiums, in Reformpapsttum und Kardinalskolleg. Darmstadt 1957;
S. KUTTNER,Cardinalis : The History of canonical Concept; Traditio 3 (1945)
129-214. Le altre ricerche consultate
saranno citate nelle note.
2 Ep,
II, 19; PL 144, 288. Per la datazione degli scritti del Damiani mi
servo dei lavori di G. LUCCHESI,Clavis S. Petri Damianl pp. 279-301; 309-345;
Per una Vita di s. Pier Damiani, in San Pier Damiano. Nel IX Centenario della
morte. Cesena 1972, pp. 13-161, e di quello del P. J. RYAN, Saint Peter Damiani
and his Ca,!onical Sources, 249-407, spec. 279 ss. Talvolta anche del DRESSLER,
Petrus Damiani, pp. 238-240 e passim.
Canonici,
des Petrus Damiani : Deutsches
, I
I
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
27
In queste poche parole si trova racchiusa tutta la VISIone
della riforma, sul piano teologico ed ecclesiale e non semplicemente giuridico di Pier Damiani: La riforma della Sede apostolica vista in rapporto con la liberazione della società cristiana
dallo stato deplorevole in cui era caduta: l'urgenza per la stessa
Sede di prendere l'iniziativa della riforma, cioè, più esattamente, di divenire «il principio It del rinnovamento cristiano o
« della salvezza It: infine il motivo ecclesiologico oltre che storico di questa necessità incombente alla Chiesa romana, l'essere
stata essa inizialmente il «fondamento It, cioè il centro di dìffusione del Cristianesimo, la madre di tutte le Chiesa, almeno
in Occidente. Quest'antica convinzione, riscontrabile già in Umberto da Silvacandida, include anche l'aspetto primaziale, sottinteso nelle parole del Damiani, proprio perchè l'evangelizzazione primitiva irradiantesi da Roma fino all'Africa e all'Egitto
oltre che nell'Italia nella Spagna e nella Gallia e più tardi nell'Inghilterra e nella Germania, ebbe come protagonisti Pietro
e i suoi successori 8.
Ciò veniva a significare il privilegium o potere primaziale
di Roma, detentrice degli statuti e della dottrina apostolici,
in forza del quale poteva e doveva imporre la riforma. E' quanto
scriveva verso lo stesso tempo a Gregorio VI: Reparetur nunc
aureum apostolorum saeculum, et praesidente vestra prudentia,
ecclesiastica refloreat disciplina+.
Primato della Chiesa romana e suo rapporto con l'attuazione della riforma sono i due poli fondamentali, il primo teologico-giuridico e l'altro esistenziale-disciplinare, intorno ai quali
è già orientato il pensiero ecclesiologico del Damiani, prima
ancora che Leone IX lo impegni effettivamente al servizio della
Sede apostolica", e molto prima di essere nominatocardinale
vescovo di Ostia nel 1057.Questi due aspetti fondamentali sono
da mettersi in evidenza, per capire meglio la dottrina sul cardinalato.
8 Per la convmzione
circa il ruolo della Chiesa romana come c madre»
delle altre chiese vedo P. BATIFFOL, Cathedra Petri, Paris 1938, p. 47. Come probabile fonte immediata del pensiero del Damiani il RYAN pp. 23 ss. indica una
decretale di Innocenzo I a Decenzio, presente nella Collectio Dlonysio-Hadriana
(PL 67, 237s.). Del resto, era una concezione ecc1esiologica dominante tra i
c Gregoriani - .
• Ep. I, 1; PL 144, 205 S. L'Avellanese riponeva non poca fiducia in Gregorio VI, tuttavia attendeva dei segni concreti, come la deposizione del Vescovo di Pesaro.
5 Vd, più in là le richieste
presentate a Clemente II.
28
MARIO FOIS
I - Il Primato della Chiesa Romana
La figura ecclesiale di Pietro
E' fuori dubbio che anche per il Damiani sono le prerogative conferite a Pietro dentro il collegio apostolico quelle che
costituiscono il primato o privilegium della Chiesa romana rispetto a tutte le altre chiese locali. Non una sola volta definisce i poteri di Pietro, benchè senza specificare molto e lasciando,
perciò, alla discussione degli storici la determinazione delle sue
parole. Per tre volte, tra ill059 e il 1063,scrive che Cristo affidò
vitae aeternae clavigero terreni simul ac coelestis imperii iura 6,
il cosiddetto «potere delle Chiavi ». La discussione sul sìgnifìcato da attribuire all'« impero terreno» non pregiudica la singolarità del potere affidato all'unico Pietro 7. Proprio in forza
di questo egli è l'apostolorum princeps, il princeps apostolici
senatus, il primus inter Ecclesiae sacerdotes 8, collocato cioè al
primo posto e al di sopra di tutti gli altri «sacerdoti» capi
delle Chiese, ossia dei Vescovi 9; è il custode dell'unico ovile
e Actus Mediolani,
molto probabilmente
della fine del 1059; PL 145, 91. Le
stesse parole vengono usate nella Disceptatio Synodalis; De Lite I, 78. Parole
molto simili vengono usate nel De principis officio, 3: c Salvator etiam noster ...
mox ut Petro caeli terrae que iura commisit It; PL 145, 822. Con altre parole
viene espressa la stessa idea nella prima lettera a Cadalo. Ep. I, 20: c Sic nìmirum meretur corrìpì, qui iIIi se praebet adversum, qui caelì terraeque primus
pastor obtinet principatum It, PL 144, 243. E ancora nelI'Opusc. XLVI, 5: «cui
[Petrol commissa sunt omnia regna terrarum lO, PL 145, 709. Non può essere
preso in considerazione
il sermone XXVII De sancta Petro Apostolo (PL 144,
646 s.) citato invece dall'Alberigo (op. cito p. 36, N. 38) per provare la fede prìmaziale del Damiani, e neppure il sermone seguente De sanctis apostolis Petro
et Paulo (PL 144, 649 ss.), dei quali è stata dimostrata da circa tre secoli l'appartenenza a Niccolò di Clairvaux. Vd. a questo proposito l'Admonitio
Typographi
Veneti (PL 144, 11-12); J. RVAN,Saint Peter Damiani and the Sermons of Nicholas
of Clairvaux, a Clarification;
Medieval Studies 9 (1947) 151·161: G. LUCCHESI,
Clavis ... pp. 296; 302 e gli articoli del Leclercq da lui citati.
T Interpretò
in senso spiritualista
il RIVIÈRE,Le Problème de l'Eglise et de
l'Etat au Temps de Philippe le Belle, Paris 1926, pp. 287·393, spec. 389 ss. AlIa
sua posizione accede il VOOSEN,Papauté et Pouvoire Civil à l'Epoque de Grégoire VIle, Paris 1931, pp. 128 ss. In senso temporalistico
interpreta
l 'AROUILmRE,
St·. Grégoire VII, Paris 1934, pp. 305 S. Mi sembra più probabile l'opinione dei
primi due. Nella Disceptatio Synodalis però una certa connotazione temporalistica
non sembra completamente
esclusa.
8 Sermo
VI, De S. Eleuchadio;
Sermo XXX, De S. Apollinaire;
Ep. IV,9:
PL 144, 535, 668 s., 314 rispettivamente.
Una volta lo nomina insieme a S. Paolo:
« Non ignoras
inter omnes sanctos martyres Petrus et Paulùs in apostolici senatus culmine possident principatum It. Discept. Synod.; De Lite I, 83. Il contesto, però non è una questione di primato. I due apostoli vi sono presentati
come esempi di dottrina e di discrezione nell'agire.
9 Ep. I, 20. PL 144, 238. Ricorda,
non senza sottintesi anacronistici
e in base
alla teoria delle sedi petrine, i tre episcopati di Pietro, confrontandoli
con le
tre unzioni di David (1 Sam. 16,11·13; 2 Sam. 2,6; 5,3). "Sicut enim iIle [Davidl
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
29
di Cristo con il diritto d'inviare i propri discepoli a evangelizzare. Notevoli, a questo proposito, le parole messe in bocca a
Pietro, quando, secondo la leggenda, invia Apollinare a Ravenna:
'Ego, ego tibi praecipio, quia potestatem ligandi non salurn in terra,
sed et in coelestibus habeo; ego te ad pascendas oves dominicas mitto,
qui ovile totius sanctae Ecc1esiae iniuncta mihi cura custodio lil.
Anche se l'interpretazione della potestas ligandi in chiave
di diritto a comandare è abbastanza discutibile, evidente però
appare l'affermazione, poggiata anche sui testi giovannei (Io. 21,
15-18; cfr. 10, 16), del potere universale di Pietro su tutta la
Chiesa, espressa senza ambiguità anche altrove 11.
Potere supremo e universale, nella Chiesa, quindi, quello
affidato alla persona diPietro, secondo la convinzione di Pier
Damiani, solidamente fondata sulla Scrittura e sulla tradizione
specialmente latina.
Un altro aspetto d'ella sua concezione petrina, condivisa anche da altri « Gregoriani », risalente però alla Chiesa antica, è
la perdurante presenza di Pietro nella Chiesa romana. Le espressioni dell'Avellanese, benchè meno decise di quelle usate da Umberto da Silvacandida, da Anselmo di Lucca e soprattutto da
Gregorio VII n, sembrano indicare quell'invisibile presenza attiva dell'Apostolo, per cui il papa diviene il suo vicarius visibile.
Più di una volta, l'Avellanese, usa per il papa il titolo di vicarius Petri, anche se usa egualmente il titolo di vicarius Christi
o di vicarius Dei 13. Tuttavia la formula ambrosiana ubi Petrus
pietate vel justitia reges, sic et iste trascendit omnes privilegio sacerdotes ".
Per questa ragione « solius B. Petri festive cathedram celebramus lO. Il termine
c sacerdos lO non è usato dal Damiani univocamente,
come sivedrà
più avanti.
Qui il contesto indica il senso di c episcopi ".
10 Sermone
XXX, De S. Apollinare (PL 144, 667). Il Damiani si basa sulla
Passio S. Apollinaris j Acta Sanctorum lulii, V, 344-350, spec. 345A.
11 Opusc. XLVI,S:
« cui [Petra] speciali lure concessum est universali totius
orbis Ecclesiae praesidere It, PL 145, 709. A S. Paolo riconosce il Damiani un
certo diritto di presidenza (ius praesidentis) in tutte le Chiese, perehe le avrebbe
fondate tutte. Tuttavia questo diritto sembra stare al di sopra o al di fuori
dei diritti precisi legati al possesso di una sede o cattedra. come è invece
quellopetrino.
De Picturis Principum Apostolorum
4; PL 145, 594. Circa questo
opuscolo, che solleva difficoltà, si può vedere G. CACCIAMANI,
I SS. Apostoli
Pietro e Paolo negli scritti di Pierdamiano, in c Atti dei Convegni di Cesena e
Ravenna lO, I (1%6-67), Cesena 1969, pp. 595-614.
"12 Di Anselmo basti
citare il sermone De Caritate edito da Edith PAZSTOR
nel Bull. 1st. Star. Ital. M. E. 77 (1%5) 96-104, spec. 99, 101. Per Gregorio VII
si può vedere August NITSCHKE,
Die Wirksamkeit
Gottes in der Welt Gregors VII:
Studi Gregoriani 5 (1956) 155-163.
13 Il papa
«vicarius Petri lO lo si trova nell'Ep. I, 7; PL 144, 211; nella
Praeiatio della Messa di S. Gregorio M., ed. LUCCHESI,Clavis p, 353. Lo stesso
titolo, con altre parole nel Liber Gratissimus, XXXVI: « ... qui vice Petri claves
tenet ... ,,; Die Lite I, 69. Per gli altri titoli vedo più avanti.
30
MARIO FOIS
ibi Ecclesia riceve dalla sua vivace penna una interpretazione, .
che va al di là, pur senza distorcerla, dell'intenzione di Ambrogio 14. La simonia e la violenza dei Conti di Tuscolo e di
Galeria tenevano lontano da Roma nel 1058 Pietro e Nicolò II,
legittimamente e liberamente eletto. Ma dove Pietro si trovava,
là era la Chiesa romana: ... qua Petrus vobis cum [Nicolò II e
Ildebrando] fugiens attrahit, illic esse Romanam Ecclesiam omnibus indubitanter ostendit 111. Questa convinzione illumina fino
all'evidenza, pur delimitandone la portata, le altre parole stringatamente pregnanti dettate all'inizio della stessa lettera, con
la quale, dirigendosi all'c eletto della Sede Apostolica It Nicolò II
e alla c verga di Assur It Ildebrando, difendeva la propria rinunzia all'episcopato e il ritorno all'c amata solitudine ». Vas
- egli scrive - Apostolica sede, vas Romana estis Ecclesia.
Conseguentemente si rivolge direttamente a loro, per restituire
alla Chiesa romana c ciò che era suo », proprio perchè in essi,
benchè fuori della sede muraria della Chiesa romana, viget
ipsius Ecclesiae sacramentum 16.
Per misurare la densità del pensiero ecclesiologico racchiuso in queste formule, bisogna rifarsi principalmente all'Opuscolo XI detto Dominus Vobiscum, scritto tra il 1048 e il 1055,
quindi almeno tre anni prima della lettera in questione 17. Esso
chiarisce, oltre al resto, anche l'identificazione tra c sede apostolìca » e c chiesa romana », indicanti un'unica realtà con il
proprio vescovo e il suo ormai autorevolissimo collaboratore,
precisamente alla luce della particolare concezione dell'c unità»
ecclesiale o sacramentum unitatis della Chiesa sviluppata in
esso. Di questa stessa concezione bisognerà necessariamente tener conto, per saper leggere e interprtare i testi riferentesi al
cardinalato, dato che il Damiani in essi la suppone e vi si riferisce.
Il priore di Fonte Avellana scrisse il Dominus Vobiscum
per giustificare l'uso di formule liturgiche assembleari, _come
i
H
u
Enarratio in Psalmum. XL; PL 14, 1082.
Opusc. XX; 145, 443. Per le circostanze della nomina e dell'imposizione
dell'antipapa Benedetto X sulla cattedra di Pietro, la simonia e le violenze perpetrate in esse, si veda dello stesso Damiani la lettera all'arciv. di Ravenna
Enrico (Bp. III, 4; PL 144, 291 s.) che è della fine del 1058 come I'Opusc, XX.
l.e Opusc, cito e l. cito Vd. inoltre, per la rinunzia all'episcopato anche l'altra
lettera diretta agli stessi destinatari (Bp. I, 8; PL 144, 212 s.).
.
].T Il NEUKIRCH
da come data approssimativa di composizione il quinquennio
1045-1050:Das Leben des Peters Damiani bis zur Ostersynode 1056, Göttingen 1875,
P. 94; ma il RYANindica invece il periodo 104S-1055;Saint Peter Damiani and
his Canonical Sources, pp. 52 e 179; lo stesso periodo indica il LUCCHESI,Clavis
S. Petri Damiani p. 310.
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I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
31
appunto Dominus Vobiscum, Iube domne benedicere e altre simili con le relative risposte 18, da parte del monaco eremita
celebrante l'Eucarestia o l'opus divinum dell'Ufficio nella solitudine della sua cella. La legittimazione di quest'uso viene difesa
dall'Autore in base alla perfetta «unità» che vincola in una
realtà unica e misteriosa tutti e i singoli cristiani, per cui la
Chiesa « è una sola in molti ed è, in forza del suo mistero, tutta
nei singoli ». Il vincolo che crea questa misteriosa unità dei cristiani, lasciandone però sussistere la diversità personale e carismatica, viene individuato prima, quasi in una sfera più visibile, nella fede e nella carità 19; quindi, nello Spirito Santo,
te uno per la sua essenza divina e molteplice nei suoi diversi
carismi ». Egli, fondendo in un solo essere la Chiesa, impedisce
che l'unitatis ... intimae sacramentum della stessa sia disgretato
dalla diversità di situazione e di luogo, in cui essa può esistenzialmente trovarsi nei suoi distinti membri so.
Questa unità miseriosa è quella che formò l'oggetto della
preghiera di Cristo al Padre: ut unum sint (lo. 17,20-22). Conseguentemente, dove si trova un singolo fedele, lì per sacramenti mysterium c'è tutta la Chiesa, « tutto il corpo» della medesima 21, Precisamente attraverso la concezione paolina della
Chiesa « corpo di Cristo» il Damìanì, approfondendo la realtà
::la
Opusc. XI; PL 145, 231.
Ecclesia sìquìdem Christi tanta charltatis invicem inter se compage
connectitur, ut et in pluribus una et in sìngulìs sit per mysterium tota; adeo
ut et omnis universalis Ecclesia non immerito una Christi peribeatur sìngulariter sponsa et unaqueque anima per sacramenti mysterìurn plena esse credatur
Ecclesia lO. A questo proposito l'A. adduce dei testi scritturali del V. T. (Gen.
27;1.7; II Reg. 4,17; Is. 4, l) interpretati allegoricamente, e uno del N. T. (2 Cor.
11,2) anche questo ìnterpretato con certa libertà. Egli conclude però: c Ex his
ergo manifeste collìgitur ... sancta Ecclesia et in omnibus sit una, et in singulis
tota; nimirum in pluribus per fidei unitatem simplex, et in sìngulìs per charìtatis glutinum, diversaque dona charismaturn multiplex, quia enim ex uno omnes ». Op. xt, 5; PL 145, 235.
w « Sancta namque Ecclesia, lìcet personarum sit multiplicitate diversa, in
unum' tamen est Sancti Spiritus igne conflata; atque ideo etiam si per corporalem situm partibus videatur dividi, unitatis tamen intimae sacramentum nullatenus a sua valet integritate corrumpì lO. Opusc. Xl, 6 (1. cit.). Al capitolo.
seguente specifica, si può dire, questa c unitas lO con le parole: c sacramentum ...
ecclesiasticae unìtatìs s, col. 236D. Al cap. lO, parla di c unitatis inviolabile sacramentum lO, col. 239B. Questa terminologia e, in buona parte, il concetto di
unità della Chiesa sono quasi certamente derivati da Cipriano. Vd, a questo
proposito I. B. POUKENS, Cyprien et ses contemporains, in DB GHELLINCK,
Pour
l'histoire du Mot Sacramentum, I, Les anténicéens, Louvaìn-Parìs 1924, PP. 176181s.; 202 S.
n c Si ergo credentes in Christum unum sunt, ubicumque videatur esse
per corporalern speciem membrum, ìbì etiam per sacramenti mysterium totum
est corpus. Et quidquid est quod competat toti, quodammodo congruere videtur
etiam parti ... lO PL 145, 236. Qui c sacramentum lO sembra inteso come la realtà
stessa del corpo mistico o Chiesa. Lo stesso uso in Cipriano; POUKENS p. 203.
19
c
32
MARIO FOIS
ecclesiale, esprime ancora l'unità misteriosa della Chiesa. « Uno
è, infatti, lo Spirito della Chiesa, che vivifica l'unico corpo, che
è salvato da Cristo suo capo. La Chiesa intera, quindi, si compagina di numerosi membri, ma costituisce indubbiamente un
solo corpo, strutturato nella saldezza di una sola fede, pervaso
dall'unica virtù dello Spirito vivificante» 22. Ma il Damiani, probabilmente non senza una forzatura retorica, sembra andare più
in là dei testi scritturali di Paolo. Perseguendo infatti lo scopo
di giustificare le formule liturgiche espresse al plurale, questa
volta del canone romano della Messa, egli arriva a vedere quasi
una interdipendenza
tra unità perfetta della Chiesa e unicità
dell'Eucarestia celebrata ripetutamente
e in luoghi diversi. Se
in base al testo di Giovanni (lo 6,56) egli vede nel pane eucaristico il fattore unificante in un solo cc corpo di Cristo» i diversi fedeli che lo ricevono, in forza di un testo paolino, citato
. però parzialmente (1 Cor. 10,17), sembra pure intuire nell'unità
della Chiesa la ragione dell'unico pane e dell'unico calice offerti
in tutto il mondo, benchè l'ultima ratio analogica sia poi ricercata nell'unica divinità del Figlio di Dio 23.
Comunque, ciò che il Priore avellanese intendeva dimostrare
e qui si vuole mettere in evidenza, è la ripetuta affermazione dell'esistenza di tutta la Chiesa, almeno dell'essenza della Chiesa,
in ogni singolo membro di essa, derivante dalla concezione paolina della medesima come « Corpo di Cristo ». « Se infatti - egli
scrive - molti siamo un solo essere (unum sumus) in Cristo,
in lui medesimo noi possediamo singolarmente tutto ciò che è
nostro... Di conseguenza ciò che è di tutti è anche dei singoli,
e ciò che di speciale appartiene singolarmente ad alcuni,è comune a tutti nella integrità della fede e della carità ... » 24.
In questo senso, come l'uomo è un microcosmo in rapporto
al grande cosmo, in quanto costituito materialmente dagli stessi
elementi che costituiscono l'universo, cosi ogni credente appare
come una specie di microchiesa, una minor Ecclesia 2~.
Op. cito cap. 7; PL 145, 237.
Hanc autem Ecc1esiae unitatem Apostolus manifeste declarat, cum dicit:
.' Unum corpus, unus panis, multi sumus ' (...). Tanta est enim EccIesiae unit as
in Christo, ut unus ubique in toto orbe terrarum sit panis corporis Christi et
unus calix sanguinis eius ... Et sicut ille panis et sanguis [= calix] in corpus
Christi veraciter transìerunt, ita omnes qui illud in Ecclesia digne percìpìunt,
unum absque dubio Christi corpus fìunt, ipso testante, cum ait: ' Qui man ducat
carnem meam et bibit sanguinem meum, in me manet et ego in eo' (lo VI) •.
Op. cito cap. 8; ibid. 237-238.
24 Op. cìt., cap. lO; ibid. 239.
26 c Sicut autem homo, Graeco eloquio dicitur Microcosmus,
hoc est minor
mundus, quoniam per materialem essentiam eisdem quatuor elementis homo
22
23 "
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
33
Ora è possibile comprendere la realtà ecclesiale o Ecclesiae
sacramentum, che il Cardinale di Ostia vede sussistere nell'eletto
Niccolò II e in Ildebrando. Proprio perchè in essi sussiste la
vera Chiesa « nell'integrità della fede », sono essi stessi, in contrapposizione a Giovanni Mencio e ai suoi aderenti, la «sede
apostolica, la Chiesa Romana », anche se lontani dalle mura di
Roma e dalla Chiesa lateranese, dalla Chiesa «edificio di pietra lO. A Roma, infatti, dominava in quel momeno il veternosus ...
trapezita Simon Mago, e quindi vi infieriva la simoniaca haeresis. Di essa si erano certamente macchiati il vescovo di Velletri, l'antipapa Benedetto X, i suoi nobili elettori e ìntronìzzatori e, probabilmente, i suoi collaboratori come il cardinale vescovo diPalestrina Raineri 26. Questi, conseguentemente, non
professavano la fede di Pietro, fondamento della Chiesa. Inoltre
erano stati scomunicati dallo stesso Damiani e da altri quattro
Cardinali vescovi 27. Nè Pietro poteva rimanere a Roma in una
impossibile convivenza con Simon Mago, approvando quanto
aveva duramente condannato in Samaria (Atti, 8,18-23). Egli si
constat, quibus et universalis hic mundus; ita etiam unusquisque fidelium quasi
quaedam minor videtur esse Ecclesia ... lO. Op. cìt., cap. 11; ibid. 239.
!2'6 Opusc, XX, 1; PL 145, 443. Nella lettera citata a Enrico arciv. di Ravenna
dice del Mencio: c IlIe nimirum, in quantum mihi videtur, absque ulla excusatione simoniacus est ... lO. Quindi offre le prove. Ep, III, 4; PL 144, 291. Per
l'adesione del Card. Raìnerì all'antipapa cfr. KLEWITZ,Die Entstehung ... p. 117.
27 Ep. I, 20;
PL 144, 241: Cadalo con i c satelliti di Satana lO tentava di
sovvertire la chiesa romana, c quam supra petram fidei Petrus praedicator erexit ... lO. Non è perfettamente identico nei vari autori il contenuto teologicogiuridico di c simoniaca haeresls s. Eresia in senso rigoroso sembra considerata
da Umberto da Silvacandida, mentre molto più equilibrato appare in merito
il pensiero del Damianì, che distinguendo diversi gradi di eresia, non sembra
collocare la teoria tendente a legittimare la compravendita delle ordinazioni
sullo stesso piano ereticale della negazione ariana della Trinità o della negazione dello Spirito Santo. Inoltre egli postula, perchè uno sia perfettamente
eretico, l'ostinazione nell'errore, la denuncia dell'autorità competente e il rifiuto
di abbandonare l'errore. Vd. a questo proposito, 1. LEcLERoo,c Simoniaca haeresls lO; Studi Gregoriani I 1947) 323 ss. che appare ancora non molto preciso.
Più preciso appare il DRESSLER,
Petrus Damiani. Leben und Werke: Studia Anselmiana 34 (1954) 103 e N. 98. Una chiarezza maggiore per quanto riguarda sia
il Damiani che il Silvacandida ha apportato Giovanni MICOOLInell'appendice
al suo studio Il problema delle Ordinazioni simoniache e le Sinoäi Lateranensl
del 1060 e 1061: Studi Gregoriani V (1956) 77-81. Ulteriori precisazioni furono
aggiunte dalIo stesso LECLERCQ,
Saint Pierre Damien Brmite et Homme d'Eglise,
Roma 1960, pp. 222-224. A proposito del Silvacandida bisogna aggiungere ai testi
riportati dal Lec1ercq (articolo cit.) il dal Miceoll una lettera anonima attribuita
dal Ryan al Lorenese, J. RYAN,Letter at an Anonymus French Reformer to a
Byzantine Official in South Italy:
c
De Simoniaca heresi
»
(Ms. Vat. Lat 3830);
Medieval Studies 15 (1953) 233-242. II testo delIa lettera a p. 239-42.
Anche se il debole Giovanni Mencio non era autenticamente eretico nel senso
inteso dal Damiani, tuttavia si può dire che per lo stesso Vescovo di Ostia era
fuori delIa Chiesa, se non proprio per l'elezione e ìntronizzazione simoniaca per
la scomunica maggiore (anatema) irrogatagIi (Ep. III, 4; PL 144, 291).
3
MARIO FOIS
trovava fuori Roma con il proprio successore legittimo, Niccolò II, e con Ildebrando, che continuavano a combattere l'eresia
di Simone. Là era la vera Chiesa, quindi la sede apostolica.
L'inclusione di Ildebrando nelle espressioni citate (vos apostolica sedes, vos Romana estis Ecclesia) non può essere interpretata nel senso ecclesiologico di una partecipazione del medesimo al potere delle Chiavi insieme a Nicolò II. Apostolica
Sedes e Romana Ecclesia in questo scritto non connotano tanto
il primato, quanto prevalentemente l'autenticità della Sede di
Pietro in rapporto a quella falsa ed ereticale presente a Roma 28.
Inoltre esisteva una ragione molto concreta, per dirigersi anche
a Ildebrando. Questi, divenuto ormai molto autorevole nella
Curia, non era d'accordo con la fuga contemplativa dell'amico.
Il Damiani lo sa bene e s'immagina anche la reazione piuttosto
decisa del suo blandus tyrannus e sanctus Satanas 29. Perciò
conclude la lettera con la medesima amichevole ironia iniziale:
«Colui, il cui imperio spalancò il carcere erodiano al grande
Pietro, liberi il meschino Pietro dalle mani di Ildebrando» 3().
L'identificazione tra «Sede Apostolica» e papa, e quella
tra magistero papale e magistero di Pietro stesso, considerato
quest'ultimo come se fosse presente nella sede apostolica, si
riscontrano anche negli Actus Mediolani e nella lettera al patriarca di Costantinopoli Costantino Lichoudes (1059-1063),nella
quale espone la teologia latina della processione dello Spirito
Santo 81. Nello scritto anteriore, come si vedrà meglio più avanti,
rimette il giudizio sul proprio operato a Milano alla « Sede Apostolica », al « magistero di Pietro », dichiarandosi pronto anche
a ritrattare. Nella lettera, saputo che il Patriarca si era rivolto
alla « Sede Apostolica », perchè la questione teologica che divi28 Cfr. anche
l'interpretazione
datane dal KEMPF, Pier Damianl und das
Papstwahldekret von 1059: AHP 2 (1964) 75, il quale spiega il pensiero del Da-
miani con l'identificazione ciprianea del vescovo con la propria Chiesa.
Non sembra, inoltre, che si possa considerare sottinteso il primato universale e il suo soggetto giuridico nelle parole di rinunzia all'episcopato ostiense.
" ... Romance, quae vos estis Ecclesiae, quod suum era! digne restituì » tOpusc.
XX, 1: PL 145, 443s.), perchè si tratta di una sede suburbicaria sottostante al
potere metropolitano di Roma.
29 " Sed hic forte blandus iIIe tyrannus,
qui mihi Neroniana semper pietate
condoIuit, qui me colaphizando demulsit, qui me certe aquilino, ut ita loquar,
ungue palpavit, hanc querulus erurnpet in vocem: Ecce latibulum petit, et sub
colore poenitentiae, Romae subterfugere quaerit accessum; lucrari machinatur
de inobedientia otium, et caeteris in bella ruentibus hìc sibi degeneris umbrae
quaerit opacum. Sed hoc ego sancto Satanae meo respondeo ... ". Opusc. cito
cap. 1; ibid. 444.
&O Opusc, cito cap. 7; ibid. 456.
3'1 Actus Mediolani; PL 145, 98; Opusc. XXXVIII,
cc. 633-642,che viene intitolato: Contra errorem Graecorum de processione Spiritus Sanati.
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
35
deva Roma e Costantinopoli fosse risolta « dal santissimo papa
Alessandro con decisivi argomenti scritturistici », loda la « saggezza» del medesimo, il quale aveva portato la questione da
risolvere sullo Spirito Santo non ad alium quemplam, sed ad
Petrum specialiter, quem caelestis sapientiae et potentiae claves
accepisse indubitanter agnoscit [la saggezza del Patriarca] »32.
Tra le ragioni, addotte a questo punto, comprovanti la superiorità del magistero di Pietro, c'è il privilegium di possedere
nella Chiesa «con diritto perpetuo la cattedra principale dell'insegnamento» 83. Pietro maestro perpetuo nella Chiesa, evidentemente nei suoi successori. Di conseguenza il Damiani può
affermare non soltanto di Apollinare, considerato da lui discepolo diretto di Pietro, ma anche del presbitero Barbaziano, vissuto nella prima metà del secolo V, che essi, prima di recarsi
a Ravenna provenienti da Antiochia, si erano fermati a Roma,
in schola Petri u. Un'attuale presenza dell'Apostolo a Roma sembra ancora indicata nella prima lettera a Cadalo (fine marzo
1062) &5, e inoltre nella Disceptatio Synodalis, scritta verso la fine
dell'estate del medesimo anno 36.
Il primato della Chiesa Romana o della Sede Apostolica
Il primato di Pietro nel suo duplice aspetto di magistero
e giurisdizione o delle «chiavi della dottrina e del potere (sapientiae et potentiae claves) costituisce essenzialmente il pri- d
mato ~la « Chiesa romana» o. della «Sede Apostolica o di ~ @.,
« Roma» 91. E' precisamente la « cattedra di Pietro », che renlo)
lo)
Opusc. cit.; PL 145, 633.
Il Creatore ha scelto Pietro «cui cathedram magisterii principaliter in
Ecclesia tenere perpetuo privilegi iure concessit lO. Opusc. cit.: ibid. 634.
B4 Sermone LXV, De sancto Barbatiano presbytero et confessore, AI parlare
di Apollinare e di Barbaziano, originari tutti e due, a quanto pare, di Antiochia,
scrive che i due, lasciate le loro città di origine: « Romae, quae absque dubio
caput est et principalis sedes totius sanctae Ecclesiae, commorantur; nimirum
ut in schola Petri primìtus discant, quod te [Ravennam] postmodum de doetrina veritatis erudiant; et de purissimo fonte salutariter bibant, quod in te
salutaris doctrinae magisterio velut eructando transfundant lO, PL 144, 880.
