ARCANGELO CHELLI GLI UOMINI ILLUSTRI DI UMBERTIDE UMBERTIDE Tipografia Tiberina 1888 Agli alunni delle Scuole Elementari di Umbertide Le memorie degli egregi uomini sono di forte stimolo a bene operare; e voi, o giovinetti, leggendo le onorate azioni dei vostri maggiori, le azioni di persone natee vissute nel luogo ove voi stessi dimorate, vi sentiretespinti ad imitare le virtù cittadine e le opere belle e buoneda esse compiute; imparerete ad amare maggiormente la terra natale, la quale si può gloriare di essere stata la culla di tanti uomini illustri. Di Umbertide, 21 novembre 1888 Arcangelo Chelli ARCANGELO CHELLI GLI UOMINI ILLUSTRI DI UMBERTIDE Gli esempi dati dai grandi e dai buoni mai non si estinguono,ma continuano a vivere e a parlare a tutte le seguenti generazioni. Smiles Umbertide 1888 - Tipografia Tiberina R RUGGERO CANE RANIERI uggero Cane è certo una delle più belle glorie del nostro Comune. Nacque egli dalla nobilissima famiglia dei conti Ranieri di Civitella, castello antico, situato su d'una altura a breve distanza da Umbertide. Si chiamava semplicemente Ruggero. Ebbe il soprannome di Cane dalla figura di questo animale, che portava per cimiero sopra il suo elmo. Fu diplomatico e assai valente capitano. Andò due volte ambasciatore in Roma pei Visconti signori di Milano, incaricato di affari importantissimi presso la corte pontificia. Cacciato, con molti altri, da Perugia dalla parte popolare, radunò molte bande di uomini, e con queste, insieme a Fabrizio Signorelli, formò una compagnia di mille e cinquecento cavalli. La prima sua azione militare fu la ricuperazione, per la sua famiglia, del castello di Civitella, il qua!e, occupato prima dai Michelotti nemici dei Ranieri, era allora tenuto dal Comune e popolo di Perugia. Vi entrò a viva forza con trecento cavalli, costringendo alla fuga le milizie che vi erano al presidio. Dopo questo fatto che lo fè salire in fama di valoroso capitano, Ruggero, d' intelligenza con Braccio) Fortebracci da Montone, condusse la sua compagnia nella Marca anconitana e prese ed occupò la città di Ascoli, per Lodovico Migliorati nepote di papa Innocenzo VII, al quale si era ribellata per amore di libertà. Prese poi servizio nell'esercito della serenissima repubblica di Venezia, dove tanto si segnalò, che meritò di essere innalzato al grado di generale della cavalleria. Al fiume Isonzo si copri di gloria. Era l'anno 1412; l'esercito di Sigismondo imperatore inseguiva vittorioso le squadre veneziano. Ruggero alla testa di seicento cavalli, suoi e di Crasso Venosino, tenne testa al nemico sul ponte e diede così tempo ai Veneziani di riordinarsi e di guadagnare una completa vittoria sopra i soldati dell'imperatore. Generale fu il plauso dei Veneziani al nostro Ruggero, e il Cornazzano, celebrando questa vittoria, ebbe a dire di lui: "Fece a Venezia di suo corpo un muro". Si fermò ancora per qualche tempo in Venezia. Ritornò poi in questi luoghi, e fece causa comune con Braccio Fortebracci divenuto signore di Perugia. Nel 1417 andò con la sua poderosa cavalleria in soccorso dello stesso Braccio nella occupazione di Roma. Prese parte a tutti i fatti d'armo dell'esercito braccesco, e nel 1419 fu all'assedio di Spoleto. Caduta, con la morte di Braccio, la dominazione braccesca in Perugia, fu dai Perugini, nel 1424, mandato a Martino V sommo pontefice, per trattare la sommissione della città alla chiesa. D'allora in poi Ruggero spese tutto il suo tempo per il bene della patria. Ebbe due mogli; donna Martina della nobilissima famiglia Colonna dalla quale gli nacque una figliuola che fu poi sposata a Malatesta Baglioni; Altavilla dei conti Ubaldini della Carda, dalla quale ebbe un figliuolo di nome Costantino. Morì in Perugia nell'anno 1441 carico d'anni e di gloria. Gli furono fatti sontuosi funerali a spese del pubblico perugino, e fu sepolto onoratamente nel duomo, fra bandiere e trofei