MANFREDO PAOLO FALASCA VITA DEL VENERABILE GIUSEPPE FRASSINETTI PRIORE DI SANTA SABINA IN GENOVA FONDATORE DEI FIGLI DI S. MARIA IMMACOLATA (1804-1868) ROMA 2004 MANFREDO PAOLO FALASCA GIUSEPPE FRASSINETTI Felice il cuore che non ha piú se non un amore e un desiderio! un amore, e solo per Iddio; un desiderio, e solo di divenire cosí perfetto da piacere pienamente a Dio! GIUSEPPE FRASSINETTI A MARIA VERGINE NELLE CUI MANI IL SABATO 5 LUGLIO 1947 A SAN MARTINO AI MONTI IN ROMA AFFIDAI IL MIO SACERDOZIO QUESTO LAVORO IN CUI SI NARRA LA STORIA DI UN SACERDOTE CH‟EBBE LEI PER LAMPADA IL SUO DIVIN FIGLIO PER REGOLA 2 ABBREVIAZIONI Atti dei processi POS.sD. = Positio super dubio an sit signanda Commissio Instructionis Causæ Beatificationis et canonizationis Servi Dei Josephi Frassinetti, Romæ, 1934. Ed in essa: A = Animadversiones E = Epistolæ postulatoriæ I = Informatio RA = Responsio ad Animadversiones S = Summarium SS = Summarium ex officio super scriptis T = Tabella textium POS.sV. = Positio super virtutibus Servi Dei Josephi Frassinetti, Romæ 1990. Ed in essa: A = Animadversiones G = De gratiis a Dei Famulo impetratis I = Informatio P = Prænotatio Relatoris S = Positio super scriptis PSN = Positio super scripris nuper inventis R = Responsio ad animadversiones S = Summarium SA = Summarium additionale 1 e 2. T = Tabella testium POS.P.F = Positio super introductionis Causæ Beat. et Canonizationis Servæ Dei Paulæ Frassinetti, Romæ 1906. RV = Relatio et vota Congressus peculiaris super virtutibus Servi Dei Josephi Frassinetti, Roma 1990. CFS = Copia publica transumpti Processus Servi Dei Josephi Frassinetti in Curia Januensi constructi super fama sanctitatis, Genova 1930, vol. 1, ff. 1-591; vol II, ff. 592-1182. CPC = Copia publica transumpti Processus Servi Dei Josephi Frassinetti in Curia Januensi constructi super cultu Servo Dei Josepho Frassinetti nunquam præstito, Roma 1934, ff. 131. CPV = Copia publica transumpti Processus Servi Dei Josephi Frassinetti in Curia Januensi constructi super virtutibus et miraculis Servi Dei Josephi Frassinetti, Roma 1944, ff. 375. OEI = GIUSEPPE FRASSINETTI, Opere edite ed inedite. Archivi ADA ACAG ACGSJ ACGSD ACGSG ACM AF APMA APSL APSS APV AS = Arch. De Albertis, Genova. = Arch. Curia Arcivescovile, Genova. = Arch. Curia Gener. Compagnia di Gesù, Roma. = Arch. Curia Gener. Suore di S. Dorotea, Roma. = Arch. Curia Gener. Suore Gianelline, Roma. = Arch. A. Charvaz, Moûtiers, Savoia. = Arch. Frassinettiano, Curia Gener. dei FSMI, Roma. = Arch. Parrocchia di Maria Assunta, Genova-Rivarolo. = Arch. Parrocchia di San Lorenzo, Genova. = Arch. Parrocchia di Santo Stefano, Genova. = Arch. Parrocchia delle Vigne, Genova. = Arch. Istituto dei Sordomuti, Genova 3 ASAG ASG AUG = Arch. Seminario Arcivescovile, Genova. = Arch. di Stato, Genova. = Arch. Università, Genova.1 INDICE Abbreviazioni Indice Prefazione Parte I – Gli anni della preparazione 1 – Esultate nel Signore, un Genovese è nato alla Chiesa 2 – La bufera napoleonica 3 – Il fanciullo ascoltava 4 – Le citoyen français Joseph Frassinetti 5 – 1 ricostruttori 6 – La famiglia Frassinetti 7 – Mira quant'è bello essere fratelli e vivere uniti 8 – L'educazione dei figli 9 – Educando i fratelli educava se stesso 10 – Come a Cassiciaco – Una casa convento 11 – Fratelli in gara a chi dà maggior gusto a Dio 12 – Cos'è che ti dà maggior gusto, o Dio? 13 – Bruciami Signora il cuore col fuoco del tuo amore 1 4 I rinvii alle altre fonti sono dati per disteso. VII IX XI 1 3 7 11 16 21 25 30 33 38 42 47 50 56 14 – I “Ragazzi del Gianelli” 15 – L'adolescente focosissimo 16 – Il seminario di Genova prima del rettore Cattaneo 17 – I “Ragazzacci” Mazzini e compagni 18 – Gli interessi culturali 19 – Lo studente di filosofia 20 – Come studiare e con quale spirito 21 – Lo studente di teologia 22 – Oltre la scuota I 23 – Oltre la scuola II 24 – Sant'Alfonso, maestro e modello 25 – Ubi Petrus ibi Ecclesia 26 – Sacerdote – Un fuoco ardente gli bruciava il cuore Parte II – Il pastore1827-1868 141 27 – Come atleta al via 28 – Gli Oratori festivi 29 – La Congreg. del B. Leonardo e l'Accademia degli studi 30 – L‟Oratorio San Raffaele e l‟Oratorio di Don Bosco 154 31 – Parroco a Quinto 32 – Parroco a S. Sabina in Genova 33 – Parroco maestro di parroci 34 – Le associazioni 35 – Giuseppe Frassinetti alle origini delle Dorotee 36 – A ciascuno il suo 37 – Don Pestarino e le ragazze di Mornese 38 – Le Figlie di Maria Immacolata Monache in Casa 39 – Alcune Figlie di M. I. diventano F. di M. Ausiliatrice 40 – Antonio Piccardo 41 – Triboli e spine 42 – Nel 1846 osò smascherare Gioberti 232 APPENDICE: Saggio intorno alla dialettica di V. Gioberti 244 DOCUMENTO: A Vincenzo Gioberti il Seminario 248 43 – Nella bufera del 1846-1849 44 – Ancora triboli e spine 45 – II moralista 46 – Liberale o reazionario il Frassinetti? 47 – Vieni, Servo fedele, assiditi al Convito del divino amore 48 – Giuseppe Frassinetti in giro per il mondo 49 – Vergine, Maria, Madre di Gesú, fateci santi 50 – II Priore nel ricordo dei genovesi 51 – Congedo Indice biblico Indice dei nomi propri 63 70 78 81 91 97 100 105 107 114 123 132 134 143 146 151 159 164 168 172 176 182 195 200 210 221 228 250 257 263 269 278 283 291 297 302 357 359 5 PRESENTAZIONE La vita del Ven. Giuseppe Frassinetti esce ridotta ad un terzo circa della stesura originaria e non mi meraviglio della meraviglia di chi vorrà prenderla in considerazione di fronte allo sviluppo dato alla prima parte, agli anni della formazione. Di quegli anni è avarissima la stessa Positio e se ne rammarica il quarto Consultore Teologo nella relazione preparata per il Congresso sull‟eroicità delle virtú del Servo di Dio: “Dagli Atti della Causa [di canonizzazione] non risulta quasi nulla su questi anni che sono, invece, a nostro parere, fondamentali per lo studio delle sue virtú”. Critica che mi ha incoraggiato a dare tanto sviluppo agli anni della formazione perché in essi è il futuro pastore. Sono gli anni della semina ed anche dei primi frutti bellissimi del suo vivere di Dio: la vocazione e la formazione al sacerdozio dei suoi tre fratelli minori. Gli anni dell‟avvio alla santità della sorella Santa Paola. Frutti dovuti all‟ascendente ed alle cure di questo adolescente bravo e buono, vissuto sempre in casa, mai in seminario, e a cui, alla morte della mamma, quei quattro bimbi restarono affidati, passando il padre il giorno in negozio. Sono gli anni che ci aiutano a meglio comprendere il “Priore” santo e ci offrono esempi a cui rifarsi in questi nostri tempi: è possibile, quando tutto congiura contro, fare della propria casa un‟isola di santità. Vi si presenta un giovane santo in una famiglia di santi, un giovane che, pur vivendo a casa ed in parrocchia, si forma santamente al sacerdozio in tempi tristissimi e sa innamorare alla vita consacrata i tre fratelli minori, due sacerdoti che faranno sempre con lui comunità, uno religioso parroco nella periferia di Genova, e la sorella, santa canonizzata, da lui formata e sostenuta nella fondazione delle Dorotee. Queste pagine, quindi, vogliano non solo offrire un aiuto a quanti si occupano di vocazioni al sacerdozio ed alla vita religiosa, ma anche un esempio di famiglia santa e di come la tristezza dei tempi può diventare per tanti vaccinazione contro il male. Nello scrivere la vita di un santo o di un servo di Dio può accadere che se ne venga talmente affascinati da farne un primo piano isolandolo dalla gente in mezzo alla quale egli visse, da cui ricevette e a cui diede e con la quale fece corpo. Può sembrare che ne esca ingigantito, ma in 6 realtà ne esce impoverito di quello che io chiamo “effetto eucaristia”, cioè i molti che per nutrirsi di un solo Pane diventano un sol corpo in Cristo. Toglierlo dall‟orchestra per farne un solista, è come, per restare nella sua terra, presentare il monte Figogna sí da farlo pensare un gigante nel mezzo di una desolata pianura. Parrà certamente piú imponente, ma non piú bello dal come ci appare tra le tante vette compagne, quale piú alta, quale meno alta, ma tutte belle poste lí a donare bellezza e a riceverne nell‟incanto del golfo. Il Frassinetti non è un solista, fa parte di un‟orchestra messa su da lui e dallo Sturla di cui egli è il Toscanini. In quella loro Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio i molti divennero uno, viva testimonianza di cosa possa l‟eucaristia. Nei primi ventisei capitoli si parla della sua formazione al sacerdozio scritta pensando in particolare ai giovani che ne fossero chiamati e non potessero entrare subito in seminario. Anche la seconda parte fu concepita e svolta in modo molto piú ampio di come qui si presenta. In essa si parla di quel suo saper essere due in uno, pastore e scrittore, uno cioè che scrive per nutrire il suo gregge volendolo perfetto della perfezione di cui è perfetto il Padre nostro che è nei cieli. Un invitare quanti piú può al “piú”, facilitandone il modo sí da rendere la vita consacrata a tutti possibile, anche a chi per un motivo o per un altro non può uscire dal proprio ambiente e dalla propria casa, senza per questo trascurare quanti a questo “di piú” non si sentissero chiamati. Nell‟una e nell‟altra parte cito con molta larghezza pagine e pagine del Venerabile da lasciare l‟impressione di leggere una sua autobiografia. Rimando all‟inizio della seconda parte il prospetto di come essa sia stata svolta. Non stupiscano le molte note a piè di pagina con tanti rimandi. Nel dubbio se lasciare o non lasciare la documentazione delle mie ricerche, le ho lasciate pensando che potrebbero essere utili a chi voglia approfondire la conoscenza del Venerabile, liberi gli altri di saltarle a piè pari. Voglia questo mio lavoro aiutare a farlo conoscere. A chi lo ho scritto è ricompensa le molte ore passate in sua compagnia e l‟amicizia che ne è nata. Manfredo Paolo Falasca Un grazie alla gianellina Madre Maria Tarquini della Natività e a Suor Diana Barbosa delle Dorotee di Santa Paola Frassinetti per i documenti d‟ archivio che mi hanno fornito e a quanti altri sono venuti incontro alle mie richieste. 7 Errata corrige B = contando dal basso senza tener conto delle note N = nella nota numero Pagina Riga Errata Corrige 8 VII IX XIII XIV 31-VI 56-XI 75-XIV 75-XIV 77-XIV 85-XV 4,25,34 18 23,24 10 12 B7 3, n. 9 3 1-10 85-XV 88-XV 88-XV 91-XVI 91-XVI 93-XVI 94-XVII 95-XVII 96-XVII 99-XVII 100-XVII 102-XVII 103-XVII 10 8 B5 20 23 8 ultima n. 4 23 n. 16 17 17 B 2-5 ae Da sorella santa canonizzata chiamati.. Angela.Tutte Custodirono5 ae N. Barabino ae con Amadís, Florisandro e Tristán… sospirò: Si fuera lícito que las mujeres... Las fundaciones e del poema de la Vida, e scrittrice... del Siglo de oro… Andrà Teresa a gozar Dios, ma comprandosi tale felicità a prezzo muy caro, non muy barato prima dei versi più spazio nome tra i poeti, come: ecclesiastico… .32 Disordinato5 danzavano...6 all‟Em Lambruschini Giovanna Schiaffino La Sanguineti… Sabina. Del secolo scorso MAZZINI.Zibaldone ae s‟è mi lecito æ dà sorella, santa canonizzata, chiamati. Angela. Tutte custodirono.5 æ N. BARABINO æ con Amadís, Florisandro e Tristán... sospirò: Si fuera lícito que las mujeres... Las fundaciones e del poema de la Vida, e scrittrice... del Siglo de oro… Andrà Teresa a gozar Dios, ma comprandosi tale felicità a prezzo muy caro, non muy barato nome tra i poeti: ecclesiastico…32. disordinato5. danzavano...6. all‟Em. Lambruschini Bartolomeo Arecco [Eliminare] Dell‟ottocento MAZZINI, Zibaldone æ se mi è lecito [rientro e corpo minore] 106- XVIII 111-XVIII 2 14 nostro secolo per genovese 114-XVIII B 6-8 115-XIX 7-14 Il Lettore di Filosofia Valentini … a suo riguardo… Il giovane Frassinetti entrò [ fino a] ne esponeva la soluzione. 117-XX 123-XX 134-XXII 145-XXIV 148-XXIV 152-XXV 157-XXVI 158-XXVI 158-XXVI 160-XXVI 170-XXVII 176-XXIX 179-XXX 181-XXX 189-XXXII 195-XXXIII 196-XXXIII 196-XXXIII 197-XXXIII 199-XXXIV 205-XXXV 206-XXXV 209-XXXV 209-XXXV 212-XXXVI 214-XXXVI 215-XXXVI 218-XXXVI 219-XXXVI 229-XXXVI 219-XXXVII 232-XXXVIII 235-XXXVIII 239-XXXVIII 240-XXXVIII 258-LX 260-LX 269-LXII 274-XLII 278-XLII 285-XLII 286-XLII 286-XLII 286-XLII 291-XLIII 299-XLIV 301-XLIV 302-XLV 5 N6 N5 N 12 11 3-11 6 2 B8 11 6,11 6 10 N 14 N1 19 11 12 B7 B4 13 28 6 19 N3 15 N 14 N 33 10 N 34 21 9 B 3-10 11 23 n. 3 4 B6 N 27 N 38 N 70 9,10 B6 B3 18 5 N 10 18 Fiderò secolo scorso per un genovese Il Lettore di Filosofia Valentini a suo riguardo… Il giovane Frassinetti entrò [fino a] ne esponeva la soluzione. fiderò. Ae æ Ae æ Ae æ Ae æ [riformattare la disposizione dei versi dell‟occhiello] Ae æ Ae æ stessi faccia a terra stesi faccia a terra che te lo lo Spirito che te lo chiedo lo Spirito – [senza spazio dopo] – [con spazio dopo] Liguori,…lasciando Liguori,… lasciando cui si risale cui risale tAcc Tacc Genova su invasa Genova fu invasa integrità , integrità, canonica Laciava canonica. Laciava ai poveri Largo ai poveri. Largo ae [due volte] æ [due volte] Santissima.sotto Santissima sotto la cosa vuota la casa vuota sperimentato… steso sperimentate… stese a differenze dell‟inglese a differenza dell‟inglese per mancanza di dote non per mancanza di dote, non “E la compera[penult. riga] E la compera [penult. riga] fratello –8 fratello –.8 Memorie Memorie Benetello Benettelli trovare, trovare dirigeva?. dirigeva? del 1857 nel 1857 collaborazioni collaborazione [da] Che non avrà fatto…religione. [rientro e corpo minore] Aequa Æqua monache monaca Miliys Milyus come il vivrà come li vivrà favorirli favorirla 11 Saggio... p. 11 5s. G. FRASSINETTI, op. cit., 5s. Atti Ai PIO… CARLO ALBERTO PIO… CARLO ALBERTO Gramatica Grammatica Seminario –. Seminario. – ae æ Genova 1866 Genova, 1866 [ordinare] edite dal Magnasco con altri ritocchi Liguori è Liguori è 9 307-XLV 4 note i buon note in buon 307-XLV B1 tra le mani tra le mani, 310-XLVI 11 La Cartà La Carità 310-XLVI B2 causae finitae causæ finitæ 315-XLVI N1 scansarmeli scansarneli 319-XLVII N1 Rosa Cordone, 3a Rosa Cordone, 3a; 321-XLVII 22 ravvisato che lo abbia ravvisata la buona disposizione 322-XLVII 1 Opus consummavi Cursum consummavi 327-XLVII 9 1852”.6. 1852”.6 327-XLVII n. 10 letteraria. Ebbe letteraria, ebbe 329-XLVIII 5 treductiones traductiones 329-XLVIII 12 tradusse un buon numero tradusse in catalano un buon numero 329-XLVIII n. 12 JOHN H NEWMAN JOHN H. NEWMAN 331-XLVII 2 H Newman H. Newman 333-XLVII 8 gente.rifugiata nel gente rifugiata nel 333-XLVII 12 perché in essa fu fatto perché essa fu fatta 338-XLIX 1 ae æ 347-LI 11 oe œ 355-LI N 23 Rom 21-22 Rom 1,23 Nelle voci di lingua spagnola mutare l‟accento tonico grave in accento acuto PARTE I GLI ANNI DELLA PREPARAZIONE 1804-1827 Libet… de hoc venerabili Patre multa narrare… Si quis velit subtilius mores vitamque cognoscere potest in eadem institutione Regulae omnes magisterii illius actus invenire, quia sanctus vir [Benedictus] nullo modo potuit aliter docere quam vixit2 GREGORIO MAGNO, Dialogorum liber ii, xxxvi Piacerebbe raccontare più a minuto la vita di questo venerabile Padre… Se uno volesse conoscela più a puntino, legga la sua Regola, perché in nessun modo quella santa persona poté scriverediversamente dal come la visse. 10 2 Lo stesso può dirsi del venerabile Giuseppe Frassinetti: Se vuoi piú a puntino conoscere la sua vita, leggi i suoi scritti, poiché in nessun modo poté scrivere diversamente dal modo in cui viveva. CAPITOLO I ESULTATE NEL SIGNORE UN GENOVESE È NATO ALLA CHIESA La sera di un quattordici agosto, vigilia della Madonna assunta in cielo, il priore Giuseppe Frassinetti rievocò a dei fanciulli un ricordo della sua infanzia:3 Io non avevo ancora sei anni, ed in questa medesima sera, in un drappello di fanciulli come voi siete, qui davanti a questo altare, ho fatto l‟offerta del mio cuore a Maria, come voi fate. Lo ricordo ancora, e ricordandolo dopo tanti anni, mi sento crescere la confidenza nella Madonna Santissima, e me ne sento consolato. L‟amore alla Vergine e la sua protezione accompagnerà Giuseppe tutto il cammino della vita. Prima di spirare, cercò con la mano la medaglia della Madonna, portata appesa al collo notte e giorno, e le diede ancora un bacio. Fu l‟ultimo atto di pietà di uno nato un sabato ottava dell‟Immacolata, giorno nella liturgia dell‟epoca doppiamente consacrato alla Santa Vergine. Un bimbo segnato fin dalla nascita a percorrere il suo cammino tenuto per mano da Maria. Giuseppe Frassinetti fu uomo genovese della Genova 1800, con un “di piú” che ne fece un uomo di Dio. La sua storia di uomo di Dio ebbe inizio nella bella chiesa di nostra Signora delle Vigne la terza domenica d‟Avvento. Lí, nella penombra del battistero, pre‟ Gioanin4 chiedeva ad un bimbo d‟un giorno: – Paule Iosephe Maria, quid petis ab Ecclesia Dei?5 – Fidem! Si impegnarono per lui il nonno materno, Paolo Viale, e la nonna paterna, Angela, felici di prestare la voce al nipotino. Altro motivo per condurlo in chiesa con quel freddo non poteva esserci se non quello di farne un figlio di Dio fin dal suo primo vagire. Giuseppino sarebbe stato 3 Anche il Mazzini una sera d‟un 14 agosto era avanzato in processione nel santuario della “Madonnetta” con in mano una candela e un cuoricino d‟argento per consacrarsi a Maria, e, perché coetanei e nati in parrocchie contigue a sei mesi l‟uno dall‟altro, si può pensare in fila con il Frassinetti. 4 Pre[te] Giovanni. 5 Palo Giuseppe Maria, cosa chiedi alla Chiesa di Dio? 11 di Dio, e solo di Dio. L‟impegno fu confermato con tre abrenunsio: per rinunciare a Satana, alle sue opere ed al suo allucinante nulla; e con tre altrettanto solenni credo, senza incrinature di dubbio. – Paule Ioseph Maria, vis baptisari?6 – Volo, lo voglio. L‟acqua del fonte scese gelida per tre volte sul capo del bimbo. Un gemito annunciò che nella Chiesa era nato un figlio di Dio, come un altro gemito il giorno innanzi aveva annunciato che al mondo era nato un uomo. La pronuncia genovese della zeta aveva solo raddolcito l‟asprezza d‟un suono, non resa debole l‟adesione a Cristo. Sarebbe stata un‟adesione ferma e dolce. Del resto non v‟era in chiesa gente foresta che potesse sorridere d‟un latino cosí pronunciato. E poi era pur sempre quel latino che da secoli e secoli arricchiva i riti della Chiesa d‟un senso di mistero e li rendeva piú solenni. Anche la lingua serviva a ricordare che ci si immergeva in un mondo di “di piú” e di misteri per potersi poi ritrovare nel “di piú” di Dio. – Accipe lampadem ardentem –,7 il dono di commiato di pre‟ Gioanin, che ha da accompagnarlo la vita intera, lampada mai ad olio scarseggiante e fiammella illanguidita. Era nato il giorno innanzi, il quindici dicembre, giorno doppiamente sacro a Maria, perché sabato e perché ottava dell‟Immacolata. Due giorni profezia, quel sabato e quella Dominica gaudente.8 Nella luce di quei due giorni il suo codice genetico: tendere a Cristo, tenuto passo passo per mano da Maria, con la missione di appianare le vie del Signore a quante piú anime avesse potuto perché trovassero in Dio la vera gioia che nessuna cosa e nessun uomo potranno mai appannare. I circostanti non ebbero il piú piccolo sentore che con quel rito il Signore si armava un cavaliere nella terra di san Giorgio per inviarlo a liberare le anime dai timori e dalle ansietà che incutevano loro i giansenistanti accreditando a Dio sembianze d‟un giudice facile alla condanna e difficile al perdono, fino a spegnere il desiderio d‟assidersi al Banchetto del divino Amore.9 Erano tante e tali le condizioni richieste per potersi accostare all‟eucaristia che le comunioni dei fedeli si erano fatte poche e rare, molta l‟angustia per il dí del giudizio e per il terrore dell‟inferno. Nella liturgia del giorno il mandato al nuovo cavaliere: gridare l‟intera vita: Dominus prope est, il Signore è vicino, come mai fu vicino amico ad amico. Non voce di condanna e di terrore ad angustia dello spirito, ma voce venuta a dirci: Gaudete. Vivete allegri, ché IO vi sono vicino. A dissipare l‟ultima titubanza la dolce immagine di Maria, la sua stella. Dell‟avvenimento restò traccia solo nei registri della parrocchia. Nulla sui giornali. Altre le notizie da comunicare. Quella domenica 16 dicembre 1804, prolungando i parigini le feste per l‟incoronazione di Napoleone, presente papa Pio VII, avevano liberato in aria “un pallone di taffetà incerato, cinto da rete sorreggente una galleria di filo di ferro con appesi dei lampioncini”, opera del signor Garnerin, che, dopo sorvolato tutta Francia, Alpi e mezz‟Italia, era ricaduto all‟Anguillara a due passi da Roma. Questo, sí, era fatto che faceva storia! Giuseppino – il nome Paolo resterà dimenticato nei registri – è ora un figlio di Dio, ma genovese d‟una Genova ancora tutta dei genovesi. C‟erano sí dei foresti, ma cosí pochi da non scalfirne menomamente la genovesità, cominciando dalla parlata ch‟era per tutti, patriziato e popolo, lo stretto genovese. La lingua da porre nero sul bianco variava: a chi riusciva meglio l‟italiano, a 6 Palo Giuseppe Maria, vuoi essere battezzato? Prendi la lampada ardente. 8 Gaudete, godete, inizio della messa della III domenica di Avvento. 9 Il titolo dell‟opera di cui stava correggendo le bozze quando il Signore lo chiamò a sé. 7 12 chi il francese, e c‟era persino – incredibile a dirsi – chi aveva maggior dimestichezza con il latino. Roba appresa a scuola dai pochi che l‟avevano frequentata. La piú parte della gente non sentiva nessun bisogno di mettere nero sul bianco. A Giuseppino non mancava la sua brava genealogia, anche se dal registro della parrocchia delle Vigne ci è dato risalire solo ai nonni. Dobbiamo al lavoro paziente e disinteressato di don Giuseppe Capurro, che agli inizi del secolo scorso andò peregrinando di archivio in archivio alla ricerca di quanto si poteva conoscere dei Frassinetti, meglio dei Frascinetti, se ne sappiamo qualcosa di piú. Ne valeva la pena? Sia venia al buon don Capurro se spese tanto del suo tempo a salire e scendere di figlio in padre e di padre in figlio. Fatica biblica. Agli agiografi un racconto sarebbe parso lacunoso se dei vari personaggi non ci avessero indicato di chi erano figli, di chi nipoti e di chi pronipoti. Per Gesú, Matteo parte da Abramo e ci offre tre quattordicine di antenati: “Libro delle generazioni di Gesú Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco, Isacco generò Giacobbe, Giacobbe...” e giú fino a Giuseppe, e qui, con un disinvolto salto di corsia e mutando il verbo da attivo in intransitivo, ci attesta che Gesú nacque da Maria. Luca risalí all‟indietro oltre Abramo, fino al primo uomo. Fino a quando le famiglie sono state granitiche, ognuna ne portava stampata in cuore la genealogia, di pochi gradini, quelle degli umili; da competere con la scala di Giacobbe, quelle dei nobili. Farinata, dalla sua tomba di fuoco, non si degnò di intavolare discorso col Tosco che per la città del foco vivo se ne andava, se non dopo avergli chiesto: “Chi fur li maggior tui?”. Non ostante la molta pazienza, don Capurro non riuscí a risalire fino ad Adamo come Luca per il Signore, e neppure tre volte quattordici generazioni come Matteo. Poté arrampicarsi sí e no per un secolo e mezzo. Poco, ma piú di quanto sapevano dei loro avi gli stessi Frassinetti. Gli umili difficilmente sono in grado di risalire oltre i genitori dei nonni, né, credo si chiedano a cosa si ricolleghi l‟origine del nome di famiglia. Si chiamano cosí e basta. Ecco quel che mi è dato affermare degli ascendenti di Paolo Giuseppe Maria Frassinetti servendomi dei dati raccolti dal Capurro. Il padre Francesco era conosciuto con il nome con cui a Genova era chiamata una buona metà dei suoi abitanti: o scio Bacicia,10 il signor Giovambattista. Il secondo nome aveva fatto dimenticare il primo. Era nato a Genova nella parrocchia delle Vigne, cuore della città vecchia, e lí residente alla nascita del primo figlio. Merciaio di professione, con negozio in via di Scurreria ad un passo dalla cattedrale San Lorenzo. La madre, Angela Viale, era figlia d‟un merciaio, genovese della parrocchia di San Lorenzo. Il nonno paterno, morto otto giorni innanzi la nascita del nipotino che ne avrebbe portato il nome con cui sarà conosciuto, Giuseppe, era nato a Rivarolo Ligure, ma, ancora giovane, se n‟era andato in Genova centro a farvi il cuoco. Non ci risulta se in qualche casa gentilizia, se in una locanda o altrove. Il Capurro scoprí che nel Quattrocento c‟erano stati in città Frassinetti di un certo nome. Un Sagino de‟ Frassineto che nel 1432 fu uno dei priori che curarono nel porto l‟accrescimento del Ponte della Legna. Non era una carta di nobiltà, ma titolo che a Genova contava, fino a permettersi il pensierino di veder scritto un giorno il nome “Frassineto” nel libro d‟oro del patriziato, libro a Genova, mai sigillato, a differenza di Venezia, e sognare qualche anno di dogato. Rinvenne pure un fra‟ Cristoforo Frassinetto, carmelitano, lettore di teologia, quanto dire professore, autore di testi di morale e di predicabili. Sono legami che hanno la consistenza di 10 Da leggere u sciu Bacicia. 13 quei con cui Virgilio collegò Giulio Cesare a Venere. Se con fra‟ Cristoforo sono dubbi i legami di sangue, sono indubbi quelli di vocazione: anche il nostro Priore studierà con amore la spiritualità del Carmelo, potendo attingerla a fonti non ancora disponibili per fra‟ Cristoforo: santa Teresa d‟Avila, san Giovanni della Croce e santa Maria Maddalena de‟ Pazzi; pubblicherà opere di morale e, postuma, uscirà pure una ricca serie di predicabili. Al Capurro sfuggí che il 5 febbraio 1439 un Giacomo Frassineto aveva avuto affidata dall‟armatore Lorenzo Cappa di Sestri Ponente la nave Sant‟Alberto di 900 mine di portata con tredici uomini d‟equipaggio perché veleggiasse fino ad Oristano in Sardegna ed ivi caricassero 100 cantari di formaggio sardo. Se antenato gli fu, e Sestri non dista molto da Rivarolo, non gli trasmise proprio nulla all‟infuori di qualche goccia di sangue, non certo la passione del mare e del viaggiare, e, meno che meno, quella del trafficare ed accumulare palanche.11 È bello, avrà pensato il Capurro, poter dire dei servi di Dio quanto si afferma di Giuseppe lo sposo di Maria: falegname di villaggio e povero sí, ma stirpe di re! I Frassinetti sono gente del popolo, e del popolo minuto: cuochi, merciai e cose del genere. Non credo che se ne affliggessero o abbiano perso una sola ora per sapere da quali lombi discendessero. Meglio cosí, perché per un sacerdote il piú bel blasone è sempre quello di Melchisedec: un apàtor e amèter, un senza padre e senza madre, e privo di genealogie. Uno fuori del tempo e del contingente, uno sradicato dalla terra, pur vivendo su questa terra, ché, a voler seguire Cristo, bisogna vivere nel mondo senz‟essere del mondo e lasciare che i morti seppelliscano i loro morti. Nella spiritualità del tempo era verità indiscussa. A questo punto, detto che anche Giuseppino ebbe il suo Simeone nell‟abate di San Matteo che usava porgli la mano sul capo e predirne ai genitori il futuro: “Quest‟angioletto sarà un giorno la vostra consolazione”, avrei potuto concludere la storia dell‟infanzia con le parole di Luca: “Ed il bimbo progrediva con gli anni in sapienza e grazia innanzi a Dio ed agli uomini”, tanto la sua adolescenza è avara di notizie, e poi riprendere il racconto dall‟inizio della sua vita pubblica quando, il sabato 22 settembre 1827, il vescovo di Savona gli conferí la consacrazione sacerdotale. Ma la tentazione di penetrare il segreto di quegli anni è stata per me troppo forte da sapermi trattenere dal tentativo di ricostruire il mondo in cui egli visse la sua adolescenza ed il modo in cui ve la visse, perché non si può comprendere il parroco santo ignorando il giovane santo. Ne viene fuori un Giuseppe non solo esempio di parroco santo, ma di giovane che, pur vivendo con compagni di studio che faranno parlare tanto di sé – il cospiratore mazziniano Jacopo Ruffini, il capo della massoneria italiana Federico Campanella, e per età, del Mazzini – batté altra via.12 Questo mio indugiare su quella famiglia di santi, mostra quanto sia bello il vivere legati, ancor piú che dal sangue, dall‟amore. Bell‟esempio, ora che la famiglia pare andare a rotoli. 11 Soldi. Il Frassinetti non fu mai seminarista interno. Ne viene dunque fuori un esempio di grande attualità per i giovani di oggi. 14 12 CAPITOLO II LA BUFERA NAPOLEONICA I primi settant‟anni dell‟Ottocento furono per la Chiesa anni tristissimi. Che tempi fossero si può dedurre da questi due passi: il primo risale a quando il Servo di Dio era bimbo di pochi mesi, il secondo sul finire dei suoi anni: Tutto quanto era stato possibile distruggere… è ormai distrutto. Sono rimasti i nudi muri perimetrali, gli archi e le possenti colonne. Appena aperta la porta, ne uscí un nugolo di cornacchie e di civette che si levavano a volo verso il cielo... Cosí nel 1805 l‟abbazia di Saint-Denis appariva al filosofo tedesco Friedrich Schlegel. Prima che i giacobini ne perpetrassero l‟orrendo scempio, era stata per i francesi il sacrario della loro storia. Sul finire della vita del Frassinetti, ecco come il Carducci vaticinava la fine della Chiesa: Savi, guerrier, poeti ed operai, Tutti ci diam la mano Duro lavor ne gli anni, e lieve omai, Minammo il Vaticano... ... su l‟antica riva Cadrà l‟orrenda mole... E tra i ruderi in fior la tiberina Vergin di nere chiome Al peregrin dirà: Son la ruina D‟un‟onta senza nome.13 13 G. CARDUCCI, Opere, vol III, Giambi ed epodi.... VI – Per Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, Bologna 1935, pp. 26-33, composta il 30 nov. 1868. Piú su l‟aveva chiamato Chierico sanguinoso e imbelle... Polifemo cristiano. Il 19 gennaio di quello stesso anno, proprio nei giorni in cui il Frassinetti saliva al cielo, nell‟ode Per Eduardo Corazzini, gli aveva lanciato insulti ancora piú beceri e sozzi. Chiedo venia al lettore se ne cito una quartina ed alcuni settenari a chiusa di altre quartine: O prete, / Godi. Di larga strage il breve impero / Empisti e le tue brame. / Trionfa nel tuo splendido San Pietro, / O vecchio prete infame…/ Masnadiera papale... / Quel prete empio riposa... / Per te feroce vecchio... / O vecchio sanguinante... Ed il botto finale con cui gli spara la sua laica scomunica: Te... / Io scomunico, o prete; / Te pontefice fosco del mistero. / Vate di lutti e d‟ire, / Io sacerdote de l‟augusto vero, / Vate de l‟avvenire. Trombonate. Chissà se gli era mai giunto all‟orecchio qualche eco dei massacri compiuti quegli stessi anni Sessanta per reprimere la resistenza di quanti erano rimasti fedeli ai Borboni! Ma si trattava di “briganti”, non di puri eroi della legïon tebana. Povera verità e piú povero profeta. 15 Tanto e tale era nel Carducci l‟odio contro ogni cosa che sapeva di cattolico da anticiparsi il tripudio di quell‟ora in cui, demolitore tra demolitori, si vedeva completare l‟opera dei vandali e barbari vari, ribattezzandosi Noi siam la sacra legïon tebana, Veglio, che mai non muore. Quei massoni erano certi che la Chiesa non sarebbe sopravvissuta a lungo, caduto che fosse il potere temporale. C‟erano anche cattolici pensavano la stessa cosa, temendola, e perciò ritenevano che per salvare la Chiesa s‟avesse da difendere quel potere temporale con le unghie e con i denti. È facile trasferire nel mondo del divino i calcoli ed i timori umani, dimenticando che il Signore è ricco di uscite a sorpresa ed è sempre lui a giocare l‟ultima carta, quella vincente. Pare si diverta a rovesciare le situazioni piú disperate con gioco di contropiede. Per meglio capire i tempi del Frassinetti non possiamo non intrattenerci su ciò che fu per la Chiesa la Rivoluzione francese e correggere le impressioni lasciate in noi dal testo scolastico. Ne diamo qualche pagina campione, non però filtrata dalla cattedra, ma come fu recepita dal popolo. Cronaca e testo scolastico pare si dividano i compiti, l‟una lacrime sangue ed infamie, l‟altro squilli di tromba, rulli di tamburi ed acclamazioni al vincitore. Un primo saggio ce l‟offre la cronaca dell‟occupazione di Roma in un momento in cui a Parigi la fase piú bestiale del Terrore era già trascorsa. Sono questi i fatti che colpirono l‟animo del popolo timorato di Dio piú che non lo avessero colpito i fatti di Francia.14 Il 15 febbraio del 1798, giovedí grasso, a Roma si sarebbe dovuto celebrare il piú spettacoloso palio di carnevale. Quell‟anno niente. Già nel 1790 i romani avevano dovuto rinunciare ai “moccoletti” dell‟ultima sera per colpa di quei francesi mandati a Roma dall‟Assemblea Nazionale a provocare disordini. Avevano osato insolentire persino la notte di Natale in San Pietro durante la messa papale! Niente carnevale neppure nel 1793 e l‟anno appresso, tanto i francesi la facevano da padroni in anni in cui Roma era in pace con la Francia! Quel giovedí grasso, in cambio del carnevale, si ebbe una penosa carnevalata. Un trecento “patrioti” s‟erano ritrovati al Foro Boario con coccarda tricolore al cappello e lí, con tanto di rògito notarile, avevano dichiarato estinto il potere temporale dei papi e risorta la Repubblica romana. Al Papa, bontà loro, avevano fissato un “decente sostentamento”. Quindi si incolonnarono e ascesero sul Campidoglio a piantarvi l‟albero della libertà con tanto di berretto frigio sulla cima con accanto un tricolore bianco-rosso-nero. Ci fu un lungo tonare di discorsi e rimbombare di nomi famosi: Bruto, Cassio, Scevola, Catone, gli immancabili Scipioni e l‟uno e l‟altro Gracco,... intramezzati da grida di: “Viva la libertà, viva la Repubblica romana” e di: “Abbasso il Papa!”. Tutta gente cosciente di compiere gesta immortali e vivere la piú grande ora della storia. Una marionettata alla vigilia d‟un diluvio di malanni. Sembra che Iddio, per antica abitudine, si diverta a togliere il senso del ridicolo agli uomini che di tanto in tanto vengono a rinnovarci la storia. Azara, l‟ambasciatore di Spagna, scriveva che di 190.000 romani a far la rivoluzione erano stati un cinquecento.15 Quel giorno papa Pio VI, vecchio ottuagenario e malato, avrebbe dovuto celebrare il ventitreesimo anniversario della sua elezione al pontificato. Meglio lasciar stare, avevano consigliato i cardinali. Non tutti i porporati avevano cuore d‟eroe, né li estasiava la prospettiva di 14 Attingo dal Cracas, nome con cui è conosciuto il Diario romano. Cfr. PASTOR, L. VON, Storia dei Papi, vol. XVI.III, trad. P. CENCI, Roma 1955, p. 631 n. 3. Todo esto en el fondo no ha sido más que una comedia. 16 15 consacrare il rosso della porpora con il rosso del sangue. Meglio non contrastare la bestia ed accettare l‟ultima umiliazione, meglio e piú saggia cosa fuggirsene a Napoli, come avevano già fatto tredici dei ventisei cardinali presenti in Roma. Il Papa, benché vecchio cadente, non si moverà. All‟imbocco della via Appia non avrebbe udito il Signore rispondere al suo: “Quo vadis, Domine?”,16 che tornava a Roma per farsi ancora una volta crocifiggere, come si riteneva fosse accaduto a Pietro. Il diciotto, domenica, mentr‟era a pranzo con ancora negli orecchi l‟eco del canto del Te Deum innalzato in San Pietro per ringraziare Iddio che una tanta rivoluzione si fosse eseguita senza spargimento di sangue, ed a cantarlo v‟erano stati anche dei cardinali senza il suo permesso, gli si presentò il commissario Haller e gli intimò con brutalità di prepararsi a partire prima di quarantotto ore. Nulla da fare, non si sarebbe mosso. Alla protesta, Haller replicò che si poteva morire ovunque e che, se non fosse partito con le buone, l‟avrebbe portato via con la forza. Cervone, un altro liberatore, pretendeva che si appuntasse al petto la coccarda tricolore e si presentasse ai romani – l‟aveva già fatto Luigi XVI con i parigini! –. In cambio una pingue pensione. Gli uomini piccoli credono piccoli anche i giganti, e risposta di gigante furono le parole di papa Pio VI: Io non conosco altre divise che quelle di cui mi ha onorato la Chiesa. Voi avete tutto il potere sul mio corpo, ma non già sulla mia anima… Non ho bisogno di pensione... Voi potete ardere e distruggere le abitazioni dei vivi e le tombe dei morti, ma la religione è eterna. Come esisteva prima di voi, esisterà dopo di voi.17 Predoni, piú che uomini di stato. Haller pretese persino i suoi due anelli e la tabacchiera.18 Se per affermare autorità si richiede violenza ed un cappello calcato in capo, i francesi non avrebbero potuto scegliere persona piú adatta del calvinista Haller, uno che abbisogna di voce grossa e fare villano per sentirsi grande. La notte sul 20 febbraio, ultimo giorno di carnevale, fu notte di tregenda: lampi, tuoni e scrosci d‟acqua a tempesta. Alla luce di due lanterne veniva strapazzato un vecchio cadente perché si sbrigasse a montare su di una brutta carrozza prima che la notizia trapelasse per Roma. Anche i potenti hanno i loro momenti di paura. Ne avrebbero fatto tosto lunga e amara esperienza cominciando da questa stessa Italia, e poi in Spagna, e poi in Russia, e via via fino a Sant‟Elena. I cardinali Gerdil e Borgia avevano temuto che sarebbe stato pericoloso il ricusarsi di andare a cantare il Te Deum in San Pietro per ringraziare l‟Altissimo che una tanta rivoluzione si fosse eseguita senza spargimento di sangue, ed avevano persuaso i porporati rimasti a Roma ad unirsi a loro. Illusione di un giorno. Ancora una volta si compiva la profezia: Percoterò il pastore e saranno disperse le pecore del gregge.19 All‟entrata delle truppe di Berthier, sei dei cardinali rimasti a Roma furono rinchiusi alle Convertite, parte tentò la fuga, ma a due soltanto andò bene; altri due, dimenticando che il rosso della porpora significa la continua disponibilità a versare il sangue per la Chiesa, rinunciarono all‟alta dignità.20 Fu fatta pressione sugli altri perché ne seguissero l‟esempio e si tentò persino di creare un antipapa. Ma il “NO!” del vecchio Pontefice 16 Dove vai, Signore. M. R. A. HENRION, Storia universale della Chiesa, vol. XII, p. 288. 18 Ivi, p. 289. 19 Mt 26,31; Mc 14,27; Zc 14,7. 20 Il 21 febbraio il Diario, che fino al giorno innanzi era stato tutto per il Papa, si risvegliò giacobino. Ebbe però il pudore di mutare la testata in Monitore di Roma, salvo poi richiamarsi Diario le ultime due settimane dell‟anno, avendo re Ferdinando IV di Napoli cacciato i francesi, e raccontare tutte le vergognose gesta degli invasori transalpini, per poi ricambiare testata e musica al loro rientro in città. 17 17 aveva già cominciato a proliferare altri “NO!”, poco importa se essere cardinale “NO” portava all‟ espulsione dalla “Repubblica romana” con tanto di scorta armata. Poveri vecchi, inermi e morti di paura, impaurivano i forti! Se i fatti di Roma erano tristi, ben piú tristi quei di Francia. A migliaia preti, suore, ed altri cristiani, nonché decine di vescovi, seppero affrontare la morte e sopportare carceri e deportazioni, spesso ben piú gravi della morte stessa, mentre altri si affrettavano a rendere omaggio alla Ragione ripudiando la superstizione. Basti un nome: il vescovo Talleyrand. Era l‟ora delle tenebre.21 Per il vecchio Pontefice l‟arresto e la deportazione in una squallida prigione in terra di Francia non fu che l‟inizio d‟una lunga via crucis prima di poter ripetere il suo: Tutto e compiuto22 e morire solo ed abbandonato. Anche le esequie un insulto. L‟ufficiale municipale, accertata la morte del detto Giovanni Angelo Braschi esercitante la professione di pontefice, aveva dichiarato sicuro e solenne: Le ci-devant pape vient de mourir: ce sera le dernier et la fin de la superstition!23 Quel 29 agosto 1799 sembrò proprio che avesse avuto compimento la profezia di Cagliostro che Pio VI sarebbe stato l‟ultimo papa. In Matteo si legge che i pontefici e i farisei... assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia.24 Anche i discepoli credettero svanita la loro speranza, infatti non avevano ancora compreso la Scrittura secondo la quale egli doveva risuscitare da morte, dice Giovanni. 25 Settembre, ottobre, novembre, dicembre, gennaio, febbraio... niente piú papa, e, senza piú papa, niente piú Chiesa. Tutto era finito. I carnefici ne erano certi, i buoni lo temevano. Quando d‟inverno il freddo è rigido, e freddo e gelo stringono ogni cosa... e si crede che tutto sia finito e morto... proprio allora il pettirosso si mette a cantare... Il tempo di contare fino a quattro, e... Tout est blanc! tout est rose! tout est vert!... Il y a DIEU! il y a Dieu... qui est le plus fort!26 Il 14 marzo 1800, mi correggo: il 23 ventôse dell‟anno VIII, perché l‟era cristiana dal 22 settembre 1792 era da considerarsi seppellita per decreto della neonata Repubblica francese – un calendario morto impubere –, papa Pio risorgeva a Venezia. Differenza: una unità in piú: Pio VII invece che Pio VI. “Ma la religione è eterna – aveva detto il vecchio pontefice –, come esisteva prima di voi, esisterà dopo di voi: il regno di Dio si perpetuerà sino alla fine dei secoli”. 21 Mt 27,45; Lc 22,53. Gv 19,30. 23 Il papa qui presente è morto, ed è stato l‟ultimo. Con lui è finita la superstizione. 24 Mt 27,64-66. 25 Gv 20,9. 26 P. CLAUDEL, Santa Giovanna d‟Arco al rogo. Sono le ultime parole della scena IX. “Tutto è bianco! tutto è rosa! tutto è verde!... C‟è DIO! c‟è Dio che è il piú forte!” 18 22 CAPITOLO III IL FANCIULLO ASCOLTAVA Le prime impressioni dell‟infanzia restano piú profondamente radicate e hanno influenza piú potente sopra tutta la vita dell‟uomo; né questo fa bisogno provare mostrandone la verità G. FRASSINETTI, Compendio di Teologia Dogmatica. Le aspirazioni alla libertà, ingenite nell‟animo mio, s‟erano alimentate dei ricordi di un periodo recente, quello delle guerre repubblicane francesi, che suonavano spesso sulle labbra di mio padre... e della lettura di alcuni vecchi giornali da me trovati seminascosti dietro ai libri di medicina paterni… G. MAZZINI, Note autobiografiche. A Genova si erano vissuti momenti peggiori. Giuseppino fu uno degli ultimi genovesi nati liberi in libera repubblica. Una libertà di facciata, a sovranità limitata, e dai mesi contati. Un altro Giuseppe, della confinante parrocchia di San Siro, Mazzini, nascerà cittadino francese. Nascite cosí vicine e vite cosí diverse, l‟una e l‟altra influenzate dai racconti uditi in casa nella loro prima infanzia. Quando televisione e luce elettrica erano di là da venire, specie nelle case dei poveri, le lunghe serate d‟inverno si trascorrevano in cucina al chiarore di una lucerna ad olio e del riverbero della fiamma del focolare. Era quello il soggiorno. Lí, mentre si aspettava la cena, dopo la recita del rosario con non pochi Pater ed Ave per i propri cari e buon numero di Requiem per i defunti, si riempiva il tempo parlando di cose di casa e dei fatti del giorno, senza che le donne ristessero dai lavori. Di tanto in tanto i grandi di casa tornavano ancora una volta sui fatti da loro vissuti. Né è a dire che a Genova, in quel principio di secolo, con tutto quel che vi era accaduto dagli ultimi anni del Settecento, mancassero cose memorabili da raccontare e tali da oscurare persino il “sasso” di Balilla. Alle imprese napoleoniche si aggiungevano le prodezze del Gran Diavolo, il brigante che aveva terrorizzato la Val di Bisagno e la vallata di Fontanabuona, movendovisi da re. Da re la faceva Giuseppe Podestà nelle valli di Sturla e Borzanasca, ed altri altrove. “Diavolo”, il 24 aprile 1801, ebbe l‟ardire di comandare un‟esecuzione sotto le stesse mura di Genova col rito che usano gli eserciti in guerra. Il governo mise un taglia sul suo capo, lui sul capo del ministro di polizia. Un muoversi con pari autorità e pari dignità. Ci vorranno tre anni e mezzo per riuscire a catturarlo e fucilarlo alle Ulivette, undici giorni prima che il nostro Servo di Dio nascesse. Aveva ventisei anni. Morí rappacificato con Dio. Se in polizia ci fosse gente di spirito, “Diavolo” avrebbe potuto far sua la risposta che diede ad Alessandro Magno il pirata immortalato da sant‟Agostino. Aveva chiesto se gli pareva ben fatto infestare i mari. Con nobile fierezza rispose: “A me pare 19 ciò che pare a te infestare il mondo. Io con piccola imbarcazione sono brigante; tu con grandi forze sei chiamato imperatore”. Commenta Agostino: Bandita la giustizia, cosa sono i regni se non grandi piraterie? E le piraterie, del resto, altro non sono che piccoli regni: un pugno d‟uomini, uno che comanda, un patto che li tiene stretti in società... impossessarsi di territori... Se questo flagello riesce a svilupparsi per l‟affluire di masse e sottomettere popoli, è riconosciuto come regno, non perché cessate le ruberie, ma per la sopravvenuta impunità.27 Latrocini e vessazioni quelli del brigante Diavolo, latrocini e vessazioni quelli di Napoleone. Quelli perseguibili per legge, questi fonte di gloria. Il racconto degli uni e la rievocazione degli altri furono il filtro attraverso il quale ai fanciulli di casa Frassinetti pervennero le prime conoscenze della storia e della cronaca. I fatti sono ciò che sono, ma diversi i modi in cui si vivono e poi si rievocano. In casa Frassinetti quegli anni terribili erano rievocati con l‟animo di chi ne era stato oppresso; in casa Mazzini di chi se ne era sentito protagonista e ne aveva sognato di piú grandiosi. Le scelte dell‟adolescenza sono strettamente legate alle prime lezioni di storia che si recepirono attorno al focolare. Nessuno è mai riuscito a liberarsi dalle impressioni che ebbe incise nel cuore negli anni della fanciullezza. In un catechismo al popolo, tenuto dal nostro Servo di Dio l‟ultimo anno di vita, s‟avverte come in lui fossero ancora vive le impressioni recepite da fanciullo udendo le angherie subite da papa Pio VI e papa Pio VII: Tutti i nemici della Chiesa di Cristo sono stati sempre gli accaniti nemici del Papa... Il Pontefice [Pio VI] fu tratto a forza in Francia dove finí la vita... Pio VII, a forza strappato dalla sua Roma, fu relegato per cinque anni in Savona… erano tempi cosí cattivi, che l‟essere amici del Papa, era una specie di delitto.28 Gli occhi di chi aveva narrato a lui bambino quei tempi cosí cattivi erano pieni di visioni di sangue ed esprimevano l‟orrore per le dissacrazioni delle cose piú sante: chiese mutate in stalle, le campane ammutolite o condannate a sonare per celebrare i fasti della Rivoluzione, quando non erano abbattute per farne cannoni. Frati e monache cacciati di convento.29 Dappertutto spie a caccia dell‟uomo sospetto, ed il sospetto ritenuto delitto certo. Delitto dei delitti non mostrare entusiasmo per i tempi nuovi. Continue requisizioni a mano armata casa per casa, sequestri, imposizioni di “spontanei” contributi patriottici, e tasse, mentre le navi immalinconivano nel porto sognando i tempi in cui era tutto un attraccare ed un salpare per lidi lontani. Peggiori dei francesi i “giacobini” indigeni, feccia di gioventú, che il 22 maggio 1797 avevano aperto agli invasori le porte della città, accogliendoli al canto del Ça ira, ça ira, les aristocrates à la lanterne. La Repubblica di Genova, povero vaso di coccio tra vasi di bronzo, aveva cercato di tenere a bada i nemici di terra e di mare restando neutrale e facendo assegnamento sulla sua ancora notevole forza economica, una ricchezza agognata dalle varie forze in campo, nessuna ancora in 27 AGOSTINO, De civitate Dei, libro IV, cap. IV. G. FRASSINETTI, Opere…, Istruzioni catechistiche…, vol I, Roma 1906, pp. 218-219. 29 La Gazzetta il 20 ottobre 1798 tuonava: “Perché poveri frati?... potranno abbandonare il convento; rientrare nella Società secolare... e i voti, la scomunica! Avete ragione: l‟istruzione pubblica non ha ancora fatto il menomo progresso... La Legge però rispetta i vostri scrupoli... Dichiaro... che s‟io vedrò in società una donna, un uomo vivere onestamente... e sentirò dire: «quello è un frate, quella è una monica», io non potrò astenermi, malgrado i voti, l‟apostasia e la scomunica, di stimarli e rispettarli molto di piú, che tante altre monache e tanti altri frati che hanno il velo o il cappuccio...”. Tace delle spogliazioni e violenze anche contro vecchie monache, buttate fuori di convento. L‟anno innanzi la Gazzetta s‟era meravigliata dello stupore delle monache nel sentirsi chiamare Cittadine dai membri del governo che le dichiaravano libere mentre le cacciavano dal convento prive di tutto. In G. MISCOSI, Op. cit., Genova 1974, ppp. 385 e 381. 20 28 grado di appropriarsene. C‟erano poi i nemici interni: la nobiltà caduta in miseria e la borghesia emergente che conferivano consistenza e credibilità allo sparuto gruppo dei giacobini genovesi manovrati dal ministro di Francia a Genova. Se neutralità ed accortezza avevano assicurato anni di relativa calma, la campagna napoleonica del 1796 era venuta a sconvolgere l‟equilibrio su cui ancora si reggeva la Penisola. Genova visse mesi d‟agonia, pur conservando l‟illusione di poter sopravvivere venendo a patti con il generale irresistibile che, da buon politico, pareva volesse evitare di inimicarsi un popolo di mercanti colpendolo nei suoi interessi e, meno che meno, logorare le proprie forze in un lungo assedio. Ne aveva avuto abbastanza in quello di Mantova. Era la politica ad imporre a Napoleone attesa e moderazione, e alla classe dirigente genovese il guardarsi da passi falsi se voleva conservare il suo potere economico, sia pure con delle concessioni sulle forme. Era ciò che temeva il partito giacobino, composto, a giudizio di Gerolamo Serra, di uomini privi di seguito, di ingegno, di credito e di pecunia. Non restava che giocare d‟anticipo. Cosí il Serra rievoca quelle giornate di maggio: Numerose pattuglie per l‟una e l‟altra parte. Quelle de‟ rivoltosi miste di cisalpini e di qualche francese giacobino, avevano per segno d‟ordine: libertà, eguaglianza, ovvero Repubblica francese, ma le pattuglie de‟ carbonari e facchini… e quasi tutti i bottegai, pigliarono… quello di cinquant‟anni addietro: Viva Maria!30 Il padre di Giuseppe era bottegaio e viene da pensarlo tra i “quasi tutti”. Non valse l‟adesione dei barcaroli. Non potevano non soccombere. Fu solo una tregua di tre mesi. A settembre la sollevazione riesplose piú terribile. Se il ceto eminente si barcamenava sperando di cavalcare la rivoluzione e salvare le sostanze, quelli in basso, sostenuti dai parroci e da tanta parte del patriziato, si sollevarono al grido di Viva Maria! Per tre giorni, dal quattro al sei, Genova tornò ad essere loro e la paura mutò verso. A cinquant‟anni di distanza avevano di nuovo cacciato gli invasori a furia di popolo. A tali racconti i bimbi Frassinetti avranno sognato d‟essere anche essi tra la folla, sasso in mano, a gridare: Viva Maria! La sorella Paola ricordava il fratello Giuseppe adolescente focosissimo. La sollevazione fallí. Terribile la repressione. Carceri piene di contadini, nobili e clero. Non bastando, si riempirono le chiese. Tribunale militare, vendette personali, fucilazioni alla batteria della Cava. Dall‟altra parte, il legionario delle truppe volontarie Giacomo Mazzini, non ancora padre di Giuseppe, fu citato tra i bravi che s‟erano distinti nella repressione. 31 Nel nostro dopoguerra l‟avremmo detto un collaborazionista, un quisling. Per i nostri storici fu degno d‟encomio. Il popolo ferito nei sentimenti e la nobiltà mercantile nel prestigio e negli interessi, già separati da un abisso, si scoprirono alleati contro la borghesia e tali sarebbero rimasti nel secolo successivo. Erano spinti da motivi religiosi, patrii ed economici, alimentati ogni giorno dalle vessazioni degli invasori e dalle ribalderie dei giacobini indigeni. Alla spietata repressione degli insorti erano seguiti spogliamenti dei conventi, imposizioni di insopportabili balzelli e ruberie a 30 Ivi, pp. 64.71.115-116. La rivolta a cui si rifanno è quella famosa per il sasso di Balilla. G. MISCOSI, Op. cit., pp. 368-371. Giacomo Mazzini ricoprí cariche importanti sia nella Repubblica Democratica, sia nella Genova divenuta provincia dell‟impero napoleonico. Dai Savoia non subí discriminazioni e poté conservare la cattedra di medicina che tenne con onore. Aveva studiato all‟Università di Pavia, una roccaforte del giansenismo in Italia. Giansenista anche la moglie, Maria Drago, che tanto influsso ebbe sul figlio Giuseppe, da lei affidato per i suoi studi a due religiosi anch‟essi giansenisti. V. VITALE, Informazioni di polizia sull‟ambiente Ligure (1814-1815) in Miscellanea storica, “Atti della Società Ligure di Storia Patria”, vol. LXI, Genova 1933, p. 452. Per maggiori notizie: V. VITALE, Onofrio Scassi, Op. cit. 21 31 non finire: 60 bastimenti requisiti per la spedizione in Egitto; 400 mila lire al mese per approvvigionare l‟esercito d‟occupazione, i crediti che avevano in tutt‟ Europa – solo con la Francia 40 milioni – non piú esigibili, mentre loro, i francesi, reclamarono un antico credito di due milioni. Anche a tempi rasserenati, non erano rari sogni d‟incubo in cui si riviveva l‟inferno della primavera del 1800: inglesi sul mare con cannoni puntati contro la città, che a piú riprese seminarono strage; le truppe della coalizione antifrancese alle mura senza riuscire ad espugnarle; in città Massena e 15.000 francesi che, incuranti dei 120.000 genovesi che morivano di fame epidemia e bombe, la facevano da padroni. S‟aggiungano le fucilazioni e l‟epidemia. Nel mese di luglio, il piú nefasto, 2706 morti, in un anno 12.492, quelli potuti contare; cento al giorno nei periodi di maggiore moría. I prezzi alle stelle, e le iene cui non pareva vero di vivere una tale propizia stagione. A leggere il Botta nasce il dubbio d‟aver sbagliato libro e che si stia leggendo in Tucidide la peste d‟Atene. Girolamo Serra ci tramanda un‟altra particolarità di quei tristissimi giorni: la morte di ottanta suore delle duecento che si erano profferte per assistere le appestate negli ospedali. Un flagello immane, fame e peste, ma non per tutti. Se quei giorni furono gravi anche al Foscolo, ufficiale napoleonico, al servizio di Massena, lo furono per la bella Luigia Pallavicini caduta da cavallo: Or te piangan gli Amori, Te fra le Dive liguri Regina e Diva!.... Per lei la sua pena e le suppliche letterarie alle dee dell‟Ellade. Altre le ansie del popolo genovese. La storia del popolo è storia di lacrime. Massena, l‟eroe dell‟epica difesa esaltata nei nostri testi scolastici, per la gente di Genova fu l‟Ammassa-Zena, l‟ammazza-Genova. I Frassinetti erano gente del popolo, ed il popolo era persuaso che i mali si dovessero all‟empietà di quanti si erano accaniti a travolgere la religione perdendo l‟ultimo senso di umanità. Cosí, il tradizionale mugugno dei Genovesi assurgeva a visione religiosa della storia. Come lontani i giorni della grande ubriacatura democratica, di cortei ed inni, di discorsi ripieni dei nomi di Bruto, di Cassio, di Catone e degli Scipioni. I giorni del furore distruttivo nel cancellare ogni segno che ricordasse le glorie dell‟ antica Repubblica. A celebrare in versi i nuovi tempi pensava il padre olivetano Luigi Serra, mentre frati, monaci e monache erano spogliati dei beni e cacciati di convento. Neppure il seminario fu salvo, benché nel mezzo del cortile avessero piantato l‟albero della libertà festeggiandolo con danze ed accademia. Rimarrà chiuso per quattro anni. Ovunque circoli impegnati a rieducare la plebe ottenebrata dalla superstizione.32 Il primo nella chiesa dissacrata dei santi Gerolamo e Francesco Saverio all‟Università. Il Regolamento tra l‟altro recitava: 14. Si procurerà l‟intervento degli ecclesiastici, donne, fanciulli e d‟altre persone bisognose d‟essere illuminate. 15. Saranno specialmente invitati con circolare l‟Arcivescovo e i Parroci a intervenire e a condurvi i loro parrocchiani. L‟arcivescovo ringraziò. Troppo vecchio per frequentare corsi di rigenerazione, non cosí vari padri scolopi che nella bigoncia del Circolo videro una cattedra piú prestigiosa di quelle dei loro istituti. Basti per il momento di questi ecclesiastici, capitanati dal Degola, tutti devoti di Giansenio, che si servono della Rivoluzione per combattere la Chiesa di Roma. 32 Nella sessione del 7 marzo 1799 la cittadina Paolina Bertolotto predicò dalla bigoncia le beatitudini della nuova virtú e della nuova morale. Rieducare, rigenerare. 22 Un incipit vita nova. Via tutto il vecchio ed il superato, persino il trono del doge in cattedrale in cornu evangelii. Bruciare ed abbattere. Eppure, quanta ridicola malacopia ed inconfessata nostalgia dei vecchi riti religiosi in quelle carnevalate, ché parodia delle belle processioni furono le grandiose sfilate del 14 luglio del ‟98 e del ‟99, ripercorrendone le strade, meta San Lorenzo, ed ivi sciogliersi al canto d‟un Te Deum intonato dal cittadino arcivescovo e sostenuto con fragore dalle bande militari e da spari d‟artiglierie: Al salvum fac populum tuum, si ripeterà lo sparo delle artiglierie, si suoneranno tutte le campane… Quindi un energico discorso di un oratore ecclesiastico che in breve mostrerà che i princípi della Libertà e dell‟Eguaglianza sono basati sul Vangelo, si leggeva nel decreto firmato da Carbonara, vice presidente, e da Lupi, segretario, sostituitisi da se stessi ai prelati di curia nel dar ordini al clero. Nella sfilata, aperta e chiusa da trecento soldati, erano passati cannoni, artiglieri, carri allegorici e giovani in costume spartano. Tra gli invitati anche quei degni religiosi che vorranno concorrere a solennizzare il giorno. E di degni religiosi c‟era ricca rappresentanza. Bene in mostra prete Cuneo. L‟inno Sorridi amico Zefiro da cantarsi nella sfilata era del padre olivetano Luigi Serra. Inchiodato a casa da un brutto mal d‟occhi non se ne poté beare. Si consolò col sonetto Occhi miei non vedete in ciel sorto, chiuso con una terzina da passare alla storia: Se il cittadin rinato in tal momento Giunge de‟ Bruti ad emular l‟esempio: Chiudetevi per sempre, io son contento. Nel ‟99, dopo il Te Deum in San Lorenzo, il patriottico discorso fu tenuto dal cittadino Corvetto. Oltre tutto s‟era scoperto che fare il patriota rendeva bene,33 mentre a non stare alle ordinanze si rischiavano multe di 8.000 franchi, cifra astronomica all‟epoca. Ma erano in tanti a masticare amaro, né la liturgia laica era riuscita a cancellare dal cuore dei genovesi il rimpianto di quella religiosa. CAPITOLO IV 33 Quando prete Cuneo avanzò le sue brave pretese di ricompense per i servizi resi alla patria, un tale gli mandò due sanguinacci perché si ripagasse di quello versato. V. VITALE, Onofrio Scassi, Op. cit., p. 56 n. 3. 23 LE CITOYEN FRANÇAIS JOSEPH FRASSINETTI Con l‟ascesa di Napoleone a capo della Francia e la stipulazione del concordato con la Santa Sede, l‟uragano parve quietarsi e la vita riprendere, anche se non era piú quella di prima, né poteva essere. Non vi fosse stato altro, bastava l‟orgoglio ferito per la perduta indipendenza. Il quattro giugno del 1805, Gerolamo Durazzo, l‟ultimo dei dogi, s‟era dovuto recare a Milano e presentare a Napoleone, in quei giorni incoronato re d‟Italia, il voto nazionale con cui si chiedeva di venire annessi alla Francia. L‟entusiasmo per un cosí felice avvenimento era solo nella retorica ufficiale. La verità è nelle parole del Durazzo ai genovesi: “Gente mia, come dobbiamo fare?”. C‟era solo da cedere alla forza. Napoleone accettò la supplica declassando la Repubblica ad uno dei tanti départements. Per nove anni i genovesi avrebbero dovuto mirare le vespe d‟oro del vessillo di Napoleone e versar sangue alla sua ombra prima di rivedere garrire al vento, per lo spazio di un mattino, il bel drappo bianco con croce rossa. Il 29 giugno 1805, 11 messidor, alla porta della Lanterna il maire, Michelangelo Cambiaso, consegnò le chiavi della città a Napoleone. “Spina, cardinal arcivescovo, sulla soglia della chiesa di San Teodoro aspettandolo, col sacro turibolo lo incensava”.34 Feste, luminarie, manifestazioni e larga distribuzione di nastri della Legion d‟onore. 16 messidor, solenne Te Deum35 in San Lorenzo con giuramento di fedeltà del cardinal Spina e dei vescovi dei dipartimenti liguri: Giuro e prometto a Dio sopra i santi Evangeli, di osservare obbedienza e fedeltà al governo stabilito... se nella mia diocesi o altrove io venissi a sapere che si tramasse alcuna cosa in pregiudizio dello stato, la farò nota al governo. Troppe cose tutte insieme perché il cardinal Spina potesse avvertire che s‟era impegnato con giuramento d‟essere il delatore dei suoi fedeli. Nel canone delle messa al nome del papa s‟era aggiunto et Imperatore nostro Napoleone. Nelle feste, a conclusione delle solenni ufficiature, il canto Domine, salvum fac Imperatorem nostrum Napoleonem.36 La menzione durò finché durò l‟Impero, si direbbe non troppo ascoltata da Dio. Per il momento “contento allo aver fatti servi e veduto comportarsi da servi i Genovesi, se ne tornava Napoleone al suo imperial Parigi”.37 Scene pietose, ma sarebbe da pessimo storico voler giudicare le cose di ieri basandosi sulle situazioni dell‟oggi. Era gente che aveva visto la religione travolta, dissacrate le cose divine ed umane, perduto ogni senso di umanità, né s‟era riavuta dalla paura e dalle visioni di violenza e di sangue. Il cardinal Spina fu troppo ossequente, certo. Sarà persino dei cardinali rossi38 presenti al matrimonio religioso di Napoleone con Maria Luigia, sacrilego per la Chiesa. Le solenni ritrattazioni alla caduta del sovrano lasciarono viva impressione: 34 C. BOTTA, Op. cit., pp. 19. Si noti l‟importanza data al Te Deum da questi miscredenti e che si continuò a dare anche durante tutto il nostro Risorgimento. 36 A Milano, capitale del Regno d‟Italia, ci fu chi ne tralasciavano il nome. Il monsignor vicario intervenne perché non fosse omesso. Non mettere il Signore in condizione di equivocare con il suo antecessore e rivale... l‟imperatore d‟Austria! 37 C. BOTTA, Op. cit, pp. 22. 38 In contrapposizione ai cardinali neri che rifiutarono di presenziare alle sue nozze con Maria Luisa. Neri, perché non solo si era soppressa la pensione, e fatto sequestrare i beni, ma proibito d‟uscire vestiti di rosso. I tredici neri italiani furono confinati in Francia. 24 35 essere egli trascorso sotto il passato governo francese oltre i giusti limiti del proprio dovere... ma l‟amor suo pei diocesani gli rappresentava per una parte l‟ inutilità di sua opposizione, e per l‟altra gli dipingeva all‟agitata immaginazione i tanti funestissimi mali che ne sarebbero piombati sui genovesi.39 Da vescovo titolare era rimasto a fianco di papa Pio VI prigioniero, gli amministrò gli ultimi sacramenti e ne ottenere da Napoleone la salma per riportarla a Roma. Nel riaccompagnarla fece sosta a Genova dove gli furono celebrati solenni funerali. Ebbe poi parte precipua nelle trattative per il Concordato. Il cardinal Spina aveva avanti agli occhi il prima e il dopo. Aveva vissuto la fine di tutto, e poi rivisto celebrare solenni funzioni nelle chiese tornate affollate. Aveva persino potuto riaprire il seminario. Lo spirito gallicano faceva sempre piú presa sul clero genovese, è vero, e rimanevano in vigore matrimonio civile e divorzio, ma ai suoi occhi, e non solo ai suoi, Napoleone era il restauratore della religione e dell‟ordine.40 Sperava che s‟andasse verso il meglio, né si poteva pretendere tutto in una volta. Anche il Frassinetti, da studentello, non dovette guardare Napoleone con occhi di condanna, se in una sua Selva Poetica trascrisse l‟Inno Trionfale – Napoleone e la Pace, con in calce una nota di sua mano: Questo componimento tradotto dal Francese, e scritto poco dopo il trattato di Tilsit, presenta una rapida idea delle ultime battaglie ed indica lo scopo che in esse sempre ebbe Napoleone, quello di dar la pace all‟Europa.41 La perdita dell‟indipendenza bruciava, ma, a parte l‟orgoglio umiliato, i genovesi capivano che era meglio essere provincia francese che terra di conquista. Anzi, non pochi videro avvicinarsi giorni di grande prosperità. Una situazione accettata prima di loro dai Fenici, per i quali far parte dell‟impero persiano significò avere l‟accesso ad un immenso mercato. Genova, divenuta francese, acquisiva alle spalle uno spazio che si spingeva fin nel cuore della Germania. Del resto, Genova era da secoli indipendente quasi solo di nome e di bandiera. Avevano scoperto che all‟ombra, o della Spagna o della Francia, si realizzavano affari d‟oro. Sapevano che da soli non avrebbero potuto difendersi dalle scorrerie dei barbareschi, né dalle pretese dei Savoia o degli Absburgo, che da sempre sognavano il possesso d‟un porto nella Riviera. Anche potendolo, il costo della difesa avrebbe ingoiato le entrate del traffico. Ora i banchieri avrebbero potuto investire con sicurezza nella sconfinata Europa napoleonica; né c‟era piú da ingoiare amaro, e far finta di nulla di fronte alle prepotenze che l‟Inghilterra fino al giorno innanzi aveva potuto infliggerle impunemente. Sconfitta che fosse stata sul mare, si sarebbero avuti decenni di pace e, con la pace, la prosperità.42 G. MORONI, Op. cit., vol. LXVIII, Venezia 1854, pp. 283-284. Nel Rapporto di polizia: “Spina. Cardinale Arcivescovo di Genova. Possede discreti talenti. È bastantemente conosciuto Napoleonista dai suoi sermoni. Dopo il cambiamento politico fu obbligato dal Sommo Pontefice di ritrattarsi dal Pergamo. Indi fu condannato a celebrare la messa per quaranta giorni consecutivi nelle catacombe di Roma... Non ha perciò cambiato sentimento. Appartiene all‟ Indipendenza”, p 450-451). 40 Il n. 15 della Gazzetta di Genova, 14 febbraio 1811, riportava una lettera del parroco di San Siro, parrocchia del Mazzini, il R. Schellembrid, ai suoi preti: “Noi ecclesiastici, tutti sudditi siamo del Grande Imperatore Napoleone, per conseguenza, come francesi, tutti professare dobbiamo la dottrina della Chiesa Gallicana… se scorgessi un solo sacerdote, che nella mia chiesa usasse una dottrina contraria... neppure per un momento permetterei che sedesse nei confessionari ”. Postillava la Gazzetta: “Tali sono generalmente i principi del clero di Genova”. La settimana religiosa, n. 46, 1895, pp. 543s. 41 G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. XXVII, pp. 88-91, in AF. Mia la sottolineatura. Nota seguita da un disegnino a penna rappresentante un accampamento. 42 Speranza alimentata dalla Gazzetta di Genova con la quartina in francese in testata: “Quanti benefici si aspettano i nostri aridi monti, teatro delle sue gloriose vittorie, e questo nostro porto deserto! ” V. VITALE, Onofrio Scassi, pp. 171.199. 25 39 La nota dell‟adolescente Frassinetti, su riportata, era eco di quelle speranze, legate, viene fatto di pensare, a ciò che udiva dal suo parroco napoleonista. L‟autunno 1805 le speranze parvero mutarsi in certezza: 17 ottobre Ulma, 2 dicembre Austerlitz. Al ritorno vittorioso dalle acque dell‟Atlantico dei matelots genovesi, all‟impero della terra si sarebbe aggiunto quello dei mari.43 Ma quattro giorni dopo Ulma, venne la notizia della giornata di Trafalgar. la Francia perdeva flotta e speranze, Genova tanti suoi figli. Le scorrerie degli inglesi fin sulle coste della Riviera creavano la sensazione che si era all‟inizio della fine. Questione di tempo. Attendendo la fine, scelsero il dire Sí e fare No, e ci fu chi non solo fece No, ma lo disse , come i parroci che si rifiutarono di consegnare al Maire i registri parrocchiali, incoraggiati, sia detto a sua lode, dal napoleonista cardinal Spina. Le inadempienze erano giustificate da chi le avrebbe dovute impedire, il Maire Agostino Pareto. Un gioco cosí scoperto da trovarne la descrizione nelle relazioni del prefetto Bourdon al governo in cui lamentava che tutte le riforme erano lettera morta: le scuole pubbliche ignorate dai genitori, uno il padre del Frassinetti, lo stato civile boicottato dai parroci, i defunti seppelliti ancora nelle chiese invece che nei nuovi cimiteri... Una resistenza passiva che rivelava la provvisorietà dello stato di cose. C‟era solo da aspettare. Gli ultimi fatti Giuseppino non ebbe bisogno di sentirseli raccontare. Era già tanto grande da poterli vivere. Piú tempo passava, piú argomento s‟aggiungeva ad argomento: il porto deserto; le continue leve con massicce diserzioni; numerose le esecuzioni capitali;44 i racconti dei pochi tornati dalla Spagna di come fossero indomabili gli insorti nel nome di Maria; la pietà per il Papa prigioniero a tre passi da Genova con tutto quel che si diceva gli facessero soffrire. Non si può sfidare impunemente Dio e le scomuniche del suo Vicario. Non poteva durare. Alle notizie di Spagna, si aggiungevano quelle della Russia: “Il freddo fa cadere i fucili di mano ai soldati..., pare che non torni nessuno...”. Anche Giuseppino avrà sentito ripetere la frase attribuita a Napoleone nei giorni dello strapotere : La scomunica non farà cadere i fucili dalla mano dei miei soldati. Anche egli visse le speranze dell‟aprile 1814. La resa a Lord Bentinck, la statua di Napoleone abbattuta a furore di popolo, la Repubblica rinata con la Costituzione del 1576 e, finalmente, la domenica primo maggio, la messa tornava a concludersi con l‟Orate pro Republica nostra. Ad intonare era il cardinal Spina che non conteneva il suo giubilo: “Giunse quel giorno tanto sospirato... Sí, figli dilettissimi, ché grande è il Signore!”. Le notizie si accavallavano: amnistia per gli imboscati, abolizione del codice napoleonico e del matrimonio civile, riduzione delle imposte, riapertura del porto franco con lo statuto del 1763... La Repubblica poteva accogliere trionfalmente il re Vittorio Emanuele I che tornava dalla Sardegna a Torino e festeggiarlo per un‟intera settimana. Nessuno sospettava che il sette gennaio del nuovo anno Genova sarebbe diventata una provincia del Regno Sardo. Poi ci furono i Cento giorni con il Papa rifugiato a Genova dal 3 aprile al 18 maggio. Giorni di attesa e, nell‟attesa, ogni giorno un trionfo. Il Frassinetti, da vecchio, ne rievoca il ricordo in un catechismo al popolo: Pio VII l‟ho veduto io stesso quando… fece i solenni Pontificali nella vicina chiesa della SS ma Annunziata, seduto su quella medesima sedia, che ora sta in mezzo al nostro coro, e certo non è 43 Si può arguire con quale slancio quei giovani si arruolavano dal bisogno di ricorrere ai vescovi perché li spingessero ad non imboscarsi. 44 Il cardinale Spina fu costretto a far lui da padrino di battesimo alla bimba del boia, non volendo nessuno entrare in parentela spirituale con chi versava sangue genovese. 26 descrivibile la devozione che gli dimostrarono i genovesi. Io ero in età di dieci anni e ricordo quanto fosse straordinaria.45 Si direbbe abbia scorto solo la figura del Papa. Non le luci mai viste prima tante, non i sedici cardinali ed i molti prelati che gli facevano corona, non il re Vittorio Emanuele I, l‟ex-regina d‟Etruria, la duchessa di Modena, il principe Carlo Alberto... Solo il Papa! Venne anche Waterloo, venne la Restaurazione dell‟antica Repubblica. Amara illusione. A febbraio Vittorio Emanuele I tornò non per ricevere un libero omaggio di cittadini indipendenti, ma l‟ossequio di sudditanza. Ad accoglierlo alla porta della cattedrale era il cardinal Spina.46 Ma c‟era un male ben piú pernicioso e distruttivo, antecedente alla Rivoluzione francese ed alle devastazioni napoleoniche, anzi, in gran parte, loro causa: l‟apostasia dalla cultura e dalla tradizione cattolica. La cultura europea nella seconda metà del Settecento parlava francese, il francese di Voltaire e degli enciclopedisti. Al dire di Manuel Quintana, anche lui di quella stessa educazione, ma con cuore rimasto spagnolo, un solo poeta, José Iglesias de la Casa, era riuscito in tutta la Spagna a restarne immune: ne ignorava la lingua. La luce che rischiarava l‟Europa veniva dalla Francia: “Mangiavamo, vestivamo, ballavamo alla francese, tutto si prendeva di Francia”.47 A parte il disappunto di vedersi ridotta a provincia dei Savoia, a Genova parve che i tristi giorni per la Chiesa fossero passati. Il dopo pareva migliore del prima: protetta dal trono, con principi ossequenti, guariti dalle varie forme di giuseppinismo, ossia quel voler essere loro a fissare persino quante candele si dovessero accendere nelle varie funzioni, ed un clero non piú infetto da tendenze gallicane, né voglioso di sottrarsi dalla soggezione al Papa. Tutte cose seppellite, cosí parevano. La rinata Compagnia di Gesú ne convalidava l‟illusione. Se prima dei grandi sconvolgimenti tale cultura negatrice di quanto sapeva di cattolico e si rifaceva a Roma, aveva interessato la stretta cerchia dei letterati e dei pochi che si piccavano di filosofia, convinti d‟essersi liberati dalle tenebre del Medioevo cattolico ed entrati nel mondo dei lumi, ora non c‟era persona, che avesse aggiunto un qualche anno di studio alle elementari, che non se ne facesse paladino. Non per conoscere gli scritti dei filosofi inglesi e tedeschi, o la tesi sostenuta dal Sismondi nella Storia delle repubbliche italiane, ma perché paghi delle battute di Voltaire e degli slogan che riassumevano le opere di Rousseau. Ne avevano d‟avanzo per credere che la fonte d‟ogni male, in Italia anche politico, era la Chiesa di Roma, e nostra somma sventura non aver avuto un nostro Lutero. A Waterloo tale avversario non aveva riportato un graffio. Non so, se nei giorni che seguirono il crollo dell‟impero napoleonico, a qualcuno tornò in mente la chiusa posta da Luca alle tentazioni del Signore: “Il diavolo s‟allontanò da lui fino a tempo opportuno”.48 Aveva perso una battaglia per errore di tattica attaccando frontalmente. Riprova per vie subdole che non ingenerino sospetto, infondendo un senso di pace che G. FRASSINETTI, Op. cit., pp. 219. – Papa Pio VII, tornato a Roma, nell‟allocuzione del 15 luglio, “In niun modo però trapassar possiamo sotto silenzio i genovesi, presso dei quali abbiamo dimorato piú a lungo... e con tutta verità ripetiamo le parole di s. Bernardo, che loro scriveva: in æternum non obliviscar tui, plebs devota, honorabilis gens, civitas illustris”. In G. MORONI, Op. cit. pp. 331-332. 46 Il Pareto gira l‟Europa a scongiurare di non fare dei genovesi gl‟iloti del Piemonte e di voler tener conto della antipatia insuperabile che avrebbe impedito la fusione dei due stati. Se non si poteva far rivivere la repubblica, né essere aggregati al Lombardo-Veneto, se ne facesse un principato imparentato ad una grande potenza. Nulla da fare. 47 Piú di sessant‟anni prima dell‟Inno a Satana del Carducci, M. J. QUINTANA aveva già celebrato il nuovo dio in duplice redazione, A la invención de la imprenta. 48 Lc 4,13. 27 45 addormenti gli animi e li disarmi, ed a convincere il clero a porre la struttura della Chiesa a servizio del progresso e della causa nazionale, distraendolo dal fine soprannaturale. Nessuna negazione. Bastava porre in dimenticanza l‟essenza della religione. A questa missione si preparava un seminarista torinese, Vincenzo Gioberti. C‟era poi da ridare spirito e lena ai tanti di fede anticristiana rimasti sbandati, anche se colti a volte da un vago senso religioso. Grave errore aver creduto poterlo estirpare dal cuore dell‟uomo. Andava invece ordinato a colmare il vuoto prodotto dall‟apostasia, convertendolo in forme di vaga religiosità quali il culto della Patria, dell‟ Umanità, del Progresso, del Dovere fine a se stesso… Nessuna verità rivelata e definita, nessun mistero, nessun precetto, nessun rito, nessun sacerdozio. A questa seconda missione pensa un adolescente genovese, Giuseppe Mazzini, ma non in disaccordo con il Gioberti. Avrebbero marciato separati e colpito uniti, come parve avverarsi negli anni 1848 e 1849.49 Ma a Torino c‟erano don Lanteri, don Guala con i giovani del Convitto ecclesiastico; a Genova un professore di “rettorica”, Antonio Maria Gianelli, ed “i ragazzi del Gianelli”. Uno il Frassinetti.50 CAPITOLO V 49 Dopo il fallimento dei moti di Genova e della Savoia... Il Mazzini scrive a Paolo Pallia, pensandolo a lui vicinissimo: “Perché il Giob[erti] non scrive egli qualche cosa pel popolo, che si diffonderebbe da noi? Perché non indirizzar qualche scritto ai preti e avvalorar la crociata italiana anche fra loro?”. 50 Con “i ragazzi del Gianelli” intendo indicare quel gruppo di alunni sui quali ebbe un grande ascendente sant‟Antonio Maria Gianelli. 28 I RICOSTRUTTORI – Su, vai. Rimetti a nuovo la Chiesa –, si sentí dire Francesco da Cristo in croce e penetrarsi il cuore dal suo sguardo. Come aveva potuto non accorgersi che la chiesa di San Damiano era lí per crollargli addosso? In peggiore stato agli inizi dell‟Ottocento la chiesa abbaziale di Saint Denis. Saint-Denis è desolazione – lamentava Chateaubriand –. Sosta di passo agli uccelli, erbacce tra rotti marmi d‟altari, non i canti d‟un tempo, ma gocciolar d‟ acqua piovana dalle volte scoperchiate e caduta di pietre dai muri in rovina…51 Di Saint-Denis i giacobini avevano ripieno l‟Europa. Centinaia le chiese distrutte, bruciate o profanate per farne bivacchi di soldati e depositi di materiali. Una simile sorte era toccata alla chiesa di San Paolo Vecchio in Genova, sita in una piazzetta dello nome su cui dava il vico dove fra qualche anno sarebbe nato il nostro Servo di Dio. Vai, Francesco, e rimettimi a nuovo la Chiesa. Francesco andò. Ma il Signore non aveva inteso la chiesetta dove egli pregava, ma la Chiesa di pietre vive. Francesco non poteva supporre l‟esistenza del piano di Dio, né quanto esso fosse grande, né che si sarebbe servito proprio di lui, di un nessuno, per attuarlo. Neppure Maria, nella sua umiltà, poteva sospettare d‟essere stata lei la prescelta a divenire la madre del Signore. È la storia dei santi. Ecco, faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia. Non ve ne accorgete?52 Ancora una volta Dio vuole servirsi di quei che sono nulla per ridurre al nulla quei che credono di essere,53 a confusione di chi credeva la sua Chiesa ridotta a mucchi di ruderi morti. Permette le distruzioni perché ha pronti i piani di restauro. La giacobineria di quel fine Settecento, affannata a cancellare l‟ultimo segno della presenza cristiana, non si accorgeva che il Signore si stava avvalendo del suo odio rabbioso per ammodernare vecchie istituzioni che si erano rese meno adatte alla santificazione. Uno sbancamento del vecchio in vista tutto nuovo.54 Agli occhi di non pochi, e tra questi l‟arcivescovo di Genova, parve che fosse Napoleone l‟uomo suscitato da Dio per riparare i danni inferti alla sua Chiesa. La presenza del papa alla sua incoronazione poté far credere che il rivoluzionario di ieri si fosse convertito in difensore della fede e che trono ed altare si fossero riappacificati ridivenendo l‟uno sostegno dell‟altro. In realtà la cerimonia religiosa fu un puro atto politico. I fatti di Vandea, le insurrezioni al grido di “Viva Maria” e la muta resistenza di tanta parte del clero e del popolo avevano persuaso l‟uomo politico che non si regna sicuri se manca il consenso dei sudditi, specie se si è privi di una lunga ascendenza dinastica, e che i popoli erano ancora timorati di Dio ed attaccati ai loro parroci. Perciò conveniva concedere alla Chiesa tanto respiro da creare l‟impressione che lui era il nuovo Costantino inviato da Dio a ridarle libertà e pace. Papa Pio VII, pur di ottenere un respiro ai fedeli, aveva accettato l‟umiliazione. Anche per Napoleone, come già per l‟ ugonotto Enrico IV di Borbone, Parigi valeva bene una messa. Ne aveva già dato un primo segno celebrando la vittoria di Marengo con un solenne Te Deum nel Duomo di Milano. A Dio il canto, a sé gli onori 51 F.-R. DE CHATEAUBRIAND, Le génie du christianisme, parte IV, libro II, cap. IX. Is 43,19. 53 1 Cor 1,28. 54 Ap 21,5. 52 29 propri di un monarca accolto in Duomo con baldacchino, incenso e trono in coro. Un fatto politico, non religioso, che rientrava nel programma d‟asservimento del clero alle proprie ambizioni. Divenire padrone dei preti, tenerli con l‟interesse, pagandoli lo Stato. In cambio vedeva papa, vescovi e parroci divenuti suoi funzionari, a cui mandare ordinanze come ai prefetti, esigere obbedienza, pena la rimozione ed il confino: Non disperavo – fu udito a Sant‟Elena, – di potere presto o tardi con un mezzo o con l‟altro, arrivare ad avere la direzione del papa, ed allora di quale influenza avrei potuto disporre della pubblica opinione sopra il resto del mondo! Se lo splendore del cerimoniale di corte avrebbe conferito prestigio alla nuova dinastia, la venerazione religiosa dovuta all‟Unto del Signore, gli avrebbe assicurato la sottomissione dei sudditi per il vincolo sacro che li obbligava ad obbedirgli sotto pena di dannazione eterna, a pagar tasse ed ad affrontare la morte in battaglia, come insegnava quel catechismo da lui manipolato e su cui Giuseppe, cittadino francese, avrebbe dovuto prepararsi per l‟ammissione ai sacramenti. Edificio costruito sulla sabbia. Non era Napoleone la persona su cui Dio aveva posto gli occhi per ricostruire la sua Chiesa. Per altra via ed in altri modi si preparava in quegli anni i suoi ricostruttori. Uno quel bimbo genovese nato proprio nei giorni in cui il papa a Parigi si abbeverava di umiliazioni. Ma, prima di parlare del nostro ricostruttore, perché non si dimentichi che fu solo uno dei tanti nati in quel giro d‟anni su cui Dio pose lo sguardo, facciamo altri nomi. Due vandeani ebbero una bimba nel nascondiglio dove erano riusciti a scampare al massacro perpetrato dai rivoluzionari. Passa la rivoluzione, la bimba cresce e viene posta in collegio a Tours. Una monaca sopravvissuta alla dispersione aveva riaperto in città una casa che offrisse un asilo alle ragazze che avevano già conosciuto il male. La curiosità di sapere com‟era quell‟altro collegio, e perché se ne parlasse sempre con mistero, non le dava riposo. Conoscerne lo scopo ed innamorarsi d‟un tale apostolato fu tutt‟uno, né quietò finché non divenne anche lei una di quelle poche suore dedicate alla redenzione delle giovani traviate. Ma non vi si sentiva a suo agio. Si ripeteva per lei la parabola del vino nuovo posto in otri vecchi.55 Quel monastero era copia conforme del vecchio. Tutto come vecchi tempi. Lo sconquasso rivoluzionario era stato un brutto sogno. La fanciulla, nata nella bufera della persecuzione, aveva bisogno di spazio. I suoi occhi guardavano lontano. Non capiva quel doversi fare cosí perché da secoli s‟era fatto cosí. Il male aveva potuto dilagare, pensava, perché i nemici di Dio avevano saputo unire le loro forze. Un giorno, per abbracciare il mondo intero, sciamò dal vecchio convento e fondò opera nuova con nuovi criteri. Alla sua morte i conventi fondati erano 643 con 8.826 suore sparse in ogni angolo della terra. La bimba nata da genitori sopravvissuti all‟eccidio è sant‟Eufrasia Pelletier. Un‟altra bimba, di qualche anno piú anziana, aveva un fratello matto per lo studio e piú matto ancora nel pretendere di travasare nella mente della sorellina, di undici anni piú piccola di lui, tutto quello che egli andava studiando sognando il sacerdozio. Arrestato per la sua fede, fu condotto alla Conciergerie. L‟appello giornaliero di quanti dovevano salire la carretta per essere tradotti alla ghigliottina era diventato un rito. Il suo nome pareva uno di quei numeri del lotto che mai si decidono ad uscire. A preparare la lista era un prigioniero, anch‟egli in attesa del suo turno, che ogni giorno lo rimandava alla lista del domani. Quando il gioco non era piú possibile, ci fu la caduta di Robespierre e l‟apertura della prigione. Tornato il maestro, ricominciò la scuola. Scuola sotto disciplina rigidissima che sapeva tanto di giansenismo.56 Cosí, prima dei vent‟anni, quando le ragazze sue compagne erano tutte beatamente analfabete, Maddalena, per la 55 Mt 9,17. Si tratta di una deviazione religiosa che allontanava i fedeli dal Signore contro la quale il Frassinetti combatté tutta la vita. 30 56 stranezza d‟un fratello, leggeva Omero in greco e Virgilio in latino, nonché gli scrittori italiani e spagnoli nella loro lingua, e sapeva persino di filosofia e di teologia. A Dio serviva una grande educatrice e se la fece preparare dalla stramberia di quel fratello. La fanciulla è santa Maddalena Sofia Barat, fondatrice della Società del Sacro Cuore di Gesú. Alla sua morte i suoi istituti erano piú di cento, le suore piú di quattromila. Il nome Sacro Cuore ci dice che di quel non so che di giansenismo, respirato in casa da fanciulla, non era rimasta traccia. Un montanaro, tardo d‟ingegno e disertore dell‟esercito napoleonico, degno perciò di dannazione eterna, stando a quel tal catechismo, fu un altro degli arruolati da Dio all‟opera di ricostruzione. Il Signore gli aveva preparato un disturbo che gli fece perdere il contatto con il suo reparto in marcia alla volta di Spagna. Il sindaco del villaggio, invece di denunciarlo, lo tenne nascosto. È la strana storia di san Giovanni Vianney, noto con il nome di Curato d‟Ars, che fu per la Francia ciò che al dire di molti fu il Frassinetti per l‟Italia. In seminario aveva trovato un certo Marcellino Champagnat, anche egli creduto poco adatto allo studio. Pare che il Signore provi gusto a servirsi di materia grezza e grossolana. Ebbene Marcellino fonderà due congregazioni religiose: i Fratelli Maristi e i Padri Maristi, che apriranno ogni dove centinaia di scuole-contravveleno alla scuola laica derivata da Napoleone, e testimonieranno Cristo con larga profusione di sangue. Solo nella Spagna degli anni Trenta ben 179 maristi furono uccisi per la fede! Marcellino era nato da un mugnaio il 20 maggio 1789, due settimane dopo l‟apertura degli Stati Generali, inizio della rivoluzione. Un nome nostrano. Uno a cui tanto dovette il Frassinetti, Antonio Maria Gianelli. Sospettato d‟essersi imboscato invece che correre ad immortalarsi con Napoleone sui campi della gloria, fu acciuffato e “con una fune al collo fu condotto con altri disertori… alla caserma di Carrodano”, scrive il Garofalo nella sua bella biografia.57 La fece franca. La grida del Maire, attaccata a tutti i cantoni, parlava chiaro: “Il Signor Prefetto procederà irremissibilmente a dichiarare refrattarj tutti li Coscritti che non si saranno presentati ed a farli condannare dai Tribunali”. Il Coscritto se la vide brutta anche una seconda volta. In una lettera al Frassinetti don Revelli scriveva di lui: Uno le cui parole erano saette. Una di quelle parole saette centrò il cuore dell‟alunno di “rettorica” Giuseppe Frassinetti. Il professor Gianelli fu per lui ciò che per Natanaele era stato l‟apostolo Filippo,58 e non solo per lui, ma per lo Sturla, il Cattaneo, il Magnasco, ed altri ed altri ancora, tutta gente amica del Frassinetti che incontreremo nel corso di questo racconto. Mi fermo, ma se ti capitassero fra mano le vite di san Vincenzo Pallotti, di san Gaspare del Bufalo – questi due romani –, di san Giuseppe Cottolengo, di san Giovanni Bosco, del cardinal Newman e di tanti altri ancora, guarda la data di nascita. Proprio negli anni in cui tutto sembrava essere crollato, il Signore faceva sorgere i suoi ricostruttori. Gesú, venuto per la salvezza di tutti, parve dare piú tempo a soli dodici che al resto dell‟umanità. È vero, purché si aggiunga: in vista dei tutti. Li rese sale della terra, luce del mondo e lievito dell‟universo pensando all‟ultimo uomo.59 I nomi citati sono sacerdoti, moltiplicatori di sacerdoti, religiose che consacrarono la vita per la salvezza dei fratelli. Adombrato il disegno di Dio nella sua opera di ricostruzione, passo a narrare la storia d‟uno dei suoi operai, senza mai perdere di vista i compagni di lavoro, sottolineando quel che ciascuno diede all‟altro e dall‟altro ricevette. Incontreremo nomi noti, Don Bosco, Maria Mazzarello, Paola Frassinetti, il Padre Santo, sant‟Antonio Gianelli, e nomi meno noti, ma tutti degni di fargli S. GAROFALO, Sant‟Antonio Maria Gianelli, Cinisello Balsamo. 1989, p. 33. Gv 1,45. 59 Mt 5,13s.; 13,33. 57 58 31 corona in cielo, come don Luigi Sturla, il canonico Giovan Battista Cattaneo, don Pestarino, due suoi fratelli: don Giovanni e don Raffaele, il tipografo Pietro Olivari ed altri ed altri ancora, parecchi già elevati agli onori degli altari, come Rosa Gattorno, Eugenia Ravasco, Tommaso Reggio, altri sulla via. Forse al Lettore sarà parso esagerato lo spazio concesso a ricreare un‟immagine dei tempi che il Servo di Dio trovò venendo al mondo ed in cui visse la sua puerizia. Era necessario. Giuseppe Frassinetti non fu del mondo, ma non a guisa d‟un trappista che se ne apparta, ma di uno che visse sempre nel mondo. Anche negli anni di formazione. Né il suo mondo fu un casolare sperduto tra i campi come quello di Giovanni Bosco, ma Genova, e nel suo cuore. Si aggirò per le stesse strade e gli stessi carruggi per dove negli stessi anni s‟aggirava il Mazzini. Sugli anni dell‟infanzia e dell‟adolescenza ci fermeremo a lungo, fin quasi a dare l‟impressione d‟eccedere la misura e non tener conto dell‟economia del lavoro. Ben a ragione il Teologo consultore del quarto “voto”, con cui esprimeva il suo giudizio favorevole sull‟eroicità delle virtú del Servo di Dio, lamenta: “Dagli Atti della Positio non risulta quasi nulla su questi anni [dell‟adolescenza del Servo di Dio] che sono, invece, a nostro parere, fondamentali per lo studio delle sue virtú”. 60 CAPITOLO VI LA FAMIGLIA FRASSINETTI La famiglia di Giuseppe Frassinetti era originaria di Rivarolo Ligure, una parrocchia della Val Polcevera a qualche miglio dalle mura della città di Genova. Francesco Giovan Battista , che 60 32 Relatio et vota, p. 24. chiameremo anche noi con il secondo nome, si era unito in matrimonio il sabato 19 novembre del 1803 nella cattedrale di San Lorenzo, parrocchia della sposa, con Angela Viale, figlia di Paolo, un merciaio.61 Ventisette anni lui, diciotto la sposa. La portò a vivere in casa dei genitori nella parrocchia delle Vigne al quarto piano di Casa Imperiale, n. 1298 di Vico dietro San Paolo Vecchio nei pressi di Campetto.62 Vi trovò due sorelle del marito non sposate: Francesca, solo per qualche anno, e Annetta che vivrà nubile in casa del fratello fino al sabato 15 aprile del 1826, giorno della morte, a soli quarant‟anni. In quindici anni di matrimonio Angela dette alla luce undici figli. Sei apparvero in terra il tempo di ricevere il battesimo. Qualcuno anche d‟abbozzare sorriso. Due, Angelica e Camillo, furono costretti a porli a balia in quel di Recco e lí seppellirli. Quei morticini non avevano vagito in vano i pochi giorni di vita. Erano gli angioletti della famiglia, a cui spesso andava il pensiero e spesso ne parlavano. Nel cuore della mamma erano vivi come quelli che le saltellavano attorno. D‟ognuno aveva qualcosa da dire, d‟ognuno portava un segno ed un ricordo nel suo corpo. Erano il suo calendario. Ogni fatto era situato prima o dopo o durante l‟attesa di questo o di quel figlio, mantenuti vivi e presenti anche nella memoria dei fratelli sopravvissuti: la gioia del primo vagito che ne annunciava l‟arrivo – all‟epoca si nasceva tutti in casa –; il battesimo prima che fossero trascorse le ventiquattro ore per assicurare loro il paradiso, venendone cosí a comprendere l‟importanza. Al loro ricordo restarono legati anche il primo incontro con il mistero della morte ed i primi atti di fede: perché battezzati, erano certamente in paradiso con gli angeli, e già vedevano Dio, la Madonna e i santi. La loro morte, piú che timore, a quei piccoli ingenerava un senso d‟invidia! Dei cinque sopravvissuti, i quattro maschi diverranno quattro santi sacerdoti, l‟unica bimba, Paola. sarà la fondatrice delle suore Dorotee e conoscerà gli onori degli altari. Si direbbe che mamma Angela insieme al latte desse ai figli anche vocazione religiosa e tenero affetto per la Madre celeste, quasi presagisse doverli presto lasciare a lei affidati per non dire di no agli altri figlioletti che la reclamavano in cielo. Per questo, man mano che s‟avvicinavano ai sei anni, li accompagnava sul colle di Carbonara al santuario della Madonnetta per l‟atto d‟offerta del loro cuore a Maria. S‟è già visto con che commozione il Servo di Dio rievocava a tanti anni di distanza la cerimonia della sua consacrazione. Da Paola sappiamo che mamma Angela ebbe anche un figlio di latte, andata incontro ad una donna che ne aveva poco. Anche lui sacerdote, e solo lui d‟una decina di fratelli, nota la Santa.63 Nutrice d‟anime consacrate e angioli di paradiso, mamma Angela. Tutte quelle creature da tirare su spiegano la presenza in famiglia d‟una donna di servizio per il disbrigo dei lavori pesanti, tanto piú che le tre donne, la nonna la madre e la zia, avranno dovuto fare anche casa e bottega. 61 Paolo Viale di Angelo era nato a Marassi nel 1751, di professione merciaio. Il 9 febbraio 1777 aveva sposato Angela Maria Caterina Cerisola a lui sopravvissuta. Morí il 12 giugno 1812. Giovanni.Battista Viale, fratello di Angela, lo vediamo censito in casa Frassinetti negli anni 1824-1826. Poche le notizie degli altri parenti “Viale”. Ci sono pervenute quattro lettere indirizzate al Priore dal cugino Antonio Giuseppe Viale residente a Lisbona: vi si fa cenno di due sue sorelle, anch‟esse a Lisbona, una superiora di suore, e di un loro cugino Giovanni. Battista a Genova, padre d‟una ragazza di nome Giovannetta. Sembra di buona cultura, si propone di tradurre in portoghese un‟opera del cugino, gode buona reputazione sociale, è informato di quanto avviene in Italia ed in Francia e gli parla della situazione religiosa in Portogallo. Debbono essere gli stessi parenti per i quali Paola pone piú volte i saluti nelle sue lettere al padre. 62 Una traversa congiungente Campetto con vico Carlone “uno di quei vicoli nei quali i raggi del sole vi penetrano, come suol dirsi, tre volte all‟anno”,La Settimana Religiosa, Genova, XIV(1884), pp. 426s. 63 Memorie intorno alla venerabile serva di Dio Paola Frassinetti ed all‟Istituto da lei fondato, Roma 1908, p. 9. Le Due suore di Santa Dorotea autrici dell‟opera, contemporanee di Santa Paola, sono Teresa Sommariva e Marguerite Masyn. 33 L‟ultimo nato se ne andò di cinque giorni, seguito di lí a due giorni dalla mamma. Era il 6 gennaio 1819. Angela non aveva ancora 34 anni e lasciava il marito di 43 con sei bambini: Giuseppe di 14 anni, Francesco di 12, Paola non ancora decenne, Giovanni di 6, Raffaele di 5 e Bartolomeo di quattordici mesi, che l‟avrebbe raggiunta in cielo nel luglio dello stesso anno. Il padre di questi bimbi non era ricco. Non possedette mai una casa propria e dovette passare piú volte da casa in affitto a casa in affitto. Nel 1806 si spostò nella parrocchia di Santo Stefano al numero 930 del Vico Perera. Una via umile, di case ad un piano, scomparsa insieme ad altre stradette per dar luogo a Via Fieschi. Gente povera, devota della Madre di Dio alla quale avevano innalzato a metà strada due edicole, una a sinistra e l‟altra a destra, con le limosine... Date e raccolte dalla gente pia.64 Il Frassinetti, che si permetteva di far studiare i figli maschi, era ritenuto di condizione signorile.65 In essa nacquero Paola, Francesco e Raffaele.Vi abitarono fino al 1815 Nell‟autunno di quell‟anno si trasferirono nella piccola parrocchia gentilizia di San Matteo per rimanervi fino al 1823. Dal quell‟anno ne era abate Anton Maria De Filippi, di cui si è fatto già cenno. Ignoriamo il nome della via ed il numero civico.66 Essendo la parrocchia gentilizia di poca estensione, la casa doveva stare a ridosso di piazza san Domenico, oggi De Ferrari, in una zona non toccata dalle successive sistemazioni. Nella piazza, proprio in quegli anni, fu demolita la chiesa di San Domenico e costruito al suo posto il teatro Carlo Felice.67 Di lí partiranno in seguito nuove strade verso est e verso nord, mentre gli altri due versanti saranno risparmiati. Se si tiene conto dell‟età in cui si ammetteva alla comunione, essendo Giuseppe sui dieci anni, questa è la parrocchia in cui dovette riceverla, cosí Paola e gli altri fratelli. Qualche dubbio per Raffaele che, al ritorno nella parrocchia di Santo Stefano, era sui dieci anni. Nella parrocchia di S. Matteo dissero l‟arrivederci in cielo alla mamma, alla nonna paterna, a due fratellini ed ad una sorellina. Nel 1824 li vediamo di nuovo nella parrocchia di santo Stefano, ma in Rivotorbido 80, ultimo della strada, nei pressi di Ponticello dove finiva Via Giulia, che, ampliata, sarà via XX Settembre. Un appartamento al settimo piano sotto tetto non distante dalla vecchia casa. A questi ragazzi non occorreva palestra per far ginnastica, bastando i gradini di quei sette piani da salire e scendere piú e piú volte al giorno. Il Servo di Dio, anche se nato nella parrocchia delle Vigne, dobbiamo dirlo della parrocchia di Santo Stefano dove la famiglia si trasferí quando aveva qualche anno e, tolti gli anni di San Matteo, dimorò finché andò parroco a Quinto. Parrocchia di Santo Stefano o, se piú piace, del Sasso, come pare fosse chiamata dai popolani, essendo a tre Religiosa, XXXVIII(1908), Genova, p. 332, Le vie di Genova: “VICO detta dai venditori e conciatori di pelli. Fiancheggiava un lato del Seminario… Ivi al n. 5, – il n. 930 rinumerato col n. 5? – nel giorno 3 marzo 1809, nacque la Ven. serva di Dio Paola Frassinetti. MADONNE: Misericordia. Statua di marmo a mezzo la via a destra a discendere... Madonna e Bambino. Statua in marmo della Madonna col Bambino a sinistra a pochi passi… Sotto vi si leggono questi versi scolpiti nel marmo: “L‟immagine che qui vedi di Maria / Di limosine si fece a laude sua / Date e raccolte dalla gente Pia”… Un quartiere di povera gente che negli anni Trenta del secolo scorso fu demolito per far posto ai grattacieli di Piazza Dante. 65 Ivi. 66 In parrocchia si conservano i registri dei battezzati e dei defunti, non però quello dello stato di famiglia dei parrocchiani. 67 “Piú volte la Madre nostra raccontava di aver udito il padre lamentare coi buoni Genovesi, e riguardare come un triste presagio pel nuovo governo, succeduto da poco a quello della repubblica, il cambiare in un teatro un tempio sacro al Signore. E «comincia male.... dicevano: Carlo Felice comincia male»”. VASSALLO, Memorie…, pp. 63s. Il teatro fu distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e poi ricostruito. 34 64 P. LUIGI PERSOGLIO, SJ, nella Settimana CHIUSO DI PERERA, in latino PELLERIA, cosí passi da Portoria. Sasso quello di Balilla, sassaiola quella con cui fu martirizzato il santo.68 Anche qui, a pochi passi, un‟immagine di Maria ritratta insieme a san Giorgio in un grande affresco sulla facciata dell‟oratorio di San Giorgin.69 Non si hanno notizie di altre abitazioni. Divenuto il Frassinetti parroco di Santa Sabina, dopo un qualche tempo, il padre ed i fratelli sacerdoti Giovanni e Raffaele andarono a stare con lui.70 Tutt‟altro che ricco quel merciaio con bottega a tre passi da San Lorenzo. Una botteguccia. Poca cosa. Commercio minuto. Una vita dura, mai come allora con i mille balzelli di Napoleone, un porto morto ed ogni anno la nascita d‟un figlio. Ma una povertà cosí connaturata71 da sembrare lo stato della prima beatitudine evangelica. Povertà, ma non miseria. Se non possedette una casa sua, né fu in grado di costituire una dote per l‟ordinazione dei figli al suddiaconato, né a Paola per monacarsi, riuscí nondimeno a far studiare i quattro maschi, sia pure con restrizioni e sacrifici. La povertà, la sofferenza e le ripetute visite di sorella Morte furono le grandi maestre di vita per tutti e cinque quei bimbi. Purtroppo della giovinezza del nostro Servo di Dio, cosí restio a parlare di sé e della famiglia, non si sa molto. Poche ed avare le testimonianze nei processi di canonizzazione, rese da persone che da giovani lo avevano conosciuto anziano o e da altre che ne avevano sentito dire da chi ne tenne a lungo viva la memoria. Ci soccorrono in parte le testimonianze raccolte nel processo di canonizzazione della sorella, a cui di tanto in tanto piaceva riandare agli anni della sua infanzia, non sempre però precisa nelle date. Fonte preziosa sono anche le sue Lettere.72 Del padre Giovan Battista sappiamo qualcosa da madre Elisa Vassallo,73 una delle prime suore dorotee, eco di quanto aveva udito raccontare dalla figlia Paola, e, per via indiretta, da chi aveva avuto dimestichezza con la sua famiglia. Tra l‟altro riporta una lettera del figlio don Raffaele al benedettino genovese Placido Maria Schiaffino a cui avevano dato l‟incarico di scrivere la vita di Paola. “Alludendo dunque a tal sasso – ci informa la Vassallo – la Madre nostra [Santa Paola] qualche volta in ricreazione scherzando ci diceva che ci guardassimo ben bene da lei e, atteggiando il viso a simulata fierezza: – Badate bene, diceva, che io sono nata nella Parrocchia del Sasso –”. ELISA VASSALLO, Memorie… Cito dal manoscritto p. 411, Roma 1894, pp.115s. ACGSD. Nel 1994 se ne è curata la pubblicazione a cura di Sr Diana Barbosa. 69 La Settimana Religiosa, cit., XXXIX(1909), p. 464: “Via RIVOTORBIDO. Sestiere Portoria. Parrocchia di S. Stefano. Dalla Piazza Ponticello a Via XX Settembre – all‟epoca del Servo di Dio via Giulia che, allargata, divenne in seguito via XX Settembre –. Prende il nome dalle acque che le passano sotto quando piove e perciò torbide… Anticamente dovevano essere allo scoperto in questa località attraversata dal ponte che diede il nome alla Piazza di Ponticello. In questi ultimi anni [1909] fu allargata del doppio. Qui presso nell‟antica Via Giulia fino al 1862 era un oratorio dedicato a S. Giorgio, detto S. Giorgin. Via anch‟essa scomparsa. 70 Il fratello Francesco fu parroco di Coronata nell‟immediata periferia di Genova dal 1841 al 1885, anno della sua morte. 71 Cosa ben diversa la povertà di chi nacque e visse ricco fino al giorno in cui non ne fece una scelta. Il ricco che si fa povero è sempre qualcuno: un san Luigi Gonzaga, da principe fattosi accattone, nel bussare alle porte di Roma per chiedere elemosina, non poteva non leggere negli occhi di chi gli dava il tozzo di pane: – E dire che è un principe! – Solo il povero nato povero è un nessuno. Non per niente Gesú volle nascere povero poverissimo. Ciò che il Frassinetti scriverà della famiglia di Rosina Pedemonte, poteva affermarlo della famiglia di suo nonno, anch‟egli padre di famiglia numerosa e di professione cuoco in Genova: “Una famiglia cosí numerosa non poteva vivere sul guadagno del padre di professione cuoco, e sebbene le donne attendessero assiduamente a vari lavori, sentiva le strettezze della povertà; tuttavia si conservava in condizione semi-civile”. G. FRASSINETTI, Il modello della povera fanciulla Rosina Pedemonte, 1a ed. in Letture Cattoliche, VIII(settembre 1860) fasc. VII, Torino, p. 10. 72 P. FRASSINETTI, Lettere, Roma 1985. 73 E. VASSALLO, Memorie..., pp. 81-33. 35 68 Godo e mi rallegro che abbia accettato l‟incarico di scrivere la vita della mia cara Sorella… Da piccola fu sempre buona, ma non fu in lei nulla di straordinario. Era ubbidiente non solo al padre e alla madre, ma anche ai fratelli; umile, faceva con gusto gli uffici piú bassi di casa, aiutando la inserviente. Non fu mai mandata a scuola, né a maestra; il padre e qualche poco i fratelli le insegnarono a leggere e a scrivere. Il padre non la conduceva mai ai divertimenti del mondo, ai teatri, perché di questi era nemicissimo, e mi ricordo che quando fu fabbricato il teatro Carlo Felice, volendo un suo amico condurlo a vederlo di giorno, disse: Non sarà mai che io ponga il piede in un teatro, dove prima era una Chiesa, cioè S. Domenico. Era essa pure aliena da ogni divertimento del mondo. Amava il ritiro, non ebbe compagne. Usciva di casa generalmente alla Festa alla mattina per tempo, e si recava in S. Stefano alla Spiegazione [e] ai SS. Sacramenti; nei giorni feriali alla Messa, alla Comunione e alla sera alle novene. Nelle Domeniche insieme ai fratelli la conduceva il Padre al Catechismo e dopo al passeggio nelle strade meno frequentate, e alla state sui terrapieni del Bisagno, e alle ore ventiquattro74 sempre in casa. Non fu amante del lusso, ma volle sempre vestimenti umili, e di poco costo… Era amante delle mortificazioni, non cercava mai i cibi delicati, digiunava al Sabato in onore di Maria SS. e la Vigilia della Concessione (sic) faceva il digiuno in pane ed acqua, essendo ascritta a S. Maria del Fulmine, obbligo che avevano gli ascritti di tal digiuno in una delle principali feste di Maria...75 Ci siamo indugiati nella descrizione perché ciò che scrive della sorella, può ripetersi di ciascuno di loro. La morte della mamma e la supplenza che ne fecero la zia e la sorella sono i ricordi d‟infanzia rimasti piú vivi nel cuore di quei ragazzi. Ne troviamo testimonianza in alcune loro lettere alle suore dorotee che nei giorni della scomparsa della Fondatrice si erano rivolte ai tre fratelli ancora in vita per averne notizie. Per quanto spinga lontano la memoria – scriveva Giovanni – non ricordo altro che, rimasti noi senza madre (io potea avere poco piú di sei anni) la Sorella supplí assai bene alla mancanza e continuò fino a che non ci lasciò. Alla mattina per tempo, o colla domestica o con taluno di noi in chiesa a far le sue divozioni, anche nei giorni feriali, e poi tutto il giorno in casa a sacrificarsi pei fratelli e pel Padre, in specie dopo la morte di una zia che nei primi anni ci fece da madre – la zia Anna, sorella del padre –. La Sorella era ragazza di anni, ma di giudizio maturo. La madre stessa non avrebbe potuto fare di piú….76 Una famiglia unitissima, e tale rimase finché i suoi membri furono in vita. Ossia un‟ora dopo il tramonto del sole, chiamata ventiquattrora, secondo l‟antico uso di contare le ore da sera a sera, o anche ora di notte, ora in cui si sonavano l‟ultima volta le campane e si diceva l‟Angelus. 75 ACGSD, Roma. Lo Schiaffino conosceva bene i Frassinetti essendo genovese ed avendo avuto il Frassinetti per confessore. C‟è pervenuto solo un primo abbozzo del lavoro che gli era stato richiesto. Creato di lí a due anni cardinale, e per i nuovi impegni e per la morte di lí a non molto sopravvenuta, non lo portò a termine. L‟ incarico sarà assolto dal futuro cardinale ALFONSO CAPECELATRO, Vita della Serva di Dio Paola Frassinetti, Roma-Tournay 1900, p. 540. 76 Lettera di don Giovanni Frassinetti alla madre (Elisa Vassallo ?) in data 20 giugno 1882. ACGSD 36 74 CAPITOLO VII MIRA QUANT’È BELLO ESSERE FRATELLI E VIVERE UNITI77 Quest‟attacco del salmo 133 pare scritto mentre il salmista era preso da ammirazione da come i Frassinetti fossero uniti. Una conferma nelle lettere di Paola.78 77 78 Sal 133(132),1. Ce ne sono pervenute 28 al padre, 40 a Giuseppe, 8 a Giovanni, una a Raffaele, nessuna a Francesco, in tutto 77. 37 Nella sua ultima [al padre, il 6.1.1853, poco prima che egli morisse, gli scriveva] quasi si lagnava che io non Le diedi notizia del risultato di Bologna; ha ragione e rimedio adesso alla mancanza… Mi benedica… le bacio la paterna mano.79 Di lí ad una settimana. Non pensava certo che era l‟ultima lettera: Sono stata pregata da persona a cui molto devo, di farle venire di costí quaranta palmi di velluto in seta della migliore qualità... Quel che mi raccomando è che mi faccia buona spesa... mi saluti i fratelli… mi raccomando per la sollecitudine e buona spesa, passo a segnarmi, Di V. S. Stim. Aff,ma Figlia Suor Paola.80 Il padre è il suo grande commissionario. Sa di poter sempre ricorrere a lui con piú certezza che alle sue suore. Faccia grazia di dire al fratello Giovanni..., Dica pure al Don Raffaellino..., Dica a mio fratello Francesco..., Dica a mio fratello Priore sono espressioni ricorrenti. Il nome “Padre” sempre con la maiuscola, cosí negli scritti dei fratelli. Maiuscola e “Lei” a lui riservati, con qualche eccezione per il fratello Priore. Qualche rara volta le sfugge Pippo. Il nome con cui lo chiamavano prima che salisse l‟altare? Per gli altri la minuscola, il vezzeggiativo per il piccolo di casa: Raffaellino, che rimarrà piccolo fino tai settanta: un incapace di cavarsela da solo: “Ho piacere che a P. Raffaele non pregiudichi il freddo della mattina, e che cominci a farsi un poco piú uomo; veramente è un poco tardi”. Aveva 57 anni!81 Piú confidenza con Francesco, il fratello su cui può contare, con cui fanciulla si saranno presi benevolmente in giro. Dica anche al Sig. Canonico Lateranense e Parroco di Coronata – scrive al padre il 26 febbraio 1848 – che non piú gli ho scritto perché ancora non ho potuto ultimare l‟affare suo del gran Cappello rosso che sí ardentemente desidera; che si faccia però cuore che nell‟ultimo Concistoro… chi sa che non sia lui…82 Uno, Giovanni, versato nel disbrigo degli affari. Nell‟ultima lettera. “Di salute sto benissimo, solo il freddo forte mi tiene intorpidita la mano”. Giovanni non crede. Il freddo forte era di casa dai Frassinetti e lo avevano scoperto meraviglioso strumento di penitenza. Paola ricorda le mani di Giuseppe sfigurate dai geloni. Una forma di penitenza che poteva scambiarsi per frutto di stagione.83 Dallo stare [Giuseppe] tante ore nell‟inverno a tavolino a studiare soffriva molto freddo e gli si coprivano le mani ed i piedi di geloni talmente che gli facevano piaga, con tutto ciò non volle mai adoperare fuoco, né in altro modo coprirsi onde diminuire o liberarsi da quel dolore incomodo.84 Andata a Roma mai le mancarono generosi aiuti del padre, di Giuseppe e soprattutto di Giovanni ai quali va aggiunto prete Sturla, a Giuseppe piú che fratello, e perciò fratello a Paola, la Carissima sorella in Gesú Cristo. Di tanto in tanto Paola ringrazia per i soldi che le hanno spedito. Lo Sturla ogni anno le passava parte del reddito dei beni di famiglia, anche negli anni 79 P. FRASSINETTI, Lettere, p. 95. Ivi, p. 96. 81 Ivi, p. 551. 82 Ivi, p. 42. 83 Continuata da Giuseppe fino agli ultimi anni. Risulta da una lettera al vescovo di Albenga in cui si scusa di non avergli potuto rispondere impedito dai geloni alle mani. 84 Da un documento addotto al processo dalla teste Vassallo, che attesta d‟averlo copiato da un autografo della Fondatrice. POS.sV.SA, p. 40. 38 80 tempestosi in cui viveva rifugiato ad Aden in Arabia. Altri nomi di amici fraterni di Giuseppe andrebbero aggiunti, su cui Paola può contare come sui fratelli e ai quali spesso si rivolge. Ciò che era di Giuseppe era di Paola. Paola sapeva di poterne disporre: D. Marconi mi sta appresso perché ti scriva che gli mandi una ventina di libretti intitolati La Gemma delle fanciulle…e dieci o quindici intitolati Conforto dell‟ anima divota… Mi disse di farteli pagare da suo fratello… io ti prego però di mandarglieli gratis perché egli si presta per noi ed io non so come compensarlo... Giacché fai il pacco, fallo bello grosso...85 Il dono superò la richiesta: una cassa, da fare esclamare la sorella: Questa volta sei stato proprio generoso.86 Paola non è precisa. Ci manca un anche: anche questa volta. Né il padre, né i fratelli, né lo Sturla le fecero mai mancare l‟aiuto. In cambio avrebbero desiderato che scrivesse piú spesso. Il padre arrivò ad insinuare che fosse per non spendere in francobolli. La figlia si difende, ma al padre rimase qualche dubbio se la figlia, a distanza di due anni, tornò sull‟argomento: La ringrazio della somma... Non creda che le scrivo cosí di rado per risparmio di spesa… Ho dovuto spendere tre scudi fra dazio, porto e bollette... ho dovuto anche pagare assai per quel vasetto del Cardinale... tre scudi...87 Un ingraziare o un chiedere? Come non aiutarla con tutte quelle spese! La ringrazio Lei ed il fratello dei cento franchi... 88 La prego anche di dire ai fratelli che sono stata costretta ad ordinare un quadro di S. Dorotea, che ancora non ce l‟avevamo, e che mi costerà circa 50 scudi. Io non gli ho... che perciò mi raccomando a loro…89 Dacché hai stampati... certi tuoi Esercizi per i fanciulli… perché non me ne mandi? Sento che fanno molto bene e che sono tanto ricercati.90 Anche il Sig. Conte Vimercati… me ne ha domandato una copia, e forse per farli ristampare... Il suddetto Sig. Conte ha voluto da me una copia di tutti i tuoi libretti per fare una scelta dei piú utili e farli ristampare....91 L‟ha fatta grossa: non mandare alla sorella copie d‟un libro grandemente lodato che va a ruba! Si noti il candore con cui parla delle edizioni pirata che se ne facevano. Una genovese che ignora i diritti d‟autore! In quei librettini ritrova l‟anima del fratello e le molte conversazioni degli anni vissuti insieme. . Richieste continue, fin dalla prima lettera da Roma. Ti ringrazio dei libri che mi hai mandato: dici che il pregio della S. Verginità è poco conosciuto e non hai veduto che Genova... Oh quanto qui starebbe bene la Congregazione del Beato Leonardo!… I libretti, al mio confessore glieli ho dati… i rimasti li faccio leggere a quelle giovani che ne hanno bisogno.92 Paola ha negli occhi Quinto dove, parroco il fratello, pareva che vi fosse missione tutto l‟anno, e Genova con la sua Beato Leonardo, ossia lo zelo e la santità di quel gruppo di sacerdoti radunati intorno al fratello. Quel fratello cosí lontano e cosí presente e punto di riferimento. A 85 P. FRASSINETTI, Lettere, pp.237s. Ivi, pp. 242s. 87 Ivi, p. 42. 88 Ivi, p. 51. 89 Ivi, p. 93. 90 Recensiti con grande lode dalla Civiltà cattolica, 1860, serie IV, vol. IV pp. 596-599. 91 Ivi, p. 203. 92 P. FRASSINETTI, Lettere, p. 4. 86 39 Roma non si era sentita sconosciuta. Il nome del fratello le fu un apri porte. Quei libretti le facevano da credenziale. Nell‟ultima ti scrissi se potevi mandare dei libri intitolati: La forza di un libretto e quanto costavano… adesso poi ti dico… si stamperanno qui, atteso che è stato giudicato un libro utilissimo per la gioventú e si chiama da certi Cardinali Libro d‟oro... Autore che si conoscesse da persone grandi un tal libro fu un ottimo Sacerdote, il quale per segno di gratitudine… ci ha offerto il S. Sacrificio della Messa. Mi pare che gli scrivessi una letterina di ringraziamento.93 Ci basti questo per farci un‟idea di ciò che fu Giuseppe per Paola. Il fratello maggiore della Madre nostra, D. Giuseppe Frassinetti, già da fanciullo… co‟ suoi esempi ottimi, co‟ suoi consigli e poscia con la sua dottrina, contribuí non poco alla santità della sua degna sorella, sia fra le domestiche mura, sia nella Canonica di Quinto… sia infine nell‟ardua impresa della fondazione dell‟Istituto. E quantunque di soli cinque anni la superasse in età… la Madre nostra lo riguardava con una deferenza e rispetto, sarei per dire filiale, come rilevasi dalle sue parole e piú ancora vedesi in varie sue lettere.94 La sottolineatura è mia. Quella sorella, da lui formata, gli fa capire, benché fosse ancora cosí giovane, quale aiuto poteva venire ad un parroco se avesse saputo servirsi di donne ripiene dello spirito di Dio. Un dare ed un ricevere. Non si pensi però che siano stati sempre d‟un solo pensiero, vedremo che non mancarono differenze di veduta sul come andava fatto il bene.95 CAPITOLO VIII L’EDUCAZIONE DEI FIGLI Con tale famiglia nessuna meraviglia se il padre verso il 1810, giunto Giuseppe all‟età scolare, si ponesse il problema di dove mandare il figlio ad apprendere il leggere, lo scrivere e far di conto. Non certo nelle scuole degli atei, e tali ai suoi occhi erano quelle pubbliche. Vi si entrava cristiani, se ne usciva miscredenti. 1809: Wagram. L‟Austria pare piegata. Il Papa tradotto prigioniero, Roma terra francese. 1810: Napoleone s‟imparenta con una Absburgo e l‟anno appresso ne avrà l‟erede salutato Re di Roma! C‟era solo da mettere il cuore in pace. Cos‟altro si sarebbe potuto fare?, s‟era chiesto l‟ultimo doge. A molti, anche del clero, non dispiaceva. Ma o scio Baciccia, padre di Giuseppe, era popolo ed il popolo pareva vaccinato ad ogni infranciosoneria e relative empietà. Francesi, giacobini, figli portati a morire lontano, irreligione... per il popolo non faceva differenza. A ricordarglielo c‟era ad un passo Savona con Pio VII tenuto prigioniero con tutto quel che si 93 Ivi, p. 17. E. VASSALLO, Memorie..., pp. 89s. 95 Paola, per esempio, preoccupata del buon ordine della comunità, per le suore voleva un sol confessore, piú gli straordinari, se possibile gesuiti, il fratello invece era per la piú larga libertà, cfr. P. FRASSINETTI, Lettere, Roma 1985, p. 145. 40 94 raccontava gli facessero soffrire. Neppure poterlo vedere da lontano e riceverne una benedizione! Stando cosí le cose, a quale scuola mandare il bambino? Nel male un bene. C‟erano i frati cacciati di convento dalle leggi eversive. S‟aggiravano umili, ritirati, viva testimonianza ad una vocazione, soprattutto per l‟accettazione della miseria in cambio della povertà di un tempo in convento. Uno frate Angelico, già francescano dei minori osservanti. S‟era messo ad insegnare l‟abc ai pargoli ed i latinucci ai grandicelli. Di lettere se ne intendeva, dicevano, e con fama di buon predicatore.96 Fu scelta dei genitori o dovuta piuttosto all‟aver visto nei primi giorni di scuola pubblica il figlio tornare a casa turbato? In una istruzione del Frassinetti ai fanciulli pare che rievochi un fatto della sua infanzia: Una volta [Pio, Pio per io?] fu mandato a scuola da un maestro che era molto accreditato… ma uno di que‟ maestri che non hanno religione, e perciò spacciano cattive massime contro la pietà e divozione, contro il rispetto che si deve ai superiori, ai ministri di Dio, e alle altre cose sante. Or bene, fin dal primo giorno in cui sentí tali lezioni… ritornato a casa disse decisamente: A questa scuola non vado piú, perché il maestro insegna ciò che non voglio imparare... 97 Come pure sanno di ricordi d‟infanzia i suggerimenti che darà ai parroci: Procuri di occupare nel servizio della Chiesa quei giovanetti che mostrano maggior divozione – scriveva a don Americo Guerra –… li adoperi nei servizi delle sacre funzioni... Sarà anche bene che promuova… l‟antica costumanza di fare altarini pei fanciulli: innocentissimo divertimento che occupa assai i loro pensieri e li dispone da piccoli ai servizi della Chiesa.98 L‟innocentissimo divertimento di fare altarini rimase ricordo vivo anche nella sorella: “I suoi divertimenti ordinari era fare altarini...”.99 Ormai vecchio tornerà con il pensiero ai ricordi dell‟infanzia ed alla paziente bontà di padre Angelico nell‟insegnargli l‟abc ed i primi latinucci per suggerire come andare incontro a quanti vorrebbero diventare sacerdoti e non possono perché privi di mezzi: Ho conosciuto molti sacerdoti, ora defunti, che già occuparono, e molti ne conosco di viventi, che occupano posti importanti nel clero, i quali se non avessero potuto studiare fuori dei Seminari, non avrebbero potuto aspirare al sacerdozio... Qualora un parroco trovi un giovinetto di buona indole… deve mirare a coltivarne lo spirito con impegno speciale... ammaestrarli bene nelle cose della Religione e di procurare che fossero istruiti nella grammatica latina…100 Il ricordo di padre Angelico? A padre Angelico fu dato anche l‟incarico di insegnargli il catechismo? quello antico, genuino, tutto distillato di vangelo, non il moderno dei giacobini, convertiti a metà, catechismo che si sarebbe dovuto insegnare per ordine di Napoleone, presente la spia che riferisse in alto se si fossero omesse o postillate certe domande e le relative Si ricava dalla deposizione del teste Giuseppe Chiola, che da giovane aveva frequentato il Frassinetti: “So che il Frassinetti cominciò i suoi studi sotto il tirocinio di certo Padre Angelico, francescano secolarizzato… Io lo avvicinavo per avere qualche saggio di eloquenza e di letteratura. Soleva lamentarsi dello scarso profitto di certi scolari, e mi pare che vi contrapponesse l‟esempio di altri tra i quali il Frassinetti”, POS.sV., p. 24. Essendo il Chiola nato il 4 febbraio 1849, non poté avere di simili interessi prima del 1863/1864, quindi il padre Angelico, già sacerdote, nel 1810, doveva esserlo da poco. Del padre Angelico parla pure il Fassiolo: “Primo suo maestro fu il P. Angelico che faceva scuola privata in tempo della soppressione”, Op. cit., pp. 15s. 97 G. FRASSINETTI, Esercizi spirituali pei giovinetti…, Genova 18654, pp. 97-98. 98 ID., Sulla deficienza delle vocazioni allo stato ecclesiastico – Lettera a don Americo Guerra, 1a ed., Lucca 1867, p. 19. 99 POS.sV, SA 2, p. 34. 100 G. FRASSINETTI, Sulla deficienza..., pp. 7-8 e 6-7. 41 96 risposte.101 Si sarebbe dovuto. Non tutti i furono fedeli esecutori degli ordini di un imperatore, immagine di Dio in terra, che teneva il Papa prigioniero, né mancavano genitori ed un padre Angelico che facessero ai bimbi l‟anti-indottrinamento. Il suo parroco, don Tagliafico,102 era in fama di Napoleonista, ma non è detto che seguisse in tutto il suo Napoleone. A Giuseppe Mazzini, il vicino di casa, mancò tale vaccinazione. Non l‟umile padre Angelico, ma un parroco che, perché suddito del Grande Imperatore Napoleone, si sentiva per conseguenza in dovere, come francese, di professare la dottrina della Chiesa Gallicana fino a non tollerare neppure per un momento che un solo sacerdote di dottrina contraria alle proposizioni della Chiesa gallicana sedesse ne confessarii della chiesa a lui affidata. Questo il parroco. Per educatori il Mazzini ebbe severi ed ardenti giansenisti, scelti tra quei santi dottori tanto apprezzati da una madre tutt‟orecchi agli insegnamenti d‟un Eustachio Degola, prete giansenista, gran nemico della corte di Roma.103 Ne completava l‟educazione la biblioteca paterna piena di scritti di Voltaire e Rousseau, i briseurs d‟idoles, e di vecchi giornali dell‟epoca rivoluzionaria e napoleonica. La sorella Antonietta attribuiva proprio a tali letture giovanili la perversione religiosa del fratello.104 Vuol dire tanto avere avuto o non avere avuto nella fanciullezza santi genitori ed essersi incontrati con un padre Angelico invece che con un don Giacomo De Gregori. Non siamo in grado di dire quando Giuseppe abbia ricevuto la prima comunione. Che vi si accostasse con grande devozione si arguisce , già vescovo di Savona.105 Conservò pure un‟immagine avuta dal padre neldalla cura con cui conservò tutta la vita una coroncina avuta in regalo. La cresima gli fu conferita alle Vigne il 9 aprile 1817 da Domenico Gentilela sua primissima infanzia e a noi giunta. Vi è una fanciulla in ginocchio, circondata da croci, racchiusa in un ovale cui fanno da cornice due rami di spine, con la scritta: Vous n‟avez pas encore résisté / jusqu‟à répandre votre sang.106 Nel retro, sotto una preghiera, anch‟essa in francese il Frassinetti, già parroco di Santa Sabina, scrisse: Dono primo del mio Padre / Giuseppe Frassinetti Priore. Fu conservata con tanta cura perché ricordo del padre, certo, ma anche per quel che rappresentava e quel che vi si leggeva. Chissà quante volte ne ripeté la preghiera scritta nel retro. Si direbbe che in essa abbia trovato la prima ispirazione di vedere in Gesú Cristo la sua regola di vita: In mezzo agli strumenti del vostro supplizio – vi si legge –, degnatevi, mio Dio, di gettare su di me uno sguardo di misericordia. Tra le prove d‟una vita travagliata, innalzerò ogni giorno a voi il mio cuore. Vegliate su di me dall‟alto del cielo, allontanate da me il nemico della mia salvezza… Divino Gesú, prostrato innanzi alla vostra Croce adorabile, io benedirò colui che mi ha riscattato a 101 Dalla Gazzetta, n. 65, 1807. Nelle parrocchie si faceva apprendere il catechismo napoleonico, avendo il cardinale mandato ai parroci copia dell‟autentica versione del Catechismo per tutte le Chiese dell‟Impero al quale dovevano attenersi per l‟istruzione del popolo. Cfr. La settimana religiosa, Genova, XXV(1895), n. 2, p. 16. 102 Tenne la parrocchia dal 1811 per oltre vent‟anni. Il 5 ottobre 1832 il Frassinetti gli indirizzò una lettera da Quinto. Era quindi ancora vivo. Cfr. La settimana religiosa, Genova, I (1871), n. 35, p. 298. 103 Cfr. E. GUGLIELMINO, Genova dal 1814 al 1849, Genova 1940, p. 20, n. 3. 104 G. OLMI, Autobiografia, Genova, 1907, pp. 73s. 105 Trascorreva a Genova gli anni della vecchiaia. Nel rapporto di polizia al governo sardo, mons. Gentile, d‟anni 82, è posto tra i “Soggetti per le gran Croci” che si sarebbero dovute conferire per cattivarsi la simpatia dei genovesi divenuti sudditi del monarca piemontese, V. VITALE, Op. cit., p. 434. Morí quasi novantenne il 27 marzo 1822, cfr. La settimana religiosa (XXVII), Genova 1897, p. 412. 106 Parole prese dalla Lettera agli Ebrei, 12,4. 42 prezzo del suo sangue prezioso… O mio Salvatore, che siete stato crocifisso per me, io voglio sempre riporre la mia felicità e la mia gloria nell‟imitarvi e rassomigliarvi.107 C‟è il condensato della sua spiritualità come l‟espose nel Religioso al secolo gli ultimi anni della vita, avvalorandola con l‟autorità d‟un santo, nel caso, di san Giovanni della Croce.108 Non avete resistito fino a versare il sangue, dovette essere il suo ritornello quotidiano quando le mani piagate di geloni gli impedivano di scrivere o ostilità e prevenzioni gli rendevano l‟aria di Genova irrespirabile. Non crederei bene di lasciare la mia Parrocchia e altre opere che ho alle mani per sottrarmi a quella specie di persecuzione che non sono solo io a soffrire – rispondeva al vescovo di Albenga che lo invitava a passare nella sua diocesi –. Tuttavia, se questa specie di persecuzione si facesse tale da impedirmi veramente di fare quel poco di bene che posso, io ringrazio la Divina Provvidenza che abbia ispirato a V. S. Illma e Revma quei sensi cosí benevoli a mio riguardo.109 Non aveva resistito fino al sangue, poteva durare, e durò il resto della vita. Di “Pippo” frate Angelico era contento. Era di quelli che s‟additano ad esempio e lasciano nel maestro un ricordo che non si cancella. Appassionato dello studio, tutto casa e chiesa, e passeggiate fuori porta le domeniche e dí di festa insieme ai genitori, i fratellini e la sorellina. Un peccato metterlo in bottega, deve aver ripetuto padre Angelico chissà quante volte a mo‟ di ritornello. La sua inclinazione allo studio per farsi sacerdote era evidente. Andava quindi assecondata. Gli aveva insegnato quanto sapeva. Per la “rettorica”, la filosofia e la teologia occorreva il seminario.110 Le difficoltà avanzate dal padre per poterlo mandare in seminario dovettero essere rimaste negli orecchi del ragazzo: Certi poveri padri… non possono assolutamente pagare neanche la pensione assai modica; né possono sobbarcarsi alla spesa notevole degli abiti che si richiedono per l‟uniforme... e di altri abiti per quando ritornano alle loro famiglie.111 AF. I puntini sono nell‟originale. G. FRASSINETTI, Il religioso al secolo, Genova 1864, pp. 12s. 109 AF, Manoscritti, vol. 9. 110 L‟Olivari ed il Capurro, anticipano di due anni la scelta del seminario facendoglielo frequentare fin dal corso di umanità, qualcosa come il nostro vecchio ginnasio superiore, ma ad entrambi è sfuggito ciò che il Frassinetti attesta di se stesso parlando del seminario genovese: “Io non posso parlare dei secoli trascorsi; ma posso parlare dall‟anno 1820 [= 1819-1820], nel quale sono andato nelle scuole del Seminario per studiarvi Rettorica”. G. FRASSINETTI, Sulla deficienza..., 2a ed. postuma con note dell‟Autore, Oneglia 1870, nota b) p. 35. Resta quindi accertato che non frequentò le scuole del seminario prima di tale data. Non siamo in grado di dire con chi abbia svolto privatamente il corso di grammatica prima e seconda, detti pure grammatichetta e grammatica, corsi aggiunti nel seminario solo nel 1818, troppo tardi quindi perché ne avesse potuto beneficiare, né con chi i corsi di umanità minore e maggiore prima di accedere alla scuola di “Rettorica”. Tutto con padre Angelico? Passò da altri? Tenne il Rebuffo anche scuola privata di umanità ed ebbe alunno il Frassinetti? Non se ne ha memoria. Il silenzio del Fassiolo fa pensare che padre Angelico, l‟unico ricordato da lui e da altri, lo abbia accompagnato dall‟abc fino alla scuola di retorica. 111 Ivi. La pensione annua in seminario, compresa la scuola, ma non le altre spese, era di £. 500. Una cifra enorme per la famiglia Frassinetti. Quattro figli in seminario, sarebbe salita a £.2.000! Per il Gianelli, benché accolto a metà retta, il padre dovette vendere delle proprietà. Salvatore Magnasco, il futuro arcivescovo di Genova, avrebbe dovuto smettere gli studi se a suo favore non fosse intervenuto il Gianelli, A. GIANELLI, Lettere, Op. cit., vol. I, p. 5. Gli alunni esterni – è il caso dei Frassinetti – dovevano pagare solo il “Minervale” per la scuola consistente in 20 lire genovesi portate poi a 25 (rispettivamente franchi 16 e 20), sempre annui. Per farsi un‟idea della enormità della spesa, riporto gli stipendi annui del 1811-1812 dal “Registro Amministrativo” del Seminario di Genova: Medico per suo onorario £. 50, Chirurgo £. 55, Maestro di canto £. 100, Portinaio £. 96, Cuoco £. 144 – il nonno del Frassinetti, 43 107 108 Non sempre poi un fanciullo trovava in seminario una pietà piú calda di quella respirata a casa sua.112 Una soluzione c‟era: mandarlo in seminario come esterno. Un sacrificio non proibitivo. Fu la scelta migliore anche per un altro motivo che il padre Angelico si sarà tenuto per sé. In quegli anni di sconquasso il seminario genovese aveva un internato in piena decadenza. Sarà riportato su, e a grande splendore, dal Cattaneo.113 Oltre a queste ragioni ci dovette essere anche un‟altra che si può arguire dalle date: il giovane Frassinetti si iscrisse a “Rettorica”, nell‟autunno del 1819. All‟inizio dell‟anno gli era morta la mamma, lui, il primo, quattordici anni, Raffaellino, l‟ultimo, sei, il padre in bottega, la zia corri di qua e corri di là, la nonna settantenne – morrà il 30 maggio dell‟anno dopo –, entrato convittore, chi avrebbe dato un sguardo ai tre fratelli minori ed alla sorellina di dieci anni? Una scelta dettata dalle contingenze, ma che era nei disegni di Dio: educarlo al servizio pastorale offrendogli come tirocinio l‟educazione dei fratelli e della sorella, in aggiunta a quella del suo primo maestro, uno che viveva frate nel secolo perché impedito di vivere frate in convento, vita che egli stesso ed i suoi vissero in quella casaconvento. Se ne ricorderà da parroco, quando si incontrerà con giovani e ragazze che avrebbero abbracciato con gioia la vita religiosa se non ne fossero stati impediti chi da una ragione chi da un‟altra. Ripensando quei tempi, scoprirà che i consigli evangelici si possono vivere anche nel mondo, e persino in forma piú piena. Se per entrare in convento erano mille le difficoltà, non ve n‟erano per vivere religioso al secolo o monaca in casa.114 anch‟egli cuoco, con una cifra piú o meno identica, dovette camparci una numerosa famiglia! –. Sottocuoco £. 