MAIEUTICA APPUNTII r i v i s t a p e r i o d i c a d i C e n t r o C o s c i e n z a “UN FORTE ORGANISMO CHE, ATTRAVERSO LA CULTURA, CONTRIBUISCA A SOLLECITARE IL RISVEGLIO DEI VALORI MORALI E SPIRITUALI”: COSÌ, A METÀ DEGLI ANNI QUARANTA, TULLIO CASTELLANI PRESENTAVA AI SUOI COLLABORATORI IL PROGRAMMA DI UNA CASA EDITRICE. PER LA “CASTELLANI & C.” USCIRONO: “LA LIBERTÀ INTERIORE”, “ANTONINO EMILIO”, “PREGHIERE” E GLI ATTI DI UN CONGRESSO NAZIONALE DI FILOSOFIA. MA NEI PROGETTI EDITORIALI C’ERANO DIVERSE COLLANE: PROBLEMI ATTUALI, RICERCA SPIRITUALE, FILOSOFIA, LETTERATURA, QUADERNI PER L’ORIENTAMENTO CULTURALE E UNA PUBBLICAZIONE MENSILE. SOMMARIO Made in China o favoloso Catai pagina 2 Tra Morosolo e India pagina 4 Il demone di Paideia pagina 5 Innamorarsi delle cose pagina 6 Con occhi di figlio pagina 7 Sulla Cina e segnalazioni pagina 8 Contrappunti pagina 8 L’attività della casa editrice non proseguì, ma se posiamo lo sguardo sugli argomenti che Castellani aveva a cuore ritroviamo senz’altro qualcosa di familiare... titoli editi da Centro Coscienza, raccolte di materiali impostativi per i corsi più che volumi sviluppati esaurientemente, trascrizioni di conferenze, invece di saggi, pur sempre voci di importanti esponenti della cultura. In altre forme quel progetto è stato realizzato. E oggi si sente di dargli nuova veste e programma, di riprenderlo, di aggiornarlo, e di arricchirlo con quella parte del nostro patrimonio non ancora resa pubblica: molti sono i testi inediti - dalle conferenze di Paci, Cantoni e Ungaretti alle conversazioni con Mario Luzi, a diversi interventi su temi di importanza sociale - che possono essere pubblicati, anche a fianco di materiali di ricerca più recenti, esprimendo una lunga tradizione culturale e un fervido dialogo con le trasformazioni del proprio tempo. Sta prendendo forma una collana “Scritti ad alta voce” (?) - che prevede tra le prime pubblicazioni una raccolta di La nostra associazione è un piccolo organismo molto articolato che richiede maturazione come un essere umano o un elemento della natura e la sua forma deve giugno 2006 numero 14 - 3,00 euro periodicamente risintonizzarsi. Gian Carlo Calza conferenze di Mario Luzi, da lui tenute a Centro Coscienza tra il 1990 e il 2000, e un volume che, accostando esperienze e personaggi, riflette su possibili forme di rinnovamento sociale. Restano da approfondire alcuni aspetti strutturali del progetto e si stanno studiando le vie di distribuzione possibili e quei canali che, per quanto inusuali, possano favorire la diffusione del modo di sentire e di operare che ci appartengono, stabilendo colloqui con sempre più numerose realtà. La stessa finalità accompagna altre iniziative, come i seminari “tematici” (di cui si parla a pagina 4) aperti a tutti per consentire di sperimentare sia il metodo della ricerca culturale sia lo stile della vita sociale. Un modo completo d’approccio all’ambiente, la cui offerta si fonda sulla fiducia nella libertà dalle forme e nella possibilità che persone del tutto nuove colgano il valore di cooperazione sociale. L’ambito editoriale rappresenterà anche il punto di raccolta e di distribuzione di materiali provenienti dalle nuove modalità di produzione culturale, e servirà per offrire strumenti da utilizzare in future iniziative come corsi di formazione per docenti, master post universitari per giovani laureati, e attività formative per operatori sociali, organizzate sulla base dei nostri lavori e delle nostre competenze (così come è stato con i corsi per il Policlinico di Milano) con modalità congrue alle esigenze della società attuale. GIUGNO 2006 1 APPUNTI A T T I V I T À Made in China o favoloso Catai LE IMMAGINI CHE ABBIAMO DELLA CINA SONO PER LO PIÙ COSTRUITE SU CIÒ CHE LA STAMPA RIPORTA SUL RECENTE RIVOLGIMENTO ECONOMICO, MA ANCHE INDOTTE DALLA QUANTITÀ DI MANUFATTI CHE INVADONO IL NOSTRO MERCATO E DAI RAPPORTI CON I NUMEROSI IMMIGRATI. PER CERCARE DI INCONTRARE IL MONDO CINESE CON MAGGIOR DISTACCO E AMPIEZZA OCCORRE METTERE DA PARTE QUESTE FONTI SPESSO INATTENDIBILI E PARZIALI E PARTIRE DA UN FOGLIO BIANCO, SENZA PREGIUDIZI O, COME SI DICE IN CINESE, “XINGXIONGKAIKUÒ”: LETTERALMENTE “APRENDO AMPIAMENTE CUORE E MENTE”. IL BREVE CICLO DI INCONTRI “ITINERARI CINESI” OFFRE INFORMAZIONI E RIFLESSIONI CON QUESTA ATTITUDINE DI FONDO. NATURA. Il rapporto con la natura è vissuto in modo molto diverso da quello occidentale. Alla base di esso c’è la particolare concezione dell’universo come campo del qi, l’energia che tutto attraversa e tutto anima: l’acqua, la roccia, il vento, il fiore, l’albe ro, l’uomo. La