MANFREDO PAOLO FALASCA
VITA DEL VENERABILE
GIUSEPPE FRASSINETTI
PRIORE DI SANTA SABINA IN GENOVA
FONDATORE
DEI
FIGLI DI S. MARIA IMMACOLATA
(1804-1868)
ROMA 2004
MANFREDO PAOLO FALASCA
GIUSEPPE FRASSINETTI
Felice il cuore
che non ha piú se non un amore
e un desiderio!
un amore,
e solo per Iddio;
un desiderio,
e solo di divenire cosí perfetto
da piacere pienamente a Dio!
GIUSEPPE FRASSINETTI
A MARIA VERGINE
NELLE CUI MANI
IL SABATO 5 LUGLIO 1947
A SAN MARTINO AI MONTI
IN ROMA
AFFIDAI IL MIO SACERDOZIO
QUESTO LAVORO
IN CUI SI NARRA LA STORIA
DI UN SACERDOTE CH‟EBBE
LEI PER LAMPADA
IL SUO DIVIN FIGLIO PER REGOLA
2
ABBREVIAZIONI
Atti dei processi
POS.sD. = Positio super dubio an sit signanda Commissio Instructionis Causæ Beatificationis et
canonizationis Servi Dei Josephi Frassinetti, Romæ, 1934. Ed in essa:
A = Animadversiones
E = Epistolæ postulatoriæ
I = Informatio
RA = Responsio ad Animadversiones
S = Summarium
SS = Summarium ex officio super scriptis
T = Tabella textium
POS.sV. = Positio super virtutibus Servi Dei Josephi Frassinetti, Romæ 1990. Ed in essa:
A = Animadversiones
G = De gratiis a Dei Famulo impetratis
I
= Informatio
P = Prænotatio Relatoris
S = Positio super scriptis
PSN = Positio super scripris nuper inventis
R = Responsio ad animadversiones
S = Summarium
SA = Summarium additionale 1 e 2.
T = Tabella testium
POS.P.F = Positio super introductionis Causæ Beat. et Canonizationis Servæ Dei Paulæ
Frassinetti, Romæ 1906.
RV
= Relatio et vota Congressus peculiaris super virtutibus Servi Dei Josephi Frassinetti,
Roma 1990.
CFS
= Copia publica transumpti Processus Servi Dei Josephi Frassinetti in Curia Januensi
constructi super fama sanctitatis, Genova 1930, vol. 1, ff. 1-591; vol II, ff. 592-1182.
CPC
= Copia publica transumpti Processus Servi Dei Josephi Frassinetti in Curia Januensi
constructi super cultu Servo Dei Josepho Frassinetti nunquam præstito, Roma 1934,
ff. 131.
CPV
= Copia publica transumpti Processus Servi Dei Josephi Frassinetti in Curia Januensi
constructi super virtutibus et miraculis Servi Dei Josephi Frassinetti, Roma 1944, ff.
375.
OEI = GIUSEPPE FRASSINETTI, Opere edite ed inedite.
Archivi
ADA
ACAG
ACGSJ
ACGSD
ACGSG
ACM
AF
APMA
APSL
APSS
APV
AS
= Arch. De Albertis, Genova.
= Arch. Curia Arcivescovile, Genova.
= Arch. Curia Gener. Compagnia di Gesù, Roma.
= Arch. Curia Gener. Suore di S. Dorotea, Roma.
= Arch. Curia Gener. Suore Gianelline, Roma.
= Arch. A. Charvaz, Moûtiers, Savoia.
= Arch. Frassinettiano, Curia Gener. dei FSMI, Roma.
= Arch. Parrocchia di Maria Assunta, Genova-Rivarolo.
= Arch. Parrocchia di San Lorenzo, Genova.
= Arch. Parrocchia di Santo Stefano, Genova.
= Arch. Parrocchia delle Vigne, Genova.
= Arch. Istituto dei Sordomuti, Genova
3
ASAG
ASG
AUG
= Arch. Seminario Arcivescovile, Genova.
= Arch. di Stato, Genova.
= Arch. Università, Genova.1
INDICE
Abbreviazioni
Indice
Prefazione
Parte I – Gli anni della preparazione
1 – Esultate nel Signore, un Genovese è nato alla Chiesa
2 – La bufera napoleonica
3 – Il fanciullo ascoltava
4 – Le citoyen français Joseph Frassinetti
5 – 1 ricostruttori
6 – La famiglia Frassinetti
7 – Mira quant'è bello essere fratelli e vivere uniti
8 – L'educazione dei figli
9 – Educando i fratelli educava se stesso
10 – Come a Cassiciaco – Una casa convento
11 – Fratelli in gara a chi dà maggior gusto a Dio
12 – Cos'è che ti dà maggior gusto, o Dio?
13 – Bruciami Signora il cuore col fuoco del tuo amore
1
4
I rinvii alle altre fonti sono dati per disteso.
VII
IX
XI
1
3
7
11
16
21
25
30
33
38
42
47
50
56
14 – I “Ragazzi del Gianelli”
15 – L'adolescente focosissimo
16 – Il seminario di Genova prima del rettore Cattaneo
17 – I “Ragazzacci” Mazzini e compagni
18 – Gli interessi culturali
19 – Lo studente di filosofia
20 – Come studiare e con quale spirito
21 – Lo studente di teologia
22 – Oltre la scuota I
23 – Oltre la scuola II
24 – Sant'Alfonso, maestro e modello
25 – Ubi Petrus ibi Ecclesia
26 – Sacerdote – Un fuoco ardente gli bruciava il cuore
Parte II – Il pastore1827-1868
141
27 – Come atleta al via
28 – Gli Oratori festivi
29 – La Congreg. del B. Leonardo e l'Accademia degli studi
30 – L‟Oratorio San Raffaele e l‟Oratorio di Don Bosco 154
31 – Parroco a Quinto
32 – Parroco a S. Sabina in Genova
33 – Parroco maestro di parroci
34 – Le associazioni
35 – Giuseppe Frassinetti alle origini delle Dorotee
36 – A ciascuno il suo
37 – Don Pestarino e le ragazze di Mornese
38 – Le Figlie di Maria Immacolata Monache in Casa
39 – Alcune Figlie di M. I. diventano F. di M. Ausiliatrice
40 – Antonio Piccardo
41 – Triboli e spine
42 – Nel 1846 osò smascherare Gioberti
232
APPENDICE: Saggio intorno alla dialettica di V. Gioberti 244
DOCUMENTO: A Vincenzo Gioberti il Seminario
248
43 – Nella bufera del 1846-1849
44 – Ancora triboli e spine
45 – II moralista
46 – Liberale o reazionario il Frassinetti?
47 – Vieni, Servo fedele, assiditi al Convito del divino amore
48 – Giuseppe Frassinetti in giro per il mondo
49 – Vergine, Maria, Madre di Gesú, fateci santi
50 – II Priore nel ricordo dei genovesi
51 – Congedo
Indice biblico
Indice dei nomi propri
63
70
78
81
91
97
100
105
107
114
123
132
134
143
146
151
159
164
168
172
176
182
195
200
210
221
228
250
257
263
269
278
283
291
297
302
357
359
5
PRESENTAZIONE
La vita del Ven. Giuseppe Frassinetti esce ridotta ad un terzo circa della stesura originaria e
non mi meraviglio della meraviglia di chi vorrà prenderla in considerazione di fronte allo
sviluppo dato alla prima parte, agli anni della formazione. Di quegli anni è avarissima la stessa
Positio e se ne rammarica il quarto Consultore Teologo nella relazione preparata per il
Congresso sull‟eroicità delle virtú del Servo di Dio: “Dagli Atti della Causa [di canonizzazione]
non risulta quasi nulla su questi anni che sono, invece, a nostro parere, fondamentali per lo studio
delle sue virtú”.
Critica che mi ha incoraggiato a dare tanto sviluppo agli anni della formazione perché in essi
è il futuro pastore. Sono gli anni della semina ed anche dei primi frutti bellissimi del suo vivere
di Dio: la vocazione e la formazione al sacerdozio dei suoi tre fratelli minori. Gli anni dell‟avvio
alla santità della sorella Santa Paola. Frutti dovuti all‟ascendente ed alle cure di questo
adolescente bravo e buono, vissuto sempre in casa, mai in seminario, e a cui, alla morte della
mamma, quei quattro bimbi restarono affidati, passando il padre il giorno in negozio.
Sono gli anni che ci aiutano a meglio comprendere il “Priore” santo e ci offrono esempi a cui
rifarsi in questi nostri tempi: è possibile, quando tutto congiura contro, fare della propria casa
un‟isola di santità. Vi si presenta un giovane santo in una famiglia di santi, un giovane che, pur
vivendo a casa ed in parrocchia, si forma santamente al sacerdozio in tempi tristissimi e sa
innamorare alla vita consacrata i tre fratelli minori, due sacerdoti che faranno sempre con lui
comunità, uno religioso parroco nella periferia di Genova, e la sorella, santa canonizzata, da lui
formata e sostenuta nella fondazione delle Dorotee. Queste pagine, quindi, vogliano non solo
offrire un aiuto a quanti si occupano di vocazioni al sacerdozio ed alla vita religiosa, ma anche
un esempio di famiglia santa e di come la tristezza dei tempi può diventare per tanti vaccinazione
contro il male.
Nello scrivere la vita di un santo o di un servo di Dio può accadere che se ne venga talmente
affascinati da farne un primo piano isolandolo dalla gente in mezzo alla quale egli visse, da cui
ricevette e a cui diede e con la quale fece corpo. Può sembrare che ne esca ingigantito, ma in
6
realtà ne esce impoverito di quello che io chiamo “effetto eucaristia”, cioè i molti che per nutrirsi
di un solo Pane diventano un sol corpo in Cristo. Toglierlo dall‟orchestra per farne un solista, è
come, per restare nella sua terra, presentare il monte Figogna sí da farlo pensare un gigante nel
mezzo di una desolata pianura. Parrà certamente piú imponente, ma non piú bello dal come ci
appare tra le tante vette compagne, quale piú alta, quale meno alta, ma tutte belle poste lí a
donare bellezza e a riceverne nell‟incanto del golfo. Il Frassinetti non è un solista, fa parte di
un‟orchestra messa su da lui e dallo Sturla di cui egli è il Toscanini. In quella loro
Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio i molti divennero uno, viva testimonianza
di cosa possa l‟eucaristia.
Nei primi ventisei capitoli si parla della sua formazione al sacerdozio scritta pensando in
particolare ai giovani che ne fossero chiamati e non potessero entrare subito in seminario. Anche
la seconda parte fu concepita e svolta in modo molto piú ampio di come qui si presenta. In essa
si parla di quel suo saper essere due in uno, pastore e scrittore, uno cioè che scrive per nutrire il
suo gregge volendolo perfetto della perfezione di cui è perfetto il Padre nostro che è nei cieli. Un
invitare quanti piú può al “piú”, facilitandone il modo sí da rendere la vita consacrata a tutti
possibile, anche a chi per un motivo o per un altro non può uscire dal proprio ambiente e dalla
propria casa, senza per questo trascurare quanti a questo “di piú” non si sentissero chiamati.
Nell‟una e nell‟altra parte cito con molta larghezza pagine e pagine del Venerabile da lasciare
l‟impressione di leggere una sua autobiografia. Rimando all‟inizio della seconda parte il
prospetto di come essa sia stata svolta.
Non stupiscano le molte note a piè di pagina con tanti rimandi. Nel dubbio se lasciare o non
lasciare la documentazione delle mie ricerche, le ho lasciate pensando che potrebbero essere utili
a chi voglia approfondire la conoscenza del Venerabile, liberi gli altri di saltarle a piè pari.
Voglia questo mio lavoro aiutare a farlo conoscere. A chi lo ho scritto è ricompensa le molte ore
passate in sua compagnia e l‟amicizia che ne è nata.
Manfredo Paolo Falasca
Un grazie alla gianellina Madre Maria Tarquini della Natività e a Suor Diana Barbosa delle
Dorotee di Santa Paola Frassinetti per i documenti d‟ archivio che mi hanno fornito e a quanti
altri sono venuti incontro alle mie richieste.
7
Errata corrige
B = contando dal basso senza tener conto delle note
N = nella nota numero
Pagina
Riga
Errata
Corrige
8
VII
IX
XIII
XIV
31-VI
56-XI
75-XIV
75-XIV
77-XIV
85-XV
4,25,34
18
23,24
10
12
B7
3,
n. 9
3
1-10
85-XV
88-XV
88-XV
91-XVI
91-XVI
93-XVI
94-XVII
95-XVII
96-XVII
99-XVII
100-XVII
102-XVII
103-XVII
10
8
B5
20
23
8
ultima
n. 4
23
n. 16
17
17
B 2-5
ae
Da
sorella santa canonizzata
chiamati..
Angela.Tutte
Custodirono5
ae
N. Barabino
ae
con Amadís, Florisandro e
Tristán… sospirò: Si fuera lícito
que las mujeres... Las
fundaciones e del poema de la
Vida, e scrittrice... del Siglo de
oro… Andrà Teresa a gozar
Dios, ma comprandosi tale
felicità a prezzo muy caro, non
muy barato
prima dei versi più spazio
nome tra i poeti, come:
ecclesiastico… .32
Disordinato5
danzavano...6
all‟Em Lambruschini
Giovanna Schiaffino
La Sanguineti… Sabina.
Del secolo scorso
MAZZINI.Zibaldone
ae
s‟è mi lecito
æ
dà
sorella, santa canonizzata,
chiamati.
Angela. Tutte
custodirono.5
æ
N. BARABINO
æ
con Amadís, Florisandro e Tristán...
sospirò: Si fuera lícito que las mujeres...
Las fundaciones e del poema de la Vida,
e scrittrice... del Siglo de oro… Andrà
Teresa a gozar Dios, ma comprandosi
tale felicità a prezzo muy caro, non muy
barato
nome tra i poeti:
ecclesiastico…32.
disordinato5.
danzavano...6.
all‟Em. Lambruschini
Bartolomeo Arecco
[Eliminare]
Dell‟ottocento
MAZZINI, Zibaldone
æ
se mi è lecito
[rientro e corpo minore]
106- XVIII
111-XVIII
2
14
nostro secolo
per genovese
114-XVIII
B 6-8
115-XIX
7-14
Il Lettore di Filosofia Valentini
… a suo riguardo…
Il giovane Frassinetti entrò [
fino a] ne esponeva la
soluzione.
117-XX
123-XX
134-XXII
145-XXIV
148-XXIV
152-XXV
157-XXVI
158-XXVI
158-XXVI
160-XXVI
170-XXVII
176-XXIX
179-XXX
181-XXX
189-XXXII
195-XXXIII
196-XXXIII
196-XXXIII
197-XXXIII
199-XXXIV
205-XXXV
206-XXXV
209-XXXV
209-XXXV
212-XXXVI
214-XXXVI
215-XXXVI
218-XXXVI
219-XXXVI
229-XXXVI
219-XXXVII
232-XXXVIII
235-XXXVIII
239-XXXVIII
240-XXXVIII
258-LX
260-LX
269-LXII
274-XLII
278-XLII
285-XLII
286-XLII
286-XLII
286-XLII
291-XLIII
299-XLIV
301-XLIV
302-XLV
5
N6
N5
N 12
11
3-11
6
2
B8
11
6,11
6
10
N 14
N1
19
11
12
B7
B4
13
28
6
19
N3
15
N 14
N 33
10
N 34
21
9
B 3-10
11
23
n. 3
4
B6
N 27
N 38
N 70
9,10
B6
B3
18
5
N 10
18
Fiderò
secolo scorso
per un genovese
Il Lettore di Filosofia Valentini a suo
riguardo…
Il giovane Frassinetti entrò [fino a]
ne esponeva la soluzione.
fiderò.
Ae
æ
Ae
æ
Ae
æ
Ae
æ
[riformattare la disposizione dei versi dell‟occhiello]
Ae
æ
Ae
æ
stessi faccia a terra
stesi faccia a terra
che te lo lo Spirito
che te lo chiedo lo Spirito
– [senza spazio dopo]
– [con spazio dopo]
Liguori,…lasciando
Liguori,… lasciando
cui si risale
cui risale
tAcc
Tacc
Genova su invasa
Genova fu invasa
integrità ,
integrità,
canonica Laciava
canonica. Laciava
ai poveri Largo
ai poveri. Largo
ae [due volte]
æ [due volte]
Santissima.sotto
Santissima sotto
la cosa vuota
la casa vuota
sperimentato… steso
sperimentate… stese
a differenze dell‟inglese
a differenza dell‟inglese
per mancanza di dote non
per mancanza di dote, non
“E la compera[penult. riga]
E la compera [penult. riga]
fratello –8
fratello –.8
Memorie
Memorie
Benetello
Benettelli
trovare,
trovare
dirigeva?.
dirigeva?
del 1857
nel 1857
collaborazioni
collaborazione
[da] Che non avrà fatto…religione. [rientro e corpo minore]
Aequa
Æqua
monache
monaca
Miliys
Milyus
come il vivrà
come li vivrà
favorirli
favorirla
11
Saggio... p. 11
5s.
G. FRASSINETTI, op. cit., 5s.
Atti
Ai
PIO… CARLO ALBERTO
PIO… CARLO ALBERTO
Gramatica
Grammatica
Seminario –.
Seminario. –
ae
æ
Genova 1866
Genova, 1866
[ordinare] edite dal Magnasco con altri ritocchi
Liguori è
Liguori è
9
307-XLV
4
note i buon
note in buon
307-XLV
B1
tra le mani
tra le mani,
310-XLVI
11
La Cartà
La Carità
310-XLVI
B2
causae finitae
causæ finitæ
315-XLVI
N1
scansarmeli
scansarneli
319-XLVII
N1
Rosa Cordone, 3a
Rosa Cordone, 3a;
321-XLVII
22
ravvisato che lo abbia
ravvisata la buona disposizione
322-XLVII
1
Opus consummavi
Cursum consummavi
327-XLVII
9
1852”.6.
1852”.6
327-XLVII
n. 10
letteraria. Ebbe
letteraria, ebbe
329-XLVIII
5
treductiones
traductiones
329-XLVIII
12
tradusse un buon numero
tradusse in catalano un buon numero
329-XLVIII
n. 12
JOHN H NEWMAN
JOHN H. NEWMAN
331-XLVII
2
H Newman
H. Newman
333-XLVII
8
gente.rifugiata nel
gente rifugiata nel
333-XLVII
12
perché in essa fu fatto
perché essa fu fatta
338-XLIX
1
ae
æ
347-LI
11
oe
œ
355-LI
N 23
Rom 21-22
Rom 1,23
Nelle voci di lingua spagnola mutare l‟accento tonico grave in accento acuto
PARTE I
GLI ANNI DELLA PREPARAZIONE
1804-1827
Libet… de hoc venerabili Patre multa narrare…
Si quis velit subtilius mores vitamque cognoscere
potest in eadem institutione Regulae
omnes magisterii illius actus invenire,
quia sanctus vir [Benedictus] nullo modo potuit
aliter docere quam vixit2
GREGORIO MAGNO, Dialogorum liber ii, xxxvi
Piacerebbe raccontare più a minuto la vita di questo venerabile Padre… Se uno volesse conoscela più a puntino,
legga la sua Regola, perché in nessun modo quella santa persona poté scriverediversamente dal come la visse.
10
2
Lo stesso può dirsi del venerabile Giuseppe Frassinetti:
Se vuoi piú a puntino conoscere la sua vita,
leggi i suoi scritti,
poiché in nessun modo poté scrivere
diversamente dal modo in cui viveva.
CAPITOLO I
ESULTATE NEL SIGNORE
UN GENOVESE È NATO ALLA CHIESA
La sera di un quattordici agosto, vigilia della Madonna assunta in cielo, il priore Giuseppe
Frassinetti rievocò a dei fanciulli un ricordo della sua infanzia:3
Io non avevo ancora sei anni, ed in questa medesima sera, in un drappello di fanciulli come voi
siete, qui davanti a questo altare, ho fatto l‟offerta del mio cuore a Maria, come voi fate. Lo ricordo
ancora, e ricordandolo dopo tanti anni, mi sento crescere la confidenza nella Madonna Santissima,
e me ne sento consolato.
L‟amore alla Vergine e la sua protezione accompagnerà Giuseppe tutto il cammino della vita. Prima di
spirare, cercò con la mano la medaglia della Madonna, portata appesa al collo notte e giorno, e le diede
ancora un bacio. Fu l‟ultimo atto di pietà di uno nato un sabato ottava dell‟Immacolata, giorno nella
liturgia dell‟epoca doppiamente consacrato alla Santa Vergine. Un bimbo segnato fin dalla nascita a
percorrere il suo cammino tenuto per mano da Maria.
Giuseppe Frassinetti fu uomo genovese della Genova 1800, con un “di piú” che ne fece un
uomo di Dio. La sua storia di uomo di Dio ebbe inizio nella bella chiesa di nostra Signora delle
Vigne la terza domenica d‟Avvento. Lí, nella penombra del battistero, pre‟ Gioanin4 chiedeva ad
un bimbo d‟un giorno:
– Paule Iosephe Maria, quid petis ab Ecclesia Dei?5
– Fidem!
Si impegnarono per lui il nonno materno, Paolo Viale, e la nonna paterna, Angela, felici di
prestare la voce al nipotino. Altro motivo per condurlo in chiesa con quel freddo non poteva
esserci se non quello di farne un figlio di Dio fin dal suo primo vagire. Giuseppino sarebbe stato
3
Anche il Mazzini una sera d‟un 14 agosto era avanzato in processione nel santuario della “Madonnetta” con in
mano una candela e un cuoricino d‟argento per consacrarsi a Maria, e, perché coetanei e nati in parrocchie contigue
a sei mesi l‟uno dall‟altro, si può pensare in fila con il Frassinetti.
4 Pre[te] Giovanni.
5 Palo Giuseppe Maria, cosa chiedi alla Chiesa di Dio?
11
di Dio, e solo di Dio. L‟impegno fu confermato con tre abrenunsio: per rinunciare a Satana, alle
sue opere ed al suo allucinante nulla; e con tre altrettanto solenni credo, senza incrinature di
dubbio.
– Paule Ioseph Maria, vis baptisari?6
– Volo, lo voglio.
L‟acqua del fonte scese gelida per tre volte sul capo del bimbo. Un gemito annunciò che nella
Chiesa era nato un figlio di Dio, come un altro gemito il giorno innanzi aveva annunciato che al
mondo era nato un uomo. La pronuncia genovese della zeta aveva solo raddolcito l‟asprezza
d‟un suono, non resa debole l‟adesione a Cristo. Sarebbe stata un‟adesione ferma e dolce. Del
resto non v‟era in chiesa gente foresta che potesse sorridere d‟un latino cosí pronunciato. E poi
era pur sempre quel latino che da secoli e secoli arricchiva i riti della Chiesa d‟un senso di
mistero e li rendeva piú solenni. Anche la lingua serviva a ricordare che ci si immergeva in un
mondo di “di piú” e di misteri per potersi poi ritrovare nel “di piú” di Dio.
– Accipe lampadem ardentem –,7 il dono di commiato di pre‟ Gioanin, che ha da
accompagnarlo la vita intera, lampada mai ad olio scarseggiante e fiammella illanguidita.
Era nato il giorno innanzi, il quindici dicembre, giorno doppiamente sacro a Maria, perché
sabato e perché ottava dell‟Immacolata. Due giorni profezia, quel sabato e quella Dominica
gaudente.8 Nella luce di quei due giorni il suo codice genetico: tendere a Cristo, tenuto passo
passo per mano da Maria, con la missione di appianare le vie del Signore a quante piú anime
avesse potuto perché trovassero in Dio la vera gioia che nessuna cosa e nessun uomo potranno
mai appannare. I circostanti non ebbero il piú piccolo sentore che con quel rito il Signore si
armava un cavaliere nella terra di san Giorgio per inviarlo a liberare le anime dai timori e dalle
ansietà che incutevano loro i giansenistanti accreditando a Dio sembianze d‟un giudice facile alla
condanna e difficile al perdono, fino a spegnere il desiderio d‟assidersi al Banchetto del divino
Amore.9 Erano tante e tali le condizioni richieste per potersi accostare all‟eucaristia che le
comunioni dei fedeli si erano fatte poche e rare, molta l‟angustia per il dí del giudizio e per il
terrore dell‟inferno. Nella liturgia del giorno il mandato al nuovo cavaliere: gridare l‟intera vita:
Dominus prope est, il Signore è vicino, come mai fu vicino amico ad amico. Non voce di
condanna e di terrore ad angustia dello spirito, ma voce venuta a dirci: Gaudete. Vivete allegri,
ché IO vi sono vicino. A dissipare l‟ultima titubanza la dolce immagine di Maria, la sua stella.
Dell‟avvenimento restò traccia solo nei registri della parrocchia. Nulla sui giornali. Altre le
notizie da comunicare. Quella domenica 16 dicembre 1804, prolungando i parigini le feste per
l‟incoronazione di Napoleone, presente papa Pio VII, avevano liberato in aria “un pallone di
taffetà incerato, cinto da rete sorreggente una galleria di filo di ferro con appesi dei lampioncini”,
opera del signor Garnerin, che, dopo sorvolato tutta Francia, Alpi e mezz‟Italia, era ricaduto
all‟Anguillara a due passi da Roma. Questo, sí, era fatto che faceva storia!
Giuseppino – il nome Paolo resterà dimenticato nei registri – è ora un figlio di Dio, ma genovese
d‟una Genova ancora tutta dei genovesi. C‟erano sí dei foresti, ma cosí pochi da non scalfirne
menomamente la genovesità, cominciando dalla parlata ch‟era per tutti, patriziato e popolo, lo
stretto genovese. La lingua da porre nero sul bianco variava: a chi riusciva meglio l‟italiano, a
6
Palo Giuseppe Maria, vuoi essere battezzato?
Prendi la lampada ardente.
8 Gaudete, godete, inizio della messa della III domenica di Avvento.
9 Il titolo dell‟opera di cui stava correggendo le bozze quando il Signore lo chiamò a sé.
7
12
chi il francese, e c‟era persino – incredibile a dirsi – chi aveva maggior dimestichezza con il
latino. Roba appresa a scuola dai pochi che l‟avevano frequentata. La piú parte della gente non
sentiva nessun bisogno di mettere nero sul bianco.
A Giuseppino non mancava la sua brava genealogia, anche se dal registro della parrocchia
delle Vigne ci è dato risalire solo ai nonni. Dobbiamo al lavoro paziente e disinteressato di don
Giuseppe Capurro, che agli inizi del secolo scorso andò peregrinando di archivio in archivio alla
ricerca di quanto si poteva conoscere dei Frassinetti, meglio dei Frascinetti, se ne sappiamo
qualcosa di piú.
Ne valeva la pena? Sia venia al buon don Capurro se spese tanto del suo tempo a salire e
scendere di figlio in padre e di padre in figlio. Fatica biblica. Agli agiografi un racconto sarebbe
parso lacunoso se dei vari personaggi non ci avessero indicato di chi erano figli, di chi nipoti e di
chi pronipoti. Per Gesú, Matteo parte da Abramo e ci offre tre quattordicine di antenati: “Libro
delle generazioni di Gesú Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo. Abramo generò Isacco,
Isacco generò Giacobbe, Giacobbe...” e giú fino a Giuseppe, e qui, con un disinvolto salto di
corsia e mutando il verbo da attivo in intransitivo, ci attesta che Gesú nacque da Maria. Luca
risalí all‟indietro oltre Abramo, fino al primo uomo.
Fino a quando le famiglie sono state granitiche, ognuna ne portava stampata in cuore la
genealogia, di pochi gradini, quelle degli umili; da competere con la scala di Giacobbe, quelle
dei nobili. Farinata, dalla sua tomba di fuoco, non si degnò di intavolare discorso col Tosco che
per la città del foco vivo se ne andava, se non dopo avergli chiesto: “Chi fur li maggior tui?”.
Non ostante la molta pazienza, don Capurro non riuscí a risalire fino ad Adamo come Luca per il
Signore, e neppure tre volte quattordici generazioni come Matteo. Poté arrampicarsi sí e no per
un secolo e mezzo. Poco, ma piú di quanto sapevano dei loro avi gli stessi Frassinetti. Gli umili
difficilmente sono in grado di risalire oltre i genitori dei nonni, né, credo si chiedano a cosa si
ricolleghi l‟origine del nome di famiglia. Si chiamano cosí e basta.
Ecco quel che mi è dato affermare degli ascendenti di Paolo Giuseppe Maria Frassinetti
servendomi dei dati raccolti dal Capurro. Il padre Francesco era conosciuto con il nome con cui a
Genova era chiamata una buona metà dei suoi abitanti: o scio Bacicia,10 il signor Giovambattista.
Il secondo nome aveva fatto dimenticare il primo. Era nato a Genova nella parrocchia delle
Vigne, cuore della città vecchia, e lí residente alla nascita del primo figlio. Merciaio di
professione, con negozio in via di Scurreria ad un passo dalla cattedrale San Lorenzo.
La madre, Angela Viale, era figlia d‟un merciaio, genovese della parrocchia di San Lorenzo. Il
nonno paterno, morto otto giorni innanzi la nascita del nipotino che ne avrebbe portato il nome
con cui sarà conosciuto, Giuseppe, era nato a Rivarolo Ligure, ma, ancora giovane, se n‟era
andato in Genova centro a farvi il cuoco. Non ci risulta se in qualche casa gentilizia, se in una
locanda o altrove.
Il Capurro scoprí che nel Quattrocento c‟erano stati in città Frassinetti di un certo nome. Un
Sagino de‟ Frassineto che nel 1432 fu uno dei priori che curarono nel porto l‟accrescimento del
Ponte della Legna. Non era una carta di nobiltà, ma titolo che a Genova contava, fino a
permettersi il pensierino di veder scritto un giorno il nome “Frassineto” nel libro d‟oro del
patriziato, libro a Genova, mai sigillato, a differenza di Venezia, e sognare qualche anno di
dogato. Rinvenne pure un fra‟ Cristoforo Frassinetto, carmelitano, lettore di teologia, quanto dire
professore, autore di testi di morale e di predicabili. Sono legami che hanno la consistenza di
10
Da leggere u sciu Bacicia.
13
quei con cui Virgilio collegò Giulio Cesare a Venere. Se con fra‟ Cristoforo sono dubbi i legami
di sangue, sono indubbi quelli di vocazione: anche il nostro Priore studierà con amore la
spiritualità del Carmelo, potendo attingerla a fonti non ancora disponibili per fra‟ Cristoforo:
santa Teresa d‟Avila, san Giovanni della Croce e santa Maria Maddalena de‟ Pazzi; pubblicherà
opere di morale e, postuma, uscirà pure una ricca serie di predicabili.
Al Capurro sfuggí che il 5 febbraio 1439 un Giacomo Frassineto aveva avuto affidata
dall‟armatore Lorenzo Cappa di Sestri Ponente la nave Sant‟Alberto di 900 mine di portata con
tredici uomini d‟equipaggio perché veleggiasse fino ad Oristano in Sardegna ed ivi caricassero
100 cantari di formaggio sardo. Se antenato gli fu, e Sestri non dista molto da Rivarolo, non gli
trasmise proprio nulla all‟infuori di qualche goccia di sangue, non certo la passione del mare e
del viaggiare, e, meno che meno, quella del trafficare ed accumulare palanche.11
È bello, avrà pensato il Capurro, poter dire dei servi di Dio quanto si afferma di Giuseppe lo
sposo di Maria: falegname di villaggio e povero sí, ma stirpe di re! I Frassinetti sono gente del
popolo, e del popolo minuto: cuochi, merciai e cose del genere. Non credo che se ne
affliggessero o abbiano perso una sola ora per sapere da quali lombi discendessero. Meglio cosí,
perché per un sacerdote il piú bel blasone è sempre quello di Melchisedec: un apàtor e amèter,
un senza padre e senza madre, e privo di genealogie. Uno fuori del tempo e del contingente, uno
sradicato dalla terra, pur vivendo su questa terra, ché, a voler seguire Cristo, bisogna vivere nel
mondo senz‟essere del mondo e lasciare che i morti seppelliscano i loro morti. Nella spiritualità
del tempo era verità indiscussa.
A questo punto, detto che anche Giuseppino ebbe il suo Simeone nell‟abate di San Matteo che
usava porgli la mano sul capo e predirne ai genitori il futuro: “Quest‟angioletto sarà un giorno la
vostra consolazione”, avrei potuto concludere la storia dell‟infanzia con le parole di Luca: “Ed il
bimbo progrediva con gli anni in sapienza e grazia innanzi a Dio ed agli uomini”, tanto la sua
adolescenza è avara di notizie, e poi riprendere il racconto dall‟inizio della sua vita pubblica
quando, il sabato 22 settembre 1827, il vescovo di Savona gli conferí la consacrazione
sacerdotale. Ma la tentazione di penetrare il segreto di quegli anni è stata per me troppo forte da
sapermi trattenere dal tentativo di ricostruire il mondo in cui egli visse la sua adolescenza ed il
modo in cui ve la visse, perché non si può comprendere il parroco santo ignorando il giovane
santo. Ne viene fuori un Giuseppe non solo esempio di parroco santo, ma di giovane che, pur
vivendo con compagni di studio che faranno parlare tanto di sé – il cospiratore mazziniano
Jacopo Ruffini, il capo della massoneria italiana Federico Campanella, e per età, del Mazzini –
batté altra via.12 Questo mio indugiare su quella famiglia di santi, mostra quanto sia bello il
vivere legati, ancor piú che dal sangue, dall‟amore. Bell‟esempio, ora che la famiglia pare andare
a rotoli.
11
Soldi.
Il Frassinetti non fu mai seminarista interno. Ne viene dunque fuori un esempio di grande attualità per i
giovani di oggi.
14
12
CAPITOLO II
LA BUFERA NAPOLEONICA
I primi settant‟anni dell‟Ottocento furono per la Chiesa anni tristissimi. Che tempi fossero si
può dedurre da questi due passi: il primo risale a quando il Servo di Dio era bimbo di pochi mesi,
il secondo sul finire dei suoi anni:
Tutto quanto era stato possibile distruggere… è ormai distrutto. Sono rimasti i nudi muri
perimetrali, gli archi e le possenti colonne. Appena aperta la porta, ne uscí un nugolo di cornacchie
e di civette che si levavano a volo verso il cielo...
Cosí nel 1805 l‟abbazia di Saint-Denis appariva al filosofo tedesco Friedrich Schlegel. Prima
che i giacobini ne perpetrassero l‟orrendo scempio, era stata per i francesi il sacrario della loro
storia. Sul finire della vita del Frassinetti, ecco come il Carducci vaticinava la fine della Chiesa:
Savi, guerrier, poeti ed operai,
Tutti ci diam la mano
Duro lavor ne gli anni, e lieve omai,
Minammo il Vaticano...
... su l‟antica riva
Cadrà l‟orrenda mole...
E tra i ruderi in fior la tiberina
Vergin di nere chiome
Al peregrin dirà: Son la ruina
D‟un‟onta senza nome.13
13 G. CARDUCCI, Opere, vol III, Giambi ed epodi.... VI – Per Giuseppe Monti e Gaetano Tognetti, Bologna
1935, pp. 26-33, composta il 30 nov. 1868. Piú su l‟aveva chiamato Chierico sanguinoso e imbelle... Polifemo
cristiano. Il 19 gennaio di quello stesso anno, proprio nei giorni in cui il Frassinetti saliva al cielo, nell‟ode Per
Eduardo Corazzini, gli aveva lanciato insulti ancora piú beceri e sozzi. Chiedo venia al lettore se ne cito una
quartina ed alcuni settenari a chiusa di altre quartine: O prete, / Godi. Di larga strage il breve impero / Empisti e le
tue brame. / Trionfa nel tuo splendido San Pietro, / O vecchio prete infame…/ Masnadiera papale... / Quel prete
empio riposa... / Per te feroce vecchio... / O vecchio sanguinante... Ed il botto finale con cui gli spara la sua laica
scomunica: Te... / Io scomunico, o prete; / Te pontefice fosco del mistero. / Vate di lutti e d‟ire, / Io sacerdote de
l‟augusto vero, / Vate de l‟avvenire. Trombonate. Chissà se gli era mai giunto all‟orecchio qualche eco dei massacri
compiuti quegli stessi anni Sessanta per reprimere la resistenza di quanti erano rimasti fedeli ai Borboni! Ma si
trattava di “briganti”, non di puri eroi della legïon tebana. Povera verità e piú povero profeta.
15
Tanto e tale era nel Carducci l‟odio contro ogni cosa che sapeva di cattolico da anticiparsi il
tripudio di quell‟ora in cui, demolitore tra demolitori, si vedeva completare l‟opera dei vandali e
barbari vari, ribattezzandosi
Noi siam la sacra legïon tebana,
Veglio, che mai non muore.
Quei massoni erano certi che la Chiesa non sarebbe sopravvissuta a lungo, caduto che fosse il
potere temporale. C‟erano anche cattolici pensavano la stessa cosa, temendola, e perciò
ritenevano che per salvare la Chiesa s‟avesse da difendere quel potere temporale con le unghie e
con i denti. È facile trasferire nel mondo del divino i calcoli ed i timori umani, dimenticando che
il Signore è ricco di uscite a sorpresa ed è sempre lui a giocare l‟ultima carta, quella vincente.
Pare si diverta a rovesciare le situazioni piú disperate con gioco di contropiede.
Per meglio capire i tempi del Frassinetti non possiamo non intrattenerci su ciò che fu per la
Chiesa la Rivoluzione francese e correggere le impressioni lasciate in noi dal testo scolastico. Ne
diamo qualche pagina campione, non però filtrata dalla cattedra, ma come fu recepita dal popolo.
Cronaca e testo scolastico pare si dividano i compiti, l‟una lacrime sangue ed infamie, l‟altro
squilli di tromba, rulli di tamburi ed acclamazioni al vincitore. Un primo saggio ce l‟offre la
cronaca dell‟occupazione di Roma in un momento in cui a Parigi la fase piú bestiale del Terrore
era già trascorsa. Sono questi i fatti che colpirono l‟animo del popolo timorato di Dio piú che
non lo avessero colpito i fatti di Francia.14
Il 15 febbraio del 1798, giovedí grasso, a Roma si sarebbe dovuto celebrare il piú spettacoloso
palio di carnevale. Quell‟anno niente. Già nel 1790 i romani avevano dovuto rinunciare ai
“moccoletti” dell‟ultima sera per colpa di quei francesi mandati a Roma dall‟Assemblea
Nazionale a provocare disordini. Avevano osato insolentire persino la notte di Natale in San
Pietro durante la messa papale! Niente carnevale neppure nel 1793 e l‟anno appresso, tanto i
francesi la facevano da padroni in anni in cui Roma era in pace con la Francia!
Quel giovedí grasso, in cambio del carnevale, si ebbe una penosa carnevalata. Un trecento
“patrioti” s‟erano ritrovati al Foro Boario con coccarda tricolore al cappello e lí, con tanto di
rògito notarile, avevano dichiarato estinto il potere temporale dei papi e risorta la Repubblica
romana. Al Papa, bontà loro, avevano fissato un “decente sostentamento”. Quindi si
incolonnarono e ascesero sul Campidoglio a piantarvi l‟albero della libertà con tanto di berretto
frigio sulla cima con accanto un tricolore bianco-rosso-nero. Ci fu un lungo tonare di discorsi e
rimbombare di nomi famosi: Bruto, Cassio, Scevola, Catone, gli immancabili Scipioni e l‟uno e
l‟altro Gracco,... intramezzati da grida di: “Viva la libertà, viva la Repubblica romana” e di:
“Abbasso il Papa!”. Tutta gente cosciente di compiere gesta immortali e vivere la piú grande ora
della storia. Una marionettata alla vigilia d‟un diluvio di malanni. Sembra che Iddio, per antica
abitudine, si diverta a togliere il senso del ridicolo agli uomini che di tanto in tanto vengono a
rinnovarci la storia. Azara, l‟ambasciatore di Spagna, scriveva che di 190.000 romani a far la
rivoluzione erano stati un cinquecento.15
Quel giorno papa Pio VI, vecchio ottuagenario e malato, avrebbe dovuto celebrare il
ventitreesimo anniversario della sua elezione al pontificato. Meglio lasciar stare, avevano
consigliato i cardinali. Non tutti i porporati avevano cuore d‟eroe, né li estasiava la prospettiva di
14
Attingo dal Cracas, nome con cui è conosciuto il Diario romano.
Cfr. PASTOR, L. VON, Storia dei Papi, vol. XVI.III, trad. P. CENCI, Roma 1955, p. 631 n. 3. Todo esto en el
fondo no ha sido más que una comedia.
16
15
consacrare il rosso della porpora con il rosso del sangue. Meglio non contrastare la bestia ed
accettare l‟ultima umiliazione, meglio e piú saggia cosa fuggirsene a Napoli, come avevano già
fatto tredici dei ventisei cardinali presenti in Roma. Il Papa, benché vecchio cadente, non si
moverà. All‟imbocco della via Appia non avrebbe udito il Signore rispondere al suo: “Quo vadis,
Domine?”,16 che tornava a Roma per farsi ancora una volta crocifiggere, come si riteneva fosse
accaduto a Pietro.
Il diciotto, domenica, mentr‟era a pranzo con ancora negli orecchi l‟eco del canto del Te
Deum innalzato in San Pietro per ringraziare Iddio che una tanta rivoluzione si fosse eseguita
senza spargimento di sangue, ed a cantarlo v‟erano stati anche dei cardinali senza il suo
permesso, gli si presentò il commissario Haller e gli intimò con brutalità di prepararsi a partire
prima di quarantotto ore. Nulla da fare, non si sarebbe mosso. Alla protesta, Haller replicò che si
poteva morire ovunque e che, se non fosse partito con le buone, l‟avrebbe portato via con la
forza. Cervone, un altro liberatore, pretendeva che si appuntasse al petto la coccarda tricolore e si
presentasse ai romani – l‟aveva già fatto Luigi XVI con i parigini! –. In cambio una pingue
pensione. Gli uomini piccoli credono piccoli anche i giganti, e risposta di gigante furono le
parole di papa Pio VI:
Io non conosco altre divise che quelle di cui mi ha onorato la Chiesa. Voi avete tutto il potere
sul mio corpo, ma non già sulla mia anima… Non ho bisogno di pensione... Voi potete ardere e
distruggere le abitazioni dei vivi e le tombe dei morti, ma la religione è eterna. Come esisteva
prima di voi, esisterà dopo di voi.17
Predoni, piú che uomini di stato. Haller pretese persino i suoi due anelli e la tabacchiera.18 Se
per affermare autorità si richiede violenza ed un cappello calcato in capo, i francesi non
avrebbero potuto scegliere persona piú adatta del calvinista Haller, uno che abbisogna di voce
grossa e fare villano per sentirsi grande. La notte sul 20 febbraio, ultimo giorno di carnevale, fu
notte di tregenda: lampi, tuoni e scrosci d‟acqua a tempesta. Alla luce di due lanterne veniva
strapazzato un vecchio cadente perché si sbrigasse a montare su di una brutta carrozza prima che
la notizia trapelasse per Roma. Anche i potenti hanno i loro momenti di paura. Ne avrebbero
fatto tosto lunga e amara esperienza cominciando da questa stessa Italia, e poi in Spagna, e poi in
Russia, e via via fino a Sant‟Elena.
I cardinali Gerdil e Borgia avevano temuto che sarebbe stato pericoloso il ricusarsi di andare a
cantare il Te Deum in San Pietro per ringraziare l‟Altissimo che una tanta rivoluzione si fosse
eseguita senza spargimento di sangue, ed avevano persuaso i porporati rimasti a Roma ad unirsi
a loro. Illusione di un giorno. Ancora una volta si compiva la profezia: Percoterò il pastore e
saranno disperse le pecore del gregge.19 All‟entrata delle truppe di Berthier, sei dei cardinali
rimasti a Roma furono rinchiusi alle Convertite, parte tentò la fuga, ma a due soltanto andò bene;
altri due, dimenticando che il rosso della porpora significa la continua disponibilità a versare il
sangue per la Chiesa, rinunciarono all‟alta dignità.20 Fu fatta pressione sugli altri perché ne
seguissero l‟esempio e si tentò persino di creare un antipapa. Ma il “NO!” del vecchio Pontefice
16
Dove vai, Signore.
M. R. A. HENRION, Storia universale della Chiesa, vol. XII, p. 288.
18 Ivi, p. 289.
19 Mt 26,31; Mc 14,27; Zc 14,7.
20 Il 21 febbraio il Diario, che fino al giorno innanzi era stato tutto per il Papa, si risvegliò giacobino. Ebbe però
il pudore di mutare la testata in Monitore di Roma, salvo poi richiamarsi Diario le ultime due settimane dell‟anno,
avendo re Ferdinando IV di Napoli cacciato i francesi, e raccontare tutte le vergognose gesta degli invasori
transalpini, per poi ricambiare testata e musica al loro rientro in città.
17
17
aveva già cominciato a proliferare altri “NO!”, poco importa se essere cardinale “NO” portava
all‟ espulsione dalla “Repubblica romana” con tanto di scorta armata. Poveri vecchi, inermi e
morti di paura, impaurivano i forti!
Se i fatti di Roma erano tristi, ben piú tristi quei di Francia. A migliaia preti, suore, ed altri
cristiani, nonché decine di vescovi, seppero affrontare la morte e sopportare carceri e
deportazioni, spesso ben piú gravi della morte stessa, mentre altri si affrettavano a rendere
omaggio alla Ragione ripudiando la superstizione. Basti un nome: il vescovo Talleyrand. Era
l‟ora delle tenebre.21
Per il vecchio Pontefice l‟arresto e la deportazione in una squallida prigione in terra di Francia
non fu che l‟inizio d‟una lunga via crucis prima di poter ripetere il suo: Tutto e compiuto22 e
morire solo ed abbandonato. Anche le esequie un insulto. L‟ufficiale municipale, accertata la
morte del detto Giovanni Angelo Braschi esercitante la professione di pontefice, aveva dichiarato
sicuro e solenne: Le ci-devant pape vient de mourir: ce sera le dernier et la fin de la
superstition!23 Quel 29 agosto 1799 sembrò proprio che avesse avuto compimento la profezia di
Cagliostro che Pio VI sarebbe stato l‟ultimo papa. In Matteo si legge che i pontefici e i farisei...
assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia.24 Anche i discepoli
credettero svanita la loro speranza, infatti non avevano ancora compreso la Scrittura secondo la
quale egli doveva risuscitare da morte, dice Giovanni. 25 Settembre, ottobre, novembre,
dicembre, gennaio, febbraio... niente piú papa, e, senza piú papa, niente piú Chiesa. Tutto era
finito. I carnefici ne erano certi, i buoni lo temevano.
Quando d‟inverno il freddo è rigido, e freddo e gelo stringono ogni cosa... e si crede che tutto
sia finito e morto... proprio allora il pettirosso si mette a cantare... Il tempo di contare fino a
quattro, e... Tout est blanc! tout est rose! tout est vert!... Il y a DIEU! il y a Dieu... qui est le plus
fort!26
Il 14 marzo 1800, mi correggo: il 23 ventôse dell‟anno VIII, perché l‟era cristiana dal 22
settembre 1792 era da considerarsi seppellita per decreto della neonata Repubblica francese – un
calendario morto impubere –, papa Pio risorgeva a Venezia. Differenza: una unità in piú: Pio VII
invece che Pio VI. “Ma la religione è eterna – aveva detto il vecchio pontefice –, come esisteva
prima di voi, esisterà dopo di voi: il regno di Dio si perpetuerà sino alla fine dei secoli”.
21
Mt 27,45; Lc 22,53.
Gv 19,30.
23 Il papa qui presente è morto, ed è stato l‟ultimo. Con lui è finita la superstizione.
24 Mt 27,64-66.
25 Gv 20,9.
26 P. CLAUDEL, Santa Giovanna d‟Arco al rogo. Sono le ultime parole della scena IX. “Tutto è bianco! tutto è
rosa! tutto è verde!... C‟è DIO! c‟è Dio che è il piú forte!”
18
22
CAPITOLO III
IL FANCIULLO ASCOLTAVA
Le prime impressioni dell‟infanzia restano piú profondamente radicate e hanno influenza
piú potente sopra tutta la vita dell‟uomo; né questo fa bisogno provare mostrandone la
verità
G. FRASSINETTI, Compendio di Teologia Dogmatica.
Le aspirazioni alla libertà, ingenite nell‟animo mio, s‟erano alimentate dei ricordi di un
periodo recente, quello delle guerre repubblicane francesi, che suonavano spesso sulle
labbra di mio padre... e della lettura di alcuni vecchi giornali da me trovati seminascosti
dietro ai libri di medicina paterni…
G. MAZZINI, Note autobiografiche.
A Genova si erano vissuti momenti peggiori. Giuseppino fu uno degli ultimi genovesi nati
liberi in libera repubblica. Una libertà di facciata, a sovranità limitata, e dai mesi contati. Un
altro Giuseppe, della confinante parrocchia di San Siro, Mazzini, nascerà cittadino francese.
Nascite cosí vicine e vite cosí diverse, l‟una e l‟altra influenzate dai racconti uditi in casa nella
loro prima infanzia.
Quando televisione e luce elettrica erano di là da venire, specie nelle case dei poveri, le
lunghe serate d‟inverno si trascorrevano in cucina al chiarore di una lucerna ad olio e del
riverbero della fiamma del focolare. Era quello il soggiorno. Lí, mentre si aspettava la cena, dopo
la recita del rosario con non pochi Pater ed Ave per i propri cari e buon numero di Requiem per i
defunti, si riempiva il tempo parlando di cose di casa e dei fatti del giorno, senza che le donne
ristessero dai lavori. Di tanto in tanto i grandi di casa tornavano ancora una volta sui fatti da loro
vissuti. Né è a dire che a Genova, in quel principio di secolo, con tutto quel che vi era accaduto
dagli ultimi anni del Settecento, mancassero cose memorabili da raccontare e tali da oscurare
persino il “sasso” di Balilla.
Alle imprese napoleoniche si aggiungevano le prodezze del Gran Diavolo, il brigante che aveva
terrorizzato la Val di Bisagno e la vallata di Fontanabuona, movendovisi da re. Da re la faceva
Giuseppe Podestà nelle valli di Sturla e Borzanasca, ed altri altrove. “Diavolo”, il 24 aprile 1801,
ebbe l‟ardire di comandare un‟esecuzione sotto le stesse mura di Genova col rito che usano gli
eserciti in guerra. Il governo mise un taglia sul suo capo, lui sul capo del ministro di polizia. Un
muoversi con pari autorità e pari dignità. Ci vorranno tre anni e mezzo per riuscire a catturarlo e
fucilarlo alle Ulivette, undici giorni prima che il nostro Servo di Dio nascesse. Aveva ventisei
anni. Morí rappacificato con Dio. Se in polizia ci fosse gente di spirito, “Diavolo” avrebbe
potuto far sua la risposta che diede ad Alessandro Magno il pirata immortalato da sant‟Agostino.
Aveva chiesto se gli pareva ben fatto infestare i mari. Con nobile fierezza rispose: “A me pare
19
ciò che pare a te infestare il mondo. Io con piccola imbarcazione sono brigante; tu con grandi
forze sei chiamato imperatore”. Commenta Agostino:
Bandita la giustizia, cosa sono i regni se non grandi piraterie? E le piraterie, del resto, altro non
sono che piccoli regni: un pugno d‟uomini, uno che comanda, un patto che li tiene stretti in
società... impossessarsi di territori... Se questo flagello riesce a svilupparsi per l‟affluire di masse e
sottomettere popoli, è riconosciuto come regno, non perché cessate le ruberie, ma per la
sopravvenuta impunità.27
Latrocini e vessazioni quelli del brigante Diavolo, latrocini e vessazioni quelli di Napoleone.
Quelli perseguibili per legge, questi fonte di gloria. Il racconto degli uni e la rievocazione degli
altri furono il filtro attraverso il quale ai fanciulli di casa Frassinetti pervennero le prime
conoscenze della storia e della cronaca. I fatti sono ciò che sono, ma diversi i modi in cui si
vivono e poi si rievocano. In casa Frassinetti quegli anni terribili erano rievocati con l‟animo di
chi ne era stato oppresso; in casa Mazzini di chi se ne era sentito protagonista e ne aveva sognato
di piú grandiosi. Le scelte dell‟adolescenza sono strettamente legate alle prime lezioni di storia
che si recepirono attorno al focolare. Nessuno è mai riuscito a liberarsi dalle impressioni che
ebbe incise nel cuore negli anni della fanciullezza. In un catechismo al popolo, tenuto dal nostro
Servo di Dio l‟ultimo anno di vita, s‟avverte come in lui fossero ancora vive le impressioni
recepite da fanciullo udendo le angherie subite da papa Pio VI e papa Pio VII:
Tutti i nemici della Chiesa di Cristo sono stati sempre gli accaniti nemici del Papa... Il Pontefice
[Pio VI] fu tratto a forza in Francia dove finí la vita... Pio VII, a forza strappato dalla sua Roma, fu
relegato per cinque anni in Savona… erano tempi cosí cattivi, che l‟essere amici del Papa, era una
specie di delitto.28
Gli occhi di chi aveva narrato a lui bambino quei tempi cosí cattivi erano pieni di visioni di
sangue ed esprimevano l‟orrore per le dissacrazioni delle cose piú sante: chiese mutate in stalle,
le campane ammutolite o condannate a sonare per celebrare i fasti della Rivoluzione, quando non
erano abbattute per farne cannoni. Frati e monache cacciati di convento.29 Dappertutto spie a
caccia dell‟uomo sospetto, ed il sospetto ritenuto delitto certo. Delitto dei delitti non mostrare
entusiasmo per i tempi nuovi. Continue requisizioni a mano armata casa per casa, sequestri,
imposizioni di “spontanei” contributi patriottici, e tasse, mentre le navi immalinconivano nel
porto sognando i tempi in cui era tutto un attraccare ed un salpare per lidi lontani. Peggiori dei
francesi i “giacobini” indigeni, feccia di gioventú, che il 22 maggio 1797 avevano aperto agli
invasori le porte della città, accogliendoli al canto del Ça ira, ça ira, les aristocrates à la
lanterne.
La Repubblica di Genova, povero vaso di coccio tra vasi di bronzo, aveva cercato di tenere a
bada i nemici di terra e di mare restando neutrale e facendo assegnamento sulla sua ancora
notevole forza economica, una ricchezza agognata dalle varie forze in campo, nessuna ancora in
27
AGOSTINO, De civitate Dei, libro IV, cap. IV.
G. FRASSINETTI, Opere…, Istruzioni catechistiche…, vol I, Roma 1906, pp. 218-219.
29 La Gazzetta il 20 ottobre 1798 tuonava: “Perché poveri frati?... potranno abbandonare il convento; rientrare
nella Società secolare... e i voti, la scomunica! Avete ragione: l‟istruzione pubblica non ha ancora fatto il menomo
progresso... La Legge però rispetta i vostri scrupoli... Dichiaro... che s‟io vedrò in società una donna, un uomo
vivere onestamente... e sentirò dire: «quello è un frate, quella è una monica», io non potrò astenermi, malgrado i
voti, l‟apostasia e la scomunica, di stimarli e rispettarli molto di piú, che tante altre monache e tanti altri frati che
hanno il velo o il cappuccio...”. Tace delle spogliazioni e violenze anche contro vecchie monache, buttate fuori di
convento. L‟anno innanzi la Gazzetta s‟era meravigliata dello stupore delle monache nel sentirsi chiamare Cittadine
dai membri del governo che le dichiaravano libere mentre le cacciavano dal convento prive di tutto. In G. MISCOSI,
Op. cit., Genova 1974, ppp. 385 e 381.
20
28
grado di appropriarsene. C‟erano poi i nemici interni: la nobiltà caduta in miseria e la borghesia
emergente che conferivano consistenza e credibilità allo sparuto gruppo dei giacobini genovesi
manovrati dal ministro di Francia a Genova. Se neutralità ed accortezza avevano assicurato anni
di relativa calma, la campagna napoleonica del 1796 era venuta a sconvolgere l‟equilibrio su cui
ancora si reggeva la Penisola.
Genova visse mesi d‟agonia, pur conservando l‟illusione di poter sopravvivere venendo a patti
con il generale irresistibile che, da buon politico, pareva volesse evitare di inimicarsi un popolo
di mercanti colpendolo nei suoi interessi e, meno che meno, logorare le proprie forze in un lungo
assedio. Ne aveva avuto abbastanza in quello di Mantova. Era la politica ad imporre a Napoleone
attesa e moderazione, e alla classe dirigente genovese il guardarsi da passi falsi se voleva
conservare il suo potere economico, sia pure con delle concessioni sulle forme. Era ciò che
temeva il partito giacobino, composto, a giudizio di Gerolamo Serra, di uomini privi di seguito,
di ingegno, di credito e di pecunia. Non restava che giocare d‟anticipo. Cosí il Serra rievoca
quelle giornate di maggio:
Numerose pattuglie per l‟una e l‟altra parte. Quelle de‟ rivoltosi miste di cisalpini e di qualche
francese giacobino, avevano per segno d‟ordine: libertà, eguaglianza, ovvero Repubblica francese,
ma le pattuglie de‟ carbonari e facchini… e quasi tutti i bottegai, pigliarono… quello di
cinquant‟anni addietro: Viva Maria!30
Il padre di Giuseppe era bottegaio e viene da pensarlo tra i “quasi tutti”. Non valse l‟adesione dei
barcaroli. Non potevano non soccombere. Fu solo una tregua di tre mesi. A settembre la
sollevazione riesplose piú terribile. Se il ceto eminente si barcamenava sperando di cavalcare la
rivoluzione e salvare le sostanze, quelli in basso, sostenuti dai parroci e da tanta parte del
patriziato, si sollevarono al grido di Viva Maria! Per tre giorni, dal quattro al sei, Genova tornò
ad essere loro e la paura mutò verso. A cinquant‟anni di distanza avevano di nuovo cacciato gli
invasori a furia di popolo. A tali racconti i bimbi Frassinetti avranno sognato d‟essere anche essi
tra la folla, sasso in mano, a gridare: Viva Maria! La sorella Paola ricordava il fratello Giuseppe
adolescente focosissimo.
La sollevazione fallí. Terribile la repressione. Carceri piene di contadini, nobili e clero. Non
bastando, si riempirono le chiese. Tribunale militare, vendette personali, fucilazioni alla batteria
della Cava. Dall‟altra parte, il legionario delle truppe volontarie Giacomo Mazzini, non ancora
padre di Giuseppe, fu citato tra i bravi che s‟erano distinti nella repressione. 31 Nel nostro
dopoguerra l‟avremmo detto un collaborazionista, un quisling. Per i nostri storici fu degno
d‟encomio.
Il popolo ferito nei sentimenti e la nobiltà mercantile nel prestigio e negli interessi, già
separati da un abisso, si scoprirono alleati contro la borghesia e tali sarebbero rimasti nel secolo
successivo. Erano spinti da motivi religiosi, patrii ed economici, alimentati ogni giorno dalle
vessazioni degli invasori e dalle ribalderie dei giacobini indigeni. Alla spietata repressione degli
insorti erano seguiti spogliamenti dei conventi, imposizioni di insopportabili balzelli e ruberie a
30
Ivi, pp. 64.71.115-116. La rivolta a cui si rifanno è quella famosa per il sasso di Balilla.