militairi. Una statua fu innalzata alla memoria di questo celebre guerriero nel castello di Civitella, statua che tuttora si vede su rozza base. GIOVANNI PACHINO G iovanni Pachino nacque nella terra di Fratta, ora Umbertide, verso la fine del secolo decimoquar to. Si dedicò allo studio della giurisprudenza e tanto profittò in esso, che meritò di essere denominato "Lucerna della legge"ed anche "egregio e famosissimo dottore." Visitò lontane regioni, non per vaghezza di viaggiare, ma per arricchire la mente sua di cognizioni sempre maggiori. Dimorò per alcuni anni alla corte di Milano. Filippo Maria, ultimo dei Visconti, lo ebbe in grandissima estimazione di savio ed onesto, e per il suo sapere, e per le buone sue qualità, lo nominò maestro generale di tutte le entrate del ducato. Tenne quest'ufficio fino all'anno 1443, nel quale chiese ed ottenne dal Visconti, la permissione di ritornare in questa sua terra natale, per finirvi in pace i suoi giorni. Vi ritornò con tutta la famiglia ricco di beni e di onori. La città di Perugia, per i suoi meriti singolari, lo ascrisse nell'albo dei suoi cittadini. Morì questo valente legista poco dopo il suo ritorno. A ANDREA CIBO ndrea Cibo nacque nel 1493. Studiò medicina e, giovanissimo ancora, insegnò con molta lode nell'università di Perugia. Papa, Clemente VII, a, cui era pervenuta la fama del grande sapere di Andrea, lo chiamò in Roma e lo nominò suo medico, con grosso stipendio e con entrata annua per se e per suoi eredi. Fu accettatissimo al sommo pontefice Paolo III Farnese, il quale nel viaggio che fece a Nizza, lo volle presso di se, e nell' abboccamento del papa coll'imperatore Carlo V e con Francesco re di Francia, egli solo fu eletto ad assistere al convito fatto a quei grandi potentati. Ebbe Andrea molte onorificenze nell'esercizio dell'arte sua e da Pio IV fu eletto protomedico generale del collegio sanitario in Roma. Dopo la morte di Pio IV si stabilì a Perugia dove visse onoratissimo fino alla sua morte, avvenuta ai 17 maggio dell' anno 1376, nella grave età di anni ottantatre. Fu sepolto con solenne pompa in Perugia nella cattedrale di s. Lorenzo. Dal nome di sua famiglia, s'intitola una delle principali strade del paese. G GIO: TOMMASO PAOLUCCI io: Tommaso Paolucci abbracciò la carriera ecclesiastica e pose ogni sua cura nello studio delle lettere italiane, greche e latine, delle matematiche e della storia. Non contento però delle acquistate cognizioni e desiderando sempre di progredire nella via del sapere, si diede allo studio delle leggi civili e canoniche e ne conseguì la laurea dottorale in Roma nel 1585. Fu segretario dei cardinali Fulvio della Cornia, Ottaviano Acquaviva, e Gio: Vincenzo Gonzaga. Istruì nelle lettere greche monsignor Maffeo Barberini che fu poi papa col nome di Urbano VIII. Ebbe molte onorificenze e dignità ecclesiastiche, e nel 1585, l'anno stesso che ricevette la laurea dottorale, fu insignito del titolo di arciprete della basilica di s. Maria in Cosmedin, detta della scuola greca. Scrisse egli un trattato di cose politiche, un sommario d'avvertimenti politici, e i commentari sugli annali di Cornelio Tacito. La fama del suo sapere e della probità sua addimostrata nei vari uffici, da lui con molta lode sostenuti, mosse il sommo pontefice Clemente VIII a conferirgli l'alta carica di suo segretario di lettere latine, carica però che non potè assumere, perchè colto dalla morte, la quale quasi improvisamente lo rapì nell'ancora verde età di anni 57. FILIPPO ALBERTI "Egli è il tenero Alberti, in cui ripose tanta fidanza e generoso affetto, quel Grande che cantò l' armi pietose." Mariotti F ilippo Alberti ebbe fin da giovinetto speciale predilezione per lo studio delle belle lettere. Coltivò con amore la poesia, nella quale divenne assai valente. Scrisse varie opere molto lodate: un libro di poesie l'intitolato "Rime di Filippo Alberti" stampato in Roma ed