TESINA
LA
SESSUALITÀ
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INTRODUZIONE
FILOSOFIA
• FREUD
o Il cammino della sessualità
STORIA
•
I COSTUMI SESSUALI NELL’ITALIA DEL ‘900
ITALIANO
• PASCOLI
o Il Gelsomino Notturno
•
D’ANNUNZIO
o “Terra Vergine” e “Il Piacere”
•
SVEVO
o Senilità
LATINO
• PETRONIO
o Il Satyricon
•
MARZIALE
o Rappresentazione del mondo in chiave comico–realistica
•
GIOVENALE
o Contro la degenerazione della donna
•
APULEIO
o Amore e psiche
GRECO
• SAFFO
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•
CALLIMACO
o La novella di Aconzio e Cidippe.
•
ERODA
o L’oscenità contenuta: “Le amiche a colloquio segreto” (Mimiambo 6)
•
ERACLE E ILA
o Teocrito, Idillio 13;
o Apollonio Rodio, Argonautiche, I libro
INTRODUZIONE
Per sessualità si intende l’attività sessuale dell’essere umano, considerata non solo nel suo
particolare aspetto biologico, ma anche in quello psicologico, sociale, culturale.
La parola primitiva da cui deriva è il termine « sesso » che può avere diverse etimologie:
•
Dal lat. Sexus/secus, che deriva a sua volta dal termine greco “texos”, “procreato” dal verbo in radice tak“fabbricare”
•
Dal lat. Texere “tessere”
•
Dal gr. exis→sexis “stato, condizione”
•
Dal lat. Secare “separare” (a indicare la separazione, la diversificazione uomo – donna)
Grammaticalmente il termine sessualità ha vari sinonimi, ma quello più importante a livello
umanistico è il termine “erotismo”. Dal nome del dio greco dell’amore Eros, immaginato
originariamente come simbolo della coesione interna dell'universo e della forza attrattiva che spinge
gli elementi della natura ad unirsi tra loro, fu usato per la prima volta in filosofia da Platone che nel
Simposio lo descrive come un demone sempre inquieto e scontento. Secondo Platone infatti Eros
era figlio di Pòros (Abbondanza) e Penìa (Povertà): la filosofia intesa come eros è dunque
essenzialmente amore ascensivo, che aspira alla verità assoluta e disinteressata (ecco la sua
abbondanza); ma al contempo è costretta a vagare nelle tenebre dell'ignoranza (la sua povertà). Eros
rappresenta così la ricerca di completezza che causa l'amore e le mille astuzie a cui sono pronti gli
amanti per raggiungere i loro scopi amorosi. In chiave prettamente filosofica, la natura ingegnosa di
Eros lo porta ad essere via verso la filosofia attraverso la mania erotica.
Discernendo da qualsiasi valore filosofico, e concentrandoci su quello che è poi il significato
puramente edonistico del “praticare l’amore” è d’obbligo citare l’opera più importante della
letteratura sanscrita sull’amore, ossia il Kama Sutra, scritto dall’indiano Vatsyayana tra il I e il IV
secolo d.C. L’opera, che consta di 35 capitoli, non è, come si pensa, un semplice manuale dove
sono elencate 68 posizioni sessuali: nell’economia del libro esse rappresentano solo il 20%. Il resto
è una guida su come essere un buon cittadino e parla delle relazioni fra uomini e donne. Il Kama
Sutra descrive il fare l'amore come un'unione divina. Vatsyayana credeva che il sesso in sé non
fosse sbagliato, a meno che non lo si facesse frivolmente. Il Kama Sutra ha aiutato le persone a
godere dell'arte del sesso in maniera più profonda e può essere considerato una guida tecnica al
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godimento sessuale, oltre a provvedere ad una descrizione dei costumi e delle pratiche sessuali
dell'India di quei tempi. Il Kama (in sanscrito piacere o benessere) non è infatti percepito come un
peccato, ma è uno dei quattro scopi della vita (purushartha).
FILOSOFIA
• FREUD: IL CAMMINO DELLA SESSUALITA’
Freud è stato, come sappiamo, il fondatore della psicoanalisi, e, con la pubblicazione di tre saggi
sulla sessualità osò affermare che molti dei nostri comportamenti comuni sono in realtà dettati da
impulsi di origine sessuale. Considerato il fatto che dal punto di vista psichico "siamo l'eredità della
nostra infanzia", Freud cominciò dall'analisi delle pulsioni infantili per arrivare alla conclusione che
esse sono dettate da istinti sessuali non censurati.
Fu un annuncio scioccante, un'ipotesi di lavoro che costò parecchio a Freud in termini successo
accademico: Freud definiva il bambino come un perverso polimorfo, ovvero un individuo che, data
la mancanza di una censura morale consolidata, esplorava ogni via del piacere corporeo (la libido)
senza sensi di colpa.
Nello sviluppo della sessualità di un individuo Freud distingue cinque fasi: la fase orale, quella
anale, quella fallica, una fase di latenza e infine la fase genitale.
La fase orale va dalla nascita ai due anni: il bambino esplora il mondo principalmente con la bocca.
In questo periodo porta alla bocca gli oggetti per conoscergli e succhia il latte dal seno materno,
ovvero la parte del corpo che lo lega al mondo circostante è la bocca.
La fase anale va dai due ai quattro anni: è la fase in qui il bambino impara a controllare la ritenzione
delle feci (l'educazione al vasino). E' il periodo in cui incassa i primi si e i primi no, ciò che può e
ciò che non deve fare. Questo implica secondo Freud il raggiungimento di una prima forma di
autonomia psicologica.
La fase fallica va dai quattro ai sette anni: è una fase cruciale. maschi e femmine si accorgono della
propria differenza sessuale. I maschi temono di perdere ciò che pensano abbia perso anche la
femmina (complesso di castrazione), le femmine tendono a sentirsi inferiori ai maschi per ciò che
manca a loro e subentra l'invidia del pene.
In questa fase si definiscono i ruoli sessuali che si assumeranno da adulti. Subentra il complesso di
Edipo: i maschi vogliono sposare la mamma e le femmine il papà, entrambi sopperiscono alla
gelosia nei confronti del papà e della mamma assumendo i ruoli dei genitori.
E in questa fase che si forma il Super-Io: i ruoli che si obbligano ad assumere portano i bambini a
far fronte ai primi imperativi sociali legati alla figura materna e paterna (Freud ipotizza che un
errata comprensione dei rispettivi ruoli assunti in questa fase sia all'origine dell'omosessualità e
della delinquenza).
La fase di latenza va dai sette agli undici anni: i bambini si concentrano sull'apprendimento dei
comportamenti sociali e trascurano momentaneamente quelli di natura sessuale.
La fase genitale va dagli undici anni fino all'età matura: è la fase del pieno sviluppo sessuale, del
piacere attraverso i genitali, della masturbazione e del primo rapporto: l'adolescenza, la giovinezza e
l'età adulta.