G. MISCOSI, Op. cit., pp. 368-371. Giacomo Mazzini ricoprí cariche importanti sia nella Repubblica
Democratica, sia nella Genova divenuta provincia dell‟impero napoleonico. Dai Savoia non subí discriminazioni e
poté conservare la cattedra di medicina che tenne con onore. Aveva studiato all‟Università di Pavia, una roccaforte
del giansenismo in Italia. Giansenista anche la moglie, Maria Drago, che tanto influsso ebbe sul figlio Giuseppe, da
lei affidato per i suoi studi a due religiosi anch‟essi giansenisti. V. VITALE, Informazioni di polizia sull‟ambiente
Ligure (1814-1815) in Miscellanea storica, “Atti della Società Ligure di Storia Patria”, vol. LXI, Genova 1933, p.
452. Per maggiori notizie: V. VITALE, Onofrio Scassi, Op. cit.
21
31
non finire: 60 bastimenti requisiti per la spedizione in Egitto; 400 mila lire al mese per
approvvigionare l‟esercito d‟occupazione, i crediti che avevano in tutt‟ Europa – solo con la
Francia 40 milioni – non piú esigibili, mentre loro, i francesi, reclamarono un antico credito di
due milioni.
Anche a tempi rasserenati, non erano rari sogni d‟incubo in cui si riviveva l‟inferno della
primavera del 1800: inglesi sul mare con cannoni puntati contro la città, che a piú riprese
seminarono strage; le truppe della coalizione antifrancese alle mura senza riuscire ad espugnarle;
in città Massena e 15.000 francesi che, incuranti dei 120.000 genovesi che morivano di fame
epidemia e bombe, la facevano da padroni. S‟aggiungano le fucilazioni e l‟epidemia. Nel mese di
luglio, il piú nefasto, 2706 morti, in un anno 12.492, quelli potuti contare; cento al giorno nei
periodi di maggiore moría. I prezzi alle stelle, e le iene cui non pareva vero di vivere una tale
propizia stagione. A leggere il Botta nasce il dubbio d‟aver sbagliato libro e che si stia leggendo
in Tucidide la peste d‟Atene. Girolamo Serra ci tramanda un‟altra particolarità di quei tristissimi
giorni: la morte di ottanta suore delle duecento che si erano profferte per assistere le appestate
negli ospedali. Un flagello immane, fame e peste, ma non per tutti. Se quei giorni furono gravi
anche al Foscolo, ufficiale napoleonico, al servizio di Massena, lo furono per la bella Luigia
Pallavicini caduta da cavallo:
Or te piangan gli Amori,
Te fra le Dive liguri
Regina e Diva!....
Per lei la sua pena e le suppliche letterarie alle dee dell‟Ellade. Altre le ansie del popolo
genovese. La storia del popolo è storia di lacrime. Massena, l‟eroe dell‟epica difesa esaltata nei
nostri testi scolastici, per la gente di Genova fu l‟Ammassa-Zena, l‟ammazza-Genova. I
Frassinetti erano gente del popolo, ed il popolo era persuaso che i mali si dovessero all‟empietà
di quanti si erano accaniti a travolgere la religione perdendo l‟ultimo senso di umanità. Cosí, il
tradizionale mugugno dei Genovesi assurgeva a visione religiosa della storia.
Come lontani i giorni della grande ubriacatura democratica, di cortei ed inni, di discorsi
ripieni dei nomi di Bruto, di Cassio, di Catone e degli Scipioni. I giorni del furore distruttivo nel
cancellare ogni segno che ricordasse le glorie dell‟ antica Repubblica. A celebrare in versi i
nuovi tempi pensava il padre olivetano Luigi Serra, mentre frati, monaci e monache erano
spogliati dei beni e cacciati di convento. Neppure il seminario fu salvo, benché nel mezzo del
cortile avessero piantato l‟albero della libertà festeggiandolo con danze ed accademia. Rimarrà
chiuso per quattro anni. Ovunque circoli impegnati a rieducare la plebe ottenebrata dalla
superstizione.32 Il primo nella chiesa dissacrata dei santi Gerolamo e Francesco Saverio
all‟Università. Il Regolamento tra l‟altro recitava:
14. Si procurerà l‟intervento degli ecclesiastici, donne, fanciulli e d‟altre persone bisognose
d‟essere illuminate. 15. Saranno specialmente invitati con circolare l‟Arcivescovo e i Parroci a
intervenire e a condurvi i loro parrocchiani.
L‟arcivescovo ringraziò. Troppo vecchio per frequentare corsi di rigenerazione, non cosí vari
padri scolopi che nella bigoncia del Circolo videro una cattedra piú prestigiosa di quelle dei loro
istituti. Basti per il momento di questi ecclesiastici, capitanati dal Degola, tutti devoti di
Giansenio, che si servono della Rivoluzione per combattere la Chiesa di Roma.
32 Nella sessione del 7 marzo 1799 la cittadina Paolina Bertolotto predicò dalla bigoncia le beatitudini della
nuova virtú e della nuova morale. Rieducare, rigenerare.
22
Un incipit vita nova. Via tutto il vecchio ed il superato, persino il trono del doge in cattedrale in
cornu evangelii. Bruciare ed abbattere. Eppure, quanta ridicola malacopia ed inconfessata
nostalgia dei vecchi riti religiosi in quelle carnevalate, ché parodia delle belle processioni furono
le grandiose sfilate del 14 luglio del ‟98 e del ‟99, ripercorrendone le strade, meta San Lorenzo,
ed ivi sciogliersi al canto d‟un Te Deum intonato dal cittadino arcivescovo e sostenuto con
fragore dalle bande militari e da spari d‟artiglierie: Al salvum fac populum tuum,
si ripeterà lo sparo delle artiglierie, si suoneranno tutte le campane… Quindi un energico
discorso di un oratore ecclesiastico che in breve mostrerà che i princípi della Libertà e
dell‟Eguaglianza sono basati sul Vangelo,
si leggeva nel decreto firmato da Carbonara, vice presidente, e da Lupi, segretario, sostituitisi
da se stessi ai prelati di curia nel dar ordini al clero.
Nella sfilata, aperta e chiusa da trecento soldati, erano passati cannoni, artiglieri, carri
allegorici e giovani in costume spartano. Tra gli invitati anche quei degni religiosi che vorranno
concorrere a solennizzare il giorno. E di degni religiosi c‟era ricca rappresentanza. Bene in
mostra prete Cuneo. L‟inno Sorridi amico Zefiro da cantarsi nella sfilata era del padre olivetano
Luigi Serra. Inchiodato a casa da un brutto mal d‟occhi non se ne poté beare. Si consolò col
sonetto Occhi miei non vedete in ciel sorto, chiuso con una terzina da passare alla storia:
Se il cittadin rinato in tal momento
Giunge de‟ Bruti ad emular l‟esempio:
Chiudetevi per sempre, io son contento.
Nel ‟99, dopo il Te Deum in San Lorenzo, il patriottico discorso fu tenuto dal cittadino
Corvetto. Oltre tutto s‟era scoperto che fare il patriota rendeva bene,33 mentre a non stare alle
ordinanze si rischiavano multe di 8.000 franchi, cifra astronomica all‟epoca. Ma erano in tanti a
masticare amaro, né la liturgia laica era riuscita a cancellare dal cuore dei genovesi il rimpianto
di quella religiosa.
CAPITOLO IV
33 Quando prete Cuneo avanzò le sue brave pretese di ricompense per i servizi resi alla patria, un tale gli mandò
due sanguinacci perché si ripagasse di quello versato. V. VITALE, Onofrio Scassi, Op. cit., p. 56 n. 3.
23
LE CITOYEN FRANÇAIS
JOSEPH FRASSINETTI
Con l‟ascesa di Napoleone a capo della Francia e la stipulazione del concordato con la Santa
Sede, l‟uragano parve quietarsi e la vita riprendere, anche se non era piú quella di prima, né
poteva essere. Non vi fosse stato altro, bastava l‟orgoglio ferito per la perduta indipendenza. Il
quattro giugno del 1805, Gerolamo Durazzo, l‟ultimo dei dogi, s‟era dovuto recare a Milano e
presentare a Napoleone, in quei giorni incoronato re d‟Italia, il voto nazionale con cui si
chiedeva di venire annessi alla Francia. L‟entusiasmo per un cosí felice avvenimento era solo
nella retorica ufficiale. La verità è nelle parole del Durazzo ai genovesi: “Gente mia, come
dobbiamo fare?”. C‟era solo da cedere alla forza. Napoleone accettò la supplica declassando la
Repubblica ad uno dei tanti départements. Per nove anni i genovesi avrebbero dovuto mirare le
vespe d‟oro del vessillo di Napoleone e versar sangue alla sua ombra prima di rivedere garrire al
vento, per lo spazio di un mattino, il bel drappo bianco con croce rossa.
Il 29 giugno 1805, 11 messidor, alla porta della Lanterna il maire, Michelangelo Cambiaso,
consegnò le chiavi della città a Napoleone. “Spina, cardinal arcivescovo, sulla soglia della chiesa
di San Teodoro aspettandolo, col sacro turibolo lo incensava”.34 Feste, luminarie, manifestazioni
e larga distribuzione di nastri della Legion d‟onore. 16 messidor, solenne Te Deum35 in San
Lorenzo con giuramento di fedeltà del cardinal Spina e dei vescovi dei dipartimenti liguri:
Giuro e prometto a Dio sopra i santi Evangeli, di osservare obbedienza e fedeltà al governo
stabilito... se nella mia diocesi o altrove io venissi a sapere che si tramasse alcuna cosa in
pregiudizio dello stato, la farò nota al governo.
Troppe cose tutte insieme perché il cardinal Spina potesse avvertire che s‟era impegnato con
giuramento d‟essere il delatore dei suoi fedeli. Nel canone delle messa al nome del papa s‟era
aggiunto et Imperatore nostro Napoleone. Nelle feste, a conclusione delle solenni ufficiature, il
canto Domine, salvum fac Imperatorem nostrum Napoleonem.36 La menzione durò finché durò
l‟Impero, si direbbe non troppo ascoltata da Dio. Per il momento “contento allo aver fatti servi e
veduto comportarsi da servi i Genovesi, se ne tornava Napoleone al suo imperial Parigi”.37 Scene
pietose, ma sarebbe da pessimo storico voler giudicare le cose di ieri basandosi sulle situazioni
dell‟oggi. Era gente che aveva visto la religione travolta, dissacrate le cose divine ed umane,
perduto ogni senso di umanità, né s‟era riavuta dalla paura e dalle visioni di violenza e di sangue.
Il cardinal Spina fu troppo ossequente, certo. Sarà persino dei cardinali rossi38 presenti al
matrimonio religioso di Napoleone con Maria Luigia, sacrilego per la Chiesa. Le solenni
ritrattazioni alla caduta del sovrano lasciarono viva impressione:
34
C. BOTTA, Op. cit., pp. 19.
Si noti l‟importanza data al Te Deum da questi miscredenti e che si continuò a dare anche durante tutto il
nostro Risorgimento.
36 A Milano, capitale del Regno d‟Italia, ci fu chi ne tralasciavano il nome. Il monsignor vicario intervenne
perché non fosse omesso. Non mettere il Signore in condizione di equivocare con il suo antecessore e rivale...
l‟imperatore d‟Austria!
37 C. BOTTA, Op. cit, pp. 22.
38 In contrapposizione ai cardinali neri che rifiutarono di presenziare alle sue nozze con Maria Luisa. Neri,
perché non solo si era soppressa la pensione, e fatto sequestrare i beni, ma proibito d‟uscire vestiti di rosso. I tredici
neri italiani furono confinati in Francia.
24
35
essere egli trascorso sotto il passato governo francese oltre i giusti limiti del proprio dovere... ma l‟amor
suo pei diocesani gli rappresentava per una parte l‟ inutilità di sua opposizione, e per l‟altra gli dipingeva
all‟agitata immaginazione i tanti funestissimi mali che ne sarebbero piombati sui genovesi.39
Da vescovo titolare era rimasto a fianco di papa Pio VI prigioniero, gli amministrò gli ultimi
sacramenti e ne ottenere da Napoleone la salma per riportarla a Roma. Nel riaccompagnarla fece
sosta a Genova dove gli furono celebrati solenni funerali. Ebbe poi parte precipua nelle trattative
per il Concordato. Il cardinal Spina aveva avanti agli occhi il prima e il dopo. Aveva vissuto la
fine di tutto, e poi rivisto celebrare solenni funzioni nelle chiese tornate affollate. Aveva persino
potuto riaprire il seminario. Lo spirito gallicano faceva sempre piú presa sul clero genovese, è
vero, e rimanevano in vigore matrimonio civile e divorzio, ma ai suoi occhi, e non solo ai suoi,
Napoleone era il restauratore della religione e dell‟ordine.40 Sperava che s‟andasse verso il
meglio, né si poteva pretendere tutto in una volta. Anche il Frassinetti, da studentello, non
dovette guardare Napoleone con occhi di condanna, se in una sua Selva Poetica trascrisse l‟Inno
Trionfale – Napoleone e la Pace, con in calce una nota di sua mano:
Questo componimento tradotto dal Francese, e scritto poco dopo il trattato di Tilsit, presenta una rapida
idea delle ultime battaglie ed indica lo scopo che in esse sempre ebbe Napoleone, quello di dar la pace
all‟Europa.41
La perdita dell‟indipendenza bruciava, ma, a parte l‟orgoglio umiliato, i genovesi capivano
che era meglio essere provincia francese che terra di conquista. Anzi, non pochi videro
avvicinarsi giorni di grande prosperità. Una situazione accettata prima di loro dai Fenici, per i
quali far parte dell‟impero persiano significò avere l‟accesso ad un immenso mercato. Genova,
divenuta francese, acquisiva alle spalle uno spazio che si spingeva fin nel cuore della Germania.
Del resto, Genova era da secoli indipendente quasi solo di nome e di bandiera. Avevano scoperto
che all‟ombra, o della Spagna o della Francia, si realizzavano affari d‟oro. Sapevano che da soli
non avrebbero potuto difendersi dalle scorrerie dei barbareschi, né dalle pretese dei Savoia o
degli Absburgo, che da sempre sognavano il possesso d‟un porto nella Riviera. Anche potendolo,
il costo della difesa avrebbe ingoiato le entrate del traffico. Ora i banchieri avrebbero potuto
investire con sicurezza nella sconfinata Europa napoleonica; né c‟era piú da ingoiare amaro, e far
finta di nulla di fronte alle prepotenze che l‟Inghilterra fino al giorno innanzi aveva potuto
infliggerle impunemente. Sconfitta che fosse stata sul mare, si sarebbero avuti decenni di pace e,
con la pace, la prosperità.42
G. MORONI, Op. cit., vol. LXVIII, Venezia 1854, pp. 283-284. Nel Rapporto di polizia: “Spina. Cardinale
Arcivescovo di Genova. Possede discreti talenti. È bastantemente conosciuto Napoleonista dai suoi sermoni. Dopo il
cambiamento politico fu obbligato dal Sommo Pontefice di ritrattarsi dal Pergamo. Indi fu condannato a celebrare la
messa per quaranta giorni consecutivi nelle catacombe di Roma... Non ha perciò cambiato sentimento. Appartiene
all‟ Indipendenza”, p 450-451).
40 Il n. 15 della Gazzetta di Genova, 14 febbraio 1811, riportava una lettera del parroco di San Siro, parrocchia
del Mazzini, il R. Schellembrid, ai suoi preti: “Noi ecclesiastici, tutti sudditi siamo del Grande Imperatore
Napoleone, per conseguenza, come francesi, tutti professare dobbiamo la dottrina della Chiesa Gallicana… se
scorgessi un solo sacerdote, che nella mia chiesa usasse una dottrina contraria... neppure per un momento
permetterei che sedesse nei confessionari ”. Postillava la Gazzetta: “Tali sono generalmente i principi del clero di
Genova”. La settimana religiosa, n. 46, 1895, pp. 543s.
41 G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. XXVII, pp. 88-91, in AF. Mia la sottolineatura. Nota seguita da un
disegnino a penna rappresentante un accampamento.
42 Speranza alimentata dalla Gazzetta di Genova con la quartina in francese in testata: “Quanti benefici si
aspettano i nostri aridi monti, teatro delle sue gloriose vittorie, e questo nostro porto deserto! ” V. VITALE, Onofrio
Scassi, pp. 171.199.
25
39
La nota dell‟adolescente Frassinetti, su riportata, era eco di quelle speranze, legate, viene fatto
di pensare, a ciò che udiva dal suo parroco napoleonista. L‟autunno 1805 le speranze parvero
mutarsi in certezza: 17 ottobre Ulma, 2 dicembre Austerlitz. Al ritorno vittorioso dalle acque
dell‟Atlantico dei matelots genovesi, all‟impero della terra si sarebbe aggiunto quello dei mari.43
Ma quattro giorni dopo Ulma, venne la notizia della giornata di Trafalgar. la Francia perdeva
flotta e speranze, Genova tanti suoi figli. Le scorrerie degli inglesi fin sulle coste della Riviera
creavano la sensazione che si era all‟inizio della fine.
Questione di tempo. Attendendo la fine, scelsero il dire Sí e fare No, e ci fu chi non solo fece No,
ma lo disse , come i parroci che si rifiutarono di consegnare al Maire i registri parrocchiali,
incoraggiati, sia detto a sua lode, dal napoleonista cardinal Spina. Le inadempienze erano
giustificate da chi le avrebbe dovute impedire, il Maire Agostino Pareto. Un gioco cosí scoperto
da trovarne la descrizione nelle relazioni del prefetto Bourdon al governo in cui lamentava che
tutte le riforme erano lettera morta: le scuole pubbliche ignorate dai genitori, uno il padre del
Frassinetti, lo stato civile boicottato dai parroci, i defunti seppelliti ancora nelle chiese invece
che nei nuovi cimiteri... Una resistenza passiva che rivelava la provvisorietà dello stato di cose.
C‟era solo da aspettare.
Gli ultimi fatti Giuseppino non ebbe bisogno di sentirseli raccontare. Era già tanto grande da
poterli vivere. Piú tempo passava, piú argomento s‟aggiungeva ad argomento: il porto deserto; le
continue leve con massicce diserzioni; numerose le esecuzioni capitali;44 i racconti dei pochi
tornati dalla Spagna di come fossero indomabili gli insorti nel nome di Maria; la pietà per il Papa
prigioniero a tre passi da Genova con tutto quel che si diceva gli facessero soffrire. Non si può
sfidare impunemente Dio e le scomuniche del suo Vicario. Non poteva durare. Alle notizie di
Spagna, si aggiungevano quelle della Russia: “Il freddo fa cadere i fucili di mano ai soldati...,
pare che non torni nessuno...”. Anche Giuseppino avrà sentito ripetere la frase attribuita a
Napoleone nei giorni dello strapotere : La scomunica non farà cadere i fucili dalla mano dei miei
soldati. Anche egli visse le speranze dell‟aprile 1814. La resa a Lord Bentinck, la statua di
Napoleone abbattuta a furore di popolo, la Repubblica rinata con la Costituzione del 1576 e,
finalmente, la domenica primo maggio, la messa tornava a concludersi con l‟Orate pro
Republica nostra. Ad intonare era il cardinal Spina che non conteneva il suo giubilo: “Giunse
quel giorno tanto sospirato... Sí, figli dilettissimi, ché grande è il Signore!”. Le notizie si
accavallavano: amnistia per gli imboscati, abolizione del codice napoleonico e del matrimonio
civile, riduzione delle imposte, riapertura del porto franco con lo statuto del 1763... La
Repubblica poteva accogliere trionfalmente il re Vittorio Emanuele I che tornava dalla Sardegna
a Torino e festeggiarlo per un‟intera settimana. Nessuno sospettava che il sette gennaio del
nuovo anno Genova sarebbe diventata una provincia del Regno Sardo. Poi ci furono i Cento
giorni con il Papa rifugiato a Genova dal 3 aprile al 18 maggio. Giorni di attesa e, nell‟attesa,
ogni giorno un trionfo. Il Frassinetti, da vecchio, ne rievoca il ricordo in un catechismo al
popolo:
Pio VII l‟ho veduto io stesso quando… fece i solenni Pontificali nella vicina chiesa della SS ma
Annunziata, seduto su quella medesima sedia, che ora sta in mezzo al nostro coro, e certo non è
43 Si può arguire con quale slancio quei giovani si arruolavano dal bisogno di ricorrere ai vescovi perché li
spingessero ad non imboscarsi.
44 Il cardinale Spina fu costretto a far lui da padrino di battesimo alla bimba del boia, non volendo nessuno
entrare in parentela spirituale con chi versava sangue genovese.
26
descrivibile la devozione che gli dimostrarono i genovesi. Io ero in età di dieci anni e ricordo
quanto fosse straordinaria.45
Si direbbe abbia scorto solo la figura del Papa. Non le luci mai viste prima tante, non i sedici
cardinali ed i molti prelati che gli facevano corona, non il re Vittorio Emanuele I, l‟ex-regina
d‟Etruria, la duchessa di Modena, il principe Carlo Alberto... Solo il Papa! Venne anche Waterloo,
venne la Restaurazione dell‟antica Repubblica. Amara illusione. A febbraio Vittorio Emanuele I
tornò non per ricevere un libero omaggio di cittadini indipendenti, ma l‟ossequio di sudditanza. Ad
accoglierlo alla porta della cattedrale era il cardinal Spina.46
Ma c‟era un male ben piú pernicioso e distruttivo, antecedente alla Rivoluzione francese ed
alle devastazioni napoleoniche, anzi, in gran parte, loro causa: l‟apostasia dalla cultura e dalla
tradizione cattolica. La cultura europea nella seconda metà del Settecento parlava francese, il
francese di Voltaire e degli enciclopedisti. Al dire di Manuel Quintana, anche lui di quella stessa
educazione, ma con cuore rimasto spagnolo, un solo poeta, José Iglesias de la Casa, era riuscito
in tutta la Spagna a restarne immune: ne ignorava la lingua. La luce che rischiarava l‟Europa
veniva dalla Francia: “Mangiavamo, vestivamo, ballavamo alla francese, tutto si prendeva di
Francia”.47
A parte il disappunto di vedersi ridotta a provincia dei Savoia, a Genova parve che i tristi
giorni per la Chiesa fossero passati. Il dopo pareva migliore del prima: protetta dal trono, con
principi ossequenti, guariti dalle varie forme di giuseppinismo, ossia quel voler essere loro a
fissare persino quante candele si dovessero accendere nelle varie funzioni, ed un clero non piú
infetto da tendenze gallicane, né voglioso di sottrarsi dalla soggezione al Papa. Tutte cose
seppellite, cosí parevano. La rinata Compagnia di Gesú ne convalidava l‟illusione.
Se prima dei grandi sconvolgimenti tale cultura negatrice di quanto sapeva di cattolico e si
rifaceva a Roma, aveva interessato la stretta cerchia dei letterati e dei pochi che si piccavano di
filosofia, convinti d‟essersi liberati dalle tenebre del Medioevo cattolico ed entrati nel mondo dei
lumi, ora non c‟era persona, che avesse aggiunto un qualche anno di studio alle elementari, che
non se ne facesse paladino. Non per conoscere gli scritti dei filosofi inglesi e tedeschi, o la tesi
sostenuta dal Sismondi nella Storia delle repubbliche italiane, ma perché paghi delle battute di
Voltaire e degli slogan che riassumevano le opere di Rousseau. Ne avevano d‟avanzo per credere
che la fonte d‟ogni male, in Italia anche politico, era la Chiesa di Roma, e nostra somma sventura
non aver avuto un nostro Lutero. A Waterloo tale avversario non aveva riportato un graffio.
Non so, se nei giorni che seguirono il crollo dell‟impero napoleonico, a qualcuno tornò in
mente la chiusa posta da Luca alle tentazioni del Signore: “Il diavolo s‟allontanò da lui fino a
tempo opportuno”.48 Aveva perso una battaglia per errore di tattica attaccando frontalmente.
Riprova per vie subdole che non ingenerino sospetto, infondendo un senso di pace che
G. FRASSINETTI, Op. cit., pp. 219. – Papa Pio VII, tornato a Roma, nell‟allocuzione del 15 luglio, “In niun
modo però trapassar possiamo sotto silenzio i genovesi, presso dei quali abbiamo dimorato piú a lungo... e con tutta
verità ripetiamo le parole di s. Bernardo, che loro scriveva: in æternum non obliviscar tui, plebs devota, honorabilis
gens, civitas illustris”. In G. MORONI, Op. cit. pp. 331-332.
46 Il Pareto gira l‟Europa a scongiurare di non fare dei genovesi gl‟iloti del Piemonte e di voler tener conto della
antipatia insuperabile che avrebbe impedito la fusione dei due stati. Se non si poteva far rivivere la repubblica, né
essere aggregati al Lombardo-Veneto, se ne facesse un principato imparentato ad una grande potenza. Nulla da fare.
47 Piú di sessant‟anni prima dell‟Inno a Satana del Carducci, M. J. QUINTANA aveva già celebrato il nuovo dio in
duplice redazione, A la invención de la imprenta.
48 Lc 4,13.
27
45
addormenti gli animi e li disarmi, ed a convincere il clero a porre la struttura della Chiesa a
servizio del progresso e della causa nazionale, distraendolo dal fine soprannaturale. Nessuna
negazione. Bastava porre in dimenticanza l‟essenza della religione. A questa missione si
preparava un seminarista torinese, Vincenzo Gioberti. C‟era poi da ridare spirito e lena ai tanti di
fede anticristiana rimasti sbandati, anche se colti a volte da un vago senso religioso. Grave errore
aver creduto poterlo estirpare dal cuore dell‟uomo. Andava invece ordinato a colmare il vuoto
prodotto dall‟apostasia, convertendolo in forme di vaga religiosità quali il culto della Patria, dell‟
Umanità, del Progresso, del Dovere fine a se stesso… Nessuna verità rivelata e definita, nessun
mistero, nessun precetto, nessun rito, nessun sacerdozio. A questa seconda missione pensa un
adolescente genovese, Giuseppe Mazzini, ma non in disaccordo con il Gioberti. Avrebbero
marciato separati e colpito uniti, come parve avverarsi negli anni 1848 e 1849.49 Ma a Torino
c‟erano don Lanteri, don Guala con i giovani del Convitto ecclesiastico; a Genova un professore
di “rettorica”, Antonio Maria Gianelli, ed “i ragazzi del Gianelli”. Uno il Frassinetti.50
CAPITOLO V
49 Dopo il fallimento dei moti di Genova e della Savoia... Il Mazzini scrive a Paolo Pallia, pensandolo a lui
vicinissimo: “Perché il Giob[erti] non scrive egli qualche cosa pel popolo, che si diffonderebbe da noi? Perché non
indirizzar qualche scritto ai preti e avvalorar la crociata italiana anche fra loro?”.
50 Con “i ragazzi del Gianelli” intendo indicare quel gruppo di alunni sui quali ebbe un grande ascendente
sant‟Antonio Maria Gianelli.
28
I RICOSTRUTTORI
– Su, vai. Rimetti a nuovo la Chiesa –, si sentí dire Francesco da Cristo in croce e penetrarsi il
cuore dal suo sguardo. Come aveva potuto non accorgersi che la chiesa di San Damiano era lí
per crollargli addosso? In peggiore stato agli inizi dell‟Ottocento la chiesa abbaziale di Saint
Denis.
Saint-Denis è desolazione – lamentava Chateaubriand –. Sosta di passo agli uccelli, erbacce tra
rotti marmi d‟altari, non i canti d‟un tempo, ma gocciolar d‟ acqua piovana dalle volte scoperchiate
e caduta di pietre dai muri in rovina…51
Di Saint-Denis i giacobini avevano ripieno l‟Europa. Centinaia le chiese distrutte, bruciate o
profanate per farne bivacchi di soldati e depositi di materiali. Una simile sorte era toccata alla
chiesa di San Paolo Vecchio in Genova, sita in una piazzetta dello nome su cui dava il vico dove
fra qualche anno sarebbe nato il nostro Servo di Dio. Vai, Francesco, e rimettimi a nuovo la
Chiesa. Francesco andò. Ma il Signore non aveva inteso la chiesetta dove egli pregava, ma la
Chiesa di pietre vive. Francesco non poteva supporre l‟esistenza del piano di Dio, né quanto esso
fosse grande, né che si sarebbe servito proprio di lui, di un nessuno, per attuarlo. Neppure Maria,
nella sua umiltà, poteva sospettare d‟essere stata lei la prescelta a divenire la madre del Signore.
È la storia dei santi.
Ecco, faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia.
Non ve ne accorgete?52
Ancora una volta Dio vuole servirsi di quei che sono nulla per ridurre al nulla quei che
credono di essere,53 a confusione di chi credeva la sua Chiesa ridotta a mucchi di ruderi morti.
Permette le distruzioni perché ha pronti i piani di restauro. La giacobineria di quel fine
Settecento, affannata a cancellare l‟ultimo segno della presenza cristiana, non si accorgeva che il
Signore si stava avvalendo del suo odio rabbioso per ammodernare vecchie istituzioni che si
erano rese meno adatte alla santificazione. Uno sbancamento del vecchio in vista tutto nuovo.54
Agli occhi di non pochi, e tra questi l‟arcivescovo di Genova, parve che fosse Napoleone
l‟uomo suscitato da Dio per riparare i danni inferti alla sua Chiesa. La presenza del papa alla sua
incoronazione poté far credere che il rivoluzionario di ieri si fosse convertito in difensore della
fede e che trono ed altare si fossero riappacificati ridivenendo l‟uno sostegno dell‟altro. In realtà
la cerimonia religiosa fu un puro atto politico. I fatti di Vandea, le insurrezioni al grido di “Viva
Maria” e la muta resistenza di tanta parte del clero e del popolo avevano persuaso l‟uomo
politico che non si regna sicuri se manca il consenso dei sudditi, specie se si è privi di una lunga
ascendenza dinastica, e che i popoli erano ancora timorati di Dio ed attaccati ai loro parroci.
Perciò conveniva concedere alla Chiesa tanto respiro da creare l‟impressione che lui era il nuovo
Costantino inviato da Dio a ridarle libertà e pace. Papa Pio VII, pur di ottenere un respiro ai
fedeli, aveva accettato l‟umiliazione. Anche per Napoleone, come già per l‟ ugonotto Enrico IV
di Borbone, Parigi valeva bene una messa. Ne aveva già dato un primo segno celebrando la
vittoria di Marengo con un solenne Te Deum nel Duomo di Milano. A Dio il canto, a sé gli onori
51
F.-R. DE CHATEAUBRIAND, Le génie du christianisme, parte IV, libro II, cap. IX.
Is 43,19.
53 1 Cor 1,28.
54 Ap 21,5.
52
29
propri di un monarca accolto in Duomo con baldacchino, incenso e trono in coro. Un fatto
politico, non religioso, che rientrava nel programma d‟asservimento del clero alle proprie
ambizioni. Divenire padrone dei preti, tenerli con l‟interesse, pagandoli lo Stato. In cambio
vedeva papa, vescovi e parroci divenuti suoi funzionari, a cui mandare ordinanze come ai
prefetti, esigere obbedienza, pena la rimozione ed il confino:
Non disperavo – fu udito a Sant‟Elena, – di potere presto o tardi con un mezzo o con l‟altro,
arrivare ad avere la direzione del papa, ed allora di quale influenza avrei potuto disporre della
pubblica opinione sopra il resto del mondo!
Se lo splendore del cerimoniale di corte avrebbe conferito prestigio alla nuova dinastia, la
venerazione religiosa dovuta all‟Unto del Signore, gli avrebbe assicurato la sottomissione dei
sudditi per il vincolo sacro che li obbligava ad obbedirgli sotto pena di dannazione eterna, a
pagar tasse ed ad affrontare la morte in battaglia, come insegnava quel catechismo da lui
manipolato e su cui Giuseppe, cittadino francese, avrebbe dovuto prepararsi per l‟ammissione ai
sacramenti. Edificio costruito sulla sabbia. Non era Napoleone la persona su cui Dio aveva posto
gli occhi per ricostruire la sua Chiesa. Per altra via ed in altri modi si preparava in quegli anni i
suoi ricostruttori. Uno quel bimbo genovese nato proprio nei giorni in cui il papa a Parigi si
abbeverava di umiliazioni. Ma, prima di parlare del nostro ricostruttore, perché non si dimentichi
che fu solo uno dei tanti nati in quel giro d‟anni su cui Dio pose lo sguardo, facciamo altri nomi.
Due vandeani ebbero una bimba nel nascondiglio dove erano riusciti a scampare al massacro
perpetrato dai rivoluzionari. Passa la rivoluzione, la bimba cresce e viene posta in collegio a
Tours. Una monaca sopravvissuta alla dispersione aveva riaperto in città una casa che offrisse un
asilo alle ragazze che avevano già conosciuto il male. La curiosità di sapere com‟era quell‟altro
collegio, e perché se ne parlasse sempre con mistero, non le dava riposo. Conoscerne lo scopo ed
innamorarsi d‟un tale apostolato fu tutt‟uno, né quietò finché non divenne anche lei una di quelle
poche suore dedicate alla redenzione delle giovani traviate. Ma non vi si sentiva a suo agio. Si
ripeteva per lei la parabola del vino nuovo posto in otri vecchi.55 Quel monastero era copia
conforme del vecchio. Tutto come vecchi tempi. Lo sconquasso rivoluzionario era stato un brutto
sogno. La fanciulla, nata nella bufera della persecuzione, aveva bisogno di spazio. I suoi occhi
guardavano lontano. Non capiva quel doversi fare cosí perché da secoli s‟era fatto cosí. Il male
aveva potuto dilagare, pensava, perché i nemici di Dio avevano saputo unire le loro forze. Un
giorno, per abbracciare il mondo intero, sciamò dal vecchio convento e fondò opera nuova con
nuovi criteri. Alla sua morte i conventi fondati erano 643 con 8.826 suore sparse in ogni angolo
della terra. La bimba nata da genitori sopravvissuti all‟eccidio è sant‟Eufrasia Pelletier.
Un‟altra bimba, di qualche anno piú anziana, aveva un fratello matto per lo studio e piú matto
ancora nel pretendere di travasare nella mente della sorellina, di undici anni piú piccola di lui,
tutto quello che egli andava studiando sognando il sacerdozio. Arrestato per la sua fede, fu
condotto alla Conciergerie. L‟appello giornaliero di quanti dovevano salire la carretta per essere
tradotti alla ghigliottina era diventato un rito. Il suo nome pareva uno di quei numeri del lotto che
mai si decidono ad uscire. A preparare la lista era un prigioniero, anch‟egli in attesa del suo
turno, che ogni giorno lo rimandava alla lista del domani. Quando il gioco non era piú possibile,
ci fu la caduta di Robespierre e l‟apertura della prigione. Tornato il maestro, ricominciò la
scuola. Scuola sotto disciplina rigidissima che sapeva tanto di giansenismo.56 Cosí, prima dei
vent‟anni, quando le ragazze sue compagne erano tutte beatamente analfabete, Maddalena, per la
55
Mt 9,17.
Si tratta di una deviazione religiosa che allontanava i fedeli dal Signore contro la quale il Frassinetti combatté
tutta la vita.
30
56
stranezza d‟un fratello, leggeva Omero in greco e Virgilio in latino, nonché gli scrittori italiani e
spagnoli nella loro lingua, e sapeva persino di filosofia e di teologia. A Dio serviva una grande
educatrice e se la fece preparare dalla stramberia di quel fratello. La fanciulla è santa Maddalena
Sofia Barat, fondatrice della Società del Sacro Cuore di Gesú. Alla sua morte i suoi istituti erano
piú di cento, le suore piú di quattromila. Il nome Sacro Cuore ci dice che di quel non so che di
giansenismo, respirato in casa da fanciulla, non era rimasta traccia.
Un montanaro, tardo d‟ingegno e disertore dell‟esercito napoleonico, degno perciò di
dannazione eterna, stando a quel tal catechismo, fu un altro degli arruolati da Dio all‟opera di
ricostruzione. Il Signore gli aveva preparato un disturbo che gli fece perdere il contatto con il suo
reparto in marcia alla volta di Spagna. Il sindaco del villaggio, invece di denunciarlo, lo tenne
nascosto. È la strana storia di san Giovanni Vianney, noto con il nome di Curato d‟Ars, che fu
per la Francia ciò che al dire di molti fu il Frassinetti per l‟Italia. In seminario aveva trovato un
certo Marcellino Champagnat, anche egli creduto poco adatto allo studio. Pare che il Signore
provi gusto a servirsi di materia grezza e grossolana. Ebbene Marcellino fonderà due
congregazioni religiose: i Fratelli Maristi e i Padri Maristi, che apriranno ogni dove centinaia di
scuole-contravveleno alla scuola laica derivata da Napoleone, e testimonieranno Cristo con larga
profusione di sangue. Solo nella Spagna degli anni Trenta ben 179 maristi furono uccisi per la
fede! Marcellino era nato da un mugnaio il 20 maggio 1789, due settimane dopo l‟apertura degli
Stati Generali, inizio della rivoluzione.
Un nome nostrano. Uno a cui tanto dovette il Frassinetti, Antonio Maria Gianelli. Sospettato
d‟essersi imboscato invece che correre ad immortalarsi con Napoleone sui campi della gloria, fu
acciuffato e “con una fune al collo fu condotto con altri disertori… alla caserma di Carrodano”,
scrive il Garofalo nella sua bella biografia.57 La fece franca. La grida del Maire, attaccata a tutti i
cantoni, parlava chiaro: “Il Signor Prefetto procederà irremissibilmente a dichiarare refrattarj
tutti li Coscritti che non si saranno presentati ed a farli condannare dai Tribunali”. Il Coscritto se
la vide brutta anche una seconda volta. In una lettera al Frassinetti don Revelli scriveva di lui:
Uno le cui parole erano saette. Una di quelle parole saette centrò il cuore dell‟alunno di
“rettorica” Giuseppe Frassinetti. Il professor Gianelli fu per lui ciò che per Natanaele era stato
l‟apostolo Filippo,58 e non solo per lui, ma per lo Sturla, il Cattaneo, il Magnasco, ed altri ed altri
ancora, tutta gente amica del Frassinetti che incontreremo nel corso di questo racconto. Mi
fermo, ma se ti capitassero fra mano le vite di san Vincenzo Pallotti, di san Gaspare del Bufalo –
questi due romani –, di san Giuseppe Cottolengo, di san Giovanni Bosco, del cardinal Newman e
di tanti altri ancora, guarda la data di nascita. Proprio negli anni in cui tutto sembrava essere
crollato, il Signore faceva sorgere i suoi ricostruttori. Gesú, venuto per la salvezza di tutti, parve
dare piú tempo a soli dodici che al resto dell‟umanità. È vero, purché si aggiunga: in vista dei
tutti. Li rese sale della terra, luce del mondo e lievito dell‟universo pensando all‟ultimo uomo.59 I
nomi citati sono sacerdoti, moltiplicatori di sacerdoti, religiose che consacrarono la vita per la
salvezza dei fratelli.
Adombrato il disegno di Dio nella sua opera di ricostruzione, passo a narrare la storia d‟uno
dei suoi operai, senza mai perdere di vista i compagni di lavoro, sottolineando quel che ciascuno
diede all‟altro e dall‟altro ricevette. Incontreremo nomi noti, Don Bosco, Maria Mazzarello,
Paola Frassinetti, il Padre Santo, sant‟Antonio Gianelli, e nomi meno noti, ma tutti degni di fargli
S. GAROFALO, Sant‟Antonio Maria Gianelli, Cinisello Balsamo. 1989, p. 33.
Gv 1,45.
59 Mt 5,13s.; 13,33.
57
58
31
corona in cielo, come don Luigi Sturla, il canonico Giovan Battista Cattaneo, don Pestarino, due
suoi fratelli: don Giovanni e don Raffaele, il tipografo Pietro Olivari ed altri ed altri ancora,
parecchi già elevati agli onori degli altari, come Rosa Gattorno, Eugenia Ravasco, Tommaso
Reggio, altri sulla via.
Forse al Lettore sarà parso esagerato lo spazio concesso a ricreare un‟immagine dei tempi che
il Servo di Dio trovò venendo al mondo ed in cui visse la sua puerizia. Era necessario. Giuseppe
Frassinetti non fu del mondo, ma non a guisa d‟un trappista che se ne apparta, ma di uno che
visse sempre nel mondo. Anche negli anni di formazione. Né il suo mondo fu un casolare
sperduto tra i campi come quello di Giovanni Bosco, ma Genova, e nel suo cuore. Si aggirò per
le stesse strade e gli stessi carruggi per dove negli stessi anni s‟aggirava il Mazzini. Sugli anni
dell‟infanzia e dell‟adolescenza ci fermeremo a lungo, fin quasi a dare l‟impressione d‟eccedere
la misura e non tener conto dell‟economia del lavoro. Ben a ragione il Teologo consultore del
quarto “voto”, con cui esprimeva il suo giudizio favorevole sull‟eroicità delle virtú del Servo di
Dio, lamenta: “Dagli Atti della Positio non risulta quasi nulla su questi anni [dell‟adolescenza
del Servo di Dio] che sono, invece, a nostro parere, fondamentali per lo studio delle sue virtú”. 60
CAPITOLO VI
LA FAMIGLIA FRASSINETTI
La famiglia di Giuseppe Frassinetti era originaria di Rivarolo Ligure, una parrocchia della Val
Polcevera a qualche miglio dalle mura della città di Genova. Francesco Giovan Battista , che
60
32
Relatio et vota, p. 24.
chiameremo anche noi con il secondo nome, si era unito in matrimonio il sabato 19 novembre
del 1803 nella cattedrale di San Lorenzo, parrocchia della sposa, con Angela Viale, figlia di
Paolo, un merciaio.61 Ventisette anni lui, diciotto la sposa. La portò a vivere in casa dei genitori
nella parrocchia delle Vigne al quarto piano di Casa Imperiale, n. 1298 di Vico dietro San Paolo
Vecchio nei pressi di Campetto.62 Vi trovò due sorelle del marito non sposate: Francesca, solo
per qualche anno, e Annetta che vivrà nubile in casa del fratello fino al sabato 15 aprile del 1826,
giorno della morte, a soli quarant‟anni.
In quindici anni di matrimonio Angela dette alla luce undici figli. Sei apparvero in terra il
tempo di ricevere il battesimo. Qualcuno anche d‟abbozzare sorriso. Due, Angelica e Camillo,
furono costretti a porli a balia in quel di Recco e lí seppellirli. Quei morticini non avevano vagito
in vano i pochi giorni di vita. Erano gli angioletti della famiglia, a cui spesso andava il pensiero e
spesso ne parlavano. Nel cuore della mamma erano vivi come quelli che le saltellavano attorno.
D‟ognuno aveva qualcosa da dire, d‟ognuno portava un segno ed un ricordo nel suo corpo. Erano
il suo calendario. Ogni fatto era situato prima o dopo o durante l‟attesa di questo o di quel figlio,
mantenuti vivi e presenti anche nella memoria dei fratelli sopravvissuti: la gioia del primo vagito
che ne annunciava l‟arrivo – all‟epoca si nasceva tutti in casa –; il battesimo prima che fossero
trascorse le ventiquattro ore per assicurare loro il paradiso, venendone cosí a comprendere
l‟importanza. Al loro ricordo restarono legati anche il primo incontro con il mistero della morte
ed i primi atti di fede: perché battezzati, erano certamente in paradiso con gli angeli, e già
vedevano Dio, la Madonna e i santi. La loro morte, piú che timore, a quei piccoli ingenerava un
senso d‟invidia!
Dei cinque sopravvissuti, i quattro maschi diverranno quattro santi sacerdoti, l‟unica bimba,
Paola. sarà la fondatrice delle suore Dorotee e conoscerà gli onori degli altari. Si direbbe che
mamma Angela insieme al latte desse ai figli anche vocazione religiosa e tenero affetto per la
Madre celeste, quasi presagisse doverli presto lasciare a lei affidati per non dire di no agli altri
figlioletti che la reclamavano in cielo. Per questo, man mano che s‟avvicinavano ai sei anni, li
accompagnava sul colle di Carbonara al santuario della Madonnetta per l‟atto d‟offerta del loro
cuore a Maria. S‟è già visto con che commozione il Servo di Dio rievocava a tanti anni di
distanza la cerimonia della sua consacrazione. Da Paola sappiamo che mamma Angela ebbe
anche un figlio di latte, andata incontro ad una donna che ne aveva poco. Anche lui sacerdote, e
solo lui d‟una decina di fratelli, nota la Santa.63 Nutrice d‟anime consacrate e angioli di paradiso,
mamma Angela. Tutte quelle creature da tirare su spiegano la presenza in famiglia d‟una donna
di servizio per il disbrigo dei lavori pesanti, tanto piú che le tre donne, la nonna la madre e la zia,
avranno dovuto fare anche casa e bottega.
61
Paolo Viale di Angelo era nato a Marassi nel 1751, di professione merciaio. Il 9 febbraio 1777 aveva sposato
Angela Maria Caterina Cerisola a lui sopravvissuta. Morí il 12 giugno 1812. Giovanni.Battista Viale, fratello di
Angela, lo vediamo censito in casa Frassinetti negli anni 1824-1826. Poche le notizie degli altri parenti “Viale”. Ci
sono pervenute quattro lettere indirizzate al Priore dal cugino Antonio Giuseppe Viale residente a Lisbona: vi si fa
cenno di due sue sorelle, anch‟esse a Lisbona, una superiora di suore, e di un loro cugino Giovanni. Battista a
Genova, padre d‟una ragazza di nome Giovannetta. Sembra di buona cultura, si propone di tradurre in portoghese
un‟opera del cugino, gode buona reputazione sociale, è informato di quanto avviene in Italia ed in Francia e gli parla
della situazione religiosa in Portogallo. Debbono essere gli stessi parenti per i quali Paola pone piú volte i saluti
nelle sue lettere al padre.
62 Una traversa congiungente Campetto con vico Carlone “uno di quei vicoli nei quali i raggi del sole vi
penetrano, come suol dirsi, tre volte all‟anno”,La Settimana Religiosa, Genova, XIV(1884), pp. 426s.
63 Memorie intorno alla venerabile serva di Dio Paola Frassinetti ed all‟Istituto da lei fondato, Roma 1908, p.
9. Le Due suore di Santa Dorotea autrici dell‟opera, contemporanee di Santa Paola, sono Teresa Sommariva e
Marguerite Masyn.
33
L‟ultimo nato se ne andò di cinque giorni, seguito di lí a due giorni dalla mamma. Era il 6
gennaio 1819. Angela non aveva ancora 34 anni e lasciava il marito di 43 con sei bambini:
Giuseppe di 14 anni, Francesco di 12, Paola non ancora decenne, Giovanni di 6, Raffaele di 5 e
Bartolomeo di quattordici mesi, che l‟avrebbe raggiunta in cielo nel luglio dello stesso anno.
Il padre di questi bimbi non era ricco. Non possedette mai una casa propria e dovette passare
piú volte da casa in affitto a casa in affitto. Nel 1806 si spostò nella parrocchia di Santo Stefano
al numero 930 del Vico Perera. Una via umile, di case ad un piano, scomparsa insieme ad altre
stradette per dar luogo a Via Fieschi. Gente povera, devota della Madre di Dio alla quale
avevano innalzato a metà strada due edicole, una a sinistra e l‟altra a destra, con le limosine...
Date e raccolte dalla gente pia.64 Il Frassinetti, che si permetteva di far studiare i figli maschi,
era ritenuto di condizione signorile.65 In essa nacquero Paola, Francesco e Raffaele.Vi abitarono
fino al 1815 Nell‟autunno di quell‟anno si trasferirono nella piccola parrocchia gentilizia di San
Matteo per rimanervi fino al 1823. Dal quell‟anno ne era abate Anton Maria De Filippi, di cui si
è fatto già cenno. Ignoriamo il nome della via ed il numero civico.66 Essendo la parrocchia
gentilizia di poca estensione, la casa doveva stare a ridosso di piazza san Domenico, oggi De
Ferrari, in una zona non toccata dalle successive sistemazioni. Nella piazza, proprio in quegli
anni, fu demolita la chiesa di San Domenico e costruito al suo posto il teatro Carlo Felice.67 Di lí
partiranno in seguito nuove strade verso est e verso nord, mentre gli altri due versanti saranno
risparmiati.
Se si tiene conto dell‟età in cui si ammetteva alla comunione, essendo Giuseppe sui dieci anni,
questa è la parrocchia in cui dovette riceverla, cosí Paola e gli altri fratelli. Qualche dubbio per
Raffaele che, al ritorno nella parrocchia di Santo Stefano, era sui dieci anni. Nella parrocchia di
S. Matteo dissero l‟arrivederci in cielo alla mamma, alla nonna paterna, a due fratellini ed ad una
sorellina.
Nel 1824 li vediamo di nuovo nella parrocchia di santo Stefano, ma in Rivotorbido 80, ultimo
della strada, nei pressi di Ponticello dove finiva Via Giulia, che, ampliata, sarà via XX
Settembre. Un appartamento al settimo piano sotto tetto non distante dalla vecchia casa. A questi
ragazzi non occorreva palestra per far ginnastica, bastando i gradini di quei sette piani da salire e
scendere piú e piú volte al giorno. Il Servo di Dio, anche se nato nella parrocchia delle Vigne,
dobbiamo dirlo della parrocchia di Santo Stefano dove la famiglia si trasferí quando aveva
qualche anno e, tolti gli anni di San Matteo, dimorò finché andò parroco a Quinto. Parrocchia di
Santo Stefano o, se piú piace, del Sasso, come pare fosse chiamata dai popolani, essendo a tre
Religiosa, XXXVIII(1908), Genova, p. 332, Le vie di Genova: “VICO
detta dai venditori e conciatori di pelli. Fiancheggiava un lato del
Seminario… Ivi al n. 5, – il n. 930 rinumerato col n. 5? – nel giorno 3 marzo 1809, nacque la Ven. serva di Dio
Paola Frassinetti. MADONNE: Misericordia. Statua di marmo a mezzo la via a destra a discendere... Madonna e
Bambino. Statua in marmo della Madonna col Bambino a sinistra a pochi passi… Sotto vi si leggono questi versi
scolpiti nel marmo: “L‟immagine che qui vedi di Maria / Di limosine si fece a laude sua / Date e raccolte dalla gente
Pia”… Un quartiere di povera gente che negli anni Trenta del secolo scorso fu demolito per far posto ai grattacieli di
Piazza Dante.
65 Ivi.
66 In parrocchia si conservano i registri dei battezzati e dei defunti, non però quello dello stato di famiglia dei
parrocchiani.
67 “Piú volte la Madre nostra raccontava di aver udito il padre lamentare coi buoni Genovesi, e riguardare come
un triste presagio pel nuovo governo, succeduto da poco a quello della repubblica, il cambiare in un teatro un tempio
sacro al Signore. E «comincia male.... dicevano: Carlo Felice comincia male»”. VASSALLO, Memorie…, pp. 63s. Il
teatro fu distrutto dai bombardamenti della seconda guerra mondiale e poi ricostruito.
34
64
P. LUIGI PERSOGLIO, SJ, nella Settimana
CHIUSO DI PERERA, in latino PELLERIA, cosí
passi da Portoria. Sasso quello di Balilla, sassaiola quella con cui fu martirizzato il santo.68
Anche qui, a pochi passi, un‟immagine di Maria ritratta insieme a san Giorgio in un grande
affresco sulla facciata dell‟oratorio di San Giorgin.69 Non si hanno notizie di altre abitazioni.
Divenuto il Frassinetti parroco di Santa Sabina, dopo un qualche tempo, il padre ed i fratelli
sacerdoti Giovanni e Raffaele andarono a stare con lui.70
Tutt‟altro che ricco quel merciaio con bottega a tre passi da San Lorenzo. Una botteguccia.
Poca cosa. Commercio minuto. Una vita dura, mai come allora con i mille balzelli di Napoleone,
un porto morto ed ogni anno la nascita d‟un figlio. Ma una povertà cosí connaturata71 da
sembrare lo stato della prima beatitudine evangelica. Povertà, ma non miseria. Se non possedette
una casa sua, né fu in grado di costituire una dote per l‟ordinazione dei figli al suddiaconato, né a
Paola per monacarsi, riuscí nondimeno a far studiare i quattro maschi, sia pure con restrizioni e
sacrifici. La povertà, la sofferenza e le ripetute visite di sorella Morte furono le grandi maestre di
vita per tutti e cinque quei bimbi.
Purtroppo della giovinezza del nostro Servo di Dio, cosí restio a parlare di sé e della famiglia,
non si sa molto. Poche ed avare le testimonianze nei processi di canonizzazione, rese da persone
che da giovani lo avevano conosciuto anziano o e da altre che ne avevano sentito dire da chi ne
tenne a lungo viva la memoria. Ci soccorrono in parte le testimonianze raccolte nel processo di
canonizzazione della sorella, a cui di tanto in tanto piaceva riandare agli anni della sua infanzia,
non sempre però precisa nelle date. Fonte preziosa sono anche le sue Lettere.72 Del padre Giovan
Battista sappiamo qualcosa da madre Elisa Vassallo,73 una delle prime suore dorotee, eco di
quanto aveva udito raccontare dalla figlia Paola, e, per via indiretta, da chi aveva avuto
dimestichezza con la sua famiglia. Tra l‟altro riporta una lettera del figlio don Raffaele al
benedettino genovese Placido Maria Schiaffino a cui avevano dato l‟incarico di scrivere la vita di
Paola.
“Alludendo dunque a tal sasso – ci informa la Vassallo – la Madre nostra [Santa Paola] qualche volta in
ricreazione scherzando ci diceva che ci guardassimo ben bene da lei e, atteggiando il viso a simulata fierezza: –
Badate bene, diceva, che io sono nata nella Parrocchia del Sasso –”. ELISA VASSALLO, Memorie… Cito dal
manoscritto p. 411, Roma 1894, pp.115s. ACGSD. Nel 1994 se ne è curata la pubblicazione a cura di Sr Diana
Barbosa.
69 La Settimana Religiosa, cit., XXXIX(1909), p. 464: “Via RIVOTORBIDO. Sestiere Portoria. Parrocchia di S.
Stefano. Dalla Piazza Ponticello a Via XX Settembre – all‟epoca del Servo di Dio via Giulia che, allargata, divenne
in seguito via XX Settembre –. Prende il nome dalle acque che le passano sotto quando piove e perciò torbide…
Anticamente dovevano essere allo scoperto in questa località attraversata dal ponte che diede il nome alla Piazza di
Ponticello. In questi ultimi anni [1909] fu allargata del doppio. Qui presso nell‟antica Via Giulia fino al 1862 era un
oratorio dedicato a S. Giorgio, detto S. Giorgin. Via anch‟essa scomparsa.
70 Il fratello Francesco fu parroco di Coronata nell‟immediata periferia di Genova dal 1841 al 1885, anno della
sua morte.
71 Cosa ben diversa la povertà di chi nacque e visse ricco fino al giorno in cui non ne fece una scelta. Il ricco che
si fa povero è sempre qualcuno: un san Luigi Gonzaga, da principe fattosi accattone, nel bussare alle porte di Roma
per chiedere elemosina, non poteva non leggere negli occhi di chi gli dava il tozzo di pane: – E dire che è un
principe! – Solo il povero nato povero è un nessuno. Non per niente Gesú volle nascere povero poverissimo. Ciò che
il Frassinetti scriverà della famiglia di Rosina Pedemonte, poteva affermarlo della famiglia di suo nonno, anch‟egli
padre di famiglia numerosa e di professione cuoco in Genova: “Una famiglia cosí numerosa non poteva vivere sul
guadagno del padre di professione cuoco, e sebbene le donne attendessero assiduamente a vari lavori, sentiva le
strettezze della povertà; tuttavia si conservava in condizione semi-civile”. G. FRASSINETTI, Il modello della povera
fanciulla Rosina Pedemonte, 1a ed. in Letture Cattoliche, VIII(settembre 1860) fasc. VII, Torino, p. 10.
72 P. FRASSINETTI, Lettere, Roma 1985.
73 E. VASSALLO, Memorie..., pp. 81-33.
35
68
Godo e mi rallegro che abbia accettato l‟incarico di scrivere la vita della mia cara Sorella… Da
piccola fu sempre buona, ma non fu in lei nulla di straordinario. Era ubbidiente non solo al padre e
alla madre, ma anche ai fratelli; umile, faceva con gusto gli uffici piú bassi di casa, aiutando la
inserviente. Non fu mai mandata a scuola, né a maestra; il padre e qualche poco i fratelli le
insegnarono a leggere e a scrivere. Il padre non la conduceva mai ai divertimenti del mondo, ai
teatri, perché di questi era nemicissimo, e mi ricordo che quando fu fabbricato il teatro Carlo
Felice, volendo un suo amico condurlo a vederlo di giorno, disse: Non sarà mai che io ponga il
piede in un teatro, dove prima era una Chiesa, cioè S. Domenico. Era essa pure aliena da ogni
divertimento del mondo. Amava il ritiro, non ebbe compagne. Usciva di casa generalmente alla
Festa alla mattina per tempo, e si recava in S. Stefano alla Spiegazione [e] ai SS. Sacramenti; nei
giorni feriali alla Messa, alla Comunione e alla sera alle novene. Nelle Domeniche insieme ai
fratelli la conduceva il Padre al Catechismo e dopo al passeggio nelle strade meno frequentate, e
alla state sui terrapieni del Bisagno, e alle ore ventiquattro74 sempre in casa. Non fu amante del
lusso, ma volle sempre vestimenti umili, e di poco costo… Era amante delle mortificazioni, non
cercava mai i cibi delicati, digiunava al Sabato in onore di Maria SS. e la Vigilia della Concessione
(sic) faceva il digiuno in pane ed acqua, essendo ascritta a S. Maria del Fulmine, obbligo che
avevano gli ascritti di tal digiuno in una delle principali feste di Maria...75
Ci siamo indugiati nella descrizione perché ciò che scrive della sorella, può ripetersi di
ciascuno di loro. La morte della mamma e la supplenza che ne fecero la zia e la sorella sono i
ricordi d‟infanzia rimasti piú vivi nel cuore di quei ragazzi. Ne troviamo testimonianza in alcune
loro lettere alle suore dorotee che nei giorni della scomparsa della Fondatrice si erano rivolte ai
tre fratelli ancora in vita per averne notizie.
Per quanto spinga lontano la memoria – scriveva Giovanni – non ricordo altro che, rimasti noi
senza madre (io potea avere poco piú di sei anni) la Sorella supplí assai bene alla mancanza e
continuò fino a che non ci lasciò. Alla mattina per tempo, o colla domestica o con taluno di noi in
chiesa a far le sue divozioni, anche nei giorni feriali, e poi tutto il giorno in casa a sacrificarsi pei
fratelli e pel Padre, in specie dopo la morte di una zia che nei primi anni ci fece da madre – la zia
Anna, sorella del padre –. La Sorella era ragazza di anni, ma di giudizio maturo. La madre stessa
non avrebbe potuto fare di piú….76
Una famiglia unitissima, e tale rimase finché i suoi membri furono in vita.