in Venezia; una bella canzone sopra la cicala; una tragedia intitolata "Cestio Macedonico" il cui protagonista fu un tale Cestio cittadino perugino, il quale avendo combattuto coi Romani nella guerra di Macedonia, ed in quella essendosi segnalato per generose azioni, meritò il soprannome di Macedonico. Scrisse pagine di elogi degli uomini illustri perugini e commentari di storia perugina, oltre a molte altre opere che per brevità si omettono. Molte sue poesie si leggono in opere di vari autori, ed una nel libro della per- fetta poesia del Muratori. Fu accettatissimo ai primi rimatori del suo tempo e particolarmente al grande poeta Torquato Tasso, col quale ebbe strettissima relazione. Il Tasso non isdegnò chiedere un giudizio al nostro Alberti su molte sue composizioni e sullo stesso immortale poema della " Gerusalemme liberata" nel quale molte cose migliorò e corresse. Filippo Alberti si può considerare come uno dei più grandi nostri concittadini. Dimorava egli abitualmente in Perugia, ma spesso si recava in questa sua terra natale, dove morì nel 1612, l' anno sessantatreesimo della sua età. La strada dove era situata la sua casa, porta oggi il nome di "Via Alberti". B BERNARDINO MAGI ernardino Magi fu valente pittore. Imparò alla scuola del celebre Federico Barocci da Urbino e tanto si studiò d'imitare il maestro che spesso i suoi dipinti, venivano scambiati, con quelli dello stesso Barocci. Nessun cenno di questo nostro pittore si trova nelle memorie patrie. Egli è degno però di essere qui ricordato per belle opere che ha lasciato in questo luogo, le quali meglio di qualunque scritto, attestano la valentia sua nell'arte della pittura. Fra queste opere, merita speciale menzione il quadro dell'altare gentilizio della famiglia Magi, situato nella chiesa di s. Maria, a sinistra di chi entra. E' questo un quadro condotto con grande maestría. Vi si vede in alto la Vergine in mezzo ad una gloria di serafini, e giù al basso dai due lati i santi Lorenzo e Maddalena. Il fondo del quadro rappresenta un paesaggio delizioso. Da piedi vi si legge: 1397. Tale dipinto bellissimo, in sul principio del presente secolo, fu giudicato come originale del Barocci, e trasportato in Roma. Esaminato però accuratamente, fu riconosciuto essere, come veramente è, della scuola e non del Barocci, e così fu ricondotto in paese e collocato nel suo primiero luogo. Bernardino Magi mori nel 1612, poco dopo la morte del suo maestro, da esso teneramente amato. PIETRO GIACOMO PETROGALLI P ietro Giacomo Petrogalli nacque nel 1554, da una delle migliori famiglie del paese. Fin da giovinetto dimostrò grande coraggio e fermezza di carattere. Un giorno, mentre si divertiva a pescare sul Tevere, poco sotto il castello di Montalto, gli venne fatta ingiuria da Sforza degli Alessandri perugino, il quale lo fece pure, da un suo agente, percuotere con un bastone. Il nostro Pietro non sopportò l'insulto e giurò di vendicarsi. Veniva l'Alessandri spesso a diporto in questo nostro paese, conducendo seco una scorta d' armigeri. Pietro non potendo soffrire tanta insolenza, dopo l' offesa ricevuta, g!i si fa innanzi, gli esplode un colpo di pistola sul petto e lo stende al suolo cadavere. Dato, quindi, di piglio ad un' accetta, si fece largo in mezzo a quegli uomini d' arme, e destramente riuscì a porsi in salvo. Non isfuggì però alla pena del bando a cui venne condannato, e nell' aprile del 1580, dovette uscire da questa sua terra natale. Rifugiossi da prima in Francia prendendo servizio nelle milizie di quel paese. Amante di gloria, si segnalò subito per molte e belle azioni di valore, per le quali riscosse l' ammirazione dei soldati e si ebbe il grado di luogotenente colonnello. Di Francia ritornò in Italia. Si pose al servizio del Granduca di Toscana Ferdinando I e partì con le truppe italiane che andarono in Ungheria a combattete coll' imperatore, contro i Turchi. Anche in