REGDOC 05-2012 cop:REGDOC 21-2009 cop.qxd 15/03/2012 11.38 Pagina 4 GELASIO DI ROMA Lettera sulle due nature 2012 quindicinale di attualità e documenti Introduzione, testo, traduzione e commento a cura di Rocco Ronzani 5 Documenti pp. 352 - € 32,00 129 Il papa, i cardinali e la fede Fede ed evangelizzazione: le parole di Benedetto XVI alla Congregazione per la dottrina della fede e alla Commissione teologica internazionale e quelle del card. Dolan al Collegio cardinalizio riunito prima del concistoro del 18 febbraio. 136 Lex orandi ' &%$#"! "%# "%"! "#"!#""#"" " #" %" %" ! " #%$# %" $ ##" !%" $%!" #%!%%" #"! %#"!%#"$#"!%%"!%"#$%" "$ "!%#"$#"!% #"#$#"!% %$" #$#"% ! ##" #"!#" "%"!#"%$ #% "$ Novità in campo liturgico: il Messale in lingua inglese (commento di N. King); il Rito delle Esequie (presentazione della seconda edizione italiana) e la Liturgia penitenziale presieduta dal card. Ouellet durante il Simposio in materia di violenze sessuali sui minori in contesto pastorale. 187 Giappone, un anno dopo La prospettiva buddhista e quella cristiana in due riflessioni sul terremoto e sullo tsunami che nel marzo 2011 hanno sconvolto il Giappone. ! "#%#"$% %"$ #"%"! """#$"! "$ %$#" "%""#&## !#"#& #" $! %"#$##"$#! %"%""$ "%" EDB "! Anno LVII - N. 1118 - 1 marzo 2012 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna” REGDOC 05-2012 cop:REGDOC 21-2009 cop.qxd 15/03/2012 11.39 Pagina 2 quindicinale di attualità e documenti GABRIELE BOCCACCINI - PIERO STEFANI D Dallo stesso grembo ocumenti 1.3.2012 - n. 5 (1118) Cogliamo l’occasione di questi primi numeri dell’anno 2012 per invitare tutti i lettori a un sollecito rinnovo dell’abbonamento, segno concreto dell’apprezzamento per il servizio svolto dalla rivista nelle sue sezioni di Attualità, Documenti e Annale. In particolare per chi desiderasse proporla in regalo, ricordiamo che è possibile usufruire dell’offerta de Il Regno edizione digitale, che consente agli abbonati esteri di abbattere le spese di spedizione, particolarmente penalizzanti, e di poter ugualmente leggere e consultare la rivista con tempestività. R ANTONIO CARBONARA Verso Medjugorje La risposta a una «chiamata» Benedetto XVI 129 La priorità della fede cattolica { Alla Congregazione per la dottrina della fede e alla Commissione teologica internazionale } Ecumenismo nella Tradizione (Alla Plenaria della CDF) La vera teologia cattolica (Alla Plenaria della CTI) 163 136 Studi e commenti 170 Strategia di evangelizzazione { Discorso del card. T. Dolan, arcivescovo di New York, al Collegio cardinalizio } Liturgia penitenziale { Pontificia università gregoriana: Simposio per vescovi e religiosi in materia di abusi sessuali } Card. Ouellet: «Mai più!» (card. Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi) A Una sofferenza nascosta { Lettera pastorale dei vescovi e dei superiori religiosi del Belgio sulle violenze sessuali nella Chiesa } PREFAZIONE DEL CARD. CARLO MARIA MARTINI Rito delle Esequie { Conferenza Episcopale Italiana } Motivazioni e caratteristiche (Comunicato della CEI) Decreto della CEI (card. Angelo Bagnasco, presidente) Dal nuovo Rito delle Esequie Dall’Appendice: Esequie in caso di cremazione Santa Sede 132 Chiese nel mondo 142 ccogliendo l’insolito invito di una collega, l’autore si è ritrovato a Medjugorje: il pellegrinaggio, pensato come una vacanza, si è trasformato in un tempo di conversione, non voluto, non previsto, tutto affidato all’insondabilità dei progetti divini. Dalla voce del protagonista, il racconto vivace e autentico di un’esperienza di grazia sorprendente e inaspettata. Chiesa in Italia 157 Le origini del cristianesimo e del giudaismo rabbinico Per amore del mio popolo { Lettera pastorale del card. Sepe per la chiusura del Giubileo di Napoli } L’accesso nelle chiese (Consiglio permanente della CEI) Il nuovo Messale inglese { Nicholas King sulla nuova traduzione inglese delle quattro Preghiere eucaristiche del Messale } 187 Perché è accaduto? { Buddhisti e cristiani a un anno dal terremoto e dallo tsunami in Giappone } Reazioni buddhiste (Miriam Levering) Ma che cosa poteva significare? (Peter Milward) «CRISTIANI ED EBREI» pp. 184 - € 16,50 - ,+ *)(('*&'+ &*)+ %$*%#+ %+ "*#!&#) #+ *#"'*)+ %,,'+ #+ #)"'$$%+ %+ !)+ %+ *)&%,,# %%,,#+"'!+!##,#+%+"'!+#%*!#+!#+"'$)&&%*' '+# + %,+% &*%+#+%$%"")+)+('# ,#('!!#$#,%+)"")%+'('+) #+#+!%()*) #' %+,%+,'*'+!&*)%+!#+# "' &*)*' '+ ') % &%+%+),,'*)+"'*!#!#+# "' &*'+!#+)$$*)""#)*' '+!#+$)"#)*' '+%+(#) !%*'+"+% + -,+ ',%+ # &% %+ )*+ ,"%+ !,,)+ "'(,%!!#&+ %,,%+ '*## #+ "*#!&#) %+ %+ %,+ #)#!' "'%'+(%*+,%%* %+#"# ) %+%+*#"#)#+##"',&+%+),# &%!#+%,,)+(*'!(%&&#)+"%+,% %+!&*)%+!#+# "' &*# '+#+ '' NELLA STESSA COLLANA «ITINERARI» pp. 128 - € 9,90 ALBERTO MELLO L’Ebraicità di Gesù e dei Vangeli pp. 160 - € 12,80 www.dehoniane.it EDB Edizioni Dehoniane Bologna Via Nosadella, 6 40123 Bologna Tel. 051 4290011 Fax 051 4290099 EDB %$#"! ##""""" # """"#"" REGDOC 05-2012 cop:REGDOC 21-2009 cop.qxd 15/03/2012 11.39 Pagina 2 quindicinale di attualità e documenti GABRIELE BOCCACCINI - PIERO STEFANI D Dallo stesso grembo ocumenti 1.3.2012 - n. 5 (1118) Cogliamo l’occasione di questi primi numeri dell’anno 2012 per invitare tutti i lettori a un sollecito rinnovo dell’abbonamento, segno concreto dell’apprezzamento per il servizio svolto dalla rivista nelle sue sezioni di Attualità, Documenti e Annale. In particolare per chi desiderasse proporla in regalo, ricordiamo che è possibile usufruire dell’offerta de Il Regno edizione digitale, che consente agli abbonati esteri di abbattere le spese di spedizione, particolarmente penalizzanti, e di poter ugualmente leggere e consultare la rivista con tempestività. R ANTONIO CARBONARA Verso Medjugorje La risposta a una «chiamata» Benedetto XVI 129 La priorità della fede cattolica { Alla Congregazione per la dottrina della fede e alla Commissione teologica internazionale } Ecumenismo nella Tradizione (Alla Plenaria della CDF) La vera teologia cattolica (Alla Plenaria della CTI) 163 136 Studi e commenti 170 Strategia di evangelizzazione { Discorso del card. T. Dolan, arcivescovo di New York, al Collegio cardinalizio } Liturgia penitenziale { Pontificia università gregoriana: Simposio per vescovi e religiosi in materia di abusi sessuali } Card. Ouellet: «Mai più!» (card. Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi) A Una sofferenza nascosta { Lettera pastorale dei vescovi e dei superiori religiosi del Belgio sulle violenze sessuali nella Chiesa } PREFAZIONE DEL CARD. CARLO MARIA MARTINI Rito delle Esequie { Conferenza Episcopale Italiana } Motivazioni e caratteristiche (Comunicato della CEI) Decreto della CEI (card. Angelo Bagnasco, presidente) Dal nuovo Rito delle Esequie Dall’Appendice: Esequie in caso di cremazione Santa Sede 132 Chiese nel mondo 142 ccogliendo l’insolito invito di una collega, l’autore si è ritrovato a Medjugorje: il pellegrinaggio, pensato come una vacanza, si è trasformato in un tempo di conversione, non voluto, non previsto, tutto affidato all’insondabilità dei progetti divini. Dalla voce del protagonista, il racconto vivace e autentico di un’esperienza di grazia sorprendente e inaspettata. Chiesa in Italia 157 Le origini del cristianesimo e del giudaismo rabbinico Per amore del mio popolo { Lettera pastorale del card. Sepe per la chiusura del Giubileo di Napoli } L’accesso nelle chiese (Consiglio permanente della CEI) Il nuovo Messale inglese { Nicholas King sulla nuova traduzione inglese delle quattro Preghiere eucaristiche del Messale } 187 Perché è accaduto? { Buddhisti e cristiani a un anno dal terremoto e dallo tsunami in Giappone } Reazioni buddhiste (Miriam Levering) Ma che cosa poteva significare? (Peter Milward) «CRISTIANI ED EBREI» pp. 184 - € 16,50 - ,+ *)(('*&'+ &*)+ %$*%#+ %+ "*#!&#) #+ *#"'*)+ %,,'+ #+ #)"'$$%+ %+ !)+ %+ *)&%,,# %%,,#+"'!+!##,#+%+"'!+#%*!#+!#+"'$)&&%*' '+# + %,+% &*%+#+%$%"")+)+('# ,#('!!#$#,%+)"")%+'('+) #+#+!%()*) #' %+,%+,'*'+!&*)%+!#+# "' &*)*' '+ ') % &%+%+),,'*)+"'*!#!#+# "' &*'+!#+)$$*)""#)*' '+!#+$)"#)*' '+%+(#) !%*'+"+% + -,+ ',%+ # &% %+ )*+ ,"%+ !,,)+ "'(,%!!#&+ %,,%+ '*## #+ "*#!&#) %+ %+ %,+ #)#!' 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Lo ha detto nel suo discorso alla Plenaria della Congregazione per la dottrina della fede (27.1.2012), precisando che lo slancio ecumenico, sostenuto «da quell’“ecumenismo spirituale” che si trova nello spirito della preghiera», deve scongiurare «il rischio di un falso irenismo e di un indifferentismo del tutto alieno alla mente del Vaticano II». Torna dunque il tema dell’accesso alla verità cui è implicito il problema ecclesiologico: «Come arriva la verità di Dio a noi?», si è chiesto il papa, segnalando tra le questioni urgenti quella «dei metodi adottati nei dialoghi ecumenici», del valore dei documenti prodotti e «le grandi questioni morali circa la vita umana». Alla Plenaria della Commissione teologica internazionale (2.12.2011) – che ha recentemente pubblicato il documento Teologia oggi: prospettive, principi e criteri (8.3.2012) –, il pontefice ha invece parlato del valore di una corretta interpretazione trinitaria del monoteismo cristiano e della necessità di definire «i principi e i criteri secondo i quali una teologia può essere cattolica». Stampa (1.3.2012) da sito web www.vatican.va. Sottotitoli redazionali. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 Signori cardinali, venerati fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio, cari fratelli e sorelle! Per me è sempre motivo di gioia potermi incontrare con voi in occasione della sessione plenaria ed esprimervi il mio apprezzamento per il servizio che svolgete per la Chiesa e specialmente per il successore di Pietro nel suo ministero di confermare i fratelli nella fede (cf. Lc 22,32). Ringrazio il card. William Levada per il suo cordiale indirizzo di saluto, nel quale ha ricordato alcuni importanti impegni assolti dal dicastero in questi ultimi anni. E sono particolarmente riconoscente alla Congregazione che, in collaborazione con il Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, prepara l’Anno della fede, cogliendo in esso un momento propizio per riproporre a tutti il dono della fede nel Cristo risorto, il luminoso insegnamento del concilio Vaticano II e la preziosa sintesi dottrinale offerta dal Catechismo della Chiesa cattolica. Come sappiamo, in vaste zone della Terra la fede corre il pericolo di spegnersi come una fiamma che non trova più alimento. Siamo davanti a una profonda crisi di fede, a una perdita del senso religioso che costituisce la più grande sfida per la Chiesa di oggi. Il rinnovamento della fede deve quindi essere la priorità nell’impegno della Chiesa intera ai nostri giorni. Auspico che l’Anno della fede possa contribuire, con la collaborazione cordiale di tutti le componenti del popolo di Dio, a rendere Dio nuovamente presente in questo mondo e ad aprire agli uomini l’accesso alla fede, all’affidarsi a quel Dio che ci ha amati sino alla fine (cf. Gv 13,1), in Gesù Cristo crocifisso e risorto. Il tema dell’unità dei cristiani è strettamente collegato con questo compito. Vorrei quindi soffermarmi su alcuni aspetti dottrinali riguardanti il cammino ecumenico della Chiesa, che è stato oggetto di un’approfondita riflessione in questa Plenaria, in coincidenza con la conclusione dell’annuale Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Infatti, lo slancio dell’opera ecumenica deve partire da quell’«ecumenismo spirituale», da 129 129-131:Layout 3 15-03-2012 8:57 Pagina 130 B enedetto XVI quell’«anima di tutto il movimento ecumenico» (Unitatis redintegratio, n. 8; EV 1/525), che si trova nello spirito della preghiera perché «tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21). Un modello di discernimento La coerenza dell’impegno ecumenico con l’insegnamento del concilio Vaticano II e con l’intera Tradizione è stata uno degli ambiti cui la Congregazione, in collaborazione con il Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, ha sempre prestato attenzione. Oggi possiamo constatare non pochi frutti buoni arrecati dai dialoghi ecumenici, ma dobbiamo anche riconoscere che il rischio di un falso irenismo e di un indifferentismo, del tutto alieno alla mente del concilio Vaticano II, esige la nostra vigilanza. Questo indifferentismo è causato dall’opinione sempre più diffusa che la verità non sarebbe accessibile all’uomo; sarebbe quindi necessario limitarsi a trovare regole per una prassi in grado di migliorare il mondo. E così la fede sarebbe sostituita da un moralismo, senza fondamento profondo. Il centro del vero ecumenismo è invece la fede nella quale l’uomo incontra la verità che si rivela nella parola di Dio. Senza la fede tutto il movimento ecumenico sarebbe ridotto a una forma di «contratto sociale» cui aderire per un interesse comune, una «prasseologia» per creare un mondo migliore. La logica del concilio Vaticano II è completamente diversa: la ricerca sincera della piena unità di tutti i cristiani è un dinamismo animato dalla parola di Dio, dalla verità divina che ci parla in questa Parola. Il problema cruciale, che segna in modo trasversale i dialoghi ecumenici, è perciò la questione della struttura della rivelazione – la relazione tra sacra Scrittura, la Tradizione viva nella santa Chiesa e il ministero dei successori degli apostoli come testimone della vera fede. E qui è implicita la problematica dell’ecclesiologia che fa parte di questo problema: come arriva la verità di Dio a noi. Fondamentale, tra l’altro, è qui il discernimento fra la Tradizione con maiuscola, e le tradizioni. Non vorrei entrare in dettagli, solo un’osservazione. Un importante passo di tale discernimento è stato compiuto nella preparazione e nell’applicazione dei provvedimenti per gruppi di fedeli provenienti dall’anglicanesimo, che desiderano entrare nella piena comunione della Chiesa, nell’unità della comune ed essenziale Tradizione divina, conservando le proprie tradizioni spirituali, liturgiche e pastorali, che sono conformi alla fede cattolica (cf. cost. Anglicanorum coetibus, art. III). Esiste, infatti, una ricchezza spirituale nelle diverse confessioni cristiane, che è espressione dell’unica fede e dono da condividere e da trovare insieme nella Tradizione della Chiesa. Il ruolo dei documenti di studio Oggi, poi, una delle questioni fondamentali è costituita dalla problematica dei metodi adottati nei vari dialoghi ecumenici. Anche essi devono riflettere la priorità della fede. Conoscere la verità è il diritto dell’interlocutore in ogni vero dialogo. È la stessa esigenza della carità verso il fratello. In questo senso, occorre affrontare con coraggio anche le questioni controverse, sempre nello spirito di fraternità e di rispetto reciproco. È importante inoltre offrire un’interpretazione corretta di quell’«ordine o “gerarchia” nelle verità della dottrina catto- 130 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 lica», rilevato nel decreto Unitatis redintegratio (n. 11; EV 1/536), che non significa in alcun modo ridurre il deposito della fede, ma farne emergere la struttura interna, l’organicità di questa unica struttura. Hanno anche grande rilevanza i documenti di studio, prodotti dai vari dialoghi ecumenici. Tali testi non possono essere ignorati, perché costituiscono un frutto importante, pur provvisorio, della riflessione comune maturata negli anni. Nondimeno, essi vanno riconosciuti nel loro giusto significato come contributi offerti alla competente autorità della Chiesa, che sola è chiamata a giudicarli in modo definitivo. Ascrivere a tali testi un peso vincolante o quasi conclusivo delle spinose questioni dei dialoghi, senza la dovuta valutazione da parte dell’autorità ecclesiale, in ultima analisi, non aiuterebbe il cammino verso una piena unità nella fede. Un’ultima questione che vorrei finalmente menzionare è la problematica morale, che costituisce una nuova sfida per il cammino ecumenico. Nei dialoghi non possiamo ignorare le grandi questioni morali circa la vita umana, la famiglia, la sessualità, la bioetica, la libertà, la giustizia e la pace. Sarà importante parlare su questi temi con una sola voce, attingendo al fondamento nella Scrittura e nella viva Tradizione della Chiesa. Questa Tradizione ci aiuta a decifrare il linguaggio del Creatore nella sua creazione. Difendendo i valori fondamentali della grande Tradizione della Chiesa, difendiamo l’uomo, difendiamo il creato. A conclusione di queste riflessioni, auspico una stretta e fraterna collaborazione della Congregazione con il competente Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, al fine di promuovere efficacemente il ristabilimento della piena unità fra tutti i cristiani. La divisione fra i cristiani, infatti, «non solo si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo a ogni creatura» (decr. Unitatis redintegratio, n. 1; EV 1/494). L’unità è quindi non solo il frutto della fede, ma anche un mezzo e quasi un presupposto per annunciare in modo sempre più credibile la fede a coloro che non conoscono ancora il Salvatore. Gesù ha pregato: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21). Nel rinnovare la mia gratitudine per il vostro servizio, vi assicuro la mia costante vicinanza spirituale e imparto di cuore a voi tutti la benedizione apostolica. Grazie. Città del Vaticano, Sala Clementina, 27 gennaio 2012. BENEDETTO XVI La vera teologia cattolica Alla Plenaria della CTI Signor cardinale, venerati fratelli nell’episcopato, illustri professori e professoresse, cari collaboratori! È una grande gioia per me potervi accogliere a conclusione dell’annuale sessione plenaria della Commissione teologica internazionale (CTI). Vorrei esprimere anzitutto un sentito ringraziamento per le parole che il signor cardinale William 129-131:Layout 3 15-03-2012 8:57 Pagina 131 Levada, in qualità di presidente della Commissione, ha voluto rivolgermi a nome di voi tutti. I lavori di questa sessione hanno coinciso quest’anno con la prima settimana d’Avvento, occasione che ci fa ricordare come ogni teologo sia chiamato a essere uomo dell’avvento, testimone della vigile attesa, che illumina le vie dell’intelligenza della Parola che si è fatta carne. Possiamo dire che la conoscenza del vero Dio tende e si nutre costantemente di quell’«ora», che ci è sconosciuta, in cui il Signore tornerà. Tenere desta la vigilanza e vivificare la speranza dell’attesa non sono, pertanto, un compito secondario per un retto pensiero teologico, che trova la sua ragione nella persona di colui che ci viene incontro e illumina la nostra conoscenza della salvezza. Quest’oggi mi è grato riflettere brevemente con voi sui tre temi che la Commissione teologica internazionale sta studiando negli ultimi anni. Il primo, come è stato detto, riguarda la questione fondamentale per ogni riflessione teologica: la questione di Dio e in particolare la comprensione del monoteismo. A partire da questo ampio orizzonte dottrinale avete approfondito anche un tema di carattere ecclesiale: il significato della dottrina sociale della Chiesa, riservando poi un’attenzione particolare a una tematica che oggi è di grande attualità per il pensare teologico su Dio: la questione dello status stesso della teologia oggi, nelle sue prospettive, nei suoi principi e criteri. La comprensione del monoteismo Dietro la professione della fede cristiana nel Dio unico si ritrova la quotidiana professione di fede del popolo di Israele: «Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, unico Dio è il Signore» (Dt 6,4). L’inaudito compimento della libera disposizione dell’amore di Dio verso tutti gli uomini si è realizzato nell’incarnazione del Figlio in Gesù Cristo. In tale rivelazione dell’intimità di Dio e della profondità del suo legame d’amore con l’uomo, il monoteismo del Dio unico si è illuminato con una luce completamente nuova: la luce trinitaria. E nel mistero trinitario s’illumina anche la fratellanza fra gli uomini. La teologia cristiana, insieme con la vita dei credenti, deve restituire la felice e cristallina evidenza all’impatto sulla nostra comunità della rivelazione trinitaria. Benché i conflitti etnici e religiosi nel mondo rendano più difficile accogliere la singolarità del pensare cristiano di Dio e dell’umanesimo che da esso è ispirato, gli uomini possono riconoscere nel nome di Gesù Cristo la verità di Dio Padre verso la quale lo Spirito Santo sollecita ogni gemito della creatura (cf. Rm 8). La teologia, in fecondo dialogo con la filosofia, può aiutare i credenti a prendere coscienza e a testimoniare che il monoteismo trinitario ci mostra il vero volto di Dio, e questo monoteismo non è fonte di violenza, ma è forza di pace personale e universale. Il punto di partenza di ogni teologia cristiana è l’accoglienza di questa rivelazione divina: l’accoglienza personale del Verbo fatto carne, l’ascolto della parola di Dio nella Scrittura. Su tale base di partenza, la teologia aiuta l’intelligenza credente della fede e la sua trasmissione. Tutta la storia della Chiesa mostra però che il riconoscimento del punto di partenza non basta a giungere all’unità nella fede. Ogni lettura della Bibbia si colloca necessariamente in un dato contesto di lettura, e l’unico contesto nel quale il credente può essere in piena comunione con Cristo è la Chiesa e la sua Tradizione viva. Dobbiamo vivere sempre nuovamente l’esperienza dei primi discepoli, che «erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere» (At 2,42). In questa prospettiva la Commissione ha studiato i principi e i criteri secondo i quali una teologia può essere cattolica, e ha anche riflettuto sul contributo attuale della teologia. È importante ricordare che la teologia cattolica, sempre attenta al legame tra fede e ragione, ha avuto un ruolo storico nella nascita dell’università. Una teologia veramente cattolica con i due movimenti, «intellectus quaerens fidem et fides quaerens intellectum», è oggi più che mai necessaria, per rendere possibile una sinfonia delle scienze e per evitare le derive violente di una religiosità che si oppone alla ragione e di una ragione che si oppone alla religione. Il significato della dot trina sociale La Commissione teologica studia poi la relazione fra la dottrina sociale della Chiesa e l’insieme della dottrina cristiana. L’impegno sociale della Chiesa non è solo qualcosa di umano, né si risolve in una teoria sociale. La trasformazione della società operata dai cristiani attraverso i secoli è una risposta alla venuta nel mondo del Figlio di Dio: lo splendore di tale verità e carità illumina ogni cultura e società. San Giovanni afferma: «In questo abbiamo conosciuto l’amore; nel fatto che egli ha dato la sua vita per noi; quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3,16). I discepoli di Cristo redentore sanno che senza l’attenzione all’altro, il perdono, l’amore anche dei nemici, nessuna comunità umana può vivere in pace; e questo incomincia nella prima e fondamentale società che è la famiglia. Nella necessaria collaborazione a favore del bene comune anche con chi non condivide la nostra fede, dobbiamo rendere presenti i veri e profondi motivi religiosi del nostro impegno sociale, così come aspettiamo dagli altri che ci manifestino le loro motivazioni, affinché la collaborazione si faccia nella chiarezza. Chi avrà percepito i fondamenti dell’agire sociale cristiano vi potrà così anche trovare uno stimolo per prendere in considerazione la stessa fede in Cristo Gesù. Cari amici, il nostro incontro conferma in modo significativo quanto la Chiesa abbia bisogno della competente e fedele riflessione dei teologi sul mistero del Dio di Gesù Cristo e della sua Chiesa. Senza una sana e vigorosa riflessione teologica la Chiesa rischierebbe di non esprimere pienamente l’armonia tra fede e ragione. Al contempo, senza il fedele vissuto della comunione con la Chiesa e l’adesione al suo magistero, quale spazio vitale della propria esistenza, la teologia non riuscirebbe a dare un’adeguata ragione del dono della fede. Porgendo, per il vostro tramite, l’augurio e l’incoraggiamento a tutti i fratelli e le sorelle teologi, sparsi nei vari contesti ecclesiali, invoco su di voi l’intercessione di Maria, donna dell’avvento e madre del Verbo incarnato, la quale è per noi, nel suo custodire la Parola nel suo cuore, paradigma del retto teologare, il modello sublime della vera conoscenza del Figlio di Dio. Sia lei, la Stella della speranza, a guidare e proteggere il prezioso lavoro che svolgete per la Chiesa e a nome della Chiesa. Con questi sentimenti di gratitudine, vi rinnovo la mia benedizione apostolica. Città del Vaticano, Sala dei papi, 2 dicembre 2011. BENEDETTO XVI IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 131 132-135:Layout 3 15-03-2012 8:58 Pagina 132 S anta Sede | CONCISTORO Strategia di evangelizzazione B D i s c o r s o d e l c a r d . T. D o l a n , a r c i v e s c o v o d i N e w Yo r k , al Collegio cardinalizio «Secolarizzati ma aperti al divino», «Sorridete: la Chiesa è un sì», «Fino all’effusione del sangue»: questi, in sintesi, alcuni punti programmatici della «strategia di evangelizzazione» esposta in questo discorso, intitolato «L’Annuncio del Vangelo oggi: tra missio ad gentes e nuova evangelizzazione». Il card. Timothy M. Dolan, 62 anni, dal 2009 arcivescovo di New York, lo ha pronunciato in un’occasione doppiamente importante: chiamandolo a Roma per conferirgli la dignità cardinalizia, insieme ad altri 21 confratelli (cf. Regno-att. 4,2012,73), Benedetto XVI lo aveva anche incaricato di illustrare all’intero Collegio cardinalizio, il 17 febbraio scorso (il giorno che ha preceduto il concistoro) il «dovere della nuova evangelizzazione», così come si presenta oggi, in particolare di fronte alle attuali forme della secolarizzazione. Dopo di lui mons. Fisichella, presidente del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione, ha svolto una comunicazione sull’Anno della fede, cui sono seguiti gli interventi di alcuni dei 133 cardinali e neocardinali presenti. Stampa (6.3.2012) dal sito web www.radiovaticana.org. Sottotitoli redazionali. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 eatissimo padre, signor cardinale Sodano, carissimi fratelli, sia lodato Gesù Cristo! Risale all’ultimo comando di Gesù, «Andate, ammaestrate tutte le genti!» ma è tanto attuale quanto la parola di Dio che abbiamo ascoltato nella liturgia stamattina. Mi riferisco al sacro dovere della nuova evangelizzazione. È «sempre antica, sempre nuova». Il come, il quando e il dove possono cambiare, ma il mandato rimane lo stesso, così come il messaggio e l’ispirazione: «Gesù Cristo, lo stesso ieri e oggi e sempre». Siamo radunati nella caput mundi, evangelizzata dagli stessi apostoli, Pietro e Paolo; nella città dalla quale il successore di Pietro «ha mandato» evangelizzatori a offrire la Persona, il messaggio e l’invito che stanno al cuore dell’evangelizzazione, per tutta l’Europa, sino al «nuovo mondo», nell’epoca delle «scoperte geografiche», nonché all’Africa e all’Asia in tempi più recenti. Siamo riuniti presso la basilica dove l’ardore evangelico della Chiesa si espanse durante il concilio Vaticano II; vicino alla tomba del sommo pontefice che ha reso il termine «nuova evangelizzazione» familiare a tutti. Siamo radunati con gratitudine per la fraterna compagnia di un pastore che ci fa ricordare ogni giorno la sfida della nuova evangelizzazione. Sì, siamo qui insieme come missionari, come evangelizzatori. Accogliamo l’insegnamento del concilio Vaticano II, specialmente come viene espresso nei documenti Lumen gentium, Gaudium et spes e Ad gentes, che specificano più precisamente come la Chiesa intenda il proprio dovere evangelico, definendo l’intera Chiesa come missionaria; vale a dire che tutti i cristiani, in virtù del battesimo, della cresima e dell’eucaristia, sono evangelizzatori. Sì, il Concilio ha ribadito, soprattutto nel decreto Ad gentes, che, se ci sono esplicitamente dei missionari, cioè coloro che sono mandati a luoghi in cui nessuno ha mai sentito il nome stesso mediante il quale tutti gli uomini sono stati salvati, non c’è tuttavia nessun cristiano che venga escluso dal compito di testimoniare Gesù, trasmettendo ad altri l’invito del Signore nella vita quotidiana. Così, la missione è diventata punto centrale della vita di ogni Chiesa locale, di ogni credente. L’indole missionaria 132 132-135:Layout 3 15-03-2012 8:58 Pagina 133 viene rinnovata non solo in senso geografico, ma in senso teologico, in quanto il destinatario della «missione» non è solo il non-credente, ma il credente. Alcuni hanno cominciato a chiedersi se questo allargamento del concetto di evangelizzazione abbia involontariamente indebolito il significato della missione «ad gentes». Non si trat ta di aut-aut Il beato Giovanni Paolo II ha sviluppato questa nuova comprensione del termine, sottolineando l’evangelizzazione delle culture, in quanto il confronto tra fede e cultura ha sostituito il rapporto tra Chiesa e stato che predominava fino al Concilio, e questo spostamento d’accento comporta il compito di ri-evangelizzare culture che costituivano una volta il vero motore dei valori evangelici. Così la nuova evangelizzazione diventa la sfida per applicare il richiamo di Gesù alla conversione del cuore non solo ad extra ma anche ad intra; a credenti e culture dove il sale del Vangelo ha perso il suo sapore. Perciò, la missio si indirizza non solo alla Nuova Guinea ma anche a Nuova York. Nella Redemptoris missio, al n. 33, il beato Giovanni Paolo II ha presentato questa impostazione, facendo una distinzione tra l’evangelizzazione primaria – l’annuncio di Gesù a popoli e contesti socio-culturali in cui Cristo e il suo Vangelo non sono conosciuti – la nuova evangelizzazione – il riaccendere la fede in persone e culture in cui si è spenta – e la cura pastorale delle Chiese che vivono la fede e hanno riconosciuto il loro impegno universale. È chiaro che non c’è nessuna opposizione tra la missio ad gentes e la nuova evangelizzazione: non si tratta di autaut ma di et-et. La nuova evangelizzazione genera missionari entusiasti, e coloro che sono impegnati nella missio ad gentes devono lasciarsi evangelizzare continuamente. Sin dal Nuovo Testamento, la generazione stessa che ha ricevuto la missio ad gentes dal maestro al momento dell’ascensione aveva bisogno che san Paolo la esortasse a «ravvivare il dono di Dio», riaccendendo la fiamma della fede depositata in loro. Questo è senz’altro uno dei primi esempi di nuova evangelizzazione. E più recentemente, durante l’incoraggiante Sinodo sull’Africa, abbiamo sentito le voci dei nostri fratelli che esercitano il loro ministero in luoghi dove la raccolta della missio ad gentes era ricca, ma, adesso che sono passate due o tre generazioni, avvertono anche essi il bisogno di una nuova evangelizzazione. L’acclamato missionario americano e predicatore televisivo, l’arcivescovo Fulton J. Sheen, disse: «La prima parola di Gesù ai suoi discepoli è stata “venite”, e l’ultima è stata “andate”». Uno non può “andare” a meno che prima non sia “venuto” a lui». Una sfida enorme, sia per la missio ad gentes sia per la nuova evangelizzazione, è il cosiddetto secolarismo. Ascoltiamo come il santo padre lo descrive: «La secolarizzazione, che si presenta nelle culture come impostazione del mondo e dell’umanità senza riferimento alla trascendenza, invade ogni aspetto della vita quotidiana e sviluppa una mentalità in cui Dio è di fatto assente, in tutto o in parte, dall’esistenza e dalla coscienza umana. Questa secolariz- zazione non è soltanto una minaccia esterna per i credenti, ma si manifesta già da tempo in seno alla Chiesa stessa. Snatura dall’interno e in profondità la fede cristiana e, di conseguenza, lo stile di vita e il comportamento quotidiano dei credenti. Essi vivono nel mondo e sono spesso segnati, se non condizionati, dalla cultura dell’immagine che impone modelli e impulsi contraddittori, nella negazione pratica di Dio: non c’è più bisogno di Dio, di pensare a lui e di ritornare a lui. Inoltre, la mentalità edonistica e consumistica predominante favorisce, nei fedeli come nei pastori, una deriva verso la superficialità e un egocentrismo che nuoce alla vita ecclesiale». (BENEDETTO XVI, Discorso ai partecipanti all’Assemblea plenaria del Pontificio consiglio della cultura, 8.3.2008). L’evangelizzazione in set te punti Questa secolarizzazione ci chiama a un’efficace strategia di evangelizzazione. Permettetemi di esporla in sette punti. 1. Secolarizzati ma aperti al divino A dire la verità, nell’invitarmi a parlare su questo tema – «L’annuncio del Vangelo oggi: tra missio ad gentes e la nuova evangelizzazione» – l’eminentissimo segretario di stato mi ha chiesto di contestualizzare il secolarismo, lasciando intendere che la mia arcidiocesi di New York è forse «la capitale della cultura secolarizzata». Però – e credo che il mio amico e confratello, il cardinale Edwin O’Brien, che è cresciuto a New York, sarà d’accordo – oserei dire che New York – sebbene dia l’impressione di essere secolarizzata – è ciononostante una città molto religiosa. Anche in luoghi che solitamente vengono classificati come «materialistici» – come ad esempio i mass media, il mondo dello spettacolo, della finanza, della politica, dell’arte, della letteratura – si trova un’innegabile apertura alla trascendenza, al divino! I cardinali che servono Gesù e la sua Chiesa nella curia romana possono ricordarsi del discorso natalizio pronunciato da sua santità due anni fa, nel quale ha celebrato quest’apertura naturale al divino anche in quelli che si vantano di aderire al secolarismo: «Considero importante soprattutto il fatto che anche le persone che si ritengono agnostiche o atee devono stare a cuore a noi come credenti. Quando parliamo di una nuova evangelizzazione, queste persone forse si spaventano. Non vogliono vedere sé stesse come oggetto di missione, né rinunciare alla loro libertà di pensiero e di volontà. Ma la questione circa Dio rimane tuttavia presente pure per loro (…). Come primo passo dell’evangelizzazione dobbiamo cercare di tenere desta tale ricerca; dobbiamo preoccuparci che l’uomo non accantoni la questione su Dio come questione essenziale della sua esistenza. Preoccuparci perché egli accetti tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde. (…) Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di “cortile dei gentili” dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l’accesso al suo mistero, al cui servizio sta la IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 133 132-135:Layout 3 15-03-2012 8:58 Pagina 134 S anta Sede vita interna della Chiesa» (BENEDETTO XVI, Discorso alla curia romana per gli auguri natalizi, 21.12.2009; Regnodoc. 1,2010,11). Questo è il mio primo punto: noi condividiamo la convinzione dei filosofi e dei poeti del passato, i quali non avevano il vantaggio di aver ricevuto la rivelazione, e cioè che anche una persona che si vanta di aderire al secolarismo e di disprezzare le religioni, ha dentro di sé una scintilla d’interesse nell’Aldilà, e riconosce che l’umanità e il creato sarebbero un enigma assurdo senza un qualche concetto di «creatore». Nei cinema circola adesso un film intitolato The Way, in cui uno dei protagonisti è il noto attore Martin Sheen. Forse l’avete visto. Questi recita la parte di un padre il cui figlio, allontanatosi da casa, muore mentre percorre il Cammino di Santiago di Compostela in Spagna. Il padre angosciato decide di portare a termine il pellegrinaggio al posto del figlio perduto. Egli è l’icona di un uomo secolarizzato: compiaciuto di sé, sprezzante nei confronti di Dio e della religione, uno che si definisce un «ex cattolico», cinico verso la fede... ma, nondimeno, incapace di negare che dentro di sé vi sia un interesse incontenibile di conoscere l’Aldilà, una sete di qualcosa – anzi, di qualcuno – in più che cresce in lui lungo la strada. Sì, potremmo prendere a prestito quello che gli apostoli dicono a Gesù nel Vangelo della scorsa domenica: «Tutti ti cercano!». E ti stanno cercando ancora oggi. 2. Fiducia senza trionfalismo Ciò mi porta al secondo punto: questo fatto ci dà una fiducia immensa e un coraggio determinato per compiere il sacro dovere della missione e della nuova evangelizzazione. «Non abbiate paura», ci viene detto: è l’esortazione più ripetuta nella Bibbia. Dopo il Concilio, la bella notizia era che il trionfalismo nella Chiesa fosse morto. Ma, purtroppo, anche la fiducia! Noi siamo convinti, coraggiosi e fiduciosi nella nuova evangelizzazione grazie al potere della Persona che ci ha affidato questa missione – si dà il caso che egli sia la seconda Persona della santissima Trinità – e grazie alla verità del suo messaggio e alla profonda apertura al divino, pure nelle persone più secolarizzate nella nostra società odierna. Sicuri, sì! Trionfalisti, mai! Quello che ci tiene alla larga dall’arroganza e dalla superbia del trionfalismo è il riconoscimento di ciò che ci ha insegnato papa Paolo VI nella Evangelii nuntiandi: la Chiesa stessa ha sempre bisogno di essere evangelizzata! Ciò ci dà l’umiltà di ammettere che nemo dat quod non habet, che la Chiesa ha il profondo bisogno di una conversione interiore, il midollo della chiamata all’evangelizzazione. 3. Fede in Gesù Cristo Un terzo elemento di una missio efficace è la consapevolezza che Dio non disseta la sete del cuore umano con un concetto, ma tramite una Persona, che si chiama Gesù. L’invito implicito nella missio ad gentes e nella nuova evangelizzazione non è una dottrina, ma un appello a conoscere, amare e servire – non qualcosa, ma qualcuno. Beatissimo padre, quando lei ha iniziato il suo pontificato, ci ha invitati a un’amicizia con Gesù, espressione con 134 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 cui lei ha definito la santità. È l’amore di una Persona, un rapporto personale che è all’origine della nostra fede. Come scrisse sant’Agostino: «Ex una sane doctrina impressam fidem credentium cordibus singulorum qui hoc idem credunt verissime dicimus, sed aliud sunt ea quae creduntur, aliud fides qua creduntur» (De Trinitate, XIII, 2.5) 4. Analfabetismo catechetico Ed ecco il quarto punto: questa Persona, questo Gesù di Nazaret, ci dice che egli è la verità. Perciò la nostra missione ha una sostanza, un contenuto. A vent’anni dalla pubblicazione del Catechismo della Chiesa cattolica, nel 50° anniversario dell’apertura del concilio Vaticano II, e alla soglia di quest’Anno della fede, siamo davanti alla sfida di combattere l’analfabetismo catechetico. È vero che la nuova evangelizzazione è urgente perché qualche volta il secolarismo ha soffocato il granello della fede; ma ciò è stato possibile perché molti credenti non avevano la minima idea della sapienza, della bellezza e della coerenza della verità. Sua eminenza il cardinale George Pell ha osservato che «non è tanto vero che la gente abbia perso la propria fede, quanto che non la avesse sin dall’inizio; e se l’aveva in qualche modo, era così insignificante che gli poteva essere strappata molto facilmente». Ecco perché il card. Avery Dulles ci ha chiamato a una neo-apologetica, non radicata in vuote polemiche, ma nella verità che ha un nome, Gesù. Allo stesso modo, quando il beato John Henry Newman ricevette il biglietto di nomina al Collegio cardinalizio, ci mise in guardia sui pericoli del liberalismo nella religione, cioè «la dottrina secondo cui non c’è alcuna verità positiva nella religione, ma un credo vale quanto un altro (...) la religione rivelata non è una verità, ma un sentimento e una preferenza personale». Quando Gesù ci dice: «Io sono la verità», dice anche di essere «la via e la vita». La via di Gesù è dentro e attraverso la sua Chiesa, che è come una madre santa che ci dona la vita del Signore. «Come avrei conosciuto lui se non per lei?» chiede De Lubac, facendo allusione al rapporto inscindibile tra Gesù e la sua Chiesa. Di conseguenza, la nostra missione, questa nuova evangelizzazione, ha delle dimensioni catechetiche ed ecclesiali. Questo ci spinge a pensare la Chiesa in un modo rinnovato: a concepirla come una missione stessa. Come ci ha insegnato il beato Giovanni Paolo II nella Redemptoris missio, la Chiesa non ha una missione, come se la «missione» fosse una cosa tra le molte che la Chiesa fa. No, la Chiesa è una missione, e ciascuno di noi che riconosce Gesù come Signore e salvatore dovrebbe interrogarsi sulla propria efficacia nella missione. In questi ultimi cinquant’anni dalla apertura del Concilio, abbiamo visto la Chiesa passare per le ultime fasi della Controriforma e riscoprirsi come un’opera missionaria. In qualche luogo ciò ha significato una nuova scoperta del Vangelo. In paesi già cristiani ha comportato una rievangelizzazione che abbandona le acque stagnanti della conservazione istituzionale e, come Giovanni Paolo II ha insegnato nella Novo millennio ineunte, ci invita a prendere il largo per una pesca efficace. 132-135:Layout 3 15-03-2012 8:58 Pagina 135 In molti dei paesi qui rappresentati, la cultura e l’ambiente sociale una volta trasmetteva il Vangelo, ma oggi non è più così. Ora dunque l’annuncio del Vangelo – l’esplicito invito a entrare nell’amicizia del Signore Gesù – deve essere al centro della vita cattolica e di tutti i cattolici. E dunque il concilio Vaticano II e i grandi papi che ne hanno dato interpretazione autorevole, ci spingono a chiamare la nostra gente a pensarsi in ogni occasione come una schiera di missionari ed evangelizzatori. 5. Sorridete: la Chiesa è un «sì» Quando ero appena entrato come seminarista al Collegio nordamericano tutti gli studenti di teologia del primo anno di tutti gli atenei romani furono invitati a una messa in San Pietro celebrata dal prefetto della Congregazione per il clero, il card. John Wright. Ci aspettavamo una omelia cerebrale. Ma lui iniziò chiedendoci: «Seminaristi, fate a me e alla Chiesa un favore: quando girate per le strade di Roma, sorridete!». Così, punto cinque: il missionario, l’evangelizzatore, deve essere una persona di gioia. «La gioia è il segno infallibile della presenza di Dio», afferma Leon Bloy. Quando sono diventato arcivescovo di New York un prete mi ha detto: «Faresti meglio a smetterla di sorridere quando giri per le strade di Manhattan o finirai per farti arrestare!». Un malato terminale di AIDS presso la casa «Dono della pace», tenuta dalle missionarie della carità, nell’arcidiocesi di Washington del card. Donald Wuerl, ha chiesto il battesimo. Quando il sacerdote gli ha chiesto una espressione di fede quell’uomo morente ha mormorato: «Quello che so è che io sono infelice, e le suore invece sono molto felici anche quando le insulto e sputo loro addosso. Ieri finalmente ho chiesto loro il motivo della loro felicità. Esse hanno risposto “Gesù”. Io voglio questo Gesù così posso essere felice anche io». Un autentico atto di fede, vero? La nuova evangelizzazione si compie con il sorriso, non con il volto accigliato. La missio ad gentes è fondamentalmente un sì a tutto ciò che di dignitoso, buono, vero, bello e nobile che c’è nella persona umana. La Chiesa è fondamentalmente un «sì!», non un «no!». 6. Opere d’amore E, penultimo punto, la nuova evangelizzazione è un atto d’amore. Recentemente hanno chiesto al nostro confratello John Thomas Kattrukudiyil, vescovo di Itanagar, nel Nord-est dell’India, il motivo della enorme crescita della Chiesa nella sua diocesi, che registra oltre diecimila conversioni adulte all’anno. «Perché noi presentiamo Dio come un Padre amorevole, e perché le persone vedono che la Chiesa le ama» ha risposto. Non un amore etereo, ha aggiunto, ma un amore incarnato in meravigliose scuole per bambini, cliniche per i malati, case per gli anziani, centri accoglienza per gli orfani, cibo per gli affamati. A New York anche il cuore del più convinto laicista si intenerisce quando visita una delle nostre scuole cattoliche della città. Quando uno dei nostri benefattori, che si definiva agnostico, ha chiesto a suor Michelle perché alla sua età, con i dolori artritici alle ginocchia, continuasse a lavorare in una bella ma assai impegnativa scuola; lei ha ri- sposto: «Perché Dio mi ama e io lo amo e voglio che questi bambini scoprano questo amore». 