85 E' una tragedia inaudita,
scrive al vescovo di Parma, che il vescovo di
un'altra diocesi sia costituito vescovo della Chiesa Romana «ignorante Deo,
nesciente Petro, nesciente Romana Ecclesia », Ep. I, 20; PL 144, 243.
00 Il Card. presbitero
Stefano, latore di «lettere apostoliche » indirizzate
alla corte, non fu ricevuto dopo cinque giorni di attesa "ed beati Petri et
apostolicae sedis iniuriam It, De Lit. I, 87.
1I1 «Romana
Ecclesìa » e e apostnlìca sedes s sono sempre identificate nel
pensiero del Damiani, quando viene accennato o descritto il potere primaziale.
Talvolta è usato anche «Roma,. semplicemente, come nel sermone LXV già
citato. I testi che saranno citati in seguito lo dimostrano.
32
B3
.,
36
MARIO FOIS
dendo la GC sola Chiesa romana capo di tutta la Crisianità It, fa
si che essa GC presieda a tutte le chiese del mondo» e, GC munita
dell'autorità di prerogative speciali It, spezzi con la GC spada del
Vangelo le dure cervici di coloro che si oppongono alla verità It,
come capitò a Milano 8S. Proprio per questa ragione la Chiesa
romana, afferma nel discorso tenuto alla Chiesa milanese durante la sua legazione del 1059, è l'unica a essere stata fondata
direttamente da Cristo. La concessione a Pietro dei terreni simul
et caelestis imperii iura significa per il Damiani la fondazione
stessa della Chiesa romana da parte di Cristo, con tutte le sue
prerogativa primaziali, sulla « pietra della fede appena nascente ». Mentre tutte le prerogative e dignità patriarcali, metropolitane, episcopali e di altro genere risalgono alla pura volontà
umana, il primato universale della Chiesa romana è opera divina, risale cioè alla volontà del Verbo Creatore e quindi Illius
[Verbi] certe privilegio fungitur, illius auctoritate fulcitur 89.
La conseguenza immediata di questa affermazione solenne è
l'accusa di eresia, contro coloro che negano il privilegium o
giurisdizione universale di Roma, tentando di sottrarsi alle imposizioni della disciplina romana come faceva il clero milanese,
il quale contestava àl papa GC qualsiasi diritto di giudicare, o di
disporre» alcunchè nella sede ambrosìana ";
Le caratteristiche di questo primato romano sono definite
o indicate con i testi scritturali, allusi o riportati letteralmente,
riferentisi alle prerogative di Pietro, non senza qualche forzatura polemica che ne sollecitano il senso. Cosi l'universalità
della giurisdizione romana appare suffragata col diritto della
Chiesa di Roma GC di legare e sciogliere anche il cielo It .1. Il suo
lI8Dopo aver comparate il c prìvìlegium s della Chiesa romana alle armi,
prosegue: c Armis autem privilegium Romanae EccIesiae non incongrue comparaverim, quia dum haec una per cathedram beati Petri totius Christianae
religionis caput effecta cunctis in orbe terrarum prìncìpetur Ecc1esiis, velut
dux ante aciem fidelium cuneis fulta, ac specialis praerogativae
auctoritatis
munita, et Evangelico mucrone veritati resistentium cervices obtruncat, et ad
invictissime dimicandum totam Christi militiam in unius charitatis ac fidei unanimitate conspirat It. Actus Mediolani,' PL 145, 89.
39 O. c.; c. 91. Inoltre Cristo stesso la presiede e assiso in essa opera l'unità
della Chiesa. Vd. più avanti pp. 61~2 .
.o O. c. L'indipendenza della Chiesa ambrosiana era stata messa avanti dal
clero restio alle riforme: c .,. post diem alterum factione clericorum repente
in populo murmur exoritur, non debere Ambrosianam Ecclesiam Romanis legibus subiacere, nullumque judicandi, vel disponendi jus Romano Pontifici in illa
sede competere lO; c. 90. Cf. anche a questo proposito l'interpretazione del RYAN,
St. Peter Damiani '" pp. 64 s.
.
4ì c Quae autem provincia per omnia regna terrarum
ab eius dictione extranea reperitur, cuius arbitrio ipsum quoque coelum et ligatur et solvitur? It, O. c.;
c. 91. L'espressione vuol affermare la giurisdizione universale della Chiesa ro-
37
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
magistero universale viene desunto dalle parole dirette da Cristo
a Pietro, ma riportate come dette direttamente alla stessa chiesa
romana: Ego pro te rogavi, ut non deficiat fides tua (Le. 22,
32) 43. Essa, come la «Pietra
che è Pietro, è «il fondamento
e la base di tutte le altre chiese, per cui queste crollerebbero,
se quella venisse distrutta, negandole la libertà di eleggersi il
proprio vescovo 48.
Quest'ultima affermazione appare all'inizio della Disceptatio
Synodalis, scritta a tre anni di distanza dagli Actus Mediolani,
dove viene riportato anche il testo primaziale del discorso milanese. Nella Disceptatio però, dato che la polemica in corso
toccava anche il rapporto tra l'Impero e la Chiesa romana circa
l'elezione papale, il Damiani aggiunge l'argomento desunto dal
Constitutum Constantini comprovante lo stesso primato romano,
stabilito anche per diritto imperiale, e inoltre il riconoscimento
della sua origine divina da parte dello stesso Costantino u.
Il contenuto essenziale del privilegium romano, giurisdizionale e magisteriale, viene espresso con altre formule equivalenti.
« Roma
o la «Sede romana
o la «Sede Apostolica oppure, più spesso, la Romana Ecclesia non è semplicemente la
«sede principale di tutta la santa Chiesa », la «Chiesa primate »4'6, ma l'autentico caput, «collocato al vertice di tutto il
li)
li)
li)
li)
li)
man a, le parole usate, però, sembrano suggerire una estensione della giurisdizione
anche in cielo. Probabilmente il predìcatore non intese altro che il potere delle
Chiavi nella sua formulazione evangelica. Ma le parole dicono di più del contenuto scritturistico.
Il Damiani ripete il testo del discorso milanese sull'origine divina della
Chiesa romana e dei suoi privilegi nella Disceptatio Synodalis. Sono questi i
testi più espliciti in merito. Non sembra contenuta, invece, la stessa affermazione nella Epistola ai Cardinali Vescovi (Ep. II, 1; PL 144, '255). Almeno non
appare evidente. Il testo del discorso milanese contenente le prove del c privilegium It della Sede Apcstolìca, compresa la testimonianza di Ambrogio, viene
ripresa da Anselmo di Lucca (Collectio, I, 65 ;THANER, pp. 31 s.), da Deusdedit
(I, 671; GUNVELL,pp. 106s.), da Bonizone di Sutri (De vita christiana, IV, 82;
PERELS,pp. 146s.), da Graziano (Decretum, D. XXII, c. 1), ma tutti l'attribuiscono a Niccolò II.
Cl! Sermone XXIV, In Nativitate S. lohannis Baptistae: c IlIa enim mater et
magìstra omnium Ecclesiarum Ecclesia Romana, cui dictum est: • Ego pro te
rogavi, ut non deficiat fides tua' (Le. 22,32), in honore Johannis Baptistae post
Salvatoris nomen consecrata est et signata It, PL 144, 635. Qui, come nella Lettera ai Cardinali Vescovi (Ep. II, 1), Chiesa romana e Basilica Lateranese
sono identificate.
'
.8 Un affare della c sede apostolica It è un affare che appartiene
a tutte le
chiese: c Haec enim stante, stant relìquae, Sin autem haec, quae omnium fundamentum est et basis, obruìtur, ceterarum quoque status necesse est collabatur It.
Disceptatio Synodalis; De Lite I, 77s.
• 4 Disceptatio Syn., ed. cito p. 80. Cfr. anche RYAN,St. Peter Damianl, p. 86 S.
45 Sermone LXV, De S. Barbatiano; PL 144, 880. Il testo è stato citato aIla
N. 34. Ep. I, 12; PL 144, 218: c primas Ecclesiae It. Inoltre nella prima lettera
38
MARIO FOIS
mondo» e che assomma in sè tutte le altre Chiese, la « regina
delle chiese» 46; la «madre» e «maestra di tutte le chiese »,
la quale «specialiter et principaliter insegna a tutti gli uomini
la religione e la carità» 47.
Il rapporto madre-figlia o maestra-discepola, che lega la
chiesa romana a tutte le altre chiese esistenti, non esprime unicamente la convinzione di un fatto storico accennata all'inizio
di questo articolo, ma un vincolo giurisdizionale e magisteriale
che le altre chiese devono riconoscere, accettando la disciplina
e la dottrina romane 48. E' quanto dice esplicitamente il Damiani
nel suo discorso alla Chiesa di Milano, dopo aver provato storicamente, secondo le convinzioni e le cognizioni del sec. XI, l'origine romana della Chiesa di Milano 49. Lo stesso valore giurisdizionale di quelle formule lo si vede sotteso nella presa di
coscienza da parte del Damiani, proprio a Milano, dell'efficacia decisiva del privilegium romano nell'attuazione della riforma 00.
a Cadalo scrive, che questi volle scalare c Romanam videlicet EccIesiam in
mundi totius culmine constitutam, et nitore virginalis pudicitiae candida tarn It,
PL 144, 246.
46 L'idea è sottostante
a quanto dice all'inizio della Disceptatio Syn. (Vd.
N. 43). Lo dice esplicitamente nella seconda lettera a Cadalo: c .•• qui autem
Romanam EccJesiam ad taxationem pecuniae redigit, quid aliud, quam omnes
per orbem terrarum Ecclesias, quibus ilIa praelata est, venaliter usurpare contendit? lO PL 144, 250 s. Appena più sotto aggiunge: con una sola compera vuole
acquistare e cmnes simul Ecclesias lO e distruggere «totam Ecclesiam catholicam, non significatione sed viva potius operatione lO. Nella prima lettera allo
stesso Cadalo si legge il titolo « regina Ecclesiarum ,., nel senso indicato; Ep, I,
20; PL 144, 216.
41 Disceptatio
Synoäalis, ed. cit., p, 86.
48 Sermone LXV;
vd, testo alla N. 34.
49 Actus
Meäiolani, PL 145, 91-92. Le affermazioni storiche del Damiani si
basano sulla Passio favolosa dei Santi Nazario e Celso (BHL II, pp. 881-882)e
una falsa lettera di S. Ambrogio (PL 17, 821s.). Da questi documenti, accettati
allora da tutti tranquillamente, risultava che la Chiesa di Milano era stata fondata da Nazario e Celso, battezzati da Uno per ordine di S. Pietro, e dai
Santi Gervasio e Protasio discepoli di Paolo. Da questi fatti il Damiani trae la
conseguenza: « Cum ergo vestrae salutis auctores ex Romanae EccIesiae prodierint disciplina, consequens est, juxta aequitatis ordìnem, ut Ecclesia Romana
mater, Ambrosiana sit iilia ». Egli indica, con un esempio pratico della lotta
di Ambrogio contro i seguaci di Gioviniano (detti dal Damiani i e Nìcolatti lO
di quel tempo), l'applicazione pratica del principio. S. Ambrogio avrebbe chiesto
aiuto al papa Siricio per eliminare la piaga. E conclude: «Unde et ipse S. Ambrosius in omnibus sequi magistram sanctam Romanam profitetur EccIesiam lO,
PL 145, 92. In realtà le cose andarono un tantino diversamente: il Papa notificò
ad Ambrogio la condanna di Gioviniano a Roma. Ambrogio ripetè in un sinodo
la stessa condanna. Vd. le lettere dell'uno e dell'altro in PL 16, 1121/3 e 1124/9.
Per tutto questo, soprattutto per le fonti del Damiani e la messa a punto critica, vd. il RYAN,St. Peter Damiani ... pp. 65-68; nn. 108-114.
110 c Privilegium Romanae
EccIesiae quantas habeat vires ad servandam eanonicae aequitatis et justitiae regulam, quantum vigorem ad disponendam ec-
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
39
L'esperienza milanese fu la scoperta del valore operativo
insito nella coscienza e conoscenza del primato romano, che
lo fece decidere ad accettare l'insistente invito d'Ildebrando a
.comporre una Collectio di «decreti» e «interventi» (gesta)
pontifici atti a rivelare i diritti speciali della Sede Apostolica.
Se il proposito fu realizzato è difficile dirlo lil. Ma è certo che
quell'esperienza non segna l'accettazione del primato romano
da parte del cardinale vescovo di Ostia. Sul piano ecclesiologico
infatti, anche se meno accentuatamente sul piano giuridico, le
prerogative della Sede Apostolica e la loro origine divina appaiono chiaramente espresse, con formule usate posteriormente,
in scritti risalenti al 1049 (Lib er Gomorrhianus), al 1052 (Liber
Gratissimus) e al 1057 (Epistola ad S. R. E. Cardinales Episcopos) 52. Nel 1059, a Milano, Pier Damiani legato apostolico, scopre la poderosa forza strumentale del primato nell'instauraclesiastici status contineat dìsciplinam, solus iIIe dilucide comprehendìt, qui
ecclesiasticis consuevit insudare negotiìs ». PL 145, 92.
6l. Dopo aver notato
che il discorso sul c prìvìlegìo » della Chiesa romana
aveva reso accondiscendente il popolo prima ostile, prosegue: «Tunc nimirum
liquido persensi, in ecclesiasticis causis quantum Romanae Ecclesiae nosse prìvilegium valeat; quamque hoc sancta tua prudentìa non otiose deposcat. Quod
utique, Dea annuente, ìmplere studebimus ... lO, PL l. c. Egli si riferisce a quanto
aveva scritto all'inizio: c Hoc ... frequenter a me charitate, quae superat omnia,
postulasti, ut Romanorum Pontificum decreta, vel gesta percurrens, quidquid
apostolicae sedis auctoritati competere videretur, hinc inde curiosus excerperem,
atque in parvi voluminis unionem novae compilationis arte conflarem It, PL
145, 89.
Pietro Palazzini ha avanzato l'ipotesi che la Collectio 74 Tltulorum sia il
compimento Ài questo proposito, ascrivendo quindi la collezione al Damiani;
Enc. Catt. IX, 1952, col. 1378 e, di nuovo in Il Diritto strumento di riforma in
S. Pier Damiani : Eph. Juris Canonici 11 (1955) 377-382.Ma l'ipotesi del Palazzini non è priva di serie difficoltà. Si veda RYAN,St. Peter Damiani ... pp. 154-157.
52 « Quoniam apostolìca sedes omnium Ecclesiarum
mater esse ex ipso veri·tatis ore cognoscitur, dignum est ut si quid uspiam dubitationis emerserit, quod
ad animarum videatur pertinere negotium, ad ipsam veluti ad magistram,
quodammodo fontem caelestis sapientiae recurratur, quatenus ex illo uno capite
ecclesiasticae disciplinae lumen prodeat, quo discussis ambiguitatis tenebris toturn corpus Ecc1esiae perspicuo veritatis nitore c1arescat It; Liber Gomorrhianus,
Praej.: PL 145, 161; « ... cum Romana sedes, quae nimirum omnium ecclesiarum
mater est ... It, Liber Gratissimus, XXVIIlI; De Lite I, 59. Quest'opera era stata
portata a termine nel 1052. Una seconda redazione, dopo il sinodo del 1060,
fu stesa con la soppressione di qualche capitolo, poche correzioni e l'aggiunta
del capitolo finale indicante la nuova redazione. Cfr. DB HmNBMANN,
editore del
libro' in MGH, De Lite, I, p. 16.
In questo stesso libro l'autorità della «Chiesa romana. o c Sede ApostoIìca It è indicata con il termine « apex It, che si legge già in Umberto da Sìlvacandida.
Nella lettera ai Cardinali Vescovi, identificando la c Romana Ecclesia It con
la c Lateranensis Ecclesiae It scrive: c ... Lateranensis Ecclesia, sicut Salvatoris
est insignita vocabulo, qui nimirum omnium caput est electorum, ita mater,
et quidam apex, et vertex est omnium per orbem Ecclesiarum It, PL 144, 255.
40
MARIO FOIS
zione dell'aureum apostolorum saeculum da lui auspicato fin
dal 1046'63.
Allo stesso piano pratico del riconoscimento primaziale
appartiene l'impegno di sottomissione del suo operato a Milano
e delle idee teologico-disciplinari, che gli dettarono le proprie
decisioni, al giudizio e alla correzione della sede apostolica s ;
e inoltre, dopo il decreto sinodale sulle ordinazioni simoniache
del 1060, la sottomissione delle stesse idee teologico-disciplinari,
già espresse nel Liber Gratissimus, opposte a quelle di Umberto
da Silvacandida
come pure vi appartiene il giudizio di audacia inaccettabile. pronunziato sul modo di procedere della
Corte regia (Recto res aulae regiae) nei confronti degli atti di
Alessandro 111111•
Dall'esposto fin qui può dedursi con certezza quanto segue:
1) Le espressioni Romana Ecclesia, Romana Sedes e Apostolica
sedes, quando designano il soggetto delle prerogative primaziali
sono presi come sinomini e includono sempre il rapporto essenziale, ecc1esiologico e giuridico, con le altre chiese locali e mai
una indicazione di costituzione interna; indicano sempre, cioè,
la posizione della Chiesa romana dentro la struttura gerarchica
della Chiesa universale, la sua posizione ad extra, mai la sua
struttura ad intra. Talvolta, Romana Ecclesia, indica le componenti interne della Chiesa, cioè il popolo e il clero, in quanto
aventi diritto a eleggere liberamente ilproprio vescovo, quindi
in un contesto immediato che non connota direttamente il primato". 2) E' presente inoltre, nella concezione del Damìani,
una chiara identificazione, sempre nel contesto dei poteri prìmaziali, tra Pietro e Chiesa romana.
Essa è visibile nell'affermazione solenne e ripetuta, che
Cristo è il diretto fondatore della Chiesa romana, in quanto essa
è soggetto di poteri unici e universali nella Chiesa cristiana. Questa identificazione, esprimente con rilievo più netto e marcato
che le formule usate dal Silvacandida l'origine divina del primato, si estende anche alla persona del Papa. Il magistero dottrinale di Pietro infatti è quello della Sede Apostolìca », è lo
stesso di Niccolò II e poi di Alessandro II. Il potere che ha lanCI
G4;
CI
CI
Vd. il detto precedentemente e la N. 4.
Actus Mediolani; PL 145,98. Liber Gratissimus, XLI; De Lite I, 75.
85 «Rectores
aulae Regis... conspirantes contra Romanarn aecclesiam concilium collegistis, quo papam quasi per sinodalem sententiam condempnastìs,
et omnia, quae ab eo fuerant statuta, cassare incredibili prorsus audacia
praesumpsistis It. Disceptatio Syn: De Lite I, 87•
.ee Ep. I, 20; PL 144, 243. E' una tragedia, scrive a Cadalo, che il Vescovo di
un'altra diocesi sia preposto alla Chiesa romana « ... nesciente Romana Ecclesia It.
5S
54
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
41
ciato la scomunica contro gli Anconitani per un atto sedizioso
è il Petri gladius, l'evaginatus sedis apostolicae mucro, il gladius
di colui, qui totius christianae magister est pietatis ..., cioè del
Papa Niccolò II liT.
.
Si profila sotto questa luce la posizione unica del Papa
dentro la Romana Ecclesia.
3) Inoltre emerge evidente, sia per quanto riguarda il rapporto attuale di Pietro con la sua sede che per i titoli e le prerogative primaziali attribuiti alla Sede Apostolica, la genuina
linea tradizionale, specialmente romana e occidentale, dentro
la quale si colloca la concezione ecclesiologica del Damiani circa
la Romana Ecclesia. I titoli, particolarmente di caput e mater
di tutte le chiese, più di una volta ripetuti senza una particolare
precisazione contenutistica, sembrano mantenere il significato
ecclesiologico attribuito loro dagli autori antichi e altomedioevali liS. Nel Solitario di Fonte Avellana però, precisamente per
la sua convinzione che la riforma ecclesiastica poteva e doveva
attuarsi dall'alto, dal vertice della Chiesa, quei titoli assumono
una certa accentuazione giurisdizionale, abbastanza comune ai
« Gregorianl ».
Il primato papale
L'identificazione già vista tra Pietro, Romana Ecclesia e
Papa al supremo livello del privilegium primaziale indica con
sufficiente chiarezza chi sia tra i membri ecclesiastici della
comunità cristiana di Roma il soggetto giuridico del primato.
S'è già visto che l'espressione vos apostolica sedes, vos
Romana estis Ecclesia rivolta a Niccolò Ir e al suddiacono Ildebrando non definisce, nè intendeva definirlo nell'intenzione del
Damiani, il soggetto giuridico in questione. L'Avellanese, comunque, si è ripetutamente espresso a questo proposito con tale
chiarezza e precisione da escludere qualsiasi dubbio.
sr
Ep. I, 7; PL 144, 211.
Si veda a proposito
del pensiero tradizionale
di Pier Damiani le fonti
giuridiche indicate dal RVAN, St. Peter Damiani ... P. II, pp. 23-234. Y. CONGAR,
L'Ecclesiologie du haut Moyen Age, Paris 1968, pp. 187-195; H. KOCH, Cathedra
Petri, Giessen 1930, pp. 71.-90; M. MACCARRONE,
Gerusalemme e Roma; il pellegrinaggio di Paolo VI in Terra Santa alla luce dei rapporti tra il Papato e l'Oriente:
Divinitas 9 (1965) 9-12. E'da notare che il titolo c Mater omnium ecclesiarum "
viene con molta probabilità attribuito alla Chiesa romana per la prima volta dal
Papa Ilario (461-468) secondo il Koch (P. 96), o da S. Massimo confessore secondo
Maccarrone, per passare quindi, nella seconda metà del sec. VII, alla terminologia ufficiale della curia romana (p. 9). Comunque è in uso prima delle Pseudoìndorìane, utilizzate molto poco, e di seconda mano, dal Damiani (RVAN, op. cito
PP. 157; 167).
fi8
42
MARIO FOIS
Rispetto a Pietro, il Papa, portato all'apostolicae sedis cul59, ne è il successore.
Tu, scrive il Damiani a Niccolò Ilo nei
primi mesi del 1059, summo pastori in apostolica dignitate suecedis 60. Due anni più tardi rimprovera a Cadalo lo smodato
desiderio di succedere al nostro pescatore li> 81. Questa successione trasmette alla persona del Papa lo stesso « privilegio li> o
potere di Pietro. Di lui, infatti, il Papa «tiene il posto » non
nel senso di una semplice rappresentanza,
ma nel senso di un
pieno possesso dei diritti conferitigli da Cristo, ossia dei poteri
primaziali: Vice Petri claves tenet aecclesiae 63. Pieno possesso,
questo, che appare ancora più chiaro nel titolo di Vicarius Dei
e Vicarius Christi con la precisazione che l'accompagna, dato
più volte dal Damiani alPapa.
Nell'aprile del 1047, scrivendo
a Clemente II (1046-1047) ed esortandolo a usare con decisione
il suo potere coercitivo e dottrinale, per riformare il clero,
. afferma: Te enim, omnipotens Deus vice sui in populo quodammodo cibum posuit ... 63. Dieci anni più tardi, quasi specificando
il contenuto del «vicariato»
papale mette in bocca a Cristo
queste parole dirette a Vittore II (1057-1058); ... ego claves to-
men
CI[
tius universalis ecclesiae meae tuis manibus tradidi, et super
eam te mihi vicarium posui ... 64.. E ancora due anni più tardi
scriverà a Niccolò II (1058-1061), esortandolo ad agire energicamente contro il cleroconcubinario:
Tu autem ... venerabilis
papa, qui Christi vice fungeris ... &5. Ciò che si deve rilevare in
questi testi è la relativa novità del titolo vicarius Christi. Esso
appartiene indubbiamente
alla tradizione della Chiesa antica e
altomedioevale, ma è una novità al tempo di Pier Damiani,
511
Disceptatio Synodalis; De Lite I, 93.
Opuscolo XVII, 4; PL 145, 386. La dizione
c summus pastor .. può indicare,
per sè, Cristo stesso e in questo senso è usata daU'Avellanese in una lettera ad
Alessandro II (Ep. I, 15; PL 144, 235). Tuttavia le altre parole c in apostolìca
dìgnitate » non possono riferirsi che a Pietro.
61 e». I, 20; PL 144, 238.
62 Liber Gratissimus, XXXVI; De Lite I, p. 69. E inoltre:
« Vicem illius tenes;
qui non timuit dicere: • Obedire apportet magis Deo quam hominibus ... '"
Ep. I. 7; PL 144, 211. Per l'interpretazione
comprensiva dei termini « vìcarius s,
«vicem tenere» riferiti a Pietro e quindi del titolo papale «Vicarius Petri ..
attribuito fin dal III secolo al papa si possono vedere lavori del MACCARRONE:
Vicarius Christi: Lateranum N. S. 17 (1952) 23-53; L'antico titolo papale' Vicarius
Petri' e la concezione del primato: Divinitas 1 (1957) 365-371.
63 Ep. I, 3; PL 144, 207. Lettera dell'aprile
1047.
64 Ep. I, 5; PL 144, 210.
650pUSC.
XVII, 4; l.c, Una controprova si ha nell'attribuzione a Cadalo
della funzione di vicario deU'Anticristo: " ... Si Cadalous ... universali EccIesiae
Antichristi vice praesiderit ..... , Opusc. XVIII, 2; PL 145,414.
00
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
43
quando non risulta usato nè da altri scrittori, nè dalle collezioni canoniche 66.
L'altro aspetto rilevante è l'universalità del potere riconosciuto al Papa. Se talvolta esso è ancora definito genericamente
generalis principatus sulla universalis ecclesia come nell'accusa
di ambizione del medesimo potere lanciata contro Cadalo 67,
esso va però precisandosi tra il 1060 e il 1064, quindi a qualche mese di distanza dalla legazione milanese, fino a raggiungere il preciso contenuto ecclesiale-giuridico di giurisdizione
episcopale su tutta la Chiesa, unica nel suo genere 68.
Nei primi mesi del 1060 Niccolò II è detto universalis
papa 69. A questa definizione corrisponderà quella della Disceptatio Synodalis (estate 1062), dove il papa è dichiarato universalis pontifex in un contesto che indica immediatamente l'autorità papale come suprema, al di sopra di ogni altra nella Christianitas e, quindi, superiore anche a quella imperiale, lasciandone capire però la natura ecclesiale, cioè episcopale 70. Superiorità, questa, che viene ribadita e, si può dire, specificata a
due anni di distanza nel De Brevitate Vitae Pontificum Romanorum, in cui il vescovo di Roma è definito: rex regum et princeps imperatorum, in quanto egli cunctos in carne vivenies honore ac dignitate praecellit 71. Ma proprio in questo opuscolo,
dal quale esula uno scopo polemico preciso di rivendicazione
delle prerogative primaziali del Papa, si leggono le definizioni
più chiare e allo stesso tempo nuove del potere unico ed esclusivo, episcopale e supremo del pontefice di Roma. Dopo aver
infatti affermato che esiste un unico Papa che presiede nel
mondo (cum unus amni mundo papa praesideat), detta una.
Vd. MACCARRONE, Vicarius Christi, p. 87.
Ep, 1,21; PL 144,251. E'la seconda lettera a Cadalo, della fine di aprile 1062.
68 Si tralascia qui l'aspetto
temporale del potere papale, al quale il Damiani
accenna nell'epistola già citata a Vittore II, che consiste nel dominio su
« monarchie It e nei diritti (iura) sull'Impero
vacante Ep. I, 5; l. cito a questi
diritti accenna anche nella Disceptatio Synodali; De Lite I, 81.
69 Opusc. XIX;
PL 145, 425.
70 « Papae vero, quia universalis
est pontìfex, non modo Romanus populus,
sed et Romanus imperator, qui caput est populi obedientiam debet It. Discept,
Synod.: De Lite I, 78. Nella conclusione la superiorità del papa è espressa in
termini di diritto paterno: « Ille lRomanus Pontifex] tanquam parens paterno
iure praemìneat ..• It ed. cito p. 93. Il senso di questa autorità, radicata nel
« privilegio It personale del papa, quindi nel potere delle chiavi, può comprendersi
meglio, se si pensa che «Romana Ecclesìa » è detta madre del Re: «Romana
aecclesia nobilius atque sublimius quam mater carnalis mater est regis ...
Op. cito p. 81. Lo stessorlpete
più tardi, nel 1065, in una lettera allo stesso
Enrico IV; « Collapsae matri tuae Romanae Ecc1esiae manum porrige ... ". Ep,
VII, 3; PL 144, 439. Lo ripete ancora più sotto. C. 441.
11 Opusc.
XXIII, 1; PL 145, 474.
66
07
MARIO POlS
definizione teologico-giuridica del medesimo, che rivela una
coscienza delle prerogative del Papa difficilmente riscontrabile,
con la stessa chiarezza, in altri oe Gregoriani s : papa vero ... solus
est omnium ecclesiarum universalis episcopus 12. La definizione
è troppo chiara per aver bisogno di spiegazioni. In termini piuttosto giurisdizionali il Damiani ascrive al Papa un potere episcopale su tutte le chiese: un potere esclusivo, unico proprio
perchè universale, e quindi impartecipabile da altri. L'impartecipabilità di questa autorità da parte di altre persone costituite
in potere dentro la cristianità era già stata affermata nella
Disceptatio Synodalis. Augurandosi, più utopicamente che realisticamente, la più stretta unione tra Regnum o Imperium e
Sacerdotium, il Damiani parte dall'unione del potere sacerdotale e del potere regale in Cristo, per chiedere che oe queste due
sublimi persone », il Papa e il Re, fossero talmente unite nel
vincolo della mutua carità che Rex in Romano pontifice et Romanus Pontifex inveniretur in Rege, salvo scilicet suo privilegio
papae, quod nemo praeter eum usurpare permittitur 7&, Il rapporto tra Chiesa e Stato e le circostanze storiche della contesa
tra Alessandro II e Cadalo per il possesso della Sede Apostolica, che costituiscono il contesto storico-ideologico delle parole
dal Damiani, non circoscrivono la portata universale della loro
esclusione. Il privilegium del Papa appare qui personale, non
usurpabile da nessuno, chiunque, sia ilPapa
legittimo. E'
un'idea, del resto, riscontrabile in due altri scritti: nella Vita
Odilonis del 1063,e in una lettera diretta ad Alessandro II posteriore al 1065H.
La definizione del Papa come il solus ... omnium ecclesiarumuniversalis
episcopus presenta un aspetto di novità, rilevata, con la sua consueta precisione, dal Ryan u. Effettivamente
non è una formula corrente in questo tempo. E'vero
che
Leone IX nel sinodo di Reims dell'ottobre del 1049 aveva fatto
dichiarare che unicamente il pontefice di Roma era universalis
72
Ibidem.
73
De Lite I, 93.
74 Nel racconto
di una visione del monaco Eldeberto, secondo la quale
il papa Benedetto (probabilmente IX) sarebbe stato salvato dalle preghiere dell'abbate Odilone, scrive: c cum is [papa] nimirum, qui iuxta priviJegium apostolicae dignitatis Claves Ecclesiae prae cunctis mortalibus tenuit, qui ligandi
atque solvendi vires praeeminenti quodam iure possedit ... It, PL 144, 938.
Nella lettera, dove chiede la piena libertà per laici e chierici di ricorrere al
papa contro i soprusi dei loro vescovi: « Nam cui melius dicitur, quod delinquit
episcopus, quam ìllì, qui magistri officio fungitur? Et ideo inter [ratres reliquos
praeeminet, ut quod aliis non licet, ipse solus per propriae sedis privilegium
errata corn gat sacerdotum It. Bp. 1,12; c. 216.
75 J. RYAN, St. Peter Damiani .., pp. 103-105.
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
45
ecclesiae primas... et apostolicus. Ma il termine primas, tipicamente occidentale e denotante un'autorità ben definita nella
struttura ecclesiastica, e inoltre usato contro le pretese del
Vescovo di Santiago di Compostella, che si faceva chiamare
apostolicus 78, non sembra contenere tutta la portata ecclesialegiuridica della formula damianea, che indica un episcopato di
ti tutte le chiese» e sembra tradurre
tutto il diretto potere delle
Chiavi sulle medesime. Del resto lo stesso Leone IX, quattro
anni più tardi, condannava il titolo di ti Patriarca universale »
preteso dà Michele Cerulario, ma senza riservare al Papa il titolo
universalis, pur avendone il diritto, perchè non si leggeva nelle
scritture che Pietro fosse stato detto universalis apostolus TT.
