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ASSICURAZIONI
DAL 1937
IN QUESTO NUMERO
anno decimo
numero venticinque
maggio 2008
Per una memoria condivisa
Un filo rosso collega fra loro alcuni
dei testi ospitati in questo numero
di Altrestorie: è la storia dell’emigrazione e del faticoso rapporto
degli immigrati con il paese ospite.
Ovunque la difficoltà dell’inserimento in una nuova realtà origina
spesso il rifiuto e la negazione
delle reciproche storie. Si comprende allora come il tema della
condivisione delle memorie non
rappresenti solo un valore civile
e strumento di crescita culturale
per qualsiasi comunità; è passaggio fondamentale per favorire il
funzionamento di quella società
multietnica verso la quale spinge
inesorabilmente il processo di
globalizzazione in atto. Le vicende
e le esperienze presentate muovono in questa direzione e offrono
testimonianza di come praticare
concretamente i valori della convivenza.
“Guardare il mondo con
occhi diversi” intervista con
Ermete Zandonai
di Paolo Piffer
“Sarebbe bello ma non è
facile”: intervista con Altin
Braka
di Paolo Piffer
Vite che scorrono accanto
Sinti e zingari
di Elena Andreotti
«Finestre Aperte per Giovani
Creativi»: un progetto al
Centro Astalli
Cesare Battisti o come si
porta un uomo alla morte
di Massimo Parolini
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Trento - Periodico quadrimestrale registrato dal Tribunale di
Trento il 9.5.2002, n. 1132. Direttore responsabile: Sergio Benvenuti - Distribuzione gratuita - Taxe perçue - ISSN 1720 - 6812
CONTIENE I.P.
2
“Guardare il mondo
con occhi diversi”
intervista con
Ermete Zandonai
di Paolo Piffer
Ha fatto parte della seconda ondata dell’emigrazione trentina in
Cile, nella regione di
Coquimbo, nei primi
anni cinquanta. E il
suo nucleo familiare
era il più numeroso.
Madre, padre e tredici
fratelli (4 femmine e 9 maschi).
A 21 anni, poco prima di
partire, si era sposato. Sedici
persone in tutto. Ermete Zandonai, originario di Pedersano,
diplomato perito, nel Paese
sudamericano – dove aveva
impiantato un’officina ma ha
anche coltivato una terra difficile e improduttiva – c’è stato
fino al 1965.
Poi è ritornato in Trentino con
i cinque figli nati lì. Parlare
con lui, oltre a ricordare le difficoltà alle quali andarono incontro i trentini, serve a capire
quanto il confronto tra culture
diverse, la memoria della terra
da cui si era partiti e, ora,
dopo tanti anni, la percezione
di un Paese che si è lasciato da
tempo, concorrano a costruire
un tessuto culturale che è anche antidoto contro gli stereo­
tipi che caratterizzano alcuni
fenomeni odierni. In primis
l’immigrazione. In quello che
dice Zandonai – 77 anni e gli
occhi lucidi quando parla del
padre morto in Cile – c’è innanzitutto la netta sensazione,
perché vissuta, per quanto parecchi anni fa, che l’impatto
con la popolazione cilena fu
soprattutto un incontro tra
diversità. “Quelli di noi, ed io
tra questi, che avevano in testa, e praticavano, la cultura
del lavoro, del rimboccarsi le
maniche di fronte ad una situazione complicata – dice –
rimanevano come spaesati di
fronte alla popolazione del posto. Nei cileni c’era un modo
di vivere giorno dopo giorno,
senza porsi obiettivi di media
e lunga durata. Non conoscevano il risparmio.
Era una filosofia che per
uno come me che veniva da
un’educazione che risentiva
di echi asburgici era difficile
comprendere. I cileni erano
espansivi, accoglienti, ma
molto diversi da noi. Sapevano
che venivamo da un Paese
uscito da poco dalla guerra,
che eravamo poveri. Nel loro
immaginario eravamo arrivati
come adesso sbarcano con le
carrette, sulle nostre coste, gli
immigrati. Devo peraltro dire
che se molti trentini, vista la
situazione, cercarono di darsi
da fare, altri si lasciarono andare”.
Zandonai fa cenno anche alla
proverbiale riservatezza trentina che se, almeno a prima
vista, può sembrare uno stereotipo, calato in una realtà
lontana assume contorni tali
da frenare quei processi di avvicinamento e comprensione
che favoriscono l’integrazione.
E infatti Zandonai afferma
quanto i trentini, alla fin fine,
“non fossero integrabili nonostante la disponibilità di parecchi cileni”.
Anche perché, aggiunge, ricordando che quanto afferma
si riferisce ai primi quindici
anni di immigrazione trentina
in quella landa cilena, “tutto
sommato ci sentivamo superiori a loro proprio per questo
senso di responsabilità nei
confronti della famiglia che ci
portava a costruire qualcosa,
a realizzare il nostro futuro.
Tutti aspetti che si ritenevano
fondamentali ma che non
vedevamo nei cileni. Avevo
un profondo rispetto per la
popolazione locale e ho un
bellissimo ricordo di questa
esperienza di vita – pur con
le difficoltà che ci sono state,
specialmente nei primi due
anni e mezzo – ma percepivo
anche una forte differenza.
Non capivo, e l’ho realizzato
solo quando sono tornato,
quando mi dicevano: “Beh,
insomma, se sei riuscito a fare
un po’ di soldi e a stare bene è
arrivato il momento di fermarti
e goderti la vita”. Nella comunità trentina c’era quindi una
forte difesa della propria identità a fronte di una disponibilità cilena all’accoglienza che
si potrebbe dire “naturale”.
“E’ innegabile che la cultura
trentina, quella della famiglia,
almeno nei primi dieci-quindici anni, non è stata scalfita.
Basti pensare che matrimoni
misti ce ne furono pochissimi,
non erano assolutamente ben
visti tra di noi. Ad un certo
punto decisi di tornare. Non
solo perché ritenevo di aver
concluso il debito di riconoscenza nei confronti dei miei
genitori per il loro progetto di
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vita, ma anche perché, avendo
avuto cinque figli, ho preferito
portarli in Italia da piccoli. Se
avessi aspettato di più, e fossero cresciuti lì, e guardi che
in Cile ormai mi ero sistemato,
intui­vo che avrebbero sofferto
di uno spaesamento che sarebbe stato difficile recuperare”. Le riflessioni di Zandonai si soffermano sull’attualità in riferimento alla sua
“Sarebbe bello ma
non è facile”:
intervista con
Altin Braka
di Paolo Piffer
“Pensare alla mia memoria di emigrante e
condividerla con tanti
trentini che, in passato, hanno fatto lo
stesso percorso. Sarebbe bello ma non è
facile”. Altin Braka,
25 anni, albanese,
presidente del “Forum
Alb Trentino” vive da sei anni
a Pergine con la famiglia. E’
sposato con un figlio, lavora
nel negozio del padre e studia mediazione linguistica alla
facoltà di Lettere e Filosofia
a Trento. “Ho conosciuto dei
trentini che sono emigrati e
poi tornati al loro paese. Aiuta
a capirsi meglio. Una volta –
racconta Altin Braka – un ex
emigrato trentino mi ha detto
che se c’è gente, magari anche
qui in Trentino, che, in qualche modo, ha degli atteggiamenti razzisti è anche perché
non è ‘uscita’ non ha provato
cosa vuol dire vivere fuori dal
Paese dove sei nato. Aver provato queste esperienze, mica
solo perché si è dovuto emigrare ma anche viaggiando,
aiuta ad aprirsi e a non avere
pregiudizi. Anche perché chi
se ne è andato spesso ha sofferto, sa cosa vuol dire lavorare in un altro Paese e in certi
casi essere discriminato, fare
fatica a trovare casa. In teoria
sarebbe bello riuscire a creare
una memoria condivisa ma
nei fatti è difficile. Comunque,
il mio è un auspicio”.
Che memoria ha della sua
terra, cosa le è rimasto dentro?
Tante cose. Vi ho passato l’infanzia e l’adolescenza. Per me
è indimenticabile la scuola
esperienza di emigrazione che
guarda il fenomeno dell’immigrazione in Italia. “Che in Italia ci sia paura degli immigrati
mi pare una realtà. E questo
perché non siamo preparati ad
accogliere. E a ben vedere è
il paradosso tra la nostra cultura cristiana e la salvaguardia
della nazionalità. L’intreccio
tra le culture è difficile, è un
processo lungo. E lo dico per
esperienza personale. Solo al
mio ritorno ho capito quello
che volevano dirmi i cileni.
Guardare al futuro senza
avere la pretesa di insegnare
agli altri, con più fiducia e
speranza. A me mancavano
ma poi, poco a poco, sono
stato influenzato dalla loro
cultura. E così ho cominciato
a guardare il mondo con occhi diversi”.
dove ho studiato, sia la media
che le superiori. I miei compagni e i professori. E la casa
dove vivevo. Queste cose non
si perdono mai.
Quando ritorna in Albania, ciò
che trova corrisponde alla sua
memoria?
In parte. Ci sono stati tanti
cambiamenti. Quando vado a
vedere la scuola o mi parlano
del sistema complessivo del
Paese, noto dei mutamenti. Le
faccio un esempio, e riguarda
i ragazzi. C’è un lato positivo,
e cioè una maggiore apertura
mentale, ma anche aspetti negativi e riguardano i costumi.
