Cuccaro negli uomini della sua storia
D. GIOVANNI CAPRINO
Parroco di Cuccaro per 44 anni e 5 mesi,
deceduto il 31 agosto 1999, D. Giovanni
Caprino merita di essere ricordato fra i grandi
personaggi della storia di Cuccaro, perché
riconosciuto, da tutti coloro che lo hanno
ascoltato (compresa la popolazione di Lu),
come il più affascinante oratore che ognuno di
noi abbia mai incontrato. Lo dimostrano: il suo
diario (con stralci riportati nel libro “Cuccaro,
c’era una volta…”), i suoi articoli sulla “Voce
di Cuccaro”, ma soprattutto alcuni sermoni
registrati e in parte riprodotti nell’opuscolo
“Sermoni di un parroco di campagna”. Come esempio ne riportiamo uno solo,
della durata di ben 45 minuti, pronunciato e registrato domenica 24 aprile 1983,
in occasione del 40° anniversario della sua ordinazione sacerdotale. Si intitola
“Come mi sono fatto prete”. E’ un capolavoro di immediatezza, arguzia e
semplicità, che merita l’incondizionata ammirazione di qualsiasi lettore, laici
compresi, dato che la cultura non ha confini di credenze. Eccolo.
COME MI SONO FATTO PRETE
Ora vi racconterò come mi sono fatto prete, perché oggi, 40 anni fa, proprio in
questo momento, alle ore 10,30, nella chiesa di S. Filippo a Casale, il 24 aprile
1943, sabato santo, incominciava la funzione in cui venivo ordinato sacerdote,
insieme con altri sei colleghi del Seminario di Casale.
Ero entrato nel piccolo Seminario il 3 ottobre 1931. E mi ricordo che ero
andato con il sacrestano della mia chiesa, Giuseppe Bonfante, a portare il
materasso. Poi, con un carrettino a mano, io e mio fratello Carletto siamo andati
a portare il baule e le valigie.
Dopo aver salutato i miei, mi sono messo subito a giocare con gli altri
compagni; ma quando, poco dopo, è suonata la prima campanella, ho capito che
era cominciata per me una vita nuova: la vita di collegio.
In silenzio, allineati, tutti in fila per due (io ero fra i primi, perché ero uno dei
più piccoli), il Prefetto Don Luigi Deambrogio ci ha accompagnati nella piccola
cappella. Mi ricordo che ero nel primo banco. A un certo momento, hanno
acceso le luci della statua della Madonna Immacolata che tendeva le braccia. Fu
allora che io sono scoppiato a piangere perché, senza la mamma, il Carletto, la
mia parrocchia, i miei amici, mi sentivo sperduto in un mondo sconosciuto.
Levata alle 5,30, d’estate: alle 6, d’inverno; pulizia; alle 6.30 in cappella per la
santa Messa; alle 8, colazione; poi scuola, seguìta da lunghe ore di studio. Con
tanta tristezza debbo dire che, essendo molto povera la mia famiglia, ho sempre
dovuto studiare su libri usati. Sempre !
Le letture durante il pranzo
Durante il pranzo, i compagni più anziani, a turno, ci intrattenevano con
amene letture. Ricordo lo svarione di un lettore: “Giulio Cesare, giunto al fiume,
lo ‘guardò’…”. Il sommesso brusio che ne seguì gli fece poi leggere: ‘lo guadò’.
Simpatico ricordo !
In questo modo furono letti centinaia di libri, molto interessanti, per cui, in
certi racconti, spesso eravamo ansiosi di sentire il seguito: “Il piccolo vetraio”,
“ I ragazzi della via Paal”. Tanto eravamo assorti che, mentre si mangiava, si
condiva malamente il cibo e si aggiungeva brodo alla pastasciutta ! Credo di
aver imparato ad amare i libri proprio attraverso queste letture che si facevano
durante il pasto.
Le passeggiate
Quando si andava dalle mie parti, verso il ponte del Po, io chiedevo al Prefetto:
“Posso fare un salto a casa?”. Era questione di un minuto: “Ciao, mamma, ciao
Carletto” (papà era al lavoro in ospedale), e poi via !
Quando poi era il mese di maggio, oppure c’era qualche funzione nella chiesa
della Missione, vicino al Seminario, mia mamma veniva, mi portava una mela,
un’arancia, due caramelle. Io la sentivo, già durante la funzione, perché
emetteva un caratteristico colpo di tosse. E i miei amici mi dicevano (in dialetto):
“C’è tua mamma!”.