natura non è conside rata come un ambito esteriore o un termine di paragone, ma, come dice François Chen, “essa porge all’uomo uno specchio fraterno che gli permette di scoprirsi e di superarsi”; come dire che i suoi ritmi di vita e di morte, attraverso il continuo mutamento, fanno intendere anche il mistero della propria vita, senza spiegazioni filosofiche, ma per “simpatia”, un sentire assieme. Perciò in Cina il rapporto ITINERARI CINESI Un ciclo di tre incontri per esplorare alcune possibili vie di accesso alla Cina: la storia millenaria, la lingua fatta di misteriosi segni, la pittura antica e contemporanea, il sentimento della natura, l’arte del giardino, le esperienze di un viaggiatore. A partire da mercoledì 31 maggio 2006, dalle ore 18.45 alle ore 20.00. 2 GIUGNO 2006 con la natura è essenziale e continuamente ricercato. Ancora oggi, anche per gli abitanti delle grandi città, ci sono momenti irrinunciabili di incontro con la natu ra, legati all’alternanza delle stagioni. Al primo inizio di primavera si va a godere della fioritura dei ciliegi, in au tunno dello spettacolo delle foglie che cadono (a Pechino si dice “andare alle Montagne Profumate a vedere un po co le foglie rosse”) e così via. È molto più che un fatto di appagamento estetico, è un prendere contatto con quello che avviene nell’uomo: le gemme del pruno che rompono la scorza fanno fluire nel corpo e nel cuore nuove energie, perciò si sta ore a contemplarne la bellezza. Così la fioritura dei crisantemi in autunno rivela la generosità e la forza che si possono esprimere in età avanzata. La relazione uomo-natura è biunivoca: la natura rivela all’uomo se stesso permettendogli di superarsi, e l’uomo esprimendosi permette alla natura di realizzarsi. Ne “Il giusto mezzo” si af ferma: “L’uomo non può andare fino in fondo alla propria natura se non andando in fondo alla natura stessa”. IDEOGRAMMI. Un approccio alla lingua scritta e parlata, proprio per la sua assoluta diversità dalle lingue occidentali, può aprire a intuizioni interessanti. La scrittura cinese è fatta di caratteri, ossia disegni (pittogrammi), concetti-immagine (ideogrammi) che racchiudono, alcuni direttamente altri in modo più nascosto, il senso e il sentimento che la parola esprime. Ad esempio l’ideogramma “bene, buono”, che è anche il saluto che ci si ri volge nell’incontro, è rappresentato da una donna con un bambino: una donna con un bambino è bene, è buono. Amare, amore è rappresentato da un tetto, dal cuore e dal doppio segno di amico, e così via. Nel parla re i cinesi usano moltissimo frasi, per così dire, idiomatiche. Un modo per dire “superficialmente”, usato per esempio per descrivere il modo di viaggiare di noi occidentali, è “andare a cavallo e voler vedere i fiori”... non si può! Una cosa inaspettata è “cielo alto, terra profonda”, una cosa meravigliosa diventa “aprire una porta e vedere un paesaggio montano”, essere spiacente è “amare, non poter aiutare”. PITTURA. Alla base della struttura pittorica cinese c’è un pensiero estetico, che si collega direttamente con la concezione che l’universo tutto, e quindi anche l’uomo, è fatto di energia, del qi, che si esprime attraverso due principi in continuo rapporto reciproco, lo yin e lo yang. Yin corrisponde al freddo, all’acqua, al morbido, al nord come punto cardinale, alla luna come astro: è il principio femminile. Yang al caldo, al fuoco, alla durezza, al sud, al sole: è il principio maschile. Il principio di al ternanza dello yin e dello yang è contenuto nella nozione centrale del pensiero cinese, quella di “vuoto”, che non è qualcosa di vago o inesistente, bensì un elemento altamente dinamico e agente: è il campo del qi. “La grande pienezza è come vuota; dunque è inesauribile”, scrive Lao Zi. Nella natura il vuoto ha una rappresentazione concreta, la valle: è cava e si direbbe vuota eppure fa crescere e nutre ogni cosa. Il vuoto regola la pittura, la poesia, la musica, la rappresentazione del corpo umano, la ginnastica del taijiquan, l’agopuntura, perfino l’arte militare e quella culinaria. In pittura esso “fa” la composizione: in alcune opere antiche lo spazio non dipinto occupa fino a due terzi della composizione. È il soffio invisibile del qi, che collega il mondo visibile a quello invisibile, non in opposizione rigida e statica ma in un fluire sottile. La pittura cinese è in parte a inchiostro, affine come tecnica alla calli grafia. Spesso un grande pittore classi co, moderno e anche contemporaneo è altrettanto grande calligrafo; e spes so le due arti coesistono nello stesso dipinto che quindi è anche poesia. La