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dal mondo accademico
Una storica analisi del carbone Sulcis
Marco Taddia
Dip. di Chimica “Giacomo Ciamician”, Università di Bologna, Via F. Selmi 2, 40126 Bologna;
Fax +39 0512099456; e-mail: [email protected]
Anche i non specialisti sanno che il Carbone Sulcis deve il suo nome all’area geografica
del Sulcis situata nella Sardegna sudoccidentale. Tale carbone, secondo la classificazione
americana ASTM D 338, è definito “sub-bituminoso a lunga fiamma”. I suoi parametri
caratteristici sono riportati in Tabella 1 [1]. La storia del giacimento è stata ricostruita in
dettaglio da Paolo Fadda [2] e da lui verrà sinteticamente ripresa. L’inizio risale al 1851,
quando un mercante genovese di nome Ubaldo Millo ottenne la concessione mineraria per
la ricerca di carbon fossile nella zona di Bacu Abis, nei pressi di Gonnesa. Lo stesso Millo
costituì nel 1853 la società “Tirsi Po”, insieme a un tal Montani, per ottenere la concessione di sfruttamento delle aree interessate. Le attività estrattive sarebbero iniziate nel 1854,
mentre erano già stati effettuati dei campionamenti e delle prove di utilizzo.
Costituente
%
Umidità
10,5
Materie volatili
39
Ceneri
16
Carbonio fisso
52,5
Zolfo
6,06
Potere calorifico inferiore – Hi
(kcal/kg)
5000-6000
Tabella 1
Caratteristiche
del Carbone
Sulcis [1]
Vale la pena soffermarsi su queste date perché un
lavoro del chimico Paolo Tassinari, dedicato
all’analisi chimica del nuovo combustibile fossile di Gonnesa in Sardegna, fu pubblicato sulla
Gazzetta Medica Italiana nel 1852 [3]. Con ogni
probabilità fu quindi Tassinari ad eseguire per
primo l’analisi completa del carbone scoperto in
Sardegna, così il suo contributo, seppure di tipo
applicativo, è storicamente importante e merita
attenta considerazione in relazione agli scopi prefissi ed ai mezzi impiegati.
Ma prima di parlare di Tassinari e della sua analisi va precisato che, dopo gli iniziali entusiasmi,
la storia del carbone di Bacu Abis fu alquanto travagliata. Nel 1865 la Tirsi Po fermò la produzione a causa di difficoltà economiche. Il
rilancio avvenne molto tempo dopo, anche per l’aumentata richiesta di carbone ad uso ferroviario, ad opera dell’ingegnere piemontese Anselmo Roux che, nel 1873, costituì una
nuova società rilevando le concessioni da Millo e Montani. Tra non poche difficoltà, Roux
portò avanti tenacemente l’impresa fino al 1899, quando la morte lo colse improvvisamente. Gli subentrò il figlio Lorenzo ma, il nuovo clima sociale che rese turbolenti gli inizi del
‘900, lo vide impreparato. Quando, nel maggio 1906, scoppiarono i “moti di Gonnesa”,
l’avventura dei Roux naufragò. Nel corso del secolo i padroni delle miniere cambiarono
più volte e così le fortune del Carbone Sulcis. Nel 1933 nacque la Mineraria Carbonifera
Sarda MCS, seguita nel 1963 dalla Carbosulcis, tuttora attiva. Quest’ultima è impegnata
nella valorizzazione di una risorsa che è tornata economicamente vantaggiosa e il cui
impatto ambientale, grazie alle nuove tecnologie, potrebbe ridursi, secondo l’azienda [1],
fino quasi zero emissioni.