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STORIA
• I COSTUMI SESSUALI NELL’ITALIA DEL ‘900
Le teorie sulla sessualità di Freud scioccarono la critica e gli esperti del settore ma non stravolsero
assolutamente le abitudini sessuali degli europei. Negli anni Dieci, e ancora negli anni Venti, Freud
era considerato poco scientifico, insomma un mezzo ciarlatano, colui che aveva osato calunniare la
pura innocenza infantile.
Tuttavia, rispetto all'Ottocento il nuovo secolo sostituisce alla pruderie del passato una certa
disinvoltura nei comportamenti, soprattutto tra le donne delle classi elevate. La donna emancipata
dei primi del Novecento non è più la suffragetta attenta a rivendicare solo i suoi diritti politici. È
una donna cosciente di sé e del proprio sesso, consapevole della propria parità con l'uomo e
convinta che i privilegi maschili prima o poi sarebbero venuti meno. La donna comincia a darsi
attivamente alla politica, a sedere nelle aule delle Università, nei laboratori, a fare sport, ad andare
in bicicletta e a tirare di scherma. L'industrializzazione italiana di inizio secolo contribuisce alla
promiscuità sul posto di lavoro e quindi rende più facili gli approcci sentimentali e sessuali. La
forza lavoro femminile diventa elemento fondamentale di tutte le grandi aziende del nord,
soprattutto nelle filande e nei cotonifici.
La donna che lavora in fabbrica, sottopagata e quindi più sfruttata rispetto all'uomo, viene però a
smarrire i canoni tradizionali dell'attrattiva sessuale: il senso del mistero, il fascino del difficilmente
raggiungibile o, comunque, quell'aura dannunziana di donna fatale diventano privilegio esclusivo
della borghesia agiata. Non c'è spazio per l'estasi sentimentale quando si lavora in fabbrica o nei
campi. Le "fabbrichine" perdono la bellezza, la salute, e spesso pure le "virtù".
L'Italia giolittiana esprime al meglio l'essenza dello spirito borghese del primo Novecento.
L'automobile, il tram, l'illuminazione elettrica, contribuiscono a fare delle città italiane dei centri di
svago e di divertimento. Aumentano le occasioni mondane offerte da balli, avvenimenti sportivi,
café-chantant, teatri. All'opera si preferisce l'operetta o le canzoni piccanti delle chanteuse. Anche
in materia sessuale lo spirito è tipicamente borghese, con pesanti contaminazioni di tipo religioso.
In pratica nei rapporti tra i due sessi si chiedeva un comportamento adeguato alle esigenze della
società dell'epoca. Ad esempio, il codice morale della buona gioventù non permetteva che due
fidanzati dormissero sotto lo stesso tetto o che rimanessero a lungo soli.
Del resto a tenere banco nella famiglia borghese di inizio secolo erano ancora i rigorosi precetti
cattolici, che imponevano la più assoluta morigeratezza. Ogni passione sessuale era per la Chiesa un
"peccato mortale".
Le parti decenti del corpo erano il volto, le spalle, le braccia e la schiena, mentre i genitali e le zone
circostanti rientravano nella categoria dell'indecenza. Superfluo aggiungere che guardare le parti
indecenti di una persona dell'altro sesso rappresentasse un peccato mortale, così come i
"toccamenti" al di fuori del matrimonio. Fino a Paolo VI il matrimonio sarà sempre visto come una
funzione esclusivamente biologica, giustificata al fine della procreazione e non della sessualità.
Ma se questa era la rigorosa morale di facciata, ce n'era un'altra ben più tollerante e libertina,
estremamente funzionale al soddisfacimento degli istinti sessuali dell'uomo. Infatti, la stragrande
maggioranza dei giovani maschi andava incontro alla propria iniziazione sessuale nel luogo
tradizionalmente ad esso deputato, il bordello (chiamato anche casa di tolleranza).
Ma per chi ne aveva l'opportunità c'erano anche le cameriere e le donne di servizio, ingaggiate
anche per soddisfare - neppure troppo nascostamente - le pulsioni del capo famiglia e fornire i primi
rudimenti dell'arte amatoria ai giovani "bene". In pratica solo pochissimi giovani uomini avevano il
primo rapporto con "ragazze borghesi", cioè con donne appartenenti al proprio stesso ceto sociale.
La sessualità maschile, così orientata ai rapporti mercenari prematrimoniali, aveva come contraltare
il problema sanitario della sifilide (problema tuttavia anche femminile quando, come spesso
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accadeva, i mariti trasmettevano il contagio alle mogli inconsapevoli).
Fino all'inizio del Novecento i mezzi per combattere la sifilide erano ancora quelli di due secoli
prima. La prospettiva per chi ne era contagiato era quella di una lunga agonia e di una decadenza
fisica che nel giro di qualche anno avrebbe condotto alla paralisi o all'alienazione mentale.
Nonostante i rischi il bordello conserverà la sua funzione "istituzionale" ancora fino alla legge
Merlin. Durante la Grande Guerra per i soldati al fronte le autorità militari arriveranno ad agevolare
l'installazione di veri e propri bordelli privati. Benché le fonti ufficiali non ne facciano cenno, per
ovvi motivi di moralità, i bordelli di guerra riscuoteranno un grande successo tra la truppa.
Nel creare il costume sessuale degli italiani, e spesso nel delimitare rigorosamente i confini, la
Chiesa - lo abbiamo già visto prima - ha avuto un ruolo fondamentale.
Nonostante gli attriti postunitari la Chiesa sarà sempre vista dallo stato liberale, e in seguito dal
fascismo e poi dalla Repubblica, come un organo dell'ordine pubblico, come il rigoroso garante dei
buoni costumi. Un garante tanto più credibile e incisivo nei suoi interventi perché si rivolge alla
sfera intima della coscienza umana.
Per gli italiani dell'epoca fascista il sesso continuerà ad essere condizionato come prima dai precetti
cattolici. E, sempre come prima, si continuerà far ricorso alla logica della doppia morale. Del resto
il costume sessuale in epoca fascista è troppo preso dall'esaltazione propagandistica della madre per
assumere una sua fisionomia peculiare. Il mito della madre prolifica va di pari passo con quello
della nazione e della patria. Così come di pari passo marcia l'immagine dell'uomo virile, ardito
combattente e impavido fecondatore.
È stato notato da alcuni studiosi che durante il fascismo scompaiono dai quotidiani le inserzioni dei
medici specializzati nella cura dell'impotenza, quasi a sottolineare che nell'Italia di Mussolini non
c'è spazio per uomini poco virili.
Rimangono invece le inserzioni riguardanti la cura delle malattie veneree (e anche i preservativi
maschili - la cui pubblicità si può già trovare nei quotidiani del 1913 - che vengono però visti non
come antifecondativi ma come mezzo di protezione dalle malattie veneree, diffuse secondo
l'opinione corrente, dalle prostitute). Dietro la 'sana' famiglia fascista prospera dunque, come
sempre, la prostituzione. Accanto alla retorica della madre alligna la retorica della “donna perduta".