96. La stessa cifra ai camerieri. All‟uomo grosso £. 36! Ai professori – il ruolo del Gianelli – £. 300, ACGSG, Notizie storiche raccolte negli archivi..., primo periodo, pp. 75-77. Per i complessi creati dall‟uniforme nell‟animo degli adolescenti si confronti il romanzo di G. RUFFINI, Lorenzo Benoni, versione italiana di B. MAFFI, Milano 1952, pp. 19.101. Il Collegio Reale, tenuto dai somaschi, se lo potevano permettere solo i ricchi. Eppure, benché ricco, l‟avvocato Bernardo Ruffini, all‟uscire del figlio dal collegio, non se la sentí di fargli un secondo abito borghese. Nei giorni feriali andava bene l‟uniforme del collegio un po‟ arrangiata. 112 Fa osservare che tanti genitori, Vedendo che la pensione ecclesiastica è assai minore di quella di tutti i collegi secolari, preferiscono di mandarli in Seminario, qualunque sia la vocazione dei loro figliuoli... [perciò i seminari] sono tosto pieni di alunni di ogni vocazione, anche secolaresca. G. FRASSINETTI, Sulla deficienza..., p. 35. 113 Nel 1854 il nuovo vescovo, lo Charvaz , cosí poco addentro alle cose di Genova, tolse la possibilità di essere seminarista esterno. Cosa criticata dal Frassinetti: “Nella nostra diocesi, da due secoli che conta il nostro Seminario fino ad alcuni anni sono, non si erano giammai costretti i chierici ad entrarvi… Io… posso parlare dall‟anno 1820, nel quale sono andato nelle scuole del Seminario per studiarvi Rettorica, fino al 1854, epoca del cambiamento… Non temo asserire che in questi trentaquattro anni, come riuscivano buoni preti certi alunni del Seminario, riuscivano buoni preti tanti altri che soltanto ne frequentavano le scuole… anzi non temo asserire, parlo ai viventi, ai contemporanei i quali potrebbero dare una smentita, che la gran parte dei piú cospicui del clero, non fu dei convittori del Seminario”, G. FRASSINETTI, Sulla deficienza..., pp. 34s. Si confronti pure P. TACCHINI, Sopra i documenti inseriti nella “Notizia biografica volgarizzata di mons. Andrea Charvaz” – Nuove osservazioni al can. Enrico Jorioz, Genova 1872, pp. 53-61, in cui si difende l‟antica usanza. Il Frassinetti cercò di porvi rimedio dando inizio all‟Opera dei Figli di S. Maria Immacolata. 114 Sono i titoli di due suoi libretti. 44 CAPITOLO IX EDUCANDO I FRATELLI EDUCAVA SE STESSO Nelle famiglie numerose al primo figlio si dava di piú ed il meglio col patto tacito che poi aiutasse a tirare su i piú piccoli. La prima cosa che si apprendeva era che ci sono anche gli altri, cominciando dal vestitino nuovo fatto al primo da conservare nuovo fino a quando non gli sarebbe piú andato, per passarlo nuovo al secondo e questi al terzo, finché non arrivava all‟ultimo rivoltato dalla madre,115 logoro sí, ma arricchito di calore. Cosí i libri. Fu cosí anche in casa Frassinetti. In tali famiglie l‟ascendente del primo è enorme. Credete ad uno nato undicesimo. Si vede in lui un quasi padre, e tale si sente. Giuseppe, primogenito, si trovò ad essere studente e maestro dei fratelli. Aggiungasi che era la persona istruita di casa e per tale tenuto in considerazione anche dal padre. Quattro fratelli ed una sola sorella. Tra il primo e l‟ultimo poco piú di otto anni di differenza. Paola in mezzo. Di mandarla a scuola neppure a parlarne. Del resto, all‟epoca la scuola per le fanciulle, ben distinta da quella per i maschietti, consisteva per lo piú nell‟apprendimento del catechismo, lavori di ricamo e quant‟altro occorreva per condurre la famiglia una volta sposate. A leggere si insegnava a chi proprio lo richiedeva, e non si andava oltre il manuale di pietà e le 115 E. VASSALLO, Memorie intorno..., Op. cit., p. 11. 45 storie dei santi. Lo scrivere lusso di poche.116 Un‟educazione ordinata alla vita che le aspettava. Non c‟erano moduli da riempire, non code agli uffici, né da scrivere al figlio soldato o parenti lontani, sconosciute com‟erano emigrazione e coscrizione obbligatoria, eccettuata la parentesi napoleonica. Non per questo erano ignoranti come si potrebbe credere. Ciò che non apprendevano con gli occhi, l‟apprendevano con gli orecchi. Paola a casa è tutt‟orecchi ai discorsi dei quattro fratelli che studiano. Sui loro libri, e con un po‟ d‟aiuto or di questo ed or di quello, impara a leggere e a scrivere e, soprattutto, non perde una parola delle loro dispute… d‟alta teologia. Le biografe raccontano: Ma se la nostra Fondatrice non ricevette veruna cultura letteraria, ebbe però agio d‟acquistare molte utili cognizioni ascoltando nel suo modesto silenzio le conversazioni che avevano luogo ogni giorno a tavola tra il padre e i fratelli, specialmente Giuseppe, il quale tutto immerso nei suoi studi prediletti… portava quasi sempre il discorso sopra argomenti sacri di dommatica, di morale e simili. “Io – raccontava la Madre –, sola donna, in mezzo a cinque uomini, nei discorsi dei quali non mi era facile entrare: me ne stavo dunque zitta ed ascoltavo con piacere ciò che dicevano, particolarmente mio padre e il fratello maggiore; ed è cosí che ho imparato tante cose che non avrei mai potuto sapere”.117 Fratello maggiore e maestro con tanto di abilitazione ad insegnare conferitagli dal suo . Il “Lettore di Rettorica” come allora si diceva, usava dettare ai suoi alunni un Ristretto di Precetti Rettorici. Piú che regole per ben comporre, un trattato di metodologia arricchito di consigli di come formarsi una buona cultura a cui attingere per il ministero della parola e di come porgerla ai fedeli. Il nostro professorino non poté non aguzzare l‟orecchio nel sentirsi dettare: Mi lusingo di non andar ingannato [affermando] che l‟insegnare è un mezzo de‟ piú acconci a perfezionarci in qualunque arte o mestiere. Non potendo insegnare bene agli altri quello che ignoriamo noi stessi, o che bene non intendiamo... Delle cose onde io vi vado istruendo, la piú gran parte la devo a voi... Non è sempre necessaria una cattedra: co‟ parenti, cogli amici e co‟ poveri potete avere ben mille occasioni di esercitarvi non meno con vostro che con loro vantaggio.118 A Giuseppe la sorte gli aveva offerto nella sorella e nei fratelli la sua scolaresca per potersi esercitare con suo e loro vantaggio. Che Paola fosse la sola donna in una casa di cinque uomini non è vero. Morta la madre, ancora per un anno e mezzo visse con loro nonna paterna e, fino al 15 aprile 1826 la zia Anna. Dal 1812 ebbero sempre una persona di servizio. È credibile invece che fosse la sola delle donne di casa che si interessasse ai discorsi dei cinque uomini. Per le altre erano discorsi d‟uomini, privi d‟interesse per una donna. L‟esempio del Signore che aveva fatto discepole d‟alta teologia la Samaritana e Maria di Betania119 non era tra i piú additati all‟imitazione nelle prediche domenicali. Che Paola a tavola stesse zitta ad ascoltare è credibile, ma che, uscito il padre, non ponesse domande, ne dubito. All‟occorrenza non le mancava la rispostina con un tantinello di impertinenza. Anziana, la rievocava compiaciuta alle sue suore: Un‟idea di cosa si insegnava alle fanciulle dalle Maestre Pie della Venerini in Avvertimento preliminar degli Esercizi che si praticano in Viterbo..., Roma 1718. 117 E. VASSALLO, Memorie intorno..., Op. cit., p. 11. Se ne ha una conferma in una lettera del fratello Raffaele: “Non fu mai mandata a scuola, né a maestra; il padre e qualche poco i fratelli le insegnarono a leggere e a scrivere. “ ACGSD, Roma. 118 A. GIANELLI, Ristretto dei Precetti Rettorici, p. 53. Manoscritto, ACGSG. 119 Gv 4,5-29; Lc 10,38-42. 46 116 Chiestole un giorno dal fratello maggiore perché si alzasse cosí di buon‟ora… si ebbe in graziosa risposta: “E non rammenti tu come solamente quelli che prevenivano il levar del sole raccoglievano la manna?”.120 Risposta che fa anche da spia dei discorsi che il fratello teneva in casa. Paola ed i fratelli vogliono sapere e capire. Che faticaccia far capire le parole difficili dei suoi testi latini e le non meno difficili dell‟italiano tutto leccato che s‟usava a scuola come voleva lo stile dell‟epoca. Ripetere a scuola quello che andava studiando non gli costava gran che: la lingua con cui gli insegnavano era quella con cui le riesponeva. Un linguaggio tecnico, da iniziati, di preferenza latino. Linguaggio di cui quella sorellina di purissima lingua genovese, sestiere Portoria, non comprendeva parola. Non era pane per denti di donne. La zia e la nonna avranno anche mugugnato che se ne stesse lí incantata invece che aiutarle a sfaccendare. Anche gli apostoli si meravigliarono di Gesú che parlava di cose altissime con una donna, la Samaritana, e Marta mugugnò forte contro quella sua sorella Maria che, invece d‟aiutarla, se ne stava beatamente seduta ai piedi del Signore.121 Ma avevano tanta fame delle cose di Dio! Ed ecco il fratello a tradurre il suo latino in un italiano latinoso del pari incomprensibile, ed infine in un italiano da sembrare quasi genovese, e non solo per la cadenza. Un vocabolario ridotto alle parole d‟uso comune. Elementare. Nessun barocchismo. Via tutti i per se, i per accidens e i secundum quid. Non comprendono ancora, e lui a limare e limare finché il concetto si è fatto chiaro e persuasivo, senza nulla perdere della ricchezza di contenuto del testo latino. Non ne ha consapevolezza, ma quei fratelli lo costringono a rendere chiaro a se stesso quello che va studiando e riesporlo con il tono con cui si conversa in casa. Cosí Iddio andava addestrando quel suo ricostruttore fornendolo di quel linguaggio semplice chiaro e penetrante che gli riempirà la chiesa di fedeli e farà andare a ruba i suoi libri. Un italiano che pareva un po‟ sciatto, persino al suo vecchio professore di lettere, ormai vescovo a Bobbio, e gli raccomandava: “Vi pregherei ad aver pazienza nello scriverla la storia ecclesiastica onde limarla un poco piú”.122 Ed al canonico Cattaneo, come fosse ancora in cattedra a correggere i loro temi, mette a raffronto lo stile un po‟ sciatto del Frassinetti con quello leccato del Barabino: Mi compiaccio che avremo in Barabino uno scrittore di cose purgatissime; ma bisogna fargli trattare argomenti che le vogliano... voi che comandate direi faceste in modo che Barabino si tenesse piú alla semplicità e candidezza del Frassinetti… e il Frassinetti ritoccasse e ripurgasse un po‟ meglio le sue; oppure (e sarà la piú sicura) che Barabino rivada ritoccandole.123 È il vecchio insegnante che parla. Cattaneo, Barabino e Frassinetti erano stati suoi alunni. Ad un secolo e mezzo di distanza, il Frassinetti si legge come avesse scritto ieri, quei che all‟epoca godevano fama di buona penna e forbita eloquenza si riescono a leggere solo se vi si è condannati per motivo di studio.124 120 E. VASSALLO, Memorie intorno..., p. 11. Gv 4,27; Lc 10,42. 122 A. GIANELLI, Lettere, vol. 5, Roma 1978, p. 7, n. 1035. Gli originali citati in questo capitolo si custodiscono nell‟AF. 123 A. GIANELLI, Op. cit., vol. IV, pp. 23-24.26. La storia ecclesiastica, a noi pervenuta e conservata nell‟AF, Manoscritti, vol. 2, cm 21x31, pp. 739. Non portata a termine. 124Un esempio dall‟elogio funebre che gli tenne il can. Filippo Poggi, suo compagno di studi ed oratore di buona fama: “Se dopo la sentenza al peccatore Adamo intimata, inevitabil divenne la dura necessità del morire, cotalché né gagliardia di complessione, né splendore di natali, né copia di ricchezze, né eccellenza di ingegno, né vastità di sapere, né finalmente la stessa santità di costumi siano valevoli od a sospendere il decreto, o ad indugiarne l‟esecuzione; d‟onde vien mai, Ascoltatori prestantissimi, che nella morte di un uomo per virtú e dottrina ragguardevole, tanti gemiti ascoltinsi e tanti sospiri, e tante si levino al cielo affannose querele?”, F. POGGI, Della 47 121 Spesso le delusioni sono salutari. In quel primo anno di “Rettorica” il suo Gianelli gli aveva assicurato la corona per il bel versificare latino. A quindici anni un‟alcaica! L‟ode latina gli fu pubblicata, ma la corona andò ad un altro. Non sempre nell‟aggiudicare i premi il consiglio dei professori guarda il merito ignorando di chi uno sia figlio, ed il Gianelli non aveva potuto insistere. Giuseppe ha capito che il riconoscimento che conta è quello di lassú. Continuerà a studiare difficile, ma per ridonare ad altri in forme facili quel che va man mano conoscendo, pago di dare maggior gusto a Dio, per usare un‟espressione a lui cara. Solo se i concetti sono chiari, si può esporli con parole semplici e naturali. Ma quanto san Tommaso, quanto pensiero dei padri, quanta conoscenza dei grandi teologi e del magistero della Chiesa, a tacere della Scrittura, si intravede in quel suo dire colloquiale se si ha una qualche dimestichezza con i testi dei grandi! Ne è prova la larga citazione di fonti in una lettera al vescovo per giustificare un suo scritto. C‟è gente che non avverte l‟aria se non l‟investe il vento. Veicolo alla fede è la parola,125 ma come si può percepire se essa suona incomprensibile all‟orecchio? Suono che si perde nell‟aria. In Paolo si legge che se la tromba dà suono confuso, il soldato non sa entrare in battaglia.126 Il Frassinetti, aiutando i fratelli, ha scoperto che agli altri non sempre è chiaro quello che a noi è chiarissimo. Parroco non presumerà che tutti gli uditori capiscano l‟italiano fiorito ed artificioso di moda sui pulpiti. Sa che un buon numero di genovesi comprende bene solo il genovese, perciò la domenica pomeriggio farà i suoi catechismi in genovese,127 nel genovese delle erbivendole, sceneggiandoli: lui, il maestro, il fratello don Giovanni, l‟ignorante. La natura burbera di Giovanni rendeva convincente la parte dello zoticone duro a capire.128 Sparsa che se ne fu la voce, Santa Sabina rigurgitò di gente d‟ogni parrocchia. Si sarebbe fermata lí l‟intero pomeriggio a sentirlo, se il Priore non si fosse ostinato a non oltrepassare mai la mezz‟ora! A far propaganda di casa in casa pensava un cappuccino frate cercatore, il “Padre Santo”, che lo ha preceduto sugli altari: “Avete un parroco a S. Sabina, che è la perla dei sacerdoti. Spiega il catechismo che è un amore. Lo farebbe capire anche agli scemi”.129 Tra gli uditori anche un bimbo aristocratico accompagnato dalla nonna, Giovan Battista Lemoyne, futuro biografo di Don Bosco, che ne serberà memoria fino alla tarda vecchiaia.130 La dote di esprimere le verità piú alte in un linguaggio semplice e piano, comprensibile anche ai fanciulli ed anche agli scemi, come desiderava il Gianelli, risale, ne sono convinto, al tirocinio fatto in casa per comunicare ai fratelli ed alla sorella quello che andava scoprendo di Dio. In quegli anni fu a casa, piú che a scuola, che apprese a parlare e a scrivere con un linguaggio comprensibile persino ai tabani, agli idioti e agli scemi, essendo anch‟essi chiamati a salvezza. vita e degli scritti di Giuseppe Frassinetti… – Discorso nelle solenni rinnovate esequie il dí 14 febbraio 1868. V‟è una bella raccolta di perle. Ci fa incontrare anche con il sofo di Konisberga! 125 Rm 10,17. 126 1 Cor 14,8s 127 “Il parlare piú che è possibile in dialetto è cosa di molta utilità, perché le persone idiote [nel senso di prive di cultura] l‟intendono assai meglio che la lingua colta cui non sono accostumate”, G. FRASSINETTI, Manuale del parroco novello, p. 96. “Al dopo pranzo spiegava il catechismo serbando l‟uso di Genova, facendo cioè il dialogo in dialetto... in modo fervoroso e pratico”, depose la teste Luigia Cosso, che da giovanetta era stata una sua penitente, Process.. super fama sanct., f. 956. 128 Anche lui fece gemere i torchi degli stampatori, come pure l‟altro fratello Raffaele. 129 TEODOSIO DA VOLTRI, S. Francesco Maria da Caporosso, Roma 1962, p. 185. 130 Cfr. M. FALASCA in “Risonanze” 3(1990) pp. 9-12. 48 Abbiamo fermato l‟attenzione maggiore sulla sorellina avendone testimonianza. Ma come lei, e con lei, non saranno stati da meno i tre fratelli minori, ai quali, se non fece una scuola vera e propria come a lui il padre Angelico, anche se non si può escludere, fece certo da ripetitore. Questo lavoro con la sorella gli fa scoprire inoltre fin dalla prima giovinezza quanto vale una donna e cosa una donna è capace di fare, se si innamora di Dio. CAPITOLO X COME A CASSICIACO UNA CASA CONVENTO Chiedo venia al lettore se, entrando in casa Frassinetti, mi abbandono un po‟ al sogno e mi faccio relatore di come penso in essa si vivesse. Fantasie? Sí, ma con forte aggancio alla realtà. Il Frassinetti è uno che vive il suo vissuto. Il manuale del parroco novello dove fa il ritratto di come deve essere un parroco, lo scrive con alle spalle trentadue anni di parrocato. È un trattato, o una autobiografia? Le dissertazioni e note nel Compendio della Teologia Morale di S. Alfonso, le scrive dopo trent‟otto anni di lunghe e quotidiane sedute di confessionale. Elucubrazioni di uno studioso o esperienza di infinite ore passate in confessionale? Cosí penso l‟origine di alcuni libri di spiritualità: scrisse ciò che in quella casa convento si era vissuto. Le parole che riporto sono prese alla virgola dalle sue pubblicazioni, sostituendo al nome di suoi personaggi fittizi, il nome suo, della sorella o di uno dei suoi fratelli. Me lo suggeriscono le tante dispute di teologia rievocate da Paola, di cui si è detto nel capitolo precedente Di che cosa disputavano quei “cinque uomini”, seguiti con interesse da una fanciulla? La mente va a Cassiciaco. Sono bimbi che sembrano aver scoperto un gioco che può chiamarsi: “A Cassiciaco”, senza sapere nulla di Agostino e di quei che si erano ritirati con lui in una villa lungi dal tumulto di Milano: “Partii per la villa con tutti i miei. Che lavoro letterario vi svolgessi… lo attestano i libri che composi disputando con quei che erano con me...”.131. Sono “dispute” d‟una 131 AGOSTINO, Confessioni, libro IX,4,1. 49 brigata di parenti ed amici che trascorreva il tempo in discussioni di filosofia ripensata alla luce di Cristo, a recitare salmi, a commentare Virgilio, a leggere il vangelo di Giovanni o le lettere di Paolo. Isaia no, anche se consigliato da sant‟Ambrogio. Erano conversazioni aperte all‟intervento di tutti, anche del “fanciullo” Adeodato, il figlio di Agostino, di soli quindici anni, ma d‟ingegno da stupire gli adulti ed impensierire il padre. Monnica,132 la madre d‟Agostino, donna di fede virile, senile gravità, cristiana pietà e materna carità, governava la casa e, tra uno sfaccendare e l‟altro, si fermava ad ascoltare e diceva la sua. Non aveva certo la cultura di quelle sante donne romane amiche di Girolamo, eppure, il figlio le dà atto di far centro penetrando la roccaforte della sapienza. Confessioni, De vita beata... nomi all‟epoca mai uditi in casa Frassinetti. Eppure c‟è tanta rassomiglianza con il modo in cui penso vi si vivesse. Peccato che i fratelli Frassinetti non pensassero di fissare sulla carta i vari interventi stenografandoli come si faceva a Cassiciaco. Sarebbe stata una lettura interessantissima ed anche spassosa. Vi avremmo trovato argomenti… di alta teologia con interruzioni del tipo di quello di Paola, forte dell‟esempio degli ebrei, già ricordato, dando anche lei ai fratelli l‟impressione d‟avere accanto un uomo famoso e non una fanciulla, come già Teresa la Grande: “Me habíais engañado... diciéndome que... es una mujer; a fe mía, que es un hombre y de los más dignos de llevar barba”.133 Riavvicinamenti cervellotici? Certo, ma mi son venuti. Una pretesa, la mia, di farmi un‟idea delle dispute di quei fanciulli partendo da Agostino, meno scusabile di quella del Titiro virgiliano che, con processo inverso, aveva creduto potersi fare un‟idea di Roma ingigantendo il suo villaggio.134 Non una ricezione silenziosa e passiva in quei fanciulli, ma partecipazione attiva. L‟episodio di Giuseppe, che dice a Paola che non c‟è bisogno d‟alzarsi cosí presto per andare a messa, lo troviamo rielaborato dal fratello ne La forza d‟un libretto. Racconta il vissuto facendo uso della variatio a lui ben nota.135 Iersera – fa dire a Virginia – chiesi licenza a mamma di andarmi a confessare, e me l‟ha accordata. Si mostrò per altro sorpresa… da tanta devozione: prima, mi disse, vi andavi appena ogni tre o quattro mesi: adesso, non ancora passato un mese 136… va pure, vi ti accompagnerà la zia. La chiamò tosto, e le disse che osservasse bene di non farmi alzare troppo presto. Siccome non mi assegnò l‟ora, credetti che non fosse troppo presto alzarmi alle cinque… andai cheta cheta alla stanza della zia, che già era in ginocchio recitando le sue orazioni… Cosí presto Virginia? se la mamma se ne avvede, griderà forte. Si metta il velo, risposi; non mi pare troppo presto; tuttavia facciamo zitto per non disturbare chi dorme...137 Una spia sui colloqui che si tenevano in casa Frassinetti. Incluso il lei ai genitori. Basta una semplice sostituzione di personaggi: Il problema delle ragazze era da chi farsi accompagnare. Depone una teste: “[Paola] soleva nelle mattine andare spesso alla Messa accompagnata dalla 132 È la grafia sostenuta dal patrologo padre Antonio Casamassa e adottata, sulla sua grande autorità, da G. PAPINI, S. Agostino, Firenze 19636, p. 282. 133 “Mi avevate ingannato... dicendomi che... è una donna; in fede mia, è un uomo, e di quelli piú degni di portar barba”. Juan de Salinas, cosí prevenuto riguardo alle donne, al Bañez, SILVERIO DE S. TERESA, Vida de S. Teresa de Jesús, t. II, Burgos 1935, p. 505. 134 VIRGILIO, Ecloga I, 19-25. 135 In un tema in versi sulla morte di Temistocle, lo fa morire di spada, invece che di veleno. Se ne giustifica in nota: “Per poetica licenza si finge che non col veleno, come scrivono certi storici, ma col ferro si sia ucciso; si dirà che sia licenza presa a spese della storia, ed io nol niego”. G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. 19, p. 594, in AF. 136 Si noti nella risposta il “lei” ai genitori come s‟usava in casa Frassinetti. 137 G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto,… pp. 76-77. Piú giú la citazione completa. 50 persona di servizio o dalla zia: certo che da sola non la mandavano”.138 O dai fratelli: “Alla mattina per tempo – scrive Giovanni –, o colla domestica o con taluno di noi in chiesa a far le sue devozioni, anche nei giorni feriali”.139 Anche il dire le preghiere in ginocchio doveva essere un‟usanza di casa Frassinetti. Quando il Frassinetti cominciò a pubblicare quei libretti di spiritualità indirizzati ai giovani ed alla gente semplice per persuaderli che si è tutti chiamati alla santità, non faceva che mettere per iscritto le argomentazioni che avevano tanto interessato i fratelli e la sorella. Prendiamo in esame quattro pubblicazioni tra le prime date alla luce. Vi possiamo cogliere con molta verosimiglianza il tenore di quelle loro dispute di alta teologia. La santa verginità.140 Vi si presenta la verginità in modo semplice e piano, come virtú amabile di per se stessa e presupposto per esercitare con maggior dedizione le opere di religione e di carità. Vi si sciolgono le difficoltà che le ragazze dei vari ceti potevano addurre. I conventi non sono essenziali, anche se sono gli asili piú nobili e sicuri della S. Verginità, purché non vi sia entrata la rilassatezza, giacché il chiudersi con compagne dissipate e inosservanti della regola porterebbe molte inquietudini di spirito, per le quali si potrebbe desiderare di essere rimasti nel secolo.141 La forza d‟un libretto, dialoghetti.142 Una ragazza ha trovato un esemplare mal ridotto de La Santa Verginità, privo di alcuni paragrafi all‟inizio e alla fine, e ne è rimasta cosí presa da parteciparne la lettura ad un‟amica. Sotto forma di dialogo viene sbriciolata la sostanza della prima pubblicazione che, per quanto esposta in forma piana ed elementare, aveva pur sempre qualcosa del trattato. Questo libretto ci dà piú o meno il tono delle conversazioni in casa Frassinetti e degli argomenti trattati, non solo, ma anche dei risultati: la scelta della vita consacrata da parte di tutti e cinque i fratelli ed il loro prodigarsi per innamorarne gli altri. Compendio della Teologia Dogmatica.143 Lo scopo che mi prefiggo in questo Compendio di Teologia Dogmatica è quello di mettere nelle mani dei Chierici, i quali la insegnano ai fanciulli, una breve ma distinta esposizione della verità di nostra SS. Religione; affinché anche prima d‟avere studiato tutti i Trattati Teologici possano evitare quelli errori, nei quali cadono, quasi necessariamente, parlando di certi dogmi sopra i quali non hanno ancora fatto alcuno studio... Scrivo questo compendio in italiano, perché vorrei che fosse utile anche alle persone secolari....144 A differenza dei catechismi della nostra infanzia, non è il maestro che pone la domanda al discepolo, ma è il discepolo che la pone al maestro per soddisfare il suo desiderio di conoscere le 138 POS.P., p. 40. Lettera di Giovanni Frassinetti alla madre [Vassallo?], 20 giugno 1882. ACGSD. 140 G. FRASSINETTI, La santa verginità, Genova 1841. Un successo enorme, molte le ristampe, anche a cura di Don Bosco. Dalla seconda edizione uscí con il nome dell‟Autore ed il titolo mutato in: La gemma delle fanciulle cristiane, ossia la santa verginità. L‟ediz. del 1924, a 83 anni dalla prima, era la trentesima di quelle conosciute! 141 Il passo è citato dalla prima edizione, pp. 53-59. Nelle successive lo troviamo mitigato: perché è cosa piena di pericolo rinchiudersi con compagne svagate e inosservanti delle regole del proprio istituto. Aveva suscitato ammirazione in qualche pio lettore? 142 ID., La forza di un libretto, dialoghetti, Genova 1841. 143 ID., Compendio della Teologia Dogmatica, Genova 1842, p. 239. Nelle edizioni successive il titolo fu mutato nel piú modesto Catechismo dogmatico. Ebbe molte edizioni e ristampe. Il card. Manning lo fece tradurre in inglese e lo presentò lui al pubblico: A Dogmatic Catechism… With a Preface by… the Archbishop of Westminster – Enrico Edoardo Manning non ancora cardinale –, London 1872[1871]. 144 Prefazione. 51 139 cose di Dio. Una catechesi attiva. Se il Frassinetti non ne ha il merito dell‟invenzione, trovandosi già in san Roberto Bellarmino145 ha quello della scelta e della semplificazione del linguaggio.146 Tenuto conto della destinazione, viene da pensare che il primo abbozzo debba risalire a quando, ancora chierico, andava a fare catechismo e si intratteneva in casa su gli stessi argomenti per risolvere le questioni dei fratelli e della sorella – debbono essere questi gli argomenti sacri di dommatica, di morale e simili nei ricordi di Paola – ed un avviarli all‟apostolato catechetico. Questa la ragione di averlo steso in italiano per prevenire l‟accusa d‟aver offeso la dignità dell‟argomento. Il conforto dell‟anima divota.147 Un classico della spiritualità, ristampato infinite volte e tradotto in varie lingue.148 Nei primi capitoli di quest‟opera mi pare di scorgere uno dei temi piú dibattuti nelle dispute dei nostri teologi in erba: Chi sono i santi? Dalle prediche udite in chiesa si sarebbero detti degli esseri privilegiatissimi che Dio fa nascere di tanto in tanto per dimostrare tutta la sua potenza facendoli vivere in modo inimitabile: estasi, profezie, continui prodigi, penitenze spaventose. Persone non di questa terra, né della comune dei mortali. Senza miracoli e assenza d‟ogni umana miseria verrebbe quasi da dire che il desiderio di divenire santo debba per forza risolversi in una non medicabile tristezza, peggio, in una fonte di scrupoli che cambiano la vita in un inferno. Lo stato dell‟uomo sub lege, per dirla con sant‟Agostino, in cui si vede il bene e non si riesce a farlo, e non sub gratia, che fa possibile l‟impossibile. Ma se Dio pone in noi un vivo desiderio di santità, è chiaro che anche noi siamo chiamati a divenire santi. Dio non inizia un‟opera, se non per portarla a termine.149 A quei dibattiti deve risalire il primo enuclearsi di risposte del Conforto dell‟anima divota. Ne trascrivo il testo in forma di dialogo. Le parole attribuite a Giuseppe sono riportate alla lettera, mio il supporle dette in risposta a domande fattegli dai fratelli e dalla sorella. GIUSEPPE: – La santità cristiana consiste nella carità, cioè nell‟adempimento della volontà divina; sicché un‟anima che eseguisce la divina volontà è un‟anima santa... I FRATELLI E LA SORELLA: – Vale per tutti? anche per me? anche per zia? GIUSEPPE: – Se procura di eseguire il volere di Dio, è santa, e quanto piú s‟impegna ad eseguirlo con perfezione, tanto è maggiormente santa. PAOLA: – Cosa si richiede per adempire il santo volere di Dio? GIUSEPPE: – Niente piú, niente meno che l‟osservanza dei comandamenti della legge di Dio e della Chiesa. Ecco, bisogna distinguere due sorta di santità: la semplice che consiste nel possedere la grazia santificante, e questa l‟hanno tutte le anime che sono monde da peccato mortale; la perfezionata che consiste nella perfetta unione della nostra volontà alla volontà di Dio, sicché l‟anima aborrisca non solo il peccato mortale, ma anche il peccato veniale avvertito, e sia pronta ad eseguire ciò che chiaramente conosce essere di maggior gusto del Signore, anche nelle cose che non sono espressamente comandate. Si sostituisca santità a vita beata e si ha l‟impressione di leggere una variante del brano di una disputa agostiniana. 145 Dichiarazione piú copiosa della dottrina cristiana per uso di quelli che insegnano ai fanciulli e alle altre persone semplici, 146 Ne La dottrina cristiana breve del Bellarmino, le domande le fa il maestro. 147 G. FRASSINETTI, Il conforto dell‟anima divota. Non ci è pervenuta la prima edizione. Il Capurro, seguito dal Renzi, la poneva al 1852. Riuscii ad accertare che era anteriore di ben otto anni, perché recensita con grandi lodi nel numero maggio-giugno 1844 negli “Annali di scienze religiose” che il futuro cardinale ANTONIO DE LUCA pubblicava a Roma, non solo, ma se ne parla in piú lettere scritte in quell‟anno al Frassinetti. M. FALASCA, Il Frassinetti in giro per il mondo in “Risonanze” LIX (1984) n. 4, pp. 16-18. 148 In inglese da LADY GEORGIANA CHATTERTON, un‟anglicana accolta nella Chiesa dal Newman. Di lei si tornerà a parlare nel cap. 49. 149 Lc 14.28-33; Fil 1,6; 2,13. 52 I FRATELLI : – Ma come è possibile evitare anche i peccati veniali? GIUSEPPE: – Dovete notare che altri sono i peccati veniali pienamente avvertiti, quelli cioè che si commettono ad occhi aperti... Altri poi sono peccati veniali non bene avvertiti che si commettono piú per debolezza che per malizia... UNO DEI FRATELLI: – Se uno si distrae mentre prega? GIUSEPPE: – Se accade per debolezza senza che sia voluto, è di questa categoria. UN ALTRO: – Se uno dice una bugia per scusarsi sapendo che è bugia? GIUSEPPE: – Questo è della categoria di quelli che dispiacciono al Signore. PAOLA (festosa): – Se è cosí: Volontà di Dio, tu sei il paradiso mio! Un ritornello udito ripetere con tanta frequenza dalle labbra di Paola. 150 Tutta lí la santità. Cosí anche per il fratello, il quale, già vecchio, traslocando quei sei giovani seminaristi dell‟incipiente Opera dei Figli di S. Maria Immacolata, li affidò a san Quodvultdeus,a san Ciòche-Dio-vuole: Venne la solennità di San Giuseppe di quel 1866 ed io feci la mia entrata nella nuova casa dei Figli di Santa Maria… Io aiutai per il trasporto dei mobili… L‟unico oggetto che venne posto nella sala fu un quadro ad olio rappresentante un vescovo che da una scritta in un angolo era detto Quodvultdeus.151 Si ha una conferma di tale devozione nella vita Rosa Cordone: Le raccomandò anche [il Frassinetti] la devozione a un santo generalmente sconosciuto, Vescovo di Cartagine, che soffrí per la fede sotto Genserico, ed aveva il piú bel nome che possa aversi al mondo, cioè Quodvultdeus.152 150 Memorie intorno... p. 305. Il quadro era stato commissionato a un pittore squattrinato. Un modo d‟aiutare senza umiliare. Non si è però d‟accordo se su commissione del Frassinetti – non sarebbe stato il primo – o dello Sturla. Resta il fatto che fu il Frassinetti a farne dono ai suoi aspirantini al sacerdozio e non mancò certo d‟accompagnare il dono con un bel sermoncino, prendendo spunto da quel nome cosí strano. La cronaca di quel trasloco ci è pervenuta da un scritto di don Bernardo Rosina, uno di quei ragazzi 152 G. FRASSINETTI, La rosa senza spine..., Op. cit. Cito dalla 5a ed., l‟ultima curata dall‟Autore, – cinque in otto anni! –, Genova 1867, p. 87. 53 151 CAPITOLO XI FRATELLI IN GARA A CHI DÀ MAGGIOR GUSTO A DIO Dite al Signore che vi conceda la grazia di non essere piú buona a nulla fuor che a dar gusto a Lui; beati noi se perdessimo tutte le altre abilità e ci restasse questa sola di dar sempre notte e giorno e continuamente gusto a Dio! G. FRASSINETTI, Lettera a Carlotta Gibelli Torniamo in quella santa casa. I quattro fratelli e la sorella sentivano vivo il desiderio di consacrarsi a Dio. Per Paola sembrava un desiderio condannato a restare desiderio non disponendo di una dote. Anche per i fratelli nell‟accedere al suddiaconato si richiedeva un titulus sustentationis, se possedessero da vivere, ma, per essi, c‟era pur sempre il beneficium ecclesiasticum con l‟obbligo di prestare alcuni servizi nella diocesi. Perché, si chiedeva Paola, far nascere nel cuore di una ragazza povera un tale desiderio, sapendo Dio che in nessun modo si sarebbe potuto realizzare? Il fratello non poteva non fare sua la domanda. Chissà quante volte tentò di consolare la sorella, senza riuscire a persuaderla fin quando non trovò la risposta giusta alla domanda perché Dio permetta un cosí vivo desiderio che non potrà giammai essere soddisfatto: Ecco il perché: s‟impedirebbe con ciò un bene poco osservato, ma incalcolabile. Quasi da nessuno si bada al bene che fanno, all‟edificazione che danno, queste pie fanciulle, obbligate per la loro povertà a vivere in mezzo al secolo. – Gli andava il pensiero alla zia Anna? – Esse, che vivono nel mondo nauseate e nemiche del mondo, delle sue malizie e vanità, menano una vita la piú casta ed innocente... E poiché l‟amore di Dio, quando è vivo, è pure ardente di zelo per la salute delle anime, queste povere fanciulle si prendono piú che materna cura delle piccole, o parenti, – il pensiero a ciò che era stata la zia Anna? – o vicine trascurate dai loro genitori, per avviarle ai Sacramenti e alla dottrina cristiana; instillano nelle loro anime i sentimenti della devozione e della pietà e, quando sia duopo, con santa industria le salvano dai pericoli e le ritirano dal peccato. Tante volte, parlando per esse lo Spirito di Dio, con dotta semplicità confondono e fanno arrossire gli stessi bestemmiatori e miscredenti... In piú luoghi sono esse il lievito piú potente e salutare della devozione nella massa del popolo ed una vera benedizione di Dio per la città, per le terre e le famiglie in cui vivono. Quindi non deve far meraviglia, se Dio, che vuole da esse questo gran bene ad edificazione del cieco mondo, non permette che secondo i loro desideri se ne possano separare. Ad argomenti aggiunge argomenti. Si vorrà ancora sospettare che… non potendo emettere i voti… ne abbiano un danno spirituale e mancanza di merito per la vita eterna?… La grazia può supplire per tutti i voti, e per gli abiti, e per le clausure. Ad esse non manca il merito della materia dei voti e tante volte con maggior 54 sacrificio che non le religiose, dovendo ubbidire a capricciosi parenti e indiscreti padroni. Esercitare la povertà, soffrendone pazientemente gli effetti, piú che non li soffrano le religiose, per le quali sarebbe caso stranissimo il patire la fame e il freddo e di cibarsi di cattivi alimenti: caso che non è strano per le fanciulle povere che vivono in mezzo al mondo.153 Conservano infine la castità, e la conservano eminentemente pura in mezzo ai pericoli; ed inoltre facilmente, col permesso dei loro direttori, ne possono emettere il voto, siccome fanno molte di loro. Quindi non è a meravigliare se si trovino tra le fanciulle povere coltivatrici della santa purità, anime di virtú segnalata, che si potrebbero invidiare da molte religiose. Per il che dobbiamo benedire la divina provvidenza che tutto ordina alla sua maggior gloria.154 Giuseppe è divenuto eloquente e a Paola sembra che il fratello abbia spiccato il volo. Non che non accetti le sue argomentazioni, son buone, ma per tempi iniqui o per chi, non potendo ottenere l‟ottimo, accetta il passabile. Rimane dell‟idea di ciò che il fratello aveva detto prima di questa perorazione: “Sebbene anche in mezzo al mondo si possa conservare la esimia virtú della verginità, non v‟ha dubbio che gli asili piú nobili e piú sicuri per essa sono i monasteri”.155 Il pensiero di Paola si può cogliere nel commento di Virginia ne La forza d‟un libretto: “Si vede che questo libretto fu scritto in tempo di qualche persecuzione”.156 Che si potesse essere ancora piú sante fuori convento, aveva dell‟incredibile. Giuseppe fa un bel passo indietro per poterne poi fare quattro avanti: Sebbene anche in mezzo al mondo si possa conservare l‟esimia virtú della verginità, non v‟ha dubio che gli asili piú nobili e piú sicuri per essa sono i monasteri. Quivi in tutti tempi si ripararono dai pericoli del mondo le fanciulle che maggiormente si vollero assicurare questo tesoro, facendone quivi solenne perpetuo voto… [e] intatto lo custodirono. 157 Continua a lungo a tessere gli elogi di quei sacri ritiri, poi piazza la sua riserva: “Ma soltanto alcuno tra quelli nei quali è vigore di disciplina e piena osservanza delle regole”, 158 modificata rispetto a quella della prima edizione: giacché il chiudersi con compagne svagate e inosservanti della regola porterebbe molte inquietudini di spirito, per le quali si potrebbe desiderare di essere rimasti nel secolo.159 Giuseppe conosceva il disagio dei suoi compagni di scuola che vivevano da interni in un seminario in piena decadenza. A piú d‟uno l‟affermazione dovette sembrare blasfema, o quasi, se il passo fu da lui purgato Il Frassinetti fu sempre legato a ciò che è, non a ciò che dovrebbe essere. 160 Prima di lui il suo Liguori: Freddo e mangiar male, la sua penitenza per l‟intera vita. G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto, pp. 112-115. Cito dalla decima edizione, l‟ultima da lui curata, Genova 1864. Argomentazioni che si ritrovano nella Monaca in casa. 155 Ivi, p. 106. 156 Ivi, p. 108. 157 Ivi, p. 106. 158 Ivi, p. 110. 159 G. FRASSINETTI, La forza di un libretto, prima edizione, Genova 1841, pp. 102. 160 In quegli anni faceva notizia il monastero di Monza e la sua Monaca di cui si parla nei Promessi sposi, e si discuteva se il Manzoni avesse fatto bene o male a raccontarne la storia, pur avendo sottoposta a non pochi tagli la prima versione apparsa in Fermo e Lucia. Non sono in grado di dire se il Frassinetti l‟avesse letta o no, ma doveva certo averne sentito parlare. Don Bosco, nell‟introdurre il profilo del Manzoni nel suo Corso della storia d‟Italia, fatti gli elogi del romanzo, cosí continuava: “La stima che abbiamo di quest‟opera non ci tratterà tuttavia di biasimare altamente il ritratto che ci porge di D. Abbondio e quello della sgraziata Gertrude”, Opere edite ed inedite, vol. VII, La storia d‟Italia, p. 486. 55 153 154 Il confessore ponderi bene in quale religiosa famiglia uno pensa di entrare, perché, qualora si trattasse d‟un istituto rilassato, sarebbe cosa migliore restarne fuori. Entrandovi finirebbe col comportarsi come gli altri.161 Vi è già l‟abbozzo della Monaca in casa. Meglio però non insistere ed edificare la sorella con santa Rosa da Viterbo, una ragazza che si fece santa anche se non le riuscí di entrare in convento perché “si può fare del bene anche in mezzo al mondo, ed anche maggior bene”. Il commento di Virginia nella Forza d‟un libretto penso fosse il pensiero di Paola:. “Tu cammini, anzi voli un po‟ troppo; né io ardirei seguitarti in questa serie di conseguenze”.162 In casa Frassinetti non era pensabile, anzi sarebbe stato segno di poco amore contentarsi di non dar disgusto a Dio, invece che cercare di dargli tutto il gusto di cui si fosse capaci vivendo in castità perfetta, e, pur non emettendone il voto, in povertà affettiva ed effettiva, ed in obbedienza a quanti si era legati con rapporti di dipendenza, purché le cose richieste non fossero di offesa a Dio. Si viveva in mezzo al mondo, ma si era morti al mondo, non volendo e non ricercando altra cosa se non quella di piacere a Dio. Quest‟avere il cuore distaccato da tutte le cose, non significava mostrarsi poco impegnati per gli interessi della casa nella misura che lo richiedesse la carità, il buon ordine e la pace, tutt‟altro.163 Questa spiritualità, tutta sostanza e niente formalismo, il Priore tornerà ad esporla ampiamente nel 1860 nel Pater noster di S. Teresa. Sento il lettore farmi il rimprovero di Virginia ad Elisa: Tu voli un po‟ troppo! Lo penserei anch‟io, se non ci fossero pervenute le testimonianze rese durante il processo di canonizzazione di Paola e la testimonianza della stessa Paola citata nel processo di canonizzazione del fratello, già riferita. A. DE‟ LIGUORI, Pratica del confessore per ben esercitare il suo ministero, Napoli 1755. “[Confessarius] dissuadeat ingressum in ordinem relaxatum”, in Teologia moralis, Editio nova, Vol. IV, curata da L. GAUDÉ, Romæ 1912, p. 578. 162 G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto, pp. 118-119. Paola rimase di questo convincimento. Accettò di restare monaca nella casa paterna fino ai ventidue anni, e poi fino ai venticinque nella canonica del fratello, operando quanto bene poteva in parrocchia, ma con il pensiero alle monache di convento e la vedremo a capo di una congregazione come all‟epoca il Codice prescriveva. 163 Questo paragrafo è una parafrasi delle regole fondamentali di quel libretto. 56 161 CAPITOLO XII COS’È CHE TI DÀ MAGGIOR GUSTO, O DIO? Dare gusto a Dio, tutta qui la santità. I ragazzi Frassinetti studieranno le cose di Dio per sapere come si deve vivere per piacere a Dio, e per riuscirci non c‟è di meglio che il catechismo e gli esempi dei santi. Leggiamo nel Frassinetti: Ci avvisa l‟Apostolo che senza la fede è impossibile piacere a Dio e che la cognizione delle cose della Fede si comunica all‟anima mediante l‟udito. Da questo possiamo conoscere che nessun bene reale e sufficiente si potrebbe fare ai fanciulli cristiani quando nella loro cultura non c‟impegnassimo d‟istruirli bene nella Santa Fede, giacché non potrebbero diversamente piacere a Dio... Ma i fanciulli come prenderanno cognizione delle cose della Fede se loro non si insegneranno? fides ex auditu...164 L‟infanzia e l‟adolescenza è il tempo piú adatto per instillare nelle loro menti le verità della fede. Se le prime cognizioni che loro si danno quando cominciano ad usar di ragione sono quelle che formano il cristiano, i fanciulli si troveranno formati tali senza avvedersene, quasi nati e non fatti. Le prime impressioni dell‟infanzia restano piú profondamente radicate e hanno influenza piú potente sopra tutta la vita dell‟uomo.165 La pietà cristiana è vera se si lascia illuminare dalla Chiesa. Perché Dio fosse onorato come a lui piace, il Frassinetti compose La devozione illuminata: Sono innumerevoli i libri di devozione… [ma] generalmente tali libri non sono altro che raccolte di orazioni… che suppongono nel cristiano che le recita quella istruzione che spesse volte gli manca, e gli sarebbe tanto utile, affinché la sua pietà addivenisse illuminata... 166 scriveva nel 1867, l‟ultimo della sua vita. L‟insistere negli anni maturi sulla necessità di informare la pietà alla luce che ci irradia la Chiesa, era un convalidare con l‟esperienza di quarant‟anni di ministero quanto aveva intuito da giovane: non potersi servire Dio come a lui piace se non lo si conosce. Fa bisogno che [il direttore d‟anime] abbia la conveniente istruzione, perché l‟ignorante è un cieco; e chi è cieco, ha bisogno di guida egli stesso, né mai può guidar gli altri senza pericolo di trarli seco a cader nella fossa,167 scriveva nel 1864, ed era un ripetere quanto aveva scritto un quarto di secolo prima nel 1839 dichiarando di proporre ai chierici la propria esperienza: Deve dunque [il chierico] dirigere ogni sua cura, e in modo particolare i suoi studi, al conseguimento del suo fine, che è d‟esser un buon ecclesiastico… perché la scienza è cosí annessa 164 Rm 10,18. G. FRASSINETTI, Compendio della Teologia Dogmatica, Genova 1842, pp. 225s. Conserviamo l‟ortografia della prima edizione. 166 ID., La devozione illuminata – Manuale di preghiera, Genova 1867. Cito dalla 3a ed., Genova 1877, pp. 7-9. 167 ID., Il religioso al secolo, Genova 1864, p. 123. 57 165 all‟idea di ecclesiastico, da non potersi concepire l‟idea di un ecclesiastico ignorante, che come idea mostruosa. Quali sono le principali doti, che si richiedono in un ecclesiastico, dopo la divina vocazione? Fede pura, costumi integerrimi, scienza dei propri doveri e degli altrui, e pietà che lo renda zelante per la gloria di Dio e per la salute dei suoi prossimi. A tutto ciò vi vuole istruzione; l‟ignoranza non è un buon mezzo per veruno di questi fini. Questa istruzione però… non deve essere di quella che gonfia lo scienziato e lo rende superbo, ma di quella, che, mediante la carità, lo rende umile... Il dotto superbo sa distruggere, il dotto umile sa edificare. La carità dunque deve invitare l‟ ecclesiastico ai suoi studi, e l‟umiltà dirigerlo nei medesimi.168 Perciò catechismo, perché la pietà, da assai confusa ed inesatta, e forse anche falsa, si muti in pietà illuminata: Molti cristiani hanno un‟idea assai confusa ed anche falsa, o, per lo meno, inesatta della Devozione... La vera devozione pertanto sta in questo, che l‟uomo sia pronto ad eseguire tutte le cose che appartengono al divino servizio. Quindi colui che ha la sua volontà pronta ad eseguire le cose che sono di servizio di Dio, che è quanto dire, una volontà pronta ad operare tutto ciò che Dio vuole da lui, egli è il vero devoto; e chi a far ciò ha maggior prontezza di volontà, è maggiormente devoto. Sono in inganno coloro i quali pensano che la devozione consista nell‟ esercizio delle opere di pietà e colui sia devoto che piú ne fa… Costui, anche facendo tutte queste cose, se non avesse una volontà pronta ad operare ciò che Dio vuole da lui, non sarebbe devoto.169 Catechismo dunque, e da insegnarsi ai fanciulli fin dal primo aprirsi dell‟ intelligenza. Si rifà alla sua esperienza giovanile acquistata in casa con i fratellini e con i fanciulli del catechismo nella parrocchia di S. Stefano. In base a quella sua esperienza può indicare come il catechismo debba essere insegnato se si vuole che i fanciulli abbiano poi l‟impressione d‟essere nati cristiani, non fatti. Le persone che non sono istruite nella teologia... si contentino di insegnare il catechismo come sta senza sminuzzarlo e spiegarlo, perché, mancanti delle opportune cognizioni teologiche, insegnerebbero alle volte dei gravi errori; chi poi è istruito sufficientemente, procuri di sminuzzarlo e di spiegarlo secondo la capacità de‟ fanciulli, affinché meglio lo comprendano e le verità che vi si contengono facciano piú viva impressione nei loro animi.170 Insegnarlo però in modo da renderlo un apprendimento piacevole ed amoroso.171 Del suo zelo ce ne dà conferma il Luxardo: Alla dottrina uní sempre con bello connubio la pietà. Resosi chierico, ne esercitò gli uffici nella Basilica di santo Stefano... Qui assisteva assiduo alle sacre funzioni, qui insegnava il catechismo ai fanciulli, qui spesso confessavasi e riceveva Gesú Cristo in Sacramento.172 Che ad insegnare la dottrina si preparasse con amore ce lo testimoniano i molti catechismi al popolo sotto forma di domande da parte del cristiano ignorante che vuole istruirsi, suo fratello don Giovanni, e le risposte del parroco, lui, scritte in italiano, ma recitate in genovese. Non scrisse per dare alle stampe, ma tutti quei manoscritti con note, aggiunte e correzioni sono lí a 168 ID., Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici…, 169 G. FRASSINETTI, La devozione illum., pp. 11s. 170 ID., Comp. della Teol. Dogm., cit., pp. 228s. 171 Ivi, pp. 231-234 e continua suggerendo come Genova 1839, pp. 2s. fare. F. LUXARDO, Giuseppe Frassinetti, pastore d‟anime, autore di religiose istituzioni, scrittore di opere sacre, in AA. VV., Saggio di Storia Ecclesiastica Ligure, ossia vite di alcuni Santi e di altri uomini illustri, Vol. IV, Genova, 1884, p. 176. 58 172 testimoniarci con quale amore li preparava concertando con il fratello domande e risposte. Se nei catechismi domenicali in parrocchia le domande gli venivano poste dal fratello don Giovanni, nei catechismi ai fanciulli se le faceva porre dagli stessi fanciulli, lo stesso faceva nelle adunanze delle sue varie associazioni: Conobbi personalmente e avvicinai piú volte Giuseppe Frassinetti nel biennio 1864-1866 – depose il teste Vincenzo Stronello –. Ero Figlio di Maria e intervenivo alla Domenica alle conferenze spirituali che egli teneva nella Canonica di S. Sabina ai Congregati. Erano specie di conversazioni famigliari, in cui ognuno era libero di rivolgergli domande alle quali egli dava schiarimenti e risposte.173 Il bisogno di spiegare il catechismo ai fanciulli della parrocchia, di rispondere alle loro domande e a quelle dei fratelli e della sorella che aspiravano a divenire catechisti, stimolavano lo studente di teologia a quella trasposizione del linguaggio scolastico, spesso arida catena di sillogismi latini, in quel linguaggio, piano e sugoso di cui ci ha dato saggio nel suo Compendio della Teologia Dogmatica, divenuto poi Catechismo dogmatico. Cosí, senza avvedersene, Giuseppe trasformava la sua famiglia in accademia di studi ecclesiastici, un abbozzo di quella che fonderà in seno alla Congregazione del Beato Leonardo. In quest‟ accademia Paola si formò quella cultura che tanto stupiva le sue suore.174 Il giovane teologo, tornato da scuola a casa, trovava nei fratelli e nella sorella un pubblico mai sazio d‟ascoltarlo. Come già gli apostoli, non paghi di quanto avevano udito in pubblico dal Maestro, gli chiedevano a parte istruzioni supplementari, cosí i suoi di casa. Questo lavoro di ricerca e di presentazione del dogma in forma elementare, ma sicura, lo preparava a rendersi utile ai chierici catechisti digiuni di studi di teologia, indicando cosa insegnare e come: Si dirà che abbiamo molti compendi della Dottrina Cristiana, il che è verissimo; non saprei però se tutti uniscano le due qualità delle quali desidero fornito questo mio: cioè somma brevità, e universalità di tutte le materie dogmatiche piú necessarie e piú utili... Scrivo questo Compendio in italiano, perché secondariamente vorrei che fosse utile anche alle persone secolari le quali, quanto meglio conoscono la propria religione, vi hanno piú attaccamento e le fanno piú onore coi loro costumi… Non toccherò quelle controversie le quali richiedono nel lettore fondo d‟istruzione e lunghi trattati, ma le sole verità dogmatiche e quelle che, quantunque non siano espressamente definite di fede, sono però maggiormente conformi al comune insegnamento dei Teologi..175 Un invito ai catechisti di comportarsi sul suo esempio: Ai fanciulli si devono dare quelle cognizioni che sono importanti a sapersi per tutti, e con la possibile chiarezza e semplicità. Essi non devono o confutare eretici o salire cattedre. Questa avvertenza è necessaria ai chierici studenti, i quali alle volte vorrebbero insegnare ai fanciulli tutto ciò che essi vanno imparando.176 173 POS,sV, S, p. 21. E. VASSALLO, Memorie..., p 11. Uno stupore simile a quello dei giudei nei riguardi di Gesú. Gv 7,15. 175 G. FRASSINETTI, Comp. della Teol. Dogm., cit., pp. 7s. 176 Ivi, p. 230. Osservazione necessaria non solo per i chierici studenti d‟un secolo e mezzo fa, ma anche oggi per i professori di corsi di teologia per i laici in vista di farne insegnanti di religione nelle scuole medie. Le persone che frequentano questi corsi sono per lo piú insegnanti di scuola media inferiore, ragazze con diploma di ragioneria, maestre elementari e persino maestre d‟asilo. Non di rado si vedono mettere in mano dispense che altro non sono se non aridi riassunti di quelle preparate per i seminaristi dei corsi accademici: una sequenza d‟opinioni legate a nomi ostrogoti, senza chiedersi cosa ci possano capire persone non preparate e quale giovamento possano ritrarne per il 59 174 Ai fratelli e alla sorella, divenuti catechisti, non pareva vero d‟aver in casa il fratello bravo a cui ricorrere per aiuto. Non è inverosimile che, mentre s‟ affannavano a spiegare che purissimo spirito vuol dire che Dio non ha corpo come abbiamo noi; perciò non ce lo possiamo figurare né alto, né basso, né largo, né stretto; non si può toccare con le mani, non si può vedere con gli occhi materiali del corpo, qualche piccino se ne uscisse con un: Ma dunque è niente!177, suscitando l‟ilarità dei compagni. Come rispondere? E alle domande sulla predestinazione?, e se in paradiso ci fosse invidia da parte di chi gode di meno nel vedere santi che godono di piú?, e sulla sorte dei bambini non battezzati?... I fratellini e le sorelline morti erano in paradiso perché erano stati tutti battezzati, ma i bimbi non battezzati? e gli infedeli che mai avevano sentito parlare di Cristo? Dà risposte che possano convincere ed appagare la loro intelligenza, le sminuzza, come fa in questa pagina intorno alla visione beatifica, che mi piace drammatizzare attribuendo le domande a questo e a quello, senza aggiungere virgola al testo: RAFFAELLINO – I Santi in cielo vedono Dio? GIUSEPPE – Lo vedono intuitivamente, cioè lo vedono in sé stesso realmente come è. PAOLA – Non dice la Scrittura che Dio è invisibile e che niuno mai lo vide? GIUSEPPE – Dice che Dio è invisibile e che niuno mai lo vide in questa vita; per questo la piú probabile sentenza fra gli interpreti della Scrittura sostiene che nemmeno Mosè lo abbia veduto intuitivamente, ma che gli sia apparso un Angiolo il quale gli dava gli ordini in nome di Dio... Ma nell‟altra vita è verità di Fede che vedremo Dio, e il vedremo come è.178 RAFFAELLINO – Dopo la Risurrezione vedremo Dio con gli occhi del nostro corpo? GIUSEPPE – Con gli occhi del corpo non lo vedremo mai piú, perché Dio è semplicissimo, e gli occhi del corpo sono materiali, e saranno materiali anche dopo la nostra Risurrezione: ora è certo che le cose materiali non possono vedere cose spirituali. Ma vedremo Dio col nostro intelletto illuminato dal lume della gloria. GIOVANNI – Che cosa è questo lume della gloria? GIUSEPPE – È un abito soprannaturale col quale la mente, o dell‟uomo o dell‟Angelo, viene disposta compitamente a veder Dio. GIOVANNI – Senza questo lume della gloria non si vedrebbe Dio nemmeno in Cielo? GIUSEPPE – Certamente non si vedrebbe, come noi con gli occhi corporali, anche sanissimi, senza l‟aiuto della luce non potremmo vedere nemmeno una montagna. PAOLA – Cosa vedremo di Dio? GIUSEPPE – Vedremo la sua divina sostanza con le sue divine perfezioni, le quali però non sono in realtà che la medesima semplicissima sostanza divina – qui rinviava a quanto s‟era detto parlando di Dio –, il mistero della SS. Trinità, ed anche le creature come effetti nella loro causa. FRANCESCO – Vorrei sapere se in Cielo, vedendo Dio chiaramente, lo comprenderemo. GIUSEPPE – Per comprenderlo bisognerebbe arrivare a conoscerlo con quella perfezione con cui Dio conosce sé stesso con la sua scienza infinita, cosa impossibile ad ogni creatura... loro insegnamento a fanciulli della scuola d‟obbligo. Il bel voto d‟esame, per aver ripetuto cose non comprese, persuade non pochi di loro d‟essere... teologi! A tali docenti il Frassinetti ripeterebbe: “Non toccare quelle obbiezioni alle quali non si può dare una risposta che appieno soddisfi il grosso ingegno dei fanciulli, né quelle difficoltà che non si possono appianare con ragioni palpabili, e quasi direi materiali, delle quali soltanto è capace la loro mente” (Ivi, p. 129). Non sono poche le persone che si iscrivono a questi corsi di teologia per laici con fede serena e ne escono con fede turbata. 177 Ivi, p. 50. 178 1 Gv. 3,2. 60 GIOVANNI – Intenderemo in Cielo tutti i misteri della S. Fede che ora dobbiamo credere ciecamente? GIUSEPPE – Nessuno ha mai dubitato che in Cielo si veda chiaramente tutto ciò che crediamo in terra; è perciò che i santi non hanno in cielo la virtú della fede, la quale serve a farci credere ciò che non vediamo. PAOLA – I Santi in Cielo vedranno Dio tutti ugualmente? GIUSEPPE – È articolo di fede che la visione beatifica non sarà in Cielo uguale per tutti, ma proporzionata ai loro meriti, o maggiori o minori. Questa diversità nasce dal maggiore o minore lume di gloria che avranno i santi, misurato dalla maggiore o minore carità di che arderanno in cielo. GIOVANNI – Questa diversità non sarà disgustosa ai Santi? GIUSEPPE – Non sono piú capaci d‟invidia; godono del bene altrui come del proprio, e la felicità di chi è in Cielo fra i minori è tanto grande e commensurata alla capacità che hanno di godere, che nulla resta loro a desiderare. Un paragone vi dilucidi il vero. Un uomo e un fanciullo arrivano assetati alla sponda di un gran fiume: l‟uomo beve e beve il fanciullo; credete voi che il fanciullo potendo bere meno per la minore capacità del suo stomaco, invidi la maggior quantità che ne beve l‟uomo? Il fanciullo è contento di poter bere quanto vuole e quanto può.179 La lunga citazione, fedele al testo, salvo l‟arbitrio di attribuire le domande ad uno dei fratelli o alla sorella, e l‟omissione dei rinvii ai documenti del Magistero e a san Tommaso, ci dà un saggio di come sminuzzava la dottrina cristiana. Si volti tutto in genovese, si aggiunga alla parola la loquela degli occhi, sia suoi sia di quelli che da lui pendevano, e si ha un‟idea vicina al vero di ciò che erano in casa Frassinetti le conversazioni a tavola o intorno al fuoco, di ciò che era il suo catechismo ai ragazzi della parrocchia. La lunga citazione vuole essere anche un tributo di gratitudine. Giovanetto di terzo ginnasio ebbi per caso tra mano questo suo Catechismo dogmatico ed il Sillabario del cristianesimo di monsignor Olgiati. Ad essi va gran parte del merito se la mia pietà da affettiva divenne illuminata, senza che la luce ne raffreddasse il calore. Studente di teologia all‟ Università Urbaniana, alla scuola del prestigioso monsignor Parente, futuro cardinale, gli orizzonti si allargarono, ma in nulla dovetti correggere quei due libri né mai sorridere di qualche loro pagina. Se la risposta non avesse appagato l‟intelligenza, anzi, invece che rimuovere una difficoltà, avesse ingenerato dubbi, Giuseppe non negava la difficoltà, ma si guardava bene dal dare risposte che avrebbero creato altri dubbi, e, meno che meno, mascherava l‟incapacità a rispondere con un polverone di parole. Prendeva occasione per dire che nelle cose di Dio c‟è “un di piú" che l‟uomo non può afferrare perché è limitato: il mistero. Valga come esempio le risposta sul destino di chi incolpevolmente muore senza battesimo e sulla predestinazione: Le Scritture sante, i Padri, e il sentimento di tutta la Chiesa bastantemente ci assicurano che Dio vuole la salvezza di tutte le anime, e perciò anche di quelle di tali fanciulli; se poi noi troviamo difficoltà nell‟intendere il modo come lo voglia, non per questo possiamo dire il contrario. Nelle cose della nostra Santa Religione non è solo vero ciò che intendiamo, ma molte cose che bisogna credere senza capirle, e questa è una di quelle... Troviamo dei misteri insolubili nella condotta degli uomini, che sono cosí limitati, e ci meravigliamo di trovarne nelle disposizione della Divina sapienza?... Vi basti sapere che Dio vi ama piú di quello che voi amate voi stessi, che Dio vuole la vostra salute piú di quello che voi la vogliate, che Dio non vi escluderà dal suo Regno purché voi deliberatamente nol ricusiate... abbiate questa speranza; essa è quella che non confonde.180 179 180 G. FRASSINETTI, Comp. della Teol. Dogm., pp. 66-69. Ivi, pp. 60 e 62. 61 L‟esposizione a nulla gioverebbe se ad un tempo non formasse il cuore: L‟insegnamento della Dottrina Cristiana non deve essere un insegnamento nudo e secco delle verità della Fede... deve essere un insegnamento sugoso il quale, mentre illumina la mente, formi anche il cuore.181 Perché sia tale, Giuseppe s‟è fatto una ricchissima raccolta di belle storie di santi che mostrano come la dottrina vada vissuta, storie che infervoravano ad imitarli e a mettersi in gara con loro nel dar gusto a Dio. Specie Raffaellino, ormai sui dieci anni, non si stancava mai d‟ascoltare quegli esempi edificanti, attinti, oltre che dalla Bibbia, dal Bartoli e dal Segneri il Giovane. Raffaellino cominciò anch‟egli a farne una raccolta. Divenuto sacerdote, al Priore don Giuseppe non parve vero di affidargli la cura dei bambini, tanto li sapeva tenere incantati con quelle belle storie ed innamorarli della preghiera e d‟ogni cosa bella. Facevano tanto bene quegli esempi edificanti e i brevi commenti, che li dette alle stampe. Non faceva lo stesso il fratello? Uno di quei libretti, Giardino di Devozione pei Giovinetti, ebbe un successo strepitoso: in un trent‟anni venti edizioni.182 In queste pubblicazioni destinate ai fanciulli ed ai giovanetti ci è dato cogliere come il Servo di Dio ordinasse la scienza delle cose divine alla pietà e ad una Devozione illuminata fin dalle prime manifestazioni dell‟intelligenza. Sa Iddio se debbono piú gratitudine i fratelli minori e la sorella al fratello grande per tutte le belle cose che diceva loro ed i bei esempi che offriva, o il fratello grande a loro per il tirocinio che essi gli procurarono. 181 182 62 Ivi, p. 231. R. FRASSINETTI, Giardino di devozione pei Giovinetti, Oneglia 18546, pp. 3-6. CAPITOLO XIII BRUCIAMI, SIGNORA, IL CUORE COL FUOCO DEL TUO AMORE Se le prime cognizioni che si danno [ai fanciulli] quando cominciano ad usare di ragione sono quelle che formano il cristiano, i fanciulli si troveranno formati tali senza avvedersene, quasi nati e non fatti. Le prime impressioni dell‟infanzia restano piú profondamente radicate e hanno influenza piú potente sopra tutta la vita dell‟uomo; né questo fa bisogno provare mostrandone la verità un‟esperienza costante. G. FRASSINETTI, Compendio della Teologia Dogmatica. Esperienza come la sua e dei fratelli che si ritrovarono formati cristiani senza avvedersene, quasi nati e non fatti. Scrivendo per i fanciulli non fanno che tornare alle prime impressioni dell‟infanzia [che] restano piú profondamente radicate. In casa Frassinetti l‟anima respirava Dio come i polmoni l‟aria. Lo confermano le pubblicazioni del Priore e di don Raffaele destinate ai giovanetti. Vi si avvertono le impressioni della loro infanzia rimaste vive nel loro cuore e da tali scritti possiamo arguire quale fosse in quella casa la vita di pietà: Io, che mi sono sempre occupato di voi,… – scrive don Raffaele – poiché vedo che si può... indirizzarvi tutti nel retto sentiero che mena a virtú, e farvi amare solo pietà e devozione, e aborrir vizio e peccato, e innamorarvi tutti di Dio, pensate quanto volentieri m‟occupai del piccolo lavoro giudicando di far cosa a voi gratissima... Vi troverete molti esempi di Santi... So che i giovinetti non altro ascoltano piú volentieri che gli esempi dei Santi… ne avrete anche molti di Santi giovinetti... avrete moltissimo di che imparare e prendere quel santo impegno e zelo che avevano costoro per la gloria di Dio e la salvezza della loro anima.183 Le preghiere, il tono con cui le raccomanda ed i consigli che vi aggiunge, tenuto pur conto dell‟esperienza pastorale fatta alla scuola del fratello, sanno tanto di ciò che si sentiva dire fanciullo dalla mamma mentre lo vestiva o lo poneva a letto, e poi, lei morta, dalla nonna, dalla zia e dalla sorella: Appena svegliati, segnatevi col segno della santa Croce e dite: Mio Dio vi amo sopra ogni cosa, e vi dono il mio cuore. Maria Santissima, beneditemi. Non state oziosi a letto, vincete la pigrizia, alzatevi subito. Ancorché siate solo nella vostra stanza, vestitevi con tutta modestia, pensando che Dio vi vede, e che siete sotto gli occhi del vostro Angelo Custode… Quindi dite in ginocchio...184 Con lo stesso tono li prepara alla confessione, all‟ascolto della messa, alla comunione, propone dieci meditazioni sulle verità eterne, suggerisce la visita al Santissimo e a Maria, spiega come dire il rosario e fare la Via crucis. Que‟ giovani che si accostano frequentemente alla comunione non cadono mai, o quasi mai in peccato; que‟ giovani che stanno lontani dalla comunione fanno le piú miserabili cadute... Quei 183 184 R. FRASSINETTI, Giardino di divozione pei Giovinetti, VI ed., Oneglia 1854. pp. 3-6. Ivi, p. 9. 63 giudiziosi giovinetti che incominciano dalla prima comunione a cibarsi frequentemente di questa manna di Paradiso e continuano poi sempre, si conservano sempre buoni ed immacolati, e vivono quasi da angioli in questo mondo una vita la piú allegra e contenta, perché, se si può avere pace e maggiore consolazione qui in terra, si ha solo con lo starsi maggiormente uniti al Signore. Dunque... anche tutte le domeniche e le feste del Signore e della Madonna accostatevi a questo divinissimo Sacramento...185 Dio è un gran limosiniero, e se tanto raccomanda la limosina agli uomini, molto piú la deve far Egli il quale è sí ricco… e sí buono. Perciò presentatevi sempre davanti a Dio siccome poverelli… e Iddio volgerà benigno lo sguardo sopra di voi... Di chi sentirà pietà e compassione se non del poverello?...186 Ed ogni cosa è corroborata da tanti esempi di santi. Se il libretto fosse anonimo, lo penseremmo scritto dal fratello Priore. Ecco un brano da un‟opera di Giuseppe anch‟essa profumata di ricordi d‟infanzia: Qualche volta [a Pio] furono presentati libri e stampe cattive... Se li conosceva a prima vista, faceva come fareste voi se vi venisse presentato un ferro infuocato, oppure una qualche immondezza, per non scottarvi… né sporcarvi… Se non li conosceva…, ma aveva qualche motivo di dubitarne, li portava tosto al suo confessore… e sentendo che erano scritti cattivi o pericolosi non li riportava piú a casa, se non talvolta… per fare un falò… Accadeva sovente che, mostrandosi… cosí franco nell‟adempiere ai suoi doveri, era burlato, preso in giro, trattato da scrupoloso e bigotto da gl‟impertinenti e scandalosi che restavano da lui mortificati. E che conto faceva di que‟ motteggi e disprezzi? Il conto che fa la luna dei cani quando le abbaiano… lascia che abbaino, e tira avanti senza badarvi.187 Ancora qualche pennellata di questo Pio in cui si intravede Giuseppe: Se voi aveste conosciuto Pio, avreste veduto un giovinetto vispo, spiritoso, disinvolto, franco, coraggioso; ma insieme sempre timoroso di far peccato: quindi sempre vigilante sopra sé stesso… Ma, dunque, direte voi, questo giovinetto avrà fatto una vita infelice, triste, malinconica, sempre afflitta e conturbata dalla paura. Eppure no: come vi dicevo, egli era un giovinetto vispo, spiritoso e disinvolto, franco, coraggioso, l‟immagine dell‟allegria... Il timore di cui vi parlo è il principio della sapienza che riempie l‟anima di consolazione, perciò chi possiede questo preziosissimo timor di Dio, non può essere afflitto e malinconico... Pio lo possedeva ed era il piú allegro giovinetto del mondo.188 Un Pio copia del ritratto che santa Paola ci ha lasciato del fratello: Ebbe da natura un carattere focosissimo… neppure scusava o copriva le mancanze che commetteva a causa della sua grande vivacità... dai primi suoi anni mostrò di avere grande orrore non solo al peccato, ma anche alle piú piccole bugie, che mai disse... La morte della mamma segnò per i piú grandicelli un prima e un dopo. In un anno e mezzo quattro bare. Il fratellino Camillo di pochi giorni, la mamma a meno di una settimana di distanza; di lí a sei mesi Bartolomeo, il piú piccolo degli orfanelli. L‟anno dopo la nonna. Il padre, già di per sé austero, ridere e scherzare in quegli anni l‟avranno visto poco, e come una mamma, cui tocca fare da padre, è troppo mamma, cosí un padre, cui tocca fare da mamma, è troppo padre. 185 Ivi, pp. 29-30. Ivi, p. 8. 187 G. FRASSINETTI, Esercizi spirituali pei giovinetti…, Genova 18654, pp. 95-97. 188 Ivi, pp. 98-100. 186 64 La paura di non custodirli come li avrebbe custoditi la mamma, lo faceva essere rigido piú di quanto occorresse e di quanto per natura fosse portato. Ma il padre era tutto il giorno in bottega, in casa rimaneva la zia, e la zia... era zia, e si sa, le zie non sposate sono sempre state arrendevoli con i nipoti. Non sanno esigere quel che sa esigere una madre, né giunge dove giunge l‟occhio della mamma. Cosí, quei nipotini in gara a chi dava piú gusto a Dio riuscivano a mascherare le loro intemperanze. La mamma avrebbe certo moderato quel desiderio di imitare i santi e la fretta di farsi anch‟essi presto santi, impedendo a Paola i molti e prolungati digiuni e proteggendo dal freddo le mani di Giuseppe. Casa e chiesa, quei ragazzi. Una casa trasformata in chiesa con altarini e sacre immagini, celebrazioni di messe, novene con tanto di latino comprensibile solo alle orecchie del Signore, e prediche, e processioni di stanza in stanza, cantando tutte le canzoncine apprese in chiesa. Don Giuseppe parroco non si stancherà di far cantare i giovani, e, per il canto, scriverà una infinità di strofe devote, seguendo anche in questo il suo maestro sant‟Alfonso: legare le verità della santa fede alla melodia del verso e del canto: La musica ha una dolce e forte attrattiva di modo che si trae dietro i cuori... Procura dunque che specialmente la gioventú impari a cantare buone e pie canzoncine... Un santo Vescovo dell‟antichità, vedendo il suo rozzo popolo molto restio ad ascoltare le verità della fede, le riduceva in versi e le cantava a capo d‟un ponte dove era gran passaggio. Attratte dal canto si fermavano quelle genti ad ascoltare la salutare dottrina che non volevano ascoltare altrimenti.189 Nelle raccomandazioni avverti ricordi della casa della sua adolescenza: Dove lavori, dove… stai quotidianamente, metti un‟immagine divota che tu abbia a vedere anche soltanto che alzi gli occhi....190 Maria vi ricorda che dal cielo vi vede... vi concilia lo spirito della preghiera, vi ravviva nel suo amore e nel desiderio di poterla vedere e contemplare… Mettetene una pure nella vostra stanza per meglio ricordarvi che siete sotto i purissimi suoi sguardi; e ogni volta che vi entrate o ne uscite, salutatela con le parole Ave Maria dandole un riverente bacio figliale... Ben custodita quella porta alla cui guardia siede Maria!191 Raccomanda le giaculatorie e ne suggerisce, tra l‟altre, una di san Bonaventura: “Bruciami, Signora, il cuore col fuoco dell‟amor tuo”.192 Era tanta l‟importanza che dava alla pietà dei fanciulli, da raccomandare agli adulti di ricorrere alle loro preghiere per ottenere le grazie dal cielo: La S. Chiesa fin dai primi secoli riconosceva una virtú particolare nelle preghiere dei fanciulli, e perciò voleva che essi specialmente pregassero nella liturgia della S. Messa. S. Giovanni Crisostomo predicava: “Giacché gli adulti hanno offeso Dio e provocato ad iracondia, lo plachino i fanciulli innocenti colle loro preghiere”. Per la qual cosa, qualora tu abbia da ottenere qualche grazia, specialmente se sia di molta importanza, fa pregare i fanciulli...193 L‟istruzione religiosa ai fanciulli era poca e poco frequentata. Imparaticcio di memoria e attestati d‟essersi confessati nei tempi prescritti. La predicazione dal pulpito e dall‟altare li ignorava. A Santo Stefano, parrocchia di quindicimila anime andavano a catechismo un quaranta ragazzi. Quando 189 ID., Industrie spirituali, 190 Ivi pp. 68-69. 191 ID., Avviamento 192 Ivi, pp. 25.30. 193 Torino 1860. Cito dalla 3a ed., Genova 1864, pp. 43-44 e p. 7. dei giovinetti nella divozione di M. Santissima, Roma 1846, pp. 12s. G. FRASSINETTI, Industrie spirituali…, pp. 43s. 65 cominciarono ad occuparsene lo Sturla ed il Frassinetti salirono a settecento!194 Non mancavano i ragazzi, mancava chi se ne prendesse cura. Queste considerazioni sono necessarie perché non ci si meravigli se in casa Frassinetti troviamo qualche cosa che un prudente direttore d‟anime avrebbe saputo moderare senza spegnere lo slancio generoso di quei fanciulli. Non credo che ci sia stato santo che, specie in gioventú, non abbia avuto un po‟ di pazzia, almeno nel giudizio della gente che sa vivere: “Tu sragioni, Paolo, il troppo studio ti ha dato al cervello!”, l‟ impressione che l‟Apostolo dette al procuratore Festo, uno che sapeva vivere.195 Dopo la morte della madre… si diede piú che mai allo studio… non uscendo mai di casa che per recarsi alla Chiesa ed alla scuola: e quando rimaneva in casa si trovava sempre in camera a studiare. Dormiva assai poco, e dallo stare tante ore nell‟inverno a tavolino a studiare soffriva molto freddo e gli si coprivano le mani ed i piedi di geloni talmente che gli facevano piaga, con tutto ciò non volle mai adoperare fuoco, né in altro modo coprirsi onde diminuire o liberarsi da quel dolore incomodo.196 Non solo non mangiava mai fuori pasto, ma neanche si sarebbe messo in bocca la piú piccola cosa come sarebbe un acino d‟uva, un confettino o simili. Crescendo negli anni cresceva in lui lo spirito di mortificazione e cominciò ad usare catenelle e disciplina. I suoi discorsi in famiglia erano sempre diretti ad infondere nel cuore il disprezzo e l‟aborrimento a tutto ciò che è vanità e che è amato dal mondo, e stima ed amore per la virtú anche la piú sublime.197 Uguale spirito di penitenza ed abnegazione nella sorella: [Paola] divenne cagionevole di salute per le sue mortificazioni frequenti. Oltre i digiuni prescritti dalla Chiesa, che ella osservava anche prima d‟esservi obbligata, – le sottolineature sono mie – digiunava pure tutti i sabati… e nella vigilia dell‟Immacolata Concezione in pane ed acqua. Concedeva poco al sonno… si alzava prestissimo perché si era assunta l‟incarico di destare i fratelli quando dovevano mettersi allo studio di buon‟ora, perciò andava a riposare vestita e col busto molto stretto onde avere un sonno irrequieto e destarsi facilmente. Tante fatiche e mortificazioni la indebolirono nella sua salute e fu presa da una tosse ostinata che le faceva emettere dalla bocca molto sangue ed era ridotta a tale estremo che i medici le concedevano appena una quindicina di giorni.198 Si direbbe un ricalco del fratello. Quasi in parallelo, trent‟anni prima che fossero scritte queste Memorie su Paola, il Fassiolo scriveva del Fratello: Lo scrivente può attestare che una volta in un discorso famigliare con due o tre giovani studenti, disse francamente che egli da giovane non mai tralasciò un giorno d‟assistere al santo Sacrificio della Messa... Da chierico cominciò a digiunare ogni Sabato in onore di Maria, ed ogni anno alla vigilia di N. S. Immacolata in pane ed acqua... Non fu mai solito mangiare fuori di pasto 199 194 G. FRASSINETTI, Memorie intorno alla vita del Sac. Luigi Sturla, Opera postuma, Genova 1871, pp. 12-14. At 26,24. 196 Continuò cosí fino alla tarda età come ci risulta da una lettera al vescovo di Albenga in cui si scusa non avergli risposto prima perché impedito dai geloni alle mani. AF. 197 Documento addotto al processo dalla suora dorotea M. Elisa Vassallo, copiato da un autografo della Fondatrice. POS.V, Summ. add., Pars II, p. 40. 198 Si ricava dalla deposizione di suor Elisa Vassallo al processo POS.P, pp. 35s. 199 DOMENICO FASSIOLO, Memorie storiche intorno alla vita del Sac. Giuseppe Frassinetti…, 1879, pp. 17 e 116s. 66 195 Le suore che stesero le Memorie provarono a darci una spiegazione: Paola nascondeva con disinvoltura quanto soffriva… sapeva far cosí bene che, sedendo a mensa col padre e coi fratelli niuno di essi accorgevasi che il suo pasto, già cosí misurato, era ormai divenuto scarsissimo.200 Fa pensare all‟Ape ingegnosa descritta dal fratello: “Quando voleva mortificarsi nel mangiare, diceva che non ne aveva voglia che equivale a volontà; e veramente, non volendo mangiare, non aveva questa volontà...”. Le cose cambiarono quando il fratello prese Paola con sé a Quinto, dove la vediamo rifiorire, il che fa pensare che l‟ape ingegnosa non riesce piú a mascherare i suoi digiuni ad un fratello esperto nella stessa arte. I santi, dei cui esempi si nutriva, Paola li ha conosciuti dal fratello, le devozioni sono quelle del fratello: Ne‟ giorni di festa – depose la Danero – il fratello mi diceva: “Andate con mia sorella a divagarvi un poco”, cosí ci recavamo al bosco vicino ed ella prendeva a parlarmi di qualche tratto della vita di qualche santo o santa, specialmente di S. Maria Maddalena de‟ Pazzi, dell‟amore che Gesú Cristo ci porta nel Santissimo Sacramento... mi ricordo che teneva seco due libri di S. Alfonso, cioè la Pratica di amare Gesú Cristo e le Visite al SS. Sacramento. Contemporaneamente ella cominciò l‟opera di carità verso le fanciulle povere... Insegnava il catechismo. S. Alfonso Maria de‟ Liguori, S. Ignazio di Loyola, S. Maria Maddalena de‟ Pazzi... erano quelli i cui nomi le venivano piú frequentemente sulle labbra.201 Sono i santi del fratello, come si ricava dai suoi scritti editi ed inediti. In una pagellina – 40.000 copie dal 1839 al 1847 – il fratello aveva scritto: Domandiamo anime a Gesú, diceva S.ta Maria M[addalena] de‟ Pazzi alle monache sue compagne, domandiamone tante, quanti passi facciamo pel monastero; domandiamone tante, quante parole recitiamo nel Divino Ufficio.202 La Vassallo ci conferma che Paola leggeva libri spirituali, particolarmente le opere ascetiche di S. Alfonso.203 Queste testimonianze ci dicono che in casa Frassinetti, durante gli anni del chiericato di Giuseppe ed i primi del suo sacerdozio, si leggevano vite di santi, venivano tutti addestrati all‟insegnamento del catechismo, non solo i fratelli chierici, ma anche Paola, e che di tutti era maestro di spiritualità il beato Alfonso Maria de‟ Liguori, la grande scoperta fatta in quegli anni dal nostro Servo di Dio. Queste testimonianze ci dicono che a monte d‟ ogni libro del Frassinetti c‟è la sua vita vissuta e, in non pochi di essi, un ritorno agli anni della sua gioventú e ai discorsi avuti in famiglia con la sorella e con i fratelli. Nel 1837, ancora parroco a Quinto, scriveva: Se mi fosse chiesto di quali opere… si dovrebbe particolarmente promuovere la lettura, io direi delle opere del B. Alfonso Maria de Liguori… vi trovi una purità di dottrina che nulla puoi 200 Memorie..., pp. 13. POS.P., Summarium, pp. 2s; Memorie intorno..., pp. 501s. Questa forma di culto fu “stabilita nella Parrocchia di Quinto la prima volta nell‟anno 1833 o 1834” (ivi p. 45). La data ci dice che è l‟epoca che ha con sé la sorella in canonica. Su santa Maria Maddalena de‟ Pazzi il Frassinetti tornò a piú riprese: nel 1853 pubblicò Le amicizie spirituali... stimolo allo zelo per la salute delle anime da santa Maria Maddalena de‟ Pazzi; nel 1855: Tre sacri gioielli della serafica del Carmelo S. Maria Maddalena de‟ Pazzi. Nei manoscritti a noi pervenuti troviamo anche Estratti dalla vita di S. Maria Maddalena de‟ Pazzi del Puccini.AF, Man., vol IV, pp. 515-531. 202 G. FRASSINETTI, Culto perpetuo ad onore del SS. Sacramento. Si trattava d‟una pagella a noi non pervenuta ma riprodotta nelle Memorie intorno alla Congregazione del B. Leonardo da Porto Maurizio, Genova 1857, pp. 154-156. Questa forma di culto fu “stabilita nella Parrocchia di Quinto la prima volta nell‟anno 1833 o 1834”. ivi p. 45. La data ci dice che è l‟epoca aveva con sé la sorella in canonica. 203 E. VASSALLO, Memorie..., pp. 33s. 67 201 desiderarne di piú, un fervore di spirito che difficilmente ti verrà fatto riscontrarne maggiore… una semplicità che, quantunque spesso rozza e disadorna, ti piace e ti tocca fortemente il cuore...204 Il libretto delle sue Massime eterne per me vale un tesoro e vorrei sapere se altro ne esista piú adatto per addestrare i rozzi all‟importantissimo esercizio della meditazione… Fosse nelle mani di tutti quelli che arrivano a saper leggere e ne leggessero qualche tratto ogni dí! Nella Pratica d‟amar Gesú Cristo parmi trovar raccolto il fiore dei libri buoni: e chi lo potrà mai leggere da capo a fondo, senza trovarsi sforzato ad anatematizzare con l‟Apostolo chiunque non ama Gesú Cristo?205 Se la mia ipotesi che ne La forza di un libretto v‟è un eco dei discorsi tenuti in casa dal Frassinetti da seminarista e giovane sacerdote ha un fondamento, v‟è la conferma che Giuseppe nutriva i fratelli soprattutto delle opere di sant‟Alfonso: VIRGINIA– Chiama Domenica che voglio sapere se mi ha comprato certi libri. ELISA – Quali libri ti fai comprare? VIRGINIA – Me li suggerí il Confessore [supposta vera l‟ipotesi, leggi: mio fratello Giuseppe]: La pratica di amare Gesú Cristo e le opere spirituali di S. Alfonso gran Vescovo e gran Santo, come mi disse, di questi ultimi tempi. ELISA – Me li mostrerai domani, e anch‟io me li farò comprare... VIRGINIA – Ho trovato che nelle sue opere spirituali vi sono le meditazioni per tutti giorni della settimana, e il Confessore mi disse che adesso ne leggessi attentamente una per giorno, che quindi la prima volta che sarei tornata da lui mi avrebbe meglio istruito sul modo di farla. Sant‟Alfonso diventa il loro testo: ELISA – Alle sei mi alzerò anch‟io e farò quindi mezz‟ora di meditazione. VIRGINIA – Ti ha dunque istruita sul modo di farla? ELISA – È cosa semplicissima; ho veduto che in poche parole S. Alfonso, prima delle meditazioni sulle massime eterne, accenna il modo di farla.206 Dialogo che ci fa anche da spia di come il confessore Frassinetti dirigesse le anime facendone delle alunne di sant‟Alfonso ed innamorandole delle sue opere. Le due amiche si mettono ad escogitare i modi per conquistare le compagne che già hanno avvertito in loro un cambiamento e sono attirate dal loro esempio. Prima di chiudere il capitolo piace giustapporre alle parole del Frassinetti quelle di un letterato, don Giuseppe De Luca. Uno piú bello dell‟altro, mio caro lettore, [la Pratica di amare Gesú Cristo… e gli altri Opuscoli sull‟Amore Divino]. Limpide, piane, ardenti pagine, che sono tutta una preghiera e una preghiera intessuta – come nel parlare dei Padri – di espressi o taciti brani di Sacra Scrittura; tutte gremite di fatti e di voci dei piú cari e dei piú alti Santi. Pagine senza presunzioni di grandi pensieri, senza impennature di vedute nuove, senza leccature di stile e lenocini di grazie letterarie; e tuttavia vive e calde come dolce focolare, mormoranti e suadenti come una pura vena d‟acqua preziosa. Pagine nelle quali il Santo non si distacca un attimo dai piedi sanguinanti di Cristo, e ripete al suo Amore crocifisso, senza mai venir meno, le sue parole d‟amore e di dedizione totale.207 204 G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici, Genova 1838, pp. 20-21. Cito dalla terza edizione, rarissima. La prima del 1837 e la seconda (un‟edizione pirata stampata a Milano) non ci sono purtroppo pervenute. 205 Ivi, nella nota 9. Il nome del Liguori agli occhi dei rigoristi era peggio del panno rosso agli occhi del toro, e fu causa non ultima delle ire suscitate contro il nostro Servo di Dio, ire ancora vive dieci anni appresso nel Gesuita moderno del Gioberti. In questa nota, una delle 19 apposte alla terza edizione delle Riflessioni, il Frassinetti si difendeva dalla critica d‟aver suggerito le opere dell‟ancora beato Alfonso Maria de‟ Liguori. 206 G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto, pp. 119.128.165.167-168. Mi sono permesso qualche piccolo ritocco all‟ortografia. 207 G. DE LUCA, Piano... con Sant‟Alfonso, in “L‟Avvenire d‟Italia” del 19-IX-1934. 68 Palato buono il nostro Giuseppe, e “gustosa” e nutriente la cucina napoletana che la sorella ed i fratelli assaporavano alla sua mensa. La spiritualità di Paola, come evince dal processo di canonizzazione, è tutta informata su quella del fratello, da cui aveva largamente attinto negli anni giovanili vissutiti insieme. Quando si separarono continuò a formare le sue suore e le sue educande sulle opere di Sant‟Alfonso e su i ricordi di quella scuola domestica i cui insegnamenti ritrovava nei libretti che il fratello andava scrivendo ed essa distribuiva a centinaia di copie. 69 CAPITOLO XIV “I RAGAZZI DEL GIANELLI” È qua il Cristo; no, è là!208 Anche il martire Giustino lo cercava senza sapere chi cercasse e dove cercarlo. Sentiva una forza in sé che lo spingeva a cercare. Andò da un peripatetico, ma incontrò un vendichiacchiere a caro prezzo. Chissà se un pitagorico..., ma il pitagorico non accettava alunni non all‟altezza del suo insegnamento. Da un platonico ebbe qualche seme di verità. Barlumi. Un dí incontrò un vegliardo misterioso che lo indirizzò ai profeti. Questi gli aprirono la strada a Cristo.209 Non meno faticoso l‟itinerario d‟Agostino prima di quel tolle et lege che segnò il suo incontro con l‟apostolo Paolo e la sua resa definitiva alla grazia.210 È una storia antica. Ebbe inizio quando un gruppo d‟amici pescatori udirono parlare d‟un certo Giovanni che predicava sulle rive del Giordano. No, non era lui il Cristo, ma fu lui che li indirizzò al Cristo. L‟incontrarono verso le quattro del pomeriggio, stettero con lui tutta la serata, né piú se ne separarono.211 Giuseppe Frassinetti ebbe da muoversi meno. Incontrò il suo “vegliardo” o, se si vuol dare importanza all‟età, il suo Giovanni Battista, l‟uno e l‟altro di circa anni trenta, in seminario a scuola di “Rettorica”, un po‟ il nostro liceo classico, e lí, alla scuola del Gianelli, incontrò pure un gruppo di ragazzi che, divenuti anch‟essi sacerdoti, combatteranno con lui la santa battaglia. Dio disse ad Elia: – Rifai la strada per Damasco... ungimi profeta Eliseo –... Ed Elia si partí, trovò Eliseo che arava... gli si accostò e gettò su di lui il suo mantello... e lo spirito di Elia si travasò in Eliseo.212 Nel 1816 fu il cardinal Spina a far tornare il Gianelli su i suoi passi e a farlo fermare a Genova nel seminario. In realtà era stato il Signore che ve lo aveva chiamato perché travasasse il suo spirito in un gruppo di adolescenti che mi piace chiamare “I ragazzi del Gianelli”. Non mi convince molto affidare il reclutamento delle vocazioni a dei professionisti. Quei ragazzi mi paiono pulcini nati in incubatrice, non dal calore d‟una chioccia come natura vorrebbe. Il giorno della creazione le piante si trovarono tutte in cuore un seme vivo per riprodursi in foresta.213 Cosí dovrebbe essere di ogni ministro di Dio. Lo fu di Elia per Eliseo, di Giovanni l‟Evangelista per Policarpo, di Policarpo per Ireneo. Gente che non partí da questa terra senza prima essersi riprodotta in altri, avere avvampato altri. Ascoltiamo la rievocazione di Ireneo: Ti conobbi da Policarpo nell‟Asia Minore che ero ancora ragazzo – scrive a Florino –..., le cose di allora me le ritrovo in mente meglio di quelle di poco fa… Potrei perciò ancora indicarti il luogo dove il beato Policarpo si sedeva a predicare, come usava introdursi e come sviluppasse 208 Mt 24,24. 209 GIUSTINO, Dialogo con Trifone, capp. 2-8. 210 AGOSTINO, Confessioni, l. VIII,12. Gv 1,10. 212 1 Re 19,15-16. 213 Gen 1,11s. 211 70 l‟argomento, quale il suo stile di vita, che aspetto aveva, ripeterti i discorsi che teneva al popolo, parlarti della stretta familiarità che diceva aver avuto con [l‟apostolo] Giovanni e con gli altri che avevano visto il Signore, e come ci ripeteva a memoria i loro discorsi e ci narrava i fatti del Signore appresi dalla loro viva voce, ed i suoi miracoli, ed i suoi insegnamenti… Quei discorsi, che, per grazia di Dio, ascoltai ragazzo con tanta attenzione, non li appuntavo sulla carta, me li imprimevo nella memoria e nell‟intimo del cuore e, grazie a Dio, non ho mai cessato di ripensarli con amore. Tornando con il pensiero a Policarpo, poteva affermare ciò che avrebbe fatto e detto se fosse stato testimone del tralignamento di Florino.214 Come Policarpo il Gianelli, Parola-saetta. Né gli mancò, accanto ai suoi Irenei, un Florino che si sarebbe acquistato fama vaneggiando.215 Pre‟ Antonio Gianelli fu di tale ascendente sui quei giovani che, anche assente e non piú professore, restò per loro norma di come comportarsi, consigliere e punto di riferimento. In seminario insegnò lettere. Nulla di speciale la scuola di “Rettorica”. Composizioni italiane e latine, in prosa ed in versi, familiarità con i vari metri e generi letterari. Mitologia, gli eroi di Plutarco visti con gli occhi del Metastasio, anacreontiche popolate di pastorelle, e, perché seminario, escursioni nel mondo biblico e santorale. Quanto era bastato ad un “abate” del Settecento per dettare epigrafi, comporre poemetti per monacazioni, nozze, nascite e comunioni, nonché canzonette sacre e profane, tessere discorsi per le varie circostanze e darli poi alle stampe. Una seconda occupazione che in non pochi diventava la prima, se non addirittura la sola. Genova si gloriava di averne avuto uno eccelso, ancora in fama di grande poeta: Carlo Innocenzo Frugoni. Se poi la natura non fosse stata avara dei suoi doni, quell‟educazione base poteva essere il punto da cui partire per innalzarsi molto piú in alto, come era stato d‟un Muratori, d‟un Forcellini, d‟un Parini o d‟un Galiani. Il piú del tempo era per il latino, meno per l‟italiano, e questo da ricalcare su quello, se voleva essere degno di far gemere i torchi. L‟italiano era appreso sui classici del bello scrivere, né piú né meno di come si apprendeva il latino, privilegiando il Segneri, se si sognava di calcare i pulpiti. Non c‟era studente che non imparasse a memoria passi dell‟una e dell‟altra lingua e non raccogliesse nelle sue silvæ perle rare ed esotici fiori di lingua. Lingua viva per tutti, professori ed alunni, il genovese, né valse l‟averne l‟arcivescovo proibito l‟uso. Della scuola del Gianelli siamo in grado di parlarne servendoci di quaderni del Frassinetti, di manoscritti del Gianelli, di resoconti delle accademie tenute sotto la sua direzione ed attingendo a ciò che di lui scrissero i suoi alunni: Aveva – scrive il Barabino – un grande trasporto all‟arte della declamazione... un giorno della settimana ci faceva recitare dalla cattedra… i piú eloquenti brani dei classici... Istituí un‟accademia… che teneva due volte ogni mese le sue tornate... Ciascuno dei soci era tenuto a leggervi un proprio componimento, ma di tema assegnato... Se mostravasi tanto sollecito coltivando l‟ingegno de‟ suoi discepoli, molto piú si studiava a coltivarne il cuore… parlavaci spesso del Crisostomo e del primo Segneri e... inculcavaci a leggere anche gli altri... faceva gustare gli esempi de‟ classici sí latini che italiani, ed incitava i giovani all‟imitazione. Gli esercitava a comporre sí in prosa che in verso... Né solo ad istruire la mente degli scolari, ma piú ancora a formare il cuore intendeva.216 Commentava e analizzava gli storici – ricorda il Luxardo –, i 214 IRENEO, Epistola ad Florinum in EUSEBIO, Hist. Eccl. V,20,5-7. MG 215 Cristoforo Bonavino, di cui si parlerà a lungo nella seconda parte. 216 N. BARABINO, 7,1225. Vita di mons. Antonio Gianelli, 1847, pp. 41- 48 e 348. ACGSG. 71 prosatori, i poeti principali… Cominciava dalla Storia Sacra... Non dimenticava la storia greca e romana; e le altre del Medio Evo e dei tempi e de‟ popoli a noi piú vicini...217 vengono in aiuto gli elaborati scolastici del Frassinetti studente di retorica.218 Composizioni, tutte in versi, su fatti e personaggi della storia greco-romana e d‟argomento mitologico insieme a temi religiosi219 o tratti dalla storia della Chiesa. Non mancano, va da sé, i temi cari all‟Arcadia. Tasso, Cicerone, Virgilio, Orazio, Dante, Petrarca e Segneri erano di casa: Ci Non vi stancate di leggere, studiare ed imitar Cicerone, per l‟eloquenza latina – suggeriva il Gianelli –, Segneri per l‟italiana; per la poetica non vi dipartite da Orazio e da Virgilio fra i latini, e da Tasso per gli epici italiani... imparare a memoria i piú bei squarci e le migliori sentenze degli ottimi autori,.. 220 Uno sguardo ai lavori del Frassinetti: la Parlata d‟un disperato ci dice che non era loro estranea la letteratura che si rifaceva all‟Ossian, allora cosí in voga.221 L‟Ariosto no, valendo il principio: Maxima debetur puero reverentia.222 Temi assegnati e di libera composizione. Al Rdo Professor di Rettorica Antonio Gianelli – In occasione d‟essere andato fallito nella speranza del premio a cui aveva atteso.223 Quando era già in filosofia, un capitolo sulla morte di Pio VII.224 Scrisse altri versi da teologo, trovati in fondo al volume d‟appunti di teologia morale.225 La conoscenza delle regole del bello scrivere procurò al Frassinetti premi, bei voti e la pubblicazione d‟un‟alcaica in latino – aveva sedici anni – : Fervere nostro pectore quis neget Munus supernum? quo sacra Virginum 217 F. LUXARDO, Istoria della vita di Mons. Antonio Gianelli, Genova 1882. AF, Manoscritti, vol. 19. Una miscellanea che racchiude, legati insieme e con unica numerazione, quaderni vari e fogli sparsi. 219 Il ragazzo che, stando alla sorella santa, non sapeva dire bugie, neppure piccole, appose una nota allo Sfogo amoroso di S. Luigi innanzi al Crocifisso: “Questo sonetto di S. Luigi, per essere stato recitato in pubblica accademia fu rivisto ed emendato dal professor di Rettorica il molto Revdo Antonio Gianelli”. Lo scrupolo per la verità gli fa apporre una nota al sonetto sulla morte di Temistocle: “Si avverta che per poetica licenza si finge che non col veleno, come scrivono certi storici, ma col ferro si sia ucciso. Si dirà che sia licenza presa a spese della storia, ed io nol niego”. Povero poeta, se, cantando la storia, non avesse potuto servirsi della variatio! 220 A. GIANELLI, Ristretto di Precetti Rettorici, manoscritto, pp. 32,45,12,19 in ACGSG,. 221 Parlata d‟un disperato (16 endecasillabi in terza rima), p. 515s. 222 N. BARABINO, Vita di mons. Antonio Gianelli, cit., pp. 13. 223 Terzine (118 endecasillabi in terza rima), pp. 541-545. 224 In Morte di Pio VII, Pont. Mass. (88 endecasillabi in terza rima), pp. 550-553. 225 AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol XVIII: Ne cito solo alcune: Le agonie e la morte di Voltaire (91 endecasillabi in terza rima); Là su quel lido il non mai vinto inglese... (sonetto sulla battaglia di Trafalgar). C‟è anche un distico in greco alla Provvidenza con traduzione latina, una mezza pagina in prosa latina sostenuta: Quid cœlos metiri juvat... quid absconditas rerum caussas inquirere, legesque queis omnia obtemperant...? Si noti l‟arcaico queis per quibus. Il latino l‟aveva appreso bene e poteva servirsene con padronanza, anche in metro. Recensendo il primo volume del Compendio di teologia morale, la Civiltà cattolica gli fa un solo appunto: averlo scritto in italiano! Civ. catt.,1865, vol. IV, serie VI, p. 728. In realtà lo aveva steso in latino e poi se l‟era tradotto in italiano. Lo strepitoso successo editoriale – la prima edizione esaurita nel giro di qualche mese – fece ricredere il censore, Civ. catt. 1866, vol. VI, serie VI, p. 596. Si noti la diversa posizione del Frassinetti, pronto a sacrificare il bel latino alla formazione del confessore, e del recensore, servirsi dei testi di morale scritti in latino per costringere il clero allo studio della lingua. 72 218 Pindi colamus, fert decorum Nos studium, et rapiens in artes...226 Premi e delusioni. La storia d‟un premio mancato l‟aveva buttato giú. Ne sfogò l‟amarezza in terza rima al Gianelli che gli aveva fatto sperare la corona che poi s‟era involata sul capo di un altro.227 Centoventuno versi, in cui mostra i suoi nobili sentimenti. La stima e l‟affetto per il suo professore – un Gianelli canonizzato ancor vivo cento trent‟anni prima che lo fosse da papa Pio XII – ci dicono cosa egli fosse per lui e i suoi compagni. Da lui si fa dettare le norme di vita. Sono versi d‟un alunno diligente in cui si avvertono risonanze dantesche dei primi canti dell‟Inferno e qualche rispondenza con il carme manzoniano In morte di Carlo Imbonati, che poteva essere già giunto a sua conoscenza: Figlio – dice – che temi? – e poi sorride: – Ove è l‟ardir? Spera e mi segui, o figlio... Il discepolo seguirà il maestro, non per cingere alloro in Elicona, ma altra corona su piú alta montagna. Non credo che Paola, anche se orgogliosa di quel fratello, apprezzasse tali finezze poetiche e quella dimestichezza con dei e dee. Merito del Gianelli il buon livello della scuola, ma anche dell‟arcivescovo Lambruschini cui stava molto a cuore la preparazione dei chierici. A lui si deve il corso di canto gregoriano, il corso biennale di greco, altra novità. Il Frassinetti, già in filosofia, seguí il corso con grande onore: e secunda schola Græcæ linguæ laudatus amplissimis verbis Joseph Frassinetti. Lode sudata!228 Giacché siamo in argomento, aggiungo di seguito gli altri attestati a noi pervenuti. Il 16 luglio 1824 lodi per il profitto in teologia dogmatica ed ancor piú, verbis amplissimis, per la teologia morale insieme al Cattaneo. L‟otto agosto 1825 grandi lodi per la dogmatica. Solo per un pelo gli sfuggí il primo premio in teologia morale andato al seminarista interno Gualco huic cum proxime accesserit, Frassinetti Joseph tulit secundum premium.229 Frassinetti, Gualco, Cattaneo, li vedremo tutta la vita uno a fianco dell‟altro. Come oggi i pulcini delle squadre di calcio giocano anch‟essi un loro torneo, cosí quegli adolescenti avevano una loro accademia, l‟Arcadia degli Ingenui,230 con tanto di tornate e stampa dei lavori che vi si declamavano. Era distinta in tre classi. Nella prima, cui apparteneva il Frassinetti, potevano esservi ascritti coloro che, senza traccia e senza libri, saranno capaci di fare un discreto componimento in versi Latini, o Italiani, o almeno in prosa esatta e robusta... Dovranno essere amanti dello studio ed esemplari nella propria condotta… verranno cancellati ogniqualvolta si avranno prove in contrario… La prima classe avrà un Principe, un Segretario, un Intendente, un Procuratore, due Censori, un capo Consigliere, quattro Consiglieri Maggiori e quattro Minori... 231 “Chi può negare che un divin dono ci avvampa in petto? con cui onorare il sacrario delle Vergini del Pindo. Nobile passione ci muove e spinge alle arti belle...”. 227 Anche se il Lambruschini insiste sulla imparzialità, un seminarista interno era sempre qualcosa di piú di uno esterno, ed un blasone continuava a fare premio. Di ingiustizie simili, vere o supposte, si lamenta anche il Ruffini, Lorenzo Benoni. Op. cit., pp. 30-31. 228 Si era gareggiato per sei ore, certatum est horis sex. 229 Le citazioni di questi due paragrafi le ho attinte dagli appunti di GIUSEPPE CAPURRO conservati nell‟Archivio Frassinettiano. 230 Cfr. Memorie dell‟Arcadia degli Ingenui, in ASAG. 231 ACGSG. 73 226 Tra i dignitari dell‟Accademia nell‟anno 1820-1821 troviamo il Frassinetti col titolo di secondo censore, e l‟anno successivo di intendente. La prima carica fa pensare ai probi viri dei partiti, mentre “l‟intendente proporrà i temi da trattarsi nelle Accademie o esercizi, combinerà ed assegnerà i diversi argomenti, dopo averli consultati col Principe e col Maestro...”. La carica piú alta era quella di Principe, ricoperta nei due anni dal Cattaneo. Tra i Consiglieri troviamo il nome dello Sturla, del Poggi e di Girolamo Campanella, tutti nomi che ritroveremo spesso nel corso della storia. Nell‟anno 1821-1822 colpisce vedere successore del censore Frassinetti, anzi di primo censore, Federico Campanella. Di lí a due anni l‟Università di Genova lo sospenderà per un mese dalle lezioni per aver disturbato l‟ordine e la disciplina232 e avanzato “massime contrarie alla Religione ed all‟autenticità dei libri Santi”233 mostrando “disprezzo per le pratiche ecclesiastiche”.234 All‟Università Federico Campanella s‟era incontrato con il Mazzini e ne divenne il compagno di moti e di congiure. 235 Anima dell‟accademia era il Gianelli. Fece epoca quella del 1821, “La Religione e le Lettere”. Il Frassinetti recitò un componimento di 108 versi in terza rima scritto dal suo compagno Sciallero, mentre la sua alcaica Litterarum prestigium, fu letta dal Cattaneo.236 Vi partecipò anche Federico Campanella, con uno scherzo in genovese e un‟ode.237 Non mancò la musica. Queste accademie, presiedute dall‟arcivescovo, presenti le autorità, i familiari degli alunni e scelti invitati, come pure le solenni premiazioni di fine anno, erano la messa in mostra del valore della scuola e la gran giornata degli alunni piú bravi. Ce se ne può fare un‟idea leggendo la descrizione della premiazione di fine anno al Collegio Reale dei somaschi nel Lorenzo Benoni di Giovanni Ruffini:238 Il canonico Poggi, che a quell‟accademia aveva preso parte, ricordava con prosa preziosa l‟ ammirazione che avevano suscitato i versi latini del Frassinetti.239 Chissà se il Frassinetti, da poco in paradiso, tutto intento a saziarsi gli occhi di quelle infinite meraviglie, fece caso alla prosa leccata dell‟antico compagno ed amico, cosí lontana dalla semplicità della sua, e ne sorrise con il Gianelli, loro maestro? Nei titoli dei temi che venivano assegnati a quei giovani v‟è del paradossale. In pieno assolutismo regio, restaurazione, rigorosa censura e dura repressione – sono gli anni di Carlo Felice –, nei seminari, come nelle altre scuole anch‟esse tenute dal clero, si tifava repubblica e libertà. Lo nota Giovanni Ruffini nel suo romanzo. Istituire repubbliche era uno dei giochi che piú li divertiva in cortile. Non sul modello di quella di Genova, ma di quella romana con contaminazioni della francese dei tempi della Rivoluzione. Un darsi da fare a costruire corazze 232 AUG, Documenti universitari, Registro delle deliberazioni, n. 5, 18 febbraio 1824, citato da A. CODIGNOLA, I Fratelli Ruffini, vol. I, cit., p. XXXIX. 233 AUG, Docum. univ., Reg., .5, 11 marzo 1824. Severità piú apparente che reale, trovandosi sempre il modo di vanificarla. Nel caso bastò una supplica, Cfr. AUG, Documenti scolastici, F. Campanella, cit. da A. CODIGNOLA, ivi. 234 Rapporto del prefetto agli Studi Gerolamo Bertora, 5 marzo 1824, p. XXXVIII. 235 Fu capo della massoneria italiana, Dizionario del Risorgimento Nazionale, vol. II, Le persone, p. 500. Può suscitare meraviglia saperlo zio materno della beata Rosa Gattorno. Ebbe un influsso funesto sul nipote Federico, fratello della Beata. Sempre a Genova, Nino Bixio aveva un fratello gesuita. Antonietta Mazzini fu una pia cattolica e tutt‟altro che fiera del fratello Giuseppe. 236 La Religione e le Lettere, un opuscolo pubblicato nel 1821 in Genova da Bonaudo, “Stampatore Arcivescovile”. Ce ne è pervenuta una copia a mano del Frassinetti. 237 Le lettere vendicate e La Religione e le Lettere. Cfr. pure A. CODIGNOLA, I fratelli Ruffini, vol. I, Genova 1925, p. XXXVIII, n. 87. 238 G. RUFFINI, Op. cit., pp. 99s. 239 CAN. F. POGGI, Della vita e degli scritti di Giuseppe Frassinetti priore di Santa Sabina – Discorso nelle solenni rinnovate esequie il dí 14 febbraio 1868, Genova 1868, p. 7. Cfr. pure D. FASSIOLO, Op. cit., p. 16. 74 elmi e scudi per celebrarne i trionfi con tanto di littori e fasci e bandiere con nel centro stemmi di mani intrecciate e scritte: Repubblica – Fraternità. Le acclamazioni però non erano quelle riportate da Svetonio impregnate di lezzo di caserma, ma odorose d‟incenso: Dio salvi la Repubblica. 240 Atteggiamenti che ci fanno sorridere, ma erano secondo i programmi, poco importa chi sedesse in cattedra, se somaschi scolopi gesuiti o clero diocesano. Cesare Cabella, alunno del De Gregori e compagno del Mazzini, agli esami di Magistero per accedere all‟Università, dovette svolgere il tema: Amilcare obbliga il suo figlio Annibale a giurare odio ai Romani.241 In seminario cambiavano i sonatori, non cambiava lo spartito. Basta una scorsa alle poesie di quanti poetarono sui destini d‟Italia per farsi un‟idea di come questo retoricume libresco, infarcito di Bruti Deci Scipioni e dei loro elmi fosse divenuto sostanza del loro dire. Questi componimenti del Frassinetti ci dicono quello che possono dirci i compiti d‟un giovanetto studioso. Temi scolastici svolti in versi. Padronanza della meccanica del verso. Ci sono le rime, esatto il ritmo, dipendenza dai modelli, assente l‟ispirazione. Poeta nascitur. A parte le continue incertezze ortografiche, se si tiene conto dell‟età acerba, non mancano dei bei versi. Nei manoscritti, una volta sacerdote, ne troviamo ancora in gran numero, ma non piú altisonanti, né piú vi si incontrano divinità dell‟Olimpo o eroi della storia antica. Sono strofe devote, destinate al canto per rendere belle le funzioni o da canticchiare a modo di giaculatorie. Vi si avverte la commozione d‟un animo che crede, un Frassinetti alunno di sant‟Alfonso non piú del Gianelli. Si direbbero una sua trovata per distendersi da studi seri senza cessare d‟essere pastore che vuol dare un confettino alle sue pecorelle, o gustarsi lui stesso la bellezza d‟un salmo parafrasandoselo in versi italiani. Uscita la Vie de Jésus del Renan, tradotta lo stesso anno con proemio riboccante d‟astio anticattolico,242 il mite Priore, ormai sessantenne, si risvegliò adolescente focosissimo, e fece di penna stiletto: Renan In questo dí che non ha mane o sera, Ti generai dalla sostanza mia. Ti assidi alla mia destra e regna e impera Sopra il ciel, sulla terra e sulla ria Congrega della gente sozza e altera. Lo scettro tuo sí luminoso fia Che sarà sol della suprema sfera Dove luce ed amor ogni alma india. Cosí l‟Eterno al Figlio suo diletto, Fatto Gesú perché figliuolo a Lei Che fece al serpente antico il gran dispetto. E a Lui per contro un vile verme grida, Ti traggo al suol che un pari mio tu sei! Schiacciate il verme blasfemo deicida. Al Lettore non saranno sfuggite le rispondenze coi salmi 2 e 110(109) ed il verso finale che pare una risonanza della chiusa del salmo 137(136), salmo già da lui tradotto in versi settenari. 240 G. RUFFINI, Op. cit., p. 76. AUG, Documenti scolastici. 242 Fu tradotta in italiano lo steso anno da un prete apostata, don Filippo De Boni, uno che nel ‟48 aveva furoreggiato a Genova. Da liberale si fece mazziniano e massone. Cfr. A. COLLETTI, Ausonio Franchi e i suoi tempi, Torino, 1925, pp. 61.70. 75 241 Nel rovescio di una lettera spedita dalla sorella al fratello don Giovanni in data 8 ottobre 1863 ne troviamo un altro. Al suo demone un dí chiedeva Ernesto: Io son vago di fama e di moneta, Dimmi qual mezzo mi saria piú presto A conseguir la desiata meta. Mio re, mio padre, sai che io non mi arresto Per orror di delitto, or, se tu lieta farai mia brama ardente, io mi protesto Ardito a compier quanto il ciel mi vieta. Dolce amico e figliuol, oro ed onore L‟illuminato secolo profonde Ove nequizia e frode havvi maggiore. Mesci da sofo bestemmie e argomenti Contro di Cristo il nome, risponde, E vedrai tosto i tuoi desir contenti. 243 Figlio di pace il Frassinetti, ma non malato d‟irenismo, come non può esserlo chi ha contratto dimestichezza con la Scrittura ed i padri della Chiesa e s‟è preso Gesú Cristo come regola del suo sacerdozio. CAPITOLO XV 243 76 ACGSD. L’ADOLESCENTE FOCOSISSIMO Un giorno una maestra dell‟abbazia mi chiese come passassi i giorni di vacanza quando mi trovavo sola. Risposi che andavo in un angolino libero ch‟era dietro il mio letto, tiravo la tenda senza difficoltà e lí «pensavo» – Ma che pensi? mi chiese – Penso al buon Dio, a la vita... a l‟ETERNITÀ, penso, ecco tutto!... S. TERESA DE L BAMBINO GESÚ244 Se la Santina non avesse lasciato i suoi manoscritti, nessuno avrebbe immaginato una bimba di otto anni che pensa al tempo che passa e alla vanità di questa terra, alla quale non vale attaccarsi avendoci Iddio creati per lassú. Eppure, sono le scelte di quei primi anni che fanno il santo. Il Frassinetti viene presentato dai biografi già sacerdote, dicendoci poco o nulla dell‟infanzia e dell‟adolescenza. Una giovinezza, la sua, pari al percorrere in treno le Riviere della sua terra: una lunga galleria rotta di tanto in tanto da squarci di cielo e di mare azzurrissimi, visioni di un attimo che ti danno il rammarico di non potertene godere tutto l‟incanto. Poche paginette il Fassiolo, una la sorella. Quel che si può dire d‟ogni santo fanciullo: obbedienza ai genitori, spirito di preghiera, orrore d‟offendere il Signore. Sprazzi di luce che fanno sentire di quanto siamo stati derubato. Sorprende il focosissimo rimasto vivo nella memoria della sorella. Il Fassiolo e l‟Olivari non poterono conoscere la deposizione di Giovanna Sanguineti245 “[da] ragazzo ho sentito dire che fosse piuttosto vivace: egli stesso lo confessava, soggiungendo però che, purché si voglia, si può divenire miti come agnelli”. Se avessero guardato nel quaderno di poesie composte negli anni di “Rettorica” ed in un altro della stessa epoca, Selva Poetica, dove ne aveva trascritte da varie fonti, avrebbero avuto la conferma che fu veramente un focosissimo adolescente. A quell‟età, anche se non si parla di sé, anche in temi generici, è impossibile non scoprire lembi del proprio animo senza che ce se ne accorga. Proviamo a farla noi questa lettura e non ci mancheranno sorprese, se di lui, leggendo le sue opere, ed è il mio caso, ci si era fatta un‟immagine cosí simile all‟aura carezzevole che sul Carmelo ristorò il profeta Elia.246 Un eloquio piano che scende al cuore. Mite l‟eloquio, mite l‟uomo, cresciuto, si direbbe, tra rose e fiori: Questo di Flora amabile soggiorno A Zefiro diletto, ah, quanto è bello! Quanto ave in sé de‟ doni di Primavera: Serbata la gentil rosa d‟Aprile Vedesi a Giugno, e la violetta ascosa Celando sua beltà bella si mira. Qui il gelsomin s‟innalza, e i torti rami Attorno stende, biancicante, e manda Gratissimo l‟odor...247 Manuscrits autobiographiques, Ms A,33vo. Da ragazza era stata assidua alle conferenze del santo Priore per un buon numero d‟anni ed aveva conosciuto bene i suoi amici ed i suoi familiari. Cfr. POS.sV., p. 120. 246 1 Re 19,12s. 247 AF, G. FRASSINETTI, Mns., vol. XIX, Guerriero italico entrato in un ameno giardino mentre i barbari depredavano l‟Italia (45 endecasillabi) Sciolti, pp. 529s. 77 244 245 Fa pensare che la sera, quando dal mare s‟alzava la brezza, il Signore se ne scendesse a passeggiarvi per intrattenersi un‟ora in compagnia del giovinetto,248 compiacendosi del giardino e del ragazzo che vi aveva posto a coltivarlo.249 Il canto continua con la descrizione di piante provenienti d‟ogni parte del globo per abbellire quest‟angolo di paradiso ad un adolescente mite e dolce, non certo focossimo. Inaspettatamente il tono cambia. No, il cantore è un rude guerriero italico che sferza i nipoti invigliacchiti fra le delizie mentre il barbaro li spoglia: ... Italia mia, che non rigetti ancor tai doni e invece D‟arme ti cingi e impallidir gl‟audaci Rapitori non fai di tue ricchezze? Ove è gito il valor, la possa antica? Chi ormai piú trema sol di Roma al nome? Ahi che sprezzata vilipesa e serva Della mollezza il fio pagar ti veggio 250 Sembra si sia fatto prestare inchiostro e penna da Giovenale.251 Focosissimo e fremiti d‟amor Patria. Ci sono echi della canzone Italia mia, benché ‟l parlar sia indarno, trascritta nella sua Selva Poetica, pur possedendo una pregevole edizione cinquecentina del Petrarca. Vi si avverte l‟aria respirata dagli studenti in quel 1820-1821,252 A Genova, piú che altrove. Carlo Felice ebbe tanta paura delle chiassate da mutare l‟Università in bivacco di soldati per tre anni e mezzo!253 Ci sono giorni che non ci si sottrarre da una psicologia di massa. Anche se tu non partecipi alle dimostrazioni, non puoi in cuor tuo non simpatizzare per l‟idea per cui si combatte. I moti divennero cosa degli studenti. Giuseppe era della categoria. Non affrontò il 21, 22 e 23 marzo i cavalleggeri a Sottoripa, bastone in mano come Mazzini, né si presentò al governatore Des Geneys a chiedergli imperioso se era schiavo o era uomo, ma anche egli sognò l‟ora del riscatto: non piú suddito Piemontese, ma cittadino d‟Italia.254 Nel marzo – scrive il Cattaneo – accadde la rivoluzione in città per la Costituzione, ma il Seminario non ne risentí né punto né poco: tutto fu sempre tranquillo, né vi fu il menomo disturbo, solo per due o tre giorni furono sospese le scuole. Il Frassinetti era studente esterno. Se non partecipò alle chiassate, non vuol dire che non sentisse. Ci fa da spia una sua Selva poetica dove trascrisse un‟ode di Gabriele Rossetti non certo assegnatagli dal Gianelli.255 Comunque gli fosse pervenuta gli piacque da trascriversela. 248 Gen 3,8. Gen 1, 4.10.12.18.21.25.31. 250 AF, G. FRASSINETTI, Ivi. 251 .Saturæ, X, 78-81: Nam qui dabat olim / imperium, fasces, legiones, omnia, nunc se / continet atque duas tantum res anxius optat, /panem et circenses.. “Chi assegnava comandi, fasci, legioni, tutto, ora sol di due cose si preoccupa: mangiare e divertirsi”. 252 Cfr. pure G.LEOPARDI, All‟Italia. 253 Lo stesso marzo cantato dal Manzoni: Soffermati sull‟arida sponda... 254 Cfr. i Ricordi del Mazzini raccolti da PIETRO CIRONI, citato da A. CODIGNOLA, I fratelli Ruffini, vol. I, p. XXIII, n. 40. Cfr. pure “Gazzetta di Genova”, 9 giugno 1821, n. 46, p. 190 e V. VITALE, Onofrio Scassi, Genova 1932, pp. 251-258. 255 AF, Mns., vol XXVII, Selva Poetica di GIUSEPPE FRASSINETTI, Anno 1821, Ode civica Al Regno di Napoli de Il signor Rosetti (sic) Napoletano, “Il rampollo d‟Errico e di Carlo / e che ad ambo cotanto somiglia / oggi estese la propria famiglia / e non servi, ma figli bramò…”, pp. 66-70. Trascritta non oltre la metà febbraio del ‟21, quando il tradimento del Borbone diverrà evidente. Come poté essergli giunta? I controlli sulla stampa erano severissimi. Il giovane Frassinetti frequentava le biblioteche della città, cfr. D. FASSIOLO, Op. cit., pp. 16s. Ivi non era difficile che un compagno gli passasse una rivista giuntagli per le vie piú impensate. 78 249 Anch‟egli partecipava alla rilettura del recente passato che i giovani studenti andavano facendo, non solo quelli che provenivano dalla borghesia umiliata, ma anche i figli del popolo che frequentavano le scuole superiori. Per il solo fatto di frequentarle, si sentivano immessi nel loro ceto. Si avvertiva, specie dai giovani, il peso dei mali presenti legati alla grettezza dei restauratori che demonizzavano il nuovo solo perché nuovo, illudendosi di poter riportare indietro d‟un mezzo secolo la storia e tenervela bloccata. Illuminante il caso del Leopardi. Nel 1815, diciassettenne, nell‟Orazione agli italiani in occasione della liberazione del Piceno, aveva esaltato la vittoria degli austriaci sul Murat,256 nel 1818 componeva All‟Italia. Non si illudeva certo d‟essere atto ad imbracciare armi quando gridava: … L‟armi, qua l‟armi: io solo / Combatterò, procomberò sol io, né era uomo da congiura. Nel Frassinetti troviamo espressioni leopardiane. È difficile che ne sia stato a conoscenza, anche se non impossibile. Li lega la dipendenza scolastica dal Petrarca e l‟aria che respiravano. Né l‟uno né l‟altro nati per la guerra, ma quale adolescente non si è immaginato d‟essere primo tra i primi tra quei che difendono una causa? Un giorno si è sognato d‟essere con i trecento di Leonida alle Termopili, un altro, sotto influsso d‟altre letture, compagno di Colombo, o condannato a bere cicuta con Socrate o lapidato con Paolo a Listri. Si aggiungeva l‟umiliazione della perduta indipendenza e la politica del nuovo signore che favoriva i piemontesi a danno dei commerci, e poi la pressione fiscale, le barriere doganali, e il favorire Savona e La Spezia a danno di Genova. Si era al si stava meglio quando si stava peggio. Una tradizione di indipendenza e di opposizione contro ogni forma di governo monarchico assoluto, aggiunta all‟avversione antica verso il Piemonte, non potevano favorire un accordo sincero… si sentivano moralmente ed intellettualmente superiori ai Piemontesi, giudicati rozzi e ignoranti… L‟amore per la casa regnante, cosí vivo in Piemonte, non poteva essere sentito a Genova, ed anzi, date le tendenze democratiche… considerato come indice di mentalità inferiore.257 . Le due poesie, che il giovane Frassinetti si trascrisse nella Selva Poetica, ci dicono che anch‟egli pensava quel che pensavano gli altri studenti. Per una settimana anch‟egli si illuse prestando fede a Carlo Alberto. Di quel marzo 1821 vanno distinte le speranze dai moti di piazza. Il Frassinetti condivise le speranze e la ribellione intellettuale alla pretesa che nulla si dovesse cambiare, ma non fu tra gli armati di bastone a Sottoripa. Questo suo sentire civile, una volta sacerdote, diverrà sentire ecclesiastico. Come l‟ordinamento politico poteva essere migliorato senza sovvertire lo Stato, ed era lecito desiderarlo, cosí nella Chiesa c‟era spazio per progettare ed intraprendere cose nuove in armonia con la tradizione, senza curarsi degli idolatri del vecchio, solo perché vecchio, che oppugnavano il nuovo, solo perché nuovo. Profonde le differenze tra la psiche d‟un genovese e quella di un piemontese. Le noteremo nella seconda parte ponendo in parallelo Don Bosco e il Frassinetti, cosí amici, eppure cosí diversi. Anche il Frassinetti ebbe i suoi sogni con il rincrescimento di non essersi trovato a vivere nel luogo giusto al momento giusto. Il disappunto della bimba Teresa d‟Avila di non vivere tra mori per lasciarsi descabezar per la fede, la via facile per comprarsi muy barato el ir a gozar Dios.258 Sogni di bimba. Ma alla bimba piacevano anche los libros de caballería di cui la madre era Cfr. il Proclama di Rimini del Manzoni.in cui s‟inneggia al tentativo del Murat. Genova dal 1814 al 1848, p. 55; V. RICCI, Appunti politici, mns. in M. Ris. di Genova, Carte Ricci, n. 2780, con mano ancora piú pesante. 258 SANTA TERESA DE JESÚS, Obras Completas, I, Vida, c. 1,5, Madrid, 1951, p. 597. 79 256 257 E. GUGLIELMINO, pazza. Sui quindici anni ne lesse a decine, ne risognò in proprio le avventure, ne fantasticò uno lei stessa e lo stese sulla carta con l‟aiuto di Rodrigo: El Caballero de Abila por Teresa y Rodrigo de Cepeda.259 E c‟è l‟impronta del genio. Un protagonista della sua terra, di Avila, la città dei guerrieri, non un franco o un britanno.260 Il Signore rideva di questa bimba, che sarà cosí cara al nostro Giuseppe da farsela maestra. Dio aveva bisogno d‟un‟eroina pronta ad affrontare le mille avventure e lasciava che si esaltasse con Amadís, Florisandro e Tristán. La voleva scrittrice, e le fa apprendere l‟arte dello scrivere sui libri di cavalleria. Che disdetta essere nata donna! Quante volte sospirò: Si fuera lícito que las mujeres... Ogni suo sogno le si avvererà moltiplicato per mille. Non piú Muños Gil, ma la vedremo protagonista de Las fundaciones e del poema de la Vida, e scrittrice classica tra i classici del Siglo de oro. Il Signore ha avuto sempre in simpatia i giovani ricchi di desideri, fino all‟ardimento di voler penetrare il segreto dei suoi pensieri, come già Daniele. 261 Chiedono cento e dà loro cento mila, salvo qualche modifica. Andrà Teresa a gozar Dios, ma comprandosi tale felicità a prezzo muy caro, non muy barato; non con il mezzo minuto necessario alla scimitarra, ma con il martirio d‟una vita. Molte le affinità tra il Frassinetti e la sua Teresa. I versi dello studentello posti in bocca a san Luigi sanno di Teresa:262 O Piaghe, o spine, o sangue, o lumi spenti, Deh voi piú vivo in me destate amore... Ma no, cessate, ché tutto arde il core. Sei dolce, amor, ma strali hai troppo ardenti! Deh, perché al mio Gesú, cari tormenti, Non mi unite e s‟accresce il mio dolore? Fuggi, se il cuor non basta, anima, fuore, O pena ed ama, e non metter lamenti. Tanto è piú dolce amor, quanto è piú vivo. E sí dolce è per me d‟amor la pena, Che ogni delizia avanza, ogni tesoro. EFREN DE LA M. DE DIOS – O. STEGGINK, Tiempo y vida de santa Teresa, 1967, p. 44. Se llama Avilés en esta tierra / El que más avil es para la guerra. 261 Dn 9,23;10,11.19. Nessuno oggi piú interpreta „jish-hamudôt con la Vulgata vir desideriorum. San Girolamo conosceva i due valori della radice ebraica e giustifica la scelta: “perché sei l‟uomo dei desideri, cioè amabile e degno dell‟amore di Dio”, PL 25, c. 544, ed al versetto 10,11. Mi piace far mia la scelta di Girolamo. 262 Nel comporre il suo Sfogo amoroso di S. Luigi innanzi al Crocifisso, non penso fosse a conoscenza del famoso carme teresiano L‟avesse avuto presente, l‟avrebbe ricalcato piú da vicino. Ingenita affinità, base della futura simpatia. Ne riporto due strofe con una mia traduzione: ¡Ay, qué larga es esta vida, Com‟è lunga questa vita, Qué duros estos destierros, Quest‟esilio pien di pene, Esta cárcel, estos hierros Che galera e che catene En que el alma está metida! Allo spirito ferita! Sólo esperar la salida Solo attenderne l‟uscita Me causa dolor tan fiero Reca al cuor dolor tremendo Que muero porque no muero. Sí che muoio non morendo. Aquella vida de arriba, Lassú solo in quella riva Que es la vida verdadera, Sempiterna è vita vera; Hasta que esta vida muera Finché questa d‟or non pèra, No se goza estando viva. Non si gode qui da viva. Muerte, no me seas esquiva: Oh, non far, Morte, la schiva Viva muriendo primero, Fa ch‟io viva premorendo Que muero porque no muero. Perché muoio non morendo. 259 260 80 Onde io, che sol d‟amor mi pasco e vivo, Son lieto perché a morte amor mi mena, E vivendo d‟amor, d‟amor io moro. 263 Come Teresa fantasticava martíri leggendo vidas de santos, cosí il nostro Giuseppe ebbe la sua stagione di dolce sognare. Scorrendo i suoi elaborati scolastici ci è dato fantasticare le sue fantasticherie.264 I titoli rivelano le letture che si facevano a scuola, lo svolgimento ci scopre come il giovane le recepiva. Non si passano ore ed ore sui testi di storia senza riviverne i grandi fatti sognando ad occhi aperti. Eccolo oplita con i trecento di Leonida alle Termopili: Di furor pregno, minaccioso il guardo Dardeggiava sull‟oste, e si struggea che del sangue di Serse ancor digiuna l‟asta brandiva... “Venite, prodi miei, del sol dimane Piú non si dee veder la luce. È questo il dí prefisso alla partita estrema. Strage meniam, e tutti assiem raccolti Varcherem l‟onda bruna dell‟Acheronte".265 Non sono reminiscenze carducciane: “Diman da sera i nostri morti avranno / una dolce novella in purgatorio: / e la rechi pur io!”.266 Carducci non era ancora nato. Passa quindi a descrivere la strage operata da quel pugno d‟eroi ed i mille atti di valore disperato come può farlo solo un sopravvissuto suo malgrado al massacro, come poté l‟Enea del secondo libro virgiliano. Anche il giovane Frassinetti, come già Euripide e Virgilio,267 sta col cuore dalla parte dei vinti. Nessun disagio nei panni d‟un “Affricano” seduto sulle macerie della sua Cartagine: Barbaro Scipio, ormai deponi il brando, Alfin la cruda sanguinosa sete Sazia sarà. Or di vittoria alzando Il canto insulta all‟anime che in Lete Spinse il tuo ferro perfido e nefando… Ahi, fiera Roma, quando deporrai Il sanguinoso barbaro talento?... S‟alza il Danubio dal profondo letto Si riversa, si spande, Italia inonda, A Roma mostra il suo feroce aspetto. Ogni altro fiume l‟ira sua seconda E tutti i lor furor han qui diretto. A tanti flutti non si trova sponda. Immersa è Roma già nella gran piena Che a ruina crudel tosto la mena... Ecco del mondo la fatal reina Cade, ché veglia in ciel giusta e possente l‟oppresso a vendicar superna Mente. 268 Socrate l‟affascina. Se anche lui come Socrate…! 263 AF, Mns., vol. 19, Sfogo amoroso di S. Luigi innanzi al Crocifisso p. 546. Ivi, pp. 508-553. 265 Ivi, Leonida alle Termopili (endecasillabi sciolti), pp. 524-528. 266 G. CARDUCCI, Il Parlamento. 267 VIRGILIO, Eneide; EURIPIDE, Ecuba, Andromaca, Troadi. 268 Ivi, Fingesi che dopo la distruzione di Cartagine un Affricano profetizzi la caduta di Roma, pp. 513-515. 264 81 Suoni sul capo mio folgore o tuono, grandine, nembo, torrida procella, Pallido rege in barbaresco trono Armi contro di me la sua man fella. Sorte mi lasci in misero abbandono Ch‟io la natia benedirò mia stella. Perché a temer avrò, se giusto sono, Odii, fame, furor, morbi o quadrella? Se giusto son sprezzo dolor, ritorte, Né l‟alma di timor sarà capace Lottando alfin coll‟invincibil morte. Volgerà contro me l‟ira e il furore Ogni cieco mortal, ma in cheta pace Un sol non rimarrassi attico errore.269 Entrato in teologia, vede con maggior chiarezza quale patire l‟attende, e perché, e da parte di chi: “Mi trovo aperta una porta grande e ricca di prospettive, ma molti i nemici”, 270 scriveva ad apertura della Theologia moralis di sant‟Alfonso, aggiungendo alle parole dell‟Apostolo una riflessione di san Giovanni Crisostomo: “Ciò succede tuttavia a chi ha molto zelo, ed opere grandi per le mani”. Nella misura che gli si fa chiara la strada, sposta lo sguardo da Socrate a Paolo di Tarso, Giovanni Crisostomo e Alfonso Maria de‟ Liguori. Se immani sono le forze avverse, ha con sé Iddio e potrà quindi accingersi a cose ancora piú prodigiose di quelle che in un suo canto fa compiere ad Alcide, il Figlio del Tonante: Alto di Calpe sulla vetta assiso Stavasi Alcide, onde sovran lo sguardo Su‟ due mari mettea. Quinci stendeasi Il torbido Oceàno, e senza fondo, E quindi il mar delle Affricane arene, … Acceso in petto D‟ardor di gloria: “Che si vieta al forte? Che mai – gridò – che mai non puote Alcide?...271 Una mazzata, l‟istmo vola in schegge e l‟Atlantico si riversa nel Mediterraneo. Anche Giuseppe farà cosa prodigiosa: frantumerà la barriera che i giansenisti frapponevano alla grazia perché si riversasse nell‟anima dei fedeli: “Mi trovo aperta innanzi una porta grande e ricca di prospettive...”, aveva scritto. Molte le prospettive d‟un giovane d‟accesa fantasia prima che la voce di Dio gli si faccia chiara! Anche quella di farsi un nome tra i poeti: Scendi dal bel soggiorno d‟Elicona, O dolce Dio del nobil Ipocrene, Al vago ardir, o dolce Dio, perdona con che un umil mortal a te ne viene. Porgi tua destra a me, non m‟abbandona nell‟ardua strada, e avviva tu mia speme, Arrida pur d‟Apollinar corona, Degna de‟ figli delle pie Camene. Inspira tu il mio cor di foco ardente, Foco trasportator, che l‟alme accende, che di sé investe e tutta bea la mente. AF, Mns., vol. 19, Socrate minacciato – Sonetto, p. 537. 1 Cor, 16,9. 271 AF, Mns., vol. 19, Alcide unisce il Mediterraneo all‟Oceano, pp. 511-513. 269 270 82 Vincitor foco dell‟oscuro oblio, Alla cui possa, e terra, e Ciel s‟arrende, Fuoco che rende l‟uom simil a un Dio. 272 Qualche velleità dovette nutrirla se anche negli anni della teologia non sa trattenersi dallo scrivere ancora versi per evocare l‟ombra del Chiabrera e fargli chiedere ad Apollo di non desistere dal suscitare estro poetico in cuori genovesi.273 La stagione dei sogni è fatta per sognare come i giorni dello sposo sono fatti per stare in allegria.274 Poi l‟ora delle scelte, ed il nostro giovane ne farà una sola: Bisogna che l‟ecclesiastico si consideri tutto tale e si contenti di non essere altro che ecclesiastico... l‟ecclesiastico che non si considera tutto tale, e non è contento di non essere altro che ecclesiastico, non sarà buono. Deve egli dunque dirigere ogni sua cura, e in modo particolare i suoi studi, al conseguimento del suo fine, che si è d‟essere buon ecclesiastico...275 Fatta la scelta, poeterà ancora, ma alla sant‟Alfonso: strofette e cantici spirituali. I romantici per un verso, egli per un altro, la chiudono per sempre con dei e dee, Olimpo ed Elicona. Le tante persone care scomparse in breve tempo, la caducità delle cose che ha avvertito nello studio della storia, tutto lo porta ad agganciarsi a ciò che dura eterno. Quel pensiero dell‟eternità che teneva occupata la mente della bimba di Lisieux e, prima di lei, i due bimbi di Avila: ¡Para siempre, siempre, siempre, Rodrigo! – Para siempre, siempre, siempre, Teresa! ripetuti in alternanza l‟una a l‟altro fino a quando non si asciugava loro la saliva in bocca. Per sempre! “Cosí – commenta la Santa – il Signore in quelle bambinate mi lasciava impressa la via della verità”.276 Si ripeteva ancora una volta il “Ti lodo, o Padre, Signore del cielo e della terra, che celasti queste cose ai sapienti e agli intelligenti, e le rivelasti ai bimbi”.277 Per sempre! Quel suo quaderno ci dice come anche Giuseppe restasse colpito dalla labilità delle cose umane, dall‟ insicurezza di chi si sente sicuro e dall‟eterno delle cose di Dio, come la bimba d‟ Avila e, prima ancora, i profeti e Qoelet. In 73 versi sciolti canta la rivalsa di Camillo su Brenno, in cento versi in terza rima la distruzione del Pireo per opera di Lisandro. Ogni esaltazione ha una fine, tutto è vanità, tutto finisce e muore. Il suo sognare lo ha portato alla scoperta del vanitas vanitatum della Scrittura: Miser chi speme in cosa mortal pone! Viene l‟uomo alla luce e poi repente Finisce in spazio di breve stagione… morte miglior vita dona... D‟odio degna non è, ma sol d‟amore.278 Un giovinetto tutt‟altro che asettico, focosissimo, uno che seppe lasciare il caduco per tendere verso le eterne cose. 272 Ivi, Invocazione a Febo, p. 510. AF, Mns., vol. 18, Qual nuova luce del Letimbro in riva..., pp. 629-631. 274 Mt 9,15. 275 G. FRASSINETTI, Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici proposte ai chierici, Genova 1839, pp. 1-3. 276 SANTA TERESA DE JESÚS, Vida, c. 1,5, p. 598. 277 Mt 11,25; Lc 10,21. 278 AF, Mns., vol. 19, Vanità delle cose umane – Terzine, pp. 538-541. 273 83 CAPITOLO XVI IL SEMINARIO DI GENOVA. PRIMA DEL RETTORE CATTANEO Quel resto d‟Israele raggruppato intorno al Gianelli si potrebbe pensare cresciuto in serra come i fiori della Riviera. Non fu cosí. Basta dare una scorsa alle relazioni che ci descrivono 84 l‟ambiente studentesco della Genova di quegli anni e le miserande condizioni in cui era precipitato l‟internato del seminario da farci affermare: “Il Frassinetti, per sua fortuna, era alunno esterno”. Si preferirebbe non parlarne, ma il silenzio falsificherebbe il valore della scelta fatta dal giovane Frassinetti e dai suoi compagni potendo anch‟essi divenire sacerdoti privi di vero spirito, come fu di non pochi seminaristi loro compagni. 