Quando andavo a scuola io,
e non sono passati tanti anni,
non si sapeva neanche cosa
fosse uno spinello. Adesso ne
girano parecchi. E non solo
quelli. E’ un problema.
Nel corso degli anni trentini la
sua memoria è rimasta inalterata o si è, per così dire,
“impastata” con la realtà del
luogo dove vive ogni giorno?
C’è una parte “fissa”, è rimasta inalterata, mi sono sforzato
di mantenerla perché fa parte
dell’identità. Però ci sono altri
aspetti che si mischiano con la
realtà. Perché la realtà influi­
sce sulla memoria e nel modo
di vedere le cose. Adesso ho
un’esperienza in più. Anche in
me, nel corso di questi ultimi
sei anni, ci sono stati dei cambiamenti. Non sono più quello
di sei anni fa. Ho conosciuto
tante persone di tutto il mondo
e gente del posto. Sono più
aperto. Tutto ciò influisce anche sull’identità di ognuno di
noi migranti.
E’ un lavoro culturale che viene
svolto anche dall’associazione
che lei presiede?
Certo, l’obiettivo è duplice.
Da una parte mantenere la
nostra identità e contribuire
nel sostenere la nostra gente
perché conosca ancora di più
la propria cultura. Specialmente i ragazzi che nascono
qui. Vanno aiutati a sentire un
legame con la propria lingua,
cultura, fede.
Ma, dall’altra parte, cerchiamo
di interagire con la gente del
posto e partecipare il più possibile alla vita sociale e culturale di Pergine e del Trentino.
Per adesso l’esperienza è positiva. Lavoriamo con altre
associazioni e proseguiamo
in questo cammino per conoscerci meglio l’un l’altro. Sono
obiettivi che perseguiamo con
la stessa intensità.
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Vite che scorrono
accanto
Renzo. Perù. Lima.
Nato e vissuto a Lima.
Con chi? Fino a
quando? Come?
La storia di queste pagine è La mamma. Diciotto
reale. Ogni riferimento per- anni. Ha una bimba.
sonale è stato però omesso Poi un’altra. Morta
per rispetto alle vigenti nor- a cinque mesi. Un
mative sulla privacy e sulla marito che a un certo
tutela dei minori.
punto se ne va. Poi
a trent’anni un altro
figlio, Renzo.
Il padre. Un rapporto occasionale. Ha già un’altra moglie,
un’altra famiglia, altri figli.
Per Renzo non c’è, un paio di
incontri, niente di più.
La madre già da anni cresce
la prima figlia in casa del
nonno e così è con Renzo. Sta
a casa, cura i figli, che frequentano una scuola privata,
è già un privilegio. Renzo ha
difficoltà di concentrazione, è
seguito da un’insegnante, ma
l’insegnante è un costo in più
e le ore sono ridotte.
Poi la decisione di partire,
verso un altro mondo, clandestinamente, in cerca di qualcosa di meglio.
E i figli? Il nonno da solo non
ce la fa, ma c’è la sorella con
la famiglia. Sì, si possono affidare a lei.
Destinazione Italia, Milano.
Lavoro nero, badante, pulizie, baby sitter. Manca la cosa
fondamentale per una vita più
serena, più dignitosa, per riu-
nire la famiglia, quei figli rimasti là: il permesso di soggiorno.
Una parte dei soldi, tutto il
possibile, in Perù, per loro. Un
anno dopo la decisione della
figlia più grande. “Vengo in
Italia, no, dalla zia non si sta
bene, ci lesina il cibo, ci tratta
male. Sono grande, posso
lavorare, vengo”.
Renzo ha nove anni. La sua
vita continua lì, con la “famiglia”. “Lo zio è buono, mi porta
con lui qualche volta, sul suo
furgone, a vedere altri posti.
La zia, no, si arrabbia spesso,
mi picchia per un nonnulla”.
La madre, in Italia. “La mia
amica, sì, posso chiedere a
lei. Forse Renzo starà meglio”.
Soldi in più, per il mantenimento, ma anche come compenso per l’incarico accettato.
“E’ difficile, ma va bene, sono
più tranquilla”.
E invece no, le cose non vanno
bene, i soldi non comprano
l’affetto, l’attenzione, l’ascolto
dei bisogni di un ragazzino.
Poi l’offerta (disinteressata?)
di un’amica conterranea.
“Puoi far venire tuo figlio con il
passaporto del mio, è già stato
fatto, mia sorella è arrivata allo
stesso modo. In quindici giorni
lo avrai qui con te”.
“Cinquemilacinquecento euro
e una tappa in Bolivia, ma in
quindici giorni lo avrai qui con
te, sicuro”.
Quindici giorni e poi altri quindici e poi altri quindici. “Non
preoccuparti, c’è qualche
problema. Renzo deve venire
prima adottato da una famiglia, intanto è con una signora
e altri ragazzi. Sì, la famiglia
l’abbiamo trovata, non preoccuparti è questione di poco”.
“E Renzo che fa?”. “E’ con
altri ragazzi, tranquilla”.
“Renzo, come è andata in
Bolivia?”. “Un po’ bene, un
po’ male”. Erano lasciati a se
stessi, tutto il giorno, niente
scuola, nessun controllo.
“Chi erano gli altri ragazzi? Ci
andavi d’accordo?”. Silenzio.
Quattro mesi dopo, finalmente,
la partenza. “Sì, l’adozione è
stata fatta. Tranquilla per il
viaggio. Lo accompagnerà il
‘padre adottivo’”. “Sì, Renzo è
partito, sta arrivando, no, è da
solo, no, non lo hanno accompagnato”. “Ma come? E’ un
ragazzino, non ha mai viaggiato. E se sbaglia e se succede qualcosa?”. “Tranquilla”.
Notte
insonne.
Bogotà,
.............................., Milano.
Finalmente mio figlio, finalmente è qui, finalmente lo
posso, lo possiamo, io e sua
sorella, stringere tra le braccia, finalmente insieme. Come
è cresciuto, come è magro.
Ma come, Renzo, non mi
abbracci, non ci abbracci?
Renzo è rigido, i suoi occhi
non trasmettono le emozioni.
E’ arrivato a scuola, lo sguardo
mite ma un po’ inquieto di
chi non sa cosa aspettarsi.
L’espressione seria, e a volte
assente, che si apre in un
sorriso appena gli parli. Forse
adesso andrà meglio? “Sì,
ma non conosco nessuno, a
scuola mi piace perché a casa
non so cosa fare, ma ho un
cagnolino, mi fa compagnia,
vado in giro con lui”.
La mamma è a Milano, lavora
lì, tutto il giorno, dalla mattina alla sera, ha trovato un
nuovo compagno, da poco, il
rapporto non è ancora consolidato e poi Milano è una città
difficile e forse pericolosa per
un ragazzino di questa età.
Meglio, per intanto, studiare a
Trento e vivere con la sorella,
che non lavora, ha una bimba
piccola, può seguirlo di più:
di nuovo una separazione, un
altro abbondono.
E Renzo il sabato prende
il treno e va a Milano dalla
mamma. Da solo.
Senza ancora il passaporto.
Renzo ci tiene a non perdere
l’anno, ci tiene a completare la
seconda e ad andare in terza.
I discorsi per convincerlo che
forse è meglio riprendere da
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capo un anno “scolasticamente” travagliato non sono
serviti. Renzo vuole andare in
seconda, vuole essere in terza
l’anno prossimo. Non lo so
perché, non l’ho capito fino in
fondo.
Renzo ha tredici anni, le sue
competenze scolastiche non
sono del tutto adeguate “al
programma” di seconda, ma le
sue esperienze di vita? E forse
non abbiamo in classe molti
ragazzi che proseguono il loro
percorso senza aver raggiunto
del tutto “gli obiettivi”?
Renzo vuole andare in seconda.
Potevamo non chiederglielo,
potevamo decidere secondo
parametri squisitamente scolastici. Ma forse non bastano
e lo abbiamo ascoltato.
Nuovi compagni, la ricerca di
nuove amicizie, le prime che
ci vengono incontro. Ma non
sono quelle giuste e Renzo lo
capisce, si ritrae, preferisce
tornare a portare a spasso il
suo cagnolino.
L’inserimento al Giocalaboratorio lo aiuta, una spensierata
settimana estiva al mare.
Ma Renzo è un adolescente,
inquieto, a volte indisponente
come tutti gli adolescenti
ma forse con dentro qualche
rabbia in più. La sorella è giovane, ha la sua famiglia e i
rapporti diventano difficiltosi.
La sua infanzia è un vestito
pieno di strappi, che vanno
ricuciti con molta delicatezza,
con la sapienza e l’amore di
una madre.
In settembre, quando già mi
domandavo come sarebbe
rientrato Renzo dalla vacanze,
che tipo di lavoro impostare
con lui, la telefonata della
mamma. “Lo porto con me, a
Milano, sarà difficile ma Renzo
ha bisogno di me, così non va,
ce la faremo”.
Qualche mese dopo una
nuova telefonata. “Renzo sta
benissimo, a scuola gli piace, i
professori lo aiutano, ha amici
italiani. Sa, professoressa,
non vuol più parlare spagnolo,
vuole solo la cucina italiana!”