La fine della guerra e l'arrivo dei soldati americani, che portano negli zaini, assieme a chewing gum,
cioccolato e foto di pin up, anche abbondanti scorte di preservativi e calze di nylon, sembra in grado
di stravolgere il rigore sessuale degli italiani. Ma gli effetti, e gli eccessi vengono presto stemperati
dal successo elettorale democristiano. Per la Chiesa ogni piacere sessuale cercato al di fuori del
matrimonio continua ad essere un peccato mortale. Ne consegue che ogni impulso sessuale non può
che venire finalizzato all'obiettivo della procreazione, naturalmente all'interno del sacro vincolo
matrimoniale.
È passata alla storia del costume la reprimenda che il giovane onorevole Oscar Luigi Scalfaro si
sentì in dovere di rivolgere in un ristorante romano a una giovane signora in abiti ritenuti troppo
succinti. In tema di licenziosità, negli anni Cinquanta può bastare un décolleté per suscitare le più
intransigenti ire cattoliche.
Il boom economico, il benessere, le vacanze al mare e il cinema offrono continui spunti per evasioni
e tentazioni libertine. Solo che mentre un tempo la licenziosità era tollerata in quanto atteggiamento
esclusivo di un ristretto ceto sociale, in democrazia la libertà sessuale non può più restare privilegio
di pochi. I vitelloni, di Federico Fellini, e Il seduttore, con Alberto Sordi, sono lo spaccato di una
società che per principio ammetteva la sessualità solo nel matrimoni ma che nella realtà si
comportava altrimenti.
Oltre a rappresentare due tappe di una grande stagione del cinema italiano, sono l'incarnazione della
doppia morale, sviluppata, manco a dirlo, soprattutto nell'uomo: insomma la regola era formalmente
accettata ma le scappatoie per raggiungere l'appagamento sessuale erano note a tutti e ampiamente
tollerate.
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L'Osservatore Romano, giornale del Vaticano, tuonerà contro i falsi miti e la perdita dei valori con
alcuni articoli ("Basta", "La sconcia vita") scritti, pare, dal solito Scalfaro. Nel 1958 chiudono le
"case chiuse": sono circa 5000 gli stabilimenti del sesso a pagamento liquidati dalla legge Merlin.
La Repubblica italiana abolisce la regolamentazione e le case di tolleranza gestite dallo stato,
continuando a punire lo sfruttamento e il favoreggiamento da parte di terzi e l'adescamento da parte
della prostituta. In pratica viene decriminalizzata l'attività vietandone però l'organizzazione. La
doppia morale continua a sopravvivere: le prostitute finiscono in strada, dove però verranno
ampiamente tollerate.
La libertà sessuale, intesa soprattutto come emancipazione sessuale femminile, è stato uno dei
cavalli di battaglia del '68 italiano. I principi marxisti imponevano allora di individuare un nesso
forte tra la le norme repressive in materia sessuale e il controllo esercitato dal potere politico.
Si afferma, citando Marx, che la forza-lavoro richiesta dalla società capitalista è "prodotta" dalla
donna, e che quindi il controllo esercitato per lungo tempo sul corpo della donna non è stato altro
che un metodo escogitato dal capitale per garantirsi sempre nuove braccia. Le donne iniziano quindi
a rifiutare l'immagine di angelo del focolare domestico, frutto di una cultura di tipo patriarcale, e si
mettono alla ricerca di una identità autonoma. La sessualità femminile esce dal ghetto, nelle
università si tengono corsi autogestiti di educazione sessuale, si comincia a parlare liberamente di
orgasmo femminile, di contraccezione.
In ambito cattolico la discussione sollevata dall'enciclica Humanae vitae di Paolo VI (1968) mette
in luce le notevoli divergenze circa l'uso degli anticoncezionali. Anche tra i giovani più legati alla
Chiesa o a posizioni politiche clerical-conservatrici emergono lentamente atteggiamenti di maggiore
libertà. Non tutti sono più disposti a condannare in toto la sessualità prematrimoniale, gli
anticoncezionali, la masturbazione o l'omosessualità.
Certe conquiste sessuali degli anni Sessanta e Settanta sembrano tuttavia andare in una direzione
opposta rispetto a quella di una vera libertà sessuale. Il sesso diventa pretesto di rivendicazioni
politiche (si pensi all'ingresso alla Camera dei deputati della pornostar Ilona Staller, eletta tra le file
del Partito radicale nel 1987) o semplice prodotto di consumo. Ne è un esempio evidente la
commercializzazione del corpo fatta dalla pornografia. Nonostante la lunga stagione della
repressione sessuale, nonostante la legge Merlin, il sesso in Italia continua ad essere un fattore di
produzione come tanti altri.
La fine degli anni Sessanta e i primi anni Settanta vedono la nascita della stampa pornografica. Nel
1966 esce il primo numero di Men, rivista erotica che nei primi tempi si limita alla pubblicazione di
fotografie di ragazze in bikini accompagnate da testi "piccanti". Ma è nel 1967 che nella ancora
cattolicissima Italia escono le prime riviste per soli uomini e i primi fumetti a sfondo sadico-erotico.
E nell'ottobre del 1967 esplode la grande polemica. I primi seni nudi fanno capolino in un servizio
fotografico su Men e subito si scatena il finimondo. Capofila dell'indignazione sono centocinquanta
deputati democristiani, l'ordine dei giornalisti, comitati di cittadini e semplici padri di famiglia, tutti
uniti dalla comune volontà di frenare la nascente pornografia.
Denunce e sequestri fioccano copiosi. Anche quotidiani di orientamento laico, come La Stampa,
chiedono a gran voce l'intervento della magistratura contro la diffusione delle riviste oscene in
edicola. Dal primo seno del 1967 si passa al primo pube femminile del 1968. Ma è solo negli anni
Settanta che anche in Italia la pornografia va incontro a una poderosa diffusione. Anche nel settore
del cinema viene progressivamente vinta la resistenza della censura: dai primi film erotici di
produzione nostrana, con improbabili "dottoresse" e "supplenti" costantemente inquadrate sotto la
doccia, si passa a quelli decisamente pornografici, diffusi a partire dal 1977 nelle cosiddette sale "a
luci rosse".
Tra gli effetti più sensazionali della liberazione sessuale degli ultimi due decenni del secolo c'è
l'uscita dell'omosessualità dall'ombra. Nonostante la Chiesa continui a condannarla, soprattutto
perché vi vede la definitiva e assoluta separazione tra interesse sessuale e riproduzione,
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l'omosessualità, già dalla fine degli anni Settanta, non è più considerata dagli psichiatri come un
disturbo mentale o una perversione. Contemporaneamente si è potentemente sviluppata anche la
scienza della sessuologia. I consigli degli esperti, volti alla definizione e alla ricerca di ciò che si
deve intendere per "salute sessuale", impazzano ormai tra le rubriche dei periodici italiani e non.