caratteristica dell’opera, sconosciuta alla maggior parte dell’arte occidenta le, è di essere stesa tutta nello stesso tempo, di essere immediata ma non improvvisata. Prima di dipingere, infatti, bisogna possedere la natura “a memoria”; così come nella scrittura un ideogramma deve essere conosciuto “nella sua carne, nel suo ner vo” e poi tracciato, spesso senza stacco del pennello. “Prima di dipingere un bambù, bisogna che esso vi cresca nell’animo. Allora col pennello in mano e lo sguardo concentrato, vi nasce innanzi la visione. Coglietela subito coi tratti del pennello, perché può dile guarsi presto, come la lepre all’approssimarsi del cacciatore!” (Su Dongpo). L’uso del pennello sottintende una lunga disciplina e preparazione che implicano corpo e mente, o meglio “cuore” come dicono i cinesi. “La pittura risulta dalla percezione dell’inchiostro. L’inchiostro dalla percezione del pennello. Il pennello dalla percezione della mano. La mano dalla percezione dello spirito.” (Shitao). SCENE DA UN MATRIMONIO Pingyao significa remota e calma: è la città Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911) che per la distanza dalle grandi vie di comunicazione è rimasta intatta. Quadrata, 1500 m. di lato, costruita secondo le regole del fengshui, protetta da mura, dove le auto non possono entrare, ti fa sentire di colpo nella Cina di 500 anni fa. Aperta da poco agli stranieri, non è per ora meta di viaggi organizzati. Niente insegne al neon, solo lanterne di legno e vetro dipinto appese fuori dalle case. È stata fin dal ’400 un prospero centro bancario: è proprio un cittadino di qui che ha inventato l’assegno bancario. L’atmosfera di tutta la città onora il suo nome: remota e calma. Ha persino la classica “torre della pioggia”, dove si può salire e sostare a godere la musica della pioggia sui tetti: per nostra fortuna oggi piove. Girovaghiamo per gli stretti vicoli fra templi e case di banchieri e di gente comune, e in periferia a ridosso delle mura ci fermiamo davanti a una casa con corone di fiori e nastri rossi con l’ideogramma della doppia felicità: dunque c’è una festa di matrimonio. Incuriositi, ci affacciamo e subito veniamo invitati calorosamente a entrare. Nell’atrio coperto c’è un piccolo altare con le tavolette degli antenati, le offerte di frutti e gli stick di incenso di sandalo. Nel cortile successivo è approntato un altare con appeso un drappo rosso con ripetuto in oro il doppio Xi, la doppia felicità; sul piano un piattino con piccoli dolcetti di soia e delle giuggiole. C’è grande allegria. Arriva la madre dello sposo che si accuccia nella posizione del loto: ha davanti a sé, stesa per terra, una coperta di raso rosso. Scende un gran silenzio. Compare lo sposo, perfettamente vestito all’occidentale (abito scuro e camicia bianca). Si toglie le scarpe e s’inginocchia davanti alla madre, si leva la giacca e gliela porge. La madre la avvolge con la coperta rossa e la stringe forte al seno per tre volte. La figlia maggiore le offre il piattino con i dolci: la madre mangia una giuggiola e due dolcetti di forma diversa. Poi apre la coperta, dà la giacca allo sposo che la indossa. Il figlio se ne va dalla casa, senza abbracci né parola: un’auto infiocchettata di nastri rossi e bianchi lo porterà a casa della sposa. Insieme andranno al tempio per la cerimonia, alla quale partecipano i parenti, ma non la madre. La sorella ci dice che quando si sposa un figlio maschio da loro “si usa così”. Poi ci invita a partecipare alla festa che continua con un concerto di musica pop sfrenata. GIUGNO 2006 3 APPUNTI S E M I N A R I Tra Morosolo e India DUE GIORNI APERTI A TUTTI GLI INTERESSATI, ANCHE NUOVI DELL’AMBIENTE, E CON UNA FORTE PRESENZA DI GIOVANISSIMI PER APPROFONDIRE I RAPPORTI TRA MATERIA E SPIRITO NELLE FILOSOFIE INDIANE CI ACCOGLIE l’esuberante ricchezza della primavera di Morosolo. Alla Schola si raduna un gruppo di volenterosi che si è dato l’obiettivo di perlustrare un terreno insidioso ma affascinante, sotto la guida di un esploratore esperto. L’età media della truppa è insolitamente bassa, a garanzia - forse - di una resistenza e tenuta adeguate. Anche a un’occhiata super ficiale ci scorgiamo sul viso, negli occhi la voglia di intraprendere questo viaggio. V erso dove? Nel cuore dell’Asia, più precisamente di quel territorio indiano che confina a ovest con la materia, a est con lo spirito. E lo faremo, cercando di ricostruire quei percorsi ardui per noi, moderni occidentali, che vanno verso i vasti territori della filosofia dell’India. Paese di cui abbiamo ammirato fotografie, sfogliato opuscoli, i più