Questo rifiuto fa risaltare più nettamente la novità della definizione deII'Avellanese. Essa però non può essere intesa nel
senso pieno ed esclusivo, che ridurrebbe i vescovi delle singole
chiese a meri rappresentanti papali, ma dev'essere intesa nel
senso di capo visibile della Chiesa universale di Cristo, realizzata e articolata socialmente nelle singole chiese locali. Capo
universale visibile, però, su di un piano inferiore, diverso da
quello sul quale Cristo ti unico pastore, presiede universalmente
a tutte» le Chiese, anche se il Papa è suo vicario. Questi, infatti, si colloca sulla dimensione ecclesiale-giuridica postulata
dal privilegium di Pietro 78. In poche parole: il Papa è omnium
ecclesiarum universalis episcopus sullo stesso piano e nella
stessa misura in cui la Romana Ecclesia o Apostolica Sedes è
caput e mater omnium ecclesiarum. Da tutto il pensiero del
Daminiani non pare si possa dedurre di più.
Quest'ultima conclusione sta a indicare ulteriormente che
per il cardinale di Ostia non esiste, sotto il profilo del soggetto
dei poteri primaziali, distinzione alcuna tra Papa, Sede Apostolica e Chiesa Romana. Papa e Chiesa Romana sono lo stesso
e unico soggetto del potere delle Chiavi.
'M MANSIXIX, 738 e 741. Per quanto riguarda
i •primati» Vd. W. M. PLÖCHL,
Storia del Diritto Canonico I (ed. ital.), Milano 1963, pp. 362s. H. E. FmNE,
Kirchliche Rechtsgeschichte. Die Katholische Kirche, Köln-Graz 1964, p. 231.
TT Epistola 1,9; Epistola II a Michele Cerulario. C. WILL, Acta et Scripta de
controversiis Ecclesiae Graecae et Latinae, Leipzig 1861 69b-70a; SOb e 91a
rispettivamente.
18 Nel De picturis principum
Apostolorum, del 1965, egli scrive che in un
certo senso • volgare» dovrebbe essere Gerusalemme la Sede-Capo di tutte le
Chiese, perchè vi è morto Gesù Cristo. L'ordine pero, in base ai canoni, presenta
questa disposizione: Roma, Alessandria, Antiochia, Costantinopoli
e Gerusalemme: • Constat Dominum Salvatorem non uni cuilibet cathedrae speciali iuri
praeesse, sed cunctis unum pastorem universaliter
praesidere.
Lìquet ergo
Ecclesiarum ordinem esse dispositum ìuxta privìlegìum Petri, non secundum
incomparabilem exceIlentiam Redemptoris s, PL 145, 594.
46
MARIO FOIS
Pier Damiani ha tratto le conseguenze della sua visione primaziale del te pontefice romano ». Sul piano legislativo egli fin
dal 1049 colloca l'autorità papale sullo stesso piano dei concili.
Per lui sono validi i soli canoni editi dai Concili oppure promulgati dai te pontefici della Sede Apostolica ». Nessun privato
può emanare leggi ecclesiastiche, ma soltanto te colui che presiede sulla cattedra di Pietro» 19. Conseguentemente, scriverà nel
1063, te è da ripudiare ogni canone, anche se emanato da un
sinodo metropolitano, che non concorda con i decreti dei Pontefici Romani» 80. Ancora sul piano disciplinare, il Papa detiene
il diritto principale di riforma, di correzione degli errori, di
coazione 81. Giudice principale degli altri, non può essere giudicato da nessuno. L'immunità papale, infatti, benchè non venga
espressa con la medesima esplicita chiarezza usata dal Silvacandida e da altri « Gregoriani », è però accennata in modo tale
nella Disceptatio Synodalis, da eliminare ogni dubbio sulla tesi
sostenuta in merito dall'Autore. Si è già visto come egli definisca incredibilis prorsus audacia e presunzione l'operato della
corte imperiale, la quale per mezzo di una specie di sinodo
aveva cassato gli atti di Alessandro II 8'. Non molto più in là
scrive: ... damnatio papae tarn gravis et inexplicabilis est, ut
non humano sed divino dumtaxat sit tractanda iudicio 88. Non
è arduo intuire che qui viene ripresa la tesi espressa da Ennodio nel suo Libellus in difesa del sinodo simmachiano del 50284,
il cui testo si vede inserito parzialmente nella Collectio 74 Titulorum (c. 11) e, più ampiamente, in quella di Anselmo di Lucca
(c. 24): Dio ha riservato al suo tribunale il giudizio dei successori di Pietro 85.
19 Liber Gomorrhianus
cap. 12: «Constat nimirum, quod omnes autentici
canones, aut in venerandis synodalibus conciliis sunt inventi, aut a sanctis
Patribus sedis apostolicae pontificibus promulgati:
nee cuìquam soli homini
licet canones edere; sed ìlli tantummodo
hoc competit privilegium, qui in'
B. Petri Cathedra cemitur praesidere It, PL 145, 172.
80 «Reiciendus
est canon, si decretis Romanorum Pontificum non concordat It, Opusc, XVIII, cap. 3; PL 145, 402. Il Damiani dice questo in risposta alla
citazione di un canone, che permetteva il matrimonio dei preti, emanato da un
presunto sinodo trevirese.
8l. Ep, I. 15. ad Alessandro
II (aprile 1063). Espone una grave situazione di
delitti e disordini, quindi conclude: c Nee accusatoris vereor notarn, dum Illì
delinquentium expono flagitium, qui corrigendi prava prae caeteris obtinet princìpatum »: e più in là: c qui ius corrigendi principaliter possidet It, PL 144, 234s.
82 De Lite I, p. 87.
S3 Op. cito p, 90.
s. Cfr. G. BARDY, Il papato dopo Calcedonio. Gli scismi Romani (461·514) in
Storia della Chiesa (ed. A. Flìche e V. Martin) IV, Torino 1961, pp. 433-435.
81i «Aliorum
forte hominum causas deus voluerit per homines terminare,
sedis istius [Romanae] praesulum suo sine quaestione reservavit arbitrio. voluit
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
47
Una riprova del fatto che soltanto la persona del Papa detiene il « privilegio di Pietro o 1'«autorità apostolica », la si può
trovare nel lessico ufficiale usato anche nei documenti sinodali
firmati da cardinali e vescovi, oltre che nelle bolle spedite dalla
Curia. Il decreto In nomine Domini del 13-IV-I0S9, dopo aver
menzionato il 'Papa che presiede il sinodo e i membri del clero
considentes continua: idem venerabilis pontifex, auctoritate
apostolica decernens de electione summi pontificis inquit ... Il
testo viene espresso col plurale maiestatico (decernimus atque
statuimus), sempre riferito alla persona del Papa, il quale parla
di nostrum decretum synodali sententia promulgatum. Il decreto è, dunque, papale. Anche la sua promulgazione, lo si legge
chiaramente nella firma di Niccolò II, è papale. Ed è proprio
questa l'interpretazione datane dal Damiani, partecipe al sinodo
e, probabilmente, alla redazione dello stesso decreto 86.
Solo la modalità di quest'ultima è sinodale. Si tratta quindi,
se la lettura delle formule è esatta, di un decreto pontificio emanato dal Papa in un normale sinodo romano e quindi sottoscritto dai presenti.
Una conferma di ciò la si legge nei termini usati dalla Synodica Generalis 87 e dal decreto del sinodo del 106088• Le stesse
parole della Synodica saranno usate da Alessandro II per comunicare le decisioni prese nel sinodo del 106389• Il medesimo
]t
beati Petri apostoli successores coelo tan turn debere innocentiam et subtilissimi
discussoris indagini inviolatam exhibere conscientiam It. MGH. Auet. Ant. VII,
61, 93. ANSELMIColleetio eanonum una eum Collectione Minore (ed. Fr. Thaner),
Innsbruck 1915, pp. 16-17.
8<1 " Ego Nicolaus episcopus huic decreto a nobis .., promulgate
". subscripsi It.
MGH., Constitutiones I. 541. Nella Discept, Synod. il Damiani si esprime cosi:
"Sinodalis enim decreti pagina, quam cum concilii totius assensu beatus Nicolaus papa constituit, cui propriae manus articulus ìndìdit, quam tot episcoporum venerandus ... conventus subscriptione firmavit It, De lite I. 85. Per la
parte dcI Damiani nella redazione del decreto si veda Fr. KEMPF, Pier Damlani
und das Papstwahldekret von 1059: AHP 2 (1964) 81-82.
87 Il papa
intende notificare il decreto "In Nomine Domini lO, «quia ad
salutem vestram executores eorum vos esse optamus et apostolica auctoritate .
iubendo mandamus It, Constitutiones p. 547.
88 «Dominus
papa Nieholaus synodo in basilica constantiniana praesidens
dixit:
1) Erga symonìacos nullam misericordiam ... habendam esse decernimus,
sed ... eos omnino damnamus ac deponendos esse apostollca auetoritate sancimus »,
2) "Ita tarnen auctoritate sanctorum apostolorum Petri et Pauli omnino
interdicimus ... It.
3) Nichilominus auctoritate apostolica decemimus quod in aliis conventibus
nostris decrevimus ... It. Op. cito pp. 550s.
89 « ... vobis
notificare curamus...
et apostolica auctoritate
iubendo mandamus It. MANSIXIX, 1923D. Il formulario dei documenti sinodali non differisce
da quello usato per le bolle, le lettere. ecc., emanate direttamente dalla cancel-.
48
MARIO FOIS
Alessandro, ancora dopo i decreti del 1059 e del 1060 che avevano attribuito particolari competenze ai Cardinali Vescovi nell'elezione papale, precisa con esattezza la posizione del Damiani
nella scala gerarchica romana. Nella lettera dello stesso anno
1063, con la quale lo accreditava suo legato presso l'Episcopato
francese per la questione cIuniacense, qualificandolo noster ...
oculus, il papa indica nel vescovo di Ostia l'autorità maggiore
dopo la propria quo •.. post nos maior in Romana Ecclesia auctoritas non habetur e allo stesso tempo annunzia che gli affida
vicem nostram plena iure gli delega cioè l'autorità apostolica
che il Damiani evidentemente non aveva e non partecipava 110••
Un indizio non oscuro, questo, dell'autorità ricoperta dai
Cardinali Vescovi dentro la struttura della c Chiesa romana •.
Ma prima di analizzare il pensiero del Damiani in proposito,
urge delineare la funzione attribuita da lui alla c Sede Apostolica lt o al Papa nella riforma. E' questo l'altro aspetto fondamentale del quadro, in cui viene messa a fuoco dal Monaco
avellanese la propria concezione sul cardinalato.
La funzione del Primato nella riforma
All'inizio di questo studio si è potuta constatare la chiara
consapevolezza dell'Avellanese circa il ruolo insostituibile della
Chiesa romana nella riforma: c E' ormai necessario che inizio
del rinnovamento della salvezza sia quella [sede romana], che
ai primordi della medesima ne fu il fondamento •. Solo la Chiesa
romana, « madre di tutte le chiese It, poteva con la sua autorità
realizzare la riforma. Il Damiani pensa, quindi, fin dal 1045,
a una riforma della Chiesa proveniente dall'alto, ma da un'autorità che fosse anche esemplare della vita evangelica da imporre agli altri. Questa via gerarchica della riforma il Damiani
la rìproporrà sempre, prima e dopo il suo cardinalato, cioè anche prima di essere la c seconda autorità lt dopo il Papa nella
leria apostolica. La c nostra apostolica auctoritas », il « nostri apostolici ana thematis vulnus ., la c Nostra apostolica praeceptìo », il c nostrae apostolicae auctoritatis prìvìlegium s e simili sono sempre riferite all'unica persona del papa.
Vd. a modo di esempio PL 143, 819D; 822A, 824B, 825C (per Vittore II); 873D;
884B (per Stefano IX). Lo stesso è osservabile per i documenti degli altri Papi.
1Xl PL 145, 857. Il segnò della chiara coscienza a Roma della guida universale
della Chiesa riservata al Papa la si scorge nello stesso documento. « Non Ignorat
sancta vestra fraternitas, quod ex apostolica auctoritate sed is apostolicae, cui
nos indignos dementia divina praefecit, totius universalis Ecclesiae regendus
ac disponendus nobis status ìncumbìt s. Egli, personalmente, il detentore di
questa autorità, non può recarsi in Francia. Perciò a Pier Damianl c vicem
nostram pieno iure commìsimus s. Ibidem.
Per la data della legazione clunìacense Vd. DRESSLER, Petrus Damiani pp. 76 ss.
I CARDINALI
VESCOVI SECONDO PIER
DAMIANI
49
Chiesa romana. Egli desidera che vi siano impegnati anche i
vescovi nelle proprie diocesi e perfino i principi secolari. Oltre
a rivolgere, perciò, la sua esortazione, nel 1057, ai Cardinali Vescovi, come si vedrà più avanti, tra il 1063 e il 1064 dirigerà
il suo pressante richiamo e ammonimento al Vescovo Cunìberto
di Torino e alla duchessa Adelaide di Savoia, perchè eliminassero il disordine morale dal clero della diocesi 91. Il fattore
decisivo della riforma, però, l'autorità capace di piegare le resistenze in tutta la Chiesa, la forza efficace a livello dottrinale
e a livello disciplinare Pier Damiani la indica prima, la scopre
sperimentalmente poi nel potere primaziale della Chiesa romana. Ciò deriva dalla sua concezione del primato papale, prima
di tutto; ma poi, anche dall'urgenza d'imporre la riforma a
numerosi vescovi e abbati, al di sopra se non pure contro i vari
poteri civili, con i quali essi erano feudalmente legati. L'unico
potere ecclesiastico che poteva intervenire con prospettive di
successo era il papale, sia direttamente (almeno nello Stato
Pontificio), sia tramite i Sinodi.
Le testimonianze in proposito, che si possono leggere negli
scritti del Damiani, vanno dal 1046 al 1065 circa. Esse indicano
anche le linee sulle quali doveva muoversi, secondo lui, l'intervento papale: quella dottrinale e quella disciplinare, anche se
quasi mai esse appaiono nettamente distinte tra di loro 9a.
Sul piano dottrinale
Sul piano più specificamente dottrinale il Damiani chiede
alla Sede Apostolica, adesso che almeno con Clemente II (104~
1047) sembra emersa dalle tenebre alla luce, di illuminare le
altre chiese, con una parola chiarificatrice (sacri verbi dapibus),
che venga a saziare l'attesa degli umili 98. Due anni più tardi,
91 Opusc. XVIII,
2; XVIII, 3, databili al 1063 e 1064 rispettivamente. Non
sembra esulare da questo senso la collaborazione tra c Papato. e c Impero.
auspicata nella conclusione della Disceptatio Synodalis, De Lite I, p, 93. ,
92 Bp, I, 3; PL 144, 207s. Viene chiesta
praticamente la deposizione dei
c cattivi vescovi e abbatì », ma allo stesso tempo c famelicum nostrae hurnìlitatis stomachum sacri verbi dapìbus satiare •. Liber Gomorrhlanus, Praeiatlo;
PL 145, 161: si chiede un intervento energico contro il cIero omosessuale, quindi
sul piano disciplinare; ma contemporaneamente
si chiede una conferma dottrinale delle diverse specie del vizio esposte nello scritto. Vd. la conclusìone,
cap. XXVI; c. 189s. (II testo alla N. 95.) e Ep. I, 13; PL 144, 223.
93 Ep. I, 3, 1. cito Vd. le parole citate alla nota precedente,
anche se c sacri
verbi dapes » è probabilmente da intendere in senso lato, includendo non solo
la predicazione e gl'interventi dogmatici, ma anche il richiamo ai canoni conciliari e alle decretali, tuttavia è difficile negarne l'aspetto dottrinale. Così un
senso lato assume in questo tempo l'espressione c sacra pagina ». Vd. J. J. RYAN,
so
MARIO FOIS
nel 1049, si rivolgeva alla « Sede Apostolica, madre di tutte le
Chiese », come a «maestra, e in certo modo fonte della sapienza celeste », perchè da essa «scaturisse la luce che, dissipando le tenebre dell'incertezza It, facesse risplendere « tutto il
corpo della Chiesa della lucentezza della verità It H. Più precisamente egli chiedeva una chiarificazione decisiva sulle quattro
specie di omosessualità, e quindi sulle conseguenti misure disciplinari da adottare con i membri dell'ordine ecclesiastico dediti a questo vizio "\
Sempre nel contesto della riforma e particolarmente della
lotta contro le due « eresie It del tempo, la simonia e il nicolaismo, I'Avellanese sette anni prima della legazione milanese
chiede che il papa « in modo particolare », appunto perchè vice
Petri claves tenet aecclesiae, insorga contro il nuovo « dogma»
della simonia e ne condanni gli autori te. A Milano poi proporrà
l'esempio di Ambrogio, che al tempo di papa Siricio (384-399),
in circostanze e per finalità analoghe a quelle del 1059, aveva
considerato la Chiesa romana come «maestra It liT. Più tardi, in
una lettera ad Alessandro II, chiede un suo energico intervento
dottrinale oltre che disciplinare, per condannare una sottile distinzione di alcuni chierici anelanti all'episcopato, i quali sostenevano insussistente il reato di simonia quando, pur sborsando
una somma al principe secolare, si riceveva l'ordinazione gratuitamente. Con la somma versata, secondo loro, si acquistava il
beneficia, non il sacramento: nee emitur sacerdotium, sed possessio proediorum ... opes tantum, non honoris vel Ecclesiae redimitur sacramentum. Il papa deve opporsi a « questi predicatori di Satana e apostoli dell'Anticristo ... con la spada della parola divina» 98. La pericolosità della dottrina era evidente, più
Cardinal Humbert De S. Romana ecclesia: Relics of Roman-Bvzantine Relations
1053.J054: Medieval Studies 20 (1958) 218.
11. Liber Gomorrhiamus, Praeiatio; PL 145; 161.
9S Op. cito cap. XXVI; 145, 190. c Quatuor
igitur huius vitii diversitatibus,
quas superius enumeravimus, diIigenter Inspectis, dignetur me beatitudo vestra
decretali pagina cIementer ìnstruere, cui earum obnoxius debeat ab ecclesiastico
ordine irretractabiliter
adjici (sicl); cui vero praelatì discretionis Intuitu, possit
hoc officium misericorditer indulgeri; quo supradictorum modo, et cum quantis
Iapso liceat cuìque in ecclesiastica dignitate persistere; qualiter autem, et cum
quantis, si foedatus fuerit, compeIlendus est in dicta necessitate cessare s,
96 c Immo qui vice Petri claves tenet aecclesiae, ipse potissimum
adversus
novum dogma consurgat et introductores pravitatis dignae sententiae iaculatione
confodiat ... » Liber Gratlssimus, XXXVI; De Lite I, p. 69.
liT Actus Mediolani; PL 145, 92.
98 Bp. I, 13; PL 144, 219; 223. Ecco il testo
completo: c Dicebant enìrn,
quia cum hoc fit, non distrahitur Ecclesia, sed facultas; nee emitur sacerdotium,
sed possessio praediorum. Sub hac enim praestatìone pecunìae, opes tantum
non honoris vel Ecclesiae redimitur sacramentum, siquidem sunt, sicut aiunt,
224ii
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I.
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
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51
allora di oggi. Basta pensare all'intimo legame tra beneficio e
ufficio e alla prevalenza pratica del primo sul secondo, al legame
tra potere feudale ed episcopato, che ormai veniva indicato con
un solo nome, citato dal Damiani, honor [episcopatus] "", per
capire che una simile distinzione giustificava l'abuso più deleterio del mondo ecclesiastico, fonte primaria non solo della disgregazione morale, bensì perfino della compattezza strutturale
della gerarchia, per il prevalere pratico dell'investitura secolare
sull'ordinazione sacramentale.
In questi interventi il Monaco polemista confuta con la sua
erudizione gli errori, combatte i vizi dottrinalmente. Ma, anche
da cardinale vescovo, egli invoca urgentemente l'intervento del
potere primaziale. Pensa, infatti, che solo un suo intervento può
eliminare l'errore e ristabilire la purezza della Fede 100, anche
perchè risiede nella persona del Papa oltre all'autorità dottrinale, l'autorità disciplinare, le cui misure, secondo il Monaco
riformatore, devono accompagnare gl'interventi dottrinali.
Sul piano disciplinare
Ed è proprio sul piano disciplinare che l'appello del Damiani al Papa si fa più insisente e pressante, evidenziando più
spiccatamente la funzione essenziale del primato nella riforma.
Fin dal luglio del 1045,scrivendo a Gregorio VI (1045/1046)
e accennando alle riforme da instaurare nel clero, egli chiede
la deposizione definitiva del vescovo di Pesaro Pietro, « adultero
incestuoso spergiuro e ladro It, e inoltre, a quanto pare, anche
di Ugo vescovo di Fano e di Benedetto vescovo di Cività Castellana. Senza questi interventi ogni speranza di riforma veniva
a scomparire 101. Questa speranza, riposta poi in Clemente II,
unde sint divites: gratis accipiunt, unde fieri debeant sacerdotes It, C. 219. I chierici accennati erano due cappellani del duca Goffredo di Toscana.
DII Op. cit., c. 219: c honoris ... sacramentum
s ; c. 223: c honoris
culmen •.
aoo Op. cit., c. 223: c His ita que praedicatoribus
satanae, et apostolis antichristi, tu venerabilis Pater, caelestis eloqui gladio praecinctus occurre, et tanquam alter Josue, Amalecitas oppugnantes Israel [Ex. 17,8-13] evaginato canonici vigoris mucrone, prosteme. Tollatur e medio quantocius tartareae amaritudinis aconitum, ne quod absit, ferale venenum faucibus influat parvulorum.
Tuis praeterea manibus talìs aromatici pigmenti quibusque languentìbus propinetur antidotus, qui et venenati erroris tolIat iIIuviem, et sanae atque sincerae fidei restituat puritatem •.
:!.<ll Ep, I, 1; PL 144, 205s. Il vescovo di Pesaro era già stato deposto,
probabilmente, in precedenza o da Silvestro III o da Benedetto IX o da tutti e due .
. Ma poichè questi erano stati costretti a lasciare il pontificato, i loro atti potevano essere invalidati. Solo cosi si possono spiegare le parole usate dal Damiani: c Et si ille [Pisauriensis ep.l tot cri minibus obvolutus ad epìscopatus
arcem restituitur, ab apostolica sede boni aliquìd ulterius posse fieri, penitus
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52
MARIO FOIS
dopo la deposizione a Sutri e a Roma (20-24-111-1046)
di Gregorio VI, di Silvestro III e di Benedetto IX, andò delusa nel
Damiani, quando vide confermati dal nuovo Papa nelle loro sedi
Ugo di Fano, già scomunicato dai papi deposti, Gislerio vescovo di Osimo e altri simili criminali 103. Il suo appello, perciò,
diviene richiamo al Papa, perchè s'impegni con decisi interventi
disciplinari a instaurare la riforma, avendolo Dio armato di
potere a questo scopo 103. Un intervento energico chiede a Leone IX contro il clero omosessuale 11M.
Nei primi mesi del 1059, quindi precedentemente alla sua
legazione milanese, si rivolge a Niccolò II, per ammonirlo a
non dissimulare il male, divenendone connivente, a non usare
una falsa pietà nei confronti dei vescovi concubinari, ma, proprio perchè Vicario di Cristo e successore di Pietro a usare il
rigore delle sanzioni canoniche, anche con la deposizione degli
indegni, castigando «coraggiosamente e virilmente l'eresia Nicolaita 105.
La legazione milanese, molto difficile per il clima di turbolenta opposizione creato dal clero simoniaco e concubinario, gli
fece misurare la portata dell'efficacia che aveva e poteva avere
nell'opera di riforma il privilegium nella Chiesa romana. Conseguentemente, negli anni seguenti chiederà ancora l'intervento
dell'autorità papale sia per l'eliminazione del sottile errore simaniaco, già visto, sia per ridurre all'obbedienza i canonici, i
quali difendevano un preteso diritto a possedere denaro, cioè
a disporre di un peculia contro le norme dettate dai Padri per
il clero vivente in « congregazione 106.
li)
li)
denegatur lO c. 206. Per i nomi dei vescovi Vd. P. B. GAMS, Series Bpiscoporum,
Ratìsbonae 1873, p, 715; 690; 685.
:t02 Ep. I, 3; PL 144, 207 s. Solo Ugo di Fano fu deposto
nel 1048 da Damaso II. GAMS, op. C. p. 690.
:t03 Ep. I, 3; l. cito Dio onnipotente
c ex te contra omnes adversariorum
impetus Ecc1esiae suae latus armavit, quatenus ... Deo resistentium pectus studeas caeIesti virtute confondere....
c. 208•
.104 Liber Gomorrhlanus, Praeiatio:
PL 145, 161: c Ouoddam autem nefandum et ìgnomìniosum valde vitium in nostris partibus inolevit, cui nisi districtae
animadversionis manus quantocius obviet, certurn est •.. lO.
1.06 Opusc.
XVII, 4; PL 145, 386-389. Di questa lettera indirizzata a Niccolò II
sulla c continenza dei vescovì s raccomanda la lettura a Cuniberto di Tonno,
nel 1063 - Opusc. XVIII, 2; PL 145, 413.
'106 Opusc. XXIV;
PL 145,479-490. Basta citare la chiusura: c Sed lam, venerabilis pater, incultae dissertationis protraxisse sermonem hucusque sufficiat;
veruntamen ut haec apud inobedientium elericorum, immo nummicolarum rebellionem efficaciter valeant, sanctus apostolatus vestri vigor ìrnpellat s. Vd. anche
opusc. XXVII, cc. 503-512; inoltre G. MICCOLI,
Pier Damiani e la vita comune del
clero, in La Vita Comune del Clero nei secoli Xl e XII, Milano 1%2, pp. 186-219.
_EQ
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
53
Evidentemente anche i Cardinali Vescovi sono impegnati
nella riforma, ma essa appare al Damiani come la «battaglia
della Sede apostolica », della quale i cardinali, compreso lo
stesso Damiani, non sono che dei collaboratori 107.
La funzione riformatrice del primato romano postulata dal
Damiani lascia intravedere anche la dimensione ecclesiale-spirituale sulla quale lo stesso Damiani colloca il potere papale.
Soltanto misurando in profondità il senso della riforma inteso
dall'Avellanese, si comprende la sua concezione primaziale. La
riforma non si esaurisce per lui, come del resto anche per Umberto da Silvacandida e per Gregorio VII, in una semplice restaurazione disciplinare. La disciplina ecclesiastica, che dev'essere riformata secondo la norma della Sede Apostolica, cui presiede lo stesso Cristo, e che, perciò, deve rifiorire sotto la guida
del Papa 1()8, non può essere intesa genericamente e secondo le
categorie moderne, cioè come un ordine piuttosto estrinseco di
condotta, un ordine puramente giuridico. Essa include un significato molto più profondo, anche teologico. Basta pensare
che la simonia e il nicolaismo, i due aspetti principali del disordine ecclesiastico presi prevalentemente in considerazione dal
Damiani 109, oltre che una prevaricazione morale sono consìderati, almeno nelle ragioni addotte a giustificarli, due «eresie »,
cioè due errori opposti alla Fede, sostenuti sotto l'influsso di
Satana, separanti, quindi, dal corpo della Chiesa 110. Inoltre il
rifiorire disciplinare o il passare dalle tenebre alla luce 111, silOT Opusc, XXXI, Contra Philargyriam (scritto
tra il 1063 e il 1068). c In conflictu sedis apostolicae, in quo vos adhuc unanimiter desudatis, concertator et
ipse pugnavi -, PL 145, 531.
lOS «Haec
[sedes apostolica] est enim ìlla, ut ita loquar, officina fabrilis,
cui nimirum is, qui fabri dieebatur filius [Mt. 13,55] praesidet, ad cuius regulam
omnis merito moneta reducitur ; ad cuius rectitudinis lineam quidquìd uspiam
depravatum fuerit, reformatur -. Actus Mediolani; PL 145, 98. A Gregorio VI
aveva scritto: c ". et praesidente vestra prudentia, ecclesiastica refloreat disciplina .. Ep. I, 1; PL 144, 205.
109 Non considera
molto, invece, l'investitura laica, che era alla radice dei
mall combattuti da lui. Vd. più avanti.
110 Actus Mediolani; PL 145, 90; Ep. I, 13, dove scrivendo della sottile distinzione, già vista, circa la compera dei benefici afferma che è proprio del Papa
restaurare c nutantis fidei fundamentum, vel etiam ordo religionis .. e inoltre
definisce c nova... haeresis _ le teorie dei due cappeJlani del duca Goffredo di
Toscana. PL 144, 219. NeJla chiusura definisce costoro, «predicatori
di satana,
apostoli dell'anticristo -, c. 223. Llber Gomorrhianus, Praefatio: PL 145, 161 dove
si parla di sottomissione alla c ferrea legge della tirannide diabolica It. Si veda
anche a questo proposito A. NITSCHKB, Die Wirksamkeit Gottes in der Welt
Gregors VU: Studi Gregoriani V (1956) 120-135, dove accenna alla concezione
del Damiani circa l'influsso di Satana nell'uomo, pp. 130ss.
111 Ep. I, 3; PL 144, 207. Nella stessa e». I, 13, c. 223 chiarisce
il concetto
di eresia. Per altri testi vedo LECLERCQ, Saint Pier Damien pp. 222-224.
ti
MARIO FOIS
gnifica rimuovere i vescovi indegni dalle loro sedi e, conseguentemente, scegliere vescovi all'altezza della loro missione 112: significa inoltre ricondurre i canonici alla stretta osservanza delle norme della povertà. religiosa. La disciplina sembra signìfìcare talvolta anche la stessa realtà della chiesa locale 118. Una
volta inteso nella sua complessità e profondità il signìfìcato di ecclesiastica disciplina, si può intuire anche l'aspetto
specifico dell'intervento primaziale romano invocato dal Monaco
riformatore. Esso si colloca al di là delle norme puramente
canoniche; s'inserisce sul piano dell'azione pastorale, della preservazione della purezza della Fede, dell'impulso offerto alla vita
di santità. L'intervento del vescovo di Roma, nella mente del
Damiani, non deve semplicemente ristabilire un certo ordine
esterno, ma conculcatam et abjectam ... relevare justitiam 116.
Una « giustizia It che, molto probabilmente, coincide con la santità cristiana del clero. La restaurazione della disciplina ecclesiastica dovrebbe condurre, infatti, a un ritorno dell'« aureo
secolo apostolico ., cioè della « forma di vita apostolìca » che in
qualche modo imita la teneram lactantis Ecclesiae ... infantiam:
a un ritorno della « innocenza della Chiesa primitiva It 1111.
L'azione papale, perciò, postulata dal Damiani sembra assumere il significato di un impegno decisivo per un rinnovamento di tutta la vita cristiana. Essa è vista da lui dentro l'azione apostolica della Chiesa, cioè come forza decisiva nella realizzazione della salvezza deglì uomini: Et necesse est iam, ut
eadem i sedes romana] sit renovandae principium, quae nascentis humanae salutis extiterat [undamentum 118.
Alla luce di questo significato attribuito dal Damiani alla
disciplina è facile comprendere il titolo di «capo unico della
disciplina ecclesìastica » attribuito dalui alla Chiesa romana 117,
ma anche su che livello teologico e spirituale egli concepisca il
primato papale. Livello, che diviene ancora più nitido, se si
pensa che il Damiani è meno incline di Umberto da SìlvacanEp. cito C. 208; Ep. I, 2; cc. ~207.
Actus Mediolani; PL 145, 92. Si veda il detto alla N. 49.
lH Ep. I, 3; PL 144, 208.