Ossia un‟ora dopo il tramonto del sole, chiamata ventiquattrora, secondo l‟antico uso di contare le ore da sera
a sera, o anche ora di notte, ora in cui si sonavano l‟ultima volta le campane e si diceva l‟Angelus.
75 ACGSD, Roma. Lo Schiaffino conosceva bene i Frassinetti essendo genovese ed avendo avuto il Frassinetti
per confessore. C‟è pervenuto solo un primo abbozzo del lavoro che gli era stato richiesto. Creato di lí a due anni
cardinale, e per i nuovi impegni e per la morte di lí a non molto sopravvenuta, non lo portò a termine. L‟ incarico
sarà assolto dal futuro cardinale ALFONSO CAPECELATRO, Vita della Serva di Dio Paola Frassinetti, Roma-Tournay
1900, p. 540.
76 Lettera di don Giovanni Frassinetti alla madre (Elisa Vassallo ?) in data 20 giugno 1882. ACGSD
36
74
CAPITOLO VII
MIRA QUANT’È BELLO
ESSERE FRATELLI E VIVERE UNITI77
Quest‟attacco del salmo 133 pare scritto mentre il salmista era preso da ammirazione da come
i Frassinetti fossero uniti. Una conferma nelle lettere di Paola.78
77
78
Sal 133(132),1.
Ce ne sono pervenute 28 al padre, 40 a Giuseppe, 8 a Giovanni, una a Raffaele, nessuna a Francesco, in tutto
77.
37
Nella sua ultima [al padre, il 6.1.1853, poco prima che egli morisse, gli scriveva] quasi si
lagnava che io non Le diedi notizia del risultato di Bologna; ha ragione e rimedio adesso alla
mancanza… Mi benedica… le bacio la paterna mano.79
Di lí ad una settimana. Non pensava certo che era l‟ultima lettera:
Sono stata pregata da persona a cui molto devo, di farle venire di costí quaranta palmi di velluto
in seta della migliore qualità... Quel che mi raccomando è che mi faccia buona spesa... mi saluti i
fratelli… mi raccomando per la sollecitudine e buona spesa, passo a segnarmi, Di V. S. Stim.
Aff,ma Figlia Suor Paola.80
Il padre è il suo grande commissionario. Sa di poter sempre ricorrere a lui con piú certezza
che alle sue suore. Faccia grazia di dire al fratello Giovanni..., Dica pure al Don Raffaellino...,
Dica a mio fratello Francesco..., Dica a mio fratello Priore sono espressioni ricorrenti. Il nome
“Padre” sempre con la maiuscola, cosí negli scritti dei fratelli. Maiuscola e “Lei” a lui riservati,
con qualche eccezione per il fratello Priore. Qualche rara volta le sfugge Pippo. Il nome con cui
lo chiamavano prima che salisse l‟altare? Per gli altri la minuscola, il vezzeggiativo per il piccolo
di casa: Raffaellino, che rimarrà piccolo fino tai settanta: un incapace di cavarsela da solo: “Ho
piacere che a P. Raffaele non pregiudichi il freddo della mattina, e che cominci a farsi un poco
piú uomo; veramente è un poco tardi”. Aveva 57 anni!81 Piú confidenza con Francesco, il fratello
su cui può contare, con cui fanciulla si saranno presi benevolmente in giro.
Dica anche al Sig. Canonico Lateranense e Parroco di Coronata – scrive al padre il 26 febbraio
1848 – che non piú gli ho scritto perché ancora non ho potuto ultimare l‟affare suo del gran
Cappello rosso che sí ardentemente desidera; che si faccia però cuore che nell‟ultimo Concistoro…
chi sa che non sia lui…82
Uno, Giovanni, versato nel disbrigo degli affari. Nell‟ultima lettera. “Di salute sto benissimo,
solo il freddo forte mi tiene intorpidita la mano”. Giovanni non crede. Il freddo forte era di casa
dai Frassinetti e lo avevano scoperto meraviglioso strumento di penitenza. Paola ricorda le mani
di Giuseppe sfigurate dai geloni. Una forma di penitenza che poteva scambiarsi per frutto di
stagione.83
Dallo stare [Giuseppe] tante ore nell‟inverno a tavolino a studiare soffriva molto freddo e gli
si coprivano le mani ed i piedi di geloni talmente che gli facevano piaga, con tutto ciò non volle
mai adoperare fuoco, né in altro modo coprirsi onde diminuire o liberarsi da quel dolore
incomodo.84
Andata a Roma mai le mancarono generosi aiuti del padre, di Giuseppe e soprattutto di
Giovanni ai quali va aggiunto prete Sturla, a Giuseppe piú che fratello, e perciò fratello a Paola,
la Carissima sorella in Gesú Cristo. Di tanto in tanto Paola ringrazia per i soldi che le hanno
spedito. Lo Sturla ogni anno le passava parte del reddito dei beni di famiglia, anche negli anni
79 P. FRASSINETTI,
Lettere, p. 95.
Ivi, p. 96.
81 Ivi, p. 551.
82 Ivi, p. 42.
83 Continuata da Giuseppe fino agli ultimi anni. Risulta da una lettera al vescovo di Albenga in cui si scusa di
non avergli potuto rispondere impedito dai geloni alle mani.
84 Da un documento addotto al processo dalla teste Vassallo, che attesta d‟averlo copiato da un autografo della
Fondatrice. POS.sV.SA, p. 40.
38
80
tempestosi in cui viveva rifugiato ad Aden in Arabia. Altri nomi di amici fraterni di Giuseppe
andrebbero aggiunti, su cui Paola può contare come sui fratelli e ai quali spesso si rivolge. Ciò
che era di Giuseppe era di Paola. Paola sapeva di poterne disporre:
D. Marconi mi sta appresso perché ti scriva che gli mandi una ventina di libretti intitolati La
Gemma delle fanciulle…e dieci o quindici intitolati Conforto dell‟ anima divota… Mi disse di
farteli pagare da suo fratello… io ti prego però di mandarglieli gratis perché egli si presta per noi
ed io non so come compensarlo... Giacché fai il pacco, fallo bello grosso...85
Il dono superò la richiesta: una cassa, da fare esclamare la sorella: Questa volta sei stato
proprio generoso.86 Paola non è precisa. Ci manca un anche: anche questa volta. Né il padre, né i
fratelli, né lo Sturla le fecero mai mancare l‟aiuto. In cambio avrebbero desiderato che scrivesse
piú spesso. Il padre arrivò ad insinuare che fosse per non spendere in francobolli. La figlia si
difende, ma al padre rimase qualche dubbio se la figlia, a distanza di due anni, tornò
sull‟argomento: La ringrazio della somma... Non creda che le scrivo cosí di rado per risparmio di
spesa… Ho dovuto spendere tre scudi fra dazio, porto e bollette... ho dovuto anche pagare assai
per quel vasetto del Cardinale... tre scudi...87
Un ingraziare o un chiedere? Come non aiutarla con tutte quelle spese!
La ringrazio Lei ed il fratello dei cento franchi... 88 La prego anche di dire ai fratelli che sono
stata costretta ad ordinare un quadro di S. Dorotea, che ancora non ce l‟avevamo, e che mi costerà
circa 50 scudi. Io non gli ho... che perciò mi raccomando a loro…89 Dacché hai stampati... certi
tuoi Esercizi per i fanciulli… perché non me ne mandi? Sento che fanno molto bene e che sono
tanto ricercati.90 Anche il Sig. Conte Vimercati… me ne ha domandato una copia, e forse per farli
ristampare... Il suddetto Sig. Conte ha voluto da me una copia di tutti i tuoi libretti per fare una
scelta dei piú utili e farli ristampare....91
L‟ha fatta grossa: non mandare alla sorella copie d‟un libro grandemente lodato che va a ruba!
Si noti il candore con cui parla delle edizioni pirata che se ne facevano. Una genovese che ignora
i diritti d‟autore! In quei librettini ritrova l‟anima del fratello e le molte conversazioni degli anni
vissuti insieme. . Richieste continue, fin dalla prima lettera da Roma.
Ti ringrazio dei libri che mi hai mandato: dici che il pregio della S. Verginità è poco conosciuto
e non hai veduto che Genova... Oh quanto qui starebbe bene la Congregazione del Beato
Leonardo!… I libretti, al mio confessore glieli ho dati… i rimasti li faccio leggere a quelle giovani
che ne hanno bisogno.92
Paola ha negli occhi Quinto dove, parroco il fratello, pareva che vi fosse missione tutto
l‟anno, e Genova con la sua Beato Leonardo, ossia lo zelo e la santità di quel gruppo di sacerdoti
radunati intorno al fratello. Quel fratello cosí lontano e cosí presente e punto di riferimento. A
85
P. FRASSINETTI, Lettere, pp.237s.
Ivi, pp. 242s.
87 Ivi, p. 42.
88 Ivi, p. 51.
89 Ivi, p. 93.
90 Recensiti con grande lode dalla Civiltà cattolica, 1860, serie IV, vol. IV pp. 596-599.
91 Ivi, p. 203.
92 P. FRASSINETTI, Lettere, p. 4.
86
39
Roma non si era sentita sconosciuta. Il nome del fratello le fu un apri porte. Quei libretti le
facevano da credenziale.
Nell‟ultima ti scrissi se potevi mandare dei libri intitolati: La forza di un libretto e quanto
costavano… adesso poi ti dico… si stamperanno qui, atteso che è stato giudicato un libro utilissimo
per la gioventú e si chiama da certi Cardinali Libro d‟oro... Autore che si conoscesse da persone
grandi un tal libro fu un ottimo Sacerdote, il quale per segno di gratitudine… ci ha offerto il S.
Sacrificio della Messa. Mi pare che gli scrivessi una letterina di ringraziamento.93
Ci basti questo per farci un‟idea di ciò che fu Giuseppe per Paola.
Il fratello maggiore della Madre nostra, D. Giuseppe Frassinetti, già da fanciullo… co‟ suoi
esempi ottimi, co‟ suoi consigli e poscia con la sua dottrina, contribuí non poco alla santità della
sua degna sorella, sia fra le domestiche mura, sia nella Canonica di Quinto… sia infine nell‟ardua
impresa della fondazione dell‟Istituto. E quantunque di soli cinque anni la superasse in età… la
Madre nostra lo riguardava con una deferenza e rispetto, sarei per dire filiale, come rilevasi dalle
sue parole e piú ancora vedesi in varie sue lettere.94
La sottolineatura è mia. Quella sorella, da lui formata, gli fa capire, benché fosse ancora cosí
giovane, quale aiuto poteva venire ad un parroco se avesse saputo servirsi di donne ripiene dello
spirito di Dio. Un dare ed un ricevere. Non si pensi però che siano stati sempre d‟un solo
pensiero, vedremo che non mancarono differenze di veduta sul come andava fatto il bene.95
CAPITOLO VIII
L’EDUCAZIONE DEI FIGLI
Con tale famiglia nessuna meraviglia se il padre verso il 1810, giunto Giuseppe all‟età
scolare, si ponesse il problema di dove mandare il figlio ad apprendere il leggere, lo scrivere e
far di conto. Non certo nelle scuole degli atei, e tali ai suoi occhi erano quelle pubbliche. Vi si
entrava cristiani, se ne usciva miscredenti.
1809: Wagram. L‟Austria pare piegata. Il Papa tradotto prigioniero, Roma terra francese.
1810: Napoleone s‟imparenta con una Absburgo e l‟anno appresso ne avrà l‟erede salutato Re di
Roma! C‟era solo da mettere il cuore in pace. Cos‟altro si sarebbe potuto fare?, s‟era chiesto
l‟ultimo doge. A molti, anche del clero, non dispiaceva. Ma o scio Baciccia, padre di Giuseppe,
era popolo ed il popolo pareva vaccinato ad ogni infranciosoneria e relative empietà. Francesi,
giacobini, figli portati a morire lontano, irreligione... per il popolo non faceva differenza. A
ricordarglielo c‟era ad un passo Savona con Pio VII tenuto prigioniero con tutto quel che si
93
Ivi, p. 17.
E. VASSALLO, Memorie..., pp. 89s.
95 Paola, per esempio, preoccupata del buon ordine della comunità, per le suore voleva un sol confessore, piú gli
straordinari, se possibile gesuiti, il fratello invece era per la piú larga libertà, cfr. P. FRASSINETTI, Lettere, Roma
1985, p. 145.
40
94
raccontava gli facessero soffrire. Neppure poterlo vedere da lontano e riceverne una benedizione!
Stando cosí le cose, a quale scuola mandare il bambino? Nel male un bene. C‟erano i frati
cacciati di convento dalle leggi eversive. S‟aggiravano umili, ritirati, viva testimonianza ad una
vocazione, soprattutto per l‟accettazione della miseria in cambio della povertà di un tempo in
convento. Uno frate Angelico, già francescano dei minori osservanti. S‟era messo ad insegnare
l‟abc ai pargoli ed i latinucci ai grandicelli. Di lettere se ne intendeva, dicevano, e con fama di
buon predicatore.96 Fu scelta dei genitori o dovuta piuttosto all‟aver visto nei primi giorni di
scuola pubblica il figlio tornare a casa turbato? In una istruzione del Frassinetti ai fanciulli pare
che rievochi un fatto della sua infanzia:
Una volta [Pio, Pio per io?] fu mandato a scuola da un maestro che era molto accreditato… ma
uno di que‟ maestri che non hanno religione, e perciò spacciano cattive massime contro la pietà e
divozione, contro il rispetto che si deve ai superiori, ai ministri di Dio, e alle altre cose sante. Or
bene, fin dal primo giorno in cui sentí tali lezioni… ritornato a casa disse decisamente: A questa
scuola non vado piú, perché il maestro insegna ciò che non voglio imparare... 97
Come pure sanno di ricordi d‟infanzia i suggerimenti che darà ai parroci:
Procuri di occupare nel servizio della Chiesa quei giovanetti che mostrano maggior divozione –
scriveva a don Americo Guerra –… li adoperi nei servizi delle sacre funzioni... Sarà anche bene che
promuova… l‟antica costumanza di fare altarini pei fanciulli: innocentissimo divertimento che
occupa assai i loro pensieri e li dispone da piccoli ai servizi della Chiesa.98
L‟innocentissimo divertimento di fare altarini rimase ricordo vivo anche nella sorella: “I suoi
divertimenti ordinari era fare altarini...”.99 Ormai vecchio tornerà con il pensiero ai ricordi
dell‟infanzia ed alla paziente bontà di padre Angelico nell‟insegnargli l‟abc ed i primi latinucci
per suggerire come andare incontro a quanti vorrebbero diventare sacerdoti e non possono perché
privi di mezzi:
Ho conosciuto molti sacerdoti, ora defunti, che già occuparono, e molti ne conosco di viventi,
che occupano posti importanti nel clero, i quali se non avessero potuto studiare fuori dei Seminari,
non avrebbero potuto aspirare al sacerdozio... Qualora un parroco trovi un giovinetto di buona
indole… deve mirare a coltivarne lo spirito con impegno speciale... ammaestrarli bene nelle cose
della Religione e di procurare che fossero istruiti nella grammatica latina…100
Il ricordo di padre Angelico? A padre Angelico fu dato anche l‟incarico di insegnargli il
catechismo? quello antico, genuino, tutto distillato di vangelo, non il moderno dei giacobini,
convertiti a metà, catechismo che si sarebbe dovuto insegnare per ordine di Napoleone, presente
la spia che riferisse in alto se si fossero omesse o postillate certe domande e le relative
Si ricava dalla deposizione del teste Giuseppe Chiola, che da giovane aveva frequentato il Frassinetti: “So che
il Frassinetti cominciò i suoi studi sotto il tirocinio di certo Padre Angelico, francescano secolarizzato… Io lo
avvicinavo per avere qualche saggio di eloquenza e di letteratura. Soleva lamentarsi dello scarso profitto di certi
scolari, e mi pare che vi contrapponesse l‟esempio di altri tra i quali il Frassinetti”, POS.sV., p. 24. Essendo il
Chiola nato il 4 febbraio 1849, non poté avere di simili interessi prima del 1863/1864, quindi il padre Angelico, già
sacerdote, nel 1810, doveva esserlo da poco. Del padre Angelico parla pure il Fassiolo: “Primo suo maestro fu il P.
Angelico che faceva scuola privata in tempo della soppressione”, Op. cit., pp. 15s.
97 G. FRASSINETTI, Esercizi spirituali pei giovinetti…, Genova 18654, pp. 97-98.
98 ID., Sulla deficienza delle vocazioni allo stato ecclesiastico – Lettera a don Americo Guerra, 1a ed., Lucca
1867, p. 19.
99 POS.sV, SA 2, p. 34.
100 G. FRASSINETTI, Sulla deficienza..., pp. 7-8 e 6-7.
41
96
risposte.101 Si sarebbe dovuto. Non tutti i furono fedeli esecutori degli ordini di un imperatore,
immagine di Dio in terra, che teneva il Papa prigioniero, né mancavano genitori ed un padre
Angelico che facessero ai bimbi l‟anti-indottrinamento. Il suo parroco, don Tagliafico,102 era in
fama di Napoleonista, ma non è detto che seguisse in tutto il suo Napoleone.
A Giuseppe Mazzini, il vicino di casa, mancò tale vaccinazione. Non l‟umile padre Angelico,
ma un parroco che, perché suddito del Grande Imperatore Napoleone, si sentiva per
conseguenza in dovere, come francese, di professare la dottrina della Chiesa Gallicana fino a
non tollerare neppure per un momento che un solo sacerdote di dottrina contraria alle
proposizioni della Chiesa gallicana sedesse ne confessarii della chiesa a lui affidata. Questo il
parroco. Per educatori il Mazzini ebbe severi ed ardenti giansenisti, scelti tra quei santi dottori
tanto apprezzati da una madre tutt‟orecchi agli insegnamenti d‟un Eustachio Degola, prete
giansenista, gran nemico della corte di Roma.103 Ne completava l‟educazione la biblioteca
paterna piena di scritti di Voltaire e Rousseau, i briseurs d‟idoles, e di vecchi giornali dell‟epoca
rivoluzionaria e napoleonica. La sorella Antonietta attribuiva proprio a tali letture giovanili la
perversione religiosa del fratello.104 Vuol dire tanto avere avuto o non avere avuto nella
fanciullezza santi genitori ed essersi incontrati con un padre Angelico invece che con un don
Giacomo De Gregori.
Non siamo in grado di dire quando Giuseppe abbia ricevuto la prima comunione. Che vi si
accostasse con grande devozione si arguisce , già vescovo di Savona.105 Conservò pure
un‟immagine avuta dal padre neldalla cura con cui conservò tutta la vita una coroncina avuta in
regalo. La cresima gli fu conferita alle Vigne il 9 aprile 1817 da Domenico Gentilela sua
primissima infanzia e a noi giunta. Vi è una fanciulla in ginocchio, circondata da croci, racchiusa
in un ovale cui fanno da cornice due rami di spine, con la scritta: Vous n‟avez pas encore résisté
/ jusqu‟à répandre votre sang.106 Nel retro, sotto una preghiera, anch‟essa in francese il
Frassinetti, già parroco di Santa Sabina, scrisse: Dono primo del mio Padre / Giuseppe
Frassinetti Priore. Fu conservata con tanta cura perché ricordo del padre, certo, ma anche per
quel che rappresentava e quel che vi si leggeva. Chissà quante volte ne ripeté la preghiera scritta
nel retro. Si direbbe che in essa abbia trovato la prima ispirazione di vedere in Gesú Cristo la sua
regola di vita:
In mezzo agli strumenti del vostro supplizio – vi si legge –, degnatevi, mio Dio, di gettare su di
me uno sguardo di misericordia. Tra le prove d‟una vita travagliata, innalzerò ogni giorno a voi il
mio cuore. Vegliate su di me dall‟alto del cielo, allontanate da me il nemico della mia salvezza…
Divino Gesú, prostrato innanzi alla vostra Croce adorabile, io benedirò colui che mi ha riscattato a
101
Dalla Gazzetta, n. 65, 1807. Nelle parrocchie si faceva apprendere il catechismo napoleonico, avendo il
cardinale mandato ai parroci copia dell‟autentica versione del Catechismo per tutte le Chiese dell‟Impero al quale
dovevano attenersi per l‟istruzione del popolo. Cfr. La settimana religiosa, Genova, XXV(1895), n. 2, p. 16.
102 Tenne la parrocchia dal 1811 per oltre vent‟anni. Il 5 ottobre 1832 il Frassinetti gli indirizzò una lettera da
Quinto. Era quindi ancora vivo. Cfr. La settimana religiosa, Genova, I (1871), n. 35, p. 298.
103 Cfr. E. GUGLIELMINO, Genova dal 1814 al 1849, Genova 1940, p. 20, n. 3.
104 G. OLMI, Autobiografia, Genova, 1907, pp. 73s.
105 Trascorreva a Genova gli anni della vecchiaia. Nel rapporto di polizia al governo sardo, mons. Gentile,
d‟anni 82, è posto tra i “Soggetti per le gran Croci” che si sarebbero dovute conferire per cattivarsi la simpatia dei
genovesi divenuti sudditi del monarca piemontese, V. VITALE, Op. cit., p. 434. Morí quasi novantenne il 27 marzo
1822, cfr. La settimana religiosa (XXVII), Genova 1897, p. 412.
106 Parole prese dalla Lettera agli Ebrei, 12,4.
42
prezzo del suo sangue prezioso… O mio Salvatore, che siete stato crocifisso per me, io voglio
sempre riporre la mia felicità e la mia gloria nell‟imitarvi e rassomigliarvi.107
C‟è il condensato della sua spiritualità come l‟espose nel Religioso al secolo gli ultimi anni
della vita, avvalorandola con l‟autorità d‟un santo, nel caso, di san Giovanni della Croce.108 Non
avete resistito fino a versare il sangue, dovette essere il suo ritornello quotidiano quando le mani
piagate di geloni gli impedivano di scrivere o ostilità e prevenzioni gli rendevano l‟aria di
Genova irrespirabile.
Non crederei bene di lasciare la mia Parrocchia e altre opere che ho alle mani per sottrarmi a
quella specie di persecuzione che non sono solo io a soffrire – rispondeva al vescovo di Albenga
che lo invitava a passare nella sua diocesi –. Tuttavia, se questa specie di persecuzione si facesse
tale da impedirmi veramente di fare quel poco di bene che posso, io ringrazio la Divina
Provvidenza che abbia ispirato a V. S. Illma e Revma quei sensi cosí benevoli a mio riguardo.109
Non aveva resistito fino al sangue, poteva durare, e durò il resto della vita.
Di “Pippo” frate Angelico era contento. Era di quelli che s‟additano ad esempio e lasciano nel
maestro un ricordo che non si cancella. Appassionato dello studio, tutto casa e chiesa, e
passeggiate fuori porta le domeniche e dí di festa insieme ai genitori, i fratellini e la sorellina. Un
peccato metterlo in bottega, deve aver ripetuto padre Angelico chissà quante volte a mo‟ di
ritornello. La sua inclinazione allo studio per farsi sacerdote era evidente. Andava quindi
assecondata. Gli aveva insegnato quanto sapeva. Per la “rettorica”, la filosofia e la teologia
occorreva il seminario.110 Le difficoltà avanzate dal padre per poterlo mandare in seminario
dovettero essere rimaste negli orecchi del ragazzo: Certi poveri padri… non possono
assolutamente pagare neanche la pensione assai modica; né possono sobbarcarsi alla spesa
notevole degli abiti che si richiedono per l‟uniforme... e di altri abiti per quando ritornano alle
loro famiglie.111
AF. I puntini sono nell‟originale.
G. FRASSINETTI, Il religioso al secolo, Genova 1864, pp. 12s.
109 AF, Manoscritti, vol. 9.
110 L‟Olivari ed il Capurro, anticipano di due anni la scelta del seminario facendoglielo frequentare fin dal corso
di umanità, qualcosa come il nostro vecchio ginnasio superiore, ma ad entrambi è sfuggito ciò che il Frassinetti
attesta di se stesso parlando del seminario genovese: “Io non posso parlare dei secoli trascorsi; ma posso parlare
dall‟anno 1820 [= 1819-1820], nel quale sono andato nelle scuole del Seminario per studiarvi Rettorica”. G.
FRASSINETTI, Sulla deficienza..., 2a ed. postuma con note dell‟Autore, Oneglia 1870, nota b) p. 35. Resta quindi
accertato che non frequentò le scuole del seminario prima di tale data. Non siamo in grado di dire con chi abbia
svolto privatamente il corso di grammatica prima e seconda, detti pure grammatichetta e grammatica, corsi aggiunti
nel seminario solo nel 1818, troppo tardi quindi perché ne avesse potuto beneficiare, né con chi i corsi di umanità
minore e maggiore prima di accedere alla scuola di “Rettorica”. Tutto con padre Angelico? Passò da altri? Tenne il
Rebuffo anche scuola privata di umanità ed ebbe alunno il Frassinetti? Non se ne ha memoria. Il silenzio del
Fassiolo fa pensare che padre Angelico, l‟unico ricordato da lui e da altri, lo abbia accompagnato dall‟abc fino alla
scuola di retorica.
111 Ivi. La pensione annua in seminario, compresa la scuola, ma non le altre spese, era di £. 500. Una cifra
enorme per la famiglia Frassinetti. Quattro figli in seminario, sarebbe salita a £.2.000! Per il Gianelli, benché accolto
a metà retta, il padre dovette vendere delle proprietà. Salvatore Magnasco, il futuro arcivescovo di Genova, avrebbe
dovuto smettere gli studi se a suo favore non fosse intervenuto il Gianelli, A. GIANELLI, Lettere, Op. cit., vol. I, p. 5.
Gli alunni esterni – è il caso dei Frassinetti – dovevano pagare solo il “Minervale” per la scuola consistente in 20 lire
genovesi portate poi a 25 (rispettivamente franchi 16 e 20), sempre annui. Per farsi un‟idea della enormità della
spesa, riporto gli stipendi annui del 1811-1812 dal “Registro Amministrativo” del Seminario di Genova: Medico per
suo onorario £. 50, Chirurgo £. 55, Maestro di canto £. 100, Portinaio £. 96, Cuoco £. 144 – il nonno del Frassinetti,
43
107
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Non sempre poi un fanciullo trovava in seminario una pietà piú calda di quella respirata a casa
sua.112 Una soluzione c‟era: mandarlo in seminario come esterno. Un sacrificio non proibitivo.
Fu la scelta migliore anche per un altro motivo che il padre Angelico si sarà tenuto per sé. In
quegli anni di sconquasso il seminario genovese aveva un internato in piena decadenza. Sarà
riportato su, e a grande splendore, dal Cattaneo.113 Oltre a queste ragioni ci dovette essere anche
un‟altra che si può arguire dalle date: il giovane Frassinetti si iscrisse a “Rettorica”, nell‟autunno
del 1819. All‟inizio dell‟anno gli era morta la mamma, lui, il primo, quattordici anni,
Raffaellino, l‟ultimo, sei, il padre in bottega, la zia corri di qua e corri di là, la nonna settantenne
– morrà il 30 maggio dell‟anno dopo –, entrato convittore, chi avrebbe dato un sguardo ai tre
fratelli minori ed alla sorellina di dieci anni? Una scelta dettata dalle contingenze, ma che era nei
disegni di Dio: educarlo al servizio pastorale offrendogli come tirocinio l‟educazione dei fratelli
e della sorella, in aggiunta a quella del suo primo maestro, uno che viveva frate nel secolo perché
impedito di vivere frate in convento, vita che egli stesso ed i suoi vissero in quella casaconvento. Se ne ricorderà da parroco, quando si incontrerà con giovani e ragazze che avrebbero
abbracciato con gioia la vita religiosa se non ne fossero stati impediti chi da una ragione chi da
un‟altra. Ripensando quei tempi, scoprirà che i consigli evangelici si possono vivere anche nel
mondo, e persino in forma piú piena. Se per entrare in convento erano mille le difficoltà, non ve
n‟erano per vivere religioso al secolo o monaca in casa.114
anch‟egli cuoco, con una cifra piú o meno identica, dovette camparci una numerosa famiglia! –. Sottocuoco £. 96.
La stessa cifra ai camerieri. All‟uomo grosso £. 36! Ai professori – il ruolo del Gianelli – £. 300, ACGSG, Notizie
storiche raccolte negli archivi..., primo periodo, pp. 75-77. Per i complessi creati dall‟uniforme nell‟animo degli
adolescenti si confronti il romanzo di G. RUFFINI, Lorenzo Benoni, versione italiana di B. MAFFI, Milano 1952, pp.
19.101. Il Collegio Reale, tenuto dai somaschi, se lo potevano permettere solo i ricchi. Eppure, benché ricco,
l‟avvocato Bernardo Ruffini, all‟uscire del figlio dal collegio, non se la sentí di fargli un secondo abito borghese.
Nei giorni feriali andava bene l‟uniforme del collegio un po‟ arrangiata.
112 Fa osservare che tanti genitori, Vedendo che la pensione ecclesiastica è assai minore di quella di tutti i
collegi secolari, preferiscono di mandarli in Seminario, qualunque sia la vocazione dei loro figliuoli... [perciò i
seminari] sono tosto pieni di alunni di ogni vocazione, anche secolaresca. G. FRASSINETTI, Sulla deficienza..., p. 35.
113 Nel 1854 il nuovo vescovo, lo Charvaz , cosí poco addentro alle cose di Genova, tolse la possibilità di essere
seminarista esterno. Cosa criticata dal Frassinetti: “Nella nostra diocesi, da due secoli che conta il nostro Seminario
fino ad alcuni anni sono, non si erano giammai costretti i chierici ad entrarvi… Io… posso parlare dall‟anno 1820,
nel quale sono andato nelle scuole del Seminario per studiarvi Rettorica, fino al 1854, epoca del cambiamento…
Non temo asserire che in questi trentaquattro anni, come riuscivano buoni preti certi alunni del Seminario,
riuscivano buoni preti tanti altri che soltanto ne frequentavano le scuole… anzi non temo asserire, parlo ai viventi, ai
contemporanei i quali potrebbero dare una smentita, che la gran parte dei piú cospicui del clero, non fu dei convittori
del Seminario”, G. FRASSINETTI, Sulla deficienza..., pp. 34s. Si confronti pure P. TACCHINI, Sopra i documenti
inseriti nella “Notizia biografica volgarizzata di mons. Andrea Charvaz” – Nuove osservazioni al can. Enrico
Jorioz, Genova 1872, pp. 53-61, in cui si difende l‟antica usanza. Il Frassinetti cercò di porvi rimedio dando inizio
all‟Opera dei Figli di S. Maria Immacolata.
114 Sono i titoli di due suoi libretti.
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CAPITOLO IX
EDUCANDO I FRATELLI
EDUCAVA SE STESSO
Nelle famiglie numerose al primo figlio si dava di piú ed il meglio col patto tacito che poi
aiutasse a tirare su i piú piccoli. La prima cosa che si apprendeva era che ci sono anche gli altri,
cominciando dal vestitino nuovo fatto al primo da conservare nuovo fino a quando non gli
sarebbe piú andato, per passarlo nuovo al secondo e questi al terzo, finché non arrivava
all‟ultimo rivoltato dalla madre,115 logoro sí, ma arricchito di calore. Cosí i libri. Fu cosí anche in
casa Frassinetti. In tali famiglie l‟ascendente del primo è enorme. Credete ad uno nato
undicesimo. Si vede in lui un quasi padre, e tale si sente. Giuseppe, primogenito, si trovò ad
essere studente e maestro dei fratelli. Aggiungasi che era la persona istruita di casa e per tale
tenuto in considerazione anche dal padre.
Quattro fratelli ed una sola sorella. Tra il primo e l‟ultimo poco piú di otto anni di differenza.
Paola in mezzo. Di mandarla a scuola neppure a parlarne. Del resto, all‟epoca la scuola per le
fanciulle, ben distinta da quella per i maschietti, consisteva per lo piú nell‟apprendimento del
catechismo, lavori di ricamo e quant‟altro occorreva per condurre la famiglia una volta sposate.
A leggere si insegnava a chi proprio lo richiedeva, e non si andava oltre il manuale di pietà e le
115 E. VASSALLO,
Memorie intorno..., Op. cit., p. 11.
45
storie dei santi. Lo scrivere lusso di poche.116 Un‟educazione ordinata alla vita che le aspettava.
Non c‟erano moduli da riempire, non code agli uffici, né da scrivere al figlio soldato o parenti
lontani, sconosciute com‟erano emigrazione e coscrizione obbligatoria, eccettuata la parentesi
napoleonica. Non per questo erano ignoranti come si potrebbe credere. Ciò che non
apprendevano con gli occhi, l‟apprendevano con gli orecchi. Paola a casa è tutt‟orecchi ai
discorsi dei quattro fratelli che studiano. Sui loro libri, e con un po‟ d‟aiuto or di questo ed or di
quello, impara a leggere e a scrivere e, soprattutto, non perde una parola delle loro dispute…
d‟alta teologia. Le biografe raccontano:
Ma se la nostra Fondatrice non ricevette veruna cultura letteraria, ebbe però agio d‟acquistare
molte utili cognizioni ascoltando nel suo modesto silenzio le conversazioni che avevano luogo ogni
giorno a tavola tra il padre e i fratelli, specialmente Giuseppe, il quale tutto immerso nei suoi studi
prediletti… portava quasi sempre il discorso sopra argomenti sacri di dommatica, di morale e
simili. “Io – raccontava la Madre –, sola donna, in mezzo a cinque uomini, nei discorsi dei quali
non mi era facile entrare: me ne stavo dunque zitta ed ascoltavo con piacere ciò che dicevano,
particolarmente mio padre e il fratello maggiore; ed è cosí che ho imparato tante cose che non avrei
mai potuto sapere”.117
Fratello maggiore e maestro con tanto di abilitazione ad insegnare conferitagli dal suo . Il
“Lettore di Rettorica” come allora si diceva, usava dettare ai suoi alunni un Ristretto di Precetti
Rettorici. Piú che regole per ben comporre, un trattato di metodologia arricchito di consigli di
come formarsi una buona cultura a cui attingere per il ministero della parola e di come porgerla
ai fedeli. Il nostro professorino non poté non aguzzare l‟orecchio nel sentirsi dettare:
Mi lusingo di non andar ingannato [affermando] che l‟insegnare è un mezzo de‟ piú acconci a
perfezionarci in qualunque arte o mestiere. Non potendo insegnare bene agli altri quello che
ignoriamo noi stessi, o che bene non intendiamo... Delle cose onde io vi vado istruendo, la piú gran
parte la devo a voi... Non è sempre necessaria una cattedra: co‟ parenti, cogli amici e co‟ poveri
potete avere ben mille occasioni di esercitarvi non meno con vostro che con loro vantaggio.118
A Giuseppe la sorte gli aveva offerto nella sorella e nei fratelli la sua scolaresca per potersi
esercitare con suo e loro vantaggio. Che Paola fosse la sola donna in una casa di cinque uomini
non è vero. Morta la madre, ancora per un anno e mezzo visse con loro nonna paterna e, fino al
15 aprile 1826 la zia Anna. Dal 1812 ebbero sempre una persona di servizio. È credibile invece
che fosse la sola delle donne di casa che si interessasse ai discorsi dei cinque uomini. Per le altre
erano discorsi d‟uomini, privi d‟interesse per una donna. L‟esempio del Signore che aveva fatto
discepole d‟alta teologia la Samaritana e Maria di Betania119 non era tra i piú additati
all‟imitazione nelle prediche domenicali. Che Paola a tavola stesse zitta ad ascoltare è credibile,
ma che, uscito il padre, non ponesse domande, ne dubito. All‟occorrenza non le mancava la
rispostina con un tantinello di impertinenza. Anziana, la rievocava compiaciuta alle sue suore:
Un‟idea di cosa si insegnava alle fanciulle dalle Maestre Pie della Venerini in Avvertimento preliminar degli
Esercizi che si praticano in Viterbo..., Roma 1718.
117 E. VASSALLO, Memorie intorno..., Op. cit., p. 11. Se ne ha una conferma in una lettera del fratello Raffaele:
“Non fu mai mandata a scuola, né a maestra; il padre e qualche poco i fratelli le insegnarono a leggere e a scrivere. “
ACGSD, Roma.
118 A. GIANELLI, Ristretto dei Precetti Rettorici, p. 53. Manoscritto, ACGSG.
119 Gv 4,5-29; Lc 10,38-42.
46
116
Chiestole un giorno dal fratello maggiore perché si alzasse cosí di buon‟ora… si ebbe in
graziosa risposta: “E non rammenti tu come solamente quelli che prevenivano il levar del sole
raccoglievano la manna?”.120
Risposta che fa anche da spia dei discorsi che il fratello teneva in casa. Paola ed i fratelli
vogliono sapere e capire. Che faticaccia far capire le parole difficili dei suoi testi latini e le non
meno difficili dell‟italiano tutto leccato che s‟usava a scuola come voleva lo stile dell‟epoca.
Ripetere a scuola quello che andava studiando non gli costava gran che: la lingua con cui gli
insegnavano era quella con cui le riesponeva. Un linguaggio tecnico, da iniziati, di preferenza
latino. Linguaggio di cui quella sorellina di purissima lingua genovese, sestiere Portoria, non
comprendeva parola. Non era pane per denti di donne. La zia e la nonna avranno anche
mugugnato che se ne stesse lí incantata invece che aiutarle a sfaccendare. Anche gli apostoli si
meravigliarono di Gesú che parlava di cose altissime con una donna, la Samaritana, e Marta
mugugnò forte contro quella sua sorella Maria che, invece d‟aiutarla, se ne stava beatamente
seduta ai piedi del Signore.121 Ma avevano tanta fame delle cose di Dio! Ed ecco il fratello a
tradurre il suo latino in un italiano latinoso del pari incomprensibile, ed infine in un italiano da
sembrare quasi genovese, e non solo per la cadenza. Un vocabolario ridotto alle parole d‟uso
comune. Elementare. Nessun barocchismo. Via tutti i per se, i per accidens e i secundum quid.
Non comprendono ancora, e lui a limare e limare finché il concetto si è fatto chiaro e persuasivo,
senza nulla perdere della ricchezza di contenuto del testo latino. Non ne ha consapevolezza, ma
quei fratelli lo costringono a rendere chiaro a se stesso quello che va studiando e riesporlo con il
tono con cui si conversa in casa. Cosí Iddio andava addestrando quel suo ricostruttore fornendolo
di quel linguaggio semplice chiaro e penetrante che gli riempirà la chiesa di fedeli e farà andare a
ruba i suoi libri. Un italiano che pareva un po‟ sciatto, persino al suo vecchio professore di
lettere, ormai vescovo a Bobbio, e gli raccomandava: “Vi pregherei ad aver pazienza nello
scriverla la storia ecclesiastica onde limarla un poco piú”.122 Ed al canonico Cattaneo, come
fosse ancora in cattedra a correggere i loro temi, mette a raffronto lo stile un po‟ sciatto del
Frassinetti con quello leccato del Barabino: Mi compiaccio che avremo in Barabino uno scrittore
di cose purgatissime; ma bisogna fargli trattare argomenti che le vogliano... voi che comandate
direi faceste in modo che Barabino si tenesse piú alla semplicità e candidezza del Frassinetti… e
il Frassinetti ritoccasse e ripurgasse un po‟ meglio le sue; oppure (e sarà la piú sicura) che
Barabino rivada ritoccandole.123
È il vecchio insegnante che parla. Cattaneo, Barabino e Frassinetti erano stati suoi alunni. Ad
un secolo e mezzo di distanza, il Frassinetti si legge come avesse scritto ieri, quei che all‟epoca
godevano fama di buona penna e forbita eloquenza si riescono a leggere solo se vi si è
condannati per motivo di studio.124
120
E. VASSALLO, Memorie intorno..., p. 11.
Gv 4,27; Lc 10,42.
122 A. GIANELLI, Lettere, vol. 5, Roma 1978, p. 7, n. 1035. Gli originali citati in questo capitolo si custodiscono
nell‟AF.
123 A. GIANELLI, Op. cit., vol. IV, pp. 23-24.26. La storia ecclesiastica, a noi pervenuta e conservata nell‟AF,
Manoscritti, vol. 2, cm 21x31, pp. 739. Non portata a termine.
124Un esempio dall‟elogio funebre che gli tenne il can. Filippo Poggi, suo compagno di studi ed oratore di buona
fama: “Se dopo la sentenza al peccatore Adamo intimata, inevitabil divenne la dura necessità del morire, cotalché né
gagliardia di complessione, né splendore di natali, né copia di ricchezze, né eccellenza di ingegno, né vastità di
sapere, né finalmente la stessa santità di costumi siano valevoli od a sospendere il decreto, o ad indugiarne
l‟esecuzione; d‟onde vien mai, Ascoltatori prestantissimi, che nella morte di un uomo per virtú e dottrina
ragguardevole, tanti gemiti ascoltinsi e tanti sospiri, e tante si levino al cielo affannose querele?”, F. POGGI, Della
47
121
Spesso le delusioni sono salutari. In quel primo anno di “Rettorica” il suo Gianelli gli aveva
assicurato la corona per il bel versificare latino. A quindici anni un‟alcaica! L‟ode latina gli fu
pubblicata, ma la corona andò ad un altro. Non sempre nell‟aggiudicare i premi il consiglio dei
professori guarda il merito ignorando di chi uno sia figlio, ed il Gianelli non aveva potuto
insistere. Giuseppe ha capito che il riconoscimento che conta è quello di lassú. Continuerà a
studiare difficile, ma per ridonare ad altri in forme facili quel che va man mano conoscendo,
pago di dare maggior gusto a Dio, per usare un‟espressione a lui cara. Solo se i concetti sono
chiari, si può esporli con parole semplici e naturali. Ma quanto san Tommaso, quanto pensiero
dei padri, quanta conoscenza dei grandi teologi e del magistero della Chiesa, a tacere della
Scrittura, si intravede in quel suo dire colloquiale se si ha una qualche dimestichezza con i testi
dei grandi! Ne è prova la larga citazione di fonti in una lettera al vescovo per giustificare un suo
scritto. C‟è gente che non avverte l‟aria se non l‟investe il vento.
Veicolo alla fede è la parola,125 ma come si può percepire se essa suona incomprensibile
all‟orecchio? Suono che si perde nell‟aria. In Paolo si legge che se la tromba dà suono confuso, il
soldato non sa entrare in battaglia.126 Il Frassinetti, aiutando i fratelli, ha scoperto che agli altri
non sempre è chiaro quello che a noi è chiarissimo. Parroco non presumerà che tutti gli uditori
capiscano l‟italiano fiorito ed artificioso di moda sui pulpiti. Sa che un buon numero di genovesi
comprende bene solo il genovese, perciò la domenica pomeriggio farà i suoi catechismi in
genovese,127 nel genovese delle erbivendole, sceneggiandoli: lui, il maestro, il fratello don
Giovanni, l‟ignorante. La natura burbera di Giovanni rendeva convincente la parte dello zoticone
duro a capire.128 Sparsa che se ne fu la voce, Santa Sabina rigurgitò di gente d‟ogni parrocchia.
Si sarebbe fermata lí l‟intero pomeriggio a sentirlo, se il Priore non si fosse ostinato a non
oltrepassare mai la mezz‟ora! A far propaganda di casa in casa pensava un cappuccino frate
cercatore, il “Padre Santo”, che lo ha preceduto sugli altari: “Avete un parroco a S. Sabina, che è
la perla dei sacerdoti. Spiega il catechismo che è un amore. Lo farebbe capire anche agli
scemi”.129 Tra gli uditori anche un bimbo aristocratico accompagnato dalla nonna, Giovan
Battista Lemoyne, futuro biografo di Don Bosco, che ne serberà memoria fino alla tarda
vecchiaia.130
La dote di esprimere le verità piú alte in un linguaggio semplice e piano, comprensibile anche
ai fanciulli ed anche agli scemi, come desiderava il Gianelli, risale, ne sono convinto, al tirocinio
fatto in casa per comunicare ai fratelli ed alla sorella quello che andava scoprendo di Dio. In
quegli anni fu a casa, piú che a scuola, che apprese a parlare e a scrivere con un linguaggio
comprensibile persino ai tabani, agli idioti e agli scemi, essendo anch‟essi chiamati a salvezza.
vita e degli scritti di Giuseppe Frassinetti… – Discorso nelle solenni rinnovate esequie il dí 14 febbraio 1868. V‟è
una bella raccolta di perle. Ci fa incontrare anche con il sofo di Konisberga!
125 Rm 10,17.
126 1 Cor 14,8s
127 “Il parlare piú che è possibile in dialetto è cosa di molta utilità, perché le persone idiote [nel senso di prive di
cultura] l‟intendono assai meglio che la lingua colta cui non sono accostumate”, G. FRASSINETTI, Manuale del
parroco novello, p. 96. “Al dopo pranzo spiegava il catechismo serbando l‟uso di Genova, facendo cioè il dialogo in
dialetto... in modo fervoroso e pratico”, depose la teste Luigia Cosso, che da giovanetta era stata una sua penitente,
Process.. super fama sanct., f. 956.
128 Anche lui fece gemere i torchi degli stampatori, come pure l‟altro fratello Raffaele.
129 TEODOSIO DA VOLTRI, S. Francesco Maria da Caporosso, Roma 1962, p. 185.
130 Cfr. M. FALASCA in “Risonanze” 3(1990) pp. 9-12.
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Abbiamo fermato l‟attenzione maggiore sulla sorellina avendone testimonianza. Ma come lei,
e con lei, non saranno stati da meno i tre fratelli minori, ai quali, se non fece una scuola vera e
propria come a lui il padre Angelico, anche se non si può escludere, fece certo da ripetitore.
Questo lavoro con la sorella gli fa scoprire inoltre fin dalla prima giovinezza quanto vale una
donna e cosa una donna è capace di fare, se si innamora di Dio.
CAPITOLO X
COME A CASSICIACO
UNA CASA CONVENTO
Chiedo venia al lettore se, entrando in casa Frassinetti, mi abbandono un po‟ al sogno e mi
faccio relatore di come penso in essa si vivesse. Fantasie? Sí, ma con forte aggancio alla realtà. Il
Frassinetti è uno che vive il suo vissuto. Il manuale del parroco novello dove fa il ritratto di
come deve essere un parroco, lo scrive con alle spalle trentadue anni di parrocato. È un trattato, o
una autobiografia? Le dissertazioni e note nel Compendio della Teologia Morale di S. Alfonso, le
scrive dopo trent‟otto anni di lunghe e quotidiane sedute di confessionale. Elucubrazioni di uno
studioso o esperienza di infinite ore passate in confessionale? Cosí penso l‟origine di alcuni libri
di spiritualità: scrisse ciò che in quella casa convento si era vissuto. Le parole che riporto sono
prese alla virgola dalle sue pubblicazioni, sostituendo al nome di suoi personaggi fittizi, il nome
suo, della sorella o di uno dei suoi fratelli. Me lo suggeriscono le tante dispute di teologia
rievocate da Paola, di cui si è detto nel capitolo precedente
Di che cosa disputavano quei “cinque uomini”, seguiti con interesse da una fanciulla? La
mente va a Cassiciaco. Sono bimbi che sembrano aver scoperto un gioco che può chiamarsi: “A
Cassiciaco”, senza sapere nulla di Agostino e di quei che si erano ritirati con lui in una villa lungi
dal tumulto di Milano: “Partii per la villa con tutti i miei. Che lavoro letterario vi svolgessi… lo
attestano i libri che composi disputando con quei che erano con me...”.131. Sono “dispute” d‟una
131
AGOSTINO, Confessioni, libro IX,4,1.
49
brigata di parenti ed amici che trascorreva il tempo in discussioni di filosofia ripensata alla luce
di Cristo, a recitare salmi, a commentare Virgilio, a leggere il vangelo di Giovanni o le lettere di
Paolo. Isaia no, anche se consigliato da sant‟Ambrogio. Erano conversazioni aperte
all‟intervento di tutti, anche del “fanciullo” Adeodato, il figlio di Agostino, di soli quindici anni,
ma d‟ingegno da stupire gli adulti ed impensierire il padre. Monnica,132 la madre d‟Agostino,
donna di fede virile, senile gravità, cristiana pietà e materna carità, governava la casa e, tra uno
sfaccendare e l‟altro, si fermava ad ascoltare e diceva la sua. Non aveva certo la cultura di quelle
sante donne romane amiche di Girolamo, eppure, il figlio le dà atto di far centro penetrando la
roccaforte della sapienza.
Confessioni, De vita beata... nomi all‟epoca mai uditi in casa Frassinetti. Eppure c‟è tanta
rassomiglianza con il modo in cui penso vi si vivesse. Peccato che i fratelli Frassinetti non
pensassero di fissare sulla carta i vari interventi stenografandoli come si faceva a Cassiciaco.
Sarebbe stata una lettura interessantissima ed anche spassosa. Vi avremmo trovato argomenti…
di alta teologia con interruzioni del tipo di quello di Paola, forte dell‟esempio degli ebrei, già
ricordato, dando anche lei ai fratelli l‟impressione d‟avere accanto un uomo famoso e non una
fanciulla, come già Teresa la Grande: “Me habíais engañado... diciéndome que... es una mujer;
a fe mía, que es un hombre y de los más dignos de llevar barba”.133 Riavvicinamenti
cervellotici? Certo, ma mi son venuti. Una pretesa, la mia, di farmi un‟idea delle dispute di quei
fanciulli partendo da Agostino, meno scusabile di quella del Titiro virgiliano che, con processo
inverso, aveva creduto potersi fare un‟idea di Roma ingigantendo il suo villaggio.134
Non una ricezione silenziosa e passiva in quei fanciulli, ma partecipazione attiva. L‟episodio
di Giuseppe, che dice a Paola che non c‟è bisogno d‟alzarsi cosí presto per andare a messa, lo
troviamo rielaborato dal fratello ne La forza d‟un libretto. Racconta il vissuto facendo uso della
variatio a lui ben nota.135
Iersera – fa dire a Virginia – chiesi licenza a mamma di andarmi a confessare, e me l‟ha
accordata. Si mostrò per altro sorpresa… da tanta devozione: prima, mi disse, vi andavi appena
ogni tre o quattro mesi: adesso, non ancora passato un mese 136… va pure, vi ti accompagnerà la
zia. La chiamò tosto, e le disse che osservasse bene di non farmi alzare troppo presto. Siccome non
mi assegnò l‟ora, credetti che non fosse troppo presto alzarmi alle cinque… andai cheta cheta alla
stanza della zia, che già era in ginocchio recitando le sue orazioni… Cosí presto Virginia? se la
mamma se ne avvede, griderà forte. Si metta il velo, risposi; non mi pare troppo presto; tuttavia
facciamo zitto per non disturbare chi dorme...137
Una spia sui colloqui che si tenevano in casa Frassinetti. Incluso il lei ai genitori. Basta una
semplice sostituzione di personaggi: Il problema delle ragazze era da chi farsi accompagnare.
Depone una teste: “[Paola] soleva nelle mattine andare spesso alla Messa accompagnata dalla
132
È la grafia sostenuta dal patrologo padre Antonio Casamassa e adottata, sulla sua grande autorità, da G.
PAPINI, S. Agostino, Firenze 19636, p. 282.
133 “Mi avevate ingannato... dicendomi che... è una donna; in fede mia, è un uomo, e di quelli piú degni di portar
barba”. Juan de Salinas, cosí prevenuto riguardo alle donne, al Bañez, SILVERIO DE S. TERESA, Vida de S. Teresa de
Jesús, t. II, Burgos 1935, p. 505.
134 VIRGILIO, Ecloga I, 19-25.
135 In un tema in versi sulla morte di Temistocle, lo fa morire di spada, invece che di veleno. Se ne giustifica in
nota: “Per poetica licenza si finge che non col veleno, come scrivono certi storici, ma col ferro si sia ucciso; si dirà
che sia licenza presa a spese della storia, ed io nol niego”. G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. 19, p. 594, in AF.
136 Si noti nella risposta il “lei” ai genitori come s‟usava in casa Frassinetti.
137 G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto,… pp. 76-77. Piú giú la citazione completa.
50
persona di servizio o dalla zia: certo che da sola non la mandavano”.138 O dai fratelli: “Alla
mattina per tempo – scrive Giovanni –, o colla domestica o con taluno di noi in chiesa a far le
sue devozioni, anche nei giorni feriali”.139 Anche il dire le preghiere in ginocchio doveva essere
un‟usanza di casa Frassinetti. Quando il Frassinetti cominciò a pubblicare quei libretti di
spiritualità indirizzati ai giovani ed alla gente semplice per persuaderli che si è tutti chiamati alla
santità, non faceva che mettere per iscritto le argomentazioni che avevano tanto interessato i
fratelli e la sorella. Prendiamo in esame quattro pubblicazioni tra le prime date alla luce. Vi
possiamo cogliere con molta verosimiglianza il tenore di quelle loro dispute di alta teologia.
La santa verginità.140 Vi si presenta la verginità in modo semplice e piano, come virtú
amabile di per se stessa e presupposto per esercitare con maggior dedizione le opere di religione
e di carità. Vi si sciolgono le difficoltà che le ragazze dei vari ceti potevano addurre. I conventi
non sono essenziali, anche se sono
gli asili piú nobili e sicuri della S. Verginità, purché non vi sia entrata la rilassatezza, giacché il
chiudersi con compagne dissipate e inosservanti della regola porterebbe molte inquietudini di
spirito, per le quali si potrebbe desiderare di essere rimasti nel secolo.141
La forza d‟un libretto, dialoghetti.142 Una ragazza ha trovato un esemplare mal ridotto de La
Santa Verginità, privo di alcuni paragrafi all‟inizio e alla fine, e ne è rimasta cosí presa da
parteciparne la lettura ad un‟amica. Sotto forma di dialogo viene sbriciolata la sostanza della
prima pubblicazione che, per quanto esposta in forma piana ed elementare, aveva pur sempre
qualcosa del trattato. Questo libretto ci dà piú o meno il tono delle conversazioni in casa
Frassinetti e degli argomenti trattati, non solo, ma anche dei risultati: la scelta della vita
consacrata da parte di tutti e cinque i fratelli ed il loro prodigarsi per innamorarne gli altri.
Compendio della Teologia Dogmatica.143
Lo scopo che mi prefiggo in questo Compendio di Teologia Dogmatica è quello di mettere nelle
mani dei Chierici, i quali la insegnano ai fanciulli, una breve ma distinta esposizione della verità di
nostra SS. Religione; affinché anche prima d‟avere studiato tutti i Trattati Teologici possano evitare
quelli errori, nei quali cadono, quasi necessariamente, parlando di certi dogmi sopra i quali non
hanno ancora fatto alcuno studio... Scrivo questo compendio in italiano, perché vorrei che fosse
utile anche alle persone secolari....144
A differenza dei catechismi della nostra infanzia, non è il maestro che pone la domanda al
discepolo, ma è il discepolo che la pone al maestro per soddisfare il suo desiderio di conoscere le
138
POS.P., p. 40.
Lettera di Giovanni Frassinetti alla madre [Vassallo?], 20 giugno 1882. ACGSD.
140 G. FRASSINETTI, La santa verginità, Genova 1841. Un successo enorme, molte le ristampe, anche a cura di
Don Bosco. Dalla seconda edizione uscí con il nome dell‟Autore ed il titolo mutato in: La gemma delle fanciulle
cristiane, ossia la santa verginità. L‟ediz. del 1924, a 83 anni dalla prima, era la trentesima di quelle conosciute!
141 Il passo è citato dalla prima edizione, pp. 53-59. Nelle successive lo troviamo mitigato: perché è cosa piena
di pericolo rinchiudersi con compagne svagate e inosservanti delle regole del proprio istituto. Aveva suscitato
ammirazione in qualche pio lettore?
142 ID., La forza di un libretto, dialoghetti, Genova 1841.
143 ID., Compendio della Teologia Dogmatica, Genova 1842, p. 239. Nelle edizioni successive il titolo fu mutato
nel piú modesto Catechismo dogmatico. Ebbe molte edizioni e ristampe. Il card. Manning lo fece tradurre in inglese
e lo presentò lui al pubblico: A Dogmatic Catechism… With a Preface by… the Archbishop of Westminster – Enrico
Edoardo Manning non ancora cardinale –, London 1872[1871].
144 Prefazione.
51
139
cose di Dio. Una catechesi attiva. Se il Frassinetti non ne ha il merito dell‟invenzione, trovandosi
già in san Roberto Bellarmino145 ha quello della scelta e della semplificazione del linguaggio.146
Tenuto conto della destinazione, viene da pensare che il primo abbozzo debba risalire a quando,
ancora chierico, andava a fare catechismo e si intratteneva in casa su gli stessi argomenti per
risolvere le questioni dei fratelli e della sorella – debbono essere questi gli argomenti sacri di
dommatica, di morale e simili nei ricordi di Paola – ed un avviarli all‟apostolato catechetico.
Questa la ragione di averlo steso in italiano per prevenire l‟accusa d‟aver offeso la dignità
dell‟argomento.
Il conforto dell‟anima divota.147 Un classico della spiritualità, ristampato infinite volte e
tradotto in varie lingue.148 Nei primi capitoli di quest‟opera mi pare di scorgere uno dei temi piú
dibattuti nelle dispute dei nostri teologi in erba: Chi sono i santi? Dalle prediche udite in chiesa si
sarebbero detti degli esseri privilegiatissimi che Dio fa nascere di tanto in tanto per dimostrare
tutta la sua potenza facendoli vivere in modo inimitabile: estasi, profezie, continui prodigi,
penitenze spaventose. Persone non di questa terra, né della comune dei mortali. Senza miracoli e
assenza d‟ogni umana miseria verrebbe quasi da dire che il desiderio di divenire santo debba per
forza risolversi in una non medicabile tristezza, peggio, in una fonte di scrupoli che cambiano la
vita in un inferno. Lo stato dell‟uomo sub lege, per dirla con sant‟Agostino, in cui si vede il bene
e non si riesce a farlo, e non sub gratia, che fa possibile l‟impossibile. Ma se Dio pone in noi un
vivo desiderio di santità, è chiaro che anche noi siamo chiamati a divenire santi. Dio non inizia
un‟opera, se non per portarla a termine.149 A quei dibattiti deve risalire il primo enuclearsi di
risposte del Conforto dell‟anima divota. Ne trascrivo il testo in forma di dialogo. Le parole
attribuite a Giuseppe sono riportate alla lettera, mio il supporle dette in risposta a domande
fattegli dai fratelli e dalla sorella.
GIUSEPPE: – La santità cristiana consiste nella carità, cioè nell‟adempimento della volontà divina; sicché
un‟anima che eseguisce la divina volontà è un‟anima santa...
I FRATELLI E LA SORELLA: – Vale per tutti? anche per me? anche per zia?
GIUSEPPE: – Se procura di eseguire il volere di Dio, è santa, e quanto piú s‟impegna ad eseguirlo con
perfezione, tanto è maggiormente santa.