Ma quanto costa rinunciare
alle proprie radici pur di sentirsi accettato, integrato?
C’è solo ancora un particolare:
né Renzo, né la madre hanno
il permesso di soggiorno.
Cosa gli riserva il futuro? Un
rimpatrio in Perù insieme
alla madre o rimarrà in Italia
come minore iscritto a scuola
a completare gli studi separandosi nuovamente da una
madre appena ritrovata o riuscirà attraverso qualche smagliatura nella legge sull’immigrazione a trovare quel po’ di
stabilità che gli spetta?
Vite che ci scorrono accanto.
Relazione sull’alunno Renzo
[Renzo], al suo arrivo, appariva disorientato e assente, bisognoso di attenzioni da parte degli adulti e di legami d’amicizia con i coetanei.
Ha frequentato inizialmente il laboratorio di insegnamento
dell’italiano come L2.
In questo primo periodo si è cercato di ricostruire, attraverso
colloqui con lui e con la famiglia, facilitati dalla presenza di
una mediatrice interculturale di lingua spagnola, la sua storia
personale.
Ne è emerso un vissuto difficile fatto di abbandoni, in particolare la separazione a otto anni dalla madre, emigrata in
Italia per far fronte al mantenimento dei figli, e, dopo un
anno, dalla sorella che aveva raggiunto la madre in Italia.
Renzo è rimasto a vivere con gli zii, e in seguito con un’amica
di famiglia. Il suo racconto evidenzia quanto questa fase sia
stata spesso di forte disagio. Nel viaggio di avvicinamento
all’Italia, Renzo ha vissuto quattro mesi in Bolivia, dove era
stato portato come tappa intermedia e dove sarebbe dovuto
rimanere solo un paio di settimane. Non è chiaro con chi e in
quali condizioni si trovasse.
Il suo disagio era evidente, per cui gli è stato proposto un
colloquio con la psicologa della scuola. Sollecitato a parlare
dell’ultimo periodo passato in Bolivia, Renzo è stato evasivo ed ha opposto un silenzio difficilmente penetrabile, che
secondo la psicologa poteva nascondere esperienze traumatiche.
Le sue competenze scolastiche pregresse, valutate attraverso
una serie di esercitazioni in lingua madre, risultavano piuttosto insicure, ma è stato inserito comunque in una classe
seconda, corrispondente all’età anagrafica, per favorire l’incontro con ragazzi della stessa età.
Renzo lamentava particolarmente la mancanza di amicizie
fuori dalla scuola, cosa che lo rendeva triste e depresso. E’
stato perciò iscritto ad un Giocalaboratorio, che lo ha seguito
nel lavoro scolastico, ma soprattutto ne ha curato la socializzazione attraverso esperienze ludiche di gruppo.
Verso la fine dell’anno scolastico, il ragazzo incominciava ad
apparire più sereno, sia pure ancora con momenti di chiusura.
All’inizio, la madre ha ritenuto opportuno portarlo con sé a
Milano per potergli stare vicino.
Si allega la relazione della mediatrice interculturale basata
sui colloqui in lingua madre con l’alunno.
La referente per gli alunni stranieri
6
Sinti e zingari
di Elena Andreotti
“Quando Heinrich Boll fu sepolto c’era un’orchestrina di zingari che conduceva i portatori della
sua bara. Era stato un suo desiderio. Lasciate che un milione di Sinti e Rom vivano tra noi. Ne
abbiamo bisogno. Potrebbe aiutarci a scompigliare un pò del nostro ordine rigido. Potrebbero
insegnarci quanto prive di significato sono tutte le frontiere: incuranti dei confini i Rom e i Sinti
sono di casa in tutta Europa. Sono ciò che noi proclamiamo di voler essere: cittadini d’Europa.
Forse ci servono proprio coloro che temiamo tanto”. Gunther Grass.
Athinganoi: intoccabili. Da cui
tsiganes, zingari.
Sinti: da Sinth, altopiano da cui
nasce l’Indo nell’attuale Pakistan, zona d’origine di queste
popolazioni, non popolo, ma
arcipelago di minoranze anche
molto diverse tra loro.
Due termini diversi per indicare le stesse persone: il
nostro e il loro.
Gli zingari: ci accompagnano
da sempre, una realtà parallela, conosciuta e nello stesso
tempo ignorata.
Chi di noi, che abbia raggiunto
un’età matura, non ricorda le
signore che di tanto in tanto
suonavano alla porta con il
loro corredo di pizzi, centrini,
mollette o il campo nomadi
passando in bicicletta con il
suo alone un po’ misterioso,
un po’ pauroso, o le donne
e i bimbi che chiedono l’elemosina davanti alla chiesa o
la paura degli zingari che portano via i bambini? “Te pari’n
zinghen”, dicevano le nonne,
quando ci si presentava particolarmente sporchi, disordinati, scarmigliati. Fotogrammi
(o frammenti) dell’immaginario infantile.
Poi da grandi, da insegnanti,
l’incontro con i ragazzi sinti e
rom che frequentano la scuola.
La difficoltà, spesso, di aprire
un varco di comunicazione, di
far coincidere universi paralleli, ma vicendevolmente sconosciuti e difficilmente conciliabili. Quest’anno, come referente all’intercultura, arriva
la proposta di occuparsi di
un progetto in rete con altre
scuole della città in collaborazione con il Comune e con la
cooperativa Kaleidoscopio, che
da anni si interessa alla comunità sinta della città. L’idea di
base del progetto era quella di
cercare, attraverso la presenza
di un mediatore interculturale
sinto nella scuola, di costruire rapporti più costruttivi con
i ragazzi e le loro famiglie, di
incominciare un dialogo.
Contemporaneamente, all’interno dell’anno di formazione
sull’intercultura e l’integrazione degli alunni stranieri, ho
partecipato ad un seminario
tenuto da Carlo Berini, presi-
dente dell’Istituto di cultura
sinta di Mantova.
Per scoprire tante piccole e
grandi cose che aprono gli
occhi sul fatto che c’è sempre qualcuno più diverso degli
altri e che, proprio perché
per certi versi più vicino da
sempre delle nuove comunità e nazionalità che stanno
entrando a far parte del nostro
tessuto sociale, più difficile da
accettare.
Per scoprire che la diffidenza
che noi proviamo nei confronti della comunità sinta
è la stessa che loro provano
nei confronti della società dei
gage, la nostra.
Per scoprire che gli “zingari”
vivono in Italia dal 1400 e
sono cittadini italiani, ma
aspettano ancora il riconoscimento di minoranza etnica,
avvenuto in altri Paesi europei.
Per domandarsi che senso
abbia il nostro insegnamento
per una cultura che è ancora
fondamentalmente orale. La
“Storia” come costruzione di
un’identità culturale che partendo dai Greci e passando
attraverso la storia romana, il
Rinascimento e l’Illuminismo
struttura la nostra visione della
vita, non ha alcuna presa sui
ragazzi sinti. E rimane comunque la storia di coloro da cui
da sempre si sentono rifiutati
e discriminati.
Per un popolo il cui riferimento
temporale è il presente, la trasmissione delle conoscenze
avviene attraverso i racconti
degli anziani e non va oltre
la seconda generazione. La
costruzione dell’identità collettiva più che affondare le radici
nella definizione delle proprie origini è determinata dal
7
riferimento ai valori fondanti
della lingua, della famiglia,
del rispetto per gli anziani, per
tutte le forme di vita e per i
defunti che non rappresentano il passato ma continuano
ad accompagnare la comunità
come presenze significative e
determinanti.
Quindi per i sinti la scuola è
al massimo un luogo di istru-
zione, non certo un luogo di
“educazione” e, anzi, proprio
questo aspetto temono dal
momento che sentono i loro
valori molto diversi dai nostri,
visti come pericolosi, devianti,
e comunque non condivisi.
Queste reciproche diffidenze
ed incomprensioni incominciano ad incrinarsi grazie al
lavoro di quelli tra sinti e gage
che credono nella possibilità
di un nuovo modello di interazione che preveda il riconoscimento e la legittimazione
dei valori di riferimento di
entrambe le culture.
Oggi molte famiglie sinte
pensano che la scuola possa
essere un’opportunità per i loro
figli in un mondo in cui nuove
competenze sono indispensabili per poter esprimere le
potenzialità di ognuno e dove
oggettivamente certe modalità
di vita vanno ripensate.
La scuola da parte sua può
cominciare a far trovare al
ragazzo sinto tracce del suo
mondo concreto, della sua storia. Almeno quando sarebbe
facile e doveroso inserirla: mi
riferisco al genocidio di sinti e
rom nei campi di sterminio.
Letture, film, immagini riguardano quasi sempre il popolo
ebreo, cui si aggiunge la lista
delle altre vittime, omosessuali, oppositori politici, sinti,
rom, comunisti, testimoni di
Geova... In questo senso è
stata una bella iniziativa quella
di portare la mostra “Porrajmos” (divoramento), presentata attraverso la lettura di
poesie in lingua sinta accompagnata da un violino tzigano,
in alcune scuole medie di
Trento e accolta con interesse
e stupore dai ragazzi, increduli davanti alla durezza delle
immagini.