questa occasione si mostrò degno del suo nome; combattè strenuamente, e dopo la presa di Chiavarino, nella quale si copri di gloria, fu nominato capitano di una grossa compagnia italiana (15 ottobre 1594). Fu pure un' altra volta in Ungheria agli stipendi della Chiesa, nella spedizione comandata da Francesco dei marchesi Del Monte, e vi rimase sino alla fine della guerra, nella quale riportò molte onorate ferite. Pietro allora, che mal fermo era di salute e assai debole per il molto sangue versato, espresse il desiderio di ritornare a respirare l' aria nativa, e il papa con speciale indulto del 26 Luglio 1596, non solo gli concesse di ritornare in questo suo paese, ma lo richiamò dal bando e gli condonò graziosamente ogni pena, benché non avesse ottenuta la pace dalla famiglia Alessandri. Dopo qualche tempo essendosi ristabilito in salute, ritornò in Toscana e dal granduca Ferdinando fu nominato luogotenente della fortezza di Pistoia, quindi sergente maggiore del presidio di Livorno e poi castellano della stessa città. Nel 1607 fu alla presa della città di Bona in Barberia col grado di sergente di battaglia. Morto Ferdinando I nel 1609, successe nel governo Cosimo II ed anche a questo fu accetto il nostro Pietro, e conosciutane la perizia e la fedeltà, ai 15 maggio del 1612, lo deputò gonfaloniere della banda di Valenza e sergente maggiore di tutta l' infanteria toscana. Sostenne inoltre molte altre cariche onorifiche. Nel 1622 ritornò nuovamente in questo nostro paese, ma vi dimorò poco tempo, perché da Cosimo fu richiamato in corte ad occupare l' alta carica di consigliere di stato. Un giorno mentre usciva dalla consulta, fu colto da aneorisma per la quale morì nella età di anni 74. C CESARE BARTOLELLI esare Bartolelli attese con grande amore allo studio delle leggi civili e canoniche nell' università di Perugia, e in ambedue conseguì la laurea dottorale. Fu da prima in Città di Castello in qualità di giudice. Esercitò questa carica con tale prudenza con tale rettitudine, da riscuotere il plauso e l' ammirazione dei migliori cittadini. Partitosi da Città di Castello, se ne andò a Roma. Quivi per il suo sapere e pei suoi meriti singolari, si fece presto scala a maggiori onori, fino ad essere deputato a sostenere l' alto ufficio di governatore di Roma. Papa Clemente VII ebbe del nostro Cesare altissima stima. Due volte lo inviò ambasciatore in Praga per trattare importanti negozi con l' imperatore d' Austria. Nel 1602 fu creato vescovo di Forlì. Resse quella chiesa per trentadue anni, tutti spesi pel bene del popolo affidato alle sue cure pastorali. Menò egli innocentissima vita, fu d'irreprensibili costumi, pieno di carità, uomo veramente apostolico. Morì, pieno di meriti in Forlì, ai 7 gennaio del 1634. Lasciò memoria di se nella nostra chiesa di s. Francesco, facendovi costruire una bene ornata cappella, sull' arco della quale, sormontato dallo stemma gentilizio, si legge ancora il suo nome, chiaro contrasegno dell' affetto che egli sempre ebbe a questa sua terra natale. P PIERO BURELLI iero Burelli fu d'ingegno molto elevato. Studiò le matematiche e l' architettura civile e militare, alle quali era portato da naturale inclinazione. Nei primi anni della sua giovinezza fu capitano di Castiglion del Lago e del Chiugi perugino. Si pose al servizio della serenissima repubblica di Venezia, come ingegnere di campo, ufficio che esercitò con molta lode. La sua perizia e l'accortezza sua nel costruire trincee a difesa degli alloggiamenti dei soldati, lo resero caro a Gio: Battista Bourbon del Monte capitano generale dell' esercito Veneto, il quale lo volle sempre al suo fianco; nelle guerre combattutesi in Italia, in Fiandra e nella Brabanzia. La vita del campo lo fece salire in fama di espertissimo nell' architettura militare, e la serenissima repubblica di Venezia con patente del 18 febbraio 1607 gli conferì la carica d' ingegnere