IL CAMPIONE
Come riportato da Tassinari in apertura dell’articolo citato [3], fu il Prof. Meneghini che
consegnò al Prof. Piria, capo del laboratorio presso il quale operava lo stesso Tassinari, un
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La Rivista dei Combustibili
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Figura 1
L’articolo
sull’analisi del
carbone di
Gonnesa (fonte
Biblioteca
Comunale Imola)
pezzo di carbone della nuova miniera di Sardegna “acciò ne determinasse la composizione”. Giuseppe Meneghini (Padova 1811 - Pisa 1889) insegnava Geologia e Geografia fisica, dopo aver insegnato per qualche decennio anche la Mineralogia. Era considerato “una
delle stelle più fulgide” dell’ateneo pisano perché “profondo in tutte le discipline naturali
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e naturalista nel largo senso della parola”, pur essendo attratto dalla paleontologia, cui
dedicò tutta la vita [4]. Benché non fosse un chimico, Meneghini sapeva bene quanto era
importante conoscere chimicamente un nuovo combustibile fossile per dirigerne le applicazioni. Per questo si rivolse a Piria che, a sua volta, incaricò Tassinari di occuparsi dell’analisi. Quest’ultimo, ossequiente al maestro, non mancò di precisare che tutti i saggi
furono diretti dal suo superiore e che l’intero lavoro fu svolto nel suo laboratorio.
Il pezzo di carbone, secondo la descrizione, appariva di un nero lucente, in qualche parte
con irradiazioni colorate e di frattura concoide. Il Prof. Meneghini fornì a Tassinari le notizie relative alla “giacitura” geologica del campione, come pure la descrizione di alcuni fossili che l’accompagnavano. Altre notizie vennero più tardi riportate in un opuscolo del
Generale Alberto Della Marmora [5] che nel 1834, ben prima del citato Millo, aveva segnalato la presenza di un combustibile fossile in comune di Gonnesa e dal 1846 in comune di
Terra Segada [3]. Il generale Alberto Della Marmora (o La Marmora) esploratore e scienziato, autore di un celebre Voyage en Sardaigne, meriterebbe ben più di un rapido cenno
ma, per ragioni di spazio, si rimanda al documentato lavoro di Silvia Cavicchioli pubblicato pochi anni or sono [6].
L’ANALISTA
Paolo Tassinari lavorava all’epoca presso la R. Università di Pisa ed era uno degli ultimi
arrivati alla Scuola di Raffaele Piria, titolare della cattedra di chimica dal 1842. Scienziato
geniale, coraggioso patriota, infine senatore del Regno, il calabrese Piria (Scilla 1814Torino 1865) era considerato il maestro di tutti i chimici d’Italia [7].
Figura 2
Paolo Tassinari
(1829-1909)
36
Molto stimato anche all’estero, fu un vero pioniere nell’affrontare, fra i primi in Italia, lo studio della chimica
come scienza a sé stante, distinta dalla fisica e dalle scienze naturali. Era stato indirizzato su questa via nel laboratorio parigino del grande Dumas. Si era messo in luce nel
1838 con una memoria sulla salicina proseguendo con
ricerche nel campo della chimica e dell’analisi organica,
ottenendo risultati di notevole valore. Quando, su richiesta di Piria, il giovane Tassinari affrontò l’analisi del carbone sardo, aveva appena ventitré anni e stava per conseguire il diploma di farmacista. Forse i suoi rapporti con il
Maestro erano nella fase migliore, ma più tardi peggiorarono. Se ne ha testimonianza in una lettera a Cannizzaro
del 1857. Tassinari gli confidò di aver sofferto tante umiliazioni e sopportato tante stravaganze da maturare la
convinzione che il suo carattere fosse incompatibile con
quello di Piria, dal quale però non riusciva a distaccarsi
[8]. D’altronde Piria lo considerava un preparatore di
valore ma, quando si cominciò a parlare di una cattedra
per lui, espresse a Cannizzaro il dubbio che Tassinari
potesse fare per davvero il professore [9].