Libertà
Noi Zingari abbiamo una sola religione: la libertà.
In cambio di questa rinunciamo alla ricchezza, al potere, alla scienza ed alla gloria.
Viviamo ogni giorno come se fosse l’ultimo.
Quando si muore si lascia tutto: un miserabile carrozzone come un grande impero.
E noi crediamo che in quel momento sia molto meglio essere stati Zingari che re.
Non pensiamo alla morte. Non la temiamo, ecco tutto.
Il nostro segreto sta nel godere ogni giorno le piccole cose
che la vita ci offre e che gli altri uomini non sanno apprezzare:
una mattina di sole, un bagno nella sorgente,
lo sguardo di qualcuno che ci ama.
E’ difficile capire queste cose, lo so. Zingari si nasce.
Ci piace camminare sotto le stelle.
Si raccontano strane cose sugli Zingari.
Si dice che leggono l’avvenire nelle stelle
e che possiedono il filtro dell’amore.
La gente non crede alle cose che non sa spiegarsi.
Noi invece non cerchiamo di spiegarci le cose in cui crediamo.
La nostra è una vita semplice, primitiva.
Ci basta avere per tetto il cielo,
un fuoco per scaldarci
e le nostre canzoni, quando siamo tristi.
Spatzo (Vittorio Mayer Pasquale)
8
«Finestre Aperte per
Giovani Creativi»:
un progetto
al Centro Astalli
Incontrare altre memorie, condividerle negli
sguardi, nel quotidiano; tessere relazioni, creare con il
cuore oltre che con la
testa.
Passare dalle comode
stanze
dell’elaborazione e della conoscenza reciproca alle strade,
muniti di telecamera, microfoni, di qualche nozione di
regia e di elementi base di
edizione e produzione. Ma,
soprattutto, di moltissima
voglia di fare, di mettersi in
gioco. Tanto che le difficoltà,
evidenti fin dall’inizio per una
troupe di dilettanti allo sbaraglio come la nostra, si superano quasi per magia, con un
incrociarsi di occhi, con un
sostegno fatto di rara sensibilità e cura reciproca.
Ecco in breve il progetto, come
è nato tutto. Aprile 2007, al
Centro Astalli Trento, distaccamento trentino di un’associazione che opera a livello
nazionale nell’accoglienza di
migranti e rifugiati politici in
particolare (a sua volta costola
italiana del Jesuit Refugee
Service), alcuni volontari decidono di presentare un progetto
che vada un po’ oltre l’abituale
sensibilizzazione nelle scuole,
realizzata dal progetto “Finestre”: creare un gruppo di
giovani che racconti, tramite
un cortometraggio, qualcosa
della vita dei rifugiati, ovvero
di quei migranti che chiedono
asilo nel nostro paese per sfuggire a persecuzioni e situazioni
di alto rischio. Titolo, giustamente: Finestre Aperte per
Giovani Creativi. Con nostra
sorpresa, il progetto ottiene
l’appoggio completo del Fondo
provinciale per le politiche
giovanili. Da ottobre quindi,
pubblicità nelle scuole, nelle
università, fra associazioni
e amici. Ci ritroviamo il 15
dicembre scorso e il gruppo
è pronto: siamo 12, fra cui 4
volontari-coordinatori, 5 nazionalità diverse e tre rifugiati.
Guidati da Abdel Azim Koko
prima e da Roberto Marafante
e Gisella e Hugo Munoz poi,
ci addentriamo nel mondo
dei richiedenti asilo, apprendendo alcune nozioni di base
di video-making, approdando
alla scrittura della sceneggiatura ed infine alle riprese, tuttora in corso. Storie di partenze improvvise e nostalgie,
di ricerca e di radici. Storie che
vanno ascoltate, raccontate in
silenzio. Il gruppo è formato
da: Ambrose Lienga, Davide
Scutari, Fabio Colombo, Farid
Mahdavi, Federica Polin, Garip
Matur, Giacomo Zandonini,
Giulia Vettori, Khando Zethsa,
Novella Benedetti, Qorban
Yaqhubi, Thierry Poli.
Il Centro Astalli Trento è un’associazione di volontariato che si ispira al Jesuit Refugee Service
(Servizio dei Gesuiti per i rifugiati) e ai principi della solidarietà sociale. Il Centro, che aderisce
alla rete territoriale della Fondazione Centro Astalli di Roma, si propone di svolgere funzioni di
servizio socio-assistenziale e culturale a favore di immigrati e delle loro famiglie ed in particolare di persone aventi lo status di rifugiati, di richiedenti asilo, apolidi, profughi di guerra ed
immigrati per altri motivi a carattere umanitario.
L’Associazione ha la propria sede all’interno dell’area di Villa Sant’Ignazio, in via alle Laste,
in un edificio denominato “Ca’ Bianca”, inaugurato nel gennaio 2006. Sono disponibili tra gli
otto e i dodici posti letto per ospitare, ogni anno, una ventina di persone.
Accanto all’accoglienza, l’Associazione ha fra i suoi obiettivi la sensibilizzazione dei cittadini
al tema dell’immigrazione e del diritto di asilo anche attraverso attività culturali. Nei progetti
che vengono realizzati, si cerca di dare il maggior spazio possibile ai rifugiati stessi affinché
possano raccontare in prima persona ciò che riguarda la loro vita. In particolare vengono realizzati progetti nelle scuole, incontri pubblici e altri momenti di riflessione.
Per informazioni e approfondimenti: http://centroastalli.vsi.it, tel. 340.7745394.
9
Cesare Battisti
o come si porta
un uomo alla morte
di Massimo Parolini
E’ stato di recente distribuito il volume “Come si porta un uomo alla morte” (Trento,
Museo storico in Trento, 2007) a cura di Diego Leoni. Nel libro è stata ricostruita e riproposta la sequenza fotografica degli ultimi giorni di vita di Cesare Battisti, dal momento
della cattura fino all’esecuzione avvenuta il 12 luglio 1916 nel Castello del Buonconsiglio. Una pagina di storia e un evento editoriale che hanno suggerito a Massimo Parolini
lo spunto per un breve racconto nel quale l’Autore immagina il ritrovamento di una lettera
scritta da Battisti stesso al figlio Gigino poco prima della sua morte.
Cesare Battisti raccontò il 19
novembre 1900 sul giornale
socialista “Il Popolo” (di cui
era direttore) la cronaca
dell’impiccagione di Floriano
Grossrubatscher, un celibe
ventiseienne della Val Badia,
reo confesso del duplice omicidio di Giovanni Alton (preside del ginnasio di Rovereto)
e di sua figlia Maria. Di
recente, un giovane tirocinante
dell’Università di Trento, ha
individuato presso il Museo
storico del Trentino, in un
gruppo di lettere e documenti
sparsi donati da un privato
alla biblioteca, una lettera
rivolta dal martire irredentista
al figlio Gigino, primo sindaco
di Trento al termine della
seconda guerra mondiale. Lo
studente è riuscito a inserire
tale missiva proprio all’interno
della cronaca giornalistica
sopra citata, rivelando alcuni
particolari a dir poco inquietanti. Per gentile concessione
del Museo storico pubblichiamo di seguito alcuni stralci
della lettera inserendola tra
parentesi quadre dopo qualche passo della cronaca processuale di Battisti.
“Di te conserveranno gradito
ricordo quanti ebbero occasione di avvicinarti” (Orazione
funebre in occasione della
sepoltura di Joseph Lang, pompiere volontario e ultimo boia
dell’impero austro-ungarico)
“Il Grossrubatscher dichiarò di
essere disposto a lasciare che
il suo corpo venga sezionato
da questo ospedale. Chiese la
grazia che dal denaro trovatogli indosso vengano prelevati 5
fiorini per far dire delle messe
alla sua anima. Ha anche confessato di essere stato l’au-
tore dell’assassinio misterioso
avvenuto ad Innsbruck due
anni or sono sulla moglie di
un operaio. Il Grossrubatscher
aveva saputo dell’operaio che
in casa teneva qualche risparmio e che teneva la donna
sola. Gli vi si recò di notte,
mentre l’operaio dormiva nello
stabilimento, e uccise la donna
a colpi di scure asportando il
denaro. […] Sono quasi le 7.
L’aria è ancora bigia. Piove a
dirotto. Nel corridoio del tribunale, guardati dai soldati,
passano seri, quasi atterriti, perfino coloro che chiesero il biglietto per pura curiosità. Nel cortile delle carceri
sta disposta a semicerchio
una cinquantina di soldati.
Alle 7 precise entra la commissione giudiziale composta dai consiglieri Tranquillini e Goio, dal procuratore,
dal segretario Marinelli e dal
10
protocollista Zelger. Di lì ad
un momento, accompagnato
dai cancellieri e dal confessore, entra il condannato. Proprio in quell’istante mi sfugge
l’occhio all’angolo del cortile
dove è la forca. V’è lì il boia
con i suoi due aiutanti, vestiti
di nero, inguantati, impassibili come se si trattasse di
macellai pronti ad accoppare
un manzo. Nell’aria risuonano
orribili, insistenti, i rintocchi
dell’agonia. Il Grossrubatscher
è pallidissimo, però si regge
da sé. Viene condotto davanti
alla commissione giudiziale. Il
presidente di essa gli rivolge
le sacramentali parole: Floriano Grossrubatscher eccovi
giunto al momento supremo.