intraprendenti di noi ci sono anche andati; ma altro è addentrarsi nella complessità di una visione in cui filosofia e religione sono strettamente intrecciate. ENIGMISTICA FILOSOFICA Dico che una cosa è pronunciare la parola samsara e darne anche la definizione di un fluire spazio-temporale che trascina tutto nel divenire indefi nito, quel ciclo continuo di rinascite e rimorti che dovrebbe esaurirsi con la liberazione dell’io e la conseguente reintegrazione nell’essere; altra cosa è cercare di cogliere in profondità il passaggio dalla conoscenza logica della realtà e della verità alla sua sperimentazione e all’inveramento che trasforma la vita. In breve è questa la natura del percorso con molte fermate, cambi di direzione, e ripensamenti che derivano dall’accorgersi della profonda diversità di concezione che il pensiero indiano ha elaborato su temi come appunto lo spirito, rispetto alla cultura occidentale. Mentre per noi, infatti, i pensieri, l’autocoscienza, la consapevolezza, i sentimenti hanno una natura spirituale, per gli indiani fanno parte della prakrti (materia), natura, sostanza non foriera di conoscenza; il purusha (anima) è improduttivo, inerte, non deriva da altro, è privo di elementi costitutivi, è pura coscienza e pura conoscenza, eternamente liberato, eternamente senza bene e male. Per noi lo spirito è oggetto di riflessione, lo associamo alla sua pensabilità; per l’indiano una tale concezione è assurda anzi, caratteristica dello spirito è non solo di non essere pen - utilizzano le lettere che li 4 GIUGNO 2006 sabile, ma addirittura di non essere oggetto d’esperienza. Un aspetto che mi ha particolarmente colpito è il constatare che al fondo di tutto questo corpus dottrinario (Sankhya, Vedanta, Buddismo) vi è un fine soteriologico, che riguarda la salvezza concreta dell’uomo. Che la realtà sia razionale o irrazionale o sovrarazionale è una questione che ri guarda un’esperienza interiore, non i concetti; il nostro ragionare, la sete di conoscenza che ci anima per la cultura indiana non riguarda la conoscenza dell’Essere, poiché i due piani sono separati e non vi è comunicazione fra essi. Piuttosto questo percorso consente di vedere come dietro una lente di ingrandimento noi stessi, i nostri personali e collettivi cammini verso la verità, le illusioni, i fraintendimenti, e assume così valore conoscitivo. Tutto quanto detto non può che essere poche note scoordinate di un’esperienza di seminario ricchissi ma. Ciascuno nel proprio intimo si è forse accorto che il sentiero che collega Morosolo all’universo indiano non può che snodarsi dentro di noi, riconoscendo che un compito della filosofia è stimolare il pensiero a render si conto della relatività del suo stesso operato e a fermarlo, rendendo così possibile il salto al piano delle evidenze interiori che davvero possono orientare la vita. Una serata è stata dedicata a un gioco che consigliamo di provare perché divertente. Abbiamo scelto dei termini filosofici come “materialismo”, “scetticismo”, “metafisica”. Individualmente o a gruppi si compongono come iniziali di parole che formeranno una frase di senso compiuto attinente alla materia o all’esperienza del seminario. La fantasia e la creatività possono sbizzarrirsi come è evidente in questi esempi. Mentre agisco tra eterni rimorsi in azioni libere intuisco samsara molto ordita Ma aspettare te è ridicolo inutile anima! lasciatemi immanere sempre meno ontologicamente Improvvisamente nulla accade: tutto trova il valore in trascendente attesa Dolce e silente intrappola dentro eterne rinascite innumerevoli ottuagenari M O R O S O L O APPUNTI Il demone di Paideia UNA CASA IN CAMPAGNA: STORIA DI UNA MANUTENZIONE COLLETTIVA E DI UNA COABITAZIONE TRA AMICI CHE SENTONO IL DESIDERIO DI CONDIVIDERE SOLE , LAGO E CONVERSAZIONI CON ALTRI AMICI ANCORA PAIDEIA è un’incantevole casa di campagna donata decenni fa da Edvi ed Eugenio Magnani a Centro Coscienza. Nonostante la solidità delle sue mura, forse grazie alla semplicità monastica di oggetti e arredi, gli spazi interni sono sempre sembrati dare solo un tetto al prato libero che li circondava, restando organici ad esso, aperti su di lui. Da diversi anni, Paideia ospita molti dei nostri seminari e, quindi, è palestra di sentimenti e pensieri, intuizioni su di sé rese possibili grazie al rapporto con la natura e alle relazioni di gruppo. A chi compete la cura degli ambienti di Paideia? È possibile far sì che la lo ro vita non sia confinata alla sola stagione estiva? Può Paideia diventare fonte di ulteriori esperimenti di comunità, oltre ai seminari? Devono essere state