“Quando l’ultimo albero sarà stato abbattuto, l’ultimo fiume avvelenato, l’ultimo pesce
pescato, vi accorgerete che non si può mangiare il denaro.
La nostra terra vale più del vostro denaro.”
Piede di Corvo - tribù dei piedi neri
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Introduzione
Ciò che ci ha spinto a scrivere questo documento è la voglia di far emergere un
punto di vista diverso; un punto di vista che non si limiti a cercare una soluzione
che tamponi i disastri creati dalla cosiddetta emergenza rifiuti, come ad esempio
la richiesta della raccolta differenziata porta a porta. Il nostro intento è quello di
affrontare il problema da un punto di vista più generale in quanto riteniamo che
sia il sistema produttivo la causa della situazione in cui versa il nostro pianeta e
che ha reso la nostra regione un’enorme discarica con tutte le conseguenze nefaste che viviamo quotidianamente sulla nostra pelle. È infatti impensabile continuare a produrre con questo ritmo merci che in maggior parte si trasformano in
rifiuti senza pagarne le conseguenze, senza che il territorio venga devastato,
senza che la nostra salute venga compromessa. Qui in Campania il problema è
più evidente perché siamo sommersi letteralmente dai rifiuti, ma nelle altre zone
le cose non vanno meglio. Le discariche sono quasi sature in tutto il territorio
nazionale, intere zone del paese sono inquinate e improduttive, le popolazioni
che vivono a ridosso di inceneritori e discariche muoiono come mosche, le malattie legate all’esposizione a sostanze tossiche sono paurosamente in aumento:
insomma il capitalismo ci sta sterminando.
Quello che abbiamo notato con preoccupazione è che nessuno prende in considerazione una critica al sistema di produzione. Comitati di cittadini, varie organizzazioni, politicanti e professorini vari non fanno altro che girare intorno al
problema senza mai arrivare al nocciolo della questione. Chi per biechi calcoli
politici, chi per interesse, chi per cavalcare la tigre per poi addormentarla non
fanno altro che proporre soluzioni che non risolveranno mai il problema. Chi si
è arricchito sulle nostre spalle continuerà a farlo, chi produce merci inutili continuerà a produrre, chi paga le conseguenze sulla propria pelle continuerà a pagare.
Per cui abbiamo deciso di inserire a fine documento una lista di nomi e recapiti
di coloro che direttamente o indirettamente contribuiscono alla distruzione della
terra e dell’uomo. Crediamo infatti che solo attaccando ogni singolo componente
di questo assurdo meccanismo, solo bloccando la produzione si possa ottenere
un qualche risultato.
È ormai chiaro che la cosiddetta emergenza rifiuti sia stata creata ad arte. Attraverso essa è stata creata un’economia parallela che ha portato profitti inimmaginabili a tutti coloro che hanno interessi diretti nella sua gestione (vedi
Impregilo). 14 anni di emergenza e tutti i tentativi per risolverla hanno avuto un
solo obiettivo: il profitto. L’individuazione di cave per discariche nei posti più impensabili, la costruzione di inceneritori già obsoleti, che creerebbero più danni
che vantaggi ne sono la triste dimostrazione.
A livello più generale la politica repressiva dello stato passa ormai solo attraverso
la gestione delle emergenze; quella relativa all’immigrazione ha preparato il ter-
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reno agli incendi e ai rastrellamenti nei campi Rom, fino ad arrivare alla schedatura di massa dei bambini che vivono in questi campi. L'emergenza energetica
ha portato a parlare di nuovo di nucleare e già nuove centrali vengono progettate
con tutte le conseguenze ad esse connesse. L’emergenza spazzatura è stata
utilizzata anche come strumento di controllo sociale. La legislazione speciale
che prevede, tra l’altro, che ciò che è nocivo in altri posti non lo sia in Campania,
la criminalizzazione delle popolazioni che lottano per difendere la propria esistenza e il proprio territorio, l’infamia dei mass media che hanno buttato fango
su qualsiasi cosa si muovesse, hanno portato alla militarizzazione in un primo
momento delle cave e dei CDR e successivamente di tutto il territorio nazionale
visto che i militari vengono utilizzati per il controllo delle grandi città. Inoltre grazie
al caos creato attorno alla situazione campana si è dato il via libera alla costruzione della linea veloce (TAV) in Val Susa e all’allargamento della base militare
di Vicenza che probabilmente verranno gestite col metodo Campania: legislazione speciale, uso dell’esercito, criminalizzazione delle lotte, accordi più o meno
sottobanco con sindaci e rappresentanti vari, etc.
Abbiamo partecipato e parteciperemo alle lotte contro la devastazione delle nostre vite e del nostro territorio, saremo sempre complici e nutriamo un profondo
rispetto per coloro che si mettono in gioco in prima persona senza farsi addomesticare da politicanti e pompieri di professione; però riteniamo che bisogna uscire
fuori da una visione localistica della lotta; non basta opporsi alla costruzione della
discarica a Chiaiano visto che ne costruirebbero in altri luoghi, non basta opporsi
alla costruzione dell’inceneritore ad Acerra o a Ponticelli visto che altri sono già
in funzione e altri ancora sono in costruzione. Ciò di cui abbiamo bisogno è lottare contro le logiche che hanno creato questa situazione, dobbiamo riappropriarci degli strumenti perché si arrivi ad uno scontro frontale e totale con il
sistema politico ed economico che continua a sfruttare e a distruggere
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Riapre Taverna del Re
Zona in aperta campagna, ampiamente coltivata, che dal 2006 è stata adibita a deposito di eco-balle.
Secondo i dati avrebbe stoccato circa due milioni e mezzo di tonnellate di spazzatura che sarebbe
dovuta essere trito vagliata, ma che in realtà è stata sempre imbustata “tal-quale”. La zona del sito
è un vialone lungo una decina di km, che congiunge le campagne al mare. Prima del disastro ecologico doveva essere una rara bellezza…
Percorrendo tale distanza per intero si estende il deposito di eco-balle che occupa un suolo di 160
campi di calcio affiancati per un altezza pari al quinto piano di un palazzo. Da qui sgorga un fiume
di percolato che sereno e nocivo bagna gli stivali e irriga i campi di fragole ed insalate da cui poi si
rifornisce la Bonduelle.
Negli ultimi mesi del 2007 riapre il sito, che accoglierà già nei primi mesi altre 60mila eco-balle.
Nel primo mese di presidio una grande manifestazione degli abitanti di tutto il circondario e non solo.
Le iniziative della giornata sono tra le più varie,come varia è la composizione politica. Lo spot generalizzato nelle proteste sembra essere sempre lo stesso; via le bandiere, destra e sinistra, insieme…e qui di c’è chi propone una visita al sito del deposito, chi raccoglie firme, e chi disinteressato
al gioco truffaldino dei politici blocca gli incroci stradali che portano al grande centro
commerciale…un grande calderone da cui non sale buon odore e che vedrà però ben presto bruciare
la sua zuppa. Di fatti, nonostante l’impegno degli assidui presidianti, la partecipazione tranne alcuni
momenti non fu mai troppo numerosa, probabilmente perché la zona non è densamente abitata
nelle immediate vicinanze, anche se il puzzo negli anni è arrivato a km di distanza.
Il presidio è di tipo pacifico, si tengono riunioni ed assemblee quasi quotidiane, dove per esempio
vengono riportate le notizie degli incontri col prefetto (che chiedeva di pazientare fino alla chiusura
posticipata di volta in volta ogni 10 giorni) e si discute sul da farsi. Si attende quanto meno che la
ditta venga a mettere i tanto promessi teloni per coprire le eco-balle. Al momento anche alle guardie
è permesso scaldarsi accanto al fuoco!
Con una scadenza pari ai 15 minuti arrivano i camion dai C.D.R., camuffati con manifesti pubblicitari,
tra cui il più gettonato è quello di Fisichella che beve drive beer…diversi e il più delle volte poco incisivi sono stati i tentativi di bloccarne l’ingresso, tant’è che il sito ha avuto rallentamenti che non sono
mai andati oltre un’apertura a singhiozzo. Il più delle volte il tentativo disperato di bloccare i camion
si svolgeva facendo cordoni di resistenza che qualche volta finivano con tafferugli con la polizia .
Diversi i tentativi di salire sui camion, di bloccare i C.D.R….
Ma le giornate più interessanti sono state quelle che hanno visto ergere barricate sulle strade di ingresso. Quella esperienza ha fatto guizzare una nuova luce negli occhi dei presidianti, dando la dimostrazione che far chiudere il deposito fosse possibile, almeno per un giorno!
Ma la protesta nel giuglianese non è riuscita di fatto a sgominare definitivamente l’ipotesi di Taverna
del Re, di fatti a meno di una settimana dalla chiusura del sito, il 27/12/07 tra lo sgomento di tutti, il
prefetto Pansa data l’”emergenza”dà il via ad una nuova proroga. Il tam-tam di aperture e proroghe
và avanti anche dopo la nomina di De
Gennaro, e non si ferma neanche quando
a fine febbraio 2008 una donna incatenata si dà fuoco per bloccare l’ingresso
dei camion e in ospedale inizierà lo sciopero della fame. Ciò che si sa attualmente è che, dopo la proposta di Prodi di
portare le eco-balle ad Acerra, lo stato
non ha intenzione di scomodarsi, ha intenzione di costruire un inceneritore proprio a Taverna del Re.
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Contrada Pisani
Un po’ di storia…
Pisani: contrada una volta votata all’agricoltura e al taglio del legname per la facilità di lavorazione
del terreno…da qui il nome di Pianura.
La contrada è ora circondata da montagne artificiali di spazzatura prima inesistenti, da lì si vedeva il
mare prima che negli anni quella terra di crateri naturali ingoiasse quantità indicibili di spazzatura.
La prima apertura della discarica avvenne il 5 gennaio 1921 sotto la gestione dei La Marca-Di Francia,
due famiglie storiche di Pianura proprietarie di 30 ettari dei 50 di gestione comunale. Vero è che a
quell’epoca pochi erano i materiali inquinanti, ma quella di contrada Pisani era già prevista dovesse
diventare la più grande discarica d’ Europa e la seconda nel mondo.
Dopo continue saturazioni dei crateri la discarica fu riaperta negli anni 80 grazie ad un accordo tra i Di Francia e Cutolo. Lo sversamento
sarebbe dovuto durare per venti anni in modo
da creare cumuli di spazzatura che ricoperti di
terreno avrebbero creato la base per un campo
da golf.