7. Fino all’effusione del sangue Gioia, amore e... ultimo punto… mi spiace doverlo dire… il sangue. Domani, ventidue di noi udiranno quello che la maggior parte di voi ha già udito: «A lode di Dio onnipotente e a decoro della sede apostolica ricevete la berretta rossa come segno della dignità del cardinalato, a significare che dovete essere pronti a comportarvi con fortezza, fino all’effusione del sangue, per l’incremento della fede cristiana, per la pace e la tranquillità del popolo di Dio e per la libertà e la diffusione della santa romana Chiesa». Beatissimo padre, potrebbe, per favore, saltare «fino all’effusione del sangue» quando mi presenterà la berretta? Ovviamente no! Ma noi siamo dei «sussidi audiovisivi scarlatti» per tutti i nostri fratelli e sorelle anch’essi chiamati a soffrire e morire per Gesù. Fu Paolo VI a notare saggiamente che l’uomo moderno impara più dai testimoni che dai maestri, e la suprema testimonianza è il martirio. Oggi, tristemente, abbiamo martiri in abbondanza. Grazie, padre santo, perché ci ricorda così spesso coloro che oggi soffrono la persecuzione a causa della loro fede in tutto il mondo. Grazie, card. Koch, perché ogni anno chiami la Chiesa al «giorno di solidarietà» con i perseguitati a causa del Vangelo, e per l’invito ai nostri interlocutori nell’ecumenismo e nel dialogo interreligioso a un «ecumenismo del martirio». Mentre piangiamo i cristiani martiri; mentre li amiamo, preghiamo con e per loro; mentre interveniamo con forza a loro difesa, noi siamo anche molto fieri di essi, ci vantiamo in essi e annunciamo la loro suprema testimonianza al mondo. Essi accendono la scintilla della missio ad gentes e della nuova evangelizzazione. Un giovane a New York mi ha detto di essere ritornato alla fede cattolica, abbandonata nell’adolescenza, dopo aver letto I monaci di Tibhirine, sui trappisti martirizzati in Algeria quindici anni fa, e aver visto la loro storia nel film francese Uomini di Dio. Tertulliano non si sarebbe sorpreso. Grazie a voi, santo padre e confratelli, per aver sopportato il mio italiano rudimentale. Quando il card. Bertone mi ha chiesto di parlare in italiano, mi sono preoccupato perché io parlo italiano come un bambino. Ma poi ho ricordato quando, da giovane prete fresco di ordinazione, il mio primo pastore mi disse, mentre andavo a fare catechismo ai bambini di sei anni: «Ora vedremo che fine farà tutta la tua teologia, e se riesci a parlare della fede come un bambino!». E forse conviene concludere proprio con questo pensiero: abbiamo bisogno di dire di nuovo come un bambino l’eterna verità, la bellezza e la semplicità di Gesù e della sua Chiesa. Sia lodato Gesù Cristo! Città del Vaticano, Aula nuova del Sinodo, 17 febbraio 2012. ✠ TIMOTHY M. card. DOLAN, arcivescovo di New York IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 135 136-141:Layout 3 15-03-2012 8:58 Pagina 136 S anta Sede | VIOLENZE SUI MINORI Liturgia penitenziale C Pontificia università Gregoriana Simposio per vescovi e religiosi in materia di abusi sessuali ontemplazione dell’incarnazione Uno dei tratti caratterizzanti il simposio «Verso la guarigione e il rinnovamento» organizzato a Roma dalla Gregoriana in collaborazione con i principali dicasteri vaticani dal 6 al 9 febbraio (cf. Regno-att. 4,2012,75) è stato l’aver affrontato il tema delle violenze sessuali su minori in ambito pastorale secondo una modalità a tutto campo. Per questo è stato preso in considerazione anche l’aspetto liturgico, con una celebrazione penitenziale presso la chiesa di S. Ignazio a Campo Marzio, presieduta dal card. M. Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi. La celebrazione, suddivisa in tre momenti – «Contemplazione dell’incarnazione», «Grande preghiera penitenziale» e «Richiesta di perdono» – ha costituito da un lato un modello liturgico che i partecipanti potranno adattare alla propria realtà locale; dall’altro è stata una prima richiesta di perdono da parte di un esponente di primo piano nel governo della Chiesa universale. È necessario un «profondo rinnovamento nella Chiesa» a partire dalla «tragedia e dalla vergogna» di uno scandalo che non deve avvenire «mai più» – ha concluso Ouellet nella sua omelia (cf. qui a p. 140). Opuscolo bilingue inglese-italiano, Roma 2012. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 La chiesa è nella penombra. All’incrocio dei transetti una grande croce, anch’essa nel buio. Ciascuno dei partecipanti entra in silenzio recando in mano una lampada spenta e si dispone davanti alla croce. [Sull’opuscolo che contiene i testi di questa liturgia seguono qui due letture bibliche, dal Libro della Genesi (1,1-28) e dalla Lettera ai Romani (5,12.15-21), accompagnate da queste parole: «Le tre Persone divine osservano tutta la superficie ricurva del mondo, popolato da uomini… vedendo che tutti vanno all’inferno, stabiliscono da tutta l’eternità che la seconda Persona si faccia uomo, per salvare il genere umano… giunto il tempo prefissato, inviano l’angelo san Gabriele a nostra Signora». I due brani non sono stati letti ad alta voce ma offerti alla meditazione silenziosa, mentre su uno schermo scorrevano alcune immagini; ndr]. Lettore: «Chi manderò e chi andrà per noi?» (Is 6,8). Lettore: «Cristo Gesù: / pur essendo nella condizione di Dio, / non ritenne un privilegio / l’essere come Dio, / ma svuotò se stesso / assumendo una condizione di servo, / diventando simile agli uomini. / Dall’aspetto riconosciuto come uomo, / umiliò se stesso / facendosi obbediente fino alla morte / e a una morte di croce» (Fil 2,5-8). Viene illuminata la grande croce, mentre continua la recita dell’inno. Lettore: «Per questo Dio lo esaltò / e gli donò il nome / che è al di sopra di ogni nome, / perché nel nome di Gesù / ogni ginocchio si pieghi / nei cieli, sulla terra e sotto terra, / e ogni lingua proclami: / “Gesù Cristo è Signore!”, / a gloria di Dio Padre» (Fil 2,9-11). Dopo un breve spazio musicale, viene narrato il racconto della risurrezione. 136 136-141:Layout 3 15-03-2012 8:59 Pagina 137 Lettore: «Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato», Gesù apparve «agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato”. (...) Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio» (Mc 16,9.14-16.19). Vengono rappresentate alcune missioni di evangelizzazione affidate alla Chiesa. Lettore: «Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano» (Mc 16,20). G rande preghiera penitenziale Dopo aver contemplato il disegno originario del Creatore che ha fatto buone e sante tutte le cose, deturpato dall’opera del Divisore, abbiamo udito la Parola divina risuonare in mezzo a noi per salvare l’umanità perduta a causa del peccato e prendere dimora nella nostra carne mortale. Nel mistero della sua morte e risurrezione è stato sconfitto l’Accusatore e ci è stato donato il Nome di salvezza, in cui tutta la creazione è stata ricapitolata e consegnata nelle mani del Padre. Questa realtà che appartiene all’eterno presente di Dio è in costruzione per noi che viviamo nella storia, tesi verso il compimento della promessa. Il nostro è il tempo della Chiesa, inviata a immergere nel nome della Trinità l’umanità peccatrice, perché risorga dalle acque del battesimo come creatura nuova, innestata nella novità che è Cristo. È il tempo della lotta con le forze del male senza però temerne il veleno, perché guariti dal farmaco di immortalità che è il pane del cielo, sostegno lungo il cammino. È anche il tempo in cui sperimentiamo ancora l’afflizione della colpa che ci separa da Dio e in cui ci riconosciamo continuamente bisognosi di salvezza. Ora il celebrante si porterà davanti alla croce. A partire dalla grande preghiera penitenziale di Neemia confesserà la fedeltà di Dio verso di noi e, alla luce di tanta bontà e clemenza, confesserà il peccato che ancora ci ferisce e ci separa da colui che è il solo Santo. Tu solo sei il Signore, / che hai fatto i cieli, i cieli dei cieli / e tutto il loro esercito, / la terra e quanto sta su di essa, / i mari e quanto è in essi; / tu fai vivere tutte queste cose / ed esse ti servono. Benedíctus Deus in saecula! Vescovo: Tu sei il Signore Dio, che hai scelto Abram / e lo hai fatto uscire da una terra desolata. / Tu hai trovato il suo cuore fedele davanti a te / e hai stabilito con lui un’alleanza, / promettendo di dare a lui e alla sua discendenza / una terra rigogliosa dove scorre latte e miele. / E nella tua fedeltà hai mantenuto la tua parola. Benedíctus Deus in saecula! Vescovo: Tu hai visto l’afflizione dei nostri padri in Egitto / e hai ascoltato il loro grido presso il Mar Rosso; / hai operato segni e prodigi contro il faraone, / contro tutto il popolo della sua terra, / perché sapevi che li avevano trattati con durezza. / Hai squarciato il mare davanti a loro / ed essi sono passati in mezzo al mare sull’asciutto. / Li hai guidati di giorno con una colonna di nube / e di notte con una colonna di fuoco, / per rischiarare loro la strada su cui camminare. Benedíctus Deus in saecula! Vescovo: Sei sceso sul monte Sinai / e hai dato loro norme giuste / e comandi buoni / per mezzo di Mosè, tuo servo. / Hai dato loro / pane del cielo per la loro fame / e hai fatto scaturire / acqua dalla rupe per la loro sete, / e hai detto loro di andare / a prendere in possesso la terra / che avevi giurato di dare loro. Benedíctus Deus in saecula! Vescovo: Ma i nostri padri, / si sono comportati con superbia, / hanno indurito la loro cervice / e non hanno obbedito ai tuoi comandi. / Non si sono ricordati dei tuoi prodigi, / che tu avevi operato in loro favore; / e nella loro ribellione si sono dati un capo / per tornare alla loro schiavitù. Atténde Dómine et miserére, / quia peccávimus tibi. Il cardinale presidente si porta davanti alla grande croce e come voce della Chiesa intesse un dialogo con il crocifisso, seguendo la grande preghiera penitenziale di Neemia 9: Vescovo: Ma tu sei un Dio pronto a perdonare, / misericordioso e pietoso, / lento all’ira e ricco di amore / e non li hai abbandonati. / Anche quando si sono fatti un vitello di metallo fuso / e ti hanno insultato gravemente, / tu nella tua grande misericordia, / non li hai abbandonati nel deserto. / Per quarant’anni li hai nutriti nel deserto / e non è mancato loro nulla. / Hai moltiplicato i loro figli come le stelle del cielo / e li hai introdotti nella terra / nella quale avevi comandato ai loro padri / di entrare per prenderne possesso, / ed essi sono vissuti nelle delizie per la tua grande bontà. / Ma poi hanno disobbedito, / si sono ribellati contro di te, / si sono gettati la tua legge dietro le spalle, / hanno ucciso i tuoi profeti, / che li ammonivano per farli tornare a te, / e ti hanno insultato gravemente. Atténde Dómine et miserére, / quia peccávimus tibi. Cardinale: Signore, benediciamo il tuo nome glorioso, / esaltato al di sopra di ogni benedizione / e di ogni lode. Vescovo: Perciò tu li hai messi nelle mani dei loro nemici, / che li hanno oppressi. / Ma nel tempo della loro IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 137 136-141:Layout 3 15-03-2012 8:59 Pagina 138 S anta Sede angoscia / essi hanno gridato a te / e tu hai ascoltato dal cielo / e, nella tua grande misericordia, / tu hai dato loro salvatori, / che li hanno salvati dalle mani dei loro nemici. / Poiché quando avevano pace, / ritornavano a fare il male davanti a te / e nella tua misericordia / più volte li hai liberati. / Infine, nella pienezza dei tempi / hai mandato il tuo Unigenito, / pensando: «Avranno rispetto per mio figlio», / ma noi lo abbiamo preso, / lo abbiamo cacciato fuori dalla vigna / e lo abbiamo ucciso inchiodandolo sulla croce. Atténde Dómine et miserére, / quia peccávimus tibi. Vescovo: Nella tua misericordia udisti il suo grido / in cui hai riconosciuto il dolore / e lo strazio di tutta l’umanità / e a lui venisti incontro / non permettendo che il suo corpo / conoscesse la corruzione del sepolcro. / Risorto il terzo giorno apparve alla sua Chiesa, / presentandosi come il Vivente che ha vinto la morte / e inviando i suoi discepoli ai quattro angoli della terra / ad annunciare il Vangelo di salvezza, / ammaestrando tutte le nazioni. / Ed essi partirono fidandosi della sua promessa: / «Io sono con voi tutti i giorni, / fino al consumarsi dei secoli». Breve sonata d’organo. Cardinale: Ora, Padre, / guarda con pietà alla nostra misera condizione: / ci è stato affidato il compito / di essere sacramento di salvezza, / di annunciare il tempo della tua grazia. / Sulla tua promessa siamo andati, / per combattere il male del mondo: / l’egoismo, l’ingiustizia, lo sfruttamento dei deboli, / senza temerne il veleno; / ma con stupore e vergogna / ci accorgiamo che questo male rimane sempre dentro di noi / e gravemente offusca la nostra testimonianza ecclesiale. / Noi che dovevamo portare la salvezza ai «piccoli», / siamo talvolta divenuti strumento del male contro di loro. Atténde Dómine et miserére, / quia peccávimus tibi. Vescovo: Abbiamo peccato, / non abbiamo saputo ascoltare / il dolore di molti «piccoli». / Abbiamo avuto paura e orrore / del peccato che ci ha ferito, / perché non abbiamo confidato nella tua promessa, / e abbiamo preteso di portarlo da soli / dimenticandoci di aggrapparci / alla salvezza della tua croce. / Lo abbiamo nascosto dentro di noi / come in un sepolcro, / senza affidarlo al tuo cuore misericordioso. Atténde Dómine et miserére, / quia peccávimus tibi. Vescovo: Le nostre bocche che avrebbero dovuto annunciare il Vangelo / sono chiuse dal dolore e dalla vergogna; / le nostre mani che avrebbero dovuto essere imposte / per guarire i malati, / sono legate e impotenti. / Eccoci umiliati davanti a te e davanti agli uomini, / crocifissi dal male che ha sfigurato il volto della tua Chiesa. / Siamo consapevoli che i nostri atti di riparazione / non potranno mai cancellare quanto di ingiusto è stato fatto, / né lenire la bruciante ferita della nostra coscienza. / In grande angoscia / siamo Signore di fronte alla tua croce: / ascolta il grido / che scaturi- 138 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 sce dal nostro cuore lacerato / e che vuole essere di nuovo risanato dall’amore. / Signore, vogliamo essere vicino ai piccoli e ai deboli, / desideriamo essere sacramento della tua salvezza, / essere voce che annuncia il Vangelo / e segno in questo mondo di comunione e di guarigione. Atténde Dómine et miserére, / quia peccávimus tibi. Cardinale: Per questo sorretti dalla fede, / animati dalla speranza / e infiammati di carità evangelica, / supplici ti chiediamo: / «Signore, perdonaci e vieni a salvarci!». Pausa di silenzio, a cui segue l’omelia (cf. riquadro a p. 140). R ichiesta di perdono La Chiesa è inviata nel mondo come segno dell’amore salvifico di Dio per l’umanità che ha nel mistero di morte e risurrezione del Signore il centro del suo annuncio e della sua testimonianza. L’esperienza del peccato e del male che ci abita, però, ci ha fatto rivolgere al Signore un grido di dolore nella consapevolezza di non poter essere sacramento di salvezza se non restando innestati nell’amore di Cristo. Anche noi, che attraverso il battesimo abbiamo ricevuto il nome nuovo, abbiamo bisogno di udire, di accogliere e di celebrare il perdono del Crocifisso, per essere risanati dalla sua misericordia. In unione e come espressione del perdono di Cristo, anche il perdono di coloro che in vario modo abbiamo offeso e ferito è fonte di guarigione. Sappiamo che il perdono non lo possiamo pretendere ma ricevere solo come dono della grazia, che muove il cuore al pentimento e apre alla capacità di offrirlo. Siamo anche consapevoli che perdonare non significa dimenticare, o peggio illudersi che un gesto umano possa cancellare quanto è accaduto. Il perdono che riceviamo da Cristo e che imploriamo da coloro che abbiamo ferito non ci esenta dalla penitenza, il cui peso dobbiamo comunque portare non da soli ma uniti al Signore. È di nuovo dal Risorto e rinnovando l’esperienza del nostro battesimo che desideriamo ripartire animati dalla speranza, per essere di nuovo luce e annunciatori della vittoria di Cristo sul male e sulla morte. Il lettore annuncia il perdono del Crocifisso: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno» (Lc 23,34). Viene portato sotto la croce il cero pasquale. Lettore: «Uno dei soldati gli colpì il costato con la lancia e subito ne uscì sangue ed acqua» (Gv 19,34). 136-141:Layout 3 15-03-2012 8:59 Pagina 139 Si riempie con l’acqua benedetta il bacile battesimale posto presso il lato destro del Crocifisso. Alcuni rappresentanti delle categorie coinvolte nella vicenda degli abusi, recando con sé delle lampade spente, innalzano l’umile richiesta di perdono. Un vescovo: Signore, misericordioso e fedele, / rinnovaci nella fede che è per noi vita e salvezza, / nella speranza che promette perdono e rinnovamento interiore, / nella carità che purifica e apre i nostri cuori / ad amare te, e in te, tutti i nostri fratelli e sorelle. Perdonaci e abbi pietà di noi. Kýrie eléison, Kýrie eléison. Camaldoli, 25-29 giugno 2012 31a edizione L’opera di Luca 2. Gli Atti degli Apostoli Dopo essersi segnato con l’acqua benedetta ciascun rappresentante accende la propria lampada al cero pasquale e la colloca presso la croce. Un educatore: Signore, maestro di verità, / possa la tua Chiesa rinnovare il suo millenario impegno / alla formazione dei nostri giovani sulla via della verità, / della bontà, della santità / e del generoso servizio alla società. Perdonaci e abbi pietà di noi. Kýrie eléison, Kýrie eléison. RELATORE: MASSIMO GRILLI docente di Nuovo Testamento alla Pontificia Università Gregoriana COORDINANO: p. ALFIO FILIPPI e p. SERGIO ROTASPERTI Programma Un superiore: Signore, vincitore della morte, / donaci il tuo Spirito consolatore, / perché ci difenda dall’Accusatore e ci sia di guida, / ispiri una nuova primavera di santità e di zelo apostolico / affinché la tua Chiesa possa realizzare / la missione per cui l’hai voluta, amata e inviata. Perdonaci e abbi pietà di noi. Kýrie eléison, Kýrie eléison. Un sacerdote: Signore, medico delle nostre anime, / possano la nostra tristezza e le nostre lacrime, / il nostro sforzo sincero di raddrizzare gli errori del passato, / e il nostro fermo proposito di correzione, / portare abbondanti frutti di grazia e di bene / in noi e nelle persone che siamo chiamati a servire. Perdonaci e abbi pietà di noi. Kýrie eléison, Kýrie eléison. Un genitore: Signore, nuovo Adamo, / con umiltà ti chiediamo / che il nostro desiderio sincero di conversione / possa far germogliare la fede nelle nostre famiglie, / nelle parrocchie, scuole e associazioni, / per il progresso spirituale delle società / e per la crescita della carità, della giustizia, / della gioia e della pace, nell’intera famiglia umana. Perdonaci e abbi pietà di noi. Kýrie eléison, Kýrie eléison. Testi EDB consigliati: • J. RADERMAKERS, PH. BOSSUYT, Lettura pastorale degli Atti degli Apostoli, 3a ed., pp. 720, € 56,80; • P. BIZZETI, Fino ai confini estremi. Meditazioni sugli Atti degli apostoli, 2a ed., pp. 432, € 41,60; • G. RAVASI, Gli Atti degli Apostoli, 4a ed., pp. 144, € 12,00; disponibile anche in CD/MP3, € 17,40; Un fedele: Signore, buon pastore, / ti preghiamo per quanti, a causa della debolezza dei tuoi ministri, / hanno perso la fede in te e la fiducia nella tua Chiesa, / ti affidiamo anche coloro / che hanno provocato scandalo nel tuo gregge: / tu che conosci i nostri cuori / lenisci il dolore delle vittime e sostieni IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 Quota d’iscrizione: € 50, da versare all’apertura dei lavori. Quote giornaliere a persona in camera con bagno: pensione completa € 59; mezza pensione € 49; giovani fino a 30 anni: € 39. Prenotazioni c/o Foresteria di Camaldoli (tel. 0575.556013; fax 0575.556001; e-mail [email protected]), inviando entro 15 gg. caparra del soggiorno di € 40 non rimborsabile in caso di disdetta. 139 La partecipazione alla liturgia monastica è parte integrante del convegno. 136-141:Layout 3 15-03-2012 8:59 Pagina 140 S anta Sede Card. Ouellet: «Mai più!» a Liturgia penitenziale del 7 febbraio 2012, di cui riproduciamo in queste pagine i testi, è stata presieduta dal card. Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per i vescovi, che ha anche pronunciato l’omelia (stampa da supporto digitale in nostro possesso). L Venerati confratelli nell’episcopato e nel sacerdozio e cari fratelli e sorelle, nel contesto della riflessione che si sta volgendo in questi giorni del Simposio «Verso la guarigione e il rinnovamento», vogliamo prendere coscienza che questa sera siamo qui non solo in qualità di credenti ma anche come penitenti. Di fronte al dramma degli abusi sessuali compiuti da cristiani su minori, specialmente da membri del clero, grande è la vergogna ed enorme è lo scandalo. Si è compiuto ciò contro cui Gesù si scagliò: «È meglio che a uno venga messa al collo una pietra da mulino e sia gettato in mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli» (Lc 17,2). L’abuso è infatti un crimine che causa un’autentica esperienza di morte a delle vittime innocenti, che solo Dio, nella potenza dello Spirito Santo, può veramente far risorgere. Per questo, con profonda convinzione e coscienza del gesto, preghiamo e imploriamo il Signore. nella penitenza / coloro che si sono fatti portatori di questo male. Perdonaci e abbi pietà di noi. Kýrie eléison, Kýrie eléison. MARIANO PAPPALARDO Un amore che libera Cardinale: Signore, mite e umile di cuore / imploriamo il perdono per quanti hanno abusato / in diversi modi dei piccoli e dei deboli / togliendo loro la speranza / di una piena realizzazione umana e spirituale / e per coloro che hanno discriminato il prossimo / e lo hanno emarginato senza riconoscersi figli e fratelli. Perdonaci e abbi pietà di noi. Kýrie eléison, Kýrie eléison. Sentieri pasquali Meditazioni per la Settimana santa Anni A-B-C P er comprendere il significato della morte e risurrezione di Gesù, cuore della fede cristiana, il sussidio offre tre percorsi di meditazione, uno per ogni anno liturgico, a partire da tre elementi chiave: lo squarcio, ovvero il mistero della Pasqua come forza che allarga gli orizzonti; la dismisura, cioè l’amore di Dio che redime il peccato dell’uomo con la grazia; le vesti, per cogliere il vero volto del Padre, manifestatosi nella passione del Figlio. Un rappresentante dei «piccoli» chiede la grazia di poter unire la propria voce a quella del Cristo crocifisso: Signore, oltraggiato dagli uomini, uomo dei dolori, / è per noi pesante e difficile perdonare / coloro che ci hanno fatto il male, / solo la tua grazia può aprirci a questo dono: / ti chiediamo la forza di unirci al perdono che dalla croce / hai fatto scendere sull’umanità peccatrice / come balsamo di guarigione / perché la tua Chiesa sia sanata anche dal nostro perdono. Perdona loro. Kýrie eléison, Kýrie eléison. Quindi accende la propria lampada e la colloca vicino al cero pasquale. «SUSSIDI PER I TEMPI LITURGICI» pp. 96 - € 7,20 EDB Edizioni Edizioni Dehoniane Dehoniane Bologna Bologna Viene proclamato il Vangelo dell’invio dei discepoli dopo il tradimento e l’abbandono: «La sera di quel Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it Vescovi, superiori religiosi, educatori, cristiani tutti, sentiamo doloroso questo gesto di purificazione che coinvolge profondamente la Chiesa intera. Invochiamo su di essa lo Spirito di Dio che guarisce e rinnova radicalmente tutte le cose, perché scenda su di noi. Come membri della Chiesa dobbiamo avere il coraggio di chiedere umilmente perdono a Dio e ai suoi «piccoli» violati; dobbiamo essere vicini al loro cammino di sofferenza cercando, in tutti i modi possibili, di fasciare le loro ferite sull’esempio del buon samaritano. Il primo passo in questo cammino è di ascoltarli attentamente e di credere alle loro storie di sofferenza. Il cammino di rinnovamento della Chiesa, nella formazione delle persone e nella creazione di strutture idonee ad aiutare a prevenire da simili misfatti, deve avvenire all’insegna del «mai più». Come già diceva il beato Giovanni Paolo II: «Nel sacerdozio e nella vita religiosa non c’è posto per chi potrebbe far del male ai giovani» (Discorso ai partecipanti alla riunione interdicasteriale con i cardinali degli Stati Uniti d’America, 23.4.2002, n. 3; Regno-doc. 9,2002,266). Non è tollerabile che nella Chiesa si abusi dei bambini. Mai più! Con tristezza constatiamo fin troppo bene che l’abuso sessuale dei minori si trova in tutta la società moderna. Speriamo sinceramente che l’impegno della Chiesa per sconfiggere questo grande 140 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 136-141:Layout 3 15-03-2012 8:59 Pagina 141 male possa favorire il rinnovamento anche nelle altre comunità e strutture della società, parimenti colpite da questa tragedia. In tale cammino di conversione, noi cristiani dobbiamo essere consapevoli che solo la fede può garantire una vera opera di rinnovamento nella Chiesa. Fede intesa come personale, vero e vivificante rapporto d’amore con Gesù Cristo. Consapevoli della debolezza della nostra fede, chiediamo al Signore Gesù di guarirci e di condurci, passando attraverso l’agonia della croce, verso la gioia della risurrezione. Talvolta la violenza è giunta da persone profondamente disturbate o già a loro volta abusate. Occorreva prendersi cura di loro e impedire che si trovassero in ruoli e ministeri a cui non erano idonei. Questo non è sempre stato fatto in modo efficace e perciò, di nuovo, chiediamo perdono alle vittime. I pastori della Chiesa, avendo imparato da questa terribile e umiliante esperienza, sono chiamati a una maggiore assunzione di responsabilità nell’opera di discernimento e di accettazione dei candidati ai servizi nella Chiesa e specialmente al ministero ordinato. Questa liturgia vigiliare cerca di aiutare noi, ancora così profondamente sconvolti, a leggere questi terribili eventi, avvenuti dentro il popolo di Dio, alla luce della storia della salvezza, che tutti insieme abbiamo questa sera ripercorso. È una storia che parla della nostra miseria, nelle ripetute cadute, e della sua infinita misericordia della quale abbiamo sempre bisogno. Affidiamo tutti alla potente intercessione del Figlio di Dio, che nel mistero del suo «svuotamento» (cf. Fil 2,7), avvenuto nell’incarnazione e nella redenzione, ha preso su di sé ogni male, anche questo male, distruggendone la potenza di morte, perché essa non abbia l’ultima parola. Gesù Risorto, infatti, è la garanzia e la promessa che la vita trionfa sulla morte; egli che è capace di attuare la salvezza per ogni persona. Ora, continuando la nostra celebrazione, preghiamo con le parole di Benedetto XVI, che ci invitano a una maggiore consapevolezza circa le nostre rispettive vocazioni, e così a riscoprire le radici della nostra fede in Gesù Cristo, per abbeverarci a lui, sorgente d’acqua viva offertaci attraverso la sua Chiesa (cf. Lettera pastorale ai cattolici d’Irlanda, 20.3.2010; Regnodoc. 7,2010,193ss). Che lo Spirito Santo, Signore e fonte della vita, sempre attivo nel mondo, discenda e ci aiuti per le preghiere della beata vergine Maria, Madre della Chiesa, che con la sua potente intercessione ci sostiene e ci guida ad obbedire ed accogliere l’amore divino. Amen! giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: “Pace a voi!”. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: “Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi”. Detto questo, soffiò e disse loro: “Ricevete lo Spirito Santo”» (Gv 20,19-22). sato il nostro peccato, / le nostre infedeltà e i tradimenti del tuo amore. La tua misericordia e il perdono del tuo Cristo / e dei «piccoli» della storia / ci sana dal nostro male / e di nuovo ci invia nel mondo / per essere segno della tua salvezza, / «buoni samaritani» dell’umanità, / mandati a fasciare le piaghe dei cuori spezzati / annunciando il giorno senza tramonto / in cui tu sarai tutto in tutti. Questa luce che abbiamo ricevuto / come segno di perdono / e del fuoco dello Spirito / la dobbiamo custodire con una vita santa, / perché permanendo uniti al Signore / e al suo amore misericordioso, / animi la nostra testimonianza, / riscaldi il cuore / e ci costituisca come lampade / che ardono nelle tenebre del mondo / finché sorgerà Cristo, stella del mattino, / e tutta la creazione / sarà ricondotta al tuo cuore di Padre. Il cardinale presidente abbraccia la croce. Quindi rivolgendosi verso l’assemblea la saluta dicendo: Pax Dómini nostri Iesu Christi, / sit semper vobis. Tutti: Et cum spíritu tuo. Con la pace viene portata la luce del cero pasquale all’assemblea, mentre si canta un canone allo Spirito Santo. Veni Sancte Spiritus, / tui amoris ignem accende. / Veni Sancte Spiritus, / veni Sancte Spiritus. Cardinale: Dio misericordioso e fedele, / ci uniamo all’esultanza dei tuoi discepoli / che dopo aver fatto l’esperienza / dell’abbandono e del tradimento / si sentono rinsaldati dalla pace / ricevuta dal CrocifissoRisorto. Anche noi, dopo aver confessato la tua grandezza / e reso grazie per quanto amorevolmente hai fatto / e continui a fare per la tua Chiesa, / ti abbiamo confes- Roma, chiesa di Sant’Ignazio a Campo Marzio, 7 febbraio 2012. MARC card. OUELLET, prefetto della Congregazione per i vescovi Tutti: Pater noster qui es in caelis: / sanctificétur Nomen tuum; / advéniat Regnum tuum; / fiat volúntas tua, / sicut in caelo, et in terra. / Panem nostrum cotidianum / da nobis hódie; / et dimítte nobis débita nostra, / sicut et nos / dimíttimus debitóribus nostris; / et ne nos indúcas in tentatiónem; / sed líbera nos a malo. Diacono: Benedicámus Domine. Assemblea: Deo grátias. L’assemblea si scioglie lodando e ringraziando Dio con un canto finale e recando con sé le lampade accese. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 141 142-156:Layout 3 15-03-2012 9:23 Pagina 142 C hiese nel mondo | BELGIO Una sofferenza nascosta I Lettera pastorale dei vescovi e dei superiori religiosi del Belgio sulle violenze sessuali nella Chiesa «La principale lezione da trarre dal recente passato riguarda la rottura del silenzio. Si è taciuto, anche nella Chiesa». Probabilmente si sarebbero potute risparmiare alle vittime «molte sofferenze se si fosse incoraggiata più spesso la trasparenza»: dopo la stagione delle tempeste provocate dalle rivelazioni dei mass media, dall’alternarsi delle commissioni d’inchiesta e delle loro presidenze burrascose, dalla clamorosa perquisizione nell’arcivescovado di MalinesBruxelles (Regno-att. 2,2012,9ss), è arrivata il 13 gennaio la risposta dei vescovi e religiosi belgi alla questione delle violenze sessuali su minori nella Chiesa. Essa riconosce innanzitutto di non aver ascoltato le vittime, di averne minimizzato i racconti, di aver favorito un «esercizio autoritario del potere». Ma soprattutto s’impegna in un percorso operativo che sia contemporaneamente «globale», «integrato» e che abbia al centro la vittima, lasciando a lei scegliere tra le diverse «forme di riparazione» che la Chiesa metterà in campo. Prima tappa sarà l’istituzione di «punti di contatto» in ogni diocesi, ai quali le vittime o le persone informate dei fatti possono rivolgersi. Stampa (20.1.2012) da sito web abusdansleglise.be. Nostra traduzione dal francese. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 ntroduzione Nel corso di questi ultimi mesi, siamo stati profondamente colpiti da un’ondata di racconti strazianti di violenze sessuali nella Chiesa cattolica. Noi, vescovi e superiori religiosi, inizialmente siamo rimasti in silenzio, a parte la risposta alle domande della Commissione speciale relativa al trattamento delle violenze sessuali e di casi di pedofilia in una relazione di autorità, in particolare nella Chiesa fatta per presentare una prima reazione attraverso i media. Questo silenzio non era assolutamente indifferenza. Non aveva nulla a che vedere con la volontà di nascondere i fatti. Era segno del nostro stupore, del nostro piegare la testa sotto il duro colpo, mentre ci domandavamo molto seriamente come tutto ciò era potuto accadere. Nel corso degli ultimi diciotto mesi, ci è stata offerta la possibilità di ascoltare personalmente le vittime, nella maggior parte dei casi, purtroppo, per la prima volta. Questi racconti si sono dunque associati a nomi e a volti, spesso dopo anni di sofferenza nascosta e di tristezza. Il male inflitto alle vittime per non aver riconosciuto i fatti ha riempito di confusione noi responsabili della Chiesa. È proprio vero: le violenze sessuali contraddicono l’etica e il messaggio che la Chiesa vorrebbe diffondere. Al termine di un periodo di valutazione e d’approfondimento, è venuto per noi il momento d’agire in modo coerente ed energico. Grazie all’aiuto di esperti di varie discipline, abbiamo elaborato un piano d’azione globale per le violenze sessuali nella Chiesa e la loro incidenza sulle vittime. Le linee di fondo di questo piano d’azione sono raccolte nel testo che qui presentiamo. Anzitutto e soprattutto, vorremmo metterci in ascolto delle vittime delle violenze sessuali e di coloro che le assistono. Vogliamo dedicare loro tempo e aprire loro spazi perché possano esprimere la loro 142 142-156:Layout 3 15-03-2012 9:23 Pagina 143 tristezza, la loro sofferenza e la loro rabbia. Non possiamo riscrivere il passato. Ormai possiamo solo offrire ciò che prima è crudelmente mancato: il manifestarsi anzitutto umani e solidali. In dialogo con le vittime, vogliamo trovare il modo migliore d’essere al loro fianco. Al riguardo, in questo documento proponiamo varie piste. Ma dobbiamo pur volgerci al futuro. Là dove bambini o giovani sono in contatto con un’organizzazione ecclesiale, dobbiamo fare tutto il possibile per prevenire un esercizio abusivo dell’autorità o un comportamento trasgressivo. Dobbiamo accordare la priorità alla prevenzione nel reclutamento, nella formazione e nell’accompagnamento dei nostri collaboratori. Anche su questo aspetto, il documento pone alcuni punti fermi. I racconti delle violenze sessuali hanno messo in cattiva luce tutta la Chiesa e specialmente l’autorità ecclesiale. Perché e come mai le violenze sessuali non sono emerse? I loro autori hanno potuto nascondersi dietro alle strutture interne alla Chiesa? L’umiltà ci spinge a rimetterci sulle orme di Gesù, il quale si è opposto a ogni forma d’ingiustizia e ha sempre protetto i deboli. Speriamo di poter compensare le ingiustizie del passato con maggiore giustizia in futuro. Come responsabili di una Chiesa impegnata e multiforme al tempo stesso vorremmo invitare ciascuno a collaborare alla nostra iniziativa, con una mente tanto aperta quanto critica. Questo documento non può essere l’ultima parola. L’ascolto delle vittime e l’offerta di riparazione costituiscono una sfida e richiedono un apprendimento. Nel corso degli ultimi dodici mesi abbiamo già fatto qualche passo avanti ma dobbiamo continuare. Con l’aiuto di esperti del mondo accademico e di responsabili della società provenienti da vari settori, siamo decisi a seguire questa problematica molto da vicino, a perfezionare il nostro approccio e, all’occorrenza, adattarlo. È importante che questo documento della Chiesa cattolica in Belgio sia effettivamente tradotto in pratica con passi avanti concreti. Vari capitoli di questo testo descrivono iniziative la cui applicazione concreta non poteva essere ricordata in questa pubblicazione. Informazioni più ampie su queste iniziative e sulle procedure a esse collegate possono essere trovate sul sito web abusdansleglise.be. Ogni volta che sarà disponibile una nuova informazione, potrà essere trovata a questo indirizzo.1 La comunità ecclesiale ha vissuto mesi difficili. Vogliamo rendere omaggio a tutti coloro che, a partire da una fede provata o da un forte sentimento d’umanità, hanno cercato di farsi forza e di dare forza. La Chiesa è ben più degli individui che si sono resi colpevoli di violenze sessuali. Essa vale molto di più del male inflitto da alcuni. Grazie a tutti coloro che continuano a lavorare per il futuro della nostra Chiesa. 1 Elaborando questo documento ci siamo lasciati guidare anzitutto da ciò che abbiamo imparato dalle vittime. Abbiamo beneficiato anche dell’aiuto di un gruppo di esperti nel campo dell’assistenza sociale, psicologica e medica, della giustizia riparatrice e del diritto nell’ambito: della responsabilità civile, delle obbligazioni, penale, canonico e della mediazione. A tutti coloro che hanno collaborato a questo documento vanno i nostri ringraziamenti per il loro apporto e il loro impegno. I. Quali lezioni trarre dai racconti dolorosi Prima d’affrontare la nostra proposta di un approccio globale, dal recente passato vogliamo trarre alcuni insegnamenti. Incontri con vittime e con esperti ci hanno fatto prendere coscienza delle domande fondamentali rivolte alla Chiesa. Pur non avendo risposte precostituite a queste domande e riflessioni critiche, le inseriamo in questo documento e nella nostra riflessione, perché desideriamo lasciarci ancora interpellare in futuro. Inoltre, vogliamo collocare lo scandalo delle violenze sessuali in un contesto più ampio. 1. Rompere il silenzio La principale lezione da trarre dal recente passato riguarda la rottura del silenzio. Si è taciuto, anche nella Chiesa. Molte vittime non hanno potuto condividere la propria storia. Probabilmente si sarebbero potute risparmiare loro molte sofferenze se si fosse incoraggiata più spesso la trasparenza e si fosse reagito con maggior forza. È evidente che bisogna mirare alla trasparenza e non sottovalutare nulla. Per un certo tempo, le vittime possono scegliere il silenzio, se non altro per sopravvivere, per rimanere in contatto con sé stesse o per non complicare le relazioni con le persone del loro ambiente. Il silenzio può avere un effetto deleterio per il semplice fatto di non esprimere ciò che deve essere messo in luce. Non è una buona scelta tacere quando si avverte la necessità di parlare. Ma a volte occorre molto tempo prima che una vittima sia in grado d’esprimersi. Nei casi di violenza sessuale perpetrata da un sacerdote o un religioso, le vittime si sono trovate certamente in una condizione di estrema vulnerabilità. Gli autori della violenza potevano tacere perché sa- Si può raggiungere questo sito anche cliccando su www.catho.be. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 143 142-156:Layout 3 15-03-2012 9:23 Pagina 144 C hiese nel mondo pevano che la loro vittima avrebbe fatto lo stesso. La vulnerabilità delle vittime era particolarmente grande perché la violenza proveniva spesso da una persona nella quale esse avevano fiducia. Ora risulta che il prete o il religioso autore della violenza era spesso vicino alla famiglia o apparteneva alla cerchia degli amici. Dove la vittima poteva raccontare ciò che aveva vissuto? Chi le avrebbe creduto? Spesso la famiglia preferiva tenere nascosto l’accaduto piuttosto che rischiare d’appannare la propria immagine. Inoltre, una violenza perpetrata da un ecclesiastico minava la fiducia in tutta la Chiesa. Stando così le cose, spesso sarebbe stato troppo chiedere di contattare un’autorità ecclesiastica per raccontargli l’accaduto. La vittima tuttavia non sa più a chi rivolgersi, se le autorità ecclesiastiche, i genitori o gli amici non le credono. Come responsabili della Chiesa, vogliamo essere aperti a ogni racconto di violenza e ampliare ulteriormente la nostra disponibilità. A partire dal 1997 esiste nella Chiesa un punto di contatto al quale si può segnalare una violenza sessuale. La sua missione è stata ripresa nel 2000 con la creazione della Commissione interdiocesana per il trattamento delle accuse di violenza sessuale in una relazione pastorale, presieduta anzitutto dal magistrato emerito Godelieve Halsberghe e poi dal prof. Peter Adriaenssens. Nella primavera del 2010, quando la crisi delle violenze sessuali è scoppiata da noi e in vari paesi, la Conferenza episcopale del Belgio ha nuovamente invitato le vittime a farsi avanti. Vogliamo continuare su questa strada. Siamo fermamente decisi a continuare a operare per creare un clima e un quadro nei quali nessuno debba più tacere la sofferenza che gli è stata inflitta. Gli incontri con le vittime ci hanno rivelato quanto fosse importante per loro poter parlare personalmente con i responsabili nella Chiesa. Esse ci tengono a incontrare il superiore di chi ha usato loro violenza per parlare della propria sofferenza nascosta e dell’ingiustizia subita. Vogliamo continuare a essere personalmente disponibili per rispondere a questa legittima aspettativa. Va da sé che ogni persona che, attraverso la propria attività professionale, viene a conoscenza di un caso di violenza sessuale, deve ricorrere a tutte le possibilità che le sono offerte dalla propria deontologia e dal legislatore per segnalarlo. Questo vale soprattutto quando esiste un pericolo reale o imminente per minori. Questa regola s’impone evidentemente anche a chi è impegnato in un’istituzione o un’organizzazione legata alla Chiesa. Tutti coloro che vi collaborano devono utilizzare tutti i mezzi possibili per porre fine a una violenza sessuale o per prevenirla. È il primo servizio che le vittime hanno diritto d’aspettarsi da noi. Ciascuno deve assumersi le proprie responsabilità. Sarebbe inammissibile che qualcuno, di fronte a un caso di una violenza sessuale, impedisse consapevolmente alla vittima di renderlo pubblico, per 144 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 porvi fine. Quando solo la parola può salvare, il silenzio diventa inaccettabile e deve essere rotto. 2 . L’origine delle violenze sessuali Gli autori di violenze sessuali nel quadro di una relazione pastorale sono spesso o collaboratori stimati o persone di fiducia della famiglia e della cerchia degli amici. Come può allora avvenire una violenza? Studi recenti rinviano a vari fattori che possono giocare un ruolo al riguardo. I racconti ascoltati nel corso degli ultimi dodici mesi hanno dimostrato che questi fattori possono causare violenze, anche nella Chiesa. Essi devono spingerci a riflettere sul funzionamento delle nostre strutture, sulla formazione e l’accompagnamento dei nostri collaboratori e sulla necessità di una migliore prevenzione. Una sessualità non sufficientemente integrata. Lo sviluppo di una personalità sana costituisce per ciascuno un processo di crescita permanente. Un aspetto essenziale in questo processo è la scoperta e lo sviluppo della propria identità sessuale. Le persone che non comprendono chiaramente la propria sessualità o non sono mai riuscite ad assegnarle il suo giusto posto rischiano di essere, a un certo punto, sommerse dalla sessualità. Questo è distruttivo sia per loro stessi sia per le persone che le circondano. In alcuni casi, si assiste a una sorta d’asservimento. Ci si rende conto che un certo comportamento ha delle conseguenze negative, ma non per questo vi si rinuncia. Lo sviluppo di una sana sessualità esige più della spiritualità o dell’ascesi. Ha bisogno di un inquadramento umano e di un accompagnamento che permettano di affrontare esplicitamente e senza pregiudizi la sessualità. In che modo la Chiesa ha affrontato in passato la sessualità e come lo fa oggi? In che modo preti e religiosi che scelgono, o hanno scelto, il celibato possono sviluppare una personalità equilibrata e gioiosa? Un esercizio autoritario del potere Gli educatori, preti e insegnanti, rappresentano un’autorità. I giovani hanno spontaneamente fiducia in loro. In questa relazione, un adulto può approfittare della propria superiorità in modo vergognoso per soddisfare i propri bisogni. A causa della sua autorità, l’autore della violenza gode in genere di una posizione meno esposta rispetto a quella della vittima. In un contesto ecclesiale si rischia di spiritualizzare il potere. Allora si maschera l’abuso di potere con considerazioni o intenti religiosi. Quando le persone pensano di poter tiranneggiare gli altri e tendono alla manipolazione, a intervenire a proprio piacimento e a parlare solo a partire dal proprio punto di vista, vi è il rischio reale che nuocciano ad altri. Ma, anche senza arrivare a una violenza sessuale, l’abuso della posizione e della funzione può ferire profondamente l’altro. In che modo esercitare l’autorità come un servi- 142-156:Layout 3 15-03-2012 9:23 Pagina 145 A CURA DI zio, senza pretese né secondi fini? Quali meccanismi sono in grado di mettere gli autori potenziali nella condizione di compiere una violenza e di nasconderla? CETTINA MILITELLO I laici dopo il Concilio Quale autonomia? Aiutanti accecati da sé stessi Le persone che prestano aiuto possono arrivare a identificarsi a tal punto con il proprio ruolo che non vedono più i bisogni personali e gli effetti che questi ultimi producono sugli altri. Nell’aiuto che offrono cercano una risposta al proprio bisogno di vicinanza e tenerezza. Così possono diventare prigioniere del proprio entusiasmo e di sé stesse al punto di credersi migliori degli altri. A lungo andare, non vedono più la reale portata della propria azione per l’altro e usano la loro particolare posizione per giustificare un comportamento trasgressivo e una violenza sessuale. Quale sostegno offrire alle persone che aiutano – preti, religiosi e collaboratori pastorali – perché continuino a distinguere fra i desideri personali e quelli altrui? Vittime che diventano carnefici Vari autori di violenze sessuali hanno subito a loro volta violenze sessuali nell’infanzia o nella giovinezza. La violenza ha profondamente sconvolto il loro sviluppo affettivo e sessuale. È tragico il fatto che «ripetano» inconsciamente quella violenza e facciano nuove vittime. Perciò è di primaria importanza che i preti, i religiosi e i collaboratori pastorali che hanno ferite nascoste dovute a violenze sessuali subite nella propria infanzia o giovinezza osino guardare in faccia il corso della propria vita, possano parlarne liberamente e accettino un aiuto di tipo professionale. A 50 anni dal Vaticano II occorre che le comunità cristiane compiano un serio esame di coscienza ecclesiale, a partire da una rilettura non superficiale del Concilio. Accanto a ciò è indispensabile una ripresa dell’azione formativa e una nuova valorizzazione dell’associazionismo. Seguendo il percorso conciliare, diversi studiosi offrono spunti di riflessione su un tema ancora dibattuto: l’identità e l’autonomia dei laici nella Chiesa. Una struttura della personalità di tipo dipendente. Poiché è molto importante per loro riuscire nella vita ed essere amate, le persone con una struttura della personalità di tipo dipendente nascondono spesso i propri sentimenti e desideri reali. Si dimostrano obbedienti e si sacrificano per gli altri. Nella spiritualità cristiana sono valori positivi, purché siano praticati al momento giusto, nella giusta misura e a favore delle persone giuste. Se l’abnegazione nasconde un disprezzo del proprio valore non può essere liberatrice. Questa frustrazione può innescare un comportamento trasgressivo e una violenza sessuale. Giustamente si chiede anche ai preti e ai religiosi di controllare innanzitutto che vi sia una sana interazione fra lo «spirituale» e l’«umano», fra la cura degli altri e quella di sé stessi, fra imparare a dare e imparare a ricevere. «TEOLOGIA VIVA» pp. 160 - € 14,00 DELLA STESSA CURATRICE 3. Prossimità e distanza IL VATICANO II E LA SUA RICEZIONE AL FEMMINILE pp. 256 - € 23,60 La violenza sessuale è legata a uno squilibrio fra prossimità e distanza nei contatti con i bambini e i giovani. Il giusto equilibrio non è facile da trovare. Non è auspicabile che una relazione pedagogica si limiti a una relazione distante a motivo dell’eccessiva angoscia che suscita la prossimità fra adulti, da una parte, e bambini o giovani, dall’altra. C’è differenza www.dehoniane.it Via Nosadella 6 40123 Bologna Tel. 051 4290011 Edizioni Dehoniane Bologna IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 145 Fax 051 4290099 142-156:Layout 3 15-03-2012 9:23 Pagina 146 C hiese nel mondo fra un coinvolgimento affettivo sano, da una parte, e un comportamento trasgressivo, dall’altra. Non è il coinvolgimento il problema, ma la trasgressione. Si avrebbe torto a credere che la distanza fra i due sia minima. La violenza sessuale è uno sfruttamento sottile e violento della prossimità che è prerequisito di ogni relazione pastorale o pedagogica. Vi sono segnali che devono allertarci. I potenziali autori di violenze spesso stanno molto vicini a bambini e a giovani, anche se la loro funzione non lo richiede. Può essere molto seducente per dei bambini incontrare un adulto con la stessa struttura psicologica immatura. Non stupirà sapere che questi adulti s’intendono bene con i bambini. In realtà, a volte sono essi stessi «ancora bambini». Un primo segnale d’allarme potrebbe essere proprio qui: quando un adulto preferisce trascorrere il proprio tempo e le proprie vacanze in compagnia dei bambini degli altri. Un secondo segnale, strettamente legato al precedente, è un evidente deficit di relazioni con persone della stessa età. È spesso il caso di potenziali autori di violenze. Spesso gli autori di violenze sui bambini non sanno che cos’è una relazione di fiducia perché non ne hanno mai fatto l’esperienza. Pensano che le proprie relazioni con persone della stessa età siano per loro natura profonde e basate sulla fiducia. Ma interrogandoli maggiormente, si scopre ben presto che essi condividono solo qualche raro aspetto della propria vita con gli «amici» e che non si può parlare di un sostegno reciproco. Avere e intrattenere relazioni strette con i pari è uno dei segnali più forti di una buona salute psichica. Il fatto che un adulto abbia poche relazioni con persone della propria età può essere un segnale d’allarme. Il potere stesso può oltrepassare i limiti. I preti, i religiosi e gli animatori pastorali devono interrogarsi sull’influenza o sul potere che sono associati al proprio ruolo e chiedersi se li usano a favore di coloro che sono loro affidati. Può essere utile porsi regolarmente alcune domande come altrettanti punti di riferimento empirici. Si parlerebbe e si agirebbe allo stesso modo se fossero presenti i genitori o gli amici della persona? Si preferisce trattare con una persona in particolare invece che con altre? Ci si sentirebbe a proprio agio se altri fossero al corrente di tutti gli aspetti di una relazione o c’è qualcosa che gli altri non potrebbero comprendere? Il rischio di violenza chiede una cultura della vigilanza grazie alla quale un esercizio inaccettabile del potere o un comportamento sessuale trasgressivo potrebbero essere svelati e affrontati nel modo più trasparente possibile. 