queste le domande da cui ha mosso il Consiglio Superiore per chiedere ad alcune famiglie di soci, per lo più già nel gruppo del territorio, se volessero diventare “Amici di Paideia”. Il gruppo avrebbe avuto la finalità di prendersi cura di Paideia trascorrendovi qualche fine settimana durante l’anno per mantenere vivi, godendone, gli spazi. Abbiamo aderito con incuriosito entusiasmo alla proposta, anche se nessuno conosceva a fondo tutti gli altri componenti: per un motivo o per un altro, ciascuno era legato al luo go. Per rafforzare ulteriormente tale legame, e giungere a sentire Paideia come casa nostra, abbiamo scelto che ogni famiglia occupasse e si occupasse sempre della stessa camera oltre che, naturalmente, degli spazi comuni. È particolare il sentimento con cui ci si prende cura della “propria” camera, poiché non riducibile a quelli più comuni di proprietario di un immobile o di suo inquilino, essendo noi allo stesso tempo proprietari (in quanto soci) e inquilini (in quanto membri del gruppo) pur non essendo tuttavia né l’uno (perché la proprietà è di Centro Coscienza) né l’altro (perché non siamo e non vo- gliamo esserne gli occupanti esclusivi). Chi non vedesse Paideia da diversi anni la troverebbe cambiata: c’è finalmente un impianto di riscaldamento che rende gli spazi vivibili tutto l’anno; la bella cucina bianca di un tempo, ormai a fine carriera, è stata sostituita con una nuova e più funzionale; la stalla originaria, che era stata adibita a locale per l’ambientazione, è ora connessa direttamente alla cucina e ser ve come sala da pranzo interna alla casa; ora sono le rose, al posto del sambu co, a separare il prato dal la strada ed è arrivato da poche settimane anche un giovane ciliegio giapponese. Molti altri proget- ti sarebbero possibili sul fronte della cura degli spazi, ma non sono gli unici a destare il nostro interesse. Ci siamo infatti accorti con l’andare del tempo di essere, anche se con qualche difficoltà, un laboratorio inedito di vita sociale a Centro Coscienza. Non un corso, dal momento che viviamo assieme per un weekend al mese da maggio a ottobre, ma neppure un seminario perché non svolgiamo alcuna ricerca tematica. Siamo tuttavia fiduciosi che il demone di Paideia ci suggerisca vie non solo semi nariali, magari del tutto inedite, per condividere con i soci che lo vogliano quella formazione di sé che è nel nome della casa. QUASSÙ, VIA DALLA PAZZA FOLLA Una domenica soleggiata di fine aprile, sotto il portico di Paideia. È l’ora di pranzo e mangiamo un panino dopo aver ultimato la sostituzione dei serramenti in cucina e prima di montare i nuovi ganci per appendere i cappotti. Ci raccontiamo di noi, al solito, di come stiamo. “Perché è così difficile agire in ufficio secondo quanto intuiamo nelle nostre ricerche di gruppo?” Domanda profonda e antica quella che circola oggi, sulla quale ci confrontiamo tuttavia con levità e freschezza, come si può solo tra amici di lunga data che condividono un panino in campagna. Il demone di Paideia è in azione, evidentemente. Chi sia stato seduto anche solo dieci minuti sulla panchina che guarda il lago a contemplarlo o a conversare con un compagno ha probabilmente esperito in maniera diretta ciò cui alludiamo. Se si è ricettivi ai messaggi del luogo, l’animo si dispone prontamente alla calma, l’incalzare urbano dei pensieri rallenta, assume un ritmo umano, e chiedere davvero a sé o a un amico “Come stai?” diventa finalmente possibile. GIUGNO 2006 5 APPUNTI A R T E Innamorarsi delle cose ESERCIZI DELLA SCUOLA D’ARTE SU UN’OPERA DI GIORGIO MORANDI LA “NATURA MORTA” del 1918 si trova alla Pinacoteca di Brera. Facciamo un momento di silenzio per creare le condizioni di ascolto e abbandonare i pregiudizi sulle opere metafisiche di Morandi “di un rigore come congelato, di freddezza, di mancanza di vita”. Il momento di vuoto iniziale è per presentarsi davanti all’opera sgombri e disponibili ad accogliere; come l’ospite deve fare con lo straniero - magari sconosciuto, inatte so - che giunge a casa sua di sera. Ognuno esprime la prima emozione che il contatto risveglia, senza pensarci tanto: “Geometria, rigore che na sconde una vita che non riesco a per cepire, silenzio, una impalpabile sen sazione di musicalità sospesa in uno spazio silenzioso soffuso di calda luce, dialogo tra presenze ricche di interio rità, onestà, precisione, cura meticolosa e paziente, febbre spenta come placata, serietà nella dedizione a un’osservazione prolungata”. Annotiamo le impressioni dei compagni: ciò che l’altro porta può illuminare il punto cieco del proprio sguardo. Osserviamo