ITALIANO
• PASCOLI: “IL GELSOMINO NOTTURNO”
E s'aprono i fiori notturni,
nell'ora che penso a' miei cari.
Sono apparse in mezzo ai viburni
le farfalle crepuscolari.
Da un pezzo si tacquero i gridi:
là sola una casa bisbiglia.
Sotto l'ali dormono i nidi,
come gli occhi sotto le ciglia.
Dai calici aperti si esala
l'odore di fragole rosse.
Splende un lume là nella sala.
Nasce l'erba sopra le fosse.
Un'ape tardiva sussurra
trovando già prese le celle.
La Chioccetta per l'aia azzurra
va col suo pigolio di stelle.
Per tutta la notte s'esala
l'odore che passa col vento.
Passa il lume su per la scala;
brilla al primo piano: s'è spento . . .
È l'alba: si chiudono i petali
un poco gualciti; si cova,
dentro l'urna molle e segreta,
non so che felicità nuova.
La poesia fu composta da Pascoli per le nozze dell’amico Gabriele Briganti ed uscì in forma di
opuscolo nel 1901, poi fu raccolta nei Canti di Castelvecchio.
I Canti di Castelvecchio, come Myricae, contengono immagini della vita di campagna, ma hanno un
assetto più lirico che narrativo. I componimenti si susseguono secondo un disegno segreto, che
allude al succedersi delle stagioni: ancora una volta il ciclo naturale si presenta come un rifugio
rassicurante e consolante dal dolore e dall’angoscia dell’esistenza storica e sociale. Ricorre con
frequenza ossessiva il motivo della tragedia familiare e vi è anche il rimando continuo del nuovo
paesaggio di Castelvecchio a quell’antico dell’infanzia in Romagna quasi ad istituire un legame
ideale tra il nuovo “nido” e quello spazzato via dalla tragedia.
Vi è la presenza di temi morbosi quali la morte, che a volte appare un dolce rifugio in cui
sprofondare, e il sesso contemplato con il turbamento del fanciullo per il quale il rapporto adulto è
qualcosa di ignoto, ripugnante e affascinante allo stesso tempo.
Ed è proprio questo il tema centrale della poesia che stiamo per analizzare.
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Essa si presenta in sei quartine di novenari con rima alternata.
PARAFRASI: I gelsomini notturni aprono i loro fiori al calar della sera quando il poeta rivolge il
pensiero ai suoi morti.
Anche le farfalle del crepuscolo iniziano il loro volo nelle ore della notte tra i viburni, fiori bianchi
di forma sferica. Tutto tace: insieme alla notte è calato il silenzio: solo in una casa ancora si veglia:
ne provengono rumori sommessi, che paiono un bisbiglio di voci. Nel nido i piccoli dormono sotto
le ali della madre, come gli occhi sotto le palpebre chiuse. Dai calici aperti dei fiori di gelsomino
esala un profumo che fa pensare all’odore di fragole rosse. Mentre nella casa una luce splende nella
sala, l’erba cresce sulle tombe dei morti. Un’ape, che si è attardata nel volo, trova tutte occupate le
cellette del suo alveare. La costellazione delle Pleiadi risplende nel cielo azzurro e il tremolio della
sua luce richiama l’immagine di una piccola chioccia circondata dai suoi pulcini che pigolano. Per
tutta la notte esala il profumo dei gelsomini che il vento porta via con sé. La luce accesa nella casa
sale su per la scala, brilla al primo piano e si spegne … All’arrivo dell’alba si chiudono i petali e il
fiore “cova” “nell’urna molle e segreta” non so quale felicità nuova.
IL RITO DI FECONDAZIONE. A una prima lettura la poesia si presenta ricca di elementi che
vanno a caratterizzare il paesaggio notturno. L’interpretazione in chiave sessuale della poesia è
dovuta grazie a una nota che, nella prima edizione, faceva riferimento alla poesia, nella quale
Pascoli afferma che durante la prima notte di nozze di Gabriele Briganti e sua moglie fu concepito il
piccolo Dante Gabriele Giovanni. In questo modo si chiariscono le immagini che si riferiscono alla
casa che sola “bisbiglia” nel silenzio della notte, al lume che splende nella sala, sale per le scale,
brilla al primo piano, si spegne: esse rivelano il vagheggiamento attraverso un’immaginazione
trepidante, del rito di fecondazione che si svolge nella casa nuziale e da cui deve nascere la nuova
vita. In questa prospettiva assume significato anche l’immagine centrale della poesia del fiore che
apre il suo calice al calar della sera e per tutta la notte esala il suo profumo penetrante ed inebriante:
il fiore si schiude anch’esso per il processo di fecondazione, quindi l’immagine vegetale è allusiva
all’altro rito, che si svolge nel mondo umano. L’aprirsi della corolla e l’esalare profumo appaiono
come un invito all’amore, di cui il poeta sottolinea con forza la carica sensuale, con l’insistere sulle
intense sensazioni olfattive e cromatiche: il colore rosso che richiama la sensualità si fonde sin
esteticamente col profumo dolce delle fragole.
Ma all’alba i petali del fiore si chiudono “un poco gualciti”. Il vagheggiamento del rito amoroso è
trepidante ma anche turbato: Pascoli non può concepire il sesso che come violenza inferta alla
carne. Quello di Pascoli non è un inno gioioso alla fecondità, quale si poteva trovare nelle poesie
per le nozze nel mondo classico, gli epitalami: è un epitalamio moderno, quale può scrivere un
poeta dalla coscienza inquieta e infelice. La conferma viene anche dall’immagine conclusiva dell’
“urna molle e segreta”, in cui si cova il frutto della fecondazione: gli aggettivi rivelano un misto di
attrazione e repulsione per il corpo femminile. Il concepimento è visto non in modo sereno, ma con
una sorta di eccitazione morbosa. La contemplazione del rito avviene da parte di chi ne è escluso: il
punto di osservazione si trova lontano dalla casa nuziale (come indica l’avverbio di luogo “là”
ripetuto più volte), e la ricostruzione può avvenire solo grazie all’immaginazione, un
‘immaginazione turbata da un’ansia, da un eccitamento astratto e febbrile proprio di chi vorrebbe
celebrare la fecondazione ma non ha un nido proprio: rappresenta l’ape tardiva che è rimasta
esclusa dall’alveare e si aggira nella sua desolata solitudine.