PAOLA: – Cosa si richiede per adempire il santo volere di Dio?
GIUSEPPE: – Niente piú, niente meno che l‟osservanza dei comandamenti della legge di Dio e della
Chiesa. Ecco, bisogna distinguere due sorta di santità: la semplice che consiste nel possedere la grazia
santificante, e questa l‟hanno tutte le anime che sono monde da peccato mortale; la perfezionata che
consiste nella perfetta unione della nostra volontà alla volontà di Dio, sicché l‟anima aborrisca non solo il
peccato mortale, ma anche il peccato veniale avvertito, e sia pronta ad eseguire ciò che chiaramente
conosce essere di maggior gusto del Signore, anche nelle cose che non sono espressamente comandate.
Si sostituisca santità a vita beata e si ha l‟impressione di leggere una variante del brano di una
disputa agostiniana.
145
Dichiarazione piú copiosa della dottrina cristiana per uso di quelli che insegnano ai fanciulli e alle altre
persone semplici,
146 Ne La dottrina cristiana breve del Bellarmino, le domande le fa il maestro.
147 G. FRASSINETTI, Il conforto dell‟anima divota. Non ci è pervenuta la prima edizione. Il Capurro, seguito dal
Renzi, la poneva al 1852. Riuscii ad accertare che era anteriore di ben otto anni, perché recensita con grandi lodi nel
numero maggio-giugno 1844 negli “Annali di scienze religiose” che il futuro cardinale ANTONIO DE LUCA
pubblicava a Roma, non solo, ma se ne parla in piú lettere scritte in quell‟anno al Frassinetti. M. FALASCA, Il
Frassinetti in giro per il mondo in “Risonanze” LIX (1984) n. 4, pp. 16-18.
148 In inglese da LADY GEORGIANA CHATTERTON, un‟anglicana accolta nella Chiesa dal Newman. Di lei si
tornerà a parlare nel cap. 49.
149 Lc 14.28-33; Fil 1,6; 2,13.
52
I FRATELLI : – Ma come è possibile evitare anche i peccati veniali?
GIUSEPPE: – Dovete notare che altri sono i peccati veniali pienamente avvertiti, quelli cioè che
si commettono ad occhi aperti... Altri poi sono peccati veniali non bene avvertiti che si
commettono piú per debolezza che per malizia...
UNO DEI FRATELLI: – Se uno si distrae mentre prega?
GIUSEPPE: – Se accade per debolezza senza che sia voluto, è di questa categoria.
UN ALTRO: – Se uno dice una bugia per scusarsi sapendo che è bugia?
GIUSEPPE: – Questo è della categoria di quelli che dispiacciono al Signore.
PAOLA (festosa): – Se è cosí: Volontà di Dio, tu sei il paradiso mio!
Un ritornello udito ripetere con tanta frequenza dalle labbra di Paola. 150 Tutta lí la santità.
Cosí anche per il fratello, il quale, già vecchio, traslocando quei sei giovani seminaristi
dell‟incipiente Opera dei Figli di S. Maria Immacolata, li affidò a san Quodvultdeus,a san Ciòche-Dio-vuole:
Venne la solennità di San Giuseppe di quel 1866 ed io feci la mia entrata nella nuova casa dei
Figli di Santa Maria… Io aiutai per il trasporto dei mobili… L‟unico oggetto che venne posto nella
sala fu un quadro ad olio rappresentante un vescovo che da una scritta in un angolo era detto
Quodvultdeus.151
Si ha una conferma di tale devozione nella vita Rosa Cordone:
Le raccomandò anche [il Frassinetti] la devozione a un santo generalmente sconosciuto,
Vescovo di Cartagine, che soffrí per la fede sotto Genserico, ed aveva il piú bel nome che possa
aversi al mondo, cioè Quodvultdeus.152
150
Memorie intorno... p. 305.
Il quadro era stato commissionato a un pittore squattrinato. Un modo d‟aiutare senza umiliare. Non si è però
d‟accordo se su commissione del Frassinetti – non sarebbe stato il primo – o dello Sturla. Resta il fatto che fu il
Frassinetti a farne dono ai suoi aspirantini al sacerdozio e non mancò certo d‟accompagnare il dono con un bel
sermoncino, prendendo spunto da quel nome cosí strano. La cronaca di quel trasloco ci è pervenuta da un scritto di
don Bernardo Rosina, uno di quei ragazzi
152 G. FRASSINETTI, La rosa senza spine..., Op. cit. Cito dalla 5a ed., l‟ultima curata dall‟Autore, – cinque in otto
anni! –, Genova 1867, p. 87.
53
151
CAPITOLO XI
FRATELLI IN GARA
A CHI DÀ MAGGIOR GUSTO A DIO
Dite al Signore che vi conceda la grazia di non essere piú buona a nulla fuor
che a dar gusto a Lui; beati noi se perdessimo tutte le altre abilità e ci restasse
questa sola di dar sempre notte e giorno e continuamente gusto a Dio!
G. FRASSINETTI, Lettera a Carlotta Gibelli
Torniamo in quella santa casa. I quattro fratelli e la sorella sentivano vivo il desiderio di
consacrarsi a Dio. Per Paola sembrava un desiderio condannato a restare desiderio non
disponendo di una dote. Anche per i fratelli nell‟accedere al suddiaconato si richiedeva un titulus
sustentationis, se possedessero da vivere, ma, per essi, c‟era pur sempre il beneficium
ecclesiasticum con l‟obbligo di prestare alcuni servizi nella diocesi. Perché, si chiedeva Paola,
far nascere nel cuore di una ragazza povera un tale desiderio, sapendo Dio che in nessun modo si
sarebbe potuto realizzare? Il fratello non poteva non fare sua la domanda. Chissà quante volte
tentò di consolare la sorella, senza riuscire a persuaderla fin quando non trovò la risposta giusta
alla domanda perché Dio permetta un cosí vivo desiderio che non potrà giammai essere
soddisfatto:
Ecco il perché: s‟impedirebbe con ciò un bene poco osservato, ma incalcolabile. Quasi da
nessuno si bada al bene che fanno, all‟edificazione che danno, queste pie fanciulle, obbligate per la
loro povertà a vivere in mezzo al secolo. – Gli andava il pensiero alla zia Anna? – Esse, che vivono
nel mondo nauseate e nemiche del mondo, delle sue malizie e vanità, menano una vita la piú casta
ed innocente... E poiché l‟amore di Dio, quando è vivo, è pure ardente di zelo per la salute delle
anime, queste povere fanciulle si prendono piú che materna cura delle piccole, o parenti, – il
pensiero a ciò che era stata la zia Anna? – o vicine trascurate dai loro genitori, per avviarle ai
Sacramenti e alla dottrina cristiana; instillano nelle loro anime i sentimenti della devozione e della
pietà e, quando sia duopo, con santa industria le salvano dai pericoli e le ritirano dal peccato. Tante
volte, parlando per esse lo Spirito di Dio, con dotta semplicità confondono e fanno arrossire gli
stessi bestemmiatori e miscredenti... In piú luoghi sono esse il lievito piú potente e salutare della
devozione nella massa del popolo ed una vera benedizione di Dio per la città, per le terre e le
famiglie in cui vivono. Quindi non deve far meraviglia, se Dio, che vuole da esse questo gran bene
ad edificazione del cieco mondo, non permette che secondo i loro desideri se ne possano separare.
Ad argomenti aggiunge argomenti.
Si vorrà ancora sospettare che… non potendo emettere i voti… ne abbiano un danno spirituale
e mancanza di merito per la vita eterna?… La grazia può supplire per tutti i voti, e per gli abiti, e
per le clausure. Ad esse non manca il merito della materia dei voti e tante volte con maggior
54
sacrificio che non le religiose, dovendo ubbidire a capricciosi parenti e indiscreti padroni.
Esercitare la povertà, soffrendone pazientemente gli effetti, piú che non li soffrano le religiose, per
le quali sarebbe caso stranissimo il patire la fame e il freddo e di cibarsi di cattivi alimenti: caso che
non è strano per le fanciulle povere che vivono in mezzo al mondo.153 Conservano infine la castità,
e la conservano eminentemente pura in mezzo ai pericoli; ed inoltre facilmente, col permesso dei
loro direttori, ne possono emettere il voto, siccome fanno molte di loro. Quindi non è a
meravigliare se si trovino tra le fanciulle povere coltivatrici della santa purità, anime di virtú
segnalata, che si potrebbero invidiare da molte religiose. Per il che dobbiamo benedire la divina
provvidenza che tutto ordina alla sua maggior gloria.154
Giuseppe è divenuto eloquente e a Paola sembra che il fratello abbia spiccato il volo. Non che
non accetti le sue argomentazioni, son buone, ma per tempi iniqui o per chi, non potendo
ottenere l‟ottimo, accetta il passabile. Rimane dell‟idea di ciò che il fratello aveva detto prima di
questa perorazione: “Sebbene anche in mezzo al mondo si possa conservare la esimia virtú della
verginità, non v‟ha dubbio che gli asili piú nobili e piú sicuri per essa sono i monasteri”.155 Il
pensiero di Paola si può cogliere nel commento di Virginia ne La forza d‟un libretto: “Si vede
che questo libretto fu scritto in tempo di qualche persecuzione”.156 Che si potesse essere ancora
piú sante fuori convento, aveva dell‟incredibile. Giuseppe fa un bel passo indietro per poterne
poi fare quattro avanti:
Sebbene anche in mezzo al mondo si possa conservare l‟esimia virtú della verginità, non v‟ha
dubio che gli asili piú nobili e piú sicuri per essa sono i monasteri. Quivi in tutti tempi si ripararono
dai pericoli del mondo le fanciulle che maggiormente si vollero assicurare questo tesoro, facendone
quivi solenne perpetuo voto… [e] intatto lo custodirono. 157
Continua a lungo a tessere gli elogi di quei sacri ritiri, poi piazza la sua riserva: “Ma soltanto
alcuno tra quelli nei quali è vigore di disciplina e piena osservanza delle regole”, 158 modificata
rispetto a quella della prima edizione:
giacché il chiudersi con compagne svagate e inosservanti della regola porterebbe molte
inquietudini di spirito, per le quali si potrebbe desiderare di essere rimasti nel secolo.159 Giuseppe
conosceva il disagio dei suoi compagni di scuola che vivevano da interni in un seminario in piena
decadenza. A piú d‟uno l‟affermazione dovette sembrare blasfema, o quasi, se il passo fu da lui
purgato Il Frassinetti fu sempre legato a ciò che è, non a ciò che dovrebbe essere. 160 Prima di lui il
suo Liguori:
Freddo e mangiar male, la sua penitenza per l‟intera vita.
G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto, pp. 112-115. Cito dalla decima edizione, l‟ultima da lui curata,
Genova 1864. Argomentazioni che si ritrovano nella Monaca in casa.
155 Ivi, p. 106.
156 Ivi, p. 108.
157 Ivi, p. 106.
158 Ivi, p. 110.
159 G. FRASSINETTI, La forza di un libretto, prima edizione, Genova 1841, pp. 102.
160 In quegli anni faceva notizia il monastero di Monza e la sua Monaca di cui si parla nei Promessi sposi, e si
discuteva se il Manzoni avesse fatto bene o male a raccontarne la storia, pur avendo sottoposta a non pochi tagli la
prima versione apparsa in Fermo e Lucia. Non sono in grado di dire se il Frassinetti l‟avesse letta o no, ma doveva
certo averne sentito parlare. Don Bosco, nell‟introdurre il profilo del Manzoni nel suo Corso della storia d‟Italia,
fatti gli elogi del romanzo, cosí continuava: “La stima che abbiamo di quest‟opera non ci tratterà tuttavia di
biasimare altamente il ritratto che ci porge di D. Abbondio e quello della sgraziata Gertrude”, Opere edite ed inedite,
vol. VII, La storia d‟Italia, p. 486.
55
153
154
Il confessore ponderi bene in quale religiosa famiglia uno pensa di entrare, perché, qualora si
trattasse d‟un istituto rilassato, sarebbe cosa migliore restarne fuori. Entrandovi finirebbe col
comportarsi come gli altri.161
Vi è già l‟abbozzo della Monaca in casa. Meglio però non insistere ed edificare la sorella con
santa Rosa da Viterbo, una ragazza che si fece santa anche se non le riuscí di entrare in convento
perché “si può fare del bene anche in mezzo al mondo, ed anche maggior bene”. Il commento di
Virginia nella Forza d‟un libretto penso fosse il pensiero di Paola:. “Tu cammini, anzi voli un
po‟ troppo; né io ardirei seguitarti in questa serie di conseguenze”.162
In casa Frassinetti non era pensabile, anzi sarebbe stato segno di poco amore contentarsi di
non dar disgusto a Dio, invece che cercare di dargli tutto il gusto di cui si fosse capaci vivendo in
castità perfetta, e, pur non emettendone il voto, in povertà affettiva ed effettiva, ed in obbedienza
a quanti si era legati con rapporti di dipendenza, purché le cose richieste non fossero di offesa a
Dio. Si viveva in mezzo al mondo, ma si era morti al mondo, non volendo e non ricercando altra
cosa se non quella di piacere a Dio. Quest‟avere il cuore distaccato da tutte le cose, non
significava mostrarsi poco impegnati per gli interessi della casa nella misura che lo richiedesse la
carità, il buon ordine e la pace, tutt‟altro.163 Questa spiritualità, tutta sostanza e niente
formalismo, il Priore tornerà ad esporla ampiamente nel 1860 nel Pater noster di S. Teresa.
Sento il lettore farmi il rimprovero di Virginia ad Elisa: Tu voli un po‟ troppo! Lo penserei
anch‟io, se non ci fossero pervenute le testimonianze rese durante il processo di canonizzazione
di Paola e la testimonianza della stessa Paola citata nel processo di canonizzazione del fratello,
già riferita.
A. DE‟ LIGUORI, Pratica del confessore per ben esercitare il suo ministero, Napoli 1755. “[Confessarius]
dissuadeat ingressum in ordinem relaxatum”, in Teologia moralis, Editio nova, Vol. IV, curata da L. GAUDÉ, Romæ
1912, p. 578.
162 G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto, pp. 118-119. Paola rimase di questo convincimento. Accettò di
restare monaca nella casa paterna fino ai ventidue anni, e poi fino ai venticinque nella canonica del fratello,
operando quanto bene poteva in parrocchia, ma con il pensiero alle monache di convento e la vedremo a capo di una
congregazione come all‟epoca il Codice prescriveva.
163 Questo paragrafo è una parafrasi delle regole fondamentali di quel libretto.
56
161
CAPITOLO XII
COS’È CHE TI DÀ MAGGIOR GUSTO, O DIO?
Dare gusto a Dio, tutta qui la santità. I ragazzi Frassinetti studieranno le cose di Dio per
sapere come si deve vivere per piacere a Dio, e per riuscirci non c‟è di meglio che il catechismo
e gli esempi dei santi. Leggiamo nel Frassinetti:
Ci avvisa l‟Apostolo che senza la fede è impossibile piacere a Dio e che la cognizione delle cose
della Fede si comunica all‟anima mediante l‟udito. Da questo possiamo conoscere che nessun bene
reale e sufficiente si potrebbe fare ai fanciulli cristiani quando nella loro cultura non
c‟impegnassimo d‟istruirli bene nella Santa Fede, giacché non potrebbero diversamente piacere a
Dio... Ma i fanciulli come prenderanno cognizione delle cose della Fede se loro non si
insegneranno? fides ex auditu...164 L‟infanzia e l‟adolescenza è il tempo piú adatto per instillare
nelle loro menti le verità della fede. Se le prime cognizioni che loro si danno quando cominciano ad
usar di ragione sono quelle che formano il cristiano, i fanciulli si troveranno formati tali senza
avvedersene, quasi nati e non fatti. Le prime impressioni dell‟infanzia restano piú profondamente
radicate e hanno influenza piú potente sopra tutta la vita dell‟uomo.165
La pietà cristiana è vera se si lascia illuminare dalla Chiesa. Perché Dio fosse onorato come a
lui piace, il Frassinetti compose La devozione illuminata: Sono innumerevoli i libri di
devozione… [ma] generalmente tali libri non sono altro che raccolte di orazioni… che
suppongono nel cristiano che le recita quella istruzione che spesse volte gli manca, e gli sarebbe
tanto utile, affinché la sua pietà addivenisse illuminata... 166
scriveva nel 1867, l‟ultimo della sua vita. L‟insistere negli anni maturi sulla necessità di
informare la pietà alla luce che ci irradia la Chiesa, era un convalidare con l‟esperienza di
quarant‟anni di ministero quanto aveva intuito da giovane: non potersi servire Dio come a lui
piace se non lo si conosce.
Fa bisogno che [il direttore d‟anime] abbia la conveniente istruzione, perché l‟ignorante è un
cieco; e chi è cieco, ha bisogno di guida egli stesso, né mai può guidar gli altri senza pericolo di
trarli seco a cader nella fossa,167 scriveva nel 1864, ed era un ripetere quanto aveva scritto un
quarto di secolo prima nel 1839 dichiarando di proporre ai chierici la propria esperienza:
Deve dunque [il chierico] dirigere ogni sua cura, e in modo particolare i suoi studi, al
conseguimento del suo fine, che è d‟esser un buon ecclesiastico… perché la scienza è cosí annessa
164
Rm 10,18.
G. FRASSINETTI, Compendio della Teologia Dogmatica, Genova 1842, pp. 225s. Conserviamo l‟ortografia
della prima edizione.
166 ID., La devozione illuminata – Manuale di preghiera, Genova 1867. Cito dalla 3a ed., Genova 1877, pp. 7-9.
167 ID., Il religioso al secolo, Genova 1864, p. 123.
57
165
all‟idea di ecclesiastico, da non potersi concepire l‟idea di un ecclesiastico ignorante, che come
idea mostruosa. Quali sono le principali doti, che si richiedono in un ecclesiastico, dopo la divina
vocazione? Fede pura, costumi integerrimi, scienza dei propri doveri e degli altrui, e pietà che lo
renda zelante per la gloria di Dio e per la salute dei suoi prossimi. A tutto ciò vi vuole istruzione;
l‟ignoranza non è un buon mezzo per veruno di questi fini. Questa istruzione però… non deve
essere di quella che gonfia lo scienziato e lo rende superbo, ma di quella, che, mediante la carità, lo
rende umile... Il dotto superbo sa distruggere, il dotto umile sa edificare. La carità dunque deve
invitare l‟ ecclesiastico ai suoi studi, e l‟umiltà dirigerlo nei medesimi.168
Perciò catechismo, perché la pietà, da assai confusa ed inesatta, e forse anche falsa, si muti in
pietà illuminata:
Molti cristiani hanno un‟idea assai confusa ed anche falsa, o, per lo meno, inesatta della
Devozione... La vera devozione pertanto sta in questo, che l‟uomo sia pronto ad eseguire tutte le
cose che appartengono al divino servizio. Quindi colui che ha la sua volontà pronta ad eseguire le
cose che sono di servizio di Dio, che è quanto dire, una volontà pronta ad operare tutto ciò che Dio
vuole da lui, egli è il vero devoto; e chi a far ciò ha maggior prontezza di volontà, è maggiormente
devoto. Sono in inganno coloro i quali pensano che la devozione consista nell‟ esercizio delle opere
di pietà e colui sia devoto che piú ne fa… Costui, anche facendo tutte queste cose, se non avesse
una volontà pronta ad operare ciò che Dio vuole da lui, non sarebbe devoto.169
Catechismo dunque, e da insegnarsi ai fanciulli fin dal primo aprirsi dell‟ intelligenza. Si rifà
alla sua esperienza giovanile acquistata in casa con i fratellini e con i fanciulli del catechismo
nella parrocchia di S. Stefano. In base a quella sua esperienza può indicare come il catechismo
debba essere insegnato se si vuole che i fanciulli abbiano poi l‟impressione d‟essere nati
cristiani, non fatti.
Le persone che non sono istruite nella teologia... si contentino di insegnare il catechismo come
sta senza sminuzzarlo e spiegarlo, perché, mancanti delle opportune cognizioni teologiche,
insegnerebbero alle volte dei gravi errori; chi poi è istruito sufficientemente, procuri di sminuzzarlo
e di spiegarlo secondo la capacità de‟ fanciulli, affinché meglio lo comprendano e le verità che vi si
contengono facciano piú viva impressione nei loro animi.170
Insegnarlo però in modo da renderlo un apprendimento piacevole ed amoroso.171 Del suo zelo
ce ne dà conferma il Luxardo:
Alla dottrina uní sempre con bello connubio la pietà. Resosi chierico, ne esercitò gli uffici nella
Basilica di santo Stefano... Qui assisteva assiduo alle sacre funzioni, qui insegnava il catechismo ai
fanciulli, qui spesso confessavasi e riceveva Gesú Cristo in Sacramento.172
Che ad insegnare la dottrina si preparasse con amore ce lo testimoniano i molti catechismi al
popolo sotto forma di domande da parte del cristiano ignorante che vuole istruirsi, suo fratello
don Giovanni, e le risposte del parroco, lui, scritte in italiano, ma recitate in genovese. Non
scrisse per dare alle stampe, ma tutti quei manoscritti con note, aggiunte e correzioni sono lí a
168 ID., Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici…,
169 G. FRASSINETTI, La devozione illum., pp. 11s.
170 ID., Comp. della Teol. Dogm., cit., pp. 228s.
171 Ivi, pp. 231-234 e continua suggerendo come
Genova 1839, pp. 2s.
fare.
F. LUXARDO, Giuseppe Frassinetti, pastore d‟anime, autore di religiose istituzioni, scrittore di opere sacre,
in AA. VV., Saggio di Storia Ecclesiastica Ligure, ossia vite di alcuni Santi e di altri uomini illustri, Vol. IV,
Genova, 1884, p. 176.
58
172
testimoniarci con quale amore li preparava concertando con il fratello domande e risposte. Se nei
catechismi domenicali in parrocchia le domande gli venivano poste dal fratello don Giovanni,
nei catechismi ai fanciulli se le faceva porre dagli stessi fanciulli, lo stesso faceva nelle adunanze
delle sue varie associazioni:
Conobbi personalmente e avvicinai piú volte Giuseppe Frassinetti nel biennio 1864-1866 –
depose il teste Vincenzo Stronello –. Ero Figlio di Maria e intervenivo alla Domenica alle
conferenze spirituali che egli teneva nella Canonica di S. Sabina ai Congregati. Erano specie di
conversazioni famigliari, in cui ognuno era libero di rivolgergli domande alle quali egli dava
schiarimenti e risposte.173
Il bisogno di spiegare il catechismo ai fanciulli della parrocchia, di rispondere alle loro
domande e a quelle dei fratelli e della sorella che aspiravano a divenire catechisti, stimolavano lo
studente di teologia a quella trasposizione del linguaggio scolastico, spesso arida catena di
sillogismi latini, in quel linguaggio, piano e sugoso di cui ci ha dato saggio nel suo Compendio
della Teologia Dogmatica, divenuto poi Catechismo dogmatico. Cosí, senza avvedersene,
Giuseppe trasformava la sua famiglia in accademia di studi ecclesiastici, un abbozzo di quella
che fonderà in seno alla Congregazione del Beato Leonardo. In quest‟ accademia Paola si formò
quella cultura che tanto stupiva le sue suore.174
Il giovane teologo, tornato da scuola a casa, trovava nei fratelli e nella sorella un pubblico mai
sazio d‟ascoltarlo. Come già gli apostoli, non paghi di quanto avevano udito in pubblico dal
Maestro, gli chiedevano a parte istruzioni supplementari, cosí i suoi di casa. Questo lavoro di
ricerca e di presentazione del dogma in forma elementare, ma sicura, lo preparava a rendersi utile
ai chierici catechisti digiuni di studi di teologia, indicando cosa insegnare e come:
Si dirà che abbiamo molti compendi della Dottrina Cristiana, il che è verissimo; non saprei però
se tutti uniscano le due qualità delle quali desidero fornito questo mio: cioè somma brevità, e
universalità di tutte le materie dogmatiche piú necessarie e piú utili... Scrivo questo Compendio in
italiano, perché secondariamente vorrei che fosse utile anche alle persone secolari le quali, quanto
meglio conoscono la propria religione, vi hanno piú attaccamento e le fanno piú onore coi loro
costumi… Non toccherò quelle controversie le quali richiedono nel lettore fondo d‟istruzione e
lunghi trattati, ma le sole verità dogmatiche e quelle che, quantunque non siano espressamente
definite di fede, sono però maggiormente conformi al comune insegnamento dei Teologi..175
Un invito ai catechisti di comportarsi sul suo esempio:
Ai fanciulli si devono dare quelle cognizioni che sono importanti a sapersi per tutti, e con la
possibile chiarezza e semplicità. Essi non devono o confutare eretici o salire cattedre. Questa
avvertenza è necessaria ai chierici studenti, i quali alle volte vorrebbero insegnare ai fanciulli tutto
ciò che essi vanno imparando.176
173
POS,sV, S, p. 21.
E. VASSALLO, Memorie..., p 11. Uno stupore simile a quello dei giudei nei riguardi di Gesú. Gv 7,15.
175 G. FRASSINETTI, Comp. della Teol. Dogm., cit., pp. 7s.
176 Ivi, p. 230. Osservazione necessaria non solo per i chierici studenti d‟un secolo e mezzo fa, ma anche oggi
per i professori di corsi di teologia per i laici in vista di farne insegnanti di religione nelle scuole medie. Le persone
che frequentano questi corsi sono per lo piú insegnanti di scuola media inferiore, ragazze con diploma di ragioneria,
maestre elementari e persino maestre d‟asilo. Non di rado si vedono mettere in mano dispense che altro non sono se
non aridi riassunti di quelle preparate per i seminaristi dei corsi accademici: una sequenza d‟opinioni legate a nomi
ostrogoti, senza chiedersi cosa ci possano capire persone non preparate e quale giovamento possano ritrarne per il
59
174
Ai fratelli e alla sorella, divenuti catechisti, non pareva vero d‟aver in casa il fratello bravo a
cui ricorrere per aiuto. Non è inverosimile che, mentre s‟ affannavano a spiegare che
purissimo spirito vuol dire che Dio non ha corpo come abbiamo noi; perciò non ce lo possiamo
figurare né alto, né basso, né largo, né stretto; non si può toccare con le mani, non si può vedere
con gli occhi materiali del corpo,
qualche piccino se ne uscisse con un: Ma dunque è niente!177, suscitando l‟ilarità dei
compagni. Come rispondere? E alle domande sulla predestinazione?, e se in paradiso ci fosse
invidia da parte di chi gode di meno nel vedere santi che godono di piú?, e sulla sorte dei
bambini non battezzati?... I fratellini e le sorelline morti
erano in paradiso perché erano stati tutti battezzati, ma i bimbi non battezzati? e gli infedeli
che mai avevano sentito parlare di Cristo? Dà risposte che possano convincere ed appagare la
loro intelligenza, le sminuzza, come fa in questa pagina intorno alla visione beatifica, che mi
piace drammatizzare attribuendo le domande a questo e a quello, senza aggiungere virgola al
testo:
RAFFAELLINO – I Santi in cielo vedono Dio?
GIUSEPPE – Lo vedono intuitivamente, cioè lo vedono in sé stesso realmente come è.
PAOLA – Non dice la Scrittura che Dio è invisibile e che niuno mai lo vide?
GIUSEPPE – Dice che Dio è invisibile e che niuno mai lo vide in questa vita; per questo la piú
probabile sentenza fra gli interpreti della Scrittura sostiene che nemmeno Mosè lo abbia veduto
intuitivamente, ma che gli sia apparso un Angiolo il quale gli dava gli ordini in nome di Dio...
Ma nell‟altra vita è verità di Fede che vedremo Dio, e il vedremo come è.178
RAFFAELLINO – Dopo la Risurrezione vedremo Dio con gli occhi del nostro corpo?
GIUSEPPE – Con gli occhi del corpo non lo vedremo mai piú, perché Dio è semplicissimo, e gli
occhi del corpo sono materiali, e saranno materiali anche dopo la nostra Risurrezione: ora è
certo che le cose materiali non possono vedere cose spirituali. Ma vedremo Dio col nostro
intelletto illuminato dal lume della gloria.
GIOVANNI – Che cosa è questo lume della gloria?
GIUSEPPE – È un abito soprannaturale col quale la mente, o dell‟uomo o dell‟Angelo, viene
disposta compitamente a veder Dio.
GIOVANNI – Senza questo lume della gloria non si vedrebbe Dio nemmeno in Cielo?
GIUSEPPE – Certamente non si vedrebbe, come noi con gli occhi corporali, anche sanissimi, senza
l‟aiuto della luce non potremmo vedere nemmeno una montagna.
PAOLA – Cosa vedremo di Dio?
GIUSEPPE – Vedremo la sua divina sostanza con le sue divine perfezioni, le quali però non sono in
realtà che la medesima semplicissima sostanza divina – qui rinviava a quanto s‟era detto
parlando di Dio –, il mistero della SS. Trinità, ed anche le creature come effetti nella loro
causa.
FRANCESCO – Vorrei sapere se in Cielo, vedendo Dio chiaramente, lo comprenderemo.
GIUSEPPE – Per comprenderlo bisognerebbe arrivare a conoscerlo con quella perfezione con cui
Dio conosce sé stesso con la sua scienza infinita, cosa impossibile ad ogni creatura...
loro insegnamento a fanciulli della scuola d‟obbligo. Il bel voto d‟esame, per aver ripetuto cose non comprese,
persuade non pochi di loro d‟essere... teologi! A tali docenti il Frassinetti ripeterebbe: “Non toccare quelle
obbiezioni alle quali non si può dare una risposta che appieno soddisfi il grosso ingegno dei fanciulli, né quelle
difficoltà che non si possono appianare con ragioni palpabili, e quasi direi materiali, delle quali soltanto è capace la
loro mente” (Ivi, p. 129). Non sono poche le persone che si iscrivono a questi corsi di teologia per laici con fede
serena e ne escono con fede turbata.
177 Ivi, p. 50.
178 1 Gv. 3,2.
60
GIOVANNI – Intenderemo in Cielo tutti i misteri della S. Fede che ora dobbiamo credere
ciecamente?
GIUSEPPE – Nessuno ha mai dubitato che in Cielo si veda chiaramente tutto ciò che crediamo in
terra; è perciò che i santi non hanno in cielo la virtú della fede, la quale serve a farci credere ciò
che non vediamo.
PAOLA – I Santi in Cielo vedranno Dio tutti ugualmente?
GIUSEPPE – È articolo di fede che la visione beatifica non sarà in Cielo uguale per tutti, ma
proporzionata ai loro meriti, o maggiori o minori. Questa diversità nasce dal maggiore o
minore lume di gloria che avranno i santi, misurato dalla maggiore o minore carità di che
arderanno in cielo.
GIOVANNI – Questa diversità non sarà disgustosa ai Santi?
GIUSEPPE – Non sono piú capaci d‟invidia; godono del bene altrui come del proprio, e la felicità di
chi è in Cielo fra i minori è tanto grande e commensurata alla capacità che hanno di godere,
che nulla resta loro a desiderare. Un paragone vi dilucidi il vero. Un uomo e un fanciullo
arrivano assetati alla sponda di un gran fiume: l‟uomo beve e beve il fanciullo; credete voi che
il fanciullo potendo bere meno per la minore capacità del suo stomaco, invidi la maggior
quantità che ne beve l‟uomo? Il fanciullo è contento di poter bere quanto vuole e quanto
può.179
La lunga citazione, fedele al testo, salvo l‟arbitrio di attribuire le domande ad uno dei fratelli o
alla sorella, e l‟omissione dei rinvii ai documenti del Magistero e a san Tommaso, ci dà un
saggio di come sminuzzava la dottrina cristiana. Si volti tutto in genovese, si aggiunga alla parola
la loquela degli occhi, sia suoi sia di quelli che da lui pendevano, e si ha un‟idea vicina al vero di
ciò che erano in casa Frassinetti le conversazioni a tavola o intorno al fuoco, di ciò che era il suo
catechismo ai ragazzi della parrocchia. La lunga citazione vuole essere anche un tributo di
gratitudine. Giovanetto di terzo ginnasio ebbi per caso tra mano questo suo Catechismo
dogmatico ed il Sillabario del cristianesimo di monsignor Olgiati. Ad essi va gran parte del
merito se la mia pietà da affettiva divenne illuminata, senza che la luce ne raffreddasse il calore.
Studente di teologia all‟ Università Urbaniana, alla scuola del prestigioso monsignor Parente,
futuro cardinale, gli orizzonti si allargarono, ma in nulla dovetti correggere quei due libri né mai
sorridere di qualche loro pagina.
Se la risposta non avesse appagato l‟intelligenza, anzi, invece che rimuovere una difficoltà,
avesse ingenerato dubbi, Giuseppe non negava la difficoltà, ma si guardava bene dal dare
risposte che avrebbero creato altri dubbi, e, meno che meno, mascherava l‟incapacità a
rispondere con un polverone di parole. Prendeva occasione per dire che nelle cose di Dio c‟è “un
di piú" che l‟uomo non può afferrare perché è limitato: il mistero. Valga come esempio le
risposta sul destino di chi incolpevolmente muore senza battesimo e sulla predestinazione: Le
Scritture sante, i Padri, e il sentimento di tutta la Chiesa bastantemente ci assicurano che Dio
vuole la salvezza di tutte le anime, e perciò anche di quelle di tali fanciulli; se poi noi troviamo
difficoltà nell‟intendere il modo come lo voglia, non per questo possiamo dire il contrario. Nelle
cose della nostra Santa Religione non è solo vero ciò che intendiamo, ma molte cose che bisogna
credere senza capirle, e questa è una di quelle... Troviamo dei misteri insolubili nella condotta
degli uomini, che sono cosí limitati, e ci meravigliamo di trovarne nelle disposizione della
Divina sapienza?... Vi basti sapere che Dio vi ama piú di quello che voi amate voi stessi, che Dio
vuole la vostra salute piú di quello che voi la vogliate, che Dio non vi escluderà dal suo Regno
purché voi deliberatamente nol ricusiate... abbiate questa speranza; essa è quella che non
confonde.180
179
180
G. FRASSINETTI, Comp. della Teol. Dogm., pp. 66-69.
Ivi, pp. 60 e 62.
61
L‟esposizione a nulla gioverebbe se ad un tempo non formasse il cuore:
L‟insegnamento della Dottrina Cristiana non deve essere un insegnamento nudo e secco delle
verità della Fede... deve essere un insegnamento sugoso il quale, mentre illumina la mente, formi
anche il cuore.181
Perché sia tale, Giuseppe s‟è fatto una ricchissima raccolta di belle storie di santi che
mostrano come la dottrina vada vissuta, storie che infervoravano ad imitarli e a mettersi in gara
con loro nel dar gusto a Dio. Specie Raffaellino, ormai sui dieci anni, non si stancava mai
d‟ascoltare quegli esempi edificanti, attinti, oltre che dalla Bibbia, dal Bartoli e dal Segneri il
Giovane. Raffaellino cominciò anch‟egli a farne una raccolta. Divenuto sacerdote, al Priore don
Giuseppe non parve vero di affidargli la cura dei bambini, tanto li sapeva tenere incantati con
quelle belle storie ed innamorarli della preghiera e d‟ogni cosa bella. Facevano tanto bene quegli
esempi edificanti e i brevi commenti, che li dette alle stampe. Non faceva lo stesso il fratello?
Uno di quei libretti, Giardino di Devozione pei Giovinetti, ebbe un successo strepitoso: in un
trent‟anni venti edizioni.182
In queste pubblicazioni destinate ai fanciulli ed ai giovanetti ci è dato cogliere come il Servo
di Dio ordinasse la scienza delle cose divine alla pietà e ad una Devozione illuminata fin dalle
prime manifestazioni dell‟intelligenza. Sa Iddio se debbono piú gratitudine i fratelli minori e la
sorella al fratello grande per tutte le belle cose che diceva loro ed i bei esempi che offriva, o il
fratello grande a loro per il tirocinio che essi gli procurarono.
181
182
62
Ivi, p. 231.
R. FRASSINETTI, Giardino di devozione pei Giovinetti, Oneglia 18546, pp. 3-6.
CAPITOLO XIII
BRUCIAMI, SIGNORA, IL CUORE
COL FUOCO DEL TUO AMORE
Se le prime cognizioni che si danno [ai fanciulli] quando cominciano ad usare di ragione sono
quelle che formano il cristiano, i fanciulli si troveranno formati tali senza avvedersene, quasi nati
e non fatti. Le prime impressioni dell‟infanzia restano piú profondamente radicate e hanno
influenza piú potente sopra tutta la vita dell‟uomo; né questo fa bisogno provare mostrandone la
verità un‟esperienza costante.
G. FRASSINETTI, Compendio della Teologia Dogmatica.
Esperienza come la sua e dei fratelli che si ritrovarono formati cristiani senza avvedersene,
quasi nati e non fatti. Scrivendo per i fanciulli non fanno che tornare alle prime impressioni
dell‟infanzia [che] restano piú profondamente radicate. In casa Frassinetti l‟anima respirava Dio
come i polmoni l‟aria. Lo confermano le pubblicazioni del Priore e di don Raffaele destinate ai
giovanetti. Vi si avvertono le impressioni della loro infanzia rimaste vive nel loro cuore e da tali
scritti possiamo arguire quale fosse in quella casa la vita di pietà:
Io, che mi sono sempre occupato di voi,… – scrive don Raffaele – poiché vedo che si può...
indirizzarvi tutti nel retto sentiero che mena a virtú, e farvi amare solo pietà e devozione, e aborrir
vizio e peccato, e innamorarvi tutti di Dio, pensate quanto volentieri m‟occupai del piccolo lavoro
giudicando di far cosa a voi gratissima... Vi troverete molti esempi di Santi... So che i giovinetti
non altro ascoltano piú volentieri che gli esempi dei Santi… ne avrete anche molti di Santi
giovinetti... avrete moltissimo di che imparare e prendere quel santo impegno e zelo che avevano
costoro per la gloria di Dio e la salvezza della loro anima.183
Le preghiere, il tono con cui le raccomanda ed i consigli che vi aggiunge, tenuto pur conto
dell‟esperienza pastorale fatta alla scuola del fratello, sanno tanto di ciò che si sentiva dire
fanciullo dalla mamma mentre lo vestiva o lo poneva a letto, e poi, lei morta, dalla nonna, dalla
zia e dalla sorella:
Appena svegliati, segnatevi col segno della santa Croce e dite: Mio Dio vi amo sopra ogni cosa,
e vi dono il mio cuore. Maria Santissima, beneditemi. Non state oziosi a letto, vincete la pigrizia,
alzatevi subito. Ancorché siate solo nella vostra stanza, vestitevi con tutta modestia, pensando che
Dio vi vede, e che siete sotto gli occhi del vostro Angelo Custode… Quindi dite in ginocchio...184
Con lo stesso tono li prepara alla confessione, all‟ascolto della messa, alla comunione,
propone dieci meditazioni sulle verità eterne, suggerisce la visita al Santissimo e a Maria, spiega
come dire il rosario e fare la Via crucis.
Que‟ giovani che si accostano frequentemente alla comunione non cadono mai, o quasi mai in
peccato; que‟ giovani che stanno lontani dalla comunione fanno le piú miserabili cadute... Quei
183
184
R. FRASSINETTI, Giardino di divozione pei Giovinetti, VI ed., Oneglia 1854. pp. 3-6.
Ivi, p. 9.
63
giudiziosi giovinetti che incominciano dalla prima comunione a cibarsi frequentemente di questa
manna di Paradiso e continuano poi sempre, si conservano sempre buoni ed immacolati, e vivono
quasi da angioli in questo mondo una vita la piú allegra e contenta, perché, se si può avere pace e
maggiore consolazione qui in terra, si ha solo con lo starsi maggiormente uniti al Signore.
Dunque... anche tutte le domeniche e le feste del Signore e della Madonna accostatevi a questo
divinissimo Sacramento...185
Dio è un gran limosiniero, e se tanto raccomanda la limosina agli uomini, molto piú la deve far
Egli il quale è sí ricco… e sí buono. Perciò presentatevi sempre davanti a Dio siccome poverelli…
e Iddio volgerà benigno lo sguardo sopra di voi... Di chi sentirà pietà e compassione se non del
poverello?...186
Ed ogni cosa è corroborata da tanti esempi di santi. Se il libretto fosse anonimo, lo
penseremmo scritto dal fratello Priore. Ecco un brano da un‟opera di Giuseppe anch‟essa
profumata di ricordi d‟infanzia:
Qualche volta [a Pio] furono presentati libri e stampe cattive... Se li conosceva a prima vista,
faceva come fareste voi se vi venisse presentato un ferro infuocato, oppure una qualche
immondezza, per non scottarvi… né sporcarvi… Se non li conosceva…, ma aveva qualche motivo
di dubitarne, li portava tosto al suo confessore… e sentendo che erano scritti cattivi o pericolosi
non li riportava piú a casa, se non talvolta… per fare un falò… Accadeva sovente che,
mostrandosi… cosí franco nell‟adempiere ai suoi doveri, era burlato, preso in giro, trattato da
scrupoloso e bigotto da gl‟impertinenti e scandalosi che restavano da lui mortificati. E che conto
faceva di que‟ motteggi e disprezzi? Il conto che fa la luna dei cani quando le abbaiano… lascia
che abbaino, e tira avanti senza badarvi.187
Ancora qualche pennellata di questo Pio in cui si intravede Giuseppe:
Se voi aveste conosciuto Pio, avreste veduto un giovinetto vispo, spiritoso, disinvolto, franco,
coraggioso; ma insieme sempre timoroso di far peccato: quindi sempre vigilante sopra sé stesso…
Ma, dunque, direte voi, questo giovinetto avrà fatto una vita infelice, triste, malinconica, sempre
afflitta e conturbata dalla paura. Eppure no: come vi dicevo, egli era un giovinetto vispo, spiritoso e
disinvolto, franco, coraggioso, l‟immagine dell‟allegria... Il timore di cui vi parlo è il principio
della sapienza che riempie l‟anima di consolazione, perciò chi possiede questo preziosissimo timor
di Dio, non può essere afflitto e malinconico... Pio lo possedeva ed era il piú allegro giovinetto del
mondo.188
Un Pio copia del ritratto che santa Paola ci ha lasciato del fratello:
Ebbe da natura un carattere focosissimo… neppure scusava o copriva le mancanze che
commetteva a causa della sua grande vivacità... dai primi suoi anni mostrò di avere grande orrore
non solo al peccato, ma anche alle piú piccole bugie, che mai disse...
La morte della mamma segnò per i piú grandicelli un prima e un dopo. In un anno e mezzo
quattro bare. Il fratellino Camillo di pochi giorni, la mamma a meno di una settimana di distanza;
di lí a sei mesi Bartolomeo, il piú piccolo degli orfanelli. L‟anno dopo la nonna. Il padre, già di
per sé austero, ridere e scherzare in quegli anni l‟avranno visto poco, e come una mamma, cui
tocca fare da padre, è troppo mamma, cosí un padre, cui tocca fare da mamma, è troppo padre.
185
Ivi, pp. 29-30.
Ivi, p. 8.
187 G. FRASSINETTI, Esercizi spirituali pei giovinetti…, Genova 18654, pp. 95-97.
188 Ivi, pp. 98-100.
186
64
La paura di non custodirli come li avrebbe custoditi la mamma, lo faceva essere rigido piú di
quanto occorresse e di quanto per natura fosse portato.
Ma il padre era tutto il giorno in bottega, in casa rimaneva la zia, e la zia... era zia, e si sa, le
zie non sposate sono sempre state arrendevoli con i nipoti. Non sanno esigere quel che sa esigere
una madre, né giunge dove giunge l‟occhio della mamma. Cosí, quei nipotini in gara a chi dava
piú gusto a Dio riuscivano a mascherare le loro intemperanze. La mamma avrebbe certo
moderato quel desiderio di imitare i santi e la fretta di farsi anch‟essi presto santi, impedendo a
Paola i molti e prolungati digiuni e proteggendo dal freddo le mani di Giuseppe. Casa e chiesa,
quei ragazzi. Una casa trasformata in chiesa con altarini e sacre immagini, celebrazioni di messe,
novene con tanto di latino comprensibile solo alle orecchie del Signore, e prediche, e processioni
di stanza in stanza, cantando tutte le canzoncine apprese in chiesa. Don Giuseppe parroco non si
stancherà di far cantare i giovani, e, per il canto, scriverà una infinità di strofe devote, seguendo
anche in questo il suo maestro sant‟Alfonso: legare le verità della santa fede alla melodia del
verso e del canto:
La musica ha una dolce e forte attrattiva di modo che si trae dietro i cuori... Procura dunque che
specialmente la gioventú impari a cantare buone e pie canzoncine... Un santo Vescovo
dell‟antichità, vedendo il suo rozzo popolo molto restio ad ascoltare le verità della fede, le riduceva
in versi e le cantava a capo d‟un ponte dove era gran passaggio. Attratte dal canto si fermavano
quelle genti ad ascoltare la salutare dottrina che non volevano ascoltare altrimenti.189
Nelle raccomandazioni avverti ricordi della casa della sua adolescenza:
Dove lavori, dove… stai quotidianamente, metti un‟immagine divota che tu abbia a vedere
anche soltanto che alzi gli occhi....190 Maria vi ricorda che dal cielo vi vede... vi concilia lo spirito
della preghiera, vi ravviva nel suo amore e nel desiderio di poterla vedere e contemplare…
Mettetene una pure nella vostra stanza per meglio ricordarvi che siete sotto i purissimi suoi sguardi;
e ogni volta che vi entrate o ne uscite, salutatela con le parole Ave Maria dandole un riverente
bacio figliale... Ben custodita quella porta alla cui guardia siede Maria!191
Raccomanda le giaculatorie e ne suggerisce, tra l‟altre, una di san Bonaventura: “Bruciami,
Signora, il cuore col fuoco dell‟amor tuo”.192 Era tanta l‟importanza che dava alla pietà dei
fanciulli, da raccomandare agli adulti di ricorrere alle loro preghiere per ottenere le grazie dal
cielo:
La S. Chiesa fin dai primi secoli riconosceva una virtú particolare nelle preghiere dei fanciulli, e
perciò voleva che essi specialmente pregassero nella liturgia della S. Messa. S. Giovanni
Crisostomo predicava: “Giacché gli adulti hanno offeso Dio e provocato ad iracondia, lo plachino i
fanciulli innocenti colle loro preghiere”. Per la qual cosa, qualora tu abbia da ottenere qualche
grazia, specialmente se sia di molta importanza, fa pregare i fanciulli...193
L‟istruzione religiosa ai fanciulli era poca e poco frequentata. Imparaticcio di memoria e attestati
d‟essersi confessati nei tempi prescritti. La predicazione dal pulpito e dall‟altare li ignorava. A Santo
Stefano, parrocchia di quindicimila anime andavano a catechismo un quaranta ragazzi. Quando
189 ID., Industrie spirituali,
190 Ivi pp. 68-69.
191 ID., Avviamento
192 Ivi, pp. 25.30.
193
Torino 1860. Cito dalla 3a ed., Genova 1864, pp. 43-44 e p. 7.
dei giovinetti nella divozione di M. Santissima, Roma 1846, pp. 12s.
G. FRASSINETTI, Industrie spirituali…, pp. 43s.
65
cominciarono ad occuparsene lo Sturla ed il Frassinetti salirono a settecento!194 Non mancavano i ragazzi,
mancava chi se ne prendesse cura. Queste considerazioni sono necessarie perché non ci si meravigli se in
casa Frassinetti troviamo qualche cosa che un prudente direttore d‟anime avrebbe saputo moderare senza
spegnere lo slancio generoso di quei fanciulli. Non credo che ci sia stato santo che, specie in gioventú,
non abbia avuto un po‟ di pazzia, almeno nel giudizio della gente che sa vivere: “Tu sragioni, Paolo, il
troppo studio ti ha dato al cervello!”, l‟ impressione che l‟Apostolo dette al procuratore Festo, uno che
sapeva vivere.195
Dopo la morte della madre… si diede piú che mai allo studio… non uscendo mai di casa che per
recarsi alla Chiesa ed alla scuola: e quando rimaneva in casa si trovava sempre in camera a
studiare. Dormiva assai poco, e dallo stare tante ore nell‟inverno a tavolino a studiare soffriva
molto freddo e gli si coprivano le mani ed i piedi di geloni talmente che gli facevano piaga, con
tutto ciò non volle mai adoperare fuoco, né in altro modo coprirsi onde diminuire o liberarsi da quel
dolore incomodo.196 Non solo non mangiava mai fuori pasto, ma neanche si sarebbe messo in
bocca la piú piccola cosa come sarebbe un acino d‟uva, un confettino o simili. Crescendo negli anni
cresceva in lui lo spirito di mortificazione e cominciò ad usare catenelle e disciplina. I suoi discorsi
in famiglia erano sempre diretti ad infondere nel cuore il disprezzo e l‟aborrimento a tutto ciò che è
vanità e che è amato dal mondo, e stima ed amore per la virtú anche la piú sublime.197
Uguale spirito di penitenza ed abnegazione nella sorella:
[Paola] divenne cagionevole di salute per le sue mortificazioni frequenti. Oltre i digiuni
prescritti dalla Chiesa, che ella osservava anche prima d‟esservi obbligata, – le sottolineature sono
mie – digiunava pure tutti i sabati… e nella vigilia dell‟Immacolata Concezione in pane ed acqua.
Concedeva poco al sonno… si alzava prestissimo perché si era assunta l‟incarico di destare i fratelli
quando dovevano mettersi allo studio di buon‟ora, perciò andava a riposare vestita e col busto
molto stretto onde avere un sonno irrequieto e destarsi facilmente. Tante fatiche e mortificazioni la
indebolirono nella sua salute e fu presa da una tosse ostinata che le faceva emettere dalla bocca
molto sangue ed era ridotta a tale estremo che i medici le concedevano appena una quindicina di
giorni.198
Si direbbe un ricalco del fratello. Quasi in parallelo, trent‟anni prima che fossero scritte queste
Memorie su Paola, il Fassiolo scriveva del Fratello:
Lo scrivente può attestare che una volta in un discorso famigliare con due o tre giovani studenti,
disse francamente che egli da giovane non mai tralasciò un giorno d‟assistere al santo Sacrificio
della Messa... Da chierico cominciò a digiunare ogni Sabato in onore di Maria, ed ogni anno alla
vigilia di N. S. Immacolata in pane ed acqua... Non fu mai solito mangiare fuori di pasto 199
194
G. FRASSINETTI, Memorie intorno alla vita del Sac. Luigi Sturla, Opera postuma, Genova 1871, pp. 12-14.
At 26,24.
196 Continuò cosí fino alla tarda età come ci risulta da una lettera al vescovo di Albenga in cui si scusa non
avergli risposto prima perché impedito dai geloni alle mani. AF.
197 Documento addotto al processo dalla suora dorotea M. Elisa Vassallo, copiato da un autografo della
Fondatrice. POS.V, Summ. add., Pars II, p. 40.
198 Si ricava dalla deposizione di suor Elisa Vassallo al processo POS.P, pp. 35s.
199 DOMENICO FASSIOLO, Memorie storiche intorno alla vita del Sac. Giuseppe Frassinetti…, 1879, pp. 17 e
116s.
66
195
Le suore che stesero le Memorie provarono a darci una spiegazione: Paola nascondeva con
disinvoltura quanto soffriva… sapeva far cosí bene che, sedendo a mensa col padre e coi fratelli
niuno di essi accorgevasi che il suo pasto, già cosí misurato, era ormai divenuto scarsissimo.200
Fa pensare all‟Ape ingegnosa descritta dal fratello: “Quando voleva mortificarsi nel mangiare,
diceva che non ne aveva voglia che equivale a volontà; e veramente, non volendo mangiare, non
aveva questa volontà...”. Le cose cambiarono quando il fratello prese Paola con sé a Quinto,
dove la vediamo rifiorire, il che fa pensare che l‟ape ingegnosa non riesce piú a mascherare i
suoi digiuni ad un fratello esperto nella stessa arte. I santi, dei cui esempi si nutriva, Paola li ha
conosciuti dal fratello, le devozioni sono quelle del fratello:
Ne‟ giorni di festa – depose la Danero – il fratello mi diceva: “Andate con mia sorella a
divagarvi un poco”, cosí ci recavamo al bosco vicino ed ella prendeva a parlarmi di qualche tratto
della vita di qualche santo o santa, specialmente di S. Maria Maddalena de‟ Pazzi, dell‟amore che
Gesú Cristo ci porta nel Santissimo Sacramento... mi ricordo che teneva seco due libri di S.
Alfonso, cioè la Pratica di amare Gesú Cristo e le Visite al SS. Sacramento. Contemporaneamente
ella cominciò l‟opera di carità verso le fanciulle povere... Insegnava il catechismo.
S. Alfonso Maria de‟ Liguori, S. Ignazio di Loyola, S. Maria Maddalena de‟ Pazzi... erano
quelli i cui nomi le venivano piú frequentemente sulle labbra.201
Sono i santi del fratello, come si ricava dai suoi scritti editi ed inediti. In una pagellina –
40.000 copie dal 1839 al 1847 – il fratello aveva scritto:
Domandiamo anime a Gesú, diceva S.ta Maria M[addalena] de‟ Pazzi alle monache sue
compagne, domandiamone tante, quanti passi facciamo pel monastero; domandiamone tante,
quante parole recitiamo nel Divino Ufficio.202
La Vassallo ci conferma che Paola leggeva libri spirituali, particolarmente le opere ascetiche
di S. Alfonso.203 Queste testimonianze ci dicono che in casa Frassinetti, durante gli anni del
chiericato di Giuseppe ed i primi del suo sacerdozio, si leggevano vite di santi, venivano tutti
addestrati all‟insegnamento del catechismo, non solo i fratelli chierici, ma anche Paola, e che di
tutti era maestro di spiritualità il beato Alfonso Maria de‟ Liguori, la grande scoperta fatta in
quegli anni dal nostro Servo di Dio. Queste testimonianze ci dicono che a monte d‟ ogni libro del
Frassinetti c‟è la sua vita vissuta e, in non pochi di essi, un ritorno agli anni della sua gioventú e
ai discorsi avuti in famiglia con la sorella e con i fratelli. Nel 1837, ancora parroco a Quinto,
scriveva:
Se mi fosse chiesto di quali opere… si dovrebbe particolarmente promuovere la lettura, io direi
delle opere del B. Alfonso Maria de Liguori… vi trovi una purità di dottrina che nulla puoi
200
Memorie..., pp. 13.
POS.P., Summarium, pp. 2s; Memorie intorno..., pp. 501s. Questa forma di culto fu “stabilita nella
Parrocchia di Quinto la prima volta nell‟anno 1833 o 1834” (ivi p. 45). La data ci dice che è l‟epoca che ha con sé la
sorella in canonica. Su santa Maria Maddalena de‟ Pazzi il Frassinetti tornò a piú riprese: nel 1853 pubblicò Le
amicizie spirituali... stimolo allo zelo per la salute delle anime da santa Maria Maddalena de‟ Pazzi; nel 1855: Tre
sacri gioielli della serafica del Carmelo S. Maria Maddalena de‟ Pazzi. Nei manoscritti a noi pervenuti troviamo
anche Estratti dalla vita di S. Maria Maddalena de‟ Pazzi del Puccini.AF, Man., vol IV, pp. 515-531.
202 G. FRASSINETTI, Culto perpetuo ad onore del SS. Sacramento. Si trattava d‟una pagella a noi non pervenuta
ma riprodotta nelle Memorie intorno alla Congregazione del B. Leonardo da Porto Maurizio, Genova 1857, pp.
154-156. Questa forma di culto fu “stabilita nella Parrocchia di Quinto la prima volta nell‟anno 1833 o 1834”. ivi p.
45. La data ci dice che è l‟epoca aveva con sé la sorella in canonica.
203 E. VASSALLO, Memorie..., pp. 33s.
67
201
desiderarne di piú, un fervore di spirito che difficilmente ti verrà fatto riscontrarne maggiore… una
semplicità che, quantunque spesso rozza e disadorna, ti piace e ti tocca fortemente il cuore...204 Il
libretto delle sue Massime eterne per me vale un tesoro e vorrei sapere se altro ne esista piú adatto
per addestrare i rozzi all‟importantissimo esercizio della meditazione… Fosse nelle mani di tutti
quelli che arrivano a saper leggere e ne leggessero qualche tratto ogni dí! Nella Pratica d‟amar
Gesú Cristo parmi trovar raccolto il fiore dei libri buoni: e chi lo potrà mai leggere da capo a fondo,
senza trovarsi sforzato ad anatematizzare con l‟Apostolo chiunque non ama Gesú Cristo?205
Se la mia ipotesi che ne La forza di un libretto v‟è un eco dei discorsi tenuti in casa dal
Frassinetti da seminarista e giovane sacerdote ha un fondamento, v‟è la conferma che Giuseppe
nutriva i fratelli soprattutto delle opere di sant‟Alfonso:
VIRGINIA– Chiama Domenica che voglio sapere se mi ha comprato certi libri.
ELISA – Quali libri ti fai comprare?
VIRGINIA – Me li suggerí il Confessore [supposta vera l‟ipotesi, leggi: mio fratello Giuseppe]: La
pratica di amare Gesú Cristo e le opere spirituali di S. Alfonso gran Vescovo e gran Santo,
come mi disse, di questi ultimi tempi.
ELISA – Me li mostrerai domani, e anch‟io me li farò comprare...
VIRGINIA – Ho trovato che nelle sue opere spirituali vi sono le meditazioni per tutti giorni della
settimana, e il Confessore mi disse che adesso ne leggessi attentamente una per giorno, che
quindi la prima volta che sarei tornata da lui mi avrebbe meglio istruito sul modo di farla.
Sant‟Alfonso diventa il loro testo:
ELISA – Alle sei mi alzerò anch‟io e farò quindi mezz‟ora di meditazione.
VIRGINIA – Ti ha dunque istruita sul modo di farla?
ELISA – È cosa semplicissima; ho veduto che in poche parole S. Alfonso, prima delle meditazioni
sulle massime eterne, accenna il modo di farla.206
Dialogo che ci fa anche da spia di come il confessore Frassinetti dirigesse le anime facendone delle
alunne di sant‟Alfonso ed innamorandole delle sue opere. Le due amiche si mettono ad escogitare i
modi per conquistare le compagne che già hanno avvertito in loro un cambiamento e sono attirate
dal loro esempio. Prima di chiudere il capitolo piace giustapporre alle parole del Frassinetti quelle
di un letterato, don Giuseppe De Luca. Uno piú bello dell‟altro, mio caro lettore, [la Pratica di
amare Gesú Cristo… e gli altri Opuscoli sull‟Amore Divino]. Limpide, piane, ardenti pagine, che
sono tutta una preghiera e una preghiera intessuta – come nel parlare dei Padri – di espressi o taciti
brani di Sacra Scrittura; tutte gremite di fatti e di voci dei piú cari e dei piú alti Santi. Pagine senza
presunzioni di grandi pensieri, senza impennature di vedute nuove, senza leccature di stile e
lenocini di grazie letterarie; e tuttavia vive e calde come dolce focolare, mormoranti e suadenti
come una pura vena d‟acqua preziosa. Pagine nelle quali il Santo non si distacca un attimo dai piedi
sanguinanti di Cristo, e ripete al suo Amore crocifisso, senza mai venir meno, le sue parole
d‟amore e di dedizione totale.207
204
G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici, Genova 1838, pp. 20-21. Cito dalla terza edizione,
rarissima. La prima del 1837 e la seconda (un‟edizione pirata stampata a Milano) non ci sono purtroppo pervenute.