Avete qualche cosa da dire? Il
condannato con voce distinta
risponde: Sì, io in questo
momento domando perdono
a tutti del mio delitto. Do un
addio a tutti nel mondo e a
mia madre. Affronterò contento la pena per espiazione
di quanto ho fatto. Il presidente dice in tedesco al boia:
signor carnefice, compia la
sua funzione. S’avvicinano gli
aiutanti, legano le mani dietro il dorso della vittima che
viene posta appiedi al palo. Il
boia sale per una scaletta, fa
passare il laccio per una carrucola che sta alla cima del
palo. Poi non sono più stato
capace di guardare e quanti
ho interrogato mi hanno risposto altrettanto. [Qualcuno,
quando con penna e taccuino in mano gli ho chiesto ‘ha
assistito al momento più tremendo’? tentando di annotare
particolari macabri su questo
bestiale retaggio dell’umanità,
qualcuno… mi ha addirittura
fissato con un vago senso di
orrore o… perlomeno stupore,
non riuscendo nemmeno a
proferire un accenno di risposta. Ecco, pensai, a tal punto
arriva lo sdegno del popolo
ai nostri tempi di fronte a
quello che tua madre, caro
Gigino, in un suo bell’articolo
avrebbe definito ‘cannibalismo moderno’. Le coscienze
moderne rimangono attonite
e inorridite e non riescono
nemmeno a usare il linguaggio più comune e quotidiano
in quei momenti. Eppure
– pensai subito dopo – tali
impressioni di orrore e disgusto, pur violente, sono passeggere e presto vengono dimenticate, come ci ha insegnato il
grande Cesare Beccaria, mio
caro Gigino, e non riescono a
servire d’esempio alcuno per
impedire a chi assiste all’impiccagione di qualche condannato di commettere a sua volta
dei delitti in futuro. Mi immaginavo il Grossrubatscher che
fa da chierichetto – come mi
è stato raccontato – alla propria messa funebre, il mattino
stesso dell’esecuzione. Ma fui
distratto da tali riflessioni e
riportato giù, tra la gente, da
sguardi sempre più spaventati
e turbati di una folla che indietreggiava al mio passaggio,
come inorridita da una rivelazione improvvisa e insopportabile. Le madri chiudevano
gli occhi ai loro figli, i cani iniziavano a ululare indietreggiando, molte bigotte si facevano ripetutamente il segno
della croce. Io non capivo e
ciò aumentava il mio disagio.
‘Vada retro’ disse qualcuno
e a quelle parole la folla iniziò disordinatamente a scappare in varie direzioni. Rimase
davanti a me solo un bambino,
molto piccolo. Avrà avuto sì e
no tre anni. Era in carne, paffutello. Indossava calzoni e
giubba tirolesi e un cappellino con la piuma. Mi fissò.
Aveva lo sguardo innocente
e allo stesso tempo marziale.
Accennò un dolce sorriso e
continuando a fissarmi puntò
l’indice destro nella direzione
dell’impiccato. Guardai lì dove
il bimbo mi invitava a guardare e vidi… vidi me stesso,
ma di qualche anno più vecchio, dell’età che posso avere
adesso. Al posto di Grossrubatscher c’ero io a penzoloni
con quel completo a quadri
che domattina indosserò alla
fossa del Buonconsiglio. In
cima alla forca il boia Lang
appoggiava le sue grasse mani
e gongolava visibilmente soddisfatto col suo faccione, rivolgendo gli occhi verso di me. A
fianco del mio fantoccio ormai
privo di vita, normali cittadini e
standschützen si accalcavano
fissandomi con un ghigno di
approvazione. “Non ancora” –
disse una vocina al mio fianco
–. Il bimbo era sparito; al suo
posto una ragazzina pimpante
saltellava, allontanandosi da
me e, girandosi, mi guardava
con malizia, canticchiando:
“Sora el Doss te dormirai, soldatin de l’Italietta; su la fossa i
scolaretti poche robe i capirà.
Con l’Alcide bega e pugna fin
chel fògh ariverà; ti sul Doss lu
en çima a Roma, tuti en posto
troveré”. Scomparve anche
lei: rimase solo il freddo pungente, le foglie secche, l’accensione improvvisa dei nuovi
lampioni elettrici].
11
INFOMUSEO
Febbraio 2008
Una mostra su
Giacomo Matteotti
Si è svolta l’8 febbraio presso
la Sala delle ex-Marangonerie
Giacomo
del Castello del BuonconsiMatteotti
glio di Trento l’inauguraziofra storia e memoria
ne della mostra fotografica e
documentaria sulla figura del
deputato socialista Giacomo
Matteotti, intitolata Giacomo
Matteotti fra storia e memo9 febbraio - 15 marzo 2008
ria. L’iniziativa è stata propoCastello del Buonconsiglio
sta dalla Fondazione Museo
storico del Trentino, dalla
Fondazione di studi storici
Sotto l’Alto Patronato della
Presidenza della Repubblica
“Filippo Turati”, dall’Associazione nazionale “Sandro Pertini” e dalla Provincia autonoma di Trento.
All’evento sono intervenuti il Presidente della Provincia
autonoma di Trento Lorenzo Dellai, Giuseppe Ferrandi,
Direttore della Fondazione Museo storico del Trentino,
Nicola Zoller in rappresentanza dell’Associazione Nazionale “Sandro Pertini”, Monica Mengoni responsabile del
progetto grafico e dell’allestimento della mostra.
L’esposizione, curata da Stefano Caretta, è stata aperta
dal 9 febbraio al 15 marzo 2008.
ORARIO DI APERTURA:
Martedì - Domenica 9.30 - 17.00
Gennaio 2008
I ricordi di Giuliano Vitali
Il 24 gennaio è stato presentato
presso la Sala Rosa del Palazzo
della Regione di Trento lo scritto di
Giuliano Vitali Memorie di un internato, curato da Giancarlo Ianes.
Il trentino Giuliano Vitali, classe
1924, dal settembre 1943 all’aprile 1945 fu internato nei campi di
lavoro forzato a Bremerworde e
successivamente ad Amburgo. A
64 anni dal suo internamento ha sentito il bisogno di
raccogliere alcune note, tratte dal suo diario di prigionia,
per conservarne la memoria.
All’incontro, organizzato in collaborazione con il Circolo
ricreativo Ente Regione Trentino-Alto Adige, hanno partecipato l’autore, il curatore e Giuseppe Ferrandi, direttore
della Fondazione Museo storico del Trentino.
Edizione 2008 della “Giornata della memoria”
In occasione della “Giornata della memoria” il Comune di Trento e la Fondazione Museo storico del Trentino
hanno organizzato, presso Palazzo Geremia di Trento, un
momento di celebrazione ufficiale.
All’incontro, svoltosi il 25 gennaio e moderato da Giuseppe Ferrandi, sono intervenuti Alberto Pacher, sindaco
di Trento, Alberto Pattini, presidente del Consiglio comunale di Trento e Maria Luisa Crosina, studiosa della storia
della comunità ebraica in Trentino.
Spettacolo teatrale sulla vicenda dei sette fratelli Cervi
All’interno delle iniziative per la “Giornata della memoria”
la Fondazione Museo storico del Trentino ha proposto per
il 30 gennaio la messa in scena dello spettacolo teatrale Cuori di terra: memoria
per i sette fratelli Cervi
della Compagnia Teatro
dell’Orsa di Reggio Emilia,
con gli attori Bernardino
Bonzani e Monica Morini.
Quella dei Cervi rappresenta la storia di molte famiglie emiliane, di un popolo
che matura una consapevolezza politica e sociale orientata verso i principi di solidarietà e di umanità, in un
cammino di emancipazione che inizia sul finire dell’Ottocento e si manifesta con l’antifascismo e la Resistenza.
L’iniziativa è stata rivolta sopratuttto alle scolaresche.
Associazione Nazionale
“Sandro Pertini”
PROVINCIA
AUTONOMA
DI TRENTO
fondazione
MUSEO STORICO
del T r e n t i n o
Fondazione di Studi Storici
“Filippo Turati”
Mostra fotografica e documentaria
Inaugurazione
venerdì 8 febbraio 2008 ore 17.30
Sala ex - Marangonerie
segreteria organizzativa:
FONDAZIONE MUSEO STORICO DEL TRENTINO
Via Torre d’Augusto 41, Trento Tel. 0461.230482 Fax 0461.237418
Sito web: http://www.museostorico.tn.it
ASSOCIAZIONE NAZIONALE “SANDRO PERTINI”
Via Michelangelo Buonarroti 13, Firenze Tel. 055.244811/055.243123
Sito web: http://www.pertini.it
Con il patrocinio di:
Senato della Repubblica
Camera dei Deputati
Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Storie di emigrazione
In occasione dello spettacolo teatrale Di qua a là …ci
vuole 30 giorni: storie di emigrazione di e con Andrea
Castelli e Antonio Caldonazzi, il Comune di Trento, Assessorato alla cultura, turismo e biblioteche, in collaborazione con la Fondazione Museo storico del Trentino ha
proposti alcuni momenti di riflessione sul tema dell’emigrazione.