116 Ep. I, 1; PL 144,205;
Opusc. XXIV, 4; PL 145, 485; Sermo de S. Luca;
PL 144, 800.
1l~ Bp, II, 19; PL 144, 288. Una controprova
si ha nelle irruenti qualifiche
di Cadalo dettate in una lettera a Enrico IV. L'Antipapa viene detto, tra l'altro:
c eversor
apostolicae discipJinae, inimicus salutis humanae, radix peccati, apostolus antichristi ... filius perditionis •.. _, Ep. VII, 3; c. 440. Retorica a parte,
appare comunque chiaro il piano su cui 51 colloca l'Avellanese.
111 Liber Gomorrhianus,
Praefatio: PL 145, 161.
U2
118
-
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
ss
dida 1111 e di Ildebrando a eliminare il potere laico dalle investiture, cercando con un impegno non privo d'illusione, per quegli anni, la collaborazione tra il sacerdotium e l'imperium 11...
L'intervento del potere primaziale, quindi, anche se appare
più di una volta essenzialmente disciplinare, è richiesto per un
rinnovamento spirituale. La tragica situazione del clero alto e
basso lo fece spesso assomigliare dal Damiani a un'azione di
guerra condotta della Chiesa romana. Questa, «munita dell'autorità di una speciale prerogativa, spezza con la spada evangelica la cervice di coloro che si oppongono alla verità, e organizza tutta la milizia cristiana, per combattere con estrema energia nella compattezza di una sola fede e di una sola carità» 120.
In questa milizia, inquadrata dalla Chiesa romana e lanciata nella lotta per il rinnovamento della vita cristiana e dell'azione di salvezza, Pier Damiani vede reclutati in prima linea
i Cardinali Vescovi. Vi vede anche se stesso: concertator et
ipse 13L.
Dentro il quadro di questa grande «battaglia della Sede
Apostolica It per la riforma, contesto storico immediato che la
stimola e la condiziona, si colloca la concezione damianea del
cardinalato romano.
II. Il cardinalato
Posizione e compiti dei Cardinali Vescovi
Degli scritti del Monaco avellanese concernenti direttamente
il cardinalato, nei quali si descrivono o, almeno, vengono accen-.
nate le funzioni e le prerogative dei Cardinali Vescovi, due appartengono agli anni immediatamente precedenti i decreti sinodali del 1059 e del 1060: la lettera ai Cardinali Vescovi del
novembre del 1057, e quella all'Arcivescovo di Ravenna Enrico
della fine del 1058; due sono posteriori agli stessi decreti: la
us Vd. a questo
proposito J. VAN WRHOVEN, Christianitas et Réforme GréVI (1959/61) 28-29; FLICHB, Réiorme 1, 299-302.
lUI SI veda la conclusione
della Disceptatio Synodalis; De Lite I, 93; la lettera a Enrico IV, già citata; Ep, VII, 3; la lettera ad Adelaide di Savoia;
Opusc. XV/Il, 3; PL 145, 416 SS.; La lettera al clero e al popolo di Faenza
(V-VI 1063), dove chiede di attendere il Re per la nomina del nuovo vescovo
e di pregare Il papa di non nominarne uno, ma di dichiarare la sede vacante.
Ep. V, lO; PL 144, 353.
no Actus Media/ani; PL 145, 89.
l~L Opusc.
XXX,' PL 145, 531.
gorienne: Studi Gregoriani
56
MARIO FOIS
prima lettera a Cadalo del marzo 1062 e il Contra Philargyriam,
scritto verso il 1068.
Questi scritti si riferiscono unicamente ai Cardinali Vescovi.
Non descrivono mai le funzioni specifiche o i diritti dei cardinali presbiteri, se si eccettuano gli accenni al decreto del 1059.
Anzi questi ultimi non sono mai qualificati come cardinali nell'indirizzo delle lettere inviate dal Damiani ai medesimi e quasi
mai nei riferimenti alle loro persone contenuti in altri scritti.
Lo stesso deve dirsi del potente e stimatissimo amico Ildebrando 12:1. Il fatto è certamente sintomatico. Ma da esso soltanto
non sembra possa dedursi con certezza un'inclinazione del Damìanì a considerare cardinali i soli sette Vescovi suburbicari e
a riservare, a questi l'azione di riforma. All'Arciprete della Basilica Lateranense, infatti, benchè non sia neppure cardinale presbitero, riconosce una delle funzioni riformatrici espletate dai
Cardinali Vescovi. Tuttavia sembra trattarsi di un caso personale 123.
I primi due scritti in questione rivelano, perciò, i compiti
dei Cardinali Vescovi e la coscienza che dei medesimi si era
fatta il Damiani subito dopo la sua nomina a cardinale vescovo
di Ostia e prima della promulgazione dei decreti sinodali accennati. Gli altri offrono una interpretazione dei particolari diritti acquisiti dai Cardinali Vescovi con gli stessi decreti sinodali.
Un'analisi attenta e precisa di questi scritti, almeno in opere
recenti, non è dato leggere. Qualche affermazione singola, che
si vedrà a suo luogo, piuttosto avulsa dal contesto e letta senza
tener conto della terminologia damianea è stata oggetto d'interlZ2 Si vedano:
la lettera indirizzata a Stefano, Card. presbitero di S. Cri sogono almeno dal 1060 (SÄGMOLLER, Cardinäle p. 30, N. 5), che è del 1063: Ep. II,
6; PL 144, C. 270; le lettere a Ildebrando dcI 1059 e del 1060: Ep, II, 9 e 8;
cc. 273 e 272 rispettivamente,
e gli Actus Mediolani, indirizzati al medesimo
arcidiacono; PL 145, 89; le lettere indirizzate a Desiderio di Montecassino, card.
presb. di S. Cecilia dal 6-111-1059,databili tra il 1060 e il 1061; Ep. II, 11-13;
PL 144, 144, 275, 278, 282 e gli altri scritti indirizzati al medesimo databili tra
il 1063 e il 1067: Opusc, XXXIII-XXXVI;
PL 145, 559, 571, 589, 595.
A queste testimonianze si può aggiungere l'espressione con la quale indica i
cardinali presbiteri e gli altri componenti del clero romano che intervengono
secondo il decreto del lO59 nell'elezione papale: c Clerus •. Ep. I, 20; PL 144, 243;
Discept, Synod.; De Lite I, p. 91. Il decreto del 1059 parla invece di c clericos
cardinales •. Vd. più avanti.
Il Card. Stefano è detto da lui una volta c cardinalìs jrresbyter » (Discept.
Syn., ed. cit. p, 87) e una volta «cardinalis.
(Op. XUIl; PL 145, 681). Sembrano questi gli unici casi.
U8 Opusc,
XVIII;
PL 145, 587 ss. Esalta, incoraggiandolo, la predicazione
dell'Arciprete Pietro contro il clero scostumato, che è una delle attività riformatrici dei Card. Vescovi. Vd. più avanti.
I CARDINALI
VESCOVI
SECONDO
PIER
DAMIANI
57
pretazioni diverse m. Non sfugge ai difetti di una lettura frammentaria dci testi, avulsa dal contesto storico dallo scopo dello
scritto e talvolta dal contesto immediato, l'interpretazione offertane recentemente dall'Alberigo nel suo libro già citato. La
quale, per di più, è stata orientata da una tesi da provare, quella
di scoprire in un sostenitore accanito del primato romano il
testimone della struttura collegiale della Romana Ecclesia, formata dal Papa e dal Collegio dei Cardinali uniti nella communio 1:M. Il pericolo di sollecitare i testi, se non addirittura di
distorcerli nel senso della tesi, appare immediatamente. Le tesi
fondamentali sul cardinalato attribuite al Damiani risentono del
metodo d'interpretazione suddetto e del pericolo non evitato.
Secondo l'Alberigo Pier Damiani avrebbe sostenuto, nei documenti indicati: 1) l'istituzione divina dei Cardinali, fondata su
alcuni testi veterotestamentari (1) e neotestamentari, in base ai
quali i Cardinali sarebbero presentati come i continuatori e
i rinnovatori del « Collegio di coloro che ascoltavano e assistevano Cristo It 126; 2) la partecipazione dei Cardinali al potere delle
Chiavi derivata direttamente da Cristo, venendo essi a costituire insieme al Papa « il soggetto del primato e dei privilegi
sanciti a favore della Chiesa Romana It 127; 3) il potere dei Cardinali di giudicare il Papa, sostenuto nella citata lettera indirizzata a Cadalo, riprendendo cosi la dottrina già affermata nel
« Frammento A It attribuito a Umberto da Silvacandida 128.
Le pagine che seguono, esponendo con oggettività scientifica
l'autentico pensiero damianeo, dimostreranno anche, senza ulteriori riprove, in quale misura le tre affermazioni attribuite al
Damiani siano fondate.
124 Vd. più
avanti, quando si parla del diritto dei Cardinali Vescovi di
pronunciare una censura sul vescovi.
126 AJ.BERIGO, Cardinalato
e Cottegiatittl pp. 3&-42.
'126 Op. cito p. 41, cioè del collegio degl! Apostoli. Un collegio degli Apostoli
ridotto a sette?
121 Op. cito pp. 39-40. L'Alberigo
afferma che il potere dei cardinali deriva
direttamente
da Cristo e non dal Papa. Sia al Papa sia ai cardinali le .. Claves
Ecclesiae.
son date direttamente
da Cristo. Per il papa cita la lettera del
Damiani a Vittore II (Ep. I, S; PL 144, 210). Ma per i Cardinali non cita - e non
può citare I - nessuna affermazione del Damianl.
'128 Op. cito p. 41 e pp. 22-23 per quanto
riguarda l'interpretazione
del Frammento A. L'interpretazione
di questo documento sarà discussa nel cap. II del
libro di prossima pubblicazione.
58
MARIO FOIS
1. I compiti dei Cardinali Vescovi prima del decreto sinodale
del 1059
Il quadro ecclesiologico
Questi vengono descritti dal documento più esteso e importante dettato dai c Gregoriani » sul cardinalato nel sec. XI, la
lettera indirizzata ai Cardinali Vescovi nell'autunno del 1057.
Scritta e inviata quando ormai da otto anni, cioè durante
il pontificato di Leone IX (1049-1054)e di Vittore II (1054-1057),
la Sede Apostolica si era impegnata a fondo e decisamente per
la riforma della Chiesa, e in funzione della medesima era andata
sviluppando, ma a livello di energiche proposizioni operative e
d'interventi reali, la coscienza e la teoria del primato papale, la
lettera riflette lucidamente questo nuovo dinamismo storico
della Chiesa Romana e la coscienza teorica che lo caratterizza.
Essenzialmente essa è un'esortazione diretta dal primo dei
Cardinali Vescovi agli altri membri del gruppo 129, ormai associati al governo universale della Chiesa e particolarmente al
programma voluto realizzare allora dai Papi, la riforma, perchè
essi s'impegnino a collaborare per la sua attuazione 180, contribuendo all'espletamento del compito fondamentale della Chiesa,
la salvezza degli uomini, in una situazione estremamente critica.
Egli, però, vuole offrire al suo appello una base teologicospirituale incentrata nel simbolismo della Basilica Lateranese,
di cui mette in risalto solo alcuni aspetti, cioè alcuni di quei
1.2'
La lettera può essere così schematizzata:
Esordio: il Damiani si presenta come una sentinella che grida, per tener all'erta gli altri commilitoni e se stesso. E'la ragione dello scritto.
I parte: Descrizione della grave situazione della società e dell'ordine ecclesiastìco, della vita morale e della vita cristiana. Unico centro di salvezza è
la Chiesa romana le cui prerogative sono messe in rilievo con il simbolo
della basilica lateranese e delle due basiliche degli Apostoli Pietro e Paolo.
Dentro la Chiesa romana, accennate simbolicamente con riferimenti scrìtturistìcì, 'Ie funzioni dei Cardinali Vescovi.
II parte: Spiegando il simbolismo scritturistico concernente l Cardinali, indica
concretamente le funzioni degli stessi: predicazione di riforma, vita perfetta
come modello per gli altri.
- Applicazione immediata: i mall e disordini del clero e in particolare
la simonia ab obsequio praticata dagli aspiranti all'episcopato.
- Potere ricevuto dai Cardinali Vescovi per riformare questi e altri mali
e modo di esercitarlo nella sede apostolìca, Compiti di riforma come vescovi, successori degli Apostoli.
Finale: - La condotta-modello dei Cardinali Vescovi come fondamento della
partecipazione del potere delle Chiavi.
100 Non tutti i Cardinali Vescovi sembravano
impegnati nella riforma. Giovanni di Velletri divenne antipapa e Ranieri di Palestrina lo segui nello scisma.
Vd. KLEWITZ, Die Entstehung ... pp. 34-34; 117.
I CARDINALI
VESCOVI SECONDO PIER
DAMIANI
59
mystica ... sacramenta con i quali essa è senza dubbio instituta
atque disposita 181. Ma anche la Basilica Lateranese non è che
un simbolo. Un simbolo, però, che assume, identificandosi con
essa, i connotati della realtà smbolizzata, la Romana Ecclesia.
Il Damiani descrive i mystica sacramenta della Basilica intendendo la Chiesa Romana o Sede Apostolica, perchè essa per la
sua dedicazione a Cristo e la sua posizione topografica rispetto
alle basiliche di S. Pietro e di S. Paolo, si presta a mettere in
risalto le prerogative primaziali della Chiésa Romana nel quadro
della propria visione ecclesiologica. Inoltre si presta a dare una
precisa collocazione alla funzione dei Cardinali Vescovi e, forse,
a indicare anche la loro posizione preminente rispetto ai cardinali presbiteri delle chiese dedicate ai due Apostoli; i quali
ultimi a loro volta godevano, molto probabilmente, di una certa
precedenza sugli altri cardinali presbiteri, che andrà ulteriormente affermandosi da Alessandro II in poi 181.
Effettivamente il teologo comincia a esporre il fondamento
dottrinale della sua esortazione, presentando la Romana Ecclesia come il « porto unico e singolare »della salvezza religiosa in
mezzo alla dissoluzione morale di tutte le categorie della società
cristiana, del clero come dei semplici fedeli, sotto tutti gli aspetti.
Descritta non senza retorica, ma con immagini di sicura efficacia,
questa grave situazione, viene considerata da lui come la realizzazione nei suoi giorni delle parole della 2 Tim. 3, 1-2, lette
col significato di un ti oracolo profetico ».
Senza dubbio l'Eremita avelIanese, chiamato suo malgrado
al Vescovado di Ostia, vedeva la Chiesa romana passata, ormai
sicuramente, ti dalle tenebre alla luce », dopo la tenue speranza
delineatasi con Gregorio VIlu e l'iniziale delusione subita da
lui nei primi tempi del pontificato di Clemente II 134. La vedeva,
insieme, ingaggiata in una battaglia religiosa tesa a ricostruire
la ecclesiastica disciplin« e a perseguire l'opera redentrice, la
pesca degli uomini da parte di Pietro 1S8.
z». I. t; PL 144, 253.
M. BOYB, Der nichtbischöfliche Clerus auf den Synoden Deutschlands und
Reichsitaliens von 922-1059: Zeitschrift der Sav. Stiftung f. Rechtsgeschichte.
Kan. Abt. 49 (1929) 2n-280; KLEWlTZ, op. cito pp. ~3
e fonti ivi citate.
'33 e». I, l; PL 144, lOS a.
lU Ep. 1,3; cc. 2071.
180 Per il senso da dare alla « ecclesiastica disciplina - vd. il già detto prece131
182
dentemente. L'opera della salvezza ~ chiaramente indicata con Questi termini:
inter tot Immane patentes perditionis humanae voragìnes, unicus et singularis portus Romana patet Ecclesia; et. ut ita fatear, pauperculì piscatoris est
parata sagcna, quae omnes a se sincere confugientes de proceIlarum ìnturnescentium fluctibus eripit, et In littore saJutiferae quletis exponit _. Ep. II. 1;
« ...
60
MARIO FOIS
Il motivo fondamentale, sul quale poggia questa vrsione
della Chiesa romana e della sua funzione, è la prerogativa primaziale della medesima. c La stessa chiesa (ipsa Ecclesia), per
questa ragione, è dotata di prerogative superiori a quelle delle
altre chiese di tutto l'orbe, e non c'è dubbio che essa è anche
strutturata e organizzata con realtà simboliche (mysticis ... sacramentis) lt 188.
Il Damiani espone, a questo punto, una sua concezione ecclesiale della Chiesa romana incentrata sul simbolo della Basilica Lateranese, dove però la realtà (Chiesa romana) si sovrappone continuamente al simbolo e le prerogative ecclesiali della
medesima ai titoli particolari della Basilica. La realtà ecclesiale
della Chiesa romana è vista quasi a due livelli: uno ecclesialevisibile; l'altro, più profondo, ecclesiale-invisibile, ma che viene
manifestato nella realtà storica dal precedente. Essi, quindi,
sono intimamente uniti. Dentro i limiti della realtà ecclesiale
visibile il Damiani cerca di dare un significato alla dignità e
alla funzione dei Cardinali Vescovi.
Per comprendere con maggior esattezza nella sua profondità
l'idea ecclesiologica damianea sulla Chiesa romana, bisogna tener conto del concetto di Ecclesiae Sacramentum esposto nella
prima parte di questo articolo, perchè esso appare ripetuto ai
due livelli accennati della realtà ecclesiale.
Il livello visibile è descritto, come si è già indicato, ìdentificando Basilica Lateranese e « Chiesa Romana It. La Basilica è
dedicata al Salvatore, « al Capo cioè di tutti gli eletti It; allo
stesso modo essa mater, et quidam apex, et vertex est omnium
per orbem Ecclesiarum : diviene culmen ac summitas totius
Christianae Religionis e, per così dire, Ecclesia ... Ecclesiarum,
et sancta sanctorum 131.
Definito in questi termini l'aspetto statico del primato della
Chiesa romana impersonata dalla Basilica Lateranese, passa a
descrivere quello che può definirsi dinamico. Dando un particolare significato ecclesiologico alla posizione topografica della
stessa Basilica, mette in rilievo la superiorità di questa sulle
due basiliche dedicate rispettivamente agli apostoli Pietro e
Paolo. La prima è preminente come il « capo rispetto alle mem. c. 255. Vd. anche più avanti c. 256 A-B. La stessa visione della Chiesa romana
o Sede Apostolica come porto sicuro è riproposta in una lettera di raccomandazione per il Vescovo di Orleans indirizzata ad Alessandro II nel 1064, dove
si connota però il potere di difesa dei vescovi contro gli avversari, posseduto
dalla Chiesa romana «per divini muneris privileglum >. Ep, I, H; c. 213.
100 Ep. II, 1; c. 255 C.
~3T Ep. eit. cc. 255-256.
I CARDINALI
VESCOVI SECONDO PIER
DAMIANI
61
bra It, che sono le altre due; ma allo stesso tempo la chiesacapo unisce le altre due intimamente a sè proprio in forza della
« compagine del suo mistero It, cioè della sua realtà ecclesiale 188.
Non ci vuoI molto a comprendere che Pier Damiani qui indica
l'unità o communio ecclesiale della Chiesa romana, rappresentata dalla Basilica Lateranese, con tutte le altre chiese cristiane,
rappresentate dalle due basiliche dei Principi degli Apostoli.
Se su ciò sussistesse ancora qualche dubbio, questo verrebbe
eliminato dalle parole che seguono immediatamente. Con esse
il Vescovo di Ostia, precisando più chiaramente il suo pensiero
ecclesiologico, sempre attraverso la continua sovrapposizione
della realtà (Chiesa romana) al simbolo, offre alla Chiesa-Madre
e Chiesa-Capo lateranese, le cui braccia sono costituite dalle
basiliche di S. Pietro e di S. Paolo, una dimensione planetaria.
La Chiesa lateranese diviene la « Chiesa universale It che abbraccia tutto l'orbe, per custodire e condurre a salvezza quanti lo
desiderano. His itaque tanquam expensis divinae misericordiae
brachiis, summa illa et universalis Ecclesia omnem ambitum
totius orbis amplectitur. Omnes qui salvari appetunt, in maternae pietatis gremio conjovet et tuetur 18e.
Non si poteva esprimere con maggior concisione e sicurezza
la preminenza della Chiesa romana come centro dell'unità ecclesiale e nel suo aspetto dinamico dell'impegno per la salvezza
di tutti gli uomini. Questo stesso aspetto dinamico della realtà
ecclesiale, presentata a livello di realtà storica visibile, il Damiani lo fa subito apparire nelsuo livello più profondo e invìsibile. Emerge cosi la figura di Cristo « pontefice massimo It, il
quale assiso sull'arce lateranese unisce tutta la sua Chiesa « nell'unità del mistero It della medesima; più intimamente, quindi,
di quanto unisce la struttura visibile della stessa realtà, la compago sacramenti, articolata ecclesialmente intorno alla ChiesaCapo di Roma.
Hac Jesus, summus videlicet pontifex, [summae et universalis Ecclesiae] arce submissus, totam in orbe terrarum EccIesiam suam in sacramenti unitate confoederat, ut unus sacerdos, una merito credatur Ecclesia l~.
188 c Habet [Later. eecl.I autern altrinsecus
beatorum apostolorum Petri et
Pauli diversis quìdem locìs constitutas Ecclesias, sed sui cornpage sacramenti,
quia videlicet in quodam meditullio posita, quasi caput membris supereminet,
indifferenter unitas.,. - c. 256A.
139 C. 256A-B.
1441 C. 256B. SI notino le due parole usate: per il livello visibile c cornpago it
e per Quello Invisibile c unltas e che sembrano proprio significare i due diversi
livelli della medesima realtà ecclesiale.
I
I
I
I
I
62
MARIO FOIS
Con quest'ultima affermazione il pensiero ecclesiologico del
Damiani sulla Chiesa romana si completa e si chiude in tutti
i suoi aspetti: storici, ecclesiali visibili e mistici. Il disegno,
benchè tracciato a grandi linee, è semplicemente grandioso.
Cristo stesso, Sommo Pontefice e Unico Sacerdote dell'unica
Chiesa ha fissato la sua invisibile presenza nella Chiesa romana
e opera in essa e da essa l'unità perfetta di tutta la Chiesa nella
realtà profonda del suo sacramentum o mistero. Ciò non vuoI
significare l'eliminazione del Papa, sommo pontefice visibile.
Questa presenza di Cristo, suggerita dalla dedica della basilica
lateranese, difficilmente può interpretarsi, identificando misticamente la persona di Cristo con quella del suo Vicario, perchè
una tale identificazione sembra estranea al Damiani che vede
neIPapa, piuttosto, Pietro. Tuttavia l'apostolicus, identificato sul
piano dei poteri primaziali, secondo quanto si è visto precedentemente, con la ti Sede Apostolica » e la ti Chiesa Romana ., non
è sostituito da Cristo. L'unità ecclesiale, infatti, storicamente
e visibilmente, si esprime e si realizza con l'unione delle diverse
chiese-membra o chiese-figlie con l'unica chiesa-capo o chiesamadre. Quest'ultima è divenuta ti l'unico ... porto di salvezza •.
La Chiesa romana o Sede Apostolica, fondata sulla pietra di
Pietro, è il centro, oltre che dell'unità, anche dell'opera redentrice e, quindi, al tempo del Damiani, dell'azione contro le ti forze
di tutte le perversioni, riemerse con violenza mortale e quasi scatenate in un assalto •. Hl. Questa visione storica della riforma,
già vista precedentemente, apparirà di nuovo nella descrizione
dei compiti dei Cardinali Vescovi. Dentro il quadro ecclesiologico descritto, infatti, Pier Damiani cerca di stabilire la posizione e i compiti dei Cardinali Vescovi. Se questa posizione e
questi compiti appartengano alle strutture ecclesiali o semplicemente a quelle ecclesiastiche, lo dirà l'analisi dei testi.
La posizione e i compiti dei Cardinali Vescovi
Strutturalmente, nel quadro delle istituzioni romane, egli
attribuisce ad essi il secondo posto dopo il Papa. Questo è visibile nella loro appartenenza alla Basilica Lateranese, la quale
ti situata
in un certo punto centrale, emerge quasi come capo
sulle membra », cioè al di sopra delle basiliche di S. Pietro e
La stessa espressione l'aveva usata nel Liber Gratissimus (cap. 11), riferendosi a Rb 9,24: c Unus est enim sacerdos magnus, un us pontifex summus ... _.
De Lite I, 20.
Hl c Iandudum
plane virtutum studiis repudium dedimus, omniumque perversitatum pestes, velut Irnpetu facto feraliter emerserunt -, c. 255A.
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
63
di S. Paolo m, e in modo particolare nell'esclusivo privilegio
di celebrare « misteri del culto dìvino s all'altare della confessione, post Apostolicum u". A parte questo privilegio liturgico
tradizionale, interpretabile come espressione della dignità dei
Cardinali Vescovi superiore a quella degli altri membri del clero
romano, ma non come autorità giurisdizionale, le altre espressioni descrivono i compiti affidati a questi sette Cardinali, secondo la coscienza deI Damiani. Unicamente.
Per questa descrizione, egli adduce tre testi scritturistici,
applicandoli però non solo ai Cardinali Vescovi, ma anche alla
Chiesa stessa. Sono tre visioni: due del libro del profeta Zaccaria (3,9; 4,2) e una dell'Apocalisse (1,20). Di queste, soltanto
quella apocalittica è già precisata dallo stesso Autore Sacro nel
suo significato reale e storico. Si potrà discutere sulla scelta
del primo testo, la pietra con i sette occhi, che non offre nessun appiglio ecclesiologico. Ma la libertà dell'esegesi allegorica
o spiritualista è tanta, che una pietra preziosa collocata sulla
veste (o sulla fronte) del sommo sacerdote ebraico Giosuè (in
visione I) può estendersi fino a diventare la pietra-fondamento
della Chiesa (Mt. 16, 18); i sette occhi scolpiti in essa, simbolo
dell'onniveggenza di Dio (Zacc. 4,10), possono indicare sìmultaneamente i sette doni dello Spirito Santo concessi alla Chiesa
e i sette Cardinali Vescovi e un loro compito particolare. La
Chiesa, inoltre, è simbolizzata dal candelabro d'oro munito di
sette lampade (Zacc. 4,2) nel suo ufficio di illuminare gli uomini.
I sette Cardinali Vescovi sono rappresentati dalle sette stelle,
e anche dai sette Angeli delle sette Chiese, già simbolizzati, questi ultimi, nello stesso testo scritturistico dalle sette stelle 1".
ì
Vd. il testo originale alla N. 158.
«Haec [Later ecci.] septern cardinales
habet epìscopos, quibus solìs
post apostoli.cum,
sacrosanctum
iIIud altare licet accedere, ac divini cultus
mysteria celebrare .• c. 255 c.
1.. Immediatamente
dopo le parole citate aIJa nota precedente
aggiunge:
c In quo nlrnlrurn fIIud Zachariae contlnetur evidenter oraculum: • Ecce, inquit,
lapis, quem dedi coram Iesu : super lapidem unum septem sunt oculi [Zach.
3,9]'. Lapis autern iste fila procul dubio petra est, de qua verus Iesus Petro
poIlicetur dicens: super hane petram aedificabo Ecc1esiarn meam [Mt. 16,18] '.
Septem igitur oculos habet haec petra, quia totidem sancti Spiritus
donis
sancta praefulget Ecclesia, quibus nimirum velut candelabrum
aureum inestinauibiliter rutilans, llrnorantiae tenebras effugat, et ad contemplandum
iustitiae
solem homlnum
mentes illustrat. De QUo 'dem propheta:
• Vidi, ait, et ecce
candelabrum
aureurn totum, et lampas eius super caput ìpsìus, et septem Iucemae eius super illud [Zach. 4,2] ', Ouod utique sacramentum
et B. Ioannes
In Apocalypsi se didicìsse non tacult, cui dictum est: • Mysterium septem stellarum, quas vldisti In dextera mea, et septern candelabra aurea; septern stellae
angeli sunt septem Ecclesiarum;
et candelabra
septem, septem Ecclesiae sunt
[Ap. 1,20]'.:
cc. 255 C - 256 A..
lf~
148
MARIO FOIS
64
Nell'applicazione ai Cardinali Vescovi vengono tralasciati però
sia i sette candelabri dell'Apocalisse che le sette lampade suddette della seconda visione di Zaccaria. Ciò vuoI dire che almeno
in questa lettera tralascia d'interpretarne, in rapporto ai Cardinali, i « misteri It delle loro « figure It 1+11.
Potrà apparire oscuro, a prima vista, il senso inteso dal
Damiani con la citazione dei testi scritturistici e con la loro
applicazione al gruppo dei Cardinali Vescovi. Un significato
appare escluso, quello di una prova e dell'origine dei Cardinali
Vescovi e della loro appartenenza, come parte costitutiva, alla
Chiesa romana, in quanto soggetto dei poteri primaziali. Questo significato viene escluso dallo stesso Damiani, proprio nell'applicazione dei testi ai Cardinali. Iniziando, infatti, la parte
più specificamente esortatoria della sua lettera, scrive:
Nos itaque, fratres mei, ut et me vobis audenter interferam: nos,
inquam, qui tanquam septem sumus oculi super lapidem unum, qui stellarum portamus imaginem, qui angelorum tenemus per annunciationis
officim dignitatem, videamus, splendeamus et verba vitae populis non
solum vocibus, sed et moribus nuntiemus Ha.
L'ultima parte della raccomandazione, probabilmente perchè rispondente meglio alla vocazione del riformatore, viene
sviluppata. L'accento è collocato sulla coerenza tra vita e predicazione, soprattutto presso il c palazzo lateranese It dove si
confluisce da tutta la Chiesa e dove perciò deve regnare la
recta semper vivendi forma e la districta ... assidue sub honestis
moribus disciplina, perchè essi, i Cardinali, siano i modelli
autentici della medesima e non modelli di vizi, che nei c vescovi assumono la virulenza più funesta 141.
Alla luce della spiegazione fornita dall'Autore stesso è
facile cogliere con precisione il significato attribuito nel contesto alle immagini scritturistiche e il pensiero del medesimo sulla
posizione e i compiti dei Cardinali Vescovi. Anzitutto i testi non
sono addotti per provare l'origine divina dell'istituzione cardinalizia, cioè del gruppo dei sette Cardinali Vescovi, e neppure
per dare ad essa una base scritturistica. Molto meno per illustrare la loro inserzione nella struttura essenziale della Chiesa
li)
1.~ Vd, più avanti. Non tutti i particolari di un testo scritturistico vengono
sfruttati, ma solo quelli che possono illustrare la realtà concreta. Nel caso, le
funzioni o i compiti dei Cardinali Vescovi.
:146 Ep, cito c. 256C.
1.41 C. 256D. «Sacerdotes It qui è da intendersi per «Vescovi It, sia perehe
tutto il contesto si riferisce ai sette Cardinali Vescovi, sia perchè questi « sacerdoti s sono equiparati "I «dux itineris It, che è più facilmente riferibile alla
fìgura del Vescovo che a quella del presbitero.
I CARDINALI
VESCOVI SECONDO PIER
DAMIANI
6S
romana, caput omnium ecclesiarum o della chiesa lateranese
summa et universalis ecclesia. Il Damiani sembra escludere
chiaramente questo senso dai testi nella lettera a Cadalo, che
si vedrà più avanti. Un'esclusione che viene confermata dalla
stessa esegesi allegorica o spiritualista, frequentissima nel Damiani, usata per imprimere una particolare forza alla propria
argomentazione; per mettere in risalto il senso spirituale, religioso, morale, provvidenziale (approvazione o riprovazione divina) di fatti, di compiti o doveri di persone ricoprenti una carica,
una responsabilità; e inoltre per illustrare il significato morale
o religioso di una istituzione ecclesiastica, ma non per dimostrarne la natura 148.
Il Monaco riformatore, creato Vescovo di Ostia, intende
semplicemente inculcare il dovere di riforma incombente alla
Chiesa romana, al cui adempimento i Cardinali Vescovi sono
stati chiamati a collaborare. In modo particolare egli sembra
.specificare tre compiti nella sua lettera-programma: la vigilanza,
l'esortazione accompagnata dalla testimonianza della vita,
l'azione disciplinare.