4. Non lasciare in pace gli autori di violenza sessuale Permane una questione incresciosa: la sensazione che nella Chiesa gli autori di violenze sessuali siano stati lasciati in pace. Troppi autori di violenza ses- 146 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 suale se la sono cavata – ahimè! – troppo facilmente e non sono stati messi di fronte alle conseguenze dei loro atti. O perché le vittime non hanno rivelato la violenza subita o l’hanno fatto troppo tardi; oppure perché a causa della loro funzione, essi poterono dare un’immagine di sé che non corrispondeva alla realtà; o perché, davanti ai propri superiori, continuarono a negare sistematicamente e a rifiutare ogni collaborazione; o, infine, perché furono puniti dai superiori, ma in una forma non adeguata al danno inflitto o al rischio di recidiva. In caso di punizione, essi non furono coinvolti nel processo di riconoscimento o in atti riparatori sui quali contava la vittima. Nei riguardi degli autori di violenza sessuale la Chiesa deve adottare una chiara linea di condotta. Gli autori di violenze sessuali non possono essere lasciati in pace, anche quando si tratta di atti compiuti molti anni fa. Oltre alle sanzioni previste dal diritto per ogni cittadino, varie forme di sanzioni sono previste dal diritto canonico. Bisogna applicarle. Esistono terapie per trattare i comportamenti devianti e in questo caso sono esplicitamente indicate. Bisogna al tempo stesso adottare le misure adatte a prevenire ogni reiterazione di fatti inaccettabili o a evitare che nell’autore della violenza diano adito a un senso di sicurezza. Nessuna forma di violenza può essere tollerata. In questo documento vogliamo coinvolgere in tutto e per tutto gli autori di violenze sessuali nelle modalità proposte di riconoscimento e di mediazione riparatrice. Vogliamo che siano i primi ad assumersi le proprie responsabilità verso le vittime, a rendere conto dei propri atti e a collaborare attivamente nel processo di riparazione. Grava anzitutto su di loro il dovere di offrire un risarcimento finanziario alla vittima. Inoltre, esamineremo le ragioni per le quali alcuni nostri collaboratori hanno potuto compiere violenze sessuali o tenere comportamenti trasgressivi. Evidenzieremo le cause di questa problematica per poterla prevenire meglio. II. Linee di fondo per il trattamento e la prevenzione delle violenze sessuali 1. Per un approccio globale e integrato In quanto responsabili della Chiesa, vogliamo prendere le nostre responsabilità nei confronti delle vittime delle violenze sessuali. Vogliamo ascoltarle e cercare insieme a loro il modo migliore per rispondere alle loro necessità e alle loro domande. Nei limiti delle nostre possibilità, vorremmo aprire dei percorsi in vista del riconoscimento e della riparazione della sofferenza inflitta. Al tempo stesso vogliamo adottare le misure necessarie per una migliore pre- 142-156:Layout 3 15-03-2012 9:23 Pagina 147 venzione delle violenze. Per il raggiungimento di quest’obiettivo, abbiamo scelto un approccio globale e integrato. Per questo ci basiamo sul contributo scientifico di esperti di varie discipline. Globale significa che bisogna prendere in considerazione tutti gli aspetti del problema delle violenze. Perciò vogliamo tenere conto della relazione specifica fra vittima e autore della violenza, da una parte, e tra autore della violenza e ambiente ecclesiale, dall’altra. Inoltre, vogliamo cercare soluzioni per tutte le vittime, indipendentemente dal fatto che i fatti siano prescritti o meno. Integrato significa che i percorsi offerti per il riconoscimento e la riparazione si articolano in maniera congiunta. Il posto centrale della vittima esige che le forme di riparazione offerte siano lasciate alla sua scelta. Per affrontare le violenze sessuali possiamo e dobbiamo anzitutto puntare su ciò che la società prevede, in particolare attraverso la Giustizia e i servizi sociali. Da questo punto di vista, è chiaro che non vogliamo introdurre procedure separate o parallele. Intendiamo aderire a ciò che la società propone per la prevenzione e il trattamento delle violenze. La nostra prima regola dev’essere un ricorso trasparente alla collaborazione con i servizi offerti dalla società. Gli autori di violenze sessuali sono naturalmente i primi a dover rispondere per la sofferenza inflitta. È su di loro che grava anzitutto il dovere di contribuire al riconoscimento e alla riparazione del danno arrecato. Ma poiché gli autori di violenza sessuale appartenevano o appartengono alla Chiesa, il loro comportamento non ci lascia indifferenti. In quanto responsabili nella Chiesa, siamo consapevoli della nostra responsabilità morale e di ciò che la società si aspetta da noi. Nell’approccio da noi proposto, vogliamo porci a fianco della vittima per cercare insieme riconoscimento e riparazione. Al centro bisogna mettere la vittima e le sue domande nella loro complessità. Infatti una violenza sessuale può intaccare in forma grave e duratura sia l’integrità fisica, l’equilibrio psichico e l’identità sociale sia le risorse finanziarie della vittima. Occorre integrare tutti questi punti sensibili in un approccio globale. 2 . Offrire percorsi di riconoscimento e di riparazione Un esame criminologico rivela che le vittime hanno anzitutto bisogno che venga riconosciuto il male a loro inflitto, la loro impotenza nei confronti dell’autore della violenza, il silenzio al quale erano state condannate, il danno arrecato dalla violenza al proprio sviluppo personale e alle proprie capacità relazionali. Vogliamo, anzitutto, essere accessibili alle vittime e ascoltare il racconto della loro vita. È insieme a loro che vogliamo cercare percorsi di riconoscimento e di riparazione e metterli a loro disposizione. Possiamo farlo, ad esempio, attraverso l’offerta della possibilità di un incontro fra la vittima e l’autore della violenza o il suo superiore, con la presentazione di scuse alla vittima da parte dell’autore della violenza o del suo superiore, con l’avvio di un percorso duraturo, l’applicazione di sanzioni interne o di misure preventive nei confronti dell’autore della violenza, l’organizzazione di un incontro fra le vittime e l’autorità ecclesiastica. Il riconoscimento della sofferenza inflitta può anche dar luogo a un risarcimento finanziario della vittima. Infine, come riconoscimento della loro sofferenza, si può prevedere una commemorazione o un memoriale simbolico che ricordi la sofferenza subita. Come abbiamo già detto, è la stessa vittima a dover stabilire quale forma di riconoscimento possa facilitare il ristabilimento della propria dignità. La vittima che riceve un risarcimento (in un modo o in un altro) non considererà necessariamente il gesto come un riconoscimento o una riparazione completa. La sofferenza e le altre aspettative umane della vittima vanno ben al di là di ciò che può offrire un semplice risarcimento materiale o finanziario. È soprattutto riguardo al riconoscimento e alla riparazione che le vittime si aspettano dalla Chiesa un atteggiamento diverso e nuove iniziative. Questa costatazione ci ha indotti a prendere le seguenti iniziative. Concretamente, noi prevediamo vari mezzi attraverso i quali la Chiesa vuole collaborare con le vittime in vista del riconoscimento: punti di contatto locali, una mediazione o un arbitrato. Attraverso il primo di questi mezzi, la Chiesa vorrebbe mettersi a disposizione e all’ascolto delle vittime. Gli altri due prevedono l’intervento di un mediatore esterno o di arbitri. Ognuno di questi mezzi verrà descritto più dettagliatamente nel seguito del documento. Volendo metterci a disposizione e all’ascolto anche delle vittime di fatti prescritti, ci soffermeremo anzitutto sulla questione della prescrizione. 3. I fat ti prescrit ti o non prescrit ti Dal punto di vista giuridico, in materia di violenza sessuale si può distinguere fra i fatti prescritti e i fatti non prescritti. La durata della prescrizione non è la stessa nel diritto comune e nel diritto canonico. Nel diritto canonico, il termine della prescrizione è più lungo di quello del diritto penale. Su questo punto torneremo più avanti. Qui trattiamo della prescrizione così come viene presa in considerazione dalle corti e tribunali dell’ordinamento giudiziario. I fatti non sono prescritti finché non è trascorso il termine entro il quale possono essere oggetto di azioni giudiziarie. Solo l’autorità giudiziaria competente può pronunciarsi su un’eventuale prescrizione. Se esiste anche il minimo dubbio al riguardo, la decisione spetta alla giustizia. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 147 142-156:Layout 3 15-03-2012 9:23 Pagina 148 C hiese nel mondo In quanto autorità ecclesiastica, ripetiamo il nostro impegno a collaborare in modo costruttivo con le istanze designate dalla società a trattare le violenze sessuali. Se una vittima di fatti non prescritti si rivolge a noi, la orienteremo verso le autorità giudiziarie. Se essa non desidera farlo personalmente, noi stessi segnaleremo i fatti alla Giustizia eventualmente senza fare il suo nome. Se i fatti sono prescritti, la vittima non può più far valere il proprio diritto in tribunale. Non può più fare appello alla responsabilità civile in vista di una riparazione del danno subito. È come «fuori dal diritto». Tuttavia, noi, in quanto autorità ecclesiastica, vogliamo andare incontro alle vittime di fatti prescritti. Esse possono contare sulle tre vie di riconoscimento e di riparazione descritte qui di seguito, ognuna delle quale permette loro di rivolgersi alla Chiesa. Alle vittime è innanzitutto offerta la possibilità di rivolgersi a uno dei punti di contatto locali, con la loro domanda di riconoscimento e di riparazione, inclusa la richiesta di un risarcimento finanziario. Il punto di contatto locale cercherà insieme a loro una forma adatta di riconoscimento e di riparazione. Alle vittime che non vogliono più dialogare con i punti di contatto predisposti dalla Chiesa è offerta una seconda possibilità: quella di rivolgersi a un’istanza neutra, indipendente dalla Chiesa, in vista di una forma di mediazione o fra la vittima e l’autore della violenza sessuale o fra la vittima e l’autorità ecclesiastica. Alle vittime è poi offerta una terza possibilità: quella di scegliere l’arbitrato, che implica una procedura specifica. Questo significa che gli autori della violenza devono prendere in considerazione la ferita che hanno inferto alle vittime e alla comunità ecclesiale anche dopo la prescrizione giuridica dei fatti. Noi controlleremo che, anche dopo la prescrizione, gli autori di violenze sessuali collaborino a queste tre vie di riconoscimento e di riparazione che la Chiesa propone alle vittime. Queste ultime stabiliranno la forma di collaborazione che desiderano, che può consistere nella disponibilità dell’autore, ad esempio, a un confronto con la vittima, nel riconoscimento dei fatti o della colpa nei suoi confronti, in un gesto di buona volontà o in un contributo finanziario alle spese legate alla riparazione. 4. Dieci punti di contat to locali In quanto Chiesa, vogliamo anzitutto rispondere alle richieste che ci sono state rivolte e offrire alle vittime una rete di punti di contatto locali. In Belgio saranno dieci: uno in ciascuna delle otto diocesi, un altro per tutte le congregazioni e ordini religiosi francofoni (COREB) e uno per tutte le congregazioni e ordini religiosi di lingua fiamminga (URV). Questi punti di contatto sono operativi dal 1o gennaio 2012. Si conserva, inoltre, il punto d’informazione nazio- 148 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 nale per coloro che non trovassero subito l’accesso a un punto di contatto locale. Il punto d’informazione nazionale orienterà verso i punti di contatto locali. Alla fine del documento si possono trovare tutti i riferimenti (qui omessi; ndt). Ogni punto di contatto è diretto da un coordinatore che s’impegnerà a seguire la pratica dalla prima informazione al termine del trattamento, e terrà informata la persona sul percorso della sua dichiarazione. I coordinatori di tutti i punti di contatto si ritroveranno regolarmente per l’esame delle pratiche, la formazione e la concertazione. Questa concertazione è necessaria per permettere loro di lavorare in base agli stessi criteri e norme di qualità, condividere le loro esperienze e per permettere alle informazioni necessarie di circolare. Questi punti di contatto sono finanziati dalle singole diocesi e dalle congregazioni e ordini religiosi, anche se lavorano in modo del tutto indipendente da queste autorità. Un responso o intervento sia dei punti di contatto locali sia del punto d’informazione nazionale è gratuito. Chi è interessato? Può rivolgersi a uno di questi punti di contatto qualunque persona, di qualunque età, che sia stata vittima o testimone recentemente o in passato di una violenza sessuale o di un comportamento trasgressivo, nonché la persona che ha commesso o è sospettata di aver commesso atti del genere. Possono rivolgersi a uno di questi punti di contatto anche le vittime che hanno segnalato il loro caso alla Commissione Adriaenssens, ma la cui pratica non ha avuto seguito, perché il loro dossier è stato sequestrato dalla giustizia. L’informazione può riguardare sia determinati fatti o comportamenti sia il modo in cui hanno reagito certi responsabili. Può riguardare sia i fatti prescritti sia gli altri. Verrà ricevuta e ascoltata nei punti di contatto anche la persona che conosce fatti del genere o ha un ragionevole dubbio al riguardo. Chi si rivolge al punto di contatto può farsi sempre accompagnare da una persona di fiducia. Quando si tratta di fatti avvenuti in un settore che riguarda un altro punto di contatto, il responsabile, d’accordo con la persona che lo informa, si metterà in comunicazione con il punto di contatto in questione. Così si evita all’interessato di aver l’impressione di essere sballottato da un posto all’altro. Bisogna che il percorso sia il più breve possibile. Le persone che si rivolgono a un punto di contatto per una violenza sessuale possono avere motivazioni diverse. Alcune vogliono esprimere la loro insoddisfazione nei confronti di una persona o di un’organizzazione nella quale sono impegnate. L’espressione di un malcontento risponde a un bisogno in sé e non sfocia necessariamente in una denuncia strutturata formalmente. Alle persone che più che presentare una denuncia vogliono essere ascoltate si propone un incontro con una persona di 142-156:Layout 3 15-03-2012 9:23 Pagina 149 A CURA DI fiducia. Per problemi particolari, basta l’informazione. Per altri sarà il primo passo verso la presentazione o di una denuncia alla giustizia o l’avvio di una procedura di mediazione o di arbitrato. Può esservi associata una richiesta di risarcimento finanziario. Possiamo immaginare che un’iniziativa presa da una diocesi o da una congregazione religiosa risvegli, in alcune vittime, una mancanza di fiducia o anche diffidenza. Può essere difficile rivolgersi a un’autorità considerata corresponsabile del problema o che, per la persona interessata, non è più al di sopra delle parti. In questo caso ci si rivolgerà direttamente a un Servizio di assistenza sociale alle persone che hanno a che fare con la giustizia o a un altro organismo particolarmente competente in materia (cf. la lista di questi servizi in allegato; qui omessa; ndt). SANDRA ISETTA Io sono il Signore, colui che ti guarisce Malattia versus religione tra antico e moderno Accessibilità e confidenzialità La comunicazione con un punto di contatto può avvenire in tutti i modi possibili: incontro personale, per telefono, con una lettera o un’e-mail. La persona che informa riceve sempre un’attestazione scritta di ricezione della sua comunicazione, o per e-mail o con lettera in busta chiusa con scritto «confidenziale» senza riferimenti esterni al punto di contatto. Così si evita ogni sospetto di voler nascondere il caso. La confidenzialità non è dissimulazione. Accessibilità, confidenzialità e sicurezza sono importanti principi per il lavoro. Per le vittime non è facile raccontare o ripetere ciò che hanno vissuto. La loro apprensione merita rispetto e attenzione. Veglieremo per far sì che la prima persona con cui si entra in contatto sia particolarmente capace d’ascolto. Essa deve tener conto della difficoltà del suo interlocutore nel fare un racconto coerente e credibile. La vittima si pone molte domande. Che cosa riferisco e che cosa taccio? Che cosa accadrà in seguito? La conversazione mi darà sollievo o continuerò a essere disperato? La persona che mi ascolta sarà veramente in grado di comprendere il mio caso? Qual è lo scopo della mia accusa? Noi vogliamo che la persona sappia e senta che la sua comunicazione viene presa sul serio e apprezzata. Il coraggio di segnalare un comportamento trasgressivo merita stima. Siamo convinti che in questo modo si contribuirà ad aumentare un clima di integrità nella Chiesa e nella società. I punti di contatto possono ricevere una comunicazione in modo informale e confidenziale. Sono anche in grado di offrire una prima accoglienza e, all’occorrenza, aiutare a chiarire la questione. Spiegano come gli elementi riferiti saranno trattati successivamente. Possono esprimere un parere e fornire eventualmente un primo aiuto sul piano psicologico, sociale e giuridico, in base alle aspettative. Ogni punto di contatto dispone di collaboratori competenti in varie materie, come, ad esempio, nel campo delle cure (mediche, psicologiche o sessuolo- I l volume presenta gli atti del Convegno internazionale (Roma, maggio 2010) organizzato grazie alla collaborazione tra l’Università di Genova e l’Università Cattolica del Sacro Cuore, Policlinico Gemelli. Studiosi di area letterario-umanistica e medico-scientifica ripercorrono alcune tappe che hanno portato all’attuale senso etico della malattia, alla concezione del dolore e dei limiti terapeutici, con un’importante apertura alle connesse problematiche sociali. «L ETTURE PATRISTICHE » pp. 400 - € 34,00 DELLA STESSA CURATRICE LETTERATURA CRISTIANA E LETTERATURE EUROPEE pp. 576 - € 51,50 www.dehoniane.it Via Nosadella 6 40123 Bologna Tel. 051 4290011 Edizioni Dehoniane Bologna IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 149 Fax 051 4290099 142-156:Layout 3 15-03-2012 9:23 Pagina 150 C hiese nel mondo giche), in quello giuridico e in quello sociale (criminologo, assistente sociale). La funzione di colla boratore in un punto di contatto è incompatibile con l’esercizio di una funzione direttiva in una diocesi o in una congregazione od ordine religioso. Quale aiuto ci si può aspettare? Per tutto ciò che è avvenuto, recentemente o meno, si ha il diritto d’aspettarsi un ascolto sincero, un aiuto e un consiglio. Anche molto tempo dopo i fatti, le vittime hanno diritto al riconoscimento e alla giustizia. In base ai bisogni della vittima si disporrà l’accoglienza più adeguata e le forme di riparazione auspicabili. Bisogna anzitutto rispettare il suo racconto, il suo dolore e la sua sofferenza. Non si pensa unicamente alla vittima diretta, ma anche alle persone che ha attorno: il partner, la famiglia, i colleghi o amici della vittima. Si pensa anche alle persone che vivevano attorno all’autore della violenza o ai membri dell’organizzazione in cui operava. D’accordo con la persona che si rivolge al punto di contatto, bisogna fare in modo che anche tutti questi possano essere ascoltati e assistiti. Previo l’accordo esplicito della vittima, il punto di contatto può organizzare un incontro fra lei e l’autore della violenza o il suo superiore, quello dell’epoca o il responsabile attuale se l’altro è deceduto o non può essere raggiunto. Durante quest’incontro, la vittima deve poter chiedere spiegazioni e giustificazioni, mentre la controparte ha la possibilità d’esprimere il proprio rammarico e presentare le proprie scuse. In occasione di un tale incontro, la vittima può esprimere la sofferenza causata dalla violenza nella propria vita. Da parte sua, l’autore della violenza si trova personalmente e direttamente di fronte alla ferita che ha inferto. L’incontro lo costringe a rendersi conto del male arrecato alla vita della vittima. Esso deve anche responsabilizzarlo maggiormente riguardo alle conseguenze del suo comportamento. Un tale incontro può avvenire solo se la vittima desidera un confronto con l’autore della violenza ed è in grado di sopportarlo. Se l’autore della violenza non è disposto a partecipare, faremo tutto il possibile per indurlo a farlo. Il punto di contatto può orientare verso un aiuto esterno sia psicologico sia sociale o giuridico. In base alla necessità o alla domanda (vittima, autore della violenza, sospetto o testimone), può rinviare a un Servizio di assistenza alle persone che hanno a che fare con la giustizia, a un Centro di salute mentale, a un’Équipe «SOS Enfants» o ad altri servizi od organismi di aiuto. Il punto di contatto non si limita a orientare, ma, se l’interessato lo desidera, organizza esso stesso l’incontro, per evitare perdita di tempo e pasticci amministrativi. Per quanto riguarda i fatti non prescritti, per i quali è ancora possibile un’azione giudiziaria, il punto di contatto spingerà sempre la vittima a informare, direttamente o per interposta persona, la po- 150 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 lizia o gli organi giudiziari. Il punto di contatto l’accompagnerà in questo percorso. Infatti, l’idea di informare la giustizia può scoraggiare la vittima, soprattutto se deve farlo da sola. Se una vittima non vuole assolutamente contattare la polizia o la giustizia, si rispetterà la sua decisione, a meno che non esista un pericolo grave e imminente per l’interessato o per terze persone. In quest’ultimo caso, ed eventualmente senza fare il nome della persona coinvolta, il punto di contatto riferirà il fatto sia al procuratore del re presso il tribunale di prima istanza del domicilio della persona sospettata sia al procuratore federale. Il punto di contatto deve sempre spingere la persona coinvolta a riferire i fatti al superiore del presunto autore della violenza2 (vescovo, superiore religioso, direzione della scuola o dell’istituto), per prevenire un’altra violenza o un altro comportamento trasgressivo. Se l’informazione è credibile, il presunto autore della violenza deve essere allontanato dal luogo o dalla funzione in cui si potrebbero ripetere i fatti. A tale scopo, il punto di contatto formula proposte concrete indirizzate al vescovo o al superiore. Questi ultimi comunicheranno sempre al punto di contatto le loro decisioni in merito alle sue proposte. Per il risarcimento finanziario, il punto di contatto orienterà la vittima verso la mediazione o l’arbitrato, 3 a meno che la vittima non si aspetti che questo intervento venga attuato dal punto di contatto. Il punto di contatto si baserà su criteri comparabili con quelli adottati nella mediazione riparatrice e nell’arbitrato al di fuori del contesto ecclesiale. Conseguenze per i presunti autori di violenze Il punto di contatto invita il presunto autore di violenze sessuali, eventualmente accompagnato da una persona di fiducia, a un incontro esplorativo. Anche nel caso di fatti ormai lontani nel tempo, il presunto autore sarà posto di fronte a ciò che è stato riferito sul suo riguardo. Il presunto autore viene rinviato alla responsabilità che ha nella Chiesa. Egli ha la possibilità, in base al diritto, di difendersi. Se sussiste il minimo dubbio riguardo alla prescrizione dei fatti, sarà caldamente invitato a informare gli organi giudiziari. I presunti autori saranno seriamente invitati a collaborare finanziariamente al risarcimento della vittima, anche se in certe situazioni, come quello della prescrizione, non possono esservi obbligati per legge. Attraverso il suo contributo l’autore di una violenza sessuale può dimostrare d’essere pronto a collaborare alla riparazione del danno inflitto alla vittima. Tuttavia non si procederà mai a una transazione finanziaria diretta fra l’autore della violenza e la vittima. Si negozierà un regolamento in via amichevole fra la vittima e la Chiesa. Se un autore di violenza interviene finanziariamente, sarà la Chiesa a consegnare il suo contributo alla vittima. 142-156:Layout 3 15-03-2012 9:23 Pagina 151 Monitoraggio della problematica I punti di contatto annoteranno ogni informazione, menzionando la data della comunicazione, la descrizione dei fatti che sono oggetto dell’accusa, il periodo nel quale si sono svolti, il luogo, le persone e organizzazioni coinvolte. Al termine del trattamento della questione, si redigerà un rapporto finale per ogni caso, indicando chiaramente come è stato seguito il dossier e quali misure sono state prese. Una copia di questo rapporto è trasmessa alla Commissione interdiocesana per la protezione dei bambini e dei giovani.4 La persona interessata e l’autore presunto della violenza sessuale sono tenuti al corrente per iscritto sul seguito dato alle informazioni ricevute. La Commissione interdiocesana per la protezione dei bambini e dei giovani redigerà un rapporto annuale sulle informazioni raccolte nei dieci punti di contatto e sul loro trattamento. La trasparenza deve garantire una condotta chiara e una prevenzione adeguata. indiretto (il mediatore funge da intermediario fra le due parti senza farle fisicamente incontrare). La mediazione riparatrice può riguardare sia le conseguenze materiali (finanziarie) sia le conseguenze morali del delitto. Questa mediazione può sfociare su un risarcimento finanziario da parte dell’autore di violenza sessuale o del responsabile ecclesiastico. La Chiesa vuole offrire il proprio contributo per permettere alle vittime di violenza sessuale di fare appello a una mediazione riparatrice così come è organizzata nella società. Le diocesi, le congregazioni e gli ordini religiosi possono farsi rappresentare in questa mediazione dalla Fondazione per la compensazione alle vittime di violenze sessuali, che si sta costituendo e sarà autorizzata a perseguire quest’obiettivo. Se necessario e auspicabile, i punti di contatto orienteranno le vittime di violenze sessuali verso questa forma di mediazione riparatrice. Se lo desiderano, le vittime di violenze sessuali potranno anche farvi appello direttamente. 5. La mediazione riparatrice 6. L’arbitrato Per ottenere un riconoscimento, una vittima di violenza sessuale può scegliere anche la strada delle mediazione riparatrice. Al di fuori delle strutture ecclesiastiche, esistono enti specializzati che offrono una tale mediazione, ad esempio «Médiante» (per i francofoni) e «Suggnomè» (per i cittadini di lingua fiamminga). Riconosciuti e finanziati dal Servizio pubblico federale della giustizia, hanno una vasta esperienza su come trattare situazioni complesse di perdita o di violenza. Esse lavorano in stretto collegamento con il settore dell’assistenza sociale. Nel quadro della mediazione riparatrice, un terzo neutrale (il «mediatore») facilita e accompagna la comunicazione fra la vittima e l’autore presunto della violenza sessuale. Questo è possibile solo se l’autore della violenza è almeno disposto a riconoscere la sua responsabilità riguardo ai fatti evocati. Se, ad esempio, in caso di decesso o di un atteggiamento recalcitrante, risulta impossibile coinvolgere un autore di violenza sessuale o un sospettato nel processo di mediazione, si può ricorrere a una mediazione riparatrice fra la vittima e o un’autorità ecclesiastica, o la Fondazione per la compensazione alle vittime di violenze sessuali. In base alle preferenze e alle possibilità delle parti coinvolte, una mediazione riparatrice può essere effettuata o in modo diretto (in seguito a incontri preparatori separati, la vittima e l’autore presunto della violenza sessuale s’incontrano di persona in presenza e con l’accompagnamento del mediatore) o in modo Le vittime di fatti prescritti non dispongono più di alcun strumento legale. Possono fare appello a uno dei dieci punti di contatto locali o alla mediazione riparatrice appena descritta. Possono essere orientate anche verso una forma di arbitrato. Si tratta di una procedura speciale introdotta su richiesta della «Commissione parlamentare speciale relativa al trattamento delle violenze sessuali e dei casi di pedofilia in una relazione d’autorità, in particolare in seno alla Chiesa» e con la collaborazione dei vescovi e dei superiori maggiori. Il suo oggetto è una richiesta di riconoscimento della sofferenza derivante dalla violenza sessuale e di ristabilimento della vittima nella sua dignità e/o una richiesta di risarcimento finanziario. Quest’ultima è basata sulla responsabilità morale assunta dai vescovi e superiori religiosi. Consiste in una somma forfetaria unica, valutata equamente, nel quadro della procedura d’arbitrato. Si tratta di una procedura avviata presso un organo neutro, indipendente dalle strutture della Chiesa. La Chiesa si è impegnata in questa forma di arbitrato. All’interno di una procedura arbitrale, le parti possono in qualsiasi momento preferire un regolamento in via amichevole. Quest’ultimo può essere il risultato o di uno sforzo di conciliazione fatto dagli stessi arbitri o di una mediazione riparatrice effettuata da un mediatore neutrale. Nel comunicato stampa del 30 maggio 2011, i vescovi e i superiori religiosi hanno affermato d’essere disposti a collaborare a una forma multidisciplinare 2 Finché l’esame della credibilità e della serietà dell’accusa è in corso, si usa l’espressione giuridica di «presunto colpevole» o «autore presunto» di violenza sessuale. 3 4 Sulla mediazione riparatrice e l’arbitrato, cf. più avanti. Su questa Commissione interdiocesana, cf. più avanti. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 151 142-156:Layout 3 15-03-2012 9:23 Pagina 152 C hiese nel mondo d’arbitrato, adottata su richiesta della «Commissione parlamentare speciale relativa al trattamento delle violenze sessuali e dei casi di pedofilia in una relazione d’autorità, in particolare in seno alla Chiesa»: «(…) Consapevoli della propria responsabilità morale e dell’aspettativa della società civile nei loro riguardi», essi s’impegnano ad «assicurare un riconoscimento delle vittime – di cui ammirano il coraggio – e a adottare misure riparatrici della loro sofferenza». A tale scopo essi «accettano di collaborare, con gli esperti della Commissione di monitoraggio, all’introduzione di una forma pluridisciplinare di procedura di arbitrato, per i casi prescritti, che le corti e i tribunali non possono più prendere in considerazione». Inoltre, «sembra loro auspicabile che gli arbitri abbiano anche la facoltà di orientare le parti verso una mediazione». Due esperti della «Commissione parlamentare speciale relativa al trattamento delle violenze sessuali e dei casi di pedofilia in una relazione d’autorità, in particolare in seno alla Chiesa»5 e quattro esperti designati dalla Conferenza episcopale o dai superiori maggiori6 hanno messo a punto questa organizzazione arbitrale. Il Centro d’arbitrato ha la sede presso la Fondazione Re Baldovino.7 I vescovi, le diocesi e le congregazioni saranno rappresentate in questo arbitrato dalla succitata Fondazione. 7. Le procedure penali Le leggi dei e per i cittadini Gli autori di violenza sessuale che svolgono una funzione ecclesiale o sono membri di una congregazione religiosa sono giudicabili dalle corti e dai tribunali dell’ordinamento giudiziario, come ogni cittadino. Sono soggetti alle leggi penali belghe alle corti e ai tribunali. Se viene presentata una denuncia o un’accusa contro di loro, bisogna rispettare tutte le procedure relative alle dichiarazioni rilasciate alla polizia e alla Giustizia. Bisogna anche tener conto dei diritti alla difesa e alla presunzione d’innocenza, come per tutti i cittadini. Tutti i fatti di violenza che non sono prescritti devono essere trattati dalle corti e dai tribunali ordinari. I vescovi e i superiori maggiori intendono appoggiare questo trattamento che passa attraverso gli organi giudiziari. Quando l’autorità ecclesiale riceve un’informazione o un’accusa, deve consigliare con fermezza all’autore presunto di costituirsi presso le autorità giudiziarie. Essa lo aiuterà a farlo. Se il presunto autore di violenza non è disposto a farlo, la stessa autorità ecclesiale rinvierà il caso agli organi giudiziari, su consiglio del punto di contatto locale. Quando un presunto autore di violenza non viene perseguito o è assolto, ha diritto di vedere ristabilita la propria onorabilità, come ogni altro cittadino. L’autorità ecclesiale deve vigilare sulla buona reputazione di chi è stato accusato a torto. 152 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 La legislazione ecclesiastica e il diritto penale ecclesiastico Un autore di violenza sessuale che è stato ordinato e ha ricevuto una missione nella Chiesa o che ha emesso i voti religiosi è soggetto alla legislazione canonica e al diritto penale ecclesiastico. Il diritto interno della Chiesa stabilisce con quali mezzi punire preti, diaconi e religiosi colpevoli di violenze sessuali. Il diritto canonico qualifica questo atto come delictum gravius. Norme recenti hanno rafforzato la qualifica di violenza sessuale su minori e la possibilità di sanzionarla.8 Anche l’acquisto, il possesso e la diffusione di immagini pornografiche che ritraggono minori al di sotto dei 14 anni cadono sotto la definizione di violenza sessuale. Il codice penale ecclesiastico è indipendente dal codice penale dello stato. Si tratta di un codice penale interno alla Chiesa, che non fa concorrenza al diritto dello stato e non può contrastare l’intervento della giustizia. La definizione di delitto di violenza sessuale data dal diritto canonico non coincide con quella del codice penale belga. In alcuni casi, è possibile comminare una sanzione ecclesiastica laddove non ne è prevista alcuna dal diritto dello stato. Per la Chiesa, la prescrizione interviene dopo vent’anni e parte dal raggiungimento della maggior età da parte della vittima, cioè 18 anni compiuti. In casi gravi, il tempo della prescrizione può essere accorciato e nei casi ancor più gravi può essere addirittura soppresso. Anche il tipo di sanzione è diversa. Questo fa sì che la procedura penale ecclesiastica possa essere avviata dopo o parallelamente alla procedura penale prevista dal diritto dello stato. In Belgio, mentre una procedura penale nei riguardi di un chierico è ancora in corso, può essere opportuno attendere la fine di quest’ultima prima d’avviare una procedura ecclesiastica. Nel 2001 e nel 2010 la Congregazione per la dottrina della fede ha promulgato norme che possono contribuire a punire efficacemente gli atti pedofili compiuti da preti o da diaconi. Le norme promulgate dalla Congregazione per la dottrina della fede definiscono anche lo svolgimento della procedura penale in caso di violenza sessuale su minore. Appena le viene segnalato un caso di violenza sessuale, l’autorità ecclesiastica deve svolgere con cura un’indagine per valutare se l’informazione è credibile. In caso affermativo, il vescovo deve prendere immediatamente misure provvisorie nei confronti del presunto autore: la sospensione dalle mansioni che svolgeva, l’obbligo di dimora in un certo domicilio, il divieto d’intervenire pubblicamente come prete o come diacono ecc. Queste misure non significano ancora una condanna. Finché non viene pronunciata una sentenza definitiva, l’interessato gode della presunzione d’innocenza. Se l’accusa non può essere provata, la sospensione provvisoria dalla funzione e tutte le altre misure cautelari prese nei confronti del presunto autore vengono rimosse. Bisogna infine adottare misure che possano ristabilire la sua buona reputazione. 142-156:Layout 3 15-03-2012 9:23 Pagina 153 È alla luce dei fatti, delle circostanze in cui sono avvenuti, del senso di colpevolezza e dei rischi di recidiva che bisogna stabilire se un autore di violenza sessuale può ancora assolvere una funzione o esercitare un servizio di tipo volontario. Non si può tolle- rare alcuna forma di violenza sessuale, di esercizio abusivo del potere o di comportamento trasgressivo. L’esperienza insegna che per gli autori di violenze sessuali c’è un elevato rischio di recidiva, nonostante la terapia o l’accompagnamento. Perciò l’autore di una violenza sessuale non può in alcun caso essere reintegrato in un settore pastorale che lo mette in contatto con bambini o giovani. Riguardo agli altri settori nei quali un autore di violenza sessuale potrebbe essere impiegato, l’autorità ecclesiastica deve lasciarsi illuminare dagli esperti di cui dispone la società in questo campo, ad esempio dagli psichiatri giudiziari. Solo attraverso un accompagnamento competente e sotto controllo si può eventualmente prendere in considerazione una nuova missione. Riguardo a quest’ultima, i responsabili devono essere correttamente informati sui precedenti dell’interessato. Quest’informazione avviene con la sua partecipazione e in concertazione con lui. Occorrono accordi chiari riguardo alla supervisione e all’accompagnamento da prevedere nel nuovo ambiente in cui l’interessato si troverà a interagire. Bisogna stipulare nuovi accordi anche riguardo alla sua forma di vita e luogo di residenza dell’itneressato. Bisogna adottare misure di sicurezza non solo sul posto di lavoro, ma anche nell’ambiente personale. In base alla situazione, si stipulerà con lui un contratto, nel quale si può prevedere, ad esempio, che non potrà partecipare ad attività rivolte a bambini e giovani, che non potrà mai trovarsi solo con bambini o giovani, che dovrà accettare un accompagnatore e una sorveglianza permanenti, che non potrà essere il responsabile ultimo nella pastorale, e non potrà presiedere celebrazioni religiose nelle quali la sua presenza potrebbe scandalizzare o ferire. Per quanto possa essere difficile ammetterlo, il colpevole di una violenza sessuale rimane una persona. Durante l’inchiesta e anche in seguito a un’eventuale condanna, egli ha diritto a un sostegno umano e a un accompagnamento qualificato. Una cosa è abbandonare un autore di violenza sessuale al suo triste destino e altra è tollerare una condotta inaccettabile senza intervenire energicamente. Bisogna controllare che sia riservata un’accoglienza adatta e, all’occorrenza, imporre un accompagnatore o un trattamento. Bisogna aiutare l’autore di violenze sessuali affinché veda le conseguenze dei 5 Paul Martens, presidente emerito della Corte costituzionale e Herman Verbist, avvocato e docente invitato all’Università di Gand. 6 Manu Keirse, docente di Psicologia riparatrice, Facoltà di Medicina, KU Leuven; Jean-Jacques Masquelin, avvocato; Etienne Montero, docente di Diritto delle obbligazioni obblighi e decano della Facoltà di diritto, Facoltà universitarie NotreDame de la Paix, Namur; Sophie Stijns, docente di Diritto delle obbligazioni, Facoltà di diritto, KU Leuven. 7 Fondation Roi Baudoin, rue Brederode 21, 1000 Bruxelles. 8 Le norme e procedure che la Santa Sede ha stabilito in caso di violenza sessuale si trovano nel Codice di diritto canonico e nei seguenti documenti: GIOVANNI PAOLO II, motu proprio Sa- cramentorum sanctitatis tutela, 30.4.2001 (Regno-doc. 3,2002,90); CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, lettera Ad exequendam legem, 18.5.2001 (Regno-doc. 3,2002,91); CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE , norme De gravioribus delictis, 21.5.2010 (Regno-doc. 15,2010,457). Questi documenti possono essere consultati sul sito web www.vatican.va, dove si trova anche una Guida per la comprensione delle procedure di base della Congregazione per la dottrina della fede relative alle accuse di abusi sessuali. Per le congregazioni di diritto pontificio, cf. il testo – sempre su www.vatican.va – a firma di mons. C. Scicluna, promotore di giustizia presso la Congregazione per la dottrina della fede, The Procedure and Praxis of the Congregation for the Doctrine of the Faith regarding Graviora Delicta. Se l’accusa sembra avere una qualche credibilità, il vescovo o il superiore maggiore devono, ognuno in base alla procedura prescritta dal diritto canonico, informare la Congregazione per la dottrina della fede, che decide sui passi da compiere. La Congregazione per la dottrina della fede può decidere di avocare a sé il caso. Può affidare al vescovo la gestione di un caso e indicargli la strada da percorrere: o il vescovo in prima persona, dopo un esame più approfondito e la concertazione con i propri consiglieri, deve prendere una decisione (via amministrativa); o deve rinviare il caso a un tribunale ecclesiastico locale (via giudiziaria). Per la scelta saranno decisivi i risultati dell’indagine preliminare: si dispone di una visione corretta dell’importanza dei fatti e del periodo nel quale furono commessi, nonché del momento in cui cessarono? L’autore della violenza sessuale ha confessato? C’è già stata un condanna penale? L’autore della violenza ha comunicato la volontà d’essere sollevato dagli obblighi legati al suo stato clericale? Una sanzione ecclesiastica può assumere varie forme. Nel caso di preti e diaconi, una violenza sessuale può portare alla sospensione dall’esercizio del ministero. Una violenza sessuale compiuta da un membro non sacerdote di una congregazione o di un ordine religioso può dar luogo all’esclusione dall’istituto. A ogni tappa di una procedura disciplinare nei confronti di un membro della Chiesa, sia essa di diritto comune o di diritto canonico, è essenziale fornire un’informazione aperta e corretta ai responsabili della parrocchia, dell’organizzazione o della comunità di appartenenza dell’interessato. Una comunicazione trasparente può facilitare una libera discussione del caso, la possibilità data alle ferite di emergere, la decisione di misure adatte in vista della riparazione e della guarigione e, infine, l’assicurazione di un futuro per la comunità. 