205 Ivi, nella nota 9. Il nome del Liguori agli occhi dei rigoristi era peggio del panno rosso agli occhi del toro, e
fu causa non ultima delle ire suscitate contro il nostro Servo di Dio, ire ancora vive dieci anni appresso nel Gesuita
moderno del Gioberti. In questa nota, una delle 19 apposte alla terza edizione delle Riflessioni, il Frassinetti si
difendeva dalla critica d‟aver suggerito le opere dell‟ancora beato Alfonso Maria de‟ Liguori.
206 G. FRASSINETTI, La forza d‟un libretto, pp. 119.128.165.167-168. Mi sono permesso qualche piccolo ritocco
all‟ortografia.
207 G. DE LUCA, Piano... con Sant‟Alfonso, in “L‟Avvenire d‟Italia” del 19-IX-1934.
68
Palato buono il nostro Giuseppe, e “gustosa” e nutriente la cucina napoletana che la sorella ed
i fratelli assaporavano alla sua mensa. La spiritualità di Paola, come evince dal processo di
canonizzazione, è tutta informata su quella del fratello, da cui aveva largamente attinto negli anni
giovanili vissutiti insieme. Quando si separarono continuò a formare le sue suore e le sue
educande sulle opere di Sant‟Alfonso e su i ricordi di quella scuola domestica i cui insegnamenti
ritrovava nei libretti che il fratello andava scrivendo ed essa distribuiva a centinaia di copie.
69
CAPITOLO XIV
“I RAGAZZI DEL GIANELLI”
È qua il Cristo; no, è là!208 Anche il martire Giustino lo cercava senza sapere chi cercasse e
dove cercarlo. Sentiva una forza in sé che lo spingeva a cercare. Andò da un peripatetico, ma
incontrò un vendichiacchiere a caro prezzo. Chissà se un pitagorico..., ma il pitagorico non
accettava alunni non all‟altezza del suo insegnamento. Da un platonico ebbe qualche seme di
verità. Barlumi. Un dí incontrò un vegliardo misterioso che lo indirizzò ai profeti. Questi gli
aprirono la strada a Cristo.209 Non meno faticoso l‟itinerario d‟Agostino prima di quel tolle et
lege che segnò il suo incontro con l‟apostolo Paolo e la sua resa definitiva alla grazia.210 È una
storia antica. Ebbe inizio quando un gruppo d‟amici pescatori udirono parlare d‟un certo
Giovanni che predicava sulle rive del Giordano. No, non era lui il Cristo, ma fu lui che li
indirizzò al Cristo. L‟incontrarono verso le quattro del pomeriggio, stettero con lui tutta la serata,
né piú se ne separarono.211
Giuseppe Frassinetti ebbe da muoversi meno. Incontrò il suo “vegliardo” o, se si vuol dare
importanza all‟età, il suo Giovanni Battista, l‟uno e l‟altro di circa anni trenta, in seminario a
scuola di “Rettorica”, un po‟ il nostro liceo classico, e lí, alla scuola del Gianelli, incontrò pure
un gruppo di ragazzi che, divenuti anch‟essi sacerdoti, combatteranno con lui la santa battaglia.
Dio disse ad Elia: – Rifai la strada per Damasco... ungimi profeta Eliseo –... Ed Elia si partí,
trovò Eliseo che arava... gli si accostò e gettò su di lui il suo mantello... e lo spirito di Elia si
travasò in Eliseo.212
Nel 1816 fu il cardinal Spina a far tornare il Gianelli su i suoi passi e a farlo fermare a Genova
nel seminario. In realtà era stato il Signore che ve lo aveva chiamato perché travasasse il suo
spirito in un gruppo di adolescenti che mi piace chiamare “I ragazzi del Gianelli”. Non mi
convince molto affidare il reclutamento delle vocazioni a dei professionisti. Quei ragazzi mi
paiono pulcini nati in incubatrice, non dal calore d‟una chioccia come natura vorrebbe. Il giorno
della creazione le piante si trovarono tutte in cuore un seme vivo per riprodursi in foresta.213 Cosí
dovrebbe essere di ogni ministro di Dio. Lo fu di Elia per Eliseo, di Giovanni l‟Evangelista per
Policarpo, di Policarpo per Ireneo. Gente che non partí da questa terra senza prima essersi
riprodotta in altri, avere avvampato altri. Ascoltiamo la rievocazione di Ireneo:
Ti conobbi da Policarpo nell‟Asia Minore che ero ancora ragazzo – scrive a Florino –..., le cose
di allora me le ritrovo in mente meglio di quelle di poco fa… Potrei perciò ancora indicarti il luogo
dove il beato Policarpo si sedeva a predicare, come usava introdursi e come sviluppasse
208 Mt
24,24.
209 GIUSTINO, Dialogo con Trifone, capp. 2-8.
210
AGOSTINO, Confessioni, l. VIII,12.
Gv 1,10.
212 1 Re 19,15-16.
213 Gen 1,11s.
211
70
l‟argomento, quale il suo stile di vita, che aspetto aveva, ripeterti i discorsi che teneva al popolo,
parlarti della stretta familiarità che diceva aver avuto con [l‟apostolo] Giovanni e con gli altri che
avevano visto il Signore, e come ci ripeteva a memoria i loro discorsi e ci narrava i fatti del Signore
appresi dalla loro viva voce, ed i suoi miracoli, ed i suoi insegnamenti… Quei discorsi, che, per
grazia di Dio, ascoltai ragazzo con tanta attenzione, non li appuntavo sulla carta, me li imprimevo
nella memoria e nell‟intimo del cuore e, grazie a Dio, non ho mai cessato di ripensarli con amore.
Tornando con il pensiero a Policarpo, poteva affermare ciò che avrebbe fatto e detto se fosse
stato testimone del tralignamento di Florino.214 Come Policarpo il Gianelli, Parola-saetta. Né gli
mancò, accanto ai suoi Irenei, un Florino che si sarebbe acquistato fama vaneggiando.215 Pre‟
Antonio Gianelli fu di tale ascendente sui quei giovani che, anche assente e non piú professore,
restò per loro norma di come comportarsi, consigliere e punto di riferimento.
In seminario insegnò lettere. Nulla di speciale la scuola di “Rettorica”. Composizioni italiane
e latine, in prosa ed in versi, familiarità con i vari metri e generi letterari. Mitologia, gli eroi di
Plutarco visti con gli occhi del Metastasio, anacreontiche popolate di pastorelle, e, perché
seminario, escursioni nel mondo biblico e santorale. Quanto era bastato ad un “abate” del
Settecento per dettare epigrafi, comporre poemetti per monacazioni, nozze, nascite e comunioni,
nonché canzonette sacre e profane, tessere discorsi per le varie circostanze e darli poi alle
stampe. Una seconda occupazione che in non pochi diventava la prima, se non addirittura la sola.
Genova si gloriava di averne avuto uno eccelso, ancora in fama di grande poeta: Carlo Innocenzo
Frugoni. Se poi la natura non fosse stata avara dei suoi doni, quell‟educazione base poteva essere
il punto da cui partire per innalzarsi molto piú in alto, come era stato d‟un Muratori, d‟un
Forcellini, d‟un Parini o d‟un Galiani.
Il piú del tempo era per il latino, meno per l‟italiano, e questo da ricalcare su quello, se voleva
essere degno di far gemere i torchi. L‟italiano era appreso sui classici del bello scrivere, né piú
né meno di come si apprendeva il latino, privilegiando il Segneri, se si sognava di calcare i
pulpiti. Non c‟era studente che non imparasse a memoria passi dell‟una e dell‟altra lingua e non
raccogliesse nelle sue silvæ perle rare ed esotici fiori di lingua. Lingua viva per tutti, professori
ed alunni, il genovese, né valse l‟averne l‟arcivescovo proibito l‟uso.
Della scuola del Gianelli siamo in grado di parlarne servendoci di quaderni del Frassinetti, di
manoscritti del Gianelli, di resoconti delle accademie tenute sotto la sua direzione ed attingendo
a ciò che di lui scrissero i suoi alunni:
Aveva – scrive il Barabino – un grande trasporto all‟arte della declamazione... un giorno della
settimana ci faceva recitare dalla cattedra… i piú eloquenti brani dei classici... Istituí
un‟accademia… che teneva due volte ogni mese le sue tornate... Ciascuno dei soci era tenuto a
leggervi un proprio componimento, ma di tema assegnato... Se mostravasi tanto sollecito
coltivando l‟ingegno de‟ suoi discepoli, molto piú si studiava a coltivarne il cuore… parlavaci
spesso del Crisostomo e del primo Segneri e... inculcavaci a leggere anche gli altri... faceva gustare
gli esempi de‟ classici sí latini che italiani, ed incitava i giovani all‟imitazione. Gli esercitava a
comporre sí in prosa che in verso... Né solo ad istruire la mente degli scolari, ma piú ancora a
formare il cuore intendeva.216 Commentava e analizzava gli storici – ricorda il Luxardo –, i
214 IRENEO, Epistola ad Florinum in EUSEBIO, Hist. Eccl. V,20,5-7. MG
215 Cristoforo Bonavino, di cui si parlerà a lungo nella seconda parte.
216 N. BARABINO,
7,1225.
Vita di mons. Antonio Gianelli, 1847, pp. 41- 48 e 348. ACGSG.
71
prosatori, i poeti principali… Cominciava dalla Storia Sacra... Non dimenticava la storia greca e
romana; e le altre del Medio Evo e dei tempi e de‟ popoli a noi piú vicini...217
vengono in aiuto gli elaborati scolastici del Frassinetti studente di retorica.218
Composizioni, tutte in versi, su fatti e personaggi della storia greco-romana e d‟argomento
mitologico insieme a temi religiosi219 o tratti dalla storia della Chiesa. Non mancano, va da sé, i
temi cari all‟Arcadia. Tasso, Cicerone, Virgilio, Orazio, Dante, Petrarca e Segneri erano di casa:
Ci
Non vi stancate di leggere, studiare ed imitar Cicerone, per l‟eloquenza latina – suggeriva il
Gianelli –, Segneri per l‟italiana; per la poetica non vi dipartite da Orazio e da Virgilio fra i latini, e
da Tasso per gli epici italiani... imparare a memoria i piú bei squarci e le migliori sentenze degli
ottimi autori,.. 220
Uno sguardo ai lavori del Frassinetti: la Parlata d‟un disperato ci dice che non era loro
estranea la letteratura che si rifaceva all‟Ossian, allora cosí in voga.221
L‟Ariosto no, valendo il principio: Maxima debetur puero reverentia.222 Temi assegnati e di
libera composizione. Al Rdo Professor di Rettorica Antonio Gianelli – In occasione d‟essere
andato fallito nella speranza del premio a cui aveva atteso.223 Quando era già in filosofia, un
capitolo sulla morte di Pio VII.224 Scrisse altri versi da teologo, trovati in fondo al volume
d‟appunti di teologia morale.225 La conoscenza delle regole del bello scrivere procurò al
Frassinetti premi, bei voti e la pubblicazione d‟un‟alcaica in latino – aveva sedici anni – :
Fervere nostro pectore quis neget
Munus supernum? quo sacra Virginum
217
F. LUXARDO, Istoria della vita di Mons. Antonio Gianelli, Genova 1882.
AF, Manoscritti, vol. 19. Una miscellanea che racchiude, legati insieme e con unica numerazione, quaderni
vari e fogli sparsi.
219 Il ragazzo che, stando alla sorella santa, non sapeva dire bugie, neppure piccole, appose una nota allo Sfogo
amoroso di S. Luigi innanzi al Crocifisso: “Questo sonetto di S. Luigi, per essere stato recitato in pubblica
accademia fu rivisto ed emendato dal professor di Rettorica il molto Revdo Antonio Gianelli”. Lo scrupolo per la
verità gli fa apporre una nota al sonetto sulla morte di Temistocle: “Si avverta che per poetica licenza si finge che
non col veleno, come scrivono certi storici, ma col ferro si sia ucciso. Si dirà che sia licenza presa a spese della
storia, ed io nol niego”. Povero poeta, se, cantando la storia, non avesse potuto servirsi della variatio!
220 A. GIANELLI, Ristretto di Precetti Rettorici, manoscritto, pp. 32,45,12,19 in ACGSG,.
221 Parlata d‟un disperato (16 endecasillabi in terza rima), p. 515s.
222 N. BARABINO, Vita di mons. Antonio Gianelli, cit., pp. 13.
223 Terzine (118 endecasillabi in terza rima), pp. 541-545.
224 In Morte di Pio VII, Pont. Mass. (88 endecasillabi in terza rima), pp. 550-553.
225 AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol XVIII: Ne cito solo alcune: Le agonie e la morte di Voltaire (91
endecasillabi in terza rima); Là su quel lido il non mai vinto inglese... (sonetto sulla battaglia di Trafalgar). C‟è
anche un distico in greco alla Provvidenza con traduzione latina, una mezza pagina in prosa latina sostenuta: Quid
cœlos metiri juvat... quid absconditas rerum caussas inquirere, legesque queis omnia obtemperant...? Si noti
l‟arcaico queis per quibus. Il latino l‟aveva appreso bene e poteva servirsene con padronanza, anche in metro.
Recensendo il primo volume del Compendio di teologia morale, la Civiltà cattolica gli fa un solo appunto: averlo
scritto in italiano! Civ. catt.,1865, vol. IV, serie VI, p. 728. In realtà lo aveva steso in latino e poi se l‟era tradotto in
italiano. Lo strepitoso successo editoriale – la prima edizione esaurita nel giro di qualche mese – fece ricredere il
censore, Civ. catt. 1866, vol. VI, serie VI, p. 596. Si noti la diversa posizione del Frassinetti, pronto a sacrificare il
bel latino alla formazione del confessore, e del recensore, servirsi dei testi di morale scritti in latino per costringere il
clero allo studio della lingua.
72
218
Pindi colamus, fert decorum
Nos studium, et rapiens in artes...226
Premi e delusioni. La storia d‟un premio mancato l‟aveva buttato giú. Ne sfogò l‟amarezza in
terza rima al Gianelli che gli aveva fatto sperare la corona che poi s‟era involata sul capo di un
altro.227 Centoventuno versi, in cui mostra i suoi nobili sentimenti. La stima e l‟affetto per il suo
professore – un Gianelli canonizzato ancor vivo cento trent‟anni prima che lo fosse da papa Pio
XII – ci dicono cosa egli fosse per lui e i suoi compagni. Da lui si fa dettare le norme di vita.
Sono versi d‟un alunno diligente in cui si avvertono risonanze dantesche dei primi canti
dell‟Inferno e qualche rispondenza con il carme manzoniano In morte di Carlo Imbonati, che
poteva essere già giunto a sua conoscenza:
Figlio – dice – che temi? – e poi sorride:
– Ove è l‟ardir? Spera e mi segui, o figlio...
Il discepolo seguirà il maestro, non per cingere alloro in Elicona, ma altra corona su piú alta
montagna. Non credo che Paola, anche se orgogliosa di quel fratello, apprezzasse tali finezze
poetiche e quella dimestichezza con dei e dee. Merito del Gianelli il buon livello della scuola, ma
anche dell‟arcivescovo
Lambruschini cui stava molto a cuore la preparazione dei chierici. A lui si deve il corso di
canto gregoriano, il corso biennale di greco, altra novità. Il Frassinetti, già in filosofia, seguí il
corso con grande onore: e secunda schola Græcæ linguæ laudatus amplissimis verbis Joseph
Frassinetti. Lode sudata!228 Giacché siamo in argomento, aggiungo di seguito gli altri attestati a
noi pervenuti. Il 16 luglio 1824 lodi per il profitto in teologia dogmatica ed ancor piú, verbis
amplissimis, per la teologia morale insieme al Cattaneo. L‟otto agosto 1825 grandi lodi per la
dogmatica. Solo per un pelo gli sfuggí il primo premio in teologia morale andato al seminarista
interno Gualco huic cum proxime accesserit, Frassinetti Joseph tulit secundum premium.229
Frassinetti, Gualco, Cattaneo, li vedremo tutta la vita uno a fianco dell‟altro. Come oggi i pulcini
delle squadre di calcio giocano anch‟essi un loro torneo, cosí quegli adolescenti avevano una
loro accademia, l‟Arcadia degli Ingenui,230 con tanto di tornate e stampa dei lavori che vi si
declamavano. Era distinta in tre classi. Nella prima, cui apparteneva il Frassinetti, potevano
esservi ascritti
coloro che, senza traccia e senza libri, saranno capaci di fare un discreto componimento in versi
Latini, o Italiani, o almeno in prosa esatta e robusta... Dovranno essere amanti dello studio ed
esemplari nella propria condotta… verranno cancellati ogniqualvolta si avranno prove in
contrario… La prima classe avrà un Principe, un Segretario, un Intendente, un Procuratore, due
Censori, un capo Consigliere, quattro Consiglieri Maggiori e quattro Minori... 231
“Chi può negare che un divin dono ci avvampa in petto? con cui onorare il sacrario delle Vergini del Pindo.
Nobile passione ci muove e spinge alle arti belle...”.
227 Anche se il Lambruschini insiste sulla imparzialità, un seminarista interno era sempre qualcosa di piú di uno
esterno, ed un blasone continuava a fare premio. Di ingiustizie simili, vere o supposte, si lamenta anche il Ruffini,
Lorenzo Benoni. Op. cit., pp. 30-31.
228 Si era gareggiato per sei ore, certatum est horis sex.
229 Le citazioni di questi due paragrafi le ho attinte dagli appunti di GIUSEPPE CAPURRO conservati nell‟Archivio
Frassinettiano.
230 Cfr. Memorie dell‟Arcadia degli Ingenui, in ASAG.
231 ACGSG.
73
226
Tra i dignitari dell‟Accademia nell‟anno 1820-1821 troviamo il Frassinetti col titolo di
secondo censore, e l‟anno successivo di intendente. La prima carica fa pensare ai probi viri dei
partiti, mentre “l‟intendente proporrà i temi da trattarsi nelle Accademie o esercizi, combinerà ed
assegnerà i diversi argomenti, dopo averli consultati col Principe e col Maestro...”. La carica piú
alta era quella di Principe, ricoperta nei due anni dal Cattaneo. Tra i Consiglieri troviamo il
nome dello Sturla, del Poggi e di Girolamo Campanella, tutti nomi che ritroveremo spesso nel
corso della storia. Nell‟anno 1821-1822 colpisce vedere successore del censore Frassinetti, anzi
di primo censore, Federico Campanella. Di lí a due anni l‟Università di Genova lo sospenderà
per un mese dalle lezioni per aver disturbato l‟ordine e la disciplina232 e avanzato “massime
contrarie alla Religione ed all‟autenticità dei libri Santi”233 mostrando “disprezzo per le pratiche
ecclesiastiche”.234 All‟Università Federico Campanella s‟era incontrato con il Mazzini e ne
divenne il compagno di moti e di congiure. 235
Anima dell‟accademia era il Gianelli. Fece epoca quella del 1821, “La Religione e le
Lettere”. Il Frassinetti recitò un componimento di 108 versi in terza rima scritto dal suo
compagno Sciallero, mentre la sua alcaica Litterarum prestigium, fu letta dal Cattaneo.236 Vi
partecipò anche Federico Campanella, con uno scherzo in genovese e un‟ode.237 Non mancò la
musica. Queste accademie, presiedute dall‟arcivescovo, presenti le autorità, i familiari degli
alunni e scelti invitati, come pure le solenni premiazioni di fine anno, erano la messa in mostra
del valore della scuola e la gran giornata degli alunni piú bravi. Ce se ne può fare un‟idea
leggendo la descrizione della premiazione di fine anno al Collegio Reale dei somaschi nel
Lorenzo Benoni di Giovanni Ruffini:238 Il canonico Poggi, che a quell‟accademia aveva preso
parte, ricordava con prosa preziosa l‟ ammirazione che avevano suscitato i versi latini del
Frassinetti.239 Chissà se il Frassinetti, da poco in paradiso, tutto intento a saziarsi gli occhi di
quelle infinite meraviglie, fece caso alla prosa leccata dell‟antico compagno ed amico, cosí
lontana dalla semplicità della sua, e ne sorrise con il Gianelli, loro maestro?
Nei titoli dei temi che venivano assegnati a quei giovani v‟è del paradossale. In pieno
assolutismo regio, restaurazione, rigorosa censura e dura repressione – sono gli anni di Carlo
Felice –, nei seminari, come nelle altre scuole anch‟esse tenute dal clero, si tifava repubblica e
libertà. Lo nota Giovanni Ruffini nel suo romanzo. Istituire repubbliche era uno dei giochi che
piú li divertiva in cortile. Non sul modello di quella di Genova, ma di quella romana con
contaminazioni della francese dei tempi della Rivoluzione. Un darsi da fare a costruire corazze
232 AUG, Documenti universitari, Registro delle deliberazioni, n. 5, 18 febbraio 1824, citato da A. CODIGNOLA,
I Fratelli Ruffini, vol. I, cit., p. XXXIX.
233 AUG, Docum. univ., Reg., .5, 11 marzo 1824. Severità piú apparente che reale, trovandosi sempre il modo di
vanificarla. Nel caso bastò una supplica, Cfr. AUG, Documenti scolastici, F. Campanella, cit. da A. CODIGNOLA,
ivi.
234 Rapporto del prefetto agli Studi Gerolamo Bertora, 5 marzo 1824, p. XXXVIII.
235 Fu capo della massoneria italiana, Dizionario del Risorgimento Nazionale, vol. II, Le persone, p. 500. Può
suscitare meraviglia saperlo zio materno della beata Rosa Gattorno. Ebbe un influsso funesto sul nipote Federico,
fratello della Beata. Sempre a Genova, Nino Bixio aveva un fratello gesuita. Antonietta Mazzini fu una pia cattolica
e tutt‟altro che fiera del fratello Giuseppe.
236 La Religione e le Lettere, un opuscolo pubblicato nel 1821 in Genova da Bonaudo, “Stampatore
Arcivescovile”. Ce ne è pervenuta una copia a mano del Frassinetti.
237 Le lettere vendicate e La Religione e le Lettere. Cfr. pure A. CODIGNOLA, I fratelli Ruffini, vol. I, Genova
1925, p. XXXVIII, n. 87.
238 G. RUFFINI, Op. cit., pp. 99s.
239 CAN. F. POGGI, Della vita e degli scritti di Giuseppe Frassinetti priore di Santa Sabina – Discorso nelle
solenni rinnovate esequie il dí 14 febbraio 1868, Genova 1868, p. 7. Cfr. pure D. FASSIOLO, Op. cit., p. 16.
74
elmi e scudi per celebrarne i trionfi con tanto di littori e fasci e bandiere con nel centro stemmi di
mani intrecciate e scritte: Repubblica – Fraternità. Le acclamazioni però non erano quelle
riportate da Svetonio impregnate di lezzo di caserma, ma odorose d‟incenso: Dio salvi la
Repubblica. 240
Atteggiamenti che ci fanno sorridere, ma erano secondo i programmi, poco importa chi
sedesse in cattedra, se somaschi scolopi gesuiti o clero diocesano. Cesare Cabella, alunno del De
Gregori e compagno del Mazzini, agli esami di Magistero per accedere all‟Università, dovette
svolgere il tema: Amilcare obbliga il suo figlio Annibale a giurare odio ai Romani.241 In
seminario cambiavano i sonatori, non cambiava lo spartito. Basta una scorsa alle poesie di quanti
poetarono sui destini d‟Italia per farsi un‟idea di come questo retoricume libresco, infarcito di
Bruti Deci Scipioni e dei loro elmi fosse divenuto sostanza del loro dire.
Questi componimenti del Frassinetti ci dicono quello che possono dirci i compiti d‟un
giovanetto studioso. Temi scolastici svolti in versi. Padronanza della meccanica del verso. Ci
sono le rime, esatto il ritmo, dipendenza dai modelli, assente l‟ispirazione. Poeta nascitur. A
parte le continue incertezze ortografiche, se si tiene conto dell‟età acerba, non mancano dei bei
versi. Nei manoscritti, una volta sacerdote, ne troviamo ancora in gran numero, ma non piú
altisonanti, né piú vi si incontrano divinità dell‟Olimpo o eroi della storia antica. Sono strofe
devote, destinate al canto per rendere belle le funzioni o da canticchiare a modo di giaculatorie.
Vi si avverte la commozione d‟un animo che crede, un Frassinetti alunno di sant‟Alfonso non
piú del Gianelli. Si direbbero una sua trovata per distendersi da studi seri senza cessare d‟essere
pastore che vuol dare un confettino alle sue pecorelle, o gustarsi lui stesso la bellezza d‟un salmo
parafrasandoselo in versi italiani. Uscita la Vie de Jésus del Renan, tradotta lo stesso anno con
proemio riboccante d‟astio anticattolico,242 il mite Priore, ormai sessantenne, si risvegliò
adolescente focosissimo, e fece di penna stiletto:
Renan
In questo dí che non ha mane o sera,
Ti generai dalla sostanza mia.
Ti assidi alla mia destra e regna e impera
Sopra il ciel, sulla terra e sulla ria
Congrega della gente sozza e altera.
Lo scettro tuo sí luminoso fia
Che sarà sol della suprema sfera
Dove luce ed amor ogni alma india.
Cosí l‟Eterno al Figlio suo diletto,
Fatto Gesú perché figliuolo a Lei
Che fece al serpente antico il gran dispetto.
E a Lui per contro un vile verme grida,
Ti traggo al suol che un pari mio tu sei!
Schiacciate il verme blasfemo deicida.
Al Lettore non saranno sfuggite le rispondenze coi salmi 2 e 110(109) ed il verso finale che
pare una risonanza della chiusa del salmo 137(136), salmo già da lui tradotto in versi settenari.
240
G. RUFFINI, Op. cit., p. 76.
AUG, Documenti scolastici.
242 Fu tradotta in italiano lo steso anno da un prete apostata, don Filippo De Boni, uno che nel ‟48 aveva
furoreggiato a Genova. Da liberale si fece mazziniano e massone. Cfr. A. COLLETTI, Ausonio Franchi e i suoi tempi,
Torino, 1925, pp. 61.70.
75
241
Nel rovescio di una lettera spedita dalla sorella al fratello don Giovanni in data 8 ottobre 1863 ne
troviamo un altro.
Al suo demone un dí chiedeva Ernesto:
Io son vago di fama e di moneta,
Dimmi qual mezzo mi saria piú presto
A conseguir la desiata meta.
Mio re, mio padre, sai che io non mi arresto
Per orror di delitto, or, se tu lieta
farai mia brama ardente, io mi protesto
Ardito a compier quanto il ciel mi vieta.
Dolce amico e figliuol, oro ed onore
L‟illuminato secolo profonde
Ove nequizia e frode havvi maggiore.
Mesci da sofo bestemmie e argomenti
Contro di Cristo il nome, risponde,
E vedrai tosto i tuoi desir contenti. 243
Figlio di pace il Frassinetti, ma non malato d‟irenismo, come non può esserlo chi ha contratto
dimestichezza con la Scrittura ed i padri della Chiesa e s‟è preso Gesú Cristo come regola del
suo sacerdozio.
CAPITOLO XV
243
76
ACGSD.
L’ADOLESCENTE FOCOSISSIMO
Un giorno una maestra dell‟abbazia mi chiese come passassi i giorni di vacanza
quando mi trovavo sola. Risposi che andavo in un angolino libero ch‟era dietro il mio
letto, tiravo la tenda senza difficoltà e lí «pensavo» – Ma che pensi? mi chiese – Penso
al buon Dio, a la vita... a l‟ETERNITÀ, penso, ecco tutto!...
S. TERESA DE L BAMBINO GESÚ244
Se la Santina non avesse lasciato i suoi manoscritti, nessuno avrebbe immaginato una bimba
di otto anni che pensa al tempo che passa e alla vanità di questa terra, alla quale non vale
attaccarsi avendoci Iddio creati per lassú. Eppure, sono le scelte di quei primi anni che fanno il
santo. Il Frassinetti viene presentato dai biografi già sacerdote, dicendoci poco o nulla
dell‟infanzia e dell‟adolescenza. Una giovinezza, la sua, pari al percorrere in treno le Riviere
della sua terra: una lunga galleria rotta di tanto in tanto da squarci di cielo e di mare azzurrissimi,
visioni di un attimo che ti danno il rammarico di non potertene godere tutto l‟incanto. Poche
paginette il Fassiolo, una la sorella. Quel che si può dire d‟ogni santo fanciullo: obbedienza ai
genitori, spirito di preghiera, orrore d‟offendere il Signore. Sprazzi di luce che fanno sentire di
quanto siamo stati derubato.
Sorprende il focosissimo rimasto vivo nella memoria della sorella. Il Fassiolo e l‟Olivari non
poterono conoscere la deposizione di Giovanna Sanguineti245 “[da] ragazzo ho sentito dire che
fosse piuttosto vivace: egli stesso lo confessava, soggiungendo però che, purché si voglia, si può
divenire miti come agnelli”. Se avessero guardato nel quaderno di poesie composte negli anni di
“Rettorica” ed in un altro della stessa epoca, Selva Poetica, dove ne aveva trascritte da varie
fonti, avrebbero avuto la conferma che fu veramente un focosissimo adolescente. A quell‟età,
anche se non si parla di sé, anche in temi generici, è impossibile non scoprire lembi del proprio
animo senza che ce se ne accorga. Proviamo a farla noi questa lettura e non ci mancheranno
sorprese, se di lui, leggendo le sue opere, ed è il mio caso, ci si era fatta un‟immagine cosí simile
all‟aura carezzevole che sul Carmelo ristorò il profeta Elia.246 Un eloquio piano che scende al
cuore. Mite l‟eloquio, mite l‟uomo, cresciuto, si direbbe, tra rose e fiori:
Questo di Flora amabile soggiorno
A Zefiro diletto, ah, quanto è bello!
Quanto ave in sé de‟ doni di Primavera:
Serbata la gentil rosa d‟Aprile
Vedesi a Giugno, e la violetta ascosa
Celando sua beltà bella si mira.
Qui il gelsomin s‟innalza, e i torti rami
Attorno stende, biancicante, e manda
Gratissimo l‟odor...247
Manuscrits autobiographiques, Ms A,33vo.
Da ragazza era stata assidua alle conferenze del santo Priore per un buon numero d‟anni ed aveva conosciuto
bene i suoi amici ed i suoi familiari. Cfr. POS.sV., p. 120.
246 1 Re 19,12s.
247 AF, G. FRASSINETTI, Mns., vol. XIX, Guerriero italico entrato in un ameno giardino mentre i barbari
depredavano l‟Italia (45 endecasillabi) Sciolti, pp. 529s.
77
244
245
Fa pensare che la sera, quando dal mare s‟alzava la brezza, il Signore se ne scendesse a
passeggiarvi per intrattenersi un‟ora in compagnia del giovinetto,248 compiacendosi del giardino
e del ragazzo che vi aveva posto a coltivarlo.249 Il canto continua con la descrizione di piante
provenienti d‟ogni parte del globo per abbellire quest‟angolo di paradiso ad un adolescente mite
e dolce, non certo focossimo. Inaspettatamente il tono cambia. No, il cantore è un rude guerriero
italico che sferza i nipoti invigliacchiti fra le delizie mentre il barbaro li spoglia:
... Italia mia,
che non rigetti ancor tai doni e invece
D‟arme ti cingi e impallidir gl‟audaci
Rapitori non fai di tue ricchezze?
Ove è gito il valor, la possa antica?
Chi ormai piú trema sol di Roma al nome?
Ahi che sprezzata vilipesa e serva
Della mollezza il fio pagar ti veggio 250
Sembra si sia fatto prestare inchiostro e penna da Giovenale.251
Focosissimo e fremiti d‟amor Patria. Ci sono echi della canzone Italia mia, benché ‟l parlar
sia indarno, trascritta nella sua Selva Poetica, pur possedendo una pregevole edizione
cinquecentina del Petrarca. Vi si avverte l‟aria respirata dagli studenti in quel 1820-1821,252 A
Genova, piú che altrove. Carlo Felice ebbe tanta paura delle chiassate da mutare l‟Università in
bivacco di soldati per tre anni e mezzo!253 Ci sono giorni che non ci si sottrarre da una psicologia
di massa. Anche se tu non partecipi alle dimostrazioni, non puoi in cuor tuo non simpatizzare per
l‟idea per cui si combatte. I moti divennero cosa degli studenti. Giuseppe era della categoria.
Non affrontò il 21, 22 e 23 marzo i cavalleggeri a Sottoripa, bastone in mano come Mazzini, né
si presentò al governatore Des Geneys a chiedergli imperioso se era schiavo o era uomo, ma
anche egli sognò l‟ora del riscatto: non piú suddito Piemontese, ma cittadino d‟Italia.254
Nel marzo – scrive il Cattaneo – accadde la rivoluzione in città per la Costituzione, ma il
Seminario non ne risentí né punto né poco: tutto fu sempre tranquillo, né vi fu il menomo disturbo,
solo per due o tre giorni furono sospese le scuole.
Il Frassinetti era studente esterno. Se non partecipò alle chiassate, non vuol dire che non
sentisse. Ci fa da spia una sua Selva poetica dove trascrisse un‟ode di Gabriele Rossetti non certo
assegnatagli dal Gianelli.255 Comunque gli fosse pervenuta gli piacque da trascriversela.
248
Gen 3,8.
Gen 1, 4.10.12.18.21.25.31.
250 AF, G. FRASSINETTI, Ivi.
251 .Saturæ, X, 78-81: Nam qui dabat olim / imperium, fasces, legiones, omnia, nunc se / continet atque duas
tantum res anxius optat, /panem et circenses.. “Chi assegnava comandi, fasci, legioni, tutto, ora sol di due cose si
preoccupa: mangiare e divertirsi”.
252 Cfr. pure G.LEOPARDI, All‟Italia.
253 Lo stesso marzo cantato dal Manzoni: Soffermati sull‟arida sponda...
254 Cfr. i Ricordi del Mazzini raccolti da PIETRO CIRONI, citato da A. CODIGNOLA, I fratelli Ruffini, vol. I, p.
XXIII, n. 40. Cfr. pure “Gazzetta di Genova”, 9 giugno 1821, n. 46, p. 190 e V. VITALE, Onofrio Scassi, Genova
1932, pp. 251-258.
255 AF, Mns., vol XXVII, Selva Poetica di GIUSEPPE FRASSINETTI, Anno 1821, Ode civica Al Regno di Napoli
de Il signor Rosetti (sic) Napoletano, “Il rampollo d‟Errico e di Carlo / e che ad ambo cotanto somiglia / oggi
estese la propria famiglia / e non servi, ma figli bramò…”, pp. 66-70. Trascritta non oltre la metà febbraio del ‟21,
quando il tradimento del Borbone diverrà evidente. Come poté essergli giunta? I controlli sulla stampa erano
severissimi. Il giovane Frassinetti frequentava le biblioteche della città, cfr. D. FASSIOLO, Op. cit., pp. 16s. Ivi non
era difficile che un compagno gli passasse una rivista giuntagli per le vie piú impensate.
78
249
Anch‟egli partecipava alla rilettura del recente passato che i giovani studenti andavano facendo,
non solo quelli che provenivano dalla borghesia umiliata, ma anche i figli del popolo che
frequentavano le scuole superiori. Per il solo fatto di frequentarle, si sentivano immessi nel loro
ceto.
Si avvertiva, specie dai giovani, il peso dei mali presenti legati alla grettezza dei restauratori
che demonizzavano il nuovo solo perché nuovo, illudendosi di poter riportare indietro d‟un
mezzo secolo la storia e tenervela bloccata. Illuminante il caso del Leopardi. Nel 1815,
diciassettenne, nell‟Orazione agli italiani in occasione della liberazione del Piceno, aveva
esaltato la vittoria degli austriaci sul Murat,256 nel 1818 componeva All‟Italia. Non si illudeva
certo d‟essere atto ad imbracciare armi quando gridava: … L‟armi, qua l‟armi: io solo /
Combatterò, procomberò sol io, né era uomo da congiura. Nel Frassinetti troviamo espressioni
leopardiane. È difficile che ne sia stato a conoscenza, anche se non impossibile. Li lega la
dipendenza scolastica dal Petrarca e l‟aria che respiravano. Né l‟uno né l‟altro nati per la guerra,
ma quale adolescente non si è immaginato d‟essere primo tra i primi tra quei che difendono una
causa? Un giorno si è sognato d‟essere con i trecento di Leonida alle Termopili, un altro, sotto
influsso d‟altre letture, compagno di Colombo, o condannato a bere cicuta con Socrate o lapidato
con Paolo a Listri. Si aggiungeva l‟umiliazione della perduta indipendenza e la politica del
nuovo signore che favoriva i piemontesi a danno dei commerci, e poi la pressione fiscale, le
barriere doganali, e il favorire Savona e La Spezia a danno di Genova. Si era al si stava meglio
quando si stava peggio.
Una tradizione di indipendenza e di opposizione contro ogni forma di governo monarchico
assoluto, aggiunta all‟avversione antica verso il Piemonte, non potevano favorire un accordo
sincero… si sentivano moralmente ed intellettualmente superiori ai Piemontesi, giudicati rozzi e
ignoranti… L‟amore per la casa regnante, cosí vivo in Piemonte, non poteva essere sentito a
Genova, ed anzi, date le tendenze democratiche… considerato come indice di mentalità
inferiore.257 .
Le due poesie, che il giovane Frassinetti si trascrisse nella Selva Poetica, ci dicono che
anch‟egli pensava quel che pensavano gli altri studenti. Per una settimana anch‟egli si illuse
prestando fede a Carlo Alberto. Di quel marzo 1821 vanno distinte le speranze dai moti di
piazza. Il Frassinetti condivise le speranze e la ribellione intellettuale alla pretesa che nulla si
dovesse cambiare, ma non fu tra gli armati di bastone a Sottoripa. Questo suo sentire civile, una
volta sacerdote, diverrà sentire ecclesiastico. Come l‟ordinamento politico poteva essere
migliorato senza sovvertire lo Stato, ed era lecito desiderarlo, cosí nella Chiesa c‟era spazio per
progettare ed intraprendere cose nuove in armonia con la tradizione, senza curarsi degli idolatri
del vecchio, solo perché vecchio, che oppugnavano il nuovo, solo perché nuovo. Profonde le
differenze tra la psiche d‟un genovese e quella di un piemontese. Le noteremo nella seconda
parte ponendo in parallelo Don Bosco e il Frassinetti, cosí amici, eppure cosí diversi.
Anche il Frassinetti ebbe i suoi sogni con il rincrescimento di non essersi trovato a vivere nel
luogo giusto al momento giusto. Il disappunto della bimba Teresa d‟Avila di non vivere tra mori
per lasciarsi descabezar per la fede, la via facile per comprarsi muy barato el ir a gozar Dios.258
Sogni di bimba. Ma alla bimba piacevano anche los libros de caballería di cui la madre era
Cfr. il Proclama di Rimini del Manzoni.in cui s‟inneggia al tentativo del Murat.
Genova dal 1814 al 1848, p. 55; V. RICCI, Appunti politici, mns. in M. Ris. di Genova, Carte
Ricci, n. 2780, con mano ancora piú pesante.
258 SANTA TERESA DE JESÚS, Obras Completas, I, Vida, c. 1,5, Madrid, 1951, p. 597.
79
256
257 E. GUGLIELMINO,
pazza. Sui quindici anni ne lesse a decine, ne risognò in proprio le avventure, ne fantasticò uno
lei stessa e lo stese sulla carta con l‟aiuto di Rodrigo: El Caballero de Abila por Teresa y
Rodrigo de Cepeda.259 E c‟è l‟impronta del genio. Un protagonista della sua terra, di Avila, la
città dei guerrieri, non un franco o un britanno.260
Il Signore rideva di questa bimba, che sarà cosí cara al nostro Giuseppe da farsela maestra.
Dio aveva bisogno d‟un‟eroina pronta ad affrontare le mille avventure e lasciava che si esaltasse
con Amadís, Florisandro e Tristán. La voleva scrittrice, e le fa apprendere l‟arte dello scrivere
sui libri di cavalleria. Che disdetta essere nata donna! Quante volte sospirò: Si fuera lícito que las
mujeres... Ogni suo sogno le si avvererà moltiplicato per mille. Non piú Muños Gil, ma la
vedremo protagonista de Las fundaciones e del poema de la Vida, e scrittrice classica tra i
classici del Siglo de oro. Il Signore ha avuto sempre in simpatia i giovani ricchi di desideri, fino
all‟ardimento di voler penetrare il segreto dei suoi pensieri, come già Daniele. 261 Chiedono cento
e dà loro cento mila, salvo qualche modifica. Andrà Teresa a gozar Dios, ma comprandosi tale
felicità a prezzo muy caro, non muy barato; non con il mezzo minuto necessario alla scimitarra,
ma con il martirio d‟una vita. Molte le affinità tra il Frassinetti e la sua Teresa. I versi dello
studentello posti in bocca a san Luigi sanno di Teresa:262
O Piaghe, o spine, o sangue, o lumi spenti,
Deh voi piú vivo in me destate amore...
Ma no, cessate, ché tutto arde il core.
Sei dolce, amor, ma strali hai troppo ardenti!
Deh, perché al mio Gesú, cari tormenti,
Non mi unite e s‟accresce il mio dolore?
Fuggi, se il cuor non basta, anima, fuore,
O pena ed ama, e non metter lamenti.
Tanto è piú dolce amor, quanto è piú vivo.
E sí dolce è per me d‟amor la pena,
Che ogni delizia avanza, ogni tesoro.
EFREN DE LA M. DE DIOS – O. STEGGINK, Tiempo y vida de santa Teresa, 1967, p. 44.
Se llama Avilés en esta tierra / El que más avil es para la guerra.
261 Dn 9,23;10,11.19. Nessuno oggi piú interpreta „jish-hamudôt con la Vulgata vir desideriorum. San Girolamo
conosceva i due valori della radice ebraica e giustifica la scelta: “perché sei l‟uomo dei desideri, cioè amabile e
degno dell‟amore di Dio”, PL 25, c. 544, ed al versetto 10,11. Mi piace far mia la scelta di Girolamo.
262 Nel comporre il suo Sfogo amoroso di S. Luigi innanzi al Crocifisso, non penso fosse a conoscenza del
famoso carme teresiano L‟avesse avuto presente, l‟avrebbe ricalcato piú da vicino. Ingenita affinità, base della
futura simpatia. Ne riporto due strofe con una mia traduzione:
¡Ay, qué larga es esta vida,
Com‟è lunga questa vita,
Qué duros estos destierros,
Quest‟esilio pien di pene,
Esta cárcel, estos hierros
Che galera e che catene
En que el alma está metida!
Allo spirito ferita!
Sólo esperar la salida
Solo attenderne l‟uscita
Me causa dolor tan fiero
Reca al cuor dolor tremendo
Que muero porque no muero.
Sí che muoio non morendo.
Aquella vida de arriba,
Lassú solo in quella riva
Que es la vida verdadera,
Sempiterna è vita vera;
Hasta que esta vida muera
Finché questa d‟or non pèra,
No se goza estando viva.
Non si gode qui da viva.
Muerte, no me seas esquiva:
Oh, non far, Morte, la schiva
Viva muriendo primero,
Fa ch‟io viva premorendo
Que muero porque no muero.
Perché muoio non morendo.
259
260
80
Onde io, che sol d‟amor mi pasco e vivo,
Son lieto perché a morte amor mi mena,
E vivendo d‟amor, d‟amor io moro. 263
Come Teresa fantasticava martíri leggendo vidas de santos, cosí il nostro Giuseppe ebbe la
sua stagione di dolce sognare. Scorrendo i suoi elaborati scolastici ci è dato fantasticare le sue
fantasticherie.264 I titoli rivelano le letture che si facevano a scuola, lo svolgimento ci scopre
come il giovane le recepiva. Non si passano ore ed ore sui testi di storia senza riviverne i grandi
fatti sognando ad occhi aperti. Eccolo oplita con i trecento di Leonida alle Termopili:
Di furor pregno, minaccioso il guardo
Dardeggiava sull‟oste, e si struggea
che del sangue di Serse ancor digiuna
l‟asta brandiva...
“Venite, prodi miei, del sol dimane
Piú non si dee veder la luce. È questo
il dí prefisso alla partita estrema.
Strage meniam, e tutti assiem raccolti
Varcherem l‟onda bruna dell‟Acheronte".265
Non sono reminiscenze carducciane: “Diman da sera i nostri morti avranno / una dolce
novella in purgatorio: / e la rechi pur io!”.266 Carducci non era ancora nato. Passa quindi a
descrivere la strage operata da quel pugno d‟eroi ed i mille atti di valore disperato come può
farlo solo un sopravvissuto suo malgrado al massacro, come poté l‟Enea del secondo libro
virgiliano. Anche il giovane Frassinetti, come già Euripide e Virgilio,267 sta col cuore dalla parte
dei vinti. Nessun disagio nei panni d‟un “Affricano” seduto sulle macerie della sua Cartagine:
Barbaro Scipio, ormai deponi il brando,
Alfin la cruda sanguinosa sete
Sazia sarà. Or di vittoria alzando
Il canto insulta all‟anime che in Lete
Spinse il tuo ferro perfido e nefando…
Ahi, fiera Roma, quando deporrai
Il sanguinoso barbaro talento?...
S‟alza il Danubio dal profondo letto
Si riversa, si spande, Italia inonda,
A Roma mostra il suo feroce aspetto.
Ogni altro fiume l‟ira sua seconda
E tutti i lor furor han qui diretto.
A tanti flutti non si trova sponda.
Immersa è Roma già nella gran piena
Che a ruina crudel tosto la mena...
Ecco del mondo la fatal reina
Cade, ché veglia in ciel giusta e possente
l‟oppresso a vendicar superna Mente. 268
Socrate l‟affascina. Se anche lui come Socrate…!
263
AF, Mns., vol. 19, Sfogo amoroso di S. Luigi innanzi al Crocifisso p. 546.
Ivi, pp. 508-553.
265 Ivi, Leonida alle Termopili (endecasillabi sciolti), pp. 524-528.
266 G. CARDUCCI, Il Parlamento.
267 VIRGILIO, Eneide; EURIPIDE, Ecuba, Andromaca, Troadi.
268 Ivi, Fingesi che dopo la distruzione di Cartagine un Affricano profetizzi la caduta di Roma, pp. 513-515.
264
81
Suoni sul capo mio folgore o tuono,
grandine, nembo, torrida procella,
Pallido rege in barbaresco trono
Armi contro di me la sua man fella.
Sorte mi lasci in misero abbandono
Ch‟io la natia benedirò mia stella.
Perché a temer avrò, se giusto sono,
Odii, fame, furor, morbi o quadrella?
Se giusto son sprezzo dolor, ritorte,
Né l‟alma di timor sarà capace
Lottando alfin coll‟invincibil morte.
Volgerà contro me l‟ira e il furore
Ogni cieco mortal, ma in cheta pace
Un sol non rimarrassi attico errore.269
Entrato in teologia, vede con maggior chiarezza quale patire l‟attende, e perché, e da parte di
chi: “Mi trovo aperta una porta grande e ricca di prospettive, ma molti i nemici”, 270 scriveva ad
apertura della Theologia moralis di sant‟Alfonso, aggiungendo alle parole dell‟Apostolo una
riflessione di san Giovanni Crisostomo: “Ciò succede tuttavia a chi ha molto zelo, ed opere
grandi per le mani”. Nella misura che gli si fa chiara la strada, sposta lo sguardo da Socrate a
Paolo di Tarso, Giovanni Crisostomo e Alfonso Maria de‟ Liguori. Se immani sono le forze
avverse, ha con sé Iddio e potrà quindi accingersi a cose ancora piú prodigiose di quelle che in
un suo canto fa compiere ad Alcide, il Figlio del Tonante:
Alto di Calpe sulla vetta assiso
Stavasi Alcide, onde sovran lo sguardo
Su‟ due mari mettea. Quinci stendeasi
Il torbido Oceàno, e senza fondo,
E quindi il mar delle Affricane arene,
… Acceso in petto
D‟ardor di gloria: “Che si vieta al forte?
Che mai – gridò – che mai non puote Alcide?...271
Una mazzata, l‟istmo vola in schegge e l‟Atlantico si riversa nel Mediterraneo. Anche
Giuseppe farà cosa prodigiosa: frantumerà la barriera che i giansenisti frapponevano alla grazia
perché si riversasse nell‟anima dei fedeli: “Mi trovo aperta innanzi una porta grande e ricca di
prospettive...”, aveva scritto. Molte le prospettive d‟un giovane d‟accesa fantasia prima che la
voce di Dio gli si faccia chiara! Anche quella di farsi un nome tra i poeti:
Scendi dal bel soggiorno d‟Elicona,
O dolce Dio del nobil Ipocrene,
Al vago ardir, o dolce Dio, perdona
con che un umil mortal a te ne viene.
Porgi tua destra a me, non m‟abbandona
nell‟ardua strada, e avviva tu mia speme,
Arrida pur d‟Apollinar corona,
Degna de‟ figli delle pie Camene.
Inspira tu il mio cor di foco ardente,
Foco trasportator, che l‟alme accende,
che di sé investe e tutta bea la mente.
AF, Mns., vol. 19, Socrate minacciato – Sonetto, p. 537.
1 Cor, 16,9.
271 AF, Mns., vol. 19, Alcide unisce il Mediterraneo all‟Oceano, pp. 511-513.
269
270
82
Vincitor foco dell‟oscuro oblio,
Alla cui possa, e terra, e Ciel s‟arrende,
Fuoco che rende l‟uom simil a un Dio. 272
Qualche velleità dovette nutrirla se anche negli anni della teologia non sa trattenersi dallo
scrivere ancora versi per evocare l‟ombra del Chiabrera e fargli chiedere ad Apollo di non
desistere dal suscitare estro poetico in cuori genovesi.273 La stagione dei sogni è fatta per sognare
come i giorni dello sposo sono fatti per stare in allegria.274 Poi l‟ora delle scelte, ed il nostro
giovane ne farà una sola:
Bisogna che l‟ecclesiastico si consideri tutto tale e si contenti di non essere altro che
ecclesiastico... l‟ecclesiastico che non si considera tutto tale, e non è contento di non essere altro
che ecclesiastico, non sarà buono. Deve egli dunque dirigere ogni sua cura, e in modo particolare i
suoi studi, al conseguimento del suo fine, che si è d‟essere buon ecclesiastico...275
Fatta la scelta, poeterà ancora, ma alla sant‟Alfonso: strofette e cantici spirituali. I romantici
per un verso, egli per un altro, la chiudono per sempre con dei e dee, Olimpo ed Elicona. Le tante
persone care scomparse in breve tempo, la caducità delle cose che ha avvertito nello studio della
storia, tutto lo porta ad agganciarsi a ciò che dura eterno. Quel pensiero dell‟eternità che teneva
occupata la mente della bimba di Lisieux e, prima di lei, i due bimbi di Avila: ¡Para siempre,
siempre, siempre, Rodrigo! – Para siempre, siempre, siempre, Teresa! ripetuti in alternanza
l‟una a l‟altro fino a quando non si asciugava loro la saliva in bocca. Per sempre! “Cosí –
commenta la Santa – il Signore in quelle bambinate mi lasciava impressa la via della verità”.276
Si ripeteva ancora una volta il “Ti lodo, o Padre, Signore del cielo e della terra, che celasti queste
cose ai sapienti e agli intelligenti, e le rivelasti ai bimbi”.277 Per sempre! Quel suo quaderno ci
dice come anche Giuseppe restasse colpito dalla labilità delle cose umane, dall‟ insicurezza di
chi si sente sicuro e dall‟eterno delle cose di Dio, come la bimba d‟ Avila e, prima ancora, i
profeti e Qoelet. In 73 versi sciolti canta la rivalsa di Camillo su Brenno, in cento versi in terza
rima la distruzione del Pireo per opera di Lisandro. Ogni esaltazione ha una fine, tutto è vanità,
tutto finisce e muore. Il suo sognare lo ha portato alla scoperta del vanitas vanitatum della
Scrittura:
Miser chi speme in cosa mortal pone!
Viene l‟uomo alla luce e poi repente
Finisce in spazio di breve stagione…
morte miglior vita dona...
D‟odio degna non è, ma sol d‟amore.278
Un giovinetto tutt‟altro che asettico, focosissimo, uno che seppe lasciare il caduco per tendere
verso le eterne cose.
272
Ivi, Invocazione a Febo, p. 510.
AF, Mns., vol. 18, Qual nuova luce del Letimbro in riva..., pp. 629-631.
274 Mt 9,15.
275 G. FRASSINETTI, Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici proposte ai chierici, Genova 1839, pp. 1-3.
276 SANTA TERESA DE JESÚS, Vida, c. 1,5, p. 598.
277 Mt 11,25; Lc 10,21.
278 AF, Mns., vol. 19, Vanità delle cose umane – Terzine, pp. 538-541.
273
83
CAPITOLO XVI
IL SEMINARIO DI GENOVA.
PRIMA DEL RETTORE CATTANEO
Quel resto d‟Israele raggruppato intorno al Gianelli si potrebbe pensare cresciuto in serra
come i fiori della Riviera. Non fu cosí. Basta dare una scorsa alle relazioni che ci descrivono
84
l‟ambiente studentesco della Genova di quegli anni e le miserande condizioni in cui era
precipitato l‟internato del seminario da farci affermare: “Il Frassinetti, per sua fortuna, era
alunno esterno”. Si preferirebbe non parlarne, ma il silenzio falsificherebbe il valore della scelta
fatta dal giovane Frassinetti e dai suoi compagni potendo anch‟essi divenire sacerdoti privi di
vero spirito, come fu di non pochi seminaristi loro compagni. 279 C‟è un‟altra ragione che vieta il
silenzio: non potremmo apprezzare l‟opera di risanamento compiuta da quei “Ragazzi del
Gianelli” da quando ne assunse la direzione il Cattaneo sostenuto dal Frassinetti, dallo Sturla e
dai membri tutti della “Beato Leonardo” – Una descrizione del prima perché rifulga il dopo.
Per vedere il primo filo di verde, si dovette prima toccare il fondo durante gli anni
dell‟assenza dell‟arcivescovo Lambruschini, nunzio a Parigi. Il nuovo arcivescovo, l‟Airenti,
sedette in cattedra solo un dieci mesi. Nell‟attesa della sua presa di possesso, il Capitolo esonerò
il rettore del seminario e nominò il nuovo nella persona di Giovan Battista Cattaneo, con non
poche riserve e disapprovazioni dei canonici. E ce n‟era motivo: un venticinquenne! Il seminario,
nelle condizioni in cui era, in mano ad un ragazzo! Il nuovo vescovo confermò la scelta,
conferma rinnovata dal suo successore, il futuro cardinal Tadini.
La data del 15 luglio 1830, presa di possesso del nuovo rettore, andrebbe scritta a caratteri
d‟oro sul portale del seminario genovese. Nello stesso periodo troviamo il Gianelli prefetto degli
studi nell‟altro seminario diocesano, eretto da appena quattro anni e sito a Chiavari in diocesi di
Genova. Da alcune lettere del Gianelli veniamo a conoscere un meraviglioso lavoro svolto in
parallelo dal maestro e dall‟antico scolaro. Che sia stato il Gianelli a rassicurare i nuovi vescovi
sull‟opportunità di confermare la carica ad un rettore “ragazzo”?
Sulle condizioni pietose del seminario dal 1797 al 1830, ci sono pervenute due relazioni, stese
entrambe dallo stesso Cattaneo nel 1840.280 Testimonianze di grande valore, essendo passato il
Cattaneo senza discontinuità, o quasi, da seminarista interno, scandalizzato da ciò che gli toccava
vedere, a quella di rettore. Nel 1840 il seminario stava vivendo da un decennio i suoi anni d‟oro
e continuò a viverli fino a quando l‟infatuazione giobertiana causò la destituzione e l‟esilio del
rettore condannandolo a vedere il suo seminario precipitato nelle condizioni del 1797! Ne morrà
di crepacuore neppure cinquantenne.281
Anni doro. Questa l‟impressione che ne ricevette un sacerdote spagnolo:
Se tu vedessi questi collegiali – scrive alla sorella suora – crederesti di vedere Angeli del Cielo.
Al passeggio, in processione superano in modestia i novizi della congregazione piú osservante.
Vengono accolti [in seminario] ancora fanciulli e vi restano fino al sacerdozio. La dolcezza con cui
sono trattati dai loro maestri e superiori fa sí che in questa casa regni una contentezza ed un
reciproco amore che sorpassa ogni considerazione.282
279
Archivio A. Charvaz, Moûtiers, Savoia, dossier IV, Gênes, fasc. II, 1854-1855, si ha una relazione sullo
Stato della Diocesi quando l‟Arcivescovo ne prese possesso 1853.
280 GB. CATTANEO Breve notizia dell‟andamento del Seminario di Genova dal 1797 al 1840, p. 4. in AF.; ID.,
Cronaca del Seminario dal 1803 al 1848. Una copia di pp. 103 in AF.; ID, Relazione dello stato del Seminario data
per gli Scienziati 1846, p. 5, in AF.
281 Ci è pervenuto un quasi diario di quel tristissimo periodo compilato da un prefetto del seminario, don Luigi
Persoglio, fattosi poi gesuita.
282 J. DE OLEZA, Un Español del siglo XIX , Op. cit. Di nobilissima famiglia, Francisco Cabrera nel giugno del
1839 passò a Genova e rimase subito colpito dallo zelo e santità del giovane clero e dei chierici del seminario. Cfr:
85
Per le condizioni del seminario prima del Cattaneo diamo la parola allo stesso Cattaneo,
l‟artefice principale di tale mutamento, citando dalla relazione breve:
Fin dal tempo della rivoluzione, cioè dal 1797, il Seminario presenta l‟idea di un Collegio il piú
disordinato.283 Fu in quell‟anno che, uniti insieme la maggior parte dei professori e Seminaristi,
obbligarono il Rettore a partirsene... fu alzato l‟albero della libertà nella piazza interna intorno al
quale i Seminaristi, uniti ad altri Cittadini, pazzamente danzavano...284 Dopo ciò il Seminario stette
chiuso per alcuni anni, il Cardinale Spina lo riaperse [nel 1803].