Il 19 febbraio, presso la Sala degli Affreschi della Biblioteca comunale di Trento, è stato proiettato il documentario Storie del mondo, girato e sceneggiato da Lorenzo
Pevarello, coprodotto dal Museo storico del Trentino e
da Format Centro audiovisivi della Provincia autonoma
di Trento: un filmato di 37 minuti che raccoglie le testimonianze di tanti trentini emigrati negli anni cinquanta e
sessanta del secolo scorso.
Con il regista sono intervenuti Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino e Valentina Galasso, ricercatrice della Fondazione.
Il 22 febbraio, sempre presso la Biblioteca comunale di
Trento, il critico Paolo Toniolatti ha incontrato lo scrittore
e giornalista Renzo Maria Grosselli, autore dei volumi Il
tirolese e Oltre ogni confine, entrambi incentrati sul tema
dell’emigrazione trentina.
12
Spionaggio e irredentismo
E’ stato presentato il 21 febbraio presso la biblioteca della Fondazione Museo storico del Trentino L’affare
Colpi: spionaggio e irredentismo alla vigilia della Grande Guerra, volume scritto da Vittorino Tarolli, autore di
numerosi studi e pubblicazioni dedicati alla storia locale
e alla prima guerra mondiale. Attraverso fonti giudiziarie
rintracciate presso l’Archivio del Tribunale della città di
Vienna e sulla base di pubblicazioni e articoli della stampa dell’epoca, sia di lingua italiana che tedesca, l’Autore
ricostruisce la vicenda che vide protagonista, nella Trento
dei primi anni del Novecento, Giuseppe Colpi. Tale vicenda viene inquadrata nel più ampio contesto dell’irredentismo trentino, fenomeno che in quegli anni sembrò
conoscere nuovo vigore grazie anche al sostegno offerto
dal Servizio informazioni dell’esercito del Regno d’Italia
e da influenti personaggi di varie affiliazioni.
L’incontro è stato condotto da Vincenzo Calì, alla presenza dell’autore e dello storico Cristoph H. von Hartungen.
Verso una rete territoriale della storia e della memoria
La Fondazione Museo storico del Trentino ha organizzato per sabato 23 febbraio un seminario quale momento
iniziale di un ampio confronto sulle modalità di costituzione e sviluppo di una rete territoriale della storia e della
memoria. Agli interventi mattutini di Giuseppe Ferrandi,
Patrizia Marchesoni, Rodolfo Taiani, Quinto Antonelli
e Matteo Gentilini della Fondazione Museo storico del
Trentino è seguita nel pomeriggio la discussione.
Omaggio a quattro voci a Giacomo Matteotti
La Fondazione Museo storico del Trentino, nell’ambito
della mostra fotografica e documentaria dedicata a Giacomo Matteotti, il 29 febbraio, presso la Sala delle exMarangonerie del Castello del Buonconsiglio di Trento,
ha proposto un recital a quattro voci scritto e diretto dal
poeta trentino Alfonso Masi. Lo spettacolo, messo in scena dagli attori Mariabruna Fait, Riccardo Gadotti e Bruno
Vanzo, ha ripercorso alcuni momenti significativi della
vita di Giacomo Matteotti, dal rapporto con la moglie
Velia, alla Grande Guerra, dalla militanza politica alle intimidazioni fasciste fino al discorso del 30 maggio 1924
in Parlamento che ne segnò la condanna a morte.
Marzo 2008
In ricordo di Mario Pasi
Il 15 marzo, nel corso di una breve cerimonia presso
l’ospedale Santa Chiara di Trento, è stato commemorato
il partigiano e medico Mario Pasi.
Sono intervenuti il Presidente dell’Ordine dei medici Giuseppe Zumiani e Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino
Il 500.mo anniversario dell’incoronazione di
Massimiliano I
In occasione del 500.mo anniversario dell’incoronazione
imperiale di Massimiliano I a
Trento, il Land Tirol, la Provincia autonoma di Trento
e la Provincia autonoma di
Bolzano hanno organizzato,
il 29 e 30 marzo 2008, vari
appuntamenti di commemorazione storica con riflessioni
di studiosi e con momenti di
rievocazione affidati a gruppi
in costume.
La Fondazione Museo storico del Trentino, e in particolare Valentina Bergonzi, hanno curato un opuscolo divulgativo (Massimiliano I: 1508-2008. Cinquecento anni
dalla proclamazione a «Imperatore Romano Eletto») per
contestualizzare tale evento nell’ambito della storia del
Sacro Romano Impero e del Tirolo.
La figura di don Domenico Girardi
All’interno della Settimana della Cultura la Fondazione
Museo storico del Trentino ha proposto per il 31 marzo la
proiezione del film-documentario Don Domenico Girardi.
Matricola 10626, per la regia di Lorenzo Pevarello.
All’appuntamento, presso la sala video del Centro servizi
culturali Santa Chiara di Trento, sono intervenuti Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico
del Trentino e Bartolomeo Costantini, procuratore presso
la Procura militare della Repubblica di Verona. Costui
è titolare dell’inchiesta che ha portato, nel 2000, alla
condanna all’ergastolo dell’ex caporale SS Misha Seifert, per i crimini di guerra da lui commessi nel lager di
Bolzano. Arrestato il 18 gennaio 1945 a Montalbiano
di Valfloriana, don Girardi fu condotto nelle carceri di
Trento. Intorno alla fine di marzo, fu inviato nel campo di
concentramento di via Resia a Bolzano dove rimase fino
alla liberazione avvenuta nell’aprile 1945.
Aprile 2008
L’Aquila di San Venceslao al prof. Sergio Benvenuti
Il giorno 4 aprile, nel Salone di Rappresentanza di Palazzo Geremia, è stata conferita l’Aquila ardente di S. Venceslao, antico sigillo della città di Trento, al prof. Sergio
Benvenuti, direttore del Museo del Risorgimento e della
lotta per la libertà dal 1971 al 1985 e attuale direttore
scientifico della rivista Archivio Trentino.
Un profilo del prof. Benvenuti è stato tracciato dalla prof.
ssa Maria Garbari, dalla prof.ssa Lia de Finis e da Giuseppe Ferrandi.
13
Un convegno su Giovanni Pirelli
La Fondazione Museo storico del Trentino, in collaborazione con il Comune di Borgo Valsugana e il Sistema Culturale Valsugana Orientale, ha organizzato il convegno
di studi Giovanni Pirelli, un industriale nella Resistenza,
svoltosi il 17 e 18 aprile presso Palazzo Trentini a Trento
e presso la Biblioteca di Borgo Valsugana.
Quella di Pirelli è una figura eclettica: rifiutò il ruolo di
imprenditore nell’azienda di famiglia, abbracciando gli
ideali socialisti e diventando comandante partigiano
durante la seconda guerra mondiale. Autore inquieto e
ribelle, fu una delle più vivide voci del “romanzo industriale”. Scrisse anche la sceneggiatura per alcuni documentari, libretti per spettacoli teatrali, testi drammatici
per opere musicali. Fu consigliere di amministrazione
delle Edizioni Einaudi, diresse le Edizioni del Gallo, fondò
la Arcophone per la diffusione della musica italiana del
Sei e Settecento.
Negli ultimi anni della sua vita diresse anche l’Istituto
Ernesto de Martino.
Hanno partecipato con proprie relazioni: Gabriella Solaro
(Istituto Nazionale per la Storia della Resistenza italiana),
Cesare Bermani, (Istituto Ernesto de
Martino, Sesto Fiorentino), Donato
Barbone (Archivio Pirelli, Milano),
Gianluigi Bozza (critico cinematografico), Mario Bernardo (capo partigiano e direttore della fotografia).
Nella seconda giornata di convegno
sono stati proiettati i cortometraggi
Lettere dei condannati a morte della
Resistenza italiana (regia di Fausto
Fornari), Il delitto Matteotti (regia di
Nelo Risi), I fratelli Rosselli (regia di
Nelo Risi).
Celebrazioni per il 25 aprile
Lunedì 21 aprile presso la Sala Manzoni della Biblioteca comunale di Trento i rappresentanti dell’Associazione
Nazionale Partigiani d’Italia, dell’Assessorato alla cultura
del Comune di Trento, della Biblioteca comunale di Trento e della Fondazione Museo storico del Trentino hanno
inaugurato la mostra storico-documentaria La Resistenza
nel campo di Bolzano, 1944-45.
L’esposizione ha raccontato l’esperienza dei 9.500 prigionieri del famigerato campo di transito di via Resia,
contribuendo a restituire voce e dignità alle donne e agli
uomini che si opposero al nazifascismo.
L’assemblea dei soci dell’Associazione Museo storico in
Trento
Si è tenuta lunedì 21 aprile alle ore 17.30, presso i locali del Museo in via Torre d’Augusto, l’Assemblea dei
soci dell’Associazione Museo storico in Trento. Si è trat-
tato di un’Assemblea dalla doppia valenza: da una parte
ha concluso il quinquennio 2003/2008 e quindi è stata
chiamata a rieleggere gli organi sociali; dall’altra, con la
nascita della Fondazione Museo storico del Trentino di
cui l’Associazione è socio fondatore, si sono ridefiniti gli
obiettivi e la funzione culturale dell’Associazione Museo
storico in Trento. Un’Associazione che non ha più il compito di gestire il Museo e le sue attività istituzionali, ma
che si candida ad essere luogo di riflessione e di promozione della conoscenza storica.