All'impegno della vigilanza sembra appunto riferirsi l'immagine presa dal profeta Zaccaria: c sette occhi sull'unica pietra It (3,9).
Gli
«
occhi
It
del Papa
Per due volte Pier Damiani cita questo testo di Zaccaria,
riferendolo ai Cardinali Vescovi: in questa lettera e in quella
indirizzata a Cadalo, che si vedrà più avanti. Ma la sua intenzione non è quella di indicare in esso una profezia realizzatasi
nell'istituzione dei sette Cardinali Vescovi 148, Questo non può
l" Non si possono fare citazioni. Tutti ali scritti del Darnianì sono infarciti
di continue citazioni bibliche Interpretate allegorìcamente o spiritualisticamente.
Un esempio sono le lettere a Cadalo, nelle Quali pit! di una volta i fatti, le
azioni e i propositi dell'antipapa
sono presentati come realizzazione di passi
scritturali, profetici o meno, del Vecchio Testamento. Per questa esegesi allegorica si può vedere l'opera deI DB LUBAe. Exég~se Médiévale. Les quatres
senses de I'l!criture, vol. II, 1 e II. 2. Paris 1961-1964.
!fII Le parole
riferite al sette Cardinali Vescovi, che dopo il papa godono
del privìlegìo esclusivo di celebrare all'altare della Basilica Lateranense:
• In
quo nimirum ilIud Zacharlae continetur evidenter oraculum ... » non significano
la realizzazione delle parole del Profeta. Quasi che l'istituzione dei sette Cardinali Vescovi fosse prevista e annunziata profcticarnente, voluta da Dio. A Cadalo,
oltre qua tiro anni più tardi. scriverà: • Sed audi Quid tibi per eundem prophetam divina vox dicat .... e cita Is, 37.29. dopo aver citato il v. 29. Evidentemente il Damianl conosceva bene tutto II capitolo e sapeva che le parole erano
riferite al re assiro Sennacherib, Egli le applica a Cadalo, sicuro che esse si
5
66
MARIO FOIS
dedursi da nessuna parola del testo. Neppure è addotto come
il fondamento scritturale dei rapporti sussistenti tra gli stessi
Cardinali e il Papa, che in termini attuali, cioè presi a prestito
dal Concilio Vaticano Ir, si articolerebbero in una collegialità
basata sulla communio, completamente estranea al pensiero del
Damiani in questo caso e anche contraria alla concezione papale
del medesimo 160. Quanto egli sia lontano dal considerare questo
testo nel senso voluto intendere dall'Alberigo, lo dimostra inoltre l'applicazione del medesimo, nello stesso contesto, a indi.care i sette doni dello Spirito Santo, e, in un altro opuscolo
posteriore alle due lettere citate, a illustrare un fatto storico
del Vecchio Testamento (lud. 8,30-31; 9,1-5), che, a sua volta,
diveniva l'immagine biblica di quanto, secondo il Damiani, perpetrava il clero lussurioso ai danni dei Vescovi cattolici e
santi 151.
Senza dubbio il testo biblico, con le sue immagini della
pietra e degli occhi applicate rispettivamente alla Chiesa universale e ai sette Cardinali, offre al compito di questi ultimi,
visto sotto la figura degli occhi, una dimensione universale che
non contiene il tradizionale privilegio liturgico dei medesimi
visto sopra. Ma questo ufficio dei Cardinali Vescovi non è la
partecipazione alla giurisdizione universale. Non è una immagine di potere, ma di funzione o di servizio. Essa è facilmente
precisabile nella stessa lettera. Il Damiani invita i suoi colleghi
a vedere come occhi, videamus. L'invito risponde esattamente
a quanto dice degli stessi all'inizio della lettera con il lessico
militare a lui caro: i Cardinali Vescovi sono le sentinelle collocate davanti agli accampamenti della milizia ecclesiastica:
strenue vigilantes m. Risponde anche al significato dato all'Imrealizzeranno come si realizzarono nel Re che voleva conquistare Gerusalemme.
Questo modo di esprimersi è continuo nel Damiani.
HO ALBERIGO,
o. c. pp. 39-40.
161 Opusc. XVIII,
l, cap. 2; PL 145, 389-390.Si tratta della strage compiuta
da Abimelech, figlio della concubina di Gedeone, il quale uccise i 70 fratellastri,
figli delle mogli legittime del padre, per poter governare da solo. Abimelech
diviene simbolo del clero lussurioso, i settanta fratelli sono i vescovi predica.
torl, che vengono uccisi da Abimelech con le teorie e la condotta nicolaitiche,
che distorcono la dottrina dei Padri e ne svuotano le sanzioni. Questi settanta
fratelli legittimi sono simbolizzati dai sette occhi della visione di Zaccaria.
« Quid sunt autem septem oculi super Iapìdem unum, salvo tarnen, si est, altìorì
mysterìo, nisi iIIi septuaginta viri, hoc est doctores sancti in ecclesiasticae pacis
unitate coniuncti, septìformis sancti Spiritus charismatibus illustrati? Per hos
enim oculos sancta videt Ecclesia, per hos conspicit ubi recti operis pedem
ponat .... , c. 390.
'152 Ep. II, 1; c. 253s. Anche la seconda applicazione
vista sopra indica un
compito assolto dai dottori della chiesa, che ilIuminano la strada da percorrere.
Vd. il, testo citato alla nota precedente.
I CARDINALI
VESCOVI
SECONDO PIER
DAMIANI
67
magi ne degli occhi dal medesimo Autore Sacro nel contesto della
visione citata dal Damiani: « Sette sono gli occhi di Jahve; essi
vanno perlustrando tutta la terra It (Zacc. 4, 10).
Due anni più tardi, in una lettera dell'estate del 1059 diretta
a Niccolò II, il concetto dei Cardìnali-e occhi It sembra precisarsi più nettamente. Chiede al Papa, infatti, per risolvere il
caso della scomunica degli Anconitani, di volersi consigliare con
Ildebrando sanctissimi ac purissimi consilii viro e con Umberto
da Silvacandida e Bonifacio di Albano, qui vestri videlicet acutissimi et perspicaces sunt oculi 1'11l1. Nel 1063 sarà Alessandro II
a chiamare lo stesso Pier Damiani noster oculus lU.
Il compito dei cardinali Vescovi definito con la metafora
degli occhi appare adesso sufficientemente chiaro: vigilare in
difesa della Chiesa; scoprire le eresie e gli altri gravi mali, che
richiedevano un intervento papale e inoltre rilevare eventuali
difetti del modo di procedere dello stesso Papa. Complemento
necessario di questo compito era quello di illuminare il Papa
prima che questi prendesse una decisione.
.
I due compiti sono confermati da altri scritti del Vescovo
di Ostia, dove egli più di una volta descrive i disordini morali
e gli errori dottrinali del clero e dei fedeli, e consiglia o chiede
pressantemente un intervento del potere dottrinale e dìsciplinare del Papa lila. Oppure rileva abusi e deviazioni della stessa
Curia papale, chiedendone l'eliminazione lile.
Da queste funzioni attribuite ai Cardinali Vescovi e dal
modo di espletarle non può dedursi una loro partecipazione al
potere delle Chiavi. Il ripetuto appello del Damiani al potere
papale, esclude che egli lo abbia pensato. Eppure la frase finale
,m
s».
I. 7; PL 144, 211.
« '" qui noster est oculus et apostollcae sedis Immobile firmamentum lO,
PL 145, 857. Deusdedit nel brevlculus del II· libro della sua collezione canonica
scrive: c Quod diaconi sunt oculi pontificis lO. Sembra indicare soltanto la funzione di testimoni In cause giudiziarie del Vescovo, V. W. GUNVBLL, Die Kanonessamlung des Kardinals Deusdedit I, Paderborn 1905, pp. 16, 200: cap. XXIV
(XVI).
Il primo, forse, che usa I'Immagine dell'occhio applicata al Vescovo è Origene: « tu qui ecclesiae praesìdes, oculus es... Pastor es, vides oviculas
Domini
lO. In Llb, Iesu Nave, 7,6; GCS, 30, 333. Nel De dignitate sacerdotali, VI,
attribuito ad Ambrogio, viene svolto il concetto del vescovo occhio della Chiesa,
rna in base a Mt. 6,22, In un senso di santità di vita, PL 17, 578.
U50pusc. XVII, 4; PL 145, 3~388 sul celibato: Opus". XXIV; cc. 479ss.
sul peculio del canonici; Ep. I, 13; PL 144, 219 ss. sulla simonia; Ep, I,
15; c. 234 s. «Meum itaque fuit saeris auribus haec utcumque suggerere; tuum
est, prout facultas attulcrit, coercere lO, c. 235 A.
~ll<I Ep, I, 12; PL 144, 214·218manifesta
due difetti c che sono assolutamente
da correggere lO, cioè l'uso troppo frequente dell'anatema nelle decretali e la
tendenza a proibire il ricorso a Roma contro il vescovo diocesano. Vd. più sotto.
154
68
MARIO FOIS
della lettera del 10S7 ai Cardinali Vescovi sembra indicare questa partecipazione dei sette Cardinali al potere primaziale.
Partecipi del potere della Chiavi?
Sic sic videlicet cum Petro claves Ecclesiae, merito facti participes,
obtinemus: dum nosmetipsos certam vivendi formam atque signaculum
caeteris fidelibus exhibemus 161.
Lette staccate dal loro contesto, dal ragionamento precedente di cui sono conclusione, le parole damianee sembrano
proprio affermare la partecipazione dei Cardinali Vescovi al
potere delle Chiavi, legata per di più al merito di una condottamodello per i fedeli. Ma lette nel loro contesto esse assumono
il senso preciso inteso dall'Autore, il quale dichiara con precisione giuridica il modo con cui arrivano alla partecipazione,
che non è quella voluta intendere recentemente 168.
L'espressione riportata, infatti, chiude l'esortazione finale
della lettera. Prima di questa si legge una descrizione dei disordini e delle carenze riscontrabili negli aspiranti all'episcopato,
che si opponevano alle esigenze della missione e alle virtù episcopali postulate dalla r Lettera a Timoteo (1 Tm. 3,1-2). In
modo particolare iI Damiani mette in risalto le attività secolaresche alle quali chierici ambiziosi si abbandonavano per quella
specie di simania del munus ab osequio, cioè per il servizio
che si sono impegnati a prestare presso coloro dai quali attendevano la propria dignità episcopale. Servizio che non veniva
considerato da loro simonia, ma che il Vescovo di Ostia dimostra tale "",
A questo punto egli inizia l'esortazione finale, ricordando
ai suoi colleghi i poteri e i doveri di correzione dei disordini
loro attribuiti come Cardinali Vescovi e probabilmente anche
come Vescovi nella propria diocesi. Per raggiungere questo scopo egli postula una vita ecclesiastica che sia un modello per
gli altri. Le sue raccomandazioni si aprono con le parole che
spiegano la natura dei poteri riformatori in mano ai Cardinali
Vescovi.
Vos autern, dilectisimi, quibus haec et alia prava datum est ex apestolicae Sedis auctoritate corrigere, vosmetipsos caeteris non modo fide>
Ubus, sed et sacerdotibus quandam vivendi regulam exhibete 100.
l; c. 259 B.c.
op. cìt, pp. 39-40.
1~9 Ep, II, l; cc. 256D-258B. Su questa forma di simonia ritorna nell'Opusc.
XXII, 2 (PL 145, 465-4(7), posteriore al 1059.
aeo Ep. cito C. 258 B.c.
'167
Bp. II,
168 ALBERIGO,
if
l
I CARDINALI
VESCOVI SECONDO PIER
69
DAMIANI
I sette Cardinali Vescovi avevano, dunque, poteri di porre
rimedio ai disordini morali e, a quanto pare, anche agli errori
dottrinali, non esclusa la simonia degli aspiranti all'episcopato
e, talvolta, degli stessi Vescovi. Ma erano poteri delegati dal
Papa. Purtroppo le parole usate dal mittente non lasciano trasparire, se si trattava di una delega permanente o abituale, almeno dentro la città di Roma, oppure della delega concessa
per le legazioni e, anche a Roma, per singole questioni. Una
espressione dell'Opuscolo XVII, dettato nei primi mesi del 1059,
permette di pensare che si trattasse di delega per singole questioni 161.
Proseguendo nell'esortazione finale, il Vescovo Ostiense indica alcuni punti concreti di riforma nella condotta del clero
e invita i Cardinali Vescovi, proprio in quanto Vescovi, quindi
successori degli Apostoli, a farsi maestri dei presbiteri, i quali
a loro volta rappresentano « l'Ordine dei Settanta discepoli» "".
HI1 c Nuper habens cum nonnullis
episcopis ex vestra maiestatis auctoritate
colloquium, sanctis eorum femoribus volui seras apponere, tentavi genitalibus
sacerdotum, ut ita loquar, continentiae fibulas adhibere » Opusc. XVII, Praef.;
PL 145, 379. Ma è proprio al termine di questa lettera che il Damiani esorta
il Papa ad agire con energia contro il nicolaismo cc. 380-388.
162 c .., dilectissimi,
non modo saceräotes, sed et saceräotum vas decet esse
magistros ... lO EI1. II, l, c. 259A. L'Alberigo interpreta in questi termini l'espressione: c superiori dunque ai vescovi, debbono essere esemplari per tutta la
Chiesa.
(op. cito p. 39); interpretazione,
che suppone la partecipazione
dei
Cardinali Vescovi al potere primaziale. Tenendo conto unicamente del lessico
damianeo, prescindendo cioè dal contesto immediato, il termine c sacerdos •
può essere benissimo tradotto con c vescovo •. Quindi la frase pub essere resa,
più esattamente, cosl: c non solo vescovi, ma anche maestri di vescovi •. Ciò
però non comporta, assolutamente,
una superiorità
gerarchica, essendo suffìciente un incarico della Sede Apostolica, come appare dalla lettera citata alla
nota precedente e come si può dedurre anche dal c decet s, che non indica un
invito a esercitare un potere in mano dei Cardinali Vescovi. La ragìone per
cui c sacerdos s pub essere, ma non dev'essere sempre tradotto con c vescovo •
è l'uso fattone dal Damiani. Egli usa questo termìne sia al singolare che al
plurale, quando vuole connotare in modo speciale la dignità sacramentale,
Quindi i poteri tipicamente ministeriali oppure il c sacerdotium » in quanto
distinto dal potere civile, senza specificare il grado gerarchico. Perciò con esso
indica talvolta il Papa (Liber Gratissimus, XXXVIII; De Lite I, 71; Disceptatio
Synodalis: ib. 80; 81); più spesso indica c vescovo. in tutti i gradi gerarchici,
patriarca,
metropolita,
suffraganeo (Opusc. XXXVIII,
1; PL 145, 634; Liber
Gratissimus,
IV; De Lite I. 21-22; e». I, 21: PL 144, 259); talvolta nello stesso
capitolo il termine è usato per indicare sia i vescovi che
presbiteri (Liber
Gratissimus, XII; De Lite I, 33-34 e nell'Ep. II, 1; PL 144, 258-259). Conseguentemente non si può affermare, come fa il Michel (Papstwahl und Kiinigsrecht,
München 1936, p. 80, N. 5), seguito poi dal Dressier (Petrus Damiani, Leben
und Werke, Roma 1954, p. 117, N. 167) che in Pier Damiani c Sacerdotes s significa sempre vescovi.
Quando invece il Damiani vuole specìfìcare il grado gerarchico dei sacerdoti, usa i termini precisi: c presbyter .., c episcopus », o c pontifex .., c patrìarca », «papa..
Per es. Llber Gratissimus,
XVIII; De Lite 41; Vita Beati
ì
70
MARIO 1'01S
Anche questa esortazione, e insieme Ja distinzione tra i due ordini del clero, viene illustrata con testi scritturali, particolarmente con la tradizionale interpretazione allegorica delle 12 fonti e delle 70 palme di Helim (Ex, 15,27: Num. 33,9) 163. Il magistero morale postulato dal Damiani ai Cardinali Vescovi deve
presentarsi soprattutto con una condotta di vita ecclesiastica
ineccepibile: una vivendi forma per gli altri, un signaculum, un
sigillo o stampo diamantino che imprima negli altri l'autentica
figura del sacerdote. Soltanto a prezzo di questa coerenza di
vita essi ottengono, meritatamente, di essere fatti partecipi del
potere delle Chiavi: «Solo cos}, infatti, noi otteniamo insieme
al Papa (cum Petro) le Chiavi della Chiesa, fattine giustamente
compartecipi: fintantochè ci presentiamo come norma sicura
e sigillo di vita » 184.
XLVI (ed. G. TABAcco), Roma 1957, p. B8; Ep. III, 4; c. 291; Opusc,
XVIII, l; PL 145, 3B7; Opusc. XLV, 6; c. 700; Opusc. XXVI, 1-2; c. 500s.).
La conseguenza di tutto questo è che bisogna tener' conto del contesto immediato, per precisare negli scritti damianei quando « sacerdos • o « sacerdotes •
indica vescovo o indica presbitero. Nel testo dcll'Ep. Il, l il significato è precisato bene dalla distinzione espressa in questi termini: «Sicut enim episcopi
duodecim apostolorum noscuntur obtinere primatum; ita et sacerdotes ecclesiae
septuaginta discipulorum ordinem repraesentant s, c, 25B D. E' chiaro, quindi,
di chi parla, quando dice ai Cardinali Vescovi di mostrarsi «regola di vita »
c non modo fidelibus, sed et sacerdotibus », c. 25B C; e quando, dopo aver chiarito i compiti dei vescovi verso i presbiteri con immagini bibliche (vd. testo
alla N. seguente), conclude «non modo sacerdotes, sed et sacerdotum
vos
decet esse magistros •.
'168 c Quod profecto
mansio ilIa Israelitici populi in Helim figurate designat.
Ibi nimirum duodecim profIuebant apostolici fontes, qui divini verbi imbribus
arentia horninurn corda perfunderent;
ibi septuaginta virebant palmae, totidem
videlicet discipulì, qui mundo diabolicae tyrannidis servitute depresso, vlctorìae
Christi palmas inferrent. IlIi siquidem fontes palmarurn
arbores irrigant, quia
sacri pontifices verbis affluunt, unde caeteri sacerdotes Ecclesiae in spem caelestium praemiorum sine cessatione virescunt. Qui nimirum decuplato septenario
numero hoc signlfìcare videntur, ut per septiformis gratiae spiritum legis decaIogus impleatur ", cc. 2SB 0-259 A.
La stessa distinzione accompagnata dall'esegesi allegorìca degli stessi testi
biblici si legge nell'Opusc. XVIII, 1; PL 145, 389, dove al posto di c discepoli"
usa l'espressione: «inferioris gradus ... sacerdotes s simbolizzati dalle 70 palrne,
La tradizione dell'esegesi allegorica delle fonti e delle palrne di Helim inizia
da Origene (In Num. homel. 27, 11; GCS 30, 271). Essa è ripresa da Ambrogio
(De XLII mansionibus
filiorum Israel, VI· Mansio; PL 17, 18; Sermo XX, 7;
c. 643) e Da Gerolamo (Ad Fabiolam; CSEL 55, 58).
Il rapporto tra vescovi e presbiteri espresso con l'esegesi allegorìca era
già stato espresso, senza di questa, verso il 1045 in una lettera a un vescovo.
e». IV, 2: PL 144, 290.
~'"4 Ep.
II, 1; c. 259 B-C. II c signaculum.
è usato anche come carattere
sacramentale Ep. VI, 22; PL 144,405; Sermo LXVIII; c. B94. E anche, come il sigillo o marchio militare; Opusc, XVIII, 2, 6; PL 145,409. Quest'ultimo è il concetto più vicino a quello usato nella lettera in questione, per dire che la condotta
ecclesiastica ìrreprensìbile dei Cardinali Vescovi deve venir impressa negli altri
attraverso la loro azione riformatrice.
Romualdi,
I CARDINALI
VESCOVI
SECONDO PIER
DAMIANI
71
Lette nel loro contesto immediato le parole dell'Avellanese,
dunque, non dicono affatto che i Cardinali Vescovi, in forza
della loro stessa dignità, o per diretta concessione di Cristo o
per merito di virtù, partecipassero al potere delle Chiavi. Dicono semplicemente che essi erano stati associati al compito
allora più urgente della Chiesa di Roma, quello della riforma.
Riforma di tali dimensioni che solo la Sede Apostolica, secondo
la convinzione dello scrivente vista in precedenza, con l'autorità
del suo privilegium poteva imporre a tutti «sacerdoti]t e ai
fedeli. Per questo scopo i Cardinali Vescovi avevano ricevuto
il potere ex apostolicae Sedis auctoritate di correggere e riformare. Erano stati fatti partecipi, dal Papa, del potere delle
Chiavi. Con il loro preciso significato le parole finali della lettera chiudono perfettamente tutto il discorso dell'epistola. In
essa Pier Damiani non parla mai di diritti e di poteri dei Cardinali Vescovi, se non incidentalmente nell'accenno al potere
delegato di correzione della simonia. Egli parIa solo dei loro
doveri e dei loro compiti, una volta premessa, come fondamento
teologico-spirituale dei medesimi, la loro posizione particolare
nella Chiesa Lateranese (o Sede Apostolica) «capo e madre »
di tutte le chiese.
Dei diritti o prerogative ne avrebbe parlato, molto energicamente, in un'altra lettera.
2. -
Le prerogative dei Cardinali Vescovi
Il fatto giuridico fondamentale creante le prerogative specifiche dei Cardinali Vescovi fu il decreto sinodale del 13 aprile
del 1059 integrato da quello dell'aprile dell'anno seguente. Sul
piano giuridico i due decreti furono una novità, benchè essi
venissero emanati anche per legittimare l'operato dei cinque
Cardinali Vescovi nell'aprile del 1058 con l'elezione, fuori Roma,
di Niccolò II 1&6, Di fatto però la posizione dei Cardinali Vescovi
nel 1058 era tale, dentro la Curia papale, che la loro decisione
nella notte dal 4 al5aprile 1058 di rifiutare la benedizione e intronizzazione di Giovanni, vescovo di Velletri, e di scomunicarIo
Un tale concetto è, forse, derivato da TertuIliano. Cfr. E. DB BACKER, Tertunten, in Pour "Histoire du Mot «Sacramentum.
(ed. De Ghellinck J. S. J.)
Louvain-Paris 1924,pp. 11>'114e D. MICHAELIDES, Sacramentum che; Tertullien,
Paris 1970, p. 262. Vd. indice lessicografico alla voce «Signaculum •.
Per il senso di carattere sacramentale nel Damiani si può vedere: N. RARING,
Character Signum et Signaculum: Scholastik 31 (1956) 41-43.
105 A. FLICHB,
La Réiorme Grégcrlenne
I, PP. 309-313.
72
MARIO FOIS
non sembra un atto d'improvvisa audacia "". Senza dubbio la
decisa volontà di liberarsi dalle imposizioni dei Nobili, per evitare una ricaduta nella penosa situazione anteriore al 1046 dopo
la morte di Enrico III e per continuare e sviluppare il programma riformatore, deve aver esercitato il suo peso nella intransigente presa di posizione dei Cardinali Vescovi. Ma anche la coscienza del proprio ruolo nella stessa riforma intrapresa dalla
Sede Apostolica, del potere ricevuto dal Papa di correggere la
simonia nel clero, quella dell'incarico di custodire il Papa l87 o,
come si esprimerà più tardi, di « custodi della Sede Apostolica s
e di essere l'autorità più alta nella Chiesa romana durante la
vacanza della stessa Sede, non dev'essere stata priva d'influsso
sul loro deciso comportamento nei confronti del proprio collega, troppo debole di fronte alla prepotenza dei Tuscolani e
alle loro elargizioni simoniache tell. Questa stessa coscienza, inoltre, doveva essere stata acutamente sensibilizzata e orientata,
nel senso delle decisioni prese, dal divieto imposto sotto pena
di scomunica ai Cardinali Vescovi, ai Nobili, al resto del clero
e al popolo romano da Stefano IX prima di partire per Firenze, di
eleggere cioè un successore, nel caso che venisse a morire, prima
del ritorno del suddiacono Ildebrando dalla corte imperiale 1811.
Si può dire, dunque, dal modo preciso e rapido con cui
agirono i Cardinali Vescovi un anno prima dell'emanazione del
decreto In Nomine Domini, che la posizione dei medesimi nella
Chiesa romana era talmente chiara e cosciente, anche per merito del Damiani, che le condizioni storiche per un tale decreto,
e per le norme integrative contenute in quello dell'anno successivo, erano ormai mature.
Ep. Ill, 4; PL 144, 291.
Ep, I, 7; c. 211 diretta a Nicolò II: c qui in eius debemus vigilare custodia lO. La lettera è dell'estate 1059, posteriore Quindi al decreto c In nomine
Domini • (13 aprìle). Non sembra che questa vigilanza derivi dal decreto. Infatti
il suo significato appare spiegato dall'invito a rivolgersi a Umberto e a Bonifacio, suoi «occhi..
II compito espresso con questa immagine è vivo nella
coscienza del Damiani anteriormente al decreto suddetto.
:168 Ep. III, 4, I. cit.
169 Ep. cito C. 292. II Damiani, per nell'are la validità del papato
del vescovo
di Velletri, colloca questa ragione dopo quella di simonia, di scomunica da
parte dei Cardinali Vescovi e dell'invalidità della benedizione e intronizzazione
celebrate dal presbitero ostiense. Ma sembra chiaro che essa sia stata più importante di quanto lasciano credere le parole del Damiani. I Cardinali Vescovi,
dopo la morte di Stefano IX, per ubbidire alla proibizione di questi e perehe
erano l'autorità più alta a Roma, scomunicarono ]'. Invasore •. CI si può chiedere, tuttavia, se la scomunica dei Cardinali Vescovi non sia stata una dichiarazione della scomunica incorsa dall'li organizzatori del colpo di mano e dallo
stesso intronizzato, proprio per aver contravvenuto
alla proibizione di Stefano IX. Dal testo damianeo appare il contrario. Vd. anche N. 269.
'lOO
161
J CARDINALI
VESCOVI
SECONDO PIER
DAMIANI
73
I due decreti attribuivano, infatti, ai Cardinali Vescovi delle
prerogative che Pier Damiani mette in marcato rilievo in uno
scritto polemico, non privo quindi di una certa tendenza all'esaltazione dei medesimi, che lascia perciò imprecisato più di un
contorno. L'unico scritto, infatti, nel quale esse vengono menzionate e, si può dire, t!!.!erpretate autenticamente è la prima lettera
!n.4irizzata a Cadal()L_diyenuto_J'antipapa.Onorio H, verso la fine
di riiarzò--cler1062, quando questi si trovava accampato a Sutri
preparandosi ad assalire e conquistare Roma 110. Nella sua lettera il Damiani intende dimostrare, fra l'altro, l'invalidità dell'elezione di Cadalo alla Sede Apostolica, avvenuta contro le
norme canoniche e soprattutto contro la nuova procedura stabilita dal decreto del 1059. Una delle prove addotte è la parte
principale attribuita ai Cardinali Vescovi dal decreto nell'elezione papale.
Effettivamene il Vescovo di Ostia fa risaltare due aspetti
delle prerogative dei Cardinali Vescovi: diritto di eleggere
GI principaliter
il Pontefice Romano It; le prerogative derivanti
dalla loro posizione nel governo della Chiesa universale, che li
collocava al di sopra dei Patriarchi e dei Primati.
I diritti dei cardinali vescovi nella elezione papale.
n primo privilegio è ricordato nel quadro delle norme canoniche che regolavano l'elezione dei Vescovi e particolarmente
del Vescovo di Roma. Egli tralascia, per il momento, di parlare
di quei ceti che secondo il diritto e le consuetudini anteriori
al 1059, intervenivano nell'elezione del Vescovo di Roma, cioè
il Senato Capitolino, che non può essere confuso col « senato»
dei Cardinali 171, il clero inferiore (presbiteri, diaconi e suddia170 Per la datazione
delle due lettere a Cadalo vd. F. HERBERHOLD,
Die Angriffe des Cadalus von Parma (Gegenpapst Honorius II) auf Rom in den Iahren
1062 und 1063: Studi Gregoriani 2 (1947) 484; G. B. BoRINO,Cencio del Prefetto
Stefano: Studi Greg.4 (1952) 382, N. 40.
171 «Taceamus
interim de Senatu, de inferioris ordinis clero, de populo.
Quid tìbl de cardinalibus
videtur episcopis? -, Ep, I, 20; PL 144, 238D. E' abbastanza evidente la distinzione tra senato, clero inferiore, e cardinali vescovi.
Perciò il Damiani non può aver inteso con il termine « senato - nè il gruppo dei
cardinali vescovi, come sembra pensare il Sägmüller (Cardindle p. 160), nè i
«c1eriei cardinales _ dci decreto 1059, come afferma il Michel (Papstwahl und
Känigsrecht
pp. 82, 91, 98), perchè i «cleriei
cardlnales - sono indicati con
« inferioris ordinis clerus _. Con questi termini, infatti, il Damiani indica i membri del clero lnferiorì ai vescovi. Vd. Discept, Synod.: De Lite I, 91 dove gli
stessi membri sono definiti « clerus -.
Per il Senato romano in questo tempo vd. A. SOLMI, Il Senato Romano
nell'alto Medioevo (757-1143), Roma 1944., spec. capp. VI-VII.
MARIO FOIS
coni) m, il popolo. Ma mette subito davanti agli occhi del Vescovo di Parma lo speciale diritto dei sette Cardinali Vescovi:
Quid tibi de cardinalibus videtur episcopis? qui videlicet et Romanum pontificem principaliter eligunt ... 171.
Più in là, sintetizza e, per quanto riguarda l'intervento imperiale nell'elezione pontificia, interpreta il decreto del 1059,per
provare l'invalidità dell'elezione di Cadalo e la validità di quella
di Alessandro II. La prima era stata condotta a termine nesciente Romana ecclesia la.
A Basilea, infatti, questa non poteva essere rappresentata
dallo scomunicato Gerardo di Galeria e dai suoi complici 17'5 ;
mentre a Roma, per l'elezione di Alessandro, essa era presente
con tutti i ceti postulati dalIanuova procedura canonica dell'elezione papale:
Nirnirum cum electio ilIa per episcoporum cardinalium fieri dcbeat
principale iudicium, secundo loco jure praebeat c1crus assensus, tertio
popularis favor attollat applausum: sicque suspendenda est causa, usque
dum regiae ceIsitudinis consulatur auctoritas, nisi, sicut nuper contigit,
periculum fortasse immineat, quod rem quantocius accelerare compellat 116.
I due testi, trasparenti, dichiarano i Cardinali Vescovi i
principali responsabili dell'elezione papale. Il clero, sotto la
quale denominazione bisogna intendere anche i presbiteri, mai
chiamati cardinali dal Damiani, almeno come gruppo, anche se
il decreto sinodale li nomini clericos cardinales 117, viene in secondo luogo per dare un assensus. Questo, però, è considerato
necessario alla validità dell'elezione (iure praebeat assensum),
e inoltre è certamente ritenuto superiore all'. applauso» del popolo, terzo atto dell'elezione. Con una tale interpretazione, personale e un poco restrittiva, del decreto In nomine Domini, il
Vescovo di Ostia mette in maggiore risalto la priorità e prìnci172 Una riprova
della distinzione tra il senato o nobili e il popolo, e tra il
senato e i' Cardinali Vescovi, e tra questi e il clero inferiore si legge anche nella
lettera a Enrico di Ravenna: Stefano IX • congregatis intra ecclesiam episcopis
civibusque Romanis, clero et populo ... lO. I • elves lO messi accanto agli. episcopi.
sembrano proprio i nobili (o senatori).
173 Ep. I, 20, l. cito
H4 Ep. cito c. 243 A. Un po' prima aveva scritto
• ignorante Romana Ecclesia ". C. 238 A.
173 Discept. Synod., ed. cito 92: c Quem [Cadaloum]
non Romanus populus,
sed unus homo, cum suis complicibus, idem que non Romanus. sed suburbicarius
et non aecclesiae filius, sed maledictus et anathematizatus elegit •.