Rischiata l’espulsione
Il primo anno ho rischiato di essere mandato a casa. Perché? A Natale si
andava in Duomo per la Messa pontificale celebrata dal Vescovo, e quelli che
erano di Casale potevano andare a casa per il pranzo, però dovevano chiederne
il permesso. Io, invece, finita la funzione, avendo visto altri che tagliavano
l’angolo, anch’io me ne sono andato. Quando poi, alle 4, arrivo in Seminario:
“Dove sei stato?” Tutto il collegio era in subbuglio: “ Manca Caprino, sarà
scappato!”. “Macché scappato! sono andato a casa, tutti andavano a casa!”.
“Adesso parlerai col Superiore!”. Ero considerato come un soldato che avesse
disertato! Mi sono preso una bella lavata di capo: “Per questa volta, passi!”.
Cinque anni di Seminario piccolo. Ho ancora una fotografia: sono fra i più
piccoli, in prima fila, con una grossa sciarpa bianca, con le braccia conserte per
darmi tanta importanza già da allora.
Di nuovo sull’orlo dell’espulsione
Poi, tre anni di Liceo: la scapigliatura, i romantici, il Foscolo, i poeti inglesi, la
filosofia. Prendevamo le pose del caso: in una fotografia, con i capelli alla
Mascagni, con una grossa cravatta io sembravo un eroe di Byron. A 18 anni,
cosa volete che uno sappia della vita! Così, nuovamente sono andato sull’orlo di
essere mandato via, perché, come del resto tutti i compagni della mia classe, ero
vivacissimo. Ci siamo imbattuti in un Prefetto che non ci comprendeva e
continuava a “consegnarci”. Non dovevamo giocare a pallone, era permessa solo
la pallacanestro. Quanti vetri ho rotto! E ogni volta bisognava andare
dall’Economo a consegnarsi, perché poi si pagava a fine anno.
Fu così che, un giorno, il Rettore manda a chiamare mia madre e le dice: “E’
meglio che a suo figlio faccia prendere la licenza liceale, perché non va bene per
il Seminario”. Eppure, a mia mamma, dopo la quinta elementare avevo detto:
“Io voglio farmi prete”. Mia madre, che stava lucidando le scarpe, mi aveva
risposto: “Fa’ la tua idea!”. Ora mi sembrava un tradimento.
La salvezza nella musica
Ma piano piano mi sono rimesso in carreggiata. E sapete chi mi ha salvato? La
musica!. Io e i miei amici abbiamo costituito un circolo musicale: durante la
ricreazione ci riunivamo a studiare, a solfeggiare, a cantare, fino ad affrontare
Bach, Haendel ed i grandi della musica, grazie ai quali io mi sono redento.
Il Rettore infatti mi affida le cosiddette “Accademie musicali”, cioè gli
spettacoli che si allestivano in occasione delle maggiori festività: l’Immacolata,
festa del Sacro Cuore, ecc. Abbiamo eseguito persino cori ad otto voci: cose
egregie, sotto la mia direzione.
Con molta sincerità debbo dire però che i vari spartiti li scrivevamo durante
le ore di scuola, grazie alla tolleranza di professori un po’ sordi, e anche un po’
deboli di vista, come il can. Richetta, un’anima santa che insegnava Sacra
Scrittura. Durante la lezione io distribuivo le parti da copiare: “Tu copia la
parte del tenore, tu fai quella del basso, tu quella del secondo tenore, tu quella
del baritono”. E ogni tanto: “Professore, scusi, cosa dice esattamente il profeta
Ezechiele? mi sembra un po’ confuso!”. E lui a ripetere la spiegazione, mentre
noi riprendevamo la copiatura degli spartiti.
Ci siamo esibiti in varie occasioni. Ricordo l’esecuzione ad Alagna, sotto il
Monte Rosa, dinanzi ad un folto pubblico: un vero successo ! Fu così che mi
sono salvato, grazie alla musica!
Gli “Ordini” minori
Passano gli anni: tre di Liceo, quattro di teologia (teologia morale, teologia
dogmatica, diritto canonico, Sacra Scrittura, storia ecclesiastica): cioè tutta la
scienza di Dio, per salire piano piano al sacro monte.
Al secondo anno di teologia arrivano i cosiddetti “Ordini” minori; al terzo, il
Suddiaconato, con l’impegno di recitare il Breviario.
La guerra
All’ultimo anno, nel 1939, scoppia la seconda guerra mondiale: Hitler aveva
invaso la Polonia. Nel ’40, la Germania assalta la Francia, e qui il tragico giorno
del discorso di Mussolini in piazza Venezia che schierava l’Italia al fianco della
Germania. “Ho consegnato poco fa la dichiarazione di guerra agli ambasciatori
di Gran Bretagna e Francia”.
Nel ’43, quando eravamo già da tre anni in guerra, il Vescovo, preoccupato
perché avevano bombardato il ponte presso Casale (una casa vicino al Seminario
era stata semidistrutta), e molte volte bisognava scappare nei rifugi, sotto il
pauroso rombo degli aerei e l’urlo straziante delle sirene nel cuore della notte, il
Vescovo--come dicevo--preoccupato per questa situazione, decise di troncare
l’anno: a Pasqua si va tutti a casa!