generale di tutti i suoi domini, con la provvisione annua di scudi ottocento. Intraprese allora e condusse a compimento i restauri della fortezza di Palmanova. Un anno dopo, avendo finito il disegno della fortezza di Verona, che era la prima piazza di guerra della repubblica, fu colto da grave malattia che lo condusse al sepolcro, nella ancora verde età di anni cinquantotto. C CRISTOFORO PETROGALLI ristoforo Petrogalli fu educato alle dure fatiche del campo dall' illustre sud zio Pietro Giacomo Petrogalli, col quale si trovò in molti fatti d' armi, ed alla presa della fortezza di Bona in Barberia. Quivi diede prova del suo valore e del suo ardimento salvando l' insegna della compagnia del capitano Carlo della Penna perugino, che per la morte dell'alfiere, sarebbe caduta nelle mani del nemico. Pei molti suoi meriti, il nostro Cristoforo, fu assai accetto alla corte di Toscana. Francesco de' Medici, prima di morire l'onorò della sua spada e del suo giaco o maglia di ferro alla foggia di un corpetto, che i guerrieri indossavano nelle battaglie. Gli assegnò inoltre uno stipendio di 19 piastre al mese ed un nobile appartamento. Ai 6 di Ottobre del 1637 fu dal cardinale Carlo de' Medici nominato capitano delle lance spezzate. Il granduca Cosimo II che conosceva assai bene la valentia militare di questo nostro capitano, ai 21 di settembre 1642 gli affidò il comando di una compagnia di 200 fanti, e nel seguente anno, ai 23 di novembre, lo promosse al grado di sergente maggiore nel terzo del maestro di campo conte Angelo Maria Stufa. Finalmente pei suoi meriti singolari, dalla gentile Firenze fu altamente onorato coll' essere ascritto, ai 10 di gennaio del 1644, nell' albo dei suoi concittadini. Morì in Firenze nel 1648. M MUZIO FLORI uzio Flori ebbe i natali in questa terra sulla fine del secolo decimosesto. Fin da fanciullo diede a divedere una tendenza speciale per l' arte del disegno e della pittura, dilettandosi a disegnare rozzamente gli oggetti che più fermavano la sua attenzione. Bernardino Magi, quel nostro pittore di cui sopra abbiamo parlato, consigliò il giovinetto a intraprendere seriamente lo studio della pittura, ed a recarsi in Roma. E vi si recò il nostro Muzio portandovi tutta quella buona volontà che aveva per un' arte a lui sommamente dilettevole. le. Studiò la natura e i capolavori dei sommi artisti e divenne uno dei buoni pittori della scuola romana. Un pregevole suo dipinto esiste nella nostra chiesa di S. Bernardino. Fu allogato al Muzi dai priori della confraternita di detta Chiesa nell' anno 1605. In questo dipinto vi è raffigurata l' ultima cena che Gesù Cristo fece cogli apostoli la sera innanzi alla sua passione e morte. Persone intendenti della pittura hanno parlato di questo lavoro del Flori, giudicandolo degno di figurare in una storia dell' arte. Ebbe in moglie Muzio una donna di nome Panta, dalla quale ebbe tre figliuoli, due femmine ed un maschio natogli nel 1614. Non si conosce la data della sua morte, ma si può supporre, sia avvenuta verso la metá del secolo decimosettimo. O ORAZIO MANCINI razio Mancini studiò nella celebre università di Bologna, nella quale si segnalò per la gravità dei giudizi intorno alle discipline legali e per l' acutezza del suo ingegno. Finiti gli studi, andò alla corte di Roma. Il valore suo, il zelo e l' ammirabile destrezza acquistatasi nel maneggiare i pubblici negozi lo fecero presto salire in fama di valente legista. Fu segretario dei cardinali Caraffa, San Severino e Doria, e per questo mezzo potè assistere a sette conclavi. Ebbe strettissima relazione con Filippo III re di Spagna, il quale affidò al nostro Orazio la trattazione di affari importantissimi, che furono condotti con tale discernimento ed avveduttezza, da meritare la piena approvazione sovrana. Per questi delicati uffici, il re volle rimeritarlo in modo degno di lui, e gli offrì i vescovati di Cefalù e