176 Ep. cit., C. 243 B.
177 Vd. N. 122. In questa interpretazione
del decreto del 1059 non nomina
più i nobili, come aveva fatto prima. La ragione ~ semplice, a mio avviso:
all'inizio della lettera riproduce la procedura tradizionale, accennando alla
prerogativa dei Cardinali Vescovi, qui si attiene strettamente al decreto del 1059.
I CARDINALI
VESCOVI
SECONDO PIER
DAMIANI
75
palità del compito dei Cardinali Vescovi, considerato da lui più
vicino a un atto di vera electio che alla tractatio prescritta dal
decreto. Essa, tuttavia, è conforme al modo di esprimersi della
Synodica Generalis, che dice: electio Romani Pontificis in potestate cardinalium episcoporum sit 178. Gli altri membri del clero, infatti, senza la distinzione della duplice categoria fatta dal
decreto, tra oe chierici cardinali» e c resto del clero », vengono
collocati tutti al secondo posto per l'c assenso» 1711. Meno importante ancora, agli effetti della validità giuridica, appare dalle parole del Damiani la richiesta del parere (o conferma) regio, visto
che, in caso di urgenza, se ne può fare a meno e si può procedere
all'intronizzazione senza di esso, come precisamente avvenne nel
caso di Alessandro II ]80. Ciò è confermato da quanto scrive, alcuni mesi più tardi, nella Disceptatio Synodalys, dove accusa dì
ìncredìbìle audacia e presunzione la cassazione degli atti di ~
sandro Ir) considerato da lui vero c papa» 181.
~
"esiste dubbio, quindi: nelle valutazioni damianee i
Cardinali Vescovi occupano il primo posto tra i ceti della Chiesa
romana aventi diritto all'elezione del proprio vescovo e, quindi,
anche durante la vacanza della Sede Apostolica. Anziad essi
compete il ruolo principale e, si può dire, decisivo, al di sopra
del potere imperiale, almeno dentro la sfera della validità giuridica della elezioné del Papa.
Al di sopra dei Patriarchi e dei primati
Ma esistono c altre prerogative» dei Cardinali Vescovi, che,
secondo il Damiani, collocano i loro beneficiari al di sopra dei
Patriarchi e dei Primati 182.
Non è facile stabilire con sicurezza quali siano, verso il 1062,
le oe prerogative» accennate. Da qualche autore sono state indiU8 Ecco le parole
del decreto: c ... imprimis cardinales episcopi diligentissima simul consideratione
tractantes, mox sibi clericos cardinales adhibeant;
sicque relìquus c1erus et populus ad consensum novae electionis accedat It, MGH.
Constitutiones
I, 539. Le parole della Sinodica, a p, 547. Nel pensiero espresso
dal Damiani in questa lettera l'elezione appare quasi compiuta dall'atto dei
Cardinali Vescovi: c principaliter eligunt It; c electio ilia per episcoporum cardinalium principale iudicium ... It. Si veda anche Disceptatio Synod. dove l'atto dei
Cardinali Vescovi è detto c proclamare It, che suppone già una scelta fatta,
e quello del c clero c eligere It, De Lite I, 91.
119 I futuri
falsìfìcatori
del decreto sinodale modificheranno
il decreto in
senso opposto. I membri del clero sono detti c cardinales It senza nessuna
distinzione di categorie, forse intendendo soltanto i presbiteri.
181> A. FLICIIB,
La Réiorme Grélloriertrte I, pp. 341-344.
181 De Lite I, p. 87.
1R2 e». I, 20, c. 238 D.
76
MARIO FOIS
viduate le seguenti: il diritto esclusivo dei Cardinali Vescovi di
sostituire il Papa per le azioni liturgiche celebrate all'altare della confessione della basilica lateranense; il loro diritto esclusivo di consacrare (o benedire) e intronizzare il neoeletto Vescovo di Roma; il diritto di partecipare alla unzione e coronazione dell'Imperatore; infine, il diritto di dare un assenso imprescindibile per la concessione del pallio agIi Arcivescovi 183,
Di queste prerogative la prima è messa in risalto, come si
è visto, dallo stesso Damiani 184; la seconda è supposta dal medesimo nella lettera all'Arcivescovo Enrico di Ravenna 18.\ Tuttavia non può sfuggire a una lettura attenta la descrizione di
due perrogative contenute nello stesso brano della lettera, al
quale appartiene l'affennazione della superiorità dei Cardinali
sui Primati e sui Patriarchi. Proprio queste sembrano costituire
la ragione della superiosità proclamata dal Damiani. O almeno,
sono le due prerogative acquisite recentemente dai Cardinali Vescovi che, secondo lui, sbalzerebbero più marcatamente la superiorità suddetta 186. Su di esse bisognerà fermarsi un tantino, sia
per le implicanze ecclesiologiche suggerite dalle stesse parole
dell'Avellanese, sia per le diverse interpretazioni date a una delle medesime.
Come aveva fatto nella lettera indirizzata ai Cardinali Vescovi, anche in questa inviata all'antipapa Cadalo, prima di gettargli in faccia le prerogative dei sette Cardinali Vescovi calpestate da lui, gli mette sotto gli occhi i testi scritturaIi che servono a illustrare la posizione dei medesimi Cardinali nella Chiesa romana. Sono quasi tutti i testi utilizzati nella lettera ai Cardinali Vescovi, salvo una sostituzione (Ap. I, 12b-13 invece di
1,20) e una soppressione (Mt. 16, 18). Ma questa volta i testi
scritturali sono riportati con una precisazione, che sembra proprio indicare il livello ecclesiologico sul quale si colloca la loro
applicazione alla dingità dei Cardinali Vescovi dentro la struttura della Chiesa romana:
Salvo quippe universalis Ecclesiae Sacramenta, isti sunt oculi unius
Iapidìs, id est Romanae EccJesiae. De quibus per Zachariam dicitur:
«Ecce; inquit, lapis quem dedi coram Iesu» (Zac. 3,9). Super lapidem
unum septem oculi sunto Ipsi lucernae unius candelabri, de quibus postmodum loquitur dicens: «Vidi, ecce candelabrum aureum totum, et
'183 SÄGMOLLBR,
op. cito p. 198 che lo riprende
dallo SCHEFFBR-BOICHORST,
Die Neuordnung der Papstwahl durch Nicolaus 11, Strassburg 1878,pp. 68s.
184 Ep. II, I; PL 144, 255 C.
184 Ep, III. 4, C. 291B. La prerogativa
è stata poi canonizzata dai decreti
del 1059/1060.
186 Ep, I, 20, C. 238D. Sono introdotte
con un • infatti» (. quippe »).
I CARDINALI
VESCOVI SECONDO PIER
DAMIANI
77
lampas eius super caput lpslus, et septem lucernae super Illud s [Zach.
4,2]. Ipsì sunt et candelabra, in quorum medio Jesus, iuxta beati Johannis
verba [Ap. 1,121>-13],discurrit
18'.
M'
La precisazione sottolineata, non espressa ma realmente presente nella lettera ai Cardinali Vescovi, indica subito che questi,
definiti come «occhi» «lucerne» e «candelabri» nella Chiesa
romana, non appartengono alla struttura ecclesiale della medesima, in quanto essa è « madre ., « capo ., c vertiee » della Chiesa universale; in quanto cioè centro dell'unità ecclesiale visibile,
che è il livello percettibile della realtà misterica della Chiesa,
dove Cristo, Sommo Pontefice, opera l'unità ecclesiale invisibile,
l'unitatis sacramentum, come è stato già visto precedentemente.
Le « prerogative. cardinalizie devono essere intese, perciò,
secondo il loro proclamatore, «senza pregiudicare il mistero
della Chiesa universale ., cioè senza implicarvelo. Quindi, al di
fuori di esso 188,
Dopo quanto si è visto nell'analisi della lettera ai Cardinali
Vescovi, si rende più facile, adesso, identificare in dipendenza
dai testi scritturali le stesse « prerogative» intese con il loro
simbolismo. Un fatto salta subito agli occhi: si nota qualcosa
di meno che nella lettera del 1057. Mancano, infatti, i simboli
delle « stelle» e degli «Angeli. visti in quest'ultima lettera. La
ragione più plausibile di questa omissione sembra la seguente:
nella lettera a Cadalo vuole asserire e descrivere le «prerogative ,. o i diritti speciali che collocano i Cardinali Vescovi al di
sopra dei Primati dei Patriarchi, ma non vuoI descrivere, come
nella lettera ai Cardinali, i compiti riformatori affidati loro dall'autorità apostolica, anche se il simbolo delle «lucerne. non
lascia di accennare a uno di essi, quasi in sostituzione di quello
delle « stelle » 1811, Il significato dei sette « candelabrì e in mezzo
ai quali appare Cristo è abbastanza trasparente, se si tien conto
della specificazione dei medesimi offerta dall'Autore apocalittico,
citata dallo stesso Damiani nella missiva aì Cardinali. Essi rappresentano sette Chiese dell'Asia Proconsolare. Il Vescovo Ostiense, con duplice e libera trasposizione no, invece di indicare le
Ep, cito cc, 238D-239A.
La parola c sacramentum s, In Questo caso, può essere benissimo resa
con c mistero. nel signiflcato assunto da Questa parola nella ecclesiologìa
attuale. L'espressione c salvo ... sacramento s non sembra avere altro signifìcato;
c salvo il mistero IO, c senza pregtudìzlo dci mistero IO, cioè della natura stessa
o costituzione essenziale della Chiesa.
189 Vd. il iià detto più sopra a p. 63 S.
:1" La trasposlzlone ~ duplice e libera, perehe dalle chiese dell'Asia Proconsolare si sposta nel Lazio e perchè indica direttamente i vescovi inceve delle loro
IßT
188
78
MARIO FOIS
sette chiese suburbicarie che circondano la Chiesa romana, o,
meglio, la Basilica Lateranese dedicata a Cristo, indica direttamente i sette Vescovi delle medesime, che si trovano non tanto
intorno a Cristo, quanto a colui che ne « tiene le veci It 181. Del
tutto improbabile, avulsa dal discorso o contesto immediato, nel
quale la citazione viene addotta, e inoltre dallo stesso significato
scritturale appare l'interpretazione dell'Alberigo, secondo il quale il Riformatore del secolo xr sosterrebbe, proprio appoggiandosi su questo testo, che i Cardinali «continuano e rinnovano
il collegio di coloro che ascoltavano e assistevano Cristo ,.192.
Una tale ìnterpretazione, infine, non serve a chiarire la « prerogativa It che il testo scritturistico, almeno nell'intenzione del
Damiani, dovrebbe illustrare. Se fosse proprio valida l'interpretazione che vuole i Cardinali successori del collegio apostolico,
ne deriverebbe che gli Apostoli furono visti dal Damiani come
i consiglieri obbligati di Cristo, cioè del suo ministero apostolico. Effettivamente la prerogativa dei sette Cardinali Vescovi,
che il testo apocalittico vuole allegoricamente illustrare, insieme a quello veterotestamentario dei sette occhi sull'unica pietra, che già conosciamo nel suo significato, è proprio questa:
i Cardinali suddetti formano, secondo la coscienza del Damiani,
il consiglio papale per il governo della Chiesa universale.
a) I consiglieri del governo della Chiesa universale .
...si poenitentia jure plectendus est quisquis cuiIibet irrogat iniuriam
sacerdoti, qua tu [Cadaloe] sententia dignus es, qui iIIis praejudicium
sacerdotibus intuIisti, quorum consilio et judicio status ac disciplina
debet totius eccIesiae gubernari?193.
Probabilmente l'obbligo del Papa, espresso implicitamente
con il debet, di ascoltare il giudizio e le proposte dei Cardinali
Vescovi, non è privo di forzatura retorica e, forse, non dice di
più di una prassi normale dei Papi riformatori. Ma che il Dachiese suburbicarìe. Nell'Ep. II, 1 non lo fece, perchè assunse le c stelle .. e gIi
« angeli .., simboli più espressivi. Anzi gli c angeli IO sono ancora più atti per
indicare i vescovi, almeno secondo l'interpretazione che identifica ili c angeli IO
delle sette chiese con i vescovi delle medesime.
191 Per il papa vicario di Cristo vd. il detto a p. 42 s.
192 ALBERIGO,
op. cito p. 41. Cioè, se ho ben capito, i Cardinali Vescovi continuerebbero il Collegio degli Apostoli, in proporzioni ridotte. Solo che il Damiani
considera tutti i vescovi come successori degli Apostoli (Ep. II, 1: PL 144, 258D259A). Nè si legge, inoltre, che gli Apostoli fossero i consiglieri di Cristo, come
invece lo sono i Cardinali Vesc. del Papa, che è quello che vuoI provare il
Damiani e che sarà subito illustrato.
lil8 Ep. 1,20;
C. 239 A.
I CARDINALI
VESCOVI
SECONDO PIER
DAMIANI
79
miani si avicini, anche prima del marzo del 1062, a pensare in
termini quasi di obbligo, sembra possa dedursi dalla lettera diretta a Niccolò II nell'estate del 1059 a proposito delle sanzioni
canoniche, per lui sproporzionate nella estensione, lanciate sulla
città di Ancona per un fatto di ribellione. Il mittente chiede rispettosamente, ma con certa decisione, di convocare Ildebrando
e inoltre i cardinali Vescovi Umberto da Silvacandida e Bonifacio di Albano, suoi « acutissimi occhi It, di chiederne il consiglio e discutere con loro le misure da prendere in vista di una
soluzione del caso improntata a moderazione, sul piano canonico-spirituale 111'. Non è escluso che il procedere degli anni e
l'incalzare degli eventi verificativi dopo il 1059 e in occasione
della stessa elezione di Alessandro II abbiano condotto il Monaco aveIlanese a prendere sempre più coscienza dell'importanza del consiglio dei Cardinali Vescovi nella gestione del governo
universale della Chiesa.
Intesa in questi termini, anche con questo certo senso di
obbligo vincolante il Papa, la partecipazione dei Cardinali Vescovi al governo della Chiesa universale costituiva indubbiamente una prerogativa che collocava questi al di sopra dei Patriarchi
e dei Primati, le cui competenze erano sempre limitate alle proprie circoscrizioni. Essi, a loro volta, potevano essere per di più
oggetto del consiglio dei Cardinali Vescovi, oltre che delle decisioni papali. Potevano anche essere oggetto delle decisioni, e
talvolta delle sanzioni canoniche, degli stessi Cardinali Vescovi,
ma soltanto se questi erano legati a latere. Basti pensare a quanto avvenuto a Costantinopoli nel giugno del 1054 e a quanto
poteva accadere a Milano, sede metropolitana o primaziale, con
lo stesso Damiani nell'autunno del 1059. In questi casi, però,
è chiaro, non può trattarsi di una vera prerogativa, essendo
l'autorità dei Legati semplicemente delegata.
b) Il potere di scomunicare i Vescovi.
Di una competenza propria sembra parlare, invece, nella
seconda prerogativa messa davanti agli occhi di Cadalo con precisi termini giuridici:
:111, Ep 1,7:« Ouapropter 51 placet domino meo, ascitis damno Hildebrando,
sanctissimi ac purissimi consilii viro, reverendissimis etiam Humberto et Bonifacio episcopis, Qui vestri vìdelcet acutissimi et perspicaces sunt oculi, cum his
consilii :vestri communicate mysterium, sìmulque tractate quo medicamine mors,
atque perditio tot pereuntium desinat animarum. Moderetur itaque solito more
sedis apostolìcae prolata sententia seseque ecclesiasticl vigoris temperet disciplina It, PL 144, 211·212.
80
MARIO FOIS
Et cum canonica decernat auctoritas, ut humilis cuiuscumque
Ecclesiae clero liceat liberum de illo, qui sibi praeferendus est, habere Iudìcium; qua tumoris audacia tu praesumpsisti te violenter iIIis ingerere, qui
praeter commune m Ecclesiae regulam super ìpsos quoque pontifices authenticam praevalent promulgare censuram? lto11.
Questo testo è stato interpretato, benehe mai analizzato a
fondo, in modo diverso dagli autori, da quasi un secolo a questa parte. Tutte le interpretazioni partono dal presupposto, dato
per scontato, che il Damiani con il termine pontifices intenda
i Vescovi Romani o Summi Pontifices, ossia, più esattamente,
i « candìdatì s all'elezione papale, « die werdenden Päpste It. Soltanto una sostiene trattarsi dei «sommi pontefìcì » già eletti
e intronizzati. Tutte, inoltre, ad eccezione di una, concordano
nell'interpretare l'altro termine essenziale del testo, censura, come sinonimo di judicium, ma differiscono nell'identificare la
«comune regola », della quale la prerogativa proclamata dal
Damiani costituirebbe una eccezione.
Il Grauert, che per primo mette in relazione il testo damianeo con il decreto sinodale del 1059, legge nelle parole del
Damiani il potere di « far le veci lt del metropolita concesso ai
Cardinali Vescovi dal decreto suddetto. Conseguentemente egli
identifica censura con il principale iudicium riservato ai Cardinali Vescovi nell'elezione papale. Questo principale judicium
però non sarebbe quello della tractatio previa dei medesimi, che
precede l'elezione anche da parte dei clerici cardinales, ma
quello posteriore all'elezione, proprio del metropolita. L'authentica censura del Damiani si riferirebbe, perciò, alle seguenti parole del decreto In nomine Domini: cardinales episcopi procul
dubio metropolitani vice [unguntur, qui videlicet electum antistitem ad apostolici culminis apicem provehunt 198.
Egli non specifica però quale è l'eccezione asserita dal Damiani, anche se sembra chiaro che debba riferirsi alla norma
generale dell'elezione episcopale postulante l'intervento decisivo
del metropolita. L'eccezione, quindi, consisterebbe, probabilmente, nell'attribuzione dei poteri metropolitani ai Cardinali
Vescovi che metropoliti non erano.
A un'eccezione ben più vistosa pensa invece Anton Michel.
Anch'egli identifica censura col giudizio che devono dare i Cardinali sull'eligendo pontefice, ma crede che il Damiani, proclamando la « prerogativa » dei Cardinali Vescovi nell'elezione pac. 239 A.
MGH, Constltutiones I, 539. H. GRAUERT,Das Dekret Nlcolaus 11 von 1059:
Hist. Jahrbuch 1 (lSSO)561·567e N. 1 alla p. 567.
U5
196
Ep. 1,20;
I CARDINALI
VESCOVI
SECONDO PIER
DAMIANI
81
pale, si riferisca c ipcrbolicamente ed entusiasticamente»
al
principio dell'immunità papale sostenuto nella Chiesa Occidentale fin dall'inizio del VI secolo: summa Sedes a nemine [udicetur 1111. E' piuttosto difficile che il Damiani considerasse la
tractatio dei Cardinali Vescovi come una specie di processo, non
tanto al Papa, quanto agli elcgibili all'episcopato romano. Giustamente il Ryan considera l'identificazione fatta dal Michel della communis Ecclesiae regula del Damiani col principio giuridico dell'immunità papale, una nozione estranea al contesto 1118.
Il Medievalista americano rifiuta questa connessione con il principio suddetto e ritorna sostanzialmente all'interpretazione del
Grauert. La grande c prerogativa » dei Cardinali Vescovi consisterebbe, dunque, nel diritto di pronunziare il c giudizio decisivo » nell'elezione papale e di agire come metropoliti nei confronti dell'eligendo pontefice di Roma, che non ha metropoli
sopra di sè 1".
Questa prerogativa, calpestata da Cadalo, costituirebbe una
eccezione alla norma generale stabilita da Leone I nella Epistola
ad Rusticum (458-459), la cui disposizione è riportata dalla Collectio Dionisii Exigui e dal Decretum di Burchard usati dal
Damiani 100.
Completamente nuova appare l'esegesi del testo damianeo
fatta dall'Alberigo. Egli non interpreta censura nel senso di iudicium, ma di sentenza giudiziale e, perciò, legge nelle parole del
Damiani il c potere dei Cardinali di giudicare il papa It, già affermato, secondo lui, da Umberto da Silvacandida nel c Frammento A» 101. Conseguentemente per questo Autore pontifices dovrebbe interpretarsi per « sommi pontefici» nel pieno possesso
dei propri poteri e la communis regula, per l'assioma giuridico
dell'immunità papale: prima sedes a nemine iudicatur. L'Autore
non lo dice espressamente, ma risulta evidente dal suo rimando
al pensiero del Silvacandida, stabilito dalla sua interpretazione.
Lasciando da parte quest'ultima opinione (completamente
infondata, come si vedrà), le altre opinioni esposte, pur non
essendo prive di verosimiglianza, almeno a prima vista, tuttavia
non sembrano tener conto di tutti gli elementi espressi dal Da191 A. MICHEL, Papstwah! und Köniisrecht,
München 1936, p. 93, N. 14.
Anthentica
censura.
~ tradotta:
• die massgebende
Censur über die Päpste
selbst •. E in nota: c richtiger über die werdenden Päpste •.
]1)8 1. RUN, Saint Peter Damianl ... p, 78.
199 1. RUN, op. ell. 718.
200 Vd. il testo
della decretale e le citazioni delle due collezioni canoniche
nel Ryan, l.clt.
201 ALBERIGO,
OP. cito p. 41.
c
6
82
MARIO FOIS
miani nel suo discorso. Inoltre non considerano sufficientemente
il suo lessico. Infine appaiono troppo vincolate al contesto immediato, senza considerare con maggior precisione il contrasto
che il Damiani vuol far risaltare tra clero di un'umile diocesi
e i Cardinali Vescovi. Una messa a fuoco dello scopo perseguito
dal Damiani e un'analisi più accurata di tutti gli elementi del
discorso damianeo chiariranno, lo si spera, il contenuto preciso
della te prerogatìva » dei Cardinali Vescovi.
Pier Damiani vuol dimostrare a Cadalo che i Cardinali Vescovi godono di prerogative 'che superano gli stessi diritti patriarcali e primaziali. La prima, lo si è visto, è la loro partecipazione al governo della Chiesa universale consilio et judicio.
La seconda è quella contenuta nel testo in questìone, il diritto
cioè, praeter communem Ecclesiae regulam, di pronunziare super ipsos quoque pontifices authenticam censuram.
Questa prerogativa, se si vuoI tener conto del valore attribuitole dal Damiani, non può essere messa in relazione con il
decreto sinodale del 1059. Anzitutto esclude una tale connessione lo stesso Damiani. Iniziando, infatti, il discorso sui Cardinali Vescovi, chiede a Cadalo che cosa ne pensi dell'autorità
dei medesimi qui videlicet et Romanum pontificem principaliter
eliguntur, et quibusdam aliis praerogativis, non modo quorumlibet episcoporum, sed et patriarcharum atque primatum iura
transcendunt? 200.
La distinzione è evidente. Non è per la parte prioritaria
nell'elezione papale, attribuita ai Cardinali Vescovi dal decreto
In Nomine Domini, che essi godono di diritti superiori ai patriarcali e prìmaziali, ma te per certe altre prerogative ».
Del resto, anche identificcando la prerogativa asserita dal
Vescovo di Ostia con il principale iudicium attribuito ai Cardinali nell'elezione papale, non si otterrebbe un diritto superiore
a quelli patriarcali e primaziali, ma soltanto uno equipollente
a quello di un metropolita JOS. Ciò sarebbe vero sia che la funzione di quasi-metropoliti si identifichi con la tractatio previa dei
Cardinali Vescovi, sia che s'identifichi con il giudizio definitivo
posteriore all'elezione affermato, ma senza fondamento per questo tempo, dal Grauert 2~, o anche con il « giudizio It e con gli atti
Bp. I, 20; c. 238 D.
Anche il Krause vede in questa funzione una c Gleichsetzung von Kardinalbischöfen und Metropolìten », che certamente eleva i Cardinali Vescovi al di
sopra della massa degli elettori del papa, cioè del e1ero romano, ma non al di
sopra dei Primati e Patriarchi. H/ G. KRAusB,Das Papstwahldekret
von 1059:
Studi Gregoriani VII (1910) 82.
.
lI<I40 L'opinione
del Grauert non è comprovabile per il sec. XI. Dal decreto
202
2Q3
I CARDINALI
VESCOVI SECONDO PIER
DAMIANI
83
successivi di consacrazione e intronizzazione del Papa neoeletto.
Proprio a questi ultimi atti sembra legare, il decreto In nomine
Domini, la funzione quasi-metropolitana dei cardinali vescovi:
cardinales episcopi procul dubio metropolitani vice [unguntur,
qui videlicet electum antistitem ad apostolici culminis apicem
provehunt -.
Comunque si voglia vedere connessa col decreto del 1059
la prerogativa cos} intesa dei Cardinali Vescovi, essa non collocherebbe mai gli stessi Cardinali al di sopra dei Patriarchi e
dei Primati.
Esiste, inoltre, una ragione lessicale, molto forte, che impedisce di riferire al decreto del 1059 la prerogativa asserita
dal Vescovo di Ostia. Effettivamente sono due i termini essenziali e decisivi per una interpretazione, esatta oppure erronea:
censura e pontifices.
Censura. L'authentica censura dell'espressione del Monaco
riformatore difficilmente può essere intesa come sinonimo del
praecedens judicium, secondo la definizione di Vittore III 206,
e neppure del subsequens judicium proposto dal Grauert, attribuito ai Cardinali Vescovi nell'elezione pontificia dal decreto del
1059. Anzitutto il Damiani, quando si riferisce a questo decreto,
non usa il termine censura o uno equivalente, per definire la
funzione dei Cardinali Vescovi, ma principaliter eligere o principale iudicium oppure vocare e proclamare 2<rT. Inoltre il termine censura, nei suoi scritti, non si legge col significato di
iudicium, bens} o con quello di generica sentenza giudiziale (sinodalep()S, oppure con quello di pena canonica (o civile) da
e dalla storia 51 evince un solo c Iudicìum s dei Cardinali Vescovi, cioè quello
della.
tractatio a. La prova addotta da lui ~ delIBO
e riproduce un'affermazione di avversari
dci Cardinali
Vescovi, che erano stati, in buona parte
(quattro su sei) ili elettori di Innocenzo II, quando fu eletto anche Anacleto dei
Pierleoni. Cfr. P. F. PALVMOO, Lo scisma del MCXXX, Roma 1942, p. 402.
208 MGH.
Constitutiones I, p. 535. GRAvaT, art. cito p, 564. II decreto
distingue nettamente le due parti: • la tractatìo s e quindi la c intronizzazione a,
che suppone l'elezione iià fatta.
20e Vittore
III in una bolla di scomunica contro Viberto (Clemente III)
emanata nel sinodo del marzo 1087 afferma, per invalidare l'elezione dell'antipapa: c nullo CardinaJium episcoporum praecedente iudicio, nullo Romani cleri
approbante
suffragio, nullo devoti populo fervore adhibito ... lO •• PE'IRUS, Chronica
Montis Cassinensis, Ill, 72. MGH. SS. VII, 752. WATTllRICH, VItae Romunorum
Pontificum I, Lìpsia 1862, p. 568.
201 s». I, 20; cc. 238; 243; Discept, Synod.: De Lite I, p. 91.
208 Non pensa
di ritenere simoniaco chi • pro sinodali sententia quidquam
tribuit ... Aliud quippe est, quamlibet causae suae desiderare
iustitiam;
aliud
canonicam,
quae per Spìritum Sanctum constìtuta est, venalem habere censuram lO, Opusc. XXXI: PL 14.~, S35.
84
MARIO FOIS
comminare, comminata, o già irrogata; specificata o meno ?",
Con significato di sentenza giudiziale Sl.O e inoltre di sanzione
penale o, almeno, di ordine autoritativo con connessa pena canonica lo stesso termine censura può leggersi nei documenti
contemporanei della Curia Romana 211. Il termine, quindi, veniva
209 Opusc,
XVII, 41. Si domanda: «quam incomposita pietas procul dubio
meretur iram Dei, dum non promulgar in reos sub districti iuris aequitate
censuram?,
PL 145, 386.
Liber Gratissimus XXXVI. Chiede, rivolto ai Vescovi, discrezione nell'uso
delle pene canoniche contro isimoniaci:
«Et vos itaque, venerabiles patres,
cum beatissimo summo pontifice sic cuncta sub discreti examinis aequitate
disponile, ut traditam tanti doctoris [Petri ap.] regula in vestra videamini
censura servare ... lO, De Lite I, 69/70.
Ep, VII, 3. Riguarda il diritto civile: c Ille [Rex] constitutus est, ut nocentes atque scelestos legalium sanctionum censura coerceat .... , PL 144, 440.
Liber Gratissimus, 7. Parlando dei castighi di Dio contro i simoniaci dice.
in senso generale, che Dio. sempre uguale a se stesso, mantiene sia il suo
giudizio severo sia la discrezione: c quatinus et pro largitate dementiae dona
sua indignis, et pro censura iusticiae dignae eos ultionis animadversione percellat It, De Lite I, 26.
Ep. I, 13. Non si tratta proprio di pena canonica, ma di castigo da infliggere ai Cappellani di Goffredo di Toscana che distinguevano tra beneficio e
ordinazione (Vd. il detto a p. 50 s): c O novum schismaticorum genus, et os
sacrilegum aetemi silentii censura damnandum I lO, PL 144, 219. Come pena canonica comminata, c censura. la si legge neU'Opusc. XVIII, 2: Un parroco dìpendente da un'abbazia, rimasto vedovo, si risposa, preparando
nozze solenni:
c Abbas autem ... hoc audìto, duos ad eum monachos rnlsìt, eique tam ìmpudens scelus sub districtae censurae interminatione prohlbuit •• PL 145. 408-409.
Censura come pena canonica specìfìcata, ma ancora c comminata.
si legge
nell'Ep. IV, 12. Si tratta di un decreto sinodale contro la alienazione dei beni
ecclesiastici. c ... Victor apostolicae sedis episcopus in plenario concilio FIorentiae celebrato .... hoc sub excommunicationis censura prohibuìt », PL 144, 322.
Come pena specificata e irrogata si legge nell'Opusc. XX, 3. Un personaggio
nobile. probabilmente, vuole sposare una consanguìnea in un grado di parentela
proibito c Prohibitus persistito excommunicatus adhaesìt, totumque ecclesiasticae
censurae vigorem nugarurn, puerilium fabulas deputavìt s, PL 145, 446.
Con il senso di proibizione, riferito all'imposizione al sacerdote ebraico di
sposare solo una vergine. escludendo tutte le altre (Lev. 21, 7; 13-15): c cessant
iura coniugil, dum praecedentis aboletur censura mandati.
Opusc. XVIII,
2:
PL 145, 400. Nel senso di sentenza in senso lato, o di giudizio, da parte della
sede romana si legge lo stesso termìne negli Actus Mediolani. La Sede Apostolica
giudichi l'operato di Milano: c et utrum puncto an lima digna sint, ex auctoritatis suae censura decernat », PL 145, 93. Nello stesso senso: Ep, I, 14; PL
144, 224.
Assume, talvolta, il senso di imposizione o regola gravosa. Come il silenzio
camaldolese r c Et quibus censura tacitumitatis indicitur, luxuriantis eloquentiae
laciniosa prolìxitas congruere non vìdetur s. Liber Gratissimus, XL; De Lite I, 74.
210 Leone IX prescrive
per una deposizione: c iudiciali censura... canonìce
deponatur It, PL 143, 664.
2n Leone IX: c statuentes,
apostolica censura sub divini iudicii obtestatione
et anathematis interdictione, ut nulli unquam ... usurpari Iìceat s, PL 143, 640.
Similmente: cc. 642; 662; 688; 689; 715; 725. Vittore II per un privilegio concesso
a Monte Cassino: « ... statutis atque confirmatis apostolica censura, sub interpositione districti anathematis .... , PL 143, 834.
- Niccolò II «statuentes
apostolicacensura
decemimus, ut nulla persona
I CARDINALI
VESCOVI
SECONDO PIER
DAMIANI
85
usato nell'accezione originaria dell'istituzione del censor roma.
no, la quale negli antichi scrittori cristiani aveva assunto, molto
spesso, il significato di giudizio divino solitamente severo: quindi, negli scrittori cristiani posteriori ed anche nel Codice Teodosiano, il significato di animadversio, di poena 212. Sulla linea
di questa evoluzione semantica il termine censura lo si ritrova
nel diritto ecclesiasticco pregrazianeo, dove può significare tanto
ammonizione per correggere storture o infrazioni alle leggi e
alle norme liturgiche, quanto una sentenza, una comminazione
di pena, una pena mediclnale c, talvolta, la stessa legge :US.