Rovinando i piani di chi gestiva la discarica questa chiude nel ’94 perché utilizzata come sversatoio di tutta la regione, e non solo di rifiuti
leciti:
16 tonnellate di scarti di collante acrilico della
Sicaf (Novara)
21 tonnellate di fanghi provenienti da impianti
di depurazione di Ferolenet (Milano)
22 tonnellate tra vernici, resine e fanghi (Padova)
25 tonnellate di frazioni di rifiuti speciali di cosmetici scaduti (Roma)
50 tonnellate di vernici della Sicaf (Novara)
79 tonnellate di rifiuti speciali industriali (Ferrara –Torino)
113 tonnellate di polveri di amianto dal centro di stoccaggio di Torino
522 tonnellate di fanghi di verniciature (Milano)
1.106 tonnellate di scorie e ceneri di alluminio (Milano).
Ma Pianura intanto nel ’93, tramite il decreto Ronchi, rientra nei piani per il salvataggio dei Campi Flegrei. E così tra un accordo e l’altro tra Bassolino e l’Ente Parco si ha una proroga della chiusura della
discarica fino al 1996 in modo da poter far sversare i rifiuti provenienti anche da Caserta, Aversa e
Giugliano
Nel ’96 iniziano le vertenze contro l’utilizzo dei fondi provenienti dalla C.E.E., i quali servivano per la
“bonifica” dell’area per realizzare “sui crateri naturali” centri commerciali, alberghi ed il famoso campo
da golf progettato da Cutolo e compari. Ma i lavori furono bloccati.
Nel 2002 inizia la bonifica dell’ex area siderurgica Italsider di Bagnoli e ai Pisani (contrada vicino
Pianura) avrebbero voluto sversare tra le 800.000 e il 1.000.000 di tonnellate di rifiuti fatti passare
come inerti. L’amministrazione di Pianura, per mantenere gli equilibri politici, autorizzò l’accesso solo
a rifiuti inerti di abitazioni civili, inoltre in quell’area fu scoperta un mini discarica di rifiuti illeciti di proprietà di un certo barone Zampiglione.
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Nel 2003 Nugnes e Diodato (due politici della zona, uno della Margherita e uno di A.N.) proposero
al sindaco di Napoli di utilizzare capannoni dell’ex area Di Francia come siti di trasferenza con un atto
notarile tra A.S.I.A. e Di Francia per la riparazione e la manutenzione di mezzi e per il trattamento di
rifiuti secchi. Lontano dai riflettori ci fu una forte mobilitazione degli abitanti dei Pisani repressa dall’allora ministro degli interni Pisanu. Vi furono violente cariche in pieno giorno da parte di guardie
giunte dal Lazio, dalla Puglia e dall’intera Campania, che presero d’assalto gli abitanti organizzando
un’imboscata da tutti i lati della montagna e precludendo ogni via di uscita. L’apertura questa volta
fu concessa solo per pochi mesi.
Molteplici furono focolai di resistenza ai Pisani, sovente qualcuno bloccava i binari del treno con
bombole del gas, ma il motivo di tali gesta restava per lo più taciuto dai media. Come se il problema
dell’apertura della discarica fosse solo del quartiere. Per anni il malessere si era tentato di gestirlo
in termini elettoralistici: la stessa Iervolino negli anni passati aveva detto: ”mai più ai Pisani…”
Dopo circa 11 anni dall’ultima chiusura del sito, nell’ultima settimana del dicembre 2007 si decide la
riapertura della discarica. La popolazione scese immediatamente in strada costituendo un presidio
permanente.
I primi giorni del presidio videro una forte partecipazione locale. successivamente la gente dal paese
accanto accorse per protestare a fianco della popolazione di Pianura.
Vano fu il tentativo di politici e caporioni di emarginare i nuovi giunti, dipingendoli semplicemente
come rivoltosi che nulla avevano a che fare con il loro pacifico presidio.
Ben presto la protesta prese tutt’altro carattere, tant’è che il giorno stesso furono bloccate le vie d’accesso alla discarica e i binari del treno che congiunge Pianura con la città di Napoli. Iniziò il blocco
dello shopping dell’ultimo periodo natalizio.
Tutte le strade furono presidiate con blocchi stradali strategici di primo mattino per impedire a tutti di
andare a lavorare.
I media si impegnavano nel presentare come “unica via di uscita dall’emergenza” la costruzione di
un inceneritore, mettendo le popolazioni le une contro le altre: chi non voleva l’apertura dell’inceneritore contro chi camminava tra i rifiuti per strada, chi chiedeva con più o meno forza il ritiro della spazzatura contro chi era in lotta contro l’apertura della discarica… La vera via di uscita era unirsi contro
chi per decenni, speculando sulla salute dei più, ingrassando i propri guadagni, aveva fatto salire precipitosamente il numero di morti per tumore e di malformazioni neonatali.
L’indignazione trovava la forza di trasformarsi in azione.
31/12/07 riunione in prefettura. È l’ultimo giorno di Pansa da commissario, prima di cedere il posto
al suo vicario, Umberto Cimmino, che sembra a disagio in un ruolo così impegnativo. Lo aiuterà comunque Alessandro Pansa, in quanto prefetto, nell’ individuare siti alternativi. Il comune di Napoli dice
però di non averne a disposizione, mentre i militari ne offrono solo uno in provincia di Salerno.
Vengono appesi striscioni a Napoli prima del concerto di fine anno che vorrebbe mettere in secondo
piano la scomoda resistenza di quei giorni.
Intanto roghi di rifiuti e di auto divampano in città.
Il 2/01/08, dopo il brindisi di fine anno, la tensione arriva alle stelle quando si scopre, per una fuga
di notizie, che per quella notte sono previste cariche della polizia e con esse la presa del sito.
Nessuno arretrò ma furono, anzi, rinforzati i blocchi stradali. All’alba con estremo stupore dei presenti,
si videro mezzi pesanti della polizia precedere le ruspe. Fu aggirata la montagna distruggendo le
vie dei maneggi e le campagne. Amarezza ed incredulità si diffusero tra la gente del presidio insieme
all’odio verso la stampa che a distanza di nemmeno un paio di ore già esaltava il metodo utilizzato
dal governo per aggirare la popolazione. Sentimento quasi generalizzato e destinato a crescere. Ma
la lotta era solo agli inizi… il presidio dei manifestanti occupò una pompa di benzina localizzata di
fronte al varco utilizzato dagli sbirri per salire alla discarica. Nei giorni a seguire il numero di persone
aumentò vertiginosamente: dai comuni vicini giungevano decine di persone in corteo che con la
loro rabbia e determinazione contribuivano alla crescita della forza della protesta. Grande fu la festa
quando si alzarono le fiamme dalla discarica divampate dai teloni per il coibentaggio.
Il 4/01/08 Contro i cordoni di poliziotti, in un capodanno che sembrava infinito, furono tirati alcuni petardi ed in serata una gazzella dei carabinieri fu colpita con un estintore. Intanto furono bloccati anche
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i paesi vicini, aumentando il blocco sostanziale dell’economia, tant’è che il paese di Quarto rimase
per due giorni senza né pane né latte. Le tangenziali erano in tilt.
Nella stessa nottata furono dati alle fiamme alcuni autobus utilizzati per bloccare le rotonde. Venne
attaccato a sassate e petardi il commissariato di polizia di Pianura. Furono inoltre danneggiati i mezzi
necessari per iniziare i lavori di preparazione del terreno della cava ( fu incendiata una pala meccanica).
Sabato 5/01/08 alle 5.30 numerosi squadroni di guardie d’assalto costrinsero i manifestanti alla ritirata. Il resto del presidio disperso si unì agli abitanti che giungevano dalle zone limitrofe, anche se
gli sbirri avevano tagliato le vie di comunicazione tra i due presidi, ben decisi ad ostacolare l’arrivo
di altri sbirri e ancor di più a far indietreggiare le ruspe che di lì a poco sarebbero arrivate per rimuovere le barricate. Quel giorno, tra i manifestanti vi erano molti anziani verso cui i poliziotti non ebbero
nessun riguardo nel corso delle cariche un uomo di oltre settant’anni fu letteralmente calpestato dagli
stivali di quelle merde senza dignità..
Fu impedito con forte resistenza il cambio di turno delle guardie. Mentre si cercava di impedire l’arrivo
dei mezzi per i lavori, un uomo salì su una ruspa e venne colpito ripetutamente alla testa dalle guardie. Ne seguì una sassaiola con vari feriti negli scontri e giornalisti aggrediti.
Dalle 9,55 in poi alcune decine di manifestanti occupano la linea ferroviaria Roma-Napoli nel tratto
tra Pozzuoli e Giugliano.
A seguito dei pestaggi del giorno prima si riaccese la rabbia, si incrementarono i blocchi stradali;
quella sera, e quelle seguenti sarebbero stati i momenti più caldi della protesta.
La composizione dei partecipanti alla protesta era tra le più svariate, ma mai qualcuno inveì contro
chi, utilizzando altre pratiche e mezzi, attuò una rivolta senza compromessi contro l’aggressione statale che avrebbe potuto essere domata solo con una forte repressione. Nelle nottate di presidio una
sola idea animava le persone: bisognava restare tutti uniti.
I giornali sbandieravano presunte infiltrazioni di ultras e camorristi. Ogni accusa fu rispedita al mittente, consci che lo stato fosse l’unico colpevole delle strade bloccate, delle scuole deserte e dei negozi chiusi. Non riuscì il governo, tramite i giornalisti asserviti, a far calare la partecipazione. Non
passò la teoria dell’infiltrato ma anzi si fece strada la consapevolezza che l’ultras non fosse una categoria aliena dal genere umano, ma che si era lì tutti uniti per difendere il territorio da un’ennesima
invasione e con esso il proprio futuro.
Il 06/01/08 Arrivano cortei sia spontanei che organizzati ai Pisani
Il 07/01/08 nonostante alcune cariche di alleggerimento vennero comunque bloccati i camion diretti
alla discarica che portavano ghiaia.
Il sindacato di polizia richiese di poter utilizzare le pistole elettriche contro la popolazione
Il 08/01/08 nel tardo pomeriggio, contornati da numerose telecamere delle più svariate televisioni, la
polizia i carabinieri, la finanza e la forestale abbandonarono il sito.
In molti festeggiarono ma era chiaro che si trattava solo di una strategia per alleggerire la tensione.
In realtà i poliziotti si erano dislocati in tutto il circondario. Avendo fallito con la forza i fautori della discarica tentarono vie meno dirette offrendo (quella sera stessa) ad alcuni partecipanti al presidio
posti di dirigenza nei lavori da effettuare nella discarica. Il tutto fu sbandierato e deriso in pubblica
piazza davanti a centinaia di manifestanti. Non tardò a palesarsi quel tipo di minaccia a cui siamo
ben avvezzi da queste parti…
Al termine di un vertice in prefettura Cimmino confermò la scelta del sito di Contrada Pisani come
idoneo a raccogliere rifiuti .