Ma non dipendeva piú dal vescovo, ma dalla Municipalità rivoluzionaria. I cittadini Vescovi
non potevano promuovere agli Ordini sacri senza “la preventiva intelligenza e permissione del
Governo provvisorio”. Da come s‟erano poste le cose con la “Capitolazione”,285 la chiusura fu
un bene.286 In una nota dell‟Archivio del seminario si legge: “Al tempo che tutti, anche i
confessori, avevano il titolo di cittadino, di quarantasei chierici se ne comunicarono tre”.287
Anima delle riforme era il Degola, prete giansenista, divenuto con la Repubblica Ligure
arcigiacobino. Si giunse a tentare la costituzione civile del clero e poco mancò che non venisse
accolto in San Lorenzo come arcivescovo scismatico l‟ex-lazzarista Felice Calleri, già fautore
del Sinodo pistoiese. Al 20 gennaio 1799, tra esiliati o relegati, si contavano due vescovi, 51
parroci e ben 120 sacerdoti.288 Situazione da tenersi presente nel riprendere a leggere le relazioni
del Cattaneo.
Non si raccoglievano nel Seminario che quei giovani i quali non volevano aver parte alle glorie
di Napoleone. Per fuggire la guerra si facevano preti, toltini alcuni... disciplina non ve n‟era. Il
Rettore ottuagenario... non la poteva stabilire. Cessato il pericolo della guerra... sarebbe stata quella
l‟epoca piú opportuna per richiamare l‟ordine..., ma l‟ordine non si rimise.289 Fra quei pochi
chierici – 25 nel 1818 – v'erano i maliziosi che facevano osceni discorsi... guai se uno fosse caduto
in sospetto di delatore... L‟anno scolastico 1827-1828 fu veramente fatale al Seminario… Talora i
Prefetti entrando in Refettorio venivano accolti con urla e fischiate; al Rettore medesimo non si
aveva maggior rispetto.
Sono cose che non si crederebbero, se non ci fossero altre testimonianze che suonano la stessa
musica. Ecco, per esempio, come ricordava il seminario di quegli anni don Angelo Remondini,
M. FALASCA, Rapporti di Francisco Cabrera con G. Frassinetti…, in “Verbum Dei” XL (Roma 1984) n. 110, pp.
431-446.
283 A. COLLETTI, La Chiesa durante la Repubblica Ligure, 1950, pp. 13-18.119.124.
284 Vi si tenne pure un‟accademia sul “Trionfo della Libertà”.
285 Stralci della “Capitolazione: I. – Sia licenziato sul momento il cittadino Rettore. V. – Avendo ora Genova la
bella sorte di godere del governo democratico, vogliono questo ancora in Seminario. Il Regolatore del Seminario
sarà un Vice Presidente in persona dei Maestri, uno per mese. X. – Il cittadino Arcivescovo eleggerà un Lettore
[professore] di teologia, avendo riguardo che non sia infetto di aristocraticismo [fu imposto Stefano De Gregori,
giansenista. Non si confonda con Giacomo De Gregori, anch‟egli giansenista, a cui sarà affidata dalla madre del
Mazzini l‟educazione del figlio]. XI. – Giovedí 20 sarà in Seminario un gran pranzo democratico: si pianterà
l‟Albero della Libertà... Uno studente del Seminario sarà incaricato dell‟arringa…
286 L. P[ERSOGLIO], Mons. Giovanni Lercari, ne La Settimana Religiosa, XXI(1891), p. 244. A. COLLETTI, La
Chiesa durante la Repubblica Ligure., 1950, pp. 119.124.
287 ASAG, Filza cose varie, n. 1bis.
288 Ivi, 181.
289 La piaga durò a lungo. Il Gianelli nella lettera del 28-11-1830, 71a della raccolta chiama tali candidati al
sacerdozio: schivazappe e schivaschioppi.
86
uno dei sacerdoti piú colti di Genova, anch‟ egli del circolo Frassinetti.290 Rievocazioni fatte a
quarant‟anni di distanza:
Il Cattaneo venne rettore in Seminario nel 1831 – in realtà per l‟anno scolastico 1830-1831 –,
ove io mi trovava da qualche anno. Il Seminario allora non era certo il luogo piú attraente per un
giovanetto, il quale, all‟entrare novello, vi doveva sostenere il cosí detto noviziato, che io tuttavia
con orrore ricordo. Oh che pena per un fanciullo sottostare per mesi e mesi a persecuzioni, insulti…
Venne il Cattaneo, e in breve tempo i giovanetti… vi portavano e vi conservavano il loro consueto
sorriso e la giovialità, ritrovando altrettanti fratelli quanti erano i compagni… e in pochi anni
l‟amore e la carità tra i giovani chierici, il rispetto e l‟obbedienza ai superiori, la disciplina e la
regolare condotta meritarono gli elogi di molti vescovi e… il Seminario di Genova il nome di
Modello dei Seminari.291
Un eco anche in un manoscritto del Frassinetti:
Nello Seminario Arcivescovile era molta dissipazione che diede molto disgusto all‟Em..
Lambruschini. Per la qual cosa generalmente i chierici crescevano poco colti nello spirito
ecclesiastico, e moltissimi cominciavano a comprendere che cosa fosse lo stato ecclesiastico e le
disposizioni che si richiedono per abbracciarlo quando si ritiravano appresso i Signori della
Missione a Fassolo per fare gli Esercizi Spirituali in preparazione al Suddiaconato.292
Né i seminaristi potevano formarsi un‟idea di ciò che deve essere il sacerdote rifacendosi agli
esempi che avevano sotto i loro occhi, perché, pur essendovene in buon numero di buono spirito
e santa vita, la loro attenzione era richiamata da altri piú chiassosi e di vita tutt‟altro che
edificante. Ne parla il Frassinetti.
CAPITOLO XVII
I RAGAZZACCI MAZZINI E COMPAGNI
Ma voi non vi comporterete cosí.
Luca 22,26.
290
I fratelli Angelo Remondini, 1815-1892, e Marcello, 1821-1887, eruditissimi di cose genovesi. A loro
dobbiamo l‟esserci vari documenti che riguardano il Frassinetti.
291 Giornale degli studiosi, vol. I, Genova 1871, pp. 30s.
292G. FRASSINETTI, Istituti e Documenti, volume V dei manoscritti AF.
87
Il modo piú conveniente e opportuno [di comportarsi] io credo che debba
impararsi da‟ nostri nemici, fissandoci per regola di fare il contrario .
G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici.
Non pochi seminaristi etiopici, venuti nel passato a completare gli studi a Roma, quando
ancora imperversava la tubercolosi, vi soggiacquero. La causa, si diceva, essere il loro paese
immune da tale flagello, perciò privi di quegli anticorpi che noi s‟aveva nel sangue per il nostro
respirare aria satura di bacilli. “I ragazzi del Gianelli”, vivendo a contatto di gomito con i
mazziniani in erba, n‟ebbero una vaccinazione naturale. Vale la pena conoscere piú da vicino
questi loro giovani coetanei. Non mi meraviglio se sentire chiamare Mazzini e compagni
“ragazzacci” susciti all‟orecchio di qualche Lettore la ripulsa che produce nel mio la bestemmia.
A chiamarli cosí fu lo storico Carlo Botta per gli articoli che i “ragazzacci” scrivevano su
l‟Indicatore genovese.293 Se fosse stato a conoscenza anche delle manganellature del ‟21 in quel
vicolaio alle spalle di Sottoripa e dei provvedimenti scolastici, forse li avrebbe chiamati “banda”.
“Ragazzacci”, ma d‟ingegno. “Ragazzacci”, ma giovani che pensavano. Il Frassinetti camminerà
in direzione opposta alla loro, ma li studia per poter difendere il popolo cristiano dalle loro
insidie, e colpire giusto, non a vuoto,294 mettendo a servizio del bene, secondo il suggerimento
del vangelo, l‟avvedutezza che essi ponevano a servizio del male.295
Una delle massime [del Frassinetti] che piú mi rimasero impresse – depose Giovanna Schiaffino
– era che i figli delle tenebre sono molto piú prudenti dei figli della luce e che, se noi impiegassimo
da parte nostra tutto l‟impegno che essi impiegano nelle cose loro, saremmo tutti santi.296
Mazzini fu tra le prime persone da me conosciute bambino ex auditu. A quei ricordi lontani è
legata la pena sofferta sapendolo braccato e condannato alla fame. Lo immaginavo nascosto in
una grotta buia, rischiarata da un lumicino spargitore d‟ombre piú che di luce, di quelle di cui mi
avevano parlato nelle fiabe popolate da orchi e da streghe. A volte mi ritrovavo a guardare il mio
piatto di bambino povero, ma non di fame, e a vuotarlo con gli occhi fino a lasciarvi solo qualche
boccone per farmi un‟idea di come doveva essere vuoto quello del povero Mazzini; e poi quel
viso esangue, a muscoli tirati, la redingote nera d‟uno ch‟abbia vegliato un morto e torni
dall‟averlo seppellito… Immagini di fanciullo dure a cancellarsi. La storia è diversa, e bastò che
al Meeting di Rimini del 1990 il Messori ed il cardinal Palazzini tirassero fuori qualche
falangetta di scheletro dagli armadi della storia patria, perché tutte le prèfiche del Risorgimento
insorgessero con alti lai contro “un cardinale uscito di senno” e l‟ignoranza dell‟altro.297 Dante,
Garibaldi, Mazzini e Cavour, nell‟ordine, erano i santi laici di mio padre. Erano l‟Italia. Ad ogni
figlio maschio che gli nasceva, la gioia d‟essergli nato un figlio maschio gli veniva rabbuiata
dalla lotta dovuta sostenere per riuscire a chiamarli con uno di quei santi nomi. Gli andò bene
solo per Dante.
BOTTA, autore della Storia della guerra dell‟indipendenza degli Stati Uniti d‟America (1809) e della
Storia d‟Italia dal 1789 al 1814 (1824) –. La Storia d‟Italia continuata da quella del Guicciardini uscirà solo nel
1832 –, opere di grande successo editoriale. S‟era scagliato contro i romantici in due lettere nell‟Antologia del 1826
e nel Giornale arcadico del 1828. All‟epiteto “ragazzacci” se ne aggiungevano altri piú pesanti: “vili schiavi d‟idee
forestiere e traditori della patria”. I Promessi sposi, “un tessuto di sciocchezze”. Del Botta s‟occuperà anche il
Frassinetti nella polemica con il Gioberti e con giudizio negativo, come già il Mazzini, anche se per motivi diversi.
294 1 Cor 9,26.
295 Lc 18,8.
296 CPP, vol. I, f.409rv. La Sanguineti è una teste oculare che dai tredici ai diciotto anni aveva fatto parte delle
associazioni che il Priore aveva stabilito in Santa Sabina.
297 C‟era stata la presentazione del libro di VITTORIO MESSORI, Un italiano serio, il beato Francesco Faà di
Bruno, Cinisello Balsamo (MI) 1990, p. 213.
88
293 CARLO
Eppure, quei santi padri della patria, tolto Dante, erano stati tutt‟altro che propizi alla sua
famiglia. Il fratello della nonna paterna, Pietro Troiano, farmacista nel paese vicino, fedele al suo
re, il primo d‟aprile 1861, forse non ancora a conoscenza della caduta di Civitella del Tronto,
l‟ultimo baluardo dei Borboni, aveva capeggiato la sollevazione contro i rappresentanti del
nuovo governo e i galantuomini che s‟erano affrettati a salire sul carro degli invasori. Cruenta la
sollevazione, barbara la repressione. La casa data alle fiamme; due figlie riuscirono a salvarsi
fuggendo in un paese vicino; lui, tre figli – 27, 23 e 20 anni – ed altri diciannove insorti vennero
passati per le armi nella piana di San Rocco. Il secondo dei tre figli, giovane maresciallo
dell‟esercito sbandato, non era caduto. Fu ucciso a bruciapelo, fucile alla tempia. Pochi minuti in
piú di vita per esprimere l‟orrore dello scempio che gli si parava avanti agli occhi: “Ohi, che
barbarie!”. Si arrivò ad impedire ad un sacerdote di poterli avvicinare per confessarli.
Sessantaquattro i “tradotti nelle prigioni distrettuali” che saranno condannati chi a morte, 298 chi a
trenta e chi a venti anni di lavori forzati. E furono solo i primi. Il maggiore della Guardia
Nazionale, Silvio Ciccarone, poteva telegrafare al Governatore della provincia: “L‟ordine è
ristabilito”. E dire che un fratello di don Pietro Troiano, don Michelangelo, nel „48 era stato
processato per discorsi pubblici tendenti a spargere il malcontento contro la Sacra persona del
Re N. S. [Ferdinando di Borbone]!299 Era mio padre che mi raccontava questi fatti, ma non credo
abbia mai posto un rapporto tra gli eroi del Risorgimento e quella strage, ed io, come soffrivo per
Mazzini ramingo braccato ed affamato, soffrivo per quei miei prozii barbaramente trucidati. Nel
cuore di mio padre, e per riflesso nel mio, mito e realtà vivevano in pace uno accanto all‟altro.
Non doveva essere stato cosí per donna Anna Maria Troiano, la mia bisnonna. Lei sapeva solo
che gente piovuta dal nord le aveva distrutto la famiglia. Crescendo, mentre la scuola e le letture
mi ingigantivano il mito, il tempo ammorzava la realtà fatta di stragi fame e migrazioni
oltreoceano, fino a spegnerla. Poi venne la guerra, vennero i bombardamenti, l‟Italia sconvolta a
metro a metro, la mancanza di tutto, odi e vendette, e la scoperta delle pagine della storia che
grondano lacrime e sangue, ignorate da i vincitori e dalla scuola, ma le piú vere.
Il Risorgimento fu diverso da come lo studiammo sul Morgen, sul Silva o il Rodolico, diverso
da come si sognò leggendo Da Quarto al Volturno dell‟Abba o Il tamburino sardo del De
Amicis. Agli occhi del Frassinetti, e di tanti suoi contemporanei, quei “patrioti” ebbero il volto di
quei tali che lo aggredirono per strada pretendendo che gridasse: “Viva Gioberti!” e lo
costrinsero a vivere nascosto lontano dalla parrocchia per piú di un anno.300 Squadristi, li
diremmo oggi.
Torniamo nella Genova degli anni Venti del secolo scorso. Per la quasi totalità i giovani che si
radunavano intorno al Mazzini appartenevano alla classe medio alta, benestante e ricca, sí da
poter vivere di rendita in patria e, se esuli, non male anche all‟estero, né privi, come fu del
Mazzini, di qualche anima gentile che li consolasse. Chi li conobbe da vicino, non ravvisò
sempre in loro gli eroi puri e senz‟ombra di macchia. Per convincersene basta leggere qualche
stralcio di ciò che l‟uno di loro diceva e scriveva dell‟altro. Cito, per sgombrarmi il passo, un sol
giudizio sul Mazzini tratto da una lettera del Gioberti:
Noi almeno, se non abbiamo potuto fare alcun bene, non avremo alcun rimorso per aver fatto il
male, laddove la G. I. [= Giovine Italia] se avesse un granello di sale in zucca non dovrebbe dormir
tranquilla, perché ha piú fatto del male sola alla comune patria di tutti i despoti che la travagliano.
Finora io fui disposto a perdonare molto alla sconsideratezza e alla fanciullaggine di quei paladini,
298
Pena poi commutata con quella dei lavori forzati.
Padri – Castiglione Messer Marino…, Vasto 1979, pp. 143-146.
300 Per la documentazione si rinvia alla seconda parte.
299 D. LITTERIO,
89
ma, poiché veggo che l‟insania dura, comincio a mutar parere; e non esito a dirvi, dopo gli ultimi
tentativi stupidissimi e scelleratissimi, il Mazzini o è un matto disperato da rinchiudersi in un
manicomio o pizzica del ribaldo.301
Gioberti non condanna d‟immoralità l‟azione del Mazzini, ma i modi e i tempi che avevano
causato il fallimento dell‟impresa, le numerose condanne a morte, dodici delle quali eseguite, il
suicidio di Jacopo Ruffini ed il proprio esilio. Don Bosco prescinde dall‟esito favorevole o
disastroso di quelle congiure, pensa agli scritti: Mazzini,... fece statuti veramente diabolici alla
Giovine Italia.302
Non meno raschiante la penna del Mazzini scrivendo del Gioberti:
No; Gioberti, il grande sacerdote della setta [dei moderati], non era filosofo... L‟uomo che
esordí dalle dottrine di Giordano Bruno per sommergersi in un concetto neo guelfo di primato per
mezzo del papato – che salutò d‟entusiasmo la formula Dio e Popolo per rinnegarla poi a profitto
d‟un cattolicesimo rintonacato – che dopo d‟avere fulminato dall‟altezza d‟una coscienza filosofica
gli artifici del gesuitismo, li adottò cardine de‟ suoi disegni, appena entrato sull‟ arena della politica
pratica –... che diceva a me nel 1847 in Parigi: Io so che differiamo in fatto di religione; ma, Dio
buono! il mio cattolicesismo è tanto elastico che potete inserirvi ciò che volete – non fu né filosofo
né credente. Ingegno facile, rapido, trasmutabile, fornito d‟una erudizione copiosa ma di seconda
mano... Gioberti rivestí di sembianze filosofiche l‟immorale dottrina dell‟opportunità…. E fu il
primo – biasimo assai piú grave – che introducesse nel campo della libertà l‟arme atroce della
calunnia politica...303
Bell‟epitaffio per il filosofo acclamato profeta della nuova Italia. Ed è solo un piccolo saggio.
Era gente che si conosceva. Proviamo a conoscerli piú da vicino anche noi per meglio
comprendere i tempi del Frassinetti e la sua scelta. Negli anni Venti dell‟Ottocento Genova si
aggirava sugli ottantamila abitanti. Quasi tutti i ragazzi, dopo qualche anno di elementari, o
erano imbarcati come mozzi o posti a bottega ad imparare un‟arte. Relativamente pochi, e da
potersi contare, quelli che intraprendevano gli studi umanistici per poi accedere all‟università.
Chi non poteva permettersi il lusso di precettori privati, per lo piú sacerdoti, frequentava le
scuole tenute da religiosi: gesuiti, somaschi e scolopi, o quelle del seminario, anche se non
aspirava al sacerdozio. Questi giovani, ai quali non si può negare la presenza d‟una forte
religiosità ed un anelito di divino, pur germogliati in uno stesso campo, si riveleranno parte
grano buono e parte loglio.304
Ciò che faceva differenza non era la scuola o il metodo d‟insegnamento, l‟uno non differendo
gran che dall‟altro, ma la famiglia e, forse ancor piú, il professore che era riuscito a guadagnarsi
la loro fiducia. Altra cosa pendere dalla parola di un Gianelli, altra cosa dalla parola di un De
Gregori, prete giansenista e liberale; altra cosa un insegnamento che li apriva alla vita
rafforzandoli nella fede, altra cosa lasciare i banchi con l‟impressione che la religione
dell‟infanzia era inconciliabile con la religione della libertà e del progresso.
301
V. GIOBERTI, Epistolario, Ediz. Naz. a cura di G. GENTILE e G. BALSAMO-CRIVELLI, vol. IV, Vallecchi
Firenze 1928, pp. 342s.
302 G. BOSCO, La storia d‟Italia, Torino 1887. ed. 18a, n. a pp. 403. A pp. 422s. torna a parlare di quest‟uomo
singolare, divenuto nel 1849 triunviro della Repubblica Romana, fermandosi sulle vessazioni, ruberie e violenze
perpetrate dal suo governo e rinvia a G. AUDISIO, Orrori della repubblica Romana.
303 G. MAZZINI, Note autobiografiche, c. XIX (ediz. BUR pp. 340s.).
304 Mt 13,24-30.
90
Per non pochi di quei giovani il primo incontro con Cristo s‟era riassunto in minacce
d‟inferno. Un Dio terribilmente giusto e rigido esattore che non condona uno spicciolo, che non
ammette nel suo regno se non chi abbia gareggiato con gli angeli in purità di cuore, e, per un
privilegiato che si salva, mille i precipitati senza pietà nel fuoco eterno. Si aggiungano le
confessioni tortura, le assoluzioni negate, l‟eucaristia rimorso d‟averla profanata ricevendola le
rare volte non abbastanza degnamente. In seminario era esempio di pietà chi si comunicava nei
dí di precetto! Una religione timore con poca o nessuna speranza di salvezza.
L‟avere imboccata l‟una o l‟altra strada dipese spesso da un nulla: l‟ascendente di questo o
quel professore, un libro, l‟incontro con questo o quel compagno, il volto con cui la religione era
stata loro presentata. Antonietta Mazzini attribuiva la rovina del fratello Giuseppe alle letture
fatte durante una malattia.305 A parte le letture, di cui parla la sorella, ed egli stesso,306 aveva
avuto una madre di pietà giansenista che gli aveva scelto maestri anch‟essi giansenisti e liberali.
Cosí, in nome d‟una religione piú pura, il giansenismo alienava gli animi da Dio e per tanti
divenne anticamera di miscredenza congiunta a rabbioso anticlericalismo. In una traccia d‟un
poemetto vagheggiato da studente, il Mazzini si rivela in crisi religiosa risolta in miscredenza.
Una donna vede da terra un naufragio:
Si innalza dalle onde un grido di rivolta dell‟uomo disperato contro Iddio… succede un
tremendo silenzio... mattino sereno, limpidissimo... come se Iddio avesse imposto alla natura di
rallegrarsi, per insultare l‟uomo. Descrivere i rottami della nave, i corpi morti. Il mare muto, il lido
muto... si ode portata dal vento una preghiera dei naviganti e torne occasione per parlare di Dio:
invano pregate: il cielo è di bronzo…: Iddio guarda dall‟alto le angoscie de‟ mortali e sorride...307
Il Mazzini non vi nega Dio, lo fa cattivo, lo demonizza. Non piú l‟immortalità legata alla risurrezione di
Cristo, bensí ristretta al ricordo di chi sopravvive:
Chi facesse un componimento materialista sui sepolcri... bisognerebbe sostituire all‟idea
dell‟immortalità qualche altra cosa... per es. l‟idea di uno che vede spuntare sulla tomba della sua
donna una rosa e la coltiva amorosamente.308
I Sepolcri del Foscolo, e, prima ancora che nel Foscolo, già nel Sallustio: “Giacché la vita è di
breve durata, mi sembra saggio prolungarne il ricordo piú che possiamo”.309 Un raggio di luce
che continua a colpire le cose a stella ormai spenta. Un tornare a monte di Cristo. Sono evidenti
“Mi diceva questa donna, che suo fratello cominciò a guastarsi in una malattia che ebbe, nel tempo della
quale fece delle letture, da cui attinse la quintessenza dello spirito rivoluzionario....” G. OLMI, Autobiografia,
Genova, 1907, pp. 73s. Cfr. pure D. MACK SMITH, Mazzini, Milano 1993, p. 315 con rinvio all‟Edizione Nazionale
delle opere, vol. 91, p.p. 324s: “Mazzini tornò a vivere dai Nathan, a Lugano, dal settembre di quell‟anno [1871] al
febbraio del 1872. Si offrí di andare a Genova a confortare Antonietta, la sua pia sorella cattolica, che aveva perso il
marito, e rimase sconvolto quando lei lo pregò di non venire, a causa dei suoi princípi e per riguardo alla memoria e
al presunto desiderio del defunto marito”. Cfr. pure: A. COLLETTI, Giuseppe Mazzini – l‟uomo – L‟opera, Genova
1905. In una nota a p. 5 afferma di sapere che alla morte di Antonietta fu fatto scomparire un grosso fascio di lettere
del Mazzini alla sorella.
306 G. MAZZINI, Op. cit.., c. I, p. 52.
307 ID., Zibaldone, n. 3267, Museo Risorgimentale di Genova, p. 382 e 373. Il tema dell‟indifferenza della natura
per le sciagure umane era già presente nel poema Temora attribuito all‟Ossian, tradotto da mezzo secolo dal
Cesarotti, come nella scena dove Càrilo, ascoltato e non visto da Ossian, si rivolge al Sole: “– Ma dimmi, o Sole,
sino a quando ancora / vorrai tu rischiarar battaglie e stragi / con la tua luce?... / – Càrilo, a che vaneggi? al Sole
aggiunge / forse tristezza? Inviolato e puro / sempre è il suo corso... “, JAMES MACPHERSON, Temora, canto II, vv.
519-521.525-528.
308 G. MAZZINI,.Zibaldone, p. 365.
309 SALLUSTIO, De coniuratione Catilinæ, I.
91
305
gli effetti delle letture degli enciclopedisti e dei filosofi del secolo precedente.310 Superato che il
Mazzini ebbe il materialismo, una “credenza fredda, scoraggiante ed individuale” che “inaridisce
il fiore dell‟amore”,311 ci fu un ritorno prepotente di religiosità intrisa di rigore giansenistico, non
però a favore del cattolicesimo che, secondo lui, aveva esaurita la sua missione. Si illuse di
colmarne il vuoto con l‟idea di un Dio umanitario postulato dalla vita concepita come somma di
doveri da compiere.312 Anche per il Benza, un altro del gruppo, che sarà poi rimproverato dal
Mazzini d‟essersi col tempo isterilito negli agi della vita domestica, il Dio dei teologi è da
sostituire con qualcosa di diverso.313
Erano giovani che si conoscevano tutti, o perché compagni di scuola, o perché si erano
ritrovati insieme in biblioteca e nelle librerie, o a prendere fresco all‟ Acquasola. Un gruppo di
questi giovani studenti avevano cominciato a ravvisare nel Mazzini il duce della scolaresca fin
dal giorno della festa di san Luigi del 1820. Quel giorno c‟era stato uno scontro nella chiesa
dell‟università tra gli studenti delle varie scuole circa i posti da occupare. Per quella chiassata il
Mazzini, arrestato per qualche giorno, divenne eroe.314 Altri giovani si aggiunsero in seguito: –
un piccolo gruppo di scelti giovani, d‟intelletto indipendente, si raggruppava intorno a me – 315
tutti educati da precettori ecclesiastici o in istituti religiosi.
Ogni mattina senza fallo andavo a casa di Fantasio [Mazzini], ogni sera Fantasio veniva da noi.
Mia madre e i miei fratelli, specialmente Cesare [= Jacopo Ruffini] ne erano affascinati... Parlava
bene e fluido… Conduceva una vita di solitudine e di studio; gli svaghi… non avevano per lui
nessuna attrattiva... qualche passeggiata ogni tanto, raramente di giorno e sempre in luoghi deserti...
nel suo orrore per colletti vistosi c‟era un che di esagerato...316
Si notino i tratti comuni al Mazzini e al Frassinetti: il suo amore per la vita ritirata, la scelta
delle strade meno frequentate, la passione per lo studio, il rifiuto ostinato di vestire alla moda e
di indossare camicie inamidate e ben stirate. Di Jacopo Ruffini, per l‟anno di filosofia
frequentato nel seminario di Genova insieme con il Frassinetti, si legge un giudizio lusinghiero:
optimis moribus non dubia præbuit studiique specimina. Di Federico Campanella, anche egli
alunno di filosofia in seminario, membro col Frassinetti dell‟Arcadia degli Ingenui s‟è già detto.
Il provvedimento disciplinare dell‟università perché s‟era permesso di avanzare delle massime
contrarie alla Religione ed all‟autenticità dei libri santi, fa pensare che si stesse già nutrendo
alla mensa di Voltaire e degli enciclopedisti. La stessa a cui s‟era nutrito il Mazzini fin dalla
prima adolescenza.
All‟adolescente Giuseppe Frassinetti e ai suoi compagni erano dunque aperte le due strade,
quella della religione e quella della irreligione, con le loro varianti atte a soddisfare sia la turma
310
Testimoniate negli appunti dei suoi zibaldoni. A. CODIGNOLA, Oo. cit.., pp. XIs.
F. SCIACCA, Il pensiero italiano nell‟età del Risorgimento, Milano 19632, pp. 252s.
312 A. CODIGNOLA, Op. cit., p. XXVIII, nota 56, con rinvio a Note autobiografiche in Carte Benza, Museo
Risorgimentale di Genova, n. 179.
313Ivi., p. XXXs., nota 61, con rinvio a Carte Benza da lui conservate.
314 E. CELESIA, Storia dell‟Università di Genova, in continuazione di quella dell‟Isnardi, Genova 1881, citato da
A. CODIGNOLA, Op. cit., p. XXII.
315 G. MAZZINI, Op. cit., c. I, p. 54; .
316 G. RUFFINI, Op. cit., pp. 141-143.
92
311
profana, sia chi si sentisse alma grande impaziente di salire animosa come onor la sprona.317 È
facile a quell‟età passare dall‟uno all‟altro ideale, o illudersi di poterli assommare.318
Questi giovani trovarono nel Mazzini un linguaggio di fede. Nei loro scritti non si contano
espressioni e brani su Dio e la religione. Dicono Dio, ma intendono ora la Patria, ora il
Progresso, ora l‟Umanità, ora la Ragione, ora la Filosofia, ora la Scienza, ora la Libertà, ora
altro, a volte una mescolanza di tutto, mai il vero Dio, e meno che meno il Dio annunciato dai
sacerdoti cattolici nelle loro chiese, anzi, di questo Dio ne andava cancellata la memoria. Sí ad
una vaga religiosità, no al soprannatura. In una variante di tale tentazione, che possiamo
chiamarla “tentazione Mazzini”, caddero non pochi giovani generosi.319 Per quei che si erano
trattenuti da tale scelta radicale, verrà Félicité de Lamennais 320 ad illuderli con un vago
cattolicesimo ordinato a vaghe aspirazioni sociali:
Giovane soldato, dove vai?
Vado a combattere in nome di Dio e degli altari della patria.
Giovane soldato, dove vai?
Vado a combattere per la giustizia, per la santa causa dei popoli, per i diritti sacri del genere
umano.
Che le tue armi siano benedette. Giovane soldato!
Giovane soldato, dove vai?
Vado a combattere per liberare i miei fratelli dall‟oppressione, per spezzare le loro catene e le
catene del mondo.
Che le tue armi siano benedette. Giovane soldato!…
Diffidate degli uomini che si mettono fra Dio e voi perché la loro ombra ve lo nasconde: sono
uomini che tramano cattivi progetti... 321
“Un autentico pamphlet politico in forma mistica”, dove
la politica diventa la misura di tutte le cose e bisogna che tutto vi si adegui; letteratura, arti,
scienze, morale, filosofia e persino la parola sacra, persino la religione di Gesú Cristo che fra le sue
mani diventa uno strumento a questo fine.322
Furono tanti a non percepire l‟insidia di questa politica fatta religione, e religione di
transizione alla non-religione. Non cosí il Frassinetti che la individuò chiaramente fin dalla sua
prima opera data alle stampe, Riflessioni agli ecclesiastici:
È necessario a tutti, ma piú specialmente al Clero, il por mente ai nuovi mezzi d‟attacco, che
adopera ai dí nostri la sedicente filosofia contro la Chiesa. Conosciuti per esperienza i pericoli, e la
poca probabilità di successo di una guerra dichiarata ed aperta, si è indotta a cangiar metodo, e dare
317
Versi del Frassinetti studente di “Rettorica” in Seminario.
Giovanni Ruffini. G. RUFFINI, Lorenzo Benoni, pp. 109-118
319 La storia anche dei nostri giorni: la Chiesa, se vuol essere credibile, deve rinnovare il suo contenuto, porre il
sociale in luogo del soprannatura. Una delle tante varianti, ma ogni altra andrebbe bene, purché elimini il piano
salvifico di Dio, la divinità di Cristo e il soprannatura. Satana ha sempre qualcosa di meglio, di piú razionale,
adeguato ai tempi da suggerire. Si esaminerà con piú attenzione questo processo di sostituzione del divino con un
“meglio” fornito dalla “ragione” parlando dello scontro Frassinetti-Gioberti e di Cristoforo Bonavino intervenuto
nella polemica con due libelli.
320 Lo vedremo criticato dal Frassinetti, quindi conosciuto.
321 FÉLICITÉ ROBERT DE LAMENNAIS, Parole d‟un credente, trad. di M. G. MERIGGI, MILANO, 1991, pp.
143.147s.
322 Abate Luigi Bautain, Risposta di un Cristiano alle Parole di un credente, Derivaux 1834, p. 173.172.
93
318 Uno
una nuova forma e direzione ai suoi colpi. – Se l‟ateismo, cosí leggeasi non ha molto nella Revue
des Deux Mondes, è il risultato dei lumi, andiamo pure ad esso, ma passiamo per la religione,
poiché questa ci è necessaria per giungere all‟ateismo... Scorrete però per poco quei libri, e
troverete, che tutta la religione poi finalmente riducesi a un sentimento vago, indeterminato,
indefinibile, che non raffrena gli intelletti, che non muove le coscienze, che non imbriglia le
passioni. Una religione senza pratiche di culto, una fede senza misteri, una morale senza precetti,
ecco tutto: i rigori poi di penitenza cristiana, autorità di leggi ecclesiastiche, severità di divini
giudizi, eternità delle pene dell‟inferno, sono vecchie e rancide fole, pregiudizi di stupide
donnicciole… invenzioni adattate ai secoli d‟ignoranza e barbarie, e non ad una religione di
progresso, che solo parla… di beneficenza e di amore, qual si conviene ad un‟epoca… di lumi,
come la nostra... Spogliate quei pomposi elogi sí a larga mano prodigati talvolta al cattolicesimo di
tutto il loro misterioso involucro di parole e di frasi, e scorgerete senz‟altro che tutti gli encomi o
sono volti a celebrare i suoi materiali vantaggi, o… a dichiararlo con sfacciata menzogna solidario
e fautore dei deliri e delle passioni del tempo. Cosí… si mesce all‟antidoto il rio veleno, la verità si
confonde insieme coll‟errore, e a furia di millantar religione, si propaga piú sempre e si stabilisce il
regno dell‟empietà.323
Torniamo ancora a quei giovani che meritar diadema per essersi votati ad una causa.
Troviamo in essi caratteristiche comuni. Una la creta dei vasi. A differenziarli è la destinazione,
s‟è mi lecito far mio un paragone biblico.324 Tutti la stessa formazione base, tutti presi da un forte
ideale, tutti portati a far proseliti e a formare gruppo. Parte li vediamo intorno al Mazzini, con
alle spalle “le sante madri”: Maria Mazzini Drago, ed Eleonora Ruffini Curlo, parte li vediamo
conquistati dal fascino d‟un giovane professore, il Gianelli.
Rivedremo questi studenti negli anni Trenta, chi sacerdote chi professionista, formare ancora
gruppo: il gruppo Mazzini nella Giovine Italia, di cui era fondatore ed anima lo stesso Mazzini,
luglio 1831; “I Ragazzi del Gianelli” nella Congregazione del Beato Leonardo da Porto
Maurizio, di cui era fondatore – confondatore, stando alla sua relazione in cui pone se stesso in
ombra per far rifulgere l‟operato dell‟amico Sturla – ed anima il Frassinetti, febbraio 1831. Si
notino le date: il Frassinetti un quattro mesi prima del Mazzini, ma l‟ approvazione della Curia
genovese è dello stesso mese, 2 luglio 1831. Gli uni e gli altri sono in atteggiamento critico
rispetto a quel che s‟era fatto fino ad allora o non fatto. Occorreva quindi fare, azione, con modi
nuovi e programma nuovo, pensiero. Il Mazzini si contrappone alla carboneria, alle pastoie dei
suoi misteri ed al suo non sapere cosa veramente volesse, predicando dai tetti il programma della
Giovine Italia, un programma in chiaro. Non meno privo di misteri è il programma della Beato
Leonardo: conoscere Dio per vivere ed insegnare a vivere secondo Dio. Anche qui, in fondo,
troviamo pensiero e azione: una conoscenza ordinata alla vita. Non solo il programma era
chiaro: ma, a differenza della Giovine Italia, anche l‟organizzazione ed i quadri sono sotto la
luce del sole. Tra loro nessun bisogno di pseudonimi, abbandonati nell‟Arcadia degli Ingenui.
G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici, Genova 18373, p. 7s. Il passo è dato come Nota
dell‟editore. Ad un secolo di distanza, nei commenti ai Vangeli festivi su L‟Osservatore Romano, raccolti poi in
volume, don Giuseppe De Luca scriverà: “[Il] sottilissimo e cauto Renan fu maestro a tutta una generazione, non
tanto delle materie che insegnò e di cui scrisse, quanto d‟una gentilissima cautela di espressioni accoppiata con una
intransigenza feroce di negazioni”, ed ancora: “Del brano evangelico odierno [Mt 6.24-33] molto spesso ci
soffermiamo ad ammirare la bellezza lirica e il sentimento. Ora, non che codeste ammirazioni siano cattive, ma
insomma sono un po‟ insipide, quando non sono perfide. Nessuna storia di Gesú ne è tanto piena, come la vita che di
Gesú scrisse Renan; e come quel genere letterario apparve già allora, agli uomini di gusto solido, equivoco, anzi
fradicio, cosí troppe volte codeste ammirazioni non sono altro che il fumo di chi ha tutto bruciato o tutto vuol
bruciare”. G. DE LUCA, Commento al Vangelo festivo, Roma 1968, vol I, p. 161; vol. II pp. 425s.
324 Sap 15,7.
94
323
Programmi antitetici, ma uguale la persuasione: bisognava fare tentando vie nuove per
riuscire dove altri avevano fallito o per neghittosità o per dispersione di energie o per assenza
d‟un chiaro programma e d‟inventiva. L‟uno e l‟altro puntano sui giovani. Studenti e
professionisti il Mazzini; teologi e giovani sacerdoti il Frassinetti. Uguale il destinatario ultimo,
il popolo, ma, mentre per il Mazzini, prigioniero del suo ceto borghese e vissuto sempre
all‟estero, popolo è parola vuota, per il Frassinetti, figlio del popolo, sono la gente umile del suo
stesso ceto con cui ogni giorno si rimescola in chiesa e fuori chiesa. L‟uno e l‟altro faranno della
penna e della stampa le loro armi, precedendo in questo il Mazzini al Frassinetti. Uguale la
parola d‟ordine: l‟unione fa la forza, convincimento che resterà consacrato nel nostro inno
nazionale.
Alle spalle dei primi le due “sante madri” e le loro borse. La Mazzini, che scrivendo al figlio
sputerà sprezzo contro il Frassinetti, e la Ruffini. Alle spalle dei secondi ancora il Gianelli, o,
meglio, la sua ombra, perché non piú a Genova. Del Mazzini si afferma che alla fine della vita
nulla aveva cambiato del programma degli anni Trenta; del Frassinetti si può affermare la stessa
cosa. Scelta la loro via, l‟uno e l‟altro, uomini d‟un sol libro, la percossero in opposte direzioni
fino in fondo con dedizione totale, senza mai un ripensamento, salvo agli inizi la tempesta del
dubbio nel Mazzini, e, nel Frassinetti, se convenisse a lui giovane parroco di ventotto anni
prendersi cura delle ragazze associandosele al ministero e se non fosse stato piú proficuo unirsi
in congregazione religiosa con statuto approvato dalla Chiesa, ma, mentre al Frassinetti gli
antichi compagni rimasero uniti quanta fu lunga la loro vita, ed oltre, il Mazzini dovrà
confessare:
Di quel nucleo, la cui memoria dura tuttavia nel mio core come ricordo d‟una promessa
inandempita nessuno è rimasto a combattere per l‟antico programma, da Federico Campanella in
fuori... morti gli uni, disertori gli altri.325
Implicitamente il Frassinetti ammette l‟influsso che ebbe dal Mazzini, perché, se in positivo
sua regola e punto di riferimento fu Gesú Cristo,326 in negativo si dette per regola di fare il
contrario dei nemici della religione.327 Nella sua concretezza tutta genovese questi nemici non
potevano non avere un volto conosciuto e un nome: Giuseppe Mazzini, i fratelli Ruffini,
Federico Campanella... Il Frassinetti non fu di loro, ma visse accanto a loro, in quello stesso
mondo che ci è descritto da Giovanni Ruffini nel romanzo Lorenzo Benoni.328
325
G. MAZZINI, Scritti, S. E. I., I,16.
Titolo di un suo libro, Gesú Cristo regola del sacerdote.
327 G. FRASSINETTI, Riflessioni…, Genova 18383, p. 11
328 Un romanzo che, ben setacciato ci dà un‟idea dell‟ambiente studentesco della Genova degli anni Venti. A
parte l‟assommare nella propria persona fatti che in realtà ebbero per protagonisti anche i suoi fratelli Jacopo ed
Agostino ed altri compagni, e colorirli mutando dei topini in elefanti, il Ruffini aveva da dimostrare una tesi che
sapeva sarebbe stata musica agli orecchi del pubblico inglese per cui scriveva nella loro lingua: la colpa dei mali
d‟Italia è la Chiesa cattolica che ha diseducato il popolo. Il romanzo fu pubblicato nel 1853, quando era ancora viva
l‟impressione delle famose lettere del luglio 1851 scritte dal Gladstone a lord Aberdeen in cui il governo borbonico
era bollato come la negazione di Dio eretta a sistema. S‟aggiunga che erano anche gli anni in cui in Inghilterra la
gente letterata penava su l‟infanzia infelice raccontata dai romanzi del Dickens. Le avventure di Oliver Twist
andavano a ruba da tre lustri, cosí pure il quasi fresco di stampa David di Copperfield. Il Ruffini si mette in quel
filone e racconta, calcando i toni, la sua infanzia tribolata per colpa d‟uno zio canonico, suo primo maestro, la sua
perpetua ed un padre duro, cui si andarono poi ad aggiungere i preti del collegio. Infanzia martoriata dai preti in
un‟Italia retrograda per colpa dei preti. Che poi nessuno si chiedesse come mai il Gladstone, cosí bene informato
delle cose di Napoli, nulla sapesse di quanto accadeva in quegli anni nella vicina Irlanda o nelle miniere di carbone
della sua stessa Inghilterra, o di che paese fosse mai quel tal Acton che aveva incoraggiato il Borbone nonno
95
326
Se si è indugiato nella descrizione di quel mondo è stato per mettere in risalto il merito del
Frassinetti e dei suoi compagni nell‟aver dato ascolto ad una voce invece che ad un‟altra, né
questo merito per il Frassinetti è diminuito dall‟avere avuto una santa famiglia, essendo l‟epoca
risorgimentale ricca d‟esempi dell‟In quella notte di due in uno stesso letto uno sarà accolto [nel
regno] e l‟altro no.329 Massimo d‟Azeglio fu fratello d‟un gesuita, cosí il Bixio – vite tutt‟altro
che edificanti, sia quella del politico sia quella del garibaldino –. Un fratello gesuita anche il
Pellico, tornato in carcere alla fede. San Gabriele dell‟Addolorata fu fratello d‟un massone
suicida e d‟un altro perito volontario alla difesa di Venezia. Lo stesso Mazzini, s‟è visto, ebbe
una sorella suora ed un‟altra pia cattolica per nulla infatuata d‟un tanto fratello.330 Nessun santo è
frutto di natura, ma di generosa risposta alla voce di Dio.
CAPITOLO XVIII
GLI INTERESSI CULTURALI
Se il Frassinetti fosse stato seminarista interno e, fatto sacerdote, fosse stato solo un santo
parroco, sí da essere espresso a pieno nell‟epiteto di Secondo Curato d‟Ars, dei suoi studi
avremmo detto già troppo, piú per soddisfare una curiosità che per reale bisogno d‟approfondirne
la scenza. Ma il Frassinetti fu uomo di studio, fondatore ed anima d‟una accademia di studi
ecclesiastici, un‟autorità in campo della teologia morale, autore di libri di spiritualità che ben
figurano tra i classici della materia e fu pure cultore di storia ed efficace polemista. Non si è
polemista efficace se non si ha piena conoscenza del campo avverso, né sarebbe stato in grado
d‟avvertire l‟insidia della cultura laica vestita di panni cristiani, – Chateaubriand, Lamennais,
Gioberti... – ignorando le loro opere.
È necessario a tutti, ma specialmente al Clero – leggiamo nelle Riflessioni agli ecclesiastici –, il
por mente ai nuovi mezzi di attacco, che adopera ai nostri dí la sedicente filosofia contro la Chiesa.
dell‟attuale ad impiccare, si spiega con il male di Cavalcante, che fa vedere chiare le cose lontane e nulla di quel che
si ha sotto i propri occhi. Un male vecchio e senza rimedio. Una riprova che il Ruffini calcasse i toni in odio alla
Chiesa si ha nel diverso giudizio che di quello zio canonico danno i suoi fratelli e lui stesso nelle lettere familiari.
329 Lc 17,34.
330 Delle tre sorelle del Mazzini, Rosa, la primogenita, 1797-1824, fu monaca nel monastero delle Turchine in
Genova; Antonietta, 1800-1883, sposò Francesco Massuccone, impiegato al Monte di Pietà – l‟Olmi, su riportato, lo
dice medico –; l‟ultima, Francesca, 1809-1838, Cicchina nelle lettere dei Ruffini, “esile e mal reggentesi sulla
persona, ma di bel cuore, di nobili spiriti e d‟acuto ingegno, che il fratello Giuseppe amava assai”. Cfr. A.
BRESCIANI, SJ, L‟Ebreo da Verona, cap, XLVII.
96
Conosciuti per esperienza i pericoli e la poca probabilità di successo di una guerra dichiarata ed
aperta, si è indotta a cangiar metodo, e a dare una nuova forma e direzione ai suoi colpi...331
e, nel comunicare ai chierici la propria esperienza, affermava:
Voglio confidare che alcune avvertenze intorno agli studi ecclesiastici, le quali ho provato di
qualche utilità per me, possano riuscire di qualche utilità ancora per voi... la scienza è cosí annessa
all‟idea di ecclesiastico, da non potersi concepire l‟idea di un ecclesiastico ignorante, che come
idea mostruosa.332
Piú che utile, mi pare necessario un approfondimento degli interessi culturali dei giovani nati
all‟inizio dell‟Ottocento, che si formarono in quei tre lustri che vanno dalla caduta di Napoleone
alla Rivoluzione parigina del luglio del 1830. Dai titoli dei temi a suo luogo menzionati, si
direbbe che le scuole, sia quelle del seminario, sia quelle degli altri istituti, vivessero fuori del
tempo in una delle Isole Fortunate, dove non fosse giunta voce di tutto il finimondo che aveva
sconvolto l‟Europa, né si avvertisse la rivoluzione politica e letteraria, che proprio in quegli anni
esplodeva. Pareva una scuola di metà Settecento per “pulcini” dell‟Arcadia in attesa di poterne
far parte come membri effettivi, paga di portare gli alunni ad esprimersi con padronanza in prosa
e in verso, in italiano e in latino, preoccupata piú delle forme che dei contenuti. Un Settecento
duro a morire.
Sarebbe errato credere che quei giovani si sentissero appagati di quanto dava la scuola. Un
esempio nel nostro secolo. La terza edizione della Breve storia della letteratura italiana di
Eugenio Donadoni rivista da Francesco Flora, due nomi di tutto rispetto, bella nella sua
concisione, nel 1948 non si spingeva oltre i “tre poeti”: Carducci, Pascoli e D‟Annunzio! Gli altri
poeti del Novecento in una sola pagina. Un‟altra pagina per i narratori, mezza per il Croce, due
righe per il Pirandello, non una riga sugli stranieri. Non se ne può dedurre che i giovani della
prima metà del Novecento abbiano ignorato le varie correnti letterarie che si sono succedute ed i
problemi dibattuti nelle riviste, né mai udito parlare di Tolstoi, Cechov, Rilke, Unamuno, Kafka,
Mann, Garcia Lorca, Ungaretti, Rebora, Maritain... paghi di recitare: Settembre, è tempo di
migrare… La vera scuola d‟un giovane appassionato per lo studio è sempre stata la biblioteca, la
lettura di libri e di riviste, e le infinite dispute con i compagni presi dalla stessa passione. Fu cosí
anche del Frassinetti. Che fosse di casa nelle biblioteche lo dice il suo primo biografo.333 Che
non si restringesse al dettato della scuola lo rievocò il condiscepolo canonico Poggi nell‟elogio
funebre. Che leggesse riviste si ricava da appunti con l‟indicazione della fonte. La biblioteca piú
frequentata penso sia stata, oltre quella del seminario, la Fransoniana, ricca di volumi e riviste,
continuamente aggiornata, aperta con il preciso scopo di favorire la cultura del clero.334 Brutta
malattia i libri. Il Frassinetti non ne guarí mai. Libri dappertutto:
Essendo io parroco a Quinto – leggiamo in un suo scritto – mi sveglio una mattina e sento
cantare Don Sturla,... era venuto a notte assai inoltrata, gli aveva aperto la domestica cui aveva
ordinato di starsi cheta... si era coricato sulla tavola del desinare con due libri sotto il capo trovati lí
per caso...335
331
G. FRASSINETTI, Riflessioni agli ecclesiastici, 1837. Cito dalla terza edizione .
G. FRASSINETTI, Osservazioni sopra gli studi… 1839, pp. VII e 2.
333 D. FASSIOLO, Op.cit., pp. 16s. Concorda con quella della sorella Paola già riportata.
334 Quando lo Stato se la incamerò, contava 22.000 volumi.
335 G. FRASSINETTI, Memorie intorno alla vita del sac. Luigi Sturla, 1871, p. 27.
332
97
Un materasso no, ma in casa Frassinetti due grossi tomi in folio da farsene un guanciale erano
a portata di mano anche in cucina. Cosa vi era a monte di quella generazione di giovani in epoca
in cui sembrava esserci piú pace tra i vivi che non nei cimiteri? Proprio in quegli anni si andava
operando una rivoluzione nel campo della letteratura. Non piú l‟otium dei pochi fortunati che
possono goderselo, ma arma messa al servizio d‟una causa. Con il Romanticismo le lettere si
fanno azione, la lingua ne è l‟arma, e, se arma, deve incidere e penetrare, deve perciò essere da
tutti compresa. Via dei e dee, via i periodi modellati su Cicerone e sul Boccaccio. Cittadinanza
piena alla lingua parlata. Lotta al purismo. Non fu lavoro del solo Manzoni. Manzoni a livello
d‟arte, Mazzini nei giornali, senza che riesca a spogliarsi dell‟enfasi oratoria, il Frassinetti
nell‟annuncio della parola di Dio dal pulpito e negli scritti. Non furono i soli, inutile dirlo. Sono
gli anni in cui gli studenti rivolgevano l‟animo all‟Alfieri, al Foscolo, al Parini, e si accaloravano
per de Chateaubriand, Byron, Berchet, Manzoni, Leopardi, Goethe, Lamennais, Joseph de
Maistre, Lamartine, Kant..., anche se nessuno di questi nomi era entrato nella scuola attardata sul
Metastasio, il Chiabrera ed il Frugoni.
Sono gli anni in cui diventa opinione assodata l‟affermazione che tutti i mali d‟Italia, e la sua
supposta arretratezza, si debbono addebitare alla Chiesa, ai papi e al non aver avuto noi la
riforma ch‟ebbero i paesi protestanti. Del 1816 è la Lettera semiseria di Grisostomo al suo
figliuolo, del Berchet, il piú efficace manifesto del Romanticismo italiano. Dal 3 settembre 1818
al 17 ottobre 1819, giovedí e domenica esce a Milano Il conciliatore. Quattro pagine in carta
azzurrina, 478 l‟intera raccolta, 700 copie la tiratura, lire 18 l‟abbonamento. Poca cosa viene da
dire, ma grande fu l‟innovazione prodotta nel mondo delle lettere.
Già tempo – si leggeva nel foglio che ne annunziava l‟uscita –, il vero sapere era proprietà
riservata ad alcuni pochi… I dotti e i letterati di professione… applaudivano fra di loro alle opere
dei loro colleghi, o le biasimavano; ed al pubblico non curante ne giungeva appena una debole
voce… Pare a noi… [che] l‟utilità generale debb‟essere senza dubbio il primo scopo di chiunque
vuole in qualsiasi modo dedicare i suoi pensieri al servizio del Pubblico; e quindi i libri e gli scritti
di ogni sorta, se dalla utilità vanno scompagnati, possono assomigliarsi a belle e frondose piante
che non portano frutto… Via tutte le pastorellerie dell‟Arcadia, le dispute meramente grammaticali.
I richiami ai grandi romani. La letteratura deve rendere un servizio al pubblico.
Non diversa l‟impostazione programmatica di Frassinetti scrittore, se non nella scelta del
campo. Scrivere per rendere un servizio al pubblico, e il piú largo possibile, nel modo piú
comprensibile, senza timore d‟avanzare soluzioni nuove, o soggezione per forme venerande, o
rispetto riverenziale per grandi nomi fino a rimanerne bloccato. 336 Scrive nei Rischiarimenti sul
mio passato:
Forse parrà troppa arroganza che un giovine sacerdote aspirasse a provvedere a un bisogno di sí
alta sfera… se ho da dire quel che ne penso, mi pare un pregiudizio. Primieramente perché Dio è
padrone di servirsi di chi vuole nelle sue opere, e volendo può servirsi d‟un sacerdote novello per
cose anche di maggiore importanza… Secondo me l‟arroganza sta nel voler fare il bene, non solo
grande, ma anche piccolo, colle proprie forze. Se io mi sentissi inspirato a fare altrettanto di quanto
hanno fatto i piú grandi uomini che abbiano illustrato la Chiesa di Dio, e frattanto fossi ben
persuaso di non essere per me stesso capace di nulla,… io vorrei avere la bella arroganza
d‟intraprendere quanto hanno intrapreso i piú segnalati servi di Dio…337
336 Si
337
98
è visto con che sufficienza furono trattati il Mazzini ed i suoi compagni dal Botta.
G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. V, p. 3. AF.
Lui, giovane, osa cose nuove, e male gli incoglierà quando comincerà a scrivere in modo
nuovo i suoi librettucci mingherlini rivolti all‟utilità spirituale del vasto pubblico, invece che
scrivere grossi tomi o squisitezze per i membri d‟un‟arcadia. Torniamo a quel quindicennio. Nel
1818 Jean-Charles-Leonard Sismondi de Sismondi portava a termine la sua Histoire des
républiques italiennes du Moyen-Age.338 La storia vi è concepita per un verso come libero
sviluppo, per un altro verso come determinata dai governi e dalle istituzioni. L‟Italia fu grande
quando fu terra di libere repubbliche; decadde quando prevalsero la Chiesa cattolica e i
principati, la Chiesa cattolica soprattutto. Opera da prendere in considerazione per l‟enorme
influsso esercitato sulla letteratura risorgimentale. Nell‟ultimo capitolo – cito dall‟edizione
italiana –, si chiede quali cause hanno mutato il carattere degli italiani dopo che erano state
ridotte in servitú le loro repubbliche, e, pur raggruppandole in quattro serie, in realtà le riduce ad
una sola: colpa dei papi e del cattolicesimo. Quel capitolo diverrà dogma indiscusso per tanta
parte della letteratura e della pubblicistica risorgimentale. Ancora oggi, l‟aver avuto l‟Italia il
Concilio di Trento, invece d‟un Lutero, è il rammarico della cultura laica e delle frange di cultura
che, pur dicendosi cattolica, soffre verso di essa insanabili complessi; né è servito che il De
Sanctis abbia fatto del Machiavelli il nostro Lutero, e piú che Lutero, vedendo in lui il rigetto
radicale d‟ogni soprannatura. Per loro i paesi protestanti rimangono sempre quelli di piú
avanzata civiltà.
Al Sismondi rispose il Manzoni nel 1819 con le Osservazioni sulla morale cattolica con un
nuovo modello di apologetica: rispetto per l‟uomo, demolizione, pietra dopo pietra, di quanto
affermava contro la Chiesa. Logica stringente, una morsa. – Ugual programma nel Frassinetti nel
tracciare il progetto del giornale La Carità –. L‟opera del Manzoni suscitò la curiosità di
conoscere meglio le tesi del calvinista ginevrino.339 Né si può ignorare François-René de
Chateaubriand. Nel 1802, il 14 aprile, quattro giorni prima della solenne promulgazione del
Concordato napoleonico con la Santa Sede, firmato l‟anno antecedente, usciva il suo Génie du
Christianisme. Si riaprivano le chiese, tornava la religione con i suoi riti. Dopo dieci anni si
riudiva risuonare il campanone di Notre Dame, merito del nuovo Costantino – cosí da molti fu
visto Napoleone –. Chateaubriand portava un capovolgimento di mentalità. Non piú Voltaire e
gli enciclopedisti facevano moda. Si era creato spazio, e che spazio, alla cultura cattolica. Il
Moniteur de Lois, il 18 aprile 1802, Pasqua, pubblicava il Concordato e recensiva la nuova
pubblicazione. Cosa combinata? Aveva Il nuovo Costantino trovato il suo Eusebio?340
La fortuna fu grande, e provvidenziale, ma si trattava d‟un cristianesimo ispiratore delle arti e
delle lettere, a cui l‟Europa doveva la sua grandezza. Come dire, senza religione cattolica non
avremmo avuto cultura e mirabili opere d‟arte. Piú che il cristiano, scriveva l‟esteta. L‟effetto fu
enorme, capovolgendo il giudizio sul Medioevo cristiano: non piú l‟età buia e barbara degli
illuministi, ma fonte di civiltà a cui scrittori od artisti dovevano ispirarsi. Un cristianesimo
estetico, esteriore, superficiale. Non ne penetra l‟anima. Il Frassinetti l‟avvertí. Quando lo
Spotorno con la sua supponenza si farà forte di un tanto nome, gli replicherà:
Noterei… che nel numero dei pii e religiosi dotti meritamente lodati dal Ch. Autore dell‟articolo
[lo Spotorno] non pare doversi mettere il Visc[onte] di Chateaubriand, la cui opera Essai sur la
338
I primi quattro volumi erano usciti a Zurigo nel 1807-1808, i rimanenti dodici uscirono a Parigi. La
traduzione italiana si ebbe nel 1831-1832, anch‟essa in sedici volumi.
339 L‟epistolario dei fratelli Ruffini, salvo pochissime lettere, è tutto in francese. Molti di quei che fecero l‟Italia
si tennero in comunicazione usando tale lingua.
340 L‟idillio cessò presto. Chateaubriand si irrigidí nell‟opposizione e Napoleone cessò di essere l‟uomo potente
che ci ha tratti dall‟abisso.
99
littérature anglaise et considérations etc., (1836, p. 203) doveva come recentissima essergli
sconosciuta. Di fatto non si può dire che professi incorrotta pietà chi scrive cosí: “Oggidí i
protestanti niente piú che i cattolici non sono piú quelli che già furono: i primi anzi hanno
guadagnato in immaginazione, in poesia, in eloquenza, in ragione, in libertà, in vera pietà ciò che i
secondi hanno perduto. Le antipatie tra le diverse comunioni non esistono piú; i figli del Cristo di
qualunque razza provengano si sono stretti ai piedi del Calvario stipite comune della famiglia… La
religione cristiana entra in un‟era novella; come le istituzioni e i costumi, ella subisce la terza
trasformazione”. Questo tratto tradotto a verbo dall‟originale, valga di un saggio dei molti errori
che in esso si incontrano.341
Osservazione rispettosissima nella forma, ma da stendere a terra un toro. Il grande Spotorno
non si tiene aggiornato a differenza di certo parroco Frassinetti di campagna, come con
compatimento la madre del Mazzini ne scriveva al figlio.342 Si direbbe stato a scuola del
Manzoni e da lui appresa l‟arte del confutare. Nessuno può però contestare a Chateaubriand il
merito che egli si rivendica nella prefazione per l‟edizione del 1828, anche se ormai, a piú di
vent‟anni di distanza, si lamentava, che nessuno piú pensasse a riconoscerglielo:
Fu proprio tra i ruderi di quei templi [profanati] che, per cosí dire, pubblicai il Genio del
Cristianesimo per ricordare lo splendore dei riti che vi si celebravano ed i ministri che servivano
all‟altare. Dopo quanto era accaduto con la rivoluzione si sentiva un bisogno di fede, una forte
fame di conforti religiosi, fame nata proprio dalla privazione per cosí lungo tempo di tali conforti.