279 C‟è un‟altra ragione che vieta il silenzio: non potremmo apprezzare l‟opera di risanamento compiuta da quei “Ragazzi del Gianelli” da quando ne assunse la direzione il Cattaneo sostenuto dal Frassinetti, dallo Sturla e dai membri tutti della “Beato Leonardo” – Una descrizione del prima perché rifulga il dopo. Per vedere il primo filo di verde, si dovette prima toccare il fondo durante gli anni dell‟assenza dell‟arcivescovo Lambruschini, nunzio a Parigi. Il nuovo arcivescovo, l‟Airenti, sedette in cattedra solo un dieci mesi. Nell‟attesa della sua presa di possesso, il Capitolo esonerò il rettore del seminario e nominò il nuovo nella persona di Giovan Battista Cattaneo, con non poche riserve e disapprovazioni dei canonici. E ce n‟era motivo: un venticinquenne! Il seminario, nelle condizioni in cui era, in mano ad un ragazzo! Il nuovo vescovo confermò la scelta, conferma rinnovata dal suo successore, il futuro cardinal Tadini. La data del 15 luglio 1830, presa di possesso del nuovo rettore, andrebbe scritta a caratteri d‟oro sul portale del seminario genovese. Nello stesso periodo troviamo il Gianelli prefetto degli studi nell‟altro seminario diocesano, eretto da appena quattro anni e sito a Chiavari in diocesi di Genova. Da alcune lettere del Gianelli veniamo a conoscere un meraviglioso lavoro svolto in parallelo dal maestro e dall‟antico scolaro. Che sia stato il Gianelli a rassicurare i nuovi vescovi sull‟opportunità di confermare la carica ad un rettore “ragazzo”? Sulle condizioni pietose del seminario dal 1797 al 1830, ci sono pervenute due relazioni, stese entrambe dallo stesso Cattaneo nel 1840.280 Testimonianze di grande valore, essendo passato il Cattaneo senza discontinuità, o quasi, da seminarista interno, scandalizzato da ciò che gli toccava vedere, a quella di rettore. Nel 1840 il seminario stava vivendo da un decennio i suoi anni d‟oro e continuò a viverli fino a quando l‟infatuazione giobertiana causò la destituzione e l‟esilio del rettore condannandolo a vedere il suo seminario precipitato nelle condizioni del 1797! Ne morrà di crepacuore neppure cinquantenne.281 Anni doro. Questa l‟impressione che ne ricevette un sacerdote spagnolo: Se tu vedessi questi collegiali – scrive alla sorella suora – crederesti di vedere Angeli del Cielo. Al passeggio, in processione superano in modestia i novizi della congregazione piú osservante. Vengono accolti [in seminario] ancora fanciulli e vi restano fino al sacerdozio. La dolcezza con cui sono trattati dai loro maestri e superiori fa sí che in questa casa regni una contentezza ed un reciproco amore che sorpassa ogni considerazione.282 279 Archivio A. Charvaz, Moûtiers, Savoia, dossier IV, Gênes, fasc. II, 1854-1855, si ha una relazione sullo Stato della Diocesi quando l‟Arcivescovo ne prese possesso 1853. 280 GB. CATTANEO Breve notizia dell‟andamento del Seminario di Genova dal 1797 al 1840, p. 4. in AF.; ID., Cronaca del Seminario dal 1803 al 1848. Una copia di pp. 103 in AF.; ID, Relazione dello stato del Seminario data per gli Scienziati 1846, p. 5, in AF. 281 Ci è pervenuto un quasi diario di quel tristissimo periodo compilato da un prefetto del seminario, don Luigi Persoglio, fattosi poi gesuita. 282 J. DE OLEZA, Un Español del siglo XIX , Op. cit. Di nobilissima famiglia, Francisco Cabrera nel giugno del 1839 passò a Genova e rimase subito colpito dallo zelo e santità del giovane clero e dei chierici del seminario. Cfr: 85 Per le condizioni del seminario prima del Cattaneo diamo la parola allo stesso Cattaneo, l‟artefice principale di tale mutamento, citando dalla relazione breve: Fin dal tempo della rivoluzione, cioè dal 1797, il Seminario presenta l‟idea di un Collegio il piú disordinato.283 Fu in quell‟anno che, uniti insieme la maggior parte dei professori e Seminaristi, obbligarono il Rettore a partirsene... fu alzato l‟albero della libertà nella piazza interna intorno al quale i Seminaristi, uniti ad altri Cittadini, pazzamente danzavano...284 Dopo ciò il Seminario stette chiuso per alcuni anni, il Cardinale Spina lo riaperse [nel 1803]. Ma non dipendeva piú dal vescovo, ma dalla Municipalità rivoluzionaria. I cittadini Vescovi non potevano promuovere agli Ordini sacri senza “la preventiva intelligenza e permissione del Governo provvisorio”. Da come s‟erano poste le cose con la “Capitolazione”,285 la chiusura fu un bene.286 In una nota dell‟Archivio del seminario si legge: “Al tempo che tutti, anche i confessori, avevano il titolo di cittadino, di quarantasei chierici se ne comunicarono tre”.287 Anima delle riforme era il Degola, prete giansenista, divenuto con la Repubblica Ligure arcigiacobino. Si giunse a tentare la costituzione civile del clero e poco mancò che non venisse accolto in San Lorenzo come arcivescovo scismatico l‟ex-lazzarista Felice Calleri, già fautore del Sinodo pistoiese. Al 20 gennaio 1799, tra esiliati o relegati, si contavano due vescovi, 51 parroci e ben 120 sacerdoti.288 Situazione da tenersi presente nel riprendere a leggere le relazioni del Cattaneo. Non si raccoglievano nel Seminario che quei giovani i quali non volevano aver parte alle glorie di Napoleone. Per fuggire la guerra si facevano preti, toltini alcuni... disciplina non ve n‟era. Il Rettore ottuagenario... non la poteva stabilire. Cessato il pericolo della guerra... sarebbe stata quella l‟epoca piú opportuna per richiamare l‟ordine..., ma l‟ordine non si rimise.289 Fra quei pochi chierici – 25 nel 1818 – v'erano i maliziosi che facevano osceni discorsi... guai se uno fosse caduto in sospetto di delatore... L‟anno scolastico 1827-1828 fu veramente fatale al Seminario… Talora i Prefetti entrando in Refettorio venivano accolti con urla e fischiate; al Rettore medesimo non si aveva maggior rispetto. Sono cose che non si crederebbero, se non ci fossero altre testimonianze che suonano la stessa musica. Ecco, per esempio, come ricordava il seminario di quegli anni don Angelo Remondini, M. FALASCA, Rapporti di Francisco Cabrera con G. Frassinetti…, in “Verbum Dei” XL (Roma 1984) n. 110, pp. 431-446. 283 A. COLLETTI, La Chiesa durante la Repubblica Ligure, 1950, pp. 13-18.119.124. 284 Vi si tenne pure un‟accademia sul “Trionfo della Libertà”. 285 Stralci della “Capitolazione: I. – Sia licenziato sul momento il cittadino Rettore. V. – Avendo ora Genova la bella sorte di godere del governo democratico, vogliono questo ancora in Seminario. Il Regolatore del Seminario sarà un Vice Presidente in persona dei Maestri, uno per mese. X. – Il cittadino Arcivescovo eleggerà un Lettore [professore] di teologia, avendo riguardo che non sia infetto di aristocraticismo [fu imposto Stefano De Gregori, giansenista. Non si confonda con Giacomo De Gregori, anch‟egli giansenista, a cui sarà affidata dalla madre del Mazzini l‟educazione del figlio]. XI. – Giovedí 20 sarà in Seminario un gran pranzo democratico: si pianterà l‟Albero della Libertà... Uno studente del Seminario sarà incaricato dell‟arringa… 286 L. P[ERSOGLIO], Mons. Giovanni Lercari, ne La Settimana Religiosa, XXI(1891), p. 244. A. COLLETTI, La Chiesa durante la Repubblica Ligure., 1950, pp. 119.124. 287 ASAG, Filza cose varie, n. 1bis. 288 Ivi, 181. 289 La piaga durò a lungo. Il Gianelli nella lettera del 28-11-1830, 71a della raccolta chiama tali candidati al sacerdozio: schivazappe e schivaschioppi. 86 uno dei sacerdoti piú colti di Genova, anch‟ egli del circolo Frassinetti.290 Rievocazioni fatte a quarant‟anni di distanza: Il Cattaneo venne rettore in Seminario nel 1831 – in realtà per l‟anno scolastico 1830-1831 –, ove io mi trovava da qualche anno. Il Seminario allora non era certo il luogo piú attraente per un giovanetto, il quale, all‟entrare novello, vi doveva sostenere il cosí detto noviziato, che io tuttavia con orrore ricordo. Oh che pena per un fanciullo sottostare per mesi e mesi a persecuzioni, insulti… Venne il Cattaneo, e in breve tempo i giovanetti… vi portavano e vi conservavano il loro consueto sorriso e la giovialità, ritrovando altrettanti fratelli quanti erano i compagni… e in pochi anni l‟amore e la carità tra i giovani chierici, il rispetto e l‟obbedienza ai superiori, la disciplina e la regolare condotta meritarono gli elogi di molti vescovi e… il Seminario di Genova il nome di Modello dei Seminari.291 Un eco anche in un manoscritto del Frassinetti: Nello Seminario Arcivescovile era molta dissipazione che diede molto disgusto all‟Em.. Lambruschini. Per la qual cosa generalmente i chierici crescevano poco colti nello spirito ecclesiastico, e moltissimi cominciavano a comprendere che cosa fosse lo stato ecclesiastico e le disposizioni che si richiedono per abbracciarlo quando si ritiravano appresso i Signori della Missione a Fassolo per fare gli Esercizi Spirituali in preparazione al Suddiaconato.292 Né i seminaristi potevano formarsi un‟idea di ciò che deve essere il sacerdote rifacendosi agli esempi che avevano sotto i loro occhi, perché, pur essendovene in buon numero di buono spirito e santa vita, la loro attenzione era richiamata da altri piú chiassosi e di vita tutt‟altro che edificante. Ne parla il Frassinetti. CAPITOLO XVII I RAGAZZACCI MAZZINI E COMPAGNI Ma voi non vi comporterete cosí. Luca 22,26. 290 I fratelli Angelo Remondini, 1815-1892, e Marcello, 1821-1887, eruditissimi di cose genovesi. A loro dobbiamo l‟esserci vari documenti che riguardano il Frassinetti. 291 Giornale degli studiosi, vol. I, Genova 1871, pp. 30s. 292G. FRASSINETTI, Istituti e Documenti, volume V dei manoscritti AF. 87 Il modo piú conveniente e opportuno [di comportarsi] io credo che debba impararsi da‟ nostri nemici, fissandoci per regola di fare il contrario . G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici. Non pochi seminaristi etiopici, venuti nel passato a completare gli studi a Roma, quando ancora imperversava la tubercolosi, vi soggiacquero. La causa, si diceva, essere il loro paese immune da tale flagello, perciò privi di quegli anticorpi che noi s‟aveva nel sangue per il nostro respirare aria satura di bacilli. “I ragazzi del Gianelli”, vivendo a contatto di gomito con i mazziniani in erba, n‟ebbero una vaccinazione naturale. Vale la pena conoscere piú da vicino questi loro giovani coetanei. Non mi meraviglio se sentire chiamare Mazzini e compagni “ragazzacci” susciti all‟orecchio di qualche Lettore la ripulsa che produce nel mio la bestemmia. A chiamarli cosí fu lo storico Carlo Botta per gli articoli che i “ragazzacci” scrivevano su l‟Indicatore genovese.293 Se fosse stato a conoscenza anche delle manganellature del ‟21 in quel vicolaio alle spalle di Sottoripa e dei provvedimenti scolastici, forse li avrebbe chiamati “banda”. “Ragazzacci”, ma d‟ingegno. “Ragazzacci”, ma giovani che pensavano. Il Frassinetti camminerà in direzione opposta alla loro, ma li studia per poter difendere il popolo cristiano dalle loro insidie, e colpire giusto, non a vuoto,294 mettendo a servizio del bene, secondo il suggerimento del vangelo, l‟avvedutezza che essi ponevano a servizio del male.295 Una delle massime [del Frassinetti] che piú mi rimasero impresse – depose Giovanna Schiaffino – era che i figli delle tenebre sono molto piú prudenti dei figli della luce e che, se noi impiegassimo da parte nostra tutto l‟impegno che essi impiegano nelle cose loro, saremmo tutti santi.296 Mazzini fu tra le prime persone da me conosciute bambino ex auditu. A quei ricordi lontani è legata la pena sofferta sapendolo braccato e condannato alla fame. Lo immaginavo nascosto in una grotta buia, rischiarata da un lumicino spargitore d‟ombre piú che di luce, di quelle di cui mi avevano parlato nelle fiabe popolate da orchi e da streghe. A volte mi ritrovavo a guardare il mio piatto di bambino povero, ma non di fame, e a vuotarlo con gli occhi fino a lasciarvi solo qualche boccone per farmi un‟idea di come doveva essere vuoto quello del povero Mazzini; e poi quel viso esangue, a muscoli tirati, la redingote nera d‟uno ch‟abbia vegliato un morto e torni dall‟averlo seppellito… Immagini di fanciullo dure a cancellarsi. La storia è diversa, e bastò che al Meeting di Rimini del 1990 il Messori ed il cardinal Palazzini tirassero fuori qualche falangetta di scheletro dagli armadi della storia patria, perché tutte le prèfiche del Risorgimento insorgessero con alti lai contro “un cardinale uscito di senno” e l‟ignoranza dell‟altro.297 Dante, Garibaldi, Mazzini e Cavour, nell‟ordine, erano i santi laici di mio padre. Erano l‟Italia. Ad ogni figlio maschio che gli nasceva, la gioia d‟essergli nato un figlio maschio gli veniva rabbuiata dalla lotta dovuta sostenere per riuscire a chiamarli con uno di quei santi nomi. Gli andò bene solo per Dante. BOTTA, autore della Storia della guerra dell‟indipendenza degli Stati Uniti d‟America (1809) e della Storia d‟Italia dal 1789 al 1814 (1824) –. La Storia d‟Italia continuata da quella del Guicciardini uscirà solo nel 1832 –, opere di grande successo editoriale. S‟era scagliato contro i romantici in due lettere nell‟Antologia del 1826 e nel Giornale arcadico del 1828. All‟epiteto “ragazzacci” se ne aggiungevano altri piú pesanti: “vili schiavi d‟idee forestiere e traditori della patria”. I Promessi sposi, “un tessuto di sciocchezze”. Del Botta s‟occuperà anche il Frassinetti nella polemica con il Gioberti e con giudizio negativo, come già il Mazzini, anche se per motivi diversi. 294 1 Cor 9,26. 295 Lc 18,8. 296 CPP, vol. I, f.409rv. La Sanguineti è una teste oculare che dai tredici ai diciotto anni aveva fatto parte delle associazioni che il Priore aveva stabilito in Santa Sabina. 297 C‟era stata la presentazione del libro di VITTORIO MESSORI, Un italiano serio, il beato Francesco Faà di Bruno, Cinisello Balsamo (MI) 1990, p. 213. 88 293 CARLO Eppure, quei santi padri della patria, tolto Dante, erano stati tutt‟altro che propizi alla sua famiglia. Il fratello della nonna paterna, Pietro Troiano, farmacista nel paese vicino, fedele al suo re, il primo d‟aprile 1861, forse non ancora a conoscenza della caduta di Civitella del Tronto, l‟ultimo baluardo dei Borboni, aveva capeggiato la sollevazione contro i rappresentanti del nuovo governo e i galantuomini che s‟erano affrettati a salire sul carro degli invasori. Cruenta la sollevazione, barbara la repressione. La casa data alle fiamme; due figlie riuscirono a salvarsi fuggendo in un paese vicino; lui, tre figli – 27, 23 e 20 anni – ed altri diciannove insorti vennero passati per le armi nella piana di San Rocco. Il secondo dei tre figli, giovane maresciallo dell‟esercito sbandato, non era caduto. Fu ucciso a bruciapelo, fucile alla tempia. Pochi minuti in piú di vita per esprimere l‟orrore dello scempio che gli si parava avanti agli occhi: “Ohi, che barbarie!”. Si arrivò ad impedire ad un sacerdote di poterli avvicinare per confessarli. Sessantaquattro i “tradotti nelle prigioni distrettuali” che saranno condannati chi a morte, 298 chi a trenta e chi a venti anni di lavori forzati. E furono solo i primi. Il maggiore della Guardia Nazionale, Silvio Ciccarone, poteva telegrafare al Governatore della provincia: “L‟ordine è ristabilito”. E dire che un fratello di don Pietro Troiano, don Michelangelo, nel „48 era stato processato per discorsi pubblici tendenti a spargere il malcontento contro la Sacra persona del Re N. S. [Ferdinando di Borbone]!299 Era mio padre che mi raccontava questi fatti, ma non credo abbia mai posto un rapporto tra gli eroi del Risorgimento e quella strage, ed io, come soffrivo per Mazzini ramingo braccato ed affamato, soffrivo per quei miei prozii barbaramente trucidati. Nel cuore di mio padre, e per riflesso nel mio, mito e realtà vivevano in pace uno accanto all‟altro. Non doveva essere stato cosí per donna Anna Maria Troiano, la mia bisnonna. Lei sapeva solo che gente piovuta dal nord le aveva distrutto la famiglia. Crescendo, mentre la scuola e le letture mi ingigantivano il mito, il tempo ammorzava la realtà fatta di stragi fame e migrazioni oltreoceano, fino a spegnerla. Poi venne la guerra, vennero i bombardamenti, l‟Italia sconvolta a metro a metro, la mancanza di tutto, odi e vendette, e la scoperta delle pagine della storia che grondano lacrime e sangue, ignorate da i vincitori e dalla scuola, ma le piú vere. Il Risorgimento fu diverso da come lo studiammo sul Morgen, sul Silva o il Rodolico, diverso da come si sognò leggendo Da Quarto al Volturno dell‟Abba o Il tamburino sardo del De Amicis. Agli occhi del Frassinetti, e di tanti suoi contemporanei, quei “patrioti” ebbero il volto di quei tali che lo aggredirono per strada pretendendo che gridasse: “Viva Gioberti!” e lo costrinsero a vivere nascosto lontano dalla parrocchia per piú di un anno.300 Squadristi, li diremmo oggi. Torniamo nella Genova degli anni Venti del secolo scorso. Per la quasi totalità i giovani che si radunavano intorno al Mazzini appartenevano alla classe medio alta, benestante e ricca, sí da poter vivere di rendita in patria e, se esuli, non male anche all‟estero, né privi, come fu del Mazzini, di qualche anima gentile che li consolasse. Chi li conobbe da vicino, non ravvisò sempre in loro gli eroi puri e senz‟ombra di macchia. Per convincersene basta leggere qualche stralcio di ciò che l‟uno di loro diceva e scriveva dell‟altro. Cito, per sgombrarmi il passo, un sol giudizio sul Mazzini tratto da una lettera del Gioberti: Noi almeno, se non abbiamo potuto fare alcun bene, non avremo alcun rimorso per aver fatto il male, laddove la G. I. [= Giovine Italia] se avesse un granello di sale in zucca non dovrebbe dormir tranquilla, perché ha piú fatto del male sola alla comune patria di tutti i despoti che la travagliano. Finora io fui disposto a perdonare molto alla sconsideratezza e alla fanciullaggine di quei paladini, 298 Pena poi commutata con quella dei lavori forzati. Padri – Castiglione Messer Marino…, Vasto 1979, pp. 143-146. 300 Per la documentazione si rinvia alla seconda parte. 299 D. LITTERIO, 89 ma, poiché veggo che l‟insania dura, comincio a mutar parere; e non esito a dirvi, dopo gli ultimi tentativi stupidissimi e scelleratissimi, il Mazzini o è un matto disperato da rinchiudersi in un manicomio o pizzica del ribaldo.301 Gioberti non condanna d‟immoralità l‟azione del Mazzini, ma i modi e i tempi che avevano causato il fallimento dell‟impresa, le numerose condanne a morte, dodici delle quali eseguite, il suicidio di Jacopo Ruffini ed il proprio esilio. Don Bosco prescinde dall‟esito favorevole o disastroso di quelle congiure, pensa agli scritti: Mazzini,... fece statuti veramente diabolici alla Giovine Italia.302 Non meno raschiante la penna del Mazzini scrivendo del Gioberti: No; Gioberti, il grande sacerdote della setta [dei moderati], non era filosofo... L‟uomo che esordí dalle dottrine di Giordano Bruno per sommergersi in un concetto neo guelfo di primato per mezzo del papato – che salutò d‟entusiasmo la formula Dio e Popolo per rinnegarla poi a profitto d‟un cattolicesimo rintonacato – che dopo d‟avere fulminato dall‟altezza d‟una coscienza filosofica gli artifici del gesuitismo, li adottò cardine de‟ suoi disegni, appena entrato sull‟ arena della politica pratica –... che diceva a me nel 1847 in Parigi: Io so che differiamo in fatto di religione; ma, Dio buono! il mio cattolicesismo è tanto elastico che potete inserirvi ciò che volete – non fu né filosofo né credente. Ingegno facile, rapido, trasmutabile, fornito d‟una erudizione copiosa ma di seconda mano... Gioberti rivestí di sembianze filosofiche l‟immorale dottrina dell‟opportunità…. E fu il primo – biasimo assai piú grave – che introducesse nel campo della libertà l‟arme atroce della calunnia politica...303 Bell‟epitaffio per il filosofo acclamato profeta della nuova Italia. Ed è solo un piccolo saggio. Era gente che si conosceva. Proviamo a conoscerli piú da vicino anche noi per meglio comprendere i tempi del Frassinetti e la sua scelta. Negli anni Venti dell‟Ottocento Genova si aggirava sugli ottantamila abitanti. Quasi tutti i ragazzi, dopo qualche anno di elementari, o erano imbarcati come mozzi o posti a bottega ad imparare un‟arte. Relativamente pochi, e da potersi contare, quelli che intraprendevano gli studi umanistici per poi accedere all‟università. Chi non poteva permettersi il lusso di precettori privati, per lo piú sacerdoti, frequentava le scuole tenute da religiosi: gesuiti, somaschi e scolopi, o quelle del seminario, anche se non aspirava al sacerdozio. Questi giovani, ai quali non si può negare la presenza d‟una forte religiosità ed un anelito di divino, pur germogliati in uno stesso campo, si riveleranno parte grano buono e parte loglio.304 Ciò che faceva differenza non era la scuola o il metodo d‟insegnamento, l‟uno non differendo gran che dall‟altro, ma la famiglia e, forse ancor piú, il professore che era riuscito a guadagnarsi la loro fiducia. Altra cosa pendere dalla parola di un Gianelli, altra cosa dalla parola di un De Gregori, prete giansenista e liberale; altra cosa un insegnamento che li apriva alla vita rafforzandoli nella fede, altra cosa lasciare i banchi con l‟impressione che la religione dell‟infanzia era inconciliabile con la religione della libertà e del progresso. 301 V. GIOBERTI, Epistolario, Ediz. Naz. a cura di G. GENTILE e G. BALSAMO-CRIVELLI, vol. IV, Vallecchi Firenze 1928, pp. 342s. 302 G. BOSCO, La storia d‟Italia, Torino 1887. ed. 18a, n. a pp. 403. A pp. 422s. torna a parlare di quest‟uomo singolare, divenuto nel 1849 triunviro della Repubblica Romana, fermandosi sulle vessazioni, ruberie e violenze perpetrate dal suo governo e rinvia a G. AUDISIO, Orrori della repubblica Romana. 303 G. MAZZINI, Note autobiografiche, c. XIX (ediz. BUR pp. 340s.). 304 Mt 13,24-30. 90 Per non pochi di quei giovani il primo incontro con Cristo s‟era riassunto in minacce d‟inferno. Un Dio terribilmente giusto e rigido esattore che non condona uno spicciolo, che non ammette nel suo regno se non chi abbia gareggiato con gli angeli in purità di cuore, e, per un privilegiato che si salva, mille i precipitati senza pietà nel fuoco eterno. Si aggiungano le confessioni tortura, le assoluzioni negate, l‟eucaristia rimorso d‟averla profanata ricevendola le rare volte non abbastanza degnamente. In seminario era esempio di pietà chi si comunicava nei dí di precetto! Una religione timore con poca o nessuna speranza di salvezza. L‟avere imboccata l‟una o l‟altra strada dipese spesso da un nulla: l‟ascendente di questo o quel professore, un libro, l‟incontro con questo o quel compagno, il volto con cui la religione era stata loro presentata. Antonietta Mazzini attribuiva la rovina del fratello Giuseppe alle letture fatte durante una malattia.305 A parte le letture, di cui parla la sorella, ed egli stesso,306 aveva avuto una madre di pietà giansenista che gli aveva scelto maestri anch‟essi giansenisti e liberali. Cosí, in nome d‟una religione piú pura, il giansenismo alienava gli animi da Dio e per tanti divenne anticamera di miscredenza congiunta a rabbioso anticlericalismo. In una traccia d‟un poemetto vagheggiato da studente, il Mazzini si rivela in crisi religiosa risolta in miscredenza. Una donna vede da terra un naufragio: Si innalza dalle onde un grido di rivolta dell‟uomo disperato contro Iddio… succede un tremendo silenzio... mattino sereno, limpidissimo... come se Iddio avesse imposto alla natura di rallegrarsi, per insultare l‟uomo. Descrivere i rottami della nave, i corpi morti. Il mare muto, il lido muto... si ode portata dal vento una preghiera dei naviganti e torne occasione per parlare di Dio: invano pregate: il cielo è di bronzo…: Iddio guarda dall‟alto le angoscie de‟ mortali e sorride...307 Il Mazzini non vi nega Dio, lo fa cattivo, lo demonizza. Non piú l‟immortalità legata alla risurrezione di Cristo, bensí ristretta al ricordo di chi sopravvive: Chi facesse un componimento materialista sui sepolcri... bisognerebbe sostituire all‟idea dell‟immortalità qualche altra cosa... per es. l‟idea di uno che vede spuntare sulla tomba della sua donna una rosa e la coltiva amorosamente.308 I Sepolcri del Foscolo, e, prima ancora che nel Foscolo, già nel Sallustio: “Giacché la vita è di breve durata, mi sembra saggio prolungarne il ricordo piú che possiamo”.309 Un raggio di luce che continua a colpire le cose a stella ormai spenta. Un tornare a monte di Cristo. Sono evidenti “Mi diceva questa donna, che suo fratello cominciò a guastarsi in una malattia che ebbe, nel tempo della quale fece delle letture, da cui attinse la quintessenza dello spirito rivoluzionario....” G. OLMI, Autobiografia, Genova, 1907, pp. 73s. Cfr. pure D. MACK SMITH, Mazzini, Milano 1993, p. 315 con rinvio all‟Edizione Nazionale delle opere, vol. 91, p.p. 324s: “Mazzini tornò a vivere dai Nathan, a Lugano, dal settembre di quell‟anno [1871] al febbraio del 1872. Si offrí di andare a Genova a confortare Antonietta, la sua pia sorella cattolica, che aveva perso il marito, e rimase sconvolto quando lei lo pregò di non venire, a causa dei suoi princípi e per riguardo alla memoria e al presunto desiderio del defunto marito”. Cfr. pure: A. COLLETTI, Giuseppe Mazzini – l‟uomo – L‟opera, Genova 1905. In una nota a p. 5 afferma di sapere che alla morte di Antonietta fu fatto scomparire un grosso fascio di lettere del Mazzini alla sorella. 306 G. MAZZINI, Op. cit.., c. I, p. 52. 307 ID., Zibaldone, n. 3267, Museo Risorgimentale di Genova, p. 382 e 373. Il tema dell‟indifferenza della natura per le sciagure umane era già presente nel poema Temora attribuito all‟Ossian, tradotto da mezzo secolo dal Cesarotti, come nella scena dove Càrilo, ascoltato e non visto da Ossian, si rivolge al Sole: “– Ma dimmi, o Sole, sino a quando ancora / vorrai tu rischiarar battaglie e stragi / con la tua luce?... / – Càrilo, a che vaneggi? al Sole aggiunge / forse tristezza? Inviolato e puro / sempre è il suo corso... “, JAMES MACPHERSON, Temora, canto II, vv. 519-521.525-528. 308 G. MAZZINI,.Zibaldone, p. 365. 309 SALLUSTIO, De coniuratione Catilinæ, I. 91 305 gli effetti delle letture degli enciclopedisti e dei filosofi del secolo precedente.310 Superato che il Mazzini ebbe il materialismo, una “credenza fredda, scoraggiante ed individuale” che “inaridisce il fiore dell‟amore”,311 ci fu un ritorno prepotente di religiosità intrisa di rigore giansenistico, non però a favore del cattolicesimo che, secondo lui, aveva esaurita la sua missione. Si illuse di colmarne il vuoto con l‟idea di un Dio umanitario postulato dalla vita concepita come somma di doveri da compiere.312 Anche per il Benza, un altro del gruppo, che sarà poi rimproverato dal Mazzini d‟essersi col tempo isterilito negli agi della vita domestica, il Dio dei teologi è da sostituire con qualcosa di diverso.313 Erano giovani che si conoscevano tutti, o perché compagni di scuola, o perché si erano ritrovati insieme in biblioteca e nelle librerie, o a prendere fresco all‟ Acquasola. Un gruppo di questi giovani studenti avevano cominciato a ravvisare nel Mazzini il duce della scolaresca fin dal giorno della festa di san Luigi del 1820. Quel giorno c‟era stato uno scontro nella chiesa dell‟università tra gli studenti delle varie scuole circa i posti da occupare. Per quella chiassata il Mazzini, arrestato per qualche giorno, divenne eroe.314 Altri giovani si aggiunsero in seguito: – un piccolo gruppo di scelti giovani, d‟intelletto indipendente, si raggruppava intorno a me – 315 tutti educati da precettori ecclesiastici o in istituti religiosi. Ogni mattina senza fallo andavo a casa di Fantasio [Mazzini], ogni sera Fantasio veniva da noi. Mia madre e i miei fratelli, specialmente Cesare [= Jacopo Ruffini] ne erano affascinati... Parlava bene e fluido… Conduceva una vita di solitudine e di studio; gli svaghi… non avevano per lui nessuna attrattiva... qualche passeggiata ogni tanto, raramente di giorno e sempre in luoghi deserti... nel suo orrore per colletti vistosi c‟era un che di esagerato...316 Si notino i tratti comuni al Mazzini e al Frassinetti: il suo amore per la vita ritirata, la scelta delle strade meno frequentate, la passione per lo studio, il rifiuto ostinato di vestire alla moda e di indossare camicie inamidate e ben stirate. Di Jacopo Ruffini, per l‟anno di filosofia frequentato nel seminario di Genova insieme con il Frassinetti, si legge un giudizio lusinghiero: optimis moribus non dubia præbuit studiique specimina. Di Federico Campanella, anche egli alunno di filosofia in seminario, membro col Frassinetti dell‟Arcadia degli Ingenui s‟è già detto. Il provvedimento disciplinare dell‟università perché s‟era permesso di avanzare delle massime contrarie alla Religione ed all‟autenticità dei libri santi, fa pensare che si stesse già nutrendo alla mensa di Voltaire e degli enciclopedisti. La stessa a cui s‟era nutrito il Mazzini fin dalla prima adolescenza. All‟adolescente Giuseppe Frassinetti e ai suoi compagni erano dunque aperte le due strade, quella della religione e quella della irreligione, con le loro varianti atte a soddisfare sia la turma 310 Testimoniate negli appunti dei suoi zibaldoni. A. CODIGNOLA, Oo. cit.., pp. XIs. F. SCIACCA, Il pensiero italiano nell‟età del Risorgimento, Milano 19632, pp. 252s. 312 A. CODIGNOLA, Op. cit., p. XXVIII, nota 56, con rinvio a Note autobiografiche in Carte Benza, Museo Risorgimentale di Genova, n. 179. 313Ivi., p. XXXs., nota 61, con rinvio a Carte Benza da lui conservate. 314 E. CELESIA, Storia dell‟Università di Genova, in continuazione di quella dell‟Isnardi, Genova 1881, citato da A. CODIGNOLA, Op. cit., p. XXII. 315 G. MAZZINI, Op. cit., c. I, p. 54; . 316 G. RUFFINI, Op. cit., pp. 141-143. 92 311 profana, sia chi si sentisse alma grande impaziente di salire animosa come onor la sprona.317 È facile a quell‟età passare dall‟uno all‟altro ideale, o illudersi di poterli assommare.318 Questi giovani trovarono nel Mazzini un linguaggio di fede. Nei loro scritti non si contano espressioni e brani su Dio e la religione. Dicono Dio, ma intendono ora la Patria, ora il Progresso, ora l‟Umanità, ora la Ragione, ora la Filosofia, ora la Scienza, ora la Libertà, ora altro, a volte una mescolanza di tutto, mai il vero Dio, e meno che meno il Dio annunciato dai sacerdoti cattolici nelle loro chiese, anzi, di questo Dio ne andava cancellata la memoria. Sí ad una vaga religiosità, no al soprannatura. In una variante di tale tentazione, che possiamo chiamarla “tentazione Mazzini”, caddero non pochi giovani generosi.319 Per quei che si erano trattenuti da tale scelta radicale, verrà Félicité de Lamennais 320 ad illuderli con un vago cattolicesimo ordinato a vaghe aspirazioni sociali: Giovane soldato, dove vai? Vado a combattere in nome di Dio e degli altari della patria. Giovane soldato, dove vai? Vado a combattere per la giustizia, per la santa causa dei popoli, per i diritti sacri del genere umano. Che le tue armi siano benedette. Giovane soldato! Giovane soldato, dove vai? Vado a combattere per liberare i miei fratelli dall‟oppressione, per spezzare le loro catene e le catene del mondo. Che le tue armi siano benedette. Giovane soldato!… Diffidate degli uomini che si mettono fra Dio e voi perché la loro ombra ve lo nasconde: sono uomini che tramano cattivi progetti... 321 “Un autentico pamphlet politico in forma mistica”, dove la politica diventa la misura di tutte le cose e bisogna che tutto vi si adegui; letteratura, arti, scienze, morale, filosofia e persino la parola sacra, persino la religione di Gesú Cristo che fra le sue mani diventa uno strumento a questo fine.322 Furono tanti a non percepire l‟insidia di questa politica fatta religione, e religione di transizione alla non-religione. Non cosí il Frassinetti che la individuò chiaramente fin dalla sua prima opera data alle stampe, Riflessioni agli ecclesiastici: È necessario a tutti, ma piú specialmente al Clero, il por mente ai nuovi mezzi d‟attacco, che adopera ai dí nostri la sedicente filosofia contro la Chiesa. Conosciuti per esperienza i pericoli, e la poca probabilità di successo di una guerra dichiarata ed aperta, si è indotta a cangiar metodo, e dare 317 Versi del Frassinetti studente di “Rettorica” in Seminario. Giovanni Ruffini. G. RUFFINI, Lorenzo Benoni, pp. 109-118 319 La storia anche dei nostri giorni: la Chiesa, se vuol essere credibile, deve rinnovare il suo contenuto, porre il sociale in luogo del soprannatura. Una delle tante varianti, ma ogni altra andrebbe bene, purché elimini il piano salvifico di Dio, la divinità di Cristo e il soprannatura. Satana ha sempre qualcosa di meglio, di piú razionale, adeguato ai tempi da suggerire. Si esaminerà con piú attenzione questo processo di sostituzione del divino con un “meglio” fornito dalla “ragione” parlando dello scontro Frassinetti-Gioberti e di Cristoforo Bonavino intervenuto nella polemica con due libelli. 320 Lo vedremo criticato dal Frassinetti, quindi conosciuto. 321 FÉLICITÉ ROBERT DE LAMENNAIS, Parole d‟un credente, trad. di M. G. MERIGGI, MILANO, 1991, pp. 143.147s. 322 Abate Luigi Bautain, Risposta di un Cristiano alle Parole di un credente, Derivaux 1834, p. 173.172. 93 318 Uno una nuova forma e direzione ai suoi colpi. – Se l‟ateismo, cosí leggeasi non ha molto nella Revue des Deux Mondes, è il risultato dei lumi, andiamo pure ad esso, ma passiamo per la religione, poiché questa ci è necessaria per giungere all‟ateismo... Scorrete però per poco quei libri, e troverete, che tutta la religione poi finalmente riducesi a un sentimento vago, indeterminato, indefinibile, che non raffrena gli intelletti, che non muove le coscienze, che non imbriglia le passioni. Una religione senza pratiche di culto, una fede senza misteri, una morale senza precetti, ecco tutto: i rigori poi di penitenza cristiana, autorità di leggi ecclesiastiche, severità di divini giudizi, eternità delle pene dell‟inferno, sono vecchie e rancide fole, pregiudizi di stupide donnicciole… invenzioni adattate ai secoli d‟ignoranza e barbarie, e non ad una religione di progresso, che solo parla… di beneficenza e di amore, qual si conviene ad un‟epoca… di lumi, come la nostra... Spogliate quei pomposi elogi sí a larga mano prodigati talvolta al cattolicesimo di tutto il loro misterioso involucro di parole e di frasi, e scorgerete senz‟altro che tutti gli encomi o sono volti a celebrare i suoi materiali vantaggi, o… a dichiararlo con sfacciata menzogna solidario e fautore dei deliri e delle passioni del tempo. Cosí… si mesce all‟antidoto il rio veleno, la verità si confonde insieme coll‟errore, e a furia di millantar religione, si propaga piú sempre e si stabilisce il regno dell‟empietà.323 Torniamo ancora a quei giovani che meritar diadema per essersi votati ad una causa. Troviamo in essi caratteristiche comuni. Una la creta dei vasi. A differenziarli è la destinazione, s‟è mi lecito far mio un paragone biblico.324 Tutti la stessa formazione base, tutti presi da un forte ideale, tutti portati a far proseliti e a formare gruppo. Parte li vediamo intorno al Mazzini, con alle spalle “le sante madri”: Maria Mazzini Drago, ed Eleonora Ruffini Curlo, parte li vediamo conquistati dal fascino d‟un giovane professore, il Gianelli. Rivedremo questi studenti negli anni Trenta, chi sacerdote chi professionista, formare ancora gruppo: il gruppo Mazzini nella Giovine Italia, di cui era fondatore ed anima lo stesso Mazzini, luglio 1831; “I Ragazzi del Gianelli” nella Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio, di cui era fondatore – confondatore, stando alla sua relazione in cui pone se stesso in ombra per far rifulgere l‟operato dell‟amico Sturla – ed anima il Frassinetti, febbraio 1831. Si notino le date: il Frassinetti un quattro mesi prima del Mazzini, ma l‟ approvazione della Curia genovese è dello stesso mese, 2 luglio 1831. Gli uni e gli altri sono in atteggiamento critico rispetto a quel che s‟era fatto fino ad allora o non fatto. Occorreva quindi fare, azione, con modi nuovi e programma nuovo, pensiero. Il Mazzini si contrappone alla carboneria, alle pastoie dei suoi misteri ed al suo non sapere cosa veramente volesse, predicando dai tetti il programma della Giovine Italia, un programma in chiaro. Non meno privo di misteri è il programma della Beato Leonardo: conoscere Dio per vivere ed insegnare a vivere secondo Dio. Anche qui, in fondo, troviamo pensiero e azione: una conoscenza ordinata alla vita. Non solo il programma era chiaro: ma, a differenza della Giovine Italia, anche l‟organizzazione ed i quadri sono sotto la luce del sole. Tra loro nessun bisogno di pseudonimi, abbandonati nell‟Arcadia degli Ingenui. G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici, Genova 18373, p. 7s. Il passo è dato come Nota dell‟editore. Ad un secolo di distanza, nei commenti ai Vangeli festivi su L‟Osservatore Romano, raccolti poi in volume, don Giuseppe De Luca scriverà: “[Il] sottilissimo e cauto Renan fu maestro a tutta una generazione, non tanto delle materie che insegnò e di cui scrisse, quanto d‟una gentilissima cautela di espressioni accoppiata con una intransigenza feroce di negazioni”, ed ancora: “Del brano evangelico odierno [Mt 6.24-33] molto spesso ci soffermiamo ad ammirare la bellezza lirica e il sentimento. Ora, non che codeste ammirazioni siano cattive, ma insomma sono un po‟ insipide, quando non sono perfide. Nessuna storia di Gesú ne è tanto piena, come la vita che di Gesú scrisse Renan; e come quel genere letterario apparve già allora, agli uomini di gusto solido, equivoco, anzi fradicio, cosí troppe volte codeste ammirazioni non sono altro che il fumo di chi ha tutto bruciato o tutto vuol bruciare”. G. DE LUCA, Commento al Vangelo festivo, Roma 1968, vol I, p. 161; vol. II pp. 425s. 324 Sap 15,7. 94 323 Programmi antitetici, ma uguale la persuasione: bisognava fare tentando vie nuove per riuscire dove altri avevano fallito o per neghittosità o per dispersione di energie o per assenza d‟un chiaro programma e d‟inventiva. L‟uno e l‟altro puntano sui giovani. Studenti e professionisti il Mazzini; teologi e giovani sacerdoti il Frassinetti. Uguale il destinatario ultimo, il popolo, ma, mentre per il Mazzini, prigioniero del suo ceto borghese e vissuto sempre all‟estero, popolo è parola vuota, per il Frassinetti, figlio del popolo, sono la gente umile del suo stesso ceto con cui ogni giorno si rimescola in chiesa e fuori chiesa. L‟uno e l‟altro faranno della penna e della stampa le loro armi, precedendo in questo il Mazzini al Frassinetti. Uguale la parola d‟ordine: l‟unione fa la forza, convincimento che resterà consacrato nel nostro inno nazionale. Alle spalle dei primi le due “sante madri” e le loro borse. La Mazzini, che scrivendo al figlio sputerà sprezzo contro il Frassinetti, e la Ruffini. Alle spalle dei secondi ancora il Gianelli, o, meglio, la sua ombra, perché non piú a Genova. Del Mazzini si afferma che alla fine della vita nulla aveva cambiato del programma degli anni Trenta; del Frassinetti si può affermare la stessa cosa. Scelta la loro via, l‟uno e l‟altro, uomini d‟un sol libro, la percossero in opposte direzioni fino in fondo con dedizione totale, senza mai un ripensamento, salvo agli inizi la tempesta del dubbio nel Mazzini, e, nel Frassinetti, se convenisse a lui giovane parroco di ventotto anni prendersi cura delle ragazze associandosele al ministero e se non fosse stato piú proficuo unirsi in congregazione religiosa con statuto approvato dalla Chiesa, ma, mentre al Frassinetti gli antichi compagni rimasero uniti quanta fu lunga la loro vita, ed oltre, il Mazzini dovrà confessare: Di quel nucleo, la cui memoria dura tuttavia nel mio core come ricordo d‟una promessa inandempita nessuno è rimasto a combattere per l‟antico programma, da Federico Campanella in fuori... morti gli uni, disertori gli altri.325 Implicitamente il Frassinetti ammette l‟influsso che ebbe dal Mazzini, perché, se in positivo sua regola e punto di riferimento fu Gesú Cristo,326 in negativo si dette per regola di fare il contrario dei nemici della religione.327 Nella sua concretezza tutta genovese questi nemici non potevano non avere un volto conosciuto e un nome: Giuseppe Mazzini, i fratelli Ruffini, Federico Campanella... Il Frassinetti non fu di loro, ma visse accanto a loro, in quello stesso mondo che ci è descritto da Giovanni Ruffini nel romanzo Lorenzo Benoni.328 325 G. MAZZINI, Scritti, S. E. I., I,16. Titolo di un suo libro, Gesú Cristo regola del sacerdote. 327 G. FRASSINETTI, Riflessioni…, Genova 18383, p. 11 328 Un romanzo che, ben setacciato ci dà un‟idea dell‟ambiente studentesco della Genova degli anni Venti. A parte l‟assommare nella propria persona fatti che in realtà ebbero per protagonisti anche i suoi fratelli Jacopo ed Agostino ed altri compagni, e colorirli mutando dei topini in elefanti, il Ruffini aveva da dimostrare una tesi che sapeva sarebbe stata musica agli orecchi del pubblico inglese per cui scriveva nella loro lingua: la colpa dei mali d‟Italia è la Chiesa cattolica che ha diseducato il popolo. Il romanzo fu pubblicato nel 1853, quando era ancora viva l‟impressione delle famose lettere del luglio 1851 scritte dal Gladstone a lord Aberdeen in cui il governo borbonico era bollato come la negazione di Dio eretta a sistema. S‟aggiunga che erano anche gli anni in cui in Inghilterra la gente letterata penava su l‟infanzia infelice raccontata dai romanzi del Dickens. Le avventure di Oliver Twist andavano a ruba da tre lustri, cosí pure il quasi fresco di stampa David di Copperfield. Il Ruffini si mette in quel filone e racconta, calcando i toni, la sua infanzia tribolata per colpa d‟uno zio canonico, suo primo maestro, la sua perpetua ed un padre duro, cui si andarono poi ad aggiungere i preti del collegio. Infanzia martoriata dai preti in un‟Italia retrograda per colpa dei preti. Che poi nessuno si chiedesse come mai il Gladstone, cosí bene informato delle cose di Napoli, nulla sapesse di quanto accadeva in quegli anni nella vicina Irlanda o nelle miniere di carbone della sua stessa Inghilterra, o di che paese fosse mai quel tal Acton che aveva incoraggiato il Borbone nonno 95 326 Se si è indugiato nella descrizione di quel mondo è stato per mettere in risalto il merito del Frassinetti e dei suoi compagni nell‟aver dato ascolto ad una voce invece che ad un‟altra, né questo merito per il Frassinetti è diminuito dall‟avere avuto una santa famiglia, essendo l‟epoca risorgimentale ricca d‟esempi dell‟In quella notte di due in uno stesso letto uno sarà accolto [nel regno] e l‟altro no.329 Massimo d‟Azeglio fu fratello d‟un gesuita, cosí il Bixio – vite tutt‟altro che edificanti, sia quella del politico sia quella del garibaldino –. Un fratello gesuita anche il Pellico, tornato in carcere alla fede. San Gabriele dell‟Addolorata fu fratello d‟un massone suicida e d‟un altro perito volontario alla difesa di Venezia. Lo stesso Mazzini, s‟è visto, ebbe una sorella suora ed un‟altra pia cattolica per nulla infatuata d‟un tanto fratello.330 Nessun santo è frutto di natura, ma di generosa risposta alla voce di Dio. CAPITOLO XVIII GLI INTERESSI CULTURALI Se il Frassinetti fosse stato seminarista interno e, fatto sacerdote, fosse stato solo un santo parroco, sí da essere espresso a pieno nell‟epiteto di Secondo Curato d‟Ars, dei suoi studi avremmo detto già troppo, piú per soddisfare una curiosità che per reale bisogno d‟approfondirne la scenza. Ma il Frassinetti fu uomo di studio, fondatore ed anima d‟una accademia di studi ecclesiastici, un‟autorità in campo della teologia morale, autore di libri di spiritualità che ben figurano tra i classici della materia e fu pure cultore di storia ed efficace polemista. Non si è polemista efficace se non si ha piena conoscenza del campo avverso, né sarebbe stato in grado d‟avvertire l‟insidia della cultura laica vestita di panni cristiani, – Chateaubriand, Lamennais, Gioberti... – ignorando le loro opere. È necessario a tutti, ma specialmente al Clero – leggiamo nelle Riflessioni agli ecclesiastici –, il por mente ai nuovi mezzi di attacco, che adopera ai nostri dí la sedicente filosofia contro la Chiesa. dell‟attuale ad impiccare, si spiega con il male di Cavalcante, che fa vedere chiare le cose lontane e nulla di quel che si ha sotto i propri occhi. Un male vecchio e senza rimedio. Una riprova che il Ruffini calcasse i toni in odio alla Chiesa si ha nel diverso giudizio che di quello zio canonico danno i suoi fratelli e lui stesso nelle lettere familiari. 329 Lc 17,34. 330 Delle tre sorelle del Mazzini, Rosa, la primogenita, 1797-1824, fu monaca nel monastero delle Turchine in Genova; Antonietta, 1800-1883, sposò Francesco Massuccone, impiegato al Monte di Pietà – l‟Olmi, su riportato, lo dice medico –; l‟ultima, Francesca, 1809-1838, Cicchina nelle lettere dei Ruffini, “esile e mal reggentesi sulla persona, ma di bel cuore, di nobili spiriti e d‟acuto ingegno, che il fratello Giuseppe amava assai”. Cfr. A. BRESCIANI, SJ, L‟Ebreo da Verona, cap, XLVII. 96 Conosciuti per esperienza i pericoli e la poca probabilità di successo di una guerra dichiarata ed aperta, si è indotta a cangiar metodo, e a dare una nuova forma e direzione ai suoi colpi...331 e, nel comunicare ai chierici la propria esperienza, affermava: Voglio confidare che alcune avvertenze intorno agli studi ecclesiastici, le quali ho provato di qualche utilità per me, possano riuscire di qualche utilità ancora per voi... la scienza è cosí annessa all‟idea di ecclesiastico, da non potersi concepire l‟idea di un ecclesiastico ignorante, che come idea mostruosa.332 Piú che utile, mi pare necessario un approfondimento degli interessi culturali dei giovani nati all‟inizio dell‟Ottocento, che si formarono in quei tre lustri che vanno dalla caduta di Napoleone alla Rivoluzione parigina del luglio del 1830. Dai titoli dei temi a suo luogo menzionati, si direbbe che le scuole, sia quelle del seminario, sia quelle degli altri istituti, vivessero fuori del tempo in una delle Isole Fortunate, dove non fosse giunta voce di tutto il finimondo che aveva sconvolto l‟Europa, né si avvertisse la rivoluzione politica e letteraria, che proprio in quegli anni esplodeva. Pareva una scuola di metà Settecento per “pulcini” dell‟Arcadia in attesa di poterne far parte come membri effettivi, paga di portare gli alunni ad esprimersi con padronanza in prosa e in verso, in italiano e in latino, preoccupata piú delle forme che dei contenuti. Un Settecento duro a morire. Sarebbe errato credere che quei giovani si sentissero appagati di quanto dava la scuola. Un esempio nel nostro secolo. La terza edizione della Breve storia della letteratura italiana di Eugenio Donadoni rivista da Francesco Flora, due nomi di tutto rispetto, bella nella sua concisione, nel 1948 non si spingeva oltre i “tre poeti”: Carducci, Pascoli e D‟Annunzio! Gli altri poeti del Novecento in una sola pagina. Un‟altra pagina per i narratori, mezza per il Croce, due righe per il Pirandello, non una riga sugli stranieri. Non se ne può dedurre che i giovani della prima metà del Novecento abbiano ignorato le varie correnti letterarie che si sono succedute ed i problemi dibattuti nelle riviste, né mai udito parlare di Tolstoi, Cechov, Rilke, Unamuno, Kafka, Mann, Garcia Lorca, Ungaretti, Rebora, Maritain... paghi di recitare: Settembre, è tempo di migrare… La vera scuola d‟un giovane appassionato per lo studio è sempre stata la biblioteca, la lettura di libri e di riviste, e le infinite dispute con i compagni presi dalla stessa passione. Fu cosí anche del Frassinetti. Che fosse di casa nelle biblioteche lo dice il suo primo biografo.333 Che non si restringesse al dettato della scuola lo rievocò il condiscepolo canonico Poggi nell‟elogio funebre. Che leggesse riviste si ricava da appunti con l‟indicazione della fonte. La biblioteca piú frequentata penso sia stata, oltre quella del seminario, la Fransoniana, ricca di volumi e riviste, continuamente aggiornata, aperta con il preciso scopo di favorire la cultura del clero.334 Brutta malattia i libri. Il Frassinetti non ne guarí mai. Libri dappertutto: Essendo io parroco a Quinto – leggiamo in un suo scritto – mi sveglio una mattina e sento cantare Don Sturla,... era venuto a notte assai inoltrata, gli aveva aperto la domestica cui aveva ordinato di starsi cheta... si era coricato sulla tavola del desinare con due libri sotto il capo trovati lí per caso...335 331 G. FRASSINETTI, Riflessioni agli ecclesiastici, 1837. Cito dalla terza edizione . G. FRASSINETTI, Osservazioni sopra gli studi… 1839, pp. VII e 2. 333 D. FASSIOLO, Op.cit., pp. 16s. Concorda con quella della sorella Paola già riportata. 334 Quando lo Stato se la incamerò, contava 22.000 volumi. 335 G. FRASSINETTI, Memorie intorno alla vita del sac. Luigi Sturla, 1871, p. 27. 332 97 Un materasso no, ma in casa Frassinetti due grossi tomi in folio da farsene un guanciale erano a portata di mano anche in cucina. Cosa vi era a monte di quella generazione di giovani in epoca in cui sembrava esserci piú pace tra i vivi che non nei cimiteri? Proprio in quegli anni si andava operando una rivoluzione nel campo della letteratura. Non piú l‟otium dei pochi fortunati che possono goderselo, ma arma messa al servizio d‟una causa. Con il Romanticismo le lettere si fanno azione, la lingua ne è l‟arma, e, se arma, deve incidere e penetrare, deve perciò essere da tutti compresa. Via dei e dee, via i periodi modellati su Cicerone e sul Boccaccio. Cittadinanza piena alla lingua parlata. Lotta al purismo. Non fu lavoro del solo Manzoni. Manzoni a livello d‟arte, Mazzini nei giornali, senza che riesca a spogliarsi dell‟enfasi oratoria, il Frassinetti nell‟annuncio della parola di Dio dal pulpito e negli scritti. Non furono i soli, inutile dirlo. Sono gli anni in cui gli studenti rivolgevano l‟animo all‟Alfieri, al Foscolo, al Parini, e si accaloravano per de Chateaubriand, Byron, Berchet, Manzoni, Leopardi, Goethe, Lamennais, Joseph de Maistre, Lamartine, Kant..., anche se nessuno di questi nomi era entrato nella scuola attardata sul Metastasio, il Chiabrera ed il Frugoni. Sono gli anni in cui diventa opinione assodata l‟affermazione che tutti i mali d‟Italia, e la sua supposta arretratezza, si debbono addebitare alla Chiesa, ai papi e al non aver avuto noi la riforma ch‟ebbero i paesi protestanti. Del 1816 è la Lettera semiseria di Grisostomo al suo figliuolo, del Berchet, il piú efficace manifesto del Romanticismo italiano. Dal 3 settembre 1818 al 17 ottobre 1819, giovedí e domenica esce a Milano Il conciliatore. Quattro pagine in carta azzurrina, 478 l‟intera raccolta, 700 copie la tiratura, lire 18 l‟abbonamento. Poca cosa viene da dire, ma grande fu l‟innovazione prodotta nel mondo delle lettere. Già tempo – si leggeva nel foglio che ne annunziava l‟uscita –, il vero sapere era proprietà riservata ad alcuni pochi… I dotti e i letterati di professione… applaudivano fra di loro alle opere dei loro colleghi, o le biasimavano; ed al pubblico non curante ne giungeva appena una debole voce… Pare a noi… [che] l‟utilità generale debb‟essere senza dubbio il primo scopo di chiunque vuole in qualsiasi modo dedicare i suoi pensieri al servizio del Pubblico; e quindi i libri e gli scritti di ogni sorta, se dalla utilità vanno scompagnati, possono assomigliarsi a belle e frondose piante che non portano frutto… Via tutte le pastorellerie dell‟Arcadia, le dispute meramente grammaticali. I richiami ai grandi romani. La letteratura deve rendere un servizio al pubblico. Non diversa l‟impostazione programmatica di Frassinetti scrittore, se non nella scelta del campo. Scrivere per rendere un servizio al pubblico, e il piú largo possibile, nel modo piú comprensibile, senza timore d‟avanzare soluzioni nuove, o soggezione per forme venerande, o rispetto riverenziale per grandi nomi fino a rimanerne bloccato. 336 Scrive nei Rischiarimenti sul mio passato: Forse parrà troppa arroganza che un giovine sacerdote aspirasse a provvedere a un bisogno di sí alta sfera… se ho da dire quel che ne penso, mi pare un pregiudizio. Primieramente perché Dio è padrone di servirsi di chi vuole nelle sue opere, e volendo può servirsi d‟un sacerdote novello per cose anche di maggiore importanza… Secondo me l‟arroganza sta nel voler fare il bene, non solo grande, ma anche piccolo, colle proprie forze. Se io mi sentissi inspirato a fare altrettanto di quanto hanno fatto i piú grandi uomini che abbiano illustrato la Chiesa di Dio, e frattanto fossi ben persuaso di non essere per me stesso capace di nulla,… io vorrei avere la bella arroganza d‟intraprendere quanto hanno intrapreso i piú segnalati servi di Dio…337 336 Si 337 98 è visto con che sufficienza furono trattati il Mazzini ed i suoi compagni dal Botta. G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. V, p. 3. AF. Lui, giovane, osa cose nuove, e male gli incoglierà quando comincerà a scrivere in modo nuovo i suoi librettucci mingherlini rivolti all‟utilità spirituale del vasto pubblico, invece che scrivere grossi tomi o squisitezze per i membri d‟un‟arcadia. Torniamo a quel quindicennio. Nel 1818 Jean-Charles-Leonard Sismondi de Sismondi portava a termine la sua Histoire des républiques italiennes du Moyen-Age.338 La storia vi è concepita per un verso come libero sviluppo, per un altro verso come determinata dai governi e dalle istituzioni. L‟Italia fu grande quando fu terra di libere repubbliche; decadde quando prevalsero la Chiesa cattolica e i principati, la Chiesa cattolica soprattutto. Opera da prendere in considerazione per l‟enorme influsso esercitato sulla letteratura risorgimentale. Nell‟ultimo capitolo – cito dall‟edizione italiana –, si chiede quali cause hanno mutato il carattere degli italiani dopo che erano state ridotte in servitú le loro repubbliche, e, pur raggruppandole in quattro serie, in realtà le riduce ad una sola: colpa dei papi e del cattolicesimo. Quel capitolo diverrà dogma indiscusso per tanta parte della letteratura e della pubblicistica risorgimentale. Ancora oggi, l‟aver avuto l‟Italia il Concilio di Trento, invece d‟un Lutero, è il rammarico della cultura laica e delle frange di cultura che, pur dicendosi cattolica, soffre verso di essa insanabili complessi; né è servito che il De Sanctis abbia fatto del Machiavelli il nostro Lutero, e piú che Lutero, vedendo in lui il rigetto radicale d‟ogni soprannatura. Per loro i paesi protestanti rimangono sempre quelli di piú avanzata civiltà. Al Sismondi rispose il Manzoni nel 1819 con le Osservazioni sulla morale cattolica con un nuovo modello di apologetica: rispetto per l‟uomo, demolizione, pietra dopo pietra, di quanto affermava contro la Chiesa. Logica stringente, una morsa. – Ugual programma nel Frassinetti nel tracciare il progetto del giornale La Carità –. L‟opera del Manzoni suscitò la curiosità di conoscere meglio le tesi del calvinista ginevrino.339 Né si può ignorare François-René de Chateaubriand. Nel 1802, il 14 aprile, quattro giorni prima della solenne promulgazione del Concordato napoleonico con la Santa Sede, firmato l‟anno antecedente, usciva il suo Génie du Christianisme. Si riaprivano le chiese, tornava la religione con i suoi riti. Dopo dieci anni si riudiva risuonare il campanone di Notre Dame, merito del nuovo Costantino – cosí da molti fu visto Napoleone –. Chateaubriand portava un capovolgimento di mentalità. Non piú Voltaire e gli enciclopedisti facevano moda. Si era creato spazio, e che spazio, alla cultura cattolica. Il Moniteur de Lois, il 18 aprile 1802, Pasqua, pubblicava il Concordato e recensiva la nuova pubblicazione. Cosa combinata? Aveva Il nuovo Costantino trovato il suo Eusebio?340 La fortuna fu grande, e provvidenziale, ma si trattava d‟un cristianesimo ispiratore delle arti e delle lettere, a cui l‟Europa doveva la sua grandezza. Come dire, senza religione cattolica non avremmo avuto cultura e mirabili opere d‟arte. Piú che il cristiano, scriveva l‟esteta. L‟effetto fu enorme, capovolgendo il giudizio sul Medioevo cristiano: non piú l‟età buia e barbara degli illuministi, ma fonte di civiltà a cui scrittori od artisti dovevano ispirarsi. Un cristianesimo estetico, esteriore, superficiale. Non ne penetra l‟anima. Il Frassinetti l‟avvertí. Quando lo Spotorno con la sua supponenza si farà forte di un tanto nome, gli replicherà: Noterei… che nel numero dei pii e religiosi dotti meritamente lodati dal Ch. Autore dell‟articolo [lo Spotorno] non pare doversi mettere il Visc[onte] di Chateaubriand, la cui opera Essai sur la 338 I primi quattro volumi erano usciti a Zurigo nel 1807-1808, i rimanenti dodici uscirono a Parigi. La traduzione italiana si ebbe nel 1831-1832, anch‟essa in sedici volumi. 339 L‟epistolario dei fratelli Ruffini, salvo pochissime lettere, è tutto in francese. Molti di quei che fecero l‟Italia si tennero in comunicazione usando tale lingua. 340 L‟idillio cessò presto. Chateaubriand si irrigidí nell‟opposizione e Napoleone cessò di essere l‟uomo potente che ci ha tratti dall‟abisso. 99 littérature anglaise et considérations etc., (1836, p. 203) doveva come recentissima essergli sconosciuta. Di fatto non si può dire che professi incorrotta pietà chi scrive cosí: “Oggidí i protestanti niente piú che i cattolici non sono piú quelli che già furono: i primi anzi hanno guadagnato in immaginazione, in poesia, in eloquenza, in ragione, in libertà, in vera pietà ciò che i secondi hanno perduto. Le antipatie tra le diverse comunioni non esistono piú; i figli del Cristo di qualunque razza provengano si sono stretti ai piedi del Calvario stipite comune della famiglia… La religione cristiana entra in un‟era novella; come le istituzioni e i costumi, ella subisce la terza trasformazione”. Questo tratto tradotto a verbo dall‟originale, valga di un saggio dei molti errori che in esso si incontrano.341 Osservazione rispettosissima nella forma, ma da stendere a terra un toro. Il grande Spotorno non si tiene aggiornato a differenza di certo parroco Frassinetti di campagna, come con compatimento la madre del Mazzini ne scriveva al figlio.342 Si direbbe stato a scuola del Manzoni e da lui appresa l‟arte del confutare. Nessuno può però contestare a Chateaubriand il merito che egli si rivendica nella prefazione per l‟edizione del 1828, anche se ormai, a piú di vent‟anni di distanza, si lamentava, che nessuno piú pensasse a riconoscerglielo: Fu proprio tra i ruderi di quei templi [profanati] che, per cosí dire, pubblicai il Genio del Cristianesimo per ricordare lo splendore dei riti che vi si celebravano ed i ministri che servivano all‟altare. Dopo quanto era accaduto con la rivoluzione si sentiva un bisogno di fede, una forte fame di conforti religiosi, fame nata proprio dalla privazione per cosí lungo tempo di tali conforti. Per merito suo, o almeno anche per merito suo, si potevano liberamente scrivere inni sacri, trarre dal mondo cristiano argomento per tragedie e romanzi, come ne aveva egli stesso indicato la strada con Les Martyrs. Nessuno gli poteva negare ch‟era stato l‟incantatore di una generazione. Nel 1815 il Manzoni ha già pubblicato i primi quattro Inni sacri, nel ‟20 esce Il Conte di Carmagnola, nel‟21 il Cinque maggio, nel‟22 l‟Adelchi e La Pentecoste, nel‟27 la prima edizione de I Promessi Sposi. Degli stessi anni le Operette morali del Leopardi ed un buon numero dei suoi Idilli e di Canti. Nel ‟19 uscí Du Pape del de Maistre, e, postumo nel ‟21, Les soirées de Saint-Pétersbourg. I piú saputi tra i giovani studenti conoscevano il Childe Harold‟s Pilgrimage del Byron, le Méditations del Lamartine, l‟Essai sur l‟indifférence en matière de religion del Lamennais, e Shelley, e Scott, e la Staël, e Hugo ed altri ancora. Si disputava sulle “tre unità di luogo di tempo e d‟azione”, e se non fosse giunta ormai l‟ora di farla finita con gli dei e le dee dell‟Olimpo, con buona pace di Vincenzo Monti, e di richiamare a vita il mondo cristiano come aveva additato Chateaubriand, o le saghe del Medioevo sull‟esempio dell‟Ossian.343 Un nome, questo, che ai nostri giovani d‟oggi non dice nulla. Questi gli argomenti, frammisti a quelli politici, che all‟epoca agitavano i giovani studenti e formavano l‟oggetto delle loro dispute e dei loro 341 G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici, 1838, p. 38. La madre del Mazzini, uscite le Riflessioni, insinua che il vero autore sia Joseph de Maistre ed il Frassinetti un prestanome. Ma il de Maistre era morto da 16 anni! Anche allora non mancavano esperti ed esperte in dietrologia. Scriveva: “Certo parroco Frassinetti di campagna mesi fa, faceva una stampa che era proprio una sciocchezza in ogni guisa contro i giansenisti… scrivea d‟ordine del De Maistre e C… Però il P. Spotorno mise un cenno sulla nostra Gazzetta, confutando quello sciocco… che ora ritorna alla carica con maggiore pasticcio dell‟altro” e, nella lettera successiva al figlio che ne vuole sapere di piú: “Sentirò il giudizio dei miei Santi dottori”. A. LUZIO, La Madre di G. Mazzini… 1919, pp. 210.213 343 Quando comparve Ossian a tutti girò la testa: tanto erano sazi di classicismo. Il bardo scozzese fu per qualche tempo di moda, e Omero stesso si vide minacciato il suo trono. Si sentiva che il vecchio contenuto se ne andava con la vecchia società, e in quel vuoto ogni novità era la ben venuta. F. DE SANCTIS, Storia della letteratura italiana, cap. 20. 100 342 entusiasmi, privi com‟erano del Giro d‟Italia, del campionato di calcio, di film, discoteche, canzonette e festival. Questioni che un giovane appassionato per lo studio poteva far proprie o no, ma non poteva ignorare. Nessuna sorpresa se ne rinveniamo tracce nel Frassinetti, anch‟egli studente del suo tempo, né poteva essere diverso per uno che pareva avere per seconda casa la biblioteca e che aveva cominciato a mutare in biblioteca la propria: Piú volte entrato nella sua camera di studio, abbastanza grande – ricordava il Lemoyne –, vidi volumi di teologia morale antichi e moderni, grossi e piccoli, i quali aperti occupavano tutte le sedie, i tavolini e il sofà e i loro margini erano pieni di note da lui scritte.344 Non solo testi di morale. Il Botta, che abbiamo visto attaccato dal Mazzini, sarà criticato per motivi diversi anche dal Frassinetti, il che presuppone la conoscenza delle sue opere. Cosí, quando confuta i Prolegomeni del Gioberti, mostra di conoscere anche le altre opere dello scrittore torinese. Qui basti aggiungere la testimonianza del suo condiscepolo, il canonico Filippo Poggi: “Ripudiata la scuola Ossianesca, si gitta con tutta l‟anima ai classici greci, latini, italiani”.345 Quadro confermato da un appunto del Fassiolo che gli visse accanto: “La sua [era] assai provvista di libri”.346 Opere integrali, edizioni ottime. Del Petrarca una cinquecentina! Quante altre opere lesse per diletto oltre il Canzoniere del Petrarca? Si sa solo di alcune citate nei suoi scritti, come la Divina Commedia, il Paradiso perduto nella traduzione del Papi. Nessuna intenzione di comporre un saggio di letteratura. Solo un affermare che lo studente Frassinetti visse il suo tempo e lo vediamo citare Joseph de Maistre e Félicité de Lamennais, due estremi della cultura dell‟epoca. Notevole l‟influsso del Lamennais sul Mazzini, ed il Frassinetti trova piú volte conferma al suo dire nel de Maistre. Questo il mondo da cui il Frassinetti attinse con processo ora di assimilazione e ora di dissimilazione e rigetto. S‟è già notato come il Servo di Dio fin dai suoi giovani anni si fosse scelto Gesú Cristo per stella su cui orientare la navigazione. In negativo, gli fu regola il voi non cosí del vangelo.347 Una controregola, se cosí piace chiamarla, appresa dai figli di questo mondo per suggerimento dello stesso Signore.348 I figli di questo mondo, per genovese tutto concretezza, altro volto non potevano avere se non quello dei suoi coetanei andati a far gruppo col Mazzini, alcuni dei quali erano stati suoi condiscepoli di filosofia in Seminario. AF. Da una lettera del 18 giugno 1911 del padre Giovan Battista Lemoyne, l‟autore della monumentale biografia di san Giovanni Bosco, al padre Antonio Piccardo 345 F. POGGI, Della vita e degli scritti di Giuseppe Frassinetti... Discorso nelle solenni rinnovate esequie il dí 14 febbraio 1868, Genova 1868, pp. 7s. 346 AF, Documenta, XIII: Memorie e note [inedite] intorno alla vita del Priore G. Frassinetti. Da copia di appunti di DOMENICO FASSIOLO autentificata. 347 Mt 20,26; Mc 10,43; Lc 22,26. 348 Lc 16,8. 101 344 CAPITOLO XIX LO STUDENTE DI FILOSOFIA Abbiamo i quaderni con il dettato delle lezioni di filosofia e di teologia dei corsi seguiti dal Frassinetti nel seminario di Genova dal 1822 al 1827. Hanno il valore che per noi hanno i testi scolastici. Ci dicono cosa si insegnava, ma non come il professore vivificava l‟insegnamento e come dal giovane veniva recepito. I quaderni, presentandosi cosí nitidi e ordinati da potersi passare in tipografia per la stampa senza mutar virgola, fanno arguire la diligenza con cui il giovane seguiva i corsi. Sono tutti in latino. Ogni volume si apre con un bel frontespizio e viene chiuso con colophon, indice, il millesimo, anno del corso e professore. Studio della filosofia, non della sua storia – che in parte rientrava nelle confutazioni delle tesi rigettate –. Logica, ontologia, cosmologia – comprendente anche scienze naturali –, psicologia – comprendente anatomia e fisiologia umana, nonché zoologia! –, e teologia naturale. Di fisiologia c‟è pochino,349 ma in bel latino, dignitoso, si direbbe persino elegante, che riporta a prima di 349 102 Nella Sectio III, Caput X, troviamo trattato De sanguinis circulatione: Galileo quando era la lingua delle scienze,350 ed in latino ragazzi sui diciotto anni ripetevano le lezioni cercando di non sfigurare con il professore nell‟uso che ne facevano. Filosofia e scienze per studenti in dimestichezza con i classici latini, quindi con citazioni del Venusinus, come piace chiamare Orazio, di Virgilio, Marziale, Giovenale e Ovidio sparse come ciliegine su una torta. Tullius – Cicerone –, fa spesso da sostegno alle dimostrazioni con lunghi passi delle opere filosofiche, cosí Seneca, specie nell‟etica. Non mancano citazioni di Lucrezio e dell‟ Antilucretius del cardinale Melchiorre di Polignac, poi Giuseppe Flavio, Quintilliano, Plinio, Lattanzio, Agostino, sempre virgolettati, non manca un angoletto per Cornelio Nepote! Il professor Valentini era un umanista aperto a ciò che si pensava e si scriveva ai suoi tempi, senza un anno zero, perciò cita frammisti nomi di filosofi, di scienziati e di poeti. Riporto alla rinfusa: Dante, , (R. Descartes)esio, Bacone, Bossuet, Fénélon, Copernico, Galileo, Newton, Pascal, Fontenelle, Montaigne, Montesquieu, Metastasio, , L. A.ori, Locke. Stando all‟elogio funebre del Poggi, in quella scuola si espose anche il pensiero di Malebranche, Leibniz, Condillac, Tracy, Bayle, Spinoza e Hobbes. Kant soltanto sfiorato.351 Né mancano le sorprese: per gli Egiziani si rimanda all‟Encyclopédie! Il Civis Geneviensis, Gian Giacomo Rousseau, merita una menzione speciale per i numerosi passi riportati dall‟Emile, gli segue a ruota il somasco padre Soave. Nutrita la schiera dei gesuiti: Petavio, Comes Roberti, Granelli, Muzzarelli,... Anche Voltaire, ma per confutarne le dissacrazioni. Un professore di mentalità aperta il Valentini. Fig. 29: Sistema eliocentrico352 Subito una sorpresa: il Frassinetti sapeva disegnare a penna. Ci si era già incontrati con fiorellini ed arabeschi disseminati nei quaderni degli anni del corso di “Rettorica”. In queste sue dispense, chiamiamole cosí, troviamo ben 52 disegni di precisione dei fenomeni fisici, astronomici e teoremi geometrici. Gran parte del secondo anno fu trattata in lungo ed in largo la fisica astronomica seguendo il sistema “CopernicoNewtoniano”. Un sistema censurato dall‟ Inquisizione, è Il grande matematico Giuseppe Peano (1858-1932) ne deprecò l‟abbandono e pensò poterlo reintrodurre semplificato in latino sine flexione. 351 F. POGGI, Della vita e degli scritti di G. Frassinetti..., Genova 1868, p. 8. 352 P. 161. A p. 150 c‟è la figura 25 con un bel disegno del sistema tolemaico. Il giovane Frassinetti non poteva essere a conoscenza d‟un inedito di colui che sarebbe diventato il suo modello, sant‟Alfonso, in cui si mostra appassionato d‟astronomia: “Il Santo… apprezzò quelle cognizioni [dei fenomeni celesti] fino al punto da redigere di sua propria mano, su pergamena, un disegno accurato esprimente al vivo la Sfera Armillare…”, G. LAIS, La sfera armillare disegnata da sant‟Alfonso, in Nel secondo centenario dalla nascita di sant‟Alfonso M. De‟ Liguori, Roma 1896, p. 34. Si direbbe che tra i due sia esistita una certa qual congenialità. 103 350 vero, ma la Scrittura parla delle cose come esse appaiono ai nostri occhi e fa suo il nostro modo di dire. “Difatti, gli stessi astronomi, non esclusi Copernico e i Newtoniani, nel parlare comune, dicono che il sole è sorto, o che è tramontato, senza per questo ripudiare la loro teoria”. E l‟Inquisizione? Fu cosa saggissima, perché a quei tempi c‟erano da temere inconvenienti interpretando cosí la Scrittura..., in appresso, avvaloratasi l‟ipotesi sí da potersi ritenere del tutto sicura, non c‟è piú pericolo di sorta per la religione e perciò il decreto dell‟Inquisizione nulla prova sul moto della terra. E san Tommaso? Anche san Tommaso ha l‟onore d‟una citazione. Veramente pochino da parte d‟un professore di cui alla morte si ricordava la “quotidiana lettura delle sue opere protratta per tutta la vita”!353 In quell‟anno 1823-1824 il Valentini dedicò alla fisica ben 394 pagine, naturalmente tutte in latino, con il rammarico di doverne troncare la trattazione per non sacrificare lo studio dell‟etica. Si ricava da una nota del Frassinetti, anch‟essa in bel latino. Il trattato di logica si chiude con un esametro virgiliano, l‟intero corso con due di Orazio. Mi è parso bene dilungarmi sull‟apertura di mente del Valentini che abituava gli allievi a ragionare. Meglio discutere in pubblica classe i fatti impugnati, che aver paura di trattarli. Non tutti in seminario ne condividevano l‟apertura, il modo e l‟opportunità. Il primo criticone dell‟eccessiva apertura dovette essere il rettore, già docente della materia, che si vedeva diminuito, come non bastasse l‟ ascendente che si andava acquistando il direttore di disciplina Gianelli, posto dal Lambruschini perché ristabilisse l‟ordine da lui non saputo tenere. Vediamo prima il Gianelli rinunciare all‟incarico, poi il Valentini seguito dal Rebuffo. Che spiegazione si desse il Frassinetti di quel che succedeva lo si può argomentare da ciò che scriverà nella Cronaca il Cattaneo, suo compagno di corso: Il Lettore di Filosofia Valentini lasciò la cattedra prima che finisse l‟anno scolastico… forse [perché] il Rettore, offeso dalle maniere piú franche assai che rispettose che usava il Lettore suddetto a suo riguardo… 354 Fu una gran perdita, essendo il Valentini professore di valore, di mente aperta e di larghissimi interessi culturali. Non restò a lungo senza cattedra. Di lí a qualche tempo, fu chiamato ad insegnare logica e metafisica nella Regia Università di Genova. Invidie che lasciarono il segno nel cuore dei giovani. Essi, i “ragazzi del Gianelli”, saranno diversi. Li vedremo nella “Beato Leonardo da Porto Maurizio” formare un cuore solo e un‟anima sola, ignari di cosa sia gelosia. Chiunque da giovane ha amato lo studio ricorda cosa significò aver un avuto un professore di vasta cultura e lo stimolo che se ne ricevette. Il Frassinetti, e chi gli era stato compagno, da vecchi, parlando con i giovani chierici per invogliarli a studiare, dovevano di tanto in tanto rievocare il Valentini ed il Decotto, come si può arguire da una pagina della biografia del Fassiolo. Il giovane Frassinetti entrò di buon animo nel difficile arringo dei filosofici studi. In ciò gli fu maestro il professore Gerolamo Valentini, sacerdote che assai di frequente ebbe a lodarsi di lui, ed ammirare sua prontezza nel rispondere, l‟ordine delle idee, l‟attività dell‟ingegno. Attesta chi gli fu compagno – è chiaro che torna col pensiero alle dispute scolastiche – che non mai avvenne che [il Necrologia del sacerdote Girolamo Valentini… 27 agosto 1848. B. CATTANEO, Cronaca del Seminario dal 1803 al 1847. Dice i motivi che determinarono il Valentini a lasciare l‟insegnamento. Ai colleghi sapeva amaro che la sua bravura – laurea di teologia, filosofia, diritto canonico e civile, studi seri di matematica, fisica e scienze naturali – mostrasse la meschinità del loro insegnamento. 104 353 A. DRAGO, 354 Frassinetti] restasse sopraffatto alle proposte difficoltà. Non abbandonò mai l‟arena se non vincitore. Approfondiva di tratto il nodo della questione, e con modestia e buona maniera ne esponeva la soluzione. CAPITOLO XX COME STUDIARE E CON QUALE SPIRITO La scienza, anche se delle cose di Dio, senza la carità, gonfia e nuoce. AGOSTINO Cosa studiasse e con quale spirito, il Frassinetti lo dice nelle Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici.355 L‟ecclesiastico che non si considera tutto tale, e non è contento di non esser altro che ecclesiastico, non sarà buono [ecclesiastico]. Chiederà alcuno, se si voglia proibire agli ecclesiastici ogni altra occupazione fuor delle sacre, come l‟ attendere alla letteratura, alla fisica, ecc. Se a qualcuno venisse tal dubbio, osservi che, potendosi dirigere questi studi ed occupazioni alla maggior gloria di Dio, come ve li diressero tanti ecclesiastici anche celebri per distinta santità, non si deve dire che siano a un ecclesiastico disdicevoli, anzi noi li diremo convenienti. Vuolsi soltanto far notare, che ad essere buon ecclesiastico non giova essere dotto letterato, dotto matematico ecc., se non si dirigono tali studi ed occupazioni al gran fine dell‟ecclesiastico…356 Anche la letteratura e la fisica? certo. Pensava al Gianelli e al Valentini? Certo, purché ordinate a “procurare l‟onore di Dio e la salvezza dei prossimi”.357 FRASSINETTI, Osservazioni sugli studi ecclesiastici proposte ai chierici, p. VII: “Ciascuno facilmente si persuade poter tornar utile altrui ciò che prova utile per se stesso. Pertanto voglio confidare che alcune avvertenze intorno agli studi ecclesiastici, trovate di qualche utilità per me, possano riuscire di qualche utilità ancora per voi”. 356 ID., Ivi, p. 2 nota 1. 357 ID., Ivi, p. 5. 105 355 G. Questa istruzione…non deve essere di quella che gonfia lo scienziato e lo rende superbo, ma di quella che, mediante la carità, lo rende umile; giacché un ecclesiastico superbo sarebbe peggiore che un ecclesiastico ignorante, non potendosi temere da cento ecclesiastici ignoranti que‟ danni che si debbono temere da un ecclesiastico superbo. Il dotto superbo sa distruggere, il dotto umile sa edificare. La carità deve invitare l‟ecclesiastico ai suoi studi e l‟umiltà dirigerlo.358 Posti i principi, esamina con domande e risposte da cosa si devono guardare: – Io sono ecclesiastico: quale sprone avrò allo studio? L‟onore, la gloria, la fama? – Povero me! Non conosco il mio fine. Questo è l‟onore e la gloria di Dio, non la mia. Non debbo cercare che vada per la bocca degli uomini il meschino mio nome, ma quel gran Nome, nel quale soltanto ci può essere salute.359 Mi dice l‟amor proprio che si può ottenere l‟uno e l‟altro…; che posso cercare l‟onore e la gloria di Dio e insieme procurarmi le giuste lodi e approvazioni degli uomini… Non nego il principio, ma vorrei sapere… se alcuno abbia mai saputo camminar bene per questa strada delle due intenzioni… Non me ne fiderò. – Quale altro sprone avrò allo studio? L‟interesse? – Povero me! Se mi prefiggo un tal fine, avrò coraggio a manifestarlo? – Quale altro sprone avrò allo studio? Il passatempo? – Povero me! Sarò tanto stupido da persuadermi che Dio mi conceda tempo d‟ avanzo onde abbia a cercar modo di occuparlo per non sentirne il tedio?… Lo studio che si fa per passatempo è uno studio cosí leggero, inconcludente, che non lascia cognizioni se non inesatte, sconnesse e confuse, che sono piú dannose dell‟ ignoranza, perché è sempre da preferirsi il non sapere al saper male…360 – Ma dunque quale altro sprone avrò allo studio? – La carità... L‟amor di Dio, l‟amor dei prossimi lo debbono occupare tutto quanto, ed anche tutte le sue operazioni, perché l‟unico suo fine è quello di procurare l‟onore di Dio e la salvezza dei prossimi… l‟ecclesiastico che studierà mosso dalla sola carità, sarà il solo che negli studi riuscirà a perfezione... Ove si prende la mira là dirigesi il dardo, e sarebbe miracolo se andasse a finire in altra parte... Se voi vi darete agli studi ecclesiastici spronati soltanto da carità, imparerete ciò che potrà maggiormente conferire alla gloria di Dio e alla salute dei prossimi quasi di slancio; mossi da altro fine, non vi basteranno le piú diuturne considerazioni sulle scienze medesime, per averne una cognizione sufficiente. Molti santi, sebbene abbiano passato la loro vita in immense fatiche, lasciarono tanti scritti eccellenti per procurare la gloria di Dio e la salvezza dei prossimi; mentre tant‟altri, consumandosi nella polvere delle loro biblioteche senza far altro, o nulla lasciarono o cosí poco, che solo prova la sterilità del loro ingegno...361 Qui il Frassinetti, senza pensarci, ci dà la risposta alla meraviglia che suscita in noi la sua vita: come poté essere due in uno, pastore cosí preso dalla cura delle anime che si fa difficoltà a pensare trovasse tempo di stare seduto un‟ora a tavolino, e scrittore cosí preso dai suoi studi da non aver tempo di dire messa e breviario. Completiamo queste pagine che ci rivelano con che animo studiasse. Chi ama Dio ama la Chiesa, e l‟ama perché è la sposa di Gesú Cristo, perché è l‟arca della nostra salvezza... Io l‟amo, io l‟amo, io ne sono pazzo, diceva san Giovanni Grisostomo… Chi si sentisse alquanto freddo in questo amore, l‟ accenda. L‟avvivi, ché troppo è necessario, onde riescano vantaggiosi gli studi ecclesiastici… nessuno può rilevare sí bene le bellezze di un qualche oggetto, quanto chi n‟è appassionato... Quando nomino la santa Chiesa, non intendo parlare di una 358 ID., Ivi, p. 359 At 4, 12. 3. 360 AGOSTINO, Sermo 27. Suppongo che il Frassinetti si sia servito della terza edizione dei Maurini di Venezia stampata dal Remondini a Bassano nel 1797. È l‟edizione di cui mi sono servito in questa raccolta di passi. Il Migne era ancora di là da venire. 361 G. FRASSINETTI, Osservazioni..., pp. 3-7. 106 chiesa astratta… senza centro, come la immaginarono certi infelici: intendo... quella che dura da Gesú Cristo fino a noi, quella che ha Pietro per capo, al cui governo Pietro sempre vive nella serie non interrotta dei Pontefici suoi successori, quella che è Una, Santa, Cattolica, Apostolica, Romana. Chiamati cosí agli studi ecclesiastici dalla carità che edifica,362 bisogna che in essi ci lasciamo guidare dall‟umiltà. Che cosa è l‟uomo se si abbandona al suo ingegno e ai suoi lumi? È una nave senza timone in mare tempestoso e pieno di scogli. Egli è molto inferiore all‟ignorante, e quanto piú nello studio s‟immerge, altrettanto piú sotto l‟ignorante sprofonda… Ci vuol dunque umiltà, tanto piú che gli studi ecclesiastici, molto avendo di soprannaturale, s‟innalzano sopra la sfera dell‟umano intendimento, e perciò il volere soltanto servirsi dei propri lumi nel loro corso, sarebbe lo stesso come volersi servire delle braccia per volare. Ciascuno deve… persuadersi d‟aver gran bisogno dei lumi altrui, e nelle materie ecclesiastiche dei lumi della Chiesa. Le decisioni… espresse o tacite di lei, ci somministreranno quei lumi dietro i quali non si può errare.363 Il Frassinetti scriveva per edificare, non per fare opera scientifica. Nessuna meraviglia che sia molto parco di citazioni per non appesantire il dettato. Le citazioni esplicite sono poca cosa rispetto a quelle omesse, come in questi consigli ai giovani chierici, in cui troviamo un solo rinvio ad un sermone di sant‟ Agostino, mentre non fa che sviluppare i suoi pensieri. Sarebbe uno studio interessante rileggere il Frassinetti cercando di individuare le fonti non citate da cui attingeva e scoprire a quale mensa si nutriva. Se, incuriosito, uno le cerca, scopre che quel suo dire da conversazione, era basato su una rilevante ricchezza di letture: magistero della Chiesa, massiccia presenza di santi padri e dei sommi della teologia. Perché cosí parco nel citare? Perché non imita il suo maestro sant‟Alfonso? Trovo la risposta in me stesso. Alunno del ginnasio inferiore mi capitò fra mano Le glorie di Maria di sant‟Alfonso. Le lessi con amore, piacere e curiosità, peccato che le molte citazioni me ne inceppassero la lettura. Ho voluto controllare se l‟impressione rimasta fosse vera. Nell‟edizione Marietti del 1845, primo volume, nelle prime due pagine a doppia colonna, vedo citati sant‟Atanagio (sic), san Bernardino, sant‟Arnoldo, Ruperto abate ed un‟altra buona dozzina d‟autori. Di ciascuno riporta un corsivo in latino per un totale di 42 righe! Anche se ne dà la traduzione, o almeno il senso, resta pur sempre zona di mistero senza risposta per chi ignora la lingua. Il Frassinetti scriveva per giungere al cuore dei semplici. Come non si sentiva defraudato lui dalle edizioni pirata che si facevano delle sue opere, vedendo penetrare in piú largo raggio la parola di salvezza, cosí non si preoccupava di indicare di chi fosse debitore inzeppando la pagina di citazioni. Un attenersi all‟esortazione dell‟Apostolo di esaminare tutto e di servirsi di ciò che si giudica buono364 e, sulla sua parola, ne dispone perché è tutto vostro – dice l‟Apostolo – quel che è di Paolo, o di Apollo, o di Cefa, e il mondo e la vita e la morte, sia le cose presenti come le future, tutto è vostro, e voi di Cristo, e Cristo di Dio!… provenendo tutto dallo stesso ed unico Spirito.365 362 1 Cor 8,1. G. FRASSINETTI, Osservazioni..., pp. 7-9. 364 1 Ts 5,21. 365 1 Cor 3, 22s. e 12,11. Al pensiero di Paolo dovette rifarsi sant‟Ambrogio, uno che non rifuggiva dal reperire cibo sano in terra greca per nutrire i fedeli in terra latina, suscitando scandalo in san Girolamo. Nei tre libri su lo Spirito Santo s‟era fatto bello con farina del sacco di Didimo il Cieco! Girolamo, perché i latini se ne potessero rendere conto, ne fece lui una versione che cosí presentava a Paolino: “Io ho preferito farmi traduttore d‟opera altrui, piuttosto che, come altri – leggi Ambrogio –, mostruosa cornacchietta, farmi bello delle penne d‟un pavone”. Chi leggerà la sua traduzione “conoscerà i furti dei latini – leggi ancora Ambrogio – e, cominciato che abbia ad attingere alle fonti, disprezzerà i rigagnoli” (PL 23,103s.). Girolamo era uomo di biblioteca, anzi lui stesso una biblioteca; 107 363 Perché si abbia un‟idea di cosa il Frassinetti facesse fin da giovane nelle lunghe ore passate in biblioteca e di come poi ripresentasse la sostanza delle sue letture – in questo caso di Agostino – attinta dai molti volumi in folio, do io un saggio di queste fonti agostiniane non citate – non pensi il Lettore che io voglia imitare Girolamo per denunciarne i furta! –. Esse ci mostrano come il Frassinetti segua da vicino il sermone ventunesimo tenuto da sant‟Agostino il 27 luglio 413, nona domenica di Pentecoste, commentando i versetti 5,20-23 di Giovanni: È meglio infatti non sapere, piuttosto che essere nell‟errore; meglio però sapere che non sapere. Se ci riusciamo, rendiamone grazie a Dio. Se poi non riuscissimo a raggiungere la verità, guardiamoci dal cadere nell‟errore.366 È ancora di Agostino quel concepire lo studio frutto della carità nutrita d‟umiltà. Come fu affermato che la carne non giova a nulla367 allo stesso modo [l‟ Apostolo affermò] che la scienza gonfia.368 Dobbiamo dunque odiare la scienza? Dio liberi! Cosa vuol dire dunque: La scienza gonfia? Gonfia se è sola, senza la carità. Per questo l‟Apostolo aggiunse: Ma la carità edifica. Aggiungi dunque alla scienza la carità, e ne fai cosa utile, non per se stessa, ma per la carità.369 La scienza gonfia. Dobbiamo dedurne che dovete fuggirla e preferire d‟essere ignoranti piuttosto che gonfiarsi?... No, amatela, ma anteponetele la carità. La scienza gonfia se ne è priva, ma la carità, perché edifica, non permette alla scienza di gonfiarsi… Non c‟è gonfiore dove questa roccia fa da fondamento.370 Cosa dice l‟Apostolo di coloro che amano gloriarsi della propria giustizia? “Riconosco che hanno zelo per Dio”.371 Dunque, parlando dei giudei, l‟Apostolo riconosce che hanno zelo, ma uno zelo non di buona scienza… Quale è la scienza buona che raccomandi?… la scienza congiunta a carità, maestra d‟umiltà...372 Cosa dichiara il maestro Figlio di Dio, per cui tutto è stato fatto?... Imparate come ho fatto i cieli e tutto il resto?... No, ma innanzi tutto che egli è mite ed umile di cuore.373… Aspiriamo a cose grandi? comprendiamo le piccole e saremo grandi. Vuoi pervenire all‟altezza di Dio?... Fai tua l‟umiltà di Cristo… non insuperbire. Fatta tua la sua umiltà, con lui t‟innalzi... Osservate l‟albero, per estollersi in alto, cerca il profondo... Tu vorresti comprendere le cose eccelse senza la carità? Un innalzarti all‟aria senza radici? Questo non è crescere, ma franare….374 Pertanto,... sia che tu legga, sia che tu studi, ricorda la grande verità: La scienza gonfia, la carità edifica… Voglio credere che tu non pensi che Dio voglia che noi si conosca il numero delle stelle o quanti sono i Ambrogio pastore d‟anime. Non si creda però che Girolamo non stimasse Ambrogio, tutt‟altro! Ad Eustochio consiglia la lettura del nostro Ambrogio, cosí eloquente nei suoi trattati sulla verginità da aver saputo ricercare, ordinare ed esporre quanto delle vergini è possibile dire (PL 22,409). Lo stesso consiglio dà a Pammachio: lege Ambrogium. I due si erano conosciuti a Roma al tempo del Sinodo romano convocato da papa Damaso. Molte le affinità che li univano, oltre al loro amore per la verginità consacrata ed il culto a Maria. Giudizio di letterato, dunque, quello di Girolamo, cui però era sfuggita la libertà con cui Ambrogio ritratta la materia e la completa con indipendenza. Aveva quindi il Frassinetti un buon predecessore. Ancora una cosa mi fa riavvicinare il Frassinetti ad Ambrogio: non pubblicare scritto senza averlo sottoposto al giudizio di amici competenti, Epistola a Sabino (PL 16, 47 e 48). 366 AGOSTINO, Tractatus in Iohannis evangelium, XXI, tom. IV. c. 604B. 367 Gv 6,64. 368 1 Cor 8,1. 369 AGOSTINO, Tractatus in Iohannis evangelium, XXI, tom. IV., c. 467C. 370 AGOSTINO, Sermo 354 ad continentes, tom VII, c. 1377.EF. 371 Rm 10,2. 372 AGOSTINO Enarratio in Psalmum 142, Sermo ad populum, tom VI, c. 1039s. 373 Mt 11,29. 374 AGOSTINO, Sermo 118 de verbis Evangelii Iohannis tom. VII, c. 589B. 108 granelli, non dico dell‟arena, ma del frumento... Diversa è la scienza di cui da noi Dio vuole la conoscenza... si tratta della scienza che riguarda la legge di Dio. Dirai: – E chi può conoscere cosí bene la legge da averne la pienezza della conoscenza e dirsi sede di Dio ? – Non volerti spaventare… Dice l‟Apostolo “Pienezza della legge è la carità”.375 Non hai piú scuse. Interroga il tuo cuore e vedi se c‟è carità. Se c‟è carità, c‟è la pienezza della legge, e già in te abita Dio, sei già sede di Dio. 376 [Dicendo l‟Apostolo] “La lettera uccide, lo spirito vivifica”,377 pare che condanni l‟una e lodi l‟altro. Ma dicendo “la lettera uccide”, intende la lettera da sola, priva della grazia. Rifacciamoci all‟altra espressione “La scienza gonfia”.378 Condannata qui la scienza? Difatti se gonfia, è meglio restare incolti. Ma, poiché aggiunge: La carità invece edifica, ci dà ad intendere che la lettera uccide se è senza lo spirito, se con lo spirito vivifica e ci rende osservanti della lettera. Cosí la scienza: senza la carità gonfia, con la carità edifica.379 Compendia Agostino in una riga: “La scienza, anche se riguarda la legge di Dio, in chi è privo di carità, gonfia e nuoce”380 La citazione dei passi agostiniani vogliono giustificare la mia conclusione: i consigli del Frassinetti ai giovani chierici, già fatti suoi, sono un distillato del pensiero di Agostino, ma lo stile è del Frassinetti, il che sta a dire che non solo aveva letto i passi, ma li aveva tanto ripensati da assimilarseli fino a farli sostanza del suo stesso pensiero, fino, se non si ha fresca la lettura d‟Agostino, da non avvertirne la dipendenza. La lunga citazione di Agostino perché ci faccia da spia di quanta cultura ricavata dai Padri c‟è dietro quel linguaggio cosí piano del Frassinetti. Un ultimo consiglio del Frassinetti ai giovani, se loro un libro paresse non degno d‟essere letto quando non porti l‟indicazione di nuovo o, se si tratta di commenti biblici, non si presenti quale una nuova chiave di lettura. Chi si dà agli studi ecclesiastici tema la novità, la quale fu sempre… la primogenita della superbia. Ciascuno ama i propri ritrovati e li vorrebbe vedere accolti. Nelle materie profane il danno sarà poco importante, ma in quelle delle quali parliamo, sarà di gran conseguenza... .381 Nessuna condanna del nuovo, ma un po‟ piú di modestia e d‟umiltà non dispiacerebbe. Almeno, avanzata ipotesi, lasciare l‟impressione che è solo un‟ ipotesi. 375 Rm 13,10. 376 AGOSTINO, Enarratio in Psalmum 98, Sermo ad plebem tom. VI, c. 340D. 4,15, 378 1 Cor 8,1;13,4. 379 AGOSTINO, Sermo in die Pentecostes, tom. VII, c. 1099B. 380 ID., Contra Cresconium donatistam, Liber I, cap. 25, § 30, tom. XII c. 511AB: 381 G. FRASSINETTI, Ivi, pp. 5-9. Si metta a raffronto quest‟ultimo paragrafo con la pagina che di lí ad un quarto di secolo scriverà J. E. NEWMAN, Apologia Pro Vita Sua, General Answer to Mr. Kingsley e da me riportata nell‟ultimo capitolo di questa biografia. 109 377 Rm CAPITOLO XXI LO STUDENTE DI TEOLOGIA La scuola di teologia, tenuto conto dei tempi, era buona. Merito del cardinal Spina che ne affidò la cattedra ad un ex-gesuita della sciolta compagnia, Antonio Signorotti. Scelta felice, se si pensa chi l‟aveva preceduto, Stefano De Gregori, già alunno del Molinelli, bel nome del giansenismo.382 Con lui l‟eresia prese tanto piede che nel 1795 fu licenziato e gli successe Gerolamo De Gregori, non ancora sacerdote, il Bambolo! Alla calata dei francesi, si richiamò Stefano de Gregori e per i giansenisti furono tempi d‟oro. Precipitando gli eventi, il seminario restò chiuso fino al 1803. Riaperto, lo Spina affidò l‟insegnamento della teologia ad Antonio Signorotti.383 Anche se tenne per poco la cattedra, per un mezzo secolo fu un punto di riferimento. Ritirandosi nel 1809 indicò un suo alunno, Gerolamo Bolasco, giovane di 26 anni, ma fu tale la lotta dei giansenisti che poté tenere la cattedra solo due anni senza scendere a compromessi con la coscienza. Il prefetto napoleonico Bourdon, mosso dai giansenisti – il Degola era suo amico e “fratello”! –, gli impose: o insegnare le proposizioni gallicane o rinunciare. Rinunciò. Torna alla morte di Marco Decotto che gli era succeduto.384 Il giansenismo a Genova era ben radicato. Al Degola e al Molinelli, s‟era aggiunto il Palmieri, trai piú attivi nel Sinodo di Pistoia e nell‟Assemblea di Firenze. 383 Nel 1805 la cattedra di teologia fu sdoppiata. Al Decotto la morale, al Signorotti rimase la dogmatica. .Stando al COLLETTI, Storia eccl. Genov. del sec. XIX, mans. cap. III, p. 2. ASG. sull‟autorità del Luxardo, il Decotto si sarebbe servito delle lezioni dettate dal Signorotti. Dovremmo concludere che sono quelle raccolte dal Frassinetti. Stento a credere che il Decotto le abbia dettate come proprie. Propino a credere che il Decotto ed il Bolasco rinviassero gli alunni al Signorotti. Se il Frassinetti poté servirsene, avremmo individuato la persona che lo armò per la lotta al giansenismo. 384 “Nel 1797 [il Decotto] fu colto dalla tempesta rivoluzionaria – si legge nel Coletti –, ma non ne fu travolto, né venne privato della scuola. I giansenisti, cosa singolare, non lo fecero oggetto di sarcasmi. Nei trattati raccolti dal Frassinetti il Decotto non rigetta l‟ultima virgola del Sinodo Pistoiese, né va del tutto immune da ombre di dottrine non consone con la tradizione cattolica. Il Frassinetti, benché alunno del primo anno di teologia, lo avverte se, a chiusura del trattato sulle indulgenze, sente il bisogno d‟ aggiungere una nota firmata auditor: “È da notarsi che quella definizione... non si può tenere essendo stata condannata con la bolla Auctorem Fidei...[io], uditore, ho visto la questione in modo diverso”, Manoscritti vol. XXIV, p. 393. 110 382 Marco Decotto e Geronimo Bolasco sono i due professori di dogmatica del nostro Frassinetti, il primo fino a tre giorni prima della morte il 29 gennaio 1826. Fu richiamato Geronimo Bolasco. Professore di morale Giuseppe Massa. Nell‟ elogio funebre lo Spotorno vide in lui lo spirito di sant‟Alfonso.385, In realtà l‟autore di morale a cui, chi piú chi meno, tutti si rifacevano, era l‟Antoine, giansenista no, ma rigorista la sua parte.386 Può fare luce su questa scelta ciò che accadeva alla facoltà di teologia dell‟università di Torino in quegli stessi anni. Dal 1817 al 1829 la cattedra fu tenuta dal sardo Giovanni Maria Dettori, amico ed estimatore dei giansenisti genovesi Degola e Palmieri, e come loro anch‟egli giansenista.387 Apprendiamo dall‟abate Amedeo Peyron, 388 che ciò che valeva a Torino valeva in tutto il Regno Sardo, quindi anche a Genova. Non c‟è dunque da meravigliarsi dell‟autorità che godette l‟Antoine a Genova fino a metà dell‟ Ottocento, specie tra i vecchi.389 Un breve esame della raccolta di lezioni dei volumi manoscritti del Frassinetti. Tre sono indubbiamente suoi. Il XXII di pag. 347, primo anno di teologia, e il XXIII di pag. 394, secondo anno, hanno il loro frontespizio ed il loro colophon sul modello di quelli di filosofia, con indicazione dell‟anno e del professore, Marco Decotto, ed alla fine, il numero delle lezioni: 133 il primo anno, 137 il secondo. Il volume XXIV di pag. 606 è privo di frontespizio e di colophon, ma, al numero delle lezioni dell‟anno, 136, affianca la somma dei tre anni, 406. Un quarto, il XVIII, una raccolta non curata dal Frassinetti, pone diversi problemi. Studio della dogmatica, della sacramentaria e della morale in cui rientrava anche il diritto canonico. Il resto? 14 pagine di patrologia e 64 di Scrittura. Pochine assai, anche se se ne faceva grande uso a sostegno delle tesi dei vari trattati. E la storia ecclesiastica? I seminari italiani, in quanto a cultura, non differiscono gran che da quella dei seminari francesi degli inizi dell‟Ottocento: Le materie insegnate – scrive il Rops – sono miserucce; la Sacra Scrittura ridotta a pii commentari, e la storia della Chiesa ignorata dai programmi in settantacinque case su ottanta! Si insiste di piú sulla formazione morale... 390 Per il Frassinetti ci fu però un “Fuori ed oltre la scuola”. Ci faremo dire da lui stesso cosa un ecclesiastico deve studiare e con quali criteri, dando uno sguardo ai suoi appunti di esegesi ed un suo manuale di storia ecclesiastica. Avvertí aver esagerato, e soggiunse: “Parmi udir voce… che il Massa… pendesse al rigido opinare anziché al benigno...”, G. B. SPOTORNO. Nelle solenni esequie del M. R. D. Giacomo Giuseppe Massa…, Novi Ligure 1842, pp. 15-17. 386 Padre Luigi Persoglio, studente di teologia nel seminario di Genova agli inizi degli anni Cinquanta dell‟Ottocento, afferma: “Ben pochi seguivano sant‟Alfonso, in parte [seguivano], specie i vecchi, l‟Antoine”. 387 Tra il 1823 e il 1827 il Dettori aveva pubblicato a Torino le Theologiæ Moralis Institutiones in sei volumi in cui criticava aspramente il probabilismo, la teologia del Liguori ed il Guala. Né dalla cattedra risparmiava l‟infame probabilistarum pecus. 388 Avverso ai gesuiti e con tendenze gianseniste e gallicane, P. CALLIARI, Carteggio..., vol. III, Torino 1976, p. 163. Don Bosco, nella Storia d‟Italia, Torino, 188718 gli dedicò un ampio ritratto tra gli uomini celebri dell‟Ottocento. Non è male dare uno sguardo fuori della finestra per vedere cosa accade nel vicinato, chi, per esempio, ai tempi del Frassinetti era considerato uomo celebre nell‟ambiente cattolico piemontese. 389 PAOLO GABRIELE ANTOINE, S.J., (1678-1743), Theologia moralis universa ..., Nancy 1725. Gesuita avverso al probabilismo, eppure nelle sue opere i giansenisti vi trovarono sentenze da criticare. Sant‟Alfonso ne stimò la cultura e il metodo, ma lo disse valde rigidus. 390 D. ROPS, Storia della Chiesa del Cristo, vol VI: La Chiesa delle rivoluzioni, traduzione di N. BEGHIN, Torino 1958, pp. 145s. 111 385 CAPITOLO XXII OLTRE LA SCUOLA I La memoria del passato deve essere per ogni uomo, che non odia la patria e se stesso, il piú forte stimolo per amare il presente. VINCENZO CUOCO391 O Italiani, io vi esorto alla storie, perché niun popolo piú di voi può mostrare… grandi anime degne di essere liberate dalla oblivione... Prostratevi sui loro sepolcri, interrogateli... come l‟amor della patria... accrebbe la costanza del loro cuore... UGO FOSCOLO392 La storia ecclesiastica è un quadro vivo che ci rappresenta la Chiesa. Chi vuol conoscerla bene deve fissare questo quadro. GIUSEPPE FRASSINETTI393 Agli orecchi dei giovani studenti di quegli anni Venti dell‟Ottocento giungeva con insistenza l‟invito di rifarsi alla storia. Alla scuola del Gianelli, la storia aveva occupato un posto d‟onore, non cosí nel corso di teologia, ma la storia appresa con il Gianelli era stata cosa troppo universale e generica, da scuola media, perché potesse aver dato a quei giovani un quadro vivo della Chiesa. Se i suoi coetanei avevano raccolto la voce del Cuoco e del Foscolo e messo tale studio a servizio della causa dell‟indipendenza, il Frassinetti lo metterà a servizio della Chiesa; se i suoi nemici la studiavano per vituperarla – La storia delle repubbliche italiane del Sismondi faceva notizia –, egli la studierà per farla rifulgere. Nelle Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici, 60 delle 112 pagine insistono su tale studio. Nel 1834, in una conferenza della “Beato Leonardo”, a lui ne fu affidato uno studio di ampio respiro, al Cattaneo un compendio. Il Frassinetti era d‟altro parere: “In tal modo... – scrive allo Sturla – io non aiuterò lui, né egli me... è idea troppo piccola, che noi ci mettiamo a lavorare per i seminaristi di Genova...”. Per essi bastavano i compendi esistenti. “L‟idea di prendere cattedre per noi è idea alquanto piccola e ci rovinerebbe in gran parte, perché ci legherebbe a fare studi 391 Saggio storico sulla Rivoluzione di Napoli, ultimo capitolo, conclusione. Dell‟origine e dell‟ufficio della letteratura, paragrafo XV. 393 Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici, Genova 1839, p. 42. 112 392 troppo scolastici...”. Per il momento non avrebbero dovuto sperdersi in molte discipline, ma puntare su storia e filosofia, studi piú urgenti e ne suggerisce il metodo. A squadre di quattro. Tre della prima ricerchino il materiale da fornire mese per mese, il quarto curi la stesura, che sarà non solo rivista dagli altri del gruppo, ma anche dai quattro di filosofia che possono aggiungervi note e osservazioni. Si noti l‟idea del lavoro a squadre. Se gli altri non condividono, “Sono il primo ad arrendermi...”. La proposta non fu accolta ed egli si arrese. Il contenuto dei suoi primi lavori è tale che fa supporre un lungo ripensamento di letture fatte in biblioteca, prima quindi del 1831, anno in cui passò a Quinto. Non è credibile che il figlio d‟un piccolo merciaio di condizione modesta, con tre fratelli ancora agli studi, potesse disporre in meno di quattro anni di sacerdozio, dei mezzi per procurarsi i molti volumi di cui si avverte una lettura attenta e critica, sí da potersene servire senz‟uscire di casa. La premessa alle Osservazioni, pubblicate nel 1839, ma solo dopo una lunga e laboriosa gestazione,394 ci conferma che fin da allora le letture erano già molte e serie. L‟Autore cosí vi si confessa: Non crediate però che io ve le presenti [queste “Osservazioni”] come cose nuove: non ho il merito della loro invenzione: si ritrovano già in altri luoghi. Se può avere qualche merito questa operetta, altro non è fuorché quello di racchiudere in poche pagine ciò che trovasi sparso in vari libri e di fare in tal modo vedere quasi in un colpo d‟occhio alcune cose per imparar le quali ci vorrebbe non già lungo e profondo studio, ché tale non fu il mio, ma qualche fatica di piú. Spogliato il discorso della modestia con cui si esprime, fuggendo per natura dal porsi in vetrina, i vari libri sono i molti libri e lo studio lungo. Non c‟è chiara sintesi se manca profondo ripensamento. Tra riga e riga, avverti il disappunto di chi non trovò nella scuola le discipline di cui sentiva bisogno. Vive sotto quella impressione e vuol porvi rimedio. La lettura dei vari libri penso si debba perciò porre in quei tre lustri che vanno dall‟inizio dei corsi universitari a qualche anno dopo la trentina nei quali un uomo di studio suole porre le basi della sua formazione intellettuale, ossia negli anni in cui, studente e giovane sacerdote, correva alle biblioteche e sopra i grandi volumi dei teologi e dei Padri spendeva lunghe ore pensando e meditando senza risparmiare fatica alcuna. La qual cosa egli faceva sempre, ma specialmente nei giorni di vacanza395 Prima di ascoltare il Frassinetti in che modo aveva studiato le varie discipline, riportando stralci del suo lavoro, penso necessarie alcune considerazioni. Agli inizi della vita pubblica del Signore i sinottici pongono il racconto delle tentazioni. Rigettando gli allettativi che l‟avrebbero distolto dalla missione salvifica per cui si era incarnato, ci insegnò a fare la nostre scelte e come farle.396 Il discepolo non è piú del maestro.397 Non c‟è sacerdote che nell‟adolescenza non si sia trovato di fronte ad un bivio. Per i santi non esiste accomodamento. Anche il Frassinetti fece la sua scelta: “Bisogna che l‟ecclesiastico si consideri tutto tale e si contenti di non essere altro che ecclesiastico”. Via quindi i sogni che poterono accarezzare la sua vanità: far parlare di sé scrivendo bei versi, come il Frugoni; emulare lo Spotorno, l‟Ipse dixit di color che sanno di 394 Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici e le Riflessioni proposte agli ecclesiastici, furono inviate al Santo Ufficio dai giansenisti perché fossero poste all‟ Indice. Dei suoi lavori storici abbiamo giudizi entusiasti di S. Antonio Maria Gianelli. 395 D. FASSIOLO, Op. cit., p. 20. Miei i corsivi. 396 Cfr. Mt 4,1-11; Mc 1,12s; Lc 4,1-13; 1 Cor 1,18-25. 397 Mt 10,24; Lc 6,40. 113 quegli anni, o, perché no?, divenire un nuovo Segneri. A scuola era bravo, primo tra i primi. Anche egli scelse, e fu scelta radicale, da poter ripetere le parole dell‟Apostolo ai corinzi, che mi piace qui parafrasare: – Venni tra voi non per stupirvi con sfoggio di cultura ed elevata oratoria, ma ad annunciarvi Cristo crocifisso. Altro io non so, né desidero sapere, volendo che la vostra fede non sia fondata su ragionamenti umani ma sulla potenza di Dio.398 Uno studio tutto ordinato alla propria e all‟altrui santificazione, non di erudito o di cattedratico che, studiando Omero, si chiede se è veramente esistito e, se esistito, fu lui a scrivere i due poemi, o non furono in due, o in cento, e se dalla loro penna uscirono come sono a noi pervenuti oppure passarono per una lunga serie di redazioni; e quante, e quali. Uno studio anatomia di parole morte. Il Nostro legge la Scrittura e se ne incanta, e la ripete incantando; legge la storia della Chiesa e se ne commuove, e poi ripete i begli esempi commovendo. Ad Agostino, pastore, nulla importava determinare se la pianta alla cui ombra Giona trovò refrigerio fosse zucca o edera;399 importava servirsene per far comprendere alle anime desiderose di conoscere Dio quanto smisurata era la sua misericordia. I biblisti di oggi ci dicono che anche Girolamo sbagliava dovendosi trattare d‟un ricino!400 In queste Osservazioni il Frassinetti chiede all‟esperto di chiara fama un po‟ piú di umiltà e fa suo il sospetto espresso da Agostino a Girolamo: etiam nobis videtur aliquando te quoque in nonnullis falli potuisse.401 Era necessaria tale premessa per smorzare piú d‟un sorriso di sufficienza. Osservazioni sopra lo studio della storia402 IV-1. La storia è un quadro vivo che ci rappresenta la Chiesa. Chi vuol conoscere bene la Chiesa deve fissare questo quadro… 2. Chi la studia per passatempo fa uno studio... di fatti sconnessi…403 Il fine che dobbiamo avere nello studio della storia ecclesiastica è quello di conoscere come in un vivo quadro la bellezza, l‟eccellenza, la divinità della santa Chiesa, per innamorarci ardentemente di lei e farla poi conoscere ed amare da tutti... 7. Per quel che spetta alla fede, dovremo notare le prove ammirabili che sempre ne diedero un infinito numero di santi… e procureremo di non dimenticare gli esempi piú belli che potrebbero incoraggiar noi, e dei quali ci potremmo ancora valere per animare gli altri… Per quel che riguarda la Gerarchia fisseremo attentamente la sommissione… e rispetto che ha sempre distinto i chierici, i sacerdoti, i vescovi buoni dagli scismatici e perversi. In tal modo ci sapremo premunire e premuniremo anche gli altri contro quei sentimenti d‟indipendenza e di orgoglio che portarono tanti allo scisma e all‟eresia. 398 2 Cor 2,1-5. Gen 4,6-10. 400 AGOSTINO, Epistola 71,5. 401 AGOSTINO, Ivi, “Sí, anche Girolamo in qualche cosa qualche volta poteva sbagliare”. 402 G. FRASSINETTI, Osservazioni…, cap. V, pp. 42-100. 403 In nota precisa: “Noi non diremo che sia mal fatto, sibbene che quella è la semplice lettura e non lo studio della storia della Chiesa, e chi non sapesse di storia, se non per averla letta in quel modo, non potrebbe dire di averla studiata”. Pensava allo studio brillante, da elzevirista, mi si perdoni l‟anacronismo, dello Chateaubriand nel Genio del Cristianesimo? “Accanto a certi slanci impetuosi e trascinanti, quante faticose e quasi puerili dimostrazioni! Ripetere per cinque libri: «È vero perché è bello… » è un impegno che solo un mago della parola può prendersi. Quanto poi al valore apologetico dell‟opera, gli specialisti non devono faticare per dimostrare le leggerezza e peggio…”, D. ROPS, Storia della Chiesa del Cristo, La Chiesa delle rivoluzioni, 1. Di fronte ai nuovi destini, cap. II, trad, di Nello Geghin, Torino, 1964, p. 156. Su lo Chateaubriand si è su riportato nel cap. 18 un giudizio del Frassinetti, di uno che ha conoscenza anche di opere ancora ignote allo Spotorno, conoscenza che gli permette di criticare l‟ ammirazione che ne mostrava. 114 399 Non disapprova lo studio della cronologia, “tanto necessario per chi studia la storia”, ma non fino a trascurare le cose importanti per attendere alle inezie come accertare “se S. Cipriano abbia scritto il libro de lapsis in aprile… o in altro mese”. Siamo in fondo sulla linea di sant‟Agostino che non dava importanza all‟accertamento della specie di pianta che in un giorno crebbe ed in un giorno inaridí, zucca o edera che fosse. È il pensiero di Paolo: “Tienti lontano dalle stolte investigazioni, genealogie... Sono stupidità di nessun giovamento”.404 Il maestro di verità – commenta San Tommaso – non deve rispondere a qualunque questione… perché deve mirare a due cose: alla verità ed all‟utilità… Conoscere le minuzie, come sono le genealogie, non giova né alla intelligenza, né alla formazione dei costumi, né alla fede. Sono questioni futili…405 Rida pure il saputo. Non sono questi ingombri mentali che ci danno la conoscenza di Dio e con essa la vita eterna, di piú, è necessario saper distinguere le cose essenziali dalle non necessarie.406 Riascoltiamo il Frassinetti. 8. Bisogna notare le cose che sono accidentali e non necessarie per non confonderle con le essenziali. Sono accidentali i vari ordini religiosi, i canoni penitenziali, i diversi riti nell‟amministrazione dei Sacramenti, nell‟elezione dei vescovi, i digiuni, le funzioni notturne. Queste cose ci faranno meglio conoscere la divina bellezza di santa Chiesa, ma per altro, cangiandosi o interrompendo tali pratiche, non perde la Chiesa ciò che le è necessario per farla risplendere qual amabile sposa di Cristo. E qui è il grande inganno nel quale certi scrittori malignamente fanno cadere i semplici. Pare che in queste cose, fatte in quei modi determinati, abbia a consistere la bellezza e santità della Chiesa, e fanno ridicoli piagnistei… – Oh quei monaci anacoreti! Oh quei canoni di penitenza!... Fu sempre necessario alla Chiesa lo spirito di mortificazione e di povertà, ma non le furono mai necessari i monaci della Tebaide ... 10. Notiamo bene che mentre gli storici ecclesiastici debbono riferirci anche i mali accaduti nella Chiesa tanto antichi che moderni, i buoni storici non cercano mai… di far vedere la Chiesa deformata cosí che sembrerebbe piú degna sposa dell‟anticristo che del nostro Redentore Gesú… Fa rassegna delle storie ecclesiastiche allora in circolazione. Quelle scritte dai protestanti, essendo in Italia poco diffuse, sono poco dannose. 12. Le seconde sono scritte da gente affezionata ad un partito... [dai] farisei del cristianesimo. Le storie scritte da questa gente con sopraffina impostura riempiono, per gran disgrazia, la nostra Italia… 407 Non nomina i giansenisti, ma chiaro il riferimento. Si tenga presente che era ancora vivo il putiferio suscitato in Genova dalle sue Riflessioni uscite due anni innanzi per aver affermato: “Vi è una setta quasi indefinibile di tristi ipocriti”, non soppressa nella terza edizione del 1838 in cui chiarisce il suo pensiero. La bufera suscitata dal suo primo lavoro non lo intimidí, anzi! Essendo 404 Tt 3,9. TOMMASO D‟AQUINO, Expositio super epistolam S. Pauli ad Titum, lectio 2a. 406 SAN GIROLAMO, Commentarium in Epistolam ad Titum: “È di queste cose che si gloriano i giudei, convinti di possedere la conoscenza della Legge perché rammentano ogni singolo nome. E siccome sono per noi nomi barbari, di cui storpiamo la pronuncia… ridono della nostra ignoranza… [mentre loro] fin dalla prima infanzia furono saturati di nomi... e te li snocciolano da Adamo a Zorobabel. D‟ognuno ti dicono le genealogie senza riprendere fiato, trisavoli, bisavoli, nonni, nipoti e pronipoti, e gli anni che vissero, con la facilità con cui si dice il proprio nome”. PL 26, cc. 594-596. 407 Ha nell‟orecchio i versi della Bassvilliana di G. MONTI: “Dell‟Ipocrito d‟Ipri ei son gli schivi / Settator tristi, per via bieca, e torta / Con Cesare, e del par con Dio cattivi”. L‟intero episodio in Canto III, vv. 98-122]. 115 405 il pericolo grave e pernicioso, nel numero 13 ne indica i caratteri e, a conferma, pone una lunga nota in cui rilegge la storia del secolo precedente che aveva visto i giansenisti alleati prima col giuseppinismo e poi con la rivoluzione. 15. Le storie della terza classe sono quelle che scrissero i buoni cattolici…16. Si deve pure riflettere che anche fra gli storici cattolici di buona fede e di sani principi vi sono alcuni i quali si sono lasciati abbagliare da certi lumi del secolo… Perciò, leggendoli senza una qualche avvertenza, sarebbero meno utili, per non dire dannosi… Cosa che fa nei restanti paragrafi 17-37, pp. 60-100. Non accettare per storicamente vero solo ciò che rientra nell‟ordine naturale e dare con dubbio “ciò che l‟eccede… ponendovi un freddo: si dice pure…”, né accettare per certa la filosofia che si dice arrivata alla enorme altezza del dubbio.408 Il Frassinetti non invita allo studio della storia ecclesiastica per puro amore di ricerca, ma perché, conosciuta meglio la vita della Chiesa, meglio si viva. È un pastore che pensa ai fedeli e mette in guardia i futuri pastori dal turbare la fede della gente semplice basandosi su l‟ultima ipotesi dell‟ultimo critico di fama. Fa quindi una rassegna dei motivi che portano a rigettare tante pagine della storia: 31. Alcuni libri e leggende – penso dia a “leggenda” il senso di racconto accettato per vero dalla tradizione – si disprezzano al giorno d‟oggi perché vi si trovano della alterazioni e mutilazioni… Io posso guastare in piú luoghi Virgilio, inserendovi dei versi indegni di quel gran poeta… Altre opere si rigettano perché sbagliano nella data… ma non si può egli facilmente errare nella data o per inavvertenza dello stesso scrittore o per trascuratezza dei copisti?… Altre opere si danno per spregevoli perché non ne fa menzione questo o quell‟autore, o perché un fatto in esso riferito è taciuto da uno storico contemporaneo... Eusebio di Cesarea tace di Atenagora, scrittore celebre dei primi tempi, né riporta la condanna degli ariani fatta dal Concilio Niceno, ma pure Atenagora è esistito e il Concilio di Niceno ha condannato gli ariani. 32. … Hanno fissato… che, quando in uno scrittore antico si trovano parole le quali cominciarono ad usarsi dopo l‟epoca di cui porta la data, quello scritto si debba stimare apocrifo. La regola in se stessa è retta, quantunque possa avere le sue eccezioni… Perché non dichiarano apocrifa la lettera di S. Ignazio agli Efesini ove dice: “Deus noster Iesus Christus”? Gli ariani vennero pur dopo S. Ignazio martire…409 33. Assegnano altre regole per conoscere l‟autenticità degli atti dei martiri… non devono contenere aspre parole…, né lunghe parlate… Santo Stefano, i cui atti sono d‟infallibile divina autorità,… fece una lunghissima parlata che occupa quasi intiero il cap. VII degli Atti apostolici. 34. Dunque, si dirà, se gli argomenti su accennati non bastano per credere apocrifo un libro, una leggenda, dovremo crederli tutti autentici? La risposta è troppo netta e non ce l‟aspetteremmo. Ma quando la critica va troppo oltre, non ci deve meravigliare se anche la difesa non è contenuta. Qui gioca anche la mentalità del giurista, canonizzata nell‟effato melior est conditio possidentis, ossia, spetta a chi impugna l‟obbligo di addurre le prove, e, fino a quando queste prove non sono convincenti, liberi di credere ciò che per secoli s‟era sempre creduto. “Poniamo che le opere di S. Dionigi Areopagita non siano autentiche; nulla di meno io non ne avrò alcun danno, che anzi resterò edificato dalla loro lettura”. Si dilunga sulla questione dell‟Areopagita ai suoi tempi ancora sub iudice. Il Frassinetti è tutt‟altro che uno studioso acritico. Conosce lo stato della questione e ne rifà la storia e, tra i 408 Riferimento a Cartesio. Nell‟iscrizione delle lettere agli Efesini e ai Romani e ai Smirnesi 1,1. Espressione ricorrente anche nelle altre lettere autentiche. Cfr. A. CASAMASSA, I padri apostolici, Roma 1938, p. 146. 116 409 molti che lo pensavano autore degli scritti a lui attribuiti, non omette Dante che lo pone nel Primo Mobile: Appresso vedi il lume di quel cero che giú, in carne, piú addentro vide l‟angelica natura e il ministero. e, nel Primo Mobile, fa dire giusta da Beatrice la teoria angelica dell‟Areopagita ed errata quella di Gregorio Magno: E Dionisio con tanto disio a contemplar questi ordini si mise che li nomò e distinse com‟io. Ma Gregorio da lui poi si divise; onde tosto come gli occhi aperse in questo ciel, di sé medesimo rise.410 All‟epoca erano stati avanzati dubbi su l‟Areopagita, ma non ancora dimostrati. Bisognerà aspettare il 1895 perché la inautenticità sia dimostrata ad opera dello Stiglmayre e del Koch, indipendentemente l‟uno dall‟altro.411 Nessuna meraviglia, quindi, che il Frassinetti aspetti a pronunciarsi e sullo storico prevalga il giurista: se vuoi che io cambi opinione, porta prove inconfutabili. Ormai, chi vuol nome di erudito e spregiudicato – scrive nell‟inedita Storia ecclesiastica –, non può piú dire a cagion d‟esempio le opere dubbie di S. Dionigi Areopagita, ma deve dire le opere apocrife, o attribuite all‟Areopagita… Finché un‟opera insigne viene attribuita ad uomo celeberrimo per dottrina e santità, ciascuno la venera e ne parla con sensi rispettosi, quando poi si perviene a far dubitare… piú d‟uno con libertà soverchia … trascorre a vilipenderla. Finché [tali] scritti erano riputati opera di un Padre Apostolico, li venerarono i piú sapienti dottori di S. Chiesa,... adesso il padre Lequien… proferí quella insolenza che sono opera di un eretico monofisita.412 Oggi, che la critica ha addotto prove ben piú convincenti, il Frassinetti non difenderebbe piú l‟autenticità di quegli scritti, ma il loro valore prescindendo da che li scrisse. 38. La storia ha i suoi misteri… questi misteri si trovano piú frequenti ne‟ primi secoli... [per] la grande ignoranza in cui siamo delle antiche cose, e quando questa ignoranza è minore circa i tempi posteriori, minore è il numero dei misteri storici. Si studi l‟antichità quanto si vuole, [se] siamo mancanti di monumenti... non v‟ha ingegno al mondo che possa conoscere ciò che non può vedere, né sentire, né leggere… Non ponendo mente a tal cosa, certi studiosi dell‟antichità … caddero in molti sbagli… Noi, qualora troveremo nella storia antica qualche cosa che non s‟accorda colla sana 410 DANTE, Paradiso, X, 115-117; XXVIII, 130-135. G. FRASSINETTI, Storia ecclesiastica, inedita, pp. 193-196. Nel 1845 G. Darboy, il futuro arcivescovo di Parigi fucilato dai communards nella sollevazione del 1871, ne difese l‟autenticità assoluta, né fu il solo. Lo Stiglmayre ed il Koch non posero però fine alle altre questioni: da chi l‟Areopagitica sia stata scritta e dove e quando, questioni ancora oggi dibattute. Cfr. L. BOUYER, Spiritualità dei padri, Bologna 1966, pp. 343-380; R. AUBERT. M. CAPPUYNS, R. ROQUES, Denys le Pseudo-Aréopagite in Dict. d‟histoire et géogr. eccl., vol. 14, Paris. 1960, cc. 265-310,. inoltre F. CAYRÉ, Patrologia e storia della teologia, vol. II, Roma 1948, p. 96. Toltagli l‟aureola di padre apostolico, lo si poneva in ambiente monofisita, quindi… monofisita. Da Divino Dionigi decadde a Pseudo Dionigi, un eretico falsario! I suoi scritti, caricati del sospetto d‟eresia, venivano a perdere tutti i pregi che li avevano resi famosi sí da non potersi leggere senza pericolo. Ne è riprova la gioia che questo declassamento suscitò negli avversari della mistica. 412 G. FRASSINETTI, Storia eccl. pp. 11.35s. 117 411 massima e colla retta cognizione, che si ha dei diritti e dei doveri cristiani o ecclesiastici, riconosciamo un mistero prodotto dalla poca scienza intorno a que‟ tempi. Non condanna la critica storica, la vuole serena, non fondata su congetture, né ad esse vuole sacrificati i fatti, specie se fosse ordinata a combattere la Chiesa. Si faccia della critica, ma con umiltà e si vada adagio nello spargere dubbi e pronunciare sentenze. Si aspetti l‟acquisizione di valide prove. CAPITOLO XXIII OLTRE LA SCUOLA II L‟ecclesiastico sappia ben distinguere ciò che è dogma e ciò che è certo nella Chiesa… da ciò che è questione scolastica… L‟ecclesiastico deve essere persuaso dell‟importanza dello studio della Scrittura, considerando che la Chiesa l‟affida a lui perché la spieghi al popolo.. GIUSEPPE FRASSINETTI Sopra lo studio della Dogmatica413 Riprendiamo a leggere le Osservazioni del Frassinetti: II,1. Molte buone qualità sono necessarie all‟ecclesiastico, però non si può dubitare che la prima fra tutte sia una fede retta e irreprensibile… perciò la prima scienza, in cui ha da essere fondato un ecclesiastico, è la sana dogmatica. Il paragrafo che segue è basilare. Come nel suo Compendio di teologia morale pone chiara la distinzione tra ciò che è certo e ciò che è solo probabile, tra ciò che è di precetto e ciò che è solo di consiglio, distinzioni fondamentali perché si viva la vita cristiana con serenità e libertà di spirito, qui pone la distinzione tra ciò che è di fede definita e ciò che di fede definita non è, tra ciò che è certo e ciò che è prossimo alla fede in vario grado o solo parere delle varie scuole teologiche e pie credenze. Un vero manifesto in cui è rivendicata la libertà del credente. Siamo sulla linea di san Paolo: altra cosa il battesimo, altra cosa la circoncisione; il primo necessario, l‟altra potrebbe essere accettata come pia usanza da chi vi si sente portato, mai imposta come mezzo necessario per essere salvi. 2. Bisognerà che l‟ecclesiastico sappia bene distinguere ciò che è dogma e ciò che è certo nella Chiesa… da ciò che è questione scolastica… 3. Ciò che è certo nella Chiesa, quantunque non sia espressamente definito articolo di fede… si deve semplicemente credere e non ammettere mai alcun dubbio che nascere potesse contro queste verità, per quanto sembrasse fondato. 4. Ciò che è questione scolastica... si deve lasciare nel suo stato e non pretendere di innalzarla a quel grado di certezza… La Chiesa riconosce per figli suoi il molinista, il tomista, l‟agostiniano... Per l‟impegno di voler portare troppo innanzi l‟evidenza e l‟importanza delle opinioni scolastiche, spesso restò offesa la carità e si perdé molto tempo che si poteva meglio occupare... Il Frassinetti ebbe fortissimo il senso della Chiesa. 7. L‟utilità dei misteri rivelati la vedo chiara… ma i misteri formati da certuni non so quale virtú possano far esercitare all‟uomo… e poco serve che si vogliano far vedere tali misteri chiaramente 413 118 G. FRASSINETTI, Osservazioni… cap. II, pp. 10-23. espressi nelle Scritture e nei Padri, mentre altrettanti esperti… non ve li vedono e chi ha l‟autorità di definire… tace. In nota riporta una scelta di san Francesco di Sales, cui aderisce, ma soggiunge: Mi protesto però di essere ben lontano dal condannare l‟opinione contraria… Solo intendo dire che non vanno al mio genio, quanto le contrarie, e finché la Chiesa mi lascia la libertà della scelta, io per me non le sceglierei. 9. Per queste opinioni bisogna che i giovani si mettano ben in guardia nel sentir citare come patrocinatori e avvocati delle medesime certi grandi nomi. Non credano a qualche passo staccato e forse monco…. per la devozione a un Santo Padre, a un Dottore, non si perda la devozione a dieci Santi Padri, a dieci Dottori. Il paragrafo ci fa da spia che lo studente Frassinetti non se ne stava alle citazioni dei padri e dei dottori apportate in appoggio alla tesi, ma andava a riscontrarle. 10. Certi Padri usarono parlare enfaticamente di molte verità, sarà per questo necessario intendere precisamente alla lettera le loro sentenze? Né meno nelle divine Scritture si può prendere tutto precisamente alla lettera, altrimenti ne verrebbero delle eresie mischiate coi dogmi – anche se in nuce, abbiamo qui la teoria dei generi letterari –… Trattandosi di una questione puramente scolastica, dice S. Bonaventura parlando di S. Agostino: plus dicens et minus volens intelligi..414 … a volte i Santi Padri, combattendo un errore, pare che non si fermino al giusto mezzo, ma inclinino alla parte opposta piú del dovere… Ogni dubbio si toglie… leggendone estesamente le opere, ma chi neggesse un qualche testo separato soltanto, potrebbe trovarsi impacciato nella sua retta intelligenza. Ne avviene intanto che chi va rintracciando a bella posta testi consimili, forma delle opinioni poco sicure e spaccia come dottrina dei Padri le sue opinioni. A parte la grande importanza metodologica del paragrafo, si ha qui una conferma della molta lettura delle fonti del giovane studioso, lettura fatta con metodo, sistematica. Capisce bene che non può imporla perciò precisa il pensiero: 11. Ma dunque, dirà qualcuno, non ci potremo mai fidare di quei tratti dei santi Padri che si trovano radunati dai teologi?... Non già. Questo sarebbe un errore piú dannoso del primo. Bisogna mettersi sull‟avvertenza e stare in guardia... 12. Vi sono pure certe opinioni delle quali si vede che la Chiesa non fa conto… leggeremo appena queste opinioni, se saranno trattate in breve, facendoci scrupolo di occupare nella loro lettura piú di pochi . A questo paragrafo appone cinque note, interessante la seconda in cui sunteggia pensieri tratti dal Du pape415 di Giuseppe de Maistre: L‟eresia è come un vortice in cui niuno può fermarsi a mezzo corso… Ciascuno crede ciò che vuole e per quanto tempo vuole, che è creder nulla fermamente, che è lo stesso di non riconoscere nulla per dogmi rivelati... 414 “Le parole dicono di piú di quello che si vuole esprimere”, BONAVENTURA, Opera, tomo 4, p. 170. Di quale edizione? 415 III,3. Nota del Frassinetti, si serviva quindi del testo francese. Cito dalla versione italiana di ALDO PASQUALI, J. DE MAISTRE, Il Papa, Milano 1995, pp. XXIV-451. 119 Sopra lo studio della morale416 Un argomento su cui torneremo parlando del suo Compendio di teologia morale Nei consigli ai chierici teologi vediamo come si preparò a quel ministero. III,1. Per istruire il popolo, per sentire le confessioni ci vuole la sana morale… 3. Di quali moralisti ci serviremo? Vi sono i larghi, vi sono gli stretti; vi sono gli stimati ed i disprezzati... Come faremo dunque in tanta confusione?… Dio ci ha manifestato la sua legge, ma non ci ha fatto sapere espressamente come dovessimo regolarci in tutti i possibili casi particolari… non possiamo pretendere un autore che abbia tutto colto nel segno. 4. Abbiamo autori… di vita cosí santa e di sí pura coscienza che meritarono gli onori degli altari… seguendo i quali siamo certi di non mettere a pericolo né la nostra coscienza né l‟altrui… Questi teologi o non hanno sbagliato mai, o si sono salvati coi loro sbagli; se non hanno sbagliato mai, noi non potremo sbagliare seguendoli; se hanno sbagliato e si salvarono, noi ci salveremo errando con essi… Ma a volte i Santi Teologi sono nei punti controversi di parere tra loro contrario… Ci potremo allora salvare tanto con gli uni quanto con gli altri… Se non ci salveremo… con San Tommaso, ci salveremo con San Bonaventura… 6.7.8.9. Ma… vorreste anche avere una regola per discernere tra le varianti le piú utili e le piú opportune… Questa regola non è difficile assegnarla… Preferite le opinioni dei Santi e dei teologi piú virtuosi… [che] sempre si lasciano guidare dalla carità…e le opinioni di quelli i quali non furono contenti di essere moralisti in cattedra, ma vollero egualmente esserlo in confessionale… Può sembrare strano che chi si era scelto per maestro e guida sant‟Alfonso, nel comunicare ai giovani ecclesiastici le proprie esperienze, non lo additi. Nel manoscritto C, pag. 154, aveva preparato una nota che pensò bene di non pubblicare in cui tracciava il ritratto del moralista ideale pensando al Beato Alfonso de Liguori.417 Sarà stato per evitare il putiferio di due anni innanzi con le Riflessioni. Sopra lo studio della Scrittura418 Anche in questo campo il Frassinetti consiglia ciò che egli ha praticato. Ne è prova la raccolta di Annotazioni sopra la Bibbia ricavate dalle annotazioni letterali e spirituali della Vulgata di Luigi Isacco le Maistre de Sacy. Tomo 1mo.419 Un manoscritto 305 pagine, cm 21x32, in scrittura minuta, con note e appunti su tutti i libri della Scrittura, eccetto i profetici e i due dei Maccabei, capitolo dopo capitolo. Da queste annotazioni si può fissare la data ante quem in grazia di una nota marginale a pag. 81 con cui rinvia al Beato Liguori, anteriore quindi al 26 maggio 1839, giorno della sua canonizzazione. I frequenti richiami: si rilegga, si riveda, cosa da leggersi, da rileggersi e da studiarsi, ci dicono che si tratta di volumi che poteva facilmente riconsultare.420 Subito una sorpresa: prende appunti da La Sainte Bible en latin et en François di Luigi Isacco Le Maistre, conosciuto con il nome di Sacy, anagramma di Isac, il figlio di Caterina Arnauld, sorella di Madre Angelica e del Grande Arnauld; fratello, dunque, nipote e cugino dei famosi Solitaires, G. FRASSINETTI, Osservazioni… cap. III, pp. 24-30. Il 23 maggio 1871 sarà proclamato dottore della Chiesa:. “Con dotte opere e con trattati, soprattutto di teologia morale, dissipò e rimosse le tenebre degli errori... Chiarí punti oscuri e sciolse dubbi, lastricando una strada sicura… che le guide dei fedeli potessero percorrere con piede sicuro”. Qui Ecclesiæ del 7 luglio 1871. 418 G. FRASSINETTI, Osservazioni… cap. IV, pp. 31-41. 419 L‟unico che ci è pervenuto. Quel “Tomo 1 mo”, rimasto unico, ci fa pensare che, non avendo piú a portata di mano i volumi del Sacy, non gli fu piú possibile continuare le annotazioni. Una conferma che si tratta di appunti presi in biblioteca prima della sua andata a Quinto, ossia da chierico e sacerdote novello. 420 Dubito che potesse già possederli – 32 volumi, se l‟edizione 1687-1702; 12 se quella del 1789-1804! – insieme ai molti altri a cui fa spesso riferimento nei lavori pubblicati negli anni 1837-1839, come s‟è già avuto modo di notare. Sono quindi d‟un epoca in cui poteva facilmente accedere alla biblioteca, né pensava doversi allontanare da Genova, perciò prima del luglio 1831, quando andò parroco a Quinto. 120 416 417 padri del giansenismo, di cui egli stesso fu figura di primo piano, confessore e direttore spirituale di Port Royal, con tanto d‟aureola di martirio per i trenta mesi di Bastiglia sopportati a causa della sua fede.421 Già nelle Osservazioni sopra lo studio della Storia ecclesiastica, e ancor piú nell‟inedito Corso di storia ecclesiastica, il Frassinetti ci si presenta non come uno che combatte percotendo l‟aria, ma come chi si muove con disinvoltura in campo nemico sapendo dove posa i piedi. 422 Vi troviamo qualcosa di piú: la serenità di giudizio. Deplora, ma sa pure ammirare: Un giansenista avrebbe dovuto tremare scrivendo… Non pare che il Sacy voglia parlare di quei mirabili Santoni di Porto Reale?