Paolo Tassinari era nato a Castel Bolognese, un paese in provincia di Ravenna, il 3 novembre 1829. Le principali notizie sulla sua vita e sulla sua carriera accademica si possono
attingere dal discorso commemorativo che Raffaello Nasini tenne a Pisa il 24 aprile 1907
[10], successivamente ripreso da un anonimo allievo (T.G.) del Tassinari sul Bollettino
Chimico Farmaceutico [11], nonché nell’opera di Provenzal [7]. Notizie e date, come spesso succede, non sono sempre esattamente coincidenti.
E’ noto che la famiglia Tassinari gestiva dal secolo XVIII una farmacia che, fino al 1886,
rimase l’unica del paese. A Castel Bolognese frequentò la scuola e pare dimostrasse “sveLa Rivista dei Combustibili
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gliatissimo ingegno” e precoce dedizione allo studio [7] . Nel 1845, ancora giovanissimo,
ma attratto dalla scienza e dalla fama dell’Università di Pisa dove insegnavano illustri personaggi, raggiunse quella sede per seguire da uditore i corsi universitari. Successivamente,
pare dal 1850 [10], studiò regolarmente Scienze Naturali e Chimica poi, indotto dal padre
Gabriele a seguire la tradizione famigliare, tornò a Bologna nel 1852 per conseguirvi il
diploma di farmacista. Ma Paolo Tassinari non lo sfruttò a fini commerciali. A Pisa aveva
conosciuto Piria che ne aveva apprezzato le doti e forse spinto ad intraprendere ricerche di
chimica. Dopo il diploma tornò dunque a Pisa. Nel 1855 fu nominato preparatore di chimica nel corso speciale del Collegio Nazionale di Alessandria, dove già insegnava
Cannizzaro. Quando Piria lasciò Pisa per recarsi a Torino nel 1856, Tassinari lo seguì nella
nuova sede, prima come assistente volontario, poi effettivo (1857). Con decreto del 2 ottobre 1858 fu chiamato a sostituire Cannizzaro come professore di fisica e chimica nello
stesso Collegio di Alessandria in cui era stato preparatore e l’anno dopo passò a Genova al
Collegio Convitto Nazionale, ancora per sostituire Cannizzaro, trasferito a Napoli. Anche
le vicende risorgimentali influirono sulla sua carriera. La città di Bologna era sede dal
1859 di un governo provvisorio che l’11-12 marzo 1860 indisse i plebisciti per scegliere
fra l’annessione al Regno di Sardegna e la costituzione di un regno separato. I risultati vennero presentati a Vittorio Emanuele II il 18 marzo e sancirono l’unione al Regno di
Sardegna. Tassinari fu richiamato a Bologna proprio dal governo provvisorio che lo nominò verificatore nell’amministrazione centrale delle Regie Zecche. Nel contempo,
l’Università gli affidò, per l’anno 1860-61, l’insegnamento della chimica mineralogica,
analitica e metallurgica. Rimase a Bologna poco più di un anno, infatti, nel 1861, divenne
professore di chimica organica all’Università di Pisa e nel gennaio 1863, dopo il trasferimento di De Luca, fu chiamato a ricoprire la cattedra di chimica generale che era stata di
Piria, pur disponendo di scarsi titoli scientifici. A Pisa si dedicò con grande passione più
all’insegnamento che alla ricerca scientifica nonostante gli venisse riconosciuta un’abilità
analitica fuori del comune. Volendo rilanciare il laboratorio pisano e per trarre profitto dall’esperienza altrui, nel 1863 compì una visita di studio al laboratorio di Bunsen ad
Heidelberg. Era un laboratorio famoso in tutta Europa e attirava studenti di ogni provenienza. Bunsen era un vero caposcuola e, con l’aiuto determinante di Kirchhoff aveva
appena scoperto l’origine delle righe nere dello spettro solare e posto le basi della spettroscopia atomica analitica che, tra l’altro, l’avrebbe portato alla scoperta di nuovi elementi
chimici. Tassinari tornò a Pisa deciso a far tesoro dell’esperienza tedesca e diede grande