Da tutti questi dati può risultare abbastanza chiaro che la
prerogativa enunziata dal Damiani nella sua lettera a Cadalo
si riferisca a una sentenza di diritto coattivo, o, comunque, disciplinare, e di condanna che può essere pronunziata contro i
Pontifices. Gli altri termini usati, authentica e promulgare, riferiti a censura confermano che la suddetta prerogativa costituiva
un potere disciplinare attribuito ai Cardinali al di sopra della
norma generale.
Si tratta di stabilire, adesso, chì sono i pontifices e la communis Ecclesiae regula evocata nel testo damianeo.
Pontifices. Con il termine pontifices Pier Damiani non intende i « Sommi Pontefici -, cioè i Papi, ma i vescovi. L'enfasi
della frase e il contesto immediato di essa non letto con suffi- .
ciente attenzione, hanno indotto in errore anche storici molto
agguerriti, i quali sono ricorsi a interpretare pontifices come
cc eligendi pontefici _ o « candidati - al papato. Una esegesi, questa, difficilmente accettabile, se si pensa che il Damiani scrive
usando termini abbastanza precisi quando deve distinguere i
gradi del sacerdozio e della gerarchia tu.
Si è già potuto notare come il Vescovo di Ostia, quattro o
cinque mesi dopo la lettera a Cadalo, nell'estate cioè del 1062,
accettando completamente il principio dell'immunità papale,
escludesse che il Papa potesse avere un giudice al di fuori di'
Dio 2111. Se i Cardinali Vescovi avessero avuto il potere di giudicare il Papa, egli lo avrebbe indubbiamente proclamato nella
parva vel magna .... , La pena di anatema, viene specificata più sotto, PL 143,
1338B-C.
Alessandro II contro gli avversari vessalori di un monastero chiede che
vescovo, magistrati civili c digna censura coerceant s le vessazioni. PL 146, 1282.
zu Thesaurus Linguae Latinae III, 803-806, s. v.
218 A. BRIO E, Censura (Peinest : DDe Ill.
170 s.
zu Vd. il detto precedentemente e N. 162.
2111 Disc. Synod.: De Lite I, 90: • damnatio papae tarn gravis et ìnexplicabilis est, ut non humano sed divino dumtaxat sit tractanda iudicio •.
86
MARIO FOIS
Disceptatio Synodalis, avocando a loro il diritto che si era arrogata l'assemblea di Basilea nell'ottobre dci 1061116, e avrebbe
protestato per aver usurpato la propria prerogativa o, almeno,
per averla trascurata.
Ma esiste una ragione lessicale, che è decisiva. Pier Damiani
non designa mai il Papa al singolare o i Papi al plurale con i
semplici termini di pontifex o pontifices senza una specìficazione. Egli usa, infatti, non meno di sette sostantivi per indicare il papa: pontijex, papa, praesul, apostolicus, antistes, episcapus, domnus. Di questi unicamente apostolicus è usato da
solo, e non sempre 211, Raramente si trova da solo papa 218,
Gli altri sono tutti accompagnati da un aggettivo che determina,
senza possibilità di equivoci, il Vescovo di Roma, oppure sono
accompagnati dal nome del papa stesso.
Con Pontifex si leggono le seguenti formule: romanus pontifex 219, universalis pontifex no, summus pontijex e sedis apostolicae pontifex 221: romani pontifices 22'2, sedis apostolicae pontifices :123,
Con Papa si trovano, invece le seguenti: romanus papa 2",
universalis papa 125, venerabilis papa ~e, beatissimus papa 227,
sanctissimus papa 228, unus papa ... in apostolico solio constitutus m: soprattutto viene accompagnato dal nome: papa Vigilius, Silverius papa, papa Gregorius, papa Lucius, Nicolaus universalis papa 230,
216 Disc. Synod.,
I.eit. FLICHE, La Ré/orme Gréllorienne I, p. 343, dove vengono citate le fonti relative.
217 Da solo:
Vita Romualdl, XXVIII (ed. TABACCO, p. 13). Ma: c Leo apostolicus Liber Gratlssimus, XXVII; De Lite I, 56. c Summae Sedis apostolicus a. Prefazio della messa di S. Gregorio I, ed. LUCCHESI, in Studi su S. Pier Damiani
p.353.
!Zll! Liber Gratissimus,
ed. eit. p. 78; Ep, III, 4; PL 144, 292; Vita Romualdi
XXVIII (ed. eit. p. 62).
Z19 Disc. Svnod.:
De Lite I, 92.
220 Op. eit., P. 78.
'221 Ep. I, 13; PL 144, 219; Opusc.
XVll;
145, 379; Opuso. XXIII,
1; c. 474.
Una volta lo leggo col nome: c Leo pontifex a, in un contesto che non lascia
dubbi. Ep. IV, 9; PL 144, 316.
222 Disc. Synod., ed. cito pp. 29; 80; 92.
223 Liber
Gomorrhianus, XII; PL 145, 172.
m s». I, 21; PL 144, 254.
2230pUSC. XIX;
PL 145, 423 e 425.
22>6 Opuso. XVll,
4; C. 386; Liber Gratissimus,
Praef.: De Ute I, 18.
.227
Liber Gratissimus, XL, ed. cito p. 74; Ep, I, 4; PL 144, 208; Vita S. Rodulphi, C. 1009.
228 s». I, l;
PL 144, c. 205 s.
2211 Ep,
IV, 9; PL 144, 313.
230 Liber
Gratissimus,
XVI, XIX, XXVII; XXVIII; ed. cit. pp. 38, 48, 56 S.:
z». I, 13; III, 4; V, 13; PL 144, 222, 292, 361 S.
I CARDINALI
VESCOVI SECONDO PIER
DAMIANI
87
Al termine Praesul viene aggiunta anche una nuova specìficazione. Oltre a romani praesules Ul si può leggere anche Romanae praesul ecclesiae IU, Antistes è usato con maggior ricchezza di specificazioni: summae sedis antistes m, Romanae
ecclesiae antistes IU, beatissimus Sedis apostolicae antistes 286,
beatissimus summae sedis antistes aae,
Meno usato il termine primigenio, che probabilmente esprime con maggiore esattezza anche il compito universale della
Chiesa romana. Anche Episcopus però viene usato con queste
precisazioni: roman us episcopus m, Romanae sedis episcopus,
urbis Romae episcopus e summae sedis episcopus :sa. In compenso questo termine è servito al Damiani per offrire la definizione più chiaramente esatta del potere primaziale del papa,
illustrata precedentemente: solus est omnium ecclesiarum universa/is episcopus aaa,
Domnus lo si legge qualche volta, unito al nome del Papa,
come Domnus Nicolaus 1.0,
Con eguale accuratezza, il Damiani, sembra distinguere,
quando talvolta le nomina, la dignità o autorità dell'ufficio papale da quella semplicemente vescovile, anche se i termini usati
per la dignità episcopale possono sorprendere, Questa infatti
vien definita pontificatus culmen; ma quella papale ecclesiastici
cui minis summa "1,
La termìnologla usata per i vescovi locali è meno ricca. Vengono usati i seguenti sostantivi: pontijex, episcopus, rector, sacerdos. Ma non tutti son sempre seguiti da specificazioni, come
quelle viste per i papi.
Pontifex e il suo plurale pontifices si trovano usati più di
una volta, senza nessun'altra determinazione, per indicare i vescovi 142, Si trova talvolta: sacri pontifices e sancii pontifices 243.
Disc. SYII.: De Lite I. p. 79 •
Ep. I, 13; PL 144, 221 •.
lUll Ep. I, 3; 5, 13; cc. 207; 209; 219; Vita Romualdi,
XXVIII (ed. cìt, p. 62).
2a. Disc. SYII., ed. ell. p. 77.
235 Liber Gratissimus, ed. cìt, p. 18.
236 Ep. I, 7; PL 144, 211.
237 e». I, 20; c. 238.
288 Vita Odilonis, c. 938 B; Vita Romualdl, VIlli
(ed. eit. p. 29).
~8e Opusc, XXXIII,
1; PL 145, 474.
2.0 Ep.
I, 7; PL 144, 211.
C141 Liber
Gratissimus,
XVIII, ed. cito p. 141. Opusc. XIX, Il; PL 145, 442.
Cfr. Ep. I, 7: c ApostoJatus culmen s t PL 144, 211.
2Ü c Pontifex
_: Liber Gratissimus,
XII; De Lite I, p. 34; Ep, I, 20, 21;
PL 144, 242, 2535. Ep. II, l; C. 257.
c Pontifices _: Llber Gratisslmus,
n, ed. eit. p. 20; Ep. Il, l; cc. 239, 242.
2'S Ep.
Il, l, c. 259; Opusc. XXXI, 7; PL 145, 540.
281
231
.
88
MARIO FOIS
Solo quando vuole indicare vescovi determinati usa l'aggettivo
indicante la rispettiva sede 244. Allo stesso modo precisa il termine episcopus, quando non raggiunge il nome personale del
vescovo2411. Al plurale, ma in senso generico, si leggono gli altri
due sostantivi indicati sopra: Ecclesiarum rectores :MS, sacerdotes e Domini sacerdotes 247. Quest'ultima terminologia sembra
preferita, quando il discorso vuole accentuare la dignità e i
compiti sacerdotali o spirituali dei vescovi, senza connotazioni
al grado gerarchico rispetto ai presbiteri.
La terminologia usata nel testo della prerogativa, dunque,
cioè pontiiices, non sembra lasciar dubbi sull'identificazione dei
membri della gerarchia che possono essere giudicati dai cardinali Vescovi. Non si tratta deiPapi, ma dei vescovi.
Resta un dubbio da risolvere. Il contesto immediato, cioè
la comparazione istituita tra il diritto del clero di qualsiasi
chiesa di pronunziare il proprio giudizio sul candidato all'episcopato e il potere dei Cardinali Vescovi di « promulgare un'autentica censura », lascerebbe capire che i pontifices siano proprio i candidati alla Cattedra di Pietro o «die werdenden
Päpste ». Ma se si soppesano bene le parole, i termini del paragone e lo scopo inteso dell'Autore, il dubbio scompare.
Lo scopo del Damiani è dimostrare l'orgoglio audace e presuntuoso di Cadalo, il quale vuole imporsi con la violenza armata ai Cardinali Vescovi, qui ... Romanum pontificem principaliter eligunt 248. Perciò mette in marcato contrasto la dignità
e i diritti di un qualsiasi clero diocesano e quelli dei Cardinali
Vescovi; ma non paragona propriamente le due funzioni rispettive nell'elezione episcopale. Da una parte infatti colloca i membri del clero inferiore, che per norma canonica hanno il diritto
di esprimere liberamente il proprio parere (iudicium) sul candidato all'episcopato, il quale è ancora solitamente sacerdos
inferioris ordinis; dall'altra, i Cardinali Vescovi, che hanno il
potere di pronunziare sentenze giudiziarie (censura) sugli stessi
Vescovi, quindi con dignità e autorità ben superiori. La violenza
244 Ep,
I, 20; c. 242: «Pontifices ... Placentinus videlicet et VerceIlinus It.
~ « Phesulanus episcopus It, Liber Gratissimus, XVIII, ed. sit. p. 41. «Mediolanensis Archiepiscopus It, Actus Mediolani; PL 145,91; «Odericus firm anus
epìscopus »: «Aurelius epìscopus s ; Ep. IV, 9, 13; PL 144, 311, 361.
246 e». IV, 9, c. 313.
2ii Opusc.
XXXI, 8; PL 145, 542; e». I, 20; IV, 9; PL 144, 256; 314. Si
vedano anche i testi citati alla N. 162. Talvolta è dato incontrare anche « praesul. - come: « Ecclesiarum praesules », Ep, IV, 9; PL 144, 314.
248 Ep. I, 20, ed. cito C. 238 D.
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
89
di Cadalo, che voleva calpestare la libertà di questi ultimi, appare così nella sua gravità eccezionale249.
Dal detto e, penso, provato fin qui, appare certo che anche
la opinione dell'Alberigo è priva di fondamento. In essa è valida
l'interpretazione di censura come sentenza giudiziaria o, meglio,
di condanna. Ma Pier Damiani non ha mai scritto che i Cardinali Vescovi avessero il potere di pronunziarla contro il Papa.
Il privilegio messo in risalto da lui è quello di giudicare i pontifices, ma non i summi pontifices. Ed è certamente una prerogativa « al di sopra della regola comune della Chiesa ». Questa
regola esisteva.
La regola comune della Chiesa.
E'risaputo, infatti, che l'organo competente per giudicare,
condannare e anche deporre i Vescovi è stato fin dal secolo III,
se non pure dalla fine del secolo precedente, il sinodo provìnciale o plenario; e, dal secolo V, anche il concilio ecumenico.
In Occidente bisogna aggiungere a questi sinodì, dopo la formazione dei regni romano-germanici, i sinodi nazionali.
La Sede Apostolica, particolarmente in Occidente, fu riconosciuta almeno come tribunale di appello, anche se le revisioni
papali delle sentenze sinodali pronunziate in cause disciplinari
non rimanessero, più di una volta, senza opposizione e contrasti non solo in Oriente 250.
249 Il potere dei Cardinali Vescovi, oltre che con le parole « promulgare s
e c censura lO, viene abbastanza chiaramente indicato sotto il profilo della competenza giuridica dalla parola «praevalent [.Cardinales episcopi]", che significa
avere il diritto, l'autorità di ... Nello stesso senso è usata nell'Opusc. XVII, 2:
Adducendo un esempio biblico [1 Sam. 2,12-34] per indicare al Papa il dovere
d'intervenire contro i vescovi nicolaiti, scrive: c Ponamus plane quod Ophni
et Phines episcopi sìnt, Heli autem metropolìtanì vicem teneat: quid ergo deterius quis potest agere, quam si luxuriosis episcopis pareat, cum emendare
praevaleat?,., PL 145, 384;A..
Non si può dire, inoltre, che il Darniani con il termine «pontifices lO intendesse i vescovi che, ormai dal 1046, divenivano papi. Stefano IX, infatti, era
abbate di Montecsasino prima di divenire papa. Né c'era una regola in merito.
Ildebrando sarà arcidiacono prima di diventare Gregorio VII. Inoltre il «principale Iudicium s da pronunzìare dai Cardinali Vescovi sull'elìgeado era « iuxta
regulam,. non c praeter communem Ecclesiae regulam s, una volta considerati
questi come metropoliti.
Quanto alla struttura del paragone tra due atti giuridici diversi, si può
Dotare che il Damiani usa la stessa struttura in un altro paragone più avanti:
c Praeterea,
si eos sacri canones haereticos notant, qui cwn Romana Ecclesia
non concordant, qua tu iudicaberis dignus esse sententia, qui sibi resistenti, et
obstinatissime reluctanti, non pastor sed tyrannus ingereris ... ? »; Ep, I, 20;
PL 144, 239. Si tratta, evidentemente, di due atti su due piani diversi.
250 Cfr. P. HINSCHlUS,
System des Katholischen Kirchenrechts IV, Berlin 1888,
pp. 764-69; 787 s.; 839; V, 1895, pp. 281-283; A. STEINWENTER, Der antike Kirchliche
MARIO FOlS
90
I sinodi provinciali, plenari e nazionali, se si prescinde dall'Oriente che fino ai primi decenni del secolo IV non sembra
seguire una norma precisa, venivano convocati di solito 261 e
presieduti rispettivamente dal metropolita, dalPrimate o dal
Patriarca ~MI. La sentenza, come pure la procedura giudiziaria,
è sinodale e non è pronunziata per autorità metropolitana, prìmaziale o patriarcale. Lo stesso deve dirsi delle sentenze pronunziate dal « Sinodo Endemusa IO di Costantinopoli, presieduto
sempre dalPatriarca, e la cui competenza si estese, non una sola
volta, al di là dei confini del patriarcato costantinopolitano NS.
La forma e autorità sinodale, o perlomeno collegiale, rimase
ancora in vigore anche dopo il Concilio ecumenico VIII (869870), che nei canoni 17°, 1~ e soprattutto 26° determinava un
rafforzamento del potere centralizzante della sede patriarcale,
la quale diveniva unico tribunale di appello competente per i
vescovi suffraganei condannati dal proprio metropolita e unico
tribunale di prima istanza per giudicare i metropoliti, escludendo cioè che un vescovo o un metropolita potesse essere giudicato dai vescovi e dai metropoliti della provincia confinante?",
Se i Cardinali Vescovi, da soli o in gruppo (il Damiani non
specifica), detenevano l'autorità di giudicare e di pronunziare
una condanna, promulgando una censura, contro i Vescovi, è
chiaro che essi godevano di una prerogativa che Primati e Patriarchi da soli, cioè senza sinodo, non possedevano.
Ma la prerogativa dei Cardinali Vescovi si spiega più chiaramente dentro la situazione della Chiesa occidentale, specialmente in questo tempo, alla quale sembra debba riferirsi più
immediatamente l'affermazione del Vescovo di Ostia che parla
di « primati» 2&5. Effettivamente nella Chiesa Occidentale, prima
Rechtsgang: Z. Savigny St. Rechtsg. Kan. Abt. 23 (1934) 1-116; spec. 29-86. H. E.
FEIND, Kirchliche Rechtsgeschichte, Köln-Graz 19644.,pp. 43 s., 220.
261
252
Qui si prescinde
Alle opere citate
Struktur
2.'3
xt-
J.
dal ruolo avuto dai laici nei concili nazionali.
nella N. 250 si aggiunga W. DB VRIES, Die Kollegiale
der Kirche in den ersten Jahrhunderten: Una Snacta 4 (1964) 296-318.
HA.JJAR,
Le Synode Permanent dans l'Eglise Byzantine des Origines au
Roma 1962, pp. 150-155; 168-171.
25. MANSI XVI, 170-173, 177-178. Cfr. anche
W. PLi:lcHL, Geschichte des Kirchenrechtes I. Wien-München 19602, 245, 335; D. STIERNON,Constantinople IV,
Histoire des Concìles Oecuménique,
Paris 1967, p. 150.
265 Cfr. HINSCHIUS, op. cìt. I, Berlin
1869, pp. 581·594. Per quanto riguarda
l'Italia due sono le chiese, ancora nel secolo XI, che si contendono il primato
dopa Roma: Milano, detta anche: «totius Lìguriae Primas It, che si vede confermato H primato in un sinodo romano del 1027 (ARNULFJ, Gesta Archiepiscoporum Mediolanensium, MGH SS VIII, p. 12. N. 70; JAm-LoowENFELD I, 517) e
.Fw.'i~!lJ1j1~ che aveva avuto il privilegio «ut inter italicas ecclesias Dei prima
past Rornanam sit It da Leone VIII (963-965) et l'ottiene di nuovo sotto Clemente Il. JAm·L. I, 4103; PL 142, 581 S. Per i Patriarchi
e Primati si veda
siècle,
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIA,NI
91
ancora della formazione delle chiese nazionali, ma soprattutto
nel secolo IX, dal pontificato di Niccolò I (858/67) in poi, si
nota la tendenza della Sede Apostolica ad avocare a sè la condanna e la deposizione dei vescovi, esautorandone i diversi sinodi ~66. La competenza esclusiva del Pontefice romano in questo campo viene energicamente riaffermata nel secolo XI dagli
esponenti della riforma dentro e fuori Roma. Il vescovo di Liegi
Vazone, quando nel maggio 1046 fu richiesto dall'imperatore
Enrico III di esprimere insieme ad altri vescovi un giudizio
sulla condotta dell'arcivescovo di Ravenna Vitgero, tradotto davanti al tribunale imperiale per infrazioni alla disciplina ecclesiastica, prima si scusò affermando di non poter giudicare, lui
c cisalpino », un vescovo italiano. Quindi, richiesto di dare il
suo giudizio in forza dell'ubbidienza dovuta all'Imperatore,
enunciò un principio generale a proposito dei vescovi, senza
limitazioni territoriali, contenente una distinzione radicale tra
il vassallo e il vescovo, che può considerarsi una prima formulazione dell'idea sottostante alla lotta dell'investitura condotta
dai riformatori. L'ubbidienza, egli afferma, i vescovi la debbono
al Sommo Pontefice; all'Imperatore sono debitori della fedeltà.
A questo essi devono rendere conto degli affari secolari, a quello
delle cose spettanti ai doveri episcopali m. Applicando questo
principio al caso di Vitgero, conclude: ideoque mea sententia
quicquit iste contra aecclesiasticum ordinem admiserit, id discutere pronuntio apostolici tantummodo interesse ~68. Nè il tribunale imperiale, nè un sinodo provinciale, secondo Vazone, potevano giudicare Vitgero, ma unicamente il Papa.
In due lettere del dicembre del 1053U9 ai vescovi africani,
Leone IX rifacendosi alla situazione dei secoli III e IV, riconosce e riafferma, contro le pretese del Vescovo di Gumis, i
studio di Horst FUHRMANN,Studien zur Geschichte mittelalterlicher
Patriarchate: Z. Sav. St. Rechtsg. Kan. Abt. 70 (1953) 131-176e spec. 71 (1954) 1-84.
l'ottimo
La parte seguente, 72 (1955) 95-183, riguarda la situazione dopo il pontificato di
Gregorio VII. Più brevemente il KEMPF, nel Handbuch der Kirchengeschichte
(ed. Jedin) III, l, Freiburg 1966, pp. 331 s. Le prerogative primaziali SODO diverse
da primate a primate. Esse furono favorite dalle Decretali Pseudoìsidorìane,
che tendono a svigorire il potere del metropolita per una istanza superiore.
Queste prerogative sono elencate dal PLÖCHL,op. eit. I, pp. 340s, e II, pp. 124S.
256 HINSCHIUS,op. cito IV, pp. 787, 839; V, 281-286.
261 ANSELMUS
ANDAGINENSIS,
Gesta Episcoporum Leodienslum, 59b; MGH SS,
VII, p. 224: c Summa ... pontifici oboedientiam, vobis autem debemus fidelitatem.
Vobis de secularibus, illi rationem reddere debemus de his, quae ad divinum
officium obtìnere videntur It.
268 Ibidem.
2l11l La prima
è del 17 dicembre. L'altra viene accennata in questa, e perciò
fu probabilmente
spedita con lo stesso corriere.
92
MARIO FOIS
diritti primaziali del vescovo di Cartagine, «primo arcivescovo
e metropolitano massimo di tutta l'Africa» 260, compresi quelli
di consacrare i nuovi vescovi e di convocare il concilio provinciale. Contemporaneamente però ne limita i diritti certamente
goduti nell'epoca antica, perchè non riconosce al vescovo cartaginese quello di convocare il concilio plenario (universale).
E inoltre non riconosce al Sinodo quello di condannare e deporre i vescovi, benchè ne ammetta la competenza d'istruire
il processo a carico dei medesimi. La « sentenza definitiva» non
può essere emanata senza previa intesa con Roma 261.
Sulla stessa linea centralizzatrice, ancor più esplicitamente,
si colloca Alessandro II in una lettera ai vescovi danesi del
1061, dove afferma: «nessun arcivescovo e nessun patriarca
può deporre canonicamente un vescovo, prima che sia stata
emanata la sentenza dalla Sede Apostolica» 262.
Questa precisa delimitazione dei poteri patriarcali, primaziali e metropolitani, preludente il Dictatus Pupae?" è da leggersi, con ogni probabilità, unicamente dentro i confini della
Chiesa occidentale, nella quale dal secolo VII due vescovi si
attribuivano il titolo di Patriarchi m. Tale limitazione costituisce
inoltre il punto di riferimento più chiaro e cronologicamente
più vicino dell'affermazione di Pier Damiani, non solo per comprovare quest'ultima, ma anche per limitarne la portata. Effettivamente la prerogativa cardinalizia in questione non parla di
deposizione dei vescovi, ma soltanto di una promulgazione o
irrogazione di censura, che veniva presupposta solitamente dalla
sentenza di deposizione, p. es. la scomunica. Ristretto in questo
modo il campo di ricerca, diviene più agevole determinare anche
la censura specifica promulgabile dai Cardinali Vescovi, oltre
alla natura stessa della prerogativa.
~ PL 143, 728. Più in là si afferma che soltanto lui riceve il pallio, c,: 730.
Leone cita esplicitamente il cap. 39 del Concil. Carth. III, del 398. MANSI III, 886.
261 Op. eit. e Il. cito
. 262 « Neminem archiepiscoporum
neque patriarcharum
episcopum posse deponere canon ice, nisi prius data fuerit sententia sedis apostolicae », JAFffi·L.,
I, 4474. .
263 Dictatus
Papae 3: «Quod llle solus [Romanus Pontifex] possit deponere
episcopos vel reconciliare lO.
26. Dal 60S, da quando
cioè Agilulfo elesse un vescovo scismatico (scisma
dei Tre Capitoli) ad Aquileia, si hanno due episcopati, quello aquileiese e quello
gradese, i cui vescovi poi si diranno patriarchi.
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
93
Il potere dei Cardinali Vescovi e i suoi limiti.
Anzitutto non può trattarsi dei poteri ricevuti da essi come
legati a late re, includenti anche quello di deporre i vescovi.
Oltre a quest'ultimo potere, assente dalla prerogativa cardinalizia, sussistono due ragioni principali contro la identificazione
di questa con poteri e prerogative dei legati. La prima è la configurazione giuridica di questi stessi poteri, che erano semplicemente delegati ad personam e ad actum, per una missione
singola o, comunque, chiaramente circoscritta. I legati agivano
unicamente ex apostolicae Sedis auctoritate, come si esprimeva
nei primi mesi del 1060lo stesso Pier Damianì a proposito della
deposizione di sei vescovi indegni da parte del suddiacono Ildebrando, inviato in Francia come legato da Vittore II 26'5. Lo
stesso concetto appare dalla lettera di Alessandro II accreditante
il medesimo Pier Damiani presso alcuni vescovi francesi nel
1063 e, già in precedenza, negli Actus Medio/ani 266. L'altra ragione è più semplice. I legati non erano scelti tra i soli Cardinali Vescovi, ma anche tra i cardinali presbiteri, tra i vescovi
non suburbicari e tra abbati 361. Conseguentemente.nè i poteri
dei legati costituivano una prerogativa inerente alla dignità del
Cardinale Vescovo, nè esclusiva del medesimo.
Una precisazione cronologica, infine, contribuisce a individuare la prerogatica e, insieme, il suo atto costitutivo. Prima
della lettera a Cadalo il Vescovo di Ostia non accenna mai a
questa prerogativa, neppure nella lettera ai Cardinali Vescovi
dell'autunno del 1057,dove viene ampiamente descritta ed esal265 Ildebrando,
ancora suddiacono, c Vietore papa apocrisiarius ad GaIIias
destinatus,
synodum congregavit, in qua videlicet sex episcopos ex apostolicae
Sedis auctoritate deposuit '" ", Opusc. XIX, 6; PL 145, 433. E' il slnodo di Lione
della primavera del 1056. Ciò risponde a quanto sarà enunziato nel Dictatus
Papae N. 4: « Quod legatus eius [Rom. Pontifìcis I omnibus episcopis praesit in
concilio, etiam inferioris gradus; et adversus eos sententiam depositionis possit
dare."
PL 145, 857B-858B. Actus Meäiotani; PL 145, 93 C-D.
261 E. AMMAN,L'Epoca feudale, in Storia della Chiesa (ed. Fliche-Martin)
VII,
Torino 1953, pp. 181-183 per quanto riguarda l'epoca precedente e l'inizio del
papato riformatore, e p. 151 per la composizione della legazione inviata a C0stantinopoli, che comprendeva oltre al card. vescovo Umberto da Silvacandida,
anche il diacono Federico di Lorena e il vescovo di Amalfi Pietro. Posteriormente
al pontificato di Leone IX fino alla morte di Pier Damiani si trovano come
legati il suddiacono Ildebrando, i cardinali presbiteri Stefano e Ugo Candido,
i! vescovo di Sion Ermenfried, gli arcivescovi Raimbaldo di ArIes e Ponzio di
Aix, I'abbate Ugo di Cluny e ancora il suddiacono e cancelliere della curia Pietro.
Vd. per tutto questo: A. FLICHE,La Réforme Grégorienne I, pp. 325; 332; Idem,
La Riforma Gregoriana e la Rlconquista Cristiana, in Storia della Chiesa VIII,
Torino 1959, pp. 50 S.; Th. SCHIEFFER,Die Päpstlichen Legaten in Frankreich,
Berlin 1935, pp. 50-80.
94
MARIO FOlS
tata la dignità dei medesimi. I poteri d'intervento riformatore
nei confronti dei presbiteri e degli aspiranti all'episcopato per
vie simoniache, descritti in essa, sono giuridicamente basati
sull'« autorità della Sede Apostolica », cioè sui poteri papali 268.
L'apparizione della prerogativa suppone, quindi, un fatto nuovo
verificatosi tra l'autunno del 1057 e il marzo del 1062. Questo
non può essere che il sinodo primaverile del 1060, dove fu concesso ai Cardinali Vescovi il potere di lanciare l'anatema, ossia
la futura scomunica maggiore, contro «l'invasore della Sede
Apostolica », senza far nessuna distinzione circa la dignità ecclesiastica di quest'ultimo. Il decreto sinodale, del resto, legittimava l'anatema lanciato da cinque dei Cardinali Vescovi, tra
i quali il Damiani, contro il vescovo di Velletri Giovanni Mencio,
« invasore» della Sede di Pietro nei primi giorni dell'aprile 1058.
Contemporaneamente lo stesso decreto del 1060 determinava coloro che avevano il potere di promulgare la scomunica comminata dal decreto sinodale del 1059 contro il papa eletto con
procedura diversa da quella stabilita in questo medesimo decreto. Esso, infatti, stabiliva anche la deposizione dell'eletto, ma
lasciava imprecisato l'organo o l'autorità che avrebbe dovuto
compierla 269. La menzione, perciò, della prerogativa da parte
del Damiani sembra, oltre al resto, un chiaro avvertimento a
Cadalo, vescovo di Parma, che invadeva more praedonis la Chiesa romana 270.
Un tale potere di scomunicare anche i vescovi, almeno nella
circostanza eccezionale ipotizzata dal sinodo romano del 1060,
sembra il contenuto più probabile della seconda prerogativa
dei Cardinali Vescovi. La quale, insieme a quella di costituire
essi il consiglio del papa nel governo della Chiesa universale,
li collocava, nelle valutazioni del Damiani, al di sopra dei Primati e dei Patriarchi 171.
Ep. II, 1; PL 144, 258; cfr. il già detto aIle pagine precedenti.
Il decreto sinodale del 1059 non precisava l'organo competente, che doveva agire. MGH Constitutiones I, 540. N. 9. Da notare inoltre, che neIla scomunica della notte tra il 4 e il 5 aprile si aveva forse una interpretazione della
scomunica ferendae sententiae comminata contro gli elettori del papa in assenza
di Ildebrando, oppure un potere concesso da hoc dal papa. Nel sìnodo, però, si
stabilisce una regola generale.
210 Ep. I, 20; PL 144, 239D. Adesso, però, c'è un papa
legittimo, secondo
il Darnianl, che certamente può scomunicare Cadalo.
%11 Ouesta valutazione
deIla superiorità gerarchica dei Cardinali Vescovi sui
patriarchi si rafforzò, probabilmente, negli anni seguenti. Un indizio può essere
visto dal Liber Pontiiicalis (II, Paris 1955, p. 321) che elenca in quest'ordine i
partecipanti al Sinodo romano del 1116: 5 Cardinali vescovi, 1 Patriarca (c Venetus .), 13 arcivescovi, più di cento vescovi, cardinali presbiteri e cardinali
diaconi. Non si può prendere in ,considerazione il Sinodo di Benevento del 1059.