di Girgenti, che egli modestamente ricusò. In cambio però volle assegnargli una pensione di scudi mille oltre ad una gratificazione di 6000 scudi castigliani. Fu assai grato a vari sommi pontefici e principi italiani, e segnatamente a Ferdinando gran duca di Toscana e al duca Carlo Emanuele I di Savoia, dal quale fu richiesto per gentiluomo e commensale di Maurizio suo figlio. Pervenuto ad un' età avanzata, e stanco delle molte cure della vita politica, si ritirò in Perugia dove fondò la congregazione dell' oratorio, ed arricchì la città di un nuovo tempio, nella edificazione del quale, impiegò grosse rendite di abbazie, pensioni e i suoi beni patriimoniali. Mori nell' anno 1629 e dell' età sua 83. CINZIO PAOLUCCI C inzio Paolucci, nato in un tempo in cui la nostra Italia era piena d'armi e d'armati, da lungi venuti per tiranneggiarla ed opprimerla, si dedicò alla carriera militare, nella quale acquistossi fama di esperto capitano. Prese egli servizio nell' armata della serenissima repubblica di Venezia, la sola potenza che in quei tempi in felicissimi tenesse alto il nome italiano. Combattè contro i Turchi e contro i corsari, i quali, protetti dal governo turco, molestavano e danneggiavano le navi da guerra non solo, ma quelle pure mercantili, assalendole e derubandole. Si segnalò in ogni incontro, per intrepidezza e valore e meritò di essere innalzato al grado di capitano degli alabardieri. Nel 1632 gli fu dato il comando della compagnia italiana in Dalmazia, e nel 1636 fu mandato, in qualità di maggiore e comandante generale, nell' isola di Zante, una delle più importanti del mar Jonio, dove finì onoratamente i suoi giorni. N ALFONSO SPUNTA acque Alfonso Spunta da buona famiglia del paese, nell' anno mille seicento. Si dedicò allo studio delle lettere latine nelle quali riuscì di molto valore. Fu invitato alla corte di Svezia e vi andò come maestro della giovane regina Cristina Alessandrina, e come segretario delle lettere latine, carica assai importante in quei tempi, nei quali, gli atti pubblici venivano ancora scritti nell' antichissima lingua dei nostri padri. Sostenne, in quella magnifica corte, altre cariche onorifiche, e fu pure inviato ambasciatore in esteri paesi. Ciò prova più di qualunque altra cosa, quanto profonda fosse la dottrina del nostro Alfonso, avendo egli ricevuti tali onori in una reggia dove i letterati erano tenuti in grande estimazione dalla stessa regina Cristina, la quale, tutta dedita anch'essa agli studi letterari, ebbe il vanto di donna eminentemente erudita. Visse Alfonso molti anni alla corte di Svezia altamente onorato e stimato, e vi conobbe gli uomini più celebrati del suo tempo. Nel 1659 ottenne, per la sua mal ferma salute, di ritornare in questa nostra terra, dove l' anno appresso morì. G GIULIANO BOVICELLI iuliano Bovicelli, più che per letteraria erudizione, va ricordato per opere di beneficenza a pro dei suoi concittadini. Abbracciò fin da giovinetto la vita ecclesiastica, nella quale occupò onorevolissimi uffici. Fu segretario del cardinale Orsini, che poi fu papa col nome di Benedetto XIII. Occupò in seguito l'alta carica di priore di Benevento e quella di protonotario apostolico. Nel l715 istituì, del proprio, un monte frumentario, il quale fu, nel 1825, convertito in monte di pietà tuttora esistente. Lasciò dotazioni annue per le giovinette povere, e di tutti i suoi beni, costituì erede universale la confraternita di S. Bernardino di questa terra. Mori questo benemerito nostro concittadino in Roma, nel 1724. A ANNIBALE MARIOTTI nnibale Mariotti fu uno dei più belli ingegni di cui si onora questo nostro paese del quale è originario, e la città di Perugia, nella quale nacque ai 13 di settembre 1738, nel tempo che il padre suo, Prospero Mariotti, professava medicina e botanica in quella università. Studiò nella stessa città di Perugia, e a sedici anni conseguì la laurea dottorale in