Nel corso dell’Assemblea i famigliari del prof. Bruno Betta, protagonista della Resistenza degli internati militari
e figura straordinaria di educatore e intellettuale, hanno
donato ufficialmente al Museo la documentazione della
sua esperienza di internamento.
Ricordi di guerra
Il 27 aprile, presso l’Auditorium della Scuola media di
Revò, Giuseppe Ferrandi, direttore della Fondazione Museo storico del Trentino, ha condotto la conferenza-dibattito Ricordi di guerra. Memorie e racconti della seconda
guerra mondiale alla quale, hanno partecipato alcuni Reduci della seconda guerra mondiale.
Al termine dell’incontro è stato proiettato il filmato Memorie di una comunità, un breve documentario girato da
Lorenzo Pevarello con testimonianze di vita e di eventi
nel Trentino del Novecento.
PRESENTAZIONI
La Fondazione Museo storico del Trentino ha presentato
alcuni dei suoi prodotti editoriali nelle seguenti occasioni:
18 gennaio 2008, Moena
La responsabile del settore Emigrazione della Fondazione
Museo storico del Trentino Valentina Galasso ha presentato il volume di Renzo Maria Grosselli, Oltre ogni confine: l’emigrazione da un distretto alpino tra Ottocento e
Novecento: il Vanoi nelle fonti orali.
L’autore, da anni impegnato a recuperare le storie dei
tanti protagonisti che dal Trentino mossero altrove per
ricercare nuove opportunità di vita, ripercorre in questo
testo le caratteristiche e le cause del fenomeno migratorio di natura permanente che, da un certo periodo in
avanti, ha iniziato a interessare il Vanoi, l’alta valle alpina in provincia di Trento.
22 febbraio 2008, Zambana
Alla presenza di Giuseppe Ferrandi e Chiara Paolazzi,
Assessore alla cultura del Comune di Zambiana è stato
proiettato il documentario di Lorenzo Pevarello Zambana
’55-’56. Memorie di una comunità.
Il video, co-prodotto dal Museo storico in Trento e dal
Centro Audiovisivi della Provincia autonoma di Trento, ricostruisce le vicende della comunità di Zambana prima,
14
Leo Zelikowski che si
snoda lungo un percorso
esistenziale segnato da
un’unica ma evocativa
parola: Auschwitz.
Il 21 dicembre 1943
l’ingegner Zelikowski viene arrestato ad Arco e
trasferito nelle carceri di
Trento. Due mesi dopo
viene portato, con il convoglio 08, lo stesso con
il quale partì Primo Levi,
nel campo di Monowitz
(Auschwitz III). Tutti i ricordi dell’Autore riconducono
pertanto a questo momento impresso indelebilmente
nella memoria storica dell’intera umanità del XX secolo.
Il testo viene proposto nella versione originale francese e
nella sua traduzione italiana a fronte.
durante e dopo la frana degli anni 1955-1956, evento
calamitoso che segnò una frattura nella storia del paese.
30 marzo 2008, Coredo
E’ stato presentato e proiettato il video-documentario di
Lorenzo Pevarello L’epopea di S. Giustina. Storia di una
valle, frutto di una coproduzione Museo storico in Trento e Format-Centro audiovisivi del Trentino. Attraverso le
interviste a sette testimoni dell’epoca, il video fotografa
il mondo contadino di un tempo, le condizioni di lavoro, il rapporto con la terra, la vicenda degli espropri che
ha fatto da cornice al riempimento dell’invaso di Santa
Giustina.
Sommario: Premessa; Introduzione; CAPITOLO PRIMO:
L’eroe della Patria; CAPITOLO SECONDO: La costruzione
del mito; CAPITOLO TERZO: La contesa sulla memoria;
Riferimenti bibliografici; Indice dei nomi.
Massimo Tiezzi è dottore di ricerca in Storia dei
partiti e dei movimenti politici. Questo volume
rielabora la sua tesi di dottorato intitolata «Cesare Battisti: nascita ed evoluzione di un mito
(1916-1935)».
ISBN 978-88-7197-100-1
E 18,00
MUSEO STORICO IN TRENTO ONLUS
www.museostorico.it – [email protected]
telefono 0461.230482 – fax 0461.237418
Copertina Massimo Tiezzi.indd 1
NOVITÀ EDITORIALI
Leo Zelikowski, Mon témoignage la mia testimonianza: da Arco ad Auschwitz e ritorno, pp. 165, € 13,50
(Grenzen/confini, 8)
“Tutto è cominciato a Vilna, in Russia, il 15 aprile dell’anno 1910. Una giovane donna mette al mondo due gemelli, Leo e Israel (Ralla). Questo avvenimento diventerà
paradossalmente la causa e la chiave di tutto quello che
seguirà: infatti, il solo ‘delitto’ di cui i miei futuri persecutori m’incolperanno si riassume in quattro parole: ‘Tu
sei nato ebreo!’”.
Con queste parole si apre il racconto autobiografico di
10
VESTI
DEL
RICORDO
di Massimo Tiezzi
Il testo ripercorre la costruzione del mito, che ha
segnato, con alti e bassi, la vicenda battistiana
a partire dal 12 luglio 1916, data della tragica
morte del deputato di Trento, fino al 1935, anno
d’inaugurazione del monumento nazionale sul
Doss Trento. In questo periodo prevalse fortemente, in perfetto stile dannunziano, l’immagine
dell’eroe, che, al grido di «viva Trento italiana»
lanciato dalla forca quando già le mani del
boia gli si stringevano al collo, vinse la propria
ventennale battaglia contro l’Austria imperiale,
trascinando con sé nella tomba il decrepito
Francesco Giuseppe.
L’Autore mette in luce le contraddizioni dell’apparato militare sabaudo, che stenta a cogliere
immediatamente la potenza propagandistica
della fine di Battisti, le successive difficoltà del
fascismo, che trova proprio nell’epica dannunziana un ostacolo nel fare propria fino in
fondo la figura del patriota trentino, ed infine la
crescita, lenta e minoritaria fin che si vuole, ma
carica di potenzialità future per la storiografia
battistiana, dell’immagine dell’anti-eroe, vittima
di quella guerra europea fratricida che aveva
segnato la fine dell’ideale socialista di fratellanza
universale.
L’EROE CONTESO
23 aprile, Arco
La Fondazione Museo storico del Trentino e l’Assessorato
alla cultura del comune di Arco, hanno proposto nella
cornice di Palazzo Panni ad Arco, la presentazione del
volume autobiografico di Leo Zelikowski Mon Témoignage. La mia testimonianza. Da Arco ad Auschwitz e
ritorno.
Nel corso dell’incontro, in cui hanno preso la parola
Maria Luisa Crosina, Giuseppe Ferrandi, direttore della
Fondazione Museo storico del Trentino e Ruggero Morandi, Assessore alla cultura del Comune di Arco, è stato
attivato un collegamento video con il Canada, che ha
permesso l’intervento di Leo Zelikowski.
Massimo Tiezzi, L’eroe conteso: la costruzione del mito
di Cesare Battisti negli anni 1916-1935, pp. 291,
€ 18,00 (Vesti del ricordo, 10)
Il testo ripercorre la costruzione del mito, che ha segnato, con alti e bassi,
la vicenda battistiana
a partire dal 12 luglio
1916, data della tragiL’EROE CONTESO
ca morte del deputato
di Trento, fino al 1935,
anno d’inaugurazione del
monumento
nazionale
sul Doss Trento. In questo periodo prevalse fortemente, in perfetto stile
dannunziano, l’immagine
dell’eroe, che, al grido di
VESTI
“viva Trento italiana” lanDEL
RICORDO
ciato dalla forca quando
già le mani del boia gli si
stringevano al collo, vinse la propria ventennale battaglia
contro l’Austria imperiale, trascinando con sé nella tomba il decrepito Francesco Giuseppe.
L’Autore mette in luce le contraddizioni dell’apparato militare sabaudo, che stenta a cogliere immediatamente la
potenza propagandistica della fine di Battisti, le successive difficoltà del fascismo, che trova proprio nell’epica
dannunziana un ostacolo nel fare propria fino in fondo
la figura del patriota trentino, ed infine la crescita, lenta
e minoritaria fin che si vuole, ma carica di potenzialità future per la storiografia battistiana, dell’immagine
dell’anti-eroe, vittima di quella guerra europea fratricida
che aveva segnato la fine dell’ideale socialista di fratellanza universale.
di Massimo Tiezzi
10
12/02/2008 11.49.00
15
una sala cinematografica. È la cronaca di vita di un’intera famiglia, delle tante persone che ne hanno condiviso
il progetto imprenditoriale e nel contempo il riflesso di
una città e di una società in continua e rapida trasformazione.
L’Autore, grazie soprattutto alla testimonianza di Ernesto
Artuso, primo titolare del cinema “Astra”, ripercorre la
tappe di questi eventi convergenti, restituendo al lettore
le intramontabili magie del grande schermo e il fascino
del “piacevole buio”.