:MS
269
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
9S
Meno probabile appare un possibile suggerimento, che potrebbe derivare dalla Descriptio Sanctuarii Lateranesis ecclesiae, che ascrive sia ai Cardinali Vescovi sia ai 28 cardinali presbiteri «la potestà di giudicare tutti i vescovi dell'Impero romano nei concili o sinodi ai quali siano stati convocatì s 21:1,
Il documento, infatti, èposteriore di almeno undici anni, se non
pure di mezzo secolo 273, rispetto alla lettera del Damìanì a
Cadalo; suppone un processo sinodale e conseguentemente anche una sentenza sinodale; infine il potere di giudicare i vescovi non è una prerogativa esclusiva dei soli Cardinali Vescovi,
essendo attribuito anche ai cardinali presbiteri 21.,
Ora, dopo quanto s'è visto, può anche risultare chiara la
posizione attribuita dal Damiani ai Cardinali Vescovi, dopo i
decreti sinodali del 1059e del 1060,nella scala gerarchica delle
strutture ecèlesiastiche. Essa si trova, ma soltanto per le due
prerogative analizzate, al di sopra dei Patriarchi e dei Primati
e, quindi, ancor più al di sopra di tutti gli altri vescovi. Ma
è certamente al di sotto di quella papale,
Durante la vacanza della Sede Apostolica possono lanciare
l'anatema anche sui vescovi, cioè esercitare un potere riservato
in Occidente al Papa, perfino fuori del sinodo ~m,Ma quando
è presente il successore di Pietro, detentore dei pieni poteri
primaziali sulla Chiesa universale, essi sono soltanto i suoi consiglieri qualificati, i cc custodi della sede apostolica» 276, Possono
(MANSI XIX, 921-23) come fa il Sägmüller (Cardiniite P. 195, N. I), perchè, se è
vero che nella sottoscrizione Umberto da Silvacandida segue immediatamente
Niccolò II e precede gli Arcivescovi di Salerno e di Napoli, è vero anche che
il Card. Vescovo Bonifacio di Albano firma dopo questi due.
212 I sette Cardinali Vescovi e .j ventotto
presbiteri «potestatem obtinent
iudicium faciendi super omnes episcopos totius Romani imperii .ìn omnibus
conciJiis vel synodis quibuscumque accersiti vel praesentes fuerint.» Cod. Vat.
reg. 712, f. 87 r. Trascr. di KLEWITZ, Die Entstehung p. 20, N. 33.
273 Vd. KLEWITZ, 1. cito
27. Si potrebbe
pensare che la Descriptio attribuisca anche ai cardinau
presbiteri quanto prima era esclusivo privilegio dei cardinali vescovi. Ma per
comprovare questa ipotesi mancano documenti che indichino questo potere
esclusivo dei Cardinali Vescovi al di fuori delle legazioni; inoltre manca un
documento estendente ai card. presbiteri il privìlegìo dei Card. Vescovi o,
almeno, la prova di una tendenza presbiterista della Descriptio.
::IU La concessione fatta ai cardinali vescovi nel 1060 non si può interpretare
esercitabile durante la vita del Papa legittimo, ma soltanto durante la vacanza
della Sede Apostolìca, com'era capitato precisamente per i fatti dei primi giorni
d'aprile del 1058, che sono all'origine del decreto. Durante la sede plena è il
Papa stesso che scomunica sia i vescovi, sia i creatori dello scisma come capiterà con Enrico IV nel 1080. Viberto di Ravenna era già stato scomunicato
nel 1078.
27~ Vd. più avanti
il valore da dare all'espressione "custodi della sede
apostolica It.
MARIO FOlS
96
esercitare anche i suoi poteri specifici, ma unicamente ex apostolicae sedis auctoritate, cioè per delega papale, nelle legazioni.
Che i Cardinali Vescovi siano considerati dal Damiani ausiliari del papa soprattutto nell'azione riformatrice e non compartecipi dei suoi poteri primaziali, viene confermato dalle lettere del medesimo, posteriori ai decreti sinodali del 1059/1060
e alla lettera a Cadalo del 1062.
Custodi della Sede Apostolica e Senatori della Chiesa universale.
A Milano, verso la fine del 1059, il primo dei Cardinali Vescovi agisce come legato te del beatissimo papa Niccolò. 271. E
ne mantiene la piena coscienza anche quando detta la relazione
dei fatti per l'arcidiacono Ildebrando. Dentro i limiti dei poteri,
egli, insieme ad Anselmo di Lucca, aveva riconciliato gli « eretici. simoniaci e nicolaiti, dopo aver ricevuto chiari e concreti
segni di conversione dall'arcivescovo Guido e dal clero: la professione di fede contenente la condanna delle due eresie, i gìuramentì scritti e orali con l'impegno di combatterle ed estirparle,
l'accettazione della penitenza imposta. Egli però, mentre scrive
al suo amico, non conosce ancora il giudizio della « Sede apostolica » sul suo operato, se questa lo approva o meno ~8. Conosce benissimo, infatti, l'opinione di Umberto da Silvacandida
sulle ordinazioni simoniache. Egli a Milano ha seguito la propria
opinione esposta nel Liber Gratissimus. Pur limitando il reinserimento nel ministero attivo ai chierici «istruiti, casti e saggi., riconcilia però gli ordinati simoniacamente (la quasi totalità) senza riordinarli, ed enumera le decisioni autentiche di
Papi, di vescovi e di sinodi alle quali ha conformato la propria
decisione ll7l1. Tuttavia non esclude di aver sbagliato. Perciò, come
farà qualche anno più tardi, dopo il decreto sinodale del 1060
circa le ordinazioni simoniache, per il Liber Gratissimus 280, si
rimette « volentieri al magistero di Pietro, per una correzione,
senza paventare l'umiliazione di ritrattarsi ». Benchè senta di
aver agito, nella riconciliazione del clero milanese, con una prudenza realistica, tuttavia riconosce alla sede apostolica, cioè
211
Actus Mediolani; PL 145, 93.
Op. cit.; cc. 94-98.
Op. cìt .• cc. 93 s. Questo fatto conferma la data dell'autunno del 1059
della legazione milanese. Difficilmente avrebbe riconciliato tutti gli ordinati
simoniacamente dopo il decreto dellaprimavera
del 1060. Egli, a Milano, appare
tergiversante. Ma non esiste un accenno al decreto, come lo farà nell'aggiunta
al Liber Gratlssimus cap. XLI: De Lite I, p. 75.
280 Llber Graiissimus, l. c. Cfr. DRESSLER,
Petrus Damianl, p. 135. N. 232.
278
271
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
97
al Papa, il diritto di rivedere il suo operato e di emettere una
sentenza di approvazione o di condanna 281.
Al di fuori delle legazioni, che continueranno fino alla fine
della vita, il suo compito resta quello descritto nella lettera ai
cardinali vescovi nell'autunno del 1057: vedere, osservare come
« occhio» del Papa soprattutto il disordine imperversante nella
Chiesa, per contribuire con la sua parola predicata o scritta a
estirparli e particolarmente per denunciarli a colui che detiene
il potere di porvi un rimedio efficace282. In forza di questo com.
pito egli prima scrive ai cappellani del duca Goffredo, per correggere le loro idee sul matrimonio dei preti e sulle loro distinzioni circa la simonia. Più tardi, dopo un colloquio con i medesimi, chiede l'intervento decisivo di Alessandro II, per condannare la nuova formulazione dell'eresia simoniaca 288. La coscienza della stessa missione rivela la missiva allo stesso Pontefice dell'aprile 1063, che sollecita a eliminare i disordini descritti, «pochi tra i moltissimi », appunto perchè proprio lui
c principalmente detiene il diritto di correggerli» su.
281 Actus Mediolani:
« Ecce discretionis
ìlllus ordinem apud Mediolanensem
urbem habitum breviter exposuimus; adhuc tarnen, utrum sedis apostolicae
iudicio placeat, ignoravimus. Nos enìm, si quid erravimus, ad Petri magisterium
corrìgendi libenter accedimus, et retractationis
opprobrium
non veremur ..,
Utrum autem ego in reconciIiatione illorum erraverìm, nescio .•. Apostolica
tarnen Sedes haec apud se retractanda
discutiat: et utrum puncto an lima
dlgna sint, ex auctoritatis suae censura decernat It, PL 145, 93 c-D,
2U V. il già detto
precedentemente alle pp. 65-68; cfr. pp. 59-62.
288 Le ragioni che mi fanno considerare
la lettera al Papa circa le idee dei
cappellani del Duca Goffredo (Ep. I, 13) posteriore a quella sul medesimo argomento inviata agli stessi cappellani (Ep. V, 13) sono queste: 1) nella lettera
al Papa parla di un colloquio avuto con i cappellani, che non viene menzionato
nella missiva ai medesimi; 2) la questione sulla simonia è molto più precisata
nella lettera al Papa. Molto probabilmente le idee furono chiarite proprio nel
colloquio avuto con i medesimi.
::Is. Ep, I, 15: « •••num ego debeo praesumptìonis
argui, qui pauca de plurìmis ei potissimum, qui ius corrigendi prìncipaliter possidet, intimavi? Meum
Itaque fuit sacris auribus haec utumque suggerere; tuum est prout facultas
attulerit, coercere; PL 144, 235. Questa coscienza è tanto più rimarchevole, in
quanto il Damiani con il consenso del Papa ha già lasciato, a questo tempo,
l'amministrazione
dell'episcopato di Ostia (nella stessa lettere, c. 225s), pur
rimanendone il titolare (cfr. KLEWITZ,Die Entstehung ••• p. 115 e specialmente
DRESSLER,
Petrus Damiani, pp. 168s.). Egli rimane il primo dei cardinali vescovi,
l'autorità maggiore dopo il papa, come risulta dalle lettere credenziali di Alessandro II per la legazione a Clunv (PL 145, 857), che sono della primavera
del 1063, posteriori però a questa lettera che è dell'inizio d'aprile. La Legazione
In Francia arriva dopo il sinodo pasquale dello stesso anno (la Pasqua cadde
il 20 aprile), al quale intervenne il Damìani, Cfr. DRESSLER,
Petrus Damiani p. 154.
7
98
cc
Apostolicae Sedis Aeditui
MARIO FOlS
».
Dall'estate del 1059, inoltre, appare sotto la sua penna un
compito non menzionato precedentemente negli scritti riguardanti i Cardinali Vescovi, quello di «custodi della Sede Apostolica s e, quindi, di costudi del Papa. La prima volta che vi
accenna parla di un ufficio, di un dovere: in eius [Papael debemus vigilare custodia 2&5. Alcuni anni più tardi, verso la fine
del 1063, definisce i Cardinali: Apostolicae Sedis Aeditui. La
stessa definizione si legge nel Contra Philargyriam, scritto molto
probabilmente cinque anni dopo 288.
E'difficile stabilire con precisione il contenuto di questo
ufficio. Se ci si ferma al contesto della lettera indirizzata a Niccolò II a proposito della scomunica degli Anconitani, dove il
mittente, richiamando l'attenzione del Papa sulla pena per lui
troppo grave, gli chiede di consigliarsi con Ildebrando e con
i Cardinali Vescovi di Silvacandida e di Albano, si può coneludere con verosimiglianza al compito di consiglieri e di assistenti del Papa negli atti pontificali 287. Non sarebbe che la prima
delle prerogative messe sotto gli occhi di Cadalo, in virtù delle
quali i Cardinali Vescovi si troverebbero al di sopra dei Primati
e dei Patriarchi 288.
L'altra qualifica, letta nel proprio contesto, sembra suggerire qualche cosa di più. E' possibile, se si vuole, un riferimento
alla pseudo-decretale di Lucio I (253-254),che menziona un presunto statuto della Sede romana esigente la presenza di due
presbiteri o di tre diaconi dovunque il Vescovo si rechi, propter
testimonium ecclesiasticum, per evitare cioè accuse calunniose 289. A questa prescrizione si riferiranno, polemicamente, decine di anni più tardi il card. presbitero Benno e il card. dia285 Ep. I, 7; PL 144, 211. Forse
da questo ufficio non viene escluso Ildebrando nominato più sotto sempre in relazione a questo compito, prima dei
Cardinali Vescovi Umberto e Bonifacio.
286 Opusc. XVIII,
2: « Nos plane, quilibet nimirum sedis apostolicae aeditw,
hoc per omnes publicas concionamur Ecclesìas, ut nemo missas a presbytero,
non Evangelium a diacono, non Epistolam a subdiacono prorsus audìat, quos
misceri feminis non ìgnorat s, PL 145, 400. Cioè, predicano le decisioni sinodaIi
di Niccolò II. Synodica Generalis MGH, Constitutiones I, p. 547.
Opusc. XXXI: PL 145, 510. Penso che l'opuscolo debba essere datato dopo
la legazione cluniacense, quando egli crede ormai di non combattere più c Sed
ecce, cum militari cìngulo sim solutus, et in municipii pace compositus,
libet
iam docere quod dìdici s, o. c. 531. - Perciò inclinerei a datare lo scritto verso
il 1068. Cfr. DRESSLER, op. cit., p. 170.
287 Vd. il detto in precedenza
a p. 67 circa la scomunica degli anconitani.
288 Vd. il detto precedentemente
a p. 78 s.
Z81I HINSCHIUS
P., Decretales Pseudo-Isidorianae, Lìpsìa 1863, p. 175.
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
99
cono Ugo 29(). Ma è poco probabile che vi si riferisse il Damiani,
che non ha molta familiarità con le Decretali Pseudoisidoriane 291. La definizione stessa, Apostolicae Sedis Aeditui, indica
molto più della prescrizione accennata.
Nella prima lettera, infatti, essa è collegata con la promulgazione presso i fedeli delle diverse chiese del decreto sinodale
del 1059,che proibiva l'assistenza alla Messa celebrata dal clero
concubinario. Nel secondo scritto, invece, viene rapportata con
l'attività apostolica che i Cardinali Vescovi dovrebbero svolgere a imitazione dell'attività politica e militare di conquista
dispiegata dai Senatori e dai Consoli dell'antica Roma, come
subito si vedrà. La definizione stessa, inoltre, sembra suggerire
l'ufficio degli stessi Cardinali durante la Sede vacante.
Probabilmente, quindi, la definizione «custodi della Sede
Apostolica» riassume i compiti e le prerogative dei Cardinali
Vescovi, specificati soprattuto con i decreti sinodali del 1059 e
dell'anno seguente, da espletare sia durante la vacanza della Sede
Apostolica che durante la vita del Papa, non escluso il dovere
di rilevare abusi e deviazioni o prassi poco consone alla giustizia nella stessa curia romana, come la comminazione troppo
frequente dell'anatema nelle decretali pontificie e la tendenza
a voler impedire il ricorso al Papa di chierici e laici contro
il proprio vescovo, che il Damiani chiede di correggere in una
lettera ad Alessandro II poseriore al 1065292,
«Spiritales
universalis ecclesiae senatores
»•
. Nel Contra Philargyriam accanto alla definizione di «custodi della Sede Apostolica» se ne legge un'altra, non sempre interpretata esattamente dagli studiosi: sipiritales ... universalis
Ecclesiae senatores.
Avulsa dallo scopo e dallo spirito dello scritto, messa in
rapporto generico e acritico con il Constitutum Constantini, questa definizione venne letta come un'affermazione di una struttura ecclesiastica (Cardinali-Papa) modellata sull'antico senato
romano e su i suoi rapporti con l'Imperatore 293. Oppure si vide
in essa un significato dottrinale e canonico, che il contesto im290 BENO, Gesta Romanae Ecclesiae I, 2; De Lite I, 370; UGO DIACONO. Epistola a Matilde; ibid. p. 418.
291 Cfr. RYAN, St. Peter Damlani
pp. 152; 156-57 e le Tavole I e II.
e».
292
I, 12;
293 SÄGMÜLLER,
PL 144, 514-518.
Cardinale p. 160. Più cautamente
dinalis. The History of Canonical Concept; Traditio
si esprime il KUTrNER, Car3 (1945) 174.
100
MARIO FOIS
mediato chiaramente ignora, anzi esclude 294. Una ìnterpretazione scientificamente più precisa deve tener conto dello scopo
generale della lettera e soprattutto del contesto immediato, che
specifica inequivocabilmente il senso della definizione.
Si tratta di una lettera indirizzata dal Damiani ai Cardinali
Vescovi, impegnati «unanimamente» «nella guerra condotta
dalla Sede Apostolica; nella quale ..., anch'egli combattente », si
era battuto. Adesso, « deposto il cingolo militare e vivendo nella
pace », pensa di poter almeno insegnare agli altri la tattica imparata dall'esperienza diretta 295. E' una specie di testamentomemoriale diretto a coloro che sono ancora impegnati nella riforma della Chiesa, per esortarli a vigilare con attenzione più
assidua sull'avversario più pericoloso: l'avarizia o cupidigia
delle ricchezze 296. Il Damiani sembra individuare in questo vizio
un pericolo non illusorio anche per i Cardinali Vescovi, come
per gli altri vescovi; un vizio che potrebbe far cadere nella
simonia e che ha come movente il lusso della vita: casa vesti
tavola 297. L'aspirazione, il programma e l'attività dei vescovi,
e soprattutto deiCardinali Vescovi, possono soltanto esplicarsi
nelle conquiste spìrìtualì, nello strappare le anime a Satana sottomettendole all'impero di Cristo, non nell'accumulo di ricchezze. Dentro questo contesto apostolico, che occupa l'ultima parte
della lettera, è inserita la definizione dei Cardinali Vescovi come
c senatori spirituali della chiesa universale» 298.
Per una più sicura comprensione della definizione è utile
osservare che il Damiani è ricorso all'istituzione senatorìale, o
almeno al termine senatus, non meno di cinque volte per indicare il gruppo dei Dodici Apostoli. Due volte per qualificarne
Pietro da solo come il Princeps e una volta insieme con Paolo 299; una volta per prendere il « senato apostolico» come modello del collegio dei vescovi sufIraganei dipendenti dalla sede
ALBERIGO,
op. cito P. 42.
Opusc. XXXI; PL 145, cc. 53Q..531.
2116 Op. cit., C. 531.
291 Op. cito capp, III-VI;
ed. cito cc. 533-540; e cap. VII, c. 542.
298 Op. cìt, capp, VII-VIII;
cc. 540-542.In sintesi il pensiero del Ritormatore
si può leggere in queste frasi: « Vos, inquarn, o sancti Pontifices, vos potissimum
huiusmodi [fideles atque devoti] debetis esse praedones ; qui quotidie desudetis
animas horninum de rnanibus reprobì possessorìs erìpere, et triumphales regi
vestro David manubias reportare It, c. S40D. Più in là: « Nostrae divitiae, nosterque thesaurus lucra sint anìmarurn, et in arca nostri pectoris pretiosa recondantur talenta virtu turn It, C. 242 B.
:299 Sermo VI: PL 144, 535 B; Carmen XLIII
e LXXIV: PL 145, 933 Ci 941 C.
Per l'autenticità di questi due scritti vd. LUOCHESI, Clavis Petri Damiani Pp. 294;
335. Inoltre, Dlscept, Synod.: De Lite I, p. 83 « ... Petrus et Paulus in apostolici
senatus culmine possident prìncipatum s,
294
:19&
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
101
di Ravenna 800, e una volta infine per qualificare assolutamente
lo stesso collegio apostolico SOl. Evidentemente in questi casi non
appare nessun riferimento al Constitutum Constantini, nè visioni imperialistìche, del resto assenti anche altrove dalla concezione ecclesiale damianea. Anche il «collegio» «venerando e
mistico dei santi vescovi» della Chiesa ravennate, immagine del
«senato apostolico », vuole rilevare semplicemente la funzione
consiliare e di saggezza dottrinale del medesimo, dal quale attende un giudizio sul suo Liber Gratissimus.
Ma nella lettera ai Cardinali Vescovi del 1067/68 il Monaco
avellanese si riferisce direttamente al senato romano. La rievocazione, però, non è fatta per definire la posizione istituzionale
dei Cardinali Vescovi dentro la Chiesa Romana e quindi dentro
la Chiesa universale. Ne è richiamata unicamente una particolare funzione; e, come a complemento della medesima, viene
evocata anche la funzione militare dei consoli romani. Basta
riportare il testa per rendersene conto.
Nunc praeterea Romana Ecclesia, quae sedes est apostolorum, antiquam debet imitari curiam Romanorum. Sicut enim tunc terrenus ille
senatus ad hoc communicabant omne consilium, in hoc dirigebant et
subtiliter exercebant communis industriae studium, ut cunctarum gentium
multitudo Romano subderetur imperio 8(}2; ita nunc apostolicae sedis aeditui, qui spiritales sunt universalis Ecclesiae senatores, huìc soli studio
debent solerter insistere, ut hum anum genus veri imperatoris Christi valeant legimus subiugare. Et sicut tunc Romanorum consules ex diversis
mundi partibus reportabant, peracta hostium caede, victorias; sic isti
nunc animas hominum de manu diaboli debent liberare captivas; videlicet
ut antiquo praedoni animarum pereuntium manubias rapere, et regi suo
Christo signa valeant vitricia reportare 8OO.
Il pensiero voluto comunicare dal Damiani è limpido. Il senato e i consoli romani non vengono evocati da lui per l'autorità legislativa detenuta dal primo e per i rapporti istituzionali
4100 Liber Gratissimus,
LXI; De Lite I, p. 74. Nella Chiesa antica si trova
già una qualifica analoga. Origene aveva comparate il « presbiterio IO alla « boulé IO
delle città greche, cioè al senato cittadino. Contra Cetsum, 3,30; GCS 2, 227.
Dopo di Lui, nella Chiesa latina, iI presbitero Gerolamo ripete la stessa comparazione: «Et nos habemus in ecclesia senatum nostrum, coetum presbyterorum It; In Isaian, II, 3; PL 24, 61.
BOI Carmen CXLlV;
PL 145, 961B. Per l'autenticità cfr. LUCCHESI,
op. cito
p. 339.
.... sìntetìzza m questi. termim
. • I'1 pensiero
.
d el Darruam:
.•
_ L'Albengo
« ...n-.
prendendo motivi cari alla donazione di Costantino, il monaco avellanese scrive
che la chiesa romana deve imitare l'antica curia. E come il centro di quella
era il senato' ita nunc ..• 'IO, op. cito p. 42. sos Op. cit., C. 540.
102
MARIO
FOIS
con l'autorità imperiale 30\ neppure per !'imperium, caratteristico della magistratura consolare. Anche se l'una e l'altro possono, assolutamente, considerarsi sottintesi, essi rimangono senza nessuna incidenza sull'idea fondamentale espressa dall'autore. Ciò che viene messo in chiara evidenza come modello per
la Chiesa Romana, in particolare per gli apostolicae sedis aeditui, è l'attività programmatrice orientata all'espansione del
dominio romano attribuita al senato, e l'attività di conquista
.mìlitare dei consoli. I Cardinali Vescovi devono imitare i primi,
creando con diligente impegno i piani apostolici della conquista
del mondo a Cristo e, inoltre, devono imitare i secondi, battendosi per liberare le anime dalle mani dell'« antico predone »,
Satana, e riportarle a Cristo.
Le considerazioni seguenti del memoriale damianeo, imperniate sulla conquista della città ammonita di Rabbath da parte
di David 305 interpretata spiritualisticamente, insistono su questo
impegno fondamentale di apostolato, integrato dal dovere della
predicazione, per consolidare nella fede i convertiti. Sono questi
i trionfi agognabili dai «santi pontefici », dai Cardinali Vescovi 306.
.
Nel quadro di questa visione apostolica ogni riferimento al
Constitutum Constantini, dove si attribuisce ai chierici il rango
della classe senatoriale, dichiarandoli «patrizi e consoli It 301,
sembra piuttosto labile. Certamente il Damiani conosceva il falso
clericale dell'VIII secolo, almeno nelle sue disposizioni circa il
primato romano 308. Ma che vi si riferisca nello scritto in queStl4 II Damiani sembra
riferirsi più all'epoca repubblicana che a quella imperiale. La guerra, durante il principato, era condotta dall'Imperatore,
solitamente. Non bisogna, perciò, lasciarsi fuorviare dall'c Imperatore Cristo lt che
viene in parallelo piuttosto con 1'- impero (dominio) romano lO che con l'Imperatore.
305
Z Sam.
12, 29-31.
OP. cito cc. 240 S. Vd. testi alla N. 298.
J07 Ed ecco il testo del Constitutum
Constantini: c Viris etiam reverendìssimis cJerieis diversis ordinibus eidern sacrosanctae Romanae ecc1esiae servientibus
iJlud culmen, singularitatem, potentiam et preceIlentiam habere sancimus, cuius
amplissimus noster senatus videtur gloria adornari, id est patricios atque consules elfici, nee non et ceteris dignitatibus imperialibus eos promulgantes decorari ... It, ed. P. CIPROITI,Il Constitutum Constantini, Milano 1966, p. 19. Come
è facile capire, secondo il falsario Costantino concede ai chierici della chiesa
romana dignità e titoli civili dell'impero, ma non stabilisce nè dignità nè gradi
gerarchici, modellati su quelli civili, nelle strutture ecclesiastiche. Ciò rimane
valido, anche se si voglia mettere in relaizone questi titoli con la dignità imperiale concessa dal Constitutum al Papa. Chiaramente, invece, si riferirà a questo
punto del Constitutum Deusdedit: - Inde Rl omani l clerici locum antiquorum
habent patriciorum It. E' il breviculus che si riferisce al punto del Constitutum
che viene trascritto (L. 1111, 1). GLANVELL, p. 17 e 399.
308 Discept.
Synod.: De Lite I, p. BO.
306
I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
103
stione, con l'intento di attribuire ai Cardinali Vescovi una singolare posizione istituzionale sul piano dell'autorità dentro la
Chiesa romana, capo di tutte le Chiese, e nei propri rapporti
ecclesiali o ecclesiastici con il Papa è ancora da provare. Effettivamente la funzione attribuita ad essi nel formidabile compito della Chiesa Romana di «restaurazione della salvezza» e
della « disciplina ecclesiastica », che s'è visto più sopra, è quello
stesso descritto da circa dieci anni nella prima lettera del Damiani ai Cardinali Vescovi: vedere le riforme da compiere, essere di esempio luminoso, annunziare la parola di vita ai popoli
con la predicazione e la santità della condotta 3011. Era una funzione di consiglio del Papa e di esecuzione dei piani di riforma,
viste nella dimensione spirituale della lotta instaurata da Cristo
contro il dominio di Satana per la costruzione del Regno di Dio.
n compito additato ai Cardinali Vescovi nel 1057 era ricordato ancora nel 1063 a Cuniberto di Torino 810, quindi ribadito
ai suoi colleghi verso il 1068, con immutata coerenza e senza
ambizioni di potere.
Ormai, però, è tempo di trarre le conclusioni da queste
analisi.
Conclusioni
La Romana Ecclesia nel pensiero ecclesiologico di Pier Damiani assume due significati. n primo, che si legge però raramente, è quello di chiesa-comunità. Esso appare quando vengono elencati i diversi ceti ecclesiali (Cardinali Vescovi, Senato,
clero inferiore, popolo), che in misura giuridicamente diseguale
per importanza concorrono all'elezione del proprio Vescovo, che
è il successore di Pietro.
n secondo è quello che s'identifica con « Sede Apostolica »
o « Sede di Pietro » e indica sempre la Chiesa romana nella sua
posizione privilegiata o primaziale dentro la Chiesa universale,
come «capo », «madre» e « maestra» di tutte le altre chiese
locali, senza esclusioni. Definisce, cioè, la Chiesa romana nei
suoi rapporti o storico-ecclesiali o ecclesiali-giurisdizionali con
le altre chiese cristiane e talvolta anche con l'autorità civile
dentro la Cristianitas 811.
809 Ep. II, l;
PL 144, 256.
no Opusc. XVIII, 2; PL 145, 400. Il testo è alla N. 286.
311 Solo una volta c Romana
Ecclesia It identificata con «Apostolica Sedes It
connota l'autenticità della medesima in quanto impersonata dal Papa legittimo
e dai suoi collaboratori.
104
MARIO FOIS
Sotto quest'ultimo profilo la realtà della Chiesa romana è
vista dall'Avellanese su due dimensioni ugualmente ecclesiali:
una visibile, l'altra invisibile. Nella sua dimensione visibile, sìmboJizzata della Basilica Lateranese, essa è il «fondainento
della Chiesa universale in quanto comunità di salvezza, ne è il
« capo» o guida, il centro dinamico dell'unità visibile e il centro vitale, dal quale deve procedere l'impulso decisivo per il
rinnovamento della vita cristiana, ossia dell'azione salvifica affidata da Cristo alla Chiesa.
La «Chiesa romana» o « Sede Apostolica » considerata su
questa dimensione visibile, dal punto di vista dei poteri primaziali sia magisteriali che disciplìnari, s'identifica con il proprio
Vescovo, il successo di Pietro e « Vicario di Cristo ». Il Pontefice romano è l'unico detentore di questi poteri e, perciò, anche
il responsabile principale e decisivo della riforma.
La dimensione invisibile è costituita dalla realtà mistica
della stessa Chiesa romana.Cristo medesimo la presiede, mantenendone autentiche e pure la fede e la disciplina o la regula
e la rectitudinis linea cristiane, a norma delle quali tutto dev'essere riformato e modellato. Inoltre da essa Cristo, come « PontefIce Sommo e «unico sacerdote It, opera l'unità profonda
di tutte le chiese locali, di tutti i cristiani, nel «mistero» deIl'unitas, cioè della communio ecclesiale.
Questa duplice dimensione della realtà ecclesiale romana
comporta anche due «sommi pontefici ». Uno, Cristo, al di
sopra della struttura ecclesiale visibile della Chiesa derivante
dal « privilegio di Pietro; l'altro, il Papa, essenzialmente legato
a questo « prìvilegio e alla struttura derivantene, in forza del
quale è «il solo vescovo universale di tutte le chiese ».
Inseriti in questa struttura visibile fondata sul « privilegio »
petri no appaiono i compiti e le prerogative dei Cardinali Vescovi. I quali, pur non costituendo parte essenziale o integrale
della Romana Ecclesia in quanto « Sede Apostolica o soggetto
dei poteri primaziali, possono per delega partecipare a questi
stessi poteri o cc potere delle chiavi It, per l'attuazione della riforma. Senza delega, e soltanto durante la sede vacante, forse come
cc custodi della Sede Apostolica It, detengono un diritto riservato
ai sinodi almeno provinciali e, in Occidente, al solo Papa : quello
di giudicare e condannare i vescovi. Al di fuori di queste prerogative, essi sono i collaboratori più immediati e qualificati
del Papa, i consiglieri per il governo della Chiesa universale e
in particolare per la riforma.
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I CARDINALI VESCOVI SECONDO PIER DAMIANI
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Nell'ambito più ristretto della propria diocesi essi godono
evidentemente dei normali poteri episcopali sui fedeli e sui presbiteri, che dal Damiani sono prospettati in rapporto all'attuazione della riforma. Conseguentemente emergono nel pensiero
del Damiani quasi due sfere e due livelli di autorità dei Cardinali Vescovi. Un livello tipicamente episcopale, a sfera ben definita e circoscritta. Un livello cardinalizio, per così dire, a sfera
universale, implicante poteri primaziali delegati dal papa e poteri particolari per casi straordinari, ma non improbabili a quel
tempo, durante la sede vacante. Sono questi ultimi soprattutto,
che collocano i Cardinali Vescovi al di sopra dei Primati e dei
Patriarchi e li rivelano come l'autorità più alta nella Chiesa
quando la Sede Apostolica è priva del suo titolare.
Non appare mai, invece, nel Damiani la coscienza, e molto
meno l'affermazione, del diritto divino del cardinalato; e ancor
meno, la partecipazione al ti potere delle chiavi» derivata immediatamente da Cristo o in virtù della propria dignità. Non esiste, perciò, nel suo pensiero la concezione di una Romana Ecclesia, in quanto soggetto dei poteri primaziali su tutta la Chiesa,
essenzialmente articolata e costituita dal Papa e dai Cardinali
uniti nella communio.
Emerge, al contrario, insistente e accentuata la coscienza
di un dovere urgente: la partecipazione dei Cardinali Vescovi,
con la parola la testimonianza della vita e l'esercizio dei poteri
ricevuti, alla grande «battaglia della Sede Apostolica ».
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