impulso alle esercitazioni pratiche di chimica e di analisi. Oltre all’insegnamento della
Chimica generale, Tassinari tenne per incarico a Pisa la Chimica agraria (1871-72 e 187273) e la Chimica docimastica (1875-1894). Rimase sempre un carissimo amico di Stanislao
Cannizzaro. Lo si evince dal tono delle lettere e, particolare non trascurabile, dalla sua collocazione nella celebre foto ricordo scattata nel 1896 a Roma in occasione del compleanno di Cannizzaro, dove siede alla destra del festeggiato. Le lettere a Cannizzaro contengono informazioni personali e richieste di consigli in merito all’insegnamento. Fu accanto a
Cannizzaro anche in occasione della fondazione della Gazzetta Chimica Italiana. Lo sparuto gruppo di chimici che si riunì il 30 settembre 1870 a Firenze, nel laboratorio di Schiff
al pianterreno del Museo di Storia Naturale, comprendeva oltre a Schiff altre sei persone,
ossia Cannizzaro, Tassinari, Gabba, Selmi, Paternò e Amato. Il primo numero uscì il 31
marzo 1871. Tassinari era quindi ben inserito nella comunità chimica italiana e probabilmente apprezzato anche per il suo carattere mite ed equilibrato. Dal 1876 al 1887 diresse
la Scuola di Farmacia e nel 1898 fu nominato Rettore dell’Università di Pisa, ma non
accettò l’incarico. Tassinari fu un uomo schivo, modesto, che non ambiva agli onori. Gli
furono conferite tuttavia alcune onorificenze importanti in Italia e all’estero. L’imperatore
brasiliano Don Pedro gli conferì l’ordine della Rosa. In occasione del 70° compleanno fu
nominato commendatore dell’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro. Benché figlio di proprietari terrieri, era sensibile alle istanze dei contadini e protesse fin dalla fondazione la
Società Operaia di Castel Bolognese. Aveva capito, prima di altri, che il clima sociale
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sarebbe presto mutato, che le lotte operaie e contadine erano giuste e che gli uomini di cultura non potevano fare solo da spettatori nel faticoso processo di emancipazione degli
sfruttati. Agì di conseguenza, seppure con tatto, anticipando la figura dello scienziato umanitario, figlio della cultura positivista, assai popolare alla fine del secolo XIX. Nel 1903 si
ritirò nella sua villetta di Casanola, presso Solarolo, dedicandosi all’agricoltura. Qui si
spense sei anni dopo, il 16 aprile 1909.
Per quanto riguarda la sua opera, anche chi lo commemorò solennemente dopo la morte,
tributandogli non solo onori di rito, ma riconoscendone esplicitamente i meriti e le qualità
umane, riconobbe la scarsità della sua produzione scientifica, palesemente sbilanciata a
favore di quella didattica [10]. Alcuni suoi testi, in particolare il Manuale di chimica: chimica inorganica (Pisa, 1866), fondato sulla teoria atomica, e l’Avviamento allo studio della
chimica – XXX lezioni (Pisa, 1868), ebbero largo successo. Sul perché pubblicasse poco,
pur essendo dotato di una straordinaria abilità sperimentale che cercava di trasmettere agli
allievi con esercitazioni molto apprezzate, si sono avanzate delle congetture [10,11] che,
purtroppo, oggi non è dato verificare. Certo, la sua affidabilità analitica travalicava gli
angusti confini dei laboratori didattici, visto che gli furono affidate importanti consulenze.
Si ricorda in proposito quella prestata alla Commissione Medica che si occupò di Garibaldi
dopo il ferimento in Aspromonte e quella prestata in occasione del disastro ferroviario dei
Giovi [12]. Per la cronaca, anche quest’ultima fu relativa al combustibile in uso nelle ferrovie. Ma fatte queste precisazioni, occorre riconoscere a Tassinari alcuni interessanti contributi scientifici, specie in campo analitico, concentrati soprattutto nel biennio 1855-1856.