LE IMMAGINI MORTUARIE. In questo modo si chiariscono anche le immagini mortuarie che si
alternano con quelle del fiore che invita all’amore (“Nell’ora che penso ai miei cari”, “Nasce l’erba
sopra le fosse”). La tragedia familiare che ha distrutto il “nido” ha bloccato il poeta alla condizione
psicologica infantile, lo ha tenuto prigioniero del “nido” ormai impossibile, impedendogli di
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uscirne. Al posto del legame adulto e maturo con il mondo esterno, l’altro, la donna, il poeta istaura
un legame viscerale, oscuro, ossessivo con i morti: uscire, legarsi a una donna, generare sarebbe il
tradimento ad un vincolo vissuto come sacro, inviolabile
LE IMMAGINI DEL “NIDO”. Esse riproducono l’immagine gelosa, chiusa, rassicurante del “nido”
originario, quello andato perduto e che deve essere ricostruito dai superstiti, quello dove i piccoli
sono protetti dal calore dei grandi, in cui vi sono solo i rapporti affettivi tra genitori e figli, ed il
sesso inquietante è assente; si viene quindi a creare una sorta di opposizione tra il nido e la casa
nuziale.
• D’ANNUNZIO
TERRA VERGINE. La raccolta di novelle “Terra Vergine” è la prima opera narrativa di
D’Annunzio. Il mondo è sostanzialmente idilliaco, non problematico: in una natura rigogliosa e
sensuale esplodono passioni primordiali, soprattutto sotto forma di un erotismo vorace,
irrefrenabile.
IL PIACERE. Il primo romanzo è “Il Piacere”, al centro del quale si pone la figura di un esteta,
Andrea Sperelli, il quale non è che un doppio di D’Annunzio stesso, nel quale l’autore obiettiva la
sua crisi e la sua insoddisfazione. Andrea è un giovane aristocratico, artista proveniente da una
famiglia di artisti, “tutto impregnato di arte”. Il principio “fare della propria vita, come si fa
un’opera d’arte”, in un uomo dalla volontà debolissima come è Andrea, diviene una forza
distruttrice, che lo priva di ogni energia morale e creativa, lo vuota e lo isterilisce. La crisi trova il
suo banco di prova nel rapporto con la donna. L’eroe è diviso tra due immagini femminili: Elena
Muti, la donna fatale che incarna l’erotismo lussurioso, e Maria Ferres, la donna pura, che
rappresenta ai suoi occhi l’occasione di un riscatto e di una elevazione spirituale. Ma in realtà
l’esteta libertino mente a se stesso: la figura della donna angelo è solo oggetto di un gioco erotico
più sottile e perverso, fungendo da sostituto di Elena, che Andrea continua a desiderare e rifiuta.
Andrea finisce per tradire la sua menzogna con Maria, ed è abbandonato da lei, restando solo con il
suo vuoto e la sua sconfitta.
• SVEVO: SENILITA’
Emilio Brentani, trentacinquenne, vive di un modesto impiego presso una società di assicurazioni
triestina e gode di una certa reputazione in ambito cittadino per un romanzo pubblicato anni prima.
Ha vissuto la vita evitando pericoli e piaceri, appoggiandosi alla sorella Amalia che gli fa da madre,
e all’amico Stefano Balli, un giovane scultore che compensa l’insuccesso artistico con
un’eccezionale fortuna con le donne, che è un po’ la sua figura paterna. L’insoddisfazione per la sua
esistenza vuota e mediocre lo porta alla ricerca del godimento con una ragazza del popolo,
Angiolina, conosciuta casualmente. Inizialmente si propone di divertirsi senza impegnarsi
seriamente imitando il dongiovannismo del suo amico Stefano, ma se ne innamora. Ma Angiolina è
una ragazza cinica, bugiarda e dai semplici costumi e quando viene a sapere ciò, Emilio, si fa
prendere da una gelosia ossessiva e decide di separarsi da lei. Questo gli provoca un certo
malessere: riallaccia i rapporti, ma il possesso fisico a cui finalmente arriva (in realtà per iniziativa
di Angiolina) lo delude. Intanto Stefano si interessa di lei, e puntualmente se ne innamora, e la
gelosia patologica si concentra tutta sull’amico. Intanto anche Amalia si innamora di Stefano, ma,
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seppure cerca di nasconderlo, Emilio lo capisce e allontano l’amico da casa distruggendo la vita di
sua sorella, che trova rifugio nell’etere, ammalandosi di polmonite. Lascia il capezzale di Amalia
morente per vedere Angiolina e chiudere definitivamente con lei, ma, venendo a conoscenza di
ulteriori tradimenti, è preso dall’ira e la insulta violentemente. Amalia muore. Emilio torna a
chiudersi nel guscio della sua senilità guardando alla sua avventura come un “vecchio” guarda la
sua “gioventù”. E nei suoi sogni fonde insieme Amalia e Angiolina, in un’unica figura femminile
che diviene il simbolo della sua utopia socialista.
La parte preponderante della narrazione è assunta dall’analisi del protagonista, che campeggia al
centro dell’attenzione per quasi tutto il romanzo; dal punto di vista sociale è un piccolo borghese,
allo stesso tempo è anche un intellettuale; dal punto di vista psicologico è un debole, un “inetto”,
che ha paura di affrontare la realtà e per questo si è costruito un sistema protettivo, conducendo
un’esistenza cauta che gli garantisce calma e sicurezza, ma implica la rinuncia al godimento, la
mortificazione della vita. E’ una sorta di limbo, di sospensione vitale, che il titolo definisce
“Senilità”.
Resta in Emilio un’inquietudine, che nasce da un desiderio irrefrenabile di godimento, di piaceri. La
vita e il godimento assumono ai suoi occhi le sembianze di Angiolina, con lei Emilio assapora per la
prima volta il mondo esterno, esce dal nido e viene a contatto con il mondo esterno.
Ebbene, proprio la relazione con la donna è il reagente che fa venire alla luce l’inettitudine di
Emilio ad affrontare la realtà. Questa inettitudine è soprattutto immaturità psicologica, fissazione ad
una fase infantile dell’evoluzione psichica. Nonostante il suo proposito di godere di un’avventura
facile e breve con il cinismo di dongiovanni, Emilio ha paura della donna e del sesso, e per questo
sostituisce alla donna reale, di carne, una donna ideale, trasformando nei suoi sogni Angiolina in
una creatura angelica e purissima, chiaro equivalente della madre. Il possesso fisico lo lascia turbato
e insoddisfatto perché contamina quello ideale. Emilio maschera ai propri occhi la sua immaturità
psicologica nel rapporto con la donna costruendosi fittiziamente quell’immagine virile che non sa
incarnare nella realtà, e si compiace dio recitare un ruolo “paterno” nei confronti di Angiolina,
immaginandosela ingenua, debole e sprovveduta e proponendosi di “educarla”, di insegnarle, la
“coscienza della vita”.
LATINO
• PETRONIO:
IL SATYRICON
Il Satyricon è considerato il primo romanzo della storia della letteratura e la sua attribuzione ad un
certo Petronius Arbiter ci è fornita da Tacito che ne ha tracciato il profilo. E’ definito il romanzo
realistico dell’età neroniana perché l’autore ci offre una descrizione efficacissima del clima morale,
culturale e civile che regnava durante l’Età di Nerone, il modo di essere e di atteggiarsi dei suoi
personaggi, il trionfo dei sensi, del sesso e delle orge erotiche.