Nelle ore che seguirono riesplose la guerriglia con svariati tentativi da parte degli sbirri di forzare i
blocchi.
Venne data alle fiamme la pompa di benzina dell’assessore Diodato, strategico punto di rifornimento
per i camion che avrebbero dovuto sversare lì la spazzatura. Furono inoltre devastate le sedi di A.N.
e della Margherita.
Il 09/01/08 ci fu un partecipatissimo corteo a Napoli contro il piano rifiuti. Si parlò di 10.000 persone
Il governo propose di stoccare parte dei rifiuti in Sardegna.
Il 10/01/08 venne nominato nuovo commissario straordinario l’ex capo di polizia De Gennaro, macellaio responsabile dei violenti pestaggi alla scuola “Diaz” e alla caserma Bolzaneto a Genova du-
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rante il G8.
Diventò palese che il governo stava cercando di reprimere questa ribellione, potendo essa fornire un
esempio di resistenza alle altre comunità in lotta.
La lotta continuò fino a quando venne diramata la notizia che la cava non sarebbe stata più utilizzata
a causa della presenza di grosse quantità di materiale fortemente tossico. Da quel momento in poi
la partecipazione è andata via via scemando, anche a causa del silenzio delle istituzioni sulla possibile apertura della discarica. Verso febbraio De Gennaro propose come alternativa allo sversamento
di rifiuti l’utilizzo della cava come deposito di eco balle, e nei cantieri limitrofi, lo stoccaggio delle ceneri residue.
Troverà ancora un’opposizione alla sua proposta, ma questa volta meno intensa. La discarica verrà
definitivamente chiusa da un’inchiesta aperta dalla magistratura sul ritrovamento di rifiuti altamente
tossici.
Un’ulteriore cronologia è riportata in appendice. Per quanto gli episodi parlino da sé, soprattutto nel
momento in cui né sono accaduti così tanti, è necessario provare ad allacciare i vari fili per poter presentare un quadro un po’ più limpido dell’universo napoletano e per dare, a chi Napoli la conosce solo
tramite gli articoli di giornale o per sentito dire, una possibilità di vederci più chiaro.
Ne abbiamo discusso molto e tanto ancora se ne parlerà delle rivolte di Pianura, e non per nulla; chi
ha vissuto questa esperienza dall’interno si è sicuramente trovato catapultato in un contesto tanto
originale.
Il contesto
È il caso di puntualizzare che entrambi i quartieri di Pianura e Pisani, trovandosi alla periferia di Napoli, rispecchiano la realtà emergenziale della suddetta città. In tale contesto è sempre stato diffuso
il populismo dei vari partiti, soprattutto quelli di destra ed estrema destra, che va a tamponare i piccoli
problemi quotidiani. In particolare nei Pisani dove, dopo svariate lotte per ottenere una scuola e servizi minimi, tutt’oggi ancora non ci sono fogne, illuminazione stradale, strade asfaltate,ecc.. In tal
quadro negli anni è stato semplice scegliere “il cittadino modello” che si sarebbe fatto portavoce
delle proteste dei cittadini.
All’inizio del presidio tali politicanti sono stati ovviamente tra quelli che ci additavano come i facinorosi,
gli estranei, ma questa storiella dell’uomo nero venuto da lontano non ha dato i risultati sperati…
anche se alla sola vista di certi volti ci prudevano le mani, e i momenti di attrito non mancarono, preferimmo sconfessare la loro pratica piuttosto che attaccarli frontalmente.
Tutti dovevano sapere attraverso l’assemblea quello che succedeva e discutere ciò che si sarebbe
potuto fare. Ovviamente a questa pratica non si avvicinarono mai i politici, che anzi tentavano di continuo di boicottarla. E’ banale dire che i capannelli continuarono ma in molti diedero valore a questo
metodo collettivo in cui si iniziò tra l’altro ad attaccare la politica del”non a casa mia”, tanto cara ai
burattinai del potere.
Attraverso l’assemblea si è potuto svelare i tentativi di mistificazione della realtà, avvalorati anche
da tecnici imbecilli, secondo i quali l’inceneritore di Brescia (in quei giorni utilizzato come esempio
di sana gestione dei rifiuti) non arrecasse danni alla popolazione; tesi usata dal dominio per circoscrivere la lotta di Pianura ad un semplice problema locale, nel tentativo di evitare una possibile fusione di più fronti ( ad esempio con quello della lotta contro l’inceneritore di Acerra). In questi momenti
di confronto si è discusso, anche se non approfonditamente, delle alternative al sistema attuale di
produzione e smaltimento che andassero pure oltre la raccolta differenziata. Inoltre, l’assemblea ha
dato la possibilità ai più di venire a conoscenza delle altre popolazioni in lotta, vicine e lontane, e delle
azioni fatte in solidarietà con la lotta contro la discarica dei Pisani. Lontane dall’affermazione dei fascisti:”ognuno pensi ai problemi suoi” che avrebbero voluto quindi isolare quella protesta dal contesto
più ampio di devastazione ambientale e non solo, alcune donne andarono a condividere l’esperienza
del presidio con un altro nascente a Villaricca.
In un simile contesto iniziale, dove la parola assemblea era ai più sconosciuta, dove la maggior parte
dei presidianti era abituata a delegare e a lasciar fare al politicante di turno, abbiamo assistito ai
primi segni di cedimento del meccanismo della delega, visto vacillare i suoi ingranaggi principali: il
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ruolo di mediazione e il potere del rappresentante politico.
I politici
I politici furono tutti ben accorti a presentarsi con una posizione opposta a quella di Diodato, favorevole alla riapertura della discarica. Nonno, De Falco, Nugnes, Palmers erano sì presenti in quei
giorni ma lo erano anche perché costretti dalla loro appartenenza al quartiere. Non potevano assolutamente tirarsi indietro, pena la fine della propria carriera politica. Allora ecco che Nonno (A.N) te
lo trovavi mattina e sera al presidio, creava il suo capannello, parlava con la sua gente, decideva la
sua strategia ma non determinava o sceglieva la linea dei manifestanti, tanto che vicino a sé, a debita
distanza, c’era anche un folto gruppo politicamente e umanamente opposto. Ma bisognava non far
aprire la discarica, il resto era momentaneamente messo da parte. Il fu Nugnes, allora assessore al
comune di Napoli, c’era poco pubblicamente, saltava fuori nei momenti di maggiore partecipazione
al presidio (il consenso è l’anima del politico), stringeva mani, si dichiarava vicino ai manifestanti, ma
non si esponeva più del necessario. Palmers (margherita), con la sua schiera di legalitari, era invece
più presente sui giornali e ai cortei a Napoli che non al presidio. Inoltre si era arrogato il ruolo di portavoce dei pianuresi, tanto che ormai lo si vedeva dappertutto, ma era molto slegato dal contesto.
Non a caso il suo striscione “pianura per la legalità” (?!) era portato dalla solita schiera di onesti cittadini che avevano colto la palla al balzo per approfittare dell’attenzione mediatica rivolta alla protesta
per far passare la propria richiesta di una maggiore presenza dello Stato a Pianura. Si può dire che
abbiano scelto proprio il momento adatto! De Falco (F.I.), anche lui molto presente durante il presidio
essendo di Contrada Pisani. Infine Diodato (A.N.), che oltre alla faccia ci ha perso pure un po’ di
soldi. Sua era la pompa di benzina che prese fuoco durante le notti più calde, così come un negozio
di abbigliamento che magicamente si ritrovò distrutto e svuotato. Come consigliere comunale si era
dichiarato favorevole alla riapertura della discarica, avendo i suoi buoni motivi, e per questo per
scendere al presidio e poter parlare era sempre accompagnato da personaggi poco rassicuranti. Il
caso volle che la mattina del 5, dopo l’ingresso dei camion scortati dai blindati, si presentò da solo
e questa volta, sempre personaggi poco rassicuranti, ma che in questo caso indossavano la divisa,
dovettero accompagnarlo a casa. Da quel giorno si sentì poco parlare di lui.
Forse l’esempio più rappresentativo dell’atteggiamento dei manifestanti nei confronti dei politicanti
fu la modalità con cui accolsero Fiore e la Mussolini; in città Pianura è rinomata come quartiere tendenzialmente destro, quindi i due sciacalli non potevano esimersi da dover fare una passeggiata
propagandistica. Purtroppo per loro, avevano fatto i conti senza l’oste. Da premettere che al presidio
erano ormai presenti da un po’ di tempo anche le persone che portavano avanti il progetto della
radio pirata “Radiolina” e, durante un’assemblea molto partecipata, i compagni più attivi della protesta
venivano “invitati” da un personaggio di estrema destra e la sua scorta tutta napoletana muniti di pistole a lasciare “momentaneamente” il presidio. (A Chiaiano invece, in nome della democrazia, la
Mussolini sarà accompagnata dai presidianti stessi, tra cui vari disobbedienti, all’interno della cava).
I due sciacalli non trovarono nessuno ad accoglierli, e quando cercarono di mettere i loro sporchi vessilli sul gazebo del presidio, i presidianti fino a quel momento indifferenti li invitarono senza mezzi termini ad appenderseli in casa propria. Fu talmente un flop che al TG non venne neanche menzionata
la notizia.
La stampa
Ben diverso fu invece l'atteggiamento dei manifestanti nei confronti di stampa e media. Come accade
in tutti i presidi composti da realtà popolari, l'arrivo dei media e la conseguente attenzione sono all'inizio auspicati e poi caldamente appoggiati. Che la stampa parli della propria lotta pare sia il vero
obiettivo di molti presidianti, tanto la tv è diventata fondamentale per la propria esistenza. Purtroppo
questo atteggiamento è molto condiviso nella realtà italiana, basta infatti vedere come si è comportato il movimento dell'onda studentesca e la fine che ha fatto.
Anche a Pianura quindi, soprattutto i primi giorni di presidio, quando i partecipanti non superavano
la trentina di unità, l'arrivo della stampa fu accolto sì a braccia aperte, ma anche a culo stretto. Molti
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di loro non avevano dimenticato la complicità dei media qualche anno prima, quando vennero picchiati nel silenzio più totale. C'era quindi una collaborazione con i giornalisti, nella speranza che questi diventassero un mezzo efficace per esporre e rilanciare le proprie rivendicazioni a livello nazionale,
ma non mancava la diffidenza nei confronti degli stessi, stando bene attenti a cosa far riprendere e
fotografare e cosa no.