Iniziò con alcune esperienze sull’acido nitrosalicilico che s’innestavano nel filone aperto
nel 1838 da Piria con le ricerche sulla salicina poi, insieme a Pietro Piazza pubblicò uno
studio sulla riduzione dei nitrati ad ammoniaca ad opera di alcuni riducenti. I due scoprirono la reazione quasi casualmente, poi misero a punto un metodo, piuttosto sensibile, per
rivelare nitrati e nitriti, basato sulla riduzione con polvere di zinco in ambiente alcalino.
Nel 1856 descrisse come scoprire il fosforo ai fini dell’analisi legale [12].
L’ANALISI
Figura 3
Combustione del
carbone in difetto
di aria, da un
testo di Tassinari
(fonte Biblioteca
Dipartimento
“G. Ciamician”)
Dopo aver precisato che l’analisi del carbone di Gonnesa doveva giungere ad indicarne le
applicazioni senza “percorrere una lunga serie di esperienze con gran perdita di tempo e
di sostanza”, Tassinari descrisse minuziosamente
i saggi effettuati. Cominciò con il seccare il carbone polverizzato avvolgendolo in carta asciugante e mantenendolo a temperatura ambiente
(16-20°C) per più giorni. Passò poi a determinarne il peso specifico che, sulla base di due esperienze “concordantissime”, trovò pari a 1,33.
Seguì l’analisi elementare per combustione ai fini
di determinare carbonio e idrogeno. L’operazione
consisteva nel bruciare il carbone in presenza di
ossido di rame, completando la combustione in
corrente di ossigeno.
Determinò poi il coke riscaldando il carbone con
una lampada a doppia corrente (soffieria) per 2025 minuti, in un crogiolo di porcellana chiuso.
Ottenne un coke di lucentezza metallica, pochissimo coerente, che si disgregava a piccola pressione. Dal risultato dedusse che il carbone doveva
bruciare benissimo nei forni senza “intercettare” il
passaggio dell’aria. Le ceneri le determinò ponen-
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La Rivista dei Combustibili
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Figura 4
Una miniera
del Sulcis [1]
do il campione in una “cassulina” di porcellana e riscaldando il tutto nella muffola di un fornello a vento fino a completo incenerimento. Si presentavano di colore grigio e, una volta
macinate, diventavano rossastre. Erano quasi completamente solubili in acido cloridrico e si
scioglievano senza provocare effervescenza. La soluzione cloridrica trattata con cloruro di
bario dava luogo ad abbondante precipitato. Anche quando veniva saturata con ammoniaca
e successivamente trattata con ossalato d’ammonio, dava luogo ad abbondante precipitato.
Tale precipitato, una volta separato e trattato con il fosfato sodico ammoniacale, produceva
un precipitato cristallino. La stessa soluzione cloridrica trattata con ferrocianuro di potassio
dava un abbondantissimo precipitato azzurro. Nessuna reazione invece con percloruro di
ferro e acetato di potassio. La soluzione nitrica delle ceneri, addizionata di argento nitrato,
non dava luogo ugualmente ad alcuna reazione. Tassinari concluse che le ceneri erano costituite da solfati, calce, magnesia e da una gran quantità di perossido di ferro (oggi Fe2O3).