… Se vi è veleno nel Sacy, qui ve n‟è un saggio… I Signori di Porto Reale passano sempre i limiti… Si fa torto l‟annotatore col voler sempre sembrare piú rabbino che cattolico… 423 Ma si legge pure: Qui il Sacy fa un‟eccellente comparazione del Paradiso terrestre con la Chiesa. Ella è cosa che sminuisce il dolore di vederci privi dell‟Eden. Cosa da leggersi, da rileggersi e da studiarsi…424 Non si deve attendere – dice il Sacy – la gravezza della cosa, ma l‟autorità del comando… Si rilegga tutta l‟osservazione del Sacy sopra Eliezer, servo di Abramo, e si veda ciò che riporta dei reciproci doveri dei padroni e dei servi, cosa utilissima per il catechismo…425 Come una madre al mercato pensa a chi di casa può servire questo e quello, ed ogni spesa è un atto d‟amore, cosí le sue note marginali: Per la predica del Paradiso – Per i peccatori che a volte fanno il bene per interesse… IIda conferenza – Possedeva grandi ricchezze in questa terra, senza possedere la terra; vedere se si può applicare a quelli che ricavano grandi meriti dal vivere in questa terra, ma niente vi hanno il cuore attaccato – III conferenza – Si veda se si può applicare al sonno di Gesú nella tempesta dicendo che noi dormir dobbiamo con lui nella tempesta etc. – punti per la predica del paradiso – confidenza – dipendenza da Dio… Eucaristia… penitenza – si veda se si può applicare il fatto di Mosè per i prelati che non devono sdegnare l‟aiuto dei subalterni – Provvidenza – presenza di Dio.426 Ogni pagina piena di rinvii ai Padri riportandone passi, ma nulla di quanto si studia a introduzione biblica o a scuola d‟esegesi, nessun problema critico, di cui è priva del resto anche la fonte a cui attinge. Una lettura della Scrittura in vista del nutrimento delle anime, da pastore d‟anime. Nelle Osservazioni sopra la Sacra Scrittura mai dimentica il “di piú” di questi libri che ne fa un qualcosa di unico: l‟ispirazione. Non ne ignora lo studio critico come all‟epoca si presentava. Sa che sono libri diversi, e per il modo in cui furono composti, e per il fine a cui erano destinati: mostrare all‟uomo la via del cielo. Vi si distingue lo studio di pura erudizione dallo studio che se ne fa per nutrire i fedeli. Non sempre lo studio erudito torna di utilità pratica al pastore d‟anime, 421 La traduzione è fatta dalla Vulgata. Le note sono secche e fredde come tutti gli scritti dei giansenisti. Piú che per la fedeltà, è pregevole per la chiarezza e l‟eleganza dello stile ed è considerata la piú bella di tutte le versioni francesi in quanto a purezza di lingua. Di nessun interesse dal punto di vista esegetico. 422 1 Cor 9,26. 423 Nell‟ordine: pp. 84,87,112,119,205,68. 424 Di qui il titolo della sua operetta Il paradiso in terra del celibato cristiano? 425 Nell‟ordine: pp. 2,3,14. 426Nell‟ordine: pp. 3,6,13,14,15, 25, 30,31, 32,34. 121 né sempre è piú vicino alla verità, ripetendosi, ciò che fu degli scribi: sapevano tutto della lettera e quanto su di esse era stato detto, eppure non riconobbero il Cristo che quegli scritti annunciavano. Guide cieche. 427 Il Frassinetti si serve della Vulgata. L‟apostolo Paolo, alunno di Gamaliele, padrone del testo ebraico, non se ne sentí condizionato e citò quasi sempre dalla versione greca dei Settanta. Si è accennato alla questione sulla natura della pianta alla cui ombra Giona trovò refrigerio. Per un pastore è già tanto degnarla d‟un‟occhiata, ciò che per lui conta non è il conoscere che pianta fosse, ma cosa voleva Iddio con essa insegnarci. La Vulgata, se è tutt‟altro che perfetta per tante particolarità di traduzione, era pur sempre la versione con tanto di garanzia per quello che riguarda la genuinità dell‟insegnamento rivelato, ed è questo che importava al Frassinetti. La migliore esegesi, è sempre quella che suscita santità. Le Osservazioni del Frassinetti mirano a questo. Ascoltiamolo. IV,1. L‟ecclesiastico deve essere persuaso dell‟importanza di questo studio della Scrittura, considerando che la Chiesa l‟affida a lui perché la spieghi al popolo… Questo però è uno studio troppo pericoloso se non è bene diretto. 2. Non ci dobbiamo figurare di aver tra le mani un‟opera di qualche grand‟ uomo… perciò non… si misuri con quella squadra che si adopererebbe colle scritture di Erodoto oppure d‟Omero. Quando si trova oscura la sacra Bibbia, non si attribuisca alla inesattezza di coloro che scrissero illuminati dallo Spirito Santo, ma si attribuisca alla mancanza in noi di molte cognizioni, che sarebbero necessarie,428 e forse piú al nostro poco intendimento delle cose di Dio… 3. Mentre… prendiamo in mano la Bibbia, osserviamo chi a noi la presenti. Ce la presenta la Chiesa, cui è stata consegnata da Dio… Ascolteremo chi ci dirà: “Voi che desiderate studiare la Bibbia venite alla mia scuola… Voglio comunicare i lumi che Dio mi ha dato…”. [Agli altri] “Chi vi manda?… Insegnate in suo nome a norma delle sue decisioni… sulla traccia dei santi Padri? Eccoci alla vostra scuola. Ma se vi manda lo spirito della superbia e della novità, se voi, invece di cercar lume dalla Chiesa, siete venuto per illuminarla… i vostri ritrovati sono inganni del vostro orgoglio”. 5. Si sa che i primi a spiegare le divine Scritture furono gli Apostoli sprovveduti dei lumi del secolo, ma ben provveduti dei lumi dello Spirito Santo: Aperuit illis sensum, ut intelligerent Scripturas.429… Dagli Apostoli impararono le interpretazioni scritturali i Padri detti apostolici, e in poche generazioni di santi arrivarono quei sommi Dottori di santa Chiesa, che le tramandarono fino a noi. Non ignora l‟importanza dei testi originali 6. I testi originali meritano in se stessi sommo rispetto, e si devono preferire a quante versioni si sono fatte, o si potessero fare. Non si deve perciò questionare se siano in se stessi da preferirsi Mt 23, 24. Altra cosa è l‟erudizione biblica, altra cosa la sapienza divina racchiusa nel libro santo. Non poche volte, la prima soffoca la seconda. Un pericolo da cui poneva in guardia Francisco de Osuna, il maestro di spirito tanto apprezzato da santa Teresa d‟Avila: “Quando il superbo spande e semina dell‟abbondanza del suo proprio sapere, i mali crescono di tal misura da venir meno l‟unica fede e l‟unico battesimo. Ogni uomo di studio, se superbo, semina per il mondo le preziosità del suo cervello, e, perché le espone in un buon latino insaporito di greco e d‟un pizzico di spezie ebree, stuzzica l‟appetito nei palati degli amatori di novità. Ognuno poi li interpreta a modo suo. Maledetto sia questo sapere di cervelli superbi, cosí numerosi al giorno d‟oggi [1542], che ci ha tolto Cristo ed ha creato dissenso nella Chiesa. Ci ha fatto perdere la vera sapienza, e solo ci resta: Así lee el griego, así lee el hebreo, así está aquí, así está acullá… Quale la causa di tanto male se non l‟attaccamento alle proprie congetture?”. F. DE OSUNA, Quinto abecedario espiritual, parte 1a, c. 30, in una mia traduzione. 428 Cfr. G. RICCIOTTI: Op. cit., “Locutus est in parabolis”, Brescia s. d., pp. 27-32. Agli studenti della mia generazione insegnò a leggere la Bibbia con umiltà e rispetto. 429 Lc 24,45. 122 427 anche alla nostra Volgata…430 Per altro bisogna osservare che i testi originali ebraici non pervennero a noi cosí puri ed intatti come uscirono dalla penna degli Scrittori inspirati… Queste correzioni poi bisognerebbe che fossero fatte dalla Chiesa… finora – 1839 – non ha creduto di dover emendare, ma le bastò da mille e piú anni la Volgata di San Girolamo… Ella la presenta ai suoi figli con gran sicurezza… – ne fa una breve storia –. Or noi, dopo queste osservazioni, ce ne staremo alla Volgata sempre tranquilli. 7. … I nei che ancora sono nella Volgata non ci fanno punto timore, perché, se fossero importanti, non sarebbero sfuggiti alla censura della Chiesa… Questa difesa della Volgata può suscitare qualche sorriso. Piú sale la stima per le bibbie tradotte dagli originali, piú si sente la Volgata sorpassata, dimenticando che per la sua maggior parte pur essa fu tradotta da testi originali, e da mano di chi era padrone dell‟ebraico, del greco e del… latino in cui traduceva perché non si può ben tradurre se non si è padroni anche della lingua in cui si traduce. Ci sono mille altre le ragioni per cui quel testo ci sia caro. Su di esso per secoli si cominciò a compitare fanciulli come i bimbi dei greci su Omero, per un buon millennio e mezzo la Chiesa ha pregato ed insegnato con quelle parole, con esse si è argomentato nelle università, si è meditato e sviluppato il pensiero teologico. San Tommaso non ebbe nulla di meglio, sant‟Agostino dovette servirsi di versioni meno felici di quella di Girolamo, eppure… Imparagonabili i mezzi tecnici di cui oggi si serve uno scultore rispetto a quelli di cui disponeva Michelangelo, eppure… Michelangelo è Michelangelo. Andiamoci piano nel sorridere dei nostri padri. Se il Lettore non si sapesse trattenere dal sorridere di questa mia difesa, ascolti uno che in materia ebbe autorità da vendere ed è sua la prima bibbia tradotta dai testi originali in italiano moderno, il padre Alberto Vaccari: Nessuno degli antichi interpreti, al pari di lui [Girolamo], colse il genuino pensiero dei sacri autori, e nessuno con pari lucidità lo espresse nelle propria lingua. In luogo di lunghe prove, sia lecito recare qui il giudizio di alcuni tra i piú recenti e piú riputati scrittori protestanti… – ne cita diversi –. La versione del Dottor massimo… è dunque un terso specchio in cui si riflette limpida e sincera la mente degli ispirati scrittori.431 Ed aggiunge elogi ad elogi, non ultimo quello sull‟eleganza del dettato latino.432 Chi vuol sorridere del Frassinetti, sorrida , ma mirandolo in sí bella compagnia. 10. Nessuno creda però ch‟io disapprovi lo studio dei sacri testi originali e delle altre antiche autorevoli versioni, questo è anzi importantissimo ai nostri giorni per confutare e confondere quei biblici di mala fede…. Questo studio può essere utilissimo per l‟intelligenza della Sacra Scrittura, se ce ne serviremo con quella umiltà, cautela, riserbo e sottomissione ai giudizi della Chiesa che usarono gli approvati commentatori cattolici quando si servirono di que‟ testi. Le altre discipline Passa quindi a trattare del Diritto canonico433 e, in Appendice, dello studio della filosofia e della eloquenza.434 Solo qualche cenno sulle due ultime. Non si dimentichi – aggiungo io – che, rispetto a tutte le altre versioni antiche e moderne, la Vulgata, la Septuaginta e la Pescitta occupano di diritto il posto d‟onore. 431 A. VACCARI, S. Girolamo – Studi e schizzi, Roma 1921, pp. 110s. 432Ivi, pp. 114s. 433 G. FRASSINETTI, Osservazioni…, cap. VI, pp. 101-104. 434 G. FRASSINETTI, Osservazioni…, pp. 105-112. 123 430 1. Una sola avvertenza pare che possa guardarci da molti abbagli. La verità è una… perciò una cosa o è vera o è falsa: non si può trovare uno stato di mezzo. Quando ci troveremo a discutere un‟opinione, la quale con le ragioni filosofiche sembri vera e colle teologiche falsa… Un cristiano non può esitare. 2. Nella scelta poi delle opinioni… noi prudentemente ci appiglieremo a quelle che vedremo piú conformi alla verità teologiche… In un tempo in cui generalmente la filosofia, quanto piú si discosta dalla teologia, è applaudita, sembrerà strana questa riflessione, ma io parlo… a chierici studenti, e loro si può dire che non vi è verità tanto certa quanto la rivelata. Per quel che riguarda l‟oratoria:. 3. A riguardo dell‟eloquenza io non saprei riflettere altro di piú importante fuorché la necessità in cui ci troviamo che i sacri oratori predichino sul serio per conseguire seriamente il loro fine. Si cerca spesso il bello, il brillante, la moda e il genio e compare una fanciulla vana tutta vestita d‟inezie… 4. … E che hanno a che fare tutte le inezie e le leziosaggini dell‟anacreontica in una sacra orazione? E perché, invece di raccogliere nella predica tutto il piú vago e il piú specioso, non vi si mette tutto ciò che potrebbe maggiormente colpire il cuore degli uditori per convertirli?… La Scrittura si considera come un emporio… di belle figure, né altro se ne ricava, anche sforzandola e sfigurandola. Ha nell‟orecchio le parole che Girolamo scriveva a Paolino? Lascio stare quei tali che, come già io, pervennero alla sante Scritture dopo gli studi letterari. Allettano l‟orecchio dell‟uditorio con discorsi ben elaborati e non c‟è cosa che esca dalla loro bocca che non spaccino per parola di Dio. Non si degnano di studiare cosa abbiano inteso i profeti, cosa gli apostoli, ma sostengono quel che loro pare con sballate citazioni, convinti d‟aver fatto un mirabile lavoro invece che un pessimo uso dei detti della Scrittura sconciati ad esprimere il proprio pensiero. 435 Riprendiamo la lettura del paragrafo 4 delle Osservazioni: Fra tutte le orazioni sacre le piú maltrattate sono le panegiriche. Cantano un‟ ode all‟eroe, come Pindaro faceva agli Olimpici, almeno ne avessero il genio… 5. … Per altro io vedo che, generalmente parlando, in bocca di quelli che si chiamano bravi, la parola di Dio non fa frutto… Osservate l‟uditorio: quasi mai lo vedete commosso… Che vuol dir ciò? Che il popolo è ignorante.. senza discernimento?… Il popolo ha il senso comune della vera eloquenza. Un uomo che commuove e diletta un numeroso uditorio deve avere rimarchevoli pregi oratorii… riposti non già nelle scelte parole, non nella simmetrica disposizione delle parti, ma nel maneggio delle passioni del cuore umano, mediante il quale l‟oratore lo piega, lo commuove, lo trasporta a suo senno… 6. Felici noi se i sacri oratori trattassero la causa del sangue di Gesú Cristo, quanto seriamente Demostene gli affari degli Ateniesi contro i Macedoni, e quanto Cicerone le cause dei suoi clienti e gl‟interessi della repubblica!… 7. Si studi l‟arte oratoria,.. ma non si creda che alla parola di Dio convengano tutti gli ornamenti che possono convenire ai ragionamenti profani… Procuriamo di essere ben compresi dalla santità, dalla sublimità del nostro ministero, pensiamo da chi abbiamo la nostra missione e perché siamo mandati, e tosto predicheremo sul serio, e un vivo impegno di corrispondere al fine della nostra eccelsa vocazione ci farà oratori veramente eloquenti. 8. A quale decadenza sia l‟eloquenza sacra, noi lo possiamo conoscere di leggieri da questa osservazione con cui finisco. Gli empi oggidí, senza poter mai parlare in pubblico, con soli privati 435 124 GIROLAMO, Epistola 53, Ad Paulinum, cap. 7. discorsi riescono a sovvertire le intere popolazioni… Noi, frequentemente… ma quanto poco il frutto delle nostre parole!… Consigli che si possono compendiare nei due detti latini: rem tene, verba sequentur e ex abundantia cordis, os loquitur. Se si possiede la materia non c‟è da preoccuparsi che manchino le parole, e se il cuore ne è ripieno, il modo d‟ esprimerlo viene da sé. Cosa è dunque rimasto delle Regole pratiche per fare un‟ Orazione di quel Ristretto di precetti di “Rettorica”436 che il Gianelli gli aveva dettato ed illustrato in classe? È come chiedere ad un bambino che corre, salta e fa le scale a quattro a quattro, che ne è del girellino che l‟aiutò a fare i primi passi. Eppure è bene dargli una scorsa per vedere in che modo il Frassinetti seppe spogliarsene, a differenza d‟altri, del suo compagno ed amico il canonico Poggi che le regole le ricordò tutte nel tessergli l‟elogio funebre. Dopo aver parlato della divisione classica dell‟orazione, dall‟esordio alla perorazione, il Gianelli passava a trattare l‟azione.Spulciamo qualcosa qua e là: L‟azione… consiste nel saper conformare la voce e la persona in maniera che convenga alle cose che noi diciamo… debbonsi sempre osservare… La discrezione:… consiste nel saper adattare il gesto, la voce, la forza… Il portamento:… diritta la persona, ma non stiracchiata e sforzata; alto e eretto il capo, ma non altero; modeste le ciglia, ma non aggrottate… Presentandosi agli uditori, e poi, da loro ripartendo, deve essere il passo piuttosto grave, ma sciolto, ma semplice, ma naturale…; Il volto:… l‟aria dolce piace assai piú dell‟austera, la lieta piú della triste, ma deve sempre proporzionarsi all‟oggetto che si rappresenta ed agli affetti che si dimostrano… Il guardo:… Assuefarsi per tempo a declamare con gli occhi aperti…, ma mirando veramente le persone… nei tratti piú forti e affettuosi, giova talvolta avventar delle occhiate ardenti, poderose e piene di confidenza e di dominio… Dipartendo, gli occhi si tengano bassi e modestissimi… La voce:… Declamando, andare in falso è facilissima cosa… tre tuoni si distinguono nella voce umana: alto, mezzano e basso… Si cominci tra il basso e il mezzano… al terzo, l‟alto, non si deve arrivare quasi mai… Il piú eloquente dei Gracchi prendeva tuono dal flauto… La pronuncia… Il gesto:… la mancanza del gesto annoia e raffredda, ma il troppo gesto disturba e confonde… il gesto deve trar piuttosto al rotondo che al rettilineo… il braccio destro è quello che piú deve muoversi… le dita siano piuttosto unite, ma non ristrette… In questi due capitoli, Oltre la scuola, abbiamo riportato ampi estratti delle sue Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici pensando ai giovani che aspirano al sacerdozio perché vi trovino un esempio ed un suggerimento di come ci si deve preparare all‟alta missione a cui si è stati chiamati. Abbiamo messo in fine a raffronto le norme apprese alla scuola del Gianelli su come si deve parlare ai fedeli con ciò che viene da lui suggerito, per dire che tutto ciò che s‟apprende, anche se da un maestro per cui s‟ebbe ammirazione e stima sconfinata, va ripensato. Anche le norme del Frassinetti vanno ripensate, e a lui non dispiacerà, perché, alcune affermazioni, che oltre un secolo e mezzo fa erano delle ipotesi, oggi, precisate e corrette, hanno acquistato ben altra autorità. Sarebbe stoltezza non farlo. Rimane il grande insegnamento di non credere senza prima esaminare e non lasciarsi soggiogare da un gran nome, ma, soprattutto, e pongo la considerazione alla fine per darle maggior risalto, che lo studio del sacerdote non deve mirare alla cultura religiosa fine a se stessa, ornamento della mente aggiunto ad altri ornamenti, al sapere pavonesco, spesso ingombro 436 A. M. GIANELLI, SANTO, Op. cit. I passi sotto citati son presi a pp. 82-151. 125 mentale, ma alla conoscenza delle cose di Dio in vista della propria santificazione e l‟annuncio della salvezza. Questo crea l‟istinto della scelta tra ciò che vale, e ciò che è già tanto se ci si ferma a dargli una scorsa, un leggerle appena, se saranno trattate in breve, facendoci scrupolo di occupare nella loro lettura piú di pochi momenti. Non ci resta ora che da parlare del suo maestro, il Liguori, per mostrare quali debbono essere i rapporti tra discepolo e maestro: non perderne parola, ma non accettare senza vagliarle e ripensare, pronto a discostarsi in questo e quel punto, senza che ciò appanni la venerazione che gli si porta. Cosa che faremo al prossimo capitolo. CAPITOLO XXIV SANT’ALFONSO MAESTRO E MODELLO 126 Tristo è quel discepolo che non avanza il maestro LEONARDO DA VINCI Nel primo Ottocento in Liguria e Piemonte gli alfonsiani erano pochini, e pochi di quei pochini osavano, non dico farne pubblica professione, ma far sapere d‟avere una qualche opera del “beato” Alfonso, tanta la guerra che i giansenisti gli avrebbero mosso. Ancora nel 1840 il Gianelli cosí scriveva al Frassinetti: Qui [a Torino] le dottrine di S. Alfonso non sono ancora vedute di buon occhio, non solo dai Giansenisti che qui abbondano, ma anche dai buoni cattolici, perché tutti formati sulla sesta del rigorismo. Aggiungete che per la Santa Sede tutti ne vogliono ben poco: affezionati, sí, ma sicut in quantum.437 Ma, già nel 1857, il Frassinetti, nella minuta di una recensione per “Il Cattolico”, presentando la Vita di S. Alfonso del Tannoia, poteva affermare: Le opere morali di questo Santo sono alle mani di tutti gli operosi ministri di Dio dell‟uno e dell‟altro emisfero e ne formano in morale quel che si dice criterio teologico… La morale praticata in tutto il mondo si può dire che adesso è una; la morale, cioè, informata ai principi di S. Alfonso… È evidente che se si volesse adesso stampare e accreditare un‟opera morale informata da principi diversi, sarebbe tentare l‟impossibile… Le sue opere ascetiche tradotte in tutte le lingue… sono un pascolo di tutte le anime pie dell‟una e dell‟altra estremità della terra… Tutte le anime pie riconoscono come loro maestro di spirito S. Alfonso.438 Nel 1865, nella prefazione al suo Compendio della Teologia lo ripete quasi ad verbum. Un tributo di riconoscenza al Santo che gli aveva fornito le armi per le sue battaglie. Non potremmo pensare il Frassinetti quale è stato, se non si fosse fatto discepolo del napoletano meraviglioso,439 come Eliseo di Elia. Sarebbe stato santo sacerdote, ma non il Frassinetti che conosciamo. L‟innamoramento per sant‟Alfonso fu un dono del suo Gianelli.440 Non vedo altri che possa avergli detto fin dagli anni di retorica: Tolle et lege, passandogli scritti del “Beato”, tanto piú che il Gianelli era ancora sotto l‟impressione dello scampato pericolo. Non sappiamo chi degli ecclesiastici giansenisti tentò di attirarlo alla loro setta. Il Degola morí il 1826, ancor vivo negli anni in cui il Gianelli insegnava a Genova ed il Frassinetti era in teologia, tempo in cui un giovane cerca d‟avvicinare le persone di buona cultura e di contrarne l‟amicizia, né a questi dispiace sentirsi mecenati. Sarebbe bastato un po‟ d‟interessamento del Degola, o d‟uno della sua scuola, un elogio, aprirgli la biblioteca, indicargli un libro, perché la vita ne restasse segnata. Una spanna la linea di displuvio. Per sua fortuna il Frassinetti s‟era incontrato con il Gianelli e fu cosí che si formò alla scuola del Liguori invece che a quella di Giansenio. Se il Frassinetti non fosse vissuto tre quarti di secolo prima di santa Teresa del Bambino Gesú, avrebbe potuto adattare a sé cosí una sua parabola: Il Padre mandò innanzi a me due suoi angeli, il Gianelli e il Liguori, a liberami da due insidie, in cui avrei potuto inciampare, 437 Originale nell‟AF, Lettere del Frassinetti. AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. V, pp. 600s. 439 G. DE LUCA, Sant‟Alfonso uomo grande, “L‟Osservatore Romano della Domenica”, 4 giugno 1939. 440 Una scorsa ai cinque volumi delle Lettere del Gianelli, 1978, è piú che sufficiente per farsi un‟idea del suo attaccamento a sant‟Alfonso. 127 438 l‟una e l‟altra mortali, di cui avrei conosciuto nomi e pericoli solo a studi fatti: Pelagio e Giansenio.441 Non sembri strano aver appaiato Pelagio a Giansenio, anzi Pelagio e il suo rovescio: Lutero. Pensare il giansenismo italiano della seconda metà del Settecento e della prima dell‟Ottocento un trapianto di Port Royal, è condannarsi a non comprenderlo. Il giansenismo era ormai solo la falsa coscienza di cattolici che se ne erano fatto una foglia di fico per mascherare a sé e agli altri l‟aver sostituito alla fede la filosofia anglo-tedesca dell‟illuminismo massonico bevuta nella brillante ed arguta rielaborazione dei francesi. Un giansenismo piú politico che religioso, calderone in cui era riversato quanto s‟opponeva alla Chiesa di Roma. Miscuglio di elementi eterogenei, buono per illudersi di essere ancora cattolico, non osando fare l‟ultimo passo che faranno con piú coerenza Mazzini ed altri. Mai Satana riuscirà a mandar giú l‟umanità congiunta alla divinità nella persona del Cristo con quel rifluire di “di piú” sugli uomini da farne degli dei per partecipazione. Impedire l‟accesso dell‟uomo a quel “di piú”, al soprannatura, questa la sua lotta: o negandolo, o dicendolo non necessario, o almeno tentando di ostacolarne gli effetti. Di qui l‟assalto alla cittadella in cui riposano le certezze della nostra fede: Roma. Pelagio esalta talmente la natura dell‟uomo da rendere superflua la grazia; Lutero, pur essendo la negativa di Pelagio, giunge allo stesso risultato immiserendo i canali che glie l‟adducano, i sacramenti, eccetto battesimo ed eucaristia, negando peraltro, all‟uno l‟effetto rigeneratore, dicendo non risanabile l‟intrinsecamente corrotto – non rigenerazione, ma solo non imputazione –, e non c‟è eucaristia se manca il sacerdozio. C‟è di peggio. Da Lutero ebbe origine quel movimento di deriva che porterà a Pelagio ed oltre Pelagio. Distaccandosi dalla tradizione e dal magistero per rivendicare all‟uomo il libero esame della Scrittura, aprí la porta alle libere scelte e ai liberi rifiuti, inizio di quel libero vagare per il mondo delle idee senza piú stella a cui rifarsi. Lutero svincola la Bibbia da Roma, la filosofia si svincola dalla Bibbia e dalla teologia.442 Nessuna risposta certa, tutto da ridiscutere, certi solo i potrebb‟essere. Luce dell‟uomo la sola ragione.Il dubbio metodico invade anche il campo della fede. Che Dio ci sia non ci sia nulla muta. Se sí, non gli occorrono intermediari. Di costoro, dei ministri della Chiesa cattolica soprattutto, la colpa dell‟ oscurantismo che ha impedito per secoli il rifulgere dei lumi. Sono i presupposti filosofici dell‟illuminismo e di un ecumenismo massonico tinto di vaga religiosità. Dio, se il cuore lo afferma, è un assente al di là degli spazi disinteressato dei nostri casi. Cosí, di degrado in degrado, si è giunti allo stato agnostico e al relativismo morale. Misura del diritto e della morale è l‟uomo, l‟uomo che ha in sé quanto gli occorre per tracciarsi la sua via. Pur partendo da punti opposti, le ultime conseguenze del luteranesimo vengono a coincidere con quelle di Pelagio, e le scavalcano, sfociando nella filosofia dei lumi e nell‟individualismo materialista. Un ritorno a Pelagio, ma ad un Pelagio areligioso che si fa spesso irreligioso. Il giansenismo italiano ne aprí a molti la via con il suo rabbioso anticattolicesimo.443 Il testo di S. Teresa: “Il padre, avendo saputo che sulla strada del figlio c‟era un sasso, si premurò d‟andare innanzi e lo tolse... Se poi egli viene a conoscere il pericolo da cui è scampato, non l‟amerà in misura maggiore?” 442 Il filosofo cristiano prescinde dai dati della rivelazione, ma sa avvalersi di quella larga ricaduta di verità naturali, prodotta da secoli di lavoro per illustrare le verità della fede, per arricchire il suo pensiero. Non solo, ma, se le conclusioni a cui è giunto sono incompatibili con le certezze della sua fede, lo spingono a riesaminare i suoi ragionamenti e a scoprire l‟errore che l‟ha portato fuori strada. 443 Un esempio in Ausonio Franchi. 128 441 Questo giansenismo, a differenza di quello originario, è apertamente anticattolico. Se si considera che le ideologie illuministiche sono la negazione del dogma fondamentale del giansenismo – il peccato originale e la conseguente corruzione della natura umana, che solo la grazia gratuita di Dio può riscattare –, appare chiaro che il giansenismo, pur di realizzare le sue riforme, si trova alleato del piú intransigente “pelagianesimo”: una eresia teologica si affianca ad un‟altra che ne è l‟antitesi. Il piú attivo giansenismo italiano si spingeva alla distruzione della Chiesa di Roma.444 Sullo scorcio del Settecento, allo scoppio della Rivoluzione francese, sentendosi i giansenisti abbandonati dai príncipi illuminati, da sostenitori del Princeps Janseniorum, Giuseppe II, nella sua lotta contro la Curia, si fanno giacobini e aderiscono al nuovo regime facendo proprie le innovazioni apportate in campo ecclesiastico dagli eserciti invasori: secolarizzazione dei beni ecclesiastici, soppressione degli ordini religiosi, costituzione civile del clero... Cosí, da sostenitore dell‟assolutismo del principe contro i privilegi del clero e la potestà assoluta del Papa, diverrà fautore della Repubblica contro ogni forma di tirannide... Crederà di trovare nel regime democratico la condizione migliore per il vagheggiato rinnovamento, e crederà di conciliare libertà e religione. 445 Sant‟Alfonso‟ fu per il giovane chierico il faro che lo salvò dallo smarrirsi. Averlo conosciuto innanzi tutto come maestro di spiritualità, lo preservò dal ridurre la morale a scienza del peccato, come può facilmente accadere se delle due discipline si pensasse la prima per i comuni mortali, l‟altra per i consacrati, non molti, che aspirassero a farsi santi da altare, e, perché casi rari, poterne trascurare lo studio. Finezze da eruditi. Il probabilismo, separato dall‟ascetica, porta al minimo si è tenuti per non cadere nell‟inferno. Se con il probabilismo sant‟ Alfonso indica fin dove si può scendere per andare incontro ad un‟anima poco disposta e non spegnere un lucignolo fumigante,446 con le opere di spiritualità sa toccare quel punto vivo presente anche nel peccatore e su di esso far leva per una rimonta spirituale presentandogli Dio come il Padre da amare. Il Frassinetti è alfonsiano anche in questo e sarà conosciuto innanzi tutto come maestro di spiritualità. Saranno appunto queste sue opere di spiritualità che gli creeranno un nome che sarà garanzia ed invito per i suoi scritti di pastorale e di morale. Il Liguori ed il Frassinetti prendono l‟uomo come è stato sconciato dal peccato e lo incamminano verso la perfezione di cui è perfetto il Padre celeste.447 L‟attaccamento a sant‟Alfonso nel rapporto di discepolo a maestro cominciò fin dalla sua prima giovinezza. Ne abbiamo la riprova in una copia della Theologia moralis di sant‟Alfonso da lui posseduta, edita dal Remondini a Bassano nel 1822, anteriore di qualche anno a quella della Marietti. Ciò lascia pensare che se la fosse procurata agli inizi del suo corso di teologia, 18231827, per poter raffrontare su sant‟Alfonso l‟insegnamento ricevuto in classe, con ogni probabilità in linea con l‟Antoine, rigorista la sua parte.448 . M. F. SCIACCA, Il pensiero italiano nell‟età del Risorgimento, Milano 1963, p. 62. 445 N. RODOLICO, Gli amici e i tempi di Scipione de‟ Ricci…, Firenze 1920, pp. 54-55. 444 446 Mt 12,20. 5,48. 448 Nei corsi di teologia non ci risulta che a Genova fossero adottati libri di testo. Il “lettore” non mancava di fare dei rinvii agli autori di cui condivideva le tendenze. Molto seguito era PAUL GABRIEL ANTOINE, S.J, Theologia universa speculativa et dogmatica ad usum theologiæ candidatorum accomodata, 1723, divenuta tosto opera diffusissima. Possedere la Morale di Sant‟Alfonso edita a Bassano, non dispensò il Frassinetti dal procurarsi 129 447 Mt Ad apertura troviamo l‟immagine del “Beato”. Nel margine superiore scriveva: “Mi si è aperta una porta grande e ricca di prospettive, ma molti gli avversari.449 Ciò succede tuttavia a chi ha molto zelo, ed opere grandi per le mani come osserva S. Giov: Grisost”.450 Il giovane teologo aveva trovato in Alfonso la via ed il presentimento delle lotte che avrebbe dovuto sostenere per questa sua fedeltà alla sua dottrina ed esempio. Nel margine inferiore faceva sue le parole rivolte da Eliseo al profeta Elia: “Padre mio, padre mio, carro armato d‟Israele e suo carrista... ti scongiuro, trasmettimi il tuo spirito raddoppiato”,451 stabilendo tra sé e Alfonso un uguale rapporto di discepolo a maestro. Né è poco quello che gli chiede supplicandolo, per ciò che gli è di piú sacro,452 che lo renda irresistibile di fronte ai molti nemici di Dio con un vigore doppio di quello che egli ebbe. Cosí, sui vent‟anni, il Frassinetti ebbe il suo grande incontro con sant‟Alfonso. Già prima il giovane seminarista dovette trovare espresso chiaro negli scritti del Santo ciò che avvertiva in enigmate tanto è indubbia la loro congenialità. Del resto uno è lo Spirito. Il Frassinetti aveva trovato in sant‟Alfonso il maestro e l‟esempio. La prima a beneficiare di questa sua scoperta fu la sorella Paola. Il parallelo Liguori-Frassinetti si potrebbe spingere fino ai piccoli particolari, fino a porre in doppia colonna le opere dell‟uno e dell‟altro,453 fino alla composizione di strofette da cantarsi dai l‟edizione Marietti, a noi non pervenuta: “Ordinato sacerdote da poco tempo io leggeva nel compendio della Vita del Santo, premessa all‟edizione delle opere fatta in Torino dal Marietti...”. Compendio..., vol. II, Genova 1866, p. 76. 449 In latino, applicando a sé le parole dell‟apostolo Paolo di 1 Cor 16,9. 450 Un presentimento che si avverò oltre la misura. In latino, 2Re 2,12.10. Traduco carro armato e carrista, l‟equivalente del carro falcato dell‟epoca e dell‟auriga che ne era alla guida. Invece di i due terzi, come traducono le versioni dall‟ebraico, lascio il doppio della Vulgata, a cui si rifaceva il Frassinetti. 452 Questo il valore della voce latina obsecro da *obsacro. 453 Raffronto fatto da G. CAPURRO, Giuseppe Frassinetti e l‟opera sua, 1908, p. 4, riservandomi di esaminarne la validità, ed eventualmente correggerlo ed integrarlo, quando si passeranno in rassegna le opere del Servo di Dio. S. Alfonso Frassinetti Pratica della perfezione Arte di farsi santi Trattato della preghiera Il pater noster di s. Teresa-Trattato della preghiera Consigli di confidenza Conforto dell‟anima divota con un‟appendice per un‟anima desolata sul santo timor di Dio Avvertimenti pei Gesú Cristo regola del sacerdote sacerdoti sulla messa e l‟officio Le glorie di Maria Avviamento dei giovinetti alla divozione a Maria Ora di santa allegrezza - Le dodici stelle, ecc, Sullo stato religioso Scelta di uno stato (inedito) Teologia morale Teologia morale Visite al Santissimo Culto perpetuo al Santissimo Convito del divino amore Verità della fede Catechismo dogmatico Pratica di amare Gesú Amiamo Gesú Cristo Visite a Maria Amiamo Maria Divozione a S. Giuseppe Amiamo S. Giuseppe - Vita di S.Giuseppe Riflessioni ai vescovi Proposte agli ecclesiastici Brevi parole ai sacerdoti - Parroco novello Monaca santa Monaca in casa - Religioso al secolo 130 451 fedeli per sollevare l‟animo a Dio. Questa la scuola a cui si formò, e a questa scuola avrebbe indirizzato tanta parte del clero del suo secolo, cominciando con quei sacerdoti e chierici genovesi che andarono a gravitare intorno a lui nella Congregazione del Beato Leonardo.454 Nell‟ Accademia di studi sortale in seno, il Frassinetti gli darà cattedra. Lo fa maestro del clero, ma anche dei fedeli: “se mi fosse chiesto di quali opere, tra l‟altre molte, si dovrebbe particolarmente promuovere la lettura, io direi dell‟opere del B. Alfonso Maria de Liguori”.455 Se per l‟obbedienza al Papa il Frassinetti si rifà a sant‟Ignazio, per lo studio del dogma a san Tommaso, per morale, pastorale, vita spirituale ed il comportarsi d‟un sacerdote, modello e maestro è sant‟Alfonso: Vedo che S. Alfonso consigliava siffatta astinenza [dalla comunione] una volta la settimana; ma vedo pure ch‟egli per sé non voleva farne volontariamente né anche una in tutto l‟anno: “ordinato che fu sacerdote, non solo non lasciava giammai di celebrare la S. Messa, ma se mai si fosse trovato in missione nella Settimana Santa, procurava di tornarsene in que‟ giorni a casa per poter celebrare”. E vado debitore al suo esempio, se ho sempre celebrato tutte le funzioni della Settimana Santa nei trentadue anni da che sono parroco.456. L‟attaccamento al suo Elia fu tale da venire soprannominato il “Liguorista” fin dai primi anni del suo sacerdozio.457 A sant‟Alfonso si può far risalire anche la scoperta di S. Teresa d‟Avila, non fosse altro per quel chiudere o iniziare le sue lettere con: “Viva Gesú, Maria, Giuseppe e Teresa”. Santa Teresa portò con sé san Giovanni della Croce e santa M. Maddalena de‟ Pazzi. Dire come non è dire uguale. Non esiste santo copia d‟altro. Per affermarlo non si dovrebbe tener conto della irripetibilità d‟ogni figura di santo, dei suoi idòla specus et fori, ossia dei condizionamenti d‟ambiente e di formazione che differenziavano un genovese figlio d‟umile merciaio e nipote di cuoco da un napoletano figlio di aristocratici. Sant‟Alfonso aveva avuto da natura doni che non ebbe il Frassinetti. Incomparabilmente piú elevato l‟ambiente in cui visse la giovinezza, e perché Napoli era in questo molto al di sopra di Genova, anzi la prima in Italia, e perché il nome “de Liguori” e l‟educazione ricevuta gli aprivano porte ove si incontrava con i piú begli ingegni confluiti a Napoli da ogni parte del Reame, nonché le porte delle dimore dei principi e della stessa corte.458 Alfonso era stato bimbo precocissimo e precocemente affidato ai migliori maestri. Educazione completa, diremmo rinascimentale: italiano, latino, greco, filosofia, francese, storia, musica, tanta musica, tre ore ogni giorno seduto al cembalo, e un padre che non transigeva, e poi disegno, pittura, architettura, matematiche, cosmografia,... e nessuna di queste discipline a livello mediocre. Il Tannoia pensa non gli venissero permesse le “due applicazioni molto ordinarie, anzi credute indispensabili ad un cavaliere, cioè il ballo e la scherma”. Un padre capitano dei navigli da guerra e gli inviti a corte ci fanno pensare che fosse tutt‟ altro che digiuno di tali arti. Che M. FALASCA, Rapporti di Francisco Cabrera con Giuseppe Frassinetti e Miguel Sureda, in “Regnum Dei”, Roma XL(1984), pp. 431-446. 455 G. FRASSINETTI, Riflessioni..., pp. 19-20.43. Nella seconda edizione una lunga nota a conferma del già scritto citando le opere dell‟allora Beato Alfonso, Ivi, pp. 42-43. 456 G. FRASSINETTI, Compendio della Teologia Morale..., vol. II, Genova 1866, p. 76. Una nota personale nel trattato XV, dissertazione IX, sulla comunione quotidiana. 457 Si ricava da una sua lettera del 5.10.1832 al prevosto di S. Stefano, Francesco Tagliafico:” Perdonerebbe uno scrupolo V. S. M. Rda ad un liguorista?”. AF, Lettere. 458 Il giorno della sua conversione disgustò il padre per essersi mostrato restio ad accompagnarlo in corte al ricevimento in onore dell‟Imperatrice Isabella. 131 454 partecipasse a cacce, le cacce clamorose del Settecento, lo narra divertito egli stesso: del suo schioppo e della sua mira mai un uccello s‟era dato pensiero. A dodici anni sapeva tanto di humanæ litteræ da essere presentato a Giovan Battista Vico perché lo esaminasse per l‟ ammissione all‟Università ed il Vico lo trovò idoneo. A soli sedici veniva proclamato dottore in utroque iure summo cum honore maximisque laudibus et admiratione, a Napoli, la terra di sommi giuristi. Ma, con grande disappunto del padre, abbandonò il foro dove si era gia fatto un nome, dimenticò scherma e danza, ritenendo tutte le altre arti riciclabili nel sacro.459 Il foro perdette un grande avvocato, la Chiesa ebbe un missionario, fondatore di Ordine religioso, vescovo, scrittore di devozione, autore dottissimo di Morale, [che] si mette a dipingere. Musicista, pittore, poeta, uomo di spirito e di garbo, capace di risolvere una questione con una uscita, e di raddrizzare un mondo capovolto con un sorriso, ebbe qualcosa della accorta profondità del Vico e qualcosa della vivacità profonda del Galiani... gesti bellissimi e originali, riflessioni argute e spassose, brani caldi e splendenti, uscite d‟una miracolosa bonomia e profondità, prese in giro caritatevoli ma tremende, repliche vivaci e repentine... grande poeta, no, ma poeta sí... un santo che scrive un oratorio, sia pure in nuce, non è frequente...460 Quello dei Caravita, padre e figlio, Niccolò e Domenico, entrambi famosi avvocati, entrambi studiosi e amici di studiosi, fu uno di quei salotti dove convenivano giuristi, filosofi e letterati. Ne era frequentatore anche Giovan Battista Vico. Lo frequentò a lungo con assiduità quotidiana anche l‟imberbe avvocatino Alfonso. Vi si discuteva di giure. Domenico Caravita proponeva “gli articoli piú intrigati, ed ogni sera tenendosi ruota, si dilucidavano quesiti con suo compiacimento, facendo egli da giudice, e i giovani da avvocati con sommo loro profitto”.461 Non vi si trattava solo di diritto, ma anche delle nuove filosofie giunte d‟Oltralpe, e delle antiche e delle rinascimentali... Ambiente apertissimo, quindi, e come Vico, pur avendo bevuto di Cartesio in quei salotti letterari, seppe ripensarlo e farsene critico, cosí Alfonso saprà servirsi di quanto vi apprese per tenere i giovani lontani dall‟errore: “Essendo che nei tempi correnti serpono tanti errori... io mi sono ingegnato... di raccogliere... per uso dei nostri giovani... le piú convincenti risposte”462. In quest‟opera, e in altre, ritroviamo i nomi che avevano riempito le dispute dai Caravita: Leibniz, Locke, Hobbes, Berkeley, Spinoza... cui si aggiunsero Voltaire, , Rousseau, Helvetius perché il Liguori, cosí il Frassinetti, non cessò mai dal seguire quanto si scriveva in pregiudizio della sana dottrina. Se aveva saputo mirare alto il Frassinetti nello sceglierselo a maestro e modello! Anche il Frassinetti ebbe il suo salotto, la “Beato Leonardo”. La differenza di condizione sociale non creò pregiudizio. Accidentalità. Parola di Paolo: “Non esiste giudeo o greco, né schiavo né libero, né uomo né donna, perché siete un sol tutto in Cristo Gesú, quanti siete stati battezzati in Cristo e di Cristo vi siete rivestiti”.463 Ammirazione affettuosa per il Liguori, tanta; idolatria no. Il Frassinetti seppe tenere conto della figura retorica a cui si appellò in suo componimento poetico per giustificarsi d‟aver fatto morire Temistocle di spada invece che di veleno: la variatio.464 Si rifece al modello come Virgilio a Omero, e Dante a Virgilio, si parva 459 A. TANNOIA, Vita di S. Alfonso Maria de Liguori, ritoccata da A. CHILLETTI, Torino 1880, pp. 9s. Ci rifacciamo a tale edizione perché il Frassinetti ne fece la recensione. 460 G. DE LUCA, Sant‟Alfonso uomo grande, “L‟Osservatore Romano della Domenica”, 4 giugno 1939. 461 A. TANNOIA, Ivi, p. 12. 462 A. M. DE‟ LIGUORI, Breve dissertazione degli errori de‟ moderni increduli... 463 Gal 3,27s. 464 AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. 19, p. 534. 132 licet componere magnis. Fu un discepolo che ripensa l‟insegnamento, lo raffronta con altri autori, ci torna su, sa pure liberamente discostarsene e correggerlo. Con quale libertà dipenda e si rifaccia a sant‟ Alfonso ce lo dice egli stesso nella prefazione al Compendio della teologia morale. Anche Genova aveva qualcosa da dare a Napoli. E poi quante cose erano cambiate dai tempi in cui scriveva il Liguori! Un secolo o un millennio? Tra la morte del Santo napoletano e gli anni della formazione del Frassinetti, c‟era stato lo scompiglio della Rivoluzione francese e delle guerre napoleoniche. Se nella seconda metà del Settecento, specie a Napoli, il centro italiano delle riforme piú avanzate, si potevano già avvertire i germi del tossico che avrebbe avvelenata l‟aria dell‟Ottocento,465 la lotta sorda alla Chiesa poteva ancora essere scambiata con l‟eterno contenzioso tra i due poteri, l‟ecclesiastico ed il civile, roba piú da diritto canonico che da dogma. Lo stesso scioglimento della Compagnia di Gesú ad alcuni – al Sismondi, per esempio – poté sembrare dovuto a cause non dissimili da quelle che avevano determinato lo scioglimento dei Templari.466 Ai tempi di Alfonso, se vogliamo leggere la storia con gli occhi del Vico, v‟è un ritorno di titanismo culturale in cui l‟uomo è talmente inebriato della potenza della sua ragione da ridere dei timori che nelle età precedenti avrebbero dato origine alle religioni. “Solo un‟élite è illuminata; la massa [è] gregge sciocco e zotico”.467 Mai come in quel secolo cosí povero di filosofia – “non a torto il Lachelier definisce il secolo XVIII l‟âge barbare de la philosophie” –468 si fu piú convinti d‟essere un popolo di filosofi. Ma, piú che una scalata al cielo per tirarne giú gli dei, come si racconta dei Titani, o la costruzione d‟una torre, fatica d‟uomo, per penetrarvi, ritenevano d‟aver scoperto che il cielo era vuoto, valendo il dio dei teisti il non-dio degli atei. Quando poi il titanismo filosofico tentò di inverarsi nella realtà della storia, i genocidi e gli eccidi crearono la sensazione di vivere un titanismo eroico che ben presto si mutò in titanismo guerriero rivolto non piú alla “liberazione” dei popoli dall‟oppressione dei re e della religione, bensí ad assoggettarli con la violenza ad un impero straniero, asservendo il cosmopolitismo culturale allo sciovinismo nazionalista. Ci fu l‟imprevisto di Waterloo e di Sant‟ Elena. Ha sempre Iddio qualche imprevisto per ricordare la sua presenza. Manuel de la Roda – già ambasciatore di Spagna a Roma, colui che secolarizzò la scuola – scriveva allo Choiseul, che per 12 anni ai tempi di Luigi XV fu il vero governatore della Francia: “La operación – l‟espulsione dei gesuiti dalla Spagna – nada ha dejado que desear; hemo muerto el hijo; ya no nos queda más que hacer otro tanto con la madre, nuestra santa Iglesia romana”, M. MENENDEZ Y PELAYO, Historia de los Heterodoxos Españoles, vol II, ediz. BAC, 1956, pp. 507.525-530. 466 D. ROPS, Histoire de l‟Église du Christ, l‟Ère des Grands Craquements, Paris 1958, p. 289, n. 11. 467 M. F. SCIACCA Il pensiero italiano nell‟età del Risorgimento, Milano 19632, p. 42. Fuori di Francia l‟infatuazione per Voltaire nel suo secolo non varcò molto i confini di quest‟élite illuminata che ne visse incantata, ma “nei primi decenni dell‟Ottocento – gli anni della formazione del Frassinetti – mentre gli intellettuali lo sprezzavano, le classi borghesi se ne nutrivano” ,G. DE LUCA, Art. cit. 468 M. F. SCIACCA, Op. cit., p. 125, nota 3. Affermazione azzardata se non si precisa quale filosofia dette il nome al secolo. S‟era aperto con il De antiquissima italorum sapientia del Vico e si chiudeva con la triplice Critica di Kant (1781.1788.1790), ma non fu per loro due se il secolo XVIII fu fregiato d‟un tal nome. Il Vico, al suo tempo, passò quasi inosservato e, in quanto a Kant, all‟apparire delle sue grandi opere “l‟interesse dei dotti e dei letterati tedeschi fu dapprima pigro e distratto”, G. DE RUGGIERO, L‟età del Romanticismo, Bari 1971, p. 7. Il nome al secolo venne dalla filosofia francese che faceva moda, che ebbe Voltaire per vetrina e l‟Encyclopédie per spaccio. Moda che aveva instaurato terrore psicologico nel mondo delle lettere: “la ghigliottina dell‟Enciclopedia era la diffamazione che tagliava teste, fermava carriere letterarie, abbatteva idoli, ne creava degli altri per poi eventualmente abbattere anche quelli”, A. COCHIN, La meccanica della Rivoluzione, Milano 1971, p.252. Cfr. P. GAXOTTE, La Rivoluzione francese, trad. di L. ZALAPY, Milano 1949, cap. IIIs.; M. F. SCIACCA, Op. cit., p. 26, n. 15; D. ROPS, Histoire de l‟Église – L‟ère des grands craquements, 1965, p. 57s. 133 465 Avevano risognato con Adamo ed Eva d‟essere autonomi, perché pari a Dio, per risvegliarsi nudi, e i loro i figli smarriti al pari dei figli dei costruttori della Torre. Dopo Waterloo, soprattutto i nati troppo tardi per aver potuto imbracciare un fucile, ricchi solo di sogni di gloria, ma non di gloria, e privi dell‟esperienza delle brutalità della guerra, furono i maggiormente colpiti dal dramma della prostrazione dell‟uomo. Quella Torre fatta rudere divenne a questi giovani disperazione, sbandamento e ricerca d‟un semi-eroico in cui credere e che surrogasse il divino. A tanti si fece vangelo il Jacopo Ortis che, se per i piú fu solo disperazione letteraria, – tra questi mettiamoci pure il Mazzini –, per altri fu morte suicida. Sono i giovani nati all‟inizio del secolo, la generazione del Frassinetti. Un eco, anche se solo letterario, il compito in terza rima del Frassinetti: Parlata d‟un disperato.469 Questi giovani, ai quali erano venute a mancare le presuntuose certezze degli atei ma non il retaggio della scristianizzazione, condivideranno con i padri l‟ avversione per quanto sapeva di cattolico e si illuderanno d‟aver trovata la strada buona o rivestendo l‟umano di vaga religiosità, e fu il caso del Mazzini – come già si è notato – , o tentando di deviare la Chiesa dall‟impegno di salvezza delle anime ad impegni puramente terreni, e fu il caso del Gioberti.470 Nell‟ Ottocento la congiura era ormai chiara: distruggere alle radici quanto sapeva di cattolico. Anche per i figli di genitori ignari di crisi religiosa – ed è il caso del nostro Servo di Dio – la religione aveva cessato di essere ciò che era stata per i loro padri: un bene ereditato da vivere nella tradizione. L‟ansia religiosa si era ora fatta problema da risolvere, un problema personale, che esigeva ricerca, ripensamento e conquista. Sono loro, e tra i primi il Frassinetti, quei che ci scoprono che si può vivere la pienezza della vita cristiana improtetti dall‟ambiente, e persino meglio di quei che ne furono custoditi come fiori in serra. È il nuovo del Frassinetti rispetto al suo maestro sant‟Alfonso. CAPITOLO XXV UBI PETRUS IBI ECCLESIA Sciogliete il freno, o Sacre Muse, al pianto E voi lire d‟Arcadia, in triste metro, Dei dolenti pastor seguite il canto... Dunque fra noi piú non respiri, o Pio? Lasciasti in lutto e pianto i figli tuoi, E desti lor l‟amaro ultimo addio. E già consorte de‟ celesti eroi in capo cingi l‟immortal corona Che virtude prepara a‟ figli suoi... 469 AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. 9, p. 515s. La crisi, che allora non varcò il ceto borghese, oggi è largamente diffusa, essendo per molti titolo di superiorità la professione di non credente, mentre altri non vanno oltre la vaga affermazione d‟ispirazione cristiana, liberi, si intende, di ridiscutere quanto la Chiesa insegna, prenderne le distanze ed accettare solo quel tanto che collima con il loro pensiero. 134 470 GIUSEPPE FRASSINETTI471 Dagli scritti del Frassinetti traspare cosí evidente l‟attaccamento alla Chiesa e al Papa, che si sarebbe potuto non aggiungere altro. Ma mi è parso togliere qualcosa a lui carissima a non dare risalto come questo attaccamento alla Sede di Pietro e alla parola del suo Vicario fosse stata in lui connaturata fin dalla fanciullezza. Se il Manzoni non poté trattenersi dallo scrivere il Cinque maggio all‟annunzio della morte di Napoleone, il giovane teologo pianse anche in versi la morte di papa Pio VII, quando, sul finire d‟agosto del 1823, giunse la notizia della sua morte. Il diciottenne Giuseppe Frassinetti aveva già completato il corso di filosofia e si accingeva ad entrare in teologia. Il Capitolo in terza rima di 88 versi In morte di Pio VII Pontefice Massimo non è quindi un tema scolastico. Fu un‟effusione spontanea che rivela, sia pure nell‟osservanza scolastica dei precetti dell‟arte poetica, quali erano fin da allora i suoi sentimenti per il papa. Per comprendere cosa provasse bisogna rifarsi ai primi anni della sua vita. Il Papa per quel bimbo non era piú ciò che era stato per i suoi genitori fanciulli: una risposta del catechismo. Era persona viva per cui aveva sofferto ascoltandone nelle ore dell‟intimità della famiglia le sofferenze dalla bocca dei suoi. Quante ne avevano fatte a quel venerando vecchio di Pio VI, portato a morire in Francia, e ne facevano ancora al suo successore, a Pio VII, tenuto prigioniero a Savona, cosí vicina a Genova, senza che si potesse andare a riceverne la benedizione. Venne poi il giorno indimenticabile che poté vederlo con i suoi propri occhi nella bella chiesa dell‟Annunziata quando tornò a Genova durante i Cento giorni di Napoleone, questa volta in una lunghissima visita trionfante. Cresciuto, lo guardò con gli occhi della fede. Non aveva piú importanza si chiamasse Pio VI, Pio VII o Clemente XIV – ci insisterà nella polemica con il Gioberti che faceva di Clemente XIV un grande papa per aver sciolto la compagnia e di Pio VII uno che s‟era fatto raggirare nel restaurarla –.472 Il papa è grande perché papa, perché vicario di Cristo, poco importa chi sia. Il Frassinetti àncora la sua fede a Roma, alla cattedra di Pietro, in un epoca in cui era messa in discussione ogni parola che venisse da Roma e non era ancora stato definito il dogma dell‟infallibilità. Lo sarà trenta mesi dopo la sua morte. Gli stessi suoi sentimenti suggerisce agli ecclesiastici nelle Riflessioni, e qui sarebbe piú vero il vecchio titolo apposto nel manoscritto: Esortazioni: O miei fratelli, quanto grande è l‟odio dei nostri nemici contro Roma, altrettanto sia grande il nostro amore per lei. Ella è il cuore del cristianesimo; noi suoi membri non possiamo vivere che del suo sangue: apprezziamo, difendiamo il nostro cuore. La nostra credenza sia la romana, le pratiche romane siano le nostre pratiche, il nome di cui piú andiamo gloriosi sia di romani… È uno dei pochi scritti, se non l‟unico, in cui il Frassinetti si fa prendere dall‟ enfasi, lui cosí pacato e misurato. Vi sono tratti in cui, ponendo degli a capo suggeriti dal ritmo, la prosa si fa salmo: È in Roma il successor di quel Pietro sopra cui Cristo fondò la sua Chiesa, è in Roma l‟immobile colonna della cattolica verità… Ella è la Gerusalemme del nuovo Israello… In lei è l‟inespugnabile torre di Davide… 471 AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. XIX, pp. 550-553. Saggio intorno alla dialettica… di V. Gioberti, Genova 1846, p. 10-11. 472 ID., 135 in lei la santa Sionne… Io non volgerò i miei occhi da te, tu se‟ quel monte da cui mi aspetto ogni aiuto; tu mi dai luce, tu mi dai lena e speranza, avrò salute per te. A che mi varrebbe senza di te il Calvario e il Taborre? Questo il cuore mi accenderebbe di viva brama per un‟eterna beatitudine che non potrei sperare, quello mi mostrerebbe il prezzo di mia salute, che ottener non potrei... O Vaticano, o monte santo, ti riconoscano una volta tutte le nazioni e sieno salve per te…473 CAPITOLO XXVI SACERDOTE UN FUOCO ARDENTE GLI BRUCIAVA IL CUORE Il tuo cuore sia cenacolo ampio e bene adornato allorché devi celebrare la santa Messa. Ampio per cosí grande confidenza nella mia infinita bontà, che non vi abbia grazia che tu non speri per te e per gli altri. Va‟ desideroso al mio altare, e desideroso con tutta la forza del tuo spirito, da poter dire con me: Desiderio desideravi hoc Pascha manducare…474 Desideroso che 473 ID., Riflessioni..., pp. 26-35. Il libro è tutto un inno alla Chiesa e al Vicario di Cristo, ma fu tale il livore dei giansenisti da mandarlo Roma perché fosse messo all‟Indice. 474 Lc 22,15. 136 la santa Messa ti sia manna… altrettanto soprasostanziale che saporosa, dove trovi ogni bene. Desideroso di giovare con essa a tutti i bisogni della santa Chiesa. Ma spera, e spera fortemente, che i tuoi desideri non saranno defraudati, che anzi saranno sorpassati dalle benedizioni della mia infinita liberalità, accordate al valore della santa Messa. Il tuo cuore sia pure il cenacolo bene addobbato dove io possa convenientemente cenare con te in magnificenza di amore… Solo per questo tu dovresti aspirare alla maggior santità, anche pel caso che tu dovessi celebrare la santa Messa una volta e non piú in tutto il corso della tua vita. Ora, pensa che tu la celebri tutti i giorni! Procura, frattanto, di dispormi per questo modo i cuori cristiani che ammetto alla mia cena, e ricordati che anche per essi io sono pane quotidiano. Ricordalo per non impedirmi l‟accesso a quelle anime dove io metto il continuo desiderio di me e colle quali, parimenti come con te, io vorrei cenare ogni giorno. A tutte le anime che odiano ogni peccato lascia pur sempre aperto il mio cenacolo. Non mi infastidirò di loro, finché esse non si infastidiranno di me. Non essere troppo rigoroso pei loro difetti e per le loro imperfezioni; pensa che anche tu hai imperfezioni e difetti, forse maggiori, eppure celebri ogni giorno. GIUSEPPE FRASSINETTI, Gesú Cristo regola del sacerdote. Come si accostò all‟altare la prima volta questo giovane con cui ci siamo cosí a lungo intrattenuti sulla sua preparazione a quel santo giorno? come vi si preparò? cosa provò? Domande destinate a restare senza risposta su uno che non tenne mai un diario per annotarvi giorno dopo giorno pensieri e sentimenti. Ciò che si prova quei giorni, piú è intenso, meno si annota. È cosa che passò tra il giovane levita e Dio. Una voglia di fuggire lontano, al pari di Giona?,475 trovare scuse come Mosè?,476 protestare con Geremia, dimenticando che si sta parlando con Dio, dirgli che si sta sbagliando, ci deve essere un errore di persona, non può essere lui, neppure capace di dire: “a a a”?477 Mandi chi deve mandare, lui no!478 Ma c‟è una forza piú forte ancora che ci avvinghia e trascina all‟altare di Dio, a salire quei tre gradini, a dire: Introibo ad altare Dei.479 Un ripetere con Geremia: Mi hai sedotto, Signore, ed io mi sono lasciato sedurre, mi hai fatto forza ed hai prevalso… Mi dicevo: “Non penserò piú a lui, non parlerò piú in suo nome! Ma nel mio cuore c‟era come un fuoco ardente chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo.480 Quante cose hanno detto al cuore dei sacerdoti per secoli quei versetti del salmo 42: Mi accosterò all‟altare di Dio… Ma perché ti rattristi anima mia? Perché mi turbi? E lí un chierichetto a farci coraggio: Ma spera in Dio! Tutto qui: sperare in Dio e andare avanti. Signore crea in me un cuore puro.481 Maria santissima… Aggiunte aliturgiche sgorganti dal cuore e da nessuna rubrica mai proibite. Eppure qualcosa del Frassinetti ci è pervenuta. La pagina su 475 Gn 1,3s. 4,13. 477 Ger 1,6. 478 Es 3-4. 479 Sal 43(42),5. Era il versetto con cui ci si accostava all‟altare nella vecchia liturgia, quindi quella del Frassinetti, e si recitava prima di salire i tre gradini. 480 Ger 20, 7.8-9. 481 Sal 51(50),12. 137 476 Es riportata vale una pagina di diario scritta negli esercizi che precedettero l‟ordinazione. C‟è poi la sorella Paola che ci viene in aiuto con la prima lettera del suo epistolario: Molta consolazione mi recò la notizia che in questa quaresima sarai promosso ai sacri ordini del diaconato e presbiterato. Ti raccomando di prepararti bene al S. Sacerdozio… [con] lunghe visite al SS.mo Sacramento e fervorose preghiere a Maria SS.ma e ai Santi Apostoli, pregandoli che ti ottengano quello spirito che essi ricevettero nel cenacolo acciocché a sua somiglianza tu fatichi molto per la Gloria del Signore e salvazione delle anime, tenendo sempre fisse nella mente quelle parole dette a S. Pietro da Gesú: “Se mi ami, salva le mie pecorelle”.482 Non è una lettera al fratello Giuseppe la vigilia della sua ordinazione, ma al fratello Giovanni. Con Giuseppe non le sarebbe riuscito scrivere con quel tono di sorella-madre. Anche se Giovanni era solo di qualche anno piú giovane di lei, era pur sempre un fratello minore che era ricorso a lei tante e tante di quelle volte non essendovi piú in casa la mamma, ed anche con pretese: “Le calze me le devi fare lunghe e presto… Da quando sei a Quinto ti sei scordata di me…”.483 Ma in quelle raccomandazioni di sorella-madre al fratello Giovanni c‟è tanto ricordo di come anni prima aveva visto il fratello Giuseppe prepararsi alla sua ordinazione, divenuto per lei esempio vivo di come si deve essere sacerdoti: salvare anime! Quel fratello, di cui era stata testimone quotidiana dei suoi primi otto anni di sacerdozio, e dei sacerdoti che facevano gruppo con lui, le rimarranno termine di paragone a cui raffrontare tutti gli altri. Giunta a Roma, nella prima lettera a Giuseppe, gli comunica le sue impressioni. Roma non era né Quinto, dove tutto l‟anno sembrava una missione, né S. Sabina. Dallo scandalo di ciò che vedeva a Roma si arguisce cosa era stato ai suoi occhi il mondo del fratello nei suoi primi anni di sacerdozio. E ne sente la mancanza. Giuseppe ci ha lasciato scritto le sue date da quella della vestizione.484 Oggi dice piú poco, ma per secoli ha rappresentato l‟inizio di un nuovo stato. Anche in casa si avvertiva che ci guadavano in modo diverso. Non solo le sorelle ed i fratelli, ma anche la mamma. Lo avvertivamo nel vederla baciarci le mani. Un bacio cosí diverso da quelli di sempre. Nei vecchi registri della mia parrocchia non si era piú registrati con gli altri familiari, ma a parte, tra gli ex hominibus assupti.485 Non si era piú dei nostri, ma della Chiesa, di Dio. Il sette giugno dello stesso anno – risparmio al lettore il latino – lunedí di Pentecoste, ricevette la tonsura, rito che piú non si pratica, ed i primi due ordini minori, ostiariato e lettorato. 486 Nei vecchi sacerdoti risuonano ancora nell‟orecchio l‟esortazione del vescovo: Preghiamo, fratelli carissimi, il Signore nostro Gesú Cristo per questi suoi servi che s‟appressano a farsi recidere i capelli per suo amore, perché doni loro lo Spirito Santo che conservi in loro l‟abito della religione e ne difenda i cuori dagli ostacoli e dai desideri del mondo…487 Poi ci vestiva della cotta: “Ti rivesta il Signore dell‟uomo nuovo, quello creato secondo Dio…”, e noi si cantava: “Mia parte di eredità è il Signore. Sei tu che mi tieni riposta la mia eredità”.488 A casa un compagno esperto in chieriche ci radeva la prima in vertice capitis, bianca Lettere, p. 1. L‟originale nell‟ACAG. ivi, p. 1. 484 Ordo ad divina officia peragenda, missasque celebrandas… Genova, per l‟anno 1827. Nell‟ultima pagina bianca annotò a penna le sue date in latino da me date tradotte. 485 Eb 5,1. 486 Si accedeva al sacerdozio salendo sette gradini, quattro ordini minori e tre maggiori, l‟ottavo era l‟episcopato. Dei maggiori piú non esiste il suddiaconato. 487 Pontificale Romanum, De clerico faciendo. 488 Sal 16(15),5. 138 482 P. FRASSINETTI, 483 ID., e tonda come una particola. Per i secondi minori, esorcistato e accolitato, il Frassinetti dovette attendere tre anni. Genova era senza vescovo, essendo stato mandato il Lambruschini nunzio a Parigi. Per non rinviare l‟ordinazione sacerdotale, esistevano le litteræ dimissoriæ, ossia la lettera con cui un vescovo delega un altro vescovo ad ordinare un suo suddito. Cosí, a Savona, monsignor Airenti il 25 marzo 1827 gli conferí i secondi minori. Il 31 marzo, sabato Sitientes, il suddiaconato, primo dei maggiori. L‟ordine della grande scelta: indietro piú non si torna! Il vescovo lo diceva a chiare parole: Se ricevete quest‟ordine non vi è piú lecito tornare indietro, perché dovete restare per l‟intera vita al servizio di Dio. Servirlo è regnare, conservando con il suo aiuto la castità e restando per sempre addetti al servizio della Chiesa. Pensateci dunque bene finché siete in tempo, e se volete perseverare nel santo servizio, fate un passo avanti nel nome del Signore.489 Passo già fatto da tempo con il cuore. Quel giorno s‟assumeva l‟impegno di vivere casto l‟intera vita e la recita quotidiana dell‟ufficio divino, ossia di pregare con la Chiesa e, a suo nome, per il popolo cristiano. La Chiesa gli garantiva una esistenza povera, ma decorosa, esistenza che non gli aveva potuto garantire la famiglia costituendogli una dote.490 La famiglia del Frassinetti non fu in grado di costituirla a nessuno dei figli. Per Francesco, fattosi canonico lateranense, non si pose il problema. Per i tre chierici pensò la diocesi. Non era l‟esistenza decorosa che Giuseppe chiedeva al Signore. Chiedeva di condividere la sua passione: Signor mio Gesú Cristo, mio unico Bene e Sposo dell‟anima mia, vi prego, pel merito del vostro prezioso Sangue, a non permettere che giammai m‟ infastidisca della vostra croce qualunque sia essa. Deh, non permettete che per la mia ignoranza e sensualità vi faccia questo indegnissimo torto; datemi invece grazia che l‟ami con tutto il mio cuore come il piú prezioso pegno del vostro amore.491 Offerta totale, senza condizioni o riserve, con patto scritto, che ricorda i patti contratti da Dio con Noè, Abramo, Giacobbe, un pactum pacis, in latino, a noi pervenuto in un foglio volante, patto che rinnovava piú volte al giorno, perciò trascritto in un foglietto ed incollato nella faccia interna della copertina delle Horæ diurnæ,492 un libro che i sacerdoti portavano sempre con sé.493 Il nove giugno dello stesso anno, Sabato delle tempora di Pentecoste, ricevette il diaconato. Con la stola a tracolla poteva toccare il Santissimo, esporre e riporre l‟ostia santa nelle benedizioni e, in determinati casi, poterla anche distribuire ai fedeli e battezzare con tutta la solennità del rito, nonché annunciare il vangelo, ma quel che piú conta è la mano del vescovo posta sul capo: diacono in eterno! Diacono anche in cielo, come Stefano, come Lorenzo, come 489 Pontificale Romanum, De ordinatione subdiaconi. Se ne è già parlato. A Giuseppe il patrimonio glie lo costituí il suo parroco. Ammontava a L. 450 l‟anno coll‟onere di celebrare o far celebrare tante messe giornali (sic) quanto ne porta il frutto annuo di detti due apartamenti. 491 Preghiera del Venerabile pervenutaci in un fogliettino volante. 492 Ce ne è pervenuta l‟ultima copia da lui usata. In AF. 493 Pactum pacis: “Voi, o Signore, perdonate i miei peccati e cancellate tutte le mie iniquità – Insegnatemi a fare la vostra volontà – Datemi lo spirito buono – Mettetemi appresso di voi – Non permettete che io mi separi da voi – Custoditemi come la pupilla dell‟occhio – Senza di voi, io polvere e cenere, niente posso fare – Io frattanto, in virtú del vostro Nome, confidando nell‟aiuto della vostra grazia, propongo di non riserbarmi nulla per me, se non l‟amato adempimento della legge e l‟abbraccio della vostra santa croce – Per la qual cosa io per me niente altro dimanderò a voi. – Né per le cose, né per la vita, né per la morte, niente altro dimanderò a voi. – In questo modo, in virtú della vostra grazia, sia fatta la pace tra la vostra e la mia volontà”. 139 490 Francesco d‟Assisi. Finalmente il 22 settembre di quello stesso anno 1827, Sabato delle tempora d‟autunno, lo stesso vescovo, sempre a Savona, lo consacra sacerdote in eterno! Il sacerdote deve offrire il sacrificio divino, benedire, presiedere, predicare, battezzare. A tale alta dignità si deve salire con grande timore… perciò, figli carissimi, conservate nei vostri costumi una castità illibata congiunta a santità di vita. Siate consapevoli di ciò che trattate, e perché celebrate il mistero della morte del Signore, mortificate le vostre membra tenendovi lontani da ogni vizio e concupiscenza. La vostra dottrina sia medicina spirituale per il popolo di Dio; l‟odore della vostra vita gaudio per la Chiesa di Cristo, sicché con la predicazione e con l‟esempio ne edifichiate la casa, quanto dire la famiglia di Dio, e che il Signore non abbia a condannar noi per avervi conferito un tale ordine, né voi per averlo ricevuto, ma piuttosto ricompensarci. 494 A Paola non sarà sfuggito nulla del rito: quei candidati suddiaconi, diaconi e presbiteri stesi faccia a terra mentre il popolo chiede per loro l‟intercessione dei santi cantandone le litanie, l‟imposizione delle mani, prima il vescovo, poi tutti i sacerdoti presenti al rito, la consegna dei vasi sacri, la pianeta arrotolata sulle spalle, l‟unzione delle mani mentre il popolo canta il Veni Creator, e il chiudergliele legate col fazzoletto di lino che il fratello s‟era fatto orlare da lei a punto a giorno. Sarebbe toccato alla mamma, ma la mamma assisteva dal cielo con sei sue creature, la zia Annetta e la nonna. Di tutti si avvertiva la presenza. Troppe le emozioni, per dire la prima messa da solo il giorno appresso?495 Stando al suo compagno, il canonico Poggi,496 la prima messa l‟avrebbe detta nella sua parrocchia di santo Stefano il sabato successivo, festa di san Michele. Una conferma si potrebbe vedere nel suo Ordo missarum in cui i giorni cominciano ad essere marcati con un punto ad inchiostro nero solo dal 29, e cosí fino alla fine dell‟anno, salvo sette marcati con un cerchietto, e ne tiene conto: 87 i primi, 7 i secondi. Potrebbe esserci un‟altra spiegazione – una mia ipotesi –. Da suddiacono aveva contratto l‟onere di celebrare o far celebrare tante messe quanto ne porta il frutto annuo di due appartamenti, perciò le segnate con punto potrebbero essere le celebrate per assolvere l‟obbligo, quelle con il cerchietto le fatte celebrare da altri passando loro l‟elemosina – ce lo dice quel tenerne il conto preciso –. Le senza notazione alcuna, dal 23 al 28 settembre, le messe per i propri morti e per sua devozione. La prima messa, di cui parla il Poggi, deve essere la prima solenne in canto, detta in parrocchia. Spiegazione confermata dal Frassinetti che afferma di non averne mai saltata una497 secondo l‟esempio di sant‟ Alfonso498 e dal Fassiolo di non aver egli mai tralasciato una messa.499 Il Frassinetti è ora armato di tutto punto per combattere le battaglie del Signore, una la formazione del giovane clero! 494 Pontificale Romanum, De ordinatione presbyteri. Sant‟Ignazio aspettò un anno e mezzo. Ricevuta l‟ordinazione il 24 giugno 1537, celebrò la prima volta la notte di Natale del 1538 all‟altare della Natività in S. Maria Maggiore. S. IGNACIO DE LOYOLA, Obras completas, Madrid 1952, Autobiografia, p. 103, n. 9 e Carta a los señores de Loyola in data 5 febbraio 1539, p. 671 e n. 2. 496 F. POGGI, Della vita e degli scritti di Giuseppe Frassinetti priore di Santa Sabina – Discorso nelle solenni rinnovate esequie il dí 14 febbraio 1868, Genova 1868, p. 10: “Il Frassinetti l‟anno mille ottocentoventisette, il dí faustissimo di San Michele ascese la prima volta al tremendo altare, operatore del grande sacrificio”. 497 Eccetto il giovedí ed il sabato santo dei due anni che visse nascosto 498 G. FRASSINETTI, Compendio della Teologia Morale..., vol. II, Genova 1866, p. 76. Una nota personale nel Trattato XV, Dissertazione X. Sulla comunione quotidiana. 499 D. FASSIOLO, Op. cit., p. 17. 140 495 Provenisse da buono o da cattivo spirito – lascio che altri giudichi –, appena fui ordinato sacerdote s‟impossessò del mio cuore una brama forte di giovare, per quanto potessi nella mia nullità e confidando unicamente nel divino aiuto, al giovane clero…500 Con quanta insistenza chiedesse al Signore il buono spirito ce lo attesta un foglietto piegato in due da formare 4 paginette da poter porre tra le pagine del breviario e col breviario recitarlo tutti i giorni e piú volte al giorno. Oratio ad petendum Spiritum Bonum. Eccone il testo: Si premettano un Pater, Ave e Credo recitati con cuore fervente e fede viva, poi, perché si accresca la fede ed il fervore, si rivada con la mente alle parole del vangelo: “Or io vi dico, chiedete e vi sarà dato…501 Signore abbi pietà, Cristo abbi pietà, Signore abbi pietà. – Cristo ascoltaci, Cristo esaudiscici. – O Padre che sei nei cieli, Dio, dà lo Spirito Buono a me che te lo chiedo. – Ometto le invocazioni titaniche –. O Padre buono, Padre amante, Padre clemente, Padre misericordioso, Padre pio, affido nel modo piú completo alla tua santissima volontà la mia anima, il mio corpo, la salute e la vita, e tutti i doni da te ricevuti, corporali e spirituali. Disponi di me e delle mie cose come tu vuoi, prenditi qualunque cosa ti piaccia, ma dà a me che te lo chiedo lo Spirito Buono. O Padre buono, Padre amante, Padre clemente, Padre misericordioso, Padre pio, dà a me che te lo chiedo lo Spirito Buono. O Padre buono, Padre amante, Padre clemente, Padre misericordioso, Padre pio, dà a me che te lo chiedo lo Spirito Buono, te lo chiedo per Cristo nostro Signore, Figlio tuo, per il suo sudore di sangue, per la terribile agonia nell‟orto del Getsemani, per quel che ebbe a soffrire per i flagelli, per la corona di spine, per le ferite dei chiodi nella mani e nei piedi, per la ferita della lancia nel suo fianco. Altri giudichi, non pensava certo il novello sacerdote che l‟avrebbe giudicato la Chiesa con decreto del 14 maggio 1991 riconoscendone l‟eroicità delle virtú, cosa che mi risparmia dal dare un mio giudizio avendolo dato la Chiesa. Mi resta quello di illustrare quel fuoco che l‟avvampò nei quarant‟anni tre mesi e undici giorni di sacerdozio, e come ne avvampò altri, sacerdoti e fedeli, fino a farsi precedere sugli altari. Voglia questa prima parte suggerire a qualche giovane che è bello servire il Signore, e che si può, anche senza la protezione delle mura d‟un seminario o d‟un convento, perché, per convertirsi a Dio, non occorre nessuna autorizzazione. Basta dirgli: “Son qua”. Al resto penserà lui, il Signore, e la sua santa Madre, e gli angeli e i santi a gara. Nessun santo si fece mai santo solo, meno che meno Giuseppe Frassinetti. Santa la sorella e già sugli altari, lui in attesa d‟esserle posto accanto, tre fratelli, piú uno di latte, tutti sacerdoti, e tutti di vita edificantissima.502 Solo Dio sa quanti e quante ebbero il primo incitamento a farsi santi da quei suoi libretti, e quanti sacerdoti furono facilitati nella via della santità da ciò che Giuseppe Frassinetti scrisse per loro, e quanti, avvicinandolo, trovarono in lui la guida sicura. Se nel tuo cuore scoccasse una scintilla… 500 G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. V, Rischiarimenti sul mio passato, p. 2. Luca 11,9-13. 502 Famoso il caso di San Bernardo. Un compagnone. Sui vent‟anni due fatti gli avevano dato uno scossone. Partí per il monastero, ma non da solo. Con lui era uno zio, quattro fratelli e venticinque amici. Di lí a qualche tempo fu raggiunto anche dal padre e dal fratello piccolo. E non fu che l‟inizio. 141 501 PARTE II IL PASTORE 1827-1868 Mentre nella prima parte non mi è stato difficile seguire l‟ordine cronologico dei fatti, senza per altro sentirmene imprigionato, nella seconda è impossibile per la molteplicità dei campi in cui vediamo impegnato il nostro Venerabile, ciascuno dei quali sarebbe stato sufficiente a riempire la vita d‟un santo sacerdote. Inevitabile quindi il procedere per temi con dei richiami di modo che non ci si dimentichi che, mentre lo vediamo impegnato in una attività, che si direbbe l‟unica, è impegnato in altre, ed anche in esse in modo che ciascuna sembra unica. Per orientarci, dopo un primo capitolo intitolato “Come atleta al via”, si passa a trattare per temi cercando di raggruppare, ora anticipando ora completando, con richiami al già detto e con delle riprese, senza volerci 142 fare di tale metodo una camicia di forza. Diamo qui un prospetto dei principali temi trattati in questa parte nel modo ora indicato: 1. Unione e formazione del clero in vista della catechesi 2. Il parroco e le associazioni parrocchiali 3. L‟apostolo della vita consacrata Le Dorotee Le Figlie di Maria Immacolata, lievito delle Figlie di Maria Ausiliatrice I Figli di Maria Immacolata L‟Opera dei figli di Maria per l‟avviamento dei giovani al sacerdozio 4. Quanto ebbe a patire per la difesa del gregge di Dio 5. L‟autore di opere ascetiche, morali e pastorali 6. La diffusione dei suoi scritti nel mondo 7. L‟amore all‟eucaristia ed a Maria. CAPITOLO XXVII COME ATLETA AL VIA Prometti a me ed ai miei successori rispetto ed ubbidienza? Prometto Il 22 settembre 1827, sabato delle Tempora, il vescovo di Savona, alla fine dell‟ordinazione, tenendo racchiuse nelle sue mani le mani d‟ogni novello sacerdote inginocchiato ai suoi piedi, completò il rito dell‟ordinazione con le parole su riportate e li congedò con la sua benedizione. La continuazione della nostra storia altro non è che il racconto di come il nuovo ordinato mantenne la promessa e come fu fedele alle ammonizioni riportate a conclusione della prima parte. Non aveva che da aspettare che il vescovo gli affidasse il campo del lavoro, che sarà una parrocchia anche se “non ebbe mai il desiderio di essere Parroco”. Furono le circostanze a volerlo.503 Nell‟attesa fa tirocinio, ne fa quanto può, e completa la sua formazione, come ci 503 D. FASSIOLO, Memorie…, p. 29. 143 testimoniano le referenze del suo parroco e del rettore del seminario, richieste dal vescovo nell‟affidargli la parrocchia.504 Lo vediamo far parte dei Missionari Urbani impegnati nel dare le missioni nelle parrocchie di città505. degli Operai Evangelici, impegnati nel fare catechismo ai fanciulli; e della Congregazione della Misericordia che si prendeva cura spirituale dei carcerati. Di quei quattro anni trascorsi a Genova, oltre alle testimonianze dei vari archivi, abbiamo quella del Fassiolo: Ordinato Sacerdote si considerò come tutto di Dio; quindi lo prese un aborrimento singolare per tutto ciò che sa di passatempo o di mondana ricreazione, e senza altro si accinse alla santificazione del prossimo. Dato il suo nome alle benemerite Congregazioni dei Missionari Urbani e dei Fransoniani. Vi lavorò indefessamente con un impegno straordinario. Predicare, confessare, istruire nel catechismo i giovinetti, erano cose che egli faceva col massimo gusto, sempre pronto a correre dove maggiore scorgeva il bisogno dell‟opera sacerdotale.506 Adduce un paio d‟esempi. Il nove ottobre 1828, sacerdote da un anno, alle tre del mattino, Genova fu scossa da un terribile terremoto. Per l‟occasione fu data una missione di quindici giorni nella chiesa della Consolazione. Il Fassiolo dice che in quei giorni, attese indefessamente a udire le confessioni degli uomini. Il giorno dodici, domenica, la mattina per tempissimo entrato nel confessionale, tranne l‟ora della celebrazione della S. Messa, non ne uscí che ad un‟ora dopo mezzogiorno. Il per tempissimo, all‟epoca, era anche le sei del mattino, se non prima! Non solo in chiesa, ma si recava alle carceri di Sant‟Andrea anche due volte al giorno per ascoltare le confessioni dei carcerati. Ancora dal Fassiolo507. Non è da tacere come il Molto Rev. De Gregori, Rettore del Seminario e poi canonico della Metropolitana, spiegando il Catechismo nella Chiesa di N. S. delle Vigne, in occasione di una Missione, volutolo seco perché disimpegnasse la parte cosí detta dello Scolaro.508 vi riuscí cosí bene, che il De Gregori se n‟ebbe tanto a lodare… onde poi l‟invitò a fare in Seminario la spiegazione del vangelo ai chierici interni ed esterni..509 I registri della Congregazione della Missione Urbana ci dicono di altre presenze del Frassinetti. Aveva chiesto di farne parte fresco d‟ordinazione. Fece le prime prove alla fine d‟aprile nel Cantiere della Foce per quelli della catena militare “con consolante successo per lo zelo dei missionari… e piú per la premura grande di due novizi, Maggi e Frassinetti, nell‟insegnare a quelli infelici la dottrina cristiana”.510 Lusinghiera l‟attestazione del nuovo “Attesto di conoscere il Rev. Giuseppe Frassinetti fin dalla sua adolescenza. Ha mostrato un amore allo studio fuori dell‟ordinario. È d‟un candore unico in quanto a costumi. Ha collaborato in questa parrocchia con zelo fervoroso. È membro delle congregazioni dei Missionari Urbani, degli Operai Evangelici e della Misericordia verso i carcerati; si è inoltre molto distinto nella formazione dei fanciulli, meritando apprezzamento e lodi dei suoi superiori”. 505 I Missionari Rurali erano impegnati nelle parrocchie extra mœnia. I Missionari Urbani, o di San Carlo, in quelle di città; gli Operai Evangelici, detti anche Fransoniani, dal fondatore, l‟abate Paolo Fransoni, nobile genovese, che aprí oratori per la catechizzazione dei fanciulli e congregazioni ed accademie di scienze sacre per la formazione del giovane clero. Di questi il Frassinetti fece parte fin da chierico. 506 D. FASSIOLO, Memorie…p. 25. 507 Ivi, pp. 25s. 508 Il metodo sotto forma di dialogo tra Maestro e Scolaro (o Ignorante), sarà adottato dal Frassinetti nei catechismi domenicali agli adulti fatti in dialetto genovese. 509 D. FASSIOLO, Memorie…, ivi, pp. 26s. Il Frassinetti ha sempre preparato le sue prediche ed i suoi catechismi e ce ne sono pervenuti una ricca raccolta. 510 Doveva trattarsi di carcerati addetti ai lavori del cantiere. Nei registri dei Missionari Urbani si hanno altre 144 504 rettore del seminario, il Cattaneo: “da due anni – attesta di lui – ha prestato la sua opera con grandissimo zelo nell‟alimentare ed accrescere la pietà dei chierici spiegando il vangelo la domenica”. Dall‟ordinazione sacerdotale all‟assunzione della parrocchia di Quinto furono quattro anni pieni, con preferenza per i fanciulli: Si faceva a tutti con bel modo… ed era bello il vederlo in mezzo ai giovinetti spezzar loro il pane della divina parola, istruirli amorevolmente, sopportarne con una certa noncuranza i difetti. Stavano attenti alle sue parole e… non sapevano spiccicarsi dal suo fianco… gli riusciva facile tenerli in chiesa e farli accostare ai Sacramenti… molti di essi a lui stesso si confessavano e non credeva spese male le lunghe ore che anche alla sera fino a tarda ora impiegava in quest‟opera di carità… Quanto egli amasse coltivare la gioventú si può anche vedere dal libretto degli Esercizi spirituali che egli stampò molti anni dopo ad uso dei giovinetti.511 Debbono essere pure gli anni in cui con maggior frequenza “correa alle biblioteche e sopra i grandi volumi dei Teologi e dei Padri spendeva lunghe ore pensando e meditando senza risparmiare fatica”,512 avendo dovuto negli otto anni di Quinto se non rinunciare, almeno limitare tale assiduità non avendo biblioteca a dieci passi da casa. I suoi scritti ci dicono quanta famigliarità avesse con quei grossi tomi. Da stralci di conferenze che dava ai seminaristi si può dedurre cosa pensasse il giovane sacerdote, cosa si proponesse di essere e quale il suo programma di vita. Un esempio di quel suo tono piano e discorsivo di parlare. Del modo di contenersi verso gli ecclesiastici513 Ho pensato di trattenervi, o miei fratelli, – parla ai seminaristi – sopra un punto di grande importanza; e cioè sul modo con cui ci dobbiamo diportare nel trattare con gli ecclesiastici… Ciò che piú facilmente farà sí che noi cadiamo, sarà il dare ascolto a ciò che comunemente si va dicendo, che tutto sia bene ciò che si fa o che è approvato da certi ecclesiastici. Il tale, il tal altro fa cosí; il tale, il tal altro dice cosí… Quando i fatti e le parole di quelli ecclesiastici dei quali parliamo sono conformi allo spirito ecclesiastico che sta nel Vangelo e nella pratica dei Santi, in questi casi dobbiamo venerarli come esemplari autorevoli e sopra di essi dobbiamo conformare la nostra vita; ma in casi diversi?... Se mai vi fosse tra gli ecclesiastici alcuno che, pieno di vanità, altro non stimasse che se stesso, che non cercasse altro che gloria ed onori, che poco stimasse anche le anime, se non sono di grandi e di ricchi, che conoscesse appuntino tutte le regole dell‟onore e del decoro per sostenerle anche a spese della carità, che altro non facesse che gonfiare i poveri giovani ecclesiastici con certe parole di onore, di prodursi, di far spiccare il loro talento e simili, e mai loro dicesse: “Abbiate zelo per le anime redente dal Sangue di Gesú Cristo; siate umili; non cercate la vana gloria del mondo; tutto il vostro impegno sia di amar Gesú Cristo”; che direste… di questo ecclesiastico? 514 Se mai vi fosse un altro che stimasse anche piú dell‟onore il denaro… se daremo a lui ascolto ci farà venire tanto interessati, che non vorremo poi senza mercede recitare neanche un De profundis… presenze: 1829, nella Chiesa del Rimedio, predica sul peccato; 1830; in SS. Salvatore, discorso sulla bestemmia; 1835, in S. Stefano, che era stata la sua parrocchia, sull‟inferno; 1844, al Carmine sul giudizio di Dio; 1855, all‟Albergo dei poveri, spiegazione del Decalogo; 1862, alle Vigne, dalla quarta domenica di Quaresima a quella di passione, sulla penitenza. Di tali interventi ci è pervenuta la stesura. 511 D. FASSIOLO, Memorie…, pp. 27s. 512 Ivi, p. 20. 513 Un quaderno di pp. 195 con spiegazioni di vangelo e conferenze ai seminaristi. AF, Manoscritti, vol. XV, pp. 1-195. La conferenza qui riportata fu pure stampata a parte: Discorsi a sacerdoti e chierici, Roma, 1924, pp. 27-32. 514 Lc 6,26. 145 Se mai altri fosse tutto delicatezze, temesse il puzzo delle galere, delle prigioni, degli ospedali, temesse il rozzo tratto della gente di campagna, non potesse soffrire l‟irrequietezza dei fanciulli…che diremmo di costui?… Vedendo altri che si pregia di non esser bigotto; che, quando ha fatto un buon preparamento di ciarle e di frottole, prende l‟amitto per andare a celebrare la santa Messa… e mette in canzone i chierici modesti, composti e devoti, che diremmo di costui?… nubes sine aqua...515. Sono la causa della freddezza e dell‟ indifferenza nel popolo cristiano. Procuriamo di essere buoni ecclesiastici e i nostri insegnamenti, per non errare, prendiamoli dal Vangelo e dalla pratica dei Santi… Nelle altre cose non temiamo di andar contro la corrente del mondo. CAPITOLO XXVIII GLI ORATORI FESTIVI516 Come e perché a Genova nascessero gli oratori festivi, quale la loro attività e come si fosse riusciti a radunare le domeniche piú di 700 ragazzi in una sola parrocchia intrattenendoli tra funzioni religiose, catechismi e giochi ci viene narrato dallo stesso Frassinetti nella vita dello Sturla da lui scritta:517 [Ancora chierico Luigi Sturla] domandò tosto di essere ammesso tra i chierici… degli Operai Evangelici… Gli venne assegnato l‟oratorio festivo di Prè… e poiché ivi venivano tutti quelli del sestiere di S. Teodoro volle prendersi particolare sollecitudine della loro cultura… Per tempissimo… andava a raccogliere tutti i fanciulli di quel sestiere… e li conduceva all‟oratorio. Dopo che ivi avevano ascoltato la santa Messa, l‟istruzione della dottrina ecc., li riconduceva alle 515 Nuvole senz‟acqua. meravigli il raffronto dovendo a lungo trattare dei rapporti tra i due: uguale la dedizione per le cose di Dio, ma ciascuno con un suo stile. 517 G. FASSINETTI, Memorie intorno alla vita del sac. Luigi Sturla, opera postuma, Genova 1871. 146 516 Non loro case per la colazione. Poi li portava sulla collina di S. Benigno e li tratteneva per il rimanente della mattina in ricreazioni e giuochi, cui provvedeva a proprie spese. Venuta l‟ora del desinare, li rimenava a casa… Tornava poi a chiamarli per condurli alla dottrina in parrocchia. Questa finita, li riconduceva sulla collina di S. Benigno, dove li tratteneva sino a notte… accompagnandoli finalmente alle loro case. Cosí passava la sua giornata alla festa, e cosí durò per molto tempo.....518 Don Luca dei conti Passi La scintilla che fece divampare tanto zelo fu la venuta a Genova di don Luca dei conti Passi chiamato nel 1829 a predicare il quaresimale al Carmine. Aveva fondato l‟Opera di S. Raffaele per la catechizzazione dei maschietti e di S. Dorotea per le femminucce. Incontrarlo e sentirsi bruciare di zelo era un tutt‟uno. Furono tanti che dovettero a lui la spinta a realizzare le grandi cose. Pel tratto di circa due mesi che D. Luca si fermò a Genova – è sempre il Frassinetti – lo Sturla non ebbe riposo… La pia Opera fu stabilita in quasi tutte le parrocchie della città e in molte dei dintorni. Solo chi ne conosce l‟organamento può immaginare la fatica che dovette costare allo Sturla il suo impianto, senza di cui il fondatore non faceva nulla, e senza di cui non avrebbe fatto né anche la decima parte di quanto ha fatto. Partito il fondatore, la pia Opera restò appoggiata a lui quasi interamente, essendone stato esso solo l‟anima ed il motore. È vero che si interessarono per la medesima molti sacerdoti e chierici, ragguardevoli signori e signore, buon numero di pii popolani e un numero stragrande di pie zitelle – si osservi come il Frassinetti tenda subito a slargarsi e a porre il solista nel coro creando concerto –, ma chi animava, chi incalorava, chi dirigeva… era lo Sturla. Pareva si moltiplicasse per ritrovarsi da per tutto. In città e fuori di città non si faceva funzione o radunanza dove non si trovasse. Ecco cosa si era verificato nella parrocchia del Frassinetti, in di S. Stefano. In un corridoio… si radunavano tutte le domeniche i giovinetti che intervenivano alla dottrina. Erano dai 40 ai 50… numero estremamente scarso per la parrocchia di quindicimila anime. Nella prima domenica intervennero tanti giovinetti di piú che… ne fu piena zeppa la sacristia, il corridoio, il coro. Io – la sua presenza è sempre ridotta al minimo – ch‟ero incaricato d‟insegnare la dottrina, pregai il Prevosto che venisse a vedere se era mai possibile ch‟io facessi la consueta istruzione. Il Prevosto non poté trovare altro espediente che rimandarli tutti, promettendo che avrebbe provveduto un locale per la domenica seguente. Pregò allora gli Operai evangelici a permettergli di mandare i fanciulli nell‟oratorio di S. Maria della Pietà… Quel capace oratorio ne fu pieno: erano in numero di 700. Allora furono necessari, invece di uno, circa quattordici, tra sacerdoti e chierici, per istruire quei giovinetti, divisi in classi e numerosi drappelli. Lo stesso, presso a poco, fu il risultato della Pia Opera di S. Dorotea per le fanciulle.519 I “ragazzi del Gianelli” si ritrovano A tale attività catechetica si ricollega la “Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio” di cui parleremo nel prossimo capitolo. Qui basti accennarne lo scopo: preparare chierici e giovani sacerdoti a tale apostolato. Ad essa fu poi annessa l‟Accademia di studi ecclesiastici. In queste opere Frassinetti e Sturla sono l‟uno l‟ombra dell‟altro. Primo lo Sturla nella Congregazione, primo il Frassinetti nell‟Accademia, mentre, nella riforma del Seminario, primo sarà il Cattaneo, sorretto, inutile dirlo, dallo Sturla e dal Frassinetti che gli erano stati compagni di classe nei corsi superiori. Di lí a qualche anno, all‟origine delle Suore Dorotee per dare stabilità all‟Opera di S. Dorotea per le fanciulle, accanto al Frassinetti e la sorella Paola, non mancherà lo Sturla. 518 G. FASSINETTI, 519 Memorie intorno…, pp. 8-10. G. FASSINETTI, Memorie intorno…, pp. 13-14. 147 Sono tutti “ragazzi del Gianelli”, eccetto Paola, anche se, sia pure indirettamente, non poté non subirne l‟influsso attraverso il fratello, avendolo sentito ad ogni suo ritorno da scuola: “Oggi il Gianelli…”. In quel 1829, il Frassinetti ed il Cattaneo erano da poco piú di un anno sacerdoti, lo Sturla ancora chierico, avendo dovuto sospendere gli studi alla morte d‟uno zio per aiutare il padre nel commercio. Lo sarà nel 1832. Tutti legna secca. Bene stagionata. Don Luca la scintilla che la fece avvampare. Poi cosa tirò cosa ed intorno a loro si ritrovarono i vecchi compagni di scuola in un patto d‟azione comune a favore dei giovani. Questo l‟inizio della “Beato Leonardo da Porto Maurizio”. Ma, per educare alla vita cristiana, occorrono educatori… educati, ed ecco affiancare la “Beato Leonardo” con un‟Accademia di scienze sacre per giovani sacerdoti e chierici in sacris.520 Un‟ora tutti i giorni meno il sabato: Sacra scrittura, dogmatica, morale, storia ecclesiastica, spiritualità ed eloquenza. Al Convitto di Torino si studiava solo morale, ed ad insegnarla bastava il Guala e poi il Cafasso. A Genova si mira ad una formazione completa, ed ad insegnare è chiamato il meglio del clero genovese. Non uno, ma piú, che, per avere un cuore solo, si sentono uno. Non l‟assolo di tromba prestigiosa, ma concerto di tanti strumenti. Mi piace chiamare la cosa “effetto eucaristia”, diventando i molti uno in virtú di quell‟unico pane di cui essi si nutrono.521 Se ne parlerà con piú respiro al prossimo capitolo. Le norme pedagogiche Il racconto di quelle domeniche dello Sturla e sue, vissute fra centinaia di ragazzi, che il Frassinetti ci ha scritto a tanti anni di distanza, non era che la messa in atto di norme da lui stesso poste per iscritto in opuscoli usciti anonimi e ripubblicati con il suo nome nel 1857: Memorie intorno alla Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio.522 Tra testo e note, che trasferiamo nel testo, si trovano in nuce quelle che poi saranno le linee direttive del sistema educativo di Don Bosco, conosciuto con il nome di Metodo preventivo: IX. Quando si troveranno nelle sagrestie o in luoghi attigui alla Chiesa dei giovanetti dei quali non consti la morigeratezza, si interrogheranno con buona maniera sull‟adempimento dei loro doveri, su la frequenza ai SS. Sacramenti e alla istruzione cristiana. Trovandoli trascurati, dolcemente si esorteranno a volersi correggere… Si noterà il loro nome e cognome per iscriverli nella Pia Opera… X. Quando per le strade si trovassero giovinetti trascurati ne‟ loro doveri… si farà loro una amorevole correzione all‟istante, altrimenti si inviteranno a venire alla Chiesa nel giorno e ora piú comoda per ivi farla. – Colle aspre correzioni certuni si indurano maggiormente nel male dicendo: Chi le ha dato questa autorità di maltrattarmi? A lei non devo rendere conto delle mie azioni, ecc. Sfuggono di incontrarsi con lui e resta chiusa la strada a una seconda correzione, se è infruttuosa la prima. Colla mansuetudine S. Francesco di Sales – altro punto di riferimento che si ritroverà in Don Bosco – convertí una infinità di Eretici (peggiori certamente di qualunque discolo giovinetto); non si sa se ne avrebbe convertito un solo usando minacce e bravate.523 XI. Quanto il giovane sarà piú insolente, caparbio, ostinato, si userà con lui maggiore dolcezza, e modi piú amorevoli, né altre minacce (purché non fosse piccolo) che dei divini castighi.524 Non si sdegnerà, per dir cosí, di inginocchiarglisi innanzi e pregarlo per amore di Gesú Cristo a ricevere i 520 All‟epoca, come era stato per il Frassinetti, seminaristi in gran numero vivevano a casa frequentando il seminario solo per la scuola. 521 1 Cor 10,17. 522 Stese nel 1847 e pubblicate nel 1857 con dei ritocchi. 523 [G. FASSINETTI], Memorie…, pp. 53s. 524 Don Bosco a volte metteva biglietti fra le lenzuola di questo e quel ragazzo con scritto: “Se morissi questa notte?”, ed il ragazzo, invece che a letto, andava a confessarsi. 148 salutari avvisi, né si dovrà risentire di qualunque ingiuriosa risposta o cattivo trattamento che ne ritraesse. – Siano molte le umiliazioni che si debbano fare da un peccatore per salvare un‟ anima, saranno sempre un nulla al paragone di quelle che N. S. Gesú Cristo ha già sofferto per la salute di quell‟anima stessa.525 XII. Nessuno mai dirà ho fatto abbastanza per il tale o per il tal altro, ma si moltiplicheranno le sollecitudini e le premure a misura che crescerà il bisogno. – Finché Dio non si stanca di dar tempo al peccatore onde convertirsi, un peccatore suo fratello non si stanchi d‟invitarlo a ravvedimento.526 I Sacerdoti trovando qualche giovine il quale avesse un Confessore poco adattato a bene dirigerlo,527 procureranno con bel garbo di assegnargliene un altro; se questo inconveniente si osservasse da un Chierico, [egli] non si prenderà questo incarico, ma ne avviserà un Sacerdote.528 XIV. Quando si vorrà fare una correzione, dare avvisi, consigli ecc., si alzerà prima la mente a Dio dicendo: “Eterno Padre, in nome di Gesú Cristo, date forza alle mie parole”.529 Il Frassinetti torna sull‟argomento in una Appendice al suo Compendio di teologia dogmatica pubblicato agli inizi del 1842. In una dozzina di pagine ci dà un vero trattatello di come educare i ragazzi, un anticipo del metodo preventivo. Sul modo di insegnare la Dottrina cristiana ai fanciulli530 Ci avvisa l‟Apostolo che senza le fede è impossibile piacere a Dio. La fede si comunica mediante l‟udito, non si può sperare che imparino da sé stessi… È importante l‟insegnamento della Dottrina Cristiana ai fanciulli, perché l‟infanzia e l‟adolescenza è il tempo piú adatto per instillare nelle loro menti le verità della fede. Le prime cognizioni che loro si danno quando cominciano ad usar di ragione sono quelle che formano il cristiano. I fanciulli si trovano formati tali senza avvedersene, quasi nati e non fatti. Le prime impressioni dell‟infanzia restano piú profondamente radicate e hanno influenza piú potente sopra tutta la vita... Bisogna procurare che i fanciulli imparino il catechismo materialmente, perché la materialità delle parole piú facilmente si ritiene… Non si vuol dire però che si debba insegnare il catechismo solo materialmente. Lo devono mostrare soltanto materialmente le persone che non sono istruite nella teologia… perché mancanti delle opportune cognizioni teologiche insegnerebbero alle volte dei gravi errori; chi è poi istruito sufficientemente procuri di sminuzzarlo, di spiegarlo secondo la capacità dei fanciulli, affinché meglio lo comprendano e le verità che vi contengono facciano piú viva impressione nei loro animi. Ma qui si avverta di non credere sempre cosa facile ed opportuna lo sminuzzare molto sottilmente ai fanciulli le verità della dottrina cristiana, che non è sempre cosa facile, perché nei misteri della fede non si può sapere tutto ciò che si vorrebbe, ma soltanto quello che dei medesimi Dio ha voluto manifestare… Non è poi cosa opportuna, perché quantunque chi insegna la dottrina cristiana fosse dottissimo… non sarebbe questa cosa adatta per i fanciulli… Un‟altra importante avvertenza è quella di non toccare quelle obbiezioni alle quali non si può dare una risposta che appieno soddisfi il grosso ingegno dei fanciulli, né quelle difficoltà che non si possono appianare con ragioni palpabili… Ai fanciulli si debbono dare quelle cognizioni che sono importanti a sapersi per tutti, e con la possibile chiarezza e semplicità…. Questa avvertenza è importante per i chierici studenti i quali alle volte vorrebbero insegnare ai fanciulli tutto ciò che essi imparano. Bisogna istruire i fanciulli gradatamente cominciando dalle cose piú necessarie a sapersi, e da quelle progredendo a tutte le altre… Si avverta che nell‟istruire i fanciulli non si può pretendere da tutti la stessa riuscita. Perciò si deve procurare che i piú svelti, d‟ingegno pronto e di memoria 525 Ivi, § XI, pp. 54s. Ivi, § XII, p. 55. 527 Allusione ai confessori rigoristi che rendevano odiosa la confessione. 528 Ivi, § XIII, p. 55. 529 Ivi, § XIV, p. 55. 530 G. FASSINETTI, Compendio di teologia dogmatica, Genova 1842, pp. 225-236. 526 149 tenace, imparino piú cose, e conviene contentarsi che tanti altri tardi d‟ingegno… imparino soltanto le cose piú necessarie… L‟insegnamento… non deve essere un insegnamento nudo e secco delle verità della fede… deve essere un insegnamento sugoso il quale mentre illumina la mente formi anche il cuore… Queste massime bene impresse nella prima età, non si cancelleranno mai piú in avvenire. Chi si accinge all‟importantissima cosa di istruire i fanciulli bisogna che sia paziente, grave e manieroso531… perché i fanciulli, o per indole alquanto trista, o per rozzezza di educazione e leggerezza, sono alle volte difficili e tediosi. Bisogna compatirli. Tutto il male in loro non è malizia. Di certi difetti a volte non ne possono far di meno… Molte leggerezze e mancanze, che non sono d‟altronde di gran conseguenza, conviene far mostra di non anche osservarle. Bisogna sgridarli o castigarli all‟opportunità quando le mancanze sono veramente considerabili. Se il fanciullo si sente sempre sgridare e si vede sempre castigare per ogni sciocchezza, non sapendo come evitare tanti gridi o castighi, non bada piú né a questi né a quelli, e si forma di un‟indole insensibile, e quindi incorreggibile. Bisogna quindi che conservi la conveniente gravità, affinché i fanciulli abbiano sempre per il maestro il necessario rispetto… [ma] non deve essere disgiunta dalle buone maniere, affinché i fanciulli gustino di trattenersi con chi loro insegna la dottrina. Chi usa aspre maniere aliena gli animi dei fanciulli dalla dottrina cristiana. I pochi che v‟intervengono si tediano, si divagano e nulla apprendono. Quelli per altro che insegnano la dottrina cristiana con vero zelo, non si trovano mai privi delle richieste qualità, perché l‟amor di Dio loro insegna ogni modo opportuno per far profitto. Abbiano dunque molto amor di Dio, considerino quanto sia cosa importante istruire le menti e formare i cuori dei giovinetti, e quindi sperino abbondanti frutti dalle loro fatiche… agli occhi di alcuni poco onorevoli e poco stimabili, perché sono dirette alla tenera età, e il piú delle volte a fanciulli rozzi, ma preziosissime agli occhi di Dio, il quale non riguarda le cose coi pregiudizi dell‟umana vanità.532 Il Compendio della Teologia Dogmatica uscí il gennaio del 1842. L‟abbia non l‟abbia conosciuto subito Don Bosco, quando l‟ebbe in mano – ne curò la ristampa nelle Letture cattoliche nel 1872 –, non poté non riconoscersi in quei suggerimenti e vedervisi prevenuto nel suo sistema educativo. A voler insistere sulle probabili dipendenze, potrebbe non essere casuale la scelta di stile da lui fatta per le prime edizioni della sua Storia ecclesiastica – la prima è del 1845 –, che richiama quello del Frassinetti usato in questo Compendio di Teologia Dogmatica di due anni prima. Stile a domanda e risposta a parti invertite: non è il maestro che controlla il discepolo per vedere se ha studiato, ma è il discepolo che, spinto dal desiderio di sapere, pone domande al maestro.533 531 Nel senso che ha belle maniere, che si comporta con garbo. Cfr. N. TOMMASEO, Dizionario dei sinonimi della lingua italiana: 1775 – Nel manieroso riguardasi segnatamente la piacevolezza e la grazia del parlare e del conversare; 2244- Manieroso, uomo di buone maniere, e segnatamente di miti e soavi. 532 G. FASSINETTI, Compendio della Teologia Dogmatica, Genova, pp. 225-236. 533 G. BOSCO, Storia ecclesiastica ad uso delle scuole, Torino, 1845. La quarta edizione, curata dall‟Autore, 1871, muta lo stile a domanda e risposta in racconto continuo. 150 CAPITOLO XXIX LA CONGREGAZIONE DEL BEATO LEONARDO E L’ACCADEMIA DI STUDI ECCLESIASTICI Sono istituzioni che segnarono un prima e un dopo per la Chiesa genovese. La Rivoluzione francese e la dominazione napoleonica, i “tristi tempi”, come li chiamò il Frassinetti, lasciarono i loro segni nel Seminario e nel clero, né i tentativi del vescovo Lambruschini, succeduto allo Spina, erano riusciti ad eliminarli. Lo spirito giansenista era ancora vivo e, se era difficile individuare i giansenisti dichiarati, erano in tanti a respirarne l‟aria. Questo il clima degli anni in cui il Frassinetti frequentò da esterno il Seminario e dei suoi primi anni di sacerdozio. Per sua fortuna negli anni di “rettorica”, era stato ben vaccinato dal Gianelli. I “ragazzi del Gianelli”, ormai quasi tutti da poco sacerdoti, non potevano non sentirsi in forte disagio. In ugual disagio alcuni loro coetanei per le condizioni politiche. Indipendentemente gli uni dagli altri, pensano cosa fare per uscirne fuori. Per gli uni e per gli altri una stessa risposta: unirsi. Nel 1829 il Signore mandò incontro ai primi don Luca Passi, chiamato a predicare il quaresimale al Carmine, che rivelò a quei giovani la loro missione: catechizzare. Ma come catechizzare se non si reperiscono e non si catechizzano i catechizzatori? Questo il pensiero che toglieva sonno ad alcuni di quei “ragazzi del Gianelli”, specie al Frassinetti ed allo Sturla. Tra fine febbraio ed inizio di marzo del 1831, il Frassinetti si ricorda di quel suo compagno di “rettorica”, non ancora sacerdote, che si era dato tanto da fare con il Passi nell‟aprire corsi di catechesi nelle parrocchie di Genova. Lo va a trovare. È lui a raccontarcelo: 151 Richiedendosi dunque un numero molto maggiore di sacerdoti e chierici per le dottrine… il chierico Luigi Sturla… si trovò obbligato a cercare collaboratori fra i chierici e i sacerdoti novelli. Anche il R.do Giuseppe Frassinetti – parla di sé in terza perdona –, sacerdote da circa tre anni… andava immaginando un progetto di una Congregazione che potesse accogliere i chierici e i novelli sacerdoti, e ne aveva già ordinato l‟idea sostanziale… [e] già divisato i mezzi opportuni e le regole…. Sentendo parlare tanto favorevolmente di questo chierico, pensò che sarebbe stata la persona capace per aiutarlo nel suo divisamento. Si porta da lui e lo trova con un gruppo di chierici e tre giovani sacerdoti che discutono delle stesse cose che era andato a proporre. È invitato ad unirsi a loro. Accordo pieno. Si scrivessero degli abbozzi di regole per il prossimo giovedí. [Si] portarono varie note…, ma il Frassinetti, che aveva già da tanto tempo meditato il progetto, portò bello e fatto un piccolo regolamento, che fu approvato da tutti con qualche aggiunta… ed altre note. I primi che avevano formato la Congregazione, Frassinetti e Sturla, se ne prendevano come era naturale il piú vivo impegno… Ad essi si uní Giovan Battista Cattaneo, il rettore del seminario, il quale era stato eletto a questa carica tanto importante nel 1830, in età di anni ventiquattro. Egli ebbe tanta parte nello stabilimento della Congregazione, che a ragione si reputa uno dei suoi fondatori, insieme a Frassinetti e Sturla. È l‟inizio della Congregazione del “Beato Leonardo” e dell‟Accademia che de lí a qualche anno vi sarà annessa. Preziosa la presenza del Cattaneo, anch‟egli “ragazzo del Gianelli”, che, ancora tutto odoroso di crisma, era stato fatto rettore del seminario. Un ventiquattrenne! Nelle Filippiche Cicerone chiama Cesare Ottaviano puer. Il Cattaneo, un puer, formerà con i pueri Sturla e Frassinetti, suoi coetanei, la triade trascinante. Con loro la “Beato Leonardo”, l‟Accademia ed il Seminario diventano vasi comunicanti. Ha cosí inizio per i tre amici uno degli impegni piú cari della loro vita: la formazione del clero in vista della evangelizzazione. Nella storia del clero di Genova c‟è ormai un prima e c‟è un dopo. Essi aspiravano a perfezionare la Congregazione – continua il Frassinetti –, ma vedendo che, mentre essa cresceva in numero, necessariamente si rattepidiva in fervore… divisarono di formare un drappello a parte, il quale mantenesse quanto fosse possibile il primo fervore, e formasse come l‟anima della Congregazione. Si fissa il metodo di vita: un‟ora di meditazione quotidiana, contribuzione mensile per le spese della Congregazione e la diffusione dei buoni libri, ogni anno esercizi spirituali ed un giorno di ritiro ogni mese in qualche casa religiosa. Esercitavano pure tra di loro vicendevole e liberissima la correzione fraterna, essendo in verità cor unum et anima una. Si elessero fra loro un superiore, che fu il summentovato prevosto di Quinto [il Frassinetti], cui professavano speciale ubbidienza, però per essere piú sicuri nell‟ubbidire, egli aveva tre correttori, i quali nel caso di qualche incongrua ingiunzione, potevano irritarla… Solevano radunarsi una volta la settimana, ordinariamente al giovedí; per la qual cosa, il prevosto di Quinto non ometteva di recarsi in città. Catechizzare, certo, ma non si catechizza senza aver prima bene catechizzato i catechizzatori. Ma se erano tutti o già sacerdoti o chierici di teologia! Non basta, nessuno ha da vivere di rendita, ma in formazione continua e collettiva perché si sia animati dallo stesso spirito. Fare corpo. Ridiamo la parola al Frassinetti che continua a parlare di sé in terza persona. Nell‟anno 1833, oppure 1834, il Frassinetti, che era superiore del suddetto drappello, pensò un giorno che sarebbe stata cosa utilissima lo stabilire una Accademia di studi ecclesiastici, nella quale 152 si procurasse che i chierici di maggiore capacità, non solo si esercitassero in quelli studi, ma particolarmente si formassero e si unissero nelle buone massime e nei sodi e veri principi delle scienze sacre. Pensò che si sarebbe potuto attrarre a questa Accademia il fiore dei chierici, da cui infallibilmente deve venire il fiore del clero, pensò che ben coltivandosi questo fiore al principio, e proseguendosene la coltura nei novelli sacerdoti, si sarebbe fatto un bene incalcolabile; quindi comunicò subito il suo pensiero ai compagni, esortandoli ad adoprarsi che pel prossimo lunedí si desse inizio a questa Accademia formata dei seguenti studi: 1° di Spirito, ossia di Ascetica, 2° di Scrittura Sacra, 3° di Dogmatica, 4° di Storia Ecclesiastica, 5o di Eloquenza, 6° di Morale. Un‟ora per giorno, rimanendo libero il sabato. Nell‟Accademia si raccolse il fiore del clero, chierici e sacerdoti. Gente scelta, “perché non si invitavano se non quelli che dessero le migliori speranze per pietà e per ingegno”. Grande il fervore. Dottrine romane, maestro di spiritualità e di morale S. Alfonso Maria de‟ Liguori, creando “uniformità di principi e di massime nei vari rami delle scienze”, riscotendo l‟ammirazione di tutta la diocesi. Si noti la differenza con quanto avveniva nel Convitto ecclesiastico di Torino. Lí si trattava morale e spiritualità, maestro S. Alfonso, a Genova tutte le discipline che concorrono a formare un ecclesiastico. Il Frassinetti tenne per sé la storia ecclesiastica, al Magnasco, futuro arcivescovo di Genova, la dogmatica, al beato Tommaso Reggio, altro futuro arcivescovo di Genova, la Scrittura, ad altri, tutti bei nomi, le altre discipline. Abbiamo piú elenchi di mano del Frassinetti con i nomi degli aderenti all‟Accademia, tolti i ripetuti, si hanno ben 174 ecclesiastici tra membri della “Beato Leonardo” e accademici. Lo spirito della “Beato Leonardo” è nelle massime che guidavano i suoi membri. Eccone alcune: I. Che Dio domanderà conto a ciascuno dell‟uso che avrà fatto dei suoi doni… Il. Sono obbligati a far del bene, non solo quando vi abbiano alcun temporale emolumento di denari o di lode, ma anche col discapito delle proprie sostanze… III. Che tanti passatempi e ricreazioni dopo ogni ecclesiastica fatica non suppongono vero bisogno in chi li prende, ma d‟ordinario una vergognosa accidia. IV. Che il ministro della Chiesa deve essere uomo di orazione, dato all‟attenta coltura del proprio spirito, e che la meditazione, la lezione spirituale, la mortificazione non sono cose solo per i frati e per le monache, che anzi ne hanno maggior bisogno quelli i quali hanno occupazioni piú gravi. V. Che non si deve mai disprezzare il bene perché sia poco o di poca durata. VI. Che si deve conciliare in ogni opportuna occasione la dovuta subordinazione e rispetto alle autorità ecclesiastiche e civili. VII. Che si deve promuovere la lettura de buoni libri. VIII. Che particolarmente si deve attendere alla coltura ed istruzione cristiana della gioventú. E questi i punti basilari del Regolamento dell‟Accademia: Il fine di questi studi è che i giovani Sacerdoti, ed i chierici s‟uniscano nel riconoscere e provvedersi di quei sani principi che sono come le basi sopra le quali dovranno fondare i loro studi quando vi si daranno da loro stessi ex professo. Sei sono gli studi dell‟Accademia. Ciascuno degli studi su numerati è presieduto da un direttore: 1. Il Direttore procurerà di persuadere tutti della grande importanza di questo studio [dello spirito] essendo quello che forma il 3. Lo Studio della Dogmatica. Il Direttore procurerà… di distinguere chiaramente le verità definite che formano dogma irrefragabile da quelle che non sono tali… Circa le controversie puramente di scuola degli Agostiniani, Tornisti, Scotisti, Molinisti e Suareziani il Direttore non s‟impegnerà per nessuno dei partiti… 153 4. Lo Studio della morale. L‟autore che si dovrà seguire sarà il B. Alfonso Maria de Liguori,… lasciando però la libertà di adottare qualche altra decisione d‟un autore grave ed approvato. 9. Affinché i sacerdoti appartenenti a questa Accademia, impediti dall‟ intervenire agli studi surriferiti, conservino sempre la debita unione tra loro si farà una radunanza ogni quindici giorni in cui ciascuno potrà proporre ciò che stimerà opportuno per l‟incremento della Congregazione. CAPITOLO XXX L’ORATORIO SAN RAFFAELE E L’ORATORIO DI DON BOSCO Chi, senza guardare le date, leggesse la vita di don Luigi Sturla scritta dal Frassinetti, lo penserebbe uno che riproduce a Genova ciò che ha visto fare a Torino da Don Bosco. Ma a Genova siamo al 1829, anno in cui Giovanni Bosco, ragazzo di quattordici anni, si aggirava ancora per i Becchi. Vedremo Don Bosco fare le stesse cose, ma di lí ad una dozzina d‟anni e viene da chiedersi se il Santo ne sia stato influenzato. Ci sono divergenze, certo, ma molte ed indubbie le convergenze. Uguale lo zelo per i giovani, attirati da giochi e scampagnate, un extra strano per i tempi. L‟una e l‟altro basavano la formazione sul catechismo e la frequenza ai sacramenti. A Genova però non è un corpus separatum. È parte dalla parrocchia e porta alla parrocchia divenendone parte della vita, con un aggancio a giovani sacerdoti e chierici di teologia raggruppati nella “Beato Leonardo”. È qualcosa di corale, non l‟opera di uno. In piú si ha in parallelo l‟Opera di Santa Dorotea per le fanciulle. Entrambe hanno a monte Don Luca Passi, Leggendo le norme del Frassinetti sulla San Raffaele, mi si animavano con ciò che accadde a Torino nella sagrestia di San Francesco l‟otto dicembre 1841. Mi parve che Don Bosco e Bartolomeo Garelli stessero recitando su un copione del Frassinetti. Inevitabile la domanda: Era 154 Don Bosco a conoscenza di ciò si faceva a Genova? Non si chiede se Don Bosco conoscesse le opere del Frassinetti, essendosene fatto anche editore, ma da quando.534 Finché non mi imbattei in una lettera del Gianelli non pensai a legami di dipendenza. A Genova prima, a Torino poi, due opere suscitate da un unico "Spirito". Si ponga mente alla successione delle date. Nel 1837 il Frassinetti pubblica le Riflessioni, un libretto di 36 pagine. Grande lo scalpore. Lo mandano all‟Indice per la condanna. I parroci si presentano all‟arcivescovo perché lo sconfessi. Il clamore si risolse in pubblicità e invece di passare inosservato, ebbe larghissima diffusione sí da essere ristampato a Milano in edizione pirata e l‟anno appresso dallo stesso Frassinetti con l‟aggiunta di note. Basterebbe tale clamore per ritenere l‟operetta conosciuta negli ambienti ecclesiastici torinesi, dove, non meno che a Genova, era vivo lo spirito giansenista e viva la reazione a tale spirito nel nome del Liguori, il cui centro era il Convitto Ecclesiastico di cui l‟anima era Don Luigi Guala il cui spirito non si differenziava dallo spirito della genovese “Congregazione del Beato Leonardo”, di cui l‟ anima era Giuseppe Frassinetti. Al Teologo – scriveva il Gianelli al Cattaneo Il 23.7.1838 – ho mandato la copia delle “Riflessioni” che mi favoriste.535 Quanta allegrezza ho provato per questa ristampa! È un vero trionfo. Io però ne sono senza e ne aspetto un‟altra copia.536 All‟orecchio del teologo Guala quel libro fu musica. Vi si raccomandava la lettura del Beato Alfonso M. de‟ Liguori, ciò che il Guala andava facendo da anni. Contro questi disastrosi errori [dei giansenisti] era sorto nel secolo precedente il Dottor S. Alfonso, Fondatore de‟ Redentoristi – leggiamo nel Lemoyne – e le sue opere tutte sono un antidoto efficacissimo contro di essi. Perciò il Teol. Guala si adoperò a diffondere in Piemonte le opere di questo Santo.537 Nelle Riflessioni del Frassinetti si leggeva: Adesso che quasi tutti imparano a leggere, e i nostri nemici sono cosí liberali per diffondere i perversi scritti, è necessario che noi altrettanto ci adoperiamo… mettendo buoni libri nelle mani particolarmente dei semplici… Che se mi fosse chiesto di quali opere, tra l‟altre molte, si dovrebbe particolarmente promuovere la lettura, direi le opere del beato Alfonso Maria de Liguori.538 In nota si difende dalle accuse mosse alla prima edizione e indica alcuni titoli del Liguori. Il Frassinetti come il Guala. Non fa meraviglia se nel Convitto il Guala cominciasse a donare l‟opuscolo del Frassinetti a quanti vi andavano per direzione spirituale, uno il chierico Bosco. Si noti la catena: Frassinetti Gianelli Guala Convitto Ecclesiastico, dove Don Bosco andrà "Il mio Protettore è San Francesco di Sales / il mio Maestro è San Tommaso / il mio Teologo è Sant‟Alfonso, / il mio Autore è il Frassinetti”. Parole udite da Don Bosco dal suo alunno e barbiere Don Bartolomeo Fornari. Cfr. Lettera del salesiano Giorgio Seriè al padre Giovanni Vaccari in data 27 ottobre 1953. AF. Si noti che il "Maestro" ed il "Teologo" di Don Bosco sono gli stessi del Frassinetti, del Guala e del Cafasso. Sono le “autorità” a cui si rifacevano sia la “Beato Leonardo”, sia il Convitto Ecclesiastico. 535 Seconda edizione curata dal Frassinetti, terza se si tiene conto dell‟edizione pirata. 536 Le prime due nell‟AF, la terza in A. GIANELLI, Lettere, vol. II, lettera 467, p. 155. 537 GB. LEMOYNE, Memorie biografiche di Don G. Bosco, vol. II, Torino 1901, pp. 41s. Il Lemoyne da bambino era portato dalla nonna alle prediche del Frassinetti. Gli rimase molto attaccato. Già sacerdote, volendo farsi salesiano, Don Bosco pose per condizione il consenso del Frassinetti. 538 G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici, Genova 1838, p. 19. Il testo di questa edizione è conforme alla prima dell‟anno innanzi, con l‟aggiunta di 19 note. 155 534 a completerà i suoi studi dal 1841 al 1844. I contatti del Gianelli con Torino continuano. Entusiasta della pubblicazione del Frassinetti, e della successiva, Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici, il 4.aprile1840 gli scriveva da Torino: Qui vi è tanto maggior difficoltà in quanto le Dottrine di sant‟Alfonso non sono ancora vedute di buon occhio, non solo dai Giansenisti che qui abbondano, ma anche dai buoni cattolici, perché tutti formati sulla sesta del rigorismo… Spero che molto potrà influire e giovare la presenza del Nunzio Apostolico [Vincenzo Massí]. Oh che brav‟uomo! È un santo... Mons. Gualco vi avrà detto di mandar copia dei vostri due Opuscoli [le Riflessioni e le Osservazioni] al Nunzio. E a don Barabino da Bobbio il 10 maggio 1840: “Il Nunzio è innamorato del clero di Genova. Aveva cominciato a leggere gli Opuscoli del Frassinetti e ne è incantato”. Il Gianelli aveva quindi rapporti con il Guala e nei soggiorni a Torino diffondeva le due opere del Frassinetti. Di piú. Nel 1843 il Frassinetti aiutando mons. Francesco Cabrera, anche lui entrato nella "Beato Leonardo", ad aprire in Genova un "Convitto ecclesiastico" per chierici e sacerdoti spagnoli, si rivolse al Guala per avere le regole del suo "Convitto".539 L‟otto dicembre 1841, data a cui risale l‟inizio dell‟Oratorio, Don Bosco era uno dei convittori. Dati i rapporti Frassinetti-Gianelli-Guala e Frassinetti-Guala, è pensabile che libri cosí “chiacchierati” per l‟antigiansenismo e l‟alfonsismo, destinati il primo al clero in genere, ai giovani studenti di teologia il secondo, entrambi inviati dal Gianelli al Guala con alti elogi e confermati dall‟autorità d‟un nunzio ritenuto santo da un santo, non fossero conosciuti dallo studente di teologia Giovanni Bosco, almeno dalla sua entrata nel "Convitto" in cui il giovane clero veniva formato sui testi del Liguori? Prima delle Riflessioni il Frassinetti aveva già pubblicato nel 1835 il Regolamento per una conferenza di Ecclesiastici collaboratori della Pia Opera di S. Raffaele e di S. Dorotea steso quattro anni innanzi, essendo stato “approvato dal Vicario Generale Lorenzo Biale il 2 luglio 1831.540 Non si ha prova se anche questo opuscolo di 11 pagine, uscito anonimo,541 fosse giunto al Guala, ma, data l‟ amicizia con il Gianelli, al quale il Frassinetti dava sempre a rivedere i suoi scritti, la cosa è verosimile, tanto piú che nelle Riflessioni c‟è un richiamo all‟opera di San Raffaele ed a quella di Santa Dorotea. Pubblicazione anonima in quanto non portava il nome dell‟autore, non perché fosse ignorato chi l‟aveva stesa, specie da un Gianelli che le aveva sempre tutte in prima lettura. Dalle lettere scritte al Frassinetti agli inizi degli anni Quaranta si apprende che la “Beato Leonardo” si andava riproducendo anche altrove in Italia, è quindi verosimile che a questo opuscolo, che ne conteneva il programma, fosse stata data grande diffusione tra il giovane clero. Non osta che a Torino ci fosse già il Convitto Ecclesiastico, limitandosi questo al perfezionamento del giovane sacerdote in vista del confessionale, mentre la “Beato Leonardo” era nata per tenere il clero unito negli impegni pastorali e promuoverne la santificazione. 539 Nell‟AF la risposta del Guala. Si ha un manoscritto del Frassinetti firmato da 39 membri, di cui 3 abati, uno Agostino de Mari, futuro vescovo di Savona, 8 sacerdoti, 28 chierici tra i quali il fratello Giovanni e lo Sturla. Non ancora presente il Cattaneo. Segue un altro foglietto di due facciate con alla fine una nota: “Approvato dalla radunanza del dí 18 febbrajo 1831”. Ripubblicato come Documento I nelle Memorie intorno…, pp. 47-55, 541 Non meravigli l‟anonimato illustrando l‟opuscolo le direttive della Beato Leonardo. A volte l‟anonimato era legato alle condizioni del tempo e suggerito da prudenza, o al non volersi mettere in vetrina o perché il nome dell‟autore non condizionasse il lettore. Mai per sfuggire le proprie responsabilità. Di alcune pubblicazioni è solo della prima edizione. Anonimato non assoluto, avendo sempre chiesto l‟imprimatur della Curia 156 540 Leggendo questi opuscoli si ha l‟impressione che nella sacrestia di San Francesco l‟otto dicembre 1841 Don Bosco e Bartolomeo Garelli stessero recitando su di un copione del Frassinetti, vecchio di dieci anni, non solo, ma che il giovane sacerdote si sia rifatto a quegli opuscoli anche per altre iniziative del suo zelo, quali la passione per lo studio della storia e la diffusione della buona stampa.542 L’otto dicembre 1841 Un ragazzone se ne sta imbambolato nel mezzo della sacrestia. Un sagrestano manesco lo malmena cacciandolo a bacchettate. Interviene Don Bosco, lo fa richiamare e s‟interessa di lui ponendogli delle domande. Riporto qui sotto in doppia colonna le norme del Frassinetti e la scena riferita dal Lemoyne. Norme del Frassinetti IX. Quando si troveranno nelle sacristie o luoghi attigui alle Chiese dei giovinetti dei quali non consti la morigeratezza, si interrogheranno con buona maniera sull‟ adempimento dei loro doveri, intorno la frequenza dei SS. Sacramenti e alla istruzione Cristiana, e trovandoli trascurati dolcemente si esorteranno a volersi correggere; si indicherà loro un buon Confessore, se già non lo avessero, si noterà il loro Nome e Cognome per iscriverlo alla Pia Opera [di S. Raffaele]. Se la prima correzione sarà inutile, si replicherà finché si arrendano.543 I giovinetti separati da‟ loro compagni, e corretti dolcemente da soli, sogliono essere piú umili e meno restii ad arrendersi. Si deve inoltre cercare l‟ora piú comoda per essi, giacché il pescatore cerca sempre l‟ora piú adatta onde assicurarsi una buona pesca e non osserva se gli comodi.544 542 Racconto secondo il Lemoyne – Come ti chiami? – Bartolomeo Garelli. – Di che paese sei? – Di Asti. – Che fai? – Il muratore. – Hai papà e mamma? – Sono morti. – Quanti anni hai? – Sedici. – Sai leggere e scrivere? – No. – Sai cantare? – No. – Sai fischiare? – Oh, sí! – Hai fatto la prima comunione? – No. – E la prima confessione? – Sí, ma ero piccolo. – Dici sempre le preghiere? – Non le ricordo. – Vai al catechismo? – No. Mi vergogno a stare con i piccoli che lo sanno ed io non lo so. – Se te lo facessi io a parte in una cameretta dove nessuno ti maltratterà? – Oh, sí! – Vogliamo cominciare adesso? – Certo.545 Cfr.: [G. FRASSINETTI], Memorie..., pp. 51-55 (cap. III, 1.8-14); Riflessioni... pp.18-23 con le note 9-11, pp. 42-43 543 Ivi, p. 54. nota 1 al § X, p.54. Memorie…, vol. II, cit., pp. 70-75. 544 [G. FRASSINETTI], Memorie…, 545 GB. LEMOYNE, 157 Domande ovvie che si usa rivolgere ad un ragazzo, non molto diverse da quelle che Don Bosco da piccolo si sentí rivolgere dal chierico Cafasso: – Quanti anni hai? vai a scuola? hai fatto la prima comunione? ti confessi spesso?… –,546 ma a ragazzi che si presentano bene, puliti, educati, con cui s‟apre e si chiude il discorso e tutto finisce lí. Qui no. Sono ragazzi nessuno con nulla in loro che ti attiri, spesso discoli e villani, persino insolenti, abituati ad essere trattati a calci, bacchettate e male parole. Ragazzi da togliersi dai piedi. Don Bosco qui sembra aver fatto sue le norme date dal Frassinetti. Sono molte le convergenze tra i due, convergenze che non cancellano le differenze. Molti i campi in cui sono sulla stessa linea, oltre la cura della gioventú: il culto della storia a servizio dell‟apologetica. Nelle Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici su 112 pagine 58 sono dedicate allo studio della storia ecclesiastica, spesso ignorata nei corsi teologici dell‟epoca.547 Cosí anche la diffusione della buona stampa, di linguaggio popolare, a pochi centesimi e forti tirature. I nostri nemici si fanno oratori eloquenti di Satana e dove non giungono le parole mandano i libri… I libri sono quelli onde i nemici si valgono per diffondere l‟errore e autorizzare il disordine… Noi ecclesiastici dovremmo pure con altrettanto impegno promuovere la lettura dei libri buoni, i quali bene spesso non sono letti e stimati perché non sono conosciuti; e non solo dobbiamo promuoverla nelle persone colte, ma anche nelle persone illetterate, purché sappiano alquanto leggere ancorché il nostro zelo dovesse cagionar qualche spesa… L‟apostolato degli empi si adopera specialmente al sovvertimento della gioventú… Noi a questa sgraziata generazione… dobbiamo opporre una generazione pia e morigerata… si rende perciò necessario che coltiviamo con premure particolari la gioventú. A lei procuriamo dei buoni libri, onde si formi con veri e retti principi di onestà e di religione; correggiamone con amorevole maestria la leggerezza e l‟ incostanza… facciamole gustare il bene e le pratiche di pietà, sicché vi si radichi e vi si assodi; guardiamola dai pericoli con vigile cautela; rendiamola sottomessa e ubbidiente a chi la dee governare e dirigere; e tutto ciò sia da noi eseguito con gran zelo ed impegno, giacché ella forma le speranze di santa Chiesa… Non disdegniamo di occuparci intorno alle tenere pianticelle, affinché crescano sane e vigorose, né vengano guaste da mano nemica.548 Se il libro non fosse datato, questa pagina scritta nel 1837, tutti la direbbero un manifesto programmatico di Don Bosco, mentre, e non penso si sia lontani dal vero, di questo manifesto Don Bosco dovette fare il suo programma d‟azione: cura della gioventú e stampa popolare. Le rispondenze esaminate non sono le sole e fanno pensare che forse fin da chierico Don Bosco fosse a conoscenza di tali scritti e ne rimanesse influenzato. Per avere contatti documentati tra i due occorre attendere gli anni Cinquanta. Di lí ad un secolo e mezzo un altro giovane sacerdote piemontese, il beato Don Alberione, troverà nel Frassinetti il suo ispiratore e maestro per l‟apostolato della buona stampa e tra le sue prime pubblicazioni non potevano mancare opere del Frassinetti. GB. LEMOYNE, Memorie…, vol. I, 547 Nel seminario di Genova si riuscí 546 Torino 1898, p. 186. ad introdurla in quegli anni, ma, nel 1854, il nuovo arcivescovo ne abolí la cattedra. Cfr. PIETRO TACCHINI, Lettera seconda a Enrico Jorioz autore della Biografia di Andrea Charvaz, Genova 1871, p. 31. Pietro Tacchini uno dei 28 chierici che nel 1831 firmarono il Regolamento. 548 G. FRASSINETTI, Riflessioni…, pp. 15-21. Di Don Bosco non tutti sanno che fin dagli inizi scrisse opere comprensibili anche dai rozzi, di poco costo e grande divulgazione. 158 CAPITOLO XXXI PARROCO A QUINTO L‟archivio della parrocchia di Quinto, dove il Frassinetti fu parroco dal 1831 al 1839, ci ha conservato una buona documentazione della sua presenza. Quinto era un villaggio sui duemila abitanti a cinque miglia a levante di Genova. Contadini e pescatori. Lasciamo quanto riguarda l‟amministrazione – anche di essa ha da occuparsi un parroco e va a lode del Frassinetti la cura con cui tenne la contabilità, anche se non fa meraviglia in un genovese figlio di mercante –, e fermiamoci sui documenti che ci attestano il suo impegno pastorale da sembrare che a Quinto ci fosse missione i 365 giorni dell‟anno. Perché la vita di pietà dei tempi passati non desti stupore in un lettore di oggi, specie se è nato a riforma liturgica attuata ed affermata, sono necessarie due parole per riporci nel mondo di allora. Nella mia fanciullezza, vissuta in un paesetto posto sulla cima di un monte alto mille e duecento metri, per scendere nelle nove frazioni che gli fanno corona nelle valli e risalire al paese, c‟erano solo sentieri da capre. Unico mezzo per muoversi erano i piedi o l‟asino. Per i piú benestanti il mulo. Ora che anche lassú c‟è tutta una rete di strade, non si vede piú un asino, non un mulo. Chi ignorasse quanto essi siano stati preziosi per secoli, potrebbe chiedersi come facessero a vivere lassú senza le strade. Come avranno fatto ad innalzate la Cupola di San Pietro sprovvisti com‟erano di elettricità e dei mezzi di cui oggi noi disponiamo? Ma lassú la Cupola c‟è. Avevano mezzi efficaci che oggi piú non servono e di cui i piú ignorano perfino l‟ esistenza. Cosí per la pietà, c‟erano forme diverse che portavano allo stesso risultato. Ne è prova la moltitudine di santi vissuti prima della riforma liturgica. A quei tempi tanta gente era analfabeta, la cultura di quei rari che avevano frequentato qualche anno di scuola, specie nei villaggi, non andava oltre le tre o quattro classi di elementari, piú su giungevano in pochi.549 La lingua d‟uso era il dialetto. La forma odierna della liturgia sarebbe stata per loro quel che poteva essere l‟automobile per i contadini del mio paese prima che costruissero le strade. Ma, essendo le vie di Dio infinite, la gente non fu meno santa. Il Frassinetti, e non solo lui, a chi non era in grado di servirsi dei nostri modi per mettersi in contatto con Dio, ne offriva altri e popolava il cielo di santi. La catechesi 549 Analfabeti, ma non stupidi né ignoranti, come si potrebbe pensare. Ciò che non potevano apprendere con gli occhi leggendo, l‟apprendevano con l‟ascolto e, perché meno distratti, lo ritenevano meglio. Per restringerci al campo religioso, buona la conoscenza delle dottrina, della storia sacra, dei fatti del vangelo, delle vite dei santi. 159 Giunto a Quinto, per prima cosa organizzò la catechesi, istituendovi l‟Opera di Santa Dorotea per le fanciulle e di San Raffaele per i fanciulli, opere di cui si è già a lungo parlato. Ha molto interesse il modo in cui le organizzò. Troviamo nei libri parrocchiali in data 1835: Venuto economo in questa parrocchia, ho veduto il gran bisogno che vi era di stabilirvi la Pia Opera e, con l‟aiuto di Dio, in poco tempo ci sono riuscito… Io che ho veduto in Genova il frutto mirabile di questa Pia Opera, e poi quello che ha prodotto in questa parrocchia, non poso cessare di farne ogni encomio. Questa l‟organizzazione. Scelta una donna di pietà e carità, l‟Anziana, e una vice, pone entrambe a sostegno delle Sorvegliatrici, “donne molto pie, impegnate e di molta carità verso le fanciulle”. Ad ogni sorvegliatrice un drappello di fanciulle da otto ad una ventina, e due assistenti, “giovani morigerate, serie e devote”, che si prendono cura delle fanciulle della dottrina. Loro compito, oltre il catechismo, è tenerle lontane dalle cattive compagnie ed invogliarle a frequentare i sacramenti. In breve, abbiano per esse le premure di una buona mamma. Le fanciulle del catechismo vanno dai cinque ai quattordici anni. Passata tale età, possono ancora rimanervi, non però iscriversi. Una cura particolare per le trascurate dalle famiglie, ma non iscriverne contro la loro volontà. Convincerle. Compito questo riservato al parroco. Queste le norme pedagogiche: mai maniere brusche, usare sempre dolcezza per quanto possano essere caparbie, mai questionare con i parenti. Contentarsi di quel che si riesce a ricavare.550 Nei quattro anni da che la Pia Opera era stata istituita a Quinto, il numero delle fanciulle si vide triplicato: “Io adesso ho la consolazione di vedere venire alla dottrina cristiana e frequentare i sacramenti tutte le fanciulle della parrocchia”. Aggiunge che il concorso delle pie donne gli aveva alleggerito molto il lavoro di parroco. Una statistica del 1838551 riporta 15 drappelli di fanciulle con il nome di ciascuna di loro, delle assistenti e delle sorveglianti. Le fanciulle sono 186, dai cinque ai quattordici anni, rare di quindici. Defalcando 38 nomi cancellati, ne restano 98, cui vanno aggiunti, tra maschi e donne, quarantadue sorveglianti ed assistenti, e questo in un paese sotto i due mila abitanti! I sorveglianti e le assistenti erano oggetto di cura speciale nella “Compagnia della Dottrina cristiana”, mai abbandonati a loro stessi o senza guida pedagogica. Le formule della Dottrina si apprendevano cantandole, essendo “molto utile, perché i fanciulli, cantando adagio le parole della Dottrina, le imparano meglio”. I maschi appena ventiquattro. Ne dice la ragione: “In questi paesi di marina è piú difficile trovar uomini impegnati a fare da assistenti”, essendo in gran parte imbarcati. Gli stessi fanciulli fin dai dieci anni si accompagnavano al padre o a qualche parente a fare da mozzi. Chiude con una notazione: sorveglianti ed assistenti, sia uomini che donne, per non sentirsi dire: “medico cura prima te stesso”, sono diventati migliori. Dell‟inizio delle Congregazioni di Santa Dorotea e di San Raffaele, a cui sarà affidata tale opera, si è già parlato. Grande importanza è data allo studio del catechismo.552 Tutte le domeniche, estate ed inverno, senza saltarne una, nel primo pomeriggio c‟era il catechismo ai fanciulli e alle fanciulle presente il parroco. Terminato il catechismo ai fanciulli, c‟era il catechismo agli adulti fatto in 550 Sulla sua pedagogia ci siamo già diffusi dimostrando che anticipava di dodici anni il metodo preventivo di Don Bosco e che Don Bosco fu forse influenzato dai suoi scritti. 