Il resto poi venne da sé. Quando i pennivendoli dimostrarono per l'ennesima volta la loro natura, adducendo le infiltrazioni di camorristi, di delinquenti prezzolati, di folli estremisti per screditare agli
occhi dell'intero paese la protesta ed evitando metodicamente di mandare in onda o pubblicare la violenza della sbirraglia sui manifestanti inermi e tacendo sulle colpe dei politici, le cose cambiarono, e
non di poco. L'odio è andato crescendo e si è radicato man mano che si svelava la natura fittizia dell'interesse mostrato dalla stampa nei confronti dei manifestanti e delle loro ragioni; divenne chiaro
che l'interesse dei pennivendoli era quello di fare il gioco della lobby politica pronta a prendere il
posto del centro sinistra campano affinché la questione della riapertura della discarica fosse archiviata. Nei fossi è stato ritrovato di tutto, ma non è stato menzionato un solo fattivo responsabile politico della bomba ecologica.
Fotoreporter insultati e malmenati, telecamere rubate o distrutte, troupe televisive allontanate con lancio di petardi e scortate dalla sbirraglia, sono episodi figli della spettacolarizzazione mediatica di quei
giorni. Non dimentichiamoci che le immagini di Pianura hanno fatto il giro del mondo, tanto che erano
presenti anche giornalisti giapponesi!
Non che si voglia essere ripetitivi, ma riteniamo che sia necessario sottolineare lo specifico atteggiamento nei confronti della stampa messo in atto a Pianura; questo è uno dei motivi che ha messo lo
stato in difficoltà. Infatti, una delle strategie più efficaci, che consiste nel divide et impera, a Pianura
non ha avuto effetto.
È stata proprio questa diversità tra i manifestanti, accomunati da condivisioni di esperienze e di intenti, a dare alla lotta di Pianura la linfa e la creatività necessarie per riuscire ad evitare che la discarica venisse riaperta. Era sempre un da farsi, da parte di tutti. E non era mai dettato da una qualche
mente superiore. Infatti, mentre qualcuno era intento a rinforzare i blocchi, qualcun altro incendiava
le ruspe e i teloni dentro la discarica, altri prendevano in prestito i mezzi più adatti per le barricate,
altri ancora attaccavano le pattuglie isolate, altri mantenevano il presidio e altri si preoccupavano di
dar da mangiare e bere a chi vi avrebbe passato la notte, altri avvisavano dalle strade limitrofe i movimenti nemici, altri semplicemente offrivano un caffè o si informavano su quel che stava accadendo.
Nessuno aveva la possibilità, nonostante ci siano stati vari tentativi, di arrogarsi il diritto di dire cosa
fosse giusto e cosa sbagliato, cosa bisognava fare e cosa no. Quel che accadeva di notte era considerato altrettanto utile a ciò che avveniva di giorno, e quindi non veniva condannato dai presidianti.
Infatti nessuno si sognò di fare dichiarazioni infamanti nei confronti degli altri manifestanti, neanche
nei momenti in cui l’attenzione della stampa era ai massimi livelli. Gli scontri notturni erano visti un
mezzo come un altro per poter raggiungere l’obiettivo; chi aveva voglia vi partecipava, chi non se la
sentiva rimaneva a casa, ma non condannava. Esemplare fu la raccolta di soldi per tre ragazzi fermati
una notte, fatta per pagare l’avvocato. Stessa cosa avvenne a Chiaiano, ma il contesto era molto diverso. Tanto è vero che, dopo gli arresti di inizio ottobre per gli scontri di gennaio, a Pianura nessuno
si permise di condannare gli arrestati, e le uniche dichiarazioni rilasciate ai giornali erano sempre a
favore e mai contro chi ha subito la repressione. Cosa ben diversa, invece, ha fatto Mauro Bertini, a
nome del presidio permanete di Chiaiano, che in quei giorni dichiarò che anche loro, durante le proteste a Villaricca, furono avvicinati da una fantomatica banda di guerriglieri di professione, pronti a
creare il panico in cambio di 10.000 euro, avvalorando così le tesi della magistratura e prendendo
definitivamente le distanze da certe pratiche.
Gli arresti
Il 6 ottobre 2008, su disposizione del tribunale di Napoli, la digos e la polizia arrestano 39 persone,
nell’ambito dell’inchiesta sugli scontri di gennaio a Pianura, con accuse che vanno da associazione
a delinquere a devastazione, da sequestro di persona a porto d’armi, un po’ di tutto insomma.
Non ci sembra interessante scendere nelle ricostruzioni particolareggiate di ogni caso, questo vile
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esercizio lo lasciamo alla magistratura, ciò che è importante è sottolineare la linea di intimidazione
dello stato. Gli arresti e la gravità delle accuse, contornati da una campagna mediatica creata ad hoc,
sono serviti da avvisaglia a tutte le altre realtà in lotta. Il messaggio che hanno voluto mandare è stato
chiaro: ecco cosa spetta a chi si rivolta contro la ragion di stato. Chiaiano è in arrivo, la Val Susa sarà
la prossima.
I punti fondamentali su cui hanno focalizzato l’attenzione dell’opinione pubblica sono in particolare
due: l’infiltrazioni di varia natura e la regia politica. Lo scopo, a nostro avviso, è stato, da una parte,
il tentativo di criminalizzare e denigrare una lotta che gli era sfuggita di mano, e dall’altra ridurre la
stessa ad un mero tentativo da parte di qualcuno di voler dirigere la protesta, per soddisfare la sete
di potere e l’egemonia personale. Nell’utilizzo di tale tesi si rende evidente che l’esempio aggregativo
che si è avuto a Pianura, è qualcosa di incontrollabile e pericoloso per il domino statale qualora non
sia filtrata da politiche concordate con il potere .Non è concepibile per chi governa che, senza capi
di professione, una popolazione si mobiliti per contrastare il volere dei potenti. In tale ottica facendo
risultare la protesta di Pianura, come una vicenda già concordata da esponenti locali ha fatto si che
quest’ultima non venisse presa come esempio positivo, per alcuni dei tratti che l’hanno caratterizzata,
dalle altre realtà in lotta.
Il continuo martellare di tv e giornali, sia a gennaio durante la protesta che a ottobre per gli arresti,
battendo sulla nobile causa dei pacifici dimostranti rovinata da infiltrazioni camorristiche e follia ultras,
dappertutto ha attecchito tranne che a Pianura. Dappertutto si parlava di una protesta manipolata
dalla camorra o dai fascisti, tant’è che nella stessa Napoli, gente a noi molto vicina, ha stentato a partecipare alla protesta, ripetendo a nostra sorpresa le tesi giornalistiche. Quando si dice il potere dei
media… Comunque, se proprio vogliamo dirlo, che le infiltrazioni della camorra ci fossero non è affatto una novità, ma non erano diverse da quelle che ci sono nel Comune di Napoli, nella questura,
nella magistratura, ecc.. E i tanto terribili ultras non sono altro che gli stessi ragazzi del quartiere, che
hanno nella curva uno dei minimi punti di aggregazione in una città, che per la maggior parte altro
non offre che violenza e miseria. E che la polizia sia un loro nemico, questo non ci meraviglia né ci
stupisce.
Purtroppo una cosa di cui si è sicuramente sentita l’assenza è stata una risposta, da parte di chi a
Pianura ha vissuto quei giorni e quelle notti, agli arresti. La posizione presa da tutti quelli che non
sono stati colpiti dalla magistratura è stato un netto calo di sipario; quella presa dagli arrestati invece
è stata di slegarsi dal contesto e difendersi individualmente. Pensiamo che questo derivi da diversi
motivi, e non da un semplice menefreghismo generale. Sicuramente la tempistica ha avuto il suo
peso. L’abilità della magistratura è stata quella di compiere gli arresti a 10 mesi di distanza dagli avvenimenti accaduti, in un contesto sfilacciato in cui la fiamma della protesta era bella e spenta già
da un po’. Inoltre, accusare parte degli arrestati anche di avvenimenti lontani dalla protesta di gennaio
(infatti più di una decina sono accusati per reati legati al mondo ultras) non ha fatto altro che stroncare
sul nascere una possibile risposta….
Per finire, non abbiamo utilizzato il termine vittoria per quanto riguarda la lotta di Pianura, perché la
politica di devastazione e militarizzazione del territorio prosegue senza tregua.
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La lotta si sposta a Chiaiano
Quello che è accaduto a Chiaiano è un chiaro esempio di come la società in cui viviamo sia totalmente manovrata dal giogo del potere, da quei pochi che hanno deciso di sfruttare al massimo ciò
che la natura ci offre, di arricchirsi sulla pelle e sulle spalle di coloro che nient’altro vorrebbero se non
vivere la propria esistenza senza alcun tipo di sfruttamento, né della loro terra, né di loro stessi, né
dei loro figli.
E’ opportuno fare un passo indietro, spiegare ed analizzare i singoli avvenimenti per capire, in questo
teatrino fatto di decisioni prese senza tener conto della volontà della gente del posto, di “tira e molla”,
di false soluzioni, la storia dell’“Emergenza rifiuti” in Campania, un’emergenza creata appositamente
per spostare l’attenzione dal reale problema dell’eccessiva produzione di merci e ciò che ne consegue.
Conoscere gli avvenimenti di Chiaiano è indispensabile anche per comprendere l’ampio margine di
profitto ricavato e che si ricaverà dalla costruzione degli inceneritori, dalla costruzione e dalla gestione
di nuove discariche, insomma da tutto ciò che vogliono far passare come soluzione, ma che in realtà
rappresenta un’ulteriore possibilità di investimento e di guadagno.
Sono passati 14 anni da quando, nel 1994, all’olfatto e alla vista della popolazione campana i media
istituzionali presentavano la tanto citata “emergenza rifiuti”, un ospite che ha soggiornato troppo di
più dei temuti tre giorni. Da allora si sono succeduti sempre gli stessi governi, è morto un papa e se
n’è fatto un altro, ma invece di essere risolta, l’”emergenza rifiuti” ha continuato a riempire le tasche
della classe dirigenziale campana e non solo.
Come può un’emergenza durare 14 anni? Anche se sarebbe più appropriato chiedersi perché persiste questa emergenza? Questo scempio è dovuto durare per permettere lo sviluppo di aree industriali del nord che per prosperare avevano bisogno di smaltire a costo zero e lontano dal loro
territorio le scorie del ciclo di produzione.
La devastazione del territorio campano è in linea con l’ottica del capitalismo mondiale ovvero lo sfruttamento globalizzato.