Encolpio, il giovane protagonista, racconta le avventure alle quali è andato incontro durante un
viaggio fatto in compagnia del giovane Gìtone di cui è innamorato e dell'amico Ascilto, in una non
bene precisata località della Campania (da alcuni identificata con Pozzuoli). Dopo una discussione
con il retore Agamennone sul tema della decadenza dell'eloquenza, i tre iniziano a vivere le
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avventure più disparate. Vengono anche accusati di aver offeso il dio Priapo in persona, avendo
interrotto un rito in suo onore. Costretti quindi a rimediare al sacrilegio, sono coinvolti in un'orgia
purificatrice, durante la quale subiscono estenuanti prove erotiche.
Inizia allora il racconto della "cena" a casa di Trimalchione, episodio centrale dell'opera, di cui
occupa quasi la metà. Ospiti, oltre ai tre ragazzi, sono vari personaggi del rango di Trimalchione,
liberto arricchitosi, che fa sfoggio con ostentata esagerazione delle sue ricchezze. La conversazione
fra i convenuti verte su argomenti comuni (il clima, i tempi, i giochi pubblici, l'educazione dei
figli), ma offre uno spaccato vivace e colorato, non senza punte di chiara volgarità, della vita di quel
ceto sociale.
In seguito, Encolpio, allontanatosi dagli altri due compagni, incontra Eumolpo, un vecchio letterato
che, notato l'interesse di Encolpio per un quadro raffigurante la presa di Troia, gliene declama in
versi il resoconto (è la celebre Troiae halosis). I due diventano quindi compagni di viaggio, rivali in
amore a causa di Gitone e dopo una serie di avventure, che li vedono viaggiare per mare e rischiare
anche la vita, si ritrovano, insieme nella città di Crotone, dove Eumolpo si finge un vecchio
danaroso e senza figli, ed Encolpio e Gitone si fanno passare per i suoi servi: così essi scroccano
pranzi e regali dai cacciatori di eredità.
Nei frammenti successivi, Eumolpo recita un brano epico, in cui viene descritto il Bellum civile
("La guerra civile") fra Cesare e Pompeo, e successivamente si legge di Encolpio che, per l'ira di
Priapo, diventato impotente, è vittima di una ricca amante che si crede disprezzata da lui e lo
perseguita. Eumolpo, invece, scrive il suo testamento dove specifica che gli eredi avranno diritto
alle sue ricchezze solo se faranno a pezzi il suo corpo e se ne ciberanno in presenza del popolo.
Il sesso per Petronio era molto probabilmente un vizio dell’animo, cui i personaggi sembrano
abbandonarsi, a volte con piena adesione, a volte con un sentimento misto di piacere e di senso
della perdita, come quando un individuo si spinge a ingozzarsi quanto più è possibile perché ha la
preoccupazione che ciò che ha davanti a sé all’improvviso possa scomparire per sempre; e in questo
che si riscontra un po’ in tutto il romanzo, una sorta di pessimismo.
Nelle opere classiche in generale il dio aveva il potere di richiamare all’ordine i furfanti: qui l’unica
divinità risulta essere il dio Priapo, dio della sessualità, simbolo lui stesso di erotismo smisurato e
grottesco, tanto che le pene che infligge per essere stato offeso nella sua divinità sono intonate a una
sessualità violenta e disumana.
• MARZIALE:
LA RAPPRESENTAZIONE DEL MONDO IN CHIAVE
COMICO-REALISTICA
Marziale è famoso per aver scritto epigrammi durante l’età dei Flavi. Scrisse il Liber de Spectaculis,
gli Xenia e gli Apophoreta (doni che gli ospiti si scambiavano durante i Saturnali, doni che gli ospiti
portavano via dopo un convito). Ci sono epigrammi in cui il poeta si presenta delicato e raffinato,
come nel caso della poesia funebre ed in particolare nell’epigramma dedicato ad Erotion, una bimba
morta a sei anni, per la quale il poeta chiede alla terra di non gravare sul suo piccolo corpo, giacché
lei non l'ha fatto su di essa.
Ciò che prevale, comunque, è l'aspetto comico-satirico, spesso reso dal fulmen in clausula, o in
cauda venenum (in italiano stoccata finale), ovvero la tendenza a concentrare gli elementi comici e
pungenti nella chiusa dei componimenti, terminati con una battuta inaspettata. In questi epigrammi
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egli si presenta come un acuto osservatore che più di ogni altro sa cogliere nella realtà il lato comico
e quello corrotto. Descrive i difetti e i vizi della gente senza censure, senza giudicarli né
condannarli. Tra i tipi più colpiti senz’altro il pervertito, il medico inesperto, il truffatore e il mondo
femminile che esce piuttosto malconcio dalle pagine del poeta.
Incustoditis et apertis, Lesbia, semper
liminibus peccas nec tua furta tegis,
I tuoi peccati li fai sempre con il portone spalancato,
et plus spectator quam te delectat adulter
Lesbia, senza nascondere le tue imprese vergognose;
nec sunt grata tibi gaudia si qua latent.
uno spettatore ti dà più piacere di un innamorato,
At meretrix abigit testem veloque seraque
e non godi felice se, quando godi, nessuno ti vede.
raraque Submemmi fornice rima patet.
Ma le meretrici non amano i testimoni, mettono la sbarra
A Chione saltem vel ab Iade disce pudorem:
alla porta, non si vede nelle case del Summemmio
abscondunt spurcas et monumenta lupas.
fessura. Impara il pudore da Giada e Chione:
Ad essere presa di mira qui è Lesbia, una lussuriosa.nemmeno
Ma non una
è tanto
la moralità della donna ad
Numquid dura tibi nimium censura videtur?
anche le troie di basso conio si nascondono tra le tombe.
essere
condannata,
quanto
il
cattivo
gusto,
proprio
di
chi
ostenta
il
vizio
si eccessivo?
compiaceNon
di farne
deprendi veto te, Lesbia, non futui.
Credi che il mio biasimoesia
ti vieto,
spettatori gli altri.
Lesbia, si scopare: ti proibisco di farti osservare.