551 Nel 1838 non aveva piú con sé la sorella né a Quinto vi era piú alcuna dorotea. 552 Ce ne sono pervenuti in gran numero. Otto formato quaderno. Calcolando il doppio i volumi formato protocollo, si hanno ben 7228 pagine formato quaderno! 160 genovese in forma di dialogo: ad un sacerdote la parte dell‟ignorante, ad un altro quella del maestro. I molti manoscritti a noi pervenuti ci attestano l‟impegno con cui vi si preparava. Si ometteva solo le domeniche con i vespri cantati. In Quaresima la “dottrina” diventava quotidiana per quei che si preparavano alla prima comunione, somministrata il lunedí santo. In quel giorno perché i fanciulli non restino tutto il giorno oziosi e, peggio, non lo passino andando di qua e di là a mangiare e bere disordinatamente, io ho introdotto l‟uso di richiamarli in chiesa e, dopo aver tenuto un discorso sulle rinunce del battesimo, le fo rinnovare. Altra innovazione: Perché, coltivando la gioventú, si fa il bene piú grande che un parroco possa fare, già da vari anni ho introdotto una specie di esercizi spirituali ai giovanetti e alle giovanette durante la settimana di Passione. Invito a questi esercizi tutti i giovanetti e tutte le giovanette già ammessi alla comunione e che non superino i sedici o diciassette anni. Una pastorale innovativa codificata nel 1858, ad un quarto di secolo, con una pubblicazione fortunatissima: Esercizi spirituali per giovanetti di ambo i sessi”.553 Una conferma di quanto affermato: il Frassinetti scrive la sua esperienza, e solo dopo lungo collaudo. Senza che ci pensi, quindi, ci dà la sua autobiografia. Quando io era parroco in un paese della riviera di Genova… dovendo preparare i fanciulli alla prima Comunione, pensai che sarebbe stato bene disporli… con alcuni giorni di esercizi spirituali, invitando a prendervi parte gli altri giovinetti e giovanette… Molte volte poi ho ripetuto questi esercizi in città, anche in qualche educandato, e anche fuori dell‟occasione della prima Comunione. Tutte le volte ho dovuto persuadermi che non mi ero ingannato in quel primo giudizio. Mi consta inoltre che l‟esempio fu imitato da altri, certamente con frutto, perché piú volte vollero rinnovarne la prova. Per chi non ne ha l‟esperienza, basterà, una sola riflessione perché si persuada: all‟adolescenza si parla quasi mai direttamente: le prediche, le spiegazioni del Vangelo, i catechismi riguardano quasi esclusivamente gli adulti; di modo che raramente i giovinetti ascoltano parola di Dio che si confaccia ai loro particolari bisogni… In questi esercizi ho usato qualche parabola in luogo di esempi… come imitazione dell‟Evangelo… posso assicurare che ne ho avuto consolazioni particolari per il numero con cui intervenivano, tale da riempire la chiesa, e per le confessioni che vi ascoltavo… Colpisce il linguaggio piano della pubblicazione, segno che chi scrive è uso a parlare ai fanciulli e ad essere da loro ascoltato. Ne riporto un paio di periodi: Iddio si mostrò sempre amante delle primizie. Quando il popolo ebreo gli faceva le offerte nel tempio di Gerusalemme, voleva per sé le primizie; voleva il primo agnello, il primo grano che si mieteva. E perché? Perché Dio vuole per sé le cose piú preziose… Vedete infatti quanto sono cari i primi carciofi, la prima uva? Orbene, perché sono piú preziose, Iddio vuole per sé le primizie della nostra vita, vuole per sé la bella età dell'adolescenza… Per questa ragione, perché la vostra età è la 553 Il Povero, un foglio satirico di Genova, nel n. 50(1850) del 26 settembre, a pagina 3, trovò modo di satireggiare Il celebre Autore dell’opera "Due parole all’orecchio delle gentili signore" – si alludeva ad un suo libriccino in cui le gentili signore erano richiamate a serietà e modestia –, il Parroco di S. Sabina, tutte le sere dà gli esercizi spirituali a porte chiuse – falso le porte chiuse! – ai giovanetti della sua parrocchia. Ciò che suoni in Genova il nome di Frassinetti, è inutile dire, questo solo vuol osservare Il Povero, che… or nel medesimo metro non si dilettasse di biasciarle a quelle dei ragazzi. Padri e madri di famiglia, diffidate di questo Pastore, che vuole fare sue faccende a porte chiuse… Tenetevi a casa i vostri figli, educateveli voi, che codesti esercizi alla men trista saranno certo una scuola di reazione. Le ultime parole sono la chiave di lettura. Al suo apparire di lí a qualche anno, l‟opera fu ampiamente recensita con alte lodi dalla “Civiltà cattolica”, libro piú e piú volte ristampato. 161 piú cara al Signore. Gli Angeli custodi si prendono particolari premure di voi e vi assistono con singolare vigilanza e con piú tenero amore. Per questa ragione medesima i Santi e le Sante piú insigni dimostrarono sempre speciale impegno di coltivare il vostro spirito… Ma perché parlo degli Angeli, perché parlo dei Santi, mentre vedo che il medesimo Signor nostro amava tanto i fanciulli, godeva di vederli intorno a sé, metteva sul loro capo le sue mani divine e loro dava con effusione di cuore le piú abbondanti benedizioni? Un giorno alcuni fanciulli si accostarono a Gesú, forse qualche poco schiamazzando. Temendo i Discepoli che Egli ne fosse tediato, si diedero a scacciarli. Gesú disapprovò questa loro severità: “Oh! che cosa fate?– diceva – lasciateli venire a me, godo di stare con loro, coi miei cari fanciulli, ai quali particolarmente è destinato il Paradiso”. Lo stile di un papà che parla ai figlioli. Duravano sei giorni, ogni giorno una riflessione sulle grandi verità: Chi ci ha creati e perché, la presenza di Dio, la fuga dal peccato, il pericolo delle cattive compagnie e dell‟inferno, il paradiso, la devozione alla Madonna, la frequenza alla comunione… L‟altro discorsetto era un esame pratico di come comportarsi. Un esempio: Sono cattive compagnie quelle che insegnano a disubbidire al padre e alla madre, a rubare in casa e fuori casa, quelle che hanno in bocca cattive parole… che le feste fanno perdere la santa Messa, specialmente quelle che fanno certi discorsi che non si vorrebbe fossero sentiti perché sono discorsi brutti e maliziosi… Si chiudevano con ricordi e massime che riassumevano quanto era stato loro detto e raccomandato. I mesi di febbraio marzo ed aprile erano i piú pieni, essendo il tempo in cui i contadini non erano troppo assorbiti dai lavori. Gli ultimi dieci giorni del carnevale messa al mattino prima di andare al lavoro. Da Quinquagesima fino a Pasqua tutte le domeniche al pomeriggio esposizione del Santissimo e predica. Il culto perpetuo del SS. Sacramento Consisteva in un‟ora di adorazione fatta in casa, distribuito il compito in modo che in ogni ora del giorno e della notte, e giorno dell‟anno, ci fosse uno in adorazione. Come era stato divulgato – un‟ora l‟anno ogni iscritto –, presentava due gravi difficoltà: facile scordarsene ed occorrevano 8760 persone. In una parrocchia come la sua che non arrivava a duemila, compresi i lattanti, neppure a parlarne. Propone di portare l‟ora di adorazione da annuale a bimensile, riducendo cosí le persone necessarie a 365. Essendo l‟impegno quindicinale, era facile ricordarsene. La proposta venne diffusa con una sua pubblicazione del 1839.554 La sordomuta di Nervi. Accade che si pensi ai tutti e si ignori l‟uno, nel caso una sordomuta sui quarant‟anni nella parrocchia limitrofa di Nervi condannata a vivere nella completa ignoranza di Dio. A Genova c‟era un istituto per loro, non però in Riviera. Questo ci dice che lo zelo del Frassinetti non si restringeva ai soli parrocchiani. Infelici sordomuti, non conoscono quel Dio che li creò a sua somiglianza, né sanno del perché del loro stato e come alleggerirlo con la speranza di una vita tranquilla ed eterna – scrive in quel suo studio –. Vengono nelle nostre chiese e vedono i suo altari, l‟immagine di un uomo crocifisso, ma quali sentimenti può suscitare in un sordo muto? Cosa fare per annunciare loro i misteri principali della fede sí da poterli ammettere alla confessione e comunione? Un suo cappellano, don Domenico Cortese, gli fece notare che la vista poteva supplire l‟udito. Gli bastò per escogitare un suo metodo per tanti poveretti di villaggio 554 [G. FRASSINETTI], Culto perpetuo del SS. Sacramento, Genova 1839, pp. 16. È anche riportato in tutte le edizioni del Parroco novello. 162 privi della possibilità di entrare nell‟ istituto messo su a Genova dallo scolopio Ottavio Assarotti, cui era succeduto nella direzione don Luigi Boselli. Lo provò con quella sordomuta ottenendo il necessario per ammetterla alla confessione e alla comunione. Pensò quindi di passare la sua esperienza ai parroci dei villaggi dove, a differenza del centro, non c‟erano istituzioni che li curassero, stendendo un trattatello. Un‟istruzione limitata all‟azione pastorale non potendo un parroco fare di piú. In 13 pagine presenta la situazione del genovesato, esclusa la città, indicando quanti sordomuti ci sono in ogni parrocchia, 58 in tutto, e in 16 pagine in scrittura minuta espone il metodo escogitato per catechizzarli. Ebbe l‟infelice idea di mandarne copia al Boselli per averne un giudizio. Trovò una spina.555 L’epidemia colerica Un flagello che faceva spesso strage e, ad ogni ricorrenza, sia a Quinto come poi a Genova, vediamo il Frassinetti incurante del contagio. A Quinto, lui parroco, si verificò in agosto settembre 1835, 100 i casi 37 i morti, nel settembre del 1836, 36 i casi 26 i morti, e nell‟agosto settembre 1837, 58 i casi, 27 morti. Non uno fu privo di assistenza spirituale, o sua o dei cappuccini di Quarto, assistenza come è raccomandata nel suo Parroco novello, non limitata all‟ amministrazione dei sacramenti, ma fatta di ripetute visite e di presenza continua durante l‟agonia. 555 Vedere Spina 1 nel capitolo “Triboli e spine”. 163 CAPITOLO XXXII PARROCO A SANTA SABINA IN GENOVA Si legge in Plutarco che Cesare, recandosi a governare la sua provincia, nell‟attraversare le Alpi, giunto ad un villaggio di quattro case, si sentí chiedere da alcuni del seguito se anche lí si nutrissero ambizioni di comando e si lottasse per conseguirlo. Cesare rispose serio: “Preferirei essere primo qui che secondo a Roma”. Altri gusti il Frassinetti. A Quinto, un paesetto, era un qualcuno, potremmo dire il primo, per giunta in un angolo di paradiso: eterna primavera, boschi d‟ulivo, aranceti, mare azzurro e fiori ovunque, ed ecco che lo lascia per l‟ ultima parrocchia di Genova da nessuno ambita tanto era povera e mal ridotta, Santa Sabina.556 A giudicare il parroco dalla parrocchia, non ce n‟era uno che gli venisse dietro. Da primo a Quinto, ultimo a Genova, ma in breve il suo nome rese Santa Sabina cuore della vita cristiana della città, non solo, ma ad essa si guarderà da tante parti d‟Europa ed oltre. Nella Francia dell‟Ottocento, senza quel Curato, nessuno avrebbe mai saputo che c‟era una borgata chiamata Ars, cosí senza quel Priore nessuno al mondo avrebbe saputo dell‟esistenza d‟un chiesa genovese intitolata a Santa Sabina. Chiesa antichissima, ma, quando il Frassinetti ne prese possesso, tra le piú umili di Genova. Lo mettevano in risalto le splendide chiese che la circondavano: l‟Annunziata, San Siro, il Carmine… Una chiesa cosí nulla che nel 1812 fu sconsacrata e ridotta a deposito. Sarà riconsacrata nel 1815 per poi essere di nuovo soppressa e sconsacrata. Nel 1937 fu venduta con sommo scandalo di Don Orione: Sono pronto ad andare elemosinando in tutte le chiese pur di riscattare alla diocesi di Genova il sacro edificio. Il Servo di Dio sarà elevato agli onori degli altari e i genovesi non avranno la sua parrocchia e la sua canonica. È un po‟ colpa loro, se la sorella Paola lo ha preceduto nella gloria del Bernini.557 Don Orione morí di lí a poco e nessuno pensò piú a riscattare chiesa. Dove per un trentennio il Frassinetti aveva celebrato, pregato, predicato, catechizzato e confessato, e con lui altri santi sacerdoti, oggi non si può pellegrinare come ad un santuario perché prima vi fu aperto un cinema e poi una banca.558 Se della chiesa si può ancora intravedere la struttura, della canonica piú nulla. 556 Nei documenti piú antichi è detta Chiesa del Corpo di Cristo, di San Vittore e di Santa Savina, una santa lodigiana. Culto importato da profughi milanesi. Verso il mille e cento a Santa Savina fu sostituita la martire Santa Sabina. Una lapide sepolcrale di un certo Elicileto “valoroso e grande soldato”, morto in Genova nel 591, andata purtroppo perduta, ne testimoniava l‟antichità. Fu una delle prime chiese a subire saccheggio quando Genova fu invasa dai saraceni . Nel 1008 fu affidata ai benedettini che la tenero fino al 1615, anno in cui passò al clero diocesano. 557 E. F. FALDI, Il priore di santa Sabina, p. 57. Riferisce quanto l‟orionino don Sciaccaluga gli aveva detto di aver udito da Don Orione. 558 Per lo stato in cui è ridotto l‟edificio, riporto dal FALDI, Op. cit. pp. 59s. “Recandoci oggi dalla parte opposta all‟entrata principale, è visibile l‟abside della navata centrale… fa bella mostra delle sue pietre da taglio, degli archetti che la sormontano… L‟abside della navata sinistra esiste ancora, ma rimane purtroppo sottratta allo sguardo per le costruzioni che le sono state addossate. La parte destra è andata completamente distrutta… Il portale cinquecentesco dell‟ingresso principale e quattro capitelli di pietra scolpita si trovano nel museo di S. Agostino. Dell‟altro portale sorgente sul fianco dell‟antica Chiesa non venne conservata che la pietra sormontante l‟arco gotico 164 Il titolo fu passato ad una nuova parrocchia eretta nella periferia della città, nel cui archivio poco si è salvato della presenza del Frassinetti nel vecchio titolo. Poca cosa dunque Santa Sabina al giungervi del Frassinetti. Modesta la parrocchia, modesta la chiesa, modestissima la canonica, e tutto mal ridotto. Il 31 maggio 1839, prendendone possesso, al Frassinetti non poté non stringersi il cuore. Mura affumicate e corrose dall‟umidità, cappelle senza i cancelli, niente suppellettili, pochi e mal ridotti gli arredi, spoglia di tutto, “una stalla” al dire di un teste al processo di canonizzazione. Il suo restauro non poteva non essere il primo pensiero del Priore. Ai primi inizi non trovò corrispondenza tra parrocchiani e gente facoltosa della città, ma, come fu conosciuto il suo zelo ed il suo disinteresse, le borse si aprirono, specie quella del marchese Serra, sí che la poté rimettere presto a nuovo. Nel 1846 lo vediamo scrivere la storia di Santa Sabina per sdebitarsi con i benefattori.559 Al restauro della canonica, anch‟essa angusta e modestissima, pensò dopo, e solo quanto bastasse per accoglierci il vecchio padre e i fratelli sacerdoti Giovanni e Raffaele, suoi fedeli collaboratori. Vi creò anche spazio per qualche altro sacerdote e qualche chierico e, negli ultimi anni, per tre Figli di Maria, religiosi al secolo, che vi gettarono il primo seme dell‟Opera dei Figli di Santa Maria Immacolata. Spazio cosí angusto da dover presto trapiantare altrove l‟Opera nascente. Agli inizi il Frassinetti si ritrovò dunque in una chiesa non solo umile, ma quasi deserta. Con la predicazione, l‟assiduità al confessionale ed il molto zelo tosto il numero dei fedeli fu tale che la chiesa si rivelò piccola per poterli contenere. Ce ne parla Mons. Masnata che conobbe il Priore e ne fu il quarto successore: Era molto commovente vedere il venerando Priore recitare in comune le preghiere del mattino e della sera, fare al tramonto dopo la recita del S. Rosario insieme ai numerosi parrocchiani la meditazione e concludere la giornata con l‟esame di coscienza… Una circostanza di non poco rilievo nella vita del il Servo di Dio… l‟essersi indugiato a S. Sabina come Priore di un‟umile Parrocchia per ben quasi trent‟anni e rimanervi contento, felice di sacrificarsi per Dio e per il prossimo, non solo in una posizione al tutto inferiore ai suoi meriti, alla sua profonda dottrina, alle sue rare virtú, nonché alle sue opere letterarie ed ascetiche, date alle stampe... ma in modo speciale in una casa parrocchiale come sopra descritta... 560 Parmi che un uomo di sí illustre fama mondiale, vuoi per scienza, vuoi per singolari virtú sacerdotali, con l‟aver continuato per circa trent‟anni la sua vita in S. Sabina, provi ad oltranza la sua profonda umiltà, il disprezzo degli onori e dei beni con sopra inciso il caratteristico Agnello”. Nella nuova parrocchia in via Donghi, che ne perpetua il nome, sono finiti: “La statua in marmo della Titolare di Bernardo Mantero; il Crocifisso con la Vergine e S. Giovanni di Gerolamo Pittaluga; le tele S. Stefano di Bernardo Castelli; il S. Gregorio di Andrea Ansaldo; il S. Sebastiano di Domenico Cappellini, il busto in marmo del Priore Frassinetti”. 559 G. FRASSINETTI, Santa Sabina martire, narrazione, Genova 1846, pp. 62. “ A voi, o Pii, che con le vostre generose oblazioni concorreste al ristoro di questa Chiesa…”. 560 Aveva dato una descrizione della canonica che qui riassumo. Si entrava dalla piazzetta del campanile. Un piccolo portico, scale strette, umide e prive di finestre, illuminate giorno e notte da una lampada ad olio che il Priore faceva ardere davanti ad una bella statua d‟una Madonna che porge a baciare il piede del Bambino. Molta l‟umidità. Quattro finestre a ponente, con vista del bel cielo di Genova. Una cucina orribile in cui mai entrava raggio di sole per l‟altezza dei fabbricati vicini. Una saletta che serviva da sala da pranzo. Il Frassinetti, amante della povertà e del sacrificio, aveva scelto per sé la stanza piú scomoda e piú piccola che dava sul terrazzo, una cella francescana. Un piccolo lettino accostato alla parete, un cassettone con su un pellicano. Nello studio una libreria lungo la parete, un tavolo con su una grande statua dell‟Immacolata ed un Crocifisso. Dello studio il Lemoyne ci dà questa descrizione: “Piú volte entrato nella sua camera di studio abbastanza grande, vidi volumi di teologia morale antichi e moderni, grossi e piccoli, i quali aperti occupavano tutte le sedie, i tavolini e il sofà con i margini pieni di note da lui scritte”. Eppure in questa casa, umile e disadorna, entrarono non solo i parrocchiani, ma insigni sacerdoti – uno Don Bosco – , vescovi e persone dell‟aristocrazia. 165 terreni, il suo grande zelo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, insomma il complesso delle piú eroiche virtú. Certo cosa singolare. La procedura normale era un‟altra: man mano che una parrocchia appetibile si rendeva vacante e si indiceva il concorso per assegnarla, si verificava uno spostamento di parroci dal meno al piú. Il Frassinetti, con la cultura che aveva, se vi avesse ambito, non sarebbe certo morto priore di Santa Sabina. Ma lí, nel cuore della vecchia Genova, poteva fare del bene, ed altro non cercava. Se ne ebbe una conferma nel 1856, quando il vescovo Charvaz lo umiliò ingiungendogli per castigo un corso d‟esercizi e se ne divulgò la notizia fino a Roma, da allarmare le sorella Santa Paola, e fino in Francia. Il vescovo di Albenga gli offrí la parrocchia di Oneglia,561 la miglior della Diocesi. Il Frassinetti ringraziò, ma, finché non gli fosse stato impedito di continuare a fare un po‟ di bene in Genova, sarebbe rimasto a Santa Sabina. Nel caso avesse dovuto accettare l‟offerta, Oneglia era troppo, gli sarebbe bastato molto meno. Come a volte suole accadere, da un male un bene: la lettera scritta al suo vescovo, in cui chiariva il suo comportamento, ci rivela la conoscenza che aveva del diritto canonico, e quelle scritte alla sorella e al vescovo di Albenga, mons. Raffaele Biale, ci dicono la passione che stava vivendo, ma con tono cosí distaccato da far pensare scriva di altri e di fatti vecchi di mille anni. Ma di questo a suo luogo. Anche dell‟apostolo Paolo ignoreremmo alcune pagine della sua vita, e che pagine!, se non fosse stato costretto a difendere il suo operato. La nuova parrocchia offriva un indubbio vantaggio al suo zelo: il sito al centro di Genova ed un pubblico piú vario e piú numeroso, essendo facilmente accessibile da fedeli di altre parrocchie. Sul luogo poteva poi maggiormente occuparsi della “Beato Leonardo” e dell‟Accademia di studi, piú che da Quinto, in un‟ epoca in cui uno si poteva muovere solo servendosi dei piedi e, tra andata e ritorno, non bastavano due ore, né era strada da potersi fare tutti i giorni. Uomo di studio, a Genova ritrovava le vecchie biblioteche in cui aveva passato tante ore della sua giovinezza. Manuale pratico del parroco novello562 Leggendo si ha l‟impressione di leggere la sua autobiografia. Non è un libro scritto da giovane dove fissa i suoi bei sogni, no, è scritto da vecchio per comunicare la sua esperienza: io ho fatto cosí, provate anche voi. Mi fermo alle prime pagine che qui riassumo. Per essere parroco non basta essere un santo sacerdote, se privi di altre qualità. Prime fra tutte la capacità di annunziare in modo conveniente la parola di Dio e quella di ascoltare le confessioni. Per questo ministero l‟istruzione non è sufficiente, anche se necessaria, se fosse scompagnata dalla prudenza, dalla pazienza, da una quotidiana assiduità al confessionale e da zelo che attrae. Quando a Genova scopersero che il Priore si era fatto del confessionale un suo quasi domicilio, Santa Sabina si fece angusta per i molti che la frequentavano. La terza dote è già presupposta nelle precedenti, ma si slarga ad ogni altra attività di un buon parroco: “Il sacerdote che non si trovasse quotidianamente disposto a tale sorta di sacrifici e privazioni, non dovrebbe aspirare a cure parrocchiali”. Insiste su quotidianamente sottolineandolo. Indugia sulla retta intenzione, ossia mirare solo a santificarsi santificando, perciò “è da deplorare che molti aspirino al ministero parrocchiale come i secolari aspirano ad un impiego non riguardando il bene che possono fare… ma solo all‟utile che possono ritrarre per sé e le proprie famiglie”. Depreca il non ritenere “buona una parrocchia 561 Sarà poi unita a Porto Maurizio, rinominata Imperia e fatta provincia. Manuale pratico del parroco novello, Novara, 1863. 562 G. FRASSINETTI, 166 che non sia pingue”, e quei che per necessità agli inizi si accontentano di una cura di tenue rendita, ma, ancor prima di prenderne possesso, pensano alla rinuncia in vista di altra parrocchia piú pingue. Parroci privi di spirito pastorale, spirito che deve avere dell‟amore materno: Questi parroci si devono paragonare non alle madri, ma alle balie che nutrono i bambini per salario, prontissime a lasciare il primo, quando un altro sia loro offerto con maggior pagamento. Guai alle parrocchie cui sventuratamente tocchi avere a parroco uno di cosí fatti trafficanti! Essi sono dei mercenari del Vangelo, dei quali il lupo non ha paura. Nei suoi scritti ci confessa il suo vissuto, è lui a dircelo: Essendo ormai trent‟anni – in realtà trentadue – che io esercito il ministero di parroco, quantunque in molte cose, ed anche in tutte io possa mancare di scienza speculativa, mi sembra non poter piú mancare di scienza sperimentale; ed avendo già esercitato questo ministero per piú di sette anni anche in una parrocchia fuori di città che ha borgo e villa, la mia esperienza potrebbe valere qualche cosa per le parrocchie di villa, di borgo e di città. All‟infuori di questa io non mi arrogo altra ragione o titolo per giustificare il mio divisamento di dare alle stampe questo Manuale pratico. Io lo presento ai parroci novelli colla libertà di un fratello anziano, che loro può dire: voi, freschi di studi, mi avanzerete nelle cognizioni teoriche, ma nelle pratiche necessariamente m‟avvantaggio io sopra di voi. L‟economia del lavoro non ci permette di porre in parallelo i suoi consigli ai giovani parroci e i fatti della sua vita. Altro non ci è concesso se non di estrapolare dall‟indice il piano di lavoro ed arricchirlo di qualche spigolatura. 167 CAPITOLO XXXIII PARROCO MAESTRO DI PARROCI Giuseppe Frassinetti è autore di un “Manuale del parroco novello” che sa tanto di autobiografia. Pare vi ripensi la vita per accompagnare passo passo un giovane sacerdote che va a dirigere una parrocchia. Comincia dalla presa di possesso e dal primo sermone, dicendogli da quali intenzioni deve sentirsi animato: Un discorso concettoso e fiorito di eleganze, specialmente in questa prima occasione, caratterizza il parroco per uomo leggero e senza cuore… Leggero perché in cerca della gloriuzza che solo gli può venire da saccentini sfaccendati… senza cuore, perché dimostra che a lui non importa fare intendere i suoi pensieri ed affetti alla massima parte di coloro che lo ascoltano. Consigli per il pranzo di presa di possesso: sia quale si conviene non a gran signore o spaccone, ma a un povero pastore di anime… Questa voglia di grandeggiare acquista loro sul bel principio il compatimento dei discreti e le ironie dei beffardi… Accade non di rado che per la leggerezza del sermone e per la sontuosità del pranzo, il giorno di possesso è una cattiva raccomandazione che si fa da per sé il parroco novello. Consigli per l‟arredamento della canonica Certi salotti e salottini parrocchiali sono cosí sfarzosi o galanti da potersi passare per buoni a conti e marchesi oppure a novelli sposi… Il novello parroco dovrà pensare che il suo salotto… è la chiesa… questo il salotto che deve mantenere decoroso e ben ornato affinché ingeneri nel popolo fedele sentimenti di rispetto e devozione... Il parroco che sarà molto sollecito che questo salotto, la chiesa, sia vago e ben adorno non peccherà davanti a Dio e sarà scusato davanti agli uomini se mostrerà di tener negletto il suo salotto particolare. I poveri Mi sono indugiato su questi consigli a riprova di quanto si è affermato: il Frassinetti è uno che consiglia il suo vissuto. Non ci è dato seguirlo pagina per pagina, sia pure sunteggiandolo. Ci limitiamo alla citazione di alcuni titoli: “Come fare le correzioni” – in sottotitolo tratta della dolcezza da usarsi nel farle –, “Come reprimere gli scandali”. Non possiamo però omettere: “Come comportarsi con i poveri”. Si potrebbe compendiare con le poche parole della Didaché, il libretto scritto che forse era ancora vivo l‟apostolo Giovanni: “Si bagni di sudore l‟elemosina nella tua mano, finché non sai a chi la dài”, norma fatta propria dai genovesi in genere e che ha creato loro la fama di essere avari, ma se un genovese sa che ciò che dà diventa pane per chi ha fame e veste per chi è nudo, è difficile trovare gente piú generosa e che dia senza squilli di tromba. Tra i molti ne ha sperimentato qualcosa Don Orione. Nessuna meraviglia se il genovese Frassinetti se ne fa una norma e, avvertito il bisogno, sappia togliersi il pane di bocca. Suggerisce come distinguere i veri poveri da falsi, a chi dei veri poveri dare la preferenza e come comportarsi con gli altri: Con i veri poveri deve avere viscere veramente materne e quindi provvederli nei bisogni con tutta sollecitudine… fare l‟elemosina con modi caritatevoli ed urbani, specialmente se i ricorrenti sono di civile condizione, cui l‟elemosina riesce di per sé tanto umiliante. Deve poi guardarsi dal mostrarsi infastidito. Si ricordi dell‟hilarem datorem diligit Deus… Ai poveri darà del proprio, giusta la sua possibilità, e se ciò non bastasse procurerà loro altre sovvenzioni… Insiste sul “dia ai poveri del proprio quanto può”. C‟era all‟epoca l‟uso di costituire al figlio che si faceva sacerdote una dote piú o meno sostanziosa secondo la ricchezza della famiglia. Di tale proprietà il sacerdote era di fatto padrone solo del reddito, ma non del capitale che, per non aver egli eredi diretti, alla 168 morte tornava ai parenti. No, afferma il Frassinetti, il parroco deve far parte ai poveri anche dei beni di famiglia e si fa ironico con chi non la pensa cosí: Veramente presso alcuni parrochi i beni provenienti dalla famiglia sono cosa sacra, intangibile, da passare ai nipoti in tutta la loro integrità , anzi, per soprappiú, impinguati di tutti i frutti messi sempre in riserbo durante l‟intera vita, perché il parroco deve vivere del beneficio [ecclesiastico] e non defraudare i nipoti o altri parenti della illimitata speranza che tutto il suo debba essere loro. Non vuole entrare in materia di disposizioni giuridiche o di morale, sebbene per la morale vi sarebbe molto da dire, osserverò che i buoni parroci hanno sempre costumato servirsi di tutto il fatto loro per fare il bene, e non può esservi dubbio che le rendite patrimoniali siano fatto loro. Osserverò che quando giudicarono che fosse cosa opportuna, non si servirono solo della rendita. Se il secolare prende la sua parte dello stesso patrimonio e se ne giova come meglio gli aggrada, alienandolo o tutto o in parte, la mandi pure al diavolo, mi si perdoni l‟espressione, è ben mandata, il mondo non ha che dire, l‟ecclesiastico invece, prendendo la sua parte, dovrà prenderla non come padrone, ma come semplice amministratore obbligato a conservarla, anzi a lasciarla migliorata e accresciuta alla famiglia. Viene da dire a certi parroci: Miseri fattori della vostra famiglia, a che vi giovano i vostri beni? Che ne ritraete se non i fastidi dell‟ amministrazione, senza neanche percepirne un salario? Se non volevate servirvene, né per la gloria di Dio, né per il bene del prossimo, era meglio per voi rinunziarvi per togliervi il fastidio di amministrarli. D‟altra parte non sarà mai da credere che quando Iddio ci domanderà conto dell‟uso dei beni a noi elargiti, ne voglia escludere i patrimoniali o che sarà contento che gli rispondiamo: li abbiamo serbati interi per la famiglia. Citazione lunga, ma è un ritratto della sua vita. In una sua minuta parla di una sua zia che batteva a soldi, rivolgendosi al nipote don Raffaele. Don Giuseppe le ha dato cento franchi, cifra notevole all‟epoca, ma vuole vederci chiaro, perché non avendo niente di mio, ma solo quello che ricavo dalla parrocchia, io avrei scrupolo di darlo ai miei parenti senza che mi fosse permesso di informarmi se non vi sia altro mezzo per provvedere alle loro necessità. A un parroco di S. Sabina non sopravanza da far regali di qualche entità. È disposto ad aiutarla, ma vuole vedere chiaro. Di questa zia non si sa piú nulla. Se vede chiaro, chiunque sia il bisognoso, la sua generosità non ha limiti fino a dare piú volte il materasso del suo letto dormendo su un tavolaccio nell‟attesa di potersene procurare un altro. Spulcio dalle deposizioni: I suoi beni alla morte passarono tutti all‟Istituzione dei Figli di Maria, ma dovevano essere ben pochi perché dava tutto ai poveri e la sua canonica era al di sotto di ogni povera canonica. Lasciava ai malati poveri biglietti di banca sotto il cuscino563… Risparmiava sul vitto e su gli abiti quanto poteva per donare ai poveri. Largo nel distribuire ai poveri, non solo quanto riceveva dai benefattori, ma anche del suo. Le elemosine voleva farle di persona per dire una buona parola e per contatto umano. Ad una donna spendacciona con marito disoccupato, invece che soldi come essa avrebbe preferito, aprí un conto dal fornaio. A Genova era dato vedere nelle chiese, e forse ancora, tante sedie ammonticchiate che una donna distribuiva dietro offerta a chi la richiedeva. A Santa Sabina nessuna offerta. Si potrebbe continuare a lungo con le citazioni sul suo disinteresse e la sua generosità. Il non chiedere i diritti d‟autore di quanto andava pubblicando, per tenerne basso il prezzo, senza però cedere la proprietà all‟editore perché non lo aumentasse nelle ristampe, senza contare le copie senza numero regalate. Ne seppe qualcosa Don Bosco che, alla morte dell‟amico, era preoccupato di chi, al suo posto, avrebbe potuto garantirgli l‟esito di un cinquecento copie delle “Letture cattoliche”, copie che il Frassinetti regalava in buon numero. Prova di tanta generosità è l‟aver lasciato ai fratelli sacerdoti un buon numero di libri, non però soldi, e se ne erano passati per quelle mani senza mai attaccarvisi! 563 Ad uno un biglietto da cento lire! 169 La benedizione delle case L‟occasione per stabilire la conoscenza con i parrocchiani sí da poter ripetere con il Signore: “Io conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me”, era la benedizione delle case fatta con comodo, con occhio a cui nulla sfugge. Conoscere e farsi conoscere. Cosa che pone al numero uno. Conoscere la situazione familiare, interessarsi dei fanciulli, se hanno fatto la comunione, se vanno a catechismo, “se vi siano sufficienti letti perché non dormano insieme”, la condizione economica “perché si trovano certe famiglie vergognose, le quali decadute dalla loro condizione, gemono nella piú grande miseria, mancanti di letti di vesti e di tozzo di pane”. Certo una benedizione fatta in tal modo è faticosa, ma, per quanta fatica possa costare, deve essere propria del parroco. Se vecchio e malato, ne benedica ogni anno una parte, delegando il resto ai curati. Disapprova quei parroci che fanno benedire l‟intera parrocchia riservando a sé alcune case di signori da benedire il Sabato Santo. La predicazione Nell‟ultima edizione ben settanta pagine. Comincia con la preparazione: I predicatori, e specialmente i parroci, vanno soggetti ad una tentazione di vanità che loro spesse volte fa dire bugie di predicare senza aver nulla pensato prima. Da una parte credono di farsi onore con il dare ad intendere che essi hanno prontezza di ingegno e tanta facilità di eloquio da non aver bisogno di nessuna preparazione, se la prova riesca bene: se riesce male, credono di scusarsi. No, tutte le prediche vanno preparate, non solo i panegirici ed i quaresimali. È necessario per evitare inesattezze, osservazioni poco adatte, ripetere sempre le stesse cose, disamorare l‟uditorio dall‟ascolto. Insiste sulla chiarezza e l‟ intelligibilità della predicazione. Via i concetti astrusi, le argomentazioni sottili, discorsi forbiti nelle grandi feste, ma parlare alla portata di tutti. Porta l‟esempio di Sant‟ Alfonso: “Sapeva di retorica piú di noi, ma, per farsi capire dalle turbe, non seppe scegliere altro stile che parabole e paragoni dozzinali”. Insiste sull‟ assiduità alla predicazione e condanna quanti nei mesi estivi si prendono vacanza omettendo anche il vangelo domenicale. Come predicare ai fanciulli, come agli adulti, con quale delicatezza toccare il sesto comandamento, come esortare al piú, oltre lo stretto dovuto. Testimonianza che sta suggerendo ciò che egli praticava, sono i numerosi volumi a noi pervenuti con le tracce delle sue prediche, anche dei vangeli e catechismi tenuti gli ultimi anni della vita. Le tracce dei catechismi sono scritte in italiano, ma erano tenuti in genovese, la parlata comune, perché sua preoccupazione era farsi capire anche dall‟analfabeta. Il capitolo si fa lungo e rincresce dover tralasciare il molto che ci sarebbe ancora da dire, specie l‟ultima parte sulle virtú proprie d‟un parroco dove torna ad insistere a lungo sul disinteresse, sullo studio della perfezione cristiana per esserne maestro ed esempio, su una purezza angelica, sull‟orazione. Vi attingeremo negli altri capitoli nel trattare i vari momenti della sua vita. Finisco riportando due citazioni trascritte a mano nelle sue Horæ diurnæ ed una sua preghiera da un foglio volante in aggiunta al “Pactum pacis” riportato nella nota 20 del capitolo 26 che ne rivelano lo spirito. 1. “Figlio mio, dà retta alla mia sapienza Tendi l‟orecchio al mio insegnamento, custodiscine le riflessioni per avere la scienza sulle tue labbra”.564 [Aggiunge: Salita, riposo, convito sul Carmelo]. 2. “Non sanno gli uomini ciò che arriverebbero a fare per sé e per gli altri se si abbandonassero con sincerità nelle mani di Dio”.565 3. 564 Pr 5,1. 565 IGNAZIO DI LOYOLA. 170 Signor mio Gesú Cristo, mio unico Bene e Sposo dell‟anima mia, vi prego, pel merito del vostro prezioso Sangue, a non permette che giammai m‟infastidisca della vostra croce qualunque sia essa. Deh, non permettete che per la mia ignoranza e sensualità vi faccia questo indegnissimo torto.Datemi invece grazia che io la ami con tutto il mio cuore come il piú prezioso pegno del vostro amore.566 CAPITOLO XXXIV 566 Da un foglio volante del Venerabile. Diamo la versione italiana fatta da lui stesso. 171 LE ASSOCIAZIONI Il Frassinetti fu il parroco delle associazioni. Ne abbiamo già anticipato qualcosa parlando del suo parrocato a Quinto mettendo in risalto come tenesse impegnati i fedeli riunendoli in varie associazioni. La sua Teologia morale ha un‟Appendice: Brevi parole ai Sacerdoti fratelli, stampata anche a parte. Vi si legge: “Quanto potremmo fare che non facciamo, se fosse tra noi maggiore unione!”, ed invita a prendere esempio dai nemici del bene che sanno associarsi e combattere uniti per riuscire ad attuare i loro perversi programmi. L‟abbiamo già visto mettere su la “Beato Leonardo” con la sua Accademia di studi ed in quanta stretta unione numerosi sacerdoti vi vissero e vi lavorarono. Fatto parroco, escogiterà varie associazioni perché i fedeli vi si incontrino, vi si formino e si impegnino sostenendosi l‟un l‟altro. L‟opera della catechesi, di cui si è già parlato, ne fu una, non la sola. Un cenno di quelle istituite divenuto parroco a Genova, rifacendoci alle pubblicazioni che per esse scriveva che, piú che programma sul da farsi, sono la storia di quanto aveva già fatto ed un invito a fare. La Pia Unione delle amanti della Santa Modestia propagandata con pagella di quattro pagine. Il nome dice lo scopo. Le ascritte si contarono a migliaia.567 Le amicizie spirituali, imitazione da Santa Teresa di Gesú e stimolo allo zelo per la salute delle anime da Santa Maria Maddalena dei Pazzi.568 Gruppetti di non piú di cinque persone per evitare confusione, ma ciascuno doveva crearne un altro di cinque. Pia unione delle anime desiderose di farsi sante.569 Unione di persone che coltivino il loro spirito e si aiutino tra loro. Pia unione dell‟Immacolata.570 L‟anno innanzi ne era stato dichiarato il dogma. Pia unione del santo ed immacolato Cuore di Maria per la conversione dei peccatori, formata per i fanciulli nella parrocchia di Santa Sabina.571 Grande l‟importanza data alla preghiera dei fanciulli. Vi si iscrissero a migliaia anche di altre parrocchie. Pia unione delle Figlie di Maria Santissima sotto il titolo della Purità,572.da non confondersi con le Figlie di Maria monache in casa. Pensata per le fanciulle per tenerle unite dopo la prima comunione. Conferenza mensile ed ogni anno un corso di esercizi. Pia Unione delle Vedove cristiane sotto il Patrocinio della Vergine Addolorata e di S. Caterina da Genova.573 La beata Rosa Gattorno ne fu una delle piú impegnate prima di passare a fondare le Suore di Sant‟Anna. Soprattutto il pensiero dei malati gravi sí da potersi presentare al cospetto di Dio ed affermare che non una sola della anime a lui affidate era andata perduta. Pensò ad una Pia Unione in cui gli iscritti si obbligassero a far la loro confessione in caso di grave malattia non piú tardi della terza visita del medico e chiedere che venisse tosto loro portato il Viatico e poi amministrata l‟estrema unzione.574 La Pia Associazione per la conservazione ed incremento della fede cattolica fu la regina di tutte fra quante destinate ai fedeli in genere. Riassumiamone l‟origine. Nel 1852 alcuni ecclesiastici, già membri della “B. Leonardo”, ormai cessata per le vicende dei tempi, si consultarono per vedere in qual modo potessero porre un qualche argine ai mali religiosi e morali che già da alcuni anni si diffondevano. Pensarono ad una Pia Associazione per la conservazione ed incremento della fede cattolica che provvedesse ai bisogni dei tempi, tale da potersi estendersi anche altrove. Pronta la critica: Una Associazione Cattolica in una città tutta cattolica! Genova non è un paese protestante! Si aggirò la critica modificandone il nome: Pia Associazione da promuoversi nelle Parrocchie in onore di Maria SS. per la conservazione ed incremento della Fede Cattolica. Ne fu fatta conoscere la proposta tirando una pagella 567 Genova, 1843, pp. 4. Genova, 1853, pp. 32. Ebbe molte ristampe. 569 Genova, 1854, pp. 3. Se ne ebbero molte ristampe. 570 Genova, 1855, pp. 16. 571 Genova, 1860, pp. 14. 572 Genova, 1860, pp. 14. 573 Genova, 1861, pp. 30. 574 Nel programma manoscritto si legge una cinquantina di firme di aderenti, tra le prime quella di Tommaso Reggio di recente dichiarato beato. 172 568 di oltre 12.000 esemplari – numero enorme – ed affidandone la distribuzione a dei “Promotori”. Se ne trovarono in quasi tutte le parrocchie della città. Ogni quindici giorni un‟adunanza nella sacristia di S. Torpete, adunanza divenuta in appresso mensile. Si ebbe ciò che si cercava: un drappello di buoni e fervorosi cristiani, tra i quali venne scelto un Presidente, un Vice, ecc., si formò la Consulta. Si ordinò la prima Commissione per la diffusione dei buoni libri e si formò il Regolamento… Nell‟anno 1853 cominciarono le adunanze generali nel magnifico Oratorio dei Padri di S. Filippo… Di mano in mano si formarono le altre Commissioni… Il primo Presidente fu il Marchese Pantaleone Giustiniani... [cui presto successe] il Marchese G. B. Cambiaso, al cui zelo si deve se la Pia Associazione non perí sul nascere. Se ne creò anche un ramo femminile. Le “Promotrici” cominciarono a radunarsi nella sacristia di S. Sabina… facendo da parte loro altrettanto che gli uomini, sotto la presidenza della Marchesa Eugenia Pallavicini. Esse di piú raccolgono elemosine mensili per mettere in sicuro le fanciulle pericolanti… 575 Le donne in un primo tempo si radunavano nella sacrestia di Santa Sabina finché non trovarono una sede piú appropriata in Sant‟Ambrogio.Tra i loro compiti c‟era anche quello di prendersi cura della ragazze povere e trascurate dai parenti tenendole lontane dal battere la strada. Ciò che si era realizzato a Genova era da estendersi anche altrove qualora un buon cattolico, specialmente se di condizione notevole, radunasse intorno a sé altri tre o quattro zelanti per la gloria di Dio… e cominciasse subito a far qualche cosa, dico cominciasse subito, perché chi differisce aspettando migliori tempi e piú opportuni, ordinariamente non fa mai nulla.576 Si formarono varie “Commissioni”, ciascuna con un suo impegno. Tra i piú importanti quello della diffusione dei buoni libri nelle parrocchie, negli ospedali, negli alberghi, nei ricoveri e nelle comunità religiose. Alle spese pensavano in gran parte gli stessi soci tassandosi in varia misura fino disporre come media annuale dalle due alle tremila lire, cifra per i tempi considerevole. Di preferenza libri di piccola mole da diffondersi in grande quantità. Altre “Commissioni” assolvevano altri impegni: Adorazione diurna al Santissimo Sacramento, Accompagnamento del viatico ai malati gravi, Promozione della frequenza dei fanciulli al catechismo, Adorazione notturna nella chiesa di San Torpete, Porre argine alla propaganda protestante, ed altri ancora. Non ignorò i bisogni materiali degli operai. Nel 1854, insieme al Magnasco, fu fondata la “Società Operaia di mutuo soccorso S. Giovanni Battista” i cui membri si impegnavano ad aiutarsi e a sostenersi vicendevolmente nei loro vari bisogni. La domenica 23 luglio fu tenuta la prima adunanza nella Canonica di S. Torpete per la lettura dello statuto.577 Si notino le novità di alcune di queste associazioni: non nascono come associazioni parrocchiali, ma di piú ampio respiro; né clericali, ma laiche, anche se clero e parroci erano i benvenuti. Non tutti, però, benché buoni cristiani, capivano questa necessità d‟associarsi. 575 Vagheggia anche l‟idea di una Pia Unione tra sacerdoti, nella quale sostenendosi a vicenda nei bisogni dello spirito, si aiutassero anche nelle necessità temporali; tenuto conto della condizione di molti poveri sacerdoti costretti ad una vita stentata. 576 Non meravigli quel “di condizione notevole”. A scriverlo è lo stesso che dava tanto spazio d‟azione alla gente della piú bassa classe sociale. Servirsi di tutti per giungere a tutti. Bene anche i nobili, se sanno mettere prestigio e borsa a servizio del bene. 577 L‟OLIVARI, da cui dipendo, l‟affermava ancora esistente nel 1928 quando scriveva. 173 Sono al mondo persone dotate di eccellenti qualità: mancano tuttavia di una importantissima: la scienza del loro secolo. Sembrano gente di cento anni fa, tanto poco conoscono il tempo presente, perché cento anni fa una vita in tutto privata era la piú commendevole per la generalità dei cristiani; di modo che, tolti gli uomini di pubblico reggimento, tutti gli altri non potevano far cosa migliore che attendere a sé stessi, alle proprie famiglie... esercitando ciascuno da per sé la carità cristiana in tutti i suoi rami. Pensano costoro, che questa vita di ritiro e di astensione da ogni pubblicità sia egualmente commendevole ai dí che corrono, anzi si pregiano di questo loro concentramento in sé stessi, e vanno un po‟ orgogliosetti di poter dire: Io penso a me, io non mi mischio, io non mi intrigo, io faccio il bene alla foggia vecchia. Quindi se a costoro si parli di associazioni, le disapprovano tutte egualmente senza distinguere tra le cattive e le buone, e si guardano cautamente dal prendere parte a nessuna. Uomini del 1754, varcato un secolo, non dovreste piú vivere al nostro: ma poiché vivete tuttora, osservate la differenza che vi ha tra il secolo vostro ed il nostro! Cosí parlava il Frassinetti nel 1854.578 La stampa periodica Non c‟è pagina di questo nostro lavoro, si può dire, in cui non si faccia menzione delle sue pubblicazioni cosí strettamente unite alla sua azione pastorale. Ne abbiamo già avuto piú volte occasione di parlarne e dire come la concepiva. Ma non gli pareva bastasse scrivere e diffondere buoni libri. Pensò alla pubblicazione di un settimanale diverso da quelli che già a Genova esistevano diretti da sacerdoti che avevano fatto parte della “Beato Leonardo”. Giornali battaglieri, polemici, nati a rintuzzare la stampa laica.579 La Carità, il settimanale da lui progettato doveva essere tutt‟altra cosa. Doveva occuparsene la Pia Associazione per la conservazione e l‟incremento della fede. Essere tale che pervenendo piú facilmente di qualunque altro alle mani di tutti – cito l‟Olivari – sia piú diffuso e piú si intrometta nel corpo sociale. Il minimo prezzo è il mezzo piú efficace perché un giornale consegua il suddetto fine: perciò il suo prezzo sarà inferiore a quello di qualunque altro giornale di minor costo... Questo giornale sarà sostanzialmente religioso, trattando brevemente, ma solidamente le materie che sono di maggior importanza alla giornata. Non avrà assolutamente alcun colore politico; unico suo colore sarà il cattolico, che si confà a tutte le esigenze delle oneste opinioni. Esso in qualunque caso conserverà inviolabile rispetto verso tutte le persone. Gli errori saranno combattuti, le colpe disapprovate; ma gli erranti e i colpevoli non saranno menomamente ingiuriati. Principalmente riferirà le notizie religiose, tuttavia non ometterà un ristretto di tutte le altre notizie per conoscere l‟andamento del mondo contemporaneo. Esporrà qualche breve riflessione sul Vangelo della domenica, e qualche schiarimento su di un punto catechistico. Questo giornale uscirà una volta alla settimana. La Carità sarà il suo titolo, nome che esprime l‟unico fine a cui mira e i mezzi di cui si varrà per conseguirlo. Un giornale che non ignorasse quei che non ne leggono alcuno, anche se piccola cosa per tenerne bassissimo il costo. “Per costoro sarà meglio il poco che il nulla”. C‟era modernità di criteri e conoscenza dei bisogni reali del popolo. Purtroppo il Frassinetti non ne vide la realizzazione, pur avendo incontrato l‟ approvazione entusiasta di alcuni vescovi. L‟idea era gettata. A qualche anno dalla morte, a Genova ne 578 OLIVARI, Op. cit. pag. 155. Un testo virgolettato di cui ignoro l‟originale. Non. già che in Genova non si fosse sentita la necessità di insorgere contro le esorbitanze della rivoluzione e dell‟empietà stampando un buon giornale. Un gruppo di cattolici conoscitori esperti dei bisogni dei tempi, fra i quali i sacerdoti Alimonda e Reggio, fondarono nel 1848 l‟Armonia,che fu poi trasferita a Tortino e sotto la direzione del Teologo. Giacomo Margotti diventò piú tardi la gloriosa Unità Cattolica. L‟anno appresso a Genova si fondò il Cattolico e ne ebbe la direzione l‟Alimonda coadiuvato dal Reggio, allora Abate di Carignano. Nel 1861 si trasformò nello Stendardo cattolico, e ne assunse la direzione l‟Abate Reggio, mantenendone lo spirito e temperandone la forma come richiedevano i tempi mutati. Ebbe vita gloriosa fino al 1874. Ma non era questo il genere di giornale a cui mirava il Frassinetti. 174 579 uscirono due invece che uno, e l‟uno e l‟altro avevano tanto del suo programma: L‟amico delle famiglie e la Settimana religiosa.580 CAPITOLO XXXV GIUSEPPE FRASSINETTI ALLE ORIGINI DELLE DOROTEE 580 La loro lunga vita – L’amico delle famiglie uscí per piú di sessanta anni – dimostra quanto fosse indovinata la formula proposta dal Frassinetti. Padre Carlo Olivari vi collaborò fino al giorno in cui chiuse gli occhi – 23 gennaio 1940 – con l‟articolo di fondo firmato con un asterisco. 175 A Genova, e ovunque i fratelli Passi fossero passati, accanto all‟Opera San Raffaele sorgeva quella di Santa Dorotea. Una storia da raccontare essendo l‟inizio della “Congregazione delle Dorotee”, parte precipua dell‟attività pastorale del Frassinetti. Anch‟egli si direbbe scelto da Dio alle sue forme di apostolato prima ancora che fosse concepito nel seno materno, come fu per Geremia,581 predisponendo ambiente ed incontri che lo preparassero al suo ministero, senza violarne in modo alcuno la natura quale gli era stata trasmessa da genovesi figli del popolo. Si è detto come i Frassinetti fossero innamorati della castità pensata dono totale di sé al Signore, e che per Paola il desiderio sembrava si dovesse mutare in rimpianto per non aver dote. Se fosse riuscita ad entrare in convento, sarebbe stata un‟umile suora conversa: cucina orto scopa e lavanderia. Nessun spazio per una qualche iniziativa. Altri erano i piani del Signore. Accadeva in quella casa ciò che era accaduto ai due di Emmaus: sentivano ardersi il cuore in petto senza sapere il perché.582 Piangevano uno che avevano compagno di strada. Cosí Giuseppe, Paola, gli altri fratelli, il padre, la nonna, la zia e la stessa domestica, già senza saperlo vivevano in quella casa-convento la vita a cui sospiravano, mancandone soltanto le forme tradizionali. Nel luglio 1831 il Frassinetti, si è visto, andò parroco a Quinto. Parroco, vi trapiantò, o incrementò, l‟Opera di San Raffaele e di Santa Dorotea. Per questa sollecitò la venuta della sorella riuscendo a superare le resistenze del padre grazie ad una provvidenziale malattia. A detta del medico, a Paola bisognava l‟aria di mare. Di Quinto. Il fratello aveva a cuore la salute della sorella, ma non gli premeva meno quella delle anime delle fanciulle. Chi piú di lei, da lui stesso educata, avrebbe potuto offrirgli collaborazione al riparo delle chiacchiere nel vedere un giovane di ventisei anni occuparsi tanto di ragazze? Per l‟Opera di Santa Dorotea si servirà di lei, non vedendo piú la donna come oggetto passivo di cure pastorali del parroco, ma soggetto attivo capace d‟essere associata al proprio ministero. Paola accetta con gioia questa vita cosí nuova per lei. Per la prima volta viene a godere una libertà di movimento impensabile in casa del padre. Mai una volta uscita di casa se non accompagnata! Le resta però sempre vivo il cruccio di non poter essere una vera suora per quella mancanza di dote. A Quinto il suo problema divenne il problema delle amiche che si andava facendo incoraggiata dal fratello, perché anche in loro, per la direzione spirituale che ricevevano dal parroco in confessione e per la frequentazione di Paola, si era acceso il desiderio di farsi suore, benché prive di dote. Si noti: il Frassinetti non ha rivelazioni dall‟alto, né fa progetti a tavolino. È uno che ha situazioni non cercate da risolvere. Una: la formazione delle ragazze. Il pensiero vola alla sorella da lui ben conosciuta perché da lui educata. Lei la persona da associarsi nel ministero per giungere là dove a lui non era dato di accedere senza suscitare pettegolezzi. Le avrebbe inoltre lenito il rammarico di non poter entrare in convento per la mancanza di dote facendone una monaca in casa impegnata nelle attività parrocchiali. Risolveva cosí il problema della cura delle ragazze, dava alla sorella un qualcosa che la consolasse per non essersi potuta monacare e tranquillizzava il padre che temeva di vedersi la casa vuota da tanti che erano. Mi perdoni il padre un cattivo pensiero: non avrà benedetto in fondo al cuore l‟assoluta impossibilità di costituirle una dote che gli tratteneva la figlia in casa? Vedovo dalla loro infanzia, il figlio Francesco tra i canonici lateranensi, Giuseppe parroco a Quinto, gli altri due, una volta preti, chissà dove… A far famiglia gli rimaneva Paola, in casa se non sposata, vicina di casa se sposata, ricreandogli una famiglia ricca di sorrisi di nipotini. Via anche lei, era troppo. Andasse pure dal fratello a rimettersi in salute. Si sentiva ancora di buona gamba per andarla spesso a trovare e… 581 582 176 Ger 1,5. Lc 24,13-35. a controllare che tra i due non ci fosse un qualche tacito accordo. Dal come si svolsero i fatti parrebbe che ci fosse. A Torino per piú di trent‟anni Don Bosco restrinse la sua opera ai soli maschi. Per il Passi, il Frassinetti e lo Sturla, accanto all‟Opera di San Raffaele, c‟è quella di Santa Dorotea. La prima affidata a chierici e giovani sacerdoti, la seconda a donne di buona volontà. Ma le donne, andate a marito, si sentivano legate ai doveri di famiglia e, se giovani, non mancava in casa la puntura: per i preti il tempo lo trovavano, per le cose di casa no, poca importa se per farsi perdonare il tempo dato ai preti, facessero in casa piú degli altri. Il Frassinetti per fare un po‟ di bene alle fanciulle aveva trovata la soluzione prendendo con sé la sorella facendone il suo braccio destro.583 E per tre anni Paola fu monaca in casa con cuore in convento. A Quinto non mancavano ragazze desiderose di compiacere in tutto il Signore, perché non innamorarle della vita consacrata anche se prive di dote? Per il momento il Priore benediceva l‟amicizia che nasceva tra loro e la sorella, se poi non avessero saputo pensare questa vita tutta di Dio senza convento, da monache in casa, metterne per loro su uno in paese non occorreva molto. Bastava il poco che avrebbero potuto, il loro lavoro e, soprattutto, la Provvidenza che lo Sturla, l‟amico fraterno, pareva avere ingaggiata a suo pieno servizio. Si sarebbe cosí creata alle fanciulle la possibilità di vita consacrata in convento ed avere chi si occupasse dell‟Opera di S. Dorotea. Né lui, né la sorella, né le compagne ambivano di piú, felici di essere suore poverette a servizio del Signore. Fu il Frassinetti a pensarlo? Fu Paola? Giuseppe dice di non ricordarlo. Ricorda però le gravissime difficoltà. Il Prevosto doveva assumersi la cura di quelle zitelle ed era appena all‟età di ventotto anni, suo padre era alienissimo dal permettere che la figlia si levasse dal convivere con lui per racchiudersi con quelle giovani, temendo che quel tentativo producesse un esito sfavorevole, frattanto non si avevano i mezzi per fare fronte alle spese. Il detto prevosto, insieme con il R. Luigi Sturla e gli altri suoi piú intimi amici della Congregazione del B. Leonardo avrebbero voluto tentare l‟impresa che si sperava potesse riuscire di gloria a Dio584. Il corsivo è mio. Ci dice da chi partí l‟iniziativa: dai membri della “Beato Leonardo”. Cosí il giorno di santa Chiara del 1834,585. allora il 12 agosto, nacquero le Figlie di Santa Fede. Ripercorriamone la storia. A Giuseppe premeva: – Dare istruzione religiosa ordinata ad una vita cristianamente vissuta.586 – Eccitare nelle piú fervorose il desiderio di una vita a Dio consacrata. Per chi non potesse entrare in convento, vivere la sostanza dei consigli evangelici in famiglia o, se libere da impegni familiari, in comunità che non esigessero dote. Per il momento nessun vincolo giuridico. “Regola”, un quadernetto. – Vita religiosa non fine a se stessa, ma ordinata alla salvezza delle anime. Nel caso: tenere le fanciulle lontane dal male, formarle alla vita cristiana, insegnare loro il catechismo, i lavori donneschi ed un po‟ a leggere. 583 Da lui formata, sulla cui fronte vedo inciso per copyright il nome del fratello. Si noti come il Frassinetti conosca e sappia scegliere e valorizzare. Un talent scout di buona vista e di buon naso, il Frassinetti. Sceglie tra gente da altri mai presa in considerazione. 584 G. FRASSINETTI, Memorie intorno alla Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio, Oneglia 1857, pp. 63. Riproduce un manoscritto dell‟agosto 1847 con qualche ritocco per cura di don LUIGI BOTTARO. Mia la sottolineatura. 585 Chiesa in cui era seppellito il loro nonno materno, Paolo Viale. 586 Mi si passino le ripetizioni di quanto si è detto nella prima parte aver fatto il Frassinetti chierico e sacerdote novello per la formazione religiosa dei suoi fratelli e della sorella. 177 – Procacciarsi il sostentamento con il lavoro delle proprie mani. Nessun mensile da parte delle ragazze. Se il loro lavoro non fosse bastato, la Provvidenza non avrebbe mancato di supplire con la generosità dei buoni. Programma che si ricava dalle prime pubblicazioni del Frassinetti, a lungo vissute ed esperimentato prima di venire steso sulla carta. Il tenore delle esortazioni del Frassinetti dovette essere piú o meno quello che si legge nei libretti diretti al popolo in generale ed alle giovanette in particolare: Culto perpetuo in onore del SS. Sacramento, 1839; La santa verginità, 1841; La forza di un libretto, 1841; Compendio di teologia dogmatica, 1842, scritto in italiano perché se ne potessero servire non solo i chierici – gli studi ecclesiastici all‟epoca erano fatti in lingua latina, persino la fisica! –, ma anche chi fosse solo in grado di saper leggere, il caso della sorella e di parte delle sue amiche; Il conforto dell‟anima divota, 1844; Avviamento dei giovanetti nella divozione a Maria Santissima, 1845. Fondamentale, anche se del 1853, le Amicizie spirituali, imitazione da santa Teresa di Gesú e stimolo per la salute delle anime da santa Maria Maddalena de‟ Pazzi, ossia trovare nell‟amicizia l‟aiuto per il raggiungimento della perfezione cristiana con reciproche esortazioni e con correzioni fraterne. Grande fu la rispondenza delle giovanette: Né cessavano esse [le ragazze di Quinto] di importunare il Signor Prevosto, che era pure confessore di tutte loro – scrive la Vassallo –, per avere consiglio ed aiuto in un‟impresa nella quale la loro povertà opponeva fortissimi ostacoli. Il buon Prevosto desiderava vivamente contentarle e, come raccontava la buona sorella Danero, cominciò proprio da essa a cercare di riuscirci. La mandò dunque a chiamare la mamma e… le chiese quanto avrebbe potuto dare per dote… La povera donna rispose che a forza di molti stenti e sacrifici… era riuscita a mettere insieme la somma di lire genovesi duecento. Il Frassinetti, che… aveva saputo che anche in qualità di converse non si richiedeva, oltre al corredo, meno di due o tre mila lire, esclamò: “Oh, come siamo lontani dal cammino! Voglio io mettere su un istituto per il quale non ci sia bisogno di tanti denari”.587 Appare chiaro che il Frassinetti, avendo innamorato della vita consacrata la sorella e queste ragazze, ha da risolvere una difficoltà insormontabile: la dote. Quindi è lui, il Frassinetti, che, costretto a trovare una soluzione, pensa ad un nuovo istituto che non ponga un tale ostacolo. Ostacolo inesistente per chi fosse stata provvista di mezzi. Del resto, è poco verosimile che la sorella, mai prima d‟allora fatta uscire di casa da sola, pensasse di fondare lei una congregazione religiosa. È il Frassinetti che ne parla alla sorella, quindi sua l‟idea di un nuovo istituto, com‟era in gran parte suo il merito della vocazione di quelle ragazze: L‟idea del nuovo Istituto – depone con giuramento la Sommariva – venne prima in mente al suo fratello D. Giuseppe appunto quando incontrò difficoltà per collocare in religione la sorella, ossia pensò alla possibilità di fondare una Congregazione religiosa dove non si richiedesse sempre, cioè in tutti i casi, la dote.588 Una congregazione con una duplice finalità: dare a quelle fanciulle la possibilità di santificarsi consacrandosi al Signore e servirsi di loro per la formazione cristiana delle altre ragazze curando l‟Opera di Santa Dorotea. Cosí, come con lo Sturla aveva fondato la “Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio” spinto dall‟urgenza di avere chierici e giovani sacerdoti ben formati per l‟Opera di San Raffaele, spinto dalla stessa urgenza, servendosi della sorella e delle sue amiche pensò di poter dare all‟Opera di Santa Dorotea catechiste qualificate e maestre di 587 588 178 E. VASSALLO, Memorie…, pp. 163s. Positio, Summarium, pp. 82s. santità. Una longa manus del parroco per giungere là dove egli non poteva senza suscitare pettegolezzi e, soprattutto, con quella efficacia con cui potevano le donne. Si noti come tutto ha per centro la parrocchia. Fin dalle origini vediamo il Frassinetti impegnato nella formazione non solo di collaboratori, ma anche di collaboratrici per poter espletare un ministero altrimenti precluso. Suo compito dar loro un‟ottima formazione spirituale e buona cultura religiosa perché la cura delle giovani non si esaurisse nell‟ apprendimento mnemonico di formule di catechismo non comprese o, peggio, mal comprese, ed in questa e quella pratica di pietà. Non fonda per loro un‟accademia come aveva fatto per i chierici di teologia ed il giovane clero, essendo a quei tempi impensabile per le donne per l‟assenza d‟un minimo di cultura di base, ma non passa giorno che non faccia loro un‟istruzione. Con la sorella l‟aveva già fatto fin da studente. Si trattava solo di continuare allargandosi. Paola, maturata in questo clima, ripeteva con le ragazze ciò che dal fratello aveva sentito raccontare facesse lo Sturla: ricreazione e catechismo. In piú innamorare quante piú ne potesse alla vita consacrata educandone la spiritualità con le opere ascetiche di sant‟Alfonso. Se Paola non entrò in un monastero disposto a chiudere un occhio sulla dote, la ragione, si legge, fu perché non vi si osservava con rigore il voto di povertà. Solo questa la ragione o non anche per non rinunciare all‟apostolato tra le giovani a cui era stata iniziata dal fratello e che assolveva con gioia? Cosí, mentre a sostegno dell‟Opera di San Raffaele c‟era la “Beato Leonardo”, a sostegno dell‟Opera di Santa Dorotea prendeva concretezza un nuovo istituto di ragazze del popolo a Dio consacrate.589 “Questo Istituto pertanto ebbe il suo principio dalla Congregazione del B. Leonardo”, parole del Frassinetti, scritte nel 1847, stampate nel 1857, viva la sorella.590 Il fuoco si propagava: Gianelli, i “Ragazzi del Gianelli”, Giuseppe Frassinetti, Luigi Sturla, Giovanni Battista Cattaneo, Salvatore Magnasco, Tommaso Reggio… che, a loro volta, appiccano fuoco ad altri compagni. Giuseppe ai fratelli piú giovani ed alla sorella, la sorella alle ragazze di Quinto... L‟orchestra si fa sempre piú numerosa. È Giuseppe che dice a queste ragazze che la consacrazione si può vivere anche senza la protezione delle mura d‟un convento. 591 Ma alla sorella ed alle sue amiche sembrava poco se non si fosse lasciata la propria casa per vivere in comunità. Giuseppe le accontenta compilando una regola per loro. Le Figlie di Santa Fede Una piccola cosa, su misura d‟una parrocchia d‟un duemila anime, come gli ricorderà la sorella quando la piccola cosa si stava mutando in una grande cosa: “Se ti ricordi, quando abbiamo cominciato l‟Istituto non avevamo certo intenzione di fare una cosa grande”.592 Si notino i plurali: Abbiamo cominciato, non avevamo intenzione. In italiano, a differenza dell‟inglese, il “NOI” si può sottintendere tanto è chiaramente incluso nella voce verbale. Quindi per Paola le Dorotee erano state fondate da”NOI”, lei ed il fratello. No, il Frassinetti non 589 Ai collaboratori ed alle collaboratrici il Frassinetti chiedeva innanzi tutto cultura religiosa e santità, perché il loro zelo fosse zelo illuminato. Per questo si era fatto scrittore. 590.G. FRASSINETTI, Memorie intorno…, pp. 62-66. Un documento di tale valore fu ignorato dal Processo di Paola e da tutti i suoi biografi eccetto la Rossetto che conosce il Documento IV delle Memorie intorno… come III nel volume XIII dell‟edizione vaticana delle Opere edite ed inedite del Frassinetti. R. ROSSETTO, Paola Frassinetti, Padova 1984, lo cita a pp. 37.38.41, senza però mettere in risalto il valore e notare che la nascita dell‟Istituto è presentata dal Frassinetti come una fondazione della “Beato Leonardo”. 591 Tesi sostenuta ne La forza di un libretto. 592 P. FRASSINETTI, OP. cit., Lettera al fratello in data 4 luglio 1851, p. 84. 179 pensava di “fare una cosa grande”, fondare una nuova congregazione religiosa sul modello delle antiche, né andò oltre l‟apertura d‟una piccola casa in cui un gruppo di giovanette da lui guidate facessero vita comune. L‟origine delle Dorotee ci viene da lui stesso raccontata parlando di sé in terza persona e ponendosi secondo il suo stile in ombra.593 Ciò che tante volte si è tentato, né mai fu dato ottenere stabilmente, di formare cioè un Istituto per le povere zitelle594 nel quale fossero ricevute senza dote, si è voluto tentare nuovamente nella parrocchia di S. Pietro di Quinto nell‟anno 1834. Il Prevosto di questa Parrocchia, Giuseppe Frassinetti, aveva con sé una sorella unica per nome Paola, la quale aveva desiderato ritirarsi dal secolo, ma, per mancanza di dote, non aveva potuto effettuare il suo desiderio. Convivendo col fratello si era messa in intima relazione con alcune zitelle del luogo date alla pietà e desiderose anch‟esse di ritirarsi dal mondo, ma esse pure mancanti della dote necessaria …. Non ricordo se la suddetta sorella del Prevosto abbia ideato per se stessa, oppure le fosse suggerito il tentativo di formare un Istituto per le zitelle povere, è certo che si diede all‟impresa con molto calore. La cosa presentava gravissime difficoltà. Il Prevosto doveva assumersi la cura di quelle zitelle ed era appena all‟età di ventotto anni… Insieme col R.do Luigi Sturla e gli altri suoi piú intimi amici della Congregazione del B. Leonardo avrebbero voluto tentare l‟impresa.... Consultarono allora il R.do P. Bresciani della Compagnia di Gesú… Egli approvò il divisamento e lo incoraggiò. Facendosi molte preghiere, il Prevosto stese una specie di Regolamento per la nuova Comunità… Erano in numero di sette: Paola Frassinetti era la Superiora… presero una casa a pigione… per l‟annuo fitto di Ln (lire nuove) 120, volendo pagare il primo semestre il suddetto P. Bresciani… Quindi ai 12 agosto del 1834, giorno di S. Chiara, che si avevano scelto a loro singolare protettrice, si radunarono in quella Casa…595 Nacquero cosí le “Figlie di Santa Fede” Nell‟anno 1835, venuto in Quinto il M.to R.do Luca de‟ Conti Passi, fondatore della Pia Opera di S. Raffaele e S. Dororea, visitò la nascente Comunità, e... credette di potersi servire di loro come di primi elementi per la fondazione dell‟Istituto regolare di Sta Dorotea che stava divisando; fatta la proposta, esse vi accondiscesero come pure i membri della Congregazione [del “Beato Leonardo”] che ne avevano cura.596 Fondatore il Passi, no, ma fu certo molto, molto di piú, di una cara conoscenza che si usa invitare nei giorni ricordevoli, avendo avuto una parte tutt‟altro che secondaria nella scelta della loro attività, quanto dire della stessa ragione di essere di tutte le Dorotee, non escluse quelle della Frassinetti. Ne è prova il mutamento di nome: da Figlie di Santa Fede in Suore di Santa Dorotea. Fallí, invece, nel tentativo di unire i diversi istituti, che avevano scelto per scopo la stessa Opera in un‟unica grande famiglia, lasciando a ciascun gruppo il piú ampio respiro che ai tempi si potesse immaginare.597 Queste “zitelle”, come già la sorella, non furono oggetto passivo delle cure del Priore, ragazze cui altro non si fosse chiesto se non obbedienza passiva al loro direttore spirituale, né ad altro orientate se non alla propria santificazione. Come il Signore aveva curato in modo del tutto particolare i Dodici pensando ai tutti, cosí il Frassinetti cura questo drappelletto di ragazze 593 G. FRASSINETTI, Memorie intorno…, Documento IV, pp. 62-66. All‟epoca “zitella” stava per “ragazza” 595 G. FRASSINETTI, Memorie intorno…, Documento IV, p. 62-66. 596 Ivi. 597 All‟inizio le Dorotee, tutti i rami delle Dorotee, ebbero Regole che fanno pensare a quelle che San Filippo diede agli oratoriani: ogni casa completamente autonoma dalle altre – per le Dorotee: ogni gruppo di case – per quel che riguarda il governo, ma tutte aventi la stessa regola con possibilità di prestiti di personale. 180 594 pensando a tutte le ragazze della parrocchia. Il Frassinetti non fa di queste ragazze un corpus separatum. Vuole che vivano in pienezza la vita della Chiesa a vantaggio della Chiesa che, per ora, nel concreto, è la loro parrocchia, Quinto. Cosa possono fare delle fanciulle? Comunicare la loro ricchezza spirituale alle fanciulle del villaggio. Quando poi la sorella prende una strada diversa da quella che egli aveva pensato, lasciò che andasse dove lo Spirito le menava. Fu un guadagno? Fu una perdita? Chi è in grado di dirlo? CAPITOLO XXXVI A CIASCUNO IL SUO Prima di lasciare le Dorotee dobbiamo soffermarci ancora sui rapporti tra Giuseppe e la sorella. Le prime biografe rivendicano a Paola essere stata la sola fondatrice, titolo che pareva insidiato dalla figura di don Luca Passi!598 Dal fratello no, che, fin dagli inizi, seppe porsi in 598 F. SARTORI, Vita del conte cavaliere don Luca Passi… fondatore della Pia Opera e del Religioso Istituto di S . Dorotea, Padova, 1882, p. 208. La vita, uscita a spoglie di Paola ancora calde, rivendicava al Passi il titolo di fondatore non solo delle Dorotee di Venezia, ma anche di quelle di Genova. Se il Sartori pecca nell‟aggiungere, le biografe nel togliere. 181 ombra, anche se non si potrebbe contestargli il titolo di “confondatore”. Le Memorie delle biografe, non ostante il molto insistere che Paola fu la sola fondatrice, lasciano l‟impressione che il vero ideatore e fondatore fu il fratello. I salmi sono di Davide. Tutti? Vecchia la tendenza di attribuire al piú famoso anche la produzione dei ritenuti meno famosi. Nessuna meraviglia se anche nelle vite dei santi, si tenda ad epicizzare chi è creduto il protagonista aggiungendo al suo l‟altrui dando ad una congregazione un solo fondatore, restii a dividerne con altri la gloria. A pranzo da amici, genitori di una bimba incantevole di quattro anni, ci fu il dolce in mio onore. – Lo hai fatto tu? – Chiesi alla bimba. – Sí, ma mi ha anche aiutato mamma. La madre la guardò e sorrise compiaciuta di tanta onestà, lei guardò la mamma e sorrise. Del resto era fatto in casa da quei di casa e, perché roba di casa, roba sua. Cosí in cielo il fratello avrà guardato la sorella, e la sorella il fratello, ed avranno sorriso dell‟insistere della Vassallo la Sommariva e la Masyn che unica fondatrice fu Paola. Certo, ma con l‟aiuto del fratello. “Frassinetti” Paola, “Frassinetti” Giuseppe, sempre di “Frassinetti” si tratta, ed in casa non si guarda questo è mio e questo è tuo. Qui non ci si domanda se Paola fu indipendente dal fratello nella direzione dell‟istituto, avendolo essa affermato a chiare parole: Io non domandai a mio fratello notizia alcuna di voi… e caso gli avessi domandato qualche relazione, non sarebbe stato un dargli autorità sopra di voi… Se mio fratello vede le cose diversamente che ve ne preme? Egli non è né il vostro Direttore, né confessore. Lo stesso vi dico riguardo di D. Sturla, certo che per gratitudine per ciò che [lo Sturla] ha fatto, bisogna, quando si può senza mancare all‟essenziale, usargli qualche condiscendenza o almeno aver pazienza alle sue importunità… 599 La lettera successiva ancora piú chiara: Vorrei che vi persuadeste che io sono contenta di tutto ciò che avete fatto, e solo vi mandai la lettera di mio fratello per vostra regola e vi dissi di farla vedere a D. Filippo [Storace] perché, se mai vi fosse stato qualche cosa da dovere in qualche modo mitigare, ve ne avesse avvertito; ma, del resto, io conosco bene mio fratello e Prete Sturla e a bella posta non ho loro mandato nessuna ingerenza e nessuna autorità.600 599 P. FRASSINETTI, Lett. 131, a suor Gianelli superiora di Genova, 19.9.1857, p. 154. P. FRASSINETTI, Lett. 134, p. 158, in data 21.12.1857. Conosceva Paola veramente i due o credeva di conoscerli? Lo Sturla era tornato dall‟esilio in Arabia da poche settimane. Durante i nove anni di lontananza mai aveva dimenticato Paola, autorizzando il suo amministratore di passarle i frutti dei suoi beni. Una bella somma. La qualche condiscendenza usategli dalla Gianelli dovette far capire allo Sturla di non essere gradito, quindi meglio appartarsi, cosa di cui Paola non saprà poi rendersi ragione, Lettera al fratello del 12-07-1859, p. 190. Sturla non cessò di essere Sturla fino agli ultimi giorni: “Sopraccarico di tante occupazioni e fatiche, osò accingersi ad una impresa che prevedeva non avrebbe potuto condurre a fine senza immensi fastidi e sollecitudini, né senza gravissime responsabilità: impresa cui d‟altra parte nessun altro avrebbe voluto sobbarcarsi, se egli non era… comprare un fondo ad un Pio Istituto – leggi: Dorotee –, e trovare nientemeno che settanta e piú mila lire in poco tempo… vi si accinse e riuscí… Fu l‟ultima impresa dello Sturla, che doveva coronare tutte le altre e quasi segnare la fine della sua carriera mortale”. G. FRASSINETTI, Memorie intorno alla vita del sac. Luigi Sturla, Genova 1871, pp. 90s. Nella seconda edizione, uscita per il centenario della nascita dello Sturla, Genova 1905, a p. 89 leggiamo in nota. “Si tratta della compera del palazzo Raggio, in S. Francesco d‟Albaro, fatta dalla Frassinetti per le sue Suore Dorotee. E la compera fu fatta per opera di quel zelantissimo sacerdote Sturla (che sino alla morte fu protettore instancabile dell‟Istituto)”, A. CAPECELATRO, Vita di Paola Frassinetti 223. 182 600 Fu Paola indipendente dal fratello fin dalle prime origini? Stando alle Memorie ci fu rottura da prima che formassero comunità, e rottura definitiva. Paola avrebbe accettato dal fratello solo un aiuto esterno: Non possiamo determinare con certezza se l‟idea del nuovo istituto sorgesse nella mente della Madre nostra o in quella del fratello suo… Quel che è certo si è che… don Giuseppe coadiuvò la sorella nella fondazione e le fu di grande aiuto; sebbene… egli, prima ancora che le candidate si riunissero in comunità, si ritirò, e Paola da sola – questo corsivo nel testo, gli altri miei – andò innanzi con coraggio e fiducia in Dio, il che vedendo il fratello tornò ad aiutarla ed essa gli mostrò sempre molta gratitudine e deferenza governando però il suo istituto senza punto dipendere da lui.601 Piena indipendenza, quindi, e questa ne sarebbe stata l‟occasione: Avvicinandosi il tempo di riunirsi in comunità… chi sotto un pretesto, chi sotto un altro, [le compagne] si ritirarono. Il prevosto, vista la mal parata, dichiarò alla sorella che egli non intendeva piú di andare innanzi, e che perciò lasciasse in libertà tutte quelle giovani. Si contristò Paola…: “Ma come?! Dopo che ci hai messo in ballo – quindi l‟iniziativa era del fratello –, ci abbandoni?… Ebbene, se tu ti ritiri, io mi sento il coraggio di andare avanti da sola”.602 Su questa risposta le Dorotee argomentano che fu Paola l‟unica fondatrice sottolineando innumerevoli volte il “da sola!”, senza escludere aiuti esterni del fratello. Se non si fosse ricreduto, Paola sarebbe andata avanti da sola. Se alle parole di Paola si volesse dare un valore letterale, verrebbe da pensare che o non si rendeva conto di quel che diceva, o che peccava gravemente di presunzione. Valore d’uno scambio di battute Le biografe lo prendono troppo alla lettera e lo forzano a provare la piena autonomia di Paola fin da prima che si radunassero in comunità. Paola, e solo Paola, fu l‟unica fondatrice e, a sentire la Vassallo, per divina disposizione!603 In realtà fu solo rumore di parole, continuando l‟uno e l‟altra nell‟impegno che si erano assunto, e nello stesso rapporto. Le parole di Paola sanno di minaccia, ma per costringere il fratello a non desistere, e sapeva di minaccia la decisione del fratello di volersene lavare le mani per costringere la sorella a premere sulle compagne per un piú serio impegno. Quel “Dopo che ci hai messo in ballo ci abbandoni?” dimostra che l‟iniziativa era stata del fratello. Giuseppe fa la voce grossa volendo piú decisione nelle ragazze. Paola risponde sullo stesso tono, ma capisce che ha ragione e per non perderne l‟aiuto – altro che avanti da sola! –, le chiama e pone l‟aut aut che il fratello aveva posto a lei: volevano o non volevano farsi suore? Il fratello ne resta soddisfatto e tutto torna come prima senza discontinuità. Rumore di parole. Ancora per alcuni anni è sempre Giuseppe colui che dice, che fa e fa fare, è lui che continua ad essere quel che da anni era stato con la sorella: guida e autorità che decide. Per dimostrarlo basta rileggere le testimonianze delle stesse dorotee che non 601 Memorie, p. 18. Memorie, pp. 20s. 603 E. VASSALLO, Memorie, pp. 177s. Per la Neirotti lo scambio di battute “prova all‟evidenza che la fondatrice è LEI – maiuscolo nel testo –”, Op. cit., p. 24. Le basta davvero poco per l‟evidenza. La Rossetto: “Il fratello, stupito di tanta decisione, le rispose: – Fa‟ pure – e soggiunse – : Tu, o hai una grande presunzione, o una gran fede”, Op. cit. p. 39. Solo lei pone queste parole in bocca a Giuseppe. In forma un po‟ diversa, e sempre per sentito dire, suor Bozzano al Processo, Positio p. 102, ma in altro contesto. 183 602 avvertono di smentire l‟interpretazione data da loro a quello scambio di battute messo in tanto in risalto. Vedendo il prevosto che le cose procedevano bene, riprese animo e venne nuovamente in aiuto della sorella ripigliando le intralasciate istruzioni e applicandosi con maggior impegno, che non per lo innanzi ad esercitare nella virtú quell‟eletto drappello… Alle volte invitava dei sacerdoti suoi amici, e voleva che le candidate esponessero in loro presenza le difficoltà che intravedevano… 604 Assenza totale del da sola, tante volte ripetuto. Quei sacerdoti suoi amici sono lo Sturla, il Cattaneo ed altri della “Beato Leonardo”. Giuseppe vedeva ciò che Paola non vedeva, ed aveva responsabilità che Paola non aveva, né poteva avvertire. Se tutto si fosse risolto nel nulla, la responsabilità del fallimento sarebbe ricaduta tutta e soltanto su Giuseppe, non su di lei, e Giuseppe doveva tenere conto dell‟opposizione del padre il cui cuore ancora sanguinava per quel sí estortogli dal figlio; tener conto delle chiacchiere della gente d‟un piccolo villaggio. Le critiche sarebbero ricadute tutte su quel parroco cosí giovane e cosí amante di novità. Non poteva rischiare di compromettere la sua azione pastorale che dava l‟impressione che a Quinto ci fosse una continua missione. Doveva poi tener conto della malevolenza di parte del clero genovese con gli occhi fissi su di lui per trovare di che accusarlo, denigrarlo e screditare la sua creatura, la “Beato Leonardo”, a cui l‟Opera di Quinto si rifaceva. Le biografe non avvertono di essere smentite dal loro stesso racconto presentando sempre Giuseppe come chi si dà da fare e chi prende decisioni: Don Giuseppe… pregò il padre di volergli mandare [la sorella] a Quinto. Non ci volle molto perché Paola entrasse nei disegni del fratello… [e] si accinse all‟opera che doveva essere come il primo noviziato di tutta la sua vita… Non possiamo determinare con certezza se l‟idea del nuovo Istituto sorgesse prima nella mente della Madre nostra o in quella del fratello suo… – la Sommariva l‟attribuisce al fratello –. 605 Il Frassinetti comunicò il disegno a vari sacerdoti suoi amici, fra cui don Luigi Sturla,… il sac. Boccalandro, confessore di Paola [e coadiutore del Frassinetti]… e, sopra tutti, il gesuita padre Antonio Bresciani…606 È lo stile del Frassinetti. Non fa cosa senza renderne partecipi gli amici della “Beato Leonardo”: Il nuovo istituto promana dalla “Beato Leonardo”.607 Vi fu la presenza di un gesuita, il padre Bresciani, ma solo come consigliere: Dal vedere che il primo consultore cui si rivolgevano i fondatori della Congregazione era un Gesuita – scrive il Frassinetti –, non si deve con ciò argomentare, che questi padri abbiano avuto parte nella prima idea della Congregazione, sicché possa riputarsi opera loro...608 Si noti: “i fondatori”. I neretti sono miei. Riprendiamo la lettura delle biografe: Il prevosto Frassinetti e la sorella presero ad esplorare privatamente l‟animo di quelle giovani… e ne trovarono subito dodici… Ma prima di riunirle a vivere in comunità vollero che per circa un anno ognuna di loro abitando nella propria famiglia desse prova della sua stabilità; ed intanto il 604 Memorie, p. 22. “L‟idea del nuovo Istituto – depone sotto giuramento – venne prima in mente al suo fratello”, Positio, Summarium, pp. 82s. 606 Memorie, pp. 14.17s. 607 [G. FRASSINETTI], Memorie intorno…, Documento IV, pp. 62-66. 608 [G. FRASSINETTI], Memorie intorno…, p. 21. 184 605 Frassinetti nei giorni festivi le radunava… esponendo loro con semplicità e chiarezza i vantaggi e le difficoltà della vita religiosa… Non si contentava che le future religiose imparassero la sola teoria della virtú; bramava che imparassero anche piú a praticarla… E acciocché sempre meglio si avvezzassero ad ubbidire, era stabilito che per turno settimanale ciascuna di esse facesse da superiora alle altre; ma era stabilito che chi faceva da superiora non approvasse, né suggerisse o imponesse alle altre mortificazione alcuna, senza il consiglio del prevosto. La prima all‟esercizio dell‟ ubbidienza e della mortificazione era Paola.609 La superiora di turno, in carica una settimana, non doveva perciò godere di molta autorità. È il Frassinetti che decide, è il Frassinetti che dirige, è il Frassinetti il superiore di fatto, è il Frassinetti che scrive le prime Regole per una comunità d‟una mezza dozzina di ragazze. Anche quando sono già riunite in comunità, è il Frassinetti colui che dispone e tutte gli obbediscono, la sorella per prima.610 Ed è il fratello che le strappa il consenso del padre. Lo ricorda la stessa Paola: Avvenne un giorno – raccontava Paola – che, andati in parrocchia alla spiegazione del catechismo per gli adulti, mio fratello… cominciò a declamare contro quei genitori che ostinatamente si oppongono alla vocazione religiosa dei figli… io, che sedevo proprio acanto a mio padre,… non sapevo dove posare lo sguardo. Tornammo a casa in silenzio, ché io non osava fiatare e, messici a tavola, mio padre era serio… finalmente, volto al Prevosto, gli disse: “se tu avevi qualche osservazione da farmi, me la potevi fare in privato, senza mettermi in berlina davanti a tutti”.611 Ne fu cosí vinta la resistenza e come Dio volle – continuano le Memorie –, il signor Frassinetti si piegò finalmente a dare alla figlia il tanto sospirato consenso… Paola, aiutata dal fratello, si diè tosto a cercare l‟asilo che doveva accoglierla… e trovò opportunissima una casina.612 Aiutata dal fratello. Piú verosimile il fratello su indicazione della sorella. Si pensi lo stupore del padrone nel vedere una ragazza chiedergli la casa in affitto! Cosa inaudita in un paesetto dell‟Ottocento! Il primo pensiero sarebbe stato un cattivo pensiero. Se non le fosse stata chiusa la porta in faccia, si sarebbe sentita dire perché non fosse venuto il prevosto. Venisse, e se ne sarebbe parlato. E poi, come avrebbe potuto stipulare lei il contratto non disponendo d‟un soldo? Né era portata a contrattare. Andata a Roma, sente urgente bisogno dello Sturla e prega il fratello di mandalo: “sai bene – gli scrive – quanto poco sono capace di tali affari”.613 Ma, soprattutto, è il fratello che ne nutriva lo spirito. A rompere la monotonia del lavoro e a sollevare lo spirito, leggevano ad ogni ora una massima di pietà in un manoscritto del prevosto Frassinetti… né mancava il dolce sollievo del canto, giacché quelle nostre prime Madri dovevano ripetere di tanto in tanto, sulle consuete ariette popolari, divote canzoncine in lode di Dio e della santissima Vergine, prese per lo piú dalle opere di S. Alfonso Maria de‟ Liguori. Erano tutte ascritte al Culto perpetuo del SS.mo Sacramento…614 609 Memorie, pp. 18s. Memorie, p. 29. 611 Memorie, p. 32. 612 Memorie, p. 23. 613 Non lo dice, ma sa che, andando, lo Sturla portava con sé anche la sua borsa. 614 Memorie, p. 28. 610 185 Le biografe sono male informate. Abbiamo la prima stesura del manoscritto del Frassinetti con correzioni e ripensamenti, specie nella parte poetica. Sono strofette composte per loro dal Frassinetti, non del Liguori.615 Si ricordò di essere stato poeta negli anni di “Rettorica” e mise l‟arte a sevizio della pietà. L‟ impostazione è benedettina, un “Ora et labora”, adattato a ragazze di poca cultura ed anche analfabete. Cinque ore al giorno di lavoro in silenzio, rotto ogni tanto dalla lettura di un pensiero d‟un paio righe. Alla fine di ogni ora si cantava una strofetta. Ci sono pervenute seicento considerazioni e 78 strofette in vario metro, tutte adatte al canto,616 tutte composizioni del Frassinetti, eccetto otto prese dal Metastasio, in piú il salmo 136 in una sua traduzione poetica. Anche la catena ininterrotta di adoratori ed adoratrici dell‟Eucaristia si rifà allo zelo del Frassinetti.617 Continuiamo la lettura: La fondatrice aveva stabilito che per addestrarsi a parlare… dovessero tutte per turno giornaliero parlare or sopra questa, or sopra quella virtú… assai di frequente in presenza del prevosto e non di rado anche al cospetto di altri sacerdoti che il prevosto spesso conduceva seco… La sorella Danero ci raccontava che essa aveva dovuto fare il suo ragionamento tre giorni appena dopo l‟ingresso in religione…618 “La fondatrice aveva stabilito”, lei o il fratello? Rivedremo la Danero tra le suore converse, cioè tra le addette ai servizi di casa, mentre, alla scuola del Frassinetti, era stata preparata all‟apostolato tra le giovani ed esercitata a parlare. Nelle Regole del 1851, dalla cui elaborazione il Frassinetti fu tenuto fuori, si nota uno scadimento per la rigida divisione introdotta tra maestre e converse.619 Anche qui, come nel suo Catechismo dogmatico, dove sono i ragazzi che chiedono al maestro d‟essere illuminati su questo e quel punto, e non il maestro che pone domande a cui si risponde con un imparaticcio a memoria, si avverte il tocco pedagogico del Frassinetti che muta l‟uditorio da passivo in attivo. Le Figlie di Santa Fede diventano Suore di Santa Dorotea Da piú di un anno il Frassinetti dirigeva il nuovo istituto come superiore di fatto. Nell‟estate del 1835 aveva infierito il colera ed il prevosto e le ragazze si erano prodigati nell‟assistenza dei contagiati, non però Paola a cui il padre aveva ingiunto di rimanere a casa, quindi ancora a lui soggetta.620 Prima che l‟anno finisse ci fu la visita del Passi. Si congratulò della nuova istituzione e propose come scopo specifico l‟Opera di Santa Dorotea e che vi si impegnassero con un quarto voto. L‟ iniziativa partí dal Passi. Paola ascoltò il Passi ed il fratello senza trovare da ridire sul nome nuovo non di sua scelta: Suore di Santa Dorotea.621 Lo stesso anno parte delle fanciulle si ritirarono richiamate dai genitori forse per averle viste esposte al contagio. A porre i genitori da parte della ragionevolezza c‟era l‟esempio del padre di Paola che alla figlia aveva proibito l‟assistenza dei colerosi e l‟aveva rivoluta con sé. La casa di Quinto venne chiusa e, se non ci fu rottura tra il prima ed il dopo, il merito è tutto dello Sturla che aveva affidato a due di loro la scuola da lui aperta a San Teodoro. 615 Manoscritti, vol. IV, pp. 905-938. Stampato in Opere edite ed inedite, vol. XIII: Pie considerazioni e canzoncine spirituali ad uso delle religiose, 1912, pp. 459-517. 616 Un esempio: Se l‟amore al nostro Sposo | Non si fonda in umiltà,| È un amor falso e bugiardo | che ben presto svanirà. 617 [ G. FRASSINETTI], Culto perpetuo del SS. Sacramento, Genova 1839. 618 Memorie, p. 28. 619 Un esempio in Costituzioni e Regole, p. 128. Anche nelle Regole del 1840 c‟era la distinzione tra maestre e converse, ma queste non erano escluse da incarichi ed uffici propri delle maestre se ne mostravano la capacità, p.17. 620 Memorie, p. 33. 621 Memorie, p. 31 186 Si apre a Genova e si chiude a Quinto Si deve ancora alla generosità dello Sturla l‟apertura di altre case, ed è lui che in Genova si presta a supplire il Frassinetti, legato alla parrocchia di Quinto fino al 1839 pur avendo frequentissimi contatti con Genova.622 Grandi i meriti dello Sturla riconosciuti anche dalle biografe quale benefattore segnalatissimo. Lo Sturla… aveva impiantata una scuola femminile nel sestiere di S. Teodoro… chiese alla Frassinetti che volesse mandarvi alcune sue figlie, e la madre nostra vi destinò Teresa Albino e Marianna Danero, le quali passarono alla nuova residenza il giorno di S. Andrea Apostolo [30 novembre] dell‟anno 1835.623 “Chiese alla Frassinetti”. Stando alla deposizione della Danero, la richiesta fu fatta al fratello che “approvò”, ed è piú che naturale.624 Si noti la tendenza a trasferire alla sorella ciò che è del fratello. Lo Sturla, come già per i ragazzi, si dette anima e corpo per le fanciulle e fu lui che, affidando la scuola alla nuova istituzione, le diede continuità in un momento in cui Paola ne era impedita dal padre il quale non cessava dallo stimolarla ad abbandonare l‟impresa… Oltre il disturbo interno, cominciò all‟esterno la mormorazione a carico del nuovo istituto e tanto andò innanzi che la stessa autorità ecclesiastica se ne impensierí ed il buon prevosto ne ebbe non poco a soffrire – mio il corsivo –. Allora il signor Frassinetti… intimò a Paola di far ritorno alla casa paterna minacciando… di mandarla a prendere con la forza.625 A parte la contrarietà di vedersi abbandonato anche dalla figlia, 626 al padre sembrava che la nuova istituzione stesse franando, e non senza ragione. Delle sette giovani, Paola compresa, due a Genova su richiesta dello Sturla, due andate via,627 rimanevano Paola ed altre due, una di queste non si sapeva come fare per rimandarla a casa. Unica soluzione, chiudere tutto aspettando tempi migliori, accontentando per il momento anche il signor Frassinetti che rivoleva la figlia a casa. Se la fondazione ebbe continuità, si dovette alle due di Genova, quanto dire allo Sturla. Siamo ai primi di dicembre 1835. Solo alla Pasqua del 1836, 3 aprile, Paola ottiene dal padre il consenso definitivo. L‟ottenne senza ulteriori interventi persuasivi del fratello? Chi conta le volte che il padre avrà parlato al figlio della fissazione della sorella ed il figlio a ripetergli di non renderla infelice. Alla partenza di Paola per Roma quel sant‟uomo non farà nessuna opposizione. Si leggano le lettere di Paola: chiede, chiede ripetutamente, certa d‟essere esaudita. Anche nell‟ultima lettera, Paola chiede ancora una volta un piacere al santo vecchio. Ricostituita la comunità in Genova, delle prime compagne rimandate per il momento a casa, tornò solo l‟Oliva, per andare via definitivamente nel 1839. In cambio si aggiunsero altre tre. Formata la comunità di [S. Teodoro], la Frassinetti ne era la superiora, sotto la direzione sempre del fratello don Giuseppe coadiuvato dallo Sturla – si noti: il superiore di fatto è ancora il fratello –. Crescendo ogni giorno il numero delle povere fanciulle… si pensò dai suddetti sacerdoti – il fratello e lo Sturla – di cercare un locale piú ampio… sulla Montagnola detta dei Servi… In quella 622 La strada in cui era andato ad abitare il padre e i due figli ancora in famiglia, quando Giuseppe fu fatto parroco di Quinto. Positio, p. 85. 623 Memorie, p. 34. 624 Positio, p. 47. 625 Memorie, p. 35. 626 Solo nel 1839, passato Giuseppe a Santa Sabina, vedrà ricostituita la famiglia. 627 Memorie, p. 35, e deposizione della Danero, Positio, pp. 48s. 187 casa l‟istituto cominciò a prendere sviluppo tanto pel numero delle ragazze quanto per quello delle suore.628 Paola, passata a Genova, non avendo piú la possibilità di confessarsi dal Boccalandro,629 chiede al fratello da chi andare, ed il fratello le indica il gesuita padre Benettelli.630 Ancora il fratello in primo piano. Lui e lo Sturla, la sua ombra. Il padre Benettelli si mostrò rude. Dicesse i peccati. Lo lascerà alla venuta a Genova del gesuita spagnolo Firmino Costa,631 con il quale si intese a pieno:632 Benché l‟uno e l‟altro gesuiti, abbiamo i due tipi di confessori di suore: l‟ideale di S. Rosa Filippini,633 che vede nella suora solo una penitente che gli si rivolge per chiedere il perdono dei peccati, ed il confessore ideale di S. Lucia Venerini,634 che vede la suora e l‟istituto con i suoi interessi materiali e di governo da prendere a cuore per dovere di carità. Quando trasmigrarono a Palazzo Morando nel cuore di Genova Paola pensò all‟abito – si noti la tendenza di Paola di uniformarsi al modello che allora s‟aveva della monaca –.635 Nell‟aprire la nuova sede chi fa tutto è ancora lo Sturla, e trovare, per lo Sturla significa trovare casa e mezzi per acquistarla, cosí come si dà da fare nel 1837 per l‟apertura della casa di Rivarolo.636 Sarà ancora lo Sturla, di lí ad un trentennio che troverà i mezzi per comprare la sede definitiva, quella di Albaro. Fu l‟ultimo suo atto a favore delle Dorotee prima di morire di lí a poco. Come riuscisse a trovare soldi ce ne parla il Frassinetti nel raccontarci la vita dell‟amico.637 Il 4 marzo 1838, prima domenica di Quaresima, in tredici vestono l‟abito religioso benedetto dal Passi. Paola, cinque maestre e sette converse. L‟Istituto aveva ora piú case. Con l‟apporto di pie donne la domenica era presente in 24 parrocchie curandosi di ben 2891 fanciulle.638 Se ne chiese quindi l‟approvazione presentando al card. Tadini, un Prospetto in cui si esponeva lo scopo che si prefiggeva. 628 Positio, deposizione di Marianna Danero, p.49. Coadiutore del Frassinetti, uno della “Beato Leonardo”, e gli succederà a Santa Sabina per pochi mesi dopo averne ricevuto l‟ultimo respiro per poi seguirlo subito alla tomba. 630 Giovanni Battista Benetelli, nato a Padova il 6 agosto 1786, gesuita a 30 anni, già sacerdote, confessore a Genova in Sant‟Ambrogio, 1832-1839 e 1842-1848. Fu interpellato nel 1834 dal Frassinetti insieme al Bresciani su l‟erezione del nuovo Istituto. 631 Nato a Flasà, Gerona nel 1806, fu a Genova dal 1837 al 1841. Di lui si dà un esempio di obbedienza… eroica. “Quando in una Università dei Padri Gesuiti venne a mancare improvvisamente il professore di Lingua Greca… il P. Costa che da pochi mesi studiava quella lingua,… avrebbe dovuto fare lezione a studenti universitari provetti… supplicato dal Superiore di confidare in Dio… si accinse all‟impresa «senza ma… e senza se…». Lo sforzo gli avrebbe prodotto un tumore alla fronte, “la cicatrice dell‟ obbedienza”, M. NEIROTTI, Paola Frassinetti a Genova, Genova 1984, p. 137. Può l‟obbedienza comandare con danno a terzi facendo professore un impreparato? È virtú obbedire a simili comandi? Dispensa l‟obbedienza dalla responsabilità personale? Chi aveva un tale concetto dell‟ubbidienza che conto avrà fatto delle difficoltà delle anime che dirigeva? 632 Memorie, pp. 44s. 633 G. ANDREUCCI, Ragguaglio della vita della Serva di Dio Rosa Venerini…, 1732, p. 54. 634 F. DI SIMONE, Della vita della Serva di Dio Lucia Filippini…, Roma 1732, p. 42. 635 Deposizione della Danero, Positio, p. 49s. 636 Memorie, p. 40s. Quando nel 1839 ci fu la terribile alluvione “Oltre al generosissimo D. Sturla, il quale non le abbandonò mai, videro accorrere…”, p. 42. 637 G. FRASSINETTI, Memorie intorno alla vita del sac. Luigi Sturla, pp. 90s. 638 M. NEIROTTI, Paola Frassinetti a Genova, Genova 1984, pp. 46-51. 188 629 Il Frassinetti, lo Sturla, il Cattaneo e il Passi rivedono le Regole L‟approvazione dovette essere solo orale. Il prospetto presupponeva una revisione del primo regolamento e fu fatta dal Frassinetti, lo Sturla, il Cattaneo, il Barabino ed il Passi. Tutti della “Beato Leonardo”, eccetto il Passi. Del regolamento cosí rivisto, in cui dovette confluire il vecchio del Frassinetti, si pensava non ci fosse pervenuta copia,639 mentre si conserva nell‟Archivio delle Dorotee di Vicenza – l‟originale o una copia a piú mani? –, alle quali va il mio grazie per avermene dato una fotocopia. Ritoccato dal Passi fu stampato a Venezia nel 1840.640 La separazione La separazione di Paola dal fratello ci fu, ma non ai primi inizi, né nel periodo genovese, ma solo dopo che, per iniziativa del Passi, Paola nel maggio del 1841 era passata Roma. Giunta a Roma, Paola sente forte la mancanza dello Sturla e scongiura il fratello di mandarglielo per risolvere i problemi economici da cui non sapeva come uscire, manifestandogli il rammarico che non fosse anche lui a Roma con la sua “Beato Leonardo” per operarvi un po‟ di bonifica spirituale.641 Ciò prova che non aveva rotto i cordoni ombelicali che la legavano al fratello, allo Sturla ed alla “Beato Leonardo”. Dei gesuiti aveva sempre sentito parlare con grande ammirazione dal fratello. Non le rimaneva quindi che appoggiarsi a loro. Trovato il suo appoggio, comincia a farsi sempre piú marcata la differenza di vedute tra lei ed il fratello, tra lei e don Luca Passi. Con il fratello conserva una grande apertura tenendolo ancora per parecchio informato delle cose sue, cosa che fa anche con il padre,642 ma, per quel che riguarda il governo dell‟Istituto, il fratello risulta tenuto sempre piú fuori, pur continuando a ricorrervi soprattutto perché gli risolva questo o quel problema da cui non sapeva come uscirne. V‟è quindi una progressiva emancipazione. È lei che comincia a vedere con occhio diverso o il fratello che, ritenendola adulta e con buoni consiglieri, si pone in ombra, o l‟una e l‟altra ragione? Divergenze di vedute Dalle regole scritte dal Frassinetti, nel rifacimento dell‟edizione stampata a Venezia nel 1840, le Dorotee non si presentano come congregazione con forte potere centrale, ma come federazione di comunità con un unico regolamento ed una stessa passione apostolica, legate tra loro, piú che da vincoli giuridici, dal vincolo della carità e dall‟impegno, con quarto voto, di dedicare tutte le loro forze ad una stessa Opera a favore delle fanciulle. In quanto a governo, ogni istituto conservava la propria autonomia. Per il vincolo di carità, e per l‟uguale scopo, erano previsti scambi di personale in forma di prestiti o definitivi. Le costituzioni rifatte su quelle dei gesuiti tendevano invece alla monarchia con poteri praticamente assoluti e incarico a vita in chi la dirige, non solo, ma tutte le case ed ogni suora 639 M. NEIROTTI, .Paola Frassinetti a Genova, pp. 34.43. Non siamo in grado di dire con certezza se la copia manoscritta conservata nell‟archivio delle Dorotee di Vicenza è conforme alla virgola a tale revisione. Sono 44 pagine cm 25,8 x 36,3, divise in due colonne, una scritta, l‟altra lasciata in bianco per le osservazioni, stese da diverse mani, una, tenendo conto degli scritti certamente suoi, potrebbe essere quella del Frassinetti, ma non oso affermarlo. Vedi pure A. I. BASSANI, Le costituzioni delle Suore maestre di S. Dorotea…, in “Claretianum”, vol. XXXIV(Roma 1994), p. 315. 641 P. FRASSINETTI . Lett. 4, p. 4, in data 30-7-1842, al fratello Giuseppe. 642 Richiede i suoi libri per diffonderli, gli riferisce i giudizi che ne danno cardinali e prelati. Spesso ricorre al padre per questo e quel piacere. Sa che può sempre disporre del fratello, sa che gli può sempre chiedere, e piú volte ne sperimenta la larga generosità. 189 640 dovevano essere formate sullo stesso stampo. Di qui, il confessore, se nel luogo ne esistevano, doveva essere un gesuita, cosa criticata dal fratello in difesa della libertà di coscienza, non essendo la confessione istituita per creare uniformità in un istituto religioso.643 L‟approvazione delle regole e il riconoscimento dell‟istituto della Santa Sede fu per Paola una via crucis durata quanto la vita. Fosse già sua impressione, fosse per il giudizio negativo di gesuiti di gran nome suoi consiglieri, le regole portate da Genova – un tascabile di 76 pagine, ma con incluse le norme pedagogiche ed il rituale – sembrarono misera cosa per essere approvate della Santa Sede. “Regolette”, le chiama la Vassallo. I gesuiti le offrirono in cambio le regole di S. Ignazio ritoccate per le Dame del Sacro Cuore che “appunto sono le stesse dei Gesuiti medesimi”.644 Le adattasse alle sue suore. Ma era pur sempre un abito da soldati, per uomini, non fatto su misura per donne, e vecchio di tre secoli! Da questo momento, 1841-1844, non dallo scambio di battute prima che l‟ Istituto avesse inizio, per quel che ne riguarda la direzione, Paola cominciò a divergere dal fratello sempre meno capito – ma era stato mai veramente capito? – tendendo a fare delle sue suore il ramo femminile dei gesuiti, non di diritto, ma di fatto, felice che il gesuita Firmino Costa nel 1846 avesse saputo mutare delle pie donne in “vere monache”, stando alle prime biografe. Diverso il pensiero del fratello, pensiero che sarà sintetizzato nei capitoli seguenti dove si tratta degli Istituti laicali. Ognuno la sua strada 643 Nelle lettere di quel 1857 troviamo piú cose in cui la sorella non si mostra in sintonia con il fratello e con lo Sturla. Occasione dovette essere l‟eccesso di zelo della nuova superiora di Genova che, tra l‟altro, pretese che tutte le suore si confessassero da un unico confessore, e questo doveva essere un gesuita. Il Frassinetti, che aveva passato una vita in confessionale, dovette mostrare alla sorella gli inconvenienti che ne potevano nascere. Un vero peccato la perdita di quella lunga lettera che non ci permette di sapere cosa propriamente il fratello le avesse fatto rilevare, ma che il sacramento potesse farsi odioso a qualche suora che piú non avesse fiducia in quel confessore da lei non scelto, è tutt‟altro da escludere, soprattutto se lo avesse visto parlare abitualmente e a lungo con la superiora. Parlavano solo delle cose di casa, o anche di lei? Il sospetto, anche se infondato, non era impossibile. Qualunque sia poi il motivo di non essere paga di quel confessore, alla suora non va negata la possibilità di rivolgersi ad un altro. Lo fa pensare la risposta della sorella: “Ho ricevuto la tua lunga lettera, e ti ringrazio della relazione che mi dai delle cose di costí… il tuo ragionare è giustissimo… In quanto all‟aver indotte tutte le Suore da un confessore avrà sbagliato per averlo fatto troppo presto – mia la sottolineatura –, ma sappi che qui non vanno bene se non le comunità che hanno un solo confessore, con gli straordinari, ben inteso, ai tempi stabiliti…. È anche scusabile se ha cercato di condurle dai Gesuiti perché, avendo noi le regole quasi conforme alle loro, siamo con piú facilità intese e guidate secondo lo spirito del nostro Istituto… In tempo della Repubblica – 1848-1849 – dovettero le Suore confessarsi da un Francescano vero sant‟uomo, eppure, nel lodare egli le sue regole, dispregiava alquanto le loro… Vedi, dunque, che se siamo un poco timorose… siamo anche un poco da compatire”, Lett. 128, giugno 1857, p. 145. Suor Cosso cosí depose al Processo per il Frassinetti: “Il Servo di Dio non confessava tutta la piccola Comunità della Casa di Genova, ma solamente alcune… non mi confessai piú dal Frassinetti dal momento in cui la Madre Gianelli, attillatissima alla direzione dei Padri Gesuiti, prese possesso come Superiora delle due case di Genova e di Rivarolo”. Il Frassinetti anticipava di sessant‟anni le disposizioni del Codex Iuris Canonici del 1917 che, legiferando sulla confessione delle religiose, ha di mira la loro assoluta libertà di coscienza. L‟ultima revisione, 1983, permette alla suora di adire in qualunque chiesa a qualunque confessore, senza che sia tenuta a riferire alla superiora d‟essersi confessata. A voler noi pensare quei di lassú con i nostri pensieri di quaggiú, Paola non ha potuto non dare atto al fratello di avere avuto lunga vista. 644 P. FRASSINETTI, Lett. 11, pp. 15, 30-7-1842, al fratello Giuseppe. Positio, Summ. addizionale, pp. 75s. 190 Seguendo Paolo e Barbara negli gli Atti degli Apostoli, a metà del capitolo 15 ci si trova di fronte a qualcosa che non si sarebbe mai immaginato, tanto si pensavano l‟uno complemento dell‟altro. Entrambi amavano il Signore come di piú è impensabile, eppure scelgono strade diverse ciascuno pensando la propria quella che piú lo avrebbe glorificato. La meta resta unica per entrambi: far conoscere ed amare Cristo a quanta piú gente si può. Separazione non senza lacerazione perché, per non separarsi, ciascuno cercò di convertire a sé l‟altro non senza riscaldarsi – questo il significato del greco paroxismós –, tanto all‟uno premeva non perdere tempo e all‟altro salvare Marco all‟apostolato che, da giovane crea problemi, lo rivedremo di “bell‟aiuto” per Paolo e, per Pietro, un figlio a cui affidare il porre sulla carta il vangelo che egli predicava. Barbara con Marco navigò verso Cipro, Paolo si diresse verso la Siria e la Cilicia, entrambi dediti con pienezza a Cristo. Lungi da me mettere a raffronto la santità di Paola e del fratello, cerco soltanto di esporre le diverse scelte che l‟uno e l‟altra pensarono piú atte a meglio servire il Signore. Per amore del perfetto, ed il perfetto erano le regole dei gesuiti, Paola commise l‟errore che Vincenzo Cuoco, in altro campo e con altra visuale, rimprovera ai padri della Rivoluzione partenopea del 1799, e a sé stesso che ne fece parte: “Hanno voluto imitare tutto ciò che vi era in essa: vi era molto di bene e molto di male, di cui i francesi stessi si sarebbero un giorno avveduti”. Sostituiamo a molto di male, molto di non adatto ed inattuale, e la citazione calza a pennello. Fratello e sorella differivano soprattutto in quel che segue: “ma non hanno i nostri voluto aspettare i giudizi del tempo, né hanno saputo indovinarli”,645 se si sostituisce al voluto della seconda edizione, il saputo della prima: non aver saputo indovinare i tempi ed aspettare. Giuseppe per eccesso, Paola per difetto. La sorella troppo ancorata sul vecchio modello gesuitico; il fratello troppo proiettato nel futuro, che, con il suo istituto laicale delle Figlie di Maria, precorreva i tempi con troppo anticipo. Paola vede solo la sua opera, ignorando il resto; le biografe solo il problema di Paola; Giuseppe vede l‟opera nel contesto della parrocchia, della “Beato Leonardo” e della diocesi. Paola, di lí ad un vent‟anni, ormai madre generale di un istituto affermato, circa la direzione spirituale delle suore vede innanzi tutto il buon ordine della comunità, quindi direzione uniforme affidata solo ai gesuiti se presenti in città; il fratello è preoccupato della tutela della libertà di coscienza di ciascuna suora, avendo una visione delle cose legata ad una vita passata in confessionale, esperienza che la sorella non aveva. Per Paola una suora andava protetta in ogni suo movimento e respiro, perciò la necessità di regole che prevedessero e regolamentassero quanto si pensava legato alla vita consacrata; Giuseppe concedeva larga fiducia, ampio movimento d‟azione e d‟iniziativa.646 Le regole suggerite dai gesuiti tendevano a mettere la suora nella impossibilità materiale di fare un passo falso, tenendola legata in fasce anche da adulta; Giuseppe insisteva, forse con troppo anticipo, sulla sostanza delle vita religiosa piú che sulla minutaglia della precettistica. Le costituzioni dei gesuiti, che Paola prende a modello, compilate dal Loyola per uomini del suo tempo, in gran parte sacerdoti, non erano per donne, meno che meno per donne analfabete in buon numero. Per questo, e perché datate – quante cose erano accadute e mutate in tre secoli! –, non fu scelta felice. Si aggiunga che il rifacimento non fu fatto sul testo quale era professato dai gesuiti, ma sull‟ adattamento fatto dalle Dame del Sacro Cuore con le modifiche del 1839, dove l‟ispirazione 645 V. CUOCO, Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, 1862, cap. XVIII, inizio. Mi rifaccio alle Regole per le Figlie di M. Immacolata, certamente sue, ignorando quelle del 1834, non essendo in grado di giudicare quanto del Passi entrò in quelle del 1838-1840. 191 646 ignaziana fondamentale non sembra essere stata capita, mentre era stato parzialmente svuotato l‟aspetto originale delle Costituzioni del S. Cuore.647 Piú errore di chi la dirigeva che suoi, tanto che alle critiche confessa che anch‟essa non ne era rimasta soddisfatta.648 Il Frassinetti invece mostra una mirabile flessibilità. Duce il napoletano meraviglioso Alfonso Maria de‟ Liguori, lo vediamo scendere lungo la via di Gerico accanto all‟uomo abbandonato piú morto che vivo, stoppino di lampada ormai fumigante, e, discepolo d‟un tanto maestro che lo ha fatto discepolo del Maestro, lo ravviva. Ravvivato che lo abbia, insieme al non peccare piú, fa leva sul punto vivo che in nessun uomo manca, e, di lí partendo, gli addita le vette piú alte della perfezione. Sí, anche lui può aspirare ad essere perfetto come è perfetto il Padre nostro che è nei cieli. Ai piú generosi addita la vita consacrata, la sostanza della vita consacrata, senza legarli ad una sola forma. Una vita consacrata aperta a tutti. Gente che non è piú di questo mondo, ma non lo fugge, vi resta, vive nel suo bel mezzo e se ne fa lievito. La parrocchia con il Frassinetti non ha piú solo un parroco che è tutto. Ha collaboratori, ha chierici che vivono in famiglia, ha ragazzi e ragazze ed ogni altra categoria di fedeli. Loro sono la parrocchia. Una parrocchia pensata officina di santi santificatori con cento lunghe braccia che giungono ovunque, anche dove lui, il Priore, in nessun modo potrebbe arrivare. 647 Cfr. Evoluzione canonica e legale della Società del sacro Cuore di Gesú dal 1827 al 1853, articolo che si ricollega a J. DE CHARRY, Histoire des Constitutions de la Société du Cœur, Rome, 1975,1979,1981. Un grazie all‟archivista suor Anne Léonard. 648 P. FRASSINETTI, Lett. 213, p. 282 e Lett. 215, p. 286. 192 La piú bella componente la vita consacrata posta a servizio della parrocchia, una vita consacrata aperta e facilitata a tutti, perciò spoglia d’ogni formalità, priva di ogni apparato, ma ricca di tutta la sostanza, la freschezza e lo slancio della vita consacrata. Sono le “Monache in casa” e i “Religiosi al secolo”. Gli “Istituti secolari”. Il Frassinetti non dice superate le vecchie forme di vita religiosa. Non poche delle sue “Monache in casa” sciameranno verso le congregazioni tradizionali e piú d‟una sarà fondatrice di nuove. Bastino due nomi, ma non sono le uniche: la beata Rosa Gattorno, fondatrice delle Suore di Sant‟Anna e Santa Maria Mazzarello, confondatrice delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Nessuna meraviglia se la sorella, passata a Roma e lontana ormai dal fratello,649 fattasi sempre piú ammiratrice dei gesuiti, abbia pensato di rimodellare la congregazione delle Dorotee sulla loro, fino ad incaricarne uno, il padre Fava, di stendere le costituzioni che pensava definitive. Non era stato cosí alle origini nel pensiero del fratello. Fu cosa aliena dalla sua mente mettere su una falange, muro di bronzo inattaccabile, ma pesante nel muoversi. Piú calzante prendere a paragone la legione dei romani: tre fila di gruppi d‟armati, spaziati come i neri di una scacchiera, leggerissimi, mobilissimi, qualunque fosse la configurazione del terreno. Le varie congregazioni di dorotee sorte in quegli anni Trenta erano state pensate fondazioni che, mentre godevano piena autonomia di governo e di iniziative, formassero tra loro federazione, strettamente unite l‟una alle altre per l‟unicità dello scopo e delle regole, con possibilità di scampi di personale, momentanei e duraturi. Flessibilità che si riproduceva in ogni singolo gruppo: case madri per aver partorito case figlie, ma queste, se capaci di parti, divenivano a loro volta case madri. Di piú. Negli ultimi dodici anni di vita il Frassinetti pare anticipare la strategia che si vedrà nella guerra di Spagna degli anni Trenta: aggiungere alle legioni una quinta colonna mimetizzata in campo nemico, priva di divise e segni di riconoscimento, e moventesi in ordine sparso, in cui ciascuno era ad un tempo soldato e duce. Sono i religiosi e le religiose al secolo. Un anticipo degli istituti secolari, persino il nome: Istituti secolari. Argomento dei prossimi capitoli. NOTA. Ci sarebbe ancora molto da dire sui rapporti intercosi tra Giuseppe e la sorella, ma l‟economia del lavoro non permette di riportare un mio lungo studio. CAPITOLO XXXVII 649 In ventisette anni quasi unici contatti una settantina di lettere di Paola al padre e al fratello, mentre si ha il rammarico che quelle del fratello a Paola siano andate tutte perdute. Quanta ricchezza vi avremmo potuto attingere! 193 DON PESTARINO E LE RAGAZZE DI MORNESE L‟Istituto delle Dorotee della sorella Paola andava sempre piú assumendo le caratteristiche degli istituti tradizionali. Lo sviluppo che prendeva era indizio che rispondeva alle necessità del momento, non a tutte, né a quelle per le quali dal Frassinetti era stato concepito, nato per chi voleva consacrarsi al Signore e non disponeva di una dote. Portasse quel che poteva, chi poteva. Avere poi case proprie con educandati che non sfigurassero con quei di buon nome, riproponeva il problema dei mezzi. Agli inizi era bastata la generosità di Giuseppe e dei suoi amici, lo Sturla soprattutto. Passato qualche anno, una di basso ceto aveva speranza di farsi Dorotea solo se richiesta dalle esigenze dei servizi domestici.650 Inoltre, nate per aiutare il parroco nell‟Opera di S. Dorotea, tendevano sempre piú a divenire un corpus separatum, suore di convento che s‟occupavano anche dell‟Opera. Tali ragioni crearono nel Frassinetti l‟impressione che il problema, per cui le Dorotee erano nate, non era stato risolto. Né lo convinceva quella separazione cosí netta tra maestre e converse, le prime destinate all‟apostolato, le altre ai lavori domestici, un impiego da persone di servizio, e da accettarne solo nel numero necessario per il disimpegno di tali servizi, senza possibilità di impieghi piú alti, ne avessero pure le doti. Stando alle regole preparate nel 1851 formavano di fatto, anche giuridicamente, una sotto categoria di suore non essendo ammesse al quarto voto o a cariche di governo, né risultava chiaro se “voti semplici”, i soli da esse emessi, fosse sinonimo di “voti temporanei” con la possibilità di poter essere rinviate senza interpellare la Santa Sede. Ma il Frassinetti incoraggiava qualunque fanciulla ad accogliere l‟invito del Signore, anche se non adatta a far da maestra e tutti i posti di servizio fossero coperti. In lui prevaleva quest‟anima, per la sorella si facevano determinanti le esigenze dell‟istituto. Quanto poi alla netta divisione tra maestre, la collaborazione all‟apostolato di non poche persone di servizio e di umilissima condizione lo convinceva ogni giorno piú che ne erano capacissime.651 Quella diversità tra converse e maestre, a dirla francamente, era legata piú al ceto di provenienza che a differenza di formazione per studi fatti o non fatti. In tale stato d‟animo, penso, si trovasse il Frassinetti quando gli pervenne un plico da parte di don Pestarino, autrice una ragazza sui vent‟anni, Angela Maccagno. Guardasse un po‟ lui. Don Domenico Pestarino Chi era questo sacerdote di villaggio, riuscito ad innamorare della vita consacrata un gruppetto di ragazze, che si rivolgeva al Frassinetti? Era nato il 5 gennaio 1817 a Mornese in diocesi di Acqui. Aveva fatto i suoi primi studi ad Ovada ed in Acqui. Qui accadde qualche cosa di provvidenziale per il bene che ne venne, anche se mal fatta. Nel passare da umanità a rettorica l‟esame era dato dal professore di rettorica e non da quello di umanità. I due, dice il Maccono, erano cane e gatto. Tutti bocciati. Aveva preteso che scrivessero in latino un brano del Bartoli mentre egli lo dettava! Meglio passare alle scuole del seminario di Genova. Vi frequentò rettorica e filosofia da esterno, teologia da interno. Sacerdote il 21 settembre del 1839, vi fu trattenuto come assistente fino a tutto il 1847. Gli anni d‟oro della “Beato Leonardo”, dell‟annessa Accademia ecclesiastica e del seminario. Furono pure gli anni della sua giovinezza, compendiabile in tre nomi: Frassinetti, Sturla e Cattaneo. Il Frassinetti sopra tutti, che piú d‟ogni altro ne influenzò la formazione e gli rimarrà faro su cui orientarsi per il resto della vita. La 650 651 194 Costituzioni e Regole, Roma 1851, p. 12. La Danero, che ebbe una parte di prim‟ordine all‟inizio, la ritroviamo tra le converse. biografia di don Pestarino, scritta dal salesiano don Ferdinando Maccono, è piena di quel nome.652 Dopo aver citato il Frassinetti parlando della Congregazione del Beato Leonardo e la sua Accademia, si pone la domanda: Studente chierico del seminario, entrò anch‟egli a far parte di codesta congregazione? – e si risponde –: Non abbiamo prove definitive, ma per l‟ottima indole di Don Pestarino e l‟intima relazione che ci fu sempre tra lui e lo Sturla e il Frassinetti, siamo indotti a credere di sí.653 Un foglio di mano del Frassinetti, se conosciuto, avrebbe tolto il dubbio. V‟è una lista di nomi divisa in quattro colonne. Nell‟ultima si legge: Pestarino Domenico, lui. Essendo tra i “Preti”, la lista fu redatta dopo il 21.9.1839. Essendovi il beato Tomaso Reggio, ordinato il 18.9.1841, questa la data post quem. Se non si ha la prova che vi fosse appartenuto fin da chierico, quel nome sta lí a rendere molto probabile la supposizione del Maccono. Col Maccono ricreiamo il clima di quegli anni di seminario facendo nostre le citazioni dal Frassinetti di cui egli si serve, non fosse altro per ribadire la mirabile unione che intercorreva tra quei giovani sacerdoti alla cui scuola il Pestarino andava formandosi: Fra le cose che non portavano buone conseguenze, una era che nei sacerdoti prefetti [prima del Cattaneo] non si richiedeva nulla di particolare, né a riguardo della scienza, né a riguardo della pietà… Il giovane Rettore conobbe che si dovevano cercare i migliori prefetti… Riuscí nel suo divisamento, e da allora in poi i prefetti del seminario furono ecclesiastici dotati di positiva scienza e virtú.654 Elencando le qualità che si richiedevano ad un prefetto, il Maccono fa il ritratto del Pestarino e ci descrivere come espletava il suo ufficio. Tra l‟atro: “Usava fin d‟allora il sistema preventivo”655, ossia prima di Don Bosco, lo noto a conferma di quanto ho sostenuto: prima che Don Bosco a Torino, già a Genova il Frassinetti, affermato da un salesiano. Il Maccono insiste sul Frassinetti dedicandogli un lungo paragrafo titolato: Un ottimo consigliere: Giuseppe Frassinetti, a cui facevano capo molti sacerdoti di buono spirito per istruzioni e consigli sul modo di regolarsi nella predicazione, nella soluzione dei casi di coscienza, sul modo d‟infervorare il popolo nella devozione… sui mezzi per coltivare la pietà nei giovani, nel preservarli dall‟incredulità e nel tenerli lontani dai vizi; sullo stabilire pie unioni tra i giovani, fra le donzelle e le madri di famiglia. Anche D. Pestarino prese a frequentare la casa del Frassinetti… D. Pestarino, dal conversare col Frassinetti e dal praticare con lui, si rassodò sempre piú in uno spirito di pietà fervente, in uno zelo veramente apostolico, in un distacco da se stesso e da ogni cosa per essere sempre piú un vero sacerdote secondo il cuore di Dio.656 Tornato il Pestarino al suo paese, “non cessò di essere missionario genovese”,657 portando con sé i modi e lo spirito di Santa Sabina e del suo Priore. Per pagine e pagine il Maccono non fa che 652 F. MACCONO, L’Apostolo di Mornese, sac. Domenico Pestarino, 1927, p. 176. F. MACCONO, L’Apostolo di Mornese…, p. 17. 654 F. MACCONO, L’Apostolo di Mornese…pp. 22s. con rinvio per il passo citato a G. FRASSINETTI, Memorie intorno al sacerdote Luigi Sturla, in Opere edite ed inedite, vol. XIII, Roma 1913, p. 415. 655 F. MACCONO, L’Apostolo di Mornese… p. 24. 656 F. MACCONO, L’Apostolo di Mornese… pp. 30s. 657 F. MACCONO, L’Apostolo di Mornese… p. 35. 195 653 ricollegare il Pestarino al Frassinetti:658 lotta al rigorismo giansenista, esortazione alla comunione frequente e quotidiana, catechismo ai fanciulli e alle fanciulle, catechismi dialogati tra maestro e ignorante. Cercò di fare a Mornese quanto faceva il Frassinetti… del quale è risaputo l‟amore che portava ai fanciulli e le raccomandazioni che faceva al clero di occuparsene volentieri… D. Pestarino cercò di attuare in modo perfetto questo programma…. In quei tempi era uso che… nessuno si ammettesse alla prima Comunione se non aveva compiuto i dodici anni. D. Pestarino era però della scuola del Frassinetti il quale insegnava che “di regola generale che non si deve aspettare che i fanciulli passino i dieci anni”… Cosí ci assicurano le coetanee di Suor Maria Mazzarello.659 Ho abbondato nelle citazioni tratte dalla biografia di don Pestarino scritta da un salesiano, perché non ci si meravigli se ricolleghiamo il Pestarino al Frassinetti, sembrando, ed essendo, una sua longa manus. Le ragazze di Mornese Alla vigilia dei rivolgimenti del 1847-1849 il Pestarino tornò a Mornese. Il Lemoyne lo fa tornare nel 1849.660 Data insostenibile, essendo stata già da un anno mandata via la vecchia dirigenza per le pressioni della piazza. Ci è pervenuto il manoscritto del chierico Luigi Persoglio, alunno di filosofia, dal novembre del 1847 al 1854, anno dell‟ordinazione.661 Nelle prime due pagine, ancora sotto la vecchia dirigenza, ne dà la composizione. Manca il nome di don Pestarino, quindi dall‟anno 1847-1848 non era piú presente. Se in seguito non poté piú riconoscersi nel seminario privo del Cattaneo, si sentiva di casa a S. Sabina dove il Frassinetti aveva ripreso il suo ministero dopo tredici mesi d‟esilio.662 Tornato il Pestarino a Mornese, alle ragazze del paese non pare vero poterlo avere per padre spirituale. Benché giovane, non rifugge dall‟occuparsene. Aveva l‟esempio nel suo Frassinetti di cui aveva acquisito lo spirito ed a lui si rifaceva per consiglio e direttive. Nessuna meraviglia quindi se lo vedremo nutrire quelle ragazze con i libretti che il Frassinetti andava pubblicando innamorandole della verginità e della vita di perfezione. D‟entrare in convento neppure a parlarne, tante sarebbero state le difficoltà. Cosí, a vent‟anni di distanza, al Pestarino si riponeva il problema che era stato posto al Frassinetti dalla sorella. Problema vecchio da potersi ora risolvere in modo nuovo: chi poteva impedire a queste giovani di vivere da persone consacrate restando nella loro casa? Il Frassinetti aveva dimostrato tale possibilità fin dal 1841 nella Forza d‟un libretto. Cosa conteneva quel plico? Né il Pestarino, né la Maccagno, pensavano certo che il Signore si stava servendo di loro per dare origine alle Figlie di Maria Immacolata e poi alle Figlie di Maria Ausiliatrice. Cosa contenesse quel plico ce lo narra il Frassinetti. 658 Le annotazioni ai margini della fotocopia: Frassinetti nella predicazione; nel confessionale; nelle associazioni parrocchiali; coi fanciulli come il Frassinetti, ecc., se sono dell‟autore, si direbbero poste in vista di una riedizione. 659 F. MACCONO, L’Apostolo di Mornese…, pp. 45.54.56. 660 G B. LEMOYNE, .Memorie biografiche del Ven. D. Giovanni Bosco, vol. VII, p. 295. 661 Memorie per servire alla storia del Seminario Arcivescovile di Genova scritte dal Seminarista Luigi Persoglio durante gli anni della sua dimora in Seminario dal novembre 1847 al giugno 1854, Archivio Frassinettiano. 662 Né v‟era piú lo Sturla che tornerà dall‟esilio in Arabia nell‟aprile del 1857. 196 Verso l‟anno 1850 in Mornese… una zitella al diciottesimo anno di sua età si determinò di darsi intieramente a Dio senza abbracciare la vita religiosa rimanendo al secolo. Considerando intanto che molte zitelle, le quali non possono, oppure non amano professare vita claustrale, piú facilmente si darebbero tutte a Dio se vi fosse un mezzo che loro rendesse piú agevole il conseguimento della perfezione cristiana rimanendo in mezzo al mondo, pensò… una compagnia di zitelle le quali fossero intenzionate di osservare con la massima puntualità la divina legge anche nelle minime cose, di modo che la loro vita… fosse immune da ogni peccato; che vivessero distaccate coll‟affetto dai beni della terra praticando cosí la vera povertà di spirito; che, a cosí dire, non avessero volontà propria, amanti della piú perfetta ubbidienza; inoltre che avessero il piú fermo proposito di conservare perpetua castità,… fossero anche pronte a farne voto se venisse loro accordato dal confessore... in una parola, che rimanendo queste zitelle in mezzo al mondo, aspirassero a quella perfezione cui aspirano le buone religiose nei loro chiostri. Oltre a ciò, che si esercitassero nelle opere di misericordia, segnatamente aiutando ed assistendo le inferme del luogo, impegnandosi che non manchi l‟istruzione cristiana alle fanciullette, promovendo le opere di pietà, in genere ogni cosa conferente al servizio di Dio e alla salute delle anime… si considerassero sorelle, e non solo si impegnassero per il reciproco vantaggio dello spirito, ma anche si aiutassero nei loro temporali bisogni. Trovate alcune compagne, abbozza una regola e la fa vedere a Don Pestarino che la manda al Frassinetti che, assorbito da altri lavori, trascurò di rispondere, finalmente dopo due anni, nell‟autunno del 1855, compilò la richiesta regola… Chi la compilò – parla di sé in terza persona – si attenne fedelmente alla traccia somministratagli, niente aggiungendo e niente mutando di sostanziale. Avuta la regola, la domenica dopo l‟Immacolata dello stesso 1855,663 diedero inizio alla Pia Unione in numero di cinque. Il sedici agosto del 1856. anche a Genova si ha un‟identica associazione. Se ne stampa la regola in poche copie “volendosi provare la sua riuscita prima di divulgarla”, e impedire critiche e censure. Don Pestarino la fece conoscere al vescovo della Diocesi che, andando a Mornese nel 1857 per la conclusione del mese Mariano, radunò in chiesa le ragazze, ne ricevette “una specie di professione” e ne approvò la Regola.664 Si limitò il Frassinetti a semplici ritocchi “niente aggiungendo e niente mutando di sostanziale”? Fu un‟idea originale della Maccagno o le era nata dalla lettura dei libretti del Frassinetti, uno soprattutto: La forza d‟un libretto? Si ripete ancora una volta quel suo porsi in ombra facendo figurare altri come aveva già fatto raccontando l‟origine della Beato Leonardo e delle Dorotee. Un praticare l‟ Industria V – Se si vuol introdurre in alcun luogo una buona istituzione o pratica caritatevole e pia, e trovi nelle persone ivi influenti tale opposizione da non poterla vincere, adoprati perché… sia introdotta ed accolta in qualche luogo vicino. Dopo che avrà ivi fruttificato, la notizia del bene ed utile che essa porta, si spargerà dove soffre l‟opposizione…665 663 Il giorno 9 dicembre. G. FRASSINETTI, Regola della Pia Unione delle Nuove Orsoline, Figlie di S. Maria Immacolata, Genova 1867, pp. 3-8. Alle prime cinque – Angela Maccagno, Maria Mazzarello e altre quattro – si era aggiunta una giovane vedova. Questo il testo della professione: “Io, essendo risoluta, mediante il divino aiuto, di attendere alla mia santificazione, specialmente col guardarmi da ogni peccato anche minimo, pienamente avvertito, ed all‟esercizio della carità verso il mio prossimo, prometto di osservare la Regola della Pia Unione delle Figlie di M. Immacolata”. Cronistoria, vol. I, p. 74. 