i colori: quali sono, come sono disposti e se dialogano tra loro o sono contrastanti. “Sono colori bruni caldi, colori della terra cotta, dei semi tostati; il bianco è opalescente e gessoso. Mi accorgo che contrastano con il rigore della forma. Il colore è vitale”. Proviamo a stendere quello che ci attrae particolarmente. “Mi concentro sul marrone testa di moro del capo del manichino e con i pastelli comincio a riprodurlo. Marrone chiaro, ocra, grigio, rosso, blu, un po’ di verde, ricomincio. Che ricchezza di toni e non ci siamo ancora, dovrei continuare! Lo ascolto e sento l’alternanza serrata tra il dare calore e il toglierlo, l’accendere e lo spegnere. Mi 6 GIUGNO 2006 vengono alla mente i gesti antichi del cuocere con il fuoco, dello spegnere con l’acqua”. Ora stendiamo il colore che gli è vicino. “È il grigio sulla faccia superiore del parallelepipedo che provo a riprodurre partendo dal giallo, dal rosso e dal blu, stendendoli come una trama di linee in tante direzioni, molto leggere, strati su strati. Lo ascolto e quel piano grigio dove tutti i toni febbrili del rosso, le profondità abissali del blu e le evasioni quasi folli del giallo si sono reciprocamente smorzate diventa un punto di calma profonda del quadro, un punto di riposo, di pausa silenziosa. I colori parlano ma non fanno rumore”. Cominciamo così a conoscere Morandi nel suo rapporto con il colore e scopriamo che alla sua vocazione artistica si accompagna sempre un particolare interesse per quanto riguarda il materiale e la tecnica del proprio lavoro; una cauta ma viva curiosità della natu ra dei colori, della loro fisicità e composi zione chimica, che rasenta la pratica alchemica per il rispetto quasi religioso di antiche formule empiriche. Una di queste pratiche consisteva nel far essic- care un certo impasto di colori per poi macinarlo unitamente a qualche materia petrosa, al fine di valersene per particolari effetti pittorici. Conti nuiamo con i nostri esercizi, la copia in bianco e nero, utilizzando il chiaro scuro, le linee forza sul percorso che fa l’occhio all’interno dell’opera, un esercizio sulla luce con cui scopriamo che le ombre non seguono una legge fisi ca, ma sono macchie di colore che fanno emergere per contrasto la voce luminosa degli oggetti. Sono esercizi per costruire un rapporto con l’opera attraverso gli elementi del linguaggio. Nell’osservazione prolungata durante i pomeriggi insieme l’opera diventa qualcosa di vivente, come un organismo che comincia a dimorare dentro di noi e diventa cara, preziosa come caro diventa il suo autore che lentamente scopriamo. Torniamo alla prima emozione, quella nata nel primo contatto, ed esprimiamo liberamente con colori e forme il sentimento che il rapporto con l’opera ha generato in ciascuno di noi. “Trattengo una sollecitazione a riscoprire la vita degli oggetti che uso nella mia quotidianità, che spesso di ventano opachi, muti, considerati solo per quello che servono. Li riscopro strumenti con una loro qualità, posso ritrovare il sentimento che mi ha spinto a sceglierli, a riporli in quel luogo”. Possiamo dire con Pavese: “Sappiamo che il più sicuro - e il più rapido - modo di stupirci è di fissare imperterriti sempre lo stesso oggetto. Un bel momento questo oggetto ci sembrerà - miracoloso - di non averlo visto mai”. UNA SCONCERTANTE VITALITÀ Bottiglie, recipienti, vasi, brocche, cuccume, utensili da cucina, scatole che Morandi scova per lo più da rigattieri e di ciascuna si innamora e le porta a casa una a una per poi disporle in fila come compagne di stanza. (...) Lo guardano di notte al chiaro di luna, lo incuriosiscono nel riflesso della luce dell’alba; nel corso della giornata, allorché vi presta momentaneamente attenzione sembrano muoversi e si ritirano nella propria immobilità. Quanto più diventano parte del suo mondo abituale, dimostrando il proprio diritto di cittadinanza attraverso un crescente strato di polvere, tanto più gli stanno a cuore. Werner Haftmann C I N E M A APPUNTI Con occhi di figlio “LA STRADA VERSO CASA”: IL REGISTA ZHANG YIMOU AMBIENTA UNA PARTICOLARE STORIA D’AMORE IN UN PICCOLO VILLAGGIO NEL NORD DELLA CINA, NEL PERIODO DELLA RIVOLUZIONE MAOISTA NELLE PRIME IMMAGINI in bianco/nero vediamo Luo Yusheng ritornare nel villaggio natale per assistere ai funerali del padre che ne è stato per quarant’anni il maestro di scuola. L’anziana madre, Zoo Di, è decisa a celebrare il funerale del marito secondo le antiche usanze: un corteo rituale in cui gli uomini portano a braccia la bara avvolta in un panno bianco fino al luogo della sepoltura; ma il padre è morto