L’Ordinazione
E noi, ordinandi dell’ultimo anno, riceviamo la consacrazione. Al sabato santo,
dopo una settimana di preghiere e di esercizi spirituali, il Vescovo ci chiama:
siamo tutti e sette prostrati davanti a lui.
Carletto, che era già stato chiamato alle armi, doveva andare in guerra. Ma,
mentre il suo reggimento parte per il fronte, lui, colpito dalla polmonite, è in
ospedale; guarisce e può venire a casa per la mia consacrazione sacerdotale e la
mia prima Messa.
Vice-parroco a Casorzo, paese dei Protestanti
Ricevuta la consacrazione, il Vescovo, dopo due mesi circa, il 17 di giugno, mi
manda vice-parroco a Casorzo. Un paese molto difficile: nessuno dei miei
antecessori vice-parroci era durato più di sei mesi. Un paese di Protestanti molto
rigorosi: hanno la loro chiesa, ogni domenica si radunano per pregare e cantare
con fervore davvero esemplare.
Il mio servizio era pressante: confessare durante la prima Messa, la lezione di
catechismo (Casorzo era un paese che faceva circa milletrecento abitanti), alle
undici dovevo celebrare la Messa cantata e fare la predica. Avete mai provato a
parlare in pubblico?
Il problema della predica
Le prime prediche erano un disastro! Di notte mi alzavo a scrivere dalla prima
all’ultima parola. Tutti i sermoni li ho sempre scritti. Ma poi, arrivato là, non
ricordavo più nulla. A volte ero costretto persino a cambiare argomento, perché
nella mente si era fatto il vuoto più assoluto, con la gente che ti guarda e aspetta.
Cominciai allora a scrivere soltanto quattro aneddoti. Avevo capito, parlando
ai bambini, che il fatterello, la storiella, piacevano. Si trattava di scrivere su un
cartoncino almeno quattro raccontini, e la cosa funzionava anche se talvolta non
tiravo neppure la conclusione. Fu così che ho accumulato tanto materiale:
leggevo e scrivevo, leggevo e sottolineavo, facendomi un bagaglio tale per cui ora
posso vivere di rendita, come si suol dire. Ora leggo ancora moltissimo, ma non
ho più la memoria di un tempo.
Dunque quattro anni a Casorzo, durante la guerra: andavo a portare la
Comunione di Pasqua ai partigiani della zona. Una notte, i tedeschi circondano
il paese. Anzi il capitano è venuto a dormire in parrocchia, come il posto più
sicuro.
Vice-parroco a Lu, paese delle vocazioni
Caduto il Fascismo, finita la guerra, nel ’47 mi mandano vice-parroco a Lu.
Un paese completamente diverso, come dal giorno alla notte: un paese fervoroso,
il sacerdote è stimato, è il paese delle vocazioni, più di trecento, quasi ogni
famiglia ha dato un prete o una suora alla Chiesa. E ancora oggi, essendo anche
parroco di S. Giacomo, ritrovo con grande piacere quei cari volti di un tempo.
Vice-parroco a Camagna
Dopo Lu, vice-parroco a Camagna, per tre anni e mezzo, con D. Gasparolo, il
parroco che poi è rimasto ucciso sotto il crollo della chiesa.
Camagna è un paese più freddo, più controllato, dove la gente è piuttosto
indifferente. Quando è morto il parroco, mentre lo portavano via, un tale ha
detto (in dialetto): “Ne facciamo a meno del prete!”.
“Va’ anàn, bucìn!”
Poi, nel 1954, a novembre, viene a morire, a Cuccaro, D. Sebastiano Grabbio.
Quasi contemporaneamente muore D. Coggiola, parroco di Grazzano. Il
Vescovo mi invita al concorso, come si usava allora. Il concorso consisteva
essenzialmente in un tema sulla teologia dogmatica e in una predica. Ero solo
con la scelta fra due parrocchie. Scherzando ho detto: “Potrei prenderle tutte e
due?”. “No, non si può!”. Così ho scelto Cuccaro.
Io non vi conoscevo. Ero venuto solo una volta, su invito di D. Grabbio. Dovevo
fare la predica della Passione. C’era quel pulpitino; i bambini erano tutti seduti
sui gradini; il presbiterio pieno di uomini; la gente gremiva la chiesa in un modo
impressionante! Io ero lì, quasi sepolto in mezzo alla gente. C’erano tre
chierichetti: l’Ilario, il Celeste e il Germano (che è già morto, a Loano). Si vede
che la mia parola li aveva talmente ammaliati che stavano lì, imbambolati, con la
Croce fra le mani. E io, a un certo punto, secondo le istruzioni ricevute da D.