medicina ed in filosofia. Poco dopo, col desiderio d' imparare cose nuove, si recò a Roma. Quivi s' istruì nella fisica e nelle matematiche, senza tralasciare di perfezionarsi nella scienza medica. Ritornato in Perugia, fu nel 1757, e a soli diciannove anni di età, nominato professore di medicina. Insegnò egli con molta lode, ma per poco tempo, perché, il desiderio di arricchire la mente sua di cognizioni sempre maggiori, lo spinse a lasciare una seconda volta Perugia. Fu a Bologna, a Padova, a Pisa, ovunque ammirato per la sua grande erudizione. Da Pisa, da Pavia e dallo stesso studio di Padova, gli vennero offerte cattedre che egli ricusò per l' amore del natio luogo. Ricondottosi dopo questo viaggio a Perugia, nel 1760, e lietamente accolto dai suoi concittadini, gli fu data nuovamente la cattedra di medicina, alla quale, nel 1768, fu aggiunta quella di botanica, già occupata dal defunto suo genitore. Le vaste cognizioni scientifiche e letterarie che egli possedeva, lo fecero salire in fama di uomo profondamente erudito e gli accrebbero la stima, che già altissima godeva, nella città e fuori. Annibale Mariotti visse in tempi assai difficili, ma in mezzo agli onori ed alle umiliazioni che ebbe a sostenere, non venne in lui mai meno la bontà e la gentilezza che adornavano l' animo suo nobile e generoso. Proclamata, ai 5 di febbraio 1798, la repubblica francese in Perugia, il nostro Annibale fu uno dei quindici chiamati a formare il governo provvisorio, ed ebbe l'onore di andare, insieme al dottor Gian Angelo Cocchi, a rappresentare la città in Roma, al bandimento della costituzione ed alle feste federali della repubblica romana. Al suo ritorno in Perugia, cessato il governo provvisorio, venne eletto prefetto consolare del dipartimento, che prese il nome dal vicino Trasimeno. Non insuperbì dell' alto onore conseguito, ma l'autorità sua ed il suo sapere volse a beneficio dei suoi concittadini, adoperandosi per la liberazione dei nobili Balioddi, Alessandro Baglioni, Francesco degli Oddi, Aurelio Bartolucci e Pietro Vermiglioli, i quali, erano stati incarcerati dal governo della repubblica, e condotti in Ancona. Caduta la repubblica romana, dopo diciotto mesi dalla sua proclamazione, il nostro Annibale fu preso di mira dagli invidiosi del suo nome e della sua gloria. Venne egli arrestato dai soldati austro-aretini e con le mani legate come un malfattore, fu condotto in Arezzo, non d' altro colpevole che di avere amata sinceramente la patria sua. Nel condurlo in prigione lo fecero passare per la Magione. Quivi, da un tale. di cui è bello tacere il nome, fu ignominiosamente percosso sul viso con una forte guanciata. Dopo qualche tempo, riconosciute false le accuse dei suoi nemici, fu posto in libertà; ma la durezza della prigionia sofferta, lo accasciò talmente, da ridurlo ben presto in fine di vita. La sua morte, compianta da tutti i buoni, avvenne il 10 giugno 1801, dopo una grave malattia di sei mesi. Annibale Mariotti fu il modello del vero ed onesto cittadino; amò la religione e la patria; scrisse molte belle opere che furono date alle stampe e fra queste la storia della letteratura perugina. Lasciò pure un manoscritto di memorie storiche di tutti i luoghi soggetti all' antico dominio di Perugia. Fu sepolto nella chiesa di s. Angelo a porta Eburnea, dove una epigrafe ricorda le virtù ed il sapere di tanto egregio uomo. D DOMENICO BRUNI omenico Bruni fu valente professo di canto. Nacque, in questo nostro paese, nel 1758. Suo padre era capomastro muratore. Questi vedendo la bella disposizione dei figliuol suo, lo fece da prima istruire nelle belle lettere e poi lo mandò ad Urbania a studiare la musica sotto il celebre Paciotti. Il nostro Domenico profittò moltissimo in quella scuola e a sedici anni, cantò nel teatro di quella città, meritandosi il titolo di virtuoso, cioè di dotto nell' arte della musica. Di Urbania, per