nell’ospedale della città perciò bisognerebbe percorrere a piedi la lunga strada che dalla città porta al villaggio. Nonostante tutti gli abitanti siano addolorati per la perdita del maestro, non ci sono uomini sufficienti per affrontare un così lungo e faticoso tragitto! Di fronte a queste logiche motivazioni il figlio tenta di dissuadere la madre, che tuttavia non è disposta a cedere. Quale sentimento sostiene l’ostinata volontà di questa anziana donna cinese? Yusheng, nello studio del padre, osserva una vecchia fotografia dei genitori appena sposati: da questo momento il film si trasforma in un lungo flashback: un salto nel passato, rievocato dalla voce fuori campo del figlio e da splendide immagini a colori. Nel cinema solitamente il bianco/nero viene usato per il flashback e il co lore per il presente; qui il regista, scegliendo di invertire “i colori” del tempo, riesce a rendere il passato di una vivezza e poesia tali da far sembrare piatto e “raggelato” il presente dai freddi toni monocromatici. Accompagnati da una delicata musica (il leitmotiv che, declinato in modi diversi, sottolinea i differenti stati d’animo della protagonista) vediamo Zoo Di, la più bella fanciulla del villaggio, che, con timidi sguardi o determinati tentativi di approccio, cerca di attirare l’attenzione del maestro combattuta tra l’attrazione che prova per lui e la timidezza. Le famiglie del villaggio ospitano a turno il maestro per il pranzo. Quando tocca a Di e alla madre, vediamo muoversi questa affascinante ragazza all’interno della loro povera ma accogliente casa compiendo gesti semplici, ancestrali, espressioni di una femminilità antica, silenziosa, raccolta. Così sboccia l’amore tra loro, un sentimento delicato, fatto di sguardi e sorrisi discreti, e un regalo: un fermaglio per i capelli che il maestro le dona tenera - mente perché lo indossi con quella giacca rosa che a lui piace tanto. Subito si presenta il primo ostacolo: il maestro deve partire per ordine di un funzionario del partito; Di si precipita alla rincorsa del carro che si allontana inesorabilmente lungo la strada verso la città; vorrebbe dare al maestro i ravioli che amorevolmente ha cucinato per lui. Il regista ci fa partecipare a questa sfrenata rincorsa at traverso le inquadrature, le dissolvenze incrociate, i rumori. La macchina da presa ci fa percepire la fatica fisica che compie Di: l’avvicina, l’allontana, poi attende che si avvicini per seguirla di spalle, ci gira intorno… Ostinatamente ella persiste nella corsa finché non è bruscamente interrotta da una caduta; la ciotola le sfugge di mano rotolando giù per la collina, rompendosi e rovesciando i ravioli sull’erba secca. Solo allora si abbandona a un pianto disperato, accompagnato da una particolare declinazione del leitmotiv (sembra che la musica pianga con lei). Trascorre il tempo e viene il giorno in cui il maestro aveva promesso di tornare. È l’alba, Di è appostata lungo la strada, in attesa, sfidando il rigore dell’inverno. Poi si fa sera… lei è ancora lì. Ecco che sfinita rientra a casa; è febbricitante e perde conoscenza. La madre la cura, ma quando si risveglia non intende arrendersi! Si rialza e, raccogliendo le poche forze rimaste, si incammina nella tormenta verso la città. La vediamo scomparire nella nebbia. Ella sviene lungo il percorso e viene riportata a casa priva di sensi. La madre, preoccupata per la sua salute, chiede aiuto agli uomini del villaggio affinché si mettano in contatto con il maestro e lo avvertano di quanto sta accadendo alla figlia. Bellissima è la sequenza in cui la giovane si risveglia dopo giorni di malattia; la madre le dà la splendida notizia: il maestro è tornato per lei! La macchina da presa segue la sofferta cor sa di Di verso la scuola da dove proviene l’amata voce del maestro. È emozionante l’affettuosa partecipazione degli abitanti del villaggio al dolore e alla tensione d’amore di Zoo Di, fatto straordinario in una società di stampo contadino come quella, in cui i matrimoni venivano solitamente combina ti. Dovranno passare altri due anni di separazione prima di potersi ricon giungere. Il flashback si chiude con le parole del figlio: “Mi hanno raccontato che al definitivo ritorno di mio padre, mia madre indossò la giacca rosa, quella che a lui piaceva tanto, e lo aspettò scrutando la strada. Da quel giorno mio padre sarebbe rimasto al suo fianco per sempre”. A Y usheng, e a noi, si rivela il senso dell’ostinata volontà di Zoo Di a compiere l’antico rito funebre, nonostante gli ostacoli. Con una dissolvenza incrociata si torna al presente in bianco/nero. Il