In alcune regioni del mondo vengono reperite le materie prime e se le popolazioni locali dissentono,
le “bombe intelligenti” sono un ottimo interlocutore. In altre regioni le materie prime vengono trasformate in merce perfettamente inutile poi venduta in ogni angolo del pianeta. In altre ancora invece gli
scarti del ciclo di produzione vengono sotterrati o bruciati. Poco importa se la catena industriale deve
distruggere intere popolazioni per reperire materie prime; poco importa se la lavorazione di queste
ultime devasta interi territori e solo qui in Italia ogni giorno lascia sei persone morte a terra; poco importa se le scorie della produzione avvelenano l’acqua che beviamo, il cibo ch mangiamo, l’aria che
respiriamo e che soprattutto avvelenano il nostro futuro.
Nei piani odierni, la Campania dovrà essere appestata con ben altre 10 discariche che oscillano da
una capienza di 700.000 tonnellate (Chiaiano) a quella di Andretta, una fogna a cielo aperto di
2.000.000 di tonnellate e altri 4 (forse 5) inceneritori di cui 2 nel napoletano (Acerra e Ponticelli).
Tutto ciò non è passato sotto silenzio. Le popolazione delle aree indicate hanno manifestato il loro
dissenso in maniera determinata, ma non tutte hanno avuto onor di cronaca, ne è un esempio la manifestazione di Andretta (in provincia di Avellino) che ha visto la partecipazione di 10.000 persone passata completamente sotto silenzio. Mentre altre zone sono state per mesi nell’occhio del ciclone
mediatico come Chiaiano e precedentemente Pianura, un altro quartiere di Napoli dove era prevista
la riapertura di una discarica chiusa da decenni che aveva già seminato morte e distruzione.
Le cave di via Cupa del Cane, sito che lo stato ha deciso di destinare allo stoccaggio dei rifiuti della
città di Napoli e dei comuni limitrofi, sono situate all’interno dell’unico polmone verde cittadino. Le
cave finora interessate sono tre, tutte di proprietà della Fibe, ma in effetti in tutta la zona se ne contano ventuno, tutte possibili futuri sversatoi.
Il progetto del supercommissario Bertolaso è quello di depositare, nella futura discarica di Chiaiano,
circa 700.000 tonnellate di rifiuti tal quale, con la delega, a livello legale, di poter sversare anche
qualsiasi tipo di rifiuto tossico.
Per descrivere la spaventosa situazione campana, allo stato attuale l’apertura della discarica non andrebbe a gravare ulteriormente sull’ormai devastato territorio campano, da decenni sito di stoccaggio
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di rifiuti tossici/industriali provenienti il larga misura dalle fabbriche del nord Italia, ma anche europee
e americane.
L’impatto, invece, si farà sentire direttamente sulla popolazione che vive nelle immediate vicinanze
delle cave, le quali distano poche centinaia di metri dai grandi agglomerati residenziali; non dimentichiamoci che nell’ultimo decennio in Campania il tasso di malformazioni infantili è raddoppiato e
quello delle patologie tumorali è schizzato vertiginosamente. Senza dimenticare poi l’impatto indiretto
generato dal percolato, che coinvolgerà anche chi vive lontano dalla discarica, data la presenza nelle
vicinanze di campi coltivati o delle falde acquifere sotterranee, le stesse che riforniscono alcuni tra i
gli ospedali più grandi della città.
Tutte queste controindicazioni furono già prese in considerazione da Bertolaso e dal suo staff di tecnici, tanto che quando il precedente governo suggerì l’ipotesi “Chiaiano” durante una delle infinite
crisi/rifiuti lo stesso super eroe in casacca blu si rifiutò categoricamente di prenderla in considerazione
la proposta. Questo, ovviamente, prima di Pianura.
Ma andiamo con ordine.
Il 30 aprile scorso, Gianni De Gennaro, subentrato in gennaio a Bertolaso nel ruolo di commissario
speciale per l’emergenza rifiuti in Campania, indica Chiaiano come sito idoneo per la costruzione
della discarica senza valutare le problematiche sociali e ambientali che ne conseguiranno; inserisce
così via Cupa del Cane tra i 10 siti scelti dal governo all’interno del decreto sull’emergenza rifiuti.
Nemmeno il tempo che la notizia viene passata alla stampa che gli abitanti di Chiaiano, Marano,
Mugnano danno vita ad assembramenti spontanei che daranno successivamente vita al presidio
permanente.
Durante questi giorni ci si prepara per il 21 maggio, giorno i cui verrà svolto a Napoli il primo consiglio
dei ministri del nuovo governo Berlusconi.
Il 3 maggio (Erette le Barricate) inizia il presidio permanente sulla strada che porta alla cava, composto da tutti coloro, del luogo e non, che hanno deciso di opporsi all’allestimento della megadiscarica: sono presenti individui e famiglie che hanno a cuore il proprio futuro e quello del territorio in cui
vivono.
Il 21 maggio si svolge in città una manifestazione abbastanza spenta in cui non si registrano momenti
di tensione. Dopo che la manifestazione viene bloccata dalla polizia all’altezza di piazza Municipio,
un po’ per la pioggia e un po’ per aver capito l’andazzo dello schieramento in blu, fermamente deciso
a non concedere un solo passo in più di quello che si era dato, il corteo si scioglie sulle note di
condite offese rustiche rivolte a Berlusconi & co. Non passa molto tempo e si apprende per via mediatica, la via preferita dal furbo Berlusconi, che guarda guarda Guido Bertolaso è il nuovo commissario straordinario ai rifiuti, vengono individuati 4 siti per la costruzione di inceneritori e i 10 siti di
stoccaggio sono stati confermati ufficialmente, si equiparano i luoghi dove verranno costruite le discariche alle aree di interesse strategico nazionale. In altre parole avviene una vera e propria militarizzazione del territorio, il tutto aggravato dalla decisione di procedere all’arresto, con detenzione
fino ai 10 anni per chi fosse individuato come capo istigatore delle rivolte e fino a 4 anni a chi compisse blocchi stradali o entrasse nelle discariche ed impedisse lo svolgimento dei lavori. La presenza
dei militari è, inoltre, un’altra astuta mossa del governo che comincia ad attuare una politica repressiva ed autoritaria in una zona circoscritta e non pacificata, per poi passare, come è realmente accaduto, al controllo di intere città. Un decreto fatto ad arte per spianare la strada alle lobbies che
gestiscono l’intero affare dei rifiuti; già di per sé, l’emergenza rifiuti rappresenta una situazione economicamente vantaggiosa per larghi settori dell’imprenditoria che gestisce la crisi e ricava profitti
dal sistema di smaltimento, ovviamente favoriti dalle istituzioni politiche nazionali e locali.
Il 23 maggio, il capo dello stato Giorgio Napolitano firma il decreto sull’emergenza rifiuti, decretando
ufficialmente Chiaiano come uno dei dieci siti campani dove sorgeranno nuove discariche. In previsione di una sicura risposta, la polizia carica preventivamente a Chiaiano centinaia di persone, tra
cui molti anziani e bambini, che si erano riuniti al presidio per attendere il verdetto finale; il bilancio
è di tre arresti e diversi feriti. La carica a sorpresa ha travolto persone inermi, una voce mai confermata dalla stampa dirà che una donna incinta perderà il bambino di 8 mesi a causa di una manganellata. Un’altra ancora, dirà che la questione è stata messa a tacere grazie alle solite mazzette.
La mattinata del giorno successivo i manifestanti si danno appuntamento alla rotonda “rosa dei venti”,
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il clima sembra essere sereno, sono presenti le forze dell’ordine in assetto antisommossa ma pare
che questo non infastidisca più di tanto i presenti. Qualcuno però, blocca un autobus e lo mette di
traverso a mo di barricata. Al tentativo della polizia di avanzare per rimuovere l’autobus, i manifestanti
risponderanno con un fitto lancio di oggetti, tra cui qualche molotov e bombe carta; il bilancio degli
scontri è di 2 feriti, un ragazzo riporterà gravi ferite dovute al volo di diversi metri causatogli dalla
spinta di qualche anonimo sbirro durante la carica. Gli scontri porteranno all’allontanamento della polizia e alla creazione di diverse barricate per difendersi dall’attacco delle truppe di occupazione.
Nei giorni a seguire, vista l’inconvenienza del continuare un muro contro muro, data la pericolosità
di un’eventuale radicalizzazione della lotta, lo stato agisce attraverso i canali meno evidenti e più subdoli della contrattazione democratica istituzionale.
Bertolaso si dannerà giornate intere per incontrare i sindaci e le amministrazioni locali e rassicurarli
della sicurezza e bontà delle proposte del governo; intanto pioveranno appelli da tutte le parti in cui
si inviteranno i dimostranti alla calma e alla ragionevolezza. Gli avvoltoi della stampa, come da copione, monteranno una campagna diffamatoria nei confronti dei presidianti, arrivando perfino a denunciare le paghe in denaro e cocaina gentilmente offerte dalla solita camorra, che si rivela sempre
un utile deterrente nelle situazioni più scomode con tanto di prezzario, a chi compiva più danni.
Spendere fiumi di offese nei confronti di tale gentaglia, in questo ambito, non lo riteniamo necessario.
Ci interessa di più concentrarci e capire su come il presidio è arrivato, la mattina del 27 maggio, ad
accettare di rimuovere le barricate. Sarà questo il momento in cui i presidianti di Chiaiano perderanno
la loro lotta, permettendo allo stato di “entrargli in casa, sebbene dalla finestra anziché dalla porta
principale”.
La sera del 26 alle 20.00 fu indetta un’assemblea in cui il sindaco di Marano (da tenere presente che
via Cupa del Cane rientra nella circoscrizione di Chiaiano, mentre la rotonda rosa dei venti, lo spiazzale dietro e il resto della strada che precede la via d’accesso alla discarica, rientrano nel Comune
di Marano) riferirà del suo incontro con Bertolaso. A quell’ora erano presenti poco meno di un migliaio
di persone curiose di conoscere la risposta del governo alla loro decisione di non voler vere, in un
prossimo futuro, a contatto con la discarica. La maggior parte di loro se né andrà delusa, abbandonando l’assemblea prima che il dottor Perrotta arrivi. I più tenaci, infatti, dovranno aspettare ben
quattro ore per capire, già dall’espressione del volto da uomo messo con le spalle al muro, che il dado
era tratto. Piccola curiosità, durante questa lunga attesa i capoccia delle realtà del movimento napoletano si erano rintanati dentro l’Insurgencia, fortino dei disobba napoletani.