665 G. FRASSINETTI, Industrie spirituali, Genova 18643, pp. 12s. 197 664 In un secondo tempo, aggiungendo al nome di Figlie di Maria Immacolata quello di Nuove Orsoline, seppe rinunciare ad ogni diritto di primogenitura: Industria VII – Uno dei pretesti piú frequenti, onde il mondo fa guerra al bene, è quello della novità. Per la qual cosa tu procurerai di togliere, per quanto sarà possibile, l‟aria di novità al bene che vuoi promuovere, studiandoti al possibile di presentarlo come imitazione di ciò che già in altri tempi o in altri luoghi è stato fatto; la qual cosa non ti sarà difficile, essendo vero che nil sub sole novum.666 … Da siffatta industria verrà ancora quest‟altro bene: ne avrà minore soddisfazione l‟amor proprio, parendo tu piuttosto imitatore che inventore.667 Non si trattò di semplici ritocchi, essendo impossibile. Appare chiaro se si tenta di porre in sinossi i due testi e mettere in risalto i piccoli ritocchi che il Frassinetti dice di avere apportato all‟Abbozzo della Maccagno. Il manoscritto del Frassinetti a noi pervenuto è un manoscritto martoriato da ripensamenti e correzioni. Lavoro suo. La stessa idea di vita consacrata restando nella propria famiglia e nella propria condizione espressa nell‟Abbozzo, alla Maccagno era stata suggerita dalla Forza di un libretto edito nel 1841,668 uno di quei libretti del Frassinetti con cui il Pestarino nutriva le ragazze di Mornese. CAPITOLO XXXVIII LE FIGLIE DI MARIA IMMACOLATA MONACHE IN CASA Una rassegna delle pubblicazioni del Frassinetti con cui don Pestarino nutriva le ragazze di Mornese ci fa conoscere la formazione che loro dava. Ad esse fa spesso riferimento la 666 Non c‟è nulla di nuovo sotto il sole, Siracide 1,10. G. FRASSINETTI, Industrie… pp. 14s.. 668 Anche in questo capitolo e nei seguenti, sempre per economia di spazio, ci vediamo costretti a sunteggiare ed ad omettere i testi posti in sinossi. 198 667 Cronistoria.669 Riferiamo i titoli in essa citati ed alcuni altri fondamentali. Nel 1839 il Frassinetti, con Il culto perpetuo in onore del SS. Sacramento, cominciò a pubblicare titoli diretti ai fedeli in genere ed alle giovani in particolare. Fondamentali: Santa verginità, e La forza di un libretto, dialoghetti,1841, riediti molte volte, il primo con il titolo La gemma delle fanciulle cristiane, ossia la santa verginità. Nel 1842 il Compendio della teologia dogmatica riedito numerose volte col titolo Catechismo dogmatico, e nel 1844 Il conforto dell‟anima divota, con un‟appendice sul santo timor di Dio.670 Nel 1851 uscirono i Ricordi di una figlia che vuol essere tutta di Gesú: [Il mese di giugno] seguí senza speciali funzioni, ma con la lettura giornaliera del libretto del Frassinetti Per una figlia che vuol essere tutta di Gesú671. Petronilla [Mazzarello] racconta: “Da don Pestarino le figlie apprendevano anche il modo di farsi industriose per fare il bene. Una volta, per esempio… abbiamo comprato cento copie dell‟opuscoletto Una Figlia che vuol essere tutta di Gesú e… le lasciavamo cadere... “. Maria [Mazzarello] non poteva non essere la prima in quell‟attivo sciame di api.672 La stessa trovata nella Forza di un libretto di un quindici anni innanzi. In questi opuscoli si parla di ape industriosa. Testimonianza indiretta che tale libretto era da loro conosciuto. Nel 1856 si ha Pia Unione delle Figlie di Maria Immacolata, la prima pubblicazione scritta per le ragazze di Mornese.673 Ai primi del 1857 [Don Bosco] – scrive il Lemoyne – stringeva amicizia con il Priore di Santa Sabina, D. Giuseppe Frassinetti, santo e dotto moralista, da lui pregato di volergli comporre qualche fascicolo per la sua associazione popolare 674. In questa circostanza Don Bosco dovette conoscere il Pestarino nella canonica del Frassinetti.675 Fu Don Bosco a cercare il Frassinetti e, averlo cercato per chiederne la collaborazione, conferma che già lo conosceva attraverso gli scritti. Nel 1859 gli pubblica La rosa senza spine, memoria sulla vita della pia zitella Rosa Cordone676. una domestica “Figlia di 669 Cronistoria, vol. I, p. 53. Ne tratto molto ampiamente in una mia monografia, qui espunta per economia di lavoro. 670 Non nel 1852, come afferma il Capurro, ripreso dal Renzi, essendo stato recensito a Roma nel numero maggio-giugno, 1844, negli “Annali di scienze religiose”. 671 Cronistoria, vol. I, p.134. 672 Cronistoria, vol. I, p. 185. 673 Non ci è pervenuta nessuna delle poche copie tirate, ma il manoscritto tormentato da molte correzioni d‟Autore. Fu riprodotto con ritocchi in appendice alla Monaca in casa. 674 GB. LEMOYNE, Memorie…, vol. V, Torino 1905, p. 605. Si tratta delle Letture Cattoliche. Il Lemoyne, nato a Genova il 2.2.1839, conosceva il Frassinetti fin da bambino. 675 La Cronistoria – vol. I, p. 34 – riporta questa dichiarazione del card. Cagliero: “Don Pestarino mi disse di aver conosciuto don Bosco a Genova, in casa del parroco Frassinetti di s. Sabina… e questo incontro e visite posteriori avvennero nel 1860, 61, 62”, ma in queste tre date non ci furono visite di Don Bosco a Genova “e – continua – [nel ] 64 quando fummo in gita a Mornese e vi presi parte anch‟io”. Data questa troppo tarda che dal contesto risulta non essere la prima. Perciò dovette essere quella su indicata. Fu a Genova due volte anche nel 1858, è vero, ma solo le poche ore dallo scendere dal treno e imbarcarsi per Civitavecchia diretto a Roma, e dalla nave al treno al ritorno. Il Lemoyne riporta le visite fatte in quelle poche ore, ma tace visite al Frassinetti 676 Stampato dalla Tip. Paravia Torino, maggio 1859, p. 72. 199 Maria Immacolata”. È la prima collaborazioni – o la seconda?677–. Collaborazione gratuita cominciata male.678 Don Bosco, con una disinvoltura che per noi ha dell‟incredibile, gli fece quaranta tagli senza neppure espungere i rinvii alle parti tagliate. Il Frassinetti non la riconobbe per sua, come dichiara nell‟Avvertenza dell‟edizione genuina da lui curata e stampata a Genova lo stesso anno.679 Dello stesso anno una terza edizione. In un semestre tre edizioni della storia d‟una giovane morta da soli sei mesi!680 Anche nell‟edizione di Don Bosco in nota si fa la storia della Pia Unione e se ne dice lo scopo già riportato nel capitolo precedente con poche varianti e qualche integrazione, tra l‟altro vi si legge il nome Istituto secolare che anticipa di quasi un secolo quello di oggi! Nel fascicolo I della stessa annata, Don Bosco aveva pubblicato la vita di Domenico Savio morto due anni prima. Entrambi offrono ai giovani dell‟ora esempi dell‟ora. Si direbbe che operino in parallelo.681 Il Frassinetti non cessò la collaborazione per la disinvolta libertà di Don Bosco. L‟anno appresso pubblicò la biografia di un‟altra Figlia di Maria. Ma di lei piú oltre. Lo stesso anno, esce La monaca in casa, con due appendici:, uno su Pia Unione delle Figlie di S. Maria Immacolata,682 l‟altro su Le amicizie spirituali, imitazione di S. Teresa. Leggiamo nella Cronistoria. In via ordinaria, nelle adunanze le Figlie [di M. Immacolata di Mornese] leggevano e spiegavano fra loro, per una piú chiara comprensione alcune pagine della Monaca in casa di s. Alfonso M. de Liguori… .683 Evidente errore di attribuzione, avendo già indicato per autore il Frassinetti. Ci è pervenuta solo la quarta del 1863 – ogni anno un‟edizione! –. Da essa si veniva a conoscere lo spirito e la Nell‟elenco dell‟Istituto Centrale per il Catalogo Unico, Indice SBN: GIUSEPPE FRASSINETTI, Libro aureo ossia l‟umiltà in pratica per condurre alla perfezione cristiana: utile per tutti i fedeli. “Letture cattoliche”, Torino, Paravia, 1856, p. 63, 14 cm. Biblioteca dell‟Istituto internazionale Don Bosco, Torino. Opera finora da tutti ignorata. 678 Per principio, il Frassinetti rinunciava ai diritti d‟autore anche con gli altri stampatori, perché tenessero basso il prezzo di copertina, non rinunciava alla proprietà dell‟opera, perché gli stampatori, tentati dal successo, non gonfiassero il prezzo. Non solo, ma esitava in Genova un cinquecento copie d‟ogni numero di Letture cattoliche. Alla sua morte Don Bosco era preoccupato con chi sostituirlo. 679 Nell‟Avvertenza si legge: “La tanto benemerita Direzione delle Letture Cattoliche… stampava le mie Memorie sulla vita della pia zitella Rosa Cordone non quali erano da me compilate, ma abbreviate molto sensibilmente, di modo che furono tolti piú di quaranta brani: frattanto non si tenne conto di queste mutilazioni, e qua e là vengono citati i tratti che sono stati omessi… – porta degli esempi – … io mi credo in dovere di fare una nuova edizione di queste Memorie quali le ho compilate e le posso riconoscere per cosa mia. È perciò che questa edizione chiamo genuina”. Lo stesso infortunio in M. E. POSADA, Storia e santità, Roma 1992. Nell‟Introduzione, p. 26, scrive: “In appendice, poi, ho inserito una compilazione degli scritti del Frassinetti confrontati con l‟itinerario cronologico e formativo della Mazzarello offertomi gentilmente da P. Manfredo Falasca, postulatore della causa di canonizzazione del Frassinetti”. Appendice omessa per contenere il numero delle pagine mi dissero, senza rivedere l‟introduzione. 680 Per gentile cortesia di Madre Ester Posada, FMA, disponiamo della prima edizione in fotocopia, quella di Don Bosco, e della quinta, Genova 1867, p. 104, che fu l‟ultima curata dall‟Autore, morto a breve distanza di tempo. Anche in questa edizione mantiene l‟Avvertenza della seconda a noi non pervenuta. Raffrontando l‟edizione curata da Don Bosco con la quinta, non si capisce il perché dei tagli. 681 O non sarà stato l‟esempio del Frassinetti a suggerire a Don Bosco di fare qualcosa di simile per i giovani anticipandone la pubblicazione? 682 Vi ripete la storia dell‟origine. 683 Cronistoria, vol. I, p. 76. In quegli anni, il vescovo di Ventimiglia, futuro arcivescovo di Genova, il beato Tommaso Reggio, dava alle Suore di S. Marta, da lui fondate, la Monaca in casa come regola provvisoria, Positio, vol. II, p. 462. 200 677 natura delle Figlie di Maria. Se anche nella prima edizione era presente la nota di p. 194, come è pensabile, Don Bosco vi ritrovò la storia della loro origine. Una storia parallela è riportata nella Cronistoria.684 Nel 1860 pubblicò le Industrie spirituali secondo il bisogno dei tempi:685 e siccome [M. Mazzarello] non faceva piú conto della vita se non per quanto può dare di gloria a Dio e di utilità spirituale al prossimo, rileggeva con attenzione, fino a saperlo a memoria, l‟opuscolo Industrie spirituali del can. Frassinetti – una loro promozione! – per animarsi a divenire, anche lei, un‟ape ingegnosa nel fare il bene, appena la salute le permettesse di muoversi fuori di casa. Lo stesso anno Il modello della povera fanciulla Rosa Pedemonte, 686 una figlia di Maria di Genova morta di venti anni il 30 gennaio 1860 – anche questa volta a cadavere ancora caldo –. Era stata per qualche tempo a Mornese per rimettersi in salute, ospite di quelle Figlie di Maria. Vi si parla delle Figlie di Maria e di Mornese, cominciando dalla dedica: “Alle Figlie di Maria Immacolata”.687 Sempre nella stessa biografia torna a piú riprese sulla “Pia Unione” dicendone lo scopo, i doveri e lo spirito che deve animare quante ne fanno parte.688 Le Figlie di Maria di Genova erano in stretto contatto con quelle di Mornese: Era quasi un anno che [la Pedemonte] aveva in casa sua una zitella di Mornese [la Maccagno], la quale si tratteneva in Genova a motivo di studio per poter essere autorizzata a fare scuola alle fanciulle del suo paese… ritornando a casa sua sul principiare di agosto, portò seco Rosina con la speranza che quell‟aria le giovasse e non permise che tornasse fino al termine di ottobre [del 1858].689 A Genova la Maccagno trovò nel Frassinetti il direttore spirituale con il quale rimase sempre in contatto con visite e lettere. La Pedemonte, tornata a Genova ai primi di gennaio, vi morí il 27. Vi fu quindi fin dalle origini un stretta unione tra le Figlie di Maria di Genova e di Mornese. Nei due lunghi soggiorni della Pedemonte a Mornese, la Mazzarello ebbe modo di sentir parlare del Frassinetti con il quale l‟inferma si manteneva in corrispondenza. La sua biografia diede alle ragazze di Mornese, quindi alla Mazzarello, esempi vivi a cui rifarsi per essere sante Figlie di Maria. La Cronistoria ci conferma la lettura che ne facevano, specie Maria Mazzarello, trovandovi i modelli a cui rifarsi.690 La Mazzarello ancora nulla sapeva di Don Bosco. Sempre nel 1860 Il Pater Noster di santa Teresa di Gesú, Trattato della preghiera,691 un trattato di spiritualità, e la riedizione nelle Letture Cattoliche di uno dei primi scritti: La gemma delle fanciulle cristiane, ossia la santa verginità. Nel 1861 L‟arte di farsi santi. 684 Cronistoria, vol. I, p. 64-79. GB. LEMOYNE, Op. cit., vol. VI, p. 48°: “Intanto rimettevasi agli associati il fascicolo pel mese di febbraio [1860] delle Letture Cattoliche: Industrie spirituali secondo il bisogno dei tempi per Giuseppe Frassinetti… «Questo libro, scrive il Frassinetti, insegna molti espedienti e varie arti e finezze, o lettore, con le quali ti riuscirà piú facile evitare il male, operare il bene, giovare al prossimo; ed anche all‟uopo dare la burla al mondo ed al demonio, per fare, a loro dispetto, ciò che non vorrebbero»”. 686 GB. LEMOYNE, Op. cit., vol. VI, p. 658: “Il secondo fascicolo [delle Letture cattoliche] era uscito dalla penna del grande amico di D. Bosco…”. 687 G. FRASSINETTI, Il modello della povera fanciulla Rosina Pedemonte…, Oneglia 1861, pp. III-VI. La regola della Pia Unione si trova nella Monaca in casa di cui fra breve. Per Rosina Pedemonte, cfr. pure Cronistoria, I, pp. 83s.; 93. 688 Ivi, pp.79s. 689 Ivi, p.85. La ragazza di Mornese è Angela Maccagno. Anche la sorella della Pedemonte, Angela, cameriera di una nobile famiglia che seguiva nei suoi spostamenti, era Figlia di Maria. Fu da vari luoghi d‟Italia in corrispondenza con il Frassinetti e, dovunque andava, fiorivano Figlie di Maria. 690 Cronistoria, vol. I, p. 93s. 691 Tradotto in inglese, spagnolo e tedesco. 201 685 Prima che imbrunisse – leggiamo nella Cronistoria –, Maria [Mazzarello] leggeva [alle fanciulle del laboratorio] una paginetta, d‟ordinario, sulle Massime Eterne di s. Alfonso Maria de‟ Liguori, oppure su L‟arte di farsi santi, del Frassinetti. Senza aver l‟aria di fare una scuola di religione, in realtà commentava e spiegava la lettura in maniera facile e piana, sí da essere bene intesa da tutte.692 Anche le Massime eterne sono spia dell‟influsso del Frassinetti, libro che primo metteva in mano a chi fosse desideroso di darsi a vita spirituale. Dietro il Frassinetti c‟era sant‟Alfonso. Ne era il battistrada. La Mazzarello, quindi, nutriva quelle ragazze con libri del Frassinetti o con quelli da lui raccomandati. Lo stesso anno Il paradiso in terra nel celibato.693 Nel 1862 La fanciulla amante della santa verginità; Colloqui per la novena di s. Angela Merici con orazione per la scelta dello stato, con un estratto dalla Vita; Mazzolino di fiori pel mese di Maria; Avvisi e pratiche per un‟anima che desidera darsi ad una vita divota. Nel 1863 La Missione delle fanciulle – Racconti contemporanei, anch‟esso ripubblicato nelle “Letture cattoliche”.694 Le protagoniste dei racconti sono di Figlie di Maria viventi, indicati con N. N. Nell‟edizione vaticana alcuni si poterono indicare in chiaro. Gli esempi si susseguono agli esempi. Sono fanciulle giovanissime che mostrano nel concreto il campo di apostolato di queste Figlie di Maria ed i modi da loro seguiti, come pure dalle “apostolette” che ne erano come il semenzaio. Un quadro vivo, ricco d‟esempi di questo apostolato femminile – sono quindi i fatti a parlare – e, ad un tempo, senza che il Frassinetti se ne accorga, dipinge se stesso che ha suscitato il movimento e lo tiene vivo. Sempre nel 1863 la Regola della Pia Unione delle Nuove Orsoline figlie di Maria Immacolata, sotto la protezione di s. Orsola e di s. Angela Merici,695 regole vissute dalla Mazzarello finché non ebbe quelle di Don Bosco su cui torneremo. Il 1864: Proposte agli amanti di Gesú, un appello alla comunione quotidiana, alla verginità e al celibato; Il religioso al secolo, anche se tende allo stesso scopo della Monaca in casa, non è un adattamento per i maschi, ma opera originale. Il Frassinetti fa pensare ad un sarto che fa vestiti su misura, incapace di scrivere senza il cliente sotto gli occhi; Due gioie nascoste. Esortazione alla comunione frequente ed alla castità perfetta. Il giardinetto di Maria. Che non avrà fatto Maria [Mazzarello], perché le sue ragazze onorassero la Vergine Santa, nel mese a lei dedicato!… Introdusse anche fra loro la pratica del Giardinetto di Maria. Il can. [!] Frassinetti, in una sua visita a Mornese, l‟aveva loro insegnata e spiegata, perché la facessero fare alle ragazze: e quando Petronilla gli aveva domandato: “E noi la possiamo fare?” egli aveva risposto: “Eh! le piante piú vecchie danno i frutti piú saporiti!”. Sicché le figlie fecero esse pure con le ragazze il “Giardinetto di Maria”; e la Mazzarello se ne serví con molto accorgimento per lavorare le anime delle fanciulle col fervore della religione.696 Si noti l‟interruzione, indice della partecipazione e del tono di conversazione che il Frassinetti dava alle sue prediche ed istruzioni. Nello stesso anno:Amiamo Gesú!, Amiamo Maria! Prima di parlare del primo incontro di Don Bosco con le ragazze di Mornese avvenuto quest‟anno e degli incontri con il Pestarino, completiamo la serie delle pubblicazioni del Frassinetti destinate al gran 692 Cronistoria, vol. I, p.124. GB. LEMOYNE, Op. cit., vol. VI, p. 1037: “Pel novembre era pronto l‟opuscolo Il paradiso in terra nel celibato cristiano per Giuseppe Frassinetti “ 694 “Il venerando e dotto sacerdote Frassinetti, esimio suo collaboratore per le Letture Cattoliche, preparava l‟edizione di due preziose operette: La gemma delle fanciulle cristiane, ossia la santa verginità e La Missione delle fanciulle, racconti contemporanei. 695 La Cronistoria, vol. I, p. 67, cita l‟edizione genovese del 1867. 696 Cronistoria, vol. I, pp. 129s. 202 693 pubblico.697 Nel 1865 Amiamo S. Giuseppe! Nel 1866 Dissertazione sulla comunione quotidiana; Frutti del mese mariano; Nel 1866 una nuova edizione della Regola della Pia Unione delle Nuove Orsoline figlie di Maria Immacolata, sotto la protezione di s. Orsola e di s. Angela Merici, di cui dovremo parlare a parte avendo una sua storia. Nel 1867, l‟ultimo anno di vita: La divozione illuminata,elogiata dalla “Civiltà cattolica”, la ristampa della Regola conforme all‟edizione del 1863 e il Convito del divino amore, di cui non vide l‟uscita perché sotto stampa.698 Don Bosco entra nel mondo delle Figlie di Maria La Cronistoria fa incontrare la prima volta Don Bosco ed il Pestarino nel 1862, durante un viaggio in treno, basandosi sulla testimonianza di un Don Giuseppe Campi, di “tenace memoria”, per averlo appreso dallo stesso Pestarino.699 La data va anticipata sulla testimonianza non meno autorevole del cardinal Cagliero che li fa incontrare nella canonica del Frassinetti. 700 Nell‟estate del 1862, viaggiando in treno con il Pestarino, Don Bosco già sapeva molto delle Figlie di Maria Immacolata, non fosse stato altro per aver curato la stampa delle biografie di Rosa Cordone e di Rosina Pedemonte, né è da escludere che ne abbia discorso piú e piú volte con lo stesso Frassinetti. Del raduno, meglio dei raduni, del 1862 siamo in grado di dire qualcosa di piú preciso essendoci pervenuto un manoscritto del Frassinetti in prima stesura con correzioni ed aggiunte di sua mano: Regolamento per la Congregazione dei Sacerdoti Missionari della Diocesi di Acqui. Vi sono riportati i risultati delle elezioni pro interim del 26 agosto: Domenico Pestarino risulta 2o consultore. Un raduno quindi si tenne il 26 agosto al santuario della Rocchetta nel comune di Lerma. Le riunioni furono due, una il 26 agosto, quella della fondazione citata dal Frassinetti, una seconda il mercoledí 3 settembre. Nessun accenno alla presenza di Don Bosco, né, del resto, anche se presente, ve ne era motivo.701 Un silenzio quindi che non contraddice le altre testimonianze. Il primo incontro di Don Bosco con le ragazze di Mornese, compresa la Mazzarello, ci fu il 7 ottobre 1864, quando Mornese visse le grandi giornate rievocate dalle Memorie del Lemoyne e dalla Cronaca.702 Veniva da Genova dove s‟era fermato dal tre al sette. Fu loro guida nella visita della città Giuseppe Canale, membro – vedi caso! – della benemerita Società dei Figli dell‟Immacolata di D. Frassinetti… Egli in quei giorni, nei quali gli alunni dell‟Oratorio avevano dimorato a Genova, era stato loro guida e mentore in ogni luogo da visitare”.703 Fece loro da guida anche il Frassinetti, “dal quale [Don Bosco] era passato a far atto di riverenza ed amicizia in canonica”. Il Frassinetti rimase vivo nella memoria d‟un ragazzo che sarà un nome nella Società Salesiana, Don Francesia:704 Ometto l‟opera maggiore, Compendio di teologia morale, non destinata a fanciulle. Il Frassinetti non ne vide luce, essendo morto mentre era in corso di stampa. Ad esso, per voce comune, si sarebbe ispirato Pio X nel permettere la comunione quotidiana e nell‟ammettervi i fanciulli raggiunto che avessero l‟uso della ragione. Fu tradotto in varie lingue: francese, tedesco, spagnolo, portoghese, boemo, fiammingo… In quei giorni stava preparando la quarta edizione del suo Compendio di teologia morale, quattro edizioni in due anni, cinque con l‟edizione napoletana in un sol volume. 699 Cronistoria, vol. I, p.111: 700 Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, Cronistoria, vol. I Allegato n.2, Roma 1977, p. 324. È una Memoria scritta per le Figlie di Maria Ausiliatrice in Roma il 15 febbraio 1922 e conservata nell‟Arch. Gener. FMA. 701 G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. V, p. 176-190, in fogli formato protocollo. AF. Il manoscritto è datato: ottobre 1862. 702 Cronaca, vol. I, pp. 148ss. 703 GB. LEMOYNE, Memorie…, vol. VII, p. 752-759. 203 697 698 [Nel] visitare il palazzo di Andrea Doria… Don Bosco era accompagnato da quel decoro del clero genovese Don Giuseppe Frassinetti… Don Bosco ci diceva “Miei cari, facciamo tesoro, perché il buon Frassinetti è una vera arca di erudizione di storia patria”. Ci faceva meraviglia sentir Don Bosco raccomandarsi che lo ascoltassimo bene “perché ascoltare lui vale leggere una biblioteca…”.705 In questo 1864 don Montebruno pensava di farsi aiutare da Don Bosco per i suoi artigianelli. Lo stesso pensiero avrà pure il Frassinetti di lí a qualche anno per l‟incipiente opera dei ragazzi poveri desiderosi di farsi sacerdoti. Nell‟uno e nell‟altro caso non se ne fece nulla. Intanto le “Letture cattoliche” continuavano a stampare e a ristampare opere del Frassinetti, libri tutti che continuavano a nutrire la Figlie di Maria di Mornese. Su cosa poteva basarsi la stima di Don Bosco per il Frassinetti? Prima di chiudere il capitolo fermiamoci un minuto a considerare su cosa poteva basarsi la stima di Don Bosco per il suo santo amico genovese fino a spingerlo a cercarlo per ottenerne la collaborazione. Per il fatto stesso che ne chiedeva la collaborazione, non ne ignorava certo le opere, meno che meno i titoli di maggior successo ristampati in continuazione, uno soprattutto: Gesú Cristo, regola del sacerdote, pubblicato nel 1852 e già nel 1855 tradotto in inglese da un convertito dall‟anglicanesimo, James Laird Patterson, futuro vescovo ausiliare del Manning.706 In quest‟opera, nel paragrafo sulla cura dei fanciulli, Don Bosco trovava parole che avrà sentito rivolte a se stesso e chissà che proprio qualche pagina di questo libro non gli abbia dato una prima spinta a prendere in considerazione che la collaborazione delle donne può essere di immenso aiuto: Ora lascio pensare a te – pone in bocca al Signore – cosa dovrei dire a quegli orgogliosi, cotanto stupidi (sic), che credono di avvilirsi occupandosi dell‟ istruzione e della coltura dei fanciulli.… Nota infine che, non solo direttamente, ma anche indirettamente puoi attendere alla coltura ed alla istruzione dei parvoli, procurando che i genitori soddisfino a questi loro doveri verso i figliuoli e che, in loro difetto, vi suppliscano altre pie persone. Qualora trovi fanciulli, privi di genitori o che abbiano genitori trascurati, raccomandali alla carità di anime pie perché esse provvedano, col loro zelo ed industria, a quella mancanza. Molte vi sono di queste anime… Tu devi invitarle, incoraggiarle, dirigerle colle tue fervorose e savie parole. Sappi che l‟apostolato a pro‟ dei fanciulli è il piú fruttuoso… Parole musica alle orecchie di Don Bosco. Chi sono queste anime pie? Lo dice nel paragrafo successivo: Coltura delle anime pie: Né mi rifiutava – è sempre Cristo che parla – di dare speciale cultura alle anime del sesso debole, le quali avevano fede in me e volevano seguitarmi nella perfezione delle mie dottrine. Vedi come io veniva ammaestrando Maddalena707 che stava, estatica, assisa ai miei piedi e approvavo, 704 Ivi, p. 753. GB. FRANCESIA, Don Bosco e le sue ultime passeggiate, p. 260. Durante questa gita ci fu pure l‟incontro di Don Bosco col giovane sacerdote Giovambattista Lemoyne che subito gli chiese di accoglierlo tra i salesiani. Gli fu posta la condizione d‟avere l‟assenso del Frassinetti. L‟ebbe, anche se il Frassinetti aveva posto gli occhi su di lui per affidargli la direzione della Figlie di Maria Immacolata. 706 Sarà tradotto anche in francese, in spagnolo piú volte, due in tedesco, in fiammingo, in rumeno da un ortodosso per incarico d‟un vescovo ortodosso, in armeno dal vescovo Yovhannes Nazlian e forse anche in altre lingue di cui non ci fu data comunicazione. 707 Fa sua la confusione creata da papa Gregorio Magno, che, unendo in una sola festa liturgica Maria di Betania, Maria Maddalena e la in civitate Peccatrix, portò a credere si trattasse d‟una sola donna invece che tre distinte persone. Ma aggiunge valore: ci si può servire anche di buone cristiane che ebbero un passato scandaloso! 204 705 contro la faccendiera Marta, il suo cessare dalla fatica, per attendere all‟interna dolcezza della mia parola (Lc 10,33ss). Come io permetteva che mi seguitassero nelle mie evangeliche pellegrinazioni altre divote donne (Lc 8,2-3). Ho permesso che costoro mi accompagnassero fino al Calvario ed ivi assistessero alla mia morte, insieme colla mia divina Madre… Impara dunque da me… L‟amore bene ordinato vuole, infatti, che tu ami piú chi io amo maggiormente e chi maggiormente mi ama. Ti do un particolare ricordo, e questo è, che quando trovi, specialmente nella gioventú, anime pie, ben disposte a conservarsi in perfetta castità e a rinunziare all‟amore del mondo, tu le incoraggi a rimanere in quel felice stato… Se vorrai poi coltivare in quelle anime con molto frutto la bella virtú e innamorarmele fortemente, fa che il sacramento del mio Corpo sia il loro pane quotidiano… Si noti quel quotidiano. Nel § 13 parla della cura dei candidati al sacerdozio, nel § 14 della formazione intellettuale ordinata alla pastorale, nel § 15 torna a parlare delle donne. Dopo aver dato le norme per difendersi dai pericoli: come è disposto il tuo cuore per le mie Maddalene e Caterine che sono in cielo, cosí sia disposto per queste mie creature che sono in terra… Lasciava che mi seguissero nella mia predicazione e si vedeva che io amava il fervore della loro pietà (Lc 8,2-3). Ho voluto che restasse nel mio Vangelo, che io “amava Marta e la sua sorella Maria” (Gv 11,5). E ciò devi osservare, affinché una fuga o timore eccessivo di tali creature non t‟impedisca di curare la loro spirituale salute. Tanto per esse, come per gli uomini, ho stabilito i miei ministri a direttori spirituali, e anch‟esse debbono trovare nei miei ministri un padre che le consoli, un maestro che le istruisca, un condottiero che le guidi, un pastore che le pasca. E chi potrà censurare la mia divina ordinazione? In nota cita san Basilio: Æqua profecto viris et mulieribus pietatis est ratio, per le cose dello spirito, per gli uomini e per le donne esiste una sola regola: Osserva dunque di non tralasciare nulla di bene che tu possa fare a tali anime, per un timore che nascesse da poca fede… Fidati di me, ché né tu, né quelle ne avrete danno, ma esse [avranno] incremento alla loro pietà e tu una bella corona. Se, usando tutto il dovuto riserbo, ciò non ostante il mondo vorrà proverbiarti o calunniarti, fa‟ il sordo alle sue vane parole. Sono io il tuo giudice. Innanzi tutto attendere alla loro formazione, poi, a anime spiritualmente ben formate, chiedere collaborazione nell‟apostolato. Nel § 16 tratta appunto dei collaboratori e delle collaboratrici di cui un sacerdote deve sapersi servire: Come io mi sono valso della donna Samaritana per illuminare molti dei suoi concittadini (Gv 4,28ss.), ti potrai valere anche tu delle donne divote, le quali, per una pietà generalmente piú viva ed insinuante, specialmente tra le persone del loro sesso, rendono buoni servigi all‟interesse della mia gloria… Il mio Apostolo non ricusava di averle collaboratrici....708 Eccita e nutri in costoro spirito di zelo per la mia gloria: esse ne sono molto capaci, come mostrano le vite delle mie sante e come ti insegnerà l‟esperienza – una implicita confessione basata sulla sua personale esperienza –. Specialmente ti raccomando di animarle, dirigerle, confortarle nella cura delle fanciulle trascurate dai loro genitori. Nella donna, quindi, il Frassinetti non vedeva solo la benefattrice generosa pronta a venire in soccorso con i mezzi di cui può disporre – per tanti anni era entrata cosí nelle opere di Don Bosco –, o per i servizi di cucina e di guardaroba, come negli anni Sessanta Don Bosco cominciava a sentirne bisogno, ma la donna evangelizzatrice assegnandole un apostolato a favore delle ragazze. Contribuirono gli scritti e l‟esempio del Frassinetti a fare entrare Don Bosco in 708 In nota cita di nuovo San Basilio che, rifacendosi a Filippesi 4,3, affermava che era tradizione che Paolo si fosse valso di collaboratrici: ferunt istas sanctum Paulum coadiutrices in Evangelii disseminatione habuisee mulieres. 205 questo campo d‟azione per il quale si sentiva cosí poco portato? Che gli sia venuta dal Frassinetti l‟ultima spinta a vincere le sue ritrosie ed esitazioni nello slargare il suo ministero alle donne servendosi di donne? In questa operetta, che non pochi vescovi cominciarono a donare ai loro sacerdoti a chiusura degli esercizi spirituali, c‟è tutto il sacerdote Frassinetti, anche per quel che riguarda la pastorale femminile, che altro non è se non un distillato della sua esperienza pastorale che sarà ampliata di lí ad undici anni nel Manuale del parroco novello. Nel § 17 parla della buona stampa, apostolato cosí caro al cuore di Don Bosco. C‟è tutto il Frassinetti, ma anche un giovane sacerdote che a lui si rifaceva: il Pestarino, che, leggendo quelle pagine, riviveva gli anni genovesi. Come per il Frassinetti, per il Pestarino: le donne sono da Dio chiamate alle vette della santità, non importa se campagnole che sanno, e non sempre, solo compitare, e quindi un sacerdote deve additare loro tali vette, essendo oltretutto la santità il presupposto di quell‟azione pastorale in cui il Frassinetti ed il Pestarino le ritenevano piú adatte dell‟uomo.Uno sguardo al Manuale del Parroco novello709 dove trasfuse l‟esperienza di parroco, come si è già messo in risalto. Pratica dello zelo In qualunque popolazione, anche ristretta, è sempre un numero d‟anime che hanno un po‟ di fervore, d‟amor di Dio… tali persone dell‟uno e dell‟altro sesso – mia la sottolineatura – sono capacissime a prestare al parroco la loro opera, anzi dispostissime e desiderose di farlo… ne troverà anche nelle savie zitelle, specialmente se hanno già fermato il proprio proposito di conservarsi in santa verginità, proposito che dispone piú di qualunque altro a vita di perfezione e anche di apostolato per la promozione di ogni bene – si noti come metta insieme vita di perfezione e apostolato d‟ogni bene –… Il maggior bene poi lo faranno, come mostra l‟esperienza le pie vedove – pensava alla beata Rosa Gattorno, allora monaca in casa? 710–, e le zitelle presso le fanciulle mal curate dai loro genitori e presso quelle che sono tra il piegarsi alla vita mondana e alla vita divota… Ed è da notare che molto di questo bene non potrebbe farlo da per se steso il parroco per niun modo… Guai al parroco che si accingesse a questa sorta di missione, che sebbene santa di per se stessa, addiverrebbe per lui tosto la piú scandalosa e riprovevole! E piú, che sarebbe a dire se queste fanciulle dovesse cercarle in case nemiche alla pietà, nei laboratori, nelle botteghe, nelle osterie, dove per altro impunemente e senza pericolo di dicerie e scandali sono cercate dalle zelanti donne e zitelle? – si noti come estende il campo della loro azione –. A quest‟uopo è grandemente da commendare in primo luogo la Pia Opera di San Raffaele e di Santa Dorotea… Quindi vengono le Pie Unioni dei Figli e delle Figlie di S. Maria Immacolata, che, vivendo al secolo, si prefiggono di aspirare al conseguimento della perfezione cristiana, non solo con l‟esatto adempimento della divina legge, ma anche con serbare perpetua e perfetta castità e coltivare con speciale premura le virtú dell‟obbedienza e povertà di spirito, e si prefiggono inoltre di attendere per quanto possono alla santificazione dei loro prossimi.711 Quando il Frassinetti scriveva il Manuale del parroco novello già era stato incontrato da Don Bosco e da vari anni aveva intrapreso a scriveva per le sue “Letture cattoliche” diffondendogliene per giunta in gran numero. Tra le ragazze di Mornese e Don Bosco non ci era ancora stato contatto di sorta, ma, per aver già pubblicato la biografia di due Figlie di Maria, 709 G. FRASSINETTI, Manuale pratico del Parroco novello,1863, pp. 296, cm 16x24. A meno di un anno uscí a Genova la seconda edizione corretta e notabilmente accresciuta dall‟Autore, salendo a pp. 720 cm 8,5x12,5. Non si contano le edizioni e le ristampe, tradotto in spagnolo, francese, inglese, piú volte in tedesco. Si può dire che per quasi un secolo non ci sia stato parroco che non se lo sia preso per guida. Ne trovai una copia tra i libri d‟un mio zio parroco, fatto poi vescovo, in un paesetto d‟Abruzzo, . 710 A. M. FIOCCHI, Rosa Gattorno, 1996, pp. 117-120. Per piú notizie si rimanda alla Positio, 1991, e a ROSA GATTORNO, Lettere, vol. I e II, Roma 1992, pp. 541,731. 711 G. FRASSINETTI, Manuale…, pp. 267-269. 206 scritte dal Frassinetti per le “Letture cattoliche”,712 ne conosceva l‟esistenza ed il bene che esse facevano. Rimandiamo alla fine il quesito se il Frassinetti vedesse con piú simpatia queste umili e zelantissime monache in casa, libere da ogni irreggimentazione e formalismo, oppure le congregazione che da esse poi si svilupparono, regolate secondo le norme canoniche allora in vigore, come fu per le Figlie di Santa Fede divenute Dorotee e sarà per le Figlie di Maria Immacolata divenute dopo la sua morte Figlie di Maria Ausiliatrice. Come aveva saputo appartarsi e lasciare libera la sorella, attirata nell‟orbita dei gesuiti, di dare una sua impronta all‟opera di cui, come minimo potremmo chiamarlo confondatore, cosí, senza dubbio, avrebbe fatto con la Mazzarello attirata nell‟orbita di Don Bosco. L‟essenziale era fare il bene, poco importava lo stile. Il Lemoyne, diceva del Frassinetti, da lui ben conosciuto: “Profonda era l‟umiltà di quel santo Sacerdote. Mi diceva: «Mia sorella viene a consultarmi e poi fa tutto il contrario e ci… riesce». Ecco, l‟essenziale era riuscire a fare il bene. Anche Don Bosco ci riuscirà, e come! CAPITOLO XXXIX ALCUNE FIGLIE DI MARIA IMMACOLATA DIVENTANO FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE Leggendo le Memorie raccolte dal Lemoyne e dal Ceria, resta di Don Bosco l‟impressione di un fiume maestoso incrementato lungo il percorso da abbondanti piogge dal cielo e dalle acque degli affluenti di destra e di sinistra, ma già ricco ricchissimo d‟acque proprie sin dalla sua sorgente. Nessuna meraviglia, quindi, se il fascino di Don Bosco condizionò la mano dei suoi biografi. Come, però, non c‟è santo che non abbia santificato, cosí non c‟è santo che non sia stato da altri aiutato a farsi santo. Tutto viene da Dio, ma lo fa giungere da chi ci sta intorno perché si senta il bisogno dell‟altro. Lassú ce la rideremo vedendoci quaggiú cosí impegnati a rivendicare tutto il merito di questa o quella fondazione al nostro UNO, dimentichi che c‟è chi semina, chi irriga e chi miete, ognuno la sua parte secondo il dono, ma è Dio che da l‟incremento. 713 Che proprio i santi che piú ci hanno affascinato non abbiano un giorno a farci una bella ripassata per l‟animosità con cui si è tifato chi per Cefa, chi per Apollo, chi per Paolo…714 Messe le mani avanti, mi permetto di esporre qualche mia impressione su Don Bosco. Ambrogio, passato in otto giorni da catecumeno a vescovo, e vescovo di Milano, per nutrire il suo gregge non rifuggí dal prendere dove trovava e, benedicendo Dio di possedere latino e greco, traduceva e rimanipolava aggiungendo del suo con grave scandalo di Girolamo: l‟informis cornicula che si faceva bella delle penne d‟un pavone! nel caso, di Didimo il Cieco. Già, ma se a 712 Certamente da lui rilette. Ne è testimonianza i tagli operati nella prima pubblicazione. 1 Cor 3,6s. 714 1 Cor 1,12. 713 207 scopiazzare è un genio della statura d‟Ambrogio, ciò che ne viene fuori porta l‟impronta del genio. Anche Dante, e poi il Tasso, fanno gemere una pianta ferita, Virgilio ne avrebbe ammirato la geniale variatio ignorando i suoi diritti d‟autore. Non altrimenti Don Bosco, prende dove trova e fa suo, benedicendo Dio che gli ha dato mani che moltiplicano, organizzano e valorizzano ciò che esse toccano. Nessuno in questo gli è pari. Ciò che ne esce, ne porta l‟impronta. È di Don Bosco. Se Don Bosco non avesse ascoltato la voce di Dio, da garzone di tipografia, avrebbe anticipato i grandi editori Vallecchi, Rizzoli e Mondadori presi insieme, che, da garzoni divennero editori, e che editori! Nessuna meraviglia quindi se vediamo un uomo di tale fascino attrarre tanti e tanti che con lui si incontrarono, uno il Pestarino, una la Mazzarello. Era portato ad assorbire e a centralizzare. Tanti non seppero resistergli, ma non tutti. Uno il servo di Dio don Montebruno. All‟origine un equivoco. Aveva chiesto un aiuto per la conduzione della sua opera, non la salesanizzazione. Un uguale equivoco con i concezionisti che causò resistenza e rottura: un aiuto sí, salesiani no.715 Uguale il rifiuto della Maccagno, ed altre con lei, di passare a Don Bosco con la Mazzarello. Le Figlie di Maria Ausiliatrice non erano la stessa cosa delle Figlie di Maria Immacolata. Ci fu chi tentennò e chi fece a sé stessa violenza per adattarsi al nuovo. Al Frassinetti mancava il senso dell‟organizzazione. Non aveva alle spalle generazioni di soldati e governi feudali, ma una repubblica di liberi armatori. Non solo grandi armatori, ma anche gruppetti di barcaioli legati da vecchia amicizia. Pietro ai circoncisi, Paolo agli incirconcisi, Don Bosco ai giovani. Scelta netta. Tredicenne rifiuta di dare uno guardata ad una bimba di cinque. No alla Barolo. Se non ci fosse una lettera del Beato Faà di Bruno, che lo invitava ad assumersi la direzione di una editrice cattolica, si direbbe che Don Bosco lo ignori. Eppure il Faà farà a Torino per le ragazze ciò che Don Bosco faceva per i ragazzi. Per dare pane a tanti giovani occorrevano soldi, molti soldi, ciò fa scoprire a Don Bosco la donna in quanto benefattrice. I Faà di Bruno, la stessa famiglia del beato, erano ricchi. Don Bosco non li ignora, ma in quanto benefattori e benefattrici. Le opere si moltiplicano, mamma Margherita non c‟è piú, i collegi hanno bisogno di gente fidata e disinteressata cui affidare i servizi di cucina e di guardaroba. Lemoyne lo dice con chiare parole: “Alla morte della madre, ci narrò D. Rua, Don Bosco intravide la necessità di una Congregazione di Religiose, che avesse in cura il vestiario e la biancheria di cosí numerosa famiglia”.716 In quegli anni Cinquanta e Sessanta, Don Bosco non solo aveva già conosciuto il Frassinetti, ma lo aveva letto con attenzione pubblicando numerose sue opere nelle Letture cattoliche. Essendo le pubblicazioni frutto di una scelta, ne conosceva certo anche altre. In Gesú Cristo regola del sacerdote e nel Manuale del parroco novello il Frassinetti, pur consigliando ai sacerdoti un grande riserbo nel trattare con donne, li esortava a servirsi del loro apporto per il molto bene che esse, e sole esse, potevano fare, ma non chiedeva servizi di cucina, di guardaroba, bensí collaborazione nell‟apostolato. Don Bosco ne era a conoscenza dai libri del Frassinetti che aveva letto e gli aveva stampato, ma anche, e soprattutto, da ciò che ebbe modo di vedere con i suoi occhi in Santa Sabina, dove, tra l‟altro, la Provvidenza lo fece incontrare con don Pestarino. Per la chiarezza dell‟esposizione mi si perdonino le ripetizioni necessarie per comprendere il passaggio da Figlie di M. Immacolata a Figlie di M. Ausiliatrice. Le ragazze di Mornese 715 716 208 E. PERNIOLA, Luigi Monti, fondatore dei Figli dell‟Immacolata Concezione, Saronno 1983, pp. 513-572. GB. LEMOYNE, Op. cit., vol. V, pp. 368s. Varie sono le tattiche di guerra: la falange, muro di scudi e lance contro muro di scudi e lance; la legione romana poneva la sua forza nella mobilità e nell‟ adattamento al suolo su cui si combatteva, e furono loro a Cinocefale che restarono padroni del campo. Anche la legione poteva essere superata e lo fu dal combattimento per bande, proprio degli ibèri, se guidate dalla genialità d‟un romano, Sertorio. Paola propende per la prima tattica, Don Bosco sceglie la seconda, il Frassinetti la terza. Nelle truppe del Frassinetti nessun schieramento frontale, né uniforme, né distintivo che comunque li distingua. Nessuno può sospettare un soldato di Cristo nella rivendugliola che passa di porta in porta, non rifuggendo dall‟entrare anche nelle bettole. Piena libertà di movimento, nessun limite ad ogni santa iniziativa. Ognuno, secondo le circostanze, soldato e generale. La Figlia di Maria, monaca in casa, non si chiude in una roccaforte difesa da sette cinte di mura – convento e rifugio all‟epoca si equivalevano –, ma, secondo il precetto di Cristo, vive nel mondo e non è del mondo, e se ne fa sale e luce. Non un corpus separatum, nessun abito che la distingua, né suono di campanella che ne regoli i tempi. Non vincoli giuridici, non voto pubblico, ma forte e saldo il vincolo morale e religioso di offerta totale a Dio. Un sol voto privato, quello della castità, ma povertà effettiva ed affettiva, amata e vissuta con gioia, ed obbedienza che le fa serve di tutti: “Sí, volentieri…”, la risposta a qualunque cosa venisse loro chiesta purché non in contrasto con la legge di Dio e della Chiesa. Virtú religiose ridotte a nuda sostanza. Ma non meno sante di chi vive in convento, anzi c‟è chi, in convento, chiedendo scrupolosamente i “dovuti permessi” sa viverci ricco, come minorenne in famiglia doviziosa. È la sostanza che conta, per questo semplicissime le regole del Frassinetti e nessuna pretesa di tutto regolare. E sa appartarsi, lasciando che una giovane, se non si sente anima consacrata senza vestire un abito, vada a vivere la sua consacrazione tra le sacre mura ed abbia ogni attimo della giornata regolato. Gli fosse cara come gli era la sorella Paola. Nella casa del Padre non si contano i modi di poterci vivere e per tutti c‟è un posto. Purché sia scelta spontanea e non indotta da altri. Lui vivo, ci furono vescovi ai quali piacevano queste “monache in casa”, ma non erano disposti ad approvarne le regole per la loro diocesi senza modifiche. Il Frassinetti, prevedeva che, lui morto, avrebbero potuto snaturarle. Nell‟ottobre del 1864 la Mazzarello ha già ventisette anni e cinque mesi, età tale da poterla pensare già spiritualmente formata, e formata alla scuola esclusiva del Pestarino e del Frassinetti. Né lei né le ragazze di Mornese fino a quell‟ ottobre avevano ancora avuto contatto di sorta con Don Bosco. Nei dieci anni che seguono solo incontri sporadici. Loro maestro di spirito resta ancora il Pestarino con alle spalle il Frassinetti finché visse. Pensiero e tono vengono dal Frassinetti, già chiaro in nuce fin dalla Forza di un libretto stampato nel 1841. Il Frassinetti, come fa partecipe la sorella della prima idea delle Dorotee,717 con lo stesso stile, ponendo se stesso in ombra, racconta la storia della Pia Unione presentandola come idea della Maccagno e dando a credere d‟essersi limitato a pochi ritocchi. Il merito era tutto delle ragazze di Mornese. Un raffronto tra l‟abbozzo della Maccagno718 e le regole scritte dal Frassinetti, mostra con evidenza che della Maccagno sussiste il desiderio di farsi santa e santificare, il resto è del Frassinetti, e quello stesso desiderio di farsi santa e santificare pur restando in famiglia profluiva dalle pubblicazioni del Frassinetti datele a leggere dal Pestarino.719 Né merito si può Memorie intorno alla Congregazione del Beato Leonardo…, Oneglia 1857, p. 62. Cronistoria, allegato 1. 719 Cronistoria, vol. 1: “Se la data e i particolari della sua [della Mazzarello] totale consacrazione al Signore sono rimaste sotto il velo del silenzio, non ci sono però ignote… le esortazioni vive e insistenti di don Pestarino, 209 717 718 attribuire a santa Angela Merici ignota alla Maccagno e, a parte il nome ed una notizia generica, allo stesso Frassinetti. Or poi sono per certo notevoli alcune particolarità di questo ristabilimento [delle Orsoline]. La prima si è che la zitella che propose l‟idea della Pia Unione non aveva mai avuto sentore dell‟Istituto di S. Angela, come non ne aveva avuto mai il suo direttore [il Pestarino], né chi compilò questa regola [lui, il Frassinetti].720 La ragione della sua insistenza nel rifarsi a sant‟Angela Merici altro non è se non una della sue industrie spirituali a cui ricorreva per difendersi dall‟accusa di innovatore. Ciò che era criticato come novità, era vecchio d‟oltre tre secoli! Fino all‟ottobre 1871, vigilia della fondazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ossia nei sette anni dal primo incontro di Don Bosco con le Figlie di Maria di Mornese, non mancano contatti tra Don Bosco e il Pestarino, tra Don Bosco e le ragazze di Mornese. Ma Don Bosco aspetta a rivelare il suo progetto. L‟influsso che poté avere su quelle giovani non dovette superare quello d‟un santo predicatore d‟esercizi accompagnato dall‟aureola di quanto si diceva di lui. Per quanto fosse la venerazione per Don Bosco, le ragazze di Mornese continuavano a vivere la spiritualità frassinettiana guidate dal Pestarino in continuo contatto con il Frassinetti finché visse. Nel 1872, quando alcune decisero di passare a Don Bosco, la Mazzarello ha 35 anni, già formata, e formata alla scuola del Frassinetti, sia indirettamente attraverso il Pestarino, sia direttamente per i ripetuti incontri con lui, lo Sturla e Giacinto Bianchi, sia per aver fatto delle sue pubblicazioni il suo cibo quotidiano. Divenute salesiane, per due anni ancora, fino alla morte del Pestarino, Don Bosco giunse a queste giovani attraverso il suo filtro, il Pestarino della scuola del Frassinetti. Nel 1874, morto il Pestarino, la direzione è tutta salesiana, ma non di Don Bosco in persona, preso com‟era da mille cose e distante da Mornese e da Nizza Monferrato, né esisteva telefono che stabilisse contatti diretti, né la Mazzarello era donna di molta e facile penna da trattare le cose per corrispondenza.721 C‟era, è vero, il direttore che lo rappresentava, ma erano pretini sbarbatelli, stimati non di per se stessi, ma per luce riflessa, per la stima che si aveva per chi li aveva nominati, Don Bosco. Giovani senza dubbio capacissimi quando operavano tra i giovani degli oratori festivi e negli istituti salesiani, maschi con maschi, non certo ricchi di conoscenza della psicologia femminile tenuti sempre lontani da donne ed abituati a guardarle come il peggiore pericolo per la loro vocazione. Cosí impreparati, era facile fossero portati a fare di Mornese e degli altri istituti che man mano si aprivano, una copia conforme di Valdocco. Per fortuna le suore hanno ben sviluppato il senso del filtro e del rigetto. Non credo che la prima generazione, specie quelle che provenivano dalla Figlie di Maria Immacolata, accettassero cosa alcuna, anche se proveniva da Don Bosco, che non fosse passata per il filtro Mazzarello, e la Mazzarello conosceva la natura femminile, e ciascuna di quelle prime suore, piú e meglio di qualunque direttore fosse inviato da Don Bosco. Per essere stata sarta, prendeva quei vestiti, oltre che nelle devote letture da lui fatte man mano che riceveva gli appropriati opuscoli e foglietti dai suoi amici di Genova”, p. 53. Mio il corsivo. Erano le pubblicazioni del Frassinetti. Cfr. pure pp. 34 e 45. 720 G. FRASSINETTI, Vita ed Istituto…, pp. 100s. Nella terza edizione – non dispongo della seconda – in una nota dice che conosceva le Orsoline quali erano al suo tempo, religiose in comunità, non quali erano state all‟origine ed erano rimaste finché la santa visse: religiose secolari viventi nelle loro famiglie. (Ivi. Genova, 1867, p. 111). 721 Ci furono visite della Mazzarello a Torino e spostamenti per la fondazione di nuove case, ma si parlava di tante cose terra terra riguardanti il governo, l‟economia, le opere da assumere ed altro che richiedevano piú orecchi di Marta che di Maria. 210 creati in serie su astratte misure perfette di taglio maschile, e li riadattava alla comunità reale e ad ogni singola suora. Se mi si perdona l‟espressione, quelle pie fanciulle di Mornese vengono sí salesianizzate, ma alla… Mazzarello. Chiunque ha avuto un certa esperienza di suore, almeno di quelle di ieri, sa che ad esse giungeva del cappellano quanto la superiore ne filtrava. Santo, se la superiora tale lo diceva; una qualche riserva, e non era piú santo, per tornare ad esserlo di nuovo il giorno appresso se la superiora ne rimetteva in risalto le virtú. Da quelle prime suore Don Bosco era visto con gli occhi della Mazzarello. Purtroppo le testimoni di quei dieci anni, ossia da quando Don Bosco comincia a rivelare chiaro il suo progetto fino alla morte della Mazzarello, 1871-1881, erano donne semplici, non certo di penna. Dopo la sua morte raccontarono edificate ai salesiani di penna la vita della madre, ma a scriverla non furono loro, furono gli uomini di penna, i salesiani, per i quali tutto si rifaceva a Don Bosco. Era ancora da venire il giorno in cui le donne non sentissero piú alcun bisogno d‟appoggiarsi ad uomini per nessuna cosa. Di scrivere libri, all‟epoca, neppure a parlarne. È quindi necessario un lavoro di ricupero e di revisione, che, senza togliere nulla a nessuno, dia il suo a chi venne ignorato. Torniamo indietro per vedere se il passaggio alle dipendenze di Don Bosco fu solo un cambiamento di nome ed un rilancio alla grande, o se invece vi furono modifiche tali da farne cosa diversa da ciò che era prima, una rifondazione. Nessuno può dircelo con piú chiarezza di chi le aveva tenute a battesimo, il Frassinetti. Nel 1862, dieci anni prima della rifondazione, quando Don Bosco ancora non si era incontrato con le ragazze di Mornese, data quindi non sospetta, narrando la storia delle prime Orsoline, scriveva come in profezia: La Compagnia [di Sant‟Orsola] ebbe a soffrire due prove che ne minacciarono l‟esistenza, ma la santa proteggeva dal cielo – quindi si tratta di prove di dopo la morte della Santa –. La prima si fu che varie persone influenti, animate da uno zelo inconsiderato, cominciarono a censurarla e a disapprovarla niente meno che nella sua sostanza, pretendendo che fosse cosa assai imprudente e pericolosa lasciar tante giovani figlie aventi proposito di castità perfetta sparse per la città e dimoranti nelle loro case; richiedevano perciò che tutte si radunassero in comunità e si mettessero a vivere in clausura. Con questo si veniva a distruggere sostanzialmente l‟opera della Santa, la quale voleva appunto che le sue figlie rimanessero nelle loro famiglie perché ne fossero l‟edificazione e restassero sparse nella massa del popolo perché ne fossero come il buon lievito fermentatore. La maggioranza delle figlie protestò contro questa innovazione; savi e dotti ecclesiastici la combatterono; la controversia fu quindi sopita e fu ridonata la pace. La seconda prova, sebbene riguardasse un punto non tanto sostanziale, nondimeno mise la Compagnia in maggior pericolo. La Santa, come abbiamo accennato, non aveva prescritto alcuna forma di abito per le sue figlie, ma, poco dopo la sua morte, la maggior parte di esse… pretendeva di stabilire che tutte portassero un cordone… perché fosse segno e simbolo della verginità da esse professata. Dice a quali espedienti ricorsero per riuscirci e continua: Noi dobbiamo adorare le disposizioni della divina Provvidenza che permise si introducessero allora questa variazione nell‟Istituto di Sant‟Angela e ne permise poi altre maggiori, operate da uomini insigni in prudenza e pietà. Tuttavia… non è da approvare che talora gli uomini mettano cosí facilmente le mani nelle opere altrui, dopo che i loro autori sono morti, e quando perciò non possono piú dare ragione del loro operato, tanto piú ove trattesi di opere architettate da grandi santi e compiute con particolare assistenza di Dio, delle quali opere una era senza dubbio la Compagnia di sant‟Angela – mio il corsivo. 211 Parlando in specie della forma dell‟abito, noi noteremo che una pia zitella, la quale non ha alcuna distinzione di abito può molto piú facilmente esercitare tra la massa del popolo quella specie di apostolato che intendeva la Santa, imperocché meno osservata e con maggiore libertà si può introdurre dovunque richieda il bisogno…. Se Sant‟Angela Merici avesse voluto formare una compagnia di buone zitelle che attendessero soltanto alla propria santificazione, avrebbe ella stessa prescritta una forma di abito particolare che meglio le sequestrassero dal mondo… Ma avendo essa voluto formare una Compagnia di scopo cosí universale… per cui la suora deve potersi introdurre anche in quelle famiglie e in quei luoghi nei quali la persona religiosa non sarebbe la meglio accolta… saviamente aveva disposto che le sue figlie non si dovessero distinguere nell‟abito… che se queste osservazioni non capacitassero taluno sulla congruenza di lasciar vagare per la città zitelle dedicate al divino servizio senza salvaguardia dell‟abito religioso, gli faremo novellamente notare, che tale fu l‟Istituto di Sant‟Angela, alla quale non si vorrà dare taccia di poco prudente, e che tale fu approvato dalla santa Sede, la cui autorità per ogni cristiano è la piú veneranda.722 Queste parole ci fanno da spia che il Frassinetti pensava alle critiche che si potevano fare e che già forse da non pochi si facevano, e a ciò che sarebbe potuto accadere dopo la sua morte e che di lí a dieci anni di fatto accadde, non solo a quante divennero Figlie di Maria Ausiliatrice, ma a non pochi altri gruppi. L‟anno appresso pubblicò La Missione delle fanciulle, racconti contemporanei – a sostegno, si direbbe, delle argomentazioni – in cui mostra in azione le Figlie di Maria e fanciullette che aspirano a diventarle. I racconti sono cosí introdotti: Dio, perché onnipotente, non ha mai bisogno di grandi e forti strumenti per compiere le opere sue, si serve anzi talvolta degli strumenti piú piccoli e piú deboli a preferenza dei maggiori... Le fanciulle cristiane, considerate per se stesse, sono certamente le creature piú povere di entità e di vigore…; ciò non ostante, se Dio se ne voglia servire, dà anche ad esse mezzi assai efficaci… Questi racconti contemporanei, nei quali non vi ha nulla di finto o di esagerato, sono pura storia di ciò che avviene attualmente in una città d‟Italia [Genova]. Due fanciullette N. N. [Fortuna]723 è una fanciulletta tra i dieci e gli undici… Ella ha già un drappelletto di ragazzine minori di sé, tutte sopra i sette anni, che raccoglie nelle feste dai vari vicoli della sua parrocchia per condurle a Messa. Ogni mese, poco piú poco meno, le porta a confessarsi… N. N.724 una mattina si porta da una madre di famiglia e le chiede una sua figliuolina per condurla a confessarsi. Si trova ivi a caso una donna già attempata, la quale ammirata di tanto zelo… le dice: O mia figliuola, non vorresti portare anche me a confessarmi? Cui la fanciulletta: Certo che vi porto, sono pronta quando volete… La porta, aspetta seduta tutto il tempo. Confessata e comunicata, va per tornare a casa, ma la bimba le fa osservare che va fatto il ringraziamento. Non sono le uniche che “cominciano per questo modo ad addestrarsi alle opere di zelo”. La rivendugliola G. FRASSINETTI, Vita ed Istituto… 1a ediz., pp. 54-58, Genova. Don Bosco gli ristampò il libretto nelle Letture cattoliche due volte, nel 1863 e nel 1884, undici anni prima e dieci anni dopo la trasformazione delle Figlie di Maria Immacolata in Figlie di Maria Ausiliatrice, ma non dovette porci attenzione. 723 Nella copia della prima edizione vedo una nota a matita: “Fortuna, vivente”. 724 Manca ogni annotazione a matita che ci permetta di individuarla. 212 722 N. N. [Maria Carbone]725 è un rivendugliola tra i diciannove e i venti anni. Ella va in girò per la città dalla mattina alla sera vendendo le frutta che sono della stagione… si ferma dalle botteghe, dalle porte delle case, in mezzo alle vie, ma specialmente dovunque si argomenta di poter fare un qualche bene spirituale a pro di alcuna giovinetta, zitella o donna. Col miglior garbo che sa viene in discorso delle cose di Dio… Se vede che il suo parlare non riesce ingrato, passa ad interrogarle… Non è caso raro che trovi povere giovani ed anche donne le quali non le possono indicare né una chiesa che frequentano, né talora il tempo da che si sono accostate ai Sacramenti… Allora le esorta… perché intraprendano una vita migliore. Ella non ha tanta facondia,… conosce una zitella già attempata piú facile e felice di eloquio… La giovane… or con l‟uno or con l‟altro pretesto si industria di guidare a costei quelle che conosce essere in maggior bisogno… Generalmente ivi intraprendono nuova vita e poi non sanno trattenersi dal ritornarvi con frequenza… Per la Pasqua passata conduceva quivi buon numero di rivendugliole sue pari… Queste vi portarono altre loro amiche e congiunte… La zitella già attempata era Angela Rossi, la domestica di don Sturla. La “saletta” era nella canonica di Santa Sabina divenuta loro punto di riferimento.726 Né mancava di trovare loro un lavoro in ambienti onesti. Sono esempi che mettono in risalto le differenze tra le Figlie di Maria Immacolata che Don Bosco incontrò a Mornese e le figlie di Maria Ausiliatrice come poi egli le volle. Don Bosco, interessandosi delle donne come collaboratrici, non poté non vederle se non con gli occhi di direttore di collegi e di educatore della gioventú. Abbiamo quindi suore collegiali con disciplina collegiale, quale essa poteva essere nell‟ Ottocento: uniforme, orari, regole minuziose, movimenti a suono di campanella, tutto e tutte sotto vigile controllo. Collegiali educatrici di altre collegiali, ma anche con la prospettiva di passare l‟intera vita a rammendare calze. Il Frassinetti rivede le regole stese dalla Maccagno, anche se la sua revisione non fu di lievi ritocchi come egli afferma, né poteva essere, ma alla giovane lasciò l‟impressione d‟esserne lei l‟autrice. Don Bosco invece impone le sue regole, rifatte su quelle pensate per i salesiani con ritocchi desunti da regole di altre congregazioni femminili, senza tenere conto di quelle che stavano già vivendo da venti anni. Ne escono regole snellite quanto si vuole rispetto a quelle delle monache del passato, ma non di piú di quanto poteva essere la divisa d‟un bersagliere rispetto a quella d‟un vecchio fante affardellato. Piú leggera, certo, ma non fino ad eliminare spalline, piume, cordoni e fiocchi vari. Le donne furono viste dal Frassinetti con gli occhi d‟un parroco aperto ad ogni bene di ogni anima, ma d‟un parroco che nulla sapeva della disciplina d‟un collegio non essendo mai stato interno di seminario. Le pensò collaboratrici attive, che giungessero là dove il sacerdote non poteva, con smisurata libertà di movimento e di iniziativa, convinto che quella parte l‟avrebbero svolta meglio di quanto potesse un sacerdote. Le pensò come una quinta colonna mimetizzata in campo nemico – mi si passi il paragone anacronistico di ciò che fu durante la guerra civile in Spagna –. All‟apparenza erano donne in nulla diverse dalle altre donne, da poter porre piede anche là dove un sacerdote entrandovi avrebbe suscitato scandalo, eppure non erano del mondo, ma tutte e solo di Dio. Perciò piú che di minute prescrizioni disciplinari, le armava di una solida formazione spirituale che facesse loro e da convento e da grata e da abito religioso e da suora accompagnatrice nei loro movimenti. Dov‟è la pienezza della carità, si fa superflua la legge.727 725 Trovo annotato: Carbone Maria, vivente. In una lettera di Virginia Avio, Figlia di Maria, al Padre Piccardo, 26.10.1910, si legge: “Visse molti anni in questa comunità ed era membro utilissimo nelle opere dell‟Istituto. Morí nell‟aprile del 1908 di 65 anni”. 726 G. FRASSINETTI, La Missione delle fanciulle…, Oneglia, 1863, pp. 2-17. 727 Gal 5,14. 213 Formazione religiosa nutrita di preghiera, d‟eucaristia quotidianamente ricevuta e protezione di Maria Immacolata. Anche in questo, perché non paia novità, si riallaccia ad un precedente: San Vincenzo de‟ Paoli che tolse la monaca dalla stretta clausura e la pose nelle corsie degli ospedali. A quelle che erano senza obblighi di famiglia e libere di disporre di se stesse il Frassinetti dava la possibilità di formare piccole comunità di tre o quattro, non di piú, al massimo cinque – se piú cessava la famiglia – sostentate dal loro lavoro. Nella Missione delle fanciulle descrive La casa di lavoro, una comunità di Genova: Sono quattro sorelle che vivono in un appartamento assai informe composto di una stanza senza luce, due stanze e cucina. Esse lavorano per guadagnarsi il pane, due in fiori finti, una in stivaletti, l‟altra in biancheria: fanno pure ostie e particole per le varie Chiese. Occupano in questi lavori alcune fanciulle dei dintorni e altre in maggior numero vi accorrono per imparare la dottrina cristiana.728 Questa casa inoltre è luogo di convegno per un gran numero di fanciulle già grandicelle, ed anche adulte, le quali vi affluiscono… a anche da località notabilmente distanti…specialmente alle feste quando non devono attendere ai lavori e, avendo qualche poco di tempo libero, vi accorrono anche nei dí feriali… nei giorni festivi, tengono alle medesime una pia adunanza dove leggono qualche libro devoto e raccontano esempi edificanti… Generalmente sono giovani use a vivere in mezzo ai pericoli e aliene dalle pratiche della religione. Ciò non ostante, essendo tra esse buonissimi cuori ed indoli assai pieghevoli al bene, restano vivamente commosse da quelle letture… queste poi invitano altre loro compagne che ugualmente si approfittano della conferenza. Talvolta una ne tira cinque, sei e anche piú…Si noti che queste fanciulle non si potrebbero in altro modo tirare al bene… Specialmente quando dette fanciulle sono già grandi, i ministri di Dio e gli stessi parrochi si trovano nell‟impossibilità di giovare alle loro anime. Non era compiuto un anno da che era aperta questa casa… che con l‟aiuto di una terza avevano indotto a salutare mutamento di vita… già presso a settanta… .729 Don Bosco avverte le differenze tra ciò che erano quelle figlie di Maria di Mornese e cerca di evitare il trauma del passaggio dall‟uno all‟altro modo di muoversi, anzi, dal muoversi al non muoversi, e perciò non osa rivelare di colpo il suo piano. Lo fa a dosi, anche con don Pestarino, che tentò inutilmente di salvare il nome, a tutti cosí caro. L‟adesione a Don Bosco gli si mutò in calvario. In questo è d‟accordo anche il mio Capitolo – riferisce Don Bosco a don Pestarino –. Prima ancora di parlarne al Santo Padre ho voluto sentire il parere dei miei piú fidi collaboratori… ora vedremo di formulare un abbozzo di regole, piú o meno sulla base delle nostre, fatte, si intende, le debite modificazioni. Alle nuove religiose daremo il bel nome di Figlie di Maria Ausiliatrice: è contento don Pestarino?730 – Miei i corsivi – Si noti: i desideri della ragazze di Mornese sono del tutto ignorati, ignorato lo stesso don Pestarino, ignorate le loro regole fino ad allora vissute. Avviene anche qui, secondo i geni del luogo di cui sopra s‟è detto, ciò che nel decennio antecedente era avvenuto all‟unificazione d‟Italia. Gli stati annessi si videro tutto sostituito: leggi, amministrazione, tradizioni con le istituzioni vigenti in Piemonte. È contento don Pestarino? Nella Cronistoria il paragrafo che segue è intitolato: Don Pestarino fra due morse.731 Aveva fatto tanto per dare una scuola ed un convitto ai ragazzi di Mornese, elargendo quanto piú aveva potuto del suo patrimonio, ed era G. FRASSINETTI, La Missione delle fanciulle… Porta quattro esempi del loro interessamento per fanciulle appena adolescenti, p. 39 729 G. FRASSINETTI, La Missione delle fanciulle…, pp. 42-47. 730 Cronistoria, vol. I, pp. .245s. 731 Cronistoria, vol. I, p .246. 214 728 molto, con la collaborazione corale di tutti i suoi paesani. Il collegio per maschi, diventa convento di suore e collegio di bambine. È contento don Pestarino? Ma alla gente, alla gente che aveva fatto tanto, e tanto si aspettava, chi glie lo avrebbe detto? Don Pestarino! È contento don Pestarino? Il povero don Pestarino – continua la Cronistoria – dovette trovarsi certamente tra due morse: da una parte le difficoltà che vedeva insormontabili e dall‟altra l‟adesione piena del suo cuore alle disposizioni del Padre amato, del santo superiore. Come avrebbe visto il paese questa cosa? Tutti in ansia per il collegio maschile e averlo, invece, di figlie! di suore! Non avrebbero gridato tutti al tradimento contro di lui, contro don Bosco? E queste figlie, per quanto pie e virtuose sarebbero disposte a farsi suore? Egli le sapeva contente del loro stato e nessuna gli aveva parlato di farsi religiosa – mia la sottolineatura –. Maria Mazzarello sí, da giovanetta, lo aveva vivamente desiderato… E per il bene della parrocchia, si erano rese tutte cosí utili quelle figlie! E le loro famiglie? Che avrebbe potuto rispondere se era tutto contro di lui?732 Si noti: le ragazze di Mornese, i mornesani, lo stesso don Pestarino ci risultano tutti oggetti passivi. Un paragrafo della Cronistoria ha per titolo: Don Bosco chiarisce parte – mia la sottolineatura – del suo pensiero a don Pestarino.733 Quelle ragazze di Mornese erano felici di essere come erano, felici del loro bel nome: Figlie di Maria Immacolata. Sanno che possono essere tutte del Signore pur restando in famiglia, senza che peraltro fosse loro esclusa la possibilità di formare piccole comunità come avevano fatto a Genova e cominciato a Mornese. Lo stava a dimostrare la Casa dell‟Immacolata. Nessuna meraviglia, quindi, che la proposta di diventare suore, anche se di don Bosco, fosse accolta con freddezza, né capivano quelle rifiniture che si andavano introducendo e di cui non sentivano nessun bisogno. Si direbbe che Don Bosco le vedesse ottimo materiale grezzo da ripulire e lavorare. La mentalità dei politici dell‟epoca: s‟era fatta l‟Italia, ma gli italiani cosí com‟erano non andavano, erano ancora da farsi. Una mentalità non dissimile trapela anche dalle pagine della Cronistoria. Qualcosa di simile era stato fatto dal padre Firmino Costa con le Dorotee: Fu lui che predicò alle nostre la prima muta di esercizi spirituali, secondo il metodo di S. Ignazio, e fu del pari lui che mediante il ministero della sacramentale confessione e con opportunissime pubbliche istruzioni, diede al nostro Istituto la vera forma delle istituzioni religiose.734 Per quanto Don Bosco cercasse a Mornese l‟impatto morbido, non mancarono le reazioni: “Cosí non si può andare avanti sempre con la bocca chiusa”, protesta Rosina Mazzarello. Le resistenze di Petronilla a dover fare tutto come le altre ed in tempi convenuti, quel confessarsi e comunicarsi nei giorni prescritti, loro che si comunicavano già quotidianamente, e poi quell‟uniforme, e tutto quel parlare di disciplina! Si ripensi alla libertà di movimento di quella rivendugliola, non per questo meno anima consacrata, e poi si dia una scorsa alle nuove regole piene zeppe di proibizioni: Non si permetterà d‟uscire da sola. Di fermarsi per la strada e discorrere con chicchessia. Le suore non frequenteranno neppure le case dei signori parroci. Andranno in parlatorio accompagnate da una consorella, anche se fossero andati a trovarla i parenti piú stretti, non esclusa la madre. Tra i libri consigliati per la lettura troviamo la Monica santa di sant‟Alfonso, ma nessun titolo del Frassinetti con i quali erano state nutrite e che lo stesso Don Bosco continuava a ristampare nelle Letture cattoliche. 732 Cronistoria, vol. I, p .243. Cronistoria, vol. I, pp. .246s. 734 Memorie, Op. cit. p. 52. 733 215 Il Frassinetti aveva voluto aprire la possibilità della vita consacrata a chi fosse priva di mezzi, per le Figlie di Maria Ausiliatrice si richiedeva lire 30 mensili per un anno e mezzo dall‟entrata come postulanti ed una dote non inferiore alle lire mille. All‟epoca 30 lire, poco piú poco meno, era l‟intero guadagno mensile di un operaio non qualificato con cui doveva farci vivere l‟intera famiglia. 216 La Maccagno, la piú addentro allo spirito del Frassinetti, e la piú istruita, anzi l‟unica istruita di quel gruppo di ragazze, non entrò. Il Frassinetti era già morto da quattro anni e non poteva quindi dire i suoi perché, i perché d‟un parroco ignoti ad un direttore di collegi, né consigliare don Pestarino e le sue figlie. Ma avrebbe certo lasciato fare, come aveva lasciato che la sorella andasse per la sua strada, fedele al principio: “Noi dobbiamo adorare le disposizioni della divina Provvidenza che permette l‟introduzione di queste variazioni”. Ma, come non riconobbe per genuina la Vita di Rosa Cordone che Don Bosco gli stampò tagliandone proprio marte quaranta passi, da ristamparla lui per suo conto genuina, cosí penso avrebbe fatto di fronte al nuovo istituto religioso, pur riconoscendone il gran bene che esso faceva e benedicendone Dio.735 Don Bosco rimane piú aderente alle possibilità del momento storico. La sua grande innovazione è la loro posizione giuridica fuori di casa, non il dentro casa. Fuori i suoi religiosi sono dei cittadini pari in diritti e doveri a tutti i cittadini del nuovo Regno d‟Italia, e ciò li metteva al riparo delle leggi eversive; dentro casa erano religiosi secondo tradizione.736 Molte le differenze tra il prima ed il dopo. Don Bosco le organizzò conferendo un forte potere centrale all‟ istituzione. Anche qui si manifesta il genio della terra. Nella Chiesa c‟era posto per la Mazzarello, ma anche per la Maccagno, la donna che piú di ogni altra era entrata nello spirito del Frassinetti, e che, con alcune altre, rifiutò di accettare le novità. Si sarebbero appoggiate ai salesiani, ma solo dopo di essere state ascoltate ed aver visto presa in considerazione la bozza delle modifiche che esse erano disposte ad apportare alle proprie regole. Don Bosco non ne fece nulla e loro rimasero quel che erano. Durante questo periodo di consolanti novità per il collegio [di Mornese], quale la condotta della maestra Maccagno? Secondo Angiolina Pestarino e Maria Livia Gastaldo, vedova Giardino – ancora oggi (1938) arzille vecchiette – la Maccagno pur conservando la pena causatale dallo “sciamare delle sue api, con alla testa la Main”, si manteneva nell‟abituale buon tratto verso ognuna di loro, mentre pareva non ancora disposta a rinunciare al proprio ideale rispetto alle sue “Nuove Orsoline”. L‟incompleto regolamento che si ha sott‟occhio e il breve cenno sulle origini delle “Nuove Orsoline” della diocesi di Acqui, lasciano supporre che la Maccagno si sia valsa proprio di quel soggiorno di mons. Sciandra a Mornese, per presentargli un suo tentativo di organizzazione delle “Nuove Orsoline in parte modificata “ – si rinvia qui agli Allegati 13 e 14 –737, assicurandone la vita con l‟appoggiarle a don Bosco. Ma i suoi erano sentieri troppo diversi da quelli indicati a don Bosco dalla divina Provvidenza.738 735 In questa messa in risalto delle differenze, pur conoscendo il lavoro veramente magistrale con ottimo apparato critico di suor CECILIA ROMERO, Costituzioni per l‟Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (1872-1885), Roma 1983, pp. 357, ho tarpato le ali e mi sono attenuto alla Cronistoria perché rispecchia il modo in cui la prima generazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice, in grado per lo piú di appena compitare, accolse le innovazioni apportate da Don Bosco. Resta il rincrescimento di non aver svolto l‟ argomento come avevo progettato e raccolto materiale. Un lusso che non si può permettere chi sta vivendo il suo bel tramonto. Ho imitato re Davide che raccolse l‟occorrente per costruire il tempio, e ne lasciò la realizzazione a Salomone, sperando vi sia qualcuno, o qualcuna, di buoni studi, che riprenda il lavoro uscendo dal chiuso della propria congregazione per rifarsi alla ricchezza derivata dalla passione delle cose di Dio di tanti santi sacerdoti qui nominati e gli sia possibile accedere a una mia prima stesura piú ampia da cui questa è ricavata. 736 Una innovazione per difendersi dalle leggi eversive contro la cosiddetta mano morta suggeritagli nel 1857 dallo stesso ministro, Urbano Rattazzi, che aveva sostenuto la legge della soppressone dei conventi, cfr. GB. LEMOYNE, Memorie…, vol. V, pp. 696-699. 737 Cronistoria, vol. I, p. 355-363. 738 Cronistoria, vol. I, pp. 295s. 217 Il Frassinetti anticipava di quasi un secolo le congregazioni laicali, ma sapeva che i tempi non vanno forzati e che difficilmente quelle piccole comunità spontanee avrebbero allora potuto avere un riconoscimento giuridico che le difendesse da snaturamenti e arbitri di vescovi e persino di parroci. Pensò di poter ottenere qualcosa – almeno approvazioni morali e benedizioni da parte di piú vescovi, ed un riconoscimento da Roma che le mettesse al riparo da tali arbitri, ma il tempo era ormai per lui finito. Mi si perdoni la corsa in avanti e l‟omissione d‟un buon numero d‟anni e fatti di grande rilevanza altrove trattati. 218 CAPITOLO XL ANTONIO PICCARDO Fattosi coraggio, un ragazzo sui quattordici anni affrontò il Priore. Perché le femmine sí, e loro no; perché esse potevano vivere a Dio consacrate ed i maschi no. Dopo il nostro lungo indugiare sulle varie forme con cui il Priore aveva aperto alle ragazze la possibilità di potersi consacrare a Dio, anche qualche lettore potrebbe chiedersi: “E i maschi?”. Certo, ma proprio con loro il Priore aveva cominciato, sia pure con una categoria ben determinata, quanti si preparavano a divenire sacerdoti. Ne abbiamo già trattato parlando della “Beato Leonardo”. Restava un vuoto per chi aspirava alla vita consacrata, ma non al sacerdozio, perché non poteva, né si sentiva di vivere in convento fratello laico. Tornasse con dei compagni. Ne possediamo il racconto dello stesso Frassinetti premesso alla terza edizione del suo Compendio di teologia morale.739 Uscito alle stampe nell‟anno 1861 il Modello delle povere fanciulle, Rosa Pedemonte,… un giovinetto ai 14 anni, lette le sue memorie, mi domandava, perché non si potesse fare dai giovani ciò che di già si faceva con tanto buon successo dalle fanciulle. Io, che conosceva il suo spirito molto vivace e intraprendente, gli rispondevo, che come già da sei anni si era impiantata la Pia Unione delle Figlie di S. Maria Immacolata, la quale di già si andava mirabilmente diffondendo, nulla vietava che se ne impiantasse un‟altra che fosse dei Figli dell‟Immacolata Madre, i quali per la maggiore influenza che avrebbero nella società, potrebbero operare anche maggior bene che le fanciulle. Si accingesse all‟opera e cercasse alcuni compagni, i quali volessero emulare le Figlie. In tal maniera anche l‟ Unione dei Figli sarebbe formata. Il giovinetto accolse la mia proposta, e poco stante trovò alcuni altri giovani, tutti a sé maggiori di età, risoluti di vivere tutti per Iddio, e fu formata l‟Unione. Essa a poco a poco crescendo ebbe in Genova una cinquantina d‟inscritti. Fu stabilita poi in vari altri luoghi. Passa poi a dirci cosa fossero questi Figli di Maria Immacolata: I Figli di S. Maria Immacolata hanno una breve Regola, che fu approvata da Mons. Vescovo di Novara per la sua Diocesi, e trovasi in fine all‟Opuscolo il Religioso al secolo, che ne è quasi lo sviluppo ed il commento… Si dicono Religiosi al secolo, perché continuano a vivere al secolo nell‟esercizio delle loro arti, mestieri e professioni. Quindi devono avere, se non il voto, almeno il proposito della castità perfetta e perpetua. Sebbene non abbiano rinunziato alle loro sostanze, devono tuttavia coltivare lo spirito delta santa povertà, con vivere distaccati dalle cose del mondo, e spendere del proprio per la gloria di Dio e per la carità del prossimo, giusta i dettami di una prudenza, che non sia umana ma evangelica, consigliandosi, per non errare, col proprio confessore ed anche col direttore della loro Pia Unione. Devono pure esercitarsi nella santa ubbidienza, regolandosi in tutte le cose di qualche importanza, anche nel bene che operano o promuovono, giusta i suggerimenti del direttore. In tal modo praticano i Consigli Evangelici per .quanto possono praticarsi da persone viventi al secolo. Non devono tuttavia far voto di povertà e di ubbidienza, perché vivendo in mezzo al mondo forse piú volte troverebbero nell‟adempimento di questi voti inquietudini ed ansietà che disturberebbero la pace della coscienza. Voto e promesse che si aggiungono a ciò cui sono già tenuti in quanto cristiani: 739 Pp. 3-6. 219 Prima regola dei Figli di S. Maria Immacolata è che non commettano giammai peccati pienamente avvertiti, né anche dei piú leggeri: regola che d‟altra parte è propria di tutti i cristiani: stante che ogni cristiano è tenuto ad evitarli tutti, e tutti di fatto, per la ragione che sono pienamente avvertiti, si possono evitare… Non basta l‟astenersi dal male. Ma poiché al conseguimento della perfezione cristiana non basta astenersi dal male, ma bisogna anche operare il bene, essi devono, secondo che porta la loro capacità e stato, esercitarsi nello opere buone, anche in quelle di supererogazione, soprattutto esplicando zelo per la salute spirituale del prossimo. Non devono quindi contentarsi di aspirare a quella perfezione che basterebbe ai religiosi romiti o solitari, ma devono grandemente impegnarsi di promuovere il bene delle anime, emulando la perfezione dei religiosi di vita attiva… per la qual cosa non sarebbero da ammettere tra i Figli di S. Maria Immacolata quei cristiani, fossero pure di santa vita, che attendono soltanto a sé, e non promuovono il bene spirituale del prossimo se non colle loro preghiere. I Figli di S. Maria Immacolata, per quanto porta la loro capacità, e giusta i suggerimenti della prudenza cristiana, devono attendere ad impedire i peccati e gli scandali, a promuovere le buone opere, specialmente la frequenza ai SS. Sacramenti, e devono aspirare a moltiplicarsi cercando altri, specialmente tra i giovani, che vogliano fare parte del loro santo Istituto. In questi tempi, nei quali sono tanti tra i secolari gli apostoli di Satanasso, i Figli di S. Maria Immacolata devono essere tra i secolari gli Apostoli di Gesú Cristo. Congregazione tale che può moltiplicarsi per generazioni spontanee. In ogni luogo, se vi sarà uno zelante Ministro del Signore, a Dio piacendo, si potrà formare un numeroso drappello di Figli di S. Maria Immacolata. In mancanza del Sacerdote, anche un pio secolare potrà fare altrettanto. Un pio secolare che persuadesse due o tre suoi amici a praticare la piccola Regola sopra accennata potrebbe impiantare dovunque questo Istituto, piú che opportuno, necessario ai nostri tempi, in que‟ luoghi soprattutto nei quali la solenne e pubblica professione della vita religiosa resta impedita.740 In Genova alcuni pochi Figli di S. Maria Immacolata, emulando le Figlie già raccoltesi in famigliole, si sono radunati a far vita comune, ciascuno attendendo ai propri impieghi, senza alcun distintivo esteriore e si accingono a promuovere altra opera, che benedetta da Dio, avrà grande risultato pel bene di S. Chiesa. Ecco come don Antonio Isola, un religioso al secolo divenuto poi sacerdote, ci racconta le origini dei religiosi al secolo: Nell‟anno 1864 [il Priore] pubblicava… il Religioso al Secolo che è una regola per vivere virtuosamente in mezzo alla società, pur continuando ciascuno a vivere in famiglia e ad occuparsi nella sua arte e nel suo negozio. Aggiunse perciò in fine dell‟opera la regola per la Congregazione dei Figli di S. Maria Immacolata… La Congregazione si moltiplicò in breve divenendo numerosissima di modo che la sala della canonica non era piú sufficiente. Si divise in due sezioni, riunendo la seconda in San Luca. Questa schiera di giovani di tutte le condizioni, e cosí numerosa, dipendeva da lui come da un padre, anzi direi ancora di piú perché si amava veramente e perciò si temeva di disgustarlo e quindi si ubbidiva in tutto in modo assoluto. E se ne videro i frutti, perché, anche se dopo la sua morte vi fu qualche defezione, la maggior parte perseverò e diversi divennero sacerdoti esemplari.741 740 Erano gli anni in cui le leggi eversive fecero chiudere centinaia e centinaia di conventi. Ci è pervenuto un quaderno di don Antonio Isola in cui si narra l‟origine delle due opere con particolari ignorati dal biografo Carlo Olivari. “Vedendo le loro buone disposizioni, [il Priore] pensò di fare come aveva fatto per le figlie e invitò coloro che potevano ad unirsi insieme a fare vita comune, 741 220 L‟altra opera era la “Pia Opera dei Figli di Maria Immacolata”, con lo scopo di aiutare a divenire sacerdote chi vi aspirava, ma non poteva per mancanza di mezzi. L‟opera si ricollega a tre giovani religiosi al secolo che la seconda domenica dopo l‟Epifania del 1866, dopo di essere stati a chiedere la protezione di Maria nel santuario della Madonnetta, iniziarono a fare vita comune in un locale della canonica di Santa Sabina. Ecco il racconto che ne fa il biografo padre Carlo Olivari cugino di Pietro Olivari: Pietro Olivari, une dei tre, aveva la direzione della piccola comunità. Il Frassinetti prediligeva quel piccolo cenacolo dove alla scuola dell‟Olivari vedeva cosí bene trasfuso il suo spirito. Frequentava in quel tempo la sacrestia di S. Sabina un ragazzetto, certo Nicolo Ferretti da Monteghirfo, che mostrava desiderio di avviarsi al sacerdozio, ma egli era povero.742 Come fare? Il Frassinetti ne tenne parola all‟Olivari perché lo raccomandasse al direttore degli Artigianelli che lo volesse accogliere nel suo istituto. Ma l‟Olivari…: “Possiamo, disse, prenderlo con noi e mantenerlo dei nostri risparmi”. Il Frassinetti aderí di buon grado a quella proposta, e quel giovanetto fu il primo alunno della pia Casa dei Figli di Maria. A sentir raccontare le varie storie, si direbbe che siano sempre gli altri. Il Frassinetti non fa che assecondare. È solo uno che raccoglie le iniziative e non le lascia cadere. Alla moltiplicazione dei pani il Signore non rifiutò quei cinque pani e quei due pesci, ritenuti dagli apostoli da non prendersi neppure in considerazione. Li prese e li moltiplicò. Dopo il primo ragazzo, un secondo ed un terzo, un quarto… La canonica piú non basta e si va in cerca di chi ha un po‟ piú di spazio e cuore grande per ospitarli. L‟Olivari dirigeva la tipografia degli Artigianelli messa su da don Montebruno per dare un‟arte ed un pane a ragazzi di cui nessuno si curava. Alla mensa dei poveri c‟è sempre ancora un po‟ di posto per altri poveri. Il Montebruno offrí alcune stanze nell‟Opera degli Artigianelli in Carignano. Continuando ad aumentare, il primo luglio 1867 lasciarono i locali degli Artigianelli per un modesto appartamento in via Lata – sempre in zona Carignano – sotto la direzione dell‟Olivari che andò a stare con loro.743 Dopo continuando ciascuno la sua arte, e a prendere qualche giovinetto, che avesse passato i 15 anni ed avesse vocazione, per farlo studiare con il frutto del loro lavoro. A quest‟invito risposero il Sig. Pietro Olivari, direttore della Tipografia della Gioventú, il Sig. Rezzano compositore, il Sig. Emanuele Pedemonte orefice, il Sig. Giovanni Bottino cartolaio, il Sig. Bernardo Rosina, uno svizzero che lavorava nella fabbrica dei mattoni a Sampierdarena, i quali tutti si sistemarono nel locale degli Artigianelli fondato dal Rev. Montebruno”. Dopo aver parlato a lungo della morte del Frassinetti e di come aiutò a comporne la salma, riprende il discorso interrotto: “Morto il Priore, la casa dei Figli di Maria continuò sotto la direzione spirituale di D. Raffaele Frassinetti e della temporale del Sig. Pietro Olivari, il Sig. Giuseppe Canale, il Sig. Antonio Guano, il Sig. Ferrua, il Sig. Giovanni Marcenaro ed altri… Intanto avevano accettato Gambino ed ai 27 di Giugno sono entrato io, ottavo. Mi fu dato l‟incarico di prefetto e di ripetitore agli altri che andavano alla scuola in Seminario. Ma don Raffaele non si sentiva di continuare da solo la direzione spirituale ed il Sig. Olivari desiderava che ci fosse un Sacerdote per dirigere bene i futuri leviti, perché, per le sue occupazioni, e soprattutto per la sua umiltà, non si vedeva atto a questo uffizio. Ne parlò con il chierico Semino, suo amico, che nelle vacanze veniva a convivere con noi e faceva scuola agli alunni, che gli propose Antonio Piccardo, chierico alla vigilia del sacerdozio”. Ho dato una raggiustata in fatto di lingua al testo posto tra virgolette. La chiede egli stesso. “Avendo scritto correnti calamo e senza [brutta]copia, è male scritto e con degli errori. Prego di correggerli e di compatirmi” 742 Nicolò Ferretti morrà missionario negli Stati Uniti d‟America. Il secondo fu Giovan Battista Boraggini, che spenderà la vita nell‟Opera dei Figli di Maria, il terzo morí studente, il quarto, Bartolomeo Arecco, il cui nome resterà legato all‟Istituto Arecco. Notizie attinte in parte dal quaderno dell‟Isola. 743 Alla casa di via Lata, dove un gruppo continuava a dormire, si aggiunse tosto quella di via Miliys distante pochi passi. I giovani erano ormai una quarantina. Solo il primo febbraio 1872 ebbero la sistemazione definitiva in via Ginevrina. Chiusa che fu la via per la sistemazione urbanistica della zona, l‟ingresso passò in via Jacopo Ruffini dove ancora siamo. 221 aver parlato dei vari traslochi, il biografo, che di lí a qualche anno fu uno di quei ragazzi, continua: Non dimenticava però il Frassinetti l‟Opera nascente, che anzi scrisse per essa un apposito regolamento; ed egli stesso vi si recava in dati giorni ad istruire quei giovinetti nelle verità eterne, li esortava all‟amore di Gesú in Sacramento, spronandoli alla bella pratica della Comunione quotidiana. E si mostrava contento di loro; e a chi gli domandava dei suoi figli dell‟Immacolata, rispondeva: “Sí, sono contento, si regolano bene; ma bisogna vigilare attentamente che il diavolo non ci metta la coda”. Se non che, crescendo la comunità, parve conveniente che avesse a Direttore un sacerdote che tutto si dedicasse al suo governo, non potendo il Frassinetti per le cure della parrocchia attendervi in quel modo che avrebbe voluto; né volendo l‟Olivari durare in un ufficio che la sua qualità di secolare e le occupazioni della tipografia gli rendevano incompatibile. Il Semino… non seppe proporre di meglio che il suo compagno Antonio Piccardo, di distinta famiglia voltrese, allora diacono e prefetto della camerata dei piccoli. Piacque al Frassinetti la scelta, e il giovane diacono accettò di buon grado l‟invito. Solo si aspettava che fosse consacrato sacerdote. Ma in quel mezzo il Frassinetti morí. Egli che aveva gittato il seme benedetto non doveva vederne che i primi germogli. Ben lo vide dal cielo grandeggiare e ne esultò il Signore.744 Eccoci giunti ad Antonio Piccardo. Ancora una volta il Frassinetti è uno che ascolta e fa suoi i suggerimenti di altri prendendoli come voci di Dio. Alla sua morte, 2 gennaio 1868, il Piccardo non era ancora consacrato sacerdote. Lo sarà il 6 giugno di quell‟anno, sabato dell‟ottava di Pentecoste, vigilia della SS. Trinità. Nell‟attesa che egli fosse ordinato, a tutto pensava ancora l‟Olivari745. Il Piccardo assunse la direzione della Pia Opera nel luglio dello stesso anno. L‟ Olivari gli resterà vicino fino alla chiusura dei suoi giorni. Antonio Piccardo Ci si pone subito una domanda. Quanto aveva del Frassinetti il Piccardo? In seminario Antonio Piccardo aveva avuto l‟incarico di prefetto che era già stato di Domenico Pestarino. Ma erano cambiati i tempi, e con i tempi il seminario. Il Pestarino, il seminario e il suo rettore, erano vissuti in osmosi con la “Beato Leonardo”. Gli occhi ed il cuore del Pestarino erano ripieni del Frassinetti, ed a lui si rifece finché il Frassinetti restò in vita. Si è già detto come negli anni Trenta e Quaranta il Seminario e la “Beato Leonardo” con la sua Accademia fossero tra loro vasi comunicanti. Con la venuta dello Charvaz sarà tutto cambiato. Dopo i fatti del ‟48, estinta la “Beato Leonardo” ed espulso dal seminario il Cattaneo con la vecchia direzione, la nuova, almeno in parte, era prevenuta nei riguardi del Frassinetti. Giunto lo Charvaz, il seminario fu reso collegio di tutti i seminaristi, cessando la possibilità d‟essere seminarista esterno, cosa deprecata dal Frassinetti in uno degli suoi ultimi scritti pubblicato postumo. Il chierico Piccardo quindi non era nelle condizioni in cui si era trovato il Pestarino e con lui tanti altri. Del Frassinetti aveva sentito certo parlare, se non altro dall‟amico Semino, letto dei libri e, forse, l‟aveva anche piú volte incontrato, ma non era stato della sua scuola, né 744 CARLO OLIVARI, Della vita e delle opere del Servo di Dio, sac. Giuseppe Frassinetti, Genova, 1929, pp. 220-223. 745 Da non confondere con il cugino, molto piú giovane, padre Carlo Olivari, autore della biografia, grande latinista ed educatore di svariate centinaia di sacerdoti genovesi, da me ben conosciuto perché, non uscendo piú di camera, negli anni del mio ginnasio gli portavo tre volte al giorno i pasti e, mentre desinava, mi fermavo ad ascoltarlo. 222 aveva respirato il clima della “Beato Leonardo” e della sua Accademia. Il seminario era soprattutto collegio, e collegio significa innanzi tutto ordine e disciplina. Tra i responsabili di quest‟ordine e di questa disciplina, troviamo il Piccardo con un qualcosa, però, che aveva attirato l‟attenzione del Semino: con i ragazzi ci sapeva fare. Quando, ancora diacono, su suggerimento del Semino, fu scelto a dirigere quella neppure mezza dozzina di ragazzi poveri che desideravano diventare sacerdoti, il Frassinetti pensava certo di poterselo formare e trasmettergli il suo spirito. Non aveva ancora compiuto i sessantatre anni e godeva buona salute, quindi aveva la prospettiva di vivere ancora un discreto numero d‟anni, se non come il vivrà il fratello don Giovanni, che toccherà gli ottantacinque, su una buona dozzina poteva contarci, l‟età che vivranno, anno piú anno meno, gli altri fratelli sacerdoti e la sorella, tempo sufficiente per comunicare al Piccardo il meglio di sé e, chissà, risuscitare l‟Accademia della “Beato Leonardo” per i chierici di teologia e i giovani sacerdoti, oltre ad offrir loro la sua parrocchia e quelle dei suoi vecchi amici parroci quali campi di tirocinio. Sono i se della irrealtà, buoni solo ad offrire materia ai sogni. Purtroppo morí prima ancora che il Piccardo fosse ordinato sacerdote. Lo spirito del Frassinetti non gli pervenne quindi per via diretta, ma per sentito dire, attraverso il tipografo Pietro Olivari, il Semino e Raffaele Frassinetti che gli si affiancarono, nessuno però con personalità tale tale che lo facesse sentire alunno invece che maestro.746 Per sua buona ventura, proprio in quel 1868, il giorno di san Pietro, il Magnasco veniva consacrato vescovo ausiliare e l‟anno successivo, ritiratosi lo Charvaz, assumeva il governo della diocesi. Al Magnasco succederà il beato Tommaso Reggio, l‟uno e l‟altro della scuola del Frassinetti; l‟uno e l‟altro già membri della “Beato Leonardo”; l‟uno e l‟altro scelti dal Frassinetti a dirigere corsi nell‟Accademia, il primo di dogmatica, l‟altro di scrittura. E si sa, invecchiati, si fa forte la nostalgia di quando si fu giovani. I trentatre anni della loro reggenza della diocesi furono l‟epoca d‟oro della Pia Opera, tanta fu la fiducia che l‟uno e l‟altro riposero nel Piccardo e l‟aiuto che questi ne ricevette. Il Reggio gli affidò la stessa direzione del seminario arcivescovile, pur continuando a mantenere quella della Pia Opera. Con il Reggio la formazione del clero genovese era per intero nelle mani del Piccardo. In quei trentatre anni, i membri della comunità che curavano la Pia Opera, ne avessero non ne avessero consapevolezza, furono di fatto tutti religiosi al secolo, avendone la sostanza, ossia castità, povertà effettiva ed affettiva, per usare un‟espressione del Frassinetti, benché non 746 Ascoltiamo ancora don Isola: Il Piccardo “Cambiò il metodo di vita e di occupazione degli alunni volendo che questi dipendessero in tutto da lui mentre prima, per cosí dire, comandavano tutti. Questo portò un po‟ di dispiacere tra i Figli di Maria, per cui qualcuno uscí dalla casa, ma per gli alunni fu bene perché la casa non avrebbe potuto svilupparsi e dopo alcuni anni si sarebbe estinta. Sono certo che lo stesso Priore, se fosse vissuto, avrebbe approvato. Don Piccardo, benché tenesse tutto ciò che poté della Regola del Frassinetti, regolò gli alunni come in collegio… Il Sig. Olivari era sempre d‟accordo col Direttore e cosí ogni cosa andava bene, perché il Direttore colla sua fermezza, e con i mezzi di cui poteva disporre, andava innanzi imperterrito superando tutti gli ostacoli”. Termina con una appendice dove enumera le molte opere che, sia direttamente sia indirettamente, si rifacevano al Frassinetti: Le Congregazioni di M. Immacolata maschile e femminile, “seminari da cui uscirono le altre che da quasi 50 anni si occupano della Gioventú”, gli Oratorii festivi, le Figlie di Santa Dorotea per insegnare il catechismo e condurre le fanciulle ai sacramenti, il Montebruno ebbe dal Frassinetti l‟ispirazione per l‟Opera degli Artigianelli, Suor Maria Teresa deve al Frassinetti l‟ispirazione per la Casa della Piccola Provvidenza e “fu aiutata dai Figli di Maria di Santa Sabina quando in un piccolo appartamento di Via S. Lorenzo cominciò a raccogliere le prime fanciulle abbandonate… Insomma [il Frassinetti] fu un uomo straordinario che Iddio mandò per l‟onore e la difesa della religione e per il bene specialmente della Gioventú e, se il suo secolo non lo conobbe, anzi lo perseguitò, i venturi, conoscendone le opere, gli daranno l‟onore dovuto”. 223 giuridica – lo possono attestare i pochi rimasti che hanno conosciuto il nipote di padre Piccardo, padre “Piccardino”, poverissimo benché ricco di famiglia e, chi piú chi meno, negli anni della nostra formazione si mangiò tutti del suo pane –. In quanto all‟obbedienza, pur non avendone il voto, non credo ci sia mai stato uno dei suoi collaboratori che non abbia fatto proprio il piú piccolo desiderio del “Signor Direttore”, o che abbia osato dire un ma. Questo è quanto il Piccardo raccolse della eredità del Frassinetti: fornire a Genova sacerdoti numerosi e ben formati, e ne forní chi dice tre chi dice quattrocento, e non solo a Genova, perché non furono pochi quei che entrarono nei vari ordini religiosi o partirono missionari. Il Piccardo, prima di entrare in seminario, era stato convittore nel Nazionale. Nessuna meraviglia se in lui nascesse il desiderio di fare qualcosa anche per giovani che non aspiravano alla sacerdozio. Per loro aprí l‟Istituto Sacra Famiglia a Rivarolo, opera mai presa in considerazione dal Frassinetti. Alla morte del Reggio, quando la Pia Opera era all‟apice della sua attività, si avevano tre case, quella di Genova, un seminario per i piccoli a Pra, e il Sacra Famiglia, da cui, benché a ciò non destinata, uscirono non pochi sacerdoti. A piú d‟uno di quei collaboratori a tempo pieno, già di fatto religiosi, pareva di non esserlo, non essendolo di diritto. In modo particolare al Minetti. Si parlava quindi di trasformare la Pia Opera in congregazione religiosa – s‟è visto che lo pensarono anche il Frassinetti e lo Sturla e che ne furono dissuasi –. Si parlava. E, forse, si sarebbe ancora continuato a parlare se le difficoltà suscitate dal nuovo vescovo mons. Pulciano non avessero accelerato quanto da tempo già stava maturandosi. Ebbe cosí principio a Roma la Congregazione dei Figli di S. Maria Immacolata e l‟Istituto del Mascherone in cui veniva continuata la cura del clero, sia pure non piú con quella esuberanza di vita che si era avuta a Genova fino al 1902. In questo momento l‟aiuto del pontefice san Pio X fu tale che potremmo chiamarlo a giusto merito confondatore. Ci concesse il decretum laudis a neppure mezz‟anno di distanza dall‟inizio della nuova congregazione. Non tutti i sacerdoti che lavoravano a tempo pieno nelle case della Pia Opera, dopo di essere in essa cresciuti e formati, come il Boraggini, il Gesino, il Mantero…,747 vi aderirono come membri, pur continuando la collaborazione piena e con immutato disinteresse per quanto tempo vissero. L‟opera del Piccardo ha quindi due fasi. Nella prima lo vediamo ereditare dal Frassinetti uno solo dei suoi impegni, che assolse splendidamente: andare incontro alle vocazioni povere ed offrire sacerdoti ben formati ai vescovi, colmando cosí le lacune spaventose che andavano verificandosi nel clero. Tutta la rimanente attività del Frassinetti però parve andata perduta, anche per il sopravvenire degli eventi bellici che mutarono i chierici in soldati di trincea, molti i partiti, pochi quei che tornarono. Un po‟ alla volta ci fu la ripresa, soprattutto con l‟apertura di parrocchie in Italia, Polonia, Argentina, Cile e Filippine dove si offre ai suoi membri la possibilità di rivivere la vita del Fondatore, e case di educazione, di cui il Frassinetti ed Piccardo certo se ne rallegrano insieme in cielo. CAPITOLO XLI TRIBOLI E SPINE 747 224 Ai quali va aggiunto il professore Pio Oliva. Dopo aver raggruppato la storia delle varie istituzione a cui dette inizio o di cuifu gran parte, torniamo indietro negli anni per fermarci un po‟ sui triboli, sulle spine ed altre prove che dovette affrontare. Prove fuori dell‟ordinario, non le varie difficoltà che incontra un parroco da parte dei suoi parrocchiani che pretendono questo e quest‟altro, che hanno da ridire su questo e su quest‟altro, vedendo abolite o riformate vecchie usanze, o perché tardi a comprendere il valore di cose mai viste prima. Piú che triboli e spine sono solo occasioni buone per tenersi in gara con Giobbe e vedere chi dei due è piú paziente, ma non feriscono l‟animo né lasciano segno. Accusato di far parte di una società segreta748 Il sacerdote Luigi Boselli, direttore dell‟Istituto dei sordomuti di Genova, era stato richiesto di un parere su un suo metodo usato per catechizzare i sordomuti. Lodò la buona intenzione, ma, invece di dare un giudizio sul metodo, come migliorarlo o se fosse da buttare via, si improvvisò teologo discettando su quanto nell‟introduzione il Frassinetti affermava necessario conoscersi per essere ammessi ai sacramenti. Peggio, lo denunciò al ministro degli interni ed all‟ arcivescovo insinuando che facesse parte di una società segreta: Mi venne supposto che quello scritto sia opera di una società segreta la quale, sotto mentito velo di religione, mascheri disegni di iniquità, laonde io che non conosco altre società che la Chiesa di Cristo e lo Stato dove sono nato... credo mio dovere particolare di verificare la supposizione.749 Il Frassinetti per giungere al Boselli si era servito del can. Cattaneo. Toccato sulla sua ortodossia, ma nulla sapendo delle denunce al ministro degli interni e all‟arcivescovo,750 se ne lamenta con l‟amico. Nell‟introduzione al suo lavoro aveva affermato che, essere all‟oscuro di tutto, è peggio dell‟avere poca luce. Il Boselli non la pensa cosí e condanna i protestanti che vanno a predicare in Africa ed in America, per portarvi la conoscenza di Dio, perché, dando poca luce, ne danno una conoscenza eretica. Lo dimostra facendosi forte della sua esperienza: “I mezzi dotti e i saputelli sono piú nocivi di chi è del tutto ignorante”, con evidente allusione al Frassinetti.751 Io – scrive il Frassinetti al Cattaneo –, che intendo di essere cristianissimo piú che il Re di Francia, vorrei sapere da voi, che vi intendete di Teologia, se in questi punti sono in errore, perché piú mi importa di creder bene, che insegnar a sordomuti. Non mi sono preso finora grande scrupolo della mia fede perché un Vescovo certamente teologo mi fece scrivere dal suo segretario: “Ha letto Monsignore il di lei metodo per la istruzione dei sordomuti e ne è rimasto contentissimo sotto ogni rapporto”, il qual voto nulla vale in materia di istruzione dei sordomuti di che quel Vescovo non si intende, ma mi fido che possa valere qualche cosa in materia di Teologia.752 Questo primo lavoro del Frassinetti vedrà la luce con dei ritocchi in tutte le edizioni del Parroco Novello fin dalla prima del 1863. Accusato di screditare il clero della diocesi 748 Se ne è fatto cenno ala fine del capitolo 31, Parroco a Quinto. Genova, Archivio dei Sordomuti n. 1165. 750 Furono scoperte dalle ricerche dei suoi biografi. 751 Luigi Boselli, come del resto lo stesso GB Assarotti, subí l‟influenza dei giansenisti ed ebbe contatti con i suoi maggiori esponenti, Degola e Descalzi. Patriota, fu visto mescolato tra i dimostranti del 1846-1848. Fu avverso al potere temporale e contro la definizione dell‟infallibilità del papa. Non fu inviso all‟autorità ecclesiastica. Nel 1835, l‟anno che aveva denunciato il Frassinetti, ebbe encomi dall‟arcivescovo Tadini e da papa Gregorio XVI .per la sua opera a favore dei sordomuti genovesi. 752 A F. Il vescovo è Mons. GB. De Albertis, vescovo di Ventimiglia. 225 749 Il Frassinetti, in una sua memoria titolata: Rischiarimenti sul mio passato, parla della Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio come causa della guerra che gli fu mossa nel 1837 in occasione della pubblicazione di un suo opuscolo. Seguo da vicino il suo racconto. Aveva scritto un‟Esortazione agli Ecclesiastici per leggerla in Congregazione. V‟era un accenno alle arti con le quali la Chiesa veniva combattuta. Il marchese Giuseppe Durazzo, venutone a conoscenza, volle fargliela stampare a sue spese. Accondiscese purché il revisore ecclesiastico la rivedesse come censore ed amico con piena facoltà di mutare senza consultarlo. Non gli mutò virgola e nel maggio del 1837 vide la luce con il titolo di Riflessioni agli Ecclesiastici. Chi aspettava l‟occasione per muovergli guerra vi trovò una riga che l‟avrebbe giustificata.753 Cosa aveva scritto di cosí grave? Aveva chiamato i giansenisti setta quasi indefinibile di tristi ipocriti. Tutto qui. Bastò per inoltrare una denuncia al cardinale e mandare al Santo Ufficio una copia raccomandata ad un ecclesiastico due volte buono, il quale aspettando e non vedendo uscire il decreto della condanna, interrogò uno dei membri della Congregazione sull‟esito dell‟esame dell‟operetta. Si sentí rispondere scherzosamente: se l‟autore delle Riflessioni si porterà a Roma, facilmente sarà fatto vescovo.754 A Genova coinvolsero nella condanna tutta la “Beato Leonardo”, rea di “mettere in discredito tutti gli attempati e vecchi ecclesiastici” tacciandoli di giansenismo. Si sparse la voce che se ne era fatta una lista. Tutti ne parlavano anche se nessuno poteva dire di averla vista. A tanto chiasso si radunò il Collegio dei parroci e si stabilí di recarsi in corpo dal vescovo e denunciarlo. Anche i poco convinti dell‟accusa, non sapendo su cosa fosse appoggiata, si presentarono al cardinale al gran completo, inclusi i parroci del suburbio, meno il Frassinetti ed il parroco di San Salvatore.755 Udiamo il Frassinetti: Sua Eminenza li interrogò chi fossero i calunniatori, cui non seppero rispondere se non con dire e ridire che ciò si blaterava comunemente da tutti. Nessuno della Congregazione aveva accusato alcuno di giansenismo, quindi erano nell‟ impossibilità di citarne uno solo. Si accennò alla lista dei giansenisti, ma siccome nessuno l‟aveva potuta vedere, come non esistente, si conobbe che anche questa era cosa che si blaterava senza fondamento. Si parlò delle mie Riflessioni, cioè del tratto dove parlo dei giansenisti, ma sua Eminenza rispose che quel tratto era generico contro quella setta e non toccava alcuno del clero in particolare. Gran chiasso per nulla. Alcuni parroci tornarono dal cardinale a chiedere scusa. Ciò non ostante questo fatto commosse tutta la città e non si parlava piú d‟altra cosa che dell‟accusa di giansenismo data ai parrochi della città, della lista dei giansenisti e della divisione nel clero che si diceva operata dalla Congregazione del B. Leonardo. Una infinità di dicerie confondeva le cose, si precipitavano i piú strani giudizi e si voleva temere d‟una setta che si stesse formando in Genova sotto il nome della Congregazione del B. Leonardo. I nemici avvaloravano tali voci e soffiavano in questo fuoco… Le dicerie si estesero per tutta la Diocesi, per tutto la Stato, per tutta l‟Italia e fuori, sicché dello sconcerto del clero di Genova parlarono anche i giornali di Francia. 753 C‟era già stato il tentativo del Boselli, vedi Spina n.1. Le citazioni sono prese dal racconto che ne fa il Frassinetti. Attingo da un manoscritto arricchito di note da don Angelo Remondini. Nella sua canonica il Frassinetti trovò il primo rifugio quando dovette nascondersi 755 Annota Angelo Remondini: È cosa rimarchevole che nel libro delle deliberazioni del Collegio dei Parrochi non vi sia cenno delle sedute fatte pel detto oggetto, né della presa deliberazione di portarsi da S. E. l‟Arcivescovo. 226 754 Questa è la vera storia… e non merita nessuna fede il Semeria che non era sul luogo e scrisse malamente informato.756 Non desistettero. Ci furono pressioni sul cardinale perché sopprimesse la Congregazione senza riuscirci. A qualche settimana di distanza, il 30 giugno, il cardinale faceva pubblicare un breve di Gregorio XVI con concessione di molte indulgenze ut Congregatio huiusmodi maiora in dies suscipiat incrementa.757 Approvazione che si aggiungeva alle sue, l‟ultima del 12 gennaio dello stesso anno, quando già circolavano dicerie sul conto della Congregazione. Essa poi prosperava in mezzo a sí fiera battaglia e si ebbe la consolazione di vedere che di tanti chierici e preti, che ne facevano parte, si ritirò dalla medesima un sol prete confessando ingenuamente a Pr[ete] Sturla essere egli persuaso del bene che faceva la Congregazione, che tuttavia i propri interessi piú non gli permettevano di continuare nella medesima. Sperava qualche cosa dagli avversari alla Congregazione, ma non ebbe nulla. Allora fu l‟epoca del maggior concorso alle conferenze e alle accademie e si toccò con mano che in essa non erano ipocriti come alcuni avevano voluto supporre. I congregati, pur avendo risposto con il silenzio, continuarono ad essere attaccati, soprattutto i membri piú in vista, primo il Frassinetti, autore dell‟opuscolo. Non fu risparmiato neppure da chi sapeva che era stato scritto con buono spirito. Un giovane di 32 anni erigersi a maestro del clero! Rivolto a costoro, scrive: risponderei che in questo non saprei trovare imprudenza, fossi stato ancor piú giovine, perché è evidente che qualunque sacerdote ha diritto di parlare non solo ai suoi confratelli di una diocesi, ma anche a quelli di tutto il mondo (come fa chi parla per mezzo della stampa), s‟intende a quelli che hanno la compiacenza di ascoltare ovvero leggere le sue parole, cioè ha diritto di scrivere per tutti quelli che vogliono leggere ciò che scrive. Se altri dicesse spettare ai vescovi esclusivamente il proporre riflessioni e fare esortazioni agli ecclesiastici, risponderei… che un sacerdote qualunque, dico di piú, anche un laico, può suggerire riflessioni e fare esortazioni a qualunque persona del mondo, che si degni ascoltarle. Si appella alla storia: persino persone laiche, anche donne, suggerirono riflessioni e fecero esortazioni non solo ai sacerdoti, ma a vescovi e a papi… come l‟ultimo della famiglia ha la facoltà di dire a tutti i membri della stessa, compresi i maggiori: facciamo tutti quanto è in poter nostro perché i nostri interessi siano prosperati. Credo che non solo i fratelli, ma nemmeno il padre ed il nonno se ne terrebbero adontati. Se fossi vescovo vorrei essere ascoltato da tutti i sacerdoti miei sudditi, non essendo vescovo io non pretendo essere ascoltato se non da quei sacerdoti che ne hanno pazienza. Or qui non può essere né usurpazione di autorità, né arroganza. Sí, il cardinale ha detto che avrebbe fatto meglio a non pubblicare. Ebbe anche momenti di freddezza, ma furono momenti, infatti nell‟anno stesso, venuto in visita nella mia parrocchia, nel discorso che tenne alla popolazione, mi fece un elogio ben lusinghiero. Nell‟anno 1839 mi conferí la parrocchia di S. Sabina in questa città e tosto mi onorò delle cariche di revisore ecclesiastico per la stampa e di esaminatore pel 756 Semeria ne parla nei suoi Secoli Cristiani di Torino, vol. 1°, p. 423. V‟è intera la notifica del 9 giugno in cui il cardinale riafferma la sua stima per il clero della diocesi. Il prevosto di San Donato, don Amedeo Giovanelli, uno dei piú offesi, la lesse dal pulpito. 757 Perché tale Congregazione fiorisca ogni giorno piú. 227 clero, nelle quali cariche sono durato in vivo esercizio sino alla sua morte, cioè verso la fine del 1847. Ricorda di essere stato da lui difeso in una radunanza generale dei missionari urbani contro un parroco cui impose di tacere.758 Passa poi in rassegna le sue pubblicazioni fino alla data in cui scrive, 1847, per dimostrare dal loro successo che il pubblico non lo riteneva imprudente. Noterò le edizioni che conosco, avendo motivo di credere che se ne siano fatte anche altre a mia insaputa, alcune le ho conosciute per puro caso, e la maggior parte furono fatte senza domandarmi il permesso. Tutte bene accolte nelle principali città d‟Italia e mai una censura, tolte le due parole sui giansenisti, prese in mala parte, e il dubbio avanzato sulla grandezza di papa Manganelli. Fa l‟elenco delle molteplici edizioni. Non avrà fatto un gran bene, ma spera d‟aver fatto qualche piccolo bene in Genova e fuori. Il tafferuglio che si è fatto nascere dal primo opuscolo, sarebbe nato ugualmente per qualche altro pretesto che avrebbero saputo cogliere i nemici del bene, che come dappertutto , non faccio torto alla mia patria, erano anche in Genova. Da un male un bene: il suo nome si venne a conoscere in Italia e fuori e dell‟opuscolo si ebbe un‟edizione pirata a Milano CAPITOLO XLII NEL 1846 OSÒ SMASCHERARE GIOBERTI CREDUTO IL MESSIA DELLA PATRIA759 758 Annota Angelo Remondini: Credo che ciò si riferisca al Reverendo Solari, priore di S. Carlo. Vedi Giornale degli Studiosi. 228 Studiando la storia del Risorgimento viene da chiedersi cosa si intenda per “popolo”, se i pochi che si agitavano, oppure ogni uomo nato a respirare aria, nessuno escluso. Fu Cristo che riqualificò l‟ultimo umiliato su cui pesavano millenni di vessazioni e di disprezzo facendone un primo, un Figlio di Dio, fino ad identificarlo con se stesso: “Quanto faceste ad uno di questi fratelli miei minimi, lo faceste a me”.760 Per la Chiesa “popolo” ha questa seconda accezione: l‟insieme degli uomini, nessuno escluso, avendo Gesú fatto popolo di Dio Lazzaro di professione accattone,761 la vedova che piange l‟unico figlio,762 o si priva del vitto del giorno e ne fa offerta al Tempio,763 la prostituta asfissiata dal fetore dell‟ abisso in cui è precipitata e sogna aria pulita,764 l‟esattore ladro che vorrebbe avvicinare Cristo e non osa, pago di spiarlo tra le foglie d‟un sicomoro,765 il bandito che sul patibolo si scopre capace di giusto giudizio,766 l‟uomo nessuno.767 Per i nostri risorgimentali era “popolo” chi sapesse leggere e scrivere, disponesse di un buon reddito e fosse della medio alta borghesia. Non bastava l‟essere nati italiani, si doveva essere italiani degni d‟un tal nome, del popolo che fa storia, la storia che interessò un Tucidide o un Tacito nei tempi antichi; il Cuoco, il Colletta, il Cantú ai loro tempi. Gli altri, massa amorfa.768 Si pensi la fortuna di una insulsaggine di Massimo d‟Azeglio: “Abbiamo fatto l‟Italia, ora dobbiamo fare gli italiani”, tant‟era sparuto il gruppo di quanti si ritenevano degni d‟un tal nome! Di lí l‟impegno nel volerli rimpastare secondo un loro stampo. Di lí la parola d‟ordine: Educare! Famoso il Dio e popolo del Mazzini. Quale Dio? quale popolo? Non il popolo quale lo conoscevano i parroci, gli unici, forse, tra quei che sapevano leggere, che mai ne avevano perso il contatto, provenienti spesso essi stessi dalle classi piú umili, per i quali la parola “popolo” esprimeva il concreto delle persone di cui condividevano la vita. Il popolo vero, non già ciò che di esso vaneggiava questo o quel filosofo, questo o quel politico. L‟uomo come è, non come secondo loro avrebbe dovuto essere, e perciò da rieducare secondo un modello da essi in astratto pensato. Né il dio – proto, la minuscola – del Mazzini aveva nulla in comune con il Dio vero – proto, la maiuscola – in cui il popolo credeva: il Dio del catechismo, non un essere supremo in nebbiosa dissolvenza, incurante dei fatti della nostra vita. Il primo agitarsi dei risorgimentali fu ignorato dal popolo. Opera di militari e di funzionari napoleonici emarginati dai nuovi governi, e di studenti dolenti di essere nati tardi per vivere le grandi imprese. I moti del 1831, ignorati dal popolo, ne segnarono la fine. Luigi Filippo, il re straniero chiamato a scacciare principi stranieri, non si era mosso. Per il Mazzini tale fallimento era dovuto alla disunione tra le carbonerie, alla legge del mistero di cui si fasciavano e al non rivolgersi al popolo. Altra la via da battere: educare il popolo portandolo a pensare come la pensava lui, il Mazzini. Educazione accettata da pochi della borghesia per poi rinnegarla in tanti. 759 Si rimanda all‟Appendice in fondo al capitolo la confutazione ai Prolegomeni. Mt 25,40. 761 Lc 16,19-31. 762 Lc 7,11-17. 763 Mc 12,41-44; Lc 21,14. 764 Lc 7,36-50. 765 Lc 19,1-10. 766 Lc 23,39-43. 767 Mt 25,40.46. 768 Nel 1861, alle elezioni della camera del 1° Parlamento ebbero diritto al voto 419.938 cittadini su 21.915.242, l‟1,9% della popolazione. Votarono 242.363, l‟1,1%. I voti ottenuti dagli eletti – i collegi erano uninominali – furono 170.567. Un parlamento rappresentato dallo 0,7% della popolazione, a tacere dei brogli e dei condizionamenti dei 70.000 statali. Su 443 eletti 85 i blasonati, 23 gli ufficiali superiori, 74 gli avvocati! 229 760 Per gli altri, la quasi totalità del popolo, Mazzini era un sovvertitore. Il fallimento dei suoi moti gli tolse credibilità, come la fine di Ciro Menotti l‟aveva tolta ai carbonari. Fu l‟ora del Gioberti. Gioberti Sarebbe errore attribuire la sua immensa fortuna al fallimento dei moti carbonari ed alle inconcludenti congiure mazziniane. Il Gioberti seppe giungere al popolo e vi giunse, lui sacerdote, via ecclesiastica barando abilmente con la religione. Il suo Del primato morale e civile degli Italiani l‟aveva reso di colpo famoso facendolo voce di messia.769 Parve tale anche a gesuiti d‟un certo nome, i quali ebbero un amaro ricredersi all‟apparire dei Prolegomeni del Primato.770 Il 1845 fu l‟anno dei Prolegomeni. Un libello. Vi si bollava ad eterna infamia tutta la Compagnia e, con essa, quanti erano sospettati di favorirla. Se dal Mazzini i fedeli erano difesi nulla comprendendo della sua religione laica e di quel suo “dio”, non cosí dal Gioberti. In loro aiuto venne il Frassinetti. Il Saggio del Frassinetti Ce n‟era d‟avanzo per essere classificato gesuitante, e dei peggiori, se non il peggiore, ad argomentare da come sarà trattato dal Gioberti e da quanti ne erano infatuati. Del Gioberti tralascio la sua produzione filosofica che, per l‟ astrattezza della materia, aveva interessato solo gli addetti ai lavori, per restringermi al tentativo di strumentalizzare la religione cattolica a fini politici.771 Nel maggio 1843, pubblicando a Bruxelles Del primato morale e civile degli Italiani, Gioberti divenne di colpo famoso in tutta Italia. Il successo di quest‟opera fu favoloso, non solo presso i liberali, ma anche nel mondo ecclesiastico, non eccettuato, si disse, il futuro papa Pio IX. Il Gioberti parve sanare la ferita inferta dall‟insulto di Lamartine: Je vais chercher ailleurs, pardonne, ombre romaine! des hommes et non pas de la poussière humaine”. Eravamo vivi e chiamati a grandi cose. Il consenso fu unanime fino all‟apparizione dei Prolegomeni del Primato Un libello in cui il Gioberti additava all‟obbrobrio i gesuiti causa dei mali d‟ Italia. I gesuiti, non la religione, non la Chiesa, non il Papa, come il Sismondi nella Storia delle repubbliche italiane,772 né il cristianesimo, come i mazziniani per aver esaurito la sua missione, né il clero aperto ai tempi. I non aperti gente plagiata dai gesuiti, dei gesuitanti non diversi dai gesuiti. Se questi erano individuati da una pubblica professione, era gesuitante chiunque non consentisse con il Gioberti o osasse criticarlo. Solo a pochi parve subito chiaro a cosa il Gioberti tendesse: servirsi della Chiesa per partecipare al popolo, fino ad allora assente, la passione risorgimentale. Gesuiti e gesuitanti andavano demoliti perché creduti un ostacolo; grandi elogi invece per il clero aperto alle innovazioni politiche. Contro il tentativo di fare della Chiesa uno strumento politico, 769 V. GIOBERTI, Del primato morale e civile degl’Italiani, Bruxelles, 1842-1843. Cavour, in una lettera del 13.2.1843 a Pietro Santarosa, sospetta Gioberti ingesuitato. 771 Nato a Torino nel 1801, nel 1823 si laureò ivi in teologia. Sacerdote nel 1825, di lí a poco dottore aggregato del Collegio teologico ed elemosiniere di corte. Le simpatie per la Giovine Italia lo coinvolsero nella repressione dei moti mazziniani del 1833. Arrestato il 31 maggio, fu fatto emigrare per non dare eccessiva risonanza ai processi con l‟implicarvi un sacerdote dell‟università ed elemosiniere di corte. Riparò a Parigi per poi stabilirsi a Bruxelles fino al ritorno in Italia nel 1848. L‟accoglienza fu un‟apoteosi, durata però il tempo che durò l‟illusione. Spenta l‟illusione, seguí il tracollo. 772 S. SISMONDI, Storia delle repubbliche italiane, T. XVI, Capolago 1832, pp. 357-376. 230 770 il Frassinetti sentí il dovere di intervenire per premunire i fedeli ed il clero dalla infatuazione giobertiana.773 Si sa la sorte dello strumento: quando piú non serve, si getta. Il Biennio 1846-1848 I padri della Compagnia avevano già risposto al Gioberti con difese atte a confutare le accuse, piú che ad aprire gli occhi sull‟insidia alla gente semplice. Al Frassinetti il Primato non aveva suscitato illusioni ed entusiasmi come in tanta parte del clero, inclusi alcuni gesuiti, uno il Curci. Se i Prolegomeni fossero stati solo un libello, penso che dal Frassinetti sarebbe stato ignorato, bastando le confutazioni ponderose scritte dai gesuiti.774 V‟era una ragione piú pressante: mettere in guardia le anime semplici, ed anche il clero, dall‟affermazione del primato dei valori politici, civili e nazionali in cui veniva a risolversi la religione. Faccio mia per i fatti di ieri l‟odierna messa in guardia del filosofo Augusto Del Noce contro l‟affermazione del primato dell‟economico, che subordina e risolve in sé l‟eticità.775 La variazione dei termini, da me apportata, è solo un mutar nome ad uno stesso male: la subordinazione del religioso al puramente umano quale viene proposto di tempo in tempo dall‟intelligencija che fa moda, con l‟aggiunta del ricatto: “Se la Chiesa vuol essere credibile, deve…”. Variano i modi, ma tutti diretti ad un solo scopo: la pretesa che sia l‟uomo a decidere del vero e del falso, del bene e del male. La laicizzazione del religioso proposta nel 1834 da Demofilo/Gioberti sulle pagine della Giovine Italia. Il termine gesuitismo era vago sí da poterci includere non solo i singoli sacerdoti che non si fossero lasciati incantare, quali a Genova il Frassinetti, lo Sturla, il Cattaneo, ed altri a loro vicini,776 ma interi gruppi di persone etichettati frassinisti e sturlisti, quali i soci della “Beato Leonardo” ed intere congregazioni religiose. Ne seppero qualcosa le Dorotee. Si veniva cosí a creare divisione nel clero: sacerdoti che facevano onore allo loro stato perché aperti ai tempi, e sacerdoti retrivi ed ipocriti. Dall‟esecrazione alla persecuzione il passo fu breve. Un esempio, l‟attacco del Gioberti al Frassinetti nel Gesuita moderno. Il Priore aveva avvertito che l‟attacco ai gesuiti e gesuitanti era il preludio dell‟attacco generale alle altre istituzioni della Chiesa per svuotarla del divino.777 773 Molti gli infatuati del Gioberti creduto paladino della fede e della patria libertà. Vi caddero Don Bosco e non pochi gesuiti, che presto si dovettero amaramente ricredere. 774 Avevano già risposto i gesuiti Carlo M. Curci e Francesco Pellico, fratello di Silvio, cui era stato dedicato il Primato, dedica mantenuta nella riedizione con l‟Avvertenza, tirata a parte col titolo di Prolegomeni, e da Silvio rifiutata con lettera all‟Univers del 28.6.1845. Il Curci restituí colpo a colpo senza pietà, il Padre Pellico con tatto e carità tali da suscitare l‟ironia dello stesso Gioberti che lo chiama Madre Pellico. 775 A. DEL NOCE, I padroni del futuro elargiscono valori in Il sabato, n. 32(1987), 9. 776 Lo Sturla, benché d‟indole e di stile cosí diversi, era l‟altra metà del Frassinetti. 777 Non sono in grado di affermare se allorché scriveva il Frassinetti conoscesse la lettera inviata dodici anni prima da Demofilo/Gioberti “Ai Compilatori della Giovine Italia” ed ivi dal Mazzini stampata nel sesto fascicolo del 1834. Che Demofilo fosse Gioberti si venne a sapere con certezza solo nel 1849, quando i mazziniani, sentendosi traditi, la ripubblicarono, svelando l‟identità dell‟autore. Ne riportiamo qui solo qualche stralcio: “Viviamo in un tempo, in cui una religione veramente nuova non è possibile, siccome alcuni vani tentativi dimostrano – allude al fallimento del culto della Dea Ragione?–… perché i suoi simboli non sono morti… Che resta dunque a farsi, se non che [il cristianesimo]… diventi una religione civile? Io direi adunque agli amatori del cristianesimo: “La religione che voi adorate è morta… Se volete risuscitarla davvero… ponetela d’accordo con l’uomo e col secolo. L’uomo è progressivo, fatela progressiva… immedesimatela con essa ragione, e dimostratele che il libero esame, saviamente interdetto dai cattolici quando l’ingegno umano era barbaro…, è ora non che permesso, ma prescritto a chi ne è capace… Il nostro secolo è supremamente sociale… Rendete adunque la 231 Dove portassero le fasi di tale nefasto influsso si può ripercorrere nel sacerdote genovese Cristoforo Bonavino. Aveva lottato invano con il padre per farsi gesuita. Fu seminarista da porsi in vetrina, per qualche tempo pupillo del Gianelli. Dopo un periodo di doppia vita, finí con l‟apostatare e con l‟approdare all‟ ateismo. Mutato nome in Ausonio Franchi, passò a combattere la Chiesa dalla cattedra e con libri e riviste in nome della ragione. Di lui, e del suo tardo ravvedimento, si tornerà a parlare avendo avuto a che fare con il nostro Servo di Dio. Usciti i Prolegomeni, il Frassinetti li confutò con il Saggio intorno alla dialettica e alla religione di Vincenzo Gioberti,778 in cui si propose di dire con parole semplici e chiare chi fosse il Gioberti a cui ogni giorno piú si guardava con incredibile fanatismo, gonfiandone oltre ogni misura fama ed ingegno. Ne uscí fuori un opuscolo di dialettica stringente che smascherava quella fiera congerie di accuse sostenute non da prove, ma da ingiurie ed invettive. Anche nel piú infatuato giobertiano a lettura ultimata poteva nascere il dubbio che il Gioberti non fosse poi quel grande dialettico che dicevano e che la sua religione fosse tutt‟altro che trasparente, anzi, ad esaminarla bene, ben misera cosa.779 La difesa si fa di pagina in pagina piú serrata, spesso sferzante. Il libello del Gioberti, benché l‟autore si professi uomo che vuole essere reputato eminentemente cattolico, era privo proprio delle qualità che gli si attribuivano e di cui egli menava vanto: dialettica e attaccamento alla Chiesa.780 Non si doveva, quindi, prestare fede alla sua ostentata devozione alla Chiesa. religione sociale… Se farete cosí, la religione rimarrà… Altrimenti ella morrà… Paragonate il Papa a Cristo. E quando avrete… fatto vedere quanto divario corra… dal sublime Redentore delle genti a quel vigliacco oppressore di popoli [all‟epoca Gregorio XVI],… ponete mano arditamente al vivo cristianesimo, chiaritelo, divulgatelo… La vostra causa è eterna e però piú durativa della forma antica… Dio e Prossimo. Ma ora dice per vostra bocca e del secolo: Dio e Popolo; perché esso Dio… sta per… fondare una cristianità novella…[e] nuovamente scenderà sulla terra… Ma la sua comparsa non sarà, come la prima, un’apparizione individuale, fatta nella ragione di un uomo solo [Gesú], ma generale e nella ragione di tutti. Iddio sarà umanato, ma non nel figliuolo dell‟uomo, ma nel popolo…”. In La Giovine Italia e l’Abate Vincenzo Gioberti, Torino 1849, pp. 50-53.58s.61. Edizione rarissima, non vedendola citata nell‟edizione nazionale. È posseduta dall‟Archivio Frassinetti dei FSMI, Roma. Vi è ritratto il vero animo del Gioberti, tolta la maschera di cattolico. Che Demofilo fosse il Gioberti lo confessa uno che fu già ultra giobertiano, AUSONIO FRANCHI: “Negavo [al Gioberti] addirittura il titolo di filosofo, non ravvisando in lui se non un nemico mortale della filosofia moderna… ad ammonirmi dell‟abbaglio… sarebbe dovuto bastare l‟articolo: Cristianesimo e democrazia, già stampato nella Giovine Italia nel 1834 sotto il pseudonimo di Demofilo, ristampato col nome del Gioberti nel febrajo del ‟49 per cura di un mazziniano il quale ne traeva argomenti. per denunciarlo all‟Italia per un apostata ed un traditore della democrazia… e il Gioberti ne aveva col suo silenzio implicitamente riconosciuta l‟autenticità”, , Ultima critica, vol. I, Milano, 1889, pp. 146s. Cfr. inoltre la recensione: I misteri di Demofilo per S.S. prof. di filosofia, Torino 1850, in Civiltà cattolica, Serie I, vol. 20 (1850), pp. 98s. che mi pare si possa attribuire al Curci o al Taparelli dalla confessione che vi si legge: “E chi scrive quest‟annunzio… gabbato egli pure un tempo dall‟ ipocrisia del Gioberti, poté contribuire non poco ad accrescerne fra i Cattolici la rinomanza”. Anche se il Frassinetti ignorava chi fosse Demofilo, e forse l‟esistenza della stessa lettera, nel Gioberti, avvertiva odore d‟un Demofilo. Non è da escludere però che a Genova se ne conoscesse l‟autore. 778 [G. FRASSINETTI], Saggio intorno alla dialettica di Vincenzo Gioberti, Tipografia Faziola, Genova, 1846, pp. 86, cm 9,5x14,5. Il Frassinetti aveva preparato una seconda edizione dell‟opuscolo che, lui vivo, non fu data alle stampe. Fu pubblicata nel vol. XIII dell‟ediz. Vaticana delle sue Opere predicabili ed ascetiche, Roma 1912, pp. 147-214. 779 Il Bonavino si pone ora l‟interrogativo che pensa si ponga ogni lettore del Gioberti: “Come mai uno scrittore di tanto ingegno, di tanta dottrina poté cadere in tal abisso di contraddizioni, da cui sarebbesi di leggieri guardato ogni mediocre scolaro?” e i suoi lettori poteano dirsi press’a poco tutti li Italiani che avessero qualche cultura letteraria… Opera citata, vol. I, 149. Le domande che già si pose il Frassinetti, contro il quale il Bonavino era insorto con due libelli per difendere chi avrebbe calpestato di lí a qualche anno. 780 48. 232 Il Frassinetti non confutò ad una ad una le calunnie dei Prolegomeni, lavoro del Curci. Ne esaminò solo alcune, per mettere in evidenza le contraddizioni in cui il grande dialettico era incorso. Uscí nel maggio del 1846, poco prima dell‟ avvento al trono di papa Pio IX, che, per i suoi provvedimenti, fu facile farlo passare per chi avesse fatta sua la causa giobertiana. Nelle opere inedite del Gioberti, pubblicate postume, si ha la prova che il Frassinetti aveva colto nel segno. Ai preti liberaleggianti il Saggio, che criticava un tanto filosofo, presentandolo come uno che tentava l‟affossamento della Chiesa, e non come un suo paladino, parve sacrilega bestemmia. Immediata la reazione irosa ed insolente in un opuscolo di 64 pagine, stampato alla macchia, luogo: Italia, scritto da C. B. che don Remondini, il sacerdote meglio informato delle cose della Genova dei suoi tempi, individua in Cristoforo Bonavino di cui sopra s‟è anticipato un cenno. Mentre aggiungeva calunnia a calunnia contro i gesuiti, rovesciava sul Frassinetti scherni e triviali insulti, tacciandolo di ignoranza e mala fede. Il Frassinetti non replicò. Fu difeso da P. G. che, al dire di don Remondini, sarebbe la sigla di Prete Gaetano, ossia Gaetano Alimonda, il futuro cardinale arcivescovo di Torino, amicissimo del Frassinetti. Bastarono queste quattro paginette per dare la stura a quanto era rimasto in corpo a C. B. che, divenuto B. C., sempre alla macchia, pubblicò un opuscolo di 75 pagine contro I Gesuiti moderni e i loro affigliati (sic) in risposta a P. G.781. Informatore del Gioberti, attraverso Vincenzo Ricci, era appunto il Bonavino, almeno come fu sospettato e non senza fondamento.782 Tornato il Bonavino in seno alla Chiesa in sul finire dei suoi anni, nei tre volumi della sua Ultima critica, con cui ritrattava la filosofia da lui sostenuta, tace di quei due librettacci e delle sue informazioni al Gioberti, mentre rievoca l‟infatuazione generale che per lui si era avuta fino a far perdere la testa a non poca parte del clero. Che cosí fosse, ne è testimonianza l‟accoglienza che il seminario di Genova aveva preparato al Gioberti quando fece visita alla città.783 Ancora qualche mese e l‟astro si sarebbe eclissato. Meteora.784 Che la messa in guardia fosse necessaria, e non solo per la comune delle persone, ce lo conferma lo smarrimento intellettuale e religioso del Bonavino e di tanta parte del clero. Il Frassinetti aveva visto con lucidità dove, ad essere coerenti, avrebbe condotto l‟incantesimo giobertiano: al rifiuto di ogni religione rivelata in nome della libertà e della ragione.785 L‟odio e 781 C. B., I Gesuiti, risposta al M. R. D. Frassineto (sic), Italia, 1846; G., Osservazione al libello di G. B., Tipografia Pagano [Genova], con permissione; B. C., Autentiche prove contro i Gesuiti Moderni, loro affigliati ed il celebre dialettico Mo Ro Frassinetto (sic), Appendice all’opuscolo di C. B., in risposta a G., Italia 1846. 