• GIOVENALE:
CONTRO LA DEGENERAZIONE DELLA DONNA
Giovenale si trova, come Marziale, nella misera condizione di cliens, per questo egli stesso afferma
di non poter fare a meno di denunciare i numerosi casi di sperequazione sociale specie quella tra
ricchi e poveri che offendono il suo animo. Mosso dall’indignatio provocatogli dal triste spettacolo
che quotidianamente cade sotto i suoi occhi, utilizza la satira come mezzo di protesta contro la
degenerazione dei costumi che investe il suo tempo. Le Satire pervenuteci sono 16 contenute in 5
libri. Il secondo libro contiene una sola satira, la più lunga, quella sulla degenerazione dei costumi
femminili, continuando in un certo senso, quella tradizione misogina cha comincia già con Omero,
che individua in Elena la causa della guerra di Troia, passa per Esiodo secondo cui Pandora era
l’origine di tutti i mali sulla terra, Semonide che paragona la donna a svariati animali e Lucrezio che
individua nella donna la causa del turbamento dell’uomo. Ma in questi autori la donna è condannata
per gli effetti rovinosi che si ripercuotono sull’uomo, invece in Giovenale la donna è vista nelle sue
abiezioni a prescindere dal’uomo: essa è per natura inclinata al male e trova nella società corrotta
l’occasione per dare sfogo alla sua libidine e alle sue perversioni. Perversioni di cui Giovenale
esegue una puntigliosa rassegna, dalle quali nessuna donna si salva: la moglie del senatore che
scappa col gladiatore, abbagliata dalle cicatrici che deturpano il suo volto; Messalina che abbandona
il letto coniugale per saziare la sua lussuria in un lupanare. Nella prima parte della sesta satira, che
consta di ben 661 versi, l’impudicizia delle donne viene raffigurata come connaturata col loro sesso
e viene rappresentata come una loro connotazione universale. Poi il cerchio si stringe e la
perversione in qualche modo si storicizza e si localizza. Infatti Giovenale parla della degenerazione
come di un fenomeno intervenuto dopo le conquiste romane e verificatosi principalmente a Roma e
soprattutto per influsso del costume greco. Nella polemica antifemminista il poeta non fa
distinzione di ceto, “ché in tutte ormai, e nobili e plebee, uguale è la libidine, e colei che calca a
piedi il sudicio selciato non è migliore di colei che a schiena si fa portare di giganteschi sirii”,
eppure la maggior parte degli esempi ritraggono donne dell’aristocrazia o dell’alta borghesia
(Messalina, Eppia, Censennia che trascorrono il tempo a consultare astrologi e comprarsi filtri
magici per abortire); ciò avviene perché Giovenale associa la ricchezza all’idea di corruzione. Il
suo sguardo si appunta, sì, sulle turpitudini in quanto tali, ma ancor più su quelle che l’eccessiva
ricchezza rende sofisticate e abnormi.
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• APULEIO:
AMORE E PSICHE
"Psiche non la smetteva più di guardare le armi dello sposo: con insaziabile curiosità le toccava, le
ammirava, tolse perfino una freccia dalla faretra per provarne sul pollice l’acutezza ma per la
pressione un po’ troppo brusca della mano tremante la punta penetrò in profondità e piccole gocce
di roseo sangue apparvero a fior di pelle. Fu così che l’innocente Psiche, senza accorgersene,
s’innamorò di Amore. E subito arse di desiderio per lui e gli si abbandonò sopra e con le labbra
schiuse per il piacere, di furia, temendo che si destasse, cominciò a baciarlo tutto con baci lunghi e
lascivi”
Psiche è una bellissima principessa, così bella da causare l'invidia di Venere. La Dea invia suo
figlio Eros perché la faccia innamorare dell'uomo più brutto e avaro della terra, perché Psiche sia
coperta dalla vergogna di questa relazione. Ma il Dio,eros, si innamora della mortale, e con l'aiuto
di Zefiro, la trasporta al suo palazzo, dove, imponendo che gli incontri avvengano al buio per non
incorrere nelle ire della madre Venere, la fa sua. Ogni notte Eros va alla ricerca di Psiche, ogni notte
i due bruciano la loro passione in un amore che mai mortale aveva conosciuto. Psiche è dunque
prigioniera nel castello di Eros, legata da una passione che le travolge i sensi. Una notte Psiche,
istigata dalle sorelle, decide di vedere il volto del suo amante, pronta a tutto, anche all'uomo più
orripilante, pur di conoscerlo. È questa bramosia di conoscenza ad esserle fatale: una goccia cade
dalla lampada e ustiona il suo sposo: il Dio va via e Venere scaglia la sua punizione. Venere
sottopone Psiche a diverse prove: nella prima, per esempio deve suddividere un mucchio di
granaglie in tanti mucchietti uguali; disperata, non prova nemmeno ad assolvere il compito che le é
stato assegnato, ma riceve un aiuto inaspettato da un gruppo di formiche, che intendevano
ingraziarsi il suo innamorato. L' ultima e più difficile prova consiste nel discendere negli inferi e
chiedere alla dea Proserpina un' po' della sua bellezza. Psiche medita addirittura il suicidio, ed arriva
molto vicina a gettarsi dalla cima di una torre. Improvvisamente, però, la torre si anima e le indica
come assolvere la sua missione. Durante il ritorno, mossa dalla curiosità a lei tanto cara, aprirà
l'ampolla(data da Venere)contenente il dono di Proserpina, che in realtà contiene il sonno più
profondo. Ancora una volta verrà in suo aiuto Amore, che la risveglierà dopo aver rimesso a posto
la nuvola soporifera. Solo alla fine, lacerata nel corpo e nella mente, Psiche riceve l'aiuto di Giove.
Mosso da compassione il Dio fa in modo che gli amanti si riuniscano: Psiche diviene una Dea e
sposa Amore. Il racconto termina con un grande banchetto al quale partecipano tutti gli dei, alcuni
anche in funzioni inusuali: per esempio, Bacco fa da coppiere, le tre grazie suonano e il dio Vulcano
si occupa di cucinare il ricco pranzo.
Al termine del banchetto i due giovani godettero dei piaceri amorosi e da questa unione nacque un
figlio, Piacere, identificato dai latini con Volupta.
Questa di Amore e Psiche è considerata una delle novelle più belle che la letteratura latina ci abbia
trasmesso. Raccontata da una vecchietta, che rappresenta un personaggio di importanza secondaria
rispetto agli altri nelle Metamorfosi, l’origine di questa che è una vera e propria fiaba sono incerte.
Fatto sta che essa già esistesse prima che Apuleio la mettesse per iscritto: si pensa sia un racconto
che alcune tribù nordafricane, vicine ad Apuleio, si tramandavano oralmente. Malgrado le tematiche
sessuali non siano così esplicite quanto lo siano potute essere per gli altri autori, il contenuto erotico
è comunque presente, soprattutto nei passi in cui vengono descritte le notti in cui i protagonisti si
lasciavano travolgere dalla passione.
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La fabella occupa una posizione centrale all’interno dell’opera (ben 63 capitoli) e questo perché
l’autore le ha affidato una funzione ben più complessa di quella riservata alle altre novelle: è
un’allegoria all’interno di un’altra allegoria. Essa rappresenta il destino dell’anima (Psiche = anima)
che, per aver commesso peccato di hybris tentando di penetrare un mistero che non le era consentito
svelare, deve scontrare la sua colpa con umiliazioni e affanni d’ogni genere prima di rendersi degna
di ricongiungersi col dio.