Per farla breve, il sindaco riporta la posizione indiscutibile del governo: la barricata principale, quella
della rotonda, deve essere rimossa; meglio se da parte degli stessi manifestanti, sennò entreranno
in azione le migliaia di divise che erano state assembrate da diversi giorni nelle caserme limitrofe.
Come segno di disponibilità, Bertolaso accettò l’istituzione di una commissione di tecnici, 5 governativi e 5 proposti dal presidio, che avrebbe avuto a disposizione 3 settimane per effettuare i rilievi
e che si sarebbe espressa sull’adeguatezza o meno delle cave ad ospitare la discarica.
La soluzione, per quanto ben infiocchettata che fosse, non convinse tutti. C’erano troppi lati oscuri:
e se i tecnici avessero detto che andava bene?, cosa voleva significare la delega a sversare qualsiasi
tipo di rifiuto, quindi anche quelli tossici? Lo stato non ha mai mantenuto le promesse, perché
avrebbe dovuto iniziare proprio in quel momento? E così via. Il sindaco, vendutosi il presidio spudoratamente perché aveva accettato la decisione di Bertolaso, viene smascherato facilmente dagli
stessi abitanti tanto che parte una contestazione a cui noi ci unimmo.
La barricata però verrà smontata e, a chi non era d’accordo o non del tutto convinto dell’utilità del
gesto verrà risposto che le barricate non avrebbero retto all’impatto dei blindati, che non c’era abbastanza gente a difendersele, e, sempre la solita pappardella, il dialogo avrebbe salvaguardato l’incolumità della gente.
Certo, forse non si era in tanti ad essere decisi ad opporsi alla violenza dello stato, e sicuramente,
per quanto fosse stata fatta ad arte, la barricata non avrebbe retto da sola. Però nascondersi dietro
la facile scusa dell’incolumità della gente è troppo. Con la stessa determinazione con cui si evita il
contatto e lo scontro con le forze dell’ordine in nome della salvaguardia della salute della popolazione
allora allo stesso modo bisogna evitare che si faccia la discarica, visto che questa avrà effetti ben
più devastanti che si perpetueranno negli anni. Elevarsi a paladini della sicurezza della popolazione
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non ha fatto altro che portare attualmente all’apertura della discarica presidiata dai militari.
Chi detiene il potere sa benissimo che uno scontro aperto contro una popolazione decisa a battersi
sul proprio territorio non conviene. Dove c’è un’invasione nasce una resistenza. Quelle barricate
erano il simbolo della resistenza di una popolazione che non voleva più saperne delle decisioni prese
a discapito della propria salute a beneficio delle tasche di pochi. Al riparo di una barricata si creano
rapporti tra persone che non sono mediati da null’altro se non dalla volontà e dal desiderio di resistere. Ecco perché tutti i mezzi di controllo sociale in mano al clan del progresso sono stati utilizzati
per demolire il simbolo di questa resistenza, anziché la protesta in sé. Il costruire barricate e il difendere la propria terra suscitano indignazione a destra e inviti alla moderazione a sinistra; e mentre la
prima auspica un rapido ritorno all’ordine anche a costo di distribuire un po’ di sane manganellate
redentorie, la sinistra tenta di trovare, attraverso la mediazione, la soluzione più ragionevole(per loro
ovviamente) cercando di far calmare le acque in maniera da far passare sotto tono le proposte meno
accettabili. E allora cosa di più “tranquillo e democratico” che usare come interlocutori per questo ennesimo atto di repressione gruppi di rivoluzionari ragionevoli, facendogli svolgere il compito di pompieri della situazione, approfittando della loro presa e credibilità fra la popolazione, in cambio di un
po’ di visibilità mediatica nazionale e di una gentile concessione di spazi comunali?
Allora non stupisce la difesa a spada tratta del sindaco di Marano, non stupiscono gli inviti durante
le assemblee a potersi esprimere in base al luogo di residenza (potete non crederci, ma questo è
stato detto da un emerito cretino di Insurgencia pur di impedirci di intervenire) così da mettere contro
i presidianti locali e i solidali non del luogo, non stupisce la volontà di isolare chi era in contrasto con
l’egemonia di pensiero e di azione, che con il passare del tempo si è fatta sempre più fittizia, non stupiscono gli appelli a tenere la lotta nell’alveo istituzionale.
Nel frattempo però la trattativa ha dato modo al governo di salvare la faccia, mentre le valutazioni di
impatto ambientale fatte dagli esperti del governo hanno ovviamente dato esito positivo all’idoneità
delle cave, e a nulla sono servite le contro perizie dei tecnici del comitato, con buona pace di chi si
appellava ad un minimo senso di dignità e coerenza di Guido Bertolaso, che l’anno precedente aveva
espresso parere totalmente opposto. Via via con il passare dei giorni, nell’attesa delle perizie, l’attenzione della stampa scema fino ad ignorare quasi completamente le vicende di Chiaiano, e di conseguenza scema anche la partecipazione dei curiosi che erano sì in gran numero, ma che sono
ovviamente venuti meno nel momento più difficile. Le altre barricate verranno allora rimosse e sostituite con un palco e svariati gazebo, generosamente offerti dal Comune di Marano, che ospiteranno
anche banchetti per le degustazioni e vendita di prodotti tipici locali e un info/shop point dei disobba
(da segnalare la maglietta guerrilla).
Si arriverà così, tra manifestazioni locali e nazionali, come quella del 2 giugno, concerti, proiezioni,
sagra della ciliegia, ecc. al 10 luglio, giorno in cui alle 5.00 del mattino i militari prenderanno possesso
delle cave, recintando la zona con del filo spinato e mettendo su una specie di check-point molto simile a quelli in Iraq. La rabbia tra la popolazione è tanta, così come è tanta però la rassegnazione
generata dalla consapevolezza che ormai l’esercito è entrato e per cacciarlo non ci si può certo appellare a sagre e concerti. Il presidio verrà man mano disertato, soprattutto da quei ragazzi che avevano messo tutte le loro energie nel difenderlo nei mesi precedenti. Da non dimenticare però che non
tutti sono rimasti con le mani in mano, accettando passivamente i soprusi dello stato. La notte da
sempre dà buoni consigli, e di notte alcuni sconosciuti hanno colpito più volte le pattuglie di carabinieri, polizia o esercito con lanci di molotov, bombe carta e ordigni rudimentali, una notte ci fu un assalto al commissariato di Chiaiano, e un auto del segretario personale del sindaco fu data alle
fiamme, vari autobus verranno presi d’assalto e bruciati.
Il 6 agosto una coppia di ragazzi, tra i più presenti al presidio durante i mesi precedenti, verranno arrestati con l’accusa di aver partecipato ad un raid la notte prima contro un autobus e di aver picchiato
il conducente. Le prove sono delle intercettazioni ambientali ottenute con una microspia piazzata
nell’auto del ragazzo. La ragazza verrà rilasciata perché incensurata, il ragazzo finirà a Poggioreale
(oggi libero ma condannato a 3 anni). La stampa ovviamente monterà il caso, meravigliandosi di
come lei, da tutti riconosciuta come una brava ragazza, che studia all’università, possa aver compiuto
simili azioni. Ovvio, è stata fuorviata da lui, ragazzo senza lavoro fisso, appartenente ad un gruppo
ultras napoletano, ecc.. i comitati di base però, si defileranno dalla polemica, sentendosi vicini ai ra-
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gazzi ma condannando apertamente chi compiva atti che avevano come unico fine quello di isolare
la lotta. Sempre la stessa storia.
E su questa scia che il primo settembre sono iniziati i lavori di impermeabilizzazione della cava,
grazie soprattutto al certosino lavoro di reintegro delle lotte in ambito legalitario.
Dopo agosto la situazione si rovescia. Quelli che tanto parlavano di incolumità della gente, facevano
appelli alla ragionevolezza e alla calma, si chiamano lo Jatevenne Day, manifestazione nazionale,
per il 27 settembre, con appelli simili a quelli dei giorni pre g8 fatti dalle tute bianche: entreremo nella
discarica e cacceremo i militari!
Boh? Vedere persone che cambiano opinione da un momento all’altro è sempre un avvenimento alquanto strano. Ci chiedevamo in quel periodo se girasse, a Chiaiano e soprattutto in certi ambienti,
il virus del morbo del Dr. Jekill e Mr Hyde. No, la spiegazione era molto più semplice. Messi alle
strette dagli avvenimenti, poiché da una parte continuavano carotaggi e iniziavano i primi lavori di
impermeabilizzazione delle cave e dall’altra la stampa, perfino quella locale, non degnava i comitati
di alcuna attenzione se non di qualche trafiletto una tantum, gli organizzatori optarono per il colpo di
scena mediatico. Ed ecco che, come le mosche, iniziano ad arrivare i primi timidi segnali di attenzione
della stampa. Intanto la popolazione chiaianese e maranese veniva fomentata con facilità, data la
rabbia che covava ognuno nei confronti delle forze dell’ordine. E non a torto. La possibilità di perdere
il controllo della piazza era elevata, e chi si era chiamato il corteo, da buon capo piazza qual’era, ne
era ben consapevole. E quando è una popolazione vessata a perdere il controllo,allora non ci sono
né santi e né madonne per fermarla. Per questo motivo, con il trascorrere dei giorni le notizie sulle
“intenzioni” del corteo diventano, come da copione, sempre più confuse e rarefatte. In questo clima
si arriva al corteo del 27.
C’è abbastanza gente all’appuntamento, la presenza di solidali esterni non è tanta, ma ci si aspettava
di peggio. Più o meno ci siamo tutti, ma mancano le famose difese in plexiglas… erano state sequestrate la mattina stessa con un’azione molto spettacolare dalle guardie con blocchi stradali e mitra
in mano. Un corteo disarmato e gioioso arriva avanti allo schieramento dei caschi blu, che non erano
pochi, si arriva al contatto, qualche spintone un passo indietro e uno avanti, il nervosismo inizia a salire e dal camioncino arrivano appelli alle prime file per fare dei passi indietro (ma non bisognava resistere un minuto in più di loro?) perché si stava valutando le controproposte fatte dallo stato alle loro
richieste di far entrare il sindaco di Marano e una delegazione di cittadini, cioè loro dei comitati, nella
cave per monitorare a che punto fossero i lavori. E mentre la farse si era stagnata sul sindaco sì, i
comitati no, parte la carica di alleggerimento. Benché disarmati, la prime file una risposta la danno:
4 poliziotti contusi e uno ferito da un petardo. Delle barricate per far convogliare la gente in fuga e
bloccare minimamente le guardie vengono create in pochi istanti, inizia a crearsi un gruppetto sempre
più folto di rivoltosi ma la presenza dei pompieri raffredda gli animi, si opta per tornare a casa tranquilli
ma con molto amaro in bocca. .Se l’obiettivo del corteo era quello di ottenere per un giorno la visibilità
dei media nazionali, allora si può dire che è stato un corteo riuscito. Se, invece, si voleva creare una
resistenza più ampia e compatta, il corteo è stato un fallimento.