782 Al dire di DON A. REMONDINI, uno dei piú documentati conoscitori delle cose di Genova, in un foglio conservato nell‟Archivio Frassinetti. 783 Confronta il Documento riportato nell‟Appendice. in cui si riporta il pietoso indirizzo che gli fu rivolto dalla direzione del Seminario e dal corpo docente. 784 In una lettera dal fronte nei giorni dell‟armistizio il beato Francesco Faà di Bruno, allora ufficiale di stato maggiore della brigata comandata dal principe ereditario Vittorio Emanuele, ci dice come furono accolti i politicanti in visita ai reparti: “Brofferio non istette nemmeno un‟ora qui. Le mille imprecazioni dei nostri ufficiali il fecero desistere dalla sua impresa. Si fece accompagnare in vettura da tre ufficiali per paura che per istrada non lo ammazzeno (sic). Gioberti gli toccò la stessa sorte ed un soldato finí per tirargli addosso un torso di cavolo”, in PALAZZINI, Francesco Faà di Bruno, Roma, 1980, vol. I, 132, che rimanda a Epistolario, Francesco al conte Radicati, 10.8.1848, Archivio delle Suore Min. del Suffragio, Torino. Sempre il Faà di Bruno scrive al marchese Luigi Trotti-Bentivoglio: “[I volontari] tanto animosi sul principio, in gran parte presentemente, schivi dalle marce, dalle fatiche, del bivacchi, si sbandano e tornano alle loro case…” in Il Risorgimento italiano in un carteggio di patrioti italiani, 1820-1860, a cura di MALVEZZI, Milano 1924, 69, n. 225, citato dal PALAZZINI, ivi, pp. 119s.”, 785 Un quadro lucido e conciso di quel liberalismo cattolico politicizzato ci viene dato da L. BORGHI in Il Risorgimento. Introduzione: il pensiero pedagogico del Risorgimento, Firenze 1958. 233 il disprezzo riversato sulla Compagnia e su i gesuitanti non era che il primo attacco contro la Chiesa, perché era la Chiesa ad avere approvato ed approvava la Compagnia di Gesú, come fa risaltare con insistenza il Frassinetti. Ora, non essendovi differenze di rilievo tra la pastorale dei gesuiti e quella degli altri ordini e congregazioni religiose, come pure della piú parte dei clero diocesano, né differendo la vita cristiana comunemente vissuta dal modo come era da loro proposta, dopo i gesuiti sarebbe venuta la volta di tutti gli altri, anch‟essi accusati di gesuitismo. Gli unici a salvarsi sarebbero stati gli ecclesiastici conquistati alle vedute dei liberali, per lo piú i già affetti da giansenismo, facilmente manovrabili e non meno disposti dei non dimenticati sacerdoti sermentés dell‟epoca rivoluzionaria a prestare collaborazione. Non c‟è papa e papa, come vorrebbe il Gioberti, Clemente XIV, che sciolse la Compagnia, “Magno”, non Pio VII che per la istaurazione morale e religiosa del mondo l‟aveva risuscitata! Quando un Papa fa una cosa non si deve osservare se sia grande o non lo sia; ai buoni cattolici basta che sia Papa sapendo che tutti i Sommi Pontefici… ebbero ed avranno sempre la stessa autorità.786 Per disfare l‟incantesimo del negromante, mette in risalto quanto poco dialettico egli sia e come le sue professioni di fede cattolica siano per nulla convincenti. Né logico, né cattolico come un cattolico ha da essere. Cosí, non solo ne demolisce l‟opera, ma smaschera l‟uomo: un illusionista, peggio: un negromante, come i maghi dei poemi cavallereschi creatori di castelli fantasma destinati a dissolversi nel nulla, rotto che sia l‟incantesimo. Ci volle dell‟ardire nella tarda primavera del ‟46, quando Gioberti era l‟idolo delle folle, guardato come il messia inviato da Dio all‟Italia, perché l‟Italia, meglio: l‟aristocrazia del pensiero italiano – ai rozzi e alle donne Gioberti non si abbassava –, avesse a redimere il mondo, secondo quanto si sosteneva nel Primato. Principe di questa aristocrazia era lui, il Gioberti! La fama del suo ingegno, gonfiata a dismisura dall‟ entusiasmo popolare, stava toccando punte di incontrollato fanatismo. 787 Al suo arrivo a Genova, non pochi del seminario e del clero, e non fra gli ultimi, persero addirittura testa e decoro.788 A quarant‟anni di distanza ecco come Ausonio Franchi/Cristoforo Bonavino rievocava quei tempi: Preti e frati nelle loro prediche, vescovi e cardinali nelle loro omelie, teologi e apologisti ne‟ loro libri citavano a gara i testi del Gioberti quasi di un mezzo padre della Chiesa, aggiungendo quasi una consacrazione al nome d‟Italia… il mezzo scelto e adoperato dal Gioberti per una risurrezione d‟Italia aveva con efficacia prodigiosa servito al suo fine.789 786 11. Osare criticare Gioberti era sommo sacrilegio. In data 2 ottobre 1847 il Gioberti scriveva al Pinelli: “Io sono confuso per gli applausi al mio povero nome. Ve ne ha però uno, che ho gustato senza rossore. L‟abate Frassinetti… fu accerchiato da alcuni giovani, mentre passava soletto per una via, e costretto a gridare: Viva Gioberti” (A. COLLETTI, Ausonio Franchi e i suoi tempi, Genova 1925, 73 n. 2). Una simile violenza, anche se non si può affermare che si tratti della stessa, nella deposizione resa dal sac. Agostino Vignola: “La famiglia Bondanzo mi riferí che una notte il Servo di Dio fu chiamato e andò tutto solo da un infermo, e che al ritorno dei giovinastri nottambuli lo affrontarono e, malmenandolo, lo percossero con uno schiaffo, ma che egli tollerò pazientemente e continuò il suo cammino verso casa” (Copia pubblica foglio 480 verso). Che il Frassinetti abbia gridato evviva Gioberti è facile immaginare trattarsi di una spacconeria di chi voleva farsi bello agli occhi del Gioberti. Vantare simili eroismi di giovani che malmenano un prete soletto senza arrossire di tale evviva! 788 A. COLLETTI, Ausonio Franchi e i suoi tempi, Genova 1925, pp. 81.85. 789 Il pseudonimo Ausonio Franchi fu assunto da Cristoforo Bonavino quando, dopo anni di vita ambigua – sono del 1846 i due libelli contro il Frassinetti e i gesuiti, del 1849 la versione, a lui attribuita, del pamphlet di V. MEUNIER, Gesú Cristo davanti al tribunale di guerra –, rinnegò il suo sacerdozio e la sua fede per un radicale 234 787 Il Frassinetti presente i Crucifige del Venerdí Santo dopo gli Osanna della Domenica delle Palme. Gli uomini del ‟48, gli stessi che avevano innalzato Pio IX alle stelle, appena avvertirono che non stava al giuoco, lo additarono all‟odio e al ludibrio universale quale uomo di scarso giudizio, incapace di comprendere l‟importanza del movimento nazionale. Fama ancora viva nei nostri laici. Con il suo rifiuto di mettersi a capo d‟una crociata contro l‟Austria, sposando il cattolicesimo alla causa del progresso e della civiltà, aveva condannato Roma al tramonto morale e nullificato il sogno giobertiano.790 Ne esperimentò qualcosa il Frassinetti, a parte l‟esilio, che, anche dopo i tumulti del ‟48-49, sarà ancora additato all‟odio di cui restano echi sulla stampa liberale dell‟epoca.791 razionalismo ed un rabbioso anticlericalismo. Nato a Genova-Pegli nel 1821, da giovane chierico aderí alla congregazione fondata da sant‟Antonio Maria Gianelli che lo ordinò sacerdote nel 1842, convinto di aver trovato in lui un tesoro. Non il Frassinetti. Vistolo dal Gianelli, fu sentito mormorare scotendo il capo: “Pure non mi va, non mi va!”, A. COLLETTI, Op. cit., pp. 22s.. Il Gianelli dovette presto ricredersi ed allontanarlo dalla congregazione e dalla diocesi profetizzandogli: “Voi diventerete un eretico”, come lo stesso Bonavino riferirà da vecchio. Nel 1853 l‟apostasia dalla fede fu aperta e totale, ne combatté le verità sulla Ragione, un suo giornale, su libri e dalla cattedra universitaria, accanendosi nel dimostrare l‟incompatibilità tra libertà e qualunque religione rivelata da sostituirsi con la religione dell‟umanità. Da vecchio si ravvide, rientrò nella Chiesa, tornò a celebrare messa, e vergò quasi duemila pagine per confutare il suo pensiero in Ultima critica, Milano 1889,1891,1893, pp. 680, 499, 672, dove, benché ormai vecchio deluso e ricreduto, è dato leggere pagine in cui si sente vibrargli ancora l‟animo riandando con il pensiero al Gioberti. Vi tratta la propria deviazione intellettuale, ma tace dei suoi libelli contro il Frassinetti ed i gesuiti, delle informazioni calunniose sul clero genovese fatte pervenire al Gioberti che se ne valse nel Gesuita moderno, né una parola sulle lacrime fatte versare. Solo un accenno indiretto parlando di sé in terza persona: “Eppure quei compagni ed amici, venivano da lui denunciati anch‟essi quasi tutti… fra le redivive turbe dei farisei, la cui vita era una continua ipocrisia, una perpetua impostura!…”. Vol. I pp. 156s., quello nel testo, questo in nota dal II vol. 402. Nel vol. III, 130 elogi generici per il clero genovese. 790 In quei giorni di parossistica esaltazione neoguelfa, don Bosco proibí ai suoi giovani di gridare: “Viva Pio IX!”. Gridassero: “Viva il Papa!”. Avesse letto o non avesse letto l‟opuscolo del Frassinetti, ne seguisse già o non ne seguisse ancora le pubblicazioni a mano a mano che uscivano e che avrebbe poi tanto aiutato a diffondere, la pensava allo stesso modo. Con il Gioberti don Bosco si incontrò due volte. Riferendo a casa l‟esito del primo incontro, profetizzò che sarebbe finito male. La seconda dopo la posta all‟Indice del Gesuita moderno, Gaeta il 30 maggio 1849, per esortarlo a ritrattarsi. Si sentí dire: “La mia ritrattazione consiste nel non rispondere: basta il mio silenzio”, risposta meno impudente di quanto affermò per iscritto: “L‟interdetto di Gaeta mi fa ingrassare”, in V. Gioberti. Ricordi biografici e carteggio edito dal MASSARI, Napoli 1868, vol. 3° pp. 454s.. Don Bosco vedeva nell‟azione del Gioberti una divisione di compiti con quella del Mazzini: tattiche diverse, uno il bersaglio. Se ne ha conferma in un abboccamento tra i due nel febbraio del 1848. L‟antico Demofilo col Mazzini può parlare scoperto: “Siamo due file in battaglia; la nostra è ora innanzi e pronta a combattere; aspettate l‟esito della nostra zuffa, e, se falliremo, potrete ripigliar voi”, Op. cit., vol. 4° 21. Fu tale la fascinazione del Gioberti che un chierico di don Bosco spese 120 lire, cifra ai tempi enorme, per procurarsene le opere. Lo stesso Don Bosco, nella prima edizione della sua Storia ecclesiastica, riportava il nome del Gioberti e qualche sua affermazione, tosto espunti nelle edizioni successive, non solo, ma convinse altri a non appoggiare il loro dire su di lui. Si confronti nei contesti: G. LEMOYNE, Memorie biografiche di don Giovanni Bosco, S. Benigno Canavese, vol. 2°, 1901, pp. 143-146;319s.; vol. 3°, ivi 1903, pp. 237-244; 310; 333s.; 422-425; 525-528. 791 Dopo l‟arresto di Garibaldi in fuga da Roma, si gridò essere pregiudicata la libertà individuale. In realtà si trattava d‟una messa in scena, non solo, ma fu gratificato dal governo sardo con una pensione di 300 lire! Su La Strega di Genova il 12 settembre, pag. 4: “Le reliquie dei faziosi rimasti a Genova, tolgono l‟occasione dell‟arresto di Garibaldi… per gridare a piena gola che la libertà individuale è in pericolo… Oh, i semplici che sono, codesti faziosi! mentre passeggiano liberi e sicuri per le vie di Genova un Camillo Vercellone, un parroco Frassinetti,… si può dire che la libertà personale non è piú garantita dallo Statuto?”. Sempre La strega, nel n. 11(1849) ironizzava sul Gioberti, da cui ormai i liberali si sentivano traditi, perché, nel muovere guerra ai gesuiti, aveva salvato gli altri preti, invece che fare di tutti un fascio. L‟anno appresso Il povero – se ne è già parlato –, diffida i genitori dal mandare i figli agli esercizi spirituali del parroco di S. Sabina, il Frassinetti, perché alla men trista sarà una scuola di reazioni. Oltre alle violenze contro il Frassinetti già riportate, gli Atti del processo di canonizzazione ce ne tramandano altre. Luisa Cosso depone: “So che durante i moti rivoluzionari del 1848… fu fatto segno all‟odio dei 235 L‟Olivari792 non sa dirci se al Gioberti pervenne l‟opuscolo. Il pio biografo non dovette sentirsela di leggere quell‟infamia del Gesuita moderno, cinque volumi posti all‟Indice. Vi avrebbe scoperto che gli era pervenuto, e se ne era guastato cosí il sangue da dedicare al Frassinetti pagine piene di sovrano disprezzo, dolente, dice, di non potersene valere come avrebbe desiderato per avere avuto troppo tardi il suo Saggio. Era il Bonavino ad informarlo sul clero genovese, direttamente e tramite Vincenzo Ricci.793 Gli effetti di tale campagna di odi e di calunnie si rivelarono durante i sommovimenti antigesuitici di quel triennio ruggente – 1846-1849 – costringendo i religiosi a fuggire e a vivere nascosti. Uguale sorte toccò ai gesuitanti genovesi:794 al Frassinetti, vissuto nascosto tredici mesi; a don Sturla, inseguito di città in città finché non trovò respiro per un dieci anni in Arabia e in Etiopia; al Cattaneo, rettore del seminario, loro comune amico e collaboratore, uno che aveva cambiato volto al seminario di Genova dopo un tristissimo decadimento. Destituito dall‟incarico, visse a lungo nello stesso nascondiglio del Frassinetti, mentre altri disfacevano ciò che lui con tanta pazienza e spese personali aveva saputo costruire. Uguale sorte a mons. Cabrera, costretto a tornare in Spagna con fuga avventurosa dopo aver assistito impotente alla fine del suo bel “Convitto ecclesiastico” per i sacerdoti spagnoli rifugiati a Genova, messo su con l‟aiuto del Frassinetti, alla cui Accademia quei giovani andavano formandosi.795 Fuggire e nascondersi, era quanto aveva saputo consigliare il vicario generale, Giuseppe Ferrari che, in quel lungo periodo di torbidi e di sede vacante per la morte del cardinale Tadini, si barcamenava come meglio poteva, cedendo alle richieste della piazza fino ad allontanare dal seminario, insieme al rettore Cattaneo, quanti altri fossero tacciati d‟essere gesuitanti, sturlisti o frassinettisti, né seppe impedire che sacerdoti, anch‟essi armati di schioppo, si unissero ai rivoltosi. Il Frassinetti lasciò la cura della parrocchia a due fratelli sacerdoti, prese il nome della madre, Prete Viale, e stette nascosto nei pressi di Genova. Fu una pausa di raccoglimento e di studio – vi preparerà i suoi lavori piú impegnativi di morale, ascetica e vita pastorale –, senza però cessare di assistere per vie segrete i fratelli nella guida della parrocchia. Quando tornò in sede continuò a vedersi fatto oggetto del malanimo dei liberaleggianti ogni volta che fossero riusciti a cogliere un qualche appiglio per ravvivargli contro la campagna di odio. Episodi ed avvenimenti questi che mettono in risalto quanto il Servo di Dio seppe soffrire per la difesa della verità e della Chiesa, il suo coraggio, la sua pazienza e la sua prudenza. Se c‟era da illuminare i semplici, non esitò a scrivere, ma preferí tacere se si fosse trattato di rintuzzare le offese alla sua persona. Come aveva accettato tacendo le offese e lo sprezzo di cui si trova eco nelle lettere della madre del Mazzini al figlio, accettò la persecuzione dei “patrioti”, fino alle percosse. Nei suoi scritti nessun accenno al Bonavino. Il Frassinetti sa bene che sarà criticato e condannato dai ben pensanti: settari, i quali… persino lo colpirono a sassi…”, Copia pubblica…, già citata, foglio 955. E Maria Berta Bassino d‟aver appreso da Angela Rossi “che una volta, recandosi [il Frassinetti] in Chiesa, venne affrontato da un tale che lo appostava e lo percosse con uno schiaffo cosí violento, che la guancia gonfiò straordinariamente, ma il Servo di Dio, che pur conosceva l‟aggressore, non volle mai palesarlo”. Difficile dire se si tratta dello stesso episodio di cui, informatone, godette senza arrossire il Gioberti. Si è portati a dire di no, aggiungendo la teste che il Frassinetti avrebbe imposto il silenzio anche al sacrestano presente, quindi non era soletto, Op. cit., f. 365. 792 C. OLIVARI, Della vita e delle pere del servo di Dio Sac. Giuseppe Frassinetti, Genova 1928, 107. 793 A. COLLETTI, Op. cit., pp. 45-58, con attenzione a n. 2, 46. 794 A. BRESCIANI, L’Ebreo di Verona, uscito a puntate sulla Civiltà cattolica. Lí dove descrive l‟assalto dei rivoluzionari alle case dei gesuiti a Genova e la loro fuga. 795 Il Cabrera, tornato in Spagna, dopo alcuni anni entrò nella Compagnia di Gesú. 236 Che monta – diranno – prendere le parti di un Istituto che ha tanti nemici accanitissimi, i quali, tanto piú lo vedono encomiato e difeso, tanto piú infuriano e si inveleniscono contro il medesimo?… Questa regola che si appella di prudenza è la piú comoda che possa tenersi nelle vicende di questo mondo. Infatti non opporsi ai cattivi, è un assicurarsi di non dovere incontrarne le ire… Non sa però trattenersi dall‟invitarli a leggere dove Dante li pone: “mischiati sono a quel cattivo coro / delli Angeli che non furon ribelli”.796 Se egli ne assume la difesa è per mettere in guardia i fedeli piú semplici ed indifesi: il campione dei nemici è il Gioberti. Oggigiorno bisogna combattere contro di lui, anzi meglio l‟opinione del suo valore; dissipato questo quasi incantesimo, rimarrà come il negromante sfatato del poeta. Questo incantesimo non si può disfare in un tratto, ci vuol tempo, ché l‟opinione col tempo si forma e col tempo si distrugge… io non scrivo pei dotti e letterati, scrivo pel comune delle persone alle quali fosse pervenuta la malefica diceria del filosofo pervertitore. Non mi propongo una compiuta confutazione delle sue innumerevoli calunnie; ma soltanto di accennarne le principali a prevenire gli incauti.797 Chiuse il lavoro con una profezia al disinganno di coloro che credono il Gioberti uomo grande, e sempre grande, e perciò sempre autorevole… In questo suo scritto gonfio, capzioso e seducente le moltitudini dei figliuoli di Eva, io lo vedo raffigurato nell‟eroe di Milton cangiato in rospo nell‟orecchio di costei, cui mentre dormiva alterava la fantasia per Destarvi immagin strane e larve e sogni generar scontenti, Egri pensier cosí, speranze vane Vani disegni e stemperate brame Di un cieco superbir tumide e calde. Preghiamo frattanto che la lancia d‟Ituriello non lo punga poiché al tocco di celeste tempra Sparisce ogni arte ed ogni inganno, e riede Tosto ogni cosa al suo verace aspetto.798 Il Saggio rimase in gola al Gioberti guastandogli i giorni dell‟apoteosi – l‟ebbe ad elezione di Pio IX avvenuta –. Chissà se gli tornò in mente quando, fulminato dalla censura, invece di ingrassare, si ritrovò calpestato da chi piú l‟aveva osannato, incluso Bonavino fattosi mazziniano col nome rotondo di Ausonio Franchi,799 o quando, cinquantunenne, se ebbe tempo, fu fulminato da colpo apoplettico con accanto una bibbia protestante e un giornale mutati dagli agiografi in Imitazione di Cristo e Promessi sposi. Per fiore funebre un‟ultima bugia. Pochissimi avevano visto chiaro come il Frassinetti, e soprattutto con tanto anticipo. Tale sua chiusa, anche a chi non era per nulla affascinato del Gioberti, pur non associandosi al riso degli 796 213; DANTE, Inferno, 3,37s. 5s. 798 Sono citati i versi 1080.1084-1087.1090-1092 del libro IV del Paradiso perduto nella versione di Lazzaro Papi, là dove Satana, trasformatosi in rospo per eludere la vigilanza dei cherubini, parla all‟orecchio di Eva suggestionandola nel sonno. Lo scopre il cherubino Ituriele che con il tocco della sua spada rompe l‟incantesimo. 799 Si confronti quanto scriveva ne La Filosofia delle Scuole Cristiane, Introduzione, Capolago 1852, ma stesa già da tempo. Ne peschiamo una sola perla: “Il suo [del Gioberti] apostolato è finito, ed egli, spettacolo tristo ed istruttivo, è ora condannato a sopravvivere alla sua gloria ed a vegliare sulla tomba della sua fama”, XXVIs. 237 797 infatuati, dovette certo sembrare un vaneggiamento. In realtà era visione di fede, serenità di giudizio e manifestazione di fortezza cristiana. Anche il re Carlo Alberto aveva visto chiaro. Scriveva a Pio IX il 10.9.1848 che su cento preti del suo regno, e Genova ne era parte, piú di ottanta marciavano sotto la bandiera del Gioberti.800 Aggiungo altre due testimonianze dei pochi che non se ne incantarono, l‟una e l‟altra di non-gesuiti, per dimostrare che la condanna del Frassinetti non era dovuta a prevenzione.801 La prima di Silvio Pellico a cui il Gioberti aveva dedicato il Primato. Presenta i miei rispetti al Teol. [Giovanni] Bosco. Egli ha ben ragione di deplorare il cattivo uso che il Gioberti ha fatto del suo talento ingiuriando i Gesuiti. Tutte le teste che non sono leggère condannano del pari un attacco cosí furioso. Speriamo che un giorno Gioberti riconoscerà il torto, perché è in buona fede. È un uomo ardente che ama la verità, ma che si lascia accecare dalle prevenzioni.802 Non saprei dire se qui il Pellico sia incapace di pensar male o tema di farlo. Vuol crederlo in buona fede e, sperando di ritrarlo dall‟errore, gli scriveva: Tu riceverai plausi da persone facilmente plaudenti, e sono plausi ingannevoli… quando, per effetto della passione, taluno diventa… consequenziario esagerato, il suo preteso rigore di dialettica è vana illusione. Letto che ebbe il Gesuita moderno, scriveva il 22.7.1847 alla sorella: La nuova opera del Gioberti è il piú stupefacente diluvio di parole, di lodi, d‟ingiurie che si possa immaginare… Quanto a me, mi loda e mi compiange, mi guarda con pietà e fa sfoggio delle piú lepide barzellette. Si crede tale un gigante da atterrare tutti quelli che non la pensano come lui… In mezzo a tante pagine furiose ci sono, come sempre, degli elogi alla religione, al papa ecc.”… Due giorni dopo, sempre alla stessa: [è] tanto ammiratore del proprio cervello da crederci degli allocchi. Del resto le sue beffe sono condite di piccoli elogi attraenti. Me soprattutto loda come il migliore degli uomini, ma soltanto divenuto uno scimunito. Vedi bene che non me ne posso lamentare.803 Se tratta cosí “il martire dello Spielberg”, nessuna meraviglia se nella stessa opera fa strame del Frassinetti senza sentire il bisogno di condire gli oltraggi con piccoli elogi attraenti. L‟altra testimonianza è dell‟abate Amedeo Peyron, professore di gran nome nell‟Università di Torino, rispondendo al gesuita padre Manera che gli si era rivolto perché volesse indurre il Gioberti a resipiscenza. 800 Civ. catt., Serie X, vol. 100(1879) pp. 531s. dove è riportata nel testo francese e Civ. catt quaderno 1594(18.11.1916) 442. 801 Si aggiungano le condanne e riserve di non-gesuiti suscitate dal Gesuita moderno: N. Tommaseo, C. Cantú: “incerto e sleale nei giudizi”, Storia degli Italiani, Torino 1857-1859, 577; A. ROSMINI, che pur aveva di che lamentarsi di piú d‟un gesuita: “Ho seppellito quell‟opera temeraria e calunniatrice, né per me risusciterà piú: voi ne sareste amareggiato, trovando in essa le persone piú sante denigrate, come sa fare lo spirito dell‟abisso: insomma non ne ragioniamo tampoco, che ce ne contaminerebbe pur il discorrere”, Epistolario, Lettera a M. Parma, 1.2.1847, Casale 1887-1894, vol. IX 728; e altri ancora. 802 In una sua lettera alla sorella Giuseppina del 29.6.1845, il giorno dopo di quella all‟Univers, cfr. sopra nota 15. 803 Civ. catt., Art. cit., quad. 1591(7.10.1916) 70; q. 1594 pp. 436s. 238 Conosco intimamente il Gioberti: nulla di quanto pubblica mi ha sorpreso. La sua vita va passando per vari periodi, formati dal predominio di un‟idea, che egli esagera, facendovi convergere le altre. Esagerò il Primato, e dettò un‟utopia. I colleghi di Lei – i gesuiti – ne fecero gran festa e andarono ripetendo, che se Dio nella sua clemenza donasse all‟Europa dieci Gioberti, essa sarebbe tutta cattolica. Io rideva. Si ripeteva da molti che il Gioberti s‟era acconciato colla Società [= i gesuiti]; egli lo riseppe, volle negarlo e dettò un libretto infamatorio, che mi ha stomacato. Ella mi consiglia a scrivere al Gioberti. In dodici anni [da che fu fatto espatriare] gli scrissi due sole volte, l‟una per raccomandargli la moderazione nei suoi scritti, l‟altra per dirgli: siete prete; fate dunque il prete… Prevedo che il suo libro sarà da Roma proibito; che farci? Roma è sovranamente moderata e sempre ricusò di far plauso al Primato, sebbene fosse invitata a dar qualche benigna dimostrazione all‟autore.804 Il Frassinetti aveva reclamato prove. Per risposta si ebbe insulti e sovrano disprezzo. Gran titolo d‟onore, non degnando Gioberti di prendere in considerazione “librettucci cosí mingherlini che fa pietà solo a vederli”805 e, per giunta, d‟ uno di cui non sa dire se “sia maggiore la temerità, il fanatismo o l‟ ignoranza”!806 Lui no, scriveva solo a grossi tomi – ben cinque, e poi sette, il Gesuita moderno “per un totale di ventinove centinaia di pagine”, per dirla con il Curci –, e, pur prostrato dall‟altare nella polvere, di lí a pochi anni affermerà di sé : Ho coscienza del mio valore né voglio ormar807 le pecore… le cose che mi concernono io le accerto sull‟onor mio; e quando altri le contraddicesse, gl‟Italiani decideranno se si debba piú credere alla sua che alla mia parola… io non entro in parole con ogni sorta di persone… Soglio eleggere i miei avversari e non accettare ciascuno che si presenta”.808 Diamo qui sotto nell‟Appendice un breve saggio degli argomenti con cui il Frassinetti lo confutò.809 APPENDICE: Stralci del Saggio intorno alla dialettica di V.Gioberti.810 1. –La Compagnia fu sciolta dal grande papa Clemente XIV. – Non è la persona del papa che conferisce autorità, ma il fatto che è papa. Cita sant‟Alfonso per dire quanto poco spontaneo fosse stato il provvedimento di Clemente XIV. “Ma per ciò che adesso importa a noi… quanto fece Clemente XIV, disfece Pio VII colla stessa autorità, come riconosce anche il Gioberti”.811 804 Civiltà catt., Art. cit., quad. 1592(21.10.1916) pp. 184s. V. GIOBERTI, Gesuita moderno, vol. I, CCCXXXVII (nel primo volume usò la numerazione romana, da noi per comodità di lettura tradotta in cifre arabiche seguite da punto). Citiamo dall‟edizione nazionale, Milano 1940, curata da M. F. SCIACCA che riproduce l‟edizione di Losanna del 1846, in realtà del 1847, introducendo nel testo le correzioni approntate dallo stesso Gioberti. 806 Op. cit., vol. V 279. 807 Odorare. 808 V. GIOBERTI, Del Rinnovamento civile d’Italia, Parigi-Torino 1851, in due volumi, oltre mille pagine!. Citiamo dal Proemio V e XIV. Forse per non smentire la sua fama di dire e nello stesso tempo contraddire, in una nota della stessa pagina XIV dedica quaranta righe alla principessa di Belgioioso a suo dire vana, puerile, pedante! 809 Le citazioni rimandano alla prima edizione, essendo quella l‟edizione pervenuta al Gioberti suscitandone le furie. 810 Poniamo le affermazioni del Gioberti in corpo 11, in corpo 10 la confutazione. Non si riportano le parole, ma il pensiero, a meno che non siano virgolettate. 811 Pp. 6-14. 239 805 2. – Sí, Pio VII l‟ha ristabilita, ma intendeva ristabilire la Compagnia quale era alle origini, non quella corrotta disciolta da papa Clemente XIV. – Distinzione capziosa. Pio VII non poteva illudersi di risuscitare la Compagnia di quanti la l‟illustrarono alle origini servendosi dei sopravvissuti d‟una istituzione disciolta perché profondamente corrotta, e rimediare con essa ai tanti mali del mondo. La Compagnia disciolta era la stessa delle origini. Chiama s. Alfonso a testimone. Gioberti l‟ha sparata cosí grossa che il Frassinetti non sa trattenere un: Poffare!, e pensare che chiama Pio VII pontefice santissimo e venerando!812 3. – La Compagnia ha tradito i nobili voti di Pio VII, difatti i gesuiti moderni… – “Una lunga tirata di improperi non fu mai un buon argomento per un filosofo; anzi questa è la ragione che adopera la donna del trivio quando vuole umiliare la sua nemica”. Gioberti afferma, non prova. Contrapporre la nuova Compagnia a quella delle origini, è un ricalcare i riformatori del secolo XVI che contrapponevano la Chiesa del loro secolo a quella dei tempi antichi. La verità è che il progresso e la civiltà del Gioberti non hanno nulla da temere da un Ignazio co‟ suoi compagni, mentre li può disturbare il P. Roothaan coi suoi consorti.813 4. – Non tutti i gesuiti sono cosí tristi, ve ne sono dei buoni di cui la Compagnia si serve per coonestare l‟influenza perniciosa di tutto il corpo. – Ancora affermazioni gratuite che non possono convincere chi non si sente di rimettersi all‟autorità di un novello ipse dixit! E quei buoni e venerandi padri, cosí strumentalizzati, non s‟accorgono di nulla? Fino a questo punto li ha fatti ciechi l‟obbedienza passiva? Ma spieghi il Gioberti come possa la dannosa ignoranza, effetto di quella loro ubbidienza passiva, toccare solo un cosí ristretto numero di membri, risparmiandone la generalità!814 5. – I gesuiti dei nostri giorni antepongono la loro dominazione ad ogni altra cosa e, poiché la civiltà, ormai adulta, oppone a tali pretensioni ostacoli troppo forti, la combattano ingerendosi in ogni luogo – Il Frassinetti gli chiede ironico se per caso i gesuiti non siano i responsabili di tutte le rivoluzioni scoppiate in Europa ed anche in Turchia negli ultimi trent‟ anni! Adduca una prova, una!815 6. – Con il Medioevo i buoni ingegni cominciarono ad essere esclusi dal sacerdozio… nel santuario si insinuò il regno assoluto dei mediocri… la Compagnia sostituisce i grandi maestri dell‟antichità facendosi fautrice sviscerata del merito volgare per avere libero ed intero il maneggio delle cose… guerricciole scolastiche, invidie fratesche… Ha impedito alla teologia di raggiungere i progressi delle discipline profane e di riconciliarsi con gli spiriti e i bisogni del secolo, l‟ha resa debole, squallida, puerile, barbogia, fastidiosa, cavillatrice, ne imbarbarí la forma, ne emulse la sostanza… Corrotta la morale, offeso il dogma, avvilito il culto, snervata la disciplina, debilitata la gerarchia… Se prima della fondazione della Compagnia, non è sua colpa; se dopo, quando? Quando fu sciolta o fin dalle origini? Che stavano a fare gli altri ordini: benedettini, domenicani, 812 Pp. 15-17. Pp. 18-21. 814 Pp. 22-26. 815 Pp. 27-28. 240 813 francescani…? Dove il clero secolare? Di nulla s‟avvide la Chiesa? Neppure i protestanti piú violenti arrivarono a tanto! La religione non fu mai come lui dice. Unica prova una sfilza di chi non sa?.816 7. – Gioberti non sa immaginarsi un Atanasio, un Agostino o un Basilio educati alla gesuitica, mentre non gli ripugna pensare cristiani Socrate e Catone. – Gli ricorda che Socrate non rifiutava atti di adorazione a dei che derideva in cuor suo, che Catone “faceva commercio delle sue schiave volendo che oltre ai lavori manuali portassero altro emolumento piú ragguardevole alla sua casa”. 8. – Colpa dei gesuiti la decadenza degli studi… insegnano ipocrisia, frangono la volontà, prostrano la ragione, spengono gli affetti piú sacri, tarpano l‟ immaginazione… tengono lo straniero in Italia! mentre i giovani dell‟antica Roma… Una lunga litania che il Frassinetti raggruppa in 14 categorie. – Se i piú begli esempi di virtú si trovano nella civiltà pagana, “saremmo tentati a bestemmiare che la Religione cristiana abbia oscurato e indebolito la scienza, la civiltà e la virtú”. Prove? Un‟asserzione di Carlo Botta! Cosí, quei che erano capaci solo di cose di piccola levatura, riescono a strumentalizzare ai loro fini persino l‟impero d‟Austria! Riuscire a tanto è segno di genio straordinario ed unico al mondo! Confutate le accuse conclude con amarezza: Viva il filosofo! In realtà il Gioberti è miglior parolaio che ragionatore. Un don Chisciotte.817 9. – I gesuiti pretendono di essere necessari al cristianesimo… – “Non sanno anch‟essi che al loro nascere il Cristianesimo già esisteva da quindici secoli?”… dicono che la Compagnia è un buon sussidio per la Chiesa come lo sono tanti altri Ordini religiosi…818 10. – Il Gioberti “arrossirebbe per la sua patria se i governi e i popoli fossero disposti a tollerarli pazientemente”, perciò, lí dove “il Gesuitismo è stabilito… se il principe non ha cuore… di liberarsene con pronta e maschia risoluzione… 1. Deve sopravvegliarlo attentamente… 3. impedirgli di frammettersi nell‟ educazione, 4. nell‟istruzione pubblica o privata, 5. d‟ingerirsi nelle cose civili, 6. di profanare il pulpito… 8. di tendere le reti a donazioni, lasciti, reditaggi”. – Lasciare oziosi i gesuiti! macchinerebbero le peggiori cose mettendo il mondo a soqquadro! Non è serio. Il Frassinetti limita la risposta al punto ottavo che è quello che veramente importa al Gioberti. “Bisogna confessare che i Gesuiti finché son vivi sono mancanti di una dote… poter rimanersi senza mangiare, dote finora serbata ai morti… A questo fine ogni uomo si deve qualche poco adoperare… lo stesso Abate Gioberti, mentre che, se a somiglianza de‟ Gesuiti non ritrae nulla dalla messa e dalla predicazione – piú non diceva messa né esercitava ministero –, s‟industria per altre vie”.819 Non saprei dire se il Frassinetti fosse a conoscenza delle altre vie a cui attingeva il Gioberti e se qui vi faccia allusione.820 816 Pp. 29-33; 50-58 Pp. 33-49. 818 Pp. 58-61. 819 Pp. 63-68. 820 Allusioni ad altre fonti di guadagno nella lettera al Gioberti del 15.6.1845 di padre Luigi Taparelli d‟Azeglio SJ, fratello di Massimo. Avendolo i Prolegomeni eccettuato dalla condanna in blocco di tutti i gesuiti insieme a 241 817 11. – Via dall‟Europa i gesuiti! Ne suggerisce un modo “spiccio, agevole, utile, nobile e pellegrino”: portino “la religione e l‟incivilimento presso tante nazioni barbare e selvagge dell‟Asia, dell‟America, dell‟Affrica e dell‟Oceania”. – “Il Gioberti in sostanza non odia la Compagnia,… pena e tribola di sentirsela ai fianchi…”. Cosí, “i primi nemici della religione e dell‟incivilimento” sono fatti “apportatori dei medesimi a quelle infelici nazioni”. Cerchi d‟essere serio. “Il filosofo non dee mai proporre cosa che vede non solo impossibile, ma eminentemente ridicola… Ei forse si figurava che… il Padre Generale… noleggiasse una cinquantina di vapori per portarli a cangiar aria… Che bella veduta passare come in processione lo stretto di Gibilterra per diffondersi quindi in tutto il mondo ancora selvaggio!”. Il Gioberti si contraddice con quanto aveva scritto due anni innanzi e “piú di una volta si contraddice in questo tratto medesimo”.821 12. – Il clero non se la intenda con i gesuiti, ne va l‟onore della Santa Sede. – “Cosa è mai questa S. Sede che il zelante Abate invita tutti a difendere…?” Una fanciulla scema? Un fantoccio “incapace di conoscere i suoi mali, insensibile ai medesimi e imbelle a combatterli?…Or via, signor Gioberti, meno carità per la S. Sede, e‟ piú rispetto”.822 In nota aggiunge: la pretesa, propria dei giansenisti, di voler essere ritenuti cattolici strettamente uniti alla Santa Sede, mentre l‟amavano quanto può amarla il protestante piú protestante, cosa che si riscontra uguale in un buon numero di miscredenti che parlano d‟un cattolicesimo fittizio, fatto a loro modo. È bene avvertire le anime semplici “non usarsi da tutti gli stessi vocaboli per intendere le stesse cose; esservi perciò due cattolicesimi, uno di fatto e di sostanza il cui centro è la S. Sede Romana, l‟altro di supposizione e di parole il cui centro è l‟umano orgoglio: il primo sempre lo stesso e invariabile che non può piacere se non al vero credente, il secondo versatile e multiforme che tanto al falso teologo quanto al falso filosofo può andare a grado”.823 13. – 1. I migliori apostoli dell‟odierno razionalismo sono i gesuiti… 2. L‟ Inghilterra, la Scandinavia, la Russia, la Grecia, le province eterodosse della Svizzera e della Germania rigetteranno sempre la ribenedizione “finché la fede romana non si affaccerà nella sua antica semplicità , non lisciata di falsi colori, non molle… non pusillanime… non superstiziosa, non padre Pellico, gli fa presente che nessun gesuita gli ha mai dato occasione di lamento. “Che abbiate ai nemici nostri, come certi secolari spacciano, venduto la penna, è idea sí nera, sí orribile, che in chi vi conosce non può aver adito: tanto piú avendo voi ricusato agiatezze e stipendi onorati”. Se allude alle cattedre universitarie di Roma e di Pisa, è la rinuncia della volpe esopiana all‟uva. Le chiacchiere non erano prive di fondamento, percependo dal Pinelli un assegno semestrale di 2.500 franchi senza titoli che giustificassero quei 5.000 franchi annui, cifra all‟epoca enorme. Ne dà conferma il Gioberti scrivendo il 16.2.1848 al Pinelli: “Ti accuso il ricevuto della cambiale di 2600 franchi… Ma perché il soprassello? – 100 lire in piú –… Mi farai piacere di sottrarre dal prossimo semestre la somma… ogni qualvolta mi trovi in angustie sarò il primo a chiedertela”, G. MASSARI, Op. cit., vol. 3° 34. Anche padre Pellico accennava a voci su i veri motivi che avrebbero spinto il Gioberti a scrivere: Vincenzo Gioberti e i gesuiti, “Civiltà catt”, n. 1593 del 4.11.1916, 323. A monte del Pinelli, c‟era la Loggia. Lo aveva visto chiaro, mons. Pecci, nunzio a Bruxelles e futuro papa Leone XIII, scrivendo a padre Manera il 6.9.1845: “Sospettai che il partito che esiste in Piemonte, avverso ai Gesuiti, avesse potuto spingerlo a quel passo [di scrivere], indicandogli come opportuno il momento di combattere la Compagnia, contro la quale contemporaneamente si preparavano i vigorosi attacchi… nella Svizzera e nella Francia”. La Civiltà catt. postilla: “La contemporaneità è il marchio infallibile per scoprire l‟opera della setta cosmopolita, cioè della massoneria, della quale Gioberti fu strumento e zimbello” art. cit., n. 15892 del 9.1916, pp. 66s. 821 Pp. 77-81. 822 Pp. 69-73. 823 Pp. 74, n. 1. 242 subdola…”. 3. L‟ ostacolo che si frappone alla riconciliazione religiosa dell‟Europa scismatica, eretica, miscredente, è la Compagnia, con tutte le sue diramazioni e clientele”.824 – La prima e la terza asserzione gli ricordano “Mongolfier con quel suo pallone grosso grosso che avrebbe potuto sollevare da terra 1200 uomini con le loro armi e bagaglie”. Ribatte la seconda. Tattica antica! mutano solo i rei: una volta erano gli scolastici e i curiali romani, oggi i gesuiti. Aggiunge un avvertimento ad personam, che fu facile profezia: “Veda che un giorno o l‟altro [la Chiesa] non prenda un cattivo aspetto anche per lui: consideri frattanto che le macchie e nebbie che si hanno negli occhi appaiono necessariamente negli oggetti osservati”.825 14. – Se i suoi avversari riuscissero a far condannare i suoi libri, Gioberti sa che “l‟ossequio cattolico piú sincero e profondo può accompagnarsi a meraviglia colla ragionevole indipendenza del filosofo e colla savia libertà del cittadino”. – Il Frassinetti gli ricorda il dovere d‟un buon cattolico. A condanna avvenuta, gli fu ricordato da Don Bosco con gli esempi del Rosmini e del Ventura.826 “Pertanto, o neghi il Gioberti che la Congregazione Romana abbia legittima autorità di condannare i libri che reputa erronei, ma questo non vorrà fare perché dice di rispettare le Congregazioni di Roma…, oppure riconosca che i libri da essa proibiti debbono considerarsi come tali dai buoni cattolici, siano filosofi, campagnoli o di qualunque altra specie”. In nota gli ricorda ciò che egli aveva attribuito alla Congregazione dell‟Indice nella sua Introduzione alla Filosofia:827 “una sagacità incomparabile a penetrare addentro nelle dottrine e scoprire nei principi le ultime conseguenze sfuggite agli occhi di tutti i coetanei” anteponendola ad “ogni magistrato scientifico e religioso”.828 Segno che parla per conoscenza diretta delle sue opere, anche delle puramente filosofiche, e che, dietro un linguaggio semplice c‟è una sicura conoscenza attinta alle fonti. Si metta a raffronto lo scritto del Frassinetti con l‟indirizzo rivolto al Gioberti da non pochi del cero genovese, la parresia829 dell‟uno, mi si passi la voce greca, e la piaggeria degli altri. DOCUMENTO A VINCENZO GIOBERTI IL SEMINARIO DI GENOVA XXI MAGGIO MDCCCXLVIII Non vi stupite, Signor Gioberti, se innanzi all‟Uomo di nome Europeo noi ci confondiamo…. È assai che ne sia dato contemplare il vostro volto; ché per un lato non sappiamo se prestar fede ai nostri sguardi, e per l‟altro le nostre pupille non dovrebbero affissarsi nel Sole. Ma noi ben voluti dal venerato Canonico che vi ci presenta, da Lui preposti all‟istruzione dei giovanetti, da Lui che non fe‟ sua pesca nel torbido, e professò mai sempre i Vostri principi e ammirò le vostre dottrine, dovevamo ossequiarvi Padre, anche a nome della gioventú Ecclesiastica… come v‟ossequiarono e v‟ ossequieranno tanti fig1i, che avete in Italia. Un ardente nostro pensiero era quello di baciare la mano, che disegnò il Primato d‟Italia, e a risuscitare questa terra d‟eroi, a farla nazione cominciò dal combattere, negl‟immortali Prolegomeni, i1 peggiore nostro nemico, e nell‟impareggiabile Gesuita moderno trionfonne. Viva Dio! sono compiuti i nostri desideri – respiriamo. Viva Dio! vostra mercé risorgeremo per sempre. Viva Dio! non andranno a vuoto le nostre speranze sui destini della nostra nazione. PIO vi studiò, PIO seguitovvi. CARLO ALBERTO compie colla spada quello, che Voi auspicaste cogli scritti. L‟opera esordita da Voi, da voi assistita, benedetta da Dio, da magnanimi Principi inoltrata, accetta e vantaggiosa ai popoli non può fallire a buon 824 Testa di ponte per poi ad attaccare il resto del clero, una volta fatti fuori i gesuiti. Pp. 75s.. 826 Cfr la nota sopra. 827 Vol. I, n. 19. 828 Pp. 81-85 829 Il parlar franco e chiaro di chi rende testimonianza alla verità, anche se in presenza di gente ostile che lo vuole morto Gv 7,13: 18,20; At 4,29.31; 9,27-30:28.31 243 825 fine. I Ferdinandi che ieri mandavano a intorbidare le gioie onde venivate a colmarne, non isperino crollare il grand‟edifizio, ma tremino al ruggito dei popoli traditi, ch‟è tromba di giudizio. Padre, ché non abbiamo altro nome né piú tenero né piú sacro per appellarvi, Padre non vi sfugga dall‟animo, che la Vostra missione cresce ogni dí piú d‟importanza. Scrivete, evangelizzate, fate. Nostra cura sarà tenervi dietro, quanto sta in noi, con praticare i vostri insegnamenti a tutto costo. La nostra prece v‟implora, se possibil fosse, quei giorni di vita che avete preparato all‟Italia anche coll‟ultimo trionfo, che ritornate da ottenere nella savia, ma vacillante Milano. Sí, Rettore Reverendissimo, sí Colleghi e Fratelli dolcissimi, viva lungamente e felice e glorioso questo vero Missionario, quest‟Apostolo dell‟Indipendenza, dell‟Unione, dell‟Amistà, della Concordia, e della Nazionalità Italiana. VIVA GIOBERTI!!! Canonico Luigi FORTE Rettore;– Prete Angelo FULLE Vice-Rettore Prete G. M. MOLFINO per la Fisica ed Etica Prete Nicolò MELA per Logica e Metafisica Prete Felice BOTTO per Rettorica Maggiore Prete Luigi CICCHERO per Umanità Maggiore Prete Gio. Batta DE BARBlERI per Umanità Minore. Prete Francesco CICCHERO per Grammatica Maggiore. Prete Antonio LIZZA per Grammatica Minore Prete Carlo FIGARI Prefetto;– Prete Nicolò NORERO Prefetto In quei giorni il Frassinetti viveva nascosto sotto mentito nome, cosí il Cattaneo, non piú rettore del seminario. Impensabile con lui una simile vergogna! Lo Sturla aveva trovato salvezza rifugiandosi in Aden. Un testo, questo, che fotografa i tempi. CAPITOLO XLIII NELLA BUFERA DEL 1846-1849 La storia appresa sui libri scolastici, e rivissuta sognandoci protagonisti, un giorno sulle barricate, un altro d‟essere uno dei Mille, un altro con salto di millenni fare prodigi di valore al seguito di Cesare, dai popoli sconfitti fu vissuta in modo ben diversa. I sogni sono sogni. Entrati nella vita, non ne rimane traccia, salvo non càpiti che d‟improvviso non si apra una finestra sulle realtà dei tempi eroici. Leggendo in classe la conclusione della campagna di Cesare contro gli Elvezi mi colpí quel Summa omnium… tirate le somme: dei 368.000 usciti dalle loro terre, di cui solo 92.000 atti a portare le armi, quindi 276.000 i disarmati, ne rientrarono 110.000. Anche fossero caduti tutti i combattenti, perirono ben 166.000 civili, quanto dire donne, vecchi e bambini. Una strage. Mai trovato nei testi scolastici una noticina che lo abbia messo in risalto. Nel Ferrabino: “Le cifre (se sono esatte, se sono autentiche) vogliono dare un‟idea terribile di quel moto d‟uomini”.830 Altro non sa dire. Questa la storia raccontata dai vincitori. Non diversa quella del nostro Risorgimento. Invano si incontra nei testi scolastici pagine come questa del Frassinetti in memoria dell‟amico don Luigi Sturla, e scrive con mano leggera! Pagine che ci dicono quali e quante gloriose furono le azioni che monumentarono i nostri padri. Ascoltiamolo. Non dirò tutto ciò che si potrebbe dire delle cose che toccano le vicende dello Sturla. Nell‟anno 1847 l‟orizzonte era spaventosamente nero… Volgendo la fine di quest‟anno, quasi ogni sera, si facevano le cosí dette dimostrazioni, e si andavano minacciando i fatti ch‟ebbero poi luogo sul primo scorcio del 1848. A fronte delle piú esplicite minacce, dovettero cessare tutte le cosí dette gesuitate, e per le prime l‟Opera di S. Raffaele e di S. Dorotea non che la Congregazione del B. 830 244 ALDO FERRABINO, Nuova storia di Roma, vol. II, Padova, 1942, pp.. 532s. Leonardo. Lo Sturla… [veniva] minacciato e disprezzato, quasi temuto come un essere pericoloso e compromettente. Passarono cosí gli ultimi mesi del 47 e i primi due del 48. Sul principio di marzo, discacciati i Gesuiti ed altre comunità religiose ch‟erano in voce di gesuitanti, si venne a provocare lo sfratto anche degl‟individui ch‟erano appellati con questo nome. Uno era lo Sturla. La mattina del 7 di questo mese gli fu intimato che ormai non si tollerava piú ch‟egli abitasse in Genova, che la sua cacciata era decretata per ordine italiano, cui non ubbidendo, avrebbe incontrato pubblici insulti e peggio. L‟inviolabilità del domicilio non salvava nessuno da quell‟ordine: sarebbero stati guai per il padre che avesse tenuto in casa nascosto il figliuolo, guai per il fratello, che avesse dato ricetto al fratello colpito da quell‟ostracismo: questo era il caso dello Sturla. Cosí si inaugurava l‟epoca della novella libertà! Lo Sturla, non sapendo al momento dove rivolgersi, se ne andò nella valle della Polcevera... ma tutti lo accoglievano tremando di paura, perché sapevano bene che se per disavventura il Comitato, cosí detto liberale, che emanava quegli ordini avesse saputo alcun di loro avergli dato ricovero o anche un bicchiere d‟acqua… sarebbe incorso nella stessa scomunica e maledizione. Conobbe allora che gli conveniva precipitosamente fuggire: e occultamente, come credeva. Prendendo posto su di un piroscafo, si diresse alla volta di Roma. Chi scrive era nel medesimo caso [quanto dire che la storia dello Sturla è la sua stessa storia], e stava nascosto in Genova presso un suo zio… I dittatori della piazza avevano tosto dato avviso ai fratelli italiani residenti in Roma dell‟arrivo dello Sturla. Il giorno dopo l‟arrivo vide sulle cantonate di Roma un avviso: È arrivato in Roma D. Luigi Sturla: accoglietelo secondo i suoi meriti. Per non compromettere una comunità religiosa che l‟ospita [le Dorotee?] si presentò al cardinale Prefetto di Propaganda perché lo mandasse a qualche Missione dove non avesse piú ad ingelosire i fratelli. Egli per buona sorte sapeva l‟inglese. Il Cardinale lo destinò per le Missioni d‟oriente, ed egli tosto s‟imbarcò per Alessandria di Egitto. Credeva colà essere al sicuro dai fratelli. Ma quei di Roma avevano avvisato quei di Alessandria, ed ecco in Alessandria rinnovarsi la scena di Roma: ecco il suo arrivo annunziato ivi pure pubblicamente colla benevola esortazione di trattarlo secondo i meriti. Il povero Sturla cosí bistrattato non aveva quasi piú danaro e non poteva intraprendere un altro viaggio: cercò chi gli facesse un prestito di qualche somma assicurando ch‟era di famiglia benestante, e che nulla avrebbe perduto… ma il Signore, quando vuole provare i suoi servi, permette accecamenti e durezze in persone anche buone e caritatevoli… Arrivato a Suez non aveva danaro pel viaggio di mille duecento miglia che gli restavano a fare per giungere in Aden… Fu ricevuto sul piroscafo dando quel poco che gli rimaneva, ovvero per carità come parrebbe piú probabile… arrivato in Aden non aveva per ricompensarli se non un francescone, circa uno scudo, che essi ricusarono di accettare compatendo la sua estrema povertà… Un incontro provvidenziale: Appena messo il piede a terra, dovette avvedersi che il nome di gesuita [pur non essendo egli gesuita] era nome di maledizione anche colà, dove pel continuo passaggio dei piroscafi pervenivano i principali giornali d‟Europa… Era colà da qualche tempo una persona, la quale avrebbe dovuto usargli riguardo e carità. Al primo incontro gli fissò gli occhi in faccia, e lo interrogò: Tu sei un gesuita? Egli negò di essere un gesuita; e la faccenda non ebbe altro seguito. In Aden si fermò poco, e passò sulla costa dell‟Africa tra i Gallas… ed ivi conobbe l‟apostolo di queste terre, il Vescovo Massaia; il quale… ne prese stima e lo amò. Lo rimandò in Aden, dove gli fu affidata la Missione, e dove essendo l‟unico sacerdote, fu eletto dal Governo inglese cappellano del presidio composto quasi tutto d‟irlandesi cattolici. Terminarono allora le dure prove cui lo volle sottoposto il Signore… In breve non solo godette la stima e l‟amore degli irlandesi, ma anche dei protestanti, e degli infedeli di ogni specie… dello stesso ministro protestante e di sua moglie, alieni dalla nostra santa fede…, ma non avversi alla medesima. La storia sofferta è diversa da quella del testo scolastico. La crudezza dei fatti qui solo accennata, si può leggere nel romanzo L‟Ebreo di Verona di Antonio Bresciani, il gesuita che abbiamo avuto occasione di nominare piú volte. È un romanzo, ma le pagine in cui descrive 245 l‟assalto alle case dei gesuiti in quel terribile marzo 1848 sono di storia. Peccato abbia voluto propinarci i fatti a sua conoscenza, e di prima mano, sotto forma di romanzo di poco o nullo valore letterario comparso a puntate sulla Civiltà cattolica.831 Il Frassinetti, nella vita dello Sturla, di sé dà solo un cenno. L‟accusa che gli veniva gridata era l‟aver addobbato la porta della parrocchia con drappo nero e tocco d‟oro. Era l‟uso, ma i fratelli italiani ci videro i colori dell‟Austria! Anch‟egli, temendo un ordine d‟arresto del Comitato liberale, dovette fuggire e nascondersi, prima in casa d‟un suo zio per una decina di giorni, poi, dal 18 al 29 marzo, presso il parroco Remondini, infine a San Cipriano ospite di un altro parroco genovese, Girolamo Campanella, che vi viveva anch‟egli nascosto.832 A loro due si aggiunse il Cattaneo. Ancora una volta da un male un bene. Non potendo piú dirigere le anime a voce viva, né la parrocchia di persona, fu costretto a scrivere lettere. Diciamo qualcosa noi di quell’orizzonte spaventosamente nero che il Frassinetti ci tace o ci accenna appena. Dal tardo 1847 le dimostrazioni succedono alle dimostrazioni, non poche hanno per meta una chiesa con tanto di canto di Te Deum. Non può non colpire questa commistione di sacro e di profano. Il 10 dicembre grande corteo al santuario di O Regina, promosso dai mazziniani, e benedizione delle bandiere patriottiche e poi a Portoria. I seminaristi – c‟è ancora la vecchia dirigenza – non partecipano.833 Dimostrazioni chiassose, ma che potremmo ancora chiamare pacifiche rispetto a quelle che si vedranno fra un paio di mesi. Il nove febbraio giunse notizia che erano stati resi noti gli articoli base dello Statuto – sarà concesso il 4 marzo –. Di nuovo bandiere, cortei e Te Deum in chiesa. Bene in vista vari preti con tanto di coccarda. 831 Da primo fascicolo. 6 aprile 1850. Insiste che sono fatti reali, RACCONTO VERO nella sostanza, finto negli accidenti; o a dir meglio anche gli accidenti son veri, ma spesso sotto nomi e luoghi diversi, benché in tempi esatti e precisi. Del primo numero se ne fecero otto ristampe e in men che non si dica la tiratura salí a 12.000 copie. Le riviste liberali nate a Torino per contrapporglisi ebbero vita tisica e breve, una Il Cimento, su cui Francesco De Sanctis ne stroncò lo stile, ma non contestò la verità dei fatti: “Io non voglio discutere con voi, né della verità dei vostri principi, né della verità dei fatti…, considero lo scrittore…”. Ci si rammarica non ci abbia dato un racconto storico non solo nella sostanza ma anche nella forma. Per la nostra storia ci interessa il racconto degli orrori di quei primi giorni di marzo 1848 fatto dal contromastro della fregata San Michele ad un visitatore mostrandogli i gesuiti giacenti nella stiva, piú morti che vivi, riusciti a salvarsi dall‟assalto degli energumeni alla Casa professa Sant‟Ambrogio ed al palazzo Doria-Tursi dove dirigevano il Collegio Reale. Devastazione, ruberie, scempio delle cose sacre, d‟una ricca biblioteca… A riprova che è romanzo la forma, ma è storia ciò che vi si racconta, di quei giorni ci è pervenuto il diario di un seminarista in cui sono annotati gli stessi fatti: LUIGI PERSOGLIO, Memoria dal novembre 1847 al giugno 1854 per servire alla storia del Seminario di Genova, che cosí annota gli stessi fatti: “Con il 1 Marzo, dopo due e piú mesi che erano ogni notte assaliti cogli urli e co‟ sassi e grida terribili di saccheggi e di morte minacciati, tra immenso pericolo, travestiti e per incognite vie poterono salvarsi i piú a bordo del San Michele, alcuni in casa di pie famiglie… ai Gesuiti furono consorti nei patimenti i Fratelli delle Scuole Cristiane e i Passionisti, quindi le Comunità femminili insegnanti delle Dame del Sacro Cuore, del Buon Pastore, delle Dorotee, delle Medee ecc. ecc. in ultimo parecchi Canonici, Parrochi e Sacerdoti”. 832 Cosí l‟Alimonda nel suo elogio funebre: “Sopra un solitario colle in modesta casa illuminata a tutti i raggi del sole, con guardatura bellissima, piccola villeggiatura di famiglia, nel funesto 1848, quieto ritiro di tre santi amici”, A. e M. REMONDINI, Parrocchie dell’archidiocesi di Genova, Regione XII, Genova 1891, pp. 28s. Il Giornale degli Studiosi del 1871 dà un lungo elenco, non completo, dei sacerdoti che dovettero nascondersi, p. 365. 833 Il Boselli al margine del Libro delle deliberazioni annota del suo vice: “Don Rivara con Don Sturla ed altri erano membri di una setta nemica delle Religione e dello Stato” [la Beato Leonardo]. 246 Con l‟assalto al Collegio Tursi la sera del 29 febbraio ed alla casa professa di dei gesuiti, a Sant‟Ambrogio, il primo del mese, ebbe inizio la grande ubriacatura. Dopo i gesuiti, ed altri istituti di religiosi e religiose, è la volta della direzione del Seminario, personificata nel Cattaneo. Bastò la minaccia, facendo capire al vicario Ferrari che se voleva evitare il ripetersi dei fatti, aveva da cedere alle loro richieste. Ed il Ferrari cedette. Non paghi di aver tolto il Cattaneo, il 17 marzo sulla porta del Seminario si leggeva: Gran Dio che con sapienza alta e profonda Regoli il tutto dal celeste soglio Deh! Il voto del tuo popolo seconda! Tu togliesti in Cattaneo un grand‟imbroglio Ma sta in Seminario un Alimonda V‟è un Peragallo, resta ancor Persoglio:834 Deh, ancor di mezzo a noi, deh presto togli / questo terno di cabale e d‟ imbroglio. Congedata la vecchia direzione ed i vecchi professori, di che animo fossero i nuovi ce lo dice l‟indirizzo presentato al Gioberti riportato nel capitolo precedente.835 Con la nuova dirigenza dei 111 seminaristi al principio dell‟anno, rettore il Cattaneo, ne rimasero 30! Fossero almeno vissuti in pace! Continue le chiassate, ci fu un‟invasione dei seminaristi esterni al grido di viva Pio IX!, viva Carlo Alberto! ed il Vicario, incapace d‟imporsi, lasciò che i seminaristi interni scendessero in cortile e fraternizzassero nelle acclamazioni. Grande lo sbandamento del clero. Ce ne furono che tenevano comizi, in prima fila nei cortei con al petto tanto di coccarda tricolore e, nei giorni piú bui, armati tra gli armati. Se alcuni fecero ritorno, altri si persero, uno don Giuseppe Piaggio, la cui firma mai mancava nei proclami dei “Comitati”. Quando nell‟aprile del 1849 Genova insorse contro i Savoia, fu eletto capitano dello squadrone dei preti, anch‟essi armati con il placet del vicario Ferrari, sia pure estorto, e fu visto capeggiare l‟assalto alla Darsena. Don Bartolomeo Bottaro si fa poeta e compone “salmi patriottici pieni d‟amor patrio, di sensi nobili e di odio ai gesuiti”, posti all‟Indice e l‟autore sospeso a divinis. Don Filippo Maineri visto alla Cinque giornate di Milano arringare gli insorti, poi a Roma cappellano della legione garibaldina, ed altro ancora. Sia detto a sua lode, nel 1855, carcerato tra carcerati, si prodigò nell‟assistere i colpiti dal colera e tornò alla Chiesa. Partito per l‟Australia di lui piú nulla si seppe. Don Filippo De Bono che si dichiarava anzitutto liberale. Apostatò e tradusse la Vita di Gesú del Renan. Alla morte non una croce, non una preghiera, ma le insegne massoniche. 834 Sacerdote della Beato Leonardo, prefetto in seminario, fratello del seminarista Luigi. Non fu una sostituzione tranquilla per le proteste di non pochi seminaristi, specie della camerata dei mezzani, molto decisi, fino ad impedire alla camerata di mischiarsi con la folla dei dimostranti durate il passeggio e pretendendo il ritorno a casa. Uno della nuova direzione, sacerdote da pochi giorni, Luigi Cichero, appena ordinato portò la bandiera sotto le finestre del consolato romano e lí a gridare: Viva Pio IX!. Anche all‟interno del seminario schiamazzate al grido di “Viva Pio IX!” 247 835 Lettere da un’isola di pace Mentre Genova era babele, il Signore concesse al Frassinetti un‟isola di pace che ci si rivela dalla serenità delle sue lettere. Due ai fratelli a cui era rimasta affidata la parrocchia. Nella prima, dopo il maggio del 1848, dice che non gli occorre nulla e che tutto si risolverà in bene, perciò non si lascino sopraffare dalla prova fino a dimenticare il quærite primun regnum Dei,836 di quel digitus Dei che governa le cose e di quell‟Uno che combatte per noi perciò sarà vanissima tutta l‟umana prudenza, anzi, se sarà eccessiva, avrà cattivi effetti. I fratelli avevano per timore tralasciato il Mese di maggio ed altre pie pratiche. Aggiunge di capirli perché c‟è motivo di temere di tutto. Abbiano però fede. In qualunque modo vadano le cose, andranno sempre per il nostro meglio. In una parola: uniformarsi alla volontà di Dio. Fede dunque, perché essa basta a tutto, non paura che non giova a nulla, anzi rovina tante cose. È penato per il padre, ma bisogna che anch‟egli si faccia dei meriti. Chiude con un versetto de salmo: Oculi mei semper ad Dominum quoniam ipse evellet de laqueo pedes meos.837 Nell‟altra lettera si rammarica che non gli abbiano fatto sapere della malattia del padre. Ricorda che se si aggravasse, tenuto conto che ha passato i settant‟anni, applichino e facciano applicare messe per ottenergli un felice transito, se il Signore avesse cosí disposto. Prego per lui e prego per voi che vi trovate in tanta angustia e con tanti pensieri. Un biglietto per il seminarista Persoglio. Per dono di Dio è tranquillo perché sempre vidi, e vedo sempre piú chiaro che il tutto è disposto per il mio maggior bene… che bel tempo per pensare a sé e starsene riposatamente con Dio… Io in questo tempo mi sono innamorato delle Opere di Santa Teresa se non le avete mai lette posatamente, vorrei che le leggeste... Oh, il Triunvirato! Prendiamo una buona lezione sulla stabilità ed importanza di questo mondo. Che sbalzi, che rovesci da un momento all‟altro! Quanto durerà?... io mi sono tenuto in relazione con alcune anime che credo straordinariamente buone e faccio pregare perché Dio mandi molti santi.838 Biglietto prezioso perché ci rivela cosa egli facesse. Non era in ozio in attesa di giorni migliori che gli permettessero di tornare in parrocchia, né si perdeva in lamentele. Invece che scrivere libri nei ritagli di tempo, dopo aver assolto tutti gli uffici d‟un parroco e risposto a tutte le chiamate, ora è come tornato agli anni di preparazione al sacerdozio: prega, pensa, scrive, e ciò che scrive diventa argomento di conversazione con il Cattaneo e il Campanella. Ne vennero fuori le prime stesure di alcuni suoi lavori piú impegnativi, uno il Compendio di teologia morale. Chissà se avremmo avuto le sue opere maggiori senza quei tredici mesi di “vacanza” fuori programma nella quiete di San Cipriano. Le lettere con cui si tenne in contatto con le anime da lui dirette ci fanno da spia dei suoi studi. Due alla contessa Galli. Nella prima la ringrazia di avere accettato di curare la biancheria della chiesa pur avendo uguale incarico in un‟altra: Io non avrei creduto che questo tempo che si dice di tribolazone dovesse essere, come sin‟ora fu, il piú felice della mia vita... il Signore non permette i mali se non per ricavarne maggiori beni... questo è tempo nel quale piú del solito si devono fare dei santi, dei santi occulti, che risplenderanno nel segreto del suo divin volto, ed anche santi palesi che ravvivino la fede nei popoli. L‟altra alla stessa fu scritta per il Natale: 836 Mt 6,33: Cercate per prima cosa il regno di Dio. Sal 14,15. Ho gli occhi sempre fissi al Signore perché è Lui che libera i miei piedi dal laccio. 838 Alla morte di Luigi Persoglio, l‟autore del Diario, il biglietto fu trovato tra le sue carte. Accennando al Triunvirato, deve essere stato scritto non prima del febbraio del 1849. Dopo alcuni anni di sacerdozio il Persoglio si fece gesuita. 248 837 Agli eletti di Dio ogni cosa ridonda in benedizione. La ringrazio di quanto fa anche fuori di regola – mi permetta che mi esprima cosí – per la chiesa... andando cosí a lungo questa strana villeggiatura, il Signore non ha voluto che me la dovessi godere solo e romito, ma con il migliore compagno che potessi desiderare. Ad una parrocchiana non identificata nessun accenno alla sua situazione. Le cita il capitolo 101 della vita S. Maria Maddalena de‟ Pazzi e le raccomanda di pregare suggerendole come. A suor Carlotta Gibelli ne scrive sette tutte molto lunghe, tutte di direzione spirituale. Non si direbbero scritte in quei tristi giorni. È un padre che conforta la figlia provata da afflizioni di spirito: Mi rallegro molto del nuovo ufficio di infermiera... il piú bell‟ufficio della comunità, però state all‟erta a riconoscere sempre nell‟inferma N. S. Gesú. Vi raccomando: ciò che potete fare di basso e disgustoso da per voi, non lo facciate fare dalle altre, anche aveste converse ai vostri comandi... Se aveste una scintilla del fuoco immenso che arde nel Cuore di Gesú, lo farà ardere in fiamme. In una seconda lettera: Siete afflitta? Dio sia benedetto! Siete molto afflitta? Dio sia molto benedetto!.. Se volete stare con Gesú accomodatevi sulla croce con Lui, ma allegramente, allegramente, allegramente… Perché vi dà inquietudine l‟ufficio di maestra delle educande? Voi dovete considerare che la Maestra sia Maria Santissima e voi di essere la sua serva. Di sé? Che sta benissimo di corpo e che in quel ritiro non ha a fare altro che coltivare il suo spirito. In una terza lettera: Vedo che il Signore vi dà vivo desiderio di farvi santa... poche sono le anime che Dio faccia sante di slancio... generalmente i santi si fanno a poco a poco passando per molte miserie e timori, angustie, anche spaventi e tentazioni... la grazia della santità è grazia cosí grande che non può costare troppo cara, si dovessero pure soffrite tutti i tormenti... tutto sarebbe niente. Le propone di fare un‟unione di spirito tra anime le quali non vogliono avere in questo mondo altro desiderio… se non la perfetta santità per se stessi e per le altre anime. Dà consigli rifacendosi a Santa Teresa. Nella lettera successiva le consiglia i capitoli XXII-XXX del Cammino della perfezione della Santa. Nella quinta le comunica la realizzazione dell‟unione di anime di cui le aveva parlato: Oltre noi tre [lui, lei e la sua superiora], un sacerdote molto distinto che in questa occasione ha dovuro anch‟esso allontamarsi da Genova. Il Signore già da molto tempo lo tribola nella salute ed è molto desideroso di farsi santo...839 l‟altra è una povera domestica. Due lettere, sempre alla Gibelli, sono datate. Una 5 dicembre: Vedo chiaro che finora camminate bene per divina misericordia e spero che camminerete sempre meglio. Non si è mai dato al mondo che un‟anima la quale non vuole desiderare altro che farsi santa non vi sia riuscita. Le cita la Seconda mansione del Castello interiore ed il capitolo 23 del Cammino della perfezione di S. Teresa, nonché La fiamma d‟amor viva di san Giovanni della Croce. Se vuole le opere della Santa si rivolga a nome suo ai suoi fratelli “ma vi avviso che la stampa è molto 839 Il Cattaneo, cfr. l‟ultima delle sette lettere. Stando al Remondini, informatissimo, era uno dei tre sacerdoti rifugiatisi a San Cipriano. Qui sembrerebbe di no. Ma potrebbe trattarsi di qualche assenza temporanea. Cfr. pure Cenni sulla Vita [del Frassinetti] in Telog. Morale, IV ed. 249 cattiva”. L‟altra lettera è del 14 gennaio 1849. Cita ancora Santa Teresa e San Giovanni della Croce secondo il quale, se si vuole un‟unione intima con Dio, bisogna osservare con esattezza i comandamenti e portare la croce, e la rimanda ai capitoli V e VII della Salita al Carmelo. Dopo averla esortata ad amare la croce, aggiunge: siate certa che anche in questa vita a tempo e luogo Dio vi consolerà… Dio è buono con l‟anima che lo cerca, dice il Profeta, ma non deve cercare altro che Lui, ed ha ragione a pretenderlo… perché sarebbe bello che ad una creatura cosí piccola davanti a Dio non bastasse un bene infinito. Coraggio dunque... Insiste ancora sull‟umiltà. Su come pregare le addita la Madonna alle Nozze di Cana che espose semplicemente il bisogno: Non hanno vino… A sua imitazione esponete i vostri bisogni al Signore ed Egli provvederà. Un cenno alla sua situazione. “Circa il mio ritorno finora ci vedo scuro. Preghiamo che si fatta la volontà di Dio”. Si parlerà a parte dei suoi lavori piú impegnativi di questi mesi d‟esilio. Dopo Novara, la Domenica delle Palme, primo di aprile del 1849, Genova insorse contro i Savoia tentando di ristabilire la repubblica. Si videro preti andare all‟assalto fucile in mano, uno Cristoforo Bonavino, non ancora mutato in Ausonio Franchi,840 ma dovettero arrendersi ai bersaglieri di La Marmora e il giorno di Pasqua si trattò la resa. Un decreto reale concesse l‟amnistia ai rivoltosi che non si erano troppo compromessi. Tornata la quiete, il Frassinetti poté rientrare in Santa Sabina dopo tredici mesi di assenza. CAPITOLO XLIV ANCORA TRIBOLI E SPINE Accusato dal vescovo di usurpare prerogative proprie del vescovo! Nel 1856 il Frassinetti aveva stampato un opuscolo in cui riferiva tre apparizioni della Vergine a delle contadinelle della Val Polcevera.841 Il revisore ecclesiastico, il can. Salvatore Magnasco, non vi aveva trovato nulla che ne vietasse la pubblicazione. Lo stampatore, invece che mettere: Con licenza dell‟autorità ecclesiastica, pose: Con approvazione. Il vescovo, il savoiardo Andrea Charvaz, non perdonò la svista del tipografo che aveva mutato la formula con l‟altra adoperata dal Frassinetti negli altri lavori. Il Frassinetti, questa l‟accusa, aveva usurpato una prerogativa di competenza del vescovo. Non valse fargli osservare che si era limitato a narrare astenendosi da ogni giudizio, cosa che nessun canone proibiva. Gli fu inflitto un corso di esercizi e, invece che essere mantenuto segreto come promesso, ne fu data tanta risonanza da farne parlare anche la stampa francese. Avocò inoltre a sé la revisione di quanto avesse ancora pubblicato in seguito. Per il Frassinetti furono giorni di passione, per noi provvidenziali perché fu occasione di alcune lettere che ci permettono una conoscenza del Frassinetti che altrimenti ci sarebbe rimasta ignorata: una al proprio vescovo, una alla sorella che gli aveva scritto allarmata da quel che si udiva a Roma ed una a Mons. Raffaele Biale, vescovo di Albenga, che gli aveva scritto per lo steso motivo. C‟è inoltre una ferma e dignitosa lettera di protesta del Magnasco al 840 841 250 C‟era chi l‟aveva udito dire:”Se i soldati regi entreranno, daremo loro la caccia”. G. FRASSINETTI, Relazione di tre apparizioni di Maria SS. in Val Polcevera nel 1856. vescovo. Ripercorriamone la storia come da lui raccontata al vescovo di Albenga. Si parlava di apparizioni della Madonna. Il Frassinetti si informa e avendone ascoltato io stesso dalle medesime il racconto, prese le debite informazioni sulle loro persone, e parendomi, come pure giudicavano soggetti pii e dotti, che quelle apparizioni avessero qualche grado di buona probabilità, ho pensato che pubblicandole con riflessioni, potessero tornare edificanti. Fece leggere lo scritto a piú ecclesiastici per averne un parere e lo presentò al revisore ecclesiastico, il can. Magnasco. Nulla da eccepire. Venuto alla luce, il Magnasco fu ripreso per aver contravvenuto alle disposizioni del Concilio di Trento che riserva al vescovo l‟approvazione delle apparizioni. A nulla serví far notare che le apparizioni non si approvavano, ma si raccontava quel che si diceva. Il Magnasco fu cancellato dal catalogo dei revisori esposto nella curia lasciandone visibile la cancellatura per piú giorni e si pubblicò sui giornali che l‟approvazione non aveva la debita autorizzazione del vescovo, senza prescrivere il ritiro dell‟opuscolo. Il Magnasco non si difese sui giornali, ma scrisse al vicario generale dimostrando di aver operato conforme a quanto prescritto dal diritto canonico e mettendo in risalto il torto che gli era stato fatto. Come non scritto. Dopo il Magnasco venne chiamato a rendiconto anche il Frassinetti. Comparendo l‟Arcivescovo, ero da solo a solo con lui. Mi parve vederlo alquanto risentito e cominciò dal dirmi se io, che sono tanto ossequiente con Roma, non credo di dover rispettare le costituzioni del Concilio di Trento tra le quali è quella che non si possono pubblicare nuovi miracoli senza che prima siano stati approvati dal Vescovo. Non avendo presente le parole del Concilio e non parendomi tempo opportuno per fare discussioni (nulla avevo saputo del colloquio tenuto dall‟Arcivescovo col Revisore – il Magnasco –), ho risposto che io ignoravo esistere alcun decreto del Concilio di Trento il quale condannasse il mio operato e che lo avrebbe ignorato anche il Revisore. Ripigliò che non era tollerabile questa ignoranza del Concilio di Trento e come io ardissi stampare essendo in questa ignoranza. Fa osservare che l‟anno innanzi altri in diocesi avevano fatto qualcosa di simile e non c‟era stato nessun richiamo. Gli riconobbe che aveva una mezza ragione. Ma instava ch‟io sapevo essere stato imposto silenzio alla ragazza... Rispondevo che la ragazza stessa mi aveva detto esserle stato imposto il silenzio e ad un tempo ordinato che non manifestasse la persona che a lei lo imponeva... per il che io non potevo sapere che quest‟ordine venisse dal Superiore; che ad ogni modo io credevo che le era stato imposto il silenzio a cagione di liberarla da una interminabile vessazione a cui da un mese andava soggetta dovendo raccontare le cento volte al giorno le avute apparizioni. Certo io non potevo supporre che alcuno le avesse imposto il silenzio a fine che non si pubblicassero le apparizioni dopo che già da un mese correvano per le bocche di tutti e ormai ne era sparsa la fama per ogni dove, come mi risulta, anche fuori del nostro Stato. Avrebbe potuto far notare che ne avevano già parlato dagli altari, ma “la qual cosa, tanto a me favorevole, io ho creduto dover tacere per non cagionare disturbi a chi aveva operato con buona intenzione”. Da quel che viene dopo è chiaro che il vescovo aveva colto quel pretesto per dirgliene quattro che da tempo rimuginava: Ripigliò poi che vi sono altri Parrochi i quali potrebbero stampare al pari di me, che tuttavia se ne astengono e perché io voglia stampare. Cui nulla risposi. Pareva l‟Arcivescovo tanto persuaso ch‟io mi fossi arrogato giurisdizione vescovile pubblicando quelle apparizioni, che mi disse non sottomettermi ad un processo soltanto per la ragione che io avevo fatto ricorso alla Revisione Ecclesiastica. Passò quindi a dirmi che io con le mie stampe già avevo messo la divisione nel clero ai tempi del suo antecessore e se adesso avevo intenzione di ricominciare. Che da ora innanzi, se avessi voluto stampare qualche cosa, egli stesso sarebbe stato il mio revisore; che si era avveduto ch‟io avevo pubblicato queste apparizioni per avere occasione di fare una specie di Pastorale, lo che spettava a lui, e giudicando ch‟io fossi animato da uno zelo imprudente mi diceva che lo zelo 251 non è affare di testa. Io vidi allora che era nella supposizione che fossero vere le maligne dicerie già sparse contro di me, sono diciannove anni, per quell‟opuscolo dove ho toccato i giansenisti, o, a meglio dire, ho supposto che ve ne siano senza però accennare ad alcuno. Lo Charvaz si mostra magnanimo: Non sarò severo, farete tre giorni di esercizi a N. S. del Monte, aggiungendo che con questo castigo non intendeva umiliarmi, ma darmi luogo a riflettere bene sulle mie intenzioni. Io rispondevo che non mi pareva dover fare alcun esame sulle mie intenzioni, che del resto, se mi permetteva, ne avrei fatto otto giorni a S. Barnaba secondo il mio consueto di ogni anno. Il che mi accordava... Gli domandavo se dovessi farli subito. Tra una ventina di giorni. Con queste parole mi accomiatava. Tornato a casa consulta i testi e vede che proibire “la pubblicazione storica dei miracoli prima che siano approvati dai Vescovi” era cosa nuova nel diritto canonico. Su di essi scrive una sua difesa, la fa esaminare a padre Cottolengo, fratello del santo, che si incarica di presentarla al vicario del vescovo. Niente da fare. È respinta al mittente senza, a credergli, neppure presentarla al vescovo, essendo persuasissimo che se l‟Arcivescovo aveva pronunciato qualche cosa, l‟avrà pensata prima di dirla, che inoltre con assai bel modo gli aveva fatto intendere come in alcune cose non sia da stare sulla lettera loro ma da cercarsi lo spirito che hanno, e però, nel caso presente delle apparizioni qualunque sacerdote, prima di scriverle e pubblicarle, avrebbe dovuto per ispirito di buona intelligenza e giusta dipendenza parlarne coll‟Ordinario. Il Frassinetti, che di diritto se ne intendeva, prende qui la matita blu: Dal che mi pare potere argomentare che il superiore avesse riconosciuto non essere nel mio opuscolo contravvenzione alla lettera del Concilio, ma volere ancora supporre che vi fosse contravvenzione allo spirito del medesimo... Mi pareva tuttavia evidente che, non avendo parlato il Concilio di narrazioni storiche degli avvenimenti miracolosi, pubblicandoli, non si potesse peccare né contro la lettera, né contro lo spirito di quel decreto. Inoltre mi pareva che il Superiore non avrebbe mai autorità d‟infliggere un castigo a chi peccasse contro lo spirito di una legge senza peccare contro la lettera, essendo principio troppo generalmente ammesso che finis legis non cadit sub lege. Similmente non mi pareva fondata l‟altra accusa di buona intelligenza e di giusta dipendenza dopo che avevo presentato il mio scritto al Revisore Ecclesiastico che era il legittimo rappresentante del Superiore. Rispedisce la sua difesa direttamente al vescovo accompagnata da una lettera: Mi credevo bastantemente giustificato per le ragioni ivi esposte, che inoltre io non potevo essere reputato reo di nulla dopo aver presentato lo scritto al Revisore che lo rappresentava, e dopo aver adoperato tutte le cautele che erano del caso, frattanto gli facevo noto che (certo non per mia colpa) si era fatta pubblica anche fuor di città e diocesi la pena impostami degli esercizi che pareva dovesse restare segreta. Ciò non ostante conchiudevo ch‟io volevo ubbidire ad ogni costo, di modo che, se non avesse revocato l‟ordine, io dentro il termine stabilito avrei fatto gli esercizi. Non ebbi risposta. Ha l‟occasione di parlare con il vicario e gli pare sia ascoltato con cordialità: Speravo dovesse produrre qualche effetto, ma nulla ne seguí. Noto che tanto l‟Arcivescovo come Monsignor Vicario mi hanno detto non aver mai avuto motivo di querela sul mio conto da che essi sono al regime di questa Diocesi. Sono tanti a dirgli di non fare quegli esercizi andandone di mezzo il suo onore: ma io, considerando che l‟argomento della mia supposta colpa era pubblico, potendo ciascuno leggere il mio libretto, che tutto il clero regolare e secolare già ne aveva giudicato in mio favore, di 252 modo che non ho potuto sapere che un solo ecclesiastico abbia voluto suppormi reo,... considerando che presso i piú l‟ ubbidienza sarebbe stata piú lodevole che un appello nel caso che il superiore avesse rinnovato l‟ordine, io mi sono portato a fare gli esercizi, spirando venti giorni. Devo confessare che ho sentito un po‟ di ripugnanza nel subire castigo essendo innocente, per cosa lecita senza dubbio, e nella mia intenzione e nel giudizio di molti, anche buona; ma l‟ho vinta pensando che male sarebbe stato doverlo subire per qualche colpa... Questa è la storia della mia ultima avventura.842 Ancora una spina, il pericolo che venissero snaturate le Regole delle Nuove Orsoline Si è parlato delle Figlie di Maria Immacolata e della grande diffusione che esse presero in molte diocesi. Nel 1863 il Frassinetti ricompose la Regola portando gli articoli da 78 a 207 (in realtà 205 perché vediamo saltati i numeri 156 e 195), affiancando al nome di “Figlie di Maria Immacolata” quello di “Nove Orsoline” dichiarandone la ragione, Regola che ebbe l‟approvazione del vescovo di Novara, Mons. Filippo Gentile, un genovese che aveva fatto parte della Congregazione del Beato Leonardo, senza però abrogare la prima stesura , ristampata lo stesso anno come appendice alla Monaca in casa, di cui s‟è detto, con questa nota. [La] Regola [delle Figlie di Maria Immacolata] fu ampliata e stampata in Genova col titolo Regola delle Nuove Orsoline figlie di Santa Maria Immacolata843 e, con una piccola variazione nel titolo, fu ristampata poco dopo in Roma (sempre nel 1863)844… Non si è omessa quivi [nella Monaca in casa] la piccola, per dare l‟operetta colle sue appendici e perché la piccola è sufficientissima per iniziare la Pia Unione dovunque si voglia845. Nel 1866 ne fu fatta una nuova edizione a Genova di pp. 86. Don Giuseppe Capurro la dice: “È la stessa già segnata sopra al n. 35 e 66, 846 ma di molto ampliata e sul modello della vera regola di s. Angela ecc.”847. Deve trattarsi quindi di quella di cui il Frassinetti parla nel Modello della povera fanciulla Rosina Pedemonte, Genova, 1866, di cui non ci è pervenuta copia. Non può quindi riferirsi all‟edizione del 1863, stampata in Genova col titolo Regola delle Nuove Orsoline figlie di Santa Maria Immacolata”, essendo questa piú ampia. L‟edizione “approvata da Sua eccellenza il nostro Arcivescovo [Charvaz] con decreto del 24 ottobre 1965” è piú ampia di quella del 1856, ma meno di quella del 1863. Nel 1867, con lo Charvaz ancora al governo della diocesi, il Frassinetti fece una ristampa non di quella del 1866 con tanto di approvazione dello Charvaz, come ci si sarebbe aspettato, bensí di quella del 1863 immutata, anch‟essa stampata a Genova, con la semplice dicitura Con licenza dell‟Autorità ecclesiastica, cosa ben diversa di una approvazione vescovile. 842 Lettera scritta il 3 Dicembre 1856. Ce ne è pervenuta una copia. 844 Ce ne è pervenuta una copia: Regola della Pia Unione delle Figlie di Maria, Roma, tipi della Civiltà cattolica, 1863, pp. 128, in tutto uguale alla genovese, salvo la correzione di qualche errore di composizione e l‟aggiunta di tre righe quali si riscontrano scritte a mano dal Frassinetti nella copia genovese. 845 P. 194. 846 Catalogo Bibliografico. 847 Pongo in corsivo l‟aggiunta a mano. Questo fa pensare che il Capurro ebbe modo di esaminarla. Se il numero delle pagine è 86, è maggiore dell‟edizione del 1856, ma non di quelle del 1863 e 1867. Al Capurro si deve la prima bibliografia del Frassinetti in appendice, ma con numerazione autonoma, in Giuseppe Frassinetti e l‟opera sua, Genova 1908, pp. 24+31. Mi servo di una copia con numerose note integrative di sua mano. Vi si riportano 86 titoli pubblicati vivente il Frassinetti, 12 postumi, nonché 38 non ancora pubblicati e che saranno pubblicati postumi solo in parte. Fu ristampata dal Renzi sostituendo il suo nome a quello del Capurro, ma di suo c‟è soltanto l‟aggiunta di alcune ristampe ed il rifacimento delle locandine. 843 253 Ci è poi pervenuta una copia di una edizione del 1876, morti il Frassinetti e lo Charvaz, stampata anch‟essa in Genova: Regola della Pia Unione delle Figlie di S. Maria Immacolata, sotto la protezione di S. Orsola e di S. Angela Merici con l‟approvazione di S. Ecc: R.ma Mons. Arcivescovo di Genova,Genova, pp. 79. A pag. 10 si legge: SALVATORE MAGNASCO, per grazia di Dio e della Santa Sede, Arcivescovo di Genova, ecc. ecc, Mentre accordiamo licenza che si ristampi, con l‟aggiunta di qualche opportuna nota, la Regola della Pia Unione delle Figlie di S. Maria Immacolata, già approvata dal nostro venerato Antecessore, la lodiamo e confermiamo colla nostra approvazione, facendo voti che questa Pia Unione si estenda sempre piú nella nostra archidiocesi. Genova, li 15 luglio 1876. . Vengono da porsi alcune domande: 1. Come è pensabile che, nella stessa città, governando ancora la diocesi lo Charvaz, che ne aveva dato l‟approvazione, nel modo in cui racconta la Gattorno per riuscire ad ottenerla,848 il Frassinetti, ad appena un anno di distanza, abbia ristampato immutata l‟edizione del 1863 sotto gli occhi del vescovo senza tener conto della sua revisione? Né è pensabile che il Frassinetti avesse dimenticato la tristissima storia di dieci anni prima.849 2. La dichiarazione del Magnasco afferma che la Regola del 1876 è la stessa di quella approvata dallo Charvaz nel 1865, salvo l‟aggiunta di qualche opportuna nota, tipograficamente non distinta dal testo che si pensa uguale a quello del 1865. Quale era quindi il testo approvato dallo Charvaz? 3. Purtroppo non mi è stato possibile vedere quali furono le parti cancellate dalla Gattorno ponendo i due testi in sinossi, cosa che ho fatto, essendoci state anche le mani di don Firpo e dello stesso Charvaz, tutt‟altro che leggère, diventando le omissioni tali e tante che, piú che ritocchi, si ha un vero scempio! 4. Se ogni vescovo avesse avuto la pretesa dello Charvaz di rimanipolare la Regola a suo talento, che ne sarebbe restato della nuova istituzione? E non solo i vescovi! Don Bosco nel 1874 alle Figlie di Maria Immacolata di Mornese, mutate in Figlie di Maria Ausiliatrice, darà regole del tutto nuove. La Mazzarello e altre di quelle giovani accettarono non senza brontolii e qualche resistenza, la Maccagno ed altre scelsero di restare fedeli allo spirito del Frassinetti. 5. C‟è quanto basta per comprendere la grande preoccupazione del Frassinetti, come si ricava dalle sue lettere, ed il darsi da fare per poter avere un qualche riconoscimento da Roma, con firma del Papa, fino a programmare un viaggio a Roma, accompagnandosi a don Bosco nel gennaio 1867. Per Don Bosco andava bene, ma gli fece notare che sarebbe stato meglio a giugno, perché, celebrandosi il centenario del Martirio di Pietro, avrebbe potuto incontrare un buon numero di vescovi. A giugno ci fu il colera. Di lí a sei mesi il Frassinetti era morto. 6. Una rilettura delle lettere di quel periodo, in gran parte in cerca di commendatizie a vari vescovi, e le loro adesioni, ci dice quanto fosse preoccupato di vedere la sua opera snaturata dai liberi ritocchi che ogni presule si sarebbe permesso di fare per non averne capito lo spirito. 7. Si aggiunga che il Frassinetti era molto geloso dei suoi scritti, come del resto ogni scrittore, pretendendo che fossero stampati come erano usciti dalla sua penna, mentre teneva in gran conto le modifiche proposte ai manoscritti dai suoi amici a cui usava darli a leggere. Se ne è avuto modo di parlarne a proposito della sua prima collaborazione alle Letture cattoliche di Don Bosco, che, vistasela modificata, non riconobbe per sua. 8. È pensabile che uno, cosí minuzioso nel rileggere le sue cose, che fa tale pubblica protesta, con tutto il rispetto e la stima che aveva per Don Bosco, possa aver riconosciuto per suo lo scempio di quella edizione? Al piú, essendoci di mezzo il suo vescovo, poté tacere, salvo a ripubblicare l‟anno appresso l‟ edizione genuina senza fare alcuna dichiarazione. A conferma di cosa pensasse di chi entrava con tanta disinvoltura nelle opere altrui, nella Vita ed Istituto di S. Angela Merici, Genova 1867, dopo aver narrato in che modo, lei morta, fu travisato il suo istituto, a pag. 55 si trova una riflessione già riportata che qui 848 849 254 A. M. FIOCCHI, Rosa Gattorno, Roma, 1996, pp. 107-120. Vedi la “Ancora una spina…” in questo stesso capitolo. richiamiamo: … non è da approvare che talora gli uomini mettano cosí facilmente le mani nelle opere altrui, dopo che i loro autori sono morti, e quando perciò non possono piú dare ragione del loro operato… Era sotto l‟impressione dei ritocchi operati dallo Charvaz?850 Una spina che lo fece a lungo tribolare. CAPITOLO XLV IL MORALISTA Il canonico Antonio Campanella il giornalista battagliero fratello di don Girolamo che ospitò il Frassinetti nella loro casa di campagna nei tredici mesi di vita nascosta, cosí presenta la quarta edizione del Compendio di teologia morale. Benché i pregi di un libro si debbono desumere piú che da altro dall‟intrinseca sua bontà; contuttociò conferisce molto a farlo apprezzare conoscere quale fosse la vita di chi lo scrisse. E questo, se per ogni generazione di libri può esser utile, lo deve essere maggiormente per un trattato di Teologia Morale: perché è ben diverso si discorra delle cose di coscienza e del modo di regolare questo principio interiore degli atti umani, avendo a guida o solo lo studio o la sola pratica; ovvero con la scorta di entrambi, studio e pratica, e nel tempo stesso sia uomo di preghiera, di ritiro, ardente di zelo e dedito all‟esercizio di quelle virtú che tende ad illustrare e promuovere con la sua penna. Abbiano dunque i lettori di questo Compendio qualche cenno sopra la vita dell‟autore. Veduto chi fu e come visse, daranno agevolmente alle sue discussioni tutto il valore che si meritano. Dice del Frassinetti, morto da un anno, e della sua opera, e poi continua: Del Compendio della Teologia Morale di S. Alfonso M. De‟ Liguori è da dire un po‟ particolarmente. Lavorò in esso di buona lena nel tempo che esulava dalla sua parrocchia, cioè da diciotto anni innanzi al pubblicarlo, e doveva essere tutto latino, e senza che ci avesse ad entrar nulla di suo. Piú tardi credé meglio di darlo, qual è, in volgare, eccetto alcuni articoli piú delicati, e con sue note e dissertazioni. Sebbene professasse il massimo rispetto, come per le altre opere di S. Alfonso, cosí per le opere morali; nientedimeno, gli parve qualche volta di aver ragioni valevoli da poter dissentire da lui. Avvenimenti nuovi, leggi nuove, maniere nuove d‟investire il danaro in commercio lo chiamavano a risolvere nuove questioni. Se all‟opera di sant‟Alfonso il profondo sapere del Santo e l‟ esperienza di sessant‟anni di confessioni avevano dato molta autorità, al Frassinetti ne dava similmente non poca lo studio e l‟esperienza di circa quarant‟anni di confessionale sicché buon numero di sacerdoti si lodarono assaissimo degli aiuti che trovavano nel Compendio del Frassinetti all‟esercizio del difficile ministero; e una prova evidente della stima che riscosse l‟abbiamo nelle tre edizioni esaurite in poco piú di un triennio. 851 … Il Frassinetti era occupato in riandare questo Compendio per prepararlo alla quarta ristampa, e quasi tutto lo aveva percorso, con farvi delle piccole aggiunte e variazioni, quando ammalò. Uscito il primo volume nel 1865,852 cosí lo recensiva la Civiltà cattolica: 850 Per ragione di spazio ometto le Regole ritoccate dallo Charvaz, edite dal Magnasco con altri ritocchi, poste in sinossi con quelle del 1863 ristampate immutate nel 1867. 851 Quattro con l‟edizione napoletana uscita nel 1866 non di sua iniziativa. Il primo volume uscí nel tardo autunno del 1865, nella primavera del „66 il secondo e, a poca distanza, la seconda edizione di entrambi. Nell‟estate del 1867 uscí la terza. Alla fine dell‟anno era pronta la quarta, ma il Frassinetti morí il 2 gennaio senza averla ancora passata al tipografo. Uscirà nel 1869 curata dal gesuita Antonio Ballerini. 255 852 In questo Compendio della Teologia Morale di S. Alfonso M. de‟ Liguori scorgiamo le idee e le dottrine del santo e dotto Vescovo fedelmente ritratte e con buon ordine disposte: quindi per la sostanza del libro non abbiamo altro che lode da tributare al chiarissimo autore. Il vederlo però scritto in volgare ci spiace. Il clero italiano non è, grazie a Dio, sceso sí basso nella istruzione, che non possa intendere il latino facilissimo delle istituzioni morali; e se fosse pericolo che possa discendervi, invece di facilitargli il modo di apprendere le scienze a lui indispensabili col porgergliele in favella italiana, bisognerebbe anzi obbligarlo con libri scritti in buono stile latino a studiare questa lingua. La favella latina è la favella della Chiesa, e bisogna farla apprendere se si vuole un clero colto ed intelligente. Il chiaro Frassinetti, che ebbe sempre da noi elogi sincerissimi, per tanti bei libri da lui stampati, ci perdoni questa umile protestazione. Essa è figlia di un convincimento generato dalla sperienza e dalla convinzione. 853 Giudizio d‟un professore in cattedra, diverso da quello d‟un parroco che conosce l‟ultimo prete della diocesi; diverso anche da quello d‟un pastore d‟anime quale fu il Gianelli. Il 25 aprile 1866 il Frassinetti manda alla Civiltà cattolica il secondo volume, ringrazia della recensione del primo e spiega il perché dell‟uso dell‟italiano: Soddisfo al mio debito di ringraziare cordialmente le loro Paternità per l‟ annunzio che si sono compiaciute di fare della pubblicazione del primo volume. Il loro tanto autorevole giudizio che il mio lavoro nella sua sostanza sia buono cooperò certamente, e forse fu causa potissima che avesse tanto uno smercio straordinario, di modo che l‟edizione è quasi esaurita. A riguardo dell‟italiano che Loro spiacque, apprezzo sommamente le forti ragioni che Le indussero a disapprovarlo, e spero poterlo cangiare in latino dando al lavoro forma un po‟ piú scolastica…854 Di lí ad un paio di settimane, nel numero 389 della Civiltà cattolica, 18 maggio 1866, si annuncia l‟uscita del secondo volume e la ristampa del primo: [Di] questo secondo volume ci basterà dire che esso ha i pregi che notammo nell‟annunzio del primo. Sappiamo che il giudizio portato di quest‟opera dal pubblico è stato ancor piú favorevole del nostro, giacché l‟edizione è stata esaurita prima quasi che il secondo volume si ponesse in vendita.855. L‟ultimo numero del 1866, il 403, annuncia la seconda edizione dei due volumi: Ciò che il dotto e chiaro signor Frassinetti dice nell‟avvertenza al benigno lettore intorno a questa seconda edizione del suo Compendio di Morale, che cioè esso sia al tutto da lui riveduto, corretto e notabilmente aumentato, può in tutta certezza avverarsi da chi ha la pazienza di farne il confronto. Se dunque la prima edizione fu tanto pregiata dal clero italiano, molto piú sarà questa seconda, che tanto sopra l‟altra è migliorata. Elogi a denti stretti. Non potendone non apprezzare il contenuto, se ne critica la lingua con cui è scritto. Avutane la spiegazione, il recensore pare si ricreda e gliene dia atto. Negli altri due annunci si hanno solo parole di elogio, ma parole contate. Il vero motivo di tanto gelo dovette essere l‟Appendice sul votare o non votare alle elezioni politiche posta alla fine del primo volume, riprodotta identica nella seconda edizione.856 e, di lí ad un sei sette mesi, riscritta piú chiara nella terza edizione che dalla Civiltà fu ignorata. Ci torneremo nel prossimo capitolo. 853 Civiltà cattolica n. 378 del 30 novembre 1865, p. 728. Archivio della Civiltà cattolica. 855 Civiltà cattolica, VI, VI (1866), p. 596. 856 L’Appendice “Caso di coscienza” era stata stroncata nel numero 368 della Civiltà, pp. 652-666, lo stesso che portava la prima recensione del Compendio, non in quanto apparsa nel Compendio, ma sul n. 180 dello “Stendardo cattolico”, senza nominare il giornale, il Compendio o alcuno dei 18 firmatari, uno il Frassinetti, insieme ai futuri vescovi di Genova, il Magnasco e il beato Reggio, non che il futuro cardinale Alimonda, dicendo il motivo della riserva: “Agli onorevoli scrittori, i quali hanno asserita l‟obbligazione di contribuire col suffragio alla buona elezione dei Deputati chiediamo la permissione di ventilare le principali ragioni che essi hanno prodotto… desideriamo che essi tengano come sincere le protestazioni della stima in che abbiamo le loro persone. Di che è argomento l‟astenerci, che facciamo, dal riferire i loro nomi e dal citare gli opuscoli ed i giornali ne‟ quali si 256 854 La prima stesura di quel Compendio – si noti l‟umiltà del titolo – il Frassinetti l‟aveva fatta in buono stile latino, ma, da bravo genovese, sapeva per esperienza che non tutti i preti sono come si suppone che debbano essere e che tanti di sua conoscenza a leggere latino sudavano, ed egli non era stato inviato a tener alto il culto del latino, ma a facilitare all‟ultimo prete la missione di salvezza delle anime. Il recensore ritiene che il rispetto dovuto al latino sia cosa piú sacra che l‟andare incontro a preti che ne masticassero poco, fosse o non fosse loro colpa. Il Frassinetti antepone, in linea con il vangelo, il bene dell‟uomo, come in concreto egli lo conosce, all‟idolatria d‟un sabato, in questo caso il bel latino.857 Il libro fu un best-seller, in due anni e mezzo quattro edizioni, includendo la napoletana, la seconda a pochi mesi dalla prima. Il clero non si era ritenuto offeso di vedersi trattato… da ignorante. Cosa intendeva il Frassinetti scrivendo: “A riguardo dell‟italiano… spero poterlo cangiare in latino dando al lavoro forma un po‟ piú scolastica”? Quel “cangiare in latino” non significa: “Tradurrò in latino ciò che è uscito pubblicato in italiano e da loro criticato”, perché la prima stesura fu fatta in latino quando viveva nascosto in casa dei Campanella, lavoro privo di note e dissertazioni a noi pervenuto. Ebbe dunque il pensiero di affiancare all‟edizione italiana la latina già pronta per la stampa e la mandò all‟editore con questa nota: L‟autore si raccomanda sommamente perché questa operetta, che gli costò molta fatica e di cui non ha copia, non vada perduta, perciò, se non si giudicasse di stamparla, prega che gli sia cautamente rimandata, in caso si stampasse, bisognerebbe… Dopo lo strepitoso successo delle ripetute edizioni italiane, ne fu certo sconsigliato, forse dallo stesso stampatore, il figlio di M. Immacolata, religioso al secolo, Pietro Olivari. Un inutile sperpero di soldi perché solo pochi avrebbero comparato il testo latino per sostituirlo all‟italiano, non solo, ma l‟opera era ricercata soprattutto per le note e le dissertazioni che mancavano nel latino. Le due prime edizioni furono dedicate a mons. Raffaele Biale, vescovo di Albenga che negli anni della prova gli era stato tanto vicino, la terza Ai Figli di Maria Immacolata… [che] si accingono a promuovere altra opera – da cui sarebbe derivata la Congregazione dei Figli di Santa Maria Immacolata –, che, benedetta da Dio, avrà un grande risultato per il bene della Chiesa.858 Diamo uno sguardo alla terza edizione, l‟ultima da lui edita. Prepone al trattato “Della coscienza”, trattato con cui si aprivano i corsi di morale, 13 principi notevoli, poi i trattati secondo la tradizione scolastica, ma con del nuovo a cui va legato l‟enorme successo. Al testo ripensato su Sant‟Alfonso, aggiunge di propriamente suo “Note” e “Dissertazioni”, sentendosi libero di scostarsi dal Santo se ne crede il caso. Le “Note”, preziosissime, sono in tutto 186, 15 e di maggior respiro le “Dissertazioni” non meno preziose. In esse è travasata tutta la sua esperienza di quarant‟anni di confessionale. Nessuno meglio di lui stesso ci può presentare la sua opera. Lo fa nella Prefazione di cui riportiamo ampi stralci. Ciò che inutilmente si era sempre desiderato, né forse si sperava di poter mai conseguire, si è finalmente per la divina grazia ottenuto, il bell‟accordo di dottrine morali, mediante il quale generalmente i confessori, seguendo gli stessi principi, vengono alle stesse conseguenze pratiche. Si evita cosí quel “disaccordo funesto, specialmente pei rozzi ed ignoranti” che lasciava pensare che ogni confessore avesse per la stessa azione un suo giudizio morale, da uno giudicata lecita, da un altro peccato grave: contengono le ragioni…”. L‟unico ed il vero motivo il riguardo loro dovuto? Non sarà anche stato per non avvalorare la tesi con nomi di tanta autorità? 857 Mt 12,11s. 858 Dice cosa sia quest‟altra opera [la Pia casa dei Figli di Maria] facendone la storia degli inizi, pp. 3-6. 257 Oggigiorno, fatte poche eccezioni… ciò che vieta o permette un confessore, è vietato o permesso anche dagli altri; ciò che uno afferma essere peccato mortale, è affermato pure dagli altri… [per] grazia della Divina Provvidenza che ha disposto che si diffondessero quasi universalmente le dottrine morali di S. Alfonso de‟ Liguori… Le dottrine di questo Santo sono ora le dottrine non solo dell‟ Italia, ma dell‟Europa, e del mondo cattolico… Da sí fatto accordo è venuto che generalmente non abbia piú luogo quel soverchio rigore che in tanta parte aveva invaso le scuole, specialmente nel secolo passato [il Settecento], rigore inopportuno a promuovere nel popolo cristiano la frequenza dei Sacramenti… Indica i pericoli di un eccessivo rigorismo ed i vantaggi di una piú mite dottrina: Mentre da una parte si calunnia la Confessione sacramentale come peso insopportabile alle coscienze, e con facilità i cattivi cristiani ne smettono 1‟uso, che cosa avverrebbe qualora si adoprasse coi penitenti un rigore non necessario od eccessivo? I calunniatori troverebbero pretesto di piú per malignare quella divina istituzione, e i cristiani trascurati lo troverebbero similmente per giustificare il loro allontanamento dalla medesima… Facilitata la sacramentale confessione con miti e soavi dottrine, piú confacenti, che non erano alcune altre, allo spirito del Vangelo, manca ai primi ed ai secondi quell‟apparente ragione di cui si valgano per giustificare la loro empietà o indolenza. Tolta l‟odiosità alla confessione, si apriva l‟accesso alla comunione frequente e quotidiana.859 Si rivolge soprattutto ai sacerdoti novelli e questi i perché. 1. Perché coi principi riflessi attendo a sciogliere le controversie morali, e mostro come non ostante la varietà delle teorie e delle opinioni, possa il confessore nella pratica sbrigarsi delle difficoltà e dei dubbi, e assolvere i penitenti senza che gli resti fondato timore di avere errato. 2. Perché addito il modo di abbreviare assai quelle confessioni che sogliono essere piú lunghe e prolisse. 3. Perché dimostro potersi evitare molte interrogazioni assai fastidiose in materia del sesto comandamento. 4. Perché mi studio di appianare le difficoltà che s‟incontrano nelle confessioni dei rozzi, degl‟ignoranti e dei fanciulli, che sono la massima parte dei penitenti. 5. Perché tocco le questioni del giorno applicando ad esse i principi morali riconosciuti dagli antichi. Questo il piano del lavoro e queste le fonti da cui ha attinto:860 Già da piú anni avevo fatto un Compendio il piú breve ed insieme, ardisco dire, il piú compiuto delle Dottrine Morali di S. Alfonso basato sull‟Opera Homo Apostolicus, in cui, come attesta egli stesso, nulla manca, ed anzi v‟ha alcun che di piú che non è nell‟Opera grande; la quale tuttavia non ho lasciato di consultare, come potrà il lettore conoscere. Volevo stampare questo Compendio senza alcuna aggiunta od osservazione per servizio degli studiosi di S. Alfonso; ma riflettendo che impinguato di note e illustrato con alcune dissertazioni riguardanti la pratica ed anche i tempi in cui viviamo, avrebbe potuto riuscire di maggiore utilità, segnatamente ai confessori novelli, ho dimesso la prima idea, e ho aggiunto note in buon numero, ed anche dissertazioni, dove mi parevano opportune. Segue l‟ordine dei trattati dell‟Homo Apostolicus, eliminando le ripetizioni. Strettamente sue sono le note e le dissertazioni riguardanti la pratica, e le questioni del giorno, senza quasi mai discostarsi dal Santo, ma avverrà tuttavia alcuna volta che trattandosi di materie piú metafisiche che morali e perciò piú filosofiche che teologiche, ed anche di casi particolari, io non concordi pienamente col Santo, e metta come piú probabile alcuna sentenza reputata da lui meno probabile. La qual cosa voglio notare espressamente, affinché non si creda che io sia troppo cieco suo ammiratore, e che voglia mettere i suoi scritti a paro dei Concili Generali e delle Bolle Dogmatiche… Se è lecito talvolta dissentire da S. Giovanni Crisostomo, da S. Agostino, da S. 859 Ne parleremo nel capitolo 48. Si vale di preferenza delle opere del Card. TH. GOUSSET e del Padre J. GURY. Di quest‟ultimo può valersi dell‟edizione che stava curando Antonio Ballerini, professore di morale nel Collegio Romano [l‟attuale Gregoriana] ricevendone i quinterni “di mano in mano che escono dal torchio”. Per i fascicoli non ancora pubblicati usa l‟edizione napoletana del 1855. 258 860 Tommaso, da S. Bo-naventura ecc; perché non sarà lecito in qualche punto controverso dissentir pure da S. Alfonso? Se S. Agostino e gli altri autori citati ritrattarono questa e quella opinione e modificarono altre, sarebbe fare un torto a Sant‟Alfonso volendolo stimare mai caduto in una svista o abbaglio, perciò: Ogni volta che mi crederò lecito di non convenire con lui, farò vedere che la mia diversa opinione ha l‟approvazione e il suffragio di gravi autori, ed è appoggiata a ragioni tali da non doversi cosi facilmente disprezzare. Un lavoro, il suo, che riguarda specialmente la pratica, che importa molto piú della teorica e, in punto di pratica, trentasette anni di quotidiano esercizio sembrano darmi un qualche diritto a discorrere intorno a questa materia. Tuttavia mentre desidero di far qualche bene, mi spaventa il solo pensiero di poter fare qualche male, perciò non ho voluto fidarmi per nulla dei lunghi anni di confessionale, chiedendo invece lume al Signore ogni volta che ho preso in mano la penna; ed oltre a ciò nulla ho scritto che non abbia prima consultato con uomini dotti, pii, e sperimentati. Per tutto ciò che in questa operetta sarà del mio, mi rimetto al giudizio dei lettori. Sottometto poi ogni cosa al giudizio della Santa romana Chiesa, di cui mi dichiaro e mi protesto figlio ubbidientissimo, come il voglio essere a Cristo divino suo Capo e Maestro. Un successo clamoroso. Un eco lo stupore del Prólogo della versione spagnola: Quattro numerose edizioni in quattro anni – in realtà, con l‟edizione napoletana, erano cinque861 –,… Essa è il frutto dell‟esperienza di un colto e virtuoso Autore che quando la diede alla luce aveva quarant‟anni di continua presenza in confessionale… Fu un caso che l‟ebbi tra le mani, e leggerla e tradurla fu un tutt‟uno. Anche l‟edizione spagnola ebbe ripetute edizioni. Ci fu la traduzione tedesca, la francese e la portoghese, questa fatta in Brasile. Il Patriarca di Venezia Giuseppe Sarto, futuro Pio X, conversando con il maestro Lorenzo Perosi, gli vide sul tavolo la Morale del Frassinetti, la prese in mano e disse: “Fu un vero maestro”.862 Il successo continuò a lungo. Il cardinal Boetto confidava al gesuita padre Lucchetti, suo confratello: “Da giovane non mi sarei sentito di confessare, se non avessi letto la Morale del Frassinetti”.863 Il successo veniva a coronare la lotta combattuta dal Frassinetti e la sua “Beato Leonardo” contro giansenisti ed affetti dal loro spirito di cui si è già parlato. Per il trionfo completo mancava un‟altra opera, Il Convito del divino amore che aveva portato al tipografo il giorno innanzi che si pose a letto per non piú rialzarsi. In esso apparirà la connessione logica dei suoi lavori: la lotta al rigorismo giansenista ed al rigorismo in genere era il presupposto che toglieva l‟odiosità alla confessione e rendeva l‟eucaristia cibo quotidiano dei cristiani, cibo senza del quale si poteva in nessun modo aspirare ad una vita di perfezione, a cui chiama anche quei che non possono entrare in convento, puntando alla vetta additataci da Nostro Signore ne Discorso della Montagna: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli”. Ne parleremo in un prossimo capitolo. 861 Dicono che, quando il Frassinetti lo seppe, se ne mostrasse sorpreso ed esclamasse: “Potrei fare le mie rimostranze, ma lasciamo andare, si diffonderà di piú”. Una copia dell‟edizione nell‟Archivio Frassinetti. 862 Osservatore Romano, n. 154, 1939. 863 Siamo stati in tanti a ripetere la stessa affermazione. Con il redentorista padre Damen si studiava per gli esami a riga a riga il suo bel trattato, comprese le notunculæ in calce paginæ, tanto era esigente e pignolo, e grande il timore di sentirci dire: “Studebis in villa”. Per il confessionale ci si rifaceva al Frassinetti, non solo noi dell‟Urbaniana, ma anche molti che frequentavano le altre università pontificie. Valga per un mio grazie. 259 CAPITOLO XLVI LIBERALE O REAZIONARIO IL FRASSINETTI? Con l‟occupazione di gran parte degli Stati Pontifici nel 1860, si erano posti gravi problemi, anche se non nella gravità di dopo l‟occupazione di Roma nel 1870 con la perdita di quel rimasuglio di stato che garantiva al pontefice la sua piena autonomia. Dopo i fatti del ‟60, ad un pastore d‟anime si poneva la domanda: Un suddito degli stati annessi, in particolar modo se degli ex-Stati pontifici – Romagna, Marche ed Umbria – può conservare i vecchi incarichi statali, se ne ha, e, in genere, usufruire dei diritti civili e politici che gli occupanti gli riconoscono alla pari dei vecchi sudditi dei Savoia? Sono gli anni in cui la “Civiltà cattolica” ignorava il Regno d‟Italia e parlava di Stati Sardi e, trasferita la capitale a Firenze, dal n. del 22 novembre 1865, di Toscana e Stati annessi. I nostri testi di storia patria, trattando del Risorgimento, vedono nella Chiesa o una forza politica di cui si sarebbe potuto servire, o la forza che intralciava l‟ opera di quanti si battevano per l‟unità.864 Nel periodo risorgimentale, due le caselle assegnate ai cattolici in genere, ed al clero in particolare: cattolici-liberali – una minoranza di menti “aperte”– e cattolici-reazionari, menti “retrive”. Chi sono i reazionari? È questo uno di quei nomi magici – si leggeva sul Cattolico di Genova il 27 novembre 1849 – usati quasi ad incanto, dei quali i moderni demagoghi si fecero una provvigione e si formularono un frasario per segnare al disprezzo dei meno veggenti quelle persone che dessero impedimento o fastidio. Questo nome va di conserva con gli altri di retrogradi, di gesuiti, codini, aristocratici e somiglianti, che sempre ebbero in bocca senza mai definire. 865 L‟Alimonda, se era lui, di lí a vent‟anni avrebbe potuto aggiungere almeno due altre voci temporalista, in opposizione a conciliatorista. Nomi magici! Magici soprattutto per l‟odio e le vessazioni che seppero suscitare. Gli storici di quel periodo ci si presentano incapaci di percepire cosa la Chiesa veramente sia, e quale la vera missione a cui essa è ordinata: rigenerare l‟uomo con i mezzi soprannaturali messi a sua disposizione per farne un figlio di Dio e cittadino del cielo, vedendo in essa soltanto un‟istituzione terrena. Da altro punto di vista si sarebbero dovuti giudicare i suoi uomini e le sue istituzioni e chiedersi se la loro opposizione era contro il nuovo stato politico o non piuttosto contro i modi adottati per attuarlo e contro quanto sonava negazione 864 Anche nel biennio d‟infatuazione giobertiana la Chiesa fu vista solo come una forza politica creduta vantaggiosa per la realizzazione d‟un piano politico. 865 Lo stile è di Gaetano Alimonda, vicinissimo al Frassinetti, il “P. G.” [Prete Gaetano] che nel 1846 scese in campo per difendere il Frassinetti contro il Bonavino. 260 di vita cristiana. Non il rifiuto di una Italia unita ed indipendente dallo straniero, né feticistico attaccamento a questa o quella forma di governo – monarchia o repubblica, Savoia sí Savoia no – , ma il rifiuto di ridurre il cattolicesimo a strumento di quella loro politica, di quella loro civiltà e di quel loro progresso. L‟aggettivo liberale, aggiunto a cattolico, ne rendeva equivoco il significato e su tale equivoco, si é visto, il Gioberti giocò con tale abilità da passare nei nostri testi di storia come il maggiore propugnatore d‟un cattolicesimo aperto ai tempi nuovi. In realtà si trattava di una religione civile gabellata per religione di Cristo. Il Frassinetti fu dei pochi che subito avvertí l‟equivoco e lo denunciò. La risposta alla domanda: – Liberale o reazionario?– ce l‟anticipa il Frassinetti in un appunto per il progetto d‟un settimanale: La Cartà, già riportato: “Esso non avrà assolutamente nessun colore politico: unico suo colore sarà il cattolico…”.866 Si era ancora negli anni Cinquanta, quando a Genova già usciva il Cattolico, uno dei fogli piú battaglieri. Dopo il Sessanta si aggiunse un problema di coscienza che un pastore d‟anime non poteva non porsi: i rapporti di un timorato di Dio con il nuovo governo di fatto. La soluzione del Frassinetti, parve agli intransigenti soluzione di un liberale! Con quale altro nome appellare chi, contro la norma né eletti, né elettori, propugnava l‟andare a votare, farsi eleggere e persino prestare giuramenti all‟usurpatore? Riponendo la penna – cosí l‟estate del 1867 licenziava la terza edizione del suo Compendio di teologia morale – mi prende il timore che alcuno, dopo letta quest‟Appendice… dica di me: Toh un cattolico liberale… Io sono cattolico semplicemente in tutta le semplicità del termine… I liberali che sanno fiutar bene la gente non mi credettero mai dei loro. Infatti nel 1848-49 mi tennero esiliato dalla mia parrocchia per tredici mesi; e fa un anno appena, che all‟epoca del domicilio coatto si adoprarono per farne gustare le dolcezze anche a me…867 Io inoltre protesto che non ho mai cangiato né modo di pensare, né modo di agire. Mi diceva tempo fa un liberale: Ella pensa diversamente da me; ma ho stima di lei, perché sta immobile nei principi in cui crede… Io dunque non sono mai stato, né sono, né voglio essere cattolico con qualche aggiunta. Sono sempre stato, sono, e spero che sempre sarò cattolico semplicemente. Io sto colla S. Sede… Quando essa spiegherà la sua “Risposta” – su cui aveva argomentato – in modo diverso dal modo in cui la intendo io, cangerò tosto di sentimento. Fin tanto che Essa tace, chiedo e spero ottener la grazia che mi si permetta di poter pensare a modo mio, com‟io consento agli altri di pensare a modo loro. In necessariis, unitas, in dubiis libertas, in omnibus charitas. Quotiescunque e Roma scripta venerint, quoad nos omnes causæ finitæ erunt.868 Finalmente, mentre rifiuto la denominazione di cattolicoliberale, ho l‟onore di poter gridare alto, che davanti a qualunque Governo sono sempre stato inappuntabile, come sempre è lo schietto cattolico, che necessariamente tiene la dottrina di S. Paolo sopra accennata.869 Cosa aveva scritto di cosí scandaloso da essere chiamato liberale dai cattolici intransigenti? L‟Appendice del Compendio rifatta per la terza edizione e qui riprodotta alla fine del capitolo. A piú di un gesuita romano sembrò aver passato ogni segno, come si viene a conoscere da una lettera del moralista Ballerini al Frassinetti in cui gli propone di placarli suggerendo i ritocchi qui sotto evidenziati in doppia colonna, ritocchi che parrebbero piccole sfumature lessicali. Compendio di T. M., III ed., 1867 866 Compendio di T. M., IV ed., v. II, 1869 AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. IX, pp. 220s. Non saprei dire a cosa alluda. 868 Al detto “Unità in ciò che è necessario, libertà in ciò che è dubbio, ed in ogni cosa carità”, aggiunge di suo: “parlato che abbia Roma, per me tutte le cause sono finite”, eco del Roma locuta, causa finita. 869 G. FRASSINETTI, Compendio…, 18673, p. 771. Testo paolino: Rm 13,1-8. 261 867 (Rivista da Ballerini-Cima pp. 479-81). (Curata dal Frassinetti pp. 768-70). Or poiché spetta ai popoli mandare i deputati al Parlamento, i popoli hanno un diritto incontestabile di mandarvi dei galantuomini; anzi poiché i popoli non possono rinunziare al proprio bene religioso e civile, sono in obbligo di mandarveli… La seconda è che i popoli, i quali hanno questo diritto, non possono essere impediti dall‟esercitarlo dai diritti che possono competere ai Principi spodestati, i quali di fatto non comandano piú… La terza, è che se i popoli hanno da avere La terza è, che se i popoli hanno da un Governo, è necessario che in qualche avere un Governo, è necessario che in modo gli si sottomettano, e quindi che qualche modo lo riconoscano, e quindi gli ubbidiscano… che gli ubbidiscano… Quindi non vi può essere alcuna legge che Quindi non vi può essere alcuna legge vieti quella soggezione ed ubbidienza, che vieti quel riconoscimento ed eccetto che il nuovo Governo esigesse ubbidienza, eccetto che il nuovo cose per sé cattive… Governo esigesse cose per sé cattive… altre volte in Italia, e sempre in tutto il altre volte in Italia, e sempre in tutto il mondo, avvennero cose simili alle mondo, avvennero cose simili alle presenti, e che tuttavia non si ebbero i presenti, e che tuttavia non si ebbero i timori, che ora si hanno, nella timori, che ora si hanno, nel sottomissione necessaria e nella lecita riconoscimento necessario e nella lecita obbedienza ai nuovi Governi… obbedienza ai nuovi Governi… Quindi qualora le leggi esigano dei giuramenti non solo dai deputati alla Camera elettiva, ma dai Senatori, dai magistrati… i buoni cattolici non debbono rifiutarsi di renderli in tutto ciò che è chiaramente lecito… La quinta è che dobbiamo sottometterci ai disegni della Divina Provvidenza anche allora che ci vengono inaspettati e disgustosi… È necessario conoscere i tempi e adattarvisi, salvi i principi della Morale e della Fede… Sulla copia della terza edizione, a noi pervenuta, su cui il Frassinetti aveva preparato le correzioni e le aggiunte per la quarta, pur avendo avuto quattro mesi di tempo, non tenne conto dei suggerimenti del Ballerini.870 Morto il Frassinetti, il Ballerini, curatore della quarta edizione, nel 1869 introdusse le modifiche che aveva suggerito insieme ad altri suoi ritocchi. La stampa la curava l‟oratoriano padre Antonio Cima. Nessuno dei due dovette tenere presente ciò che due anni prima il Frassinetti aveva scritto nella Vita di Santa Angela Merici, passo da noi già citato e che qui ripetiamo applicando noi alla sua opera ciò che egli diceva a proposito dell‟opera della Santa: non è da approvare che talora gli uomini mettano cosí facilmente le mani nelle opere altrui, dopo che i loro autori sono morti, e quando perciò non possono piú dare ragione del loro operato, tanto piú ove trattesi di opere architettate da grandi santi e compiute con particolare assistenza di Dio.871 Liberale o reazionario il Frassinetti? 870 L‟ultima correzione del testo è a pagina 754. L‟Appendice che chiude l‟opera comincia a p. 760, quindi la revisione era già pronta per essere passata al tipografo. Ne è riprova che sono rivisti anche gli indici. Se avesse voluto accettare il suggerimento del Ballerini, un lavoro di due minuti, non sarebbe stato quattro mesi senza tenerne conto, quattro mesi in cui tra i due non ci fu piú nessun scambio di lettere come si deduce dalla lettera del Ballerini in risposta a chi gli dava la notizia della morte in cui si rammarica dell‟ osservazione che gli aveva fatto con la sua ultima quattro mesi prima. 871 G. FRASSINETTI, Vita ed Istituto… Genova, 1862, p. 56. 262 Domanda d‟obbligo scrivendo di un genovese vissuto a Genova nel periodo ruggente del Risorgimento, domanda assorbita dopo il Settanta dall‟altra, comprensiva della prima: Conciliatorista o temporalista? Ma il Frassinetti era già morto da due anni e nove mesi. Il Frassinetti non tratta del governo in astratto come si vorrebbe che esso fosse, ma di questo “governo” con cui ora abbiamo a che fare, anche se da noi non voluto e per mille motivi deprecato. Nei suoi anni ve n‟erano stati tanti: Repubblica Ligure, Impero Napoleonico, Repubblica di Genova, Regno di Sardegna assoluto, Regno di Sardegna costituzionale, Regno d‟Italia. Si direbbe che tra tutte queste lotte e modifiche di confini e forme di governo, il Frassinetti abbia fatto suo il precetto del Signore: Lascia ai morti seppellire i loro morti, tu vai ad annunciare il regno di Dio.872 Della politica si interessò solo quando vennero emanate leggi in contrasto con le leggi di Dio per ricordare ai fedeli quali erano i loro doveri, nel caso, andare a votare dando il voto a chi si opponeva a tali leggi.873 Ma per tanti le caselle mentali erano solo due: temporalista / conciliatorista, e tutt‟ora, con altri nomi, spesso sono ancora solo due, impensabile una terza per chi sia solo prete, e prete preoccupato solo della salvezza delle anime che si trovavano a vivere in queste e quelle circostanze di tempo e di luogo. Niente di meglio che dare la parola allo stesso Frassinetti riproducendo larghi stralci dei quell‟Appendice rifatta di sana pianta che aveva suscitato tanto allarme nei propugnatori di “né eletti, né elettori”. Appendice sulle elezioni politiche Avendo promesso di parlare delle questioni del giorno, non posso omettere quella, che forse è la piú. ardente, ed insieme la piú pericolosa a toccarsi, per un certo esasperamento di animi venuto a seguito di ciò che pareva dovesse togliere ogni occasione di dissidio. E ciascun vede che io accenno alla Risposta della Sacra Penitenzieria, provocata dai nostri Vescovi… Prima di questa Risposta si combatteva tra i cattolici quasi divisi in due schiere. Altri dicevano essere lecito mandare Deputati al Parlamento, e quindi non essere vietato ai Deputati prestare il giuramento che esige lo Statuto; altri negavano l‟una e 1‟altra cosa…. Ecco la Risposta della Sacra Penitenzieria al quesito di come si debba rispondere a chi domanda se si possa accettare l‟ufficio di deputato al Parlamento: A questo primo quesito, sí, a condizione che i deputati eletti aggiungano al giuramento la riserva: salve le leggi divine ed ecclesiastiche in modo che sia udita da due testimoni a lui vicini e che gli eletti garantiscano gli elettori che mai proporranno leggi ingiuste, né le voteranno se proposte da altri. In occasione delle elezioni non è vietato ai vescovi, se ne fossero richiesti, di ricordare ai fedeli il dovere di impedire il male e promuovere il bene. 1dicembre 1866. Partendo da tale responso il Frassinetti cosí argomenta: [La] Risposta del 1° dicembre 1866 merita particolare rispetto ed osservanza, essendo data ai piú ragguardevoli personaggi, quali sono i Vescovi nella Chiesa di Dio, e data dopo di essere stata vista, e perciò tacitamente approvata dal Romano Pontefice; emanata poi in materia cosí grave, quali sono le elezioni politiche, dalle quali al presente… dipende la rovina o la salute delle nostre popolazioni a riguardo della religione… Risposta [che pare] tronchi tutte le questioni che si agitavano tra i cattolici rispetto alle elezioni politiche. Si discuteva se i parlamentari delle regioni invase, soprattutto gli eletti nelle Marche, nell‟Umbria e Romagna, province degli Stati pontifici, potessero prestare giuramento: Se è lecito all‟Eletto accettare il mandato, è lecito agli Elettori di darlo, essendo due cose pienamente correlative e sommamente connesse. Ora se gli Elettori possono conferire il mandato, e 872 873 Lc 9,60. Come quando venne introdotto il matrimonio civile. 263 se gli eletti: possono accettarlo, vuol dire che davanti alla Sacra Penitenzieria sono insussistenti tutte le ragioni che si adducevano da chi sosteneva il contrario. La Sacra Penitenzieria risponde affirmative, senza alcuna distinzione di province vecchie o di province nuove, senza distinzione fra Torinesi, Bolognesi, Napoletani, Toscani, Modenesi o Parmigiani. Vuol dire dunque che tutti i popoli dell‟Italia senza paura di violare la legge naturale e d‟incorrere alcuna censura, possono accostarsi alle urne elettorali, mandare al Parlamento i loro Deputati, e questi poi emettere il giuramento che si richiede. Giuramento con la riserva sopra riportata emessa nel modo indicato. È evidente che la Sacra Penitenzieria non voleva rendere inutile la sua Risposta, se i Deputati cattolici avessero dovuto gridar alto ch‟essi giuravano con quella limitazione, di modo che li avessero uditi la Camera, il Ministero e le Tribune… Intendeva bene la S. Penitenzieria che un giuramento prestato con quella clausola, sarebbe stato rifiutato e i Deputati espulsi dalla Camera… Si dirà che la S. Penitenzieria non vieta di gridar alto in mezzo alla Camera la limitazione e che il Deputato che alto la griderà, sarà un cristiano piú coraggioso di colui il quale la fa intendere soltanto ai due testimoni vicini. È verissima 1‟una e 1‟altra cosa; ma è pur vero che in tal maniera si esce dalla questione proposta…: se la S Penitenzieria sia contenta che la limitazione sia udita anche da due soli testimoni. Noi diciamo che ne è contenta, perché cosí suonano le sue parole. Passa all‟altra condizione, ossia l‟opporsi alle leggi ingiuste Vuol dire in primo luogo che i Deputati eletti devono avere buone intenzioni, obbligo generale a tutti i cristiani; e che in secondo luogo tali buone intenzioni, le quali sono di non favorire e di non approvare col loro voto leggi cattive ed ingiuste, devono manifestarle; che anzi devono promettere di riprovare apertamente tali leggi, qualora fossero proposte al Parlamento. Ciò poi non si dice che debbano fare nell‟atto di emettere il giuramento, anzi nemmeno si dice che debbano ciò fare nel Parlamento – se avesse voluto… lo avrebbe pur detto –… Per altro chi potrebbe vietare al Deputato che, emesso il giuramento, in mille occasioni dicesse e protestasse in Parlamento ch‟egli non favorirebbe né approverebbe col suo voto leggi cattive ed ingiuste; che anzi le riproverebbe apertamente qualora fossero proposte alla Camera? Non v‟ ha dubbio che… in mille occasioni potrebbe fare tali dichiarazioni e proteste… senza nessun pericolo; mentre che non solo ciascun Deputato, ma eziandio qualunque cittadino ha il diritto incontestabile di gridar alto e di stampare: io disapprovo, io sono nemico di tutte le leggi del mondo cattive ed ingiuste. Quale il dovere dei vescovi: Anche questo è un latino assai piano e facile. Nihil obstare, niente impedisce, vuol dire che non vi è alcuna legge né naturale, né divina, né ecclesiastica, che vieti ai Vescovi di qualunque parte d‟Italia di esortare i fedeli a concorrere alle urne elettorali per eleggere buoni Deputati, né è vi pericolo a questo riguardo di commettere alcun peccato, né d‟incorrere alcuna censura; altrimenti si dovrebbe dire che qualche cosa obstaret, lo impedirebbe. I Vescovi, in una parola, devono ricordare che ciascun fedele è obbligato, per quanto può, ad impedire il male, e a promuovere il bene. Non è pensabile che per ricordare tale verità cosí elementare i vescovi ne debbano essere richiesti, dovendo sempre gridare alto: fuggi il male ed opera il bene, predica permessa anche all‟ultimo chierico e a qualunque fedele. La Sacra Penitenzieria non fa che ricordare che quel principio vale anche per le elezioni politiche. Passa quindi a confutare chi sottilizzava sul valore di quell‟infinito teneri, essere obbligato. Il principio è chiaro: deve! Passando al pratico, qualora non ci fosse nessuna speranza di riuscire a mandare al Parlamento un candidato che prendesse tali impegni con l‟elettorato, l‟andare a votare non potrebbe essere obbligatorio; essendo principio incontestabile che un atto inutile non può essere comandato da nessuna legge. È qui candidamente confesso che molti, considerando l‟incertezza, ed anche la poca probabilità di buon esito che potevano avere in. varie epoche le votazioni in Italia, stante la prevalenza delle 264 sètte, e l‟apatia dei buoni ecc. ecc. pensavano che il. concorso alle urne elettorali dovesse riuscire inutile, o presso che inutile; e quindi logicamente conchiudevano che tal concorso si dovesse riconoscere bensí lecito, ma non già doveroso… Riconosce la fondatezza dell‟obiezione, presa in considerazione anche dal cardinale Penitenziere nella lettera al Vescovo di Mondoví, che l‟applicazione nei casi particolari dipende da mille circostanze, le quali ben ponderate, diranno quando SI DEBBA O POSSA CONCORRERE ALLE ELEZIONI. Ma cita il medesimo vescovo che aggiunge: Noi osserviamo che dicendo la lettera che le circostanze faranno giudicare quando si debba o possa concorrere alle elezioni, sembra che non si possa piú sostenere dal lato morale la formula: né eletti, né elettori, perché la risposta non ammette esclusività in generale, ma dice, anzi, che certe circostanze possono indurre una vera obbligazione di concorrere all‟urna, e certe altre varranno solo a dispensare uno o piú elettori da siffatta obbligazione.874 Avendo la Santa Sede indicato il modo di render lecito il giuramento e che andare o non andare a votare dipende dalle circostanze, dal lato morale non si può piú ora sostenere la formula né eletti, né elettori, perché la totale esclusione dei cattolici dal Parlamento frustrerebbe del tutto le intenzioni della Santa Sede. Il pensiero era chiaro, ma non mancarono giornali cattolici che ebbero da ridire d‟averne resa nota la pubblicazione. Il Frassinetti fa osservare la stranezza di voler tenere occulta una risposta data ai vescovi a regola dei fedeli! Dicano quel che vogliono dire, poiché si tratta di questione assai vitale, dalla quale, lo neghi chi vuole, dipendono in tanta parte i nostri interessi religiosi e politici, morali e finanziari, me ne sappia grado chi vuole, non credo dovere omettere alcune osservazioni sulla questione medesima, che giudico conformi alla risposta della S. Penitenzieria. 1. Negli Stati Costituzionali le sorti dei popoli dipendono dal Parlamento, se il Parlamento è composto di Deputati galantuomini, gli interessi della Nazione sono tutelati, e in caso diverso sono conculcati. Ora, poiché spetta ai popoli mandare i Deputati al Parlamento, i popoli hanno un diritto incontestabile di mandarvi dei galantuomini; anzi poiché i popoli non possono rinunziare al proprio bene religioso e civile, sono in obbligo di mandarveli. Questo il senso dell‟essere tenuti. 2. I popoli che hanno questo diritto non possono essere impediti nell‟esercitarlo dai diritti che possano competere ai Principi spodestati, i quali di fatto non comandano piú, né possono fare piú alcun bene ai popoli sottratti dal loro reggimento… I popoli… hanno diritto ad un governo nuovo, per non rimanere nell‟anarchia, che distrugge issofatto la società. 3. Se i popoli hanno da avere un Governo, è necessario che in qualche modo lo riconoscano, e quindi che gli ubbidiscano, non potendo esistere azione di Governo, dove non sia corrispettività di governati. Quindi non vi può essere alcuna legge che vieti quel riconoscimento ed ubbidienza, eccetto che il nuovo Governo esigesse cose per sé cattive, come sarebbe rinunziare alla fede… 4. Se i popoli devono di necessità riconoscere il Governo cui sottostanno, devono pure riconoscerne gli ordinamenti in tutto ciò che non v‟ha nulla di cattivo, e d‟ingiustificabile dalle circostanze… Sarebbe una contraddizione riconoscere il Governo, e non volerne riconoscere gli ordinamenti in ciò che è lecito riconoscerli. Quindi se le leggi esigano dei giuramenti non solo dai Deputati alla Camera elettiva, ma dai Senatori, dai Magistrati, dai Professori ecc., i buoni cattolici non devono rifiutarsi di darli in tutto ciò che è chiaramente lecito. Qualora tutti i componenti il potere legislativo, il potere esecutivo, l‟amministrativo, tutti i Magistrati, tutti gli Insegnanti, tutti fossero privi di timor di Dio, avremmo il sommo del pubblico male, che ci si presenta come la piú spaventosa ipotesi. E non v‟ha poi dubbio che tutti dovrebbero essere tali, se ai buoni cristiani non fosse lecito prestare i giuramenti richiesti dallo Stato. Ora la Risposta della S. Penitenzieria ci salva dall‟attuazione della spaventosa ipotesi. 