16
Ugo Tartarotti
Nato a Pomarolo il 27 luglio 1920, partecipa attivamente alla Resistenza.
Dopo la guerra milita nel Partito comunista italiano nelle cui liste sarà
eletto consigliere comunale nel 1956 presso il Comune di Trento. Nel 1965
costituisce l’Alleanza Contadini del Trentino assumendone la presidenza fino
al 1980. Nel 1974 viene eletto Sindaco di Pomarolo. Nel 1979 approda nel
Consiglio regionale del Trentino-Alto Adige e nel Consiglio della Provincia
autonoma di Trento. Dal 1992 è presidente dell’Associazione nazionale
partigiani d’Italia (ANPI)-Sezione di Trento.
ISBN
978-88-7197-102-5
Copertina - Tartarotti.indd 1
sone che ne hanno
flesso di una città e
o Artuso, primo
eventi convergenti,
schermo e il fascino
icordi; Dal Veneto al
eri e la «battaglia»
realizzati;
o; L’alluvione e
nesto; il racconto
uturo
1995.
diano Trentino
del Trentino al
30/05/2008 15.36.21
Aldo Pantozzi
Im Angesicht des Todes
von Bozen bis nach Mauthausen
Die erste Auflage des vorliegenden autobiografischen Werks wurde 1946 herausgegeben, nur
ein Jahr nach dem Beginn der tragischen Umstände, die darin erzählt werden.
Es handelt sich um den schonungslosen Bericht von Aldo Pantozzi über seine
schreckliche Erfahrung im Lager Mauthausen: Hundert Tage verbrachte er Anfang 1945
in diesem Ort des Grauens und der tiefsten Verletzung der Menschenwürde.2002 gab
das Historische Museum von Trient mit dem Einverständnis der Familie Pantozzi eine
kommentierte Neuauflage des Buches heraus, die in kürzester Zeit ausverkauft war.
Nun wird das Werk erneut publiziert und dank der wesentlichen Unterstützung der Stadt Bozen
und der Autonomen Provinz Bozen auch in deutscher Sprache veröffentlicht,
um allen den Zugang zu diesem sowohl in historisch-dokumentarischer als auch
in menschlicher Hinsicht wertvollen Buch zu ermöglichen.
Inhaltsverzeichnis
Vorworte. Einführung von Ada Neiger. Aldo Pantozzi (1919-1995): biografische Daten.
Im Angesicht des Todes: von Bozen bis nach Mauthausen.
Redaktionsvermerk. Vorwort der ersten Auflage. Vorwort des Autors. Namenstag.
«Durchgangslager». Block E. Leidensgenossen aus La Spezia. Zu Besuch bei den
«Ukrainern». Von oben fällt Freiheit herab. Ins Ungewisse. Adieu, Italien! Die bestialische
Reise. Mauthausen! Diebstahl und Verbrechen. «Ruski-Lager»: Block 1. Verpflegung
und Ruhe. Grabstätte für Lebende. Die «Weberei». Arbeit, Peitsche, Hunger. Block 9:
Ende der Weberei. Vernichtung durch Hunger. Die «Zugänge». Zu den Gaskammern.
Die Befreiung. Das kleine Tagebuch von Mario. Ende. Bibliographie. Namensverzeichnis.
Aldo Pantozzi
Wurde 1919 in Avezzano geboren. Er besuchte das Gymnasium in Trient und Meran,
anschließend das Lyzeum in Bozen. 1942 schloss er sein Rechtsstudium in Bologna ab.
Wegen der Bombardierung von Bozen musste er im September 1943 mit seiner Familie nach
Cavalese fliehen, wo er einen Lehrauftrag im Schulzentrum von Ezio Mosna erhielt.
Am 1. Dezember 1944 wurde er von Beamten des Sicherheitsdienstes verhaftet,
ins Gefängnis von Trient überstellt und dort bis zum 10. Januar 1945 gefangen gehalten.
Es folgte die Überführung ins Lager Bozen und am 1. Februar 1945 die Deportation
in das Vernichtungslager Mauthausen. Nach seiner Rückkehr nach Bozen übte er
mit großem Einsatz seine Tätigkeit als Anwalt und ab 1950 als Notar aus. Er starb
am 10. November 1995 in Bozen
ISBN
978-88-7197-092-9
Paolo Piffer L’Astra, il cinema in casa
ura ufficialmente
«Clandestino a
Albertini.
ù della semplice
QUADERNI DI
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E 6,80
Aldo Pantozzi, Im Angesicht des Todes=Sotto gli occhi
della morte: von Bozen bis nach Mauthausen,
a cura di Rodolfo Taiani, pp. 138. € 11,00 (Grenzen/
Confini, 10)
Edita per la prima volta
nel 1946, ad appena un
anno di distanza dall’inizio delle vicende in essa
Im Angesicht des Todes
narrate, questa ricostru- von Bozen bis nach Mauthausen
Aldo Pantozzi
zione autobiografica di
Aldo Pantozzi è il racconto dei cento terribili giorni trascorsi nell’inferno
di Mauthausen nei primi mesi del 1945. Una
cruda testimonianza, che
10
narra degli orrori che si
consumarono in quel luogo di indicibili sofferenze
umane. Oggi, grazie all’apporto fondamentale del Comune di Bolzano e della Provincia autonoma di Bolzano,
viene proposta la traduzione in tedesco della versione già
edita nel 2002 e successivamente nel 2007.
17
Paolo Piffer, L’Astra, il
cinema in casa:
gli Artuso e il
cinematografo, pp. 79,
L’Astra
€ 12,50 (Quaderni di
il cinema in casa
Archivio Trentino, 17)
Paolo Piffer
È il 20 settembre 1952
quando il cinema «Astra»
inaugura ufficialmente
a Trento la sua attività
con la proiezione della
pellicola «Clandestino a
Trieste». Fra gli interpreti
17
anche l’attrice trentina
archivio
trentino
Edda Albertini.
Inizia così una storia che
riassume in sé qualcosa di più della semplice vicenda di
QUADERNI DI
30/05/2008 11.20.13
Via Torre d’Augusto, 35/41
38100 TRENTO
Tel. 0461.230482 Fax 0461.237418
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E 11,00
Copertina.indd 2
Aldo Pantozzi Im Angesicht des Todes
Sommario
La memoria del partigiano «Giorgio», di Giuseppe Ferrandi; La Resistenza in
Vallagarina; Profili biografici e appendice documentaria.
Provincia Autonoma
di Bolzano/Alto Adige
Autonome Provinz
Bozen/Südtirol
Città di Bolzano
Stadt Bozen
10
GRENZEN | CONFINI
Prima di scrivere questa testimonianza dedicata alla sua vicenda resistenziale,
Ugo Tartarotti si è cimentato nella scrittura pubblicando tre romanzi:
nel 1990, Il lungo cammino, nel 1993, La Wilma va in città, nel 1996,
La Corte Celeste. Questa volta non è un romanzo ma un’intensa «memoria
resistenziale». Anche i suoi romanzi avevano come sfondo la ricca biografia
dell’autore: il mondo contadino, la guerra e la Resistenza, la militanza e
l’impegno politico. Evocando le fasi principali della sua esperienza vissuta con
il nome di battaglia «Giorgio», Ugo Tartarotti riesce a trasmettere un’idea, per
quanto ovviamente parziale, di quella che fu la guerra partigiana in una zona
geograficamente delimitata del Trentino meridionale.
Ugo Tartarotti La Resistenza in Vallagarina
Ugo Tartarotti, La
Resistenza in
Vallagarina: sulle
montagne della destra
La Resistenza
Adige dal febbraio 1944 in Vallagarina
al maggio 1945, pp. 64, Ugo Tartarotti
€ 6,80 (Quaderni di
Archivio Trentino, 16)
Prima di scrivere questa
testimonianza dedicata
alla sua vicenda resistenziale, Ugo Tartarotti si è
cimentato nella scrittura
16
pubblicando tre romanzi:
archivio
trentino
nel 1990, Il lungo cammino, nel 1993, La Wilma va in città, nel 1996,
La Corte Celeste. Questa volta non è un romanzo ma
un’intensa «memoria resistenziale». Anche i suoi romanzi avevano come sfondo la ricca biografia dell’autore: il
mondo contadino, la guerra e la Resistenza, la militanza
e l’impegno politico.
Evocando le fasi principali della sua esperienza vissuta
con il nome di battaglia «Giorgio», Ugo Tartarotti riesce a
trasmettere un’idea, per quanto ovviamente parziale, di
quella che fu la guerra partigiana in una zona geograficamente delimitata del Trentino meridionale.
Ugo Tartarotti
La Resistenza in Vallagarina
www.museostorico.it
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GRENZEN
CONFINI
07/07/2008 15.31.29
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ALTRESTORIE - Periodico di informazione - Direttore responsabile: Sergio Benvenuti
Comitato di redazione: Giuseppe Ferrandi, Patrizia Marchesoni, Paolo Piffer, Rodolfo Taiani
Hanno collaborato a questo numero: Elena Andreotti, Massimo Parolini, Francesca Rocchetti
e Caterina Tomasi
Periodico quadrimestrale registrato dal Tribunale di Trento il 9.5.2002, n. 1.132 ISSN 1720-6812
Progetto grafico: Graficomp - Pergine (TN)
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