Non si attardò ad eseguire l’analisi quantitativa perché la riteneva superflua ai fini delle
applicazioni del combustibile. Decise invece di indagare come si comportava alla distillazione introducendone 20g in un tubo di vetro chiuso da una parte e tirato a punta dall’altra, riscaldando poi l’insieme finché non cessava l’esalazione di sostanze volatili. Ottenne
le “solite” sostanze bituminose, gas infiammabili, acido carbonico (cioè diossido di carbonio), ammoniaca ed idrogeno solforato in gran quantità e coke. Ben sapendo che azoto e
zolfo contribuivano a deteriorare la qualità del carbone, Tassinari si dedicò alla loro determinazione. Allo zolfo arrivò bruciando il carbone dopo averlo miscelato con nitrato di
sodio e carbonato sodico, sciogliendo il prodotto in acido cloridrico e precipitando il solfato con cloruro di bario. L’azoto invece venne determinato ricorrendo al ben noto metodo
di Dumas, con una misurazione volumetrica finale. La determinazione dello zolfo venne
effettuata tre volte. Dall’esame di tutti i risultati concluse che, eccezion fatta per lo zolfo,
tutti gli altri componenti del campione di Gonnesa erano presenti in concentrazione simile a quella di altri combustibili fossili.
Lo zolfo invece superava “l’ordinaria proporzione”. Fece poi alcuni ragionamenti sulla
forma in cui poteva essere presente. Non poteva essere, magari in forma di solfato, il componente principale delle ceneri perché, anche così, i conti non sarebbero tornati. Non poteva essere allo stato libero perché un’estrazione con solfuro di carbonio non dava esito
positivo. Concluse che poteva trovarsi in forma organica, insolubile in solfuro di carbonio
e convertibile in idrogeno solfato sotto l’azione del calore. Il saggio finale fu quello sul
potere calorifico, anzi fu un calcolo indiretto, un po’ tortuoso secondo i canoni odierni. Il
potere calorifico doveva essere in rapporto con la quantità di ossigeno consumata per ardeVolume 63 - fascicolo n. 4 - 2009
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Costituente
Concentrazione
(%)
Numero di prove
Carbonio
63,48
2
Idrogeno
5,31
2
Azoto
1,06
1
Zolfo
6,10
3
Ossigeno
20,50 a
-
Ceneri
3,55 b
2
a
Ricavato per differenza a 100
Tenuto conto del bassa percentuale di ceneri, non è stato determinato
il loro tenore in zolfo per sottrarlo al totale
re; così, facendo il calcolo, si trovava che
l’ossigeno, tenendo conto anche di quello
intrinsecamente presente, era in rapporto
1:1,91 col carbone. Esprimendo il potere
calorifico con la quantità di piombo ottenibile riscaldando il carbone con il litargirio
(PbO), il piombo ridotto era 24,76 volte il
peso del carbone. Tale valore collocava il
carbone di Gonnesa fra le migliori ligniti
(come quella di Saint-Lon, con 20,5 e il
litantrace di Epinac, con 26,8). Che il carbone di Gonnesa potesse classificarsi in tal
modo, Tassinari lo dedusse anche da un
altro saggio chimico, ossia dal trattamento
con potassa caustica bollente, seguita da
successiva acidificazione.
b
L’intero lavoro portò quindi Tassinari ad
escludere l’uso diretto di quel carbone per le
Tabella 2
caldaie a vapore, visto l’elevato tenore in zolfo, nonchè a stabilirne la totale inadeguatezza per
Composizione
media del carbone la preparazione del gas illuminante, vista la scarsità di sostanze bituminose e l’abbondante
di Gonnesa,
sviluppo di idrogeno solforato ed ammoniaca. Per le caldaie a vapore, scrisse Tassinari, si
ricavata
poteva eventualmente impiegare il coke, una volta accertato che fosse sufficientemente coedall’analisi di
rente da essere trasportato e maneggiato. Invece, per forni da vetri, stoviglie, calce e metallurTassinari
gia quel carbone sarebbe stato utilissimo. Anche se il giacimento scoperto non soddisfaceva
completamente i desideri di chi si aspettava un buon combustibile, secondo Tassinari non
andava disprezzato, anzi andava tenuto “in grandissimo conto”, perché quel carbone avrebbe
trovato utili applicazioni e poteva contribuire allo sviluppo industriale e commerciale.
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