Grabbio, dovevo chiamare la Croce: “Avanti, o vessillo del Signore!”. ( Una cosa
un po’ retorica, ma era l’usanza). Io chiamo la Croce, una, due, tre volte, ma il
chierichetto che la portava… niente. E così, in un silenzio basilicale, si ode la
voce del vecchio D. Grabbio: “Va’ anàn, bucìn!” (Vai avanti, somaro!). Risata
generale, che ha sdrammatizzato la situazione. Questa fu la mia prima visita a
Cuccaro.
Parroco a Cuccaro
Nel febbraio del ’55 vado dunque al concorso, lo vinco. “Ciao, mamma”, saluto
gli amici e vado dal Vescovo che mi dà l’investitura, seguìta dal giuramento. Il
Vescovo mi sollecita: “Fai presto perché a Cuccaro non c’è più il parroco” (c’era
solo il vice-parroco, D. Pogliano, al quale il Vescovo nel frattempo aveva
assegnato una parrocchia), per cui il paese restava sguarnito proprio il giorno di
Pasqua.
Faccio dunque il mio ingresso il 3 aprile1955, domenica della Palme. Quando
sono arrivato mi avete fatto un’accoglienza straordinaria. Mi ricordo ( ho
ancora le fotografie che parlano) circondato da tante gente: il Sindaco (il buon
Clinio Raimondo), mi ha fatto il discorso, cominciando con queste parole: “ Lei,
D. Caprino, viene a Cuccaro dove trova una sposa povera, brutta e
malandata…!”. Ricordo di aver risposto, all’incirca: “E io spero, con l’aiuto di
Dio, di rimetterla un po’ in salute e di recarle anche un po’ di dote”. Poi ho così
sintetizzato il mio programma di lavoro: “Andare in Paradiso insieme con tutti i
miei parrocchiani!”.
Ricordo ancora la mia prima predica, in una chiesa incredibilmente gremita, e
forse vi sarete chiesti: “Che prete sarà questo ? andremo d’accordo?”.
Sono parroco ormai da tanti anni e, ad essere sincero, da allora ho avuto
almeno tre offerte di altre parrocchie. Però, forse, per amore del quieto vivere,
“paese piccolo, fastidi piccoli”, ho sempre rifiutato ogni offerta per rimanere in
mezzo a voi, per cui mi trovo con voi ormai da 28 anni.
La difficile professione del prete
Se mi chiedessero: “Potendo tornare indietro, faresti ancora il prete?”.
Risponderei di sì, perché, veramente, per me non vedrei altra strada che quella
del sacerdote, anche se è una professione, direi, ‘balorda’. Basta sentire come
viene giudicata: “I preti? tranquilli, niente fastidi, mangiano capponi tutti i
giorni, ‘sotto il campanìn non manca pan e vin’, oh che bella vita!”. Se così fosse,
dovremmo avere i Seminari che scoppiano, dovremmo mandare a casa i
postulanti per mancanza di posto. Invece è una professione difficile, perché
predichiamo delle cose che ‘non si vedono’. Se almeno ogni tanto, con un
cannocchiale, si potesse dire: “Ecco, guarda qui, si vede il Paradiso!”. Invece
non si vede niente: predichiamo la fede, cieca. Predichiamo Gesù Cristo: non
l’abbiamo mai visto né conosciuto. Predichiamo il Paradiso: non l’abbiamo mai
visto. Ecco perché, davanti ad altre mille offerte di un presente pieno di
allettamenti e di malìa, la nostra voce tante volte risuona nel deserto. Una
professione anche magra. Noi abbiamo fatto gli studi come un avvocato, come
un ingegnere, come un medico. Volete sapere quale è stato il mio primo stipendio
annuale? Cinquecento lire a gennaio, cinquecento lire a giugno: mille lire l’anno.
Con mille lire dovevo vestirmi, comprare i libri, il bucato me lo faceva mia
madre, poi c’era la bicicletta: una bicicletta usata, bastava che ci fosse la canna,
il manubrio, due ruote, e si andava. E’ anche una professione impopolare. Una
volta il prete era stimato, era una autorità. Oggi, me lo confermano i miei amici
in città: vanno a benedire le case e si sentono insultare. E’ triste! Si rispetta il
poliziotto, si rispetta l’avvocato, si rispetta il medico, si disprezza il prete!
Concludendo. Quarant’anni di Messa, ventotto in mezzo a voi. Domani, con i
miei cinque colleghi rimasti, vado a ringraziare la Madonna al Santuario di
Crea: ma vi invito a pregare con me, affinché questo povero prete possa salvarsi
l’anima. Diceva bene il curato d’Ars: “Pregate, affinché, dopo aver predicato
agli altri, io non vada dannato!”. Sia lodato Gesù Cristo.
PiC
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D. Giovanni Caprino