Per merito suo, o almeno anche per merito suo, si potevano liberamente scrivere inni sacri,
trarre dal mondo cristiano argomento per tragedie e romanzi, come ne aveva egli stesso indicato
la strada con Les Martyrs. Nessuno gli poteva negare ch‟era stato l‟incantatore di una
generazione. Nel 1815 il Manzoni ha già pubblicato i primi quattro Inni sacri, nel ‟20 esce Il
Conte di Carmagnola, nel‟21 il Cinque maggio, nel‟22 l‟Adelchi e La Pentecoste, nel‟27 la
prima edizione de I Promessi Sposi. Degli stessi anni le Operette morali del Leopardi ed un buon
numero dei suoi Idilli e di Canti. Nel ‟19 uscí Du Pape del de Maistre, e, postumo nel ‟21, Les
soirées de Saint-Pétersbourg.
I piú saputi tra i giovani studenti conoscevano il Childe Harold‟s Pilgrimage del Byron, le
Méditations del Lamartine, l‟Essai sur l‟indifférence en matière de religion del Lamennais, e
Shelley, e Scott, e la Staël, e Hugo ed altri ancora. Si disputava sulle “tre unità di luogo di tempo
e d‟azione”, e se non fosse giunta ormai l‟ora di farla finita con gli dei e le dee dell‟Olimpo, con
buona pace di Vincenzo Monti, e di richiamare a vita il mondo cristiano come aveva additato
Chateaubriand, o le saghe del Medioevo sull‟esempio dell‟Ossian.343 Un nome, questo, che ai
nostri giovani d‟oggi non dice nulla. Questi gli argomenti, frammisti a quelli politici, che
all‟epoca agitavano i giovani studenti e formavano l‟oggetto delle loro dispute e dei loro
341
G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici, 1838, p. 38.
La madre del Mazzini, uscite le Riflessioni, insinua che il vero autore sia Joseph de Maistre ed il Frassinetti
un prestanome. Ma il de Maistre era morto da 16 anni! Anche allora non mancavano esperti ed esperte in
dietrologia. Scriveva: “Certo parroco Frassinetti di campagna mesi fa, faceva una stampa che era proprio una
sciocchezza in ogni guisa contro i giansenisti… scrivea d‟ordine del De Maistre e C… Però il P. Spotorno mise un
cenno sulla nostra Gazzetta, confutando quello sciocco… che ora ritorna alla carica con maggiore pasticcio
dell‟altro” e, nella lettera successiva al figlio che ne vuole sapere di piú: “Sentirò il giudizio dei miei Santi dottori”.
A. LUZIO, La Madre di G. Mazzini… 1919, pp. 210.213
343 Quando comparve Ossian a tutti girò la testa: tanto erano sazi di classicismo. Il bardo scozzese fu per qualche
tempo di moda, e Omero stesso si vide minacciato il suo trono. Si sentiva che il vecchio contenuto se ne andava con
la vecchia società, e in quel vuoto ogni novità era la ben venuta. F. DE SANCTIS, Storia della letteratura italiana,
cap. 20.
100
342
entusiasmi, privi com‟erano del Giro d‟Italia, del campionato di calcio, di film, discoteche,
canzonette e festival. Questioni che un giovane appassionato per lo studio poteva far proprie o
no, ma non poteva ignorare. Nessuna sorpresa se ne rinveniamo tracce nel Frassinetti, anch‟egli
studente del suo tempo, né poteva essere diverso per uno che pareva avere per seconda casa la
biblioteca e che aveva cominciato a mutare in biblioteca la propria:
Piú volte entrato nella sua camera di studio, abbastanza grande – ricordava il Lemoyne –, vidi
volumi di teologia morale antichi e moderni, grossi e piccoli, i quali aperti occupavano tutte le
sedie, i tavolini e il sofà e i loro margini erano pieni di note da lui scritte.344
Non solo testi di morale. Il Botta, che abbiamo visto attaccato dal Mazzini, sarà criticato per
motivi diversi anche dal Frassinetti, il che presuppone la conoscenza delle sue opere. Cosí,
quando confuta i Prolegomeni del Gioberti, mostra di conoscere anche le altre opere dello
scrittore torinese. Qui basti aggiungere la testimonianza del suo condiscepolo, il canonico
Filippo Poggi: “Ripudiata la scuola Ossianesca, si gitta con tutta l‟anima ai classici greci, latini,
italiani”.345 Quadro confermato da un appunto del Fassiolo che gli visse accanto: “La sua [era]
assai provvista di libri”.346 Opere integrali, edizioni ottime. Del Petrarca una cinquecentina!
Quante altre opere lesse per diletto oltre il Canzoniere del Petrarca? Si sa solo di alcune citate
nei suoi scritti, come la Divina Commedia, il Paradiso perduto nella traduzione del Papi.
Nessuna intenzione di comporre un saggio di letteratura. Solo un affermare che lo studente
Frassinetti visse il suo tempo e lo vediamo citare Joseph de Maistre e Félicité de Lamennais, due
estremi della cultura dell‟epoca. Notevole l‟influsso del Lamennais sul Mazzini, ed il Frassinetti
trova piú volte conferma al suo dire nel de Maistre.
Questo il mondo da cui il Frassinetti attinse con processo ora di assimilazione e ora di
dissimilazione e rigetto. S‟è già notato come il Servo di Dio fin dai suoi giovani anni si fosse
scelto Gesú Cristo per stella su cui orientare la navigazione. In negativo, gli fu regola il voi non
cosí del vangelo.347 Una controregola, se cosí piace chiamarla, appresa dai figli di questo mondo
per suggerimento dello stesso Signore.348 I figli di questo mondo, per genovese tutto concretezza,
altro volto non potevano avere se non quello dei suoi coetanei andati a far gruppo col Mazzini,
alcuni dei quali erano stati suoi condiscepoli di filosofia in Seminario.
AF. Da una lettera del 18 giugno 1911 del padre Giovan Battista Lemoyne, l‟autore della monumentale
biografia di san Giovanni Bosco, al padre Antonio Piccardo
345 F. POGGI, Della vita e degli scritti di Giuseppe Frassinetti... Discorso nelle solenni rinnovate esequie il dí 14
febbraio 1868, Genova 1868, pp. 7s.
346 AF, Documenta, XIII: Memorie e note [inedite] intorno alla vita del Priore G. Frassinetti. Da copia di
appunti di DOMENICO FASSIOLO autentificata.
347 Mt 20,26; Mc 10,43; Lc 22,26.
348 Lc 16,8.
101
344
CAPITOLO XIX
LO STUDENTE DI FILOSOFIA
Abbiamo i quaderni con il dettato delle lezioni di filosofia e di teologia dei corsi seguiti dal
Frassinetti nel seminario di Genova dal 1822 al 1827. Hanno il valore che per noi hanno i testi
scolastici. Ci dicono cosa si insegnava, ma non come il professore vivificava l‟insegnamento e
come dal giovane veniva recepito. I quaderni, presentandosi cosí nitidi e ordinati da potersi
passare in tipografia per la stampa senza mutar virgola, fanno arguire la diligenza con cui il
giovane seguiva i corsi. Sono tutti in latino. Ogni volume si apre con un bel frontespizio e viene
chiuso con colophon, indice, il millesimo, anno del corso e professore.
Studio della filosofia, non della sua storia – che in parte rientrava nelle confutazioni delle tesi
rigettate –. Logica, ontologia, cosmologia – comprendente anche scienze naturali –, psicologia –
comprendente anatomia e fisiologia umana, nonché zoologia! –, e teologia naturale. Di fisiologia
c‟è pochino,349 ma in bel latino, dignitoso, si direbbe persino elegante, che riporta a prima di
349
102
Nella Sectio III, Caput X, troviamo trattato De sanguinis circulatione:
Galileo quando era la lingua delle scienze,350 ed in latino ragazzi sui diciotto anni ripetevano le
lezioni cercando di non sfigurare con il professore nell‟uso che ne facevano.
Filosofia e scienze per studenti in dimestichezza con i classici latini, quindi con citazioni del
Venusinus, come piace chiamare Orazio, di Virgilio, Marziale, Giovenale e Ovidio sparse come
ciliegine su una torta. Tullius – Cicerone –, fa spesso da sostegno alle dimostrazioni con lunghi
passi delle opere filosofiche, cosí Seneca, specie nell‟etica. Non mancano citazioni di Lucrezio e
dell‟ Antilucretius del cardinale Melchiorre di Polignac, poi Giuseppe Flavio, Quintilliano,
Plinio, Lattanzio, Agostino, sempre virgolettati, non manca un angoletto per Cornelio Nepote!
Il professor Valentini era un umanista aperto a ciò che si pensava e si scriveva ai suoi tempi,
senza un anno zero, perciò cita frammisti nomi di filosofi, di scienziati e di poeti. Riporto alla
rinfusa: Dante, , (R. Descartes)esio, Bacone, Bossuet, Fénélon, Copernico, Galileo, Newton,
Pascal, Fontenelle, Montaigne, Montesquieu, Metastasio, , L. A.ori, Locke. Stando all‟elogio
funebre del Poggi, in quella scuola si espose anche il pensiero di Malebranche, Leibniz,
Condillac, Tracy, Bayle, Spinoza e Hobbes. Kant soltanto sfiorato.351 Né mancano le sorprese:
per gli Egiziani si rimanda all‟Encyclopédie! Il Civis Geneviensis, Gian Giacomo Rousseau,
merita una menzione speciale per i numerosi passi riportati dall‟Emile, gli segue a ruota il
somasco padre Soave. Nutrita la schiera dei gesuiti: Petavio, Comes Roberti, Granelli,
Muzzarelli,... Anche Voltaire, ma per confutarne le dissacrazioni. Un professore di mentalità
aperta il Valentini.
Fig. 29: Sistema eliocentrico352
Subito una sorpresa: il
Frassinetti sapeva disegnare a
penna. Ci si era già incontrati con
fiorellini ed arabeschi disseminati
nei quaderni degli anni del corso
di “Rettorica”. In queste sue
dispense, chiamiamole cosí,
troviamo ben 52 disegni di
precisione dei fenomeni fisici,
astronomici e teoremi geometrici.
Gran parte del secondo anno fu
trattata in lungo ed in largo la
fisica astronomica seguendo il
sistema
“CopernicoNewtoniano”.
Un
sistema
censurato dall‟ Inquisizione, è
Il grande matematico Giuseppe Peano (1858-1932) ne deprecò l‟abbandono e pensò poterlo reintrodurre
semplificato in latino sine flexione.
351 F. POGGI, Della vita e degli scritti di G. Frassinetti..., Genova 1868, p. 8.
352 P. 161. A p. 150 c‟è la figura 25 con un bel disegno del sistema tolemaico. Il giovane Frassinetti non poteva
essere a conoscenza d‟un inedito di colui che sarebbe diventato il suo modello, sant‟Alfonso, in cui si mostra
appassionato d‟astronomia: “Il Santo… apprezzò quelle cognizioni [dei fenomeni celesti] fino al punto da redigere
di sua propria mano, su pergamena, un disegno accurato esprimente al vivo la Sfera Armillare…”, G. LAIS, La sfera
armillare disegnata da sant‟Alfonso, in Nel secondo centenario dalla nascita di sant‟Alfonso M. De‟ Liguori, Roma
1896, p. 34. Si direbbe che tra i due sia esistita una certa qual congenialità.
103
350
vero, ma la Scrittura parla delle cose come esse appaiono ai nostri occhi e fa suo il nostro modo
di dire. “Difatti, gli stessi astronomi, non esclusi Copernico e i Newtoniani, nel parlare comune,
dicono che il sole è sorto, o che è tramontato, senza per questo ripudiare la loro teoria”. E
l‟Inquisizione?
Fu cosa saggissima, perché a quei tempi c‟erano da temere inconvenienti interpretando cosí la
Scrittura..., in appresso, avvaloratasi l‟ipotesi sí da potersi ritenere del tutto sicura, non c‟è piú
pericolo di sorta per la religione e perciò il decreto dell‟Inquisizione nulla prova sul moto della
terra.
E san Tommaso? Anche san Tommaso ha l‟onore d‟una citazione. Veramente pochino da
parte d‟un professore di cui alla morte si ricordava la “quotidiana lettura delle sue opere protratta
per tutta la vita”!353 In quell‟anno 1823-1824 il Valentini dedicò alla fisica ben 394 pagine,
naturalmente tutte in latino, con il rammarico di doverne troncare la trattazione per non
sacrificare lo studio dell‟etica. Si ricava da una nota del Frassinetti, anch‟essa in bel latino. Il
trattato di logica si chiude con un esametro virgiliano, l‟intero corso con due di Orazio.
Mi è parso bene dilungarmi sull‟apertura di mente del Valentini che abituava gli allievi a
ragionare. Meglio discutere in pubblica classe i fatti impugnati, che aver paura di trattarli. Non
tutti in seminario ne condividevano l‟apertura, il modo e l‟opportunità. Il primo criticone
dell‟eccessiva apertura dovette essere il rettore, già docente della materia, che si vedeva
diminuito, come non bastasse l‟ ascendente che si andava acquistando il direttore di disciplina
Gianelli, posto dal Lambruschini perché ristabilisse l‟ordine da lui non saputo tenere. Vediamo
prima il Gianelli rinunciare all‟incarico, poi il Valentini seguito dal Rebuffo. Che spiegazione si
desse il Frassinetti di quel che succedeva lo si può argomentare da ciò che scriverà nella
Cronaca il Cattaneo, suo compagno di corso:
Il Lettore di Filosofia Valentini lasciò la cattedra prima che finisse l‟anno scolastico… forse
[perché] il Rettore, offeso dalle maniere piú franche assai che rispettose che usava il Lettore
suddetto a suo riguardo… 354
Fu una gran perdita, essendo il Valentini professore di valore, di mente aperta e di larghissimi
interessi culturali. Non restò a lungo senza cattedra. Di lí a qualche tempo, fu chiamato ad
insegnare logica e metafisica nella Regia Università di Genova. Invidie che lasciarono il segno
nel cuore dei giovani. Essi, i “ragazzi del Gianelli”, saranno diversi. Li vedremo nella “Beato
Leonardo da Porto Maurizio” formare un cuore solo e un‟anima sola, ignari di cosa sia gelosia.
Chiunque da giovane ha amato lo studio ricorda cosa significò aver un avuto un professore di
vasta cultura e lo stimolo che se ne ricevette. Il Frassinetti, e chi gli era stato compagno, da
vecchi, parlando con i giovani chierici per invogliarli a studiare, dovevano di tanto in tanto
rievocare il Valentini ed il Decotto, come si può arguire da una pagina della biografia del
Fassiolo.
Il giovane Frassinetti entrò di buon animo nel difficile arringo dei filosofici studi. In ciò gli fu
maestro il professore Gerolamo Valentini, sacerdote che assai di frequente ebbe a lodarsi di lui, ed
ammirare sua prontezza nel rispondere, l‟ordine delle idee, l‟attività dell‟ingegno. Attesta chi gli fu
compagno – è chiaro che torna col pensiero alle dispute scolastiche – che non mai avvenne che [il
Necrologia del sacerdote Girolamo Valentini… 27 agosto 1848.
B. CATTANEO, Cronaca del Seminario dal 1803 al 1847. Dice i motivi che determinarono il Valentini a
lasciare l‟insegnamento. Ai colleghi sapeva amaro che la sua bravura – laurea di teologia, filosofia, diritto canonico
e civile, studi seri di matematica, fisica e scienze naturali – mostrasse la meschinità del loro insegnamento.
104
353 A. DRAGO,
354
Frassinetti] restasse sopraffatto alle proposte difficoltà. Non abbandonò mai l‟arena se non
vincitore. Approfondiva di tratto il nodo della questione, e con modestia e buona maniera ne
esponeva la soluzione.
CAPITOLO XX
COME STUDIARE E CON QUALE SPIRITO
La scienza, anche se delle cose di Dio,
senza la carità, gonfia e nuoce.
AGOSTINO
Cosa studiasse e con quale spirito, il Frassinetti lo dice nelle Osservazioni sopra gli studi
ecclesiastici.355
L‟ecclesiastico che non si considera tutto tale, e non è contento di non esser altro che
ecclesiastico, non sarà buono [ecclesiastico]. Chiederà alcuno, se si voglia proibire agli ecclesiastici
ogni altra occupazione fuor delle sacre, come l‟ attendere alla letteratura, alla fisica, ecc. Se a
qualcuno venisse tal dubbio, osservi che, potendosi dirigere questi studi ed occupazioni alla
maggior gloria di Dio, come ve li diressero tanti ecclesiastici anche celebri per distinta santità, non
si deve dire che siano a un ecclesiastico disdicevoli, anzi noi li diremo convenienti. Vuolsi soltanto
far notare, che ad essere buon ecclesiastico non giova essere dotto letterato, dotto matematico ecc.,
se non si dirigono tali studi ed occupazioni al gran fine dell‟ecclesiastico…356
Anche la letteratura e la fisica? certo. Pensava al Gianelli e al Valentini? Certo, purché
ordinate a “procurare l‟onore di Dio e la salvezza dei prossimi”.357
FRASSINETTI, Osservazioni sugli studi ecclesiastici proposte ai chierici, p. VII: “Ciascuno facilmente si
persuade poter tornar utile altrui ciò che prova utile per se stesso. Pertanto voglio confidare che alcune avvertenze
intorno agli studi ecclesiastici, trovate di qualche utilità per me, possano riuscire di qualche utilità ancora per voi”.
356 ID., Ivi, p. 2 nota 1.
357 ID., Ivi, p. 5.
105
355 G.
Questa istruzione…non deve essere di quella che gonfia lo scienziato e lo rende superbo, ma di
quella che, mediante la carità, lo rende umile; giacché un ecclesiastico superbo sarebbe peggiore
che un ecclesiastico ignorante, non potendosi temere da cento ecclesiastici ignoranti que‟ danni che
si debbono temere da un ecclesiastico superbo. Il dotto superbo sa distruggere, il dotto umile sa
edificare. La carità deve invitare l‟ecclesiastico ai suoi studi e l‟umiltà dirigerlo.358
Posti i principi, esamina con domande e risposte da cosa si devono guardare:
– Io sono ecclesiastico: quale sprone avrò allo studio? L‟onore, la gloria, la fama?
– Povero me! Non conosco il mio fine. Questo è l‟onore e la gloria di Dio, non la mia. Non debbo
cercare che vada per la bocca degli uomini il meschino mio nome, ma quel gran Nome, nel
quale soltanto ci può essere salute.359 Mi dice l‟amor proprio che si può ottenere l‟uno e
l‟altro…; che posso cercare l‟onore e la gloria di Dio e insieme procurarmi le giuste lodi e
approvazioni degli uomini… Non nego il principio, ma vorrei sapere… se alcuno abbia mai
saputo camminar bene per questa strada delle due intenzioni… Non me ne fiderò.
– Quale altro sprone avrò allo studio? L‟interesse?
– Povero me! Se mi prefiggo un tal fine, avrò coraggio a manifestarlo?
– Quale altro sprone avrò allo studio? Il passatempo?
– Povero me! Sarò tanto stupido da persuadermi che Dio mi conceda tempo d‟ avanzo onde abbia
a cercar modo di occuparlo per non sentirne il tedio?… Lo studio che si fa per passatempo è
uno studio cosí leggero, inconcludente, che non lascia cognizioni se non inesatte, sconnesse e
confuse, che sono piú dannose dell‟ ignoranza, perché è sempre da preferirsi il non sapere al
saper male…360
– Ma dunque quale altro sprone avrò allo studio?
– La carità... L‟amor di Dio, l‟amor dei prossimi lo debbono occupare tutto quanto, ed anche tutte
le sue operazioni, perché l‟unico suo fine è quello di procurare l‟onore di Dio e la salvezza dei
prossimi… l‟ecclesiastico che studierà mosso dalla sola carità, sarà il solo che negli studi
riuscirà a perfezione... Ove si prende la mira là dirigesi il dardo, e sarebbe miracolo se andasse
a finire in altra parte... Se voi vi darete agli studi ecclesiastici spronati soltanto da carità,
imparerete ciò che potrà maggiormente conferire alla gloria di Dio e alla salute dei prossimi
quasi di slancio; mossi da altro fine, non vi basteranno le piú diuturne considerazioni sulle
scienze medesime, per averne una cognizione sufficiente.
Molti santi, sebbene abbiano passato la loro vita in immense fatiche, lasciarono tanti scritti
eccellenti per procurare la gloria di Dio e la salvezza dei prossimi; mentre tant‟altri,
consumandosi nella polvere delle loro biblioteche senza far altro, o nulla lasciarono o cosí
poco, che solo prova la sterilità del loro ingegno...361
Qui il Frassinetti, senza pensarci, ci dà la risposta alla meraviglia che suscita in noi la sua vita:
come poté essere due in uno, pastore cosí preso dalla cura delle anime che si fa difficoltà a
pensare trovasse tempo di stare seduto un‟ora a tavolino, e scrittore cosí preso dai suoi studi da
non aver tempo di dire messa e breviario. Completiamo queste pagine che ci rivelano con che
animo studiasse.
Chi ama Dio ama la Chiesa, e l‟ama perché è la sposa di Gesú Cristo, perché è l‟arca della
nostra salvezza... Io l‟amo, io l‟amo, io ne sono pazzo, diceva san Giovanni Grisostomo… Chi si
sentisse alquanto freddo in questo amore, l‟ accenda. L‟avvivi, ché troppo è necessario, onde
riescano vantaggiosi gli studi ecclesiastici… nessuno può rilevare sí bene le bellezze di un qualche
oggetto, quanto chi n‟è appassionato... Quando nomino la santa Chiesa, non intendo parlare di una
358 ID., Ivi, p.
359 At 4, 12.
3.
360 AGOSTINO, Sermo 27. Suppongo che il Frassinetti si sia servito della terza edizione dei Maurini di Venezia
stampata dal Remondini a Bassano nel 1797. È l‟edizione di cui mi sono servito in questa raccolta di passi. Il Migne
era ancora di là da venire.
361 G. FRASSINETTI, Osservazioni..., pp. 3-7.
106
chiesa astratta… senza centro, come la immaginarono certi infelici: intendo... quella che dura da
Gesú Cristo fino a noi, quella che ha Pietro per capo, al cui governo Pietro sempre vive nella serie
non interrotta dei Pontefici suoi successori, quella che è Una, Santa, Cattolica, Apostolica,
Romana.
Chiamati cosí agli studi ecclesiastici dalla carità che edifica,362 bisogna che in essi ci lasciamo
guidare dall‟umiltà. Che cosa è l‟uomo se si abbandona al suo ingegno e ai suoi lumi? È una nave
senza timone in mare tempestoso e pieno di scogli. Egli è molto inferiore all‟ignorante, e quanto
piú nello studio s‟immerge, altrettanto piú sotto l‟ignorante sprofonda… Ci vuol dunque umiltà,
tanto piú che gli studi ecclesiastici, molto avendo di soprannaturale, s‟innalzano sopra la sfera
dell‟umano intendimento, e perciò il volere soltanto servirsi dei propri lumi nel loro corso, sarebbe
lo stesso come volersi servire delle braccia per volare. Ciascuno deve… persuadersi d‟aver gran
bisogno dei lumi altrui, e nelle materie ecclesiastiche dei lumi della Chiesa. Le decisioni… espresse
o tacite di lei, ci somministreranno quei lumi dietro i quali non si può errare.363
Il Frassinetti scriveva per edificare, non per fare opera scientifica. Nessuna meraviglia che sia
molto parco di citazioni per non appesantire il dettato. Le citazioni esplicite sono poca cosa
rispetto a quelle omesse, come in questi consigli ai giovani chierici, in cui troviamo un solo
rinvio ad un sermone di sant‟ Agostino, mentre non fa che sviluppare i suoi pensieri. Sarebbe
uno studio interessante rileggere il Frassinetti cercando di individuare le fonti non citate da cui
attingeva e scoprire a quale mensa si nutriva. Se, incuriosito, uno le cerca, scopre che quel suo
dire da conversazione, era basato su una rilevante ricchezza di letture: magistero della Chiesa,
massiccia presenza di santi padri e dei sommi della teologia. Perché cosí parco nel citare? Perché
non imita il suo maestro sant‟Alfonso?
Trovo la risposta in me stesso. Alunno del ginnasio inferiore mi capitò fra mano Le glorie di
Maria di sant‟Alfonso. Le lessi con amore, piacere e curiosità, peccato che le molte citazioni me
ne inceppassero la lettura. Ho voluto controllare se l‟impressione rimasta fosse vera.
Nell‟edizione Marietti del 1845, primo volume, nelle prime due pagine a doppia colonna, vedo
citati sant‟Atanagio (sic), san Bernardino, sant‟Arnoldo, Ruperto abate ed un‟altra buona dozzina
d‟autori. Di ciascuno riporta un corsivo in latino per un totale di 42 righe! Anche se ne dà la
traduzione, o almeno il senso, resta pur sempre zona di mistero senza risposta per chi ignora la
lingua. Il Frassinetti scriveva per giungere al cuore dei semplici. Come non si sentiva defraudato
lui dalle edizioni pirata che si facevano delle sue opere, vedendo penetrare in piú largo raggio la
parola di salvezza, cosí non si preoccupava di indicare di chi fosse debitore inzeppando la pagina
di citazioni. Un attenersi all‟esortazione dell‟Apostolo di esaminare tutto e di servirsi di ciò che
si giudica buono364 e, sulla sua parola, ne dispone perché
è tutto vostro – dice l‟Apostolo – quel che è di Paolo, o di Apollo, o di Cefa, e il mondo e la vita
e la morte, sia le cose presenti come le future, tutto è vostro, e voi di Cristo, e Cristo di Dio!…
provenendo tutto dallo stesso ed unico Spirito.365
362 1
Cor 8,1.
G. FRASSINETTI, Osservazioni..., pp. 7-9.
364 1 Ts 5,21.
365 1 Cor 3, 22s. e 12,11. Al pensiero di Paolo dovette rifarsi sant‟Ambrogio, uno che non rifuggiva dal reperire
cibo sano in terra greca per nutrire i fedeli in terra latina, suscitando scandalo in san Girolamo. Nei tre libri su lo
Spirito Santo s‟era fatto bello con farina del sacco di Didimo il Cieco! Girolamo, perché i latini se ne potessero
rendere conto, ne fece lui una versione che cosí presentava a Paolino: “Io ho preferito farmi traduttore d‟opera altrui,
piuttosto che, come altri – leggi Ambrogio –, mostruosa cornacchietta, farmi bello delle penne d‟un pavone”. Chi
leggerà la sua traduzione “conoscerà i furti dei latini – leggi ancora Ambrogio – e, cominciato che abbia ad attingere
alle fonti, disprezzerà i rigagnoli” (PL 23,103s.). Girolamo era uomo di biblioteca, anzi lui stesso una biblioteca;
107
363
Perché si abbia un‟idea di cosa il Frassinetti facesse fin da giovane nelle lunghe ore passate in
biblioteca e di come poi ripresentasse la sostanza delle sue letture – in questo caso di Agostino –
attinta dai molti volumi in folio, do io un saggio di queste fonti agostiniane non citate – non
pensi il Lettore che io voglia imitare Girolamo per denunciarne i furta! –. Esse ci mostrano come
il Frassinetti segua da vicino il sermone ventunesimo tenuto da sant‟Agostino il 27 luglio 413,
nona domenica di Pentecoste, commentando i versetti 5,20-23 di Giovanni:
È meglio infatti non sapere, piuttosto che essere nell‟errore; meglio però sapere che non sapere.
Se ci riusciamo, rendiamone grazie a Dio. Se poi non riuscissimo a raggiungere la verità,
guardiamoci dal cadere nell‟errore.366
È ancora di Agostino quel concepire lo studio frutto della carità nutrita d‟umiltà.
Come fu affermato che la carne non giova a nulla367 allo stesso modo [l‟ Apostolo affermò] che
la scienza gonfia.368 Dobbiamo dunque odiare la scienza? Dio liberi! Cosa vuol dire dunque: La
scienza gonfia? Gonfia se è sola, senza la carità. Per questo l‟Apostolo aggiunse: Ma la carità
edifica. Aggiungi dunque alla scienza la carità, e ne fai cosa utile, non per se stessa, ma per la
carità.369
La scienza gonfia. Dobbiamo dedurne che dovete fuggirla e preferire d‟essere ignoranti piuttosto
che gonfiarsi?... No, amatela, ma anteponetele la carità. La scienza gonfia se ne è priva, ma la
carità, perché edifica, non permette alla scienza di gonfiarsi… Non c‟è gonfiore dove questa roccia
fa da fondamento.370
Cosa dice l‟Apostolo di coloro che amano gloriarsi della propria giustizia? “Riconosco che
hanno zelo per Dio”.371 Dunque, parlando dei giudei, l‟Apostolo riconosce che hanno zelo, ma uno
zelo non di buona scienza… Quale è la scienza buona che raccomandi?… la scienza congiunta a
carità, maestra d‟umiltà...372
Cosa dichiara il maestro Figlio di Dio, per cui tutto è stato fatto?... Imparate come ho fatto i cieli
e tutto il resto?... No, ma innanzi tutto che egli è mite ed umile di cuore.373… Aspiriamo a cose
grandi? comprendiamo le piccole e saremo grandi. Vuoi pervenire all‟altezza di Dio?... Fai tua
l‟umiltà di Cristo… non insuperbire. Fatta tua la sua umiltà, con lui t‟innalzi... Osservate l‟albero,
per estollersi in alto, cerca il profondo... Tu vorresti comprendere le cose eccelse senza la carità?
Un innalzarti all‟aria senza radici? Questo non è crescere, ma franare….374 Pertanto,... sia che tu
legga, sia che tu studi, ricorda la grande verità: La scienza gonfia, la carità edifica… Voglio
credere che tu non pensi che Dio voglia che noi si conosca il numero delle stelle o quanti sono i
Ambrogio pastore d‟anime. Non si creda però che Girolamo non stimasse Ambrogio, tutt‟altro! Ad Eustochio
consiglia la lettura del nostro Ambrogio, cosí eloquente nei suoi trattati sulla verginità da aver saputo ricercare,
ordinare ed esporre quanto delle vergini è possibile dire (PL 22,409). Lo stesso consiglio dà a Pammachio: lege
Ambrogium. I due si erano conosciuti a Roma al tempo del Sinodo romano convocato da papa Damaso. Molte le
affinità che li univano, oltre al loro amore per la verginità consacrata ed il culto a Maria. Giudizio di letterato,
dunque, quello di Girolamo, cui però era sfuggita la libertà con cui Ambrogio ritratta la materia e la completa con
indipendenza. Aveva quindi il Frassinetti un buon predecessore. Ancora una cosa mi fa riavvicinare il Frassinetti ad
Ambrogio: non pubblicare scritto senza averlo sottoposto al giudizio di amici competenti, Epistola a Sabino (PL 16,
47 e 48).
366 AGOSTINO, Tractatus in Iohannis evangelium, XXI, tom. IV. c. 604B.
367 Gv 6,64.
368 1 Cor 8,1.
369 AGOSTINO, Tractatus in Iohannis evangelium, XXI, tom. IV., c. 467C.
370 AGOSTINO, Sermo 354 ad continentes, tom VII, c. 1377.EF.
371 Rm 10,2.
372 AGOSTINO Enarratio in Psalmum 142, Sermo ad populum, tom VI, c. 1039s.
373 Mt 11,29.
374 AGOSTINO, Sermo 118 de verbis Evangelii Iohannis tom. VII, c. 589B.
108
granelli, non dico dell‟arena, ma del frumento... Diversa è la scienza di cui da noi Dio vuole la
conoscenza... si tratta della scienza che riguarda la legge di Dio. Dirai: – E chi può conoscere cosí
bene la legge da averne la pienezza della conoscenza e dirsi sede di Dio ? – Non volerti
spaventare… Dice l‟Apostolo “Pienezza della legge è la carità”.375 Non hai piú scuse. Interroga il
tuo cuore e vedi se c‟è carità. Se c‟è carità, c‟è la pienezza della legge, e già in te abita Dio, sei già
sede di Dio. 376
[Dicendo l‟Apostolo] “La lettera uccide, lo spirito vivifica”,377 pare che condanni l‟una e lodi
l‟altro. Ma dicendo “la lettera uccide”, intende la lettera da sola, priva della grazia. Rifacciamoci
all‟altra espressione “La scienza gonfia”.378 Condannata qui la scienza? Difatti se gonfia, è meglio
restare incolti. Ma, poiché aggiunge: La carità invece edifica, ci dà ad intendere che la lettera
uccide se è senza lo spirito, se con lo spirito vivifica e ci rende osservanti della lettera. Cosí la
scienza: senza la carità gonfia, con la carità edifica.379
Compendia Agostino in una riga: “La scienza, anche se riguarda la legge di Dio, in chi è privo
di carità, gonfia e nuoce”380 La citazione dei passi agostiniani vogliono giustificare la mia
conclusione: i consigli del Frassinetti ai giovani chierici, già fatti suoi, sono un distillato del
pensiero di Agostino, ma lo stile è del Frassinetti, il che sta a dire che non solo aveva letto i
passi, ma li aveva tanto ripensati da assimilarseli fino a farli sostanza del suo stesso pensiero,
fino, se non si ha fresca la lettura d‟Agostino, da non avvertirne la dipendenza. La lunga
citazione di Agostino perché ci faccia da spia di quanta cultura ricavata dai Padri c‟è dietro quel
linguaggio cosí piano del Frassinetti.
Un ultimo consiglio del Frassinetti ai giovani, se loro un libro paresse non degno d‟essere
letto quando non porti l‟indicazione di nuovo o, se si tratta di commenti biblici, non si presenti
quale una nuova chiave di lettura.
Chi si dà agli studi ecclesiastici tema la novità, la quale fu sempre… la primogenita della
superbia. Ciascuno ama i propri ritrovati e li vorrebbe vedere accolti. Nelle materie profane il
danno sarà poco importante, ma in quelle delle quali parliamo, sarà di gran conseguenza... .381
Nessuna condanna del nuovo, ma un po‟ piú di modestia e d‟umiltà non dispiacerebbe.
Almeno, avanzata ipotesi, lasciare l‟impressione che è solo un‟ ipotesi.
375
Rm 13,10.
376 AGOSTINO, Enarratio
in Psalmum 98, Sermo ad plebem tom. VI, c. 340D.
4,15,
378 1 Cor 8,1;13,4.
379 AGOSTINO, Sermo in die Pentecostes, tom. VII, c. 1099B.
380 ID., Contra Cresconium donatistam, Liber I, cap. 25, § 30, tom. XII c. 511AB:
381 G. FRASSINETTI, Ivi, pp. 5-9. Si metta a raffronto quest‟ultimo paragrafo con la pagina che di lí ad un quarto
di secolo scriverà J. E. NEWMAN, Apologia Pro Vita Sua, General Answer to Mr. Kingsley e da me riportata
nell‟ultimo capitolo di questa biografia.
109
377 Rm
CAPITOLO XXI
LO STUDENTE DI TEOLOGIA
La scuola di teologia, tenuto conto dei tempi, era buona. Merito del cardinal Spina che ne
affidò la cattedra ad un ex-gesuita della sciolta compagnia, Antonio Signorotti. Scelta felice, se si
pensa chi l‟aveva preceduto, Stefano De Gregori, già alunno del Molinelli, bel nome del
giansenismo.382 Con lui l‟eresia prese tanto piede che nel 1795 fu licenziato e gli successe
Gerolamo De Gregori, non ancora sacerdote, il Bambolo! Alla calata dei francesi, si richiamò
Stefano de Gregori e per i giansenisti furono tempi d‟oro. Precipitando gli eventi, il seminario
restò chiuso fino al 1803. Riaperto, lo Spina affidò l‟insegnamento della teologia ad Antonio
Signorotti.383 Anche se tenne per poco la cattedra, per un mezzo secolo fu un punto di
riferimento. Ritirandosi nel 1809 indicò un suo alunno, Gerolamo Bolasco, giovane di 26 anni,
ma fu tale la lotta dei giansenisti che poté tenere la cattedra solo due anni senza scendere a
compromessi con la coscienza. Il prefetto napoleonico Bourdon, mosso dai giansenisti – il
Degola era suo amico e “fratello”! –, gli impose: o insegnare le proposizioni gallicane o
rinunciare. Rinunciò. Torna alla morte di Marco Decotto che gli era succeduto.384
Il giansenismo a Genova era ben radicato. Al Degola e al Molinelli, s‟era aggiunto il Palmieri, trai piú attivi
nel Sinodo di Pistoia e nell‟Assemblea di Firenze.
383 Nel 1805 la cattedra di teologia fu sdoppiata. Al Decotto la morale, al Signorotti rimase la dogmatica. .Stando
al COLLETTI, Storia eccl. Genov. del sec. XIX, mans. cap. III, p. 2. ASG. sull‟autorità del Luxardo, il Decotto si
sarebbe servito delle lezioni dettate dal Signorotti. Dovremmo concludere che sono quelle raccolte dal Frassinetti.
Stento a credere che il Decotto le abbia dettate come proprie. Propino a credere che il Decotto ed il Bolasco
rinviassero gli alunni al Signorotti. Se il Frassinetti poté servirsene, avremmo individuato la persona che lo armò per
la lotta al giansenismo.
384 “Nel 1797 [il Decotto] fu colto dalla tempesta rivoluzionaria – si legge nel Coletti –, ma non ne fu travolto,
né venne privato della scuola. I giansenisti, cosa singolare, non lo fecero oggetto di sarcasmi. Nei trattati raccolti dal
Frassinetti il Decotto non rigetta l‟ultima virgola del Sinodo Pistoiese, né va del tutto immune da ombre di dottrine
non consone con la tradizione cattolica. Il Frassinetti, benché alunno del primo anno di teologia, lo avverte se, a
chiusura del trattato sulle indulgenze, sente il bisogno d‟ aggiungere una nota firmata auditor: “È da notarsi che
quella definizione... non si può tenere essendo stata condannata con la bolla Auctorem Fidei...[io], uditore, ho visto
la questione in modo diverso”, Manoscritti vol. XXIV, p. 393.
110
382
Marco Decotto e Geronimo Bolasco sono i due professori di dogmatica del nostro Frassinetti,
il primo fino a tre giorni prima della morte il 29 gennaio 1826. Fu richiamato Geronimo Bolasco.
Professore di morale Giuseppe Massa. Nell‟ elogio funebre lo Spotorno vide in lui lo spirito di
sant‟Alfonso.385, In realtà l‟autore di morale a cui, chi piú chi meno, tutti si rifacevano, era
l‟Antoine, giansenista no, ma rigorista la sua parte.386 Può fare luce su questa scelta ciò che
accadeva alla facoltà di teologia dell‟università di Torino in quegli stessi anni. Dal 1817 al 1829
la cattedra fu tenuta dal sardo Giovanni Maria Dettori, amico ed estimatore dei giansenisti
genovesi Degola e Palmieri, e come loro anch‟egli giansenista.387 Apprendiamo dall‟abate
Amedeo Peyron, 388 che ciò che valeva a Torino valeva in tutto il Regno Sardo, quindi anche a
Genova. Non c‟è dunque da meravigliarsi dell‟autorità che godette l‟Antoine a Genova fino a
metà dell‟ Ottocento, specie tra i vecchi.389
Un breve esame della raccolta di lezioni dei volumi manoscritti del Frassinetti. Tre sono
indubbiamente suoi. Il XXII di pag. 347, primo anno di teologia, e il XXIII di pag. 394, secondo
anno, hanno il loro frontespizio ed il loro colophon sul modello di quelli di filosofia, con
indicazione dell‟anno e del professore, Marco Decotto, ed alla fine, il numero delle lezioni: 133
il primo anno, 137 il secondo. Il volume XXIV di pag. 606 è privo di frontespizio e di colophon,
ma, al numero delle lezioni dell‟anno, 136, affianca la somma dei tre anni, 406. Un quarto, il
XVIII, una raccolta non curata dal Frassinetti, pone diversi problemi.
Studio della dogmatica, della sacramentaria e della morale in cui rientrava anche il diritto
canonico. Il resto? 14 pagine di patrologia e 64 di Scrittura. Pochine assai, anche se se ne faceva
grande uso a sostegno delle tesi dei vari trattati. E la storia ecclesiastica? I seminari italiani, in
quanto a cultura, non differiscono gran che da quella dei seminari francesi degli inizi
dell‟Ottocento:
Le materie insegnate – scrive il Rops – sono miserucce; la Sacra Scrittura ridotta a pii
commentari, e la storia della Chiesa ignorata dai programmi in settantacinque case su ottanta! Si
insiste di piú sulla formazione morale... 390
Per il Frassinetti ci fu però un “Fuori ed oltre la scuola”. Ci faremo dire da lui stesso cosa un
ecclesiastico deve studiare e con quali criteri, dando uno sguardo ai suoi appunti di esegesi ed un
suo manuale di storia ecclesiastica.
Avvertí aver esagerato, e soggiunse: “Parmi udir voce… che il Massa… pendesse al rigido opinare anziché al
benigno...”, G. B. SPOTORNO. Nelle solenni esequie del M. R. D. Giacomo Giuseppe Massa…, Novi Ligure 1842, pp.
15-17.
386 Padre Luigi Persoglio, studente di teologia nel seminario di Genova agli inizi degli anni Cinquanta
dell‟Ottocento, afferma: “Ben pochi seguivano sant‟Alfonso, in parte [seguivano], specie i vecchi, l‟Antoine”.
387 Tra il 1823 e il 1827 il Dettori aveva pubblicato a Torino le Theologiæ Moralis Institutiones in sei volumi in
cui criticava aspramente il probabilismo, la teologia del Liguori ed il Guala. Né dalla cattedra risparmiava l‟infame
probabilistarum pecus.
388 Avverso ai gesuiti e con tendenze gianseniste e gallicane, P. CALLIARI, Carteggio..., vol. III, Torino 1976, p.
163. Don Bosco, nella Storia d‟Italia, Torino, 188718 gli dedicò un ampio ritratto tra gli uomini celebri
dell‟Ottocento. Non è male dare uno sguardo fuori della finestra per vedere cosa accade nel vicinato, chi, per
esempio, ai tempi del Frassinetti era considerato uomo celebre nell‟ambiente cattolico piemontese.
389 PAOLO GABRIELE ANTOINE, S.J., (1678-1743), Theologia moralis universa ..., Nancy 1725. Gesuita avverso
al probabilismo, eppure nelle sue opere i giansenisti vi trovarono sentenze da criticare. Sant‟Alfonso ne stimò la
cultura e il metodo, ma lo disse valde rigidus.
390 D. ROPS, Storia della Chiesa del Cristo, vol VI: La Chiesa delle rivoluzioni, traduzione di N. BEGHIN, Torino
1958, pp. 145s.
111
385
CAPITOLO XXII
OLTRE LA SCUOLA I
La memoria del passato deve essere per ogni uomo, che non odia la patria e se
stesso, il piú forte stimolo per amare il presente.
VINCENZO CUOCO391
O Italiani, io vi esorto alla storie, perché niun popolo piú di voi può mostrare…
grandi anime degne di essere liberate dalla oblivione... Prostratevi sui loro sepolcri,
interrogateli... come l‟amor della patria... accrebbe la costanza del loro cuore...
UGO FOSCOLO392
La storia ecclesiastica è un quadro vivo che ci rappresenta la Chiesa. Chi vuol
conoscerla bene deve fissare questo quadro.
GIUSEPPE FRASSINETTI393
Agli orecchi dei giovani studenti di quegli anni Venti dell‟Ottocento giungeva con insistenza
l‟invito di rifarsi alla storia. Alla scuola del Gianelli, la storia aveva occupato un posto d‟onore,
non cosí nel corso di teologia, ma la storia appresa con il Gianelli era stata cosa troppo
universale e generica, da scuola media, perché potesse aver dato a quei giovani un quadro vivo
della Chiesa. Se i suoi coetanei avevano raccolto la voce del Cuoco e del Foscolo e messo tale
studio a servizio della causa dell‟indipendenza, il Frassinetti lo metterà a servizio della Chiesa;
se i suoi nemici la studiavano per vituperarla – La storia delle repubbliche italiane del Sismondi
faceva notizia –, egli la studierà per farla rifulgere. Nelle Osservazioni sopra gli studi
ecclesiastici, 60 delle 112 pagine insistono su tale studio.
Nel 1834, in una conferenza della “Beato Leonardo”, a lui ne fu affidato uno studio di ampio
respiro, al Cattaneo un compendio. Il Frassinetti era d‟altro parere: “In tal modo... – scrive allo
Sturla – io non aiuterò lui, né egli me... è idea troppo piccola, che noi ci mettiamo a lavorare per i
seminaristi di Genova...”. Per essi bastavano i compendi esistenti. “L‟idea di prendere cattedre
per noi è idea alquanto piccola e ci rovinerebbe in gran parte, perché ci legherebbe a fare studi
391
Saggio storico sulla Rivoluzione di Napoli, ultimo capitolo, conclusione.
Dell‟origine e dell‟ufficio della letteratura, paragrafo XV.
393 Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici, Genova 1839, p. 42.
112
392
troppo scolastici...”. Per il momento non avrebbero dovuto sperdersi in molte discipline, ma
puntare su storia e filosofia, studi piú urgenti e ne suggerisce il metodo.
A squadre di quattro. Tre della prima ricerchino il materiale da fornire mese per mese, il
quarto curi la stesura, che sarà non solo rivista dagli altri del gruppo, ma anche dai quattro di
filosofia che possono aggiungervi note e osservazioni. Si noti l‟idea del lavoro a squadre. Se gli
altri non condividono, “Sono il primo ad arrendermi...”. La proposta non fu accolta ed egli si
arrese.
Il contenuto dei suoi primi lavori è tale che fa supporre un lungo ripensamento di letture fatte
in biblioteca, prima quindi del 1831, anno in cui passò a Quinto. Non è credibile che il figlio
d‟un piccolo merciaio di condizione modesta, con tre fratelli ancora agli studi, potesse disporre
in meno di quattro anni di sacerdozio, dei mezzi per procurarsi i molti volumi di cui si avverte
una lettura attenta e critica, sí da potersene servire senz‟uscire di casa. La premessa alle
Osservazioni, pubblicate nel 1839, ma solo dopo una lunga e laboriosa gestazione,394 ci conferma
che fin da allora le letture erano già molte e serie. L‟Autore cosí vi si confessa:
Non crediate però che io ve le presenti [queste “Osservazioni”] come cose nuove: non ho il
merito della loro invenzione: si ritrovano già in altri luoghi. Se può avere qualche merito questa
operetta, altro non è fuorché quello di racchiudere in poche pagine ciò che trovasi sparso in vari
libri e di fare in tal modo vedere quasi in un colpo d‟occhio alcune cose per imparar le quali ci
vorrebbe non già lungo e profondo studio, ché tale non fu il mio, ma qualche fatica di piú.
Spogliato il discorso della modestia con cui si esprime, fuggendo per natura dal porsi in
vetrina, i vari libri sono i molti libri e lo studio lungo. Non c‟è chiara sintesi se manca profondo
ripensamento. Tra riga e riga, avverti il disappunto di chi non trovò nella scuola le discipline di
cui sentiva bisogno. Vive sotto quella impressione e vuol porvi rimedio. La lettura dei vari libri
penso si debba perciò porre in quei tre lustri che vanno dall‟inizio dei corsi universitari a qualche
anno dopo la trentina nei quali un uomo di studio suole porre le basi della sua formazione
intellettuale, ossia negli anni in cui, studente e giovane sacerdote,
correva alle biblioteche e sopra i grandi volumi dei teologi e dei Padri spendeva lunghe ore
pensando e meditando senza risparmiare fatica alcuna. La qual cosa egli faceva sempre, ma
specialmente nei giorni di vacanza395
Prima di ascoltare il Frassinetti in che modo aveva studiato le varie discipline, riportando
stralci del suo lavoro, penso necessarie alcune considerazioni. Agli inizi della vita pubblica del
Signore i sinottici pongono il racconto delle tentazioni. Rigettando gli allettativi che l‟avrebbero
distolto dalla missione salvifica per cui si era incarnato, ci insegnò a fare la nostre scelte e come
farle.396 Il discepolo non è piú del maestro.397 Non c‟è sacerdote che nell‟adolescenza non si sia
trovato di fronte ad un bivio. Per i santi non esiste accomodamento. Anche il Frassinetti fece la
sua scelta: “Bisogna che l‟ecclesiastico si consideri tutto tale e si contenti di non essere altro che
ecclesiastico”. Via quindi i sogni che poterono accarezzare la sua vanità: far parlare di sé
scrivendo bei versi, come il Frugoni; emulare lo Spotorno, l‟Ipse dixit di color che sanno di
394
Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici e le Riflessioni proposte agli ecclesiastici, furono inviate al Santo
Ufficio dai giansenisti perché fossero poste all‟ Indice. Dei suoi lavori storici abbiamo giudizi entusiasti di S.
Antonio Maria Gianelli.
395 D. FASSIOLO, Op. cit., p. 20. Miei i corsivi.
396 Cfr. Mt 4,1-11; Mc 1,12s; Lc 4,1-13; 1 Cor 1,18-25.
397 Mt 10,24; Lc 6,40.
113
quegli anni, o, perché no?, divenire un nuovo Segneri. A scuola era bravo, primo tra i primi.
Anche egli scelse, e fu scelta radicale, da poter ripetere le parole dell‟Apostolo ai corinzi, che mi
piace qui parafrasare: – Venni tra voi non per stupirvi con sfoggio di cultura ed elevata oratoria,
ma ad annunciarvi Cristo crocifisso. Altro io non so, né desidero sapere, volendo che la vostra
fede non sia fondata su ragionamenti umani ma sulla potenza di Dio.398
Uno studio tutto ordinato alla propria e all‟altrui santificazione, non di erudito o di
cattedratico che, studiando Omero, si chiede se è veramente esistito e, se esistito, fu lui a scrivere
i due poemi, o non furono in due, o in cento, e se dalla loro penna uscirono come sono a noi
pervenuti oppure passarono per una lunga serie di redazioni; e quante, e quali. Uno studio
anatomia di parole morte. Il Nostro legge la Scrittura e se ne incanta, e la ripete incantando;
legge la storia della Chiesa e se ne commuove, e poi ripete i begli esempi commovendo.
Ad Agostino, pastore, nulla importava determinare se la pianta alla cui ombra Giona trovò
refrigerio fosse zucca o edera;399 importava servirsene per far comprendere alle anime desiderose
di conoscere Dio quanto smisurata era la sua misericordia. I biblisti di oggi ci dicono che anche
Girolamo sbagliava dovendosi trattare d‟un ricino!400 In queste Osservazioni il Frassinetti chiede
all‟esperto di chiara fama un po‟ piú di umiltà e fa suo il sospetto espresso da Agostino a
Girolamo: etiam nobis videtur aliquando te quoque in nonnullis falli potuisse.401 Era necessaria
tale premessa per smorzare piú d‟un sorriso di sufficienza.
Osservazioni sopra lo studio della storia402
IV-1. La storia è un quadro vivo che ci rappresenta la Chiesa. Chi vuol conoscere bene la Chiesa
deve fissare questo quadro…
2. Chi la studia per passatempo fa uno studio... di fatti sconnessi…403 Il fine che dobbiamo
avere nello studio della storia ecclesiastica è quello di conoscere come in un vivo quadro la
bellezza, l‟eccellenza, la divinità della santa Chiesa, per innamorarci ardentemente di lei e farla poi
conoscere ed amare da tutti...
7. Per quel che spetta alla fede, dovremo notare le prove ammirabili che sempre ne diedero un
infinito numero di santi… e procureremo di non dimenticare gli esempi piú belli che potrebbero
incoraggiar noi, e dei quali ci potremmo ancora valere per animare gli altri… Per quel che riguarda
la Gerarchia fisseremo attentamente la sommissione… e rispetto che ha sempre distinto i chierici, i
sacerdoti, i vescovi buoni dagli scismatici e perversi. In tal modo ci sapremo premunire e
premuniremo anche gli altri contro quei sentimenti d‟indipendenza e di orgoglio che portarono tanti
allo scisma e all‟eresia.
398
2 Cor 2,1-5.
Gen 4,6-10.
400 AGOSTINO, Epistola 71,5.
401 AGOSTINO, Ivi, “Sí, anche Girolamo in qualche cosa qualche volta poteva sbagliare”.
402 G. FRASSINETTI, Osservazioni…, cap. V, pp. 42-100.
403 In nota precisa: “Noi non diremo che sia mal fatto, sibbene che quella è la semplice lettura e non lo studio
della storia della Chiesa, e chi non sapesse di storia, se non per averla letta in quel modo, non potrebbe dire di averla
studiata”. Pensava allo studio brillante, da elzevirista, mi si perdoni l‟anacronismo, dello Chateaubriand nel Genio
del Cristianesimo? “Accanto a certi slanci impetuosi e trascinanti, quante faticose e quasi puerili dimostrazioni!
Ripetere per cinque libri: «È vero perché è bello… » è un impegno che solo un mago della parola può prendersi.
Quanto poi al valore apologetico dell‟opera, gli specialisti non devono faticare per dimostrare le leggerezza e
peggio…”, D. ROPS, Storia della Chiesa del Cristo, La Chiesa delle rivoluzioni, 1. Di fronte ai nuovi destini, cap. II,
trad, di Nello Geghin, Torino, 1964, p. 156. Su lo Chateaubriand si è su riportato nel cap. 18 un giudizio del
Frassinetti, di uno che ha conoscenza anche di opere ancora ignote allo Spotorno, conoscenza che gli permette di
criticare l‟ ammirazione che ne mostrava.
114
399
Non disapprova lo studio della cronologia, “tanto necessario per chi studia la storia”, ma non
fino a trascurare le cose importanti per attendere alle inezie come accertare “se S. Cipriano abbia
scritto il libro de lapsis in aprile… o in altro mese”. Siamo in fondo sulla linea di sant‟Agostino
che non dava importanza all‟accertamento della specie di pianta che in un giorno crebbe ed in un
giorno inaridí, zucca o edera che fosse. È il pensiero di Paolo: “Tienti lontano dalle stolte
investigazioni, genealogie... Sono stupidità di nessun giovamento”.404
Il maestro di verità – commenta San Tommaso – non deve rispondere a qualunque questione…
perché deve mirare a due cose: alla verità ed all‟utilità… Conoscere le minuzie, come sono le
genealogie, non giova né alla intelligenza, né alla formazione dei costumi, né alla fede. Sono
questioni futili…405
Rida pure il saputo. Non sono questi ingombri mentali che ci danno la conoscenza di Dio e
con essa la vita eterna, di piú, è necessario saper distinguere le cose essenziali dalle non
necessarie.406 Riascoltiamo il Frassinetti.
8. Bisogna notare le cose che sono accidentali e non necessarie per non confonderle con le
essenziali. Sono accidentali i vari ordini religiosi, i canoni penitenziali, i diversi riti
nell‟amministrazione dei Sacramenti, nell‟elezione dei vescovi, i digiuni, le funzioni notturne.
Queste cose ci faranno meglio conoscere la divina bellezza di santa Chiesa, ma per altro,
cangiandosi o interrompendo tali pratiche, non perde la Chiesa ciò che le è necessario per farla
risplendere qual amabile sposa di Cristo. E qui è il grande inganno nel quale certi scrittori
malignamente fanno cadere i semplici. Pare che in queste cose, fatte in quei modi determinati,
abbia a consistere la bellezza e santità della Chiesa, e fanno ridicoli piagnistei… – Oh quei monaci
anacoreti! Oh quei canoni di penitenza!... Fu sempre necessario alla Chiesa lo spirito di
mortificazione e di povertà, ma non le furono mai necessari i monaci della Tebaide ...
10. Notiamo bene che mentre gli storici ecclesiastici debbono riferirci anche i mali accaduti
nella Chiesa tanto antichi che moderni, i buoni storici non cercano mai… di far vedere la Chiesa
deformata cosí che sembrerebbe piú degna sposa dell‟anticristo che del nostro Redentore Gesú…
Fa rassegna delle storie ecclesiastiche allora in circolazione. Quelle scritte dai protestanti,
essendo in Italia poco diffuse, sono poco dannose.
12. Le seconde sono scritte da gente affezionata ad un partito... [dai] farisei del cristianesimo.
Le storie scritte da questa gente con sopraffina impostura riempiono, per gran disgrazia, la nostra
Italia… 407
Non nomina i giansenisti, ma chiaro il riferimento. Si tenga presente che era ancora vivo il
putiferio suscitato in Genova dalle sue Riflessioni uscite due anni innanzi per aver affermato: “Vi
è una setta quasi indefinibile di tristi ipocriti”, non soppressa nella terza edizione del 1838 in cui
chiarisce il suo pensiero. La bufera suscitata dal suo primo lavoro non lo intimidí, anzi! Essendo
404 Tt
3,9.
TOMMASO D‟AQUINO, Expositio super epistolam S. Pauli ad Titum, lectio 2a.
406 SAN GIROLAMO, Commentarium in Epistolam ad Titum: “È di queste cose che si gloriano i giudei, convinti
di possedere la conoscenza della Legge perché rammentano ogni singolo nome. E siccome sono per noi nomi
barbari, di cui storpiamo la pronuncia… ridono della nostra ignoranza… [mentre loro] fin dalla prima infanzia
furono saturati di nomi... e te li snocciolano da Adamo a Zorobabel. D‟ognuno ti dicono le genealogie senza
riprendere fiato, trisavoli, bisavoli, nonni, nipoti e pronipoti, e gli anni che vissero, con la facilità con cui si dice il
proprio nome”. PL 26, cc. 594-596.
407 Ha nell‟orecchio i versi della Bassvilliana di G. MONTI: “Dell‟Ipocrito d‟Ipri ei son gli schivi / Settator tristi,
per via bieca, e torta / Con Cesare, e del par con Dio cattivi”. L‟intero episodio in Canto III, vv. 98-122].
115
405
il pericolo grave e pernicioso, nel numero 13 ne indica i caratteri e, a conferma, pone una lunga
nota in cui rilegge la storia del secolo precedente che aveva visto i giansenisti alleati prima col
giuseppinismo e poi con la rivoluzione.