Le mobilitazioni sono continuate. Per quanto i comitati abbiano provato con tutte le vie istituzionali
possibili ad opporsi, con interruzioni dei consigli, blocchi stradali, presidi sotto la prefettura, arrivando
persino ad appellarsi alla corte europea, l’epilogo di Chiaiano è stata l’apertura della discarica.
La lotta di Chiaiano evidenzia un dato di fatto da cui le prossime lotte non potranno prescindere: lo
strumento del ricorso alla magistratura, che i cittadinisti hanno utilizzato fino ad oggi, è diventata
un’arma pressoché inutile, avendo lo stato dichiarato i siti di stoccaggio come siti di interesse strategico nazionale, passandoli cioè sotto il controllo giuridico dell’esercito.Se l’obiettivo del corteo era
quello di ottenere per un giorno la visibilità dei media nazionali, allora si può dire che è stato un
corteo riuscito. Se, invece, si voleva creare una resistenza più ampia e compatta, il corteo è stato
un fallimento.
Le mobilitazioni sono continuate. Per quanto i comitati abbiano provato con tutte le vie istituzionali
possibili ad opporsi, con interruzioni dei consigli, blocchi stradali, presidi sotto la prefettura, arrivando
persino ad appellarsi alla corte europea, l’epilogo di Chiaiano è stata l’apertura della discarica.
La lotta di Chiaiano evidenzia un dato di fatto da cui le prossime lotte non potranno prescindere: lo
strumento del ricorso alla magistratura, che i cittadinisti hanno utilizzato fino ad oggi, è diventata
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un’arma pressoché inutile, avendo lo stato dichiarato i siti di stoccaggio come siti di interesse strategico nazionale, passandoli cioè sotto il controllo giuridico dell’esercito.
Riflessione sulla società
industriale e delle merci
In questo scritto sono riportate delle riflessioni sviluppate a seguito di una serie di incontri avvenuti
nel periodo era in atto la mobilitazione di Serre (maggio 2007), quando il fulcro di qualsiasi iniziativa, assemblea o corteo, era la raccolta differenziata propinata come unica risposta all’ “emergenza rifiuti”. L’evolversi della lotta, in luoghi diversi, darà ben altri sviluppi.
Quando un mondo marcisce tra i rifiuti che produce sempre più abbondantemente, chi si ostina ad
imputridirsi con esso non può che chiudere gli occhi, turarsi il naso e continuare incoscientemente
a gozzovigliare con+ ciò di cui ci si dovrebbe invece disfare. Pochi producono, sottraggono, dilapidano, inquinano, smaltiscono. Molti consumano, si svagano, votano, lasciano fare, senza darsi troppo
la pena di ragionare sulle cose che li avvelenano e che li dominano, salvo poi lamentarsi di essere
stati serviti male, quando l’olezzo che si diffonde dal volto sfigurato di una terra ridotta a una pattumiera, riporta ai sensi lo scenario della degradazione di una vita che non possono produrre essi
stessi, e che non sembra promettere altra esperienza che quella delle innumerevoli calamità procurate dai progressi dell’avanzata economica.
Coloro che pure sostengono di voler fare a meno di inceneritori e discariche e di voler lottare per un
mondo dove chissà grazie a quale prodigio spariscono i rifiuti ma non le merci, sono ben accorti a
evitare, ad ogni occasione, una critica radicale a una società che costringe gli individui ad affaticarsi
insensatamente tra cumuli di spazzatura ed esalazioni nocive. Così né l’evidenza né la ragione sono
sufficienti ad aprire gli occhi a chi preferisce coltivare l’illusione che basti raccogliere, differenziare,
riciclare (corollario moderno dell’ingiunzione padronale Produci! Consuma ! Crepa!), perché un
mondo inaridito dalla produzione industriale e devastato dall’inquinamento possa un giorno diventare
quel paese della cuccagna promesso dallo sviluppo illimitato delle forze produttive.
In Campania molte sono state le proteste in questi ultimi due anni contro l’apertura di nuove discariche che hanno per qualche tempo contribuito a scuotere un po’ gli individui dall’apatia, generando,
seppur in ambiti circoscritti, incontri, discussioni, l’assunzione di prese di posizione, perfino la larvata
idea di un movimento pratico di contestazione. Ma ciò che più di tutto di esse rimane è l’amara constatazione della mancanza di una volontà critica degli individui che non trovano più in loro stessi le
ragioni per rifiutare questa società nel suo insieme. Questo confusionismo pigro e interessato impedisce di chiarire che non si tratta di opporsi solo all’apertura di questa o quella discarica, ma che bisogna lottare per abolire insieme i presupposti che la rendono necessaria. L’economia, lo stato
creano le condizioni concrete per l’alienazione e lo spossessamento e privano gli individui della possibilità di decidere liberamente come vivere, imponendogli di continuare a sottostare, in ogni aspetto
della loro esistenza, a ciò che è stato dispoticamente scelto da altri.
Insomma né i presidi locali di cittadini, né le varie manifestazioni, né le varie assemblee hanno sviluppato una critica che considerasse la costruzione di inceneritori e l’apertura di nuove discariche,
come una delle tante necessità nefaste del dominio dell’economia e della produzione di merci: ovvero
ciò che è realmente a monte della proliferazione di rifiuti. Conseguentemente i risultati ottenuti sono
stati molto pochi e la critica alquanto parziale e poco efficace.
Con tutte le strade della città e della sua provincia ricolme per mesi di spazzatura, e un governo che
non poteva offrire altra via d’uscita che quella di ammassarla nei pochi acri di terra da queste parti
rimasti disponibili, ci si sarebbe potuto aspettare che almeno qualcuno osasse mettere in discussione
il modo di vita alienante e consumistico, che tra tante turpitudini rende necessario un piano di smaltimento dei rifiuti. Possiamo avere infatti ogni tipo di oggetto che al giorno d’oggi rappresenti il benessere e la comodità, l’appagamento istantaneo di una profusione di esigenze illusorie e siamo
tuttavia privati dei requisiti fondamentali per accedere a un minimo di autonomia e al soddisfacimento
dei più elementari bisogni umani. Siamo costretti a lavorare e allo stesso tempo dobbiamo auspicare
di poter viaggiare su mezzi di trasporto che ci riportino quanto più velocemente a casa. Viviamo una
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penuria di relazioni sociali, stentiamo a dare un contenuto alle nostre giornate e siamo costretti a fare
angosciosamente ricorso a una miriade di sedicenti comfort e di protesi tecnologiche per produrre e
far funzionare le quali i governi ci sbattono in faccia la necessità di moltiplicare le fonti di energia.
Siamo a tal punto subordinati all’industria e alla rete di distribuzione delle merci, che se queste venissero improvvisamente meno, metterebbero gli abitanti delle città – dove si può trovare ogni cosa
a portata di mano – nell’imbarazzo di reperire persino da mangiare e da bere. Ci ritroviamo così del
tutto imbrigliati in un meccanismo sociale che sempre più ci porta a dipendere dal potenziamento di
quelle necessità industriali esclusivamente funzionali al mantenimento dello stato e della società capitalistica nel quadro di un disinteresse generale verso le reali necessità umane.
Affrontare tali questioni avrebbe non solo aiutato a rinvenire delle comunanze con le lotte attuali contro opere che in nome della modernizzazione e di interessi che non ci appartengono minacciano
ancor di più l’esistenza già precaria degli uomini. Ma avrebbe certamente dato anche più armi ed argomenti alla difesa dell’interesse immediato, mettendo sul tavolo – attraverso il rifiuto dello stato –
la questione fondamentale di ritrovare, con la costituzione di reali assemblee permanenti, i modi e
le forme per la riappropriazione collettiva di una vita sganciata dalle costrizioni del sistema produttivo.
Non nutriamo nessuna illusione circa l’eventualità che un simile processo di appropriazione si realizzi
prontamente, troppe sono le difficoltà, dovute ad una decennale passività, da affrontare e superare.
In più, in tutti questi mesi, i professionisti della politica hanno tentato di svuotare di ogni significato
quelle iniziative che si opponevano alla riapertura di nuove discariche. Essi si sono preoccupati di
far confluire tutte le attenzioni sulla denuncia del mal funzionamento dell’apparato politico, richiedendo insistentemente dimissioni e assunzioni di responsabilità da parte dei suoi rappresentanti dai
quali non di meno si esigeva l’attuazione immediata di un piano alternativo per la raccolta dei rifiuti.
Così, per non perdere il “treno della storia”, rischiando di rimanere indietro nel nuovo processo di “civilizzazione” politicanti, pompieri e pretastri, sempre pronti ad infilarsi in ogni nuovo fronte di lotta, si
sono appigliati all’ultima ecoballa dei padroni: “Raccolta differenziata!”, suggerisce il buon senso
ecologico!
Va da sé che una qualche forma di opposizione reale può aversi solo se, là dove non la si aspettava,
riesce a far presa sul mondo. Se è capace di avere la meglio sugli specialismi e favorire la discussione tra tutti gli individui. Se riesce a darsi delle forme autonome di lotta e agisce in modo da poter
ottenere, nei termini di una vita migliore, dei risultati immediatamente tangibili per quelli che vi sono
coinvolti. Se di volta in volta essa trova infine dei campi di applicazione per l’esercizio e lo sviluppo
di una coscienza critica della totalità dell’esistente, e invoglia quindi a farsi carico in prima persona
del proprio destino, il quale proprio nelle lotte appare come legato a quello degli altri.