GRECO
• SAFFO
Se trattiamo la tematica erotica, sarebbe un sacrilegio non citare colei che fu l’esponente di spicco
della letteratura erotica greca. Di colei che è stata definita da alcuni la decima musa, abbiamo un
vasto bagaglio di notizie biografiche tramandateci dalla Suda che talvolta si confondono con varie
leggende e alcune mal interpretazioni dei suoi versi; nacque sull’isola di Lesbia intorno al 630 a.C.,
fu costretta all’esilio in Sicilia, si pensa a causa del suo ricchissimo marito spesso coinvolto in lotte
cittadine; ebbe una figlia e un fratello ai quali dedicò varie liriche; in un papiro leggiamo che era
piccola di corporatura e piuttosto bruttina; malgrado i suoi versi ci fanno pensare ad un suo
omoerotismo, si narra che si suicidò lasciandosi cadere nella rupe di Leucade, a causa del suo amore
infelice per il traghettatore Faone.
Saffo era un’educatrice nell’istituzione che preparava le ragazze al matrimonio e alla vita coniugale
che è stata tramandata con il nome di tìaso, confraternita.
Scrisse molti carmi di contenuto erotico rivolti alle sue compagne e malgrado l’amore sia in qualche
modo ritualizzato e divinizzato nel tìaso, che comunque era un’istituzione religiosa, è sempre molto
suggestivo nelle sue liriche: è motivo ispiratore, è il primo di tutti i valori, è, come scaturisce dal
frammento 47, una tempesta violenta che si abbatte sull’animo:
’´Ερος δ’ετίναζέ µοι
Φρένας, ως άνεµος κάτ όρος δρύσιν εµπέτων
…Eros ha squassato il mio cuore,
come raffica che irrompe sulle quercie montane…
• CALLIMACO.
ACONZIO E CIDIPPE
Aconzio era un giovane di Ceo, dotato di grande bellezza, che un giorno si recò a Delo per fare un sacrificio in onore di
Artemide; qui incontrò Cidippe, e se ne innamorò perdutamente: questa però non pareva impressionata dalla bellezza di
Aconzio, e rifiutò le sue profferte amorose. Il furbacchione però non si rassegnò e le gettò una mela sulla quale aveva
scritto: giuro su Artemide, o Aconzio, di non esser d'altri che tua. Cidippe raccolse la mela e distrattamente lesse ad alta
voce le parole, formulando così un giuramento, anche se inconsapevole. Cidippe era anche lei molto bella, e fu richiesta
in moglie più di una volta: ma nessun matrimonio andò mai a buon fine, perché poco prima di sposarsi la donna era
colta da una violenta febbre; questi misteriosi malanni furono interpretati come punizioni di Artemide, che non aveva
visto rispettato il giuramento in suo nome; a questo punto Cidippe si vide costretta a cedere alla scaltrezza di Aconzio, e
finì con l'accettare di sposarlo.
La novella callimachea contenuta nel III libro degli Aitia, che è una raccolta di elegie che
ricostruiscono le origini di nomi, usanze, culti, ecc. prosegue in età ellenistica quella che è la
tradizione dell’elegia erotica che ha le sue origini in età classica con Mimnermo.
L’elegia come genere letterario non nasce come un genere prettamente erotico, tuttaltro: il termine
deriverebbe addirittura da έ έ λέγειν (lamentarsi) e sarebbe nato come un lamento funebre, poi
organizzato in versi, in particolare in una successione di pentametri ed esametri, andando a formare
il cosiddetto distico elegiaco, caratteristico di questo genere. Callimaco, sostenitore dei versi brevi e
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incisivi, preferisce prendere a modello le elegie di Mimnermo dedicate alla sua Nannò anziché
quelle di Antimaco per la sua Lide che lo stesso Callimaco definiva “troppo massicce e non
penetranti nella memoria”
• ERODA
LE AMICHE A COLLOQUIO SEGRETO
Metrò fa visita a casa di Corittò e le chiede chi sia il calzolaio artefice del fallo di cuoio che ha
visto da Nòsside. Esso è in realtà proprietà di Corittò che l’ha prestato a Eubule
raccomandandogli segretezza. Eubule a sua volta l’ha prestato a Nosside. Dopo essersi irritata
Corittò svela a Metrò il nome del calzolaio.
In questo mimo, la comicità di Eroda risulta geniale, come in tutti gli altri. C’è chi lo ha definito
come il poeta realista e popolare, altri come il portavoce delle classi subalterne, invece è un
poeta semplicemente originale ed i suoi mimiambi sono il risultato di raffinate procedure
poetiche e di una ricercata scelta lessicale.
Nel caso di questo mimiambo ha saputo rendere un tema popolare così osceno ma allo stesso
tempo così facilmente prestante alla vis comica senza compiacersi di esso.
La scabrosità di questi temi è solo potenziale; il poeta riesce a temperarlo fino a farlo diventare
una semplice chiacchiera tra donne.
• ERACLE E ILA
TEOCRITO E APOLLONIO RODIO
Oltre che da Teocrito e da Apollonio Rodio il mito di Eracle ed Ila fu trattato anche da Nicandro e
da Euforione.
Si narra che Eracle, invaghitosi del piccolo Ila, ne uccise il padre e divenne il suo amante
omosessuale e il suo scudiero. Insieme si imbarcarono con Giasone per accompagnarlo alla ricerca
del vello d'oro. Durante una sosta a Misia, Ila scese dalla nave con Eracle e si allontanò in cerca di
una fonte d'acqua dolce. Quando le ninfe della fonte, che stavano danzando attorno alla sorgente,
videro arrivare Ila se ne innamorarono immediatamente. Nel momento in cui Ila si chinò per
prendere l'acqua una delle ninfe lo prese e lo tirò verso l'acqua per baciarlo, trascinandolo poi nel
fiume con loro. Eracle udì le grida di Ila mentre veniva trascinato in acqua e si mise a cercarlo
disperatamente, temendo che fosse stato assalito da qualche ladro. Era così intento nella ricerca che
lasciò che gli Argonauti ripartissero senza di loro. Ma di Ila non si vide più traccia.
Secondo alcuni il mito di Ila rapito dalla ninfa simboleggerebbe il passaggio dell’eromenos dalla
condizione di fanciullo, rappresentata dal suo legame omosessuale con Eracle, a quella di uomo
adulto, contrassegnata dalla predilezione per gli amori eterosessuali, come appunto la ninfa.
La storia di Eracle e Ila dell’Idillio 13 tratto dagli Epilli di Teocrito si pensa sia successiva a quella
che troviamo nel I capitolo delle Argonautiche di Apollonio Rodio, poiché nel testo teocriteo
appaiono varie allusioni ad Apollonio e anche vari tentativi di voler modificare una storia
preesistente (ad esempio Teocrito dice che gli Argonauti sbarcarono di sera e si prepararono per
affrontare la notte; pochi versi più tardi essi sono già pronti a ripartire).
Alcuni giustificano la scelta di Apollonio di inserire un mito del genere nel suo poema con il fatto
che egli si volesse liberare di un personaggio scomodo, quale è il semidio Eracle, che avrebbe
oscurato il più ben umano valore di Giasone
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