5. Ci dobbiamo sottomettere ai disegni della Divina Provvidenza anche allora che ci vengono inaspettati e disgustosi; aiutandoci tuttavia il meglio che possiamo per conseguire il bene con quei 874 Il medesimo vescovo nella sua “Notificazione” del 27 febbraio (1867), scriveva: “Gli elettori dovranno intervenire alle elezioni, tranne una scusa legittima che possa scansarneli, ed usare tutti i mezzi leciti che sono a loro mano per la buona riuscita delle medesime, anche a costo d‟incomodi e di qualche sacrifizio” 265 mezzi ch‟Essa lascia in mano nostra… Tanti anni di delusioni pare che ormai avrebbero dovuto ammaestrarci. La Sacra Penitenzieria ci apre la strada per cercare ed operare il pubblico bene negli attuali dolorosi frangenti: entriamoci pacificamente e senza timore… È necessario conoscere i tempi e adattarvisi, salvi i principi della Morale e della Fede. Roma conosce i tempi, Roma vi si adatta. Conclude con il passo sopra riportato: “Riponendo la penna, mi prende un timore, ed è che alcuno dopo letta quest‟Appendice, giusta il vezzo già molto in uso, dica di me: toh un cattolico liberale…”. La IV edizione del Compendio edita dopo la morte del Frassinetti La terza edizione del Compendio ebbe l‟imprimatur – il si pubblichi – il dieci luglio 1867 e, stampata che fu, su di una copia a noi pervenuta il Frassinetti cominciò subito a preparare la quarta. Il 6 settembre il gesuita Antonio Ballerini gli scrive di quattro Figlie di Maria che avevano iniziato vita comune ed aggiunge d‟aver sentito criticare dai confratelli l‟Appendice del Compendio. Letta con attenzione, a suo giudizio, la critica è immotivata e suggerirebbe la sola modifica di cui su si è detto. Nei quattro mesi che il Frassinetti ancora visse, tra i due ci fu un solo contatto per via indiretta, avendo il padre Cima riferito al Ballerini il giudizio del Frassinetti su l‟osservazione che gli era stata fatta e di cui non teneva conto. Il Ballerini, appresa che ebbe la morte del Frassinetti, scrivendo al padre Cima il 14 gennaio 1868, dovette riferirsi a tale fatto: Per quanto io sia duro al pianto, il dolore piú d‟una volta m‟ha tratto le lacrime, e questo dolore è comune a tutti. Non lo conosceva di vista né di conversare, ma io lo conosceva abbastanza per le sue lettere, che conservo in gran numero, e tutti poi il conoscevano ne‟ suoi libri, nei quali ha lasciato l‟impronta della sua bell‟ anima... per me è stato un caso rincrescevole che l‟ultima mia diretta a lui abbia dovuto essere una specie di censura e quasi di certa riprensione – mia la sottolineatura –.Me miserabile! ma la sua virtú ha saputo vincermi ed oppresso da dolori mortali poté pensare a farmi rispondere ciò che Vostra. Signoria mi scrisse di quella [mia lettera]. Dall‟undici marzo 1868 cominciò tra il Ballerini ed il Cima uno scambio di lettere per la ristampa del Compendio. Il Ballerini lo pregava di chiedere ai fratelli Frassinetti, eredi del Defunto, una procura in cui dicessero aver saputo da fonte sicura che il Compendio di Teologia Morale era stato “denunziato alla S. Congregazione dell‟Indice” e che lo avevano incaricato di sostenerne la difesa:875 Io volentieri mi sobbarco a questo incarico perché, per il luogo che occupo posso farlo utilmente, e del resto il moltissimo che debbo a quel santo e caro uomo, e, di piú, l‟interesse che la sua memoria non sia tocca, e cosí impedito il gran bene dei suoi scritti, mi obbligano a nulla ricusare di quanto potrò... (si faccia presto). Ricevuto l‟incarico di curare la stampa della quarta edizione, chiede la copia rivista dal Frassinetti, rassicurandolo della restituzione. Il 10 luglio spedisce al Cima una prima parte del Compendio rivisto.876 “Le noterelle aggiunte, si raccomanda, è bene porle con caratteri diversi”,877 alle pochissime sue, non ponesse assolutamente il suo nome per non sottometterle a Roma “a processi e revisioni, che vanno in lungaggini eterne”. Bastava l‟avviso che erano secondo la mente dell‟Autore. Dice delle critiche ricevute dal Censore delle Sacra Congregazione e come si sia dovuto adattare.878 875 È la terza volta che i suoi nemici cercano di far condannare una sua opera: negli anni Trenta le Riflessioni proposte agli Ecclesiastici e le Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici, di cui si è già detto. Condannata una qualunque delle sue opere, avrebbero avuto di che screditarlo su quanto egli avesse scritto. 876 Veniva fatta a Genova seguita dall‟oratoriano padre Cima nella Tipografia della Gioventú, di cui era direttore Pietro Olivari. 877 Cosa non fatta. 878 Nella prima dopo la morte del Frassinetti troviamo omissioni modifiche ed aggiunte non sue, ma di chi pensò di poterne interpretare la mente, ossia del Ballerini e del Cima, e smussate le difficoltà che prevedevano potersi 266 Sebbene questa edizione si pubblichi dopo la morte del dotto e pio Autore, può tuttavia considerarsi fatta come sotto i suoi auspici. Essendoché, in seguito a qualche osservazione fattagli, aveva egli già posto mano a ritoccare e riforbire l‟opera, con modificare e spiegare alcun passo che era stato occasione di qualche dubbio mosso da rispettabili ecclesiastici... Ove si è creduto opportuno, non si è mancato di inserire qua e là qualche noterella ed altro simile schiarimento, a fine di porre meglio in luce la mente dell‟Autore... Quelle differenze pertanto, che s‟incontreranno tra queste e le tre precedenti edizioni, dovranno essere intese e spiegate secondo i piú chiari sentimenti della presente, la quale perciò stesso reputiamo piú conforme alla mente dell‟Autore, come quella che pone in piú chiara vista all‟occhio dei lettori i sentimenti dallo scrittore stesso intesi.879 Resta il dubbio se la mente del Revisore coincideva con la mente dell‟Autore e, se vivo, avrebbe fatta sua la revisione, uno che non riconobbe per sua una pubblicazione edita da Don Bosco non conforme al manoscritto uscito dalle sue mani e la ripubblicò avvertendo che solo quella era da considerarsi genuina. frapporre alla ristampa. Ne risulta un Frassinetti piú aperto del Ballerini, che, se non fosse morto, pur restando sempre fuori della politica, si poteva pensare conciliatorista, nel senso del pastore che deve pensare alla salvezza non dell‟uomo in astratto, ma di quest‟uomo, sottoposto a queste leggi e questo governo di fatto. Particolari, questi, da trattare in un saggio ponendo a raffronto pagina dopo pagina la copia della terza edizione con le correzioni di sua mano, per fortuna a noi pervenuta, e la quarta e distinguere il pensiero del Frassinetti da quello del Ballerini-Cima che ne interpretarono la mente. 879 Steso dal Ballerini, di cui ci è pervenuto il manoscritto. 267 CAPITOLO XLVII VIENI, SERVO FEDELE, ASSIDITI AL CONVITO DEL DIVINO AMORE Al Processo di canonizzazione piú di un teste, ripensando certe parole del Frassinetti udite negli ultimi mesi del 1867, afferma che, benché in buona salute, né avanzato in età, presentisse che il suo tempo quaggiú stesse per finire. Il 1866 ed 1867 erano stati un anni pieni. Ma ebbe mai il Frassinetti un solo giorno che non fu giorno pieno? Furono gli anni delle tre edizioni del Compendio di Teologia Morale, e su una copia della terza, fresca d‟inchiostro, aveva preparato la quarta rivedendola a riga a riga. Oltre a curare la ristampa di vari titoli,880 ne scrisse di nuovi: Frutti del mese mariano; Dell‟impiego del denaro; Amiamo Gesú; La devozione illuminata; Dissertazione sulla comunione quotidiana; in due anni due edizioni; Ricordi per un giovanetto cristiano, in due anni due edizioni; Ristretto delle cose piú necessarie a sapersi dal cristiano; Intorno alle ss. comunioni applicate in suffragio dei defunti; Sulla deficienza delle vocazioni allo stato ecclesiastico; Regola di vita pel giovanetto cristiano; Amiamo S. Giuseppe. L‟ultima pubblicazione potremmo chiamarla Discorso della sua ultima cena. Iniziata il giorno dei Santi del 1866 la terminò il 6 Agosto del 1867, giorno della Trasfigurazione, festa che ricorda quell‟assaggio di paradiso dato dal Signore a Pietro, Giovanni e Giacomo per fortificarli nella fede, e, attraverso loro, a noi, Il convito del Divino amore In questo giorno sacro alla vostra festività – cosí ce lo presenta –, Santi tutti del paradiso, che già foste chiamati ad assidervi alla Cena delle Nozze dell‟Agnello881 commensali al Convito del beatifico Divino Amore in cielo, io offro a Voi il mio lavoro, cui oggi do principio, sul Convito del Divino Amore qui in terra. La sostanza del Pascolo è pur la stessa: Voi ve ne pascete lassú contemplando e godendo, noi ce ne pasciamo quaggiú credendo e patendo; ma la sostanza è la stessa. Quegli, che è il Pane del cielo, è pur la Manna del deserto, Cristo in cielo fulgente in gloria, in terra nascosto sotto le specie sacramentali… O gloriosi Santi, io offro a Voi, e a Voi raccomando il povero mio lavoro; affinché m‟intercediate la grazia ch‟esso sia valevole, efficace invito a molti e molti cristiani ad affluire famelici e sitibondi al gran Convito del Divino Amore… Gloriosi Santi, il gustare del Convito del Divino Amore in terra è pur quello che vi ha disposti sí bene a gustare del Convito del Divino Amore in cielo. Pregate Voi il Signore che benedica a questo mio lavoro, affinché per suo mezzo tanti e tanti gustando adesso, come già Voi, il gran pascolo in fede, si dispongano a gustarlo poi con Voi nella gloria. È il compendio della sua vita. Dopo di essersi pasciuto qui in terra di quel cibo, mistero di fede, si accingeva a gustarselo nella visione in cielo. Viene da ricalcare l‟addio di Paolo a Timoteo: “Il tempo della mia partenza è vicino. Ho combattuto la buona battaglia, sono ormai giunto al termine della mia corsa, ho conservato la fede. Non mi resta ormai che ricevere il Gesú Cristo regola del sacerdote, 8a edizione; Amicizie spirituali, 3a; La rosa senza spine;. Rosa Cordone, 3 ; Inustrie spirituali, 4a; Il modello della povera fanciulla Rosa Pedemonte, 5a; Il Pater noster di S. Tresa D’Avila, 2a; Il paradiso in terra nel celibato cristiano, 3a; L’arte di farsi santi, 3a; Vita ed istituto di S. Anela Merici, 3a; La missione delle fanciulle, 3a ristampata ad Oneglia e nelle “Letture cattoliche” di Don Bosco; Dialoghetti sui comandamenti della Chiesa, 3a; Regola della Pia unione delle Orsoline, ed aveva nel cassetto altri titoli pronti a passare in tipografia, uno soprattutto, la biografia del suo amico di una vita, Memorie intorno alla vita del sac. Luigi Sturla. 881 Apocalisse cap. 19. 268 880 a premio che il Signore ha riposto per me”.882 Anche per il Frassinetti è l‟ora d‟assidersi a quel banchetto, non piú pascendosene per fede e nella speranza, ma nel possesso e nella visione. Come San Gregorio Taumaturgo sul punto di lasciare questo mondo,883 il Frassinetti avrà fermato il pensiero sul capovolgimento che in meno di un mezzo secolo si era operato: non piú rari fedeli assisi al “Convito del divino amore”, come negli anni della sua giovinezza, ma balaustrate piene di fedeli lí inginocchiati per ricevere quel pane del cielo, ed altri in file parallele alle loro spalle in attesa di potersi inginocchiare. Non solo nelle grandi feste, Pasqua, Pentecoste, Assunta, Natale, ma ogni domenica, molti tutti i giorni, e tanti fanciulli. Giovane dovette ragionare sulla falsariga dell‟Apostolo: “Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo, ma come invocheranno uno in cui non hanno creduto? Come crederanno in uno che non hanno udito? Come udiranno se non v‟è chi lo annunci?”.884 Una scala di tanti gradini da salirsi senza saltarne uno per giungere alla salvezza, quanto dire all‟unione con Cristo, sacramentale quaggiú, preludio e condizione dell‟unione in cielo. Sul modello di Paolo, il Frassinetti ha trovato la sua scala per il cielo, e ci accompagna scalino per scalino, cominciando con il togliere di mezzo chi ne impediva l‟accesso rendendola odiosa; Paolo i giudaizzanti, il Frassinetti i nipoti di Giansenio. L‟abbiamo visto entrare in campo attaccando frontalmente “una setta quasi indefinibile di tristi ipocriti”, i giansenisti per l‟appunto, e chi ne condivideva il pensiero. Ripercorriamone il cammino. Io sono il pane vivente, disceso dal cielo. Se qualcuno mangia di questo pane, vivrà in eterno. E il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo… In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell‟uomo e non berrete il suo sangue, non avete la vita in voi. Chi si ciba della mia carne e beve il mio sangue, ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell‟ultimo giorno. La mia carne infatti è vero cibo e il mio sangue è vera bevanda. Chi si ciba della mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui.885 La condizione per appagare questo desiderio di nutrirci di quel pane divino, desiderio fatto nascere in noi dal Signore, è una coscienza pura. Come purificarla, se non si ha piú l‟innocenza del battesimo e si cade cosí facilmente in tante miserie? Con il sacramento della penitenza. Ma il confessore fa le cose cosí difficili, la rende cosí odiosa, non medico ma inquisitore, e rare le volte che conceda di assidersi a quel divino banchetto… Impossibile la comunione frequente e quotidiana con confessori che rendano odiosa la confessione. Il Frassinetti, confessore, si farà maestro dei confessori, un maestro cosí diverso dai rigoristi. Duce il napoletano meraviglioso Alfonso Maria de‟ Liguori, il Frassinetti scende lungo la via di Gerico accanto all‟uomo abbandonato piú morto che vivo, stoppino di lampada ormai fumigante, e, discepolo d‟un tanto maestro, ne fa suo lo spirito, come Eliseo fece proprio quello di Elia – il paragone è suo –. Non si limita a dare assoluzioni dopo lungo esame per vedere se ne è o non ne è degno, ma, ravvivata la buona disposizione, insieme al non peccare piú, fa leva sul punto vivo che in nessun uomo manca, e, di lí partendo, gli addita le vette piú alte della perfezione. In virtú di quel pane che ogni giorno ci dona, anche lui può aspirare ad essere perfetto come è perfetto il Padre nostro che è nei cieli. Ed in virtú di quel pane si fa suggeritore di risposte generose agli inviti di Dio, apostolo di vita consacrata nel modo piú pieno in cui da noi si può rivivere la vita di Cristo. Ne abbiamo già a lungo parlato. Non si limitò a popolare seminari e conventi, ma, con le sue monache in casa e i suoi religiosi al secolo, mutò in convento le loro case natali. Un autore di morale che non restringe la conoscenza alle cose da non farsi e alla loro gravità, ma che si slarga nel mondo di quella spiritualità vissuta da Santa Teresa d‟Avila, da Sant‟Alfonso e da 882 2Tm 4,7s. Il 17 novembre si leggeva nel vecchio Breviario che stando il Santo per lasciare questa terra chiedesse quanti pagani ci fossero ancora nella città di Neocesarea e gli rispondessero che arrivavano appena a diciassette. – Ne sia ringraziato Iddio, disse, erano appunto diciassette i cristiani quando io ne divenni vescovo –. 884 Rm 10,13s. 885 Gv 6,51-56. 269 883 altri maestri di spirito, con una sua aggiunta: puoi essere perfetto, della perfezione del tuo Padre che è nei cieli, anche se non puoi o non pensi di entrare in convento. Due nomi di questi ultimi, già incontrati: Angela Maccagno e Pietro Olivari. Opus consummavi, ho compiuto la missione che mi hai affidato, può ora ripetere le parole che il suo divino Maestro rivolse al Padre la sera dell‟ultima cena.886 Nella prima metà di dicembre, in una conferenza ai Figli di Maria aspiranti al sacerdozio, aveva parlato della seconda venuta del Signore: “Tutti rimanemmo impressionati – depone don Arecco, allora uno degli adolescenti delle Pia Casa – perché ne parlò come se per lui la morte dovesse venire presto”. Cosí pure in un ritiro alle Figlie di Maria. Qualcosa, depongono i testi al Processo, doveva presentire. Celebrò tutte le funzioni del Natale come sempre. Come sempre fu lui a far baciare il Bambinello ai tutti i suoi parrocchiani. Il giorno dopo andò a confessare le Suore dello Spirito Santo. Al ritorno un leggero malessere, ma non ne fece caso e si fermò in chiesa per le funzioni. Tutto come sempre. Il 27 passò nella tipografia degli Artigianelli887 a correggere le bozze del Convito del divino amore. Trascinò quel malessere, cui non dette importanza, fino alla domenica 29 in cui accudí al ministero come sempre. La sera fece gran fatica a recitare il mattutino del giorno dopo, come da tanti è stato uso fino alla riforma liturgica. Il 30, come sempre, ancora in piedi per tempo. Una lunga seduta di confessionale, come sempre. Benché la celebrazione della messa gli costasse molta fatica, riuscí ancora ad attendere alle solite occupazioni. Il 31 provò ad alzarsi per andare a celebrare, ma non ne ebbe la forza e dovette essere aiutato nel rimettersi a letto. Era la fine. Si ricordò ciò che aveva sempre insegnato: viatico ed estrema unzione quando il malato è in grado da poterne ancora seguire il rito. Chiamò Domenico Fassiolo, il giovane chierico che teneva in casa, e lo mandò a prendere la borsa dell‟olio santo. Ce lo racconta lui, il Fassiolo, scrivendo la prima biografia di chi gli era stato piú padre del padre secondo la carne: Chi l‟avesse veduto la domenica ultima dell‟anno 1867 e ultima della sua vita fare colla solita energia le sacre funzioni e predicare al numeroso popolo la divina parola, non avrebbe pensato all‟imminente sua morte. Eppure lo aveva già assalito un leggero malore, onde la sera poté a stento recitare il Mattutino del giorno seguente. Passò inquieta assai la notte, tuttavia al mattino del lunedí confessò per lo spazio di un‟ora e celebrò la Messa, però con grande fatica… ma poco si credette alla gravezza della sua infermità vedendolo sempre conservare la sua solita vivacità e attendere alle solite sue occupazioni. In tutto quel giorno il male non presentò sintomo alcuno da inquietare e mettere l‟apprensione in quei di casa. Il giorno dopo volle alzarsi per celebrare la S. Messa, ma s‟accorse di essere malato assai, perché fu tale la sua debolezza che si dovette aiutarlo a riporsi a letto. Allora cominciò il timore e la costernazione a impossessarsi di chiunque seppe della sua malattia perché in tanti anni non si era mai udito che il Priore avesse per malattia lasciato di celebrare il S. Sacrificio… furono in fretta chiamati medici, gli furono prodigate le piú amorevoli cure, ma nulla valse. In breve la notizia della sua malattia si sparse per Genova tutta, e vi fu un accorrere di persone di ogni condizione per averne notizie, ed era spettacolo ben triste vedere uscirne molti colle lagrime agli occhi e sospirare e gettarsi ginocchioni ai piedi degli altari per implorarne la guarigione. Si cominciarono tridui, e quanti parrocchiani fecero promesse e voti… per l‟amato Pastore!... Ma fermo era il decreto di Dio; l‟angelo della terra doveva divenire angelo del cielo e, piú che agli uomini, la sua compagnia doveva riuscire cara ai beati comprensori. Aggravandosi il male il giorno primo dell‟anno 1868, volle confessarsi dal Rettore di S. Marco, Pietro Boccalandro, che era il suo confessore, e gli fu, a sua richiesta, amministrato il S. Viatico dal 886 Gv 17,4. Ne era direttore Pietro Olivari, religioso al secolo, al quale erano affidati anche i primi ragazzi della Pia Opera dei Figli di Maria che aspiravano al sacerdozio. 270 887 Parroco di S. Fede, come il piú vicino… E qui vogliamo riferire una particolarità avvenuta prima del Viatico per far conoscere sempre meglio che ciò che insegnava e predicava agli altri, amava praticarlo fedelmente egli stesso. Essendogli io, che allora abitavo presso di lui in qualità di chierico, andato in stanza e rimastovi solo, egli a me rivolto raccomandandomi che volessi pregare sempre per l‟anima sua, aggiunse: fammi un piacere, va e che nessuno ti veda, prendi la borsa dell‟Olio Santo e portamela in camera. Ma, signor Priore, ripigliai, non creda poi di star tanto male. O bene o male che io mi stia, non importa; ho sempre insegnato agli altri che dopo il Viatico si può con sicurtà amministrare l‟Olio Santo: quindi ora voglio che la stessa cosa sia praticata con me, va e spicciati. Il che avendo eseguito e portateglielo in camera, egli mi sorrise come di un benefizio a lui fatto; però non gli fu amministrato subito, come pur voleva e chiedeva replicatamente, perché dopo il Viatico si notò in lui un leggerissimo miglioramento. Ascoltiamo, sempre dal Fassiolo, la sua ultima giornata: La mattina del due Gennaio 1868… le forze cominciarono a diminuire e il respiro a farsi affannoso… A mezzogiorno, quantunque a mala pena potesse articolare le parole, recitò l‟Angelus Domini con gran devozione e singolare raccoglimento… i suoi occhi, il suo volto avevano tale un‟aria di rassegnazione mista a tranquillità che rapiva i cuori. Quindi cominciò a declinare sensibilmente e alle due pomeridiane entrò in agonia…. Mentre agonizzava cercò colla mano già fredda la medaglia della Madonna che teneva appesa al collo per mezzo di un ruvido spago. Gliela porse il suo collaboratore D. Giacinto Bianchi, ed egli fece atto di baciarla, e certo che Maria in quel punto non abbandonò il devoto suo figlio che tanto in vita l‟ebbe onorata e fatta onorare da altri. La baciò con santo trasporto di amore e poscia fra il gemito e il singhiozzare dei circostanti poco prima delle tre pomeridiane si addormentò placidamente nel Signore. Abbiamo omesso l‟insistere sulla folla dei parrocchiani che accorreva a chiedere notizie, la chiesa piena di fedeli che pregavano per lui e le molte manifestazioni che rivelavano quanto egli fosse amato dai confratelli e dai fedeli. I Figli di Maria, religiosi al secolo, insieme ad un sacerdote, vollero essere loro a comporne la salma rivestendola delle insegne di parroco. Grande e continuo fu l‟afflusso dei parrocchiani e del clero della città benché fosse una giornata rigidissima: Tutti sospiravano e piangevano inconsolabilmente genuflessi ai piedi delle venerate spoglie dell‟uomo di Dio. Nondimeno…l‟encomio piú bello, il panegirico piú veritiero delle sue virtú erano le lagrime e le preghiere dei poveri… il tributo di lode dai figliuoli della miseria, i quali furono i figli suoi prediletti,. inconsolabili per la sua perdita… prova manifesta dei sussidi, noti solo ad essi e a Dio, che avevano ricevuto da quelle mani benefiche. Non occorre descrivere, perché facile immaginare, il concorso della folla il giorno dopo ai funerali con l‟intervento dei parroci della città, ed il numeroso accompagnamento fino al cimitero di Staglieno non ostante la giornata rigidissima e tanta neve caduta di fresco, ed allora la via, scrive l‟Olivari, “per l‟assiduo andirivieni di carri nei giorni di pioggia o di neve diventava un vero tormento a percorrerla a piedi”. La domenica cinque gennaio, don Ambrogio Picone, sacerdote piissimo, invitato a spiegare il vangelo, invece che spiegare il vangelo, non seppe trattenersi dal parlare del santo Priore. Il pomeriggio si ripeté con il canonico Andrea Grasso invitato a fare il catechismo. Il 14 febbraio, per iniziativa dei sacerdoti genovesi, il Priore fu ricordato con un solenne funerale fatto a loro spesa, affidando l‟elogio funebre al can. Filippo Poggi, suo antico compagno di scuola negli anni di “rettorica”, filosofia e teologia, e lo tessé con tutte le regole dell‟arte apprese dal Gianelli, senza riuscire a trattenere il pianto. Il 16 aprile 1934 la salma fu riesumata dal cimitero di Staglieno e ritumulata nella cappella dei suoi Figli di Maria in via Iacopo Ruffini, dove riposa in attesa che sia glorificato anche qui in terra. 271 Il centro della sua attività nel cuore di Genova, la chiesa di Santa Sabina, nel 1932 fu chiusa al culto, poi, venduta, divenne un cinema, con grave scandalo di San Luigi Orione e, rivenduta ancora, sede di una banca. CAPITOLO XLVIII IL FRASSINETTI IN GIRO PER IL MONDO Vai per tutto il mondo ed annuncia il vangelo ad ogni creatura 272 Maestro, sí, ma senza mai uscire dalla sua terra, la diocesi di Genova. Il Frassinetti, pur appartenendo ad un popolo di navigatori, non risulta che abbia mai navigato o che si sia troppo allontanato dal rione dove nacque piú di quanto si riesca a camminare a piedi in un paio d‟ore e forse meno, come negli otto anni che fu parroco a Quinto nelle sue andate a Genova. Nei tempi tristissimi, costretto a riparare in esilio, mentre il suo amico don Sturla si spingeva in Egitto, ad Aden e in Etiopia, il suo estero fu San Cipriano in Val Polcevera, il cammino di una scampagnata. I viaggi piú lunghi lo portarono giovane chierico a Savona per ricevervi i secondi minori e gli ordini maggiori.888 Anziano si spinse un tre volte fino a Mornese ad una settantina di chilometri.889 Vi andò di certo in ferrovia fino ad Arquata già collegata da otto anni con Genova. Furono i suoi primi ed unici viaggi con tale novità. Lí lo avranno aspettato con un calesse. A Mornese andò l‟ultima volta con lo Sturla per istituire una casa della Pia Unione dei Figli di S. Maria Immacolata dove già erano nate e fiorivano le Figlie di Maria. Il Frassinetti e lo Sturla in treno! Tra le mille accuse che il Gioberti aveva lanciato contro i gesuiti e gesuitanti, e i due erano pensati della peggiore specie, c‟era anche questa: scomunicano dal pulpito strade ferrate e vapori! Ma il Gioberti era già passato da un po‟ di anni nel regno dei piú per poterne restare trasecolato. Prete casalingo il Frassinetti, ma non per questo ebbe a fastidio quei confratelli che pare avessero fatto loro il detto: navigare necesse, vivere non necesse, gente che muore a non muoversi, come don Giacinto Bianchi, il suo ultimo collaboratore in Santa Sabina nelle cui mani rese il suo spirito a Dio. Nella casa del Padre le mansioni sono molte, cosí i modi di vivere nella Chiesa. A tirarlo fuori dai carrugi della sua città non era bastato l‟invito della sorella890 né l‟esortazione dell‟amico sacerdote Giovan Battista Cortes: Bramerei tanto – gli scriveva il 5 giugno 1844 – che Vostra Signoria si potesse distaccare per qualche tempo da quella limitata sfera di terra in cui si racchiude. Perché un sí ingiusto scompartimento nella sua persona? concedere alla testa tanta rapidità, e nulla poi alle gambe? Si persuada che, se invece di conoscere il mondo da qualche giornale, potrà conoscerlo personalmente – nelle sue varie istituzioni – farà come l‟ape sui fiori; e ne uscirà del buon miele.891 Il Frassinetti restò sordo. Nel 1865 sentí il bisogno di un viaggio a Roma per salvare la natura delle sue Figlie di Maria, monache in casa, o Nuove Orsoline che dir si voglia, perché, con il loro espandersi in tutta Italia in modo imprevedibile, ogni vescovo non si sentisse autorizzato a modificarne regolamento e spirito, ma morto lo Sturla nell‟aprile, gli si era raddoppiato il lavoro. Il Ballerini, saputo che aveva trovato un aiuto in don Giacinto Bianchi, gli scriveva: mi rallegro di cuore e ringrazio la bontà del Signore nostro Iddio, che l‟abbia consolato sostituendo allo Sturla… un altro a Lei gradito… Avrei bramato da ciò una conseguenza, cioè che eseguisse il proposito, già significatomi come sospeso, di fare una scappata a Roma… Invece Ella mi significa che avremo qui il degnissimo D. Giovanni, ma non dispero, perché una cosa non esclude l‟altra. 888 Da un appunto in latino del Frassinetti con data, luogo e vescovo ordinante. Per mare? Ad Angela Maccagno il 31.7.1866: “Io e P. Giacinto abbiamo intenzione di venire a Mornese domenica 5 ag. al dopo pranzo… come le altre volte… desidero proprio di fare questa terza visita a Mornese, a Don Pestarino ai Figli e alle Figlie dell‟ Immacolata”. 890 Già la sorella, passata a Roma nel 1841, nella prima lettera: “Oh quanto qui starebbe bene la Congregazione del Beato Leonardo!”. P. FRASSINETTI, Lettere, p. 4. 891 Archivio Frassinetti. Le sottolineature sono negli autografi. 273 889 La sua andata a Roma doveva essere proprio necessaria se l‟anno appresso prendeva contatti con Don Bosco per fare insieme il viaggio in pieno inverno. Forse – gli rispondeva Don Bosco il 27 dicembre – non tornerà comodo andar a Roma insieme perché io ho divisato di recarmi ai primi giorni dell‟anno… per lei credo è opportunissimo che si trovi a Giugno quando vescovi e distinti personaggi si troveranno nella capitale del Cristianesimo… qualora ella preferisse anticipare, mel dica e vedremo di fissare un luogo di appuntamento…892 Don Bosco andò solo. A giugno non andrà nessuno dei due, a luglio inoltrato a Roma infieriva il colera. Il Frassinetti farà il suo primo lungo viaggio, ed ultimo, ad un anno e sei giorni dalla lettera, avendo per meta non Roma ma il paradiso. Eppure il Frassinetti andò molto piú lontano dell‟amico suo don Sturla e di don Giacinto, l‟ultimo suo collaboratore mai fermo. Con i suoi libri. Dimmi chi ti legge e ti dirò quel che vali Non so se sia un proverbio antico o di mia invenzione, ma mi pare vero. Anche se di Virgilio avessimo perso tutto, basterebbe ‟l lungo studio e ‟l grande amore di Dante per il suo maestro per porlo tra i grandi della letteratura. Una piú approfondita conoscenza de ‟l lungo studio e ‟l grande amore dei traduttori del Frassinetti ci aiuta a conoscerlo meglio. Vedendolo tradotto da penne di letterati, e letterati di buon nome, viene da domandarci come, pur essendo di esperienza ristretta ai soli suoi concittadini, di pensiero chiaro, ma non uomo d‟arte, abbia potuto suscitare in tanti paesi interesse in gente di un certo nome nel campo delle lettere. Cominciamo dal primo in ordine di tempo. Juan Manuel de Berriozábal Chi è costui?, ruminai tra me e me, proprio come don Abbondio nell‟imbattersi in Carneade, quando, leggendo nel Capurro la lista delle traduzioni del Conforto dell‟anima divota, trovai: “in spagnolo: El aliento del alma devota, 2a ediz. trad. di Manuel de Berriozábal, 1852”.893 A don Abbondio pareva bene d‟averlo letto o sentito quel nome, a me Berriozábal suonava nuovo. Lo pensai un ecclesiastico tornato da Roma in Spagna con il libriccino del Frassinetti e tanto italiano quanto pensava potesse bastare per tradurlo e farlo conoscere ad anime devote di non sofisticata contentatura. Tutt‟altro. È conosciuto dall‟Espasa-Calpe, la Treccani degli spagnoli, e ancor piú dal Manual del librero ispano americano,894 non solo, ma anche dal British Museum, dagli Annali delle scienze religiose, la rivista del futuro cardinale Antonio De Luca,895 né poteva sfuggire all‟occhio del Moroni che radunò notizie a non finire nel maremagnum dei centotre volumi, piú sei di indici, del suo Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica.896 Questo escritor peruano y marqués de Casa ]ara, nato a Cuzco nel 1815 e morto a Parigi nel 1892, di nobile e ricca famiglia peruviana, trasferitosi giovanissimo in Spagna e in un secondo tempo a Parigi, ebbe l‟onore, benché giovanissimo, di scrivere su una rivista di don Jaime Balmes, il gigante della cultura religiosa spagnola della prima metà dell‟Ottocento, e non solo religiosa. Al Balmes, avarissimo di recensioni, nei 33 volumi delle sue Obras completas se ne contano appena tre, due brevissime, quaranta pagine non parvero troppe per recensire Berriozábal su La 892 AF. Don Bosco era quindi al corrente delle cose del Frassinetti. G. CAPURRO, Op. cit., p. 6. 894 A. PALAU Y DULCET, Manual del librero Hispanoamericano, t. II, Barcellona, 1949. 895 X,432.452: XVIII,459. 896 G. MORONI, Dizionario di erudizione storico-eccles., vv. 103+6, Venezia, 1840-1879. 274 893 Sociedad: Literatura, Obras de don ]uan Manuel de Berriozábal, maqués de Casa Jara.897 Qualche riga della lunga recensione: In un secolo scettico e apatico, nel cui vortice vediamo con pena naufragare molti giovani… è di conforto, imbattersi con uno, giovanissimo d‟anni, di chiara rinomanza, ricco di beni, entusiasta per le belle lettere e i lunghi viaggi, che non si è lasciato contaminare dall‟aria attossicata della nostra età, e mantiene nei suoi scritti e nel suo cuore integra e salda la fede, tenerissima la pietà. Tale a noi appare l‟esimio scrittore don Juan Manuel de Berriozábal, marchese di Casa ]ara… Il signor di Berriozábal non disdegna la prosa o tradurre opere che pensa possano giovare alla religione, ma Berriozábal è poesia. È nato poeta, dalla prima infanzia compone poesie, scenderà nel sepolcro componendo versi. Nel 1839 ha dato alla luce alcune composizioni di Lamartine, già tradotte in età giovanissima, ed è stato tale il successo da essere tosto ristampate a Parigi ed in un‟altra località… Ne cita ampi stralci. Berriozábal non fu solo efficace traduttore, ma poeta epico e di romances e di coplas. Quando uscí questa recensione cosi lusinghiera, 7 settembre 1844, il Conforto dell‟anima divota del Frassinetti era uscito da pochi mesi e quindi non ancora tradotto e, forse, neppure ancora conosciuto. Il Berriozábal continuò a poetare mirando sempre all‟edificazione, a scrivere libri e a tradurne, quello del Frassinetti ne fu uno, ed ebbe presto una seconda edizione. Dagli altri titoli usciti dalla sua penna viene da pensarlo un contemplativo, devotissimo di Maria Vergine, innamorato della Sacra Scrittura, incantato dei bimbi, di sentimenti finissimi e animo delicato.898 Fermiamoci ancora in Spagna. Juan José Urráburu Un nome in fatto di studi. Gesuita basco nel 1878 fu chiamato alla Gregoriana da Leone XIII per attuare le direttive da lui date per il rinnovamento delle filosofia scolastica e vi insegnò per nove anni. Fu autore di un‟opera filosofica ponderosa in cui sottopose a revisione critica tutti gli indirizzi della filosofia scolastica. Accanto ai tanti volumoni l‟umile libretto del Frassinetti, Gesú Cristo regola del sacerdote. Lo legge, lo rilegge e se lo traduce:Jesucristo regla del sacerdote, benché ne fosse stata fatta una traduzione da appena due anni nella stessa Madrid da don Isidoro De Lope Moral. Ancora un nome e di ben piú chiara fama, sempre in Spagna, ma in lingua catalana, Mossèn Llorenç Riber, Mestre en Gay Saber Nella prima metà del Novecento fu uno dei poeti piú apprezzati dell‟area maiorchina. Di ispirazione classica e religiosa, canta lo spirito umile dei suoi isolani e le grandi figure della 897 JAIME BALMES, Obras comptelas, vol. 33, Barcellona, 1925-1927. È la celebre “Balmesiana”. .El Pensamiento de la Nación, periodico religioso, politico e letterario fondato e diretto dal Balmes, [7.2.184431.12.1846], fu l‟arbitro della politica cattolica di Spagna fino a condizionare gli stessi avversari. Pochissimi e sceltissimi i collaboratoti, uno il Berriozábal. La Sociedad [1.3.1843-7.9.l844], rivista religiosa, filosofica, politica e letteraria, ebbe nel Balmes il suo unico redattore. Il numero 23 portava da p. 504 la recensione delle opere del Berriozábal fatta dal Balmes sotto il titolo di Literatura. 898 Alcuni titoli che gettano luce sull‟autore. È un lettore amoroso della Sacra Scrittura, si incanta delle opere di Dio, di Nostro Signore e dei bimbi. Osservazioni sulle bellezze letterarie... poetiche e religiose della Sacra Bibbia, M (= Madrid) 1849, pp. 1216 in 3 vol.; Osservazioni sulle bellezze... dell’Antico Testamento, M 1864, 2 vol., ristampati nel 1865; Osservazioni sulle bellezze religiose... nella vita del nostro adorabile Salvatore, M 1866, pp. 432, ristampato s. d. in 3 vol; Amore alla Scrittura, per la Chiesa e per Maria Vergine; Storia della Chiesa dei primi secoli fino al trionfo della Madre di Dio nel concilio di Efeso, M 1867, 5 vol. Una raccolta di passi del Crisostomo. Pensieri sulla Provvidenza, M 1862, pp. 338. Poesie sacre, M 1851, pp. 338, ristampate aumentate nel 1863, Poesie religiose, M 1863, pp. 261, “Una bella edizione”, annota il Palau; Poesia alla Regina dei cieli, 1853, ristampato;... Conversazioni sui bimbi dell’Antico e Nuovo Testamento, M 1862… Titoli che ci dicono da che spirito fosse animato. 275 cristianesimo. A parte le composizioni originali, che qui non prendiamo in considerazione, ma che gli aprirono le porte della Regia Accademia di Spagna divenendone un suo membro, e gli studi su ricerche agiografiche – sei volumi –, nonché importanti lavori sull‟antichità classica, dalla sua penna uscirono “magnifícas traductiones” di classici latini: tutto Virgilio, tutto Orazio, tutto Seneca, e le Confessioni di Sant‟Agostino, non che da Tacito, Sallustio e Cicerone, con relative introduzioni. Fecero epoca i suoi articoli sul Diario de Barcelona, dove coniugava la perfectión de su personal estilo con el rigor de una erudición formidable. Nella prima parte della vita scrisse quasi esclusivamente in catalano, poi una serie de libros compuestos en el mejor castellano in cui nulla perse del suo refinadisimo estilo. Un clásico que supe vivir la hora actual. Del nostro Frassinetti tradusse un buon numero di titoli piú volte ristampati. Certo fanno un bel vedere suoi “librettucci” cosí disprezzati dal Gioberti, e di nessuna pretesa letteraria, accanto a testi greci di Platone ed Aristotele sulla scrivania della Chatterton, di cui diremo, e ai giganti della latinità su quella del Riber. Il primo a stupirsene sarebbe stato il Frassinetti stesso. Il Frassinetti nelle Isole Britanniche e Oltreoceano Già nel 1855, a soli tre anni dalla sua prima apparizione in Italia, vi troviamo tradotto Gesú Cristo regola del sacerdote. Lo tradusse James Laird Patterson, già pastore anglicano, poi sacerdote cattolico, presente con una certa frequenza nelle Letters and Diaries del Newman,899 amico personale del cardinal Wiseman, rettore del seminario dell‟archidiocesi di Westminster ed infine vescovo ausiliare del cardinal Manning nella stessa diocesi. Quand‟era rettore del seminario dovette pensare l‟opera del Frassinetti un ottimo aiuto per chi si accingeva a diventare sacerdote. Fece fortuna perché fu piú volte ristampato. Nel 1871 un oblato di San Carlo – religiosi fondati dal Manning quand‟era semplice prete – tradusse il Catechismo dogmatico con prefazione dello stesso Manning, non ancora cardinale, ma già arcivescovo di Westminster. Nel 1883 fu tradotto il Manuale del parroco novello da William Hutch, un canonico irlandese nato da famiglia cattolica. Un best-seller. Ad un anno e mezzo di distanza se ne ebbe una seconda edizione quando la prima già era esaurita da un pezzo, andata a ruba da una parte e l‟altra dell‟Atlantico. Il traduttore può scrivere compiaciuto: The first edition of this Translation was received with such marked favour on both sides of the Atlantic,900 that within a few months after its appearance I was urged by the publisher to prepare a second edition, e si scusa di aver dovuto rimandare la seconda edizione perché preso da altri impegni. L‟imprimatur e il reimprimatur sono del cardinal Manning. La traduzione suscitò polemiche e il traduttore difese le opinioni del Frassinetti su l‟Irish Ecclesiastical Record. Lo stesso Hutch tradurrà nel l887 Il Pater noster di Santa Teresa, un libro, afferma nella prefazione, che è qualche cosa di piú di quel che il titolo dichiari: “in realtà è un campendio di teologia ascetica e mistica”. Come il Patterson anche Hutch fu per anni rettore di seminario. L‟uno e l‟altro avevano trovato nel Frassinetti un grande maestro per i loro seminaristi e giovani sacerdoti. L‟economia del lavoro non ci permette di fermarci di piú su di loro, volendo indugiare su una gentile scrittrice accolta dal Newman nella Chiesa cattolica insieme al marito ed ad una nipote. Lady Georgiana Chatterton, 1806-1876.901 899 The Letters and Diaries of JOHN H NEWMAN, volumi I-XXXI. Il Patterson vi compare dal vol. XIV al XXXI. Ne ebbi una riprova negli Stati Uniti trovando una copia di questa prima edizione nella biblioteca del Seminario di Filadelfia. 901 Figlia unica del Rev. Lashelles Iremorgen, Prebendary di Winchester, e di Harriet, l‟ultima dei figli del vice governatore delle Bahamas, John Gambier, discendente di un ugonotto emigrato in Inghilterra dopo l‟editto di 276 900 Nel novembre del 1876 fu pubblicata postuma la sua traduzione del Conforto dell‟anima divota con l‟appendice Sul santo timor di Dio, che ha tutto il sapore di un tributo di riconoscenza per una grande grazia ricevuta, la pace del cuore, mentre i tentativi di altri erano falliti, uno il Newman, colui che l‟aveva ricevuta nella Chiesa cattolica insieme al marito ed ad una nipote. Fu il marito a curarne la pubblicazione e ad inviarne una copia al Newman con queste parole: The translation was the fruit of the Catholic conviction she attained in her last years. L‟opera del Frassinetti aveva contribuito a dare pace nella certezza di fede ad uno spirito tormentato dal dubbio. Questa la risposta del Newman: Oratorio, 21 genn. 1877: Mia cara signora Ferrers,902 mi voglia tanto ringraziare il signor Dering per il bel libro che mi ha inviato, santificato per di piú com‟è dalle circostanze in cui venne pubblicato. È una appropriata commemorazione della cara lady Chatterton e sono molto lieto d‟esserne in possesso… Questo libriccino deve essere stato per lui un‟occupazione di grande lenimento… Con i piú distinti ossequi per il signor Ferrers, molto cordialmente, suo John H. Newman.903 Per il Newman, la traduzione di questo little volume del Frassinetti, ultimo titolo delle 29 pubblicazioni in prosa e in versi della Chatterton, era il piú bel monumento con cui avesse potuto ricordare la Defunta.904 In una nota a pie‟ di pagina, apposta da Charles Stephen Dessain e Thomas Gornall, curatori del XXVIII volume delle Letters and Diaries del Newman, leggiamo: Era The Consolation of the Devout soul di Giuseppe Frassinetti, tradotto da Georgiana Chatterton, Londra 1876, e pubblicato postumo dal marito Edward Dering. Nella prefazione, datata novembre l876, il Dering spiega che la traduzione era il frutto della certezza di fede cattolica da lei raggiunta nei suoi ultimi anni. Con questa lettera si chiude la lunga corrispondenza che il Newman aveva avuto con la Chatterton, il marito Edward Dering e la nipote del primo marito Rebecca Dulcibella Orpen, rimasta attaccatissima alla zia d‟acquisto. Il 9 giugno 1863 il Newman aveva ricevuto due pubblicazioni della Chatterton: Selections from the Works of Plato, translated, London 1862; e Reflections on the History of the Kings of Judah, London 1848, insieme ad una sua lettera datata l‟8 in cui si leggeva: “Per l‟impressione che io ho avuto dai suoi scritti sono spinta a pensare che lei sarà lieto di aiutare una persona che sta provando quei dubbi in cui lei stesso si è imbattuto”.905 Povera Chatterton, i dubbi la tormenteranno ancora fin quasi alla vigilia della morte. A darle certezza e pace, a detta del marito, contribuí il libriccino del Frassinetti da lei tradotto. Benché da anglicana possedesse “una ferma fede circa le verità della rivelazione, le Nantes. Nei Gambier, e nelle famiglie imparentate, tra le quali i Pitt, non si contavano gli ammiragli e i grandi nomi, basti citarne uno, fratello di Harriet e zio di Geogiana: James Gambier (1756-1833), l‟eroe del Glorious First of June 1794 per aver rotto con la sua nave, la Defence, la linea della squadra francese nelle acque della Manica, indi lord de1l‟Ammiragliato durante le guerre napoleoniche, comandante in capo della flotta del Baltico… Nel 1824 Georgiana andò sposa al baronetto William Abraham Chatterton e ne conservò il nome anche quando, rimasta vedova, passò a seconde nozze con Edward H. Dering, essendosi ormai affermata con tal nome nel mondo delle lettere con i suoi poemi, romanzi e traduzioni. 902 Rebecca Dulcibella, figlia unica di Abraham Edward Orpen, era nipote del baronetto James Chatterton. Andò sposa a Marmion Edward Ferrers, discendente da una nobilissima famiglia che risaliva a Guglielmo il Conquistatore, la stessa dei Derby. 903 The Letters and Diaries of John H. NEWMAN, volume XXVIII, curato da CH. S. DESSAIN E TH. GORNALL, Oxford 1975, p. 162. 904 Una fotocopia dalla biblioteca del Newman nell‟Archivio Frassinetti. 905 Letters and Diaries ne riportano 73: 47 alla Chatterton, 18 al marito, 7 alla nipote, signora Ferrers. 277 controversie apparse su Essays and Reviews l‟avevano distolta dalla Chiesa d‟Inghilterra e le facevano vivamente desiderare che la chiesa visibile, che rappresenta la cristianità, fosse tale da rispondere nel modo piú attraente ai fini cui essa è destinata. Cosa che realizza la Chiesa romana per il maggior numero degli aspetti... Ma nella Chiesa romana, per la conoscenza che ne aveva fatto nel Belgio e in Italia, aveva notato cose di cattivo gusto ai suoi occhi. Nel Belgio il modo con cui erano adornate le statue della Vergine da parere delle bambole, a Roma, dove alcuni anni prima aveva trascorso due inverni, il modo in cui certi preti officiavano all‟altare. Il Newman non se ne meravigliò avendo anch‟egli provato le stesse difficoltà e le rispose che si può essere cattolici romani senza essere cattolici alla romana, potendo essere cattolici romani all‟inglese. Si può credere con ferma fede quanto c‟è da credere intorno alla Madonna ed amarla, senza sentirsi tenuto ad esprimere la propria devozione nelle forme degli italiani, forme che non piacciono alla Chatterton e non piacciono a lui. È l‟inizio di una corrispondenza che durerà dodici anni fino alla morte della Chatterton. Il 20 settembre 1865 il Newman con un‟unica cerimonia aveva ricevuto l‟abiura di tutta la famiglia, accettando nella Chiesa la Chatterton, una sua nipote ed il marito. Ma i dubbi della Chatterton non erano scomparsi, anche se in quei giorni dovette credere d‟averli superati, e ai quali il Newman dovette dare l‟ importanza che si usa dare agli scrupoli di un‟anima delicata e esageratamente timorosa. Chi ha presente il contenuto dell‟operetta del Frassinetti, Il conforto dell‟anima divota, e soprattutto l‟appendice Sul santo timor di Dio, già intuisce l‟importanza che questa lettura ebbe nel liberare il suo spirito. È questo, penso, il primo miracolo, ma nell‟ordine dello spirito, compiuto dal nostro Venerabile. Il Frassinetti tra gli armeni G. FRASSINETTI, Yisus Khristos Kanon Khahanayin, tradotto da YOVHANNES NAZLIAN, Venezia, Stamperia dei Padri Mechitaristi, in occasione del suo giubileo sacerdotale 1898-1923. Un libretto 216 pagine di cm. 8,5x12 trovato tra carte ammonticchiate destinate prima o dopo a finire nei rifiuti. I caratteri armeni della copertina fanno un bel vedere, ma leggerli... Il numero dei capitoli e la loro ripartizione, il succedersi delle lettere uguali nel nome dell‟autore – ss i tt i – facevano chiara spia che si trattava di uno dei piú fortunati scritti del Frassinetti: Gesú Cristo regola del sacerdote. Una visita al Pontificio Collegio Armeno e tutte le curiosità furono soddisfatte da Mons. Giuseppe Kaftangian. Se conosceva libro e traduttore! E che uomo il traduttore! Dominava l‟italiano in modo perfetto, e il greco ed il latino. Scriveva versi che si sarebbero detti di Virgilio. Aveva vissuto con lui a lungo nel Collegio Armeno dove era giunto giovinetto nel 1924 e dove in quegli anni si trovava anche Mons. Giovanni Nazlian, 906 il traduttore, uno scampato ai massacri di cristiani armeni perpetrati dai turchi durante la prima guerra mondiale. Un genocidio di cui nessuno parla: 600.000 i cristiani trucidati, un terzo della popolazione, un altro terzo deportato e solo un terzo riuscí a porsi in salvo. Di 250 sacerdoti del patriarcato cattolico 126 i massacrati, 5 i vescovi, altri due periranno in esilio per le conseguenze delle malversazioni, di un altro non si seppe piú nulla. 175 le suore fecero una ugual fine. Perché?, perché sterminare tutto un popolo per qualche migliaio di agitatori? Domanda a cui un ufficiale del sultano rispose: “Se sei punto da una pulce, forse che non le uccidi tutte?”. Neppure i bambini furono risparmiati. Talaat-bey, ministro degli interni, aveva dato ordine di uccidere anche loro perché, crescendo, potevano diventare rivoluzionari. Mons. Nazlian si trovava a Lourdes e non gli fu possibile tornare in patria per lo stato di guerra che contrapponeva la 906 278 Piú comunemente traslitterato Naslian, alla Francese, cosí anche in AAS. Turchia con Austria e Germania alle potenze dell‟Intesa. In quei tristissimi anni d‟agonia il libro del Frassinetti Gesú Cristo regola del sacerdote gli fu forza per essere sacerdote ad immagine di Cristo e lo tradusse in armeno per dar coraggio ai confratelli sopravvissuti al massacro, facendone loro dono in ricordo dei vescovi e sacerdoti che avevano testimoniato Gesú Cristo con il sangue, come attesta nella dedica firmata con tutti i suoi titoli: “Ordinario di Trebisonda, Vicario generale del patriarcato armeno cattolico, Visitatore apostolico”. Era nato il 28 gennaio 1875 e chiuse gli occhi arcivescovo titolare di Tarso tra la sua gente rifugiata nel Libano il 15 settembre 1957. Il capitolo si è fatto lungo per parlare delle molte e ripetute traduzioni in francese ed in tedesco, nonché in altre lingue. 907 Si è a conoscenza di traduzioni in una dozzina di lingue, le già citate ed in portoghese, polacco, ceco, slovacco, ruteno, vietnamita. La rumena merita una riga a parte perché in essa fu fatto tradurre da un vescovo ortodosso quando il Concilio Vaticano Secondo era di là da venire e di ecumenismo si parlava da pochi. Il 12 settembre 1928 l‟Archimandrita Chesarie Paunescu scriveva alla Tipografia Poliglotta Vaticana: Nel desiderio di porre nelle mani dei lettori rumeni l‟opuscolo di Frassinetti: Gesú Cristo regola del sacerdote vogliamo intraprendere la sua traduzione in rumeno. Preghiamo, dunque gli egregi signori editori accordarci il permesso di tradurre e stampare in rumeno questa traduzione. In aspettazione di una risposta favorevole, vogliano gradire i sensi della piú perfetta stima, con cui abbiamo l‟onore d‟essere della V. .S. Devotissimi ed obbligatissimi Chesarie Paunescu, archimandrita, Husi Dr. Petre Vintilescu, prof. Bucaresti La Tipografia Vaticana passò la richiesta al nostro Padre Generale che fu lieto di accordare l‟autorizzazione. Purtroppo, per quanto abbia cercato, non sono riuscito a rintracciare copia della versione. 907 Nella storia del Frassinetti ci siamo incontrati un paio di volte con Francisco Cabrera, di nobilissima famiglia spagnola, di quei, per capirci, che dopo avere scritto: duca, conte, marchese, per non farla troppo lunga sogliono aggiungere ai propri titoli ecc. ecc. ecc. Non ancora sacerdote s‟era potuto salvare con una fuga avventurosa dalla matanza de los frailes del 1835: Cordoba, Gibilterra, Malta, Roma, Genova dove fu colpito dai membri della Beato Leonardo e ne entrò a far parte. Nel 1843 aprí un convitto ecclesiastico con l‟aiuto del Frassinetti per una trentina di spagnoli che partecipavano a tutte le sedute dell‟Accademia. Nel triste marzo 1848 dovette pur lui darsi ad una fuga avventurosa. Ricompare gesuita il 19 aprile 1864 con una lettera al Frassinetti da León: “Dopo tanto tempo che nemmeno sappiamo l‟uno dell‟altro se viviamo…” e gli comunica che sta traducendo in spagnolo il suo Avviamento dei giovinetti nella divozione di Maria: “che spero diffonderlo in questo mese di Maggio”. Si noti: non chiede licenza di tradurre. Quante altre versioni si sono fatte di cui non ci è giunta notizia? 279 CAPITOLO XLIX VERGINE MARIA, MADRE DI GESÚ, FATECI SANTI Una invocazione dei primi Figli di Maria, religiosi al secolo, ripetuta per cinquanta volte all‟inizio delle loro adunanze quindicinali, corona in mano, intercalando un gloria ogni dieci invocazioni.908 Da loro passò nella Casa dei Figli di Maria dei giovani avviati al sacerdozio, detta a conclusione delle preghiere del mattino. Per anni e anni si sono sentiti due cori alternarsi, uno richiamava l‟ attenzione della Vergine perché ascoltasse i suoi figli che avevano da dirle qualche cosa che stava loro molto a cuore, come usano i bimbi con la mamma, l‟ altro coro formulava la richiesta, invertendo le parti ogni dieci invocazioni: “Vergine Maria, Madre di Gesú” / “Fateci santi!”, per fermarsi solo all‟ultimo granello della corona. Ogni dieci invocazioni il Gloria in onore della Santissima Trinità per sottolineare che si chiedeva santità per rallegrare il cuore di Dio. Poteva la Vergine essere sorda a richieste cosí sante e insistite dei suoi figli? Coroncina cara al Frassinetti. La prese dal “Cottolengo” dove all‟Angelus del mezzogiorno e della sera, malati e sani, vecchi e giovani, tutti i giorni bussavano per santità al cuore della Vergine ancor piú che per il pane del giorno. Il Frassinetti ne illustra il valore sostanzialissimo, perché si chiede a Dio ciò che egli vuole che gli si chieda: diventare santi,909 ed elimina il pregiudizio della troppa difficoltà e quasi impossibilità che vi sia a farsi santi, cioè a servire Iddio con perfezione nel proprio stato, il secolare da secolare, il religioso da religioso, il coniugato da coniugato. Abituandosi invece a domandare con replicatissime istanze la grazia di farsi santo, 908 909 280 Regola della pia Unione dei Figli di Maria Immacolata, § 8 1 Tess 4,3. ciascuno si troverà naturalmente persuaso che questa è grazia da potersi ottenere da tutti, come da tutti si può domandare. Una coroncina per far nascere il desiderio del paradiso. Il Frassinetti, dandola a recitare ai primi Figli di Maria religiosi al secolo, si fa forte di sant‟Agostino: “Signore, se non ascolti tale preghiera, quale preghiera ascolterai mai?”. Ottenuta tale grazia, con essa vengono tutte le altre,910 e conclude: “Chi meglio si adopererà per far sí che si domandi da molti la grazia di farsi santi, piú facilmente l‟otterrà per se stesso, non permettendo Dio che alcuno resti privo per sé di quel bene che procura agli altri”. Non è facile contare quanti, leggendo le sue opere, si sono innamorati della santità credendola possibile anche per loro. Bastino due nomi: la sorella santa Paola e santa Maria Mazzarello. Si può quindi ben concludere che la grazia di diventare santo certamente il Frassinetti l‟ottenne pure per se stesso, di santo in cielo, perché non credo abbia mai pensato di vedersi posto su altari qui in terra e gente inginocchiata a pregarlo. La glorificazione qui in terra non è un aumento di gloria per chi è lassú, ma un aiuto che la Chiesa offre a noi di quaggiú per invogliarci ad imitarlo, perché anche noi si ripeta con sant‟Agostino: “Se questi e quelle, perché non io?”, e giovarci del loro patrocinio. Ed anche, perché no?, da studenti chiedere di essere promossi e soccorsi nelle mille altre occorrenze in cui si sente di non farcela da soli. Per andare incontro a questo nostro santo desiderio, farci il cuore alle cose di lassú, ed avere una mano che ci aiuti quaggiú, fin dai tempi antichi la Chiesa ha favorito il culto dei santi. Di alcuni ci dà la garanzia che sono certamente lassú. Sono i santi canonizzati dopo un lungo processo. Il riconoscimento da parte della Chiesa Il processo di canonizzazione del Frassinetti si è concluso il 14 maggio 1991 con la dichiarazione dell‟eroicità delle sue virtú. Ora manca solo la conferma dall‟Alto, ossia un miracolo riconosciuto dalla Chiesa per essere dichiarato beato, ed uno per essere dichiarato santo e proposto alla venerazione di tutti i fedeli. Del Frassinetti ce ne sono già stati, ma non tali da presentarsi al rigoroso esame della Chiesa con buona speranza di superarlo. Qui cade a proposito un adattamento al caso nostro delle parole di Paolo ai Romani: “Come invocheranno uno in cui non hanno creduto? e come crederanno in uno che non hanno udito? E come udiranno senza predicatore”,911 parole che possiamo cosí ricalcare: “Come si può invocare grazia da un servo di Dio che non si conosce? E come può essere conosciuto se ne parlano pochi e poco?”. Siamo in molti a dover dire: Mea culpa, mea maxima culpa. Si sono già riportate le parole udite dalla bocca di Don Orione quando fu sconsacrata e venduta la chiesa di Santa Sabina: Sono pronto ad andare elemosinando in tutte le chiese per riscattare alla diocesi di Genova il sacro edificio. Il Servo di Dio sarà elevato agli onori degli altari e i genovesi non avranno la sua parrocchia e la sua canonica. È un po‟ loro colpa, se la sorella Paola lo ha preceduto nella gloria degli altari. La Positio La fonte precipua, a cui si attinge per narrare la vita di un santo, è la Positio, come viene chiamata la sintesi delle testimonianze giurate raccolte durante il processo di canonizzazione che il relatore della causa presenta ai teologi consultori perché le esaminino. Se l‟esame è favorevole, il cardinale ponente presenta il loro giudizio alla Commissione dei cardinali e vescovi per la dichiarazione dell‟eroicità delle virtú del Servo di Dio. Su di essa, se favorevole, si basa poi il Pontefice per dichiarare che il Servo di Dio praticò tutte le virtú in grado eroico. Tale dichiarazione gli conferisce il titolo di venerabile. 910 911 Lc 12,31. Rm 10,14. 281 La Positio è il risultato di mille inchieste ed esami durati spesso decenni; per il Frassinetti dal 1916 al 1990. Purtroppo, quando nel 1916 si aprí il processo di canonizzazione erano già trascorsi quarantotto anni dalla sua morte. Quale il perché di tanto ritardo? Uno, forse, la mancanza di fatti strepitosi che ancora si pensavano connaturali in un santo da altare. Rivelatrice la reazione del fratello don Giovanni Frassinetti quando seppe che le suore dorotee volevano introdurre la causa per la canonizzazione della sorella Paola. Nei pressi di Campetto, il cuore della vecchia Genova, in quel formicolare di gente a tutte le ore del giorno, aggredí ad alta voce ed in pretto genovese la madre generale delle dorotee: – A mæ sêu santa? A mæ sêu santa! –.912 Che la sorella fosse una santa suora nessun dubbio, e mai le aveva negato il suo aiuto con ripetuti viaggi a Roma, ma non riusciva a capacitarsi che potesse essere santa da altare. Mia sorella santa! Fu poi uno dei testimoni al processo di canonizzazione. Altra ragione sarebbe stata la grande povertà della Pia Opera dei Figli di Maria in quei suoi primi decenni di vita che non permetteva di affrontare le molte spese. Le testimonianze Un documento prezioso è il profilo che il Servo di Dio scrisse alla morte di don Luigi Sturla, amico piú che fraterno.913 Furono cosí legati tutta la vita che dire Frassinetti era dire Sturla e dire Sturla era dire Frassinetti, insieme additati all‟ infamia da Gioberti nel Gesuita moderno, fino ad equivalersi gli insulti sturlista! e frassinista!914 Parla dell‟amico di recente scomparso, ma quel che dice di lui, a parte la divisione dei compiti e la casuale separazione nell‟ora della persecuzione, si può considerare detto di se stesso. Quando nel 1916 fu aperto il Processo i testimoni de visu chiamati a deporre avevano conosciuto il Servo di Dio da giovani perciò in grado di riferire piú che altro dell‟edificazione che ne avevano ricevuto; i testimoni ex-auditu, riferirono il gran bene che ne avevano sentito dire dai vecchi che non cessavano di parlarne. Si poté addurre un‟altra testimonianza di grande valore: una breve vita tracciata da Domenico Fassiolo a undici anni dalla sua scomparsa.915 Il Fassiolo doveva al Frassinetti l‟aver potuto diventare sacerdote, essendo stato da lui accolto nella sua canonica, chierico in difficoltà, e, ancora chierico, ne aveva ricevuto l‟ ultimo respiro. Nel suo scritto si avverte il fascino che l‟umile Priore di un‟ umile parrocchia aveva esercitato su di lui negli anni di vita comune. Testimonianze edificanti quali può rendere il popolo semplice. Quei che del Servo di Dio avrebbero potuto dire il piú ed il meglio, e di che statura egli fosse stato, erano già tutti morti: l‟arcivescovo Magnasco, il cardinale Alimonda, don Pestarino, la Maccagno, i fratelli sacerdoti, 912 Un ricordo personale di quanto ci raccontava il padre generale Giacomo Bruzzone che da chierico aveva conosciuto Giovanni Frassinetti. Se ne trova conferma nella Positio Servæ Dei Paulæ Frassinetti, Animadversiones, p. 11. 913 G. FRASSINETTI, Memorie intorno alla vita del sac. Luigi Sturla, opera postuma, Genova 1871, pp. 95. 914 Per la voce “Sturlismo” vedi V. GIOBERTI, Il Gesuita moderno, vol. V, in Tavola e sommario il sottotitolo al cap. XIX e, nel testo, a p. 279; vol. VI, cap. XXIII p. 186, nell‟Edizione Nazionale delle Opere edite ed inedite, a cura di M. F. SCIACCA, Milano 1940-1942; per Frassinisti e Sturlisti vedi P. TACCHINI, Sopra i documenti inseriti nella “Notizia biografica volgarizzata di mons. Andrea Charvaz” – Nuove osservazioni al Revdo canonico Enrico Jorioz, Genova Tip. della Gioventú, 1872, p. 13; A. COLLETTI, Ausonio Franchi e i suoi tempi, Torino 1925, p. 40; per gesuitanti vedi G. FRASSINETTI, Memorie intorno…, citate, p. 54. Già il Gianelli, vescovo di Bobbio, il 4 ottobre 1842, scrivendo a don Giuseppe Botti, chiamava i congregati della Beato Leonardo “Frassinettisti”, A. GIANELLI, Lettere, Vol. III, 1978, p. 201. 915 D. FASSIOLO, Memorie storiche intorno alla vita del sac. Giuseppe Frassinetti, Priore a S. Sabina in Genova, Genova 1879, pp. 207. 282 la sorella santa, il tipografo Pietro Olivari, san Giovanni Bosco, santa Maria Mazzarello, il moralista Ballerini ed altre sante persone come don Francesco Montebruno, don Giacinto Bianchi e sant‟Agostino Roscelli, il beato Tommaso Reggio, le beate Rosa Gattorno ed Eugenia Ravasco, alcuni dei quali erano stati con lui cor unum et anima una, e tutti gli dovevano molto, alcuni moltissimo. Anche i soli nomi, alcuni dei quali già venerati come santi ed altri sulla via di esserlo, sono un‟alta commendatizia. Si aggiungano le lacune di documenti che nella Positio non furono presi nella dovuta considerazione. Innanzi tutto l‟apologia con cui il Frassinetti difese la Congregazione del Beato Leonardo da accuse e calunnie. Per quanto studiasse di non mettersi in risalto, pur rifacendone la storia col distacco dello storico, non poté non parlare di se stesso. A tale ragguaglio si debbono aggiungere le risposte di chiarimento inviate alla sorella ed al vescovo di Albenga nella triste circostanza di una condanna ad un corso d‟esercizi inflittagli dal suo vescovo con pubblicità da farne parlare perfino a Roma, persino dai giornali in Francia! L‟una e l‟altro gli avevano scritto allarmati. Nelle risposte racconta con distacco la penosa storia e le mortificazioni subite per un bene compiuto. Per il biografo sono una fortuna, come è una fortuna per tutti i cristiani l‟essere stato costretto l‟apostolo Paolo a difendere piú volte il suo operato. 916 Senza quelle difese ci sarebbero rimaste ignote le pagine piú belle della sua vita. Esiste infine una fonte non sfruttata come ci si sarebbe aspettato: le sue opere. A leggerle bene, prime fra tutte Gesú Cristo regola del sacerdote ed il Manuale del parroco novello, scritti avanti negli anni, sono la sua piú bella biografia. Se ne ha la riprova nelle litteræ postulatoriæ, le lettere cioè con cui si chiede di poter introdurre il processo apostolico. Uno dei nove teologi consultori mostra il suo stupore per il numero e, ancor piú, per il nome di chi scrisse tali lettere ed i motivi che ciascuno addusse. C‟era l‟episcopato italiano al gran completo, e non “con una semplice firma di sottoscrizione – afferma –, ma con chiaro giudizio personale, per ogni petizione, cosa davvero singolare”. 917 Quelle firme appartengono a 10 cardinali, 52 arcivescovi, 136 vescovi, dei quali alcuni saranno onorati della porpora; 24 superiori generali, tra cui il servo di Dio Paolo Manna; e poi il Gemelli; e 47 padri gesuiti della Gregoriana, tra i quali i padri Cappello e Vermeersch, che affermano di lui: Theologia morali optime meritus e poi anche 46 padri gesuiti dell‟Università di Lovanio con la firma ripetuta del Vermeersch: Questo santo sacerdote – attestano–, che illuminò con la sua virtú e con i suoi scritti il secolo scorso, ben può essere indicato come modello di ogni classe di persone: dei parroci per il suo zelo illuminato ed ardente; dei sacerdoti tutti per il suo ministero dolce e caritatevole, cosí fecondo di sante iniziative, e per il suo spirito di lavoro e di studio; delle anime che tendono alla perfezione evangelica per lo spirito di santità e di fervore infuso nelle sue molteplici istituzioni; delle anime che vivono tra i pericoli del mondo per la sua intemerata purezza ed il suo amore alla Santissima Eucaristia. Ma a noi, Figli di S. Ignazio, in modo particolare sta a cuore la glorificazione del Servo di Dio, per il triste retaggio di dolori e di persecuzioni che dovette subire dai nemici della Chiesa cattolica per la sola accusa di aver difeso la Chiesa cattolica e la Compagnia di Gesú. Ma piú ancora per la venerazione e l‟amore di cui circondarono la sua persona i Superiori e i Padri della nostra Compagnia.918 Tutta gente, questa, che lo aveva conosciuto dalle sue opere e vi aveva avvertito una perfetta rispondenza tra quel che scriveva e ciò che egli era. Il Frassinetti, di fatti, non fu un teorico della spiritualità, né studiò pagina per puro amore di cultura religiosa. Era troppo genovese puro 916 1 Cor 4,6-21; 9,1-27; 2 Cor capitoli 10-12; Gal 1,6-22. RV, Voto IX, Roma 1990, p. 68. 918 POS.D, Epist. Postul., p. 1-69. I passi citati a p. 66bis e a pp. 59-61. 917 283 sangue, per crogiolarsi di astrazioni e aggiungere teorie a teorie. Una teologia, la sua, applicata alle situazioni concrete delle anime, una teologia tutta ordinata alla santificazione propria ed altrui. Per linee semplicissime, e da lui vissuta. Relazione di un miracolo attribuito all’intercessione del ven. Giuseppe Frassinetti Notizie di grazie ricevute ce ne sono diverse, alcune già riportate da CARLO OLIVARI, Il Servo di Dio, Sac. Giuseppe Frassinetti, pp. 339-342, e da FELICE FALDI, Il Priore di S. Sabina, pp. 205-212. Qui aggiungiamo una relazione giuntaci da poco dal Cile: Io, Maria Cecilia Baier [RUT: 4-956-790-8], di nazionalità cilena, vedova con due figli, (una medichessa di 36 anni, l‟altro ingegnere di 35), domiciliata in Eloisa Díaz, 5913, Santiago de Chile, attesto quanto segue: Il 24 agosto 2001 fui operata nella clinica Indisa d‟un tumore interno sanguinante (isteroctomía totale). Fui operata dalla dottoressa Signora Margarita Busquet. L‟operazione, al dire di mia figlia medichessa, fu eccessivamente lunga e sanguinosa. Terminata l‟operazione, fui trasferita nel reparto intensivo della stessa clinica. Risvegliandomi dall‟anestesia ricordo bene le persone lí presenti. Dopo quella notte passarono mesi in cui fui in coma profondo. La gravità del mio stato fu prodotta da una perforazione durante l‟operazione e che interessò tre parti dell‟intestino grasso. Ne conseguí una setticemia per i rifiuti organici diffusisi nell‟interno del corpo. Tre giorni dopo l‟operazione, la mia famiglia decise di trasferirmi alla clinica Alemana, dove rimasi fino al 20 dicembre 2001. In questo periodo fui curata da molti medici, tra cui i dottori Mario Caracci, che mi sottopose a quattro operazioni, e i dottori Iván Caviedes, Ivo Tomicic, Claudio Canals, Cristian Barria, Patricia Apt, Luis Córdova e molti altri. Tutti costoro, insieme alla cartella clinica conservata nell‟UCI della clinica, possono testimoniare quanto io attesto. Durante tale periodo ebbi, oltre a due interruzioni di respirazione, una interruzione cardio-respiratoria che stava per causarmi la morte. Il Dr. Descalsi, presente in quel momento alle tre del mattino, mi applicò un rianimatore e in un attimo tutti i medici si interessarono della situazione. Per fortuna riuscirono a rianimarmi. Durante tutto il tempo che mi trovai in coma profondo, ebbi un unico sogno. Sognai tutto il tempo mio marito defunto che stava sull‟orlo di un grandissimo abisso, rotondo e profondo, a forma di imbuto. Di fronte v‟erano molte persone di ogni età che giravano intorno. Mio marito mi fece un cenno con gli occhi ed io feci un passo con paura. In quel momento sentii come un parlottare alle mie spalle d‟uno che s‟avanzava preso d‟angustia. Mi prese per la vita dicendo “Via di qui!”. Era vestito con una lunga sottana nera, nere le scarpe e con mani forti. Mi posò in un luogo solitario con foraggio secco. Non avevo nulla, camminai, corsi ed il sogno svaní. Nel gennaio del 2002, mentre mi andavo rimettendo, mi muovevo per la casa su una sedia a ruote. Entrai in una stanza e vidi una stampa di padre Giuseppe Frassinetti. Sentii un colpo al cuore e capii, vedendo il suo abito, che era stato lui, col favore di Dio, a salvarmi dalla morte. Domandai da dove fosse uscita quella stampa e mi dissero che il parroco della mia parrocchia (San Patricio, curata dai Figli di Maria), padre Giuseppe Cicconi, era venuto a visitarmi ed aveva posto l‟immagine sotto il cuscino. Mia madre la trovò il giorno dopo tra le lenzuola. Pregò il padre Frassinetti con fervore per tre giorni. Al terzo giorno aprii gli occhi ed ebbe inizio la guarigione. Oggi sono guarita e non ho parole per ringraziare questa santa persona che con la grazia di Dio mi salvo la vita. Cecilia Baier Soissa Santiago, gennaio 2003. 284 Un invito, questo, a chi ricevesse una qualche grazia per intercessione del Servo di Dio a volerla notificare al Postulatore della Causa: Via del Mascherone ,55 – 00186 Roma. Di diverse ci è giunta la notizia, ma si è invano atteso che ci si inviasse la documentazione. CAPITOLO L IL PRIORE NEL RICORDO DEI GENOVESI Aggiungiamo qualche testimonianza resa al processo di canonizzazione da gente che a distanza di tanti anni ne teneva vivo il ricordo. 1. Il can. Cesare Danese conobbe il Frassinetti da adolescente, frequentò le sue adunanze settimanali ed ebbe occasione di parlargli molte volte. Ricorda la grande stima che godeva come confessore e direttore di anime. Nel vestire non presentava nessuna ricercatezza. Quando, un dieci anni dalla morte, gli successe come parroco, ne sentiva dire ancora tanto bene, ma la vita parrocchiale non era piú come ai tempi del Frassinetti.919 Durante il suo parrocato diversi prelati e vescovi erano andati a visitare la chiesa e la canonica in omaggio alla memoria del Frassinetti parlandone con ammirazione. Il cardinale Schiaffino volle celebrarvi la Messa. 2. Il sacerdote Emmanuele Montaldo lo ha conosciuto solo di vista, ma letto le opere, specialmente il Parroco novello che ha pure diffuso per la praticità dei suoi insegnamenti. Ha udito persone che lo dicevano un novatore perché divulgava il sistema morale di S. Alfonso e la molta frequenza alla comunione in S. Sabina, ricevuta anche quotidianamente, in vivo contrasto con le dottrine dei rigoristi. Una teologia che però gli pare piú rispondente ai bisogni delle anime. Aveva partecipato a tornate accademiche sentendolo parlare De Censuris “come recitasse il Pater Noster”. Lo ricorda sacerdote dotto e pio. 3. Antonio Parodi, Can. Decano del Rimedio, da seminarista ne sentiva parlare da una sua zia superiora delle Figlie di Maria e da altri sacerdoti che lo dicevano di santa di vita. Aveva conosciuto anche i tre fratelli sacerdoti. Può affermare che “Il Frassinetti rappresentava il fulcro del movimento del clero, della vita religiosa delle varie Congregazioni… la Chiesa di S. Sabina era punto di convegno non dei soli parrocchiani, ma di tutte le anime buone, desiderose di perfezione… Quelli del clero e del laicato, che avevano avuto qualche consuetudine di vita col Frassinetti, quando glie ne parlavano, usavano termini che denotavano la loro ammirazione per lui, come uomo di Dio, zelante della sua gloria e della salvezza delle anime” Se nel seminario si cominciò a fare la comunione frequente e quotidiana si dovette a sacerdoti che avevano fatto proprio l‟insegnamento del Frassinetti. 919 Il primo successore, malandato in salute, non aveva potuto molto accudire alla parrocchia e quindi “la vita religiosa si era di molto assopita”. 285 4. Ecco come un aiuto farmacista racconta la sua chiamata al sacerdozio:920 Sentii parlare molte volte del Frassinetti nella farmacia Danese, dove io passai tredici anni come apprendista. Spesso si parlava del Frassinetti come di un uomo che lavorava nel campo del bene. Venni a conoscere il Frassinetti per strada. Fu lui stesso che mi avvicinò e mi chiese se lo conoscessi. Risposi di no. Mi domandò se avessi sentito mai parlare di un Frassinetti. Risposi di sí, ma che non lo conoscevo. – Sono io – soggiunse: e mi disse se volevo accompagnarlo a far parte della sua Congregazione. Risposi che i miei doveri mi vincolavano troppo e che non potevo perciò aderire al suo invito. Lo incontrai poi per istrada altre volte e mi si accompagnava e mi rinnovava l‟invito. Morto che fu il mio principale…cominciai a frequentare detta Congregazione… Rimasi in relazione tre o quattro anni, durante i quali di tanto in tanto mi recavo alle adunanze. Ricorda l‟opera dei Religiosi al secolo di cui fece parte e dei loro raduni a S. Sabina. Parla anche dell‟opera delle Figlie di Maria: Le giovani si radunavano lavorando ognuna secondo le proprie attitudini e insegnando il lavoro ad altre ragazze che raccoglievano intorno a sé, e che conducevano poi alla dottrina, alla pratica dei Sacramenti, all‟esercizio della vita cristiana… Anche la casa della Provvidenza credo che abbia avuto origine dallo zelo del Frassinetti perché la Virginia Avio, come la Teresa che si dedicò alla casa della Provvidenza, erano penitenti dal Frassinetti…[Credo] che di tutte queste opere l‟ispiratore e la mente direttrice fosse il Frassinetti. Conclude la deposizione ricordando l‟origine del Figli di Maria, di cui fu parte fino al sacerdozio prima che l‟Opera diventasse congregazione religiosa. 5. Vincenzo Stronello da giovane, prima di sposarsi, era stato Figlio di Maria dal 1864 al 1866. Aveva fatto parte anche della Congregazione di S. Raffaele, recandosi la domenica ad insegnare la dottrina ai ragazzi. La domenica il Frassinetti teneva conferenze spirituali ai Figli di Maria nella canonica di S. Sabina, ricordate come conversazioni familiari in cui ognuno poteva rivolgergli domande per avere schiarimenti. Vi si andava volentieri perché le conferenze erano di conforto e di edificazione. Lo ricorda come un uomo zelante della gloria di Dio, di carattere piuttosto riservato, pronto al sacrificio. Uno che avrebbe sacrificato la propria vita per la fede. Peccato che il processo di canonizzazione sia iniziato con tanto ritardo! 6. Giovanni Giuseppe Chiola, padre di famiglia, commerciante. L‟aveva conosciuto personalmente da adolescente. La sua famiglia non faceva cosa senza consigliarsi con il Priore. A lui ricorrevano non solo i suoi genitori, ma anche suoi parenti ed amici di famiglia stimandolo consigliere illuminato e prudente, specialmente quando c‟era da decidere la scelta di stato dei giovani, cosa in cui il Servo di Dio era stimato specialista. Per lungo tempo usò confessarsi dal fratello Raffaele, ma non mancava di avvicinare spesso il Priore per chiedergli se poteva sentire la confessione della sorella,921 ed il Priore gli chiedeva se andava a messa e se stava attento alle prediche. Le ricordava ancora: brevi e sostanziose, e viva l‟impressione che gli suscitavano. Piú ancora di quel che ha visto cogli occhi suoi e toccato con le sue mani, è ciò che di lui dicevano in casa, specie la sorella. Conoscevano la famiglia Frassinetti modesta di condizione. Di essa sapevano tanto, e dei figli, anche di quando erano ancora piccoli. Una famiglia di santi. Sa che Giuseppe era stato d‟esempio ai compagni – da ciò si può argomentare che il padre fosse stato un suo compagno –, sa che aveva cominciato i suoi studi con Padre Angelico, un francescano secolarizzato quando la Rivoluzione espropriò i conventi cacciandone i frati, noto predicatore, da lui stesso conosciuto ed avvicinato per chiedere qualche aiuto nei suoi studi. Ricorda che soleva.lamentarsi dello scarso profitto di certi scolari cosí diversi da ciò che era stato il Frassinetti. Da alcuni sacerdoti ha poi sentito che il Frassinetti era uno dei migliori alunni del seminario e che, quantunque d‟indole vivace, riusciva sempre a 920 Antonio Isola era stato presente alla morte del Priore ed aiutò a curarne il cadavere. Ci è pervenuto un suo racconto della composizione della salma e dei funerali. 921 Posso testificare che mia madre si lodava del Frassinetti come del migliore confessore che aveva trovato per mia sorella in sostituzione di Mons. Magnasco. 286 dominarsi, uno che fin da studente di teologia emergeva sugli altri per zelo della gloria di Dio e per l‟impegno che poneva nel prendersi cura dei giovani nell‟oratorio. Un certo Antonio Guano gli raccontava che il Frassinetti era il piú attivo, il piú capace e di tanta dolcezza e pazienza da apparire completamente mutato dal ragazzo vivace che era stato. Ha sentito piú e piú volte che il Frassinetti giovane sacerdote era stato capo e promotore delle Congregazioni di S. Dorotea e S. Raffaele e che in tali opere si distingueva per singolare zelo ed operosità. Sa anche che a Quinto, una parrocchia difficilissima a governarsi, dove egli da giovane andava a villeggiare, era ancora viva la sua memoria di quando vi era stato parroco e del suo zelo. Una sua donna di servizio di quel paese gli diceva di come il Frassinetti fosse generoso con i poveri da dare in elemosine quanto aveva e che durante l‟epidemia colerica aveva dimostrato un singolare spirito di carità e di coraggio ignorando il pericolo. Sa ancora che durante i torbidi del 1848 dovette vivere nascosto ma che durante tale assenza continuò ad occuparsene anche a rischio di scoprirsi e d‟essere rintracciato. La sorella gli disse che in casa si pregava per lui perché era dato per spacciato. Al ritorno i parrocchiani di S. Sabina avrebbero voluto accoglierlo con molta festa, ma temettero qualche rappresaglia. Era piuttosto breve nel predicare, assai parco nel gesto. Malgrado questo, egli aveva la dote d‟incatenare l‟attenzione dell‟uditorio, di modo che nessun rumore turbava mai il raccoglimento. Un predicare che aveva del nuovo e del diverso dai metodi di predicazione popolare fino allora seguiti. Toccava al vivo i difetti del popolo e della gioventú, come se vivesse continuamente tra loro. La chiesa era sempre piena. Di giovani saremo stati una ventina, attratti dalla chiarezza e naturalezza dell‟esposizione, e per i buoni sentimenti che essa produceva… Nelle sue prediche inculcava con lucidità mirabile la virtú della fede, dicendo che per essa si deve essere pronti a dare anche la vita. Pel cielo, soggiungeva, si dovrebbe sacrificar tutto… Dai discorsi che poi si sentivano dalla gente si capiva che le sue prediche producevano buoni frutti. Sa ancora che il Frassinetti si faceva piccolo coi piccoli, che era modesto e composto nel suo esteriore, tutto astratto dalle cose di questo mondo, che frequentava le carceri e vi prodigava la propria attività a favore dei carcerati. Ha sentito dire in famiglia, che all‟epoca abitava vicino alla parrocchia di S. Sabina, che il Frassinetti l‟aveva rinnovata, avendola trovata assai trasandata. Tanto è vero che i suoi non permettevano alle donne di servizio di frequentare le vie di quella parrocchia per la consueta spesa giornaliera. Ha udito da sacerdoti che i preti avrebbero dovuto far capo al Frassinetti per la dottrina e per come svolgere il ministero. Tra gli altri Monsignor Formica, vescovo di Cuneo e don Luigi Revelli, suoi congiunti, dicevano che per la formazione scientifica del giovane clero sarebbe stato necessario introdurre nei seminari la sua dottrina morale. C‟era chi però lo tacciava di novatore. Ad una sua sorella, giudicandola non adatta alla vita claustrale, consigliò di vivere in famiglia con tutte quelle pratiche e quelle cautele che possono convenire a una suora. Doveva quindi al Frassinetti l‟esser vissuta in famiglia fino alla morte in perfetta tranquillità di spirito. Un‟altra sorella, ancora viva, riconosceva d‟aver attinto singolare conforto dalle prediche del Frassinetti. Ci fu chi gli suscitò contro delle animosità e qualcuno persino l‟ingiuriò. Contrarietà anche da chi non capiva quel suo insistere su la comunione quotidiana, definita da taluni, anche del clero, un abuso. La fama di santità del Frassinetti era rimasta sempre viva nella sua famiglia e nel popolo. Lo argomenta dal fatto che appena si divulgò la notizia del processo di canonizzazione, si sentí dire che sarebbe stato assai meglio se la causa del Frassinetti si fosse svolta prima di quella della sorella Paola. Anche lui pensa lo stesso, anche perché si sarebbero potuto udire testi che conobbero intimamente il Servo di Dio, che ebbero modo di apprezzarlo e che avrebbero potuto deporre molto sulla sua vita, gente ormai defunta, una la sua sorella defunta. Mons. Gamberoni, Vescovo di Chiavari, in un colloquio gli manifestò essere sua persuasione che forse sarebbe stato meglio che la causa del Frassinetti si fosse trattata prima di quella di sua sorella Paola. Ricorda che cinque o sei anni addietro il Vescovo di Ventimiglia, parlò incidentalmente del Frassinetti ed espresse il desiderio che fosse elevato all‟onore degli altari. Gli fu chiesto a chi il Frassinetti aveva lasciato i suoi beni. Rispose di aver udito che aveva lasciato tutto all‟Istituzione dei Figli di Maria, ma che doveva trattarsi di ben poca cosa, perché il Frassinetti dava tutto in elemosina e la sua canonica era al di sotto di ogni piú povera canonica di campagna. 287 7. Don Agostino922 sui sedici anni, siamo nel 1860, sentí parlare con tanta stima del Frassinetti da compagni di scuola. Lo stesso anno glielo fece conoscere lo Sturla, suo confessore, e tutte le domeniche cominciò a frequentarne la canonica come membro della Congregazione dei Figli di Maria. Le adunanze vi si tenevano verso le dieci e mezza. Tra i frequentatori ricorda Pietro Olivari ed altri.923 Vi partecipava anche lo Sturla. Si leggeva, si pregava, poi il Frassinetti prendeva la parola. Discorsi quanto mai semplici. Ebbe con lui anche incontri privati e piú volte vi si confessò. Un agente di cambio gli disse che da ragazzo una sua zia lo conduceva a S. Sabina a sentire le prediche del Frassinetti.924 Nel 1862, entrato nel Seminario, non cessò di avvicinarlo e chiedergli di quei “suoi libretti che stampava in grande quantità e che distribuiva gratuitamente e volentieri a tutti”. Conobbe i fratelli e la sorella, soprattutto il parroco di Coronata: Uomo di santa vita, devotissimo della Madonna e zelantissimo del culto. Don Giovanni era di carattere un po‟ meno alla mano. Don Raffaele si dedicava in modo speciale ai fanciulli e scrisse qualche libricino che ebbi anch‟io. La sorella ebbi occasione di conoscerla a Roma. Sa molto delle Figlie di Maria monache in casa, “penitenti del Servo di Dio”. Sa dei Figli di Maria essendo in continua amicizia con parecchi di loro. Posso inoltre testificare che Don Rapallo, defunto prevosto di S. Siro, aveva convissuto col Frassinetti nella Canonica di S. Sabina, di dove si recava a scuola in Seminario, e credo vi abbia pure convissuto il Fassiolo che poi fu Arciprete di Arenzano. Ricordo che quando il Frassinetti ammalò, il Rapallo, allora alunno interno del Seminario, si mostrava tutto piangente deplorando di non poter uscire per assistere in qualche modo il morente. Dalle opere del Frassinetti s‟era formato il concetto che dirigesse le anime con criteri piú larghi che stretti. Ricorda d‟aver udito che in Seminario era criticato dal professore di morale perché nei giorni di magro tollerava l‟uso di molti operai di prendere brodo di trippa. “Voglio vederlo in Purgatorio, diceva”.925 Altre testimonianze pescate qua e là alla rinfusa: Il suo calamaio era una boccettina da pochi centesimi e per penna si valeva di una penna d‟oca. Il vestito molto dimesso e qualche volta stinto. Nelle scale della canonica ho visto diverse immagini della Madonna fattevi porre dal Servo di Dio che invitava a baciare… la canonica era di una grande semplicità. Povertà in tutto: semplici i libri, semplici i mobili, semplicissime le tende di cotone, roba da pochi soldi… sentivo dire che il vitto era quanto mai semplice e frugale. Dai discorsi che faceva in congregazione, mi pareva uomo prudente; umile nel tratto, schietto e mansueto. Sentii varie volte il Servo di Dio predicare. Ebbi la convinzione che vi si preparasse, ma non ho notato in lui nessuna qualità particolare atta a destare impressione nell‟uditorio. Essendo entrato una sera in Santa Sabina vi trovai molta gente e notai che dal pulito si leggeva la meditazione 922 Santo Agostino Lavagetto, arciprete di S. Quirico, Genova. Fa il nome di parecchi. 924 Anche il Lemoyne, lo storico di Don Bosco, ricordava da vecchio che la nonna lo portava fin da bambino ad udire quelle prediche. 925 Questo il testo incriminato: “Molti della povera gente costumano tra noi al venerdí sera di bere il brodo di trippa, o anche farne zuppa per la famiglia. Questo costume è riprovevole… quindi il confessore dovrà impegnarsi per quanto potrà, di impedire questo abuso. Tuttavia considerando che quel brodo, poco meno che stomachevole, non contiene se non pochissima sostanza di carne, non dovrà condannare tale bevanda o pasto di peccato mortale, né dovrà per questo negare o minacciare di negare l‟assoluzione qualora usassero tale bevanda o pasto per rimedio di riscaldamento, od anche per non sapere, massime d‟inverno, come rifocillare altrimenti lo stomaco della famigliola grama. Cita il parere del moralista Gousset per casi simili: “La Chiesa ha pietà dei poveri”. 288 923 Profittava d‟ogni minuto residuo di tempo per dedicarsi al bene delle anime… se usciva di casa era per qualche opera buona… Io, che fui sua penitente, ho constatato che era semplice e breve. Si ammalò il 27 dicembre del 1867, nel quale giorno s‟era recato alla tipografia degli Artigianelli per correggere non so quale lavoro tipografico. Lo colse il freddo e il male. Volle ciò nondimeno accudire alle consuete occupazioni del suo ministero, finché il giorno ultimo dell‟anno o il successivo, sfinito, dovette per forza mettersi a letto… godeva larga stima come confessore e direttore d‟anime… L‟impressione che si riportava nel sentirlo predicare era quella di un uomo di Dio. CAPITOLO LI CONGEDO Duole doversi distaccare da Uno con cui si è vissuto tanti anni insieme ripensandone i pensieri e la vita anche se consolati dalla speranza di andare fra non molto a far parte di quel suo circolo di amici che gli si è ricomposto lassú, felice dell‟ultimo posto. Prima di posare la penna ancora qualche sguardo senza troppo badare all‟ordine, e se si è già detto o non detto ancora, chiedendo scusa se il ritratto che di lui ho fatto è poco felice, come poco felice fu l‟unica fotografia a noi pervenuta di Uno che fu ritratto vivo di Cristo. Del Frassinetti si può ripetere ciò che Luca ci ha sintetizzato di Cristo: cœpit facere et docere,926 per aver anch‟egli vissuto quel che insegnava, meglio: per avere insegnato quel che viveva. I libri Gesú Cristo, regola del sacerdote e Manuale pratico del parroco novello non ci fanno rimpiangere il non esserci pervenuta una sua fotografia decente. In essi non si legge ciò che giovane sacerdote si proponesse di essere, ma ciò che egli fu, il suo vissuto, scritti come sono negli anni della maturità avanzata, come un voler esortare i sacerdoti a rimodellarsi sul modello su cui egli si era rimodellato, un dire: “Se io, perché non voi?”. O con l‟Apostolo: “Rimodellatevi su di me, come io mi sono rimodellato su Cristo”.927 Questa la genesi delle sue pubblicazioni, sí da potersi considerare brani di una sua autobiografia, cosa che mi fa pensare di non essere caduto nell‟ arbitrario se nel corso del lavoro mi sono tanto servito dei suoi scritti vedendovi translucere la sua vita. Le sue pagine sono la sua piú bella e chiara trascrizione. Un santo vissuto tra la gente Il Frassinetti non si fece santo in un romitorio. Se non fu del mondo, non visse un sol giorno fuori del suo mondo. Visse nel mondo anche per tutto il periodo degli studi, avendo frequentato il seminario solo come alunno esterno. Fu uomo socievole e fece corpo con quanti altri a Genova ebbero i suoi stessi ideali e con essi fu il lievito della “Beato Leonardo” in cui troviamo i nomi di quanti poi sarebbero stati il fiore del clero genovese. Attuò il segno dell‟eucaristia dei molti che si fanno uno in virtú di un unico pane.928 Sarebbe stato uno snaturare la sua storia se lo avessimo isolato per farne un solista, mentre è il piú bello strumento di un‟orchestra messa su principalmente da lui e da lui diretta. Ho parlato quindi del maestro e della sua orchestra. Una storia, almeno nelle intenzioni, a tutto campo. Sua e dei suoi amici nel loro tempo, un tempo a noi giunto travisato dai testi scolastici e dalla pubblicistica risorgimentale. Di qui la necessità di 926 At 1,1. 1, Cor 11,1. 928 1 Cor 10,17. 927 289 riscrivere quei tempi, almeno quanto basta per comprendere uno stile di vita cosí diverso da quello dei suoi coetanei, Mazzini, Campanella e Jacopo Ruffini, i due ultimi suoi compagni di scuola a filosofia. L’uomo delle amicizie Nei seminari non c‟era predica in cui non si mettessero in guardia i giovani dai pericoli delle amicizie particolari, ed ogni amicizia ingenerava il sospetto che fosse tale. Un tenersi lontani dal focolare per paura di scottarsi. Il Frassinetti ignorava l‟esperienza del collegio. Aveva quella della famiglia e dell‟amicizia contratta con i compagni di “Rettorica” alla scuola del Gianelli, un maestro che fu sentito amico dai suoi alunni, e lo restò per la vita. Il Frassinetti sarà l‟uomo delle amicizie, amicizie pensate come il miglior sostegno vicendevole per santificarsi e santificare, e lo fu da molto prima che si innamorasse delle opere di santa Teresa d‟Avila. Quando poi sulla cinquantina scrisse un trattatello di 32 paginette, Le amicizie spirituali, per porre in ombra se stesso o anche forse per salvarsi dalle critiche di chi la pensava in modo diverso e, ad un tempo, conferirgli maggiore autorità, aggiunse: Imitazione da S. Teresa di Gesú. Non scoprí le bellezze dell‟amicizia in età matura. Gli abbiamo visto accanto per l‟intera vita quanti gli furono compagni negli anni di “Rettorica” alla scuola d‟un Santo. C’è modo e modo di leggere la storia Leggere la storia con la mentalità dell‟oggi, anche quella religiosa, anche se è vera nei fatti, è un condannarsi a non comprenderla, come se, per esempio, ci si dimenticasse che le anime affidate a quei zelanti pastori erano in gran parte gente analfabeta ed in parte persone appena in grado di leggere e scrivere come può farlo chi ha frequentato solo qualche classe delle elementari. Basti questa considerazione per dedurne che il bene operato da un parroco di quei tempi non si può misurare dal numero delle bibbie diffuse a gente che non ci si sarebbe raccapezzata, né meravigliarsi del largo spazio dato alle pratiche di devozione per nutrirne la pietà. I libri a loro destinati dovevano essere tali da potersi comprendere dall‟analfabeta al sentirseli leggere da chi aveva fatto terza elementare e forse anche meno. Un nutrire di latte chi era privo di denti atti a masticare cibi duri, ma latte ricco di tutta la sostanza nutritiva dei cibi duri di cui si nutre l‟adulto.929 Questo spiega nel Frassinetti, a differenza del suo sant‟Alfonso, l‟ assenza del rinvio alle fonti da cui attingeva. Un pastore è grande non solo per ciò che fu, ma anche per ciò che seppe non essere Altrettanto errato sarebbe pretendere che nell‟Ottocento i pastori d‟anime guardassero i protestanti come “fratelli separati” invece che come lupi che venivano ad insidiare la fede del loro gregge. In realtà, piú che annunciatori della verità, erano individui, non pochi dei quali preti spretati, coalizzati con anticlericali e massoni, e non di rado essi stessi massoni, contro quanto sapesse di cattolico. Anche le cose buone, di cui si facevano latori, erano presentate in polemica con la Chiesa, a voler tacere la somma di calunnie e d‟infamie che lanciavano a piene mani contro la Chiesa cattolica ed il suo capo. Velare di silenzi la lotta di un Don Bosco o d‟un Frassinetti contro l‟invadenza dei protestanti, perché non in armonia con l‟odierno movimento ecumenico, sarebbe un adulterarne la figura. Peggio poi se, dicendo e non dicendo, si volessero scusare. Questi santi pastori lavorarono alla salvezza del popolo nel mezzo del quale essi vivevano. Non furono dei teorici da tavolino o dei cattedratici. Nessuna meraviglia, quindi, se si incontrano forme d‟apostolato che oggi non hanno piú senso, ma la mancanza di tali forme, oggi 929 290 1 Cor 3,2. morte, sarebbe per loro un grave capo d‟accusa: non aver conosciuto il loro gregge ed averne disatteso i reali bisogni. L‟apostolo Paolo nutriva di latte chi non era capace di masticare pane.930 D‟altra parte, nel Frassinetti non mancarono semi di iniziative che ebbero del profetico, ma il nostro Priore seppe non forzarne una crescita fuori stagione, lasciando che la Provvidenza li portasse a maturazione in questi nostri tempi. Se ne fu mai toccato, egli seppe resistere a tale tentazione. Cade a proposito una pagina del card. Newman: Quando ero anglicano, studiando la storia ecclesiastica, mi si concentrava l‟attenzione su come l‟errore, da cui poi si sarebbe sviluppata un‟eresia, era dovuto all‟aver insistito fuori tempo su un aspetto della verità non tenendo conto della proibizione dell‟autorità. Ogni cosa ha un suo tempo. Non sono pochi quelli che desiderano la riforma di un abuso, o lo sviluppo piú pieno di una dottrina, o l‟adozione d‟un suo personale piano, senza chiedersi se sia quello il momento giusto. Anzi, sapendo che nessuno si moverà in quella direzione nei suoi giorni, se non è lui stesso a muoversi, si rifiuta di dare ascolto alla voce dell‟autorità e manda in rovina nel suo secolo un buon lavoro perché non abbia a compirlo felicemente un altro nel secolo successivo. Un uomo siffatto potrà passare alla storia come un audace campione della verità ed un martire del libero pensiero, mentre è proprio una di quelle persone a cui l‟autorità competente dovrebbe imporre il silenzio anche se la materia non rientra nel campo dell‟infallibilità. Ciò non di meno un tale intervento, per aver tacitato un riformatore, passerà alla storia come un esempio di tirannica ingerenza nelle private opinioni… mentre, d‟altro canto, potrebbe venire in soccorso dell‟autorità un violento partito oltranzista che muta le opinioni in dogmi, avendo soprattutto a cuore l‟eliminazione d‟ogni corrente di opinione diversa dalla propria… Sono posizioni che si riscontrano sia nei tempi passati come nei presenti.931 Riflessioni che valgono anche per la pastorale. Il Frassinetti seppe innovare senza forzare o violentare. Gettò il seme, seppe aspettare il tempo necessario perché germogliasse e non gli importò se poi altri fossero venuti a mietere nel suo campo.Furono in tanti a mietere là dove il Frassinetti aveva seminato e s‟era rallegrato nel vedere il campo verdeggiare, come, ad esempio, la bella fioritura delle Figlie di S. Maria Immacolata di Mornese, con cui si anticipava di quasi un secolo le congregazioni laicali, divenute poi, morto il Frassinetti, Figlie di Maria Ausiliatrice, suore secondo tradizione. Mi sono ugualmente guardato dal presentarlo come un profeta dei tempi nuovi ed anticipatore del Concilio Vaticano II. Una tentazione a cui era facile cedere per le molte rispondenze tra la sua pastorale e le prescrizioni e direttive che ci sono state date dal Concilio. Preferisco sia il lettore a notarle, forse con sorpresa, se la sua conoscenza della religione fosse legata a certa pubblicistica che gli avesse dato a credere che il Concilio abbia segnato per la Chiesa l‟anno zero ed operato una conversione ad U rispetto al passato, stabilendo un prima e un dopo fino a rompere la continuità della storia. La pietra che fa da confine tra il prima e il dopo è Cristo, e solo Cristo, ed in Lui il prima si ordina al dopo.932 Rispondenze sí, clonazioni no 930 1 Cor 3,2. 931 J. E. NEWMAN, Apologia Pro Vita Sua, General Answer 932 A tanti sembra che, perché risplenda la luce dei tempi to Mr. Kingsley, in una mia traduzione. presenti, si debba mutare in tenebra il tempo passato. Eppure basterebbe entrare in una biblioteca e sostare un minuto innanzi ai 382 volumi del Migne, a non voler tener conto dei volumi del Supplementum, o leggere una sola questione della Summa, perché nasca il dubbio che i secoli in cui furono scritte tali opere dovettero essere tutt‟altro che tenebrosi! Non si getterebbe tra i rifiuti ciò che non si conosce. Il Frassinetti, per innovare nella tradizione, fu un cultore della storia ecclesiastica ed a tale studio esortò vivamente il clero. 291 C‟è un modo spiccio con cui si usa spesso compendiare la vita d‟un servo di Dio: rapportarlo ad un santo insigne ed etichettarlo “secondo” dopo di lui, senza precisare a quale distanza e con quanti altri condivida quel secondo posto. Il Frassinetti è conosciuto come il “Secondo Curato d‟Ars”. Il primo che affidò alla carta stampata ciò che a Genova era impressione comune, aver avuto un secondo Curato d‟Ars, fu il genovese Domenico Fassiolo: Io non voglio né sono da tanto da istituire paragoni, ma se è lecito esternare un mio sentimento, dirò che come la Francia in questi ultimi tempi si gloria del Servo di Dio, Giovanni Battista Vianney, Parroco d‟Ars… cosí l‟Italia può ancora gloriarsi del compianto Priore di S. Sabina. Ambedue zelantissimi della gloria di Dio e della salute delle anime, instancabili nell‟esercizio dei loro pastorali uffici, nulla mai mostrando di terreno nel loro conversare, nulla che non fosse conveniente al loro sacerdotale carattere. Se il primo edificò la Francia colle ammirabili opere dell‟eroismo e dei miracoli, il secondo edificò non meno l‟Italia e l‟estero col portento de‟ suoi scritti e colla grandezza della sua umiltà….933 Il raffronto fu ritenuto valido, ripreso dai biografi posteriori e riportato dalle enciclopedie ecclesiastiche italiane e straniere nel profilo del Servo di Dio. 934 Rimase cosí fissata in quell‟appellativo l‟immagine che del santo Priore si erano fatta i genovesi e quant‟altri erano passati per Santa Sabina rimanendone edificati. Era la vox populi. Questo l‟aspetto che piú aveva colpito i genovesi, mentre dalla molteplicità di quello che scrisse: dove si ha tanta copia di cose, – annotava lo Stendardo Cattolico, l‟otto gennaio 1868, una settimana dalla morte del Servo di Dio –, avrà supposto, chi non fosse Genovese, non aver atteso egli quasi mai ad altro che scrivere.935 No, non c‟è santo che non sia stato lavorato da Dio con genialità ed estrosità da risultare un unicum irripetibile. Ci possono essere rassomiglianze piú o meno accentuate, come si riscontrano tra fratelli, un marchio di fabbrica, fotocopie no. Il raffronto è valido solo se precisato, come del resto fa lo stesso Fassiolo nel passo sopra riportato, e farà, ad esempio, il tedesco Konrad Hoffmann: Mediante la predicazione, la catechesi, il confessionale ed associazioni religiose per le varie categorie, il Frassinetti rinnovò stupendamente la vita morale della sua parrocchia col fervore ed il successo d‟un Vianney.936 Un paragone che egli restringe al servizio parrocchiale. Nel resto della voce Hoffmann tratta dello scrittore e della fondazione delle Opere delle Figlie di Maria e dei Figli di Maria. Senza tali precisazioni 933 D. FASSIOLO, Op. cit., p. 9. J.-B. MIREBEAU, nella traduzione francese di Gesú Cristo regola del sacerdote, Jésus Christ, Règle du Prêtre, Paris 1885, nell‟Avant propos, scriveva ricalcando il Fassiolo: Il fut au delà des Alpes comme un autre Curé d‟Ars, et si la France a le droit de se glorifier du vénérable J. -B. Marie Vianney, l‟Italie peut aussi à juste titre se glorifier du regretté Prieur de Sainte-Sabine; ripreso da E. MANGENOT nel Dictionnaire de Théologie Catholique, vol. VI, Paris 1920, c. 769: …il merita d‟être comparé au Curé d‟Ars. Cosí pure S. ROMANI, Enciclopedia del cristianesimo, Roma 1947, p. 662: Meritatamente è chiamato il Curato d‟Ars italianp, ed il cardinal PIETRO PALAZZINI nell‟Encicl. Catt., vol. V c. 1703: All‟attività pastorale intensa, tanto da essere chiamato il Curato d‟Ars italiano, aggiunse quella di scrittore di ascetica pastorale e di teologo moralista. J. C. WILLKE nella New Catholic Encyclopedia, New York 1967, alla voce: His intensely active pastoral apostolate won for him the reputation of being the Italian Curé d‟Ars, (vol. VI p. 81). 935 Giuseppe Frassinetti, Priore di Santa Sabina. Estratto dallo “Stendardo Cattolico”, 8 Gennaio 1868, p. 9. 936 K. HOFFMANN in Lexikon für Theologie und kirche, IV, Freiburg im Breisgau 1937 c.138: Frassinetti frischte mit dem Eifer und Erfolg eines Vianney durch Predigten, Katechesen, Beichtstuhl u. mittels religiöser Standesvereine das sittl. Leben seiner Gemeide wunderbar auf… 292 934 l‟appellativo si fa deviante, perché porta a pensare il Frassinetti copia conforme del Curato d‟Ars. Pari zelo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, ma il Frassinetti fu uomo di molto studio e buona penna, il Curato d‟Ars no; il Frassinetti confessore benigno, il Curato d‟Ars tendeva al rigorismo; la vita del Frassinetti parca e povera, ma tale che ogni povero vi si può riconoscere; quella del santo Curato ripiena di penitenze spaventose; nel Frassinetti nulla fuori dell‟ordinario, e fu questo il suo straordinario, sicché tutti possono dire: – Se lui, perché non io? –, mentre nel Curato d‟Ars tutto fu fuori dell‟ordinario sí da potersi solo in lui ammirare la potenza di Dio. Distinzioni superflue se si riavvicina il Priore di Santa Sabina a sant‟Alfonso Maria de‟ Liguori. Lo notavano a due anni dalla morte le Letture Cattoliche di Genova a proposito del libretto Amiamo S. Giuseppe: “Esso è scritto in quello stile piano e facile che fa del Frassinetti un altro Liguori, come un altro Liguori può dirsi per la varietà degli scritti da esso lasciati”.937 Si noti il diverso riferimento: chi, come il Fassiolo, ha avanti agli occhi il parroco santo, visto all‟altare, o in ginocchio a pregare, o per interminabili ore in confessionale, o a catechizzare grandi e piccini e, se incontrato per strada, che andava ad assistere qualche infermo o tornava dall‟averlo assistito, va col pensiero al santo Curato d‟Ars; chi lo conosce dai suoi scritti, pensa a sant‟Alfonso Maria de‟ Liguori. Le rispondenze fra sant‟Alfonso Maria de‟ Liguori ed il venerabile Giuseppe Frassinetti sono tali e tante da poter porre le due figure in parallelo, cosa che si è abbozzata nel capitolo dove si è parlato dell‟impressione che le opere di sant‟Alfonso suscitarono sul giovane chierico fino a spingerlo a sceglierselo per maestro. Possiamo pensare il Frassinetti quale egli è stato, anche non si fosse incontrato con il Gianelli, cui è tanto debitore, ma non è piú possibile, io credo, se, giovane chierico, non si fosse fatto discepolo del napoletano meraviglioso938 come Eliseo di Elia. Somigliante a sant’Alfonso, ma non copia conforme Per affermarlo non si dovrebbe tener conto della irripetibilità d‟ogni figura di santo, né dei geni del luogo, che, nel caso, differenziano un genovese da un napoletano,, e dei tempi in cui i due vissero, l‟uno prima della Rivoluzione francese e l‟altro dopo, come dei cambiamenti di situazioni che nel frattempo si erano prodotti. Discepolo attento, ma non adoratore dell‟ipse dixit d‟un tanto maestro. Sapeva ripensarne l‟insegnamento, tornarci su e, dove gli pareva bene, non farsi scrupolo di discostarsene, come appare chiaro nelle dissertazioni e note apposte nel Compendio della Teologia morale di sant‟Alfonso. Anche Genova aveva qualcosa da dare a Napoli: senso pratico legato alla realtà quotidiana della vita. Due vite in una Del Frassinetti non basta narrare lo zelo con cui curò le anime a lui affidate, aggiungendo che riuscí anche a trovare tempo per scrivere libri, senza fermarsi ad esaminarne il contenuto, come se le due attività si fossero svolte in parallelo l‟una non interferendo con l‟altra. Un extra che poco aggiunge e nulla muta. Il Frassinetti, per l‟impostazione della sua attività sacerdotale, nella misura che gli permisero le sue forze e i doni da Dio ricevuti, lo troviamo sulla linea di quei santi che furono ad un tempo dottori e pastori, dottori perché pastori: sant‟ Ambrogio, sant‟Agostino e, giú giú, fino a sant‟Alfonso, il suo modello. Pastori e scrittori che avrebbero potuto apporre sui loro libri la scritta: Non vi dico cose che io non ho praticato e non continui a praticare, e, se con la grazia del Signore posso praticarle io, anche voi lo potete. Siate, dunque, miei imitatori, 937 938 Letture Cattoliche di Genova, anno 1870, p. 97. G. DE LUCA, Sant‟Alfonso uomo grande, “L‟Osservatore Romano della Domenica”, 4 giugno 1939. 293 com‟io di Cristo.939 I loro scritti sono la piú bella storia della loro vita vissuta e di come in essi si andò effettuando la metànoia che li rese immagini vive del Cristo. Metanoia, una felice espressione greca senza equivalente in latino o in italiano, se non la si vuole impoverire con conversione o, peggio, con penitenza. La metanoia è il cambiamento del modo di pensare e sentire le cose, un ripudiare i nostri pensieri ed i nostri sentimenti per trapiantarvi i pensieri ed i sentimenti di Cristo, un trapianto di divino lí dove tutto era terreno,940 facendo della nuova mentalità la nostra norma di vita fino a poter ripetere con l‟Apostolo: Non sono io invero che vivo, ma è Cristo che vive in me.941 Gli scritti di quei santi pastori, se letti cronologicamente, ci permettono di seguire questo processo di assimilazione del divino nella mente, nel cuore e nella vita, assimilazione che si fa zelo per le anime, bruciate come sono dal desiderio di partecipare ad altri quanto essi vanno ricevendo. Come loro il Frassinetti. Gesú Cristo, la regola del sacerdote. Non ci siamo quindi contentati di dire che il Frassinetti scrisse questo e quel libro, ma ne abbiamo scorso le pagine per conoscere il pensiero, la vita e la radice del suo zelo. Separare una cosa dall‟altra è come voler separare i fatti della vita di Cristo dal suo insegnamento, il fàcere dal docère.942 La vita di questi servi di Dio fu una vita “dabar”, la voce ebraica che significa ad un tempo parola e cosa, 943 parola che si è fatta cosa, cosa che manifesta e canta il recondito del proprio essere lodandone Iddio: “Grandi cose ha operato in me la potenza di Dio”.944 Liberale o reazionario il Frassinetti? Domanda d‟obbligo scrivendo di un genovese vissuto a Genova nel periodo ruggente del nostro Risorgimento. Domanda a cui si è risposto nel capitolo 46 ancora di fresca lettura. Sarebbe quindi grave errore guardare il Frassinetti, vissuto a Genova, focolaio di rivoluzionari, negli anni piú caldi del Risorgimento, con gli occhi del politico e dei media di quei tempi invece che con gli occhi del credente. Fu sacerdote, e solo sacerdote. Pensieri peregrini Se un giovane presentasse una tesi di laurea sostenendo che la vera causa di tanti mali e del franare di tante potenze sia l‟avere negato Dio – e non c‟è negazione piú radicale del non tenerlo in nessun conto, ignorarlo –,945 e vedesse in tanti avvenimenti un ripetersi in scala sociale economica e politica ciò che l‟apostolo Paolo afferma dell‟uomo che non si è preoccupato di acquistarne una vera conoscenza,946 non escludo un sorriso nel relatore, anche se cattolico praticante. Un lavoro, per essere lavoro scientifico, pare debba ignorare Dio, soprattutto un Dio attivo che si interessa delle cose nostre da protagonista e che, se permette per un certo tempo il trionfo del male, è solo un tollerarlo “per lasciar libere le creature, sapendo poi ricavare il bene anche dal male”. È pensabile che, per aver dichiarato la società la non esistenza di Dio o che, se 939 1 Cor 4,16; 11,1; 1 Ts 1,6. 1 Cor 15, 45-49. 941 Gal 2,20. 942 At 1,1. 943 Parola realtà, ciò che dice è. Per usare un termine scolastico, in “dabar” res et veritas convertuntur. Ci dice il fondo della cosa, rendendolo conoscibile chiaro e trasparente. La storia per gli ebrei era “debarîm, parole-fatti, rivelatrici del protagonista Dio sí da presentire anche il “di piú”, non percepibile dalla ragione, che preannunciava il Verbo che si fece Carne e ci diede il potere di conoscere l‟inconoscibile di Dio. Una via a tale conoscenza, che ci india, sono questi santi uomini “Parola di Dio”, d ebar JHWH, . 944 Lc 1,49. 945 L‟ateo che lo combatte ne afferma implicitamente l‟esistenza tenendone viva la memoria. 946 Rm 1, 18-32. 294 940 esiste, non se ne ha da tener conto, Dio abbia cessato di essere Dio e non operi piú da Dio? o abbia ristretto il suo dominio nei confini assegnatigli dall‟uomo, al privato di quei che si ostinano a credere ancora in lui? Dall‟Illuminismo in poi sembra che l‟umanità, specie nei pubblici ordinamenti, si muova in piena autonomia da Dio. Anche se tanti si professano cristiani, nei fatti paiono piú seguaci di Pelagio che di Cristo non ritenendo necessario l‟intervento divino nelle nostre cose persuasi che la natura dell‟uomo basta a se stessa. Basta da sola. Se Dio interviene con il suo aiuto, bene, ma non ce n‟era bisogno, smentendo il senza di me non potete far nulla.947 Non avvertono che “i loro ragionari sono vacui, avendo la stupidità ottenebrato la loro mente fino a far loro credere d‟essere sapienti, mentre non sono che poveri sciocchi”.948 Si precludono, difatti, la percezione della presenza di Dio nelle cose umane, anche puramente umane, cosa avvertita cinquecent‟anni prima di Cristo anche da Eschilo ripensando i fatti da lui vissuti. Nella sconfitta dei Persiani a Salamina vedeva la mano di un dio che veniva a ricordare all‟uomo ristupidito dalla hybris, ossia da quell‟esaltazione che lo porta ad ignorare i limiti dell‟uomo, che: “quando un uomo s‟affretta alla sua perdita, anche il dio l‟aiuta a rovinarsi”.949 Se tale luce dall‟alto è necessaria per la comprensione piena d‟ogni nostra storia, è condizione senza della quale nulla, ma proprio nulla, si può comprendere della vera storia d‟un santo in cui il grande protagonista è Dio. Con tali occhi lessero gli agiografi la storia d‟Israele, Agostino ripensò la storia universale nella Città di Dio e la propria storia nelle Confessioni. “Chi dicono gli uomini che sia il Figlio dell‟Uomo?… Ma voi cosa dite che io sia?…”.950 Gli occhi della ragione, che non percepiscono il “di piú” del Cristo, percepibile solo se vengono illuminati dalla fede, di lui possono dire solo che è un uomo grande. Per gli ebrei, la cui storia era tutta nella Bibbia, uno che poteva stare alla pari con Elia e gli altri grandi d‟Israele; per noi moderni, un maestro incantatore, uno charmeur, al dire di Renan. La vita del Frassinetti sta a dirci come Dio si riveli nei suoi santi trasformandoli in immagini vive del Figlio suo, e vuole convincere a farci santi dicendoci con la sua vita le parole dell‟Apostolo agli Efesini: Per questa ragione, piego le mie ginocchia davanti al Padre dal quale ogni famiglia in cielo e sulla terra si denomina, perché vi conceda, secondo i tesori della sua gloria, di irrobustirvi grandemente nell‟uomo interiore grazie al suo spirito, di ospitare il Cristo nei vostri cuori per mezzo della fede, affinché, radicati e fondati nell‟amore, riusciate ad afferrare, insieme a tutti i santi, la larghezza, la lunghezza, l‟altezza e la profondità, cioè a conoscere l‟amore del Cristo che trascende ogni conoscenza, e cosí vi riempiate della totale pienezza di Dio. A colui che, per la forza che opera in noi, ha potere di fare molto di piú di quanto chiediamo o immaginiamo, a lui la gloria nella chiesa e in Cristo Gesú per tutte le generazioni e per sempre. Amen.951 Nei miei limiti ho cercato di mettere in risalto la presenza di Dio nell‟opera di Giuseppe Frassinetti, presenza da protagonista, che, pur nulla togliendo alle libere scelte dell‟uomo, se trova rispondenza, lo dirige secondo i suoi piani. Ho provato a narrarla sulla falsariga indicataci 947 Gv 15,5; Lc 11,23. Rm 1,23. 949 ESCHILO, I Persiani, 742. G. PERROTTA, I tragici greci, Messina-Firenze 1971, p. 24. 950 Mt 16,13-17. 951 Paolo agli Efesini, 3,14-21. 948 295 dalla Vergine nel Magnificat: Grandi cose il braccio del Signore riuscí a compiere servendosi del suo servo Giuseppe Frassinetti. Non so se, ed in che misura, ci sia riuscito. Giudichi i lettore. INDICE DEI NOMI PROPRI952 A 952 Non vengono inclusi, oltre al nome del ven. Giuseppe Frassinetti, ricorrente in quasi tutte le pagine, i nomi degli dei e delle dee che si incontrano nei suoi lavori scolastici da noi citati, e gran parte dei nomi del Nuovo testamento. Si rinvia al nome proprio anche quando nel testo al suo posto viene usato quello comune, come “la sorella”, invece che “Paola”, “il padre”, “l‟arcivescovo”… Gli antichi perdonavano ad Omero l‟aver ceduto di tanto in tanto al sonno, voglia il benigno Lettore usare anche lui un po‟ di indulgenza con me se a volte – credo poche – gli capiterà di cercare Agostino, il Santo, e trovare Agostino Pareto, o altre omonimie, per aver io dormicchiato nel compilare la lista dei nomi su cui il computer facesse le sue ricerche non avvertendo che in quel capitolo non c‟era solo il Santo di nome “Agostino”, né in altri un solo “Campanella” o un solo “Bottaro”. Il computer è il modello perfetto dell‟ubbidienza cieca, pronta e precisa, un fulmine!, ma si guarda dal discuterla. Peccato il Loyola non ne conoscesse l‟esistenza per servirne come esempio al posto del suo como cuerpo muerto che, oltre tutto, mi diceva una suora infermiera, anche se non dice nulla, è tutt‟altro che facile riuscire a spostare. 296 Abba, G. C.; 96 Acton, F. E. J.; 104 Adeodato; 49 Agostino, Sant‟; 14; 49; 50; 52; 73; 112; 116; 117; 118; 119; 121; 126; 127; 133; 138; 282; 307; 334; 335; 353; 355 Airenti, G. V.; 157 Alberione Giac, Beato; 182 Albino, T.; 217 Alessandro Magno; 14 Alfieri, V.; 106 Alfonso de‟ Liguori, Sant‟; 57; 67; 70; 71; 79; 87; 113; 122; 123; 134; 141; 142; 144; 147; 149; 159; 175; 177; 178; 197; 208; 216; 223; 233; 235; 281; 302; 305; 306; 321; 349; 352; 353 Alfonso, de‟ Liguori, Sant‟; 118 Alimonda, G.; 202; 289; 290; 304; 309; 337 Ambrogio, Sant‟; 49; 119; 242; 353 Andreucci, G.; 219 Angela Merici, Santa; 235; 236; 245 Angelico, Padre; 39; 40; 42; 343 Antoine, P.-G.; 122; 123; 145 Antonio Gianelli, Sant‟; 24; 28; 42; 45; 46; 47; 48; 73; 74; 75; 76; 78; 79; 83; 90; 98; 103; 114; 116; 124; 140; 142; 168; 173; 177; 178; 179; 208; 272; 275; 303; 324; 348; 352 Arecco, B.; 258; 322 Ariosto, L.; 76 Arnauld, A.; 135 Arnauld, C.; 135 Arnauld, Madre Angelica; 135 Arnoldo, Sant‟; 118 Assarotti, GB.; 187; 264 Atanasio, Sant‟; 118; 282 Atenagora; 129 Atti 9,27-30:28.31; 285 Aubert, R.; 130 Audisio, G.; 97 Avio, V.; 249; 342 Azara, J. N.; 9 Bacone, F.; 112 Baier Soissa, C.; 339 Ballerini, A.; 303; 311; 312; 317; 326; 337 Balmes, J; 327 Balsamo-Crivelli, G.; 97 Bañez, D.; 50 Barabino, N.; 46; 75; 219 Barolo, G.; 243 Bartoli, D.; 226 Basilio, San; 239; 282 Bassani, A. I.; 220 Bassino, M. B.; 276 Bautain, L.; 101 Bayle, P.; 112 Belgioioso, C.; 280 Benettelli, GB.; 218 Bentinck, W.; 22 Benza, G.; 99 Berchet, G.; 107 Berkeley, G.; 149 Bernardino, San; 118 Bernardo, San; 22; 160 Berriozábal, J. M. de; 327; 328 Berthier, L.-Al.; 11 Bertolotto, P.; 17 Bertora, G.; 78 Biale, L.; 179 Biale, R.; 191; 295; 305; 337 Bianchi, G.; 245; 323; 326; 337 Bixio, N.; 104 Boccaccio; 106 297 Boccalandro, P.; 214; 218; 323 Boetto, P.; 308 Bolasco, G.; 122 Bonaventura, San; 133; 307 Bonavino, C. vedi Franchi, A.; 74 Boraggini, GB.; 261 Borghi, L.; 274 Borgia, S.; 11 Bosco, M.; 243 Boselli, L.; 187; 263; 264; 290 Bossuet, J. B.; 112 Botta, C.; 16; 19; 94; 110; 282 Bottaro, B.; 291 Bottaro, L.; 206 Bottino, G.; 257 Bourdon; 122 Bouyer, L.; 130 Bozzano, G.; 213 Braschi, G. A., vedi Pio VI; 11 Bresciani, A.; 104; 209; 214; 218; 277; 289 Brofferio, A.; 273 Bruno, G.; 97 Byron, G.; 107; 110 Cabella, C.; 79 Cabrera, F. L.; 91; 179; 277 Cagliero, G.; 232 Cagliostro, (G. Balsamo); 11 Calleri, F.; 92 Calliari, P.; 123 Cambiaso, M; 19 Campanella, G.; 302 Campanella, A.; 302 Campanella, F.; 7; 77; 78; 103; 348 Campanella, G.; 77; 289; 292 Campi, G.; 236 Cantú, C.; 268; 279 Cappello, F. M.; 338 Cappuyns, M.; 130 Capurro, G.; 5; 6; 42; 77; 146; 231; 299; 327 Caravita, D.; 148 Caravita, N.; 148 Carbonara, L.; 18 Carducci, G.; 8; 86; 106 Carlo Alberto; 279; 285; 290 Carlo Felice; 32; 78; 82 Cartesio, (R. Descartes); 112; 129 Casamassa, A.; 49; 129 Catone; 282 Cattaneo, GB.; 28; 43; 46; 77; 78; 90; 93; 114; 124; 168; 174; 178; 179; 208; 213; 219; 226; 228; 263; 264; 271; 277; 289; 290; 292; 293 Cavour, C.; 95 Cavour, C. B. di; 269 Cayré, F.; 130 Cechov, A.; 106 Celesia, E.; 99 Ceria, E.; 242 Cerisola, A. M.; 30 Cervone; 10 Cesare; 189; 287 CHARRY, J. de; 223 Charvaz, A.; 43; 191; 259; 295; 297; 299; 300; 301 Chateaubriand, F.-R. de; 25; 105; 107; 108; 109; 110; 127 Chatterton, G.; 52 Chatterton, W. A.; 330 Chiabrera, G.; 88; 107 298 Chiola, C.; 342 Choiseul, E. F.; 149 Ciccarone, S.; 95 Cicerone; 75; 106; 112 Cichero, L.; 290 Cima, A.; 312; 316 Cipriano, S.; 127 Claudel, P.; 12 Clemente XIV; 153; 274; 281 Cochin, A.; 150 CODIGNOLA, A.; 77; 78; 83; 99 Colletti, A.; 79; 91; 92; 98; 122; 275; 277 Condillac, É. B.; 112 Copernico, N.; 112; 114 Cordone, R.; 54; 232; 236; 253 Cornelio Nepote; 112 Cortes, GB.; 325 Cortese, D.; 187 Corvetto, L. E.; 18 Cosso, L.; 221 Costa, F.; 219; 222; 252 Cottolengo, F.; 297 Croce, B.; 106 Cuneo, G.; 18 Cuoco, V.; 124; 222; 268 Curato d‟Ars; 350 Curci, C. M.; 270; 271; 272; 273; 280 D‟Annunzio, G.; 106 D‟Azeglio, M.; 104 Da Vinci, L.; 142 Daffra, A.; 344 Damaso, San; 119 Damen, C.; 308 Danero, M.; 70; 216; 217; 218 Danese, C.; 341 Dante; 75; 95; 112; 130; 149; 242 De Albertis, GB.; 264 De Amicis, E.; 96 De Boni, F.; 79 De Bono, F.; 291 De Filippi, A. M. abate; 32 De Gregori, Gerol.; 122 De Gregori, Giac.; 41; 79; 98 De Gregori, S.; 122 De Gregori, St.; 92 De la Roda, M.; 149 De Lope Moral, I.; 328 De Luca, A.; 327 De Luca, G.; 72; 102; 142; 148; 150; 352 De Oleza, J.; 91 De Sanctis, F.; 108; 110; 289 Decotto, M.; 115; 122; 123 Degola, E.; 17; 41; 92; 122; 123; 143; 264 Del Noce, A.; 271 Demofilo, vedi Gioberti; 271 Dering, E. H.; 330; 331 Des Geneys, G. A.; 83 Descalzi, L. A.; 264 Dettori, G. M.; 123 Di Simone, F.; 219 Dickens, Ch.; 104 Didimo il Cieco; 119; 242 Donadoni, E.; 106 Dulcibella Orpen, R.; 331 Durazzo, G.; 19; 264 299 Efrén de la M. de Dios; 84 Enrico IV di Borbone; 26 Erodoto; 137 Eschilo; 355 Eufrasia Pelletier, Sant‟; 27 Eugenia Ravasco, Beata; 29; 337 Eugenia, P.; 200 Eustochio, Santa; 119 Falasca, M.; 48; 52; 91; 147; 232 Fassiolo, D.; 39; 69; 78; 106; 110; 111; 125; 159; 322; 323; 337; 345; 350 Fénélon, F.; 112 Ferdinando IV, re di Napoli; 11; 96 Ferrabino, A.; 287 Ferrari, G.; 277; 290; 291 Ferrers, M. E.; 330 Ferretti, N.; 258 Festo; 68 Filippo Neri, San; 210 Fiocchi, A. M.; 240; 299 Flora, F.; 106 Florino; 74 Fontanelle, B.; 112 Forcellini, E.; 74 Formica, A.; 344 Fornari, B.; 177 Fortuna; 248 Foscolo, U.; 17; 99; 106; 124 Francesco di Sales, San; 133; 169; 177 Francesco Faà di Bruno, Beato; 243 Francesco, San; 25 Francesia, GB.; 237 Franchi, A.; 144; 272; 275; 278; 294 Frassineto, Giac.; 6 Frassineto, Sagino de; 6 Frassinetti Viale, A.; 3; 6; 30 Frassinetti, Angela; 31 Frassinetti, Angelica; 30 Frassinetti, Anna; 30; 45; 55; 158 Frassinetti, Bartolomeo; 31; 67 Frassinetti, Camillo; 30; 67 Frassinetti, Francesca; 30 Frassinetti, Francesco; 31; 33; 35; 157; 205 Frassinetti, Francesco, padre del Ven., vedi Frassinetti, GB; 5 Frassinetti, G.; 28 Frassinetti, GB.; 30; 33; 39; 205; 214; 217 Frassinetti, Giovanni; 31; 33; 34; 35; 36; 47; 51; 60; 156; 179; 190; 260; 336 Frassinetti, Gius., nonno paterno; 6 Frassinetti, Raffaele; 28; 31; 33; 35; 43; 47; 64; 65; 190; 195; 257; 260; 343 Frassinetti, Santa Paola; 28; 30; 31; 32; 33; 34; 35; 36; 44; 45; 50; 55; 56; 69; 70; 146; 155; 158; 168; 204; 205; 206; 208; 209; 211; 212; 213; 215; 217; 218; 219; 222; 225; 244; 253; 336; 337; 344 Frassinetto, Fra Cr.; 6 Frugoni, C. I.; 74; 107; 126 Gabriele dell‟Addolorata, San; 104 Galiani, F.; 74; 148 Galileo, G.; 112 Gamberoni, G.; 344 Gambier, H.; 330 Gambier, J.; 330 Garelli, B.; 177; 180 Garibaldi, G.; 95 Garnerin; 4 Garofalo, S.; 28 Gaspare del Bufalo, San; 28 Gastaldo, M. L.; 253 Gaudé, L.; 57 300 Gentile, D.; 41 Gentile, F.; 298 Gentile, G.; 97 Gentile, Giac. Fil.; 255 Gerdil, H.-S.; 11 Gesino, M.; 261 Giacinto, B.; 325 Gianelli, L.; 221 Giansenio, C.; 143; 320 Gibelli, C.; 292; 293 Gioberti, V.; 24; 71; 96; 97; 105; 153; 269; 270; 271; 272; 274; 278; 281; 290; 310; 325; 329 Giovanelli, A.; 265 Giovanni Bosco, San; 28; 48; 97; 110; 123; 169; 170; 172; 177; 180; 181; 182; 184; 191; 196; 205; 227; 232; 233; 234; 236; 237; 238; 239; 241; 242; 243; 244; 245; 246; 247; 251; 253; 254; 270; 276; 279; 284; 300; 326; 337; 349 Giovanni Crisostomo, San; 68; 75; 87; 307 Giovanni della Croce, San; 41; 293 Giovanni Evangelista; 49 Giovanni Vianney, San; 27; 105; 189; 350 Giovenale; 82; 112 Girolamo, San; 49; 85; 119; 126; 127; 138; 139; 242 Giuseppe Cafasso, San; 169; 177; 181 Giuseppe Cottolengo, San; 28 Giuseppe Flavio; 112 Giustiniani, P.; 200 Giustino; 73 Gladstone, W. E.; 104 Goethe, J. W. von; 107 Gousset, Th.; 306; 345 Granelli, G.; 113 Grasso, G.; 324 Gregorio MagnoSan; 238 Gregorio Taumaturgo, San; 320 Gregorio XVI; 265; 271 Guala, L.; 24; 123; 169; 177; 178; 179 Gualco, D.; 77 Guano, A.; 343 Guerra, A.; 40 Guglielmino, E.; 41 Gury, J.; 306 Haller; 10 Helvetius, Cl.-A.; 149 Henrion, M. R. A.; 10 Hobbes, Th.; 113; 149 Hoffmann, K.; 351 Hugo, V.; 110 Hutch, W.; 329 Ignazio di Antiochia, San; 129 Ignazio di Loyola, San; 198 Ignazio di Loyola, Sant‟; 70; 223; 252; 281 Ignazio, Sant‟; 159 Iremorgen, L.; 330 Ireneo; 74 Isola, A.; 257; 260; 342 Jorioz, E.; 43 Kafka, F.; 106 Kaftangian, G.; 332 Kant, E.; 107; 113; 150 Koch; 130 La Marmora, A.; 294 Lachelier, J.; 150 Lamartine, A.; 107; 110; 270; 328 Lambruschini, L.; 76; 90; 173 Lamennais, F. de; 101; 105; 107; 110; 111 Lanteri, P. B.; 24 Lattanzio; 112 301 Lavagetto, S. A.; 345 Leibniz, G. W.; 112; 149 Lemoyne, GB.; 48; 110; 178; 181; 191; 228; 232; 233; 235; 237; 241; 242; 243; 276; 345 Léonard, A.; 223 Leone XIII; 283 Leonida; 86 Leopardi, G.; 82; 83; 107; 110 Lequien, M.; 130 Litterio, D.; 96 Locke, J.; 112; 149 Lorca; 106 Lucchetti,; 308 Lucia Venerini, Santa; 219 Lucrezio; 112 Luigi Filippo; 269 Luigi Gonzaga, San; 85 Luigi Orione, San; 189; 195; 324; 335 Luigi XVI; 10 Lupi, L.; 18 Lutero; 23; 108; 143 Luxardo, F.; 60; 75; 122 Luzio, A.; 109 Maccagno, A.; 225; 228; 229; 230; 234; 243; 245; 249; 253; 321; 325; 337 Maccono, F.; 226; 227 Machiavelli, N.; 108 Macpherson, J.; 99 Maddalena Sofia Barat, Santa; 27 Magnasco, S.; 42; 175; 208; 260; 295; 300; 301; 304; 337; 343 Maineri, F.; 291 Maistre, J. de; 107; 109; 110; 111 Malebranche, N. de; 112 Manera; 280; 283 Mangenot, E.; 351 Mann, Th.; 106 Manna, P.; 338 Manning, E. E.; 51; 238; 329 Mantero, GB:; 261 Manzoni, A.; 57; 106; 108; 152 Marcellino Champagnat, Beato; 27 Marconi; 36 Margotti, G.; 202 Mari, A. de; 179 Maria Luigia; 20 Maria Maddalena de‟ Pazzi, Santa; 70; 292 Maria Mazzarello, Santa; 28; 224; 227; 232; 234; 235; 241; 242; 243; 244; 246; 251; 253; 334; 337 Maritain, J.; 106 Marziale; 112 Masnata, , Mons.; 190 Massa, G.; 122 Massaia, G.; 288 Massari, G.; 276; 283 Massena, A.; 16 Massí, V.; 179 Masyn, M.; 211 Mazzarello, M.; 231 Mazzarello, P.; 231 Mazzarello, R.; 252 Mazzini Drago, M.; 16; 109 Mazzini, A.; 78; 98; 104 Mazzini, Fr (Cicchina); 104 Mazzini, G.; 3; 13; 24; 29; 40; 78; 79; 83; 94; 95; 96; 98; 102; 103; 104; 106; 110; 111; 143; 150; 269; 271; 276; 348 Mazzini, Giac.; 16 Mazzini, M.; 97; 278 Mazzini, R.; 104 Menotti, M.; 269 302 Messori, V.; 95 Metastasio, P.; 74; 107; 112; 216 Meunier, V.; 275 Michelangelo, P.; 96 Minetti, A.; 261 Mirebeau, J.-B.; 351 Miscosi, G.; 15 Molinelli, GB.; 122 Monnica, Santa; 49 Montagne, M. E. de; 112 Montaldo, E.; 341 Montebruno, F.; 242; 258; 337 Montesquieu, Ch.-L. de; 112 Monti, V.; 110; 128 Morgen, R.; 96 MORONI, G.; 20; 22; 327 Murat, G.; 83 Muratori, L. A.; 74; 112 Musso, G. (Gran Diavolo); 13 Muzzarelli, A. M.; 113 Napoleone; 4; 14; 19; 26; 28; 39; 108; 152 Nazlian, Y.; 238; 332 Neirotti, M.; 213; 219; 220 Newman, J. H.; 28; 121; 329; 332; 349 Newton, I.; 112 Olgiati, Fr.; 63 Oliva, M.; 218 Oliva, P.; 261 Olivari, C.; 42; 202; 203; 257; 258; 259; 277; 324 Olivari, P.; 28; 257; 258; 259; 305; 321; 337; 345 OLMI, G.; 41; 98 Omero; 137; 149 Orazio; 75; 112 Ovidio; 112 P. G., Prete Gaetano, vedi Alimonda; G. 273 Padre Santo, (S. Fr. da Camporosso); 28; 48 Palau y Dulcet, A.; 327 Palazzini, P.; 95; 274 Pallavicini, L.; 17 Pallia, P.; 24 Palmieri, V.; 123 Pammachio, San; 119 Paola Frassinetti, Santa, vedi Frassinetti, Paola; 16 Paolino, San; 139 Papini, G.; 49 Parente, P.; 63 Pareto, A.; 23 Parini, G.; 74; 106 Parodi, A.; 341 Pascal, B.; 112 Pascoli, G.; 106 Pasquali, A.; 134 Passi, L.; 167; 168; 173; 177; 209; 211; 217; 219; 220 Pastor, L. von; 10 Patterson, J. L.; 237; 329 Paunescu, Ch.; 333 Peano, G.; 112 Pedemonte, E.; 257 Pedemonte, R.; 33; 234; 236; 255; 299 Pelagio; 143 Pellico, F.; 271; 283 Pellico, S.; 279 Peragallo; 290 Pernigotti, F.; 298 Perosi, L.; 308 303 Perrotta, G.; 355 Persoglio, L.; 31; 91; 92; 123; 228; 289; 291; 292 Persoglio, V.; 290 Pestarino, A.; 253 Pestarino, D.; 28; 225; 226; 227; 228; 229; 230; 231; 232; 236; 240; 242; 244; 245; 251; 252; 253; 259; 325; 337 Petavio, (Petau), D.; 113 Petrarca, F.; 83; 111 Peyron, A.; 123 Piaggio, G.; 291 Piccardo, A.; 110; 249; 259 Piccardo, A. JR; 261 Picone, A.; 324 Pinelli, P. D.; 275; 283 Pio IX; 270; 273; 275; 276; 279; 285; 290 Pio VI; 10; 14; 20 Pio VI; 153 Pio VI.; 12 Pio VII; 4; 12; 14; 22; 26; 39; 76; 152; 274; 281 Pio X; 236; 261; 308 Pirandello, L.; 106 Pittaluga, GB., (pre‟ Gioanin); 3 Plinio; 112 Plutarco; 74; 189 Poggi, F.; 47; 77; 78; 106; 110; 112; 113; 159; 324 Policarpo; 74 Polignac, M. de; 112 Posada, M. E.; 232; 233 Pulciano, E.; 261 Quintana, M. J.; 23 Quintilliano; 112 Quodvultdeus, San; 54 Rapallo,; 345 Rattazzi, U.; 253 Rebora, C.; 106 Rebuffo, P.; 42; 114 Remondini, A.; 92; 273; 289; 293 Remondini, M.; 92; 289 Remondini, R.; 265 Remondini, Tipografi; 117 Renan, E.; 79; 102; 291; 355 Renzi, G.; 231; 299 Revelli, GB.; 28 Revelli, L.; 344 Rezzano; 257 Riber, M. LL.; 328 Ricci, V.; 273; 277 Ricciotti, G.; 137 Rilke, R. M.; 106 Rivara; 290 Roberti, G. B.; 113 Roberto Bellarmino, San; 52 Rodolico, N.; 96; 144 Romani, S.; 351 Romero, C.; 253 Roothaan, J. Ph.; 281 Rops, D.; 123; 149 Rosa da Viterbo, Santa; 57 Rosa Gattorno, Beata; 29; 78; 200; 224; 299; 337 Roscelli, Sant‟A.; 337 Rosina, B.; 257 Rosmini, A.; 279; 284 Rossetto, R.; 208; 213 Rossi, A.; 249; 276 Rousseau, J.-J.; 23; 41; 113; 149 Rua, M.; 243 304 Ruffini Curlo, E.; 103 Ruffini, F.; 104 Ruffini, G.; 43; 76; 78; 100 Ruffini, J.; 7; 78; 100; 348 Ruggiero, G. de; 150 Ruperto; 118 Sacy, L. I. le Maistre de; 135 Salinas, J. de; 50 Sallustio; 99 Sanguineti, G.; 95 Santarosa, P.; 269 Sartori, F.; 211 Schellembrid, R.; 20 Schiaffino, P. M.; 33; 34 Schlegel, F.; 8 Sciacca, M. F.; 99; 144; 150; 280 Sciallero; 78 Sciandra, G. M.; 254 Scott, W.; 110 Segneri, P. Jr; 64 Segneri, P. Sr.; 75; 126 Semeria,; 265 Semino, GB.; 258; 259 Seneca; 112 Seriè, G.; 177 Serra, G.; 15; 16 Serra, marchese]; 190 Serra, S.; 18 Sertorio; 244 Shelley, P. B.; 110 Signorotti, A.; 122 Silva, P.; 96 Silverio de S. Teresa; 50 Sismondi, J.-Ch. S. de; 108; 124; 149; 270 Soave, F.; 113 Socrate; 87; 282 Solari; 267 Sommariva, T.; 211; 214 Spina, G.; 19; 20; 23; 73; 91; 122; 173 Spinosa, B.; 113 Spotorno, GB.; 109; 122; 126; 127 Staël, (A.-L. Necher) Mme de; 110 Steggink, O.; 84 Stiglmayre, R.; 130 Storace, F.; 212 Stronello, V.; 60; 342 Sturla, L.; 28; 36; 77; 102; 106; 124; 167; 168; 173; 174; 177; 179; 208; 209; 211; 212; 213; 214; 215; 217; 218; 219; 225; 226; 245; 249; 261; 266; 271; 277; 287; 288; 290; 325; 326; 336; 345 Tacchini, P.; 43; 181 Tacito; 268 Tadini, P.; 90; 219; 264; 277 Tagliafico, Fr.; 40; 147 alaat-bey,; 332 Talleyrand, M. de; 11 Tannoia, A. M.; 142; 148 Taparelli d‟Azeglio, L.; 272; 283 Taparelli d‟Azeglio, M.; 268; 283 Tasso, T.; 75; 242 Temistocle; 75; 149 Teodosio da Voltri; 48 Teresa d‟Avila, Santa; 50; 136; 293; 321; 348 Teresa del B. G., Santa; 81; 89 Tetrarca, F.; 75 Tolstoi, L. N.; 106 Tommaseo, N.; 171; 279 305 Tommaso d‟Aquino, San; 47; 63; 114; 127; 147; 177 Tommaso Reggio, Beato; 29; 175; 200; 202; 208; 233; 260; 337 Tommaso Reggio, San; 304 Tommaso, San; 138; 307 Tracy, A.-L.-C. Destutt conte di; 112 Troiano, A. M.; 96 Troiano, P.; 95; 96 Trotti-Bentivoglio, L.; 274 Tucidide; 16; 268 Unamuno, M. de; 106 Ungaretti, G.; 106 Urráburu, J. J.; 328 Vaccari, A.; 138 Vaccari, G.; 177 Valentini, G.; 112; 113; 114; 116 Vassallo, E.; 32; 33; 38; 44; 45; 60; 69; 70; 207; 211; 213; 221 Ventura, G.; 284 Vercellone, C.; 276 Vermeersch, A.; 338 Viale, A. G.; 30 Viale, GB.; 30 Viale, P.; 3 Vico, GB.; 148; 149; 150 Vignola, A.; 275 Vimercati, Conte; 37 Vincenzo de‟ Paoli, San; 250 Vincenzo Pallotti, San; 28 Vintilescu. P.; 333 Virenti, G. V.; 90 Virgilio; 49; 50; 75; 112; 149; 242 Vitale, V.; 16; 21; 41T Vittorio Emanuele I; 22 Voltaire, F. M. A.; 23; 41; 113; 149 Willke, J. C.; 351 Wiseman, N. P.; 329 INDICE BIBLICO ANTICO TESTAMENTO Gen 1, 4.10.12.18.21.25.31; p. 82 Gen 1,11s.; p. 73 Gen 3,8; p. 82 Gen 4,6-10; p. 126 Es capp. 3-4; p. 155 1 Re 19,12s.; 82 1 Re 19,15-16; 73 2 Re 2,9-12; p. 145s. Sal 14,15; 291 Sal 16(15),5; p. 157 Sal 43(42),5; p. 155 Sal 51(50),12; p. 155 Sal 133(132),1; p. 35 Sap 15,7; p. 102 Pr 5,1; p. 198 Is 43,19; p. 25 Ger 1,5; 204 Ger 1,6; p. 155 Ger 20,7.8-9; p. 155 Dn 9,23;10,11.19; p. 85 306 Gn 1,3s.; p. 155 Zc 14,7; p 11 NUOVO TESTAMENTO Mt 4,1-141; p. 126 Mt 5,13s.; p. 24 Mt 5,48; p. 145 Mt 6,33; p. 291 Mt 9,15; p. 88 Mt 9,17 p. 27 Mt 10,24; p. 126 Mt 11,25; p. 89 Mt 11,29; p. 120 Mt 12,11s; p. 304 Mt 12,20; p. 145 Mt 13,24-30; p. 97 Mt 16,13-17; p. 355 Mt 13,33; p. 29 Mt 20,26; p. 111 Mt 23, 24; p. 136 Mt 24,24; p. 73 Mt 25,40.46; p.268 Mt 26,31; 11 Mt 27,45; 11 Mt 27,64-66; p 11 Mc 1,12s.; p. 126 Mc 10,43; p. 111 Mc 12,41-44; p. 268 Mc 14,27; p 11 Lc 1,49; p. 354 Lc 4,1-13; pp. 24; 126 Lc 6,26; p. 165 Lc 6,40; p. 126 Lc 7,11-17; p. 268 Lc 7,36-50; p. 268 Lc 10,21; p. 89 Lc 10,38-42; p. 45 Lc 10,42; p. 46 Lc 11,9-13; p. 160 Lc 11,23; p. 355 Lc 12,31; p. 334 Lc 14.28-33; p. 53 Lc 16,8; p. 111 Lc 16,19-31; p. 268 Lc 17,34; p. 104 Lc 18,8; p. 94 Lc 19,1-10; p. 268 Lc 21,14; p. 268 Lc 22,15; p. 154 Lc 22,26; p. 111 Lc 22,53.p. 11 Lc 23,39-43; p. 268 Lc 24,13-35; p.204 Lc 24,45; p. 137 307 Gv 1,10; p. 73 Gv 1,45; p. 28 Gv 4,5-29; p. 45 Gv 4,27; p. 12; 46; Gv 6,64; p. 119 Gv 6,51-56; p. 321 Gv 7,15; p. 60 Gv 15,5; p. 355 Gv 17,4; p.322 Gv 19,30; p. 11 Gv 20,9; p. 12 At 1,1; pp. 347; 353 At 4, 12; p. 117 At 26,24; p. 68 Rm 1, 18-32; p. 354 Rm 1,21-23; 355 Rm 4,15; p. 120 Rm 10,2; p. 120 Rm 10,13s; p. 320 Rm 10,14; p. 335 Rm 10,17; p. 47 Rm 10,18; p. 58 Rm 13,10; p. 120 1 Cor 1,12; p. 242 1 Cor 1,18-25; p. 126 1 Cor 1,28; p. 25 1 Cor 3,2; p. 349 1 Cor 3,6s.; p. 242 1 Cor 3, 22s.; p. 119 1 Cor 4,6-21; 337 1 Cor 4,16; 353 1 Cor 8,1; pp. 118; 119; 120 1 Cor 9,1-27; p. 337 1 Cor 9,26; p. 94; 135 1 Cor 10,17; p. 169; 348 1, Cor 11,1; pp. 347; 353 1 Cor 12,11; p. 119. 1 Cor 13,4; p. 120 1 Cor 14,8s; p. 47 1 Cor 15, 45-49; p. 353 1 Cor, 16,9; P. 87; 145 2 Cor 2,1-5; p. 126 2 Cor capp. 10-12; p. 337 Gal 1,6-22; p. 337 Gal 2,20; p. 353 Gal 3,27s.; p. 149 Gal 5,14; p. 250 Fil 1,6; 2,13; p. 53 1 Ts 1,6; p. 353 1 Ts 4,3; p. 334 1 Ts 5,21; p. 119 2 Tm 4,7s; p. 320 Tt 3,9; p. 127 Eb 5,1; p. 156 1 Gv. 3,2; p. 62 308 Ap cap. 19; p, 219 Ap 21,5; p. 25. 309