Con la raccolta differenziata, la quale non fa altro che trasferire altrove, senza sopprimerli, i disastri
e la marea delle contraddizioni che necessariamente risultano dallo sfruttamento degli uomini e della
natura, si ricorre a soluzioni tecniche anziché a radicali soluzioni sociali e si resta in pari tempo destituiti dalla possibilità di intervenire sulla realtà alienante di tutto ciò che siamo comunque costretti
a consumare. Una critica che trova come unica soluzione la raccolta differenziata è evidentemente
parziale. Separa i rifiuti dalla società delle merci che li produce e accetta la necessità di doverli in
qualche modo smaltire, allestendo dall’imballaggio fino al successivo utilizzo, l’universo perfetto di
un ciclo di smaltimento che avrebbe solo bisogno di essere tecnicamente gestito, confidando da una
parte nella capacità organizzativa dello stato e dei processi di razionalizzazione industriale, che è per
definizione una razionalità impenetrabile, e dall’altra in una selezione di comportamenti ecologicamente sostenibili ed eticamente responsabili, da parte di coloro che continuerebbero così ad essere
delle mere appendici di processi economici che li sovrastano.Alla pari del cittadino consumatore, i
fautori di un mondo che si pretende senza rifiuti non vedono altra via di uscita da questo pianeta assediato dall’industria e incancrenito dai rapporti mercantili, che quello di chiedere ogni volta l’intervento dello stato, nell’illusione che esso riduca e renda impalpabili i rifiuti e le scorie prodotte da una
società, che ad ogni aumento decretato del tenore di vita e del tasso accettabile di inquinamento
rende gli individui di in grado più incoscienti e impotenti.
Senza più i saper fare di una volta e i legami sociali tramandatici dalla storia umana, senza più cultura
e spirito di iniziativa per affrontare consapevolmente insieme agli altri i problemi che ci attanagliano,
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ci ritroviamo sempre più inermi davanti alla marcia catastrofica di un mondo che fatalmente sprofonda
nelle sabbie mobili dei suoi scarti di produzione, e che su tutti i fronti non fa che conseguire risultati
assolutamente funesti e incontrollabili: disastri cosiddetti naturali, sconvolgimenti climatici, desertificazione, epidemie, aggravamento delle patologie, e non per ultime, disfunzioni brutali nella gestione
tecnoscientifica del dominio, come quella appena registrata a Napoli e fatta accettare sotto il nome
di “emergenza rifiuti”. La produzione di emergenze fittizie e disastri reali è infatti diventata l’ordinaria
amministrazione di un dispositivo paralizzante, che ipoteca il futura per mezzo delle sue stesse distruzioni, e che annichilisce il presentimento e l’intuizione di un altro avvenire, con l’anestetico di misure palliative e dementi risoluzioni (come l’anidride carbonica in Germania catturata dall’atmosfera
e a loro dire tumulata sotto terra per disinquinare l’aria), che risolvono i problemi solo amplificandoli,
e che servono in realtà unicamente a prolungare il saccheggio senza fine di tutte le risorse esistenti
e la distruzione sistematica di quell’ambiente proprio alla vita degli uomini
In tale rovinoso contesto, esigere dall’industria produzioni pulite e dallo stato che lavori senza sosta
al riciclaggio degli avanzi delle sue porcherie, denota uno sconsiderato distacco dalla realtà, caratteristico di tutti coloro che ritengono più redditizio sorvolare sulla totalità dei problemi dalla società
industriale. Inoltre pensare che la causa principale del cosiddetto “disastro ambientale” sia da imputare esclusivamente ad organizzazioni camorristiche e mafiose ci sembra quantomeno fuorviante e
riduttivo perché, coscientemente o meno, si distoglie l’attenzione dalle responsabilità dell’apparato
politico. I clan infatti non fanno altro che gestire per conto della politica gli affari “sporchi”.
Dare colpa di ciò che accade al territorio in cui viviamo alla camorra e alla politica corrotta serve unicamente a far credere che esista una politica buona, pulita, che ha a cuore gli interessi delle persone
e della loro salute. Quindici anni di disastro ambientale dovrebbero essere più che sufficienti a sfatare
questo mito. In un tempo così lungo chi può dire di non essere venuto a conoscenza dell’infame gestione dell’affare rifiuti? E tutto questo scempio si poteva realizzare senza la collaborazione (o almeno
il tacito assenso) di tutta la classe politica? Dove non sono essi stessi i gestori e i beneficiari degli
introiti che si ottengono dalla gestione dei rifiuti costoro sono comunque responsabili della protezione
e dell’appoggio dato a chi in vece loro andrà a lucrare sulla nostra pelle.
Accusare i clan di essere gli unici responsabili del disastro ambientale fa dimenticare che è il potere
politico il primo responsabile; difatti senza l’appoggio di quest’ultimo non sarebbe mai stato possibile
alla camorra gestire così a lungo l’affare rifiuti. Non si può e non si deve quindi sperare nell’intervento
di un qualche potere buono e democratico (stato, regione, commissario) che ci venga a salvare dal
disastro. È infatti sotto gli occhi di tutti che tali poteri e gli uomini che li rappresentano hanno tutto
l'interesse a che la mobilitazione delle persone che vivono nei territori devastati abbia termine per
poter infine riprendere tranquillamente a gestire lo smaltimento dei rifiuti con i risultati che tutti conosciamo. La nuova buffonata del governo che ha dichiarato la fine dell’emergenza in Campania va proprio in questa direzione.
Ribadiamo che quando parliamo di apparato politico non intendiamo uno o pochi politici disonesti collusi con i clan. Piuttosto intendiamo che la gestione “criminale” del territorio sia il frutto della politica
dell’intera classe dirigente che mira unicamente al profitto e al controllo del territorio anche attraverso
la gestione della cosiddetta emergenza ambientale. L’approvazione dei decreti emergenziali per la
Campania da parte del parlamento, ne è l’esempio pratico e lampante. In questo caso anche con l’utilizzo dell’esercito nella gestione delle cave, degli inceneritori e dei CDR, ha imposto le proprie scelte,
a dispetto di tutte le proteste, permettendo ai clan o alla classe imprenditrice (quale è la differenza?)
la gestione del business. Apparentemente sembrerebbe che l’opposizione popolare sia stretta tra due
fuochi; da un lato lo stato con i suoi decreti emergenziali e il suo apparato repressivo, dall’altro il potere della camorra e il suo apparato di sgherri. Noi crediamo invece che queste non siano altro che
due facce della stessa medaglia poiché è chiaro che gli interessi dello stato e della camorra coincidono totalmente all’interno del sistema economico che fa del profitto l’unico obiettivo.
È inutile ribadire che i profitti di costoro sono direttamente proporzionali all’aumento di tumori, di malattie infettive e malformazioni alla nascita di cui la Campania detiene il triste primato.
Per essere precisi ci sembra sbagliato utilizzare due termini, politica e camorra quando se ne potrebbe usare uno solo che li comprende entrambi: Stato. Ed è proprio questo che dobbiamo attaccare
e distruggere per riprendere pieno possesso delle nostre capacità di gestire la nostra esistenza.
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Di seguito riportiamo i testi di alcuni
volantini e manifesti distribuiti in alcune delle manfiestazioni
avvenute in Campania.
FERMATEVI E GUARDATEVI ATTORNO
Fermatevi e guardatevi attorno. Potete vedere fiumi di asfalto, sciami di automobili, montagne di cemento, boschi di antenne paraboliche, alveari che chiamiamo abitazioni. Il nostro habitat innaturale
è questo, un inferno a cui siamo stati condannati dalle brame di profitto e potere di pochi parassiti.
In questo inferno vorrebbero farci credere di essere padroni delle nostre scelte e del nostro tempo.
Vorrebbero farci credere alle loro menzogne di progresso e benessere quando la maschera è caduta
da tempo e miseria e sfruttamento sono intorno a noi.
Ma proprio perché noi, sfruttati di questo mondo, abbiamo ancora attimi di lucidità e consapevolezza
per renderci conto di dove viviamo e quali surrogati siano le nostre vite, ecco che ciclicamente ci troviamo ad affrontare le cosiddette emergenze, oggi l’immondizia, domani la criminalità e poi il terrorismo e poi chissà….
Tutto questo per addormentare e soffocare quei barlumi di coscienza indicatori di quanto questo sistema faccia schifo.
Oggi l’ennesima emergenza, quella dei rifiuti, colpisce l’odorato e la vista di chi è costretto a sopravvivere tra cumuli d’immondizia nelle periferie cittadine. Nel sud Italia, estrema periferia della fortezza
Europa, quella dei rifiuti non è un’emergenza è una costante invariabile.
Gli scarti delle logiche di profitto e rapina della terra in cui abitiamo finiscono in quello che mangiamo,
in quello che respiriamo, in quello che beviamo. Il risultato che di fame non si muore più ma si muore
di tumore a qualunque età. E dopo averci spossessato di tutto quello che umanamente ci appartiene
cosa fanno i signori governanti e i loro baciaculo in doppiopetto? Scaricano la colpa su di noi. Perché
siamo noi sfruttati gli inquinatori. Siamo noi oppressi a creare immondizia, come se la causa della
mancanza d’acqua è il nostro rubinetto che gocciola e non le migliaia di chilometri cubi d’acqua necessarie alle industrie per raffreddare i loro impianti, che la sporcizia per strada è dovuta a chi getta
carte a terra e non l’inutile quantità di imballaggio che avvolge qualsiasi cosa (quante volte dobbiamo
scartare la stessa cosa?). Come se l’aria irrespirabile è solo causata dall’utilizzo delle auto e non soprattutto degli scarichi costanti delle ciminiere di ogni tipo di fabbriche.
Sono riusciti ad argomentare così bene questa puttanata che c’è chi crede che sia realmente così
e dopo questa ecoballa ecco la soluzione urlata a gran voce, di cui chi è sempre in cerca di briciole
di potere si fa portavoce e sostenitore: raccolta differenziata !
In un mondo dove siamo completamente privati della possibilità di provvedere da noi ai nostri bisogni
e desideri, dove l’unica cosa apparentemente accettabile ed accettata è farsi produttori del profitto
di questi parassiti, la soluzione che vorrebbero imporci è quella di aiutarli a raccogliere la merce che
devono rivenderci così da creare un nuovo business e ricavarne un ulteriore guadagno, perché in
questo sistema di sfruttamento e oppressione l’asservimento e il profitto devono essere totali.
Innanzitutto rimandiamo le accuse di inquinatori al mittente, non abbiamo fabbriche che scaricano
liquami tossici nell’acqua che beviamo, non abbiamo catene di produzione che scaricano scorie nelle
terre che abitiamo e neanche ciminiere che riempiono di diossina l’aria che respiriamo.
I megamercati dove siamo costretti a far spesa non ci appartengono, le merci che volenti o nolenti
siamo costretti ad acquistare non ci portano nessun beneficio ed anche il nostro sacchetto di monnezza appartiene ai rapinatori del pianeta.
Qualunque cosa esce da questo sistema di produzione è sistematicamente inquinamento e fonte di
miseria. Per smaltire tutto ciò non ci sono inceneritori o raccolta differenziata che tengono. Quello di
cui necessitiamo è farla finita col sistema di produzione industriale.
Anarchiche e Anarchici a Napoli
estate 2007
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