maggiormente perfezionarsi nell'arte sua prediletta, si recò a Roma. Quivi diè prova della sua grande abilità, cantando nei primari teatri, sempre applaudito ed ammirato per la voce bellissima di soprano. Nel 1778 ritornò in questo paese, ma per poco tempo, perché divulgatasi la fama della sua celebrità, fu costretto a lasciare di nuovo la famiglia, per corrispondere agli inviti che gli giungevano da ogni parte d' Italia pei teatri delle principali città. Cantò difatti più volte in Roma, al Valle, all'Apollo ed all'Argentina; alla Pergola di Firenze, al San Carlo di Napoli, a Bologna, a Padova; al Teatro della Scala in Milano, a Piacenza, a Brescia, a Trieste, a Reggio ed a Vicenza, ovunque applaudito entusiasticamente. Nel 1788 andò a Pietroburgo capitale dell'Impero di Russia, ove era stato invitato a cantare nel teatro di corte. Fu pure in Sassonia ed in Polonia ed in quelle corti reali ebbe il titolo di virtuoso di camera. Nel 1793 fu chiamato in Inghilterra come primo cantante al teatro dell'Opera Italiana. Ritornato, dopo questi lunghi viaggi in Italia, si fermò per alcun tempo in Modena. Quel duca nel 1793 lo nominò suo virtuoso di camera, ed il popolo modanese fece coniare in suo onore una medaglia d'oro di grande dimensione col ritratto e con una bella iscrizione. Nel 1797 fece per sempre ritorno in questo nostro paese, carico di glorie e di onori. Morì ai 17 gennaio 1821 in età di anni sessantatre. Fu sepolto con funerali solenni nella chiesa di S. Bernardino. A ANTONIO GUERRINI ntonio Guerrini ebbe grandemente a cuore l'istruzione e l' educazione della gioventù, per la quale intese vero affetto di padre. Nacque nel 1779 da Gio: Battista Guerrini e da Anna Maria Cassoni. Fino dai suoi primi anni fece intravvedere le belle qualità dell' animo suo. D' indole buona ed onesta, per meglio giovare ai suoi concittadino, abbracciò la vita ecclesiastica, nella quale si segnalò per sapere e per carità veramente evangelica. A quindici anni fu designato canonico della chiesa collegiata, ed a venticinque anni, ebbe la nomina di professore di rettorica nelle scuole di questo nostro paese. Insegnò fino agli ultimi giorni di sua vita, con zelo indefesso e con grande amore. Due volte fu chiamato a Perugia, prima ad esercitare l' ufficio di rettore e moderatore degli studi nel collegio piano, indi ad insegnare filosofia; ma tutte due le volte ricusò, dando così una prova chiarissima della sua predilezione verso la sua terra natale. Antonio Guerrini lavorò costantemente per migliorare nelle scuole a lui affidate, i metodi d' insegnamento. Compilò una geografia corredata di notizie storiche; costruì e disegnò un globo terrestre di grande dimensione per facilitare l' insegnamento della geografia. Fece pure una grande carta dell'Europa, anch' essa con le indicazioni dei principali fatti storici. Scrisse un'opera molto lodata, sull'arte del ben parlare. Di questa, un sunto, fu inserito nel giornale parigino dell' anno 1810. Lasciò anche molte poesie latine e italiane. Si occupò moltissimo nella ricerca delle memorie patrie, delle quali lasciò una copiosa raccolta. La sua vita, tutta intera, fu un continuo lavoro. Morì questo egregio cittadino, questo valente educatore ai 25 di gennaio del 1845, l' anno sessantacinquesimo della sua età. Fu sepolto onorevolmente nella chiesa collegiata, dove, a perpetuarne la memoria, il Municipio pose una lapide. Con Antonio Guerrini finisce la bella schiera di quegli uomini che con le eroiche azioni, col sapere e con la virtù onorarono questa nostra terra. La loro memoria resti sempre impressa nei giovinetti e serva loro di sprone ad amare lo studio ed a seguire la virtù. DELLO STESSO AUTORE NOTIZIE STORICHE DI PROCENO - Assisi - Tipografia Froebel del Colegio Convitto “Principe di Napoli” - 1883 Un volume di 116 pagine in 8º SILLABARIO - Umbertide - Tipografia Tiberina 1887 Prezzo del presente opuscolo Cent.40