8. Il futuro degli autori di violenza sessuale IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 153 142-156:Layout 3 15-03-2012 9:23 Pagina 154 C hiese nel mondo propri atti e continui a lavorare su se stesso. Anche in lui deve prevalere ciò che di meglio c’è in lui. 9. Aumentare la prevenzione La nostra prima preoccupazione deve essere quella di fornire ai bambini e ai giovani un ambiente di vita e di attività sicuro. Ciò che sembra evidente, in realtà non lo è. I racconti di violenze sessuali ci insegnano che questo compito non è stato sempre considerato e vissuto con tutte le sue conseguenze. La protezione dei bambini può essere efficace solo se tutti considerano questa missione un compito e una responsabilità collettivi. Perciò noi vogliamo espressamente sensibilizzare e professionalizzare i nostri collaboratori, volontari o stipendiati. Vogliamo anche stabilire regole e strutture chiare in vista di una migliore prevenzione. La selezione e la formazione dei nostri collaboratori Nella selezione di candidati a funzioni che comportano una responsabilità pastorale bisogna prestare attenzione alla loro personalità, maturità affettiva, rapporto con l’autorità e con i limiti da rispettare nelle relazioni. Durante le procedure di reclutamento, bisogna a volte ottenere informazioni confidenziali. Se alcuni segnali dovessero essere inquietanti, è opportuno eseguire uno screening psicologico supplementare. Questa vigilanza supplementare è certamente obbligatoria per i candidati al presbiterato o alla vita religiosa. Nella formazione di preti, diaconi e religiosi, la riflessione sulla loro personalità deve occupare un posto importante. Grazie all’accompagnamento personale e spirituale, i candidati imparano a conoscere meglio il percorso della propria vita, i propri punti forti e punti deboli, le proprie motivazioni e la propria vita di fede. Grazie all’accompagnamento delle loro attività pratiche (circoscritte a stage, supervisioni, revisioni) imparano a valutare e a correggere il proprio comportamento da pastori. Bisogna prestare attenzione alla gestione del potere e dei suoi limiti, alla crescita personale sul piano emotivo e sessuale, all’integrità personale, alla qualità delle relazioni umane, nonché allo sviluppo dell’empatia. Durante gli incontri con gli accompagnatori, questi ultimi dovranno prestare una particolare attenzione al loro impegno nei riguardi di una vita celibe e alla loro capacità di costruire un’esistenza equilibrata e gioiosa. Per aiutarli in questo campo importante della formazione, i responsabili devono fare appello a esperti in scienze sociali e in psicologia. Durante la formazione dei futuri preti, religiosi, diaconi e animatori pastorali, bisogna essere attenti alla problematica delle violenze sessuali o dei comportamenti trasgressivi nella relazione pastorale. L’attività pastorale comporta dei rischi per quanto riguarda la vicinanza e l’intimità. Quando si sentono fragili a causa di un lutto o di un dolore, le persone si rivolgono spes- 154 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 so al pastore. Consciamente o meno, quest’ultimo può essere animato da motivi diversi da quello dell’aiuto alla persona. Al riguardo, bisogna che i futuri pastori ricevano la formazione necessaria. La formazione dei preti, dei religiosi, dei diaconi e degli animatori pastorali non si ferma sulla soglia della loro missione. Un accompagnamento e una formazione permanenti devono permettere ai nuovi pastori d’imparare a ottimizzare la propria azione pastorale, a mantenere viva e pura la loro motivazione e a prevenire il burnout (esaurimento psicofisico) o gli sbandamenti. A favore di tutti i pastori la Chiesa deve elaborare un sistema più efficace d’accompagnamento e di formazione permanente obbligatori, com’è previsto per altre professioni a spiccato contenuto sociale. Evitare posizioni intoccabili Una forma di prevenzione determinante è quella data dalla certezza che ogni situazione dubbia sarà oggetto di un esame attento, qualunque sia la gravità di reato sessuale o di una violenza. Tutti devono comportarsi in modo corretto e trasparente nei riguardi di bambini, giovani o collaboratori adulti. Perciò la protezione dei bambini e dei giovani e l’incoraggiamento ad adottare comportamenti corretti sono prioritari. Tutti i collaboratori hanno l’obbligo di comunicare al punto di contatto locale qualsiasi sospetto serio di reato sessuale o di violenza. Il punto di contatto indagherà accuratamente ogni segnalazione e proporrà all’autorità le misure più adatte. Inoltre, in un contesto pastorale, dobbiamo restare in guardia rispetto alla presenza di posizioni intoccabili. Vogliamo continuare a promuovere all’interno di tutte le nostre strutture modelli d’animazione collegiale e di responsabilità condivisa. Bisogna bandire dalla Chiesa forme abusive d’esercizio del potere. Non è casuale il fatto che una violenza sessuale si verifichi più facilmente in un contesto nel quale le differenze di potere hanno un aggancio istituzionale, e non possono quindi essere messe in discussione. Per assicurarsi che vi sia prevenzione, bisogna stimolare e garantire esplicitamente nella Chiesa la possibilità di una comunicazione molto aperta che non tema d’essere contraddetta. Vigileremo affinché sia elaborato e rispettato, in tutte le organizzazioni legate alla Chiesa che lavorano con i giovani o le persone vulnerabili, un codice di condotta finalizzato alla prevenzione sia delle violenze sessuali sia degli abusi di potere. Vivere in comunione Infine, dobbiamo prestare più attenzione alle condizioni di vita e di lavoro dei preti e dei religiosi. Fortunatamente, molte cose sono già cambiate: in un’équipe pastorale, i preti lavorano con uomini e donne, sposati o meno. Le canoniche e le case religiose sono diventate sempre più luoghi d’incontro aperti. Oggi, molto più che in passato, si può restare in relazione con gli amici e la famiglia. Tuttavia le tentazioni non mancano: solitudine, poca 142-156:Layout 3 15-03-2012 9:23 Pagina 155 La rivista attenzione al proprio stile di vita, mancanza d’intimità, di calore umano o di cordialità, scarsa adesione a reti sociali che consentono un feedback e una riflessione critica libera, scoraggiamento e mancanza di contatti stimolanti. Chi non si sente a proprio agio nel lavoro o nella propria pelle andrà a cercare compensazioni che possono dar luogo a un comportamento inadatto e alla fin fine distruttivo. Anche il difficile periodo che sta attraversando la Chiesa può giocare un ruolo. I preti e i religiosi possono sperimentare la delusione e lo scoraggiamento, così come possono aggrapparsi a posizioni di potere o a soluzioni alternative in grado di nascondere il loro senso di vuoto. È importante per persone che vivono nel celibato intrattenere buoni rapporti con la famiglia e legami di amicizia. Bisogna che da qualche parte si sentano a casa e sappiano d’essere personalmente apprezzati. Insieme ai preti e ai religiosi, dobbiamo cercare nuove forme di comunione e di sostegno reciproco, condizioni di lavoro o d’alloggio che favoriscano uno stile di vita sano e un certo calore umano, un nuovo equilibrio fra il tempo dedicato agli altri e quello dedicato a sé stessi. Bisogna fare sufficientemente attenzione anche alle condizioni di vita dei preti e dei religiosi anziani. In gioventù, hanno scelto di vivere il celibato per amore di Gesù Cristo e della Chiesa. Quando invecchiano o hanno bisogno di cure, non hanno né moglie, né figli che li aiutino. Coloro che si sono dedicati al servizio della comunità hanno diritto di pensare a un futuro che abbia senso. La sensazione di contare per qualcuno o il sentirsi stimati fa sì che, una volta invecchiati, non si ripieghino su sé stessi con amarezza, non si comportino a modo loro o non si rifugino in compensazioni come l’alcol. Il prete o il religioso che ha sopportato il peso di una vita deve poter godere di una vecchiaia umanamente degna. d’intesa con l’Ufficio catechistico nazionale organizza la SCUOLA PER FORMATORI ALL’EVANGELIZZAZIONE E ALLA CATECHESI Gesù Cristo: strada dell’annuncio SIUSI (BZ), 8-17 luglio 2012 La scuola si propone di accompagnare i formatori dei catechisti a: 䉬 riconoscere la diversità dei percorsi 䉬 abitare evangelicamente la realtà 䉬 orientare l’annuncio 䉬 imparare lo stile di Gesù Il metodo è basato sulla logica del laboratorio per un apprendimento adulto dei partecipanti. ➣ Le informazioni vanno richieste a: Segreteria Scuola per formatori p. Rinaldo Paganelli Via Casale San Pio V 20 – 00165 Roma tel. 06.660560 – cell. 328.3793662 e-mail: [email protected] Ci si può utilmente rivolgere a: suor Giancarla Barbon tel. 049.8803588 - cell. 329.1274401 e-mail: [email protected] ➣ La scuola si svolge a Siusi (BZ) dall’8 al 17 luglio 2012. L’ospitalità è presso l’Hotel Salego tel. 0471/706123. 10. Trasparenza e collaborazione fra tut ti i responsabili Tutte le diocesi e congregazioni o ordini religiosi del Belgio si impegnano a collaborare in modo trasparente ed efficace nei rapporti con le vittime e con gli autori di violenza sessuale. Questo è tanto più necessario per il fatto che questa problematica incide direttamente sulla missione e sulla credibilità di tutta la Chiesa. I vescovi informeranno i superiori religiosi e collaboreranno con loro nel caso ricevano un’informazione o un’accusa riguardante un membro del loro ordine o congregazione. Da parte loro, i superiori religiosi avranno cura d’informare il vescovo locale e di collaborare con lui quando ricevono un’informazione o un’accusa riguardante un membro del proprio ordine o congregazione o un prete diocesano operante nelle loro istituzioni. Così le vittime non potranno più avere l’impressione di essere, nella Chiesa, sballottate da una parte all’altra. IL REGNO - DOCUMENTI “Evangelizzare” 5/2012 ➣ La quota di iscrizione è stabilita in € 90 da versare al momento dell’arrivo alla scuola. ➣ La quota di soggiorno varia da € 510 a € 380 (camera singola € 510, doppia € 445, tripla o quadrupla € 380). IL PERCORSO PREVEDE QUESTA SCANSIONE: 䉬 Formare a uno stile di annuncio 䉬 I centri e le strade 䉬 Gesù centro dell’annuncio 䉬 Gesù strada dell’annuncio I LABORATORI NEL POMERIGGIO IL TIROCINIO Alle persone che hanno già frequentato le due annualità della Scuola nazionale viene proposto un tirocinio. 155 142-156:Layout 3 15-03-2012 9:23 Pagina 156 C hiese nel mondo Gli autori di violenze sessuali – sacerdoti diocesani o religiosi – non possono in alcun caso essere ingaggiati o abitare da qualche parte senza che il vescovo locale sia stato avvertito e abbia dato il suo consenso. Non possono neppure essere spostati o trasferirsi altrove, neppure all’estero, senza che il vescovo locale sia stato avvertito e abbia dato il suo consenso. Per assicurare una collaborazione coerente e un’azione efficace di tutte le diocesi, congregazioni e ordini religiosi, la Conferenza episcopale e le due Unioni dei superiori maggiori (COREB e URV) hanno istituito una Commissione interdiocesana per la protezione dei bambini e dei giovani, che dovrebbe essere operativa verso il 1o luglio 2012. Sarà composta da alcuni esperti accademici di varie discipline (diritto, assistenza sociale, aiuto alle vittime), da alcuni responsabili dei settori nei quale può verificarsi la violenza sessuale su bambini e giovani (pastorale, insegnamento, lavoro sociale), dai due vescovi di riferimento per le violenze sessuali e dai presidenti delle due Unioni dei superiori maggiori. La Commissione dovrà coinvolgere nel suo funzionamento anche vittime di violenze sessuali. Per garantire la trasparenza, due osservatori esterni potranno seguire i lavori della Commissione. Alla Commissione saranno affidate vari compiti, fra cui: – supervisionare l’attività dei dieci punti di contatto e controllare che applichino un metodo di lavoro valido in tutto il paese; – elaborare nuove proposte d’azione da sottoporre alla Conferenza episcopale e alle due Unioni dei supe- A CURA DI DINO DOZZI Marco: l’«inizio» del Vangelo I l volume prosegue l’itinerario di spiritualità su testi biblici visti alla luce del messaggio di san Francesco e dell’attualità: è la volta di Marco, il Vangelo del primo annuncio. Lo schema è collaudato: dal testo biblico (Parola...) si passa a osservare la prospettiva del francescanesimo (...e sandali), per arrivare infine alle sfide di oggi (...per strada). «LA BIBBIA DI SAN FRANCESCO» pp. 240 - € 20,00 EDB C Pubblicando questo documento, i vescovi e i superiori maggiori del Belgio vogliono rompere il silenzio che ha regnato attorno alle violenze. In quanto responsabili della Chiesa, vogliamo imboccare risolutamente la strada del riconoscimento e della riparazione delle sofferenze causate alle vittime. Vogliamo agire in modo coerente ed energico grazie alla collaborazione con esperti in vari campi. Essi ci hanno aiutato a elaborare questi orientamenti e resteranno al nostro fianco durante la loro messa in opera. Siamo a disposizione delle persone per ascoltarle e offrire loro il riconoscimento di ciò che hanno vissuto. Vogliamo dimostrare la nostra disponibilità nei fatti. Chiediamo anche perdono per le ingiustizie commesse da alcuni dei nostri collaboratori. Inoltre, chiediamo perdono se in passato alcuni responsabili non hanno fatto abbastanza per scoprire le violenze o porvi rimedio. Ma ci rendiamo anche conto che il perdono è possibile solo se le vittime hanno l’impressione che si è scelto e applicato con grande determinazione un nuovo orientamento. Oltre a riconoscere e a riparare ciò che è accaduto in passato, ci volgiamo anche verso il futuro. Le misure preventive e l’accompagnamento adeguato dei nostri collaboratori sono basi importanti per questa nuova gestione della problematica. «La verità vi farà liberi» (Gv 8,32): questa parola di Gesù deve essere per noi un filo conduttore e un segno di speranza. I VESCOVI E I SUPERIORI MAGGIORI DEL BELGIO Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it onclusione Gennaio 2012. NELLA STESSA COLLANA SALMI: PREGHIERA DI ISRAELE E DELLA CHIESA pp. 232 - € 20,00 Edizioni Edizioni Dehoniane Dehoniane Bologna Bologna riori maggiori, per migliorare la prevenzione delle violenze sessuali e dei comportamenti trasgressivi nel quadro di iniziative o di istituzioni legate alla Chiesa; – garantire un contatto ottimale tra responsabili ecclesiali e l’approccio globale e i servizi della società nel campo delle violenze sessuali e della prevenzione; – aiutare a individuare le strutture e i tipi di attività che possono sia dar luogo a violenze sessuali o a comportamenti trasgressivi nella Chiesa, sia ostacolare un approccio efficace agli stessi; – produrre un rapporto annuale su ciò che è stato comunicato ai diversi punti di contatto e sul modo in cui vi hanno dato seguito; – seguire le iniziative prese in altri paesi per trarne un insegnamento, organizzare giornate di studio e d’incontro, collaborare alle ricerche scientifiche sulle questioni relative alle violenze sessuali all’interno di relazioni d’autorità e, infine, prevedere espressioni pubbliche di riconoscimento, come una giornata commemorativa. 156 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 157-162:Layout 3 15-03-2012 9:00 Pagina 157 C hiesa in Italia | LITURGIA Rito delle Esequie Motivazioni e caratteristiche Conferenza Episcopale Italiana Comunicato della CEI «Numerosi sono gli adattamenti di natura rituale e testuale introdotti nella seconda edizione italiana» del Rito delle Esequie, come illustrato dal comunicato che la CEI ha diffuso nel corso della conferenza stampa del 2 marzo scorso, e che qui pubblichiamo insieme alla «Presentazione» e alle «Precisazioni» introdotte nel nuovo libro liturgico. Tali adattamenti mirano a contrastare la «tendenza a privatizzare l’esperienza del morire», riproponendo «la forma tradizionale della celebrazione esequiale, distesa nelle sue diverse tappe: la visita alla famiglia del defunto, la veglia, la preghiera alla chiusura della bara, la processione alla chiesa, la celebrazione delle esequie in chiesa, la processione al cimitero, la benedizione del sepolcro e la sepoltura». Ma «la novità più significativa» di questa edizione del Rito, prosegue il comunicato CEI, «è costituita sicuramente dall’Appendice dedicata alle “Esequie in caso di cremazione”», dove emerge la «preoccupazione pastorale… di evitare che eventuali vuoti celebrativi siano occupati da una ritualità aliena dai contenuti della fede cristiana». Stampa (5.3.2012) da sito web www.chiesacattolica.it; CEI, Rito delle Esequie, Libreria editrice vaticana, Città del Vaticano 2011, 11-14; 29-30; 205-208; 231-232. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 1. La pubblicazione della seconda edizione in lingua italiana del Rito delle Esequie si pone nel solco dell’impegno delle Chiese che sono in Italia nell’applicazione della riforma liturgica conciliare. Dopo una prima fase, dedicata alla semplice traduzione dei libri liturgici dalla loro edizione tipica latina, a partire dal 1983 si è infatti concretizzata una particolare attenzione alla questione dell’adattamento. 2. Come dichiarato nella Presentazione della Conferenza Episcopale Italiana, «La seconda edizione del Rito delle Esequie in lingua italiana, pubblicata alcuni decenni dopo la prima edizione (1974), risponde alla diffusa esigenza pastorale di annunciare il Vangelo della risurrezione di Cristo in un contesto culturale ed ecclesiale caratterizzato da significativi mutamenti». Una delle situazioni nelle quali oggi la Chiesa è chiamata a vivere l’afflato missionario è infatti quella che riguarda la morte di un membro della comunità cristiana, evento ricorrente nella dinamica di una vita parrocchiale. Il Rito delle Esequie da sempre intende essere un annuncio della novità portata da Cristo Gesù dinanzi al mistero della morte. 3. Numerosi sono gli adattamenti di natura rituale e testuale introdotti nella seconda edizione italiana. – Incontriamo una prima novità di ordine rituale e testuale nel primo capitolo della prima parte: «Visita alla famiglia del defunto». Un paragrafo non presente nell’edizione latina del 1969 e nemmeno in quella italiana del 1974. La premessa a tale momento di preghiera ne evidenzia il motivo e l’importanza.* Il primo incontro con la famiglia è un momento particolarmente significativo e carico di emozione. Diventa infatti per il parroco un momento di condivisione del dolore, di ascolto dei familiari colpiti dal lutto, di conoscenza di alcuni aspetti della vita della persona defunta in vista di un corretto e personalizzato ricordo durante la celebrazione delle esequie. In 157 157-162:Layout 3 15-03-2012 9:00 Pagina 158 C hiesa in Italia Decreto della CEI C on questo atto ufficiale della Conferenza episcopale italiana (prot. n. 725/2011), il presidente card. Angelo Bagnasco, dopo l’approvazione dell’Assemblea e la conferma della Santa Sede, ha ufficializzato la pubblicazione del nuovo libro liturgico (Rito delle Esequie, 10). Questa seconda versione italiana dell’editio typica dell’Ordo Exsequiarum è stata approvata secondo le delibere dell’Episcopato e ha ricevuto la conferma della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, con decreto prot. n. 1161/09/L del 23 luglio 2010. alcuni casi può essere anche un momento per preparare o indicare il senso dei vari riti esequiali. – Sempre nel primo capitolo troviamo la seconda novità. Il paragrafo precedentemente chiamato «Preghiera per la deposizione del corpo del defunto nel feretro» diventa ora «Preghiera alla chiusura della bara». La sequenza rituale è stata rivista e arricchita.** Si vuole sottolineare e leggere alla luce della parola di Dio e della speranza cristiana un momento molto delicato e doloroso quale quello della chiusura della bara, quando il volto del defunto scompare per sempre dalla vista dei familiari. – Nella celebrazione delle Esequie nella Messa o nella Liturgia della Parola, arricchimento significativo è una più varia proposta di esortazioni per introdurre il rito dell’ultima raccomandazione e commiato. Un rito che, come si legge nelle «Premesse Generali», costituisce l’ultimo saluto rivolto dalla comunità cristiana a un suo membro prima che sia portato alla sepoltura. Ora vengono offerte dodici proposte di esortazione che possono essere lette o adattate. – Sempre in questo capitolo sono da segnalare ancora tre adattamenti. Il primo, conservato dalla precedente edizione italiana, consente, secondo le consuetudini locali, di pronunciare «parole di cristiano ricordo del defunto». Il secondo adattamento risponde invece a una richiesta inoltrata da numerosi vescovi ed esplicitamente approvata in Assemblea generale. Riguarda la conclusione della celebrazione in chiesa o nella cappella del cimitero: «Il rito dell’ultima raccomandazione e del commiato si conclude sempre con la benedizione. Se il sacerdote (o il diacono) accompagna processionalmente il feretro al cimitero non congeda l’assemblea, ma aggiunge: Benediciamo il Signore». Il terzo adattamento è l’introduzione, al termine dei riti di tumulazione al cimitero, di due formule alternative di conclusione. Al canto, che può concludere l’intero rito, è possibile affiancare il gesto dell’accensione di un cero sulla tomba o davanti a essa. Significativo infine è l’inserimento della possibilità di utilizzare le Litanie dei Santi nelle processioni dalla casa alla chiesa e dalla chiesa al cimitero. – Del capitolo quarto, «Esequie nella cappella del 158 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 La presente edizione deve essere considerata «tipica» per la lingua italiana, ufficiale per l’uso liturgico. Questa versione del Rito delle Esequie si potrà adoperare appena pubblicata; diventerà obbligatoria dal 2 novembre 2012. Roma, 2 novembre 2011, Commemorazione di tutti i fedeli defunti. ANGELO card. BAGNASCO, arcivescovo di Genova, presidente della Conferenza Episcopale Italiana cimitero», è da segnalare una ricca proposta di formulari per la preghiera dei fedeli, ben sette. Tre sono ripresi dal rituale precedente, quattro sono di nuova composizione. – È infine da segnalare che nella seconda edizione non compare più il capitolo V dell’edizione precedente, corrispondente al capitolo IV dell’Ordo Exsequiarum: «Esequie nella casa del defunto». I Vescovi hanno ritenuto questa possibilità estranea alla consuetudine italiana e non esente dal rischio di indulgere a una privatizzazione intimistica, o circoscritta al solo ambito familiare, di un significativo momento che di sua natura dovrebbe vedere coinvolta l’intera comunità cristiana, radunata per la celebrazione. 4. La novità più significativa della seconda edizione del rituale è costituita sicuramente dall’Appendice dedicata alle «Esequie in caso di cremazione» (cf. qui a p. 161). Questa parte è articolata in tre capitoli: «Nel luogo della cremazione», «Monizioni e preghiere per la celebrazione esequiale dopo la cremazione in presenza dell’urna cineraria», «Preghiere per la deposizione dell’urna». Dall’esame delle sequenze rituali proposte e delle indicazioni di carattere pastorale possiamo dedurre alcune considerazioni. – La denominazione di Appendice, oltre a segnalare che non esiste una sua corrispondenza nell’edizione tipica latina, vuole richiamare il fatto che la Chiesa, anche se non si oppone alla cremazione dei corpi quando non viene fatta in odium fidei, continua a ritenere la sepoltura del corpo dei defunti la forma più idonea a esprimere la fede nella risurrezione della carne, ad alimentare la pietà dei fedeli verso coloro che sono passati da questo mondo al Padre e a favorire il ricordo e la preghiera di suffragio da parte di familiari e amici. – I vari capitoli dell’Appendice sono preceduti da un’introduzione nella quale vengono segnalati i cambiamenti sociali in atto, ribaditi i riferimenti alla dottrina cristiana e offerte indicazioni di carattere pastorale. – La celebrazione delle esequie precede di norma la cremazione: in questo caso va posta particolare attenzione alla scelta dei testi più adatti alla circostanza. – Eccezionalmente i riti previsti nella cappella del cimitero o presso la tomba si possono svolgere nella 157-162:Layout 3 15-03-2012 9:00 Pagina 159 stessa sala crematoria, evitando ogni pericolo di scandalo e l’introdursi di consuetudini estranee ai valori della tradizione cristiana. – Si raccomanda l’accompagnamento del feretro al luogo della cremazione. – Particolarmente importante l’affermazione che la cremazione si ritiene conclusa con la deposizione dell’urna nel cimitero da leggersi come conseguenza di quanto affermato al n. 165 a proposito della prassi di spargere le ceneri in natura o di conservarle in luoghi diversi dal cimitero. Tale prassi infatti solleva non poche perplessità sulla sua piena coerenza con la fede cristiana, soprattutto quando sottintende concezioni panteistiche o naturalistiche. Anche se il rituale non prende netta posizione sul versante disciplinare, offre però sufficienti elementi per una catechesi e un’azione pastorale che sappiano sapientemente educare il popolo di Dio alla fede nella risurrezione dei morti, alla dignità del corpo, all’importanza della memoria dei defunti, alla testimonianza della speranza nella risurrezione. – L’Appendice si propone quindi di offrire testi e riti liturgici che accompagnano le varie fasi che conducono alla cremazione: la preoccupazione pastorale che emerge è quella di evitare che eventuali vuoti celebrativi siano occupati da una ritualità aliena dai contenuti della fede cristiana. – La seconda edizione italiana del Rito delle Esequie si potrà utilizzare appena pubblicata e diventerà obbligatoria dal 2 novembre 2012. ranza che le anima sono da vivere e da comprendere nell’ottica della Pasqua del Signore. Illuminati dal suo mistero, i cristiani sono invitati ad affrontare la propria morte e quella dei loro cari non solo come una scomparsa e una perdita, ma come un passaggio, un vero e proprio esodo da questo mondo al Padre, verso il compimento definitivo e pieno, nell’attesa del giorno ultimo in cui tutti i morti risorgeranno (cf. 1Cor 15,52). Nella morte di ogni uomo si realizza infatti una misteriosa comunione con la Pasqua di Gesù Cristo, che risorgendo dai morti «ha distrutto la morte» (2Tm 1,10). Coloro che con il Battesimo sono già stati uniti alla vittoria di Cristo sulla morte, per camminare in una vita nuova (cf. Rm 6,3-5), nella loro morte corporale portano a termine il cammino di incorporazione a Cristo, e a lui vengono affidati per divenire pienamente partecipi della risurrezione, nella certezza che nulla «potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore» (Rm 8,39). A questa grande verità mirano i riti cristiani delle esequie, i quali accompagnano i tempi e i luoghi dell’esperienza della morte di ciascun fedele e confessano attraverso gesti e parole l’articolo di fede: «Credo la risurrezione della carne». Motivazioni e carat teristiche della seconda edizione italiana del Rito delle Esequie (nn. 2-3) La risurrezione di Gesù Cristo è il nucleo e il centro della nostra fede. Come insegna con forza l’Apostolo Paolo: «Se Cristo non è risorto, vuota allora è la nostra predicazione, vuota anche la vostra fede» (1Cor 15,14). I riti delle esequie cristiane, lo spirito di fede e di spe- La seconda edizione del Rito delle Esequie in lingua italiana, pubblicata alcuni decenni dopo la prima edizione (1974), risponde alla diffusa esigenza pastorale di annunciare il Vangelo della risurrezione di Cristo in un contesto culturale ed ecclesiale caratterizzato da significativi mutamenti. A fronte di nuove situazioni sociali che rendono ancora più angosciosa l’esperienza della morte, ma che recano con sé anche una profonda domanda di prossimità solidale e aprono a un’autentica ricerca di senso, l’azione pastorale della Chiesa è più che mai sollecitata a proporre un cammino di fede, scandito a tappe mediante celebrazioni comunitarie, per aiutare ad affrontare nella fede e nella speranza l’ora del distacco e a riscoprire il senso cristiano del vivere e del morire. Sulla base dell’esperienza maturata in questi anni e di fronte alle nuove situazioni, questa seconda edizione: – offre una più ampia e articolata proposta rituale a partire dal primo incontro con la famiglia, appresa la notizia della morte, fino alla tumulazione del feretro; * Riportiamo il testo di queste «Premesse» (n. 26): «Momento particolarmente significativo e carico di emozione è il primo incontro con la famiglia, appresa la notizia della morte. È bene che questo incontro sia compiuto dal parroco o da un altro sacerdote o diacono della comunità parrocchiale. Dove ciò non è possibile, è opportuno che vi siano laici preparati e incaricati di questo ministero di comunione e di consolazione a nome di tutta la comunità cristiana. Prima di dedicare un congruo spazio alla preghiera, il sacerdote, il diacono, o il ministro laico condividano il dolore attraverso un cordiale colloquio e un sincero e affettuoso ascolto dei familiari colpiti dal lutto. È anche un’occasione per conoscere le gioie, le sofferenze e le speranze della persona defunta, in vista di un corretto e personalizzato ricordo durante la celebrazione della veglia e delle esequie. In questo contesto di fraterno colloquio è possibile e opportuno preparare con i familiari la celebrazione dei vari riti esequiali. In base al contesto familiare e alle circostanze del luogo e del momento questi testi di preghiera possono essere usati anche solo in parte» (Rito delle Esequie, 35; ndr). ** Anche qui riportiamo il testo delle «Premesse» (n. 42): «La chiusura della bara costituisce, dal punto di vista umano, un momento delicato e molto doloroso. Esso deve essere vissuto alla luce della parola di Dio e della speranza cristiana. Questa pregheira, con le opportune scelte secondo i luoghi e le circostanze, può essere presieduta da un ministro ordinato o, in sua assenza, guidata da un laico o da un familiare debitamente preparato» (Rito delle Esequie, 59; ndr). Dal nuovo Rito delle Esequie P resentazione Credo la risurrezione della carne (n. 1) IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 159 157-162:Layout 3 15-03-2012 9:00 Pagina 160 C hiesa in Italia – presenta una traduzione rinnovata dei testi di preghiera riportati nella editio typica, secondo le indicazioni dell’Istruzione Liturgiam authenticam,1 delle letture bibliche e dei Salmi secondo la nuova versione ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana;2 – integra i testi delle monizioni e delle preghiere presenti nella prima edizione con nuove proposte, attente alle diverse situazioni; – risponde con apposite indicazioni a nuove situazioni pastorali, in particolare per quanto concerne la questione della cremazione dei corpi; – provvede a suggerire nuove melodie per alcune parti della celebrazione. I tempi e i luoghi della celebrazione (n. 4) La tendenza a privatizzare l’esperienza del morire e a occultare i segni della sepoltura e del lutto, particolarmente accentuata nel contesto urbano, non annulla il valore che la Chiesa assegna ai tempi e ai luoghi della celebrazione, che testimoniano la speranza della risurrezione e la vicinanza della comunità cristiana a chi è toccato dall’evento della morte. È pertanto importante custodire e riproporre con nuovo slancio la forma tradizionale della celebrazione esequiale, distesa nelle sue diverse tappe: la visita alla famiglia del defunto, la veglia, la preghiera alla chiusura della bara, la processione alla chiesa, la celebrazione delle esequie in chiesa, la processione al cimitero, la benedizione del sepolcro e la sepoltura. Tale cammino valorizza tre luoghi particolarmente significativi: – la casa, luogo della vita e degli affetti familiari del defunto; – la chiesa parrocchiale, dove si è generati nella fede e nutriti dai sacramenti pasquali; – il cimitero, luogo del riposo nell’attesa della risurrezione. I ministri deputati prestino la debita attenzione anche ai frequenti casi di morte in ospedale o in casa di riposo, dove la salma del defunto viene composta in ambienti a ciò riservati, adattando opportunamente i riti previsti nella casa del defunto. Diventano rilevanti in questa prospettiva i tempi e le modalità di accompagnamento di coloro che sono nel dolore. Presenza e par tecipazione della comunità cristiana (n. 5) I momenti che accompagnano la morte e la sepoltura di un fratello o di una sorella nella fede, la preghiera di suffragio, la partecipazione al dolore dei familiari appartengono all’azione pastorale della Chiesa ed esprimono la premura dell’intera comunità cristiana. La partecipazione della comunità si manifesta in modo peculiare attraverso la presenza del sacerdote e il servizio di ministri che, con particolare sensibilità umana e spirituale e adeguata formazione liturgica, si pongono 160 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 accanto a chi è stato colpito da un lutto per offrire il conforto della fede e la solidarietà fraterna. La presenza di una ministerialità differenziata in ciascuno di questi momenti fa parte dell’ordinario esercizio della sollecitudine pastorale dell’intera comunità verso quanti sono nel dolore. Accurata preparazione delle celebrazioni (n. 6) La Chiesa, affermando che ogni celebrazione liturgica è il culmine e la fonte del suo agire, al punto che nessun’altra sua azione ne uguaglia l’efficacia (cf. Sacrosanctum Concilium, n. 10), è consapevole che le esequie cristiane costituiscono una situazione particolarmente favorevole per annunciare la morte e la risurrezione del Signore non solo ai credenti ma anche a coloro che non credono. Infatti, i gesti e le parole del rito che annunciano il Vangelo della speranza possono essere eloquenti per tutti, nella misura in cui sono compiuti in spirito e verità. Ciò richiede particolare attenzione nella scelta dei testi più adatti, nell’omelia e nelle monizioni, nei canti e nella cura dei gesti da parte dei ministri, così che la celebrazione sia al contempo orientata al riconoscimento della presenza e dell’agire salvifico del Signore e adatta alle concrete situazioni dell’assemblea. Roma, 29 novembre 2009, prima domenica di Avvento. P recisazioni La Conferenza Episcopale Italiana, per quanto di sua competenza, imparte le seguenti direttive pastorali e stabilisce i seguenti adattamenti liturgici. 1. Ferma restando la possibilità di svolgere le esequie nei diversi modi e luoghi previsti dal rituale, si raccomanda di conservare come normale consuetudine lo svolgimento dei funerali nella chiesa parrocchiale con la celebrazione della Messa. 2. Possono presentarsi situazioni pastorali nelle quali è opportuno, o addirittura doveroso, tralasciare la celebrazione della Messa e ordinare il rito esequiale in forma di Liturgia della Parola. La celebrazione eucaristica rimane esclusa il Giovedì santo e in quei giorni che non la prevedono (Venerdì e Sabato santo). 3. I pastori siano premurosi nell’aiutare i fedeli a cogliere il senso profondo del funerale cristiano; scelgano tra i formulari proposti dal Rituale quelli più adatti alla situazione; utilizzino con sapienza la varietà dei testi biblici proposti dal Lezionario; sappiano utilizzare con intelligenza e discrezione il momento dell’omelia per infondere consolazione e speranza cristiane e per condurre i fedeli a una più consapevole professione di fede nella risurrezione e nella vita eterna. 4. Le esequie, per quanto è possibile, siano celebrate con il canto. 5. Il sacerdote abbia cura che la preghiera universale o dei fedeli sia conforme alla natura e alla forma propria 157-162:Layout 3 15-03-2012 9:00 Pagina 161 di questo testo (cf. Introduzione all’«Orazionale per la preghiera dei fedeli»), evitando che vengano introdotte espressioni improprie e improvvisazioni. 6. Dopo la monizione introduttiva all’ultima raccomandazione e commiato, secondo le consuetudini locali approvate dal Vescovo diocesano, possono essere aggiunte brevi parole di cristiano ricordo nei riguardi del defunto. Il testo sia precedentemente concordato e non sia pronunciato dall’ambone. Si eviti il ricorso a testi o immagini registrati, come pure l’esecuzione di canti o musiche estranei alla liturgia. 7. È opportuno che nella celebrazione delle esequie i fedeli siano invitati a professare la propria fede con la recita del Credo, ad esempio dopo la proclamazione della parola di Dio durante la veglia nella casa del defunto, o presso la tomba, o anche in altro momento adatto, a giudizio del sacerdote celebrante. 8. Le indicazioni pastorali per le esequie in caso di cremazione sono riportate nel capitolo dedicato a questo rito (cf. nn. 165-167 e 180-185; cf. qui sotto). 9. Il colore liturgico per la celebrazione esequiale è il viola. Nelle esequie dei bambini si usa il bianco. 10. I testi aggiunti e gli adattamenti, propri di questa edizione della Conferenza Episcopale Italiana, sono segnati con un asterisco. In assenza di motivazioni contrarie alla fede, la Chiesa non si oppone alla cremazione Tuttavia, in assenza di motivazioni contrarie alla fede, la Chiesa non si oppone alla cremazione e accompagna tale scelta con apposite indicazioni liturgiche e pastorali. Motivate perplessità di fronte alla prassi di spargere le ceneri in natura La prassi di spargere le ceneri in natura, oppure di conservarle in luoghi diversi dal cimitero, come, ad esempio, nelle abitazioni private, solleva non poche domande e perplessità. La Chiesa ha molti motivi per essere contraria a simili scelte, che possono sottintendere concezioni panteistiche o naturalistiche. Soprattutto nel caso di spargimento delle ceneri o di sepolture anonime si impedisce la possibilità di esprimere con riferimento a un luogo preciso il dolore personale e comunitario. Inoltre si rende più difficile il ricordo dei morti, estinguendolo anzitempo. Per le generazioni successive la vita di coloro che le hanno precedute scompare senza lasciare tracce. Dot trina e prassi cristiana (n. 166) Dall’«Appendice» Esequie in caso di cremazione I ntroduzione I cambiamenti in at to (n. 165) La Chiesa ha sempre privilegiato la sepoltura del corpo dei defunti La Chiesa cattolica ha sempre preferito la sepoltura del corpo dei defunti come forma più idonea a esprimere la pietà dei fedeli verso coloro che sono passati da questo mondo al Padre, e a favorire il ricordo e la preghiera di suffragio da parte di familiari e amici. Attraverso la pratica della sepoltura nei cimiteri, la comunità cristiana – facendo memoria della morte, sepoltura e risurrezione del Signore – onora il corpo del cristiano, diventato nel Battesimo tempio dello Spirito Santo e destinato alla risurrezione. Simboli, riti e luoghi della sepoltura esprimono dunque la cura e il rispetto dei cristiani per i defunti e soprattutto la fede nella risurrezione dei corpi. 1 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Liturgiam authenticam, quinta istruzione per la retta ap- plicazione della costituzione sulla sacra liturgia del concilio Vaticano II (Sacrosanctum Concilium, art. 36) sull’uso delle lingue vernacole nelle edizioni dei libri della Liturgia romana, 28.3.2001; EV 20/363ss. Fede nella risurrezione dei morti Con la morte, separazione dell’anima e del corpo, questo cade nella corruzione, mentre l’anima va incontro a Dio, pur restando in attesa di essere riunita al suo corpo glorificato. Dio nella sua onnipotenza restituirà definitivamente la vita incorruttibile ai corpi riunendoli alle anime, in forza della risurrezione di Gesù (cf. Catechismo della Chiesa cattolica, n. 997). Dignità del corpo Divenuto «tempio dello Spirito Santo» attraverso il Battesimo (cf. 1Cor 6,19), anche il corpo inanimato conserva una sua dignità. I gesti di rispetto e di pietà riservati alla salma di Gesù dopo la sua morte e al momento della sepoltura hanno ispirato lungo i secoli il comportamento dei cristiani nei confronti dei defunti. I riti funebri e l’attenzione al corpo Il lutto ha sempre comportato segni e precise forme espressive. I riti funebri, mentre esprimono il congedo rituale dalla persona amata, aiutano parenti e conoscenti ad affrontare ed elaborare i loro sentimenti. Essi, inoltre, indicano sempre il fine della vita al quale la persona defunta si è avvicinata. Cimiteri: luogo della memoria Fin dai primi secoli le tombe degli apostoli e dei martiri sono state contrassegnate con i nomi e i simboli della 2 CONGREGAZIONE PER IL CULTO DIVINO E LA DISCIPLINA DEI SACRAMENTI, Decreto, 21.9.2007, prot. n. 297/07/L; CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA, Decreto di promulgazione, 4.10.2007, prot. n. 742/07. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 161 157-162:Layout 3 15-03-2012 9:00 Pagina 162 C hiesa in Italia memoria o della risurrezione. I cimiteri divennero luoghi di culto e di pellegrinaggio, espressione positiva della memoria e del riconoscimento della dignità personale dei defunti, luoghi di annuncio della speranza cristiana nella risurrezione. Mantenere viva la memoria dei defunti e ricordarsi di loro è per le persone in lutto una consolazione e un aiuto. E testimonianza della speranza nella risurrezione La potenza della risurrezione oltrepassa ogni limite umano e non è ostacolata dalle modalità di sepoltura. Tuttavia, non solo la celebrazione delle esequie, ma anche le forme di sepoltura e gli stessi cimiteri devono testimoniare la fede in Dio e la speranza nella risurrezione. Indicazioni pastorali (n. 167 ) 1. La Chiesa raccomanda vivamente che si conservi la pia consuetudine di seppellire i corpi dei defunti. La Chiesa permette la cremazione se tale scelta non mette in dubbio la fede nella risurrezione (cf. CIC, can. 1176 § 3; Catechismo della Chiesa cattolica, n. 2301). 2. Il fedele che abbia scelto la cremazione del proprio corpo, nello spirito di cui sopra, ha diritto alle esequie ecclesiastiche, nei limiti previsti dalla legislazione ecclesiastica e dai riti liturgici approvati. 3. La celebrazione liturgica delle esequie preceda la cremazione. I riti, nella Messa o nella Liturgia della Parola, sono i medesimi previsti per il caso della sepoltura. Si ponga però attenzione a scegliere i testi liturgici più adatti a questa particolare situazione. 4. Eccezionalmente, «i riti previsti nella cappella del cimitero o presso la tomba si possono svolgere nella stessa sala crematoria» (n. 15). In questo caso il sacerdote o il diacono utilizzino il rito previsto ai nn. 168-177, evitando ogni pericolo di scandalo, di indifferentismo religioso o l’introdursi di consuetudini estranee ai valori della tradizione cristiana, 5. Anche nel caso della cremazione, dopo le esequie il sacerdote, il diacono o il laico incaricato accompagnino il feretro al luogo indicato, se ciò è possibile ed è consuetudine. Qualora la cremazione debba essere differita, si può omettere l’accompagnamento. 6. La cremazione si ritiene conclusa solo al momento della deposizione dell’urna nel cimitero. Pertanto, se i familiari lo desiderano e ciò è possibile, il sacerdote, il diacono o il laico incaricato si rendano disponibili per la preghiera di benedizione del sepolcro al momento della deposizione dell’urna con le ceneri. In caso contrario siano i familiari o gli amici ad accompagnare questo ultimo atto con la preghiera cristiana. 7. Qualora, eccezionalmente, accada che la cremazione preceda le esequie e queste vengano richieste con la presenza dell’urna cineraria, ci si attenga alle indicazioni del Vescovo diocesano e a quanto indicato ai nn. 180 e 185. 