figlio, ora, decide che il funerale avvenga come la madre desidera, disposto anche a pagare degli estranei per portare la bara. Nono ce ne sarà bisogno: al corteo partecipano non solo gli uomini del villaggio, ma anche quelli dei villaggi vicini e, inaspettatamente, molti ex-allievi del maestro, ormai affermati professionisti e uomini importanti - che lasciano i loro impegni e arrivano da ogni parte per rendere onore a un uomo che ha tenuto fede a lla GIUGNO 2006 7 APPUNTI O T T A V A sulla Cina Storia e cultura M. Brunori La Cina. Storia e civiltà del paese di mezzo Mursia 1988 M. Sabattini, P. Santangelo Storia della Cina Laterza 2000 Gian Carlo Calza Cina. Percorsi di avvicinamento Quaderni di Maieutica 2005 Confucio Dialoghi Bur 1989 Letteratura contemporanea R. Pilone, Yuan Huaqing (a cura di) Racconti dalla Cina Mondadori 1989 Reportage F. Rampini Il secolo cinese Mondadori 2005 Guide The Rough Guide Cina del nord Cina del sud Vallardi 2004 Film Zhang Yimou La strada verso casa Nazione: Cina 1999 Durata: 90' Disponibile in DVD MAIEUTICA APPUNTI Appunti di Maieutica periodico di Centro Coscienza. C.so di Porta Nuova 16, Milano. Autorizzazione Tribunale di Milano n. 59 del 8/2/2003; Direttore Responsabile: Cristina Strata. Stampato da Arte Grafica, via dei Cybo 3, Milano. 8 GIUGNO 2006 P A G I N A segnalazioni Incontri in sede lunedì 12 giugno 2006 ore 21.15 La proposta di riforma della Costituzione Conferenza di Valerio Onida, Presidente emerito della Corte Costituzionale Mostre in corso 14 aprile - 25 giugno 2006 Really, really simple Richard Long Opere dal 1978 al 2002 Varese, Villa Panza Orari di apertura: tutti i giorni dalle 10 alle 18 (escluso il lunedì). Unʼesposizione di opere monumentali dellʼartista inglese, esponente della Land Art, nata in America intorno alla seconda metà degli anni ʼ60, che contraddistingue gli artisti che realizzano opere dʼarte attraverso interventi sul paesaggio naturale. Sono esposte sette opere. Si tratta di lavori su larga scala, realizzati in pietra e legno e mai presentati prima dʼora in Italia 25 maggio - 10 giugno 2006 Lombardia stravagante. Testi e studi dal Quattrocento al Seicento tra lettere e arti Milano, Biblioteca Nazionale Braidense Orari di apertura: dal lunedì al venerdì dalle 10 alle 17; sabato dalle 10 alle 13 In occasione della presentazione del libro di Dante Isella, una piccola mostra di quadri, di medaglie, di stampe e di preziose edizioni 21 aprile - 23 luglio 2006 Gentile da Fabriano e l'altro Rinascimento Fabriano, Spedale di Santa Maria del Buon Gesù Orari di apertura: dal lunedì al giovedì dalle 9,30 alle 19,30; dal venerdì alla domenica dalle 9,30 alle 22. La mostra riunisce 32 delle 40 opere che di Gentile conosciamo e presenta contributi di artisti dell'epoca. Il tutto in una cornice architettonica quattrocentesca. Fabriano, nota soprattutto per la fabbricazione della carta, il cui ciclo è possibile seguire in un apposito museo, conserva nel centro storico il tessuto urbanistico medievale con numerosi edifici dal XIII al XV secolo contrappunticontrappunti … le figure (dell’anima) sfuggono a qualsiasi tentativo che cerchi di fissarle e disporle in successione ordinata, perché, al di là di ogni progetto razionale, l’anima sente che la totalità è sfuggente, che il non-senso contamina il senso, che il possibile eccede sul reale, e che ogni progetto che tenta la comprensione e l’abbraccio totale è follia. Amica del ‘demone’, che per Cartesio insidia la saldezza del ‘cogito’, l’anima fa resistenza ad ogni razionalizzazione, perciò in Occidente è straniera. Il Dio che essa conosce non è il Dio che è uscito da un ‘cogito’ a garanzia delle idee della ragione, ma è un Dio che non ci protegge dalla follia, e perciò ci consente di recuperare la sorgente a partire dalla quale ragione e follia hanno la possibilità di determinarsi e di dirsi. (…) Estranea all’immobilità concettuale, per la quale le cose sono date nel loro significato una volta per sempre, “l’anima”, dice Plotino, “non è mai vecchia per le cose, così come le cose non sono mai vecchie per l’anima”. Ma per questo è necessario che le cose trasgrediscano le loro definizioni, e si offrano come irradiazioni di immagini rinvianti a quel futuro che non è tanto il tempo che ancora ci attende, quanto quell’ulteriorità di senso che anche le più comuni esperienze non cessano di diffondere; per questo con l’anima “andiamo con stupore di fronte all’inconsueto, senza cessare di stupirci anche delle nostre già note esperienze” (Plotino). Umberto Galimberti, “Idee: il catalogo è questo”, Ed. Feltrinelli, pag. 21, 22