162 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 M onizioni e preghiere in presenza dell’urna cineraria Disposizioni pastorali (nn. 180-185) (180) Per alcune ragioni di natura pratica (morte all’estero e rimpatrio in urna cineraria dopo la cremazione ecc.), talora, eccezionalmente, i riti esequiali possono avere luogo solo a cremazione avvenuta. In virtù dell’indulto concesso dalla Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti in data 24 maggio 2010 (prot. n. 446/10/L), la celebrazione delle esequie, inclusa la celebrazione dell’Eucaristia, alla presenza delle ceneri di una persona defunta, è permessa nelle diocesi d’Italia alle seguenti condizioni. – In accordo con il Codice di Diritto Canonico, la cremazione non deve essere motivata da intenzioni contrarie all’insegnamento cristiano (cf. can. 1176 § 3). – Il Vescovo diocesano deve esprimere il suo giudizio sulla opportunità di celebrare le esequie, compresa la celebrazione dell’Eucaristia, alla presenza dell’urna con le ceneri, tenendo conto delle circostanze concrete di ciascun caso, nel rispetto dello spirito e del contenuto delle norme canoniche e liturgiche. (181) La liturgia esequiale in chiesa (o nella cappella cimiteriale) può svolgersi nella Messa o nella Liturgia della Parola. Si raccomandano le seguenti attenzioni. a) Il sacerdote accoglie le ceneri del defunto alla porta della chiesa e rivolge ai familiari e ai presenti un cristiano saluto. Si avvia la processione verso l’altare. b) L’urna cineraria viene deposta su un tavolo, ricoperto da un drappo viola (o bianco, nel caso di un bambino) e collocato nello spazio antistante l’altare, fuori del presbiterio. c) Accanto all’urna si pone il cero pasquale e, se non è ben visibile la croce dell’altare, la croce astile. d) Se l’urna giunge in chiesa molto tempo prima dell’inizio della celebrazione, oppure se si ritiene più opportuno non fare la processione, l’urna viene deposta secondo le indicazioni offerte sopra. A tempo debito la celebrazione inizia come di consueto. (182) I testi propri per la celebrazione della Messa esequiale si trovano nel Messale Romano: si eviti però di usare il prefazio IV dei defunti, dove è contenuto un esplicito riferimento al corpo del defunto che ritorna alla terra. (183) Dopo i riti iniziali si celebra la Liturgia della Parola. Tra i testi biblici proposti dal Rito delle Esequie, si suggeriscono le letture seguenti, particolarmente adatte alla situazione: 1) Gb 19,1.23-27; 2) 2Cor 4,14-5,1; 3) Gv 6,37-40. (184) Al termine della Messa (o della Liturgia della Parola) si tiene il rito dell’ultima raccomandazione e commiato, usando i testi qui proposti, omettendo l’aspersione e l’incensazione. (185) Nel caso della liturgia a due stazioni (chiesa-cimitero), non sembra opportuno che dopo la celebrazione in chiesa segua la processione al cimitero con l’urna cineraria. Di comune accordo corpi familiari, si preveda però un momento di preghiera alla deposizione dell’urna cineraria. 163-169:Layout 3 15-03-2012 9:18 Pagina 163 C hiesa in Italia | VITA PASTORALE Per amore del mio popolo Lettera pastorale del card. C. Sepe per la chiusura del Giubileo di Napoli «Con il Giubileo, la Chiesa di Napoli ha voluto rinvigorire e dare il giusto senso a quella speranza della quale la città, e ognuno dei suoi abitanti, non può fare a meno»: così il card. Crescenzio Sepe, arcivescovo di Napoli, nella lettera pastorale Per amore del mio popolo, presentata il 13 gennaio scorso, a meno di un mese dalla veglia di chiusura dell’Anno giubilare 2011 (16.12.2011). A dieci anni di distanza dalla visita di Giovanni Paolo II e a soli quattro anni da quella di Benedetto XVI, sembra ancora permanere il monito sulla «necessità di non disperdere, ma di organizzare la speranza della città». Una città che malgrado i «suoi mali» non ha mai mancato di «essere presente a ogni tratto del nostro pellegrinaggio» e a cui la Chiesa di Napoli non può voltare le spalle. Primario, dunque, per la pastorale ordinaria sarà l’obiettivo del bene comune e della corresponsabilità di tutti nel compierlo, seguendo tre traiettorie: «l’ammaestramento del Concilio», gli orientamenti CEI per il decennio 2010-2020, Educare alla vita buona del Vangelo, e il piano pastorale diocesano, riqualificato e più «radicato nel servizio e nel territorio». Stampa (10.2.2012) da sito web www.chiesadinapoli.it. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 La Por ta della nostra speranza Ringraziamo con gioia Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo il quale, con l’opera dello Spirito Santo, ci ha confortati e animati in questo particolare anno giubilare della città e della diocesi di Napoli. Alla santissima Trinità la lode e la gloria della nostra Chiesa, che è stata benedetta con ogni benedizione spirituale. Guidati dallo Spirito, abbiamo attraversato le strade impregnate della nostra storia, seminando la speranza e rinfrancando il nostro cammino con concrete opere di misericordia. Nessun passo è andato perduto e, mentre avanzavamo, come per i discepoli di Emmaus, abbiamo sentito crescere nei nostri cuori un ardore nuovo e misterioso. In un certo senso, attraversando la città da una porta all’altra, l’abbiamo rivisitata e resa ancora più nostra. Siamo andati incontro agli uomini e alle donne che ogni giorno costruiscono, dal vivo, la trama di una vita quotidiana intessuta di una profonda umanità ricca di valori. 1. In cerca dell’anima della cit tà Di questa nostra città siamo andati in cerca soprattutto dell’anima: non ci siamo accontentati di visioni frettolose e distratte. Come pellegrini, ci siamo incamminati con la bisaccia piena della volontà di condivisione e dell’umile ricerca di una verità anch’essa da condividere. Abbiamo idealmente bussato a ogni porta di casa, per entrare nel vivo di quella comunità di affetti che è la famiglia, il cui sguardo sulla società è sempre più appannato dalle ombre della crisi economica, e non solo. I passi della nostra Chiesa non hanno escluso nessuno e abbiamo cercato di declinare, con coraggio evangelico, il valore dell’accoglienza, vivendo momenti particolarmente intensi negli incontri con le comunità etniche e con quelle di differente culto e credo. Abbiamo camminato sintonizzandoci con il passo e con il cuore dei nostri giovani, interlocutori privilegiati della spe- 163 163-169:Layout 3 15-03-2012 9:18 Pagina 164 C hiesa in Italia L’accesso nelle chiese L’ accesso alle chiese aperte al culto non può essere condizionato al pagamento di un biglietto di ingresso. Una Nota, approvata dal Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza Episcopale Italiana, intende riaffermare tale principio, tipico della tradizione italiana, in virtù del quale l’apertura delle chiese è gratuita, in quanto luoghi dedicati primariamente alla preghiera comunitaria e personale. Questa regola vale sia per le chiese di proprietà di enti ecclesiastici che per quelle dello Stato, di altri enti pubblici e di soggetti privati. Si applica anche alle chiese di grande rilevanza storico-artistica, interessate da flussi notevoli di visitatori: è fondamentale, infatti, che il turista percepisca di essere accolto nel luogo sacro e, di conseguenza, si comporti in maniera adeguata e rispettosa. Il principio generale non impedisce che si possa esigere il pagamento di un biglietto per la visita a parti del complesso chiaramente distinte dalla chiesa, quali, per esempio, la cripta, il tesoro, il battistero, il campanile, il chiostro o una singola cappella. Vi sono, di fatto, in Italia chiese con ingresso a pagamento: si tratta, comunque, di eccezioni numericamente assai contenute, rispetto all’ingente patrimonio complessivo. Da un’indagine condotta lo scorso anno dalla CEI sull’intero territorio nazionale, risultano infatti solo 59 chiese per accedere alle quali viene chiesto il pagamento di un biglietto. Non è rara, invece, la scelta – a fronte di frotte di turisti – di contingentare il numero delle presenze, imponendo una turnazione al fine di assicurare la conservazione e la sicurezza del bene. (Presentazione a cura della CEI; supp. dig. in ns. possesso) 1. Secondo la tradizione italiana, è garantito a tutti l’accesso gratuito alle chiese aperte al culto, perché ne risalti la primaria e costitutiva destinazione alla preghiera liturgica e individuale. Tale finalizzazione è tutelata anche dalle leggi dello Stato. 2. La Conferenza Episcopale Italiana ritiene che tale principio debba essere mantenuto anche in presenza di flussi turistici rilevanti, consen- ranza. Anche attraverso le loro attese, abbiamo cercato di esplorare più a fondo il mondo delle istituzioni pubbliche. Sui nostri passi abbiamo trovato anche percorsi difficili e accidentati, lungo i quali abbiamo cercato di confrontarci e di seminare speranza, scegliendo la corsia opposta a quella occupata dalla sopraffazione e dalle consorterie della violenza organizzata. 2 . Un canto di speranza per una cit tà senza voce Il giubileo è stato il nostro rinnovato canto di speranza, rivolto a una città della quale continua a essere, oggi più che mai, il respiro. Tutto a Napoli si coniuga nel nome della speranza. Venne un grande papa, ora beato, Giovanni Paolo II, a indicare la necessità di non disperdere, ma di organizzare la speranza della città; e il suo successore, papa Benedetto XVI, nella sua visita di quattro anni fa, l’ha indicata ancora una volta, come una grande e irrinunciabile risorsa. La speranza è l’indice della salute di Napoli, e quando si parla di «città malata», la diagnosi è sempre a portata di mano. Perché i tentativi di togliere la speranza non sono mai mancati, e vengono da fronti vasti e agguerriti. Talvolta, più che di attacchi, si tratta di veri e propri assedi. 164 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 tendo l’accesso gratuito nelle chiese nelle fasce orarie tradizionali, salvo casi eccezionali a giudizio dell’Ordinario diocesano. Pertanto le comunità cristiane si impegnano ad assicurare l’apertura delle chiese destinate al culto, in special modo quelle di particolare interesse storico e artistico situate nei centri storici e nelle città d’arte, sulla base di calendari e orari certi, stabili e noti. 3. Le comunità cristiane accolgono nelle chiese come ospiti graditi tutti coloro che desiderano entrarvi per pregare, per sostare in silenzio, per ammirare le opere d’arte sacra in esse presenti. 4. Ai turisti che desiderano visitare le chiese, le comunità cristiane chiedono l’osservanza di alcune regole riguardanti l’abbigliamento e lo stile di comportamento e soprattutto il più rigoroso rispetto del silenzio, in modo da facilitare il clima di preghiera: anche durante le visite turistiche, infatti, le chiese continuano a essere “case di preghiera”. 5. In presenza di flussi turistici molto elevati gli enti proprietari, allo scopo di assicurare il rispetto del carattere sacro delle chiese e di garantire la visita in condizioni adeguate, si riservano di limitare il numero di persone che vengono accolte (ricorrendo al cosiddetto contingentamento) e/o di limitarne il tempo di permanenza. 6. Deve essere sempre assicurata la possibilità dell’accesso gratuito a quanti intendono recarsi in chiesa per pregare e deve essere sempre consentito l’accesso gratuito ai residenti nel territorio comunale. 7. L’adozione di un biglietto d’ingresso a pagamento è ammissibile soltanto per la visita turistica di parti del complesso (cripta, tesoro, battistero autonomo, campanile, chiostro, singola cappella ecc.), chiaramente distinte dall’edificio principale della chiesa, che deve rimanere a disposizione per la preghiera. Roma, 31 gennaio 2012, Memoria di San Giovanni Bosco. IL CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA La speranza di Napoli si è trovata a un tratto non solo assopita ma devastata. E sotto i nostri occhi è apparsa una città allo sbando e non più riconoscibile. C’è stato: Chi non ne ha sopportato la visione, ed è arrivato a voltarle le spalle. Chi è stato preso dalla rassegnazione e ha deposto anche il flebile coraggio che aveva. Chi ha continuato a praticare la via antica e usurata delle analisi senza sbocchi. Chi è rimasto in silenzio. Chi è caduto nelle mani assassine della violenza. Il pellegrinaggio giubilare non ci ha fatto, certo, chiudere gli occhi di fronte a questi mali. Semmai, ci ha resi più attenti e, soprattutto in occasione del Giubileo della legalità, ha mostrato la totale e assoluta alterità di fronte a tutto ciò che, nei suoi perversi modi, muove la violenza. La città colpita dai suoi mali – fino allo scandalo dei rifiuti per strada – è stata presente a ogni tratto del nostro pellegrinaggio. Ma la Napoli assediata dalla violenza, la città sotto la sferza della tracotanza camorristica, ci ha accompagnato, passo dopo passo, come un tormento. Non esiste nella nostra terra un nemico più perfido e vile di chi pensa che dalle armi possa venire potere e ricchezza. La violenza organizzata è la prima e più grave tragedia di Napoli. Ed è anche la peggiore ipoteca sul futuro, per la malvagia attrazione che cerca di esercitare sui giovani. A suo modo 163-169:Layout 3 15-03-2012 9:18 Pagina 165 «arruola» e «assume». Ma è solo una terribile industria di morte. La Chiesa non può voltare le spalle, non può avere il cuore di pietra, non può tradire se stessa e la propria missione. La Chiesa non è sorta per raccogliere o raccattare alibi. Non lo potrebbe mai, perché li brucia, uno dopo l’altro, l’amore che Cristo ci ha dato come riconoscibile divisa: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35). E allora di fronte al corpo malato della nostra città, la nostra prima domanda non è stata neppure il «che fare?», ma l’altra ancora più severa: «Dove abbiamo sbagliato?». Toccava alla Chiesa, esperta e maestra in umanità, depositaria della «speranza che non delude», la prima risposta. E non solo per venire incontro ai fratelli, ma per rigenerare noi stessi e ricostruire le basi di una pastorale che non può essere un bel piano studiato a tavolino. Nella relazione al plenum diocesano del 28 giugno scorso, affermavo che dalla volontà di rispondere ai «dolorosi interrogativi» sulla città «è nata la volontà di realizzare una prassi pastorale della comunità cristiana per mettere a fuoco una strategia educativa che, partendo dal piano pastorale diocesano, puntasse verso la formazione di una coscienza matura e avveduta, capace di avviare una rinascita morale e sociale della città». In quella stessa occasione non avevo nascosto le difficoltà e i ritardi nell’affrontare il grave problema dell’educazione per cui ci troviamo di fronte a un vuoto formativo che sta manifestando tutte le tragiche conseguenze anche nella società civile. Il nostro Giubileo ci ha aperto la strada per una più incisiva formazione della nostra comunità che abbia come obiettivo la corresponsabilità di tutti per realizzare il bene comune e ricostituire le basi di una pastorale rinnovata e adeguata alle esigenze della città. 3. Il dovere del bene comune Educare al bene comune significa innanzitutto educare all’impegno e al senso di responsabilità perché si realizzi il bene di tutti. Per il magistero sociale della Chiesa, la promozione e la formazione al bene comune, attraverso la conoscenza della dottrina sociale della Chiesa, costituisce l’impegno prioritario dell’azione pastorale delle nostre comunità. Dobbiamo ammettere che, in questo campo, esiste una notevole carenza. Certamente la Chiesa ha sempre svolto una funzione educativa e, di fatto, esercita un forte impatto sui comportamenti e sulle coscienze di tutti. Tuttavia, si deve anche riconoscere che la comunità dei fedeli non sempre manifesta un’adeguata sensibilità verso i doveri civici e la responsabilità pubblica. Non possiamo non registrare un palese deficit formativo anche nelle nostre strutture, di cui bisogna prendere atto per stimolare i diversi ambiti della vita ecclesiastica. Ma è necessario che la riflessione autocritica si estenda anche a tutti i soggetti deputati all’educazione, i quali spesso riducono la formazione al funzionalismo educativo, per cui prevale la priorità dell’utile e la logica del mercato. Come ho fatto presente in occasione del Giubileo della cultura, non è sufficiente un sistema educativo che si limita all’efficienza produttiva e alla capacità di immettere sul mercato del lavoro tecnici specializzati e professionisti preparati; c’è bisogno di formare l’uomo nella sua integralità, sviluppando la sua passione per gli interessi generali, la sua responsabilità di cittadino e la sua coscienza civica. Bisogna anche ammettere che gli attuali scenari sociali rendono più complessa l’individuazione del bene comune, che va concepito «in forma dinamica», come misura e fine della comunità politica (Gaudium et spes, n. 74; EV 1/1567ss). Esso comporta la spartizione equa dei benefici e delle risorse che ogni comunità produce o si trova ad amministrare. È questo il grande compito della politica; da qui deriva una sua funzione che la identifica come insostituibile servizio, il più alto «servizio alla carità», secondo una celebre espressione di Paolo VI. Ma se la politica evita di misurarsi sul terreno del bene comune e cerca scorciatoie per mettere al sicuro privilegi e visioni di parte, allora il degrado, lo spettro del declino e la condanna a un ruolo insignificante congiurano tutti insieme per fare della città non una comunità matura e responsabile, ma un «corpo malato» sul quale si addensano e incancreniscono i piccoli e i grandi problemi che l’attraversano. Certamente, la realizzazione del bene comune non è facile, anzi, come ci ricorda il Compendio della dottrina sociale della Chiesa, è «arduo da raggiungere perché richiede la capacità e la ricerca del bene altrui come se fosse proprio» (n. 167). Nella sua accezione più vasta, il bene degli altri diventa accoglienza gratuita del prossimo, sostegno per chiunque abbia bisogno, senza discriminazione di etnie, culture, classi sociali, religioni. Un bene è tanto più vero e autentico quanto più è partecipato, come ci insegna il Vangelo e come abbiamo potuto realizzare nel Giubileo attraverso la pratica delle opere di misericordia. Il cammino è segnato: dobbiamo e vogliamo continuare in questo impegno sapendo che, come afferma Benedetto XVI nella Caritas in veritate, «tutta la Chiesa, in tutto il suo agire, quando annuncia, celebra e opera nella carità, è tesa a promuovere il bene integrale dell’uomo» (n. 11; Regnodoc. 15,2009,460) 4. Come tradurre lo «spirito giubilare» nella pastorale ordinaria Il dato più confortante del Giubileo è che esso, in un certo senso, si è fatto strada da solo nel percorso pastorale della nostra Chiesa di Napoli. E non come qualcosa che mancava, bensì come un provvidenziale e rinnovato impegno nella prospettiva di una «nuova evangelizzazione», obiettivo primario del piano pastorale della diocesi. In sostanza, si è trattato di un evento che ha arricchito e ha dato un senso più profondo ai nostri programmi ordinari, orientandoli in modo nuovo verso un obiettivo, intorno al quale far ruotare tutto: l’educazione all’impegno e al senso di responsabilità per il bene comune. Questo «nuovo orientamento» va inteso nello stesso senso che il beato Giovanni Paolo II attribuiva alla «nuova evangelizzazione». Essa, affermava il papa, non significa inventare qualcosa che non IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 165 163-169:Layout 3 15-03-2012 9:18 Pagina 166 C hiesa in Italia esisteva prima, ma piuttosto rifare il tessuto cristiano della società umana con metodo nuovo: «Nuovo nel suo ardore, nei suoi metodi e nella sua espressione» (Allocuzione all’Assemblea del CELAM a Port-au-Prince, Haiti, 9.3.1983). Lo spirito del Giubileo esalta questa «novità» ma non si pone in alternativa alla pastorale ordinaria che, talvolta, può ridursi a una statica gestione dell’esistente. Occorre non farsi mancare il coraggio della novità e uscire il più possibile da una pastorale di routine. Insomma: una pastorale con spirito nuovo, più vicina alla vita delle persone, meno affannata e complessa, meno dispersiva e più unitaria. Se il cammino giubilare ha reso più vigile il nostro sguardo e più attenti i nostri cuori ai bisogni della diocesi e dei nostri fratelli e sorelle, negli anni che seguono non dobbiamo disperdere o sciupare tutto ciò che è venuto da questo tempo di grazia, ma investirlo in una quotidianità da vivere in modo nuovo. Ciò significa, come ho a volte ripetuto, che il «nuovo» non deve intendersi nella logica del «fare di più», ma in quella del «fare meglio». Non bisogna, cioè, immaginare un ulteriore carico di lavoro che gravi sulle spalle già oberate dei parroci e degli altri operatori pastorali. «Fare meglio» significa innanzitutto «fare insieme» e dare un nuovo orientamento alle attività della pastorale ordinaria per riqualificarla e rifinalizzarla su un obiettivo comune e preciso. Tale obiettivo è innanzitutto la riscoperta della verità fondamentale che ci riguarda: la vocazione alla santità, che comporta la ripresa di un’autentica vita spirituale, fondata su una fede incarnata e vissuta secondo lo Spirito (cf. Gal 5,25). Se la santità è per tutti, essa è richiesta, in modo particolare, ai sacerdoti a causa dell’altissima missione che Cristo ha loro affidata. Come pastore di questa santa Chiesa, esorto caldamente tutti e, in particolare, i miei cari sacerdoti a impegnarsi con tutte le energie a vivere una santità incarnata, come ci ha insegnato il concilio Vaticano II e come abbiamo potuto sperimentare in questo anno giubilare seguendo la tradizione di quella «scuola di santità napoletana» rappresentata, ad esempio, da san Tommaso d’Aquino, da sant’Alfonso M. de’ Liguori, dal venerabile nostro predecessore, Sisto Riario Sforza, da san Giuseppe Moscati, da san Gaetano Errico e, come ha significativamente sottolineato papa Paolo VI, dal beato Vincenzo Romano (Discorso della beatificazione, 17.11.1963): santità presbiterale che nasce, si forma e si realizza nel tempo e nei luoghi dove si vive e si opera. Da questo fondamentale orientamento, scaturisce la necessità della «conversione pastorale», che richiede di passare da una pastorale di conservazione a una pastorale di missione permanente, come ci esorta anche la Chiesa italiana (cf. EPISCOPATO ITALIANO, Comunicare il Vangelo in mondo che cambia, n. 14; Regno-doc. 13,2001,441). Dobbiamo, cioè, uscire dalle nostre mura e andare nelle strade per condividere le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini di oggi, soprattutto dei più poveri. La pastoralità, infatti, non è un «modo di fare», ma è un modo di sentire e, quindi, ha bisogno di un’anima. Senza una conversione spirituale non si potrà mai parlare di una vera conversione pastorale. Anche l’attivismo pastorale può diventare fine a se stesso se non è supportato da una spiritualità che, rendendolo credibile, lo rende anche incisivo ed 166 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 efficace: soltanto se il tralcio rimane nella vite è un tralcio che vive, si fa fecondo e produce vita (cf. Gv 15,1ss). Proprio questa è la splendida impostazione che del problema pastorale il beato Giovanni Paolo II ha offerto alla Chiesa all’inizio del terzo millennio. Più volte ha ripetuto, con singolare chiarezza, che la santità è l’elemento essenziale e qualificante di ogni programmazione pastorale. Finito il Giubileo, ricomincia il cammino ordinario; ma additare la santità resta più che mai un’urgenza della pastorale (cf. Novo millennio ineunte, n. 30). I documenti della nostra Chiesa sono eloquenti perché parlano innanzitutto attraverso le opere e, più ancora, perché in essi appare chiara l’impronta dell’inchiostro della nostra terra. In tal modo sarà possibile porre in evidenza, nel concreto, la correlazione tra la vita del Vangelo e le particolari esigenze di giustizia espresse dal nostro territorio. Non possiamo ignorare che la nostra terra è, oggi, attraversata da un grido di ribellione che, senza spiragli di autentica speranza, rischia di diventare insorgenza civile. Una pastorale davvero profetica non può orientare se stessa solo all’interno del tempio. Il Giubileo, attraverso il simbolo della porta, segna la strada. La porta va spalancata per indicare il cammino e proiettare le nostre comunità nel mare aperto del territorio, ma anche per raccogliere i richiami che a essa vengono dal vivo della realtà quotidiana. Se il nostro compito primario è evangelizzare, dobbiamo aver chiaro che il nostro prossimo non può essere un’entità astratta: ci è chiesto di conoscerlo e di andarlo a cercare; di vedere dove e come egli vive; di sapere delle sue speranze e dei suoi timori, delle attese e delle inquietudini. Queste non devono essere notizie da trasferire in qualche registro, ma ricchezze da investire per rendere la nostra Chiesa più radicata nel servizio e nel territorio. 5. Nuovo volto di Chiesa Davanti a questo impegno che ci attende, qual è l’immagine di Chiesa a cui dobbiamo riferirci? Credo che si possano delineare tre direttive principali: 1) il nuovo volto di Chiesa, emerso dal concilio Vaticano II di cui, nel prossimo ottobre, celebreremo il 50° anniversario dell’apertura; 2) gli orientamenti dell’Episcopato italiano per il decennio 20102020: Educare alla vita buona del Vangelo; 3) il piano pastorale diocesano, con la triplice esortazione di comunicare, educare e vivere la fede. 1) Sempre più il concilio Vaticano II si conferma come la «grande grazia di cui la Chiesa ha beneficiato nel XX secolo» (Novo millennio ineunte, n. 57; EV 20/117). Il nostro Giubileo ha cercato di far rivivere l’immagine conciliare della Chiesa come popolo santo di Dio. «Proprio seguendo l’ammaestramento del Concilio – ho affermato nel citato plenum diocesano del 28 giugno scorso – non dobbiamo dimenticare che esiste un naturale rapporto e una vicendevole chiarificazione tra cristologia, ecclesiologia e antropologia: la Chiesa, popolo di Dio, assume il modello del Cristo incarnato come espressione della sua natura di Chiesa missionaria e serva del Vangelo e, per ciò stesso, al servizio dell’uomo e di tutti gli uomini». L’immagine di Chiesa missionaria ci indica la trac- 163-169:Layout 3 15-03-2012 9:18 Pagina 167 RINO COZZA cia per la Chiesa del terzo millennio che, interrogandosi sulla ricezione del Concilio, può accorgersi come, «a mano a mano che passano gli anni, i testi conciliari non perdono il loro smalto, né il loro valore» (ivi). « È sempre più necessario – come si legge nella Novo millennio ineunte – che essi vengano letti in maniera appropriata, che vengano conosciuti e assimilati come testi qualificanti e normativi del magistero, all’interno della tradizione della Chiesa» (ivi). 2) Gli «orientamenti» dell’episcopato italiano puntano sugli aspetti educativi e formativi della comunità e rappresentano, quindi, un punto di riferimento irrinunciabile per una pastorale capace di promuovere la responsabilità primaria della comunità cristiana. Un’attenzione specifica, a questo riguardo, andrà rivolta alla reciprocità tra famiglia, comunità ecclesiale e scuola, i luoghi più significativi per stabilire una feconda alleanza educativa. 3) L’orizzonte più vicino e immediato, nel quale la traduzione del «Giubileo-evento» è chiamata a saldarsi con la pastoralità ordinaria, riguarda la dimensione diocesana. Qui il nostro sguardo, alla luce della santità-spiritualità del popolo di Dio e della conversione pastorale, deve diventare, in un certo senso, più attento poiché si tratta di vedere dentro noi stessi; di verificare i nostri programmi e vagliare i nostri propositi. Più di tutto, siamo chiamati a renderci conto di quanto, e in che modo, lo «spirito» del Giubileo-evento ha già inciso sulla realtà quotidiana e come potrà guidarci nel percorso prossimo futuro. In primo luogo, è necessario consolidare il cammino, già avviato, per una Chiesa di comunione e di partecipazione. Se «per fare meglio», dobbiamo «fare insieme», allora la comunione deve realizzarsi, anzitutto, tra i presbiteri nelle forme del presbiterio locale, condividendo esperienze di vita comune e di lavoro pastorale tra parrocchie vicine. È necessario promuovere, inoltre, la vita di comunione con i religiosi e le religiose i quali, grazie al loro specifico carisma, potranno apportare all’interno di ogni parrocchia e decanato – dove sono presenti – il loro prezioso contributo. Una comunione che va estesa anche ai diaconi permanenti e ai fedeli laici, il cui impegno è assolutamente indispensabile per costruire la comunità ecclesiale. Per realizzare una autentica spiritualità di comunione, invito soprattutto i cari sacerdoti e diaconi a porre un’assidua attenzione alla formazione permanente nei modi e nei tempi che saranno indicati. Una pastorale «incarnata» richiede anche una catechesi «incarnata». Già nel piano pastorale ci eravamo impegnati a presentare linee per l’inculturazione della catechesi nella realtà napoletana. L’Ufficio catechistico diocesano ha elaborato alcuni sussidi, che possono essere utilizzati soprattutto nelle catechesi parrocchiali. Icona del Giubileo, poi, è stata la grande tela del Caravaggio, che raffigura le sette opere di misericordia, le quali ci hanno guidati sulla strada di una carità operosa, che deve caratterizzare il nostro agire. La nostra Chiesa vuole continuare a testimoniare la carità di Cristo attraverso la Caritas parrocchiale, decanale e diocesana, nelle forme richieste, secondo quella nuova «fantasia della carità», di cui ci ha parlato il beato Giovanni Paolo II. Inoltre, niente è più vivo, nello spirito del Giubileo, del IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 Voglia di vita evangelica Nuovi modelli di vita religiosa L a vita consacrata fatica a pensarsi e proporsi in modo nuovo, soprattutto in Occidente. Ma essa rimarrà viva solo se saprà rispondere alle aspettative dell’attuale società, che dai consacrati si attende di vedere il riflesso concreto dell’amore di Cristo per ogni persona. Il volume non si ferma all’analisi e alla denuncia, ma aiuta ad aprire il cuore alla speranza, indicando nuovi cammini possibili. «PROBLEMI DI VITA RELIGIOSA» EDB Edizioni Edizioni Dehoniane Dehoniane Bologna Bologna pp. 240 - € 20,00 Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it MARIANO INGHILESI Inno all’amore negli ultimi giorni di Gesù Meditazioni bibliche su Giovanni (cc. 13.18–20) e Prima Corinzi (c. 13) A ttraverso le reazioni dei vari personaggi che si avvicendano negli ultimi giorni di Gesù, il lettore è chiamato a interrogarsi sul proprio atteggiamento: sono forse io Giuda che tradisce, Pietro che rinnega, la Maddalena a cui è affidato il messaggio della risurrezione? Il CD allegato propone le registrazioni delle meditazioni bibliche tenute dall’autore. «BIBBIA E CATECHESI» pp. 224 con CD/MP3 167 EDB Edizioni Edizioni Dehoniane Dehoniane Bologna Bologna - € 15,00 Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 163-169:Layout 3 15-03-2012 9:18 Pagina 168 C hiesa in Italia richiamo al ministero della riconciliazione e del perdono. Esorto, perciò, tutti ad accostarsi al sacramento che riconduce ogni penitente nelle braccia misericordiose del Signore. 6. «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» Il Giubileo è stato caratterizzato dal richiamo alle opere di misericordia. Tradurre lo spirito del Giubileo nella pastorale ordinaria significa anche, soprattutto per i sacerdoti, vivere uno stile di povertà come i discepoli del maestro, i quali hanno lasciato tutto per seguirlo. È necessario testimoniare chiaramente che solo in Cristo noi poniamo la nostra fiducia e speranza; solo per lui noi spendiamo la nostra vita. Non dobbiamo vivere l’affanno della ricerca di altre garanzie, perché è lui la nostra eredità; facciamo della nostra vita un dono, disposti a essere poveri come il Signore volle essere. La vita, specialmente del presbiterio, sia perciò sobria ed esemplare così da non scandalizzare i poveri e ricordare ai ricchi le loro responsabilità, qualora se ne dimenticassero, nei riguardi dei poveri. Il ministero ordinato esige anche che noi per primi pratichiamo giustizia e trasparenza nella gestione dei beni della Chiesa, trattandoli non come patrimonio personale ma, appunto, come beni dei quali dobbiamo rendere conto a Dio e ai fratelli, soprattutto ai più poveri. In tale contesto, e in un clima di reale e convinta fraternità sacerdotale, sento, come pastore che presiede la comunione, di indicare alcune realizzazioni concrete in grado di aiutare tutta la Chiesa locale a percorrere un nuovo cammino pastorale. Un primo passo riguarda l’istituzione di un fondo di solidarietà tra le parrocchie. «Non si tratta infatti di mettere in difficoltà voi per sollevare gli altri, ma che vi sia uguaglianza» (2Cor 8,13). Per testimoniare, per esempio, una reale e convinta comunione, le parrocchie più grandi e più ricche si potrebbero fare carico di quelle più piccole e più povere attraverso una forma di gemellaggio tra parrocchie. Inoltre, considerando che viviamo tutti la difficile congiuntura economica che tocca l’intero paese, e che la crisi non si ferma alle porte delle parrocchie, al punto che alcuni parroci sono costretti a chiedere prestiti alle banche, come segno di uno stile nuovo scaturito dal Giubileo, propongo l’istituzione di un fondo diocesano di solidarietà tra le parrocchie con il concorso di partecipazione di quote della diocesi destinato al finanziamento di piccoli progetti parrocchiali: una sorta di microcredito che non preveda erogazioni a fondo perduto, ma un responsabile piano di rimborso, senza alcun interesse. È chiaro che questa iniziativa non ha alcuna pretesa di poter risolvere tutti i problemi finanziari di una parrocchia, ma può rappresentare un respiro di fronte alle piccole urgenze che talvolta ostacolano seriamente le attività delle comunità parrocchiali. Un’altra iniziativa riguarda la liberalizzazione delle offerte. «Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date» (Mt 10,8). «Qual è, dunque la mia ricompensa? Quella di annunciare gratuitamente il Vangelo senza usare del diritto conferitomi dal Vangelo» (1Cor 9,18). 168 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 Poiché la comunità ecclesiale è mistero di comunione e di condivisione fraterna, sempre nello spirito del Giubileo che abbiamo celebrato, chiedo che le offerte date dai fedeli nelle varie occasioni, anche e soprattutto per la celebrazione dei sacramenti, siano caratterizzate da spirito di liberalità e di spontaneità, come già avviene in molte parrocchie. Sono certo che questo «segno giubilare» avrà un forte impatto nell’attività pastorale perché aiuterà a correggere il sospetto di alcuni, secondo i quali anche i sacramenti «si comprano». Che nessuno esca dalle nostre chiese con la sensazione di aver comprato un beneficio che il Signore elargisce secondo la ricchezza del suo cuore! A tutti dobbiamo offrire il volto di una Chiesa animata dal solo desiderio di servire, senza nulla pretendere. Ciò, tuttavia, non esime dal dovere di educare i fedeli alla responsabilità di sovvenire alle necessità della parrocchia, affinché essa possa disporre di quanto è necessario per il culto divino, per le opere di apostolato e per il sostentamento dei ministri. Sono certo che la divina Provvidenza ci donerà copiosi e abbondanti frutti. 7. Lo Spirito ha preso per sé l’evento giubilare Abbiamo vissuto un anno straordinario. Lo Spirito ha davvero preso per sé l’evento e ci troviamo oggi a rallegrarci dei suoi « aiuti insperati». Le porte del Giubileo si sono aperte al passaggio dei nostri pellegrinaggi, ma l’immagine più vera è forse quella di una Chiesa che ha spalancato le sue porte e si è riversata nelle strade per essere più vicina alla sua gente. In quest’anno giubilare sono state sperimentate tante iniziative, che hanno messo insieme le forze della città e della diocesi, suscitando molteplici attese. La Chiesa ha chiamato a raccolta gli uomini e le donne di buona volontà coinvolgendo tutti i settori della comunità civile. Così, ad esempio, le università e le scuole hanno aperto le loro porte, i dirigenti scolastici e i docenti hanno risposto all’offerta di dialogo per la formazione delle nuove generazioni. Gli ospedali e il mondo della medicina, gli operatori della giustizia e della legalità, il mondo operaio e quello della imprenditoria, gli uomini del mare e dell’informazione: tutti hanno risposto con entusiasmo e convinzione alla chiamata della Chiesa verso un nuovo impegno per il bene comune. Di questa mobilitazione non intendiamo solo rallegrarci: abbiamo ora il dovere di dare continuità e non mettere il punto a un discorso che può portare lontano. Un segno di credibilità è che tutto inizi a partire da noi stessi come Chiesa di Napoli. È necessario, perciò, che questo «spirito giubilare» continui e si realizzi tra tutto il popolo di Dio e, in particolare, nelle parrocchie e nei decanati. Per questo ogni decanato e parrocchia potrà individuare, secondo la specificità del proprio territorio, il modo per «tradurre» le iniziative già realizzate a livello diocesano. Si tratta, cioè, di trasferire, nel modo più adeguato, lo «spirito del Giubileo» tra le case e le strade del proprio territorio parrocchiale e decanale, coinvolgendo tutte le strutture che vi sono presenti come, ad esempio, scuole, ospedali, istituti educativi, associazioni sportive e del tempo libero. Nella 163-169:Layout 3 15-03-2012 9:18 Pagina 169 continuità del Giubileo, pertanto, nessun luogo della città deve sentirsi estraneo di fronte a un evento che, seppure formalmente concluso, non può coniugarsi con i verbi al passato. A tale riguardo, non mancherà, attraverso gli uffici della curia, un opportuno sostegno alle iniziative che nascono nei decanati e nelle parrocchie, valorizzando ulteriormente quelle già sperimentate come, ad esempio, il dialogo ecumenico e interreligioso, gli incontri con le associazioni di categoria, il confronto con gli operatori della scuola e del mondo del lavoro. Gli uffici, quindi, devono essere concepiti più come una risorsa a sostegno della pastorale che come una funzione aggiuntiva che richiede impegni ai decanati e alle parrocchie. Particolarmente importante appare, poi, il coinvolgimento e la valorizzazione dei religiosi, delle associazioni e dei movimenti ecclesiali, eventualmente presenti nelle parrocchie e nei decanati, ai quali vanno affidati compiti mirati, secondo il loro specifico carisma. 8. Porre la tenda dove la gente vive La Chiesa di Napoli non può che porre la sua tenda là dove la sua gente vive e soffre, ama e spera. Il Cristo, che si è fatto uomo ed è venuto a farsi servo dell’umanità, è la strada della missione che dobbiamo percorrere. È il Signore stesso a insegnarci che incontriamo personalmente lui nel servizio che offriamo ai fratelli: «Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi» (Mt 25,35-36). Col Giubileo, ci siamo così avvicinati di più alle case della nostra gente, con fiducia certo, ma anche con il timore di invadere campi che non sono nostri, ma che ugualmente ci appartengono perché riguardano da vicino la vita dei nostri fratelli, delle loro famiglie, dei giovani, dei padri e delle madri che stentano sempre più ad assicurare il pane quotidiano per il lavoro che viene a mancare, per un precariato che impedisce di guardare avanti con la necessaria serenità. Le ristrettezze che ogni famiglia vive segnano, per prime e in misura maggiore, il corso dei diversi affluenti che vanno a ingrossare il mare magnum di una crisi sociale ed economica con pochi precedenti. 9. Il nostro amore è cresciuto Vedere ancora più da vicino le sofferenze, condividere ancora più a fondo le attese e le angosce della nostra gente, toccare con mano e con cuore le mille piaghe di questa nostra bella e amata città ha fatto crescere il nostro amore. Lungo il cammino abbiamo scoperto una città che diventa lo specchio di noi stessi, dei nostri limiti, delle nostre carenze, dei nostri ritardi: per tutto questo chiediamo perdono! Allo stesso tempo, la città ci ha aiutati a trasmettere e a far vivere anche le speranze che ci appartengono, le attese, i nostri slanci generosi, la nostra volontà di impegnarci ad aiutarla. Abbiamo visto che la città vive di noi. Essa non si identifica soltanto nelle sue pietre, nei suoi palazzi importanti, nelle sue vie e nelle piazze e neppure nei suoi monumenti più illustri. Siamo noi, ognuno di noi, le tessere del mosaico che compongono, anche oggi, il volto della sua storia. Per chi la vive a fondo, la città è la casa comune con i quartieri che, allo sguardo familiare e consueto, diventano – dopo il nucleo familiare – il perimetro della più prossima comunità sociale. 10. Che cosa sarebbe Napoli senza speranza? Napoli è un capolavoro che Dio ha posto nelle mani dell’uomo. Neppure l’incuria più colpevole e ostinata può mai riuscire a cancellare i segni di una bellezza che per Napoli è come una seconda pelle, e forse ancora più: una seconda vita. In realtà, Napoli non lascia a nessuno, neppure nei momenti più tragici e rovinosi, l’ultima parola: tiene per sé una risorsa che sembrerebbe «inventata» proprio a misura della sua tormentata storia. Che sarebbe Napoli senza speranza? Non sarebbe più Napoli, ma forse neppure la speranza continuerebbe a essere se stessa se, a un tratto, dai suoi orizzonti venisse a mancare questa porzione di territorio. Con il Giubileo, la Chiesa di Napoli ha voluto rinvigorire e dare il giusto senso a quella speranza della quale la città, e ognuno dei suoi abitanti, non può fare a meno. Abbiamo attraversato le porte della città nel segno del pellegrinaggio, perché la speranza, che viene da Cristo, fosse lanterna ai nostri passi. Al termine di questo percorso, come di ogni cammino in suo nome, non è possibile tracciare un bilancio, tanto vaste, insondabili e misteriose sono le «strade del Signore». Ma possiamo certo dire che niente sarà come prima, perché il Giubileo è andato a bussare alla porta di coscienze assopite ed è stato un richiamo – anche forte – contro l’individualismo e l’indifferenza. A questo richiamo, molti hanno risposto con coraggio e generosità facendosi parte attiva e responsabile di un riscatto sociale ed etico della nostra città. Possiamo dire che il Giubileo ci ha insegnato un modo nuovo di essere nel mondo, di parlare al cuore della nostra gente, ricca di calore, generosità ed entusiasmo, ma anche di grande fede, nonostante i segni di una secolarizzazione che avanza. Mentre chiudiamo il Giubileo, siamo convinti che il suo impulso continuerà per richiamare non solo la Chiesa, ma tutti gli uomini e le donne di buona volontà a camminare insieme nella certezza che, con il contributo di tutti, riusciremo a far risplendere il volto bello e luminoso di questa terra benedetta da Dio. Ci accompagni la materna protezione di san Gennaro, nostro patrono, e della beata Vergine Maria, madre e regina di Napoli, che da sempre hanno mostrato una particolare predilezione per tutti noi. Dio benedica tutti e ‘A Maronna c’accumpagna! Napoli, dalla sede arcivescovile, 8 dicembre 2011, solennità dell’Immacolata concezione. CRESCENZIO card. SEPE IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 169 170-186:Layout 3 15-03-2012 9:25 Pagina 170 S tudi e commenti | LITURGIA Il nuovo Messale inglese N Nicholas King sulla nuova traduzione inglese delle quattro Preghiere eucaristiche del Messale La nuova traduzione del Messale romano è già in uso dallo scorso novembre nei paesi di lingua inglese, dopo una contrastata elaborazione e non poche resistenze da parte di numerosi vescovi e teologi, contrari soprattutto a quelle scelte che hanno privilegiato un’aderenza formale e rigida all’originale latino, a scapito della comprensibilità e della scorrevolezza. Sedatesi ormai le polemiche e avviatasi la fase della recezione dal parte delle assemblee liturgiche, il biblista gesuita Nicholas King – docente di greco e di Nuovo Testamento all’Università di Oxford – coglie questo «momento propizio per fare il punto della situazione, sine ira et studio, e tentare una valutazione di alcune delle implicazioni, specialmente in riferimento all’importantissimo canone della messa». Concludendo che «la nuova versione, anche presa in sé, non è riuscitissima, ma la possiamo comunque assolvere dall’accusa di essere un tentativo sistematico di vanificare i passi avanti per la Chiesa compiuti dallo Spirito Santo nel concilio Vaticano II». Con qualche suggerimento per una futura revisione. «The new English Missal: a user’s guide. Lost, and found, in translation», in The Tablet 19.11.2011, supplemento; nostra traduzione dall’inglese. Cf. Regno-att. 20,2011,654. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 essuna traduzione è perfetta. Quando poi il testo da tradurre è molto amato, come la messa che abbiamo avuto in inglese per quasi quarant’anni ormai, il dispiacere è inevitabile; ricordiamoci però che i traduttori non si alzano al mattino chiedendosi: «Chi posso fare inquietare oggi?». Piuttosto, l’inquietudine che si è diffusa è l’altra faccia del grande dono che è stato per noi la liturgia in lingua corrente dal 1973, e della flessibilità che ha offerto all’articolazione liturgica. Infatti essa si è prestata bene alle occasioni solenni, come alle messe di chi ha difficoltà di apprendimento, come alle celebrazioni informali con gli accademici di Oxbridge (un modo per indicare il mondo accademico, unendo i nomi delle famose università di Oxford e Cambridge; ndt). La nuova traduzione è in uso già da diverse settimane, e vi sono state reazioni diverse, forse perlopiù di dispiacere. Può essere questo un momento propizio per fare il punto della situazione, sine ira et studio, e tentare una valutazione di alcune delle implicazioni, specialmente in riferimento all’importantissimo canone della messa. Durante le scorse settimane ho potuto osservare in tre nazioni anglofone i celebranti che lottavano con il testo, come ho fatto io stesso. Devo dire che finora ho visto solo un prete riuscire ad arrivare alla fine della preghiera eucaristica senza inciampare. Non è chiaro ciò che se ne può dedurre; da un certo punto di vista può essere semplicemente che i traduttori non hanno fatto quanto fecero i gruppi di studiosi che ci hanno dato la traduzione della Bibbia del re Giacomo, ossia leggere il testo ad alta voce prima di stamparlo. Come dicevo, nessuna traduzione è perfetta, ma questo può essere tenuto presente quando la presente traduzione verrà rivista. Mi sembra di notare che le difficoltà si presentino specialmente per i celebranti la cui lingua madre non è l’inglese. Tuttavia prima di esaminare le preghiere eucaristiche e sottolineare le difficoltà del lavoro dei traduttori, vorrei indicare due caratteristiche della nuova traduzione, una all’inizio (e in diversi altri punti della messa) e una alla fine. La prima, di cui tanto si è parlato, è che quando il celebrante dice, ad esempio, «The Lord be with you», «Il Signore sia con voi», la risposta dell’assemblea è ora «And with your spirit», «E con il tuo spirito». Sostengono questa traduzione due valide ragioni, e una ragione che non è valida affatto. È assolutamente valido far notare, primo, che essa coglie esattamente il latino e, 170 170-186:Layout 3 15-03-2012 9:26 Pagina 171 secondo, che (per quanto ne so) è la traduzione adottata in ogni altra parte del mondo, così che anche lo zulu, che normalmente segue la traduzione inglese molto da vicino, ha ibe nomoya wakho futhi («che sia anche con il tuo spirito»). Una ragione molto meno felice portata talvolta a favore della nuova traduzione è che essa ascrive al sacerdote qualche tipo di superiorità ontologica, così che siamo invitati a rivolgerci non a lui, ma al suo «spirito». Questo sembrerebbe vanificare alcune delle più importanti conquiste del concilio Vaticano II. La seconda caratteristica è il congedo alla fine della messa. Il latino, come tutti sanno, dice «Ite missa est». Così com’è, è intraducibile. Letteralmente significa «Andate – è stata mandata». Esiste su questo un’infinità di studi, e le opinioni sono divise sull’origine dell’espressione, che chiaramente si riferisce sia al fatto di condurre a termine la celebrazione eucaristica, sia al fatto di affidare una missione («inviare») al popolo di Dio. Nel VI secolo la parola missa era ormai arrivata a indicare chiaramente la «messa» nel senso odierno; ed ecco che oggi utilizziamo parole come «messale» per il libro in cui sono raccolti i testi della messa in tutte le principali lingue del mondo. Tuttavia, la cognizione del viaggio che ha compiuto nella storia la parola missa per giungere a quel punto probabilmente è irrimediabilmente andata perduta. Così, quando la nostra nuova traduzione offre alternative differenti, ossia «Go forth, the Mass is ended», «Andate, la messa è finita», oppure «Go and announce the Gospel of the Lord», «Andate e annunciate il Vangelo del Signore», oppure «Go in peace, glorifying the Lord by your life», «Andate in pace, glorificando il Signore con la vostra vita», si tratta di mandati ineccepibili, affidati a noi che dalla messa usciamo nel mondo del lunedì. Ma sono traduzioni? Sollevo la questione soltanto per far notare la difficoltà di compiere il lavoro di traduzione. Lo stesso vale per le preghiere eucaristiche; e qui propongo semplicemente di esaminare alcuni elementi dei quattro canoni principali della messa (naturalmente abbiamo almeno altre otto possibilità) e sottolineare alcune delle sfide poste all’arte della traduzione. Tabella 1 - Preghiera eucaristica I Versione del 1973 Versione del 1973 (inglese) (traduzione) We come to you, Father, with praise and thanksgiving, through Jesus Christ your Son… Tabella 2 Versione del 1973 (inglese) ... watch over it, Lord, and guide it: grant it peace and unity throughout the world ... for all who hold and teach the Catholic faith that comes to us from the apostles. Veniamo a te, Padre, con lode e rendimento di grazie, per Gesù Cristo tuo Figlio... La Preghiera eucaristica I Una bella caratteristica della nuova versione (tabella 1) è che echeggia il risalto dato dal testo latino a colui al quale si rivolge, ossia il «Padre»; e «we make humble prayer and petition», «leviamo umile preghiera e supplica», è più vicino all’originale. Riesce anche abbastanza bene a cogliere i due verbi, rogamus ac petimus (una ripetizione, va detto, che non aggiunge molto al senso), per mezzo di due sostantivi, «prayer and petition», «preghiera e supplica». Ovviamente ciò ha un costo, e infatti il testo che ne risulta è molto più difficile da pronunciare della versione 1973, specialmente per un celebrante che parli in una seconda o terza lingua. E a questa versione non riesce di collocare «through Christ, your son, our Lord» «per Cristo, tuo Figlio, nostro Signore» immediatamente dopo l’indirizzo al Padre, a cui invece si riferisce (e qui è fatto divieto ai lettori più maturi di ricordare la storiella popolare negli anni Cinquanta su quel prete con scarsa padronanza del latino il quale, alla richiesta del suo ordinario di tradurre il Canone romano ad alta voce, prese un bel respiro e cominciò: «You, therefore, Father of Clement...» «Tu dunque, Padre di Clemente...»). Di nuovo (tabella 2), la versione del 1973 è facile da pronunciare, ma anche la nuova versione esce di bocca abbastanza agevolmente, e «guard, unite and govern», «proteggerla, unirla e governarla», rende molto bene il fascino della preghiera latina. Se invece la nuova traduzione non ha reso toto orbe terrarum, con il suo richiamo alla Roma imperiale, sfido chiunque a fare di meglio. Incontreremo spesso «be pleased», «compiàciti» per tradurre digneris; col grazioso richiamo alle prime parole di Estella a Pip in Grandi speranze («be pleased to step this way»), anche se forse non è questo che aveva in mente il traduttore. La conclusione della preghiera non funziona molto bene. La versione latina conserva, senza tradurla, una parola greca (orthodoxis, che significa qualcosa come «retto pensiero»), che in inglese è diventata «those who hold to the truth», «coloro che si attengono alla verità» e, in maniera non del tutto soddisfa- Versione latina Te igitur, clementissime Pater Per Iesum Christum, Filium tuum, Dominum nostrum, supplices rogamus ac petimus... Versione del 1973 (traduzione) Versione latina ... veglia su di essa, Signore, e guidala: assicurale pace e unità in tutto il mondo... per tutti quelli che abbracciano e insegnano la fede cattolica che ci viene dagli apostoli. ... quam [sc. Ecclesiam] pacificare, adunare et regere digneris toto orbe terrarum... et omnibus orthodoxis atque catholicae et apostolicae fidei cultoribus. Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) To you, therefore, most merciful Father, we make humble prayer and petition through Jesus Christ, your Son, our Lord ... A te, dunque, clementissimo Padre, leviamo umile preghiera e supplica per Gesù Cristo, tuo Figlio, nostro Signore... Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) ... Be pleased to grant her peace, to guard, unite and govern her throughout the whole world ... and all those who, holding to the truth, hand on the catholic and apostolic faith. ... Compiàciti di assicurarle pace, di proteggerla, unirla e governarla nel mondo intero... e tutti coloro che, attenendosi alla verità, trasmettono la fede cattolica e apostolica. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 171 170-186:Layout 3 15-03-2012 9:26 Pagina 172 S tudi e commenti Tabella 3 Versione del 1973 (inglese) Remember all of us gathered here before you ... we pray to you for our well-being and redemption. Versione del 1973 (traduzione) Ricorda tutti noi riuniti qui davanti a te... ti preghiamo per il benessere e la redenzione nostri. Tabella 4 Versione del 1973 (inglese) Versione del 1973 (traduzione) Giuseppe suo marito. Joseph her husband. Tabella 5 Versione del 1973 (inglese) Versione del 1973 (traduzione) Versione latina [memento] omnium circumstantium... pro spe salutis et incolumitatis suae. Versione latina Sed et beati Joseph, eiusdem Virginis sponsi. Versione latina Nuova versione (traduzione) ... all gathered here ... in hope of health and wellbeing, and paying their homage to you. ... tutti riuniti qui... nella speranza di salute e benessere, e rendendo a te il loro omaggio. Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) blessed Joseph her spouse. Nuova versione (inglese) il beato Giuseppe suo sposo. Nuova versione (traduzione) ... accept this offering from your whole family ... ... accetta questa offerta dalla tua intera famiglia... ... Hanc igitur oblationem servitutis nostrae... quaesumus ut placatus accipias... ... graciously accept this oblation of our service ... benevolmente accetta questa oblazione del nostro servizio ... count us among those you have chosen. ... annoveraci fra coloro che hai scelto. et in electorum tuorum iubeas grege numerari. ... and command that we be ... counted among the flock of those you have chosen. ... e comanda che siamo... contati nel gregge di coloro che hai scelto. Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Tabella 6 Versione del 1973 (inglese) Bless and approve our offering; make it acceptable to you, an offering in spirit and in truth. Versione del 1973 (traduzione) Benedici e approva la nostra offerta; rendila accettabile a te, un’offerta in spirito e in verità. Versione latina Quam oblationem tu, Deus, in omnibus, quaesumus, benedictam, adscriptam, ratam, rationabilem acceptabilemque facere digneris. cente, la nuova versione offre «hand on», «trasmettono», per cultoribus, che intendo come una metafora derivata dall’agricoltura, e dovrebbe quindi significare coloro che «make the Catholic and apostolic faith grow», «fanno crescere la fede cattolica e apostolica». È una particolarità interessante (e l’incontreremo anche nella traduzione delle Preghiere eucaristiche II e IV) che il traduttore (tabella 3) abbia sorvolato sul chiaro accenno del latino al fatto che il popolo di Dio sta in piedi attorno all’altare. È palese che la preferenza vada alla postura inginocchiata durante la preghiera eucaristica, relativamente recente. La conclusione della preghiera è forse un miglioramento rispetto al 1973, sebbene non mi convinca particolarmente «health and well-being», «salute e benessere», per salutis et incolumitatis. Nella tabella 4 la nuova versione sembra quasi cercare la pienezza del latino, affermando che Giuseppe è «blessed», «beato», e uno «spouse», «sposo», anziché un marito, ma (saggiamente, anche se non coerentemente) omette la ridondante espressione «of the same Virgin», «della stessa Vergine». È possibile che nella tabella 5 il latino voglia richiamare diakonia tes leitourgias da 2Cor 9,12, ed evidentemente nel 1973 i traduttori non seguirono questa direzione. Ma non è subito chiaro che «oblation of our service», «oblazione del nostro servizio», dal suono non molto inglese, colga invece quell’eco scritturistica. Placatus non ha esattamente lo stesso significato di «graciously», «benevolmente»; in realtà suggerisce l’idea ab- 172 Nuova versione (inglese) IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 Be pleased, o God, we pray, to bless, acknowledge, and approve this offering in every respect; make it spiritual and acceptable. Compiàciti, o Dio, ti preghiamo, di benedire, riconoscere, e approvare quest’offerta in ogni aspetto; rendila spirituale e accettabile. bastanza allarmante di un Dio che ha bisogno di essere «appeased», «placato». Possiamo sentirci sollevati dal fatto che i traduttori della nuova versione abbiano fatto una scelta diversa, ma possiamo anche chiederci se questa sia una traduzione nel vero senso della parola. Al termine della preghiera, tuttavia, hanno fatto un lavoro eccellente preservando l’immagine «pastorale» di grege numerari, che la versione del 1973 non traduceva. Il Quam oblationem (tabella 6) presenta un problema particolare, in quanto in latino è una frase unica, e l’inglese non padroneggia bene frasi di questo tipo. Inoltre nel tentativo di riecheggiare Rm 12,1 il latino inanella una serie di non meno di cinque aggettivi, cosa davvero troppo pesante per l’inglese. I traduttori della nuova versione hanno qui mostrato attenzione alla «lingua dei destinatari» mutando tre degli aggettivi in verbi («bless, acknowledge, approve», «benedire, riconoscere, approvare») e conservandone due. Lascio ad altri decidere se ciò rispetti o meno i criteri della Liturgiam authenticam. Vediamo ora (tabella 7) le parole dell’istituzione, che sono all’incirca le stesse in tutte e quattro le preghiere eucaristiche, così che non vi sarà bisogno di ritornarvi nella seconda parte dell’articolo. La nuova versione ha colto la forza del congiuntivo imperfetto pateretur con «was to suffer», «avrebbe dovuto soffrire». Ha inoltre conservato il latino sanctas ac venerabiles come «holy 170-186:Layout 3 15-03-2012 9:26 Pagina 173 and venerable», «sante e venerabili», mentre la versione del 1973 semplicemente aveva «sacred hands», «sacre mani». Venerabilis è un latino relativamente tardo, e può significare sia «worthy of veneration», «degne di venerazione», sia «showing veneration», «che mostrano venerazione»; e sebbene l’inglese non sopporti facilmente la moltiplicazione degli aggettivi, ritengo che in questo caso funzioni bene, in quanto siamo invitati a contemplare (e venerare) ciò che a quelle mani accadrà, poche ore più tardi, il che è importante al fine di comprendere appieno che cos’è l’eucaristia. Nella riga successiva la nuova traduzione ha mantenuto il sapore dell’ablativo assoluto latino con «with eyes raised to heaven», «con gli occhi levati al cielo», invece di «looking up», «guardando su», e in inglese rende molto bene, poiché fissa l’attenzione sul gesto di Gesù. Nella riga seguente si potrebbe obiettare che «o God», «o Dio», implica un vocativo, mentre «Deum», «Dio» è invece all’inizio di un sintagma accusativo, che si riferisce a te; ma chiaramente è quello che si potrebbe definire un «vocativo implicito», poiché è a Dio che ci si rivolge, come evidenzia il pronome tibi. Nella riga successiva la versione 1973 ha «gave you thanks Tabella 7 Versione del 1973 (inglese) Versione del 1973 (traduzione) and praise», «ti rese grazie e lode», ma omette «benedisse», e penso che benedixit sia reso bene nella nuova versione come «said the blessing» «disse la benedizione», che evoca la liturgia ebraica sottostante a ciò che sta avvenendo. Entrambe le versioni inglesi poi inseriscono «the bread», «il pane», dopo «broke», «spezzò», forse necessario per chiarezza, sebbene non sia una traduzione in senso stretto. E la nuova versione conserva il latino enim («for» «poiché»); può essere un errore, in quanto enim è enclitico in latino (nella frase non può venire per primo), mentre mettere «for» all’inizio della frase inglese distrae l’ascoltatore da «this is my body», «questo è il mio corpo». Vediamo ora (tabella 8) la preghiera sulla coppa. Su questo naturalmente vi è molto da dire, e non vi è spazio per dire tutto. Innanzitutto, la nuova traduzione ha mantenuto Simili modo, omesso dalla versione 1973, conservando il legame con il racconto dell’istituzione nella versione di Paolo, lievemente diversa. Quindi viene la parola «chalice», «calice», in contrapposizione a «cup», «coppa», della versione 1973. È ripetuta tre volte nella nuova versione, e solo due in latino, ma la ripetizione può essere semplicemente perché, come nella Versione latina Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) The day before he suffered, he took bread in his sacred hands, and looking up to heaven, to you, his almighty Father, he gave you thanks and praise. Il giorno prima di soffrire prese del pane nelle sue sacre mani, e guardando su al cielo, a te, suo onnipotente Padre, ti rese grazie e lode. Qui pridie quam paterentur, accepit panem, in sanctas ac venerabiles manus suas, et elevatis oculis in caelum ad te Deum Patrem suum omnipotentem, tibi gratias agens benedixit, On the day before he was to suffer, he took bread in his holy and venerable hands, and with eyes raised to heaven to you, o God, his almighty Father, giving you thanks, he said the blessing, Nel giorno prima di quando avrebbe dovuto soffrire, prese del pane nelle sue sante e venerabili mani, e con gli occhi levati al cielo a te, o Dio, suo onnipotente Padre, rendendoti grazie, disse la benedizione, He broke the bread, gave it to his disciples, and said: Take this, all of you, and eat it: this is my body which will be given up for you. Spezzò il pane, lo diede ai suoi discepoli, e disse: Prendete questo, tutti voi, e mangiatelo: questo è il mio corpo che sarà dato per voi. fregit, deditque discipulis suis, dicens: Accipite et manducate ex hoc omnes: hoc est enim corpus meum, quod pro vobis tradetur. broke the bread and gave it to his disciples, saying: Take this, all of you, and eat of it: for this is my body, which will be given up for you. spezzò il pane e lo diede ai suoi discepoli, dicendo: Prendete questo, tutti voi, e mangiatene: poiché questo è il mio corpo, che sarà dato per voi. Versione del 1973 (traduzione) Versione latina Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) In a similar way, when supper was ended, he took this precious chalice in his holy and venerable hands In modo simile, quando la cena fu terminata, egli prese questo prezioso calice nelle sue sante e venerabili mani and once more giving you thanks he said the blessing and gave the chalice to his disciples, saying: e una volta ancora rendendoti grazie disse la benedizione e diede il calice ai suoi discepoli, dicendo: Tabella 8 Versione del 1973 (inglese) When supper was ended, he took the cup. Quando la cena fu terminata, egli prese la coppa. Again he gave you thanks and praise, gave the cup to his disciples, and said: Di nuovo ti rese grazie e lode, diede la coppa ai suoi discepoli, e disse: Simili modo, postquam coenatum est, accipiens et hunc praeclarum calicem in sanctas ac venerabiles manus suas, item tibi gratias agens benedixit, deditque discipulis suis, dicens: Take this all of you and drink from it: this is the cup of my blood, Prendete questa tutti voi e bevete da essa: questa è la coppa del mio sangue, Accipite et bibite ex eo omnes:hic est enim calix sanguinis mei, Take this, all of you, and drink from it: for this is the chalice of my blood, Prendete questo, tutti voi, e bevete da esso: poiché questo è il calice del mio sangue, the blood of the new and everlasting covenant. il sangue del nuovo e perenne patto. novi et aeterni testamenti, the blood of the new and eternal covenant il sangue del nuovo ed eterno patto It will be shed for you and for all so that sins may be forgiven. Sarà sparso per voi e per tutti così che i peccati possano essere perdonati. qui pro vobis et pro multis effundetur in remissionem peccatorum. which will be poured out for you and for many for the forgiveness of sins. che sarà versato per voi e per molti per il perdono dei peccati. Do this in memory of me. Fate questo in memoria di me. Hoc facite in meam commemorationem. Do this in memory of me. Fate questo in memoria di me. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 173 170-186:Layout 3 15-03-2012 9:26 Pagina 174 S tudi e commenti Tabella 9 Versione del 1973 (inglese) Versione del 1973 (traduzione) Versione latina Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Father, we celebrate the memory of Christ your Son. We, your people and your ministers, recall his passion, his resurrection from the dead, and his ascension into glory; and from the many gifts you have given us we offer to you, God of glory and majesty, Padre, noi celebriamo la memoria di Cristo tuo Figlio. Noi, tuo popolo e tuoi ministri, rievochiamo la sua passione, la sua risurrezione dai morti, e la sua ascensione nella gloria; e fra i molti doni che ci hai dato noi offriamo a te, Dio di gloria e maestà, Unde et memores, Domine, nos servi tui, sed et plebs tua sancta, eiusdem Christi filii Tui, Domini nostri, tam beatae passionis, necnon et ab inferis resurrectionis, sed et in caelos gloriosae ascensionis offerimus praeclarae maiestati tuae de tuis donis ac datis Therefore, o Lord, as we celebrate the memorial of the blessed passion, the resurrection from the dead, and the glorious ascension into heaven of Christ, your Son, our Lord, we, your servants and your holy people offer to your glorious majesty from the gifts you have given us Quindi, o Signore, mentre noi celebriamo il memoriale della beata passione, della resurrezione dai morti, e della gloriosa ascensione al cielo di Cristo, tuo Figlio, nostro Signore, noi, tuoi servi e tuo popolo santo offriamo alla tua gloriosa maestà fra i doni che ci hai dato this holy and perfect sacrifice, questo santo e perfetto sacrificio, hostiam puram, hostiam sanctam, hostiam immaculatam, this pure victim this spotless victim questa pura vittima, questa vittima immacolata the bread of life and the cup of eternal salvation. il pane della vita e la coppa dell’eterna salvezza. panem sanctum vitae aeternae et calicem salutis perpetuae. the holy bread of eternal life and the chalice of everlasting salvation. il pane santo della vita eterna e il calice della perenne salvezza. preghiera sul pane, l’inglese ha bisogno di un complemento oggetto per «gave», «diede». Cosa dire del termine «chalice»? Da quello che capisco, si ritiene che esso abbia un tono più adeguatamente solenne, e certamente alza di qualche gradino il livello della narrazione. Ma l’innalzamento potrebbe anche essere un po’ artificioso, poiché calix è una latinizzazione della parola greca kylix, che indica soltanto una «tazza per bere» e prende un sapore nobile solo quando entra nel francese antico. È mia opinione che qui «cup», «coppa», colga meglio ciò che sta avvenendo durante l’ultima cena, quando i Vangeli usano poterion, che senza dubbio è una «coppa» e non un «calice». Entrambe le versioni inglesi mettono «the blood», «il sangue», prima di «the new and eternal covenant» «il nuovo ed eterno patto», forse perché l’inglese richiede un qualche sostantivo a questo punto, ma chiaramente questa è più di una semplice traduzione del latino. La parola «new», «nuovo», viene dalle narrazioni di Paolo e Luca; ma «eternal», «eterno», che è nel latino, non è in alcuno dei racconti scritturistici. Vi è qui un’altra scelta della nuova versione che ha fatto versare fiumi d’inchiostro: quella di tradurre pro multis come «for many», «per molti», mentre la versione del 1973 ha «for all» «per tutti». Ho sentito usare la parola «eresia» a questo proposito, che ritengo sia decisamente troppo forte. Il fatto è che in realtà multis significa «many», «molti»; la difficoltà si pone se si considera ciò come un’implicazione che Gesù morì solo per alcuni, e non per tutti. Evidentemente non è così a mio modo di vedere; la lingua semitica sottostante il nostro testo usa «many» «molti» per significare «un grandissimo numero, virtualmente tutti»; e nella seconda parte di questo articolo vedremo come i nostri traduttori certamente non credono che Gesù morì solo per alcuni. Dovremmo tuttavia tenere in considerazione l’ansietà che questa traduzione ha generato, e nelle ultime settimane ho potuto osservare non pochi celebranti che, sembra di proposito, hanno conservato la formula precedente. Un’ultima cosa da dire qui è che le due versioni inglesi sono d’accordo nel tradurre il latino in meam commemorationem come «in memory of me», «in memoria di me». La frase latina raccoglie ciò che Paolo dice in 1Cor 11,25, ma forse dovrebbe 174 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 essere tradotta più precisamente come «remembrance», «rimembranza», o «reminder» «ricordo». La resa sarebbe anche più fedele al latino. Possiamo trattare abbastanza rapidamente il resto della Preghiera eucaristica I (tabella 9). Nell’Unde et memores, le due versioni inglesi partono simili: «celebrate the memory/memorial», «celebriamo la memoria/memoriale», anche se la resa avrebbe potuto essere migliore usando «mindful», «memori». Esse affrontano tuttavia in modo diverso le complessità della frase latina. La versione del 1973 la spezza in due parti, il che si adatta meglio all’inglese; la nuova versione è più fedele al periodo latino e la conserva come unica frase, e naturalmente questo la rende più difficile da pronunciare. La nuova versione è anche più fedele nel legare la «memoria» direttamente alla passione, risurrezione e ascensione di Gesù, sebbene, in accordo con il latino, l’ascensione sia descritta come gloriosa, mentre la risurrezione è «from the dead», «dai morti», invece del latino «dall’oltretomba», o anche «dagli inferi»; lo vedremo di nuovo nella Preghiera eucaristica IV. Successivamente la cosa si fa interessante: la nuova versione è più vicina al latino con «glorious Ascension», «gloriosa ascensione», contro «Ascension into glory», «Ascensione nella gloria»; e nel prosieguo della frase conserva l’ordine del latino (sebbene, come sempre, al prezzo di rendere l’inglese più difficile da pronunciare): il soggetto e il verbo principale sono tenuti insieme («servants offer», «servi offriamo»), cosa che molti anni fa a noi studenti veniva insegnato di evitare, traducendo il latino o il greco in inglese, ma forse la moda è cambiata. Poi, quando la versione 1973 ha «we offer to you, God of glory and majesty», «offriamo a te, Dio di gloria e maestà», la nuova versione propone «offer to your glorious majesty» «offriamo alla tua gloriosa maestà», che è certamente più fedele al latino. Le due versioni inglesi lottano entrambe con de tuis donis ac datis («i tuoi regali e doni»?), unendo i concetti – con quella del 1973 che si concede un’originalità aggiungendo «many», «molti» – come «gifts you have given us», «doni che ci hai dato», che non è esattamente ciò che dice il latino. In seguito, i traduttori della nuova versione semplicemente rinunciano al tentativo di seguire il latino poiché omettono (e 170-186:Layout 3 15-03-2012 9:26 Pagina 175 li comprendiamo) hostiam sanctam (presumibilmente sarebbe «holy victim», «santa vittima»). «Victim» «vittima», comunque, mi sembra un buon tentativo per tradurre hostia, e l’Antico Testamento vi risuona più che nel «sacrifice», «sacrificio», del 1973. Di nuovo, seguendo le scelte precedenti, la nuova versione dà «chalice» invece di «cup». La nuova versione (tabella 10) riesce bene nel tradurre il Supra quae propitio... «Serene and kindly countenance», «espressione serena e benigna» (che suona meglio di «kindly and serene», «benigna e serena», come potrebbe suggerire l’ordine del latino) è semplicemente omesso dalla versione 1973, che ha «with favour», «con favore». Entrambe le versioni inglesi hanno «accept», «accetta», mentre il latino potrebbe suggerire qualcosa come «regard as acceptable», «guarda come accettabile», per sottolineare che tutto è opera di Dio. Allo stesso modo sia «were pleased to accept», «ti sei compiaciuto di accettare», sia l’attestazione di Abele come «just», «giusto», restituiscono ciò che dice il latino, anche se non so bene da dove provenga «just», che non è nel racconto della Genesi su Caino e Abele. «The offering of your high priest Melchisedek», «l’offerta del tuo sommo sacerdote Melchisedek», è abbastanza accurato; la versione Tabella 10 Versione del 1973 (inglese) Versione del 1973 (traduzione) 1973 utilmente inserisce a questo punto «bread and wine», «pane e vino», per quanti non ricordano Genesi 14, che la nuova versione omette; e non è una sorpresa che la nuova versione ripristini «a holy sacrifice, a spotless victim» «un santo sacrificio, una vittima immacolata». Nel Supplices te rogamus (tabella 11) la nuova versione mantiene la frase unica del latino, che rende la traduzione difficile da pronunciare; tuttavia «in humble prayer», «in umile preghiera», non è male per Supplices. La parola haec per l’inglese richiede qualche spiegazione, e la versione 1973 ha aggiunto «this sacrifice», «questo sacrificio», mentre la nuova versione è forse più vicina con «these gifts», «questi doni», come è anche più vicina con «your altar on high», «tuo altare nell’alto»; ma, a causa della separazione in due frasi, alla versione del 1973 riesce meglio la contrapposizione che il latino fa fra i due altari. D’altro canto essa omette la nozione di «participation» «partecipazione», che appare molto importante in teologia, e forse la adombra soltanto con «sacred», «sacro», per sacrosanctum, che in realtà significa qualcosa come «stabilito o costituito santo». Ancora una volta, è a Dio che va l’attenzione. La nuova traduzione si è di nuovo presa la libertà di cambiare l’ordine. Il latino suggerirebbe «every heavenly blessing and grace» Versione latina Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Look with favour on these offerings, Guarda con favore a queste offerte, Supra quae propitio ac sereno vultu respicere digneris: Be pleased to look upon these offerings with a serene and kindly countenance Compiàciti di guardare a queste offerte con espressione serena e benigna and accept them as once you accepted e accettale come una volta accettasti et accepta habere, sicuti accepta habere dignatus es and to accept them, as once you were pleased to accept e di accettarle, come una volta ti sei compiaciuto di accettare the gifts of your servant Abel, the sacrifice of Abraham, our father in faith, and the bread and wine offered by your priest Melchisedek. i doni del tuo servo Abele, il sacrificio di Abramo, nostro padre nella fede, e il pane e il vino offerti dal tuo sacerdote Melchisedek. munera pueri tui iusti Abel, et sacrificium patriarchae nostri Abrahae et quod tibi obtulit summus sacerdos tuus Melchisedech, sanctum sacrificium, immaculatam hostiam. the gifts of your servant Abel the just, the sacrifice of Abraham, our father in faith, and the offering of your high priest Melchisedek, a holy sacrifice, a spotless victim. i doni del tuo servo Abele il giusto, il sacrificio di Abramo, nostro padre nella fede, e l’offerta del tuo sommo sacerdote Melchisedek, un santo sacrificio, una vittima immacolata. Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Tabella 11 Versione del 1973 (inglese) Versione del 1973 (traduzione) Versione latina Almighty God, we pray Onnipotente Dio, ti preghiamo Supplices te rogamus, omnipotens Deus: In humble prayer we ask you, almighty God: command In umile preghiera ti chiediamo, onnipotente Dio: that your angel may take this sacrifice to your altar in heaven. che il tuo angelo possa portare questo sacrificio al tuo altare in cielo. iube haec perferri per manus sancti Angeli tui in sublime altare tuum, in conspectu divinae maiestatis tuae; that these gifts be borne by the hands of your holy angel to your altar on high in the sight of your divine majesty, ordina che questi doni siano portati per le mani del tuo santo angelo al tuo altare nell’alto alla vista della tua divina maestà, Then, as we receive from this altar Quindi, mentre riceviamo da questo altare ut quotquot ex hac altaris participatione so that all of us, who through this participation at the altar così che tutti noi, che mediante questa partecipazione all’altare the sacred body and blood of your Son, let us be filled with every grace and blessing. il sacro corpo e sangue del tuo Figlio, fa’ che siamo colmati di ogni grazia e benedizione. sacrosanctum Filii tui corpus et sanguinem sumpserimus, omni benedictione caelesti et gratia repleamur. receive the most holy Body and Blood of your Son, may be filled with every grace and heavenly blessing. riceviamo il santissimo Corpo e Sangue del tuo Figlio, possiamo essere colmati di ogni grazia e celeste benedizione. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 175 170-186:Layout 3 15-03-2012 9:26 Pagina 176 S tudi e commenti «ogni celeste benedizione e grazia», ma per salvare i ritmi naturali dell’inglese il traduttore si è permesso «every grace and heavenly blessing», «ogni grazia e celeste benedizione», evitando così il suono troppo pesante di quel monosillabo finale. Quella che segue (tabella 12) in latino è una bella preghiera, con la sua richiesta di «un posto di ristoro, di luce e di pace» per coloro che sono morti, ma non è facile da rendere in inglese. Alla versione del 1973 è riuscita l’eco dell’Apocalisse con «marked with the sign of faith» «segnati con il segno della fede» (che però non è nel latino). In latino vi sono tre parole per «rest», «riposano», o «sleep», «dormono». La nuova versione riesce a usarle tutte e tre, ma nell’ordine sbagliato, per ragioni comprensibilissime (evitare l’uso di «sleep», «sonno/dormire», due volte nella stessa frase, come sostantivo e come verbo), e deve tradurre quiescentibus («those who rest», «quelli che riposano») come «[to] all who sleep» « [a] tutti quelli che dormono». La versione del 1973 evita il problema omettendo le prime due ricorrenze di «sleep», «dormono». La versione del 1973 cambia anche l’ordine di ciò per cui preghiamo per conto dei defunti, apparentemente a causa di come suona in inglese: «light, happiness, and peace», «luce, felicità e pace». «Happiness» è un po’ debole per refrigerium, e «refreshment», «ristoro» (nuova versione), si avvicina un po’ di più. Tabella 12 Versione del 1973 (inglese) Versione del 1973 (traduzione) Versione latina Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Remember, Lord, those who have died and have gone before us marked with the sign of faith ... Ricorda, Signore, coloro che sono morti e ci hanno preceduto segnati con il segno della fede... Memento etiam, Domine, famulorum famularumque tuarum... qui nos praecesserunt cum signo fidei et dormiunt in somno pacis. Remember also, Lord, your servants ... who have gone before us with the sign of faith and rest in the sleep of peace. Ricorda anche, Signore, i tuoi servi... che ci hanno preceduto con il segno della fede e riposano nel sonno della pace. May these and all who sleep in Christ find in your presence light, happiness and peace. Possano questi e tutti quelli che dormono in Cristo trovare alla tua presenza luce, felicità e pace. Ipsis Domine, et omnibus in Christo quiescentibus, locum refrigerii, lucis et pacis ut indulgeas deprecamur. Grant them, o Lord, we pray, and all who sleep in Christ, a place of refreshment, light and peace. Concedi loro, o Signore, ti preghiamo, e a tutti quelli che dormono in Cristo, un luogo di ristoro, luce e pace. Tabella 13 Versione del 1973 (inglese) Versione del 1973 (traduzione) Versione latina For ourselves, too ... Though we are sinners ... we ask some share ... Per noi pure... Benché siamo peccatori... chiediamo qualche parte... Nobis quoque peccatoribus famulis tuis... To us also your servants who, though sinners ... admit us, we beseech you, into their company, Anche a noi tuoi servi che, benché peccatori... ammettici, ti supplichiamo, nella loro compagnia, ... Do not consider what we truly deserve, but grant us your forgiveness. ... Non considerare ciò che veramente meritiamo, ma concedici la tua indulgenza. ... intra quorum nos consortium non aestimator meriti, sed veniae, quaesumus, largitor admitte. not weighing our merits, but granting us your pardon. non pesando i nostri meriti, ma concedendoci il tuo perdono. Tabella 14 Versione del 1973 (inglese) 176 Il Nobis quoque (tabella 13) nella versione 1973 era separato molto bene in due frasi, la seconda che inizia «Though we are sinners...», «Benché siamo peccatori...». La nuova versione ha mantenuto la struttura del latino, ma rende quasi impossibile la pronuncia in inglese. Ha ripristinato l’aggettivo «holy», «santo», per «apostles and martyrs» «apostoli e martiri», sebbene non sembri strettamente necessario. È interessante notare che sia la versione del 1973 sia la nuova identificano Giovanni come il Battista. Si argomenterà senza dubbio che in giro per la Palestina del primo secolo ci sono troppi Giovanni, ma ci si potrebbe chiedere se questa è traduzione o esegesi. Nella seconda frase della preghiera il latino ha un mirabile equilibro, intraducibile in inglese: «...non aestimator meriti... sed veniae... largitor» («non un giudice del nostro merito, ma una riserva generosa di indulgenza»), che dà risalto a Dio, non agli esseri umani. La versione del 1973 non ha affrontato la cosa; la nuova versione ha tentato senza veramente riuscire, e non gliene si può fare una colpa. Allo stesso modo intraducibile è la preghiera conclusiva del canone (tabella 14). La nuova versione è efficace, cogliendo semper... creas come «continue to make», «continui a fare», mentre quella del 1973 ha dovuto cambiare l’ordine per via di come suona in inglese. Versione del 1973 (traduzione) Versione latina Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Through him you give us all these gifts. Per mezzo di lui tu ci dai tutti questi doni. Per quem haec omnia, Domine, Through whom you continue to make all these good things, o Lord; Per mezzo del quale tu continui a fare tutte queste buone cose, o Signore; You fill them with life and goodness, you bless them and make them holy. Tu li riempi di vita e bontà, li benedici e li rendi santi. semper bona creas, sanctificas, vivificas, benedicis et praestas nobis. you sanctify them, fill them with life, bless them, and bestow them upon us. tu le santifichi, le riempi di vita, le benedici, e le elargisci a noi. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 170-186:Layout 3 15-03-2012 9:26 Pagina 177 Tabella 15 - Preghiera eucaristica II Versione del 1973 Versione del 1973 (inglese) (traduzione) Let your Spirit come upon these gifts to make them holy ... Tabella 16 Versione del 1973 (inglese) Before he was given up to death, a death he freely accepted ... Fa’ che il tuo Spirito venga sopra questi doni per renderli santi... Versione del 1973 (traduzione) Prima che fosse consegnato alla morte, una morte che egli liberamente accettò... Versione latina Haec ergo dona, quaesumus, Spiritus tui rore sanctifica... Versione latina Qui cum passioni voluntarie traderetur... La nuova versione mantiene la parola latina «sanctify», «santifichi», ma singolarmente del 1973 conserva «fill... with life», «riempi di vita», anziché optare per «vivify», «vivifichi». E «bestow» «elargisci» è un buon praestas inglese. Il nostro esame della Preghiera eucaristica I spero abbia reso evidente che tradurre è un compito difficile, più un’arte che una scienza, e che nessun traduttore resta sempre coerente ai propri principi. È chiaro che le norme fissate nella Liturgiam authenticam non sono state le uniche a guidare questa versione. Nella seconda parte di questo articolo possiamo guardare più brevemente alle altre preghiere eucaristiche. Preghiere eucaristiche da II a IV Consultando una delle prime edizioni della Bibbia di Douay-Rheims si può vedere come il versetto 3 del Salmo 121 (122 nella numerazione ebraica) reciti: «Jerusalem is built as a city, whose participation is in the self-same/whose participation is together in itself», «Gerusalemme è costruita come città, la cui partecipazione è in se stessa/la cui partecipazione è insieme in sé». Quell’ultima incomprensibile proposizione relativa fu rivista nella versione del Challoner come «a city that is compact together», «una città che è insieme compatta». Senza andare adesso a cercare le origini dell’inglese nell’ebraico attraverso il greco e il latino, può essere una dimostrazione sufficiente di come a volte una traduzione letterale del latino possa avere effetti catastrofici, e come per coglierne il significato possa essere necessario riandare alle lingue che stanno sotto il nostro latino. Ora, talvolta si argomenta che per tornare ad accostarsi all’eucaristia con la reverenza che le è dovuta è necessario ritornare all’«originale latino». Il problema di questo approccio è che il latino non era originale. Il Vangelo fu prima annunciato da Gesù nel suo dialetto nativo, l’impenetrabile aramaico della Galilea. Per poter essere trasmesso dovunque nel mondo mediterraneo (e qui non si può sottovalutare l’influenza di san Paolo), esso dovette essere tradotto in greco, e non il greco sofisticatissimo dell’Atene del V secolo, ma il comune linguaggio quotidiano che permetteva a popoli con lingue native differenti di comunicare gli uni con gli altri in tutto l’Impero romano. Fu solo a partire dal II secolo che i cristiani usarono il latino nei propri documenti ufficiali, e non era più il latino di Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Make holy, therefore, these gifts, we pray, by sending down your Spirit upon them like the dewfall ... Rendi santi, quindi, questi doni, ti preghiamo, facendo scendere il tuo Spirito su di essi come la rugiada che cade... Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) At the time he was betrayed and entered willingly into his passion ... Al tempo in cui fu tradito ed entrò volontariamente nella sua passione... Cicerone e nemmeno di Tacito, era la lingua di tutti i giorni che la gente usava per parlare con gli altri. Oggi si potrebbe pensare ad esempio al linguaggio dei tweets e a Facebook. L’equivalente moderno del latino del II secolo è l’inglese, non quello di Shakespeare e Dickens, ma l’inglese che consente ad esempio ai piloti di aerei e agli ingegneri informatici di comunicare in tutto il mondo, quale che sia la loro lingua d’origine. Per poter diventare un simile linguaggio comune, una lingua passa attraverso un certo processo. Lo vediamo con l’inglese nel nostro mondo contemporaneo, ed è ciò che accadde al latino che divenne la lingua franca dell’Europa. Diventò più semplice da padroneggiare, con una grammatica meno pressante, e con un’inevitabile perdita in eleganza e talvolta in potenza (vi fu un noto cardinale che rifiutò di recitare il breviario, allora interamente in latino, perché esso avrebbe irrimediabilmente rovinato la sua prosa ciceroniana). Se i nostri pro-pro-pronipoti ci dicessero di ritenere una «lingua sacra» il nostro inglese attuale, lo penseremmo un fatto alquanto singolare; ed è ugualmente singolare trovare chi difende l’uso del latino nella liturgia sulla base del fatto che «preserva il mistero». A volte sembrano voler dire semplicemente che «non si capisce». Con questo in mente, guardiamo alla nuova traduzione inglese delle preghiere eucaristiche dalla II alla IV. Possiamo essere più sintetici, poiché molto è già stato detto in precedenza. Notiamo (tabella 15) la relativa brevità della versione latina e della traduzione 1973 che omette la metafora della rugiada («con la rugiada del tuo Spirito»); la nuova versione ha aggiunto «sending down», «facendo scendere» lo Spirito, e ha cambiato la metafora in una similitudine, sacrificando in concisione. C’è chi ha fatto obiezione a «dewfall» «rugiada che cade», ma immagino che i traduttori desiderassero evitare il rischio di confondere la parola «dew» con altre di simile pronuncia come «due», «dovuto», o «Jew», «ebreo». L’introduzione alle parole dell’istituzione è riportata nella tabella 16. Il latino qui significa qualcosa come «il quale, quando di sua libera volontà veniva consegnato alla sofferenza». La versione 1973 ha letto «sofferenza» come «morte», che non è necessariamente sbagliato. La nuova versione non usa l’apposizione, e produce una traduzione ammirevolmente breve. Il traduttore ha aggiunto «and entered», «ed entrò», che può IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 177 170-186:Layout 3 15-03-2012 9:26 Pagina 178 S tudi e commenti Tabella 17 Versione del 1973 (inglese) Versione del 1973 (traduzione) Versione latina Nuova versione (traduzione) In memory of this death and resurrection, we offer you, Father ... In memoria della sua morte e risurrezione, ti offriamo, Padre... Memores igitur mortis et resurrectionis eius, tibi, Domine... Therefore as we celebrate the memorial of his death and resurrection, we offer you, Lord ... Quindi mentre celebriamo il memoriale della sua morte e risurrezione, ti offriamo, Signore... We thank you for counting us worthy to stand in your presence and serve you ... Ti ringraziamo di considerarci degni di stare in piedi alla tua presenza e servirti... gratias agentes quia nos dignos habuisti astare coram te et tibi ministrare. giving thanks that you have held us worthy to be in your presence and minister to you. rendendo grazie perché ci hai ritenuti degni di essere alla tua presenza e renderti culto. May all of us who share in the body and blood of Christ be brought together in unity by the Holy Spirit. (Fa’ che) Possiamo tutti noi che condividiamo il corpo e il sangue di Cristo essere portati insieme in unità dallo Spirito Santo. Et supplices deprecamur ut corporis et sanguinis Christi participes a Spiritu Sancto congregemur in unum. Humbly we pray that, partaking of the body and blood of Christ, we may be gathered into one by the Holy Spirit. Umilmente ti preghiamo che, prendendo parte al corpo e il sangue di Cristo possiamo essere radunati in uno dallo Spirito Santo. Versione del 1973 (traduzione) Versione latina Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Tabella 18 Versione del 1973 (inglese) Remember our brothers and sisters who have gone to their rest in the hope of rising again; Ricorda i nostri fratelli e sorelle che sono andati al loro riposo nella speranza di sorgere ancora; Memento etiam fratrum nostrorum qui in spe resurrectionis dormierunt, omniunque in tua miseratione defunctorum, Remember also our brothers and sisters who have fallen asleep in the hope of the resurrection, and all who have died in your mercy: Ricorda anche i nostri fratelli e sorelle che sono caduti addormentati nella speranza della risurrezione, e tutti quelli che sono morti nella tua misericordia: bring them and all the departed into the light of your presence. porta loro e tutti i defunti nella luce della tua presenza. et eos in lumen vultus tui admitte. welcome them into the light of your face. accoglili nella luce del tuo volto. Tabella 19 Versione del 1973 (inglese) ... make us worthy to share eternal life ... Versione del 1973 (traduzione) ... rendici degni di condividere la vita eterna... Versione latina ... aeternae vitae mereamur esse consortes... aiutare la comprensione, ma non è nell’originale; ma più goffamente ha usato «betray», «tradire» per un verbo che nella narrazione dell’istituzione sta per tradurre come «given up», «consegnato». Si tratta di un punto importante: la parola greca che sta sotto il latino potrebbe significare «tradire», che è il modo in cui è stata normalmente compresa. Ma potrebbe anche significare «passare, consegnare», il che solleva la questione del ruolo di Giuda nella morte di Gesù. Forse il traduttore sta cercando di salvaguardare tutto traducendo lo stesso verbo in due modi diversi, il che tuttavia può confondere quando questi sono presenti nella stessa frase. Come spesso altrove, nel brano successivo (tabella 17) la versione 1973 spezza in due la singola frase latina, il che rende l’inglese più scorrevole. Il «celebrate the memorial», «celebriamo il memoriale», della nuova versione non è esattamente memores... mortis et resurrectionis, ma vi si accosta maggiormente della versione del 1973, dove «in memory», «in memoria», fa della risurrezione un evento più remoto di quanto il cristianesimo ortodosso potrebbe accettare; forse «mindful», «memori», avrebbe risolto il problema. La nuova versione è corretta, avendo «Lord», «Signore», non il «Father», «Padre» del 1973 (e so per esperienza quanto 178 Nuova versione (inglese) IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 Nuova versione (inglese) ... we may merit to be coheirs to eternal life ... Nuova versione (traduzione) ... possiamo meritare di essere coeredi della vita eterna... sia facile commettere quest’errore traducendo). È interessante vedere ancora una volta la nuova versione riluttante a rappresentare l’assemblea «standing», «in piedi», durante preghiera eucaristica, preferendo «be in your presence», «essere alla tua presenza», per astare coram te, mentre la versione del 1973 lo traduce correttamente. I nuovi traduttori avrebbero potuto seguire il 1973 anche traducendo ministrare con «serve», «servire», piuttosto che con «minister», «renderti culto». È vero che «minister» significa «serve», è vero anche che segue la radice latina, ma in inglese la parola ha forse un sapore troppo cultuale per restituire ciò che il latino sembra dire. Al termine della preghiera, tuttavia, la nuova versione è corretta, traducendo congregemur in unum con «we may be gathered into one», «possiamo essere raccolti in uno». Nel brano successivo (tabella 18) la nuova versione ha colto molti aspetti dell’originale, e ha anche introdotto un insolito tocco di linguaggio inclusivo («brothers and sisters», «fratelli e sorelle»). «Fallen asleep», «caduti addormentati», è leggermente meglio, a mio giudizio, di «gone to their rest», «andati al loro riposo», e «died in your mercy», «morti nella tua misericordia» riprende molto bene il latino. E mi piace particolarmente «welcome them into the light of your face», «accoglili nella luce del tuo volto» per eos in lumen vultus tui 170-186:Layout 3 15-03-2012 9:26 Pagina 179 admitte, sebbene la versione 1973 avesse colto il significato dell’espressione ebraica sottostante il latino. Tutto questo rende più sconcertante la conclusione della preghiera (tabella 19). Il latino qui significa qualcosa come «possiamo meritare di condividere la vita eterna». «Merit to be co-heirs» è praticamente impossibile da dire ad alta voce, non suona inglese, e non coglie realmente ciò che dice il latino. È un triste modo di terminare la bella Preghiera eucaristica II. La Preghiera eucaristica III (tabella 20) nella nuova versione a mio parere comincia veramente molto bene. La nuova versione corregge «Father», «Padre», con «Lord», «Signore», e cambia «all creation», «tutta la creazione», in «all you have created», «tutto ciò che hai creato»; questo è un po’ più vicino al latino, che significa qualcosa come «l’intera creazione da te fondata», anche se il traduttore ha conservato «rightly gives you praise», «giustamente ti rende lode», del 1973 per «meritatamente ti loda». «By the power and working of the Holy Spirit», «per potenza e opera dello Spirito Santo», non è male per Spiritus Sancti operante virtute; e mi piace «you give life to all things and make them holy», «tu dai vita a tutte le cose e le rendi sante», per vivificas et stanctificas universa, che è più vicino che «all life, all holiness comes from you», «tutta la vita, tutta la santità vengono da te»; universa non è facile da rendere in inglese. Tabella 20 - Preghiera eucaristica III Versione del 1973 Versione del 1973 (inglese) (traduzione) Mi è sempre piaciuto come suona «from age to age you gather...», «di età in età tu raduni...», ma devo ammettere che non coglie il latino bene come «you never ceases to gather...», «mai cessi di radunare...». «From the rising of the sun to its setting», «dal sorgere del sole al suo tramonto» è preferibile a «from east to west», «da Oriente a Occidente», e mi ha fatto felice vedere che il traduttore ha resistito alla tentazione di tradurre oblatio con «oblation», «oblazione»: «a pure sacrifice», «un sacrificio puro», funziona molto bene, e nel momento in cui questo testo sarà rivisto, si potrebbe suggerire ai revisori di usare il comando «Sostituisci tutto» del computer per rimuovere tutte le ricorrenze di «oblation», «oblazione». Nel Supplices ergo te rogamus (tabella 21) la nuova versione ha vinto la tentazione di usare «sanctify», «santificare» (che è la pratica normale), e ha scelto il più autentico inglese «make holy» «rendere santo»; «for consecration», «per la consacrazione», probabilmente coglie sacranda leggermente meglio, e ugualmente penso che in ogni caso sia preferibile «mysteries», «misteri», a «eucaristia», anche se comprendo perché vi sia chi lo respinge. Vi è poi (tabella 22) un piccolo problema; la nuova versione correttamente traduce il pronome enfatico ipse con «he himself», «egli stesso», senza aggiungere veramente nulla al significato, ma stranamente segue il 1973 traducendo il tempo imperfetto come «he was betrayed», «fu tradito», piuttosto che Versione latina Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Father, you are holy indeed, Padre, tu sei santo veramente, Vere sanctus es, Domine, You are indeed holy, o Lord, Tu sei veramente santo, o Signore, and all creation rightly gives you praise. e tutta la creazione giustamente ti rende lode. et merito te laudat omnis a te condita creatura, and all you have created rightly gives you praise, e tutto ciò che hai creato giustamente ti rende lode, All life, all holiness comes from you through your Son, Jesus Christ our Lord, Tutta la vita, tutta la santità vengono da te mediante tuo Figlio, Gesù Cristo nostro Signore, quia per Filium tuum, Dominum nostrum Iesum Christum, for through your Son our Lord Jesus Christ, poiché mediante tuo Figlio nostro Signore Gesù Cristo, by the working of the Holy Spirit. per opera dello Spirito Santo. Spiritus Sancti operante virtute, by the power and working of the Holy Spirit per potenza e opera dello Spirito Santo From age to age you gather a people to yourself, so that from east to west a perfect offering may be made to the glory of your name. Di età in età tu raduni un popolo a te così che da Oriente a Occidente un’offerta perfetta possa essere fatta a gloria del tuo nome. vivificas et sanctificas universa, et populum tibi congregare non desinis, ut a solis ortu usque ad occasum oblatio munda offeratur nomini tuo. you give life to all things and make them holy, and you never cease to gather a people to yourself, so that from the rising of the sun to its setting a pure sacrifice may be offered to your name. tu dai vita a tutte le cose e le rendi sante, e mai cessi di radunare un popolo a te, così che dal sorgere del sole al suo tramonto un sacrificio puro possa essere offerto al tuo nome. Versione del 1973 (traduzione) Versione latina Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Tabella 21 Versione del 1973 (inglese) And so, Father, we bring you these gifts. E dunque, Padre, ti portiamo questi doni. Supplices ergo te, Domine, Therefore, o Lord, we humbly implore you: Quindi, o Signore, umilmente ti imploriamo: We ask you to make them holy by the power of your Spirit ... at whose command we celebrate this eucharist. Ti chiediamo di renderli santi per la potenza del tuo Spirito... al cui comando celebriamo questa eucaristia. deprecamur ut haec munera, quae tibi sacranda detulimus, eodem Spiritu sanctificare digneris... cuius mandato haec mysteria celebramus. by the same Spirit graciously make holy these gifts we have brought to you for consecration ... at whose command we celebrate these mysteries. per lo stesso Spirito benevolmente rendi santi questi doni che abbiamo portato a te per la consacrazione... al cui comando celebriamo questi misteri. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 179 170-186:Layout 3 15-03-2012 9:26 Pagina 180 S tudi e commenti Tabella 22 Versione del 1973 (inglese) On the night he was betrayed, he took bread ... Versione del 1973 (traduzione) Nella notte in cui fu tradito, egli prese del pane... Tabella 23 Versione del 1973 (inglese) Father, calling to mind the death your Son endured for our salvation, his glorious resurrection and ascension into heaven, and ready to greet him when he comes again, we offer you in thanksgiving this holy and living sacrifice. Versione del 1973 (traduzione) Padre, chiamando alla mente la morte che tuo Figlio ha sopportato per la nostra salvezza, la sua gloriosa risurrezione e ascensione al cielo, e pronti a riceverlo quando ritorna, ti offriamo in rendimento di grazie questo santo e vivente sacrificio. Tabella 24 Versione del 1973 (inglese) Look with favour on your Church’s offering, and see the victim whose death has reconciled us to yourself. Grant that we ... may become one body, one spirit ... Versione del 1973 (traduzione) Guarda con favore all’offerta della tua Chiesa, e vedi la vittima la cui morte ci ha riconciliati con te stesso. Concedi che noi... possiamo diventare un corpo, uno spirito... Versione latina Ipse enim in qua nocte tradebatur, accepit panem... Versione latina Memores igitur, Domine, eiusdem Filii tui salutiferae passionis necnon mirabilis resurrectionis et ascensionis in caelum, sed et praestolantes alterum eius adventum, offerimus tibi, gratias referentes, hoc sacrificium vivum et sanctum. Versione latina Respice, quaesumus, in oblationem Ecclesiae tuae et, agnoscens hostiam, cuius voluisti immolatione placari, concede ut... unum corpus et unus spiritus inveniamur... «he was being betrayed» (o «handed over»), «veniva tradito» (o «consegnato»). Per una volta (tabella 23), entrambe le traduzioni inglesi sono un po’ più brevi dell’originale latino. La nuova versione pare un po’ impacciata nella traduzione di parole relativamente poco importanti come igitur, ma abbastanza inesatta traducendo memores in modo sovraccarico come «we celebrate the memorial», «celebriamo il memoriale», e salutiferae come «saving», «salvifica», sebbene qui «wondrous», «mirabile», sia probabilmente più accurato del «glorious» del 1973 per mirabilis. Va detto che naturalmente «glorious», «gloriosa», suona meglio nell’inglese contemporaneo. Non mi convince «as we look forward», «mentre attendiamo», per praestolantes, per cui sarebbe stato meglio qualcosa come «stand ready for», «stiamo (in piedi) pronti per», non così lontano dal «ready to greet», «pronti a riceverlo», del 1973. Nella parte successiva (tabella 24), nella nuova versione qualcosa è andato proprio storto. Per il latino respice dovremmo avere qualcosa come «look carefully», «guarda attentamente», e la versione del 1973 ci va un po’ più vicino. «Oblation», «oblazione», non è realmente necessario; come abbiamo già visto, i traduttori altrove lo rendono volentieri con «offering», «offerta». La maggiore difficoltà sta nella teologia del testo latino, un po’ inquietante, la quale suggerisce un Dio dal brutto carattere che chiede sangue, in una proposizione che alla lettera potrebbe essere resa come «riconoscendo il sacrificio 180 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 Nuova versione (inglese) For on the night he was betrayed, he himself took bread ... Nuova versione (traduzione) Poiché la notte in cui fu tradito, egli stesso prese del pane... Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Therefore, o Lord, as we celebrate the memorial of the saving passion of your Son, his wondrous resurrection and ascension into heaven, and as we look forward to his second coming, we offer you in thanksgiving this holy and living sacrifice. Quindi, o Signore, mentre celebriamo il memoriale della salvifica passione del tuo Figlio, della sua mirabile risurrezione e ascensione al cielo, e mentre attendiamo la sua seconda venuta, ti offriamo in rendimento di grazie questo santo e vivente sacrificio. Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Look, we pray, upon the oblation of your Church, and, recognising the sacrifical victim by whose death you willed to reconcile us to yourself, grant that we ... may become one body, one spirit ... Guarda, ti preghiamo all’oblazione della tua Chiesa, e, riconoscendo la vittima sacrificale per la cui morte tu volesti riconciliarci con te stesso, concedi che noi... possiamo diventare un corpo, uno spirito... dalla cui immolazione tu volesti essere placato». Altra difficoltà è che la lunga frase latina, sottilmente articolata con attenta subordinazione, in inglese semplicemente non funziona, e il participio «recognising», «riconoscendo», non riesce ad avere in inglese l’effetto che agnoscens ha in latino. In questo riesce molto meglio la versione del 1973 con «and see», «e vedi». E «we may become», «possiamo diventare», che è la scelta sia del 1973 sia della nuova versione, in realtà non funziona per inveniamur, che ha un’inflessione in qualche modo simile al se trouver francese. Ma mi pare che non lo si potrebbe tradurre neanche come «we may be found», «possiamo essere trovati». La nuova versione (tabella 25) ha «make of us», «fare di noi», per nos perficiat, anche se non è chiaro il motivo, e blandamente traduce valeamus come «we may», «possiamo», che non vale «enable us», «metterci in grado», del 1973. La pletora di aggettivi, presi pari pari dal latino, in inglese non funziona, e non aggiunge nulla al significato. In modo un po’ singolare, la parola latina perpetuo sembra essere tradotta due volte, come «constant», «costante», e come «unfailing», «infallibile». Forse è un modo per salvare capra e cavoli. Nella nuova versione successivamente (tabella 26) ci sono delle buone scelte. «Sacrifice of reconciliation», «sacrificio di riconciliazione», traduce abbastanza bene il latino, sebbene normalmente la nuova versione opti per «sacrifical victim», «vittima sacrificale», per il latino hostia. In effetti al «which has made our peace with you», «che ha fatto la nostra pace 170-186:Layout 3 15-03-2012 9:26 Pagina 181 con te», del 1973 riesce molto bene la metafora della riconciliazione. Chi si preoccupa del «for many», «per molti», nelle parole dell’istituzione, temendo che possa limitare il piano di salvezza di Dio ad alcuni soltanto, qui tirerà un sospiro di sollievo alla traduzione di proficiat ... ad totius mundi pacem atque salutem in «advance the peace and salvation of all the world», «fare procedere la pace e la salvezza di tutto il mondo». È interessante che i traduttori della nuova versione Tabella 25 Versione del 1973 (inglese) May he make us an everlasting gift to you and enable us to share in the inheritance of your saints, with Mary, the virgin mother of God; with the apostles, the martyrs ... on whose constant intercession we rely for help. Tabella 26 Versione del 1973 (inglese) Versione del 1973 (traduzione) Possa egli renderci un perenne dono a te e metterci in grado di condividere l’eredità dei tuoi santi, con Maria, la vergine madre di Dio, con gli apostoli, i martiri... sulla cui costante intercessione noi contiamo per aiuto. Versione del 1973 (traduzione) qui siano rimasti fedeli a quella del 1973, come hanno fatto anche con la bella immagine di «your pilgrim Church on earth» «tua Chiesa pellegrina sulla terra», che invece, per rendere giustizia al participio presente, avrebbero potuto correggere in «your Church as it makes its prilgrimage on earth», «tua Chiesa mentre compie il suo pellegrinaggio sulla terra». Molti osservatori hanno espresso irritazione per l’importanza data ai vescovi, in un momento in cui questi non godono di grande popolarità; «the Order of Bishops», «l’ordine Versione latina Ipse nos perficiat munus aeternum, ut cum electis tuis hereditatem consequi valeamus, cum beatissima virgine, Dei genetrice, Maria, cum beatis apostolis tuis et gloriosis martyribus... quorum intercessione perpetuo apud te confidimus adiuvari. Versione latina Nuova versione (inglese) May he make of us an eternal offering to you, so that we may obtain an inheritance with your elect, especially with the most blessed virgin Mary, mother of God, with your blessed apostles and glorious martyrs ... on whose constant intercession in your presence we rely for unfailing help. Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Possa egli fare di noi un’eterna offerta a te, così che possiamo ottenere un’eredità con i tuoi eletti, specialmente con la beatissima vergine Maria, madre di Dio, con i tuoi beati apostoli e gloriosi martiri... sulla cui costante intercessione alla tua presenza noi contiamo per infallibile aiuto. Nuova versione (traduzione) Lord, may this sacrifice, which has made our peace with you, advance the peace and salvation of all the world. Signore, possa questo sacrificio, che ha fatto la nostra pace con te, fare procedere la pace e la salvezza di tutto il mondo. Haec hostia nostrae reconciliationis proficiat, quaesumus, Domine, ad totius mundi pacem atque salutem. May this sacrifice of our reconciliation, we pray, o Lord, advance the peace and salvation of all the world. Possa questo sacrificio della nostra riconciliazione, ti preghiamo, o Signore, fare procedere la pace e la salvezza di tutto il mondo. Strengthen in faith and love your pilgrim Church on earth, your servants ... and all the bishops, with the clergy and the entire people your Son has gained for you. Rafforza nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra, i tuoi servi... e tutti i vescovi, con il clero e l’intero popolo che tuo Figlio ha guadagnato per te. Ecclesiam tuam, peregrinantem in terra, in fide et caritate firmare digneris cum famulis tuis... cum episcopali ordine et universo clero et omni populo acquisitionis tuae. Be pleased to confirm in faith and charity your pilgrim Church on earth, with your servants ... the Order of Bishops, all the clergy, and the entire people you have gained for your own. Compiàciti di confermare nella fede e nella carità la tua Chiesa pellegrina sulla terra, con i tuoi servi... l’Ordine dei Vescovi, tutto il clero, e l’intero popolo che hai guadagnato per te stesso. Tabella 27 Versione del 1973 (inglese) Versione del 1973 (traduzione) Versione latina Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Father, hear the prayers of the family you have gathered here before you. Padre, ascolta le preghiere della famiglia che hai radunato qui davanti a te. Votis huius familiae, quam tibi astare voluisti, adesto propitius. Listen graciously to the prayers of this family, whom you have summoned before you: Ascolta benevolmente le preghiere di questa famiglia, che hai convocato davanti a te: In mercy and love unite all your children wherever they may be. Nella misericordia e nell’amore unisci tutti i tuoi figli dovunque possano essere. Omnes filios tuos ubique dispersos tibi, clemens Pater, miseratus coniunge. in your compassion, o merciful Father, gather to yourself all your children scattered throughout the world. nella tua compassione, o misericordioso Padre, raduna a te tutti i tuoi figli sparsi in tutto il mondo. Welcome into your kingdom our departed brothers and sisters, and all who have left this world in your friendship. Accogli nel tuo regno i nostri fratelli e sorelle defunti, e tutti quelli che hanno lasciato questo mondo nella tua amicizia. Fratres nostros defunctos et omnes qui, tibi placentes, ex hoc saeculo transierunt, in regnum tuum benignus admitte, To our departed brothers and sisters and to all who were pleasing to you at their passing from this life, give kind admittance to your kingdom. Ai nostri fratelli e sorelle defunti e a tutti quelli che erano graditi a te al loro passaggio da questa vita, dai benigna ammissione nel tuo regno. We hope to enjoy forever the vision of your glory ... Speriamo di godere per sempre la visione della tua gloria... ubi fore speramus, ut simul gloria tua perenniter satiemur... There we hope to enjoy forever the fullness of your glory ... Là speriamo di godere per sempre la pienezza della tua gloria... IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 181 170-186:Layout 3 15-03-2012 9:26 Pagina 182 S tudi e commenti dei vescovi», pare un po’ troppo «sbattuto in faccia», come dicono a New York, e forse le minuscole («the order of bishops») aiuterebbero a stemperare l’irritazione. «The entire people you ave gained for your own», «l’intero popolo che hai guadagnato per te stesso» è meglio del 1973, e più vicino alla metafora veterotestamentaria del popolo di Dio. «Listen graciously», «ascolta benevolmente» (tabella 27) non è troppo male per adesto propitius, che dovrebbe significare qualcosa come «sii benignamente presente» o «sii benigno e attento». Vi è di nuovo riluttanza di fronte all’antica idea dell’assemblea che sta in piedi durante la preghiera eucaristica, poiché il latino dovrebbe significare «che hai desiderato che stessero in piedi alla tua presenza», ma è stato ridotto a «whom you have summonned before you», «che hai convocato davanti a te». È bene notare che filios e fratres sono correttamente tradotti «children», «figli», e «brother and sisters», «fratelli e sorelle», quando la tentazione avrebbe potuto essere quella di optare per una resa più esclusivamente maschile. Ubique dispersos, che significa «sparsi ovunque», è divenuto «scattered throughout the world», «sparsi in tutto il mondo», che è probabilmente corretto, sebbene il «wherever they may be», «dovunque possano essere» del 1973 colga la stessa idea. Nella frase conclusiva di questa preghiera si arriva a capire ciò a cui miravano i traduttori ponendo all’inizio quel «departed brothers and sisters», «fratelli e sorelle defunti», nello stesso luogo dove si trova in latino, ma ciò significa che il sinTabella 28 - Preghiera eucaristica IV Versione del 1973 Versione del 1973 (inglese) (traduzione) 182 tagma inglese introdotto dalla preposizione sta reggendo un peso impossibile, con «to» che barcolla sotto l’immenso peso del resto della frase. A mio parere «all who were pleasing to you at their passing from this life», «tutti quelli che erano graditi a te al loro passaggio da questa vita», è meglio di «all who have left this world in your friendship» «tutti quelli che hanno lasciato questo mondo nella tua amicizia». «Give kind admittance», «dài benigna ammissione», ha un bel suono per benignus admitte, ma la frase successiva è davvero spinosa da volgere in inglese, e nessuna delle versioni ci riesce: «Where we hope to be, in order that down the years we may be abundantly sated by your glory», «dove speriamo di essere, affinché nel corso degli anni possiamo essere abbondantemente saziati dalla tua gloria», è una brutale e legnosa traduzione letterale, che vuole solo mostrare sia ciò a cui mirano le due versioni inglesi, sia l’impossibilità di qualunque traduzione. Eccoci ora (tabella 28) alla Preghiera eucaristica IV, la più bella e la più scritturistica fra quelle che ci sono state date nel 1973. Contiene alcuni problemi interessanti, come l’uso di homo che significa l’«essere umano»: lo si tradurrà come «man», «uomo», oppure come «humanity», «umanità», oppure «men and women», «uomini e donne», o è meglio usare qualche eufemismo più o meno elegante? Qui e poco oltre la nuova versione dà «Father most holy» «Padre santissimo» per Pater sancte, presumibilmente per il fatto che suona meglio in inglese (e vi sono altre parti in cui Versione latina Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Father, we acknowledge your greatness: all your actions show your wisdom and love. Padre, noi riconosciamo la tua grandezza: tutte le tue azioni mostrano la tua saggezza e il tuo amore. Confitemur tibi, Pater sancte, quia magnus es et omnia opera tua in sapientia et caritate fecisti. We give you praise, Father most holy, for you are great and you have fashioned all your works in wisdom and in love. Ti rendiamo lode, Padre santissimo, poiché tu sei grande e hai modellato tutte le tue opere nella saggezza e nell’amore. You formed man in your own likeness and set him over the whole world to serve you, his Creator, and to rule over all creatures. Tu formasti l’uomo a tua stessa somiglianza e lo ponesti sul mondo intero per servire te, suo Creatore e governare su tutte le creature. Hominem ad tuam imagine condidisti, eique commisisti mundi curam universi, ut tibi soli Creatori serviens, creaturis omnibus imperaret. You formed man in your own image and entrusted the whole world to his care, so that serving you alone, the Creator, he might have dominion over all creatures. Tu formasti l’uomo a tua stessa immagine e affidasti il mondo intero alla sua cura, così che servendo te solo, il Creatore, egli potesse avere dominazione su tutte le creature. Even when he disobeyed you and lost your friendship you did not abandon him to the power of death, but helped all men to seek and find you. Anche quando egli ti disobbedì e perse la tua amicizia non lo abbandonasti al potere della morte, ma aiutasti tutti gli uomini a cercarti e trovarti. Et cum amicitiam tuam, non oboediens, amisisset, non eum dereliquisti in mortis imperio. Omnibus enim misericorditer subvenisti, ut te quaerentes invenirent. And when through disobedience he had lost your friendship, you did not abandon him to the domain of death. For you came in mercy to the aid of all, so that those who seek might find you. E quando attraverso la disobbedienza aveva perduto la tua amicizia, tu non lo abbandonasti al dominio della morte, poiché tu venisti nella misericordia in aiuto di tutti, così che coloro che cercano possano trovarti. Again and again you offered a covenant to man, and through the prophets taught him to hope for salvation. Molte volte tu offristi un patto all’uomo, e attraverso i profeti gli insegnasti a sperare nella salvezza. Sed et foedera pluries hominibus obtulisti eosque per prophetas erudisti in expectatione salutis. Time and again you offered them covenants and through the prophets taught them to look forward to salvation. Diverse volte offristi a loro patti e attraverso i profeti insegnasti loro a restare in attesa della salvezza. Father, you so loved the world that in the fullness of time you sent your only Son to be our Saviour. Padre, tanto amasti il mondo che nella pienezza del tempo mandati il tuo unico Figlio per essere il nostro Salvatore. Et sic, Pater sancte, mundum dilexisti, ut, completa plenitudine temporum, Unigenitum tuum nobis mitteres Salvatorem. And you so loved the world, Father most holy, that in the fullness of time you sent your only begotten Son to be our Saviour. E tanto amasti il mondo, Padre santissimo, che nella pienezza del tempo mandasti il tuo solo unigenito Figlio per essere nostro Salvatore. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 170-186:Layout 3 15-03-2012 Tabella 29 Versione del 1973 (inglese) 9:26 Pagina 183 Versione del 1973 (traduzione) Versione latina He was conceived through the power of the Holy Spirit and born of the virgin Mary, a man like us in all things but sin. Egli fu concepito mediante il potenza dello Spirito Santo e nacque dalla vergine Maria, un uomo come noi in tutte le cose fuorché il peccato. To the poor he proclaimed the good news of salvation, to prisoners, freedom, and to those in sorrow, joy. In fulfilment of your will, he gave himself up to death; but by rising from the dead he destroyed death and restored life. Tabella 30 Versione del 1973 (inglese) Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Qui, incarnatus de Spiritu Sancto et natus ex Maria virgine, in nostra condicionis forma est conversatus absque peccato... Made incarnate by the Holy Spirit and born of the virgin Mary, he shared our human nature in all things but sin. Fatto incarnare dallo Spirito Santo e nato dalla vergine Maria, condivise la nostra umana natura in tutte le cose fuorché il peccato. Ai poveri proclamò la buona notizia della salvezza, ai prigionieri la libertà, e a quelli nella sofferenza, la gioia. A compimento della tua volontà egli diede se stesso alla morte; Salutem evangelizavit pauperibus, redemptionem captivis, maestis corde laetitiam. Ut tuam vero dispensationem impleret, in mortem tradidit semetipsum To the poor he proclaimed the good news of salvation, to prisoners, freedom, and to the sorrowful of heart, joy. To accomplish your plan, he gave himself up to death, Ai poveri proclamò la buona notizia della salvezza, ai prigionieri la libertà, e ai sofferenti nel cuore, la gioia. Per realizzare il tuo progetto, egli diede se stesso alla morte, ma nel risorgere dai morti distrusse la morte e ristabilì la vita. ac, resurgens a mortuis, mortem destruxit vitamque renovavit. and, rising from the dead, he destroyed death and restored life. e, risorgendo dai morti, distrusse la morte e ristabilì la vita. Versione del 1973 (traduzione) Versione latina Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) And that we might live no longer for ourselves but for him, he sent the Holy Spirit from you, Father, as his first gift to those who believe, to complete his work on earth E affinché possiamo vivere non più per noi stessi ma per lui, mandò lo Spirito Santo da te, Padre, come suo primo dono a coloro che credono, per completare la sua opera sulla terra Et, ut non amplius nobismetipsis viveremus, sed sibi qui pro nobis mortuus est atque surrexit, a te, Pater, misit Spiritum Sanctum primitias credentibus, qui, opus suum in mundo perficiens, And that we might live no longer for ourselves but for him who died and rose again for us, he sent the Holy Spirit from you, Father, as the first fruits for those who believe, so that, bringing to perfection his work in the world, E affinché possiamo vivere non più per noi stessi ma per lui che morì e risuscitò per noi, egli mandò lo Spirito Santo da te, Padre, come i primi frutti per coloro che credono, così che, portando a perfezione la sua opera nel mondo, and bring us the fullness of grace. e portarci la pienezza di grazia. omnem sanctificationem compleret. he might sanctify Creation to the full. egli possa santificare la Creazione in pienezza. si vorrebbe che tale criterio fosse stato maggiormente utilizzato). Nella frase seguente la versione del 1973 coglie tutti gli elementi del latino, ma è interessante che la nuova versione abbia «you have fashioned all your works in wisdom and in love», «hai modellato tutte le tue opere nella saggezza e nell’amore», dove il tono di «fashioned», «modellato», è forse un gradino più alto di quello di fecisti; e colpisce che la nuova versione, che altrove insiste su «charity», «carità», qui traduce caritate come «nell’amore». Quando si arriva alla questione del linguaggio inclusivo, entrambe le versioni traducono hominem come «man», «uomo», sebbene la nuova versione si redima passando abbastanza bruscamente a «all», «tutti», e a «them», «loro», mentre il latino offre il plurale hominibus. È una questione spinosa, e molti celebranti (incluso, va detto, il sottoscritto) semplicemente non sono capaci di dire «uomo» quando la preghiera si riferisce alla razza umana, così che forse sarebbe stato meglio offrire un termine più neutro come genere. Tuttavia, va dato credito alla nuova versione di aver resistito alla tentazione di usare un linguaggio esclusivo in «so that those who seek might find you», «così che coloro che cercano possano trovarti», e «taught them to look forward to salvation», «insegnasti loro ad attendere la salvezza». «Entrusted the whole world to his care», «affidasti il mondo intero alla sua cura», è molto meglio per eique commisisti mundi curam universi che «set him over the whole world», «lo ponesti sul mondo intero»; e «so that serving you alone, the Creator, he might have dominion over all creatures», «così che servendo te solo, il Creatore, egli potesse avere dominazione su tutte le creature», è corretto per ut tibi soli creatori serviens, creaturis omnibus imperaret. Di questi tempi ci viene richiesto molto opportunamente di riprovare l’idea che l’umanità abbia licenza di fare ciò che vuole con il pianeta; e qui ciò che limita la nostra libertà è l’insistenza, non così esplicita nella versione del 1973, sul fatto che dobbiamo servire Dio solo. Se comprendiamo correttamente, quindi, non abbiamo diritti illimitati su ciò che Dio ci ha dato; non possiamo, ad esempio, semplicemente servire i nostri appetiti. «When through disobedience he had lost your friendship», «e quando attraverso la disobbedienza aveva perduto la tua amicizia», coglie meglio che nel 1973 l’impatto del participio presente latino (non oboediens) sul verbo principale; ed è un tocco gradevole nella nuova versione che ripeta la radice «dominion... domain» «dominazione... dominio» per l’assonanza latina imperaret... imperio. Pluries è tradotto, non senza ragione, come «time and again» «più volte», contro «again and again», «ripetutamente», del 1973, sebbene non vi sia molto da scegliere fra queste versioni. Ammesso che i fedeli comprendano la frase «made incarnate», «fatto incarnare» (tabella 29), la nuova versione è più vicina al latino che nel 1973, sebbene de Spiritu Sancto non sia né «by», «dallo», né «through the power of», «mediante la IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 183 170-186:Layout 3 15-03-2012 9:26 Pagina 184 S tudi e commenti potenza dello». Ma «shared your human nature in all things but sin» «condivise la nostra umana natura in tutte le cose fuorché il peccato» è eccellente per cogliere l’eco scritturistica del latino. Gran parte della nuova versione a questo punto sembra di fatto una revisione del 1973, con la modifica in «sorrowful of heart», «sofferenti nel cuore» che tiene il testo più vicino all’originale. È bello notare che entrambe le versioni inglesi evitano di usare la metafora obsoleta di «redemption», «redenzione», il cui collegamento con il riscatto degli schiavi è ora dimenticato dai più. Va detto che «to accomplish your plan», «per realizzare il tuo progetto», è meglio di «in fulfilment of your will», «a compimento della tua volontà»: la versione del 1973 induce troppo a ritenere che Dio condanni a morte suo Figlio, mentre la nuova colloca l’abbandono di Gesù alla morte nel grande orizzonte della storia della salvezza. La versione del 1973, d’altro canto, è leggermente preferibile nella sua traduzione del participio presente resurgens come «by rising», «nel risorgere», dando risalto al contributo di Gesù alla distruzione della morte. In questa parte della preghiera la nuova versione ha ripristinato l’importante elemento «lui che morì e risuscitò per noi», sebbene non colga del tutto la forza riflessiva di sibi, forse intraducibile. E in questa stessa parte «first fruits», «primi frutti», è meglio per primitias di «first gift», «primo dono». Due altri cambiamenti segnano un miglioramento rispetto al 1973, senza raggiungere del tutto la forza del latino: «bringing to perfection his work in the world», «portando a perfezioTabella 31 Versione del 1973 (inglese) Father, may this Holy Spirit sanctify these offerings ... as we celebrate the great mystery which he left us as an everlasting covenant. Versione del 1973 (traduzione) Padre, possa questo Spirito Santo santificare queste offerte... mentre celebriamo il grande mistero che ci ha lasciato come un patto perenne. Tabella 32 Versione del 1973 (inglese) He always loved those who were his own in the world. When the time came for him to be glorified by you, his heavenly Father, he showed the depth of his love. Versione del 1973 (traduzione) Egli ha sempre amato coloro che erano suoi nel mondo. Quando venne per lui il tempo di essere glorificato da te, suo celeste Padre, egli mostrò la profondità del suo amore. Tabella 33 Versione del 1973 (inglese) ... he took the cup filled with wine ... 184 IL REGNO - DOCUMENTI Versione del 1973 (traduzione) ... egli prese la coppa riempita di vino... 5/2012 ne la sua opera nel mondo» non è del tutto giusto. L’inglese dovrebbe essere qualcosa come «completing his task in the world», «completando il suo compito nel mondo». La frase omnem et sanctificationem compleret sembra implicare qualcosa come «che egli possa completare l’intero compito di rendere santo», ma la nuova versione è certamente più vicina al latino del «bring us the fullness of grace», «portarci la pienezza di grazia», del 1973. «Therefore, o Lord, we pray», «Dunque, o Signore, ti preghiamo» (tabella 31), nella nuova versione dà il senso leggermente più pieno della preghiera latina, sebbene «this same», «questo stesso», e «graciously», «benevolmente», suonino superflui in inglese; e «this», «questo», non è nel latino. E «for the celebration», «per la celebrazione», funziona meglio che «as we celebrate», «mentre celebriamo»; pare anche importante che la nuova versione abbia tradotto ipse («he himself», «egli stesso»), affermando così che è stato proprio Gesù, il quale morì e risuscitò, colui che ci ha lasciato l’eucaristia. La versione 1973 (tabella 32) è piacevole, in quanto in inglese la frase latina unica non suona bene; qui la forza della nuova versione è che preserva l’importantissima eco della narrazione giovannea dell’ultima cena (Gv 13,1–17,1) nonostante abbia di nuovo importato il superlativo «most holy», «santissimo», che non è nel latino, forse per il comprensibile timore che si possa prendere un disadorno «holy Father», «santo Padre», come un riferimento al vescovo di Roma. Il felice effetto complessivo è di conservare la speciale memoria del racconto della passione di Gesù fatto dal quarto Vangelo. «Accipiens chalicem…»: qui (tabella 33) la nuova versione ha ripristinato «fruit of the vine», «frutto della vite», che ri- Versione latina Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Quaesumus igitur, Domine, ut idem Spiritus Sanctus haec munera sanctificare dignetur... ad hoc magnum mysterium celebrandum, quod ipse nobis reliquit in foedus aeternum. Therefore, o Lord, we pray: may this same Holy Spirit graciously sanctify these offerings ... for the celebration of this great mystery which he himself left us as an eternal covenant. Dunque, o Signore, ti preghiamo: possa questo stesso Spirito Santo benevolmente santificare queste offerte... per la celebrazione di questo grande mistero che egli stesso ci ha lasciato come un eterno patto. Versione latina Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) For when the hour had come for him to be glorified by you, Father most holy, having loved his own who were in the world, he loved them to the end. Poiché quando fu venuta per lui l’ora di essere glorificato da te, Padre santissimo, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine. Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Ipse enim, cum hora venisset ut glorificaretur a te, Pater sancte, ac dilexisset suos qui erant in mundo, in finem dilexit eos. Versione latina ... accipiens calicem, ex genimine vitis repletum... ... taking the chalice filled with the fruit of the vine ... ... prendendo il calice riempito con il frutto della vite... 170-186:Layout 3 15-03-2012 Tabella 34 Versione del 1973 (inglese) 9:26 Pagina 185 Versione del 1973 (traduzione) Versione latina Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Father, we now celebrate this memorial of our redemption. We recall Christ’s death, his descent among the dead, his resurrection... Padre, ora celebriamo questo memoriale della nostra redenzione. Ricordiamo la morte di Cristo, la sua discesa fra i morti, la sua risurrezione... Unde et nos, Domine, redemptionis nostrae memoriale nunc celebrantes, mortem Christi eiusque descensum ad inferos recolimus, eius resurrectionem... profitemur... Therefore, o Lord, as we now celebrate the memorial of our redemption, we remember Christ’s death and his descent to the realm of the dead, we proclaim his resurrection ... Dunque, o Signore, mentre ora celebriamo il memoriale della nostra redenzione, rammentiamo la morte di Cristo e la sua discesa al reame dei morti, proclamiamo la sua risurrezione... ... the acceptable sacrifice which brings salvation to the whole world. ... l’accettabile sacrificio che porta salvezza al mondo intero. sacrificium tibi acceptabile et toti mundo salutare. ... the sacrifice acceptable to you which brings salvation to the whole world. ... il sacrificio accettabile a te che porta salvezza al mondo intero. Versione del 1973 (traduzione) Versione latina Tabella 35 Versione del 1973 (inglese) Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Lord, look upon this sacrifice which you have given to your Church; and by your Holy Spirit, Signore, guarda a questo sacrificio che tu hai dato alla tua Chiesa; e per il tuo Santo Spirito Respice, Domine, in hostiam, quam Ecclesiae tuae ipse parasti, Look, o Lord, upon the sacrifice which you yourself have provided for your Church, Guarda, o Signore, al sacrificio che tu stesso hai provveduto per la tua Chiesa, gather all who share this bread and wine into the one body of Christ, a living sacrifice of praise. raduna tutti coloro che condividono questo pane e questo vino nell’unico corpo di Cristo, un sacrificio vivente di lode. et concede benignus omnibus qui ex hoc uno pane participabunt et calice, ut, in unum corpus a Sancto Spiritu congregati, in Christo hostia viva perficiantur, ad laudem gloriae tuae. and grant in your loving kindness to all who partake of this one bread and one Chalice that, gathered into one body by the Holy Spirit, they may truly become a living sacrifice in Christ to the praise of your glory. e concedi nella tua amorevole benignità a tutti quelli che partecipano di questo unico pane e unico calice che, radunati in un unico corpo dallo Spirito Santo, essi possano veramente diventare un sacrificio vivente in Cristo a lode della tua gloria. chiama l’eco dei tre racconti sinottici dell’istituzione dell’eucaristia. La nuova versione (tabella 34) ha tradotto ad inferos («l’oltretomba» o anche «inferno») con «realm of the dead», «reame dei morti», che è leggermente meglio di «among the dead», «fra i morti»; ma nulla arriva alla forza dell’originale latino, che presumibilmente vuole echeggiare 1Pt 3,19. «We proclaim», «proclamiamo», è meglio per profitemur che «we profess», «professiamo», sebbene nessuna delle due traduzioni lo colga esattamente. E notiamo con piacere, una volta ancora, che la traduzione guarda a quanto Gesù ha fatto come ciò che ha permesso «salvation to the whole world», «salvezza al mondo intero», così che si presume che «for many», «per molti», non voglia implicare «per alcuni ma non per altri». Concede benignus (tabella 35) diventa in inglese «grant in your loving kindness», «concedi nella tua amorevole benignità», nella nuova versione, dove chiaramente i traduttori hanno voluto mostrare qualche rispetto alla lingua dei destinatari. Nel 1973 evidentemente non riuscirono, e omisero sia quella frase sia ad laudem gloriae tue, che sembra importante per la preghiera. «Become», «diventare», forse non è una traduzione convincente di perficiantur, benché sia difficile suggerire una precisa alternativa. Forse potrebbe essere «be brought to perfection/completion as a living sacrifice», «essere portati a perfezione/completamento come sacrificio vivente». È un altro invito ancora a simpatizzare con l’impossibile lavoro del traduttore; questa frase latina è molto difficile da rendere in inglese. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 A CURA DI PAOLO MARTINELLI La teologia spirituale oggi Identità e missione I l volume s’interroga sull’identità e il compito della teologia spirituale oggi, confrontandosi con gli sviluppi interni alla disciplina dopo il Vaticano II. I contributi proposti hanno animato l’annuale giornata di studi promossa dall’Istituto Francescano di Spiritualità della Pontificia Università Antonianum, celebrata in occasione dei suoi quarant’anni di attività. «TEOLOGIA SPIRITUALE» pp. 160 - € 14,00 185 EDB Edizioni Edizioni Dehoniane Dehoniane Bologna Bologna Via Nosadella 6 - 40123 Bologna Tel. 051 4290011 - Fax 051 4290099 www.dehoniane.it 170-186:Layout 3 15-03-2012 9:26 Pagina 186 S tudi e commenti Tabella 36 Versione del 1973 (inglese) Versione del 1973 (traduzione) Versione latina Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Nunc ergo, Domine, omnium recordare, pro quibus tibi hanc oblationem offerimus... et offerentium, et circumstantium, et cuncti populi tui, et omnium, qui te quaerunt corde sincero. Therefore, Lord, remember now all for whom we offer this sacrifice ... those who take part in this offering, those gathered here before you, your entire people, and all who seek you with a sincere heart. Dunque, Signore, ricorda ora tutti quelli per i quali offriamo questo sacrificio... coloro che prendono parte a questa offerta, quelli radunati qui davanti a te, il tuo intero popolo, e tutti quelli che ti cercano con un cuore sincero. Versione del 1973 (traduzione) Versione latina Nuova versione (inglese) Nuova versione (traduzione) Father, in your mercy, grant also to us, your children, to enter into our heavenly inheritance in the company of the virgin Mary, the mother of God, and your apostles and saints. Padre, nella tua misericordia, concedi anche a noi, tuoi figli, di entrare nella nostra celeste eredità in compagnia della vergine Maria, la madre di Dio, e dei tuoi apostoli e santi. Nobis omnibus, filiis tuis, clemens Pater, concede, ut caelestem hereditatem consequi valeamus cum beata virgine, Dei genetrice, Maria, cum apostolis et sanctis in regno tuo, To all of us your children, grant, o merciful Father, that we may enter into a heavenly inheritance with the blessed virgin Mary, mother of God, and with your apostles and saints in your kingdom. A tutti noi tuoi figli, concedi, o misericordioso Padre, che possiamo entrare in una celeste eredità con la beata vergine Maria, madre di Dio, e con i tuoi apostoli e santi nel tuo regno. Then, in your kingdom, freed from the corruption of sin and death, we shall sing your glory with every creature through Christ our Lord, through whom you give us everything that is good. Allora, nel tuo regno, liberati dalla corruzione del peccato e della morte, canteremo la tua gloria con ogni creatura per mezzo di Cristo nostro Signore per mezzo del quale tu dai a noi tutto quello che è buono. ubi cum universa creatura, a corruptione peccati mortis liberata, te glorificemus per Christum Dominum nostrum, per quem mundo bona cuncta largiris. There, with the whole of creation, freed from the corruption of sin and death, may we glorify you through Christ our Lord, through whom you bestow on the world all that is good. Là, con l’intera creazione, liberati dalla corruzione del peccato e della morte, possiamo glorificarti per mezzo di Cristo nostro Signore, per mezzo del quale tu elargisci al mondo tutto ciò che è buono. Lord, remember those for whom we offer this sacrifice ... Signore, ricorda coloro per i quali ti offriamo questo sacrificio... Remember those who take part in this offering, those here present and all your people, and all who seek you with a sincere heart. Ricorda coloro che prendono parte a questa offerta, quelli qui presenti e tutto il tuo popolo, e tutti quelli che ti cercano con un cuore sincero. Tabella 37 Versione del 1973 (inglese) Stranamente la nuova versione ha qui (tabella 36) resistito alla tentazione di aggiungere «o» prima del vocativo «Lord», «Signore», e di tradurre oblationem con il non-inglese «oblation», «oblazione», preferendo invece «sacrifice», «sacrificio». Ci si potrebbe domandare: se qui è stato possibile, perché non altrove? Non per la prima volta, vediamo la riluttanza a incoraggiare l’assemblea a stare in piedi durante la preghiera eucaristica, poichè circumstantium è tradotto come «those gathered here before you», «quelli radunati qui davanti a te», mentre significa chiaramente «di quelli che sono in piedi attorno». E offerentium sembra implicare, molto correttamente, che è l’intero popolo di Dio a compiere il sacrificio, mentre entrambe le versioni inglesi lo riducono semplicemente a un prendere «part in this offering», «parte a questa offerta». Qui (tabella 37) è piacevole vedere filiis tradotto con «children» e non «sons», «figli maschi»; a riprova del fatto che non si ha timore di un linguaggio sensibile al genere. «Grant, o merciful Father», «concedi, o Padre misericordioso», ci riporta al vocativo con «o», che non è un inglese del tutto naturale, ed evidentemente non viene sempre richiesto al traduttore della nuova versione. La versione del 1973 fa un errore implicando che siamo «noi» che veniamo «liberati dalla corruzione di peccato e morte», mentre nel latino è «l’intera creazione». La nuova versione non fa chiarezza, ma lascia aperta la possibilità. L’articolo indeterminativo prima di «heavenly inheritance», «celeste eredità», invece non fa onore alla nuova versione; in latino non vi è un articolo determinativo, e così dovrebbe essere tradotto come «l’eredità», o anche, come nel 1973, come «our» «nostra», cogliendo l’allusione scritturistica alla terra come eredità promessa del popolo di 186 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 Dio. Il «bestow», «elargisci», della nuova versione è meglio per largiris di «give», «dai», come era nel 1973. Conclusione Tradurre è un compito impossibile. La nuova versione, anche presa in sé, non è riuscitissima, ma la possiamo comunque assolvere dall’accusa di essere un tentativo sistematico di vanificare i passi avanti per la Chiesa compiuti dallo Spirito Santo nel concilio Vaticano II. Desidererei concludere con due suggerimenti, uno minore e un altro le cui implicazioni possono richiedere qualche sforzo. Il primo è che si dovrebbe far sparire «oblazione»: non riesce nel suo intento, e non aggiunge nulla alla celebrazione dell’eucaristia. Il secondo è che proprio per la medesima ragione per la quale la Chiesa ha scelto il greco nel primo secolo, quando proclamava il Vangelo nei grandi agglomerati urbani ellenici, e il latino nel secondo secolo, dovremmo stendere i testi liturgici in un linguaggio che possa essere tradotto facilmente in altre lingue vernacolari. Lascio alla fantasia di ognuno immaginare quale potrebbe essere un simile linguaggio fra cento anni: ma al momento l’unica possibilità è il linguaggio internazionale dei piloti d’aereo, la forma semplificata di inglese che al giorno d’oggi è ciò che una volta era il latino, un linguaggio comprensibile quasi dovunque nel mondo. Questa non è una conclusione che pretende un pronto assenso; ma è da molto tempo che il latino non adempie più a questa funzione. 187-192:Layout 3 15-03-2012 9:29 Pagina 187 S tudi e commenti | GIAPPONE Perché è accaduto? Reazioni buddhiste Buddhisti e cristiani a un anno dal terremoto e dallo tsunami Miriam Levering Le tragiche conseguenze del violento terremoto che si è abbattuto sul Nord-est del Giappone l’11 marzo 2011 hanno sollevato domande profonde. Un anno dopo, due autori fortemente radicati nella vita e nella cultura giapponese riflettono sulle risposte che buddhisti e cristiani hanno dato alle domande di senso suscitate dall’evento. Miriam Levering testimonia di un buddhismo che, pur diviso nelle interpretazioni, è stato concorde nella compassione e nel servizio alle vittime: seguendo la via «della bontà, che comprende la simpatia e della generosità, che comprende la compassione e il calore umano», sarà possibile accettare «questa catastrofe ... come un mezzo che ci viene offerto per diventare grandi e crescere in umanità». Peter Milward mostra come la prospettiva cristiana si sforzi sempre di superare l’idea diffusa della «punizione divina», per cercare invece «la misericordia di Dio, che compare in filigrana, anche in quello che sembra un castigo». «“Dov’è Colui che sempre più distilla la deliziosa bontà? Egli è paziente”. È la lezione che dobbiamo trarre da questo tempo di sofferenza». Stampa (14.2.2012) da sito web eglasie.mepasie.org. Nostra traduzione dal francese. Titolazione redazionale. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 Reagendo a un terremoto catastrofico che colpì il Giappone al suo tempo, Ryôkan (1758-1831), monaco zen e poeta, scrisse quest’avvincente poesia di un insolito sapore confuciano: «Giorno dopo giorno dopo giorno, / a mezzogiorno e a mezzanotte, il freddo era pungente. / Il cielo si copriva di nubi nere che bloccarono il sole. / Venti violenti fischiavano, la neve vorticava con violenza. / Onde furiose hanno preso d’assalto il cielo, schiaffeggiando il pesce mostruoso. / Scossi, i muri tremavano, le persone urlavano in preda al terrore. / Ritornando sugli ultimi quarant’anni, ora vedo che era tutto fuori controllo: / I popoli erano cresciuti in viltà e indifferenza, / formando clan e battendosi fra loro. / Hanno dimenticato obblighi e dovere, / ignorato i concetti di lealtà e di giustizia, / per pensare solo a loro stessi. / Pieni d’amor proprio, si sono ingannati a vicenda. / Creando un disordine immondo e senza fine. / Il mondo era in preda alla follia. / Nessuno ha condiviso le mie inquietudini. / Tutto è peggiorato finché colpisce la catastrofe finale. / Ben pochi si sono resi conto che il mondo era maledetto / e che regnava il disordine più spaventoso. / Se vuoi comprendere veramente questa tragedia, guarda nel profondo di te stesso / piuttosto che piangere, impotente, il tuo crudele destino» (JOHN STEVENS, Dewdrops on a Lotus Leaf: Zen Poems of Ryôkan, Shambala, Boston 1996, 63) In Cina, fin dall’epoca precedente a quella della dinastia Han, i confuciani dell’Asia orientale hanno stabilito uno stretto legame fra la moralità del sovrano o dell’élite al potere e la comparsa di quelle che noi chiamiamo «catastrofi naturali». Il cielo governa tutte le cose. Quando l’immoralità domina nella sfera umana, il cielo risponde con dei segni, come vitelli con due teste, o catastrofi naturali, come terremoti e inondazioni. Ryôkan, come buddhista in un’epoca dominata dal confucianesimo, prolunga questa corrispondenza al di là dell’élite dirigente. Se i popoli in generale sono apatici e indifferenti, dimenticando obblighi e doveri, lealtà e giustizia, allora il mondo è squilibrato e sarà colpito da catastrofi. Il governatore di Tokyo ha pubblicamente affermato (scusan- 187 187-192:Layout 3 15-03-2012 9:29 Pagina 188 S tudi e commenti dosene poi l’indomani) che mandando il terremoto e lo tsunami gli dèi avevano dato la loro risposta a un Giappone che pensava solo a se stesso. Quest’affermazione, che ha fatto il giro del mondo, riecheggiava il pensiero di Ryôkan. Un’amica giapponese di Tokyo, buddhista illuminata, ha fatto sue le impressioni di Ryôkan, pur attenuando il concetto di giustizia immanente che esse sottintendevano: «Noi non sappiamo perché queste orribili sofferenze sono state inflitte agli abitanti del Nord-est, ma dobbiamo cercare la risposta nel nostro cuore e pentirci». Karma e causalità Naturalmente nel buddhismo questo tipo di spiegazione dev’essere messo sempre in relazione con la legge della causalità karmica insegnata dal Buddha: ciascuno dei nostri atti (karma, in sanscrito) porta dei frutti (phala) nel presente o in una successiva reincarnazione. Gli atti possono essere positivi, negativi o neutri. In base a questa teoria, si sopportano prima o poi le conseguenze di ciò che si fa. Questi atti possono essere azioni concrete, parole o pensieri. Prolungando questo ragionamento, gli oltre 20.000 abitanti del Nord del Giappone morti o dispersi hanno raccolto ciò che hanno seminato. Ma tutti i buddhisti del Giappone, come i miei amici buddhisti, non condividono questa visione delle cose. Il rev. Shaku Tesshu, superiore del tempio Nyoraiji, tempio annesso alla scuola buddhista Jôdo Shinshû (Vera scuola della Terra pura) della città di Ikeda, in Giappone, ha reagito così: «Si dice che il buddhismo è una religione senza dio. In realtà, noi non pensiamo che Dio sia la causa (di questa catastrofe); noi crediamo nella legge di causa ed effetto e cerchiamo qual è la vera causa con un approccio scientifico. E la causa di questo terremoto è l’attrito fra la placca nordamericana e quella del Pacifico». Apparentemente, stando a questo punto di vista, all’origine di tutto ciò che accade non c’è necessariamente il karma. Una religiosa buddhista specialista in storia del buddhismo mi ha rimandato alla spiegazione del karma di Mahasi Sayadaw, monaco birmano. Anche Mahasi Sayadaw non ritiene che tutto ciò che accade a una persona sia causato dalla qualità morale delle sue azioni passate. Egli scrive: «Secondo il buddhismo, vi sono cinque ordini (niyâma) (leggi; ndt franc.) che operano nei campi fisici e mentali: 1. Utu niyâma: l’ordine fisico inorganico (“legge atmosferica” che governa i fenomeni naturali; ndt franc.), come il susseguirsi inesorabile delle stagioni nei cambiamenti a esse legati, i venti, le piogge o il calore. 2. Bija niyâma: l’ordine della germinazione e dei semi o ordine fisico organico (“legge biologica” che governa il funzionamento del vivente; ndt franc.). Rientrano in questa categoria la crescita del riso a partire dai suoi semi, il sapore dolce della canna da zucchero o del miele, le caratteristiche dei frutti ecc. Fa parte di questo ordine anche tutto ciò che procede dalla crescita cellulare o dalla determinazione genetica (come i gemelli). 3. Kamma niyâma (Karma niyama, in sanscrito): l’ordine dell’azione e del risultato (“legge karmica”; ndt franc.). Gli atti, desiderati o meno, generano dei risultati, buoni o cattivi. Come l’acqua che ritrova sempre il suo livello originario, il 188 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 karma agisce in funzione degli atti producendo il suo risultato inevitabile, non sotto forma di ricompensa o di punizione, ma come una conseguenza naturale. Il fatto che l’atto produca una conseguenza è naturale e necessario come il corso del sole e della luna. 4. Dhamma niyâma: l’ordine della norma (“legge fisica” o “accadimenti improvvisi”; ndt franc.), ad esempio i fenomeni naturali che si verificano alla nascita di un bodhisattva nella sua ultima reincarnazione. Si possono includere in questo gruppo la gravitazione e altre leggi simili della natura, la ragione naturale di essere buoni e molte altre leggi. 5. Citta niyâma: l’ordine del pensiero (“legge psicologica”; ndt franc.), i fenomeni legati allo psichismo, recupero e perdita di coscienza, i componenti della coscienza, la forza dello spirito ecc., comprese la telepatia, la telestesia (telepatia volontaria e controllata; ndt franc.), retrocognizione, premonizione, chiaroveggenza, chiaroaudizione (facoltà di audizione paranormale; ndt franc.), lettura del pensiero e ogni altro fenomeno psichico inspiegabile da parte della scienza moderna. Ogni fenomeno fisico o psichico potrebbe essere spiegato dall’insieme di questi cinque ordini o processi, che sono leggi in sé. Il karma come tale rappresenta solo uno dei cinque ordini». Compassione e servizio Come fa notare il rev. Shaku, il terremoto e il successivo tsunami sono gli effetti dell’Utu niyama, il processo fisico di causalità, e non del Karma niyama. Si sono scontrate placche tettoniche della crosta terrestre. Sebbene alcuni amici buddhisti abbiano insistito sul fatto che i cinque niyama sono solo distinzioni formali che, in realtà, formano un tutt’uno e il karma incide su tutti gli altri processi, e altri abbiano messo l’accento sul legame di causa ed effetto fra le catastrofi naturali e i disordini degli spiriti, la stragrande maggioranza dei miei amici buddhisti giapponesi ha considerato terremoto e tsunami semplici fenomeni naturali. Si può veramente sostenere che le persone che vivono nelle zone colpite dai terremoti e dagli tsunami hanno tutte un karma più cattivo e raccolgono quindi frutti karmici peggiori rispetto a coloro che vivono in aree geologicamente più tranquille? I miei amici buddhisti hanno incentrato maggiormente l’attenzione sulla compassione e sul modo in cui potremmo aprirci alla sofferenza degli altri e cercare di rispondervi. Come ha detto il rev. Shaku: «I giapponesi sono portati ai rapporti umani più di quanto non siano contrari alla fede e compatiscono il dolore degli altri. Ne sono stato testimone in occasione del terremoto a Hanshin-Awaji (nel 1995, il terremoto a Hanshin, sull’isola di Awaji, ha fatto circa 6.500 vittime; ndt franc.). Molti sono venuti nella zona colpita per prestare aiuto come volontari. “I figli del terremoto” è l’espressione che viene sempre utilizzata per indicare coloro la cui vita è stata sconvolta dalla catastrofe. Costoro sono oggi molto attivi nel servizio della comunità o sono diventati monaci buddhisti. Così, aprendosi alle gioie e alle sofferenza degli altri, le persone diventano più spirituali». I templi buddhisti risparmiati appartenenti alle scuole buddhiste giapponesi tradizionali, nonché i Centri del 187-192:Layout 3 15-03-2012 9:29 Pagina 189 dharma dei gruppi buddhisti delle «nuove religioni», come Risshôo Kôsei-kai e Sôka Gakkai, hanno aperto le porte ai rifugiati senzatetto dello tsunami o agli sfollati dalle zone della catastrofe naturale. Le grandi confessioni buddhiste tradizionali e le nuove religioni buddhiste hanno offerto in gran quantità beni di prima necessità e inviato gruppi di volontari al Nord per aiutare i rifugiati e partecipare allo sgombero delle macerie. Queste iniziative continuano e continueranno per qualche tempo. Dopo l’11 marzo, per i sacerdoti buddhisti della regione Nord del Giappone la necessità più imperiosa è stata quella delle cerimonie e delle preghiere per i defunti: i morti durante il terremoto e lo tsunami e i morti in seguito nei centri di accoglienza. In Giappone, la stragrande maggioranza dei defunti viene sepolta secondo i riti buddhisti, con cremazione e inumazione in una tomba di famiglia. A causa del gran numero di corpi portati via dallo tsunami, molti giapponesi sono stati costretti a rinunciare ai riti considerati necessari per i morti. I sacerdoti buddhisti giapponesi fanno tutto il possibile per offrire cerimonie collettive ai sopravvissuti cui è negata la consolazione di vedere il corpo e procedere alla cremazione. John Nelson, professore universitario americano, ha detto: «Nei prossimi giorni, vedrete persone con le mani giunte, pregare per gli spiriti di coloro che sono morti. Proveniente dalla notte dei tempi, questo complesso di credenze negli spiriti e di riti destinati a controllarli può durare 49 giorni o, secondo le scuole buddhiste, fino a 7 anni». La transitorietà di ogni cosa Una triste illustrazione delle dure condizioni di vita nel Nord-est è il fatto che i corpi sono stati sepolti in fosse comuni o cremati senza cerimonia buddhista completa. Il giornalista Steven Jiang ha incontrato un sacerdote buddhista al tempio di Senryuji, sull’estremo limite dell’area di 20 km vietata, la cosiddetta zona di evacuazione attorno all’Unità 1 della centrale nucleare di Fukushima. Scrive: «Spazzando un terreno tenuto in modo impeccabile, Shinkoh Ishikawa, monaco buddhista di 58 anni resta nel suo tempio – con giardino zen e vasca per le carpe – dove offre un rifugio molto apprezzato a una comunità distrutta e sconvolta da una serie di catastrofi. Il governo ha raccomandato alla popolazione che vive in un perimetro di 20-30 km attorno alla zona di andarsene o di sigillare porte e finestre e chiudersi in casa. “La religione non è qualcosa di lontano, è presente, molto vicina”, afferma Ishikawa, spiegando la sua decisione di restare dopo aver visto centinaia di vittime dello tsunami cremate nel locale luogo di riunione dei familiari del defunto senza i dovuti riti buddhisti. “Spero che le persone comprendano che la morte non è la fine della vita, ma un ciclo nel quale le vite rinascono”». Steven Jiang continua: «Accendendo un cero nella sala principale del tempio dove su un tavolo sono deposte otto urne cinerarie, Ishikawa recita preghiere per i morti». Una delle preoccupazioni principali riguardo alla morte è che il defunto riceva un nome onorifico postumo o kaimyô. Risshô Kôsei-Kai, una «nuova religione» buddhista, ad esempio, ha subito dato a tutti i morti conosciuti o sconosciuti del terremoto del Nord-est, come si chiama ora, un nome postumo onorifico collettivo, in modo che i meriti dei sacerdoti e dei sutra recitati possano raggiungerli nel luogo in cui si trovano fra la morte e la rinascita o, in altri termini, in occasione della loro trasformazione da essere vivente in antenato. Il «trasferimento dei meriti», che avviene al termine di tutti i riti funebri di Risshô Kôsei-Kai celebrati nel paese, si rivolge generalmente ai diversi buddha e bodhisattva, dèi, spiriti, fondatori di clan, maestri spirituali di Risshô Kôsei-Kai, ai loro propri antenati, nonché a quelli degli altri membri. Dall’11 marzo, una parte dei meriti viene trasferita all’insieme dei morti del terremoto. Per tornare a beneficiare dei meriti che erano loro rivolti, i destinatari abituali dovranno aspettare che i morti del terremoto e dello tsunami abbiano raggiunto come hotoke lo stato di beatitudine e di pace degli antenati diventati buddha. Un aspetto della reazione buddhista giapponese al terremoto è la comprensione del richiamo alla transitorietà di ogni cosa. La vita «normale» che noi diamo per scontata è fragile, e quindi non veramente «normale», come sottolineava uno dei miei amici di Tokyo. È apparso particolarmente evidente a Tokyo, dove i treni si sono fermati, il pane, la carta igienica e il latte sono scomparsi dagli scaffali dei negozi e i telefoni cellulari hanno smesso di funzionare. Anch’io, col terremoto, ho compreso in modo nuovo e profondo che ogni persona e ogni cosa erano infinitamente preziose. I buddhisti di tutto il mondo insegnano che, colta nell’istante presente, la vita è al tempo stesso infinitamente preziosa e l’unica che abbiamo, per quanto possa continuare. Interrogato sul terremoto e sullo tsunami in Giappone, Thich Nhat Hanh ha detto: «Un avvenimento come questo ci ricorda il carattere effimero della nostra vita. Contribuisce a ricordarci che la cosa più importante è quella di amarci gli uni gli altri, essere presenti gli uni agli altri, ad apprezzare ogni istante della nostra vita. È ciò che possiamo fare di meglio per coloro che sono morti: possiamo vivere in modo tale da far sentire loro che continuano a vivere in noi, più spiritualmente, più profondamente, più magnificamente, gustando per loro ogni minuto della vita che ci è donata». Per «crescere in umanità» I buddhisti giapponesi non sarebbero d’accordo nel dire che questo è ciò che possiamo fare di meglio per i nostri cari defunti o i nostri concittadini morti nello tsunami: i nomi postumi e i trasferimenti di meriti sono importanti. Ma sarebbero d’accordo con la prima parte dell’affermazione di Thich Nhat Hanh. Accettare la verità della transitorietà e dell’interdipendenza, ma anche il fatto di vivere insieme come una sola famiglia, amandoci gli uni gli altri, aprendo il nostro cuore alla compassione, considerando ogni istante una vera opportunità per vedere, agire, apprezzare la vita, appoggiandosi su un insegnamento fondato su valori che oltrepassano questo mondo, su valori fondati su verità che oltrepassano questo mondo, sono reazioni giapponesi. Questo è relativamente facile da accettare conducendo una vita serena e apparentemente senza problemi, ma deve sembrare quasi impossibile quando si è sommersi da una catastrofe. Tuttavia questi stessi principi si applicano anche allora. IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 189 187-192:Layout 3 15-03-2012 9:29 Pagina 190 S tudi e commenti Niwano Nichiko, presidente di Risshô Kôsei-Kai, ha raccontato la gioia, la gentilezza e la generosità di cui è stato testimone durante la sua visita nelle zone devastate: «La letizia fa parte della saggezza del Buddha e significa che non bisogna lasciarsi mai dominare dall’emozione, ma vivere con coraggio facendo del dharma la nostra luce. La bontà comprende la simpatia e la generosità comprende la compassione. Questa frase significa che dobbiamo avanzare sulla via della liberazione reciproca alla luce della saggezza del Buddha, coltivando la compassione e il calore umano… È di questo che dobbiamo preoccuparci nella situazione in cui ci troviamo oggi. Fra le popolazioni delle zone devastate che sono state evacuate dal loro luogo di residenza a causa dello tsunami o degli incidenti nucleari, alcuni hanno perso familiari, casa o lavoro e non hanno più la speranza di ritornarvi. Hanno tuttavia la possibilità di rifarsi un avvenire vivendo giorno dopo giorno. Io li prego di incoraggiarsi a vicenda e di aiutarsi gli uni gli altri, approfittando al meglio delle persone ma anche di tutte le cose che hanno attorno. Noi abbiamo un detto: “Più l’acqua è fangosa, più grande è il fiore di loto”. Nessuno ha la minima idea del tempo che occorrerà ai sopravvissuti al disastro per superare il loro fardello di difficoltà e afflizione. Tuttavia credo che, se ci ricordiamo di detti come quello del fiore di loto, non penseremo più a questa catastrofe unicamente come a un’immensa tragedia, ma l’accetteremo come un mezzo che ci viene offerto per diventare grandi e crescere in umanità. Penso che sia proprio questo il modo migliore di onorare coloro che sono morti e vivere ugualmente come essi avrebbero voluto che noi vivessimo». Alla domanda su che cosa intendesse con «crescere in umanità», il presidente Niwano ha risposto: «Nel corso dei circa 70 anni trascorsi dalla Seconda guerra mondiale, il Giappone ha fatto grandi progressi sul piano materiale al punto da essere oggi una delle maggiori potenze economiche del pianeta. Ma abbiamo dimenticato il nostro vero patrimonio e ci siamo abbandonati a eccessi di ogni sorta, al consumo eccessivo e allo spreco. Dobbiamo riflettere sul nostro senso dei valori, sul nostro modo di vivere e cambiare mentalità per poter avanzare in futuro». Eccoci quindi ricondotti al nostro punto di partenza, al pensiero di Ryôkan, anche se non completamente. Nella mente del presidente Niwano il terremoto non è stato causato dai nostri disordini. Ma, alla luce della nostra presa di coscienza della transitorietà e della sofferenza altrui, nonché della nostra rinnovata volontà di formare una sola famiglia con gli altri, non possiamo fare la scelta di continuare come abbiamo fatto finora, con la leggerezza che sembra contraddistinguerci in questo momento. Ci viene offerta un’opportunità di riflettere, un’opportunità di cambiare il nostro avvenire. MIRIAM LEVERING* * Presidente della Società di studi buddhisti e cristiani. Docente emerito di studi religiosi all’università del Tennessee (Stati Uniti). Consigliere internazionale a Tokyo della Risshô Kôsei-kai, importante organizzazione buddhista giapponese. Ha pubblicato Rethinking Scripture: Essays from a Comparative Perspective (SUNY Press, Albany [NY] 1989) e Zen: Images, teste, enseignements (Artisan, New York 2000). 190 IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 Ma che cosa poteva significare? Peter Milward si I terremoti causano sofferenza e spavento. Gli uomini si chiedono cos’è accaduto e cosa questo può significare. John Donne Oggi gli uomini non si chiedono più che cosa è accaduto. Abbiamo la spiegazione scientifica esatta del movimento delle placche tettoniche della costa del Tohoku. Non posso dire di comprendere, perché non ho una formazione scientifica. Ma quando ascolto le spiegazioni che propongono gli scienziati, mi inchino e le accetto come verità evangeliche. Al tempo stesso, non ricavo alcuna consolazione dalle loro parole. Perché tutto ciò che possono offrire è l’enunciazione di fatti che hanno come risultato tutti questi movimenti sotterranei e nascosti della terra e dei mari, senza nemmeno considerare gli effetti delle radiazioni, delle migliaia di persone di cui è stata confermata la morte, delle migliaia di altre persone date per disperse e di molte altre migliaia che sono state private delle loro abitazioni, dei loro mezzi di sussistenza e della loro speranza nel futuro. Hanno perso tutto e per loro tutto è finito, tutto è stato improvvisamente ridotto a nulla. Che cosa dicono gli scienziati a queste persone nella sofferenza? Nulla. Si può allora aggiungere una domanda: che cosa potrebbero dire le persone religiose? Qui, in Giappone, esse hanno una risposta pronta. Non so se sono buddhisti, shintoisti o confuciani. Ma sono le persone comuni, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa, ad avere tale risposta, un’espressione consacrata dall’uso: Kurushii Toki no kami-danomi («In tempo di sofferenza, volgiamoci verso Dio [o gli dèi]»). Che cosa significa? Significa che, mentre noi siamo sulla terra, c’è un Dio (o vi sono più dèi) in cielo. Noi possiamo vederci, udirci e toccarci, ma c’è uno (o più) che noi non possiamo vedere, udire e toccare. Gli scienziati possono dire che non esiste nulla nell’universo al di fuori di ciò che possiamo vedere, udire, toccare, ma è un dogma che non possono dimostrare. È il metodo che hanno scelto per seguire la strada della scienza sperimentale, e finché seguiranno il loro metodo, io non troverò nulla da ridire. Ma quando cominciano a uscire dai confini fissati dal loro metodo e a negare l’esistenza di ciò che non potrebbero né vedere, né udire né toccare, dovrebbero ricordare le parole di Amleto: «Vi sono più cose nei cieli e sulla terra» – e particolarmente nei cieli – «di quante ne potrebbe sognare la vostra filosofia». Nella misura in cui c’è un senso da dare a ogni cosa, compreso in Giappone ai tradizionali jishin, kaminari, kaji, oyaji (i terremoti, il fulmine, l’incendio, il padre, ovvero i quattro timori tradizionali dei giapponesi; ndt franc.), noi dobbiamo cercarlo non qui sulla terra, dove le cose sono semplicemente cose, ma lassù, dove (come diciamo nel Padre nostro) «il nostro Padre (è) nei cieli». Tutto ciò che noi possiamo vedere, udire e toccare, inclusi gli esseri umani, appartiene alla realtà materiale; ma il mondo spirituale, che comprende il pensiero e il desiderio, è immateriale. E la materia non può dare un senso alla ma- 187-192:Layout 3 15-03-2012 9:29 Pagina 191 teria. La materia deve ricevere il suo senso dallo spirito, sia esso lo spirito dell’uomo terreno sia esso Dio, che è Spirito. Perciò, se vogliamo conoscere il significato di questo o quel terremoto o di qualsiasi altra catastrofe, sia essa naturale o causata dall’uomo, occorre distogliersi dagli scienziati (che sono incapaci di rispondere) e volgersi verso il popolo dei credenti (che sono fin troppo disposti a rispondere). Il conf lit to delle interpretazioni Così come non possiamo fidarci di tutto ciò che uno scienziato può dire, dal momento che alcuni dicono una cosa e altri un’altra, allo stesso modo non possiamo fidarci di tutto ciò che esprimono le persone religiose, perché anche le loro divergenze sono spettacolari. Un punto di vista noto, quello espresso dall’attuale governatore di Tokyo (Shintaro Ishihara; ndr), ritiene che il terremoto sia stato mandato da Dio per punire il popolo giapponese. Ignoro su quale religione egli fondi questa sua opinione, ma è effettivamente un’idea diffusa tra i credenti, compresi ebrei e cristiani che traggono le loro convinzioni dalla Bibbia, che tutte le sofferenze dell’umanità, dopo la caduta dei progenitori siano spiegabili come una punizione divina dei peccati. Il fatto che tutti siano peccatori significa che, anche se apparentemente innocenti, tutti meritano ciò che loro accade, anche quando gli innocenti sembrano soffrire più dei colpevoli. Possiamo quindi fare nostre queste parole applicate da Amleto a se stesso: «A cosa servono esseri come me, che strisciano fra cielo e terra? Siamo tutti fior di birbanti!». Davanti a un terremoto come quello che ci ha colpito l’11 marzo 2011, e davanti a tutte le sofferenze che vediamo ogni giorno alla televisione, quelle delle popolazioni maggiormente colpite dal terremoto a Iwate, Miyagi e Fukushima, tutto ciò che possiamo fare è piegare la testa sotto la potente mano di Dio, come leggiamo nella Lettera di Pietro, implorando il suo perdono e mormorare con il pubblicano della parabola di Gesù: «Signore, abbi pietà di noi, peccatori!». Ma una tale visione non è troppo severa nei nostri confronti, per poveri peccatori che siamo? Non esiste altra interpretazione che potrebbero offrire gli uomini di religione, diversa da quella del signor Ishihara – benché io ignori a quale religione egli si riferisca, se mai lo fa? Mi resta perlomeno la convinzione dell’autore che ho citato in esergo, John Donne, ma in questo caso espressa come pastore e non come poeta. Il poeta sottolineava lo stupore ispirato dalle catastrofi, come i «terremoti», e dalle «paure e sofferenze» che seguono i terremoti; ma il predicatore attira l’attenzione non tanto sulla punizione divina, quanto piuttosto sulla misericordia di Dio, che compare in filigrana, anche in quello che sembra un castigo. In uno dei suoi sermoni, egli esclama: «Tu eri sulle strade della fortuna, della conoscenza e della coscienza; e tuttavia eri immerso nell’ignoranza fino a oggi, imprigionato nel freddo e nel gelo, circondato da nuvole e tenebre, soffocando e asfissiando fino allo stordimento. E ora ecco che Dio viene a te, non come il giorno che nasce, né come la gemma che si apre a primavera, ma come il sole del mezzogiorno che scaccia le tenebre, come i covoni della mietitura che allontanano la fame. In tutte le cose si offre la sua misericordia e in ogni tempo fioriscono le sue stagioni». Come sono rassicuranti queste parole, dopo il discorso gla- ciale sulla punizione divina! Ma forse queste due interpretazioni, quella del castigo e quella della misericordia, quella della punizione e quella del perdono, non sono così opposte come sembrano essere. Non solo John Donne, ma lo stesso signor Ishihara potrebbe fare appello alla Bibbia per giustificare la sua opinione, se mai è appropriato parlare di «opinione» in questo contesto. Quando ci rivolgiamo alla Bibbia, troviamo entrambe le «opinioni» espresse paradossalmente insieme, sia nel libro di Giobbe («Egli ferisce e fascia la piaga, colpisce e la sua mano risana»; Gb 5,18) e nella profezia di Osea («Egli ci ha straziato ed egli ci guarirà. Egli ci ha percosso ed egli ci fascerà»; Os 6,1). Ma questa giustapposizione non la troviamo solo nell’Antico Testamento, quasi fosse una coincidenza, ma anche nella Lettera agli Ebrei: «Il Signore corregge colui che egli ama, e percuote chiunque riconosce come figlio» (Eb 12,6). Tutta la storia di Israele non è forse una lunga serie di catastrofi, nelle quali il popolo ebraico ritrova, ancora e sempre, la propria anima e diventa la luce delle nazioni? La grazia che viene dalla ferita Anche se le popolazioni colpite della regione del Tohoku, in Giappone, concordano con il signor Ishihara e pensano che le catastrofi siano una punizione divina dei peccati, essi potrebbero ancora trovare un incoraggiamento nelle Scritture e scoprire anche in esse i segni della prossimità di Dio. Gesù stesso apre il Discorso della montagna con una serie di benedizioni per i poveri e i sofferenti, gli affamati e gli assetati, gli oppressi e i perseguitati. Ma purtroppo ben poche persone nella regione del Tohoku hanno ascoltato queste parole di Gesù, o almeno ben poche le hanno comprese! Tuttavia, ciò che noi vediamo della loro risposta alle sofferenze – e abbiamo potuto constatarlo alla televisione tutti i giorni del mese scorso – è la loro incredibile pazienza, la loro attenzione per gli altri e la loro bontà che è motivo di vergogna per molti cristiani. Ciò che hanno potuto apprendere dal Buddha, in termini di pazienza e bontà, non sembra molto diverso da ciò che i cristiani imparano da Gesù Cristo, e nel loro umile sapere predicano ai popoli pagani senza averne l’aria. Come dice il re Lear di Shakespeare a Gloucester, il suo servo sofferente: «Io predicherò per te, prendi nota!». E ciò che egli dice è semplicissimo: «Devi essere paziente!». Come drammaturgo, non ci si aspetta da Shakespeare che predichi, ma egli lo fa, anche se solo per bocca di un pazzo. Appena un mese fa, il mese del terremoto, ho avuto l’occasione di trascorrere una settimana a Denver, Colorado, per una missione universitaria. Ma lì ho scoperto che la missione era più che universitaria. I numerosi studiosi che vi ho incontrato hanno espresso profondi segni di simpatia verso di me e verso i giapponesi che avevo lasciato laggiù. Non erano solo pieni di compassione, ma anche di ammirazione per la reazione dei giapponesi che avevano visto, come avevo fatto anch’io, alla televisione. Che meravigliosa invenzione la nostra televisione, che porta avvenimenti di paesi lontani fin nelle nostre case! Così c’è poca differenza fra gli americani a Denver e io a Tokyo. Essi possono vedere alla televisione esattamente ciò che posso vedere io e provare la mia stessa ammirazione per la pazienza e la bontà degli abitanti della regione colpita. Con la sola differenza che il giorno stesso, venerdì 11 marzo – che personalmente considero un venerdì 13 – io ho potuto sperimen- IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 191 187-192:Layout 3 15-03-2012 9:29 Pagina 192 S tudi e commenti tare anche qualcosa del terremoto, di magnitudo 5,5 – che sul posto è stato stimato a 8,8 (elevato poi a 9,0) – e ho fatto l’esperienza di una valanga di libri, giornali, foto e vari soprammobili rotolati giù dai miei scaffali e sparsi sul pavimento nella confusione più totale. La fede sot to il fuoco L’oggetto della nostra riunione a Denver era lo studio delle poesie, degli scritti in prosa e della personalità del gesuita Gerard Manley Hopkins. Fra le sue poesie, trovo oggi un senso nuovo a una di quelle più celebri, «Il naufragio del Deutschland». Questa catastrofe marittima avvenne al largo delle coste dell’Essex, nell’inverno del 1875, e costò la vita a moltissimi passeggeri. Ovviamente, in termini di cifre, può difficilmente essere paragonata col terremoto del Tohoku, con lo tsunami che lo seguì e col pericolo delle radiazioni provenienti dai reattori nucleari, ma una catastrofe è una catastrofe e il terrore di chi è colpito non dipende dalla sua ampiezza. Tutte le catastrofi inducono a porsi la stessa domanda sul senso. Perché è accaduto? E se Dio esiste ed è buono, perché ha permesso che accadesse? Non avrebbe potuto salvare le vittime? O non poteva almeno servirsi di quel disastro come un mezzo paradossale per condurle alla salvezza? Sono esattamente tali domande che il poeta gesuita ha voluto esaminare alla luce della sua fede. Anzitutto, ha fatto una DIRETTORE RESPONSABILE CAPOREDATTORE PER ATTUALITÀ Gianfranco Brunelli CAPOREDATTORE PER DOCUMENTI Guido Mocellin SEGRETARIA DI REDAZIONE Chiara Scesa ABBONAMENTI tel. 051/4290077 - fax 051/4290099 e-mail: [email protected] QUOTE DI ABBONAMENTO PER L’ANNO 2012 Il Regno - attualità + documenti + Annale 2012 - Italia € 63,00; REDAZIONE p. Marco Bernardoni / Gianfranco Brunelli / Alessandra Deoriti / p. Alfio Filippi / Maria Elisabetta Gandolfi / p. Marcello Matté / Guido Mocellin / p. Marcello Neri / p. Lorenzo Prezzi / Daniela Sala / Piero Stefani / Francesco Strazzari / Antonio Torresin Europa € 102,00; Resto del mondo € 114,00. EDITORE Centro Editoriale Dehoniano, spa Il Regno digitale - attualità + documenti + Annale 2012 - € 63,00; Il Regno - attualità + documenti Italia € 61,00; Europa € 100,00; Resto del mondo € 112,00. Solo Attualità o solo Documenti Italia € 45,00; Europa € 68,00; Resto del mondo € 73,00. Una copia e arretrati: € 3,70. PROGETTO GRAFICO Scoutdesign Srl CCP 264408 intestato a Centro Editoriale Dehoniano. IMPAGINAZIONE Omega Graphics Snc - Bologna Chiuso in tipografia il 14.3.2012. Il n. 3 è stato spedito il 17.2.2012; il n. 4 il 9.3.2012. In copertina: P. DE CHAMPAIGNE, L’ultima cena (part.), 1648, Parigi, Musée du Louvre. STAMPA italia tipolitografia s.r.l. - Ferrara Registrazione del Tribunale di Bologna N. 2237 del 24.10.1957. Associato all’Unione Stampa Periodica Italiana 192 DIREZIONE E REDAZIONE Via Nosadella, 6 40123 Bologna tel. 051/3392611 - fax 051/331354 www.ilregno.it e-mail: [email protected] IL REGNO - DOCUMENTI 5/2012 L’editore è a disposizione degli aventi diritto che non è stato possibile contattare, nonché per eventuali e involontarie inesattezze e/o omissioni nella citazione delle fonti iconografiche riprodotte nella rivista. descrizione poetica commovente di ciò che era realmente accaduto, basandosi sui racconti dell’epoca trovati sul Times di Londra. Poi ha cercato di decifrare il senso di quella tragedia coi cosiddetti «occhi della fede». A bordo c’erano cinque religiose ed è attraverso di loro che Hopkins mette in scena Cristo stesso il quale va loro incontro camminando sull’acqua, come era andato un tempo incontro ai suoi discepoli sulla loro barca, camminando sulle onde del lago di Gennesaret (il lago di Tiberiade; ndt franc.). Cristo non viene a punirle, ma a salvarle; e non solo loro, ma anche tutti gli altri che condividono la stessa sorte funesta, gli altri che egli chiama all’inizio «gli abbandonati, senza assoluzione», ma dei quali dirà subito dopo: «No, non abbandonati». Infatti, anche su di loro egli sente il «dito pieno di sollecitudine di una Provvidenza beata» e sente il bisogno imperioso di dare risposta a quella «lieve delicatezza» che «può farsi obbedire dal cuore di una giovane vergine e far risuonare l’appello che riconduce la povera pecorella smarrita». E porre poi, come conclusione, la domanda: «Il naufragio sarebbe allora la mietitura, con la tempesta che porta i chicchi verso te?». Una conclusione del genere è certamente ciò che un monaco zen potrebbe riconoscere come il satori («risveglio»; ndt franc.), perlomeno nella misura in cui il satori non si limita a una meditazione buddhista, ma può essere vissuto in ogni forma di contemplazione mistica o meditativa. Questo si potrebbe interpretare come uno zen cristiano, particolarmente adatto agli Esercizi spirituali di sant’Ignazio, così profondamente radicati in Hopkins nelle poesie della maturità. E questa visione delle cose non si trova solo ne «Il naufragio del Deutscland», ma con chiarezza ancora maggiore e accenti più personali la si trova nelle poesie tardive, quei «sonetti terribili» nei quali egli lotta con le spaventose «falesie della caduta» del suo stesso spirito. Lì, egli non evoca solo la sofferenza degli altri, nella quale vede la passione, la morte e la risurrezione di Cristo, ma anche e soprattutto le sue sofferenze, attraverso le quali egli si volge alla pazienza di Dio. Tale è il sonetto che si apre con le parole: «Pazienza, cosa dura! Cosa dura pregare, supplicare per essa, è pazienza». Poi, in un tentativo disperato di trarre la lezione dal dialogo fra Lear e Gloucester, egli si interroga: «Dov’è dunque colui che sempre più distilla la deliziosa bontà?». E risponde: «Egli è paziente». È la lezione che noi, esseri umani, dobbiamo trarre da questo tempo di sofferenza, indipendentemente dal fatto di essere cristiani, come Hopkins e Shakespeare, o buddhisti, come tanta di quella povera gente di Tohoku, in Giappone. Inoltre, mentre tentiamo di apprendere al nostro meglio tale dura lezione e cerchiamo disperatamente di metterla in pratica – ovvero di acquisire la «pazienza» in mezzo alle nostre angosce identificandoci con il Crocifisso – la stiamo, senza rendercene conto, insegnando agli altri. Così, dunque, come possiamo leggere nel libro di Isaia: «La conoscenza del Signore riempirà la terra come le acque ricoprono il mare» (Is 11,9). PETER MILWARD si* * Gesuita, docente emerito di letteratura inglese alla cattolica Sophia University di Tokyo, città nella quale vive dal 1954. Studioso e specialista riconosciuto di Shakespeare, del movimento letterario legato allo scisma dei ricusanti (i cattolici inglesi che rifiutarono la riforma anglicana di Enrico VIII; ndt franc.), di G.M. Hopkins e di T.S. Eliot. È autore e curatore di numerose pubblicazioni sui temi di suo interesse in ambito accademico. REGDOC 05-2012 cop:REGDOC 21-2009 cop.qxd 15/03/2012 11.38 Pagina 4 GELASIO DI ROMA Lettera sulle due nature 2012 quindicinale di attualità e documenti Introduzione, testo, traduzione e commento a cura di Rocco Ronzani 5 Documenti pp. 352 - € 32,00 129 Il papa, i cardinali e la fede Fede ed evangelizzazione: le parole di Benedetto XVI alla Congregazione per la dottrina della fede e alla Commissione teologica internazionale e quelle del card. Dolan al Collegio cardinalizio riunito prima del concistoro del 18 febbraio. 136 Lex orandi ' &%$#"! "%# "%"! "#"!#""#"" " #" %" %" ! " #%$# %" $ ##" !%" $%!" #%!%%" #"! %#"!%#"$#"!%%"!%"#$%" "$ "!%#"$#"!% #"#$#"!% %$" #$#"% ! ##" #"!#" "%"!#"%$ #% "$ Novità in campo liturgico: il Messale in lingua inglese (commento di N. King); il Rito delle Esequie (presentazione della seconda edizione italiana) e la Liturgia penitenziale presieduta dal card. Ouellet durante il Simposio in materia di violenze sessuali sui minori in contesto pastorale. 187 Giappone, un anno dopo La prospettiva buddhista e quella cristiana in due riflessioni sul terremoto e sullo tsunami che nel marzo 2011 hanno sconvolto il Giappone. ! "#%#"$% %"$ #"%"! """#$"! "$ %$#" "%""#&## !#"#& #" $! %"#$##"$#! %"%""$ "%" EDB "! Anno LVII - N. 1118 - 1 marzo 2012 - IL REGNO - Via Nosadella 6 - 40123 Bologna - Tel. 051/3392611 - ISSN 0034-3498 - Il mittente chiede la restituzione e s’impegna a pagare la tassa dovuta - Tariffa ROC: “Poste Italiane spa - Sped. in A.P. - DL 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 1, DCB Bologna”