15. Le storie della terza classe sono quelle che scrissero i buoni cattolici…16. Si deve pure
riflettere che anche fra gli storici cattolici di buona fede e di sani principi vi sono alcuni i quali si
sono lasciati abbagliare da certi lumi del secolo… Perciò, leggendoli senza una qualche avvertenza,
sarebbero meno utili, per non dire dannosi…
Cosa che fa nei restanti paragrafi 17-37, pp. 60-100. Non accettare per storicamente vero solo
ciò che rientra nell‟ordine naturale e dare con dubbio “ciò che l‟eccede… ponendovi un freddo:
si dice pure…”, né accettare per certa la filosofia che si dice arrivata alla enorme altezza del
dubbio.408 Il Frassinetti non invita allo studio della storia ecclesiastica per puro amore di ricerca,
ma perché, conosciuta meglio la vita della Chiesa, meglio si viva. È un pastore che pensa ai
fedeli e mette in guardia i futuri pastori dal turbare la fede della gente semplice basandosi su
l‟ultima ipotesi dell‟ultimo critico di fama. Fa quindi una rassegna dei motivi che portano a
rigettare tante pagine della storia:
31. Alcuni libri e leggende – penso dia a “leggenda” il senso di racconto accettato per vero dalla
tradizione – si disprezzano al giorno d‟oggi perché vi si trovano della alterazioni e mutilazioni… Io
posso guastare in piú luoghi Virgilio, inserendovi dei versi indegni di quel gran poeta… Altre opere
si rigettano perché sbagliano nella data… ma non si può egli facilmente errare nella data o per
inavvertenza dello stesso scrittore o per trascuratezza dei copisti?… Altre opere si danno per
spregevoli perché non ne fa menzione questo o quell‟autore, o perché un fatto in esso riferito è
taciuto da uno storico contemporaneo... Eusebio di Cesarea tace di Atenagora, scrittore celebre dei
primi tempi, né riporta la condanna degli ariani fatta dal Concilio Niceno, ma pure Atenagora è
esistito e il Concilio di Niceno ha condannato gli ariani.
32. … Hanno fissato… che, quando in uno scrittore antico si trovano parole le quali
cominciarono ad usarsi dopo l‟epoca di cui porta la data, quello scritto si debba stimare apocrifo.
La regola in se stessa è retta, quantunque possa avere le sue eccezioni… Perché non dichiarano
apocrifa la lettera di S. Ignazio agli Efesini ove dice: “Deus noster Iesus Christus”? Gli ariani
vennero pur dopo S. Ignazio martire…409
33. Assegnano altre regole per conoscere l‟autenticità degli atti dei martiri… non devono
contenere aspre parole…, né lunghe parlate… Santo Stefano, i cui atti sono d‟infallibile divina
autorità,… fece una lunghissima parlata che occupa quasi intiero il cap. VII degli Atti apostolici.
34. Dunque, si dirà, se gli argomenti su accennati non bastano per credere apocrifo un libro, una
leggenda, dovremo crederli tutti autentici?
La risposta è troppo netta e non ce l‟aspetteremmo. Ma quando la critica va troppo oltre, non
ci deve meravigliare se anche la difesa non è contenuta. Qui gioca anche la mentalità del giurista,
canonizzata nell‟effato melior est conditio possidentis, ossia, spetta a chi impugna l‟obbligo di
addurre le prove, e, fino a quando queste prove non sono convincenti, liberi di credere ciò che
per secoli s‟era sempre creduto. “Poniamo che le opere di S. Dionigi Areopagita non siano
autentiche; nulla di meno io non ne avrò alcun danno, che anzi resterò edificato dalla loro
lettura”. Si dilunga sulla questione dell‟Areopagita ai suoi tempi ancora sub iudice. Il Frassinetti
è tutt‟altro che uno studioso acritico. Conosce lo stato della questione e ne rifà la storia e, tra i
408 Riferimento
a Cartesio.
Nell‟iscrizione delle lettere agli Efesini e ai Romani e ai Smirnesi 1,1. Espressione ricorrente anche nelle
altre lettere autentiche. Cfr. A. CASAMASSA, I padri apostolici, Roma 1938, p. 146.
116
409
molti che lo pensavano autore degli scritti a lui attribuiti, non omette Dante che lo pone nel
Primo Mobile:
Appresso vedi il lume di quel cero
che giú, in carne, piú addentro vide
l‟angelica natura e il ministero.
e, nel Primo Mobile, fa dire giusta da Beatrice la teoria angelica dell‟Areopagita ed errata
quella di Gregorio Magno:
E Dionisio con tanto disio
a contemplar questi ordini si mise
che li nomò e distinse com‟io.
Ma Gregorio da lui poi si divise;
onde tosto come gli occhi aperse
in questo ciel, di sé medesimo rise.410
All‟epoca erano stati avanzati dubbi su l‟Areopagita, ma non ancora dimostrati. Bisognerà
aspettare il 1895 perché la inautenticità sia dimostrata ad opera dello Stiglmayre e del Koch,
indipendentemente l‟uno dall‟altro.411 Nessuna meraviglia, quindi, che il Frassinetti aspetti a
pronunciarsi e sullo storico prevalga il giurista: se vuoi che io cambi opinione, porta prove
inconfutabili.
Ormai, chi vuol nome di erudito e spregiudicato – scrive nell‟inedita Storia ecclesiastica –, non
può piú dire a cagion d‟esempio le opere dubbie di S. Dionigi Areopagita, ma deve dire le opere
apocrife, o attribuite all‟Areopagita… Finché un‟opera insigne viene attribuita ad uomo
celeberrimo per dottrina e santità, ciascuno la venera e ne parla con sensi rispettosi, quando poi si
perviene a far dubitare… piú d‟uno con libertà soverchia … trascorre a vilipenderla. Finché [tali]
scritti erano riputati opera di un Padre Apostolico, li venerarono i piú sapienti dottori di S.
Chiesa,... adesso il padre Lequien… proferí quella insolenza che sono opera di un eretico
monofisita.412
Oggi, che la critica ha addotto prove ben piú convincenti, il Frassinetti non difenderebbe piú
l‟autenticità di quegli scritti, ma il loro valore prescindendo da che li scrisse.
38. La storia ha i suoi misteri… questi misteri si trovano piú frequenti ne‟ primi secoli... [per] la
grande ignoranza in cui siamo delle antiche cose, e quando questa ignoranza è minore circa i tempi
posteriori, minore è il numero dei misteri storici. Si studi l‟antichità quanto si vuole, [se] siamo
mancanti di monumenti... non v‟ha ingegno al mondo che possa conoscere ciò che non può vedere,
né sentire, né leggere… Non ponendo mente a tal cosa, certi studiosi dell‟antichità … caddero in
molti sbagli… Noi, qualora troveremo nella storia antica qualche cosa che non s‟accorda colla sana
410 DANTE,
Paradiso, X, 115-117; XXVIII, 130-135.
G. FRASSINETTI, Storia ecclesiastica, inedita, pp. 193-196. Nel 1845 G. Darboy, il futuro arcivescovo di
Parigi fucilato dai communards nella sollevazione del 1871, ne difese l‟autenticità assoluta, né fu il solo. Lo
Stiglmayre ed il Koch non posero però fine alle altre questioni: da chi l‟Areopagitica sia stata scritta e dove e
quando, questioni ancora oggi dibattute. Cfr. L. BOUYER, Spiritualità dei padri, Bologna 1966, pp. 343-380; R.
AUBERT. M. CAPPUYNS, R. ROQUES, Denys le Pseudo-Aréopagite in Dict. d‟histoire et géogr. eccl., vol. 14, Paris.
1960, cc. 265-310,. inoltre F. CAYRÉ, Patrologia e storia della teologia, vol. II, Roma 1948, p. 96. Toltagli l‟aureola
di padre apostolico, lo si poneva in ambiente monofisita, quindi… monofisita. Da Divino Dionigi decadde a Pseudo
Dionigi, un eretico falsario! I suoi scritti, caricati del sospetto d‟eresia, venivano a perdere tutti i pregi che li
avevano resi famosi sí da non potersi leggere senza pericolo. Ne è riprova la gioia che questo declassamento suscitò
negli avversari della mistica.
412 G. FRASSINETTI, Storia eccl. pp. 11.35s.
117
411
massima e colla retta cognizione, che si ha dei diritti e dei doveri cristiani o ecclesiastici,
riconosciamo un mistero prodotto dalla poca scienza intorno a que‟ tempi.
Non condanna la critica storica, la vuole serena, non fondata su congetture, né ad esse vuole
sacrificati i fatti, specie se fosse ordinata a combattere la Chiesa. Si faccia della critica, ma con
umiltà e si vada adagio nello spargere dubbi e pronunciare sentenze. Si aspetti l‟acquisizione di
valide prove.
CAPITOLO XXIII
OLTRE LA SCUOLA II
L‟ecclesiastico sappia ben distinguere ciò che è dogma e ciò che è certo nella Chiesa… da ciò
che è questione scolastica… L‟ecclesiastico deve essere persuaso dell‟importanza dello studio
della Scrittura, considerando che la Chiesa l‟affida a lui perché la spieghi al popolo..
GIUSEPPE FRASSINETTI
Sopra lo studio della Dogmatica413
Riprendiamo a leggere le Osservazioni del Frassinetti:
II,1. Molte buone qualità sono necessarie all‟ecclesiastico, però non si può dubitare che la prima
fra tutte sia una fede retta e irreprensibile… perciò la prima scienza, in cui ha da essere fondato un
ecclesiastico, è la sana dogmatica.
Il paragrafo che segue è basilare. Come nel suo Compendio di teologia morale pone chiara la
distinzione tra ciò che è certo e ciò che è solo probabile, tra ciò che è di precetto e ciò che è solo
di consiglio, distinzioni fondamentali perché si viva la vita cristiana con serenità e libertà di
spirito, qui pone la distinzione tra ciò che è di fede definita e ciò che di fede definita non è, tra
ciò che è certo e ciò che è prossimo alla fede in vario grado o solo parere delle varie scuole
teologiche e pie credenze. Un vero manifesto in cui è rivendicata la libertà del credente. Siamo
sulla linea di san Paolo: altra cosa il battesimo, altra cosa la circoncisione; il primo necessario,
l‟altra potrebbe essere accettata come pia usanza da chi vi si sente portato, mai imposta come
mezzo necessario per essere salvi.
2. Bisognerà che l‟ecclesiastico sappia bene distinguere ciò che è dogma e ciò che è certo nella
Chiesa… da ciò che è questione scolastica…
3. Ciò che è certo nella Chiesa, quantunque non sia espressamente definito articolo di fede… si
deve semplicemente credere e non ammettere mai alcun dubbio che nascere potesse contro queste
verità, per quanto sembrasse fondato.
4. Ciò che è questione scolastica... si deve lasciare nel suo stato e non pretendere di innalzarla a
quel grado di certezza… La Chiesa riconosce per figli suoi il molinista, il tomista, l‟agostiniano...
Per l‟impegno di voler portare troppo innanzi l‟evidenza e l‟importanza delle opinioni scolastiche,
spesso restò offesa la carità e si perdé molto tempo che si poteva meglio occupare...
Il Frassinetti ebbe fortissimo il senso della Chiesa.
7. L‟utilità dei misteri rivelati la vedo chiara… ma i misteri formati da certuni non so quale virtú
possano far esercitare all‟uomo… e poco serve che si vogliano far vedere tali misteri chiaramente
413
118
G. FRASSINETTI, Osservazioni… cap. II, pp. 10-23.
espressi nelle Scritture e nei Padri, mentre altrettanti esperti… non ve li vedono e chi ha l‟autorità
di definire… tace.
In nota riporta una scelta di san Francesco di Sales, cui aderisce, ma soggiunge:
Mi protesto però di essere ben lontano dal condannare l‟opinione contraria… Solo intendo dire
che non vanno al mio genio, quanto le contrarie, e finché la Chiesa mi lascia la libertà della scelta,
io per me non le sceglierei.
9. Per queste opinioni bisogna che i giovani si mettano ben in guardia nel sentir citare come
patrocinatori e avvocati delle medesime certi grandi nomi. Non credano a qualche passo staccato e
forse monco…. per la devozione a un Santo Padre, a un Dottore, non si perda la devozione a dieci
Santi Padri, a dieci Dottori.
Il paragrafo ci fa da spia che lo studente Frassinetti non se ne stava alle citazioni dei padri e
dei dottori apportate in appoggio alla tesi, ma andava a riscontrarle.
10. Certi Padri usarono parlare enfaticamente di molte verità, sarà per questo necessario
intendere precisamente alla lettera le loro sentenze? Né meno nelle divine Scritture si può prendere
tutto precisamente alla lettera, altrimenti ne verrebbero delle eresie mischiate coi dogmi – anche se
in nuce, abbiamo qui la teoria dei generi letterari –… Trattandosi di una questione puramente
scolastica, dice S. Bonaventura parlando di S. Agostino: plus dicens et minus volens intelligi..414 …
a volte i Santi Padri, combattendo un errore, pare che non si fermino al giusto mezzo, ma inclinino
alla parte opposta piú del dovere… Ogni dubbio si toglie… leggendone estesamente le opere, ma
chi neggesse un qualche testo separato soltanto, potrebbe trovarsi impacciato nella sua retta
intelligenza. Ne avviene intanto che chi va rintracciando a bella posta testi consimili, forma delle
opinioni poco sicure e spaccia come dottrina dei Padri le sue opinioni.
A parte la grande importanza metodologica del paragrafo, si ha qui una conferma della molta
lettura delle fonti del giovane studioso, lettura fatta con metodo, sistematica. Capisce bene che
non può imporla perciò precisa il pensiero:
11. Ma dunque, dirà qualcuno, non ci potremo mai fidare di quei tratti dei santi Padri che si
trovano radunati dai teologi?... Non già. Questo sarebbe un errore piú dannoso del primo. Bisogna
mettersi sull‟avvertenza e stare in guardia...
12. Vi sono pure certe opinioni delle quali si vede che la Chiesa non fa conto… leggeremo
appena queste opinioni, se saranno trattate in breve, facendoci scrupolo di occupare nella loro
lettura piú di pochi .
A questo paragrafo appone cinque note, interessante la seconda in cui sunteggia pensieri tratti
dal Du pape415 di Giuseppe de Maistre:
L‟eresia è come un vortice in cui niuno può fermarsi a mezzo corso… Ciascuno crede ciò che
vuole e per quanto tempo vuole, che è creder nulla fermamente, che è lo stesso di non riconoscere
nulla per dogmi rivelati...
414 “Le parole dicono di piú di quello che si vuole esprimere”, BONAVENTURA, Opera, tomo 4, p. 170. Di quale
edizione?
415 III,3. Nota del Frassinetti, si serviva quindi del testo francese. Cito dalla versione italiana di ALDO PASQUALI,
J. DE MAISTRE, Il Papa, Milano 1995, pp. XXIV-451.
119
Sopra lo studio della morale416
Un argomento su cui torneremo parlando del suo Compendio di teologia morale Nei consigli
ai chierici teologi vediamo come si preparò a quel ministero.
III,1. Per istruire il popolo, per sentire le confessioni ci vuole la sana morale…
3. Di quali moralisti ci serviremo? Vi sono i larghi, vi sono gli stretti; vi sono gli stimati ed i
disprezzati... Come faremo dunque in tanta confusione?… Dio ci ha manifestato la sua legge, ma
non ci ha fatto sapere espressamente come dovessimo regolarci in tutti i possibili casi particolari…
non possiamo pretendere un autore che abbia tutto colto nel segno.
4. Abbiamo autori… di vita cosí santa e di sí pura coscienza che meritarono gli onori degli
altari… seguendo i quali siamo certi di non mettere a pericolo né la nostra coscienza né l‟altrui…
Questi teologi o non hanno sbagliato mai, o si sono salvati coi loro sbagli; se non hanno sbagliato
mai, noi non potremo sbagliare seguendoli; se hanno sbagliato e si salvarono, noi ci salveremo
errando con essi… Ma a volte i Santi Teologi sono nei punti controversi di parere tra loro
contrario… Ci potremo allora salvare tanto con gli uni quanto con gli altri… Se non ci salveremo…
con San Tommaso, ci salveremo con San Bonaventura…
6.7.8.9. Ma… vorreste anche avere una regola per discernere tra le varianti le piú utili e le piú
opportune… Questa regola non è difficile assegnarla… Preferite le opinioni dei Santi e dei teologi
piú virtuosi… [che] sempre si lasciano guidare dalla carità…e le opinioni di quelli i quali non
furono contenti di essere moralisti in cattedra, ma vollero egualmente esserlo in confessionale…
Può sembrare strano che chi si era scelto per maestro e guida sant‟Alfonso, nel comunicare ai
giovani ecclesiastici le proprie esperienze, non lo additi. Nel manoscritto C, pag. 154, aveva
preparato una nota che pensò bene di non pubblicare in cui tracciava il ritratto del moralista
ideale pensando al Beato Alfonso de Liguori.417 Sarà stato per evitare il putiferio di due anni
innanzi con le Riflessioni.
Sopra lo studio della Scrittura418
Anche in questo campo il Frassinetti consiglia ciò che egli ha praticato. Ne è prova la raccolta
di Annotazioni sopra la Bibbia ricavate dalle annotazioni letterali e spirituali della Vulgata di
Luigi Isacco le Maistre de Sacy. Tomo 1mo.419 Un manoscritto 305 pagine, cm 21x32, in scrittura
minuta, con note e appunti su tutti i libri della Scrittura, eccetto i profetici e i due dei Maccabei,
capitolo dopo capitolo. Da queste annotazioni si può fissare la data ante quem in grazia di una
nota marginale a pag. 81 con cui rinvia al Beato Liguori, anteriore quindi al 26 maggio 1839,
giorno della sua canonizzazione. I frequenti richiami: si rilegga, si riveda, cosa da leggersi, da
rileggersi e da studiarsi, ci dicono che si tratta di volumi che poteva facilmente riconsultare.420
Subito una sorpresa: prende appunti da La Sainte Bible en latin et en François di Luigi Isacco Le
Maistre, conosciuto con il nome di Sacy, anagramma di Isac, il figlio di Caterina Arnauld, sorella
di Madre Angelica e del Grande Arnauld; fratello, dunque, nipote e cugino dei famosi Solitaires,
G. FRASSINETTI, Osservazioni… cap. III, pp. 24-30.
Il 23 maggio 1871 sarà proclamato dottore della Chiesa:. “Con dotte opere e con trattati, soprattutto di
teologia morale, dissipò e rimosse le tenebre degli errori... Chiarí punti oscuri e sciolse dubbi, lastricando una strada
sicura… che le guide dei fedeli potessero percorrere con piede sicuro”. Qui Ecclesiæ del 7 luglio 1871.
418 G. FRASSINETTI, Osservazioni… cap. IV, pp. 31-41.
419 L‟unico che ci è pervenuto. Quel “Tomo 1 mo”, rimasto unico, ci fa pensare che, non avendo piú a portata di
mano i volumi del Sacy, non gli fu piú possibile continuare le annotazioni. Una conferma che si tratta di appunti
presi in biblioteca prima della sua andata a Quinto, ossia da chierico e sacerdote novello.
420 Dubito che potesse già possederli – 32 volumi, se l‟edizione 1687-1702; 12 se quella del 1789-1804! –
insieme ai molti altri a cui fa spesso riferimento nei lavori pubblicati negli anni 1837-1839, come s‟è già avuto modo
di notare. Sono quindi d‟un epoca in cui poteva facilmente accedere alla biblioteca, né pensava doversi allontanare
da Genova, perciò prima del luglio 1831, quando andò parroco a Quinto.
120
416
417
padri del giansenismo, di cui egli stesso fu figura di primo piano, confessore e direttore spirituale
di Port Royal, con tanto d‟aureola di martirio per i trenta mesi di Bastiglia sopportati a causa
della sua fede.421
Già nelle Osservazioni sopra lo studio della Storia ecclesiastica, e ancor piú nell‟inedito
Corso di storia ecclesiastica, il Frassinetti ci si presenta non come uno che combatte percotendo
l‟aria, ma come chi si muove con disinvoltura in campo nemico sapendo dove posa i piedi. 422 Vi
troviamo qualcosa di piú: la serenità di giudizio. Deplora, ma sa pure ammirare:
Un giansenista avrebbe dovuto tremare scrivendo… Non pare che il Sacy voglia parlare di quei
mirabili Santoni di Porto Reale?… Se vi è veleno nel Sacy, qui ve n‟è un saggio… I Signori di
Porto Reale passano sempre i limiti… Si fa torto l‟annotatore col voler sempre sembrare piú
rabbino che cattolico… 423
Ma si legge pure:
Qui il Sacy fa un‟eccellente comparazione del Paradiso terrestre con la Chiesa. Ella è cosa che
sminuisce il dolore di vederci privi dell‟Eden. Cosa da leggersi, da rileggersi e da studiarsi…424
Non si deve attendere – dice il Sacy – la gravezza della cosa, ma l‟autorità del comando… Si
rilegga tutta l‟osservazione del Sacy sopra Eliezer, servo di Abramo, e si veda ciò che riporta dei
reciproci doveri dei padroni e dei servi, cosa utilissima per il catechismo…425
Come una madre al mercato pensa a chi di casa può servire questo e quello, ed ogni spesa è
un atto d‟amore, cosí le sue note marginali:
Per la predica del Paradiso – Per i peccatori che a volte fanno il bene per interesse… IIda
conferenza – Possedeva grandi ricchezze in questa terra, senza possedere la terra; vedere se si può
applicare a quelli che ricavano grandi meriti dal vivere in questa terra, ma niente vi hanno il cuore
attaccato – III conferenza – Si veda se si può applicare al sonno di Gesú nella tempesta dicendo che
noi dormir dobbiamo con lui nella tempesta etc. – punti per la predica del paradiso – confidenza –
dipendenza da Dio… Eucaristia… penitenza – si veda se si può applicare il fatto di Mosè per i
prelati che non devono sdegnare l‟aiuto dei subalterni – Provvidenza – presenza di Dio.426
Ogni pagina piena di rinvii ai Padri riportandone passi, ma nulla di quanto si studia a
introduzione biblica o a scuola d‟esegesi, nessun problema critico, di cui è priva del resto anche
la fonte a cui attinge. Una lettura della Scrittura in vista del nutrimento delle anime, da pastore
d‟anime.
Nelle Osservazioni sopra la Sacra Scrittura mai dimentica il “di piú” di questi libri che ne fa
un qualcosa di unico: l‟ispirazione. Non ne ignora lo studio critico come all‟epoca si presentava.
Sa che sono libri diversi, e per il modo in cui furono composti, e per il fine a cui erano destinati:
mostrare all‟uomo la via del cielo. Vi si distingue lo studio di pura erudizione dallo studio che se
ne fa per nutrire i fedeli. Non sempre lo studio erudito torna di utilità pratica al pastore d‟anime,
421
La traduzione è fatta dalla Vulgata. Le note sono secche e fredde come tutti gli scritti dei giansenisti. Piú che
per la fedeltà, è pregevole per la chiarezza e l‟eleganza dello stile ed è considerata la piú bella di tutte le versioni
francesi in quanto a purezza di lingua. Di nessun interesse dal punto di vista esegetico.
422 1 Cor 9,26.
423 Nell‟ordine: pp. 84,87,112,119,205,68.
424 Di qui il titolo della sua operetta Il paradiso in terra del celibato cristiano?
425 Nell‟ordine: pp. 2,3,14.
426Nell‟ordine: pp. 3,6,13,14,15, 25, 30,31, 32,34.
121
né sempre è piú vicino alla verità, ripetendosi, ciò che fu degli scribi: sapevano tutto della lettera
e quanto su di esse era stato detto, eppure non riconobbero il Cristo che quegli scritti
annunciavano. Guide cieche. 427
Il Frassinetti si serve della Vulgata. L‟apostolo Paolo, alunno di Gamaliele, padrone del testo
ebraico, non se ne sentí condizionato e citò quasi sempre dalla versione greca dei Settanta. Si è
accennato alla questione sulla natura della pianta alla cui ombra Giona trovò refrigerio. Per un
pastore è già tanto degnarla d‟un‟occhiata, ciò che per lui conta non è il conoscere che pianta
fosse, ma cosa voleva Iddio con essa insegnarci. La Vulgata, se è tutt‟altro che perfetta per tante
particolarità di traduzione, era pur sempre la versione con tanto di garanzia per quello che
riguarda la genuinità dell‟insegnamento rivelato, ed è questo che importava al Frassinetti. La
migliore esegesi, è sempre quella che suscita santità. Le Osservazioni del Frassinetti mirano a
questo. Ascoltiamolo.
IV,1. L‟ecclesiastico deve essere persuaso dell‟importanza di questo studio della Scrittura,
considerando che la Chiesa l‟affida a lui perché la spieghi al popolo… Questo però è uno studio
troppo pericoloso se non è bene diretto.
2. Non ci dobbiamo figurare di aver tra le mani un‟opera di qualche grand‟ uomo… perciò
non… si misuri con quella squadra che si adopererebbe colle scritture di Erodoto oppure d‟Omero.
Quando si trova oscura la sacra Bibbia, non si attribuisca alla inesattezza di coloro che scrissero
illuminati dallo Spirito Santo, ma si attribuisca alla mancanza in noi di molte cognizioni, che
sarebbero necessarie,428 e forse piú al nostro poco intendimento delle cose di Dio…
3. Mentre… prendiamo in mano la Bibbia, osserviamo chi a noi la presenti. Ce la presenta la
Chiesa, cui è stata consegnata da Dio… Ascolteremo chi ci dirà: “Voi che desiderate studiare la
Bibbia venite alla mia scuola… Voglio comunicare i lumi che Dio mi ha dato…”. [Agli altri] “Chi
vi manda?… Insegnate in suo nome a norma delle sue decisioni… sulla traccia dei santi Padri?
Eccoci alla vostra scuola. Ma se vi manda lo spirito della superbia e della novità, se voi, invece di
cercar lume dalla Chiesa, siete venuto per illuminarla… i vostri ritrovati sono inganni del vostro
orgoglio”.
5. Si sa che i primi a spiegare le divine Scritture furono gli Apostoli sprovveduti dei lumi del
secolo, ma ben provveduti dei lumi dello Spirito Santo: Aperuit illis sensum, ut intelligerent
Scripturas.429… Dagli Apostoli impararono le interpretazioni scritturali i Padri detti apostolici, e in
poche generazioni di santi arrivarono quei sommi Dottori di santa Chiesa, che le tramandarono fino
a noi.
Non ignora l‟importanza dei testi originali
6. I testi originali meritano in se stessi sommo rispetto, e si devono preferire a quante versioni si
sono fatte, o si potessero fare. Non si deve perciò questionare se siano in se stessi da preferirsi
Mt 23, 24. Altra cosa è l‟erudizione biblica, altra cosa la sapienza divina racchiusa nel libro santo. Non poche
volte, la prima soffoca la seconda. Un pericolo da cui poneva in guardia Francisco de Osuna, il maestro di spirito
tanto apprezzato da santa Teresa d‟Avila: “Quando il superbo spande e semina dell‟abbondanza del suo proprio
sapere, i mali crescono di tal misura da venir meno l‟unica fede e l‟unico battesimo. Ogni uomo di studio, se
superbo, semina per il mondo le preziosità del suo cervello, e, perché le espone in un buon latino insaporito di greco
e d‟un pizzico di spezie ebree, stuzzica l‟appetito nei palati degli amatori di novità. Ognuno poi li interpreta a modo
suo. Maledetto sia questo sapere di cervelli superbi, cosí numerosi al giorno d‟oggi [1542], che ci ha tolto Cristo ed
ha creato dissenso nella Chiesa. Ci ha fatto perdere la vera sapienza, e solo ci resta: Así lee el griego, así lee el
hebreo, así está aquí, así está acullá… Quale la causa di tanto male se non l‟attaccamento alle proprie congetture?”.
F. DE OSUNA, Quinto abecedario espiritual, parte 1a, c. 30, in una mia traduzione.
428 Cfr. G. RICCIOTTI: Op. cit., “Locutus est in parabolis”, Brescia s. d., pp. 27-32. Agli studenti della mia
generazione insegnò a leggere la Bibbia con umiltà e rispetto.
429 Lc 24,45.
122
427
anche alla nostra Volgata…430 Per altro bisogna osservare che i testi originali ebraici non
pervennero a noi cosí puri ed intatti come uscirono dalla penna degli Scrittori inspirati… Queste
correzioni poi bisognerebbe che fossero fatte dalla Chiesa… finora – 1839 – non ha creduto di
dover emendare, ma le bastò da mille e piú anni la Volgata di San Girolamo… Ella la presenta ai
suoi figli con gran sicurezza… – ne fa una breve storia –. Or noi, dopo queste osservazioni, ce ne
staremo alla Volgata sempre tranquilli.
7. … I nei che ancora sono nella Volgata non ci fanno punto timore, perché, se fossero
importanti, non sarebbero sfuggiti alla censura della Chiesa…
Questa difesa della Volgata può suscitare qualche sorriso. Piú sale la stima per le bibbie
tradotte dagli originali, piú si sente la Volgata sorpassata, dimenticando che per la sua maggior
parte pur essa fu tradotta da testi originali, e da mano di chi era padrone dell‟ebraico, del greco e
del… latino in cui traduceva perché non si può ben tradurre se non si è padroni anche della
lingua in cui si traduce. Ci sono mille altre le ragioni per cui quel testo ci sia caro. Su di esso per
secoli si cominciò a compitare fanciulli come i bimbi dei greci su Omero, per un buon millennio
e mezzo la Chiesa ha pregato ed insegnato con quelle parole, con esse si è argomentato nelle
università, si è meditato e sviluppato il pensiero teologico. San Tommaso non ebbe nulla di
meglio, sant‟Agostino dovette servirsi di versioni meno felici di quella di Girolamo, eppure…
Imparagonabili i mezzi tecnici di cui oggi si serve uno scultore rispetto a quelli di cui disponeva
Michelangelo, eppure… Michelangelo è Michelangelo. Andiamoci piano nel sorridere dei nostri
padri.
Se il Lettore non si sapesse trattenere dal sorridere di questa mia difesa, ascolti uno che in
materia ebbe autorità da vendere ed è sua la prima bibbia tradotta dai testi originali in italiano
moderno, il padre Alberto Vaccari:
Nessuno degli antichi interpreti, al pari di lui [Girolamo], colse il genuino pensiero dei sacri
autori, e nessuno con pari lucidità lo espresse nelle propria lingua. In luogo di lunghe prove, sia
lecito recare qui il giudizio di alcuni tra i piú recenti e piú riputati scrittori protestanti… – ne cita
diversi –. La versione del Dottor massimo… è dunque un terso specchio in cui si riflette limpida e
sincera la mente degli ispirati scrittori.431
Ed aggiunge elogi ad elogi, non ultimo quello sull‟eleganza del dettato latino.432 Chi vuol
sorridere del Frassinetti, sorrida , ma mirandolo in sí bella compagnia.
10. Nessuno creda però ch‟io disapprovi lo studio dei sacri testi originali e delle altre antiche
autorevoli versioni, questo è anzi importantissimo ai nostri giorni per confutare e confondere quei
biblici di mala fede…. Questo studio può essere utilissimo per l‟intelligenza della Sacra Scrittura,
se ce ne serviremo con quella umiltà, cautela, riserbo e sottomissione ai giudizi della Chiesa che
usarono gli approvati commentatori cattolici quando si servirono di que‟ testi.
Le altre discipline
Passa quindi a trattare del Diritto canonico433 e, in Appendice, dello studio della filosofia e
della eloquenza.434 Solo qualche cenno sulle due ultime.
Non si dimentichi – aggiungo io – che, rispetto a tutte le altre versioni antiche e moderne, la Vulgata, la
Septuaginta e la Pescitta occupano di diritto il posto d‟onore.
431 A. VACCARI, S. Girolamo – Studi e schizzi, Roma 1921, pp. 110s.
432Ivi, pp. 114s.
433 G. FRASSINETTI, Osservazioni…, cap. VI, pp. 101-104.
434 G. FRASSINETTI, Osservazioni…, pp. 105-112.
123
430
1. Una sola avvertenza pare che possa guardarci da molti abbagli. La verità è una… perciò una
cosa o è vera o è falsa: non si può trovare uno stato di mezzo. Quando ci troveremo a discutere
un‟opinione, la quale con le ragioni filosofiche sembri vera e colle teologiche falsa… Un cristiano
non può esitare.
2. Nella scelta poi delle opinioni… noi prudentemente ci appiglieremo a quelle che vedremo piú
conformi alla verità teologiche… In un tempo in cui generalmente la filosofia, quanto piú si
discosta dalla teologia, è applaudita, sembrerà strana questa riflessione, ma io parlo… a chierici
studenti, e loro si può dire che non vi è verità tanto certa quanto la rivelata.
Per quel che riguarda l‟oratoria:.
3. A riguardo dell‟eloquenza io non saprei riflettere altro di piú importante fuorché la necessità
in cui ci troviamo che i sacri oratori predichino sul serio per conseguire seriamente il loro fine. Si
cerca spesso il bello, il brillante, la moda e il genio e compare una fanciulla vana tutta vestita
d‟inezie…
4. … E che hanno a che fare tutte le inezie e le leziosaggini dell‟anacreontica in una sacra
orazione? E perché, invece di raccogliere nella predica tutto il piú vago e il piú specioso, non vi si
mette tutto ciò che potrebbe maggiormente colpire il cuore degli uditori per convertirli?… La
Scrittura si considera come un emporio… di belle figure, né altro se ne ricava, anche sforzandola e
sfigurandola.
Ha nell‟orecchio le parole che Girolamo scriveva a Paolino?
Lascio stare quei tali che, come già io, pervennero alla sante Scritture dopo gli studi letterari.
Allettano l‟orecchio dell‟uditorio con discorsi ben elaborati e non c‟è cosa che esca dalla loro
bocca che non spaccino per parola di Dio. Non si degnano di studiare cosa abbiano inteso i profeti,
cosa gli apostoli, ma sostengono quel che loro pare con sballate citazioni, convinti d‟aver fatto un
mirabile lavoro invece che un pessimo uso dei detti della Scrittura sconciati ad esprimere il proprio
pensiero. 435
Riprendiamo la lettura del paragrafo 4 delle Osservazioni:
Fra tutte le orazioni sacre le piú maltrattate sono le panegiriche. Cantano un‟ ode all‟eroe, come
Pindaro faceva agli Olimpici, almeno ne avessero il genio…
5. … Per altro io vedo che, generalmente parlando, in bocca di quelli che si chiamano bravi, la
parola di Dio non fa frutto… Osservate l‟uditorio: quasi mai lo vedete commosso… Che vuol dir
ciò? Che il popolo è ignorante.. senza discernimento?… Il popolo ha il senso comune della vera
eloquenza. Un uomo che commuove e diletta un numeroso uditorio deve avere rimarchevoli pregi
oratorii… riposti non già nelle scelte parole, non nella simmetrica disposizione delle parti, ma nel
maneggio delle passioni del cuore umano, mediante il quale l‟oratore lo piega, lo commuove, lo
trasporta a suo senno…
6. Felici noi se i sacri oratori trattassero la causa del sangue di Gesú Cristo, quanto seriamente
Demostene gli affari degli Ateniesi contro i Macedoni, e quanto Cicerone le cause dei suoi clienti e
gl‟interessi della repubblica!…
7. Si studi l‟arte oratoria,.. ma non si creda che alla parola di Dio convengano tutti gli ornamenti
che possono convenire ai ragionamenti profani… Procuriamo di essere ben compresi dalla santità,
dalla sublimità del nostro ministero, pensiamo da chi abbiamo la nostra missione e perché siamo
mandati, e tosto predicheremo sul serio, e un vivo impegno di corrispondere al fine della nostra
eccelsa vocazione ci farà oratori veramente eloquenti.
8. A quale decadenza sia l‟eloquenza sacra, noi lo possiamo conoscere di leggieri da questa
osservazione con cui finisco. Gli empi oggidí, senza poter mai parlare in pubblico, con soli privati
435
124
GIROLAMO, Epistola 53, Ad Paulinum, cap. 7.
discorsi riescono a sovvertire le intere popolazioni… Noi, frequentemente… ma quanto poco il
frutto delle nostre parole!…
Consigli che si possono compendiare nei due detti latini: rem tene, verba sequentur e ex
abundantia cordis, os loquitur. Se si possiede la materia non c‟è da preoccuparsi che manchino
le parole, e se il cuore ne è ripieno, il modo d‟ esprimerlo viene da sé. Cosa è dunque rimasto
delle Regole pratiche per fare un‟ Orazione di quel Ristretto di precetti di “Rettorica”436 che il
Gianelli gli aveva dettato ed illustrato in classe? È come chiedere ad un bambino che corre, salta
e fa le scale a quattro a quattro, che ne è del girellino che l‟aiutò a fare i primi passi. Eppure è
bene dargli una scorsa per vedere in che modo il Frassinetti seppe spogliarsene, a differenza
d‟altri, del suo compagno ed amico il canonico Poggi che le regole le ricordò tutte nel tessergli
l‟elogio funebre.
Dopo aver parlato della divisione classica dell‟orazione, dall‟esordio alla perorazione, il
Gianelli passava a trattare l‟azione.Spulciamo qualcosa qua e là:
L‟azione… consiste nel saper conformare la voce e la persona in maniera che convenga alle
cose che noi diciamo… debbonsi sempre osservare… La discrezione:… consiste nel saper adattare
il gesto, la voce, la forza… Il portamento:… diritta la persona, ma non stiracchiata e sforzata; alto e
eretto il capo, ma non altero; modeste le ciglia, ma non aggrottate… Presentandosi agli uditori, e
poi, da loro ripartendo, deve essere il passo piuttosto grave, ma sciolto, ma semplice, ma
naturale…; Il volto:… l‟aria dolce piace assai piú dell‟austera, la lieta piú della triste, ma deve
sempre proporzionarsi all‟oggetto che si rappresenta ed agli affetti che si dimostrano… Il
guardo:… Assuefarsi per tempo a declamare con gli occhi aperti…, ma mirando veramente le
persone… nei tratti piú forti e affettuosi, giova talvolta avventar delle occhiate ardenti, poderose e
piene di confidenza e di dominio… Dipartendo, gli occhi si tengano bassi e modestissimi… La
voce:…
Declamando, andare in falso è facilissima cosa… tre tuoni si distinguono nella voce umana:
alto, mezzano e basso… Si cominci tra il basso e il mezzano… al terzo, l‟alto, non si deve arrivare
quasi mai… Il piú eloquente dei Gracchi prendeva tuono dal flauto… La pronuncia… Il gesto:… la
mancanza del gesto annoia e raffredda, ma il troppo gesto disturba e confonde… il gesto deve trar
piuttosto al rotondo che al rettilineo… il braccio destro è quello che piú deve muoversi… le dita
siano piuttosto unite, ma non ristrette…
In questi due capitoli, Oltre la scuola, abbiamo riportato ampi estratti delle sue Osservazioni
sopra gli studi ecclesiastici pensando ai giovani che aspirano al sacerdozio perché vi trovino un
esempio ed un suggerimento di come ci si deve preparare all‟alta missione a cui si è stati
chiamati. Abbiamo messo in fine a raffronto le norme apprese alla scuola del Gianelli su come si
deve parlare ai fedeli con ciò che viene da lui suggerito, per dire che tutto ciò che s‟apprende,
anche se da un maestro per cui s‟ebbe ammirazione e stima sconfinata, va ripensato. Anche le
norme del Frassinetti vanno ripensate, e a lui non dispiacerà, perché, alcune affermazioni, che
oltre un secolo e mezzo fa erano delle ipotesi, oggi, precisate e corrette, hanno acquistato ben
altra autorità. Sarebbe stoltezza non farlo.
Rimane il grande insegnamento di non credere senza prima esaminare e non lasciarsi
soggiogare da un gran nome, ma, soprattutto, e pongo la considerazione alla fine per darle
maggior risalto, che lo studio del sacerdote non deve mirare alla cultura religiosa fine a se stessa,
ornamento della mente aggiunto ad altri ornamenti, al sapere pavonesco, spesso ingombro
436
A. M. GIANELLI, SANTO, Op. cit. I passi sotto citati son presi a pp. 82-151.
125
mentale, ma alla conoscenza delle cose di Dio in vista della propria santificazione e l‟annuncio
della salvezza. Questo crea l‟istinto della scelta tra ciò che vale, e ciò che è già tanto se ci si
ferma a dargli una scorsa, un leggerle appena, se saranno trattate in breve, facendoci scrupolo di
occupare nella loro lettura piú di pochi momenti. Non ci resta ora che da parlare del suo
maestro, il Liguori, per mostrare quali debbono essere i rapporti tra discepolo e maestro: non
perderne parola, ma non accettare senza vagliarle e ripensare, pronto a discostarsi in questo e
quel punto, senza che ciò appanni la venerazione che gli si porta. Cosa che faremo al prossimo
capitolo.
CAPITOLO XXIV
SANT’ALFONSO MAESTRO E MODELLO
126
Tristo è quel discepolo che non avanza il maestro
LEONARDO DA VINCI
Nel primo Ottocento in Liguria e Piemonte gli alfonsiani erano pochini, e pochi di quei
pochini osavano, non dico farne pubblica professione, ma far sapere d‟avere una qualche opera
del “beato” Alfonso, tanta la guerra che i giansenisti gli avrebbero mosso. Ancora nel 1840 il
Gianelli cosí scriveva al Frassinetti:
Qui [a Torino] le dottrine di S. Alfonso non sono ancora vedute di buon occhio, non solo dai
Giansenisti che qui abbondano, ma anche dai buoni cattolici, perché tutti formati sulla sesta del
rigorismo. Aggiungete che per la Santa Sede tutti ne vogliono ben poco: affezionati, sí, ma sicut in
quantum.437
Ma, già nel 1857, il Frassinetti, nella minuta di una recensione per “Il Cattolico”, presentando
la Vita di S. Alfonso del Tannoia, poteva affermare:
Le opere morali di questo Santo sono alle mani di tutti gli operosi ministri di Dio dell‟uno e
dell‟altro emisfero e ne formano in morale quel che si dice criterio teologico… La morale praticata
in tutto il mondo si può dire che adesso è una; la morale, cioè, informata ai principi di S. Alfonso…
È evidente che se si volesse adesso stampare e accreditare un‟opera morale informata da principi
diversi, sarebbe tentare l‟impossibile… Le sue opere ascetiche tradotte in tutte le lingue… sono un
pascolo di tutte le anime pie dell‟una e dell‟altra estremità della terra… Tutte le anime pie
riconoscono come loro maestro di spirito S. Alfonso.438
Nel 1865, nella prefazione al suo Compendio della Teologia lo ripete quasi ad verbum. Un
tributo di riconoscenza al Santo che gli aveva fornito le armi per le sue battaglie. Non potremmo
pensare il Frassinetti quale è stato, se non si fosse fatto discepolo del napoletano meraviglioso,439
come Eliseo di Elia. Sarebbe stato santo sacerdote, ma non il Frassinetti che conosciamo.
L‟innamoramento per sant‟Alfonso fu un dono del suo Gianelli.440 Non vedo altri che possa
avergli detto fin dagli anni di retorica: Tolle et lege, passandogli scritti del “Beato”, tanto piú che
il Gianelli era ancora sotto l‟impressione dello scampato pericolo.
Non sappiamo chi degli ecclesiastici giansenisti tentò di attirarlo alla loro setta. Il Degola
morí il 1826, ancor vivo negli anni in cui il Gianelli insegnava a Genova ed il Frassinetti era in
teologia, tempo in cui un giovane cerca d‟avvicinare le persone di buona cultura e di contrarne
l‟amicizia, né a questi dispiace sentirsi mecenati. Sarebbe bastato un po‟ d‟interessamento del
Degola, o d‟uno della sua scuola, un elogio, aprirgli la biblioteca, indicargli un libro, perché la
vita ne restasse segnata. Una spanna la linea di displuvio. Per sua fortuna il Frassinetti s‟era
incontrato con il Gianelli e fu cosí che si formò alla scuola del Liguori invece che a quella di
Giansenio. Se il Frassinetti non fosse vissuto tre quarti di secolo prima di santa Teresa del
Bambino Gesú, avrebbe potuto adattare a sé cosí una sua parabola: Il Padre mandò innanzi a me
due suoi angeli, il Gianelli e il Liguori, a liberami da due insidie, in cui avrei potuto inciampare,
437 Originale
nell‟AF, Lettere del Frassinetti.
AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. V, pp. 600s.
439 G. DE LUCA, Sant‟Alfonso uomo grande, “L‟Osservatore Romano della Domenica”, 4 giugno 1939.
440 Una scorsa ai cinque volumi delle Lettere del Gianelli, 1978, è piú che sufficiente per farsi un‟idea del suo
attaccamento a sant‟Alfonso.
127
438
l‟una e l‟altra mortali, di cui avrei conosciuto nomi e pericoli solo a studi fatti: Pelagio e
Giansenio.441
Non sembri strano aver appaiato Pelagio a Giansenio, anzi Pelagio e il suo rovescio: Lutero.
Pensare il giansenismo italiano della seconda metà del Settecento e della prima dell‟Ottocento un
trapianto di Port Royal, è condannarsi a non comprenderlo. Il giansenismo era ormai solo la falsa
coscienza di cattolici che se ne erano fatto una foglia di fico per mascherare a sé e agli altri l‟aver
sostituito alla fede la filosofia anglo-tedesca dell‟illuminismo massonico bevuta nella brillante ed
arguta rielaborazione dei francesi. Un giansenismo piú politico che religioso, calderone in cui era
riversato quanto s‟opponeva alla Chiesa di Roma. Miscuglio di elementi eterogenei, buono per
illudersi di essere ancora cattolico, non osando fare l‟ultimo passo che faranno con piú coerenza
Mazzini ed altri.
Mai Satana riuscirà a mandar giú l‟umanità congiunta alla divinità nella persona del Cristo
con quel rifluire di “di piú” sugli uomini da farne degli dei per partecipazione. Impedire
l‟accesso dell‟uomo a quel “di piú”, al soprannatura, questa la sua lotta: o negandolo, o
dicendolo non necessario, o almeno tentando di ostacolarne gli effetti. Di qui l‟assalto alla
cittadella in cui riposano le certezze della nostra fede: Roma. Pelagio esalta talmente la natura
dell‟uomo da rendere superflua la grazia; Lutero, pur essendo la negativa di Pelagio, giunge allo
stesso risultato immiserendo i canali che glie l‟adducano, i sacramenti, eccetto battesimo ed
eucaristia, negando peraltro, all‟uno l‟effetto rigeneratore, dicendo non risanabile
l‟intrinsecamente corrotto – non rigenerazione, ma solo non imputazione –, e non c‟è eucaristia
se manca il sacerdozio. C‟è di peggio. Da Lutero ebbe origine quel movimento di deriva che
porterà a Pelagio ed oltre Pelagio. Distaccandosi dalla tradizione e dal magistero per rivendicare
all‟uomo il libero esame della Scrittura, aprí la porta alle libere scelte e ai liberi rifiuti, inizio di
quel libero vagare per il mondo delle idee senza piú stella a cui rifarsi. Lutero svincola la Bibbia
da Roma, la filosofia si svincola dalla Bibbia e dalla teologia.442 Nessuna risposta certa, tutto da
ridiscutere, certi solo i potrebb‟essere. Luce dell‟uomo la sola ragione.Il dubbio metodico invade
anche il campo della fede. Che Dio ci sia non ci sia nulla muta. Se sí, non gli occorrono
intermediari. Di costoro, dei ministri della Chiesa cattolica soprattutto, la colpa dell‟
oscurantismo che ha impedito per secoli il rifulgere dei lumi. Sono i presupposti filosofici
dell‟illuminismo e di un ecumenismo massonico tinto di vaga religiosità. Dio, se il cuore lo
afferma, è un assente al di là degli spazi disinteressato dei nostri casi.
Cosí, di degrado in degrado, si è giunti allo stato agnostico e al relativismo morale. Misura del
diritto e della morale è l‟uomo, l‟uomo che ha in sé quanto gli occorre per tracciarsi la sua via.
Pur partendo da punti opposti, le ultime conseguenze del luteranesimo vengono a coincidere con
quelle di Pelagio, e le scavalcano, sfociando nella filosofia dei lumi e nell‟individualismo
materialista. Un ritorno a Pelagio, ma ad un Pelagio areligioso che si fa spesso irreligioso. Il
giansenismo italiano ne aprí a molti la via con il suo rabbioso anticattolicesimo.443
Il testo di S. Teresa: “Il padre, avendo saputo che sulla strada del figlio c‟era un sasso, si premurò d‟andare
innanzi e lo tolse... Se poi egli viene a conoscere il pericolo da cui è scampato, non l‟amerà in misura maggiore?”
442 Il filosofo cristiano prescinde dai dati della rivelazione, ma sa avvalersi di quella larga ricaduta di verità
naturali, prodotta da secoli di lavoro per illustrare le verità della fede, per arricchire il suo pensiero. Non solo, ma, se
le conclusioni a cui è giunto sono incompatibili con le certezze della sua fede, lo spingono a riesaminare i suoi
ragionamenti e a scoprire l‟errore che l‟ha portato fuori strada.
443 Un esempio in Ausonio Franchi.
128
441
Questo giansenismo, a differenza di quello originario, è apertamente anticattolico. Se si
considera che le ideologie illuministiche sono la negazione del dogma fondamentale del
giansenismo – il peccato originale e la conseguente corruzione della natura umana, che solo la
grazia gratuita di Dio può riscattare –, appare chiaro che il giansenismo, pur di realizzare le sue
riforme, si trova alleato del piú intransigente “pelagianesimo”: una eresia teologica si affianca ad
un‟altra che ne è l‟antitesi. Il piú attivo giansenismo italiano si spingeva alla distruzione della
Chiesa di Roma.444
Sullo scorcio del Settecento, allo scoppio della Rivoluzione francese, sentendosi i giansenisti
abbandonati dai príncipi illuminati, da sostenitori del Princeps Janseniorum, Giuseppe II, nella
sua lotta contro la Curia, si fanno giacobini e aderiscono al nuovo regime facendo proprie le
innovazioni apportate in campo ecclesiastico dagli eserciti invasori: secolarizzazione dei beni
ecclesiastici, soppressione degli ordini religiosi, costituzione civile del clero... Cosí, da
sostenitore dell‟assolutismo del principe contro i privilegi del clero e la potestà assoluta del
Papa, diverrà fautore della Repubblica contro ogni forma di tirannide... Crederà di trovare nel
regime democratico la condizione migliore per il vagheggiato rinnovamento, e crederà di conciliare
libertà e religione. 445
Sant‟Alfonso‟ fu per il giovane chierico il faro che lo salvò dallo smarrirsi. Averlo conosciuto
innanzi tutto come maestro di spiritualità, lo preservò dal ridurre la morale a scienza del peccato,
come può facilmente accadere se delle due discipline si pensasse la prima per i comuni mortali,
l‟altra per i consacrati, non molti, che aspirassero a farsi santi da altare, e, perché casi rari,
poterne trascurare lo studio. Finezze da eruditi. Il probabilismo, separato dall‟ascetica, porta al
minimo si è tenuti per non cadere nell‟inferno. Se con il probabilismo sant‟ Alfonso indica fin
dove si può scendere per andare incontro ad un‟anima poco disposta e non spegnere un lucignolo
fumigante,446 con le opere di spiritualità sa toccare quel punto vivo presente anche nel peccatore
e su di esso far leva per una rimonta spirituale presentandogli Dio come il Padre da amare. Il
Frassinetti è alfonsiano anche in questo e sarà conosciuto innanzi tutto come maestro di
spiritualità. Saranno appunto queste sue opere di spiritualità che gli creeranno un nome che sarà
garanzia ed invito per i suoi scritti di pastorale e di morale. Il Liguori ed il Frassinetti prendono
l‟uomo come è stato sconciato dal peccato e lo incamminano verso la perfezione di cui è perfetto
il Padre celeste.447
L‟attaccamento a sant‟Alfonso nel rapporto di discepolo a maestro cominciò fin dalla sua
prima giovinezza. Ne abbiamo la riprova in una copia della Theologia moralis di sant‟Alfonso da
lui posseduta, edita dal Remondini a Bassano nel 1822, anteriore di qualche anno a quella della
Marietti. Ciò lascia pensare che se la fosse procurata agli inizi del suo corso di teologia, 18231827, per poter raffrontare su sant‟Alfonso l‟insegnamento ricevuto in classe, con ogni
probabilità in linea con l‟Antoine, rigorista la sua parte.448 .
M. F. SCIACCA, Il pensiero italiano nell‟età del Risorgimento, Milano 1963, p. 62.
445 N. RODOLICO, Gli amici e i tempi di Scipione de‟ Ricci…, Firenze 1920, pp. 54-55.
444
446
Mt 12,20.
5,48.
448 Nei corsi di teologia non ci risulta che a Genova fossero adottati libri di testo. Il “lettore” non mancava di
fare dei rinvii agli autori di cui condivideva le tendenze. Molto seguito era PAUL GABRIEL ANTOINE, S.J, Theologia
universa speculativa et dogmatica ad usum theologiæ candidatorum accomodata, 1723, divenuta tosto opera
diffusissima. Possedere la Morale di Sant‟Alfonso edita a Bassano, non dispensò il Frassinetti dal procurarsi
129
447 Mt
Ad apertura troviamo l‟immagine del “Beato”. Nel margine superiore scriveva: “Mi si è
aperta una porta grande e ricca di prospettive, ma molti gli avversari.449 Ciò succede tuttavia a
chi ha molto zelo, ed opere grandi per le mani come osserva S. Giov: Grisost”.450 Il giovane
teologo aveva trovato in Alfonso la via ed il presentimento delle lotte che avrebbe dovuto
sostenere per questa sua fedeltà alla sua dottrina ed esempio. Nel margine inferiore faceva sue le
parole rivolte da Eliseo al profeta Elia: “Padre mio, padre mio, carro armato d‟Israele e suo
carrista... ti scongiuro, trasmettimi il tuo spirito raddoppiato”,451 stabilendo tra sé e Alfonso un
uguale rapporto di discepolo a maestro. Né è poco quello che gli chiede supplicandolo, per ciò
che gli è di piú sacro,452 che lo renda irresistibile di fronte ai molti nemici di Dio con un vigore
doppio di quello che egli ebbe. Cosí, sui vent‟anni, il Frassinetti ebbe il suo grande incontro con
sant‟Alfonso. Già prima il giovane seminarista dovette trovare espresso chiaro negli scritti del
Santo ciò che avvertiva in enigmate tanto è indubbia la loro congenialità. Del resto uno è lo
Spirito. Il Frassinetti aveva trovato in sant‟Alfonso il maestro e l‟esempio. La prima a
beneficiare di questa sua scoperta fu la sorella Paola.
Il parallelo Liguori-Frassinetti si potrebbe spingere fino ai piccoli particolari, fino a porre in
doppia colonna le opere dell‟uno e dell‟altro,453 fino alla composizione di strofette da cantarsi dai
l‟edizione Marietti, a noi non pervenuta: “Ordinato sacerdote da poco tempo io leggeva nel compendio della Vita del
Santo, premessa all‟edizione delle opere fatta in Torino dal Marietti...”. Compendio..., vol. II, Genova 1866, p. 76.
449 In latino, applicando a sé le parole dell‟apostolo Paolo di 1 Cor 16,9.
450 Un
presentimento che si avverò oltre la misura.
In latino, 2Re 2,12.10. Traduco carro armato e carrista, l‟equivalente del carro falcato dell‟epoca e dell‟auriga
che ne era alla guida. Invece di i due terzi, come traducono le versioni dall‟ebraico, lascio il doppio della Vulgata, a
cui si rifaceva il Frassinetti.
452 Questo il valore della voce latina obsecro da *obsacro.
453 Raffronto fatto da G. CAPURRO, Giuseppe Frassinetti e l‟opera sua, 1908, p. 4, riservandomi di esaminarne la
validità, ed eventualmente correggerlo ed integrarlo, quando si passeranno in rassegna le opere del Servo di Dio.
S. Alfonso
Frassinetti
Pratica della perfezione
Arte di farsi santi
Trattato della preghiera
Il pater noster di s. Teresa-Trattato della
preghiera
Consigli di confidenza
Conforto dell‟anima divota con un‟appendice
per un‟anima desolata
sul santo timor di Dio
Avvertimenti
pei
Gesú Cristo regola del sacerdote
sacerdoti sulla messa e
l‟officio
Le glorie di Maria
Avviamento dei giovinetti alla divozione a
Maria
Ora di santa allegrezza - Le dodici stelle, ecc,
Sullo stato religioso
Scelta di uno stato (inedito)
Teologia morale
Teologia morale
Visite al Santissimo
Culto perpetuo al Santissimo
Convito del divino amore
Verità della fede
Catechismo dogmatico
Pratica di amare Gesú
Amiamo Gesú
Cristo
Visite a Maria
Amiamo Maria
Divozione a S. Giuseppe
Amiamo S. Giuseppe - Vita di S.Giuseppe
Riflessioni ai vescovi
Proposte agli ecclesiastici
Brevi parole ai sacerdoti - Parroco novello
Monaca santa
Monaca in casa - Religioso al secolo
130
451
fedeli per sollevare l‟animo a Dio. Questa la scuola a cui si formò, e a questa scuola avrebbe
indirizzato tanta parte del clero del suo secolo, cominciando con quei sacerdoti e chierici
genovesi che andarono a gravitare intorno a lui nella Congregazione del Beato Leonardo.454
Nell‟ Accademia di studi sortale in seno, il Frassinetti gli darà cattedra. Lo fa maestro del clero,
ma anche dei fedeli: “se mi fosse chiesto di quali opere, tra l‟altre molte, si dovrebbe
particolarmente promuovere la lettura, io direi dell‟opere del B. Alfonso Maria de Liguori”.455 Se
per l‟obbedienza al Papa il Frassinetti si rifà a sant‟Ignazio, per lo studio del dogma a san
Tommaso, per morale, pastorale, vita spirituale ed il comportarsi d‟un sacerdote, modello e
maestro è sant‟Alfonso:
Vedo che S. Alfonso consigliava siffatta astinenza [dalla comunione] una volta la settimana; ma
vedo pure ch‟egli per sé non voleva farne volontariamente né anche una in tutto l‟anno: “ordinato
che fu sacerdote, non solo non lasciava giammai di celebrare la S. Messa, ma se mai si fosse
trovato in missione nella Settimana Santa, procurava di tornarsene in que‟ giorni a casa per poter
celebrare”. E vado debitore al suo esempio, se ho sempre celebrato tutte le funzioni della Settimana
Santa nei trentadue anni da che sono parroco.456.
L‟attaccamento al suo Elia fu tale da venire soprannominato il “Liguorista” fin dai primi anni
del suo sacerdozio.457 A sant‟Alfonso si può far risalire anche la scoperta di S. Teresa d‟Avila,
non fosse altro per quel chiudere o iniziare le sue lettere con: “Viva Gesú, Maria, Giuseppe e
Teresa”. Santa Teresa portò con sé san Giovanni della Croce e santa M. Maddalena de‟ Pazzi.
Dire come non è dire uguale. Non esiste santo copia d‟altro. Per affermarlo non si dovrebbe
tener conto della irripetibilità d‟ogni figura di santo, dei suoi idòla specus et fori, ossia dei
condizionamenti d‟ambiente e di formazione che differenziavano un genovese figlio d‟umile
merciaio e nipote di cuoco da un napoletano figlio di aristocratici. Sant‟Alfonso aveva avuto da
natura doni che non ebbe il Frassinetti. Incomparabilmente piú elevato l‟ambiente in cui visse la
giovinezza, e perché Napoli era in questo molto al di sopra di Genova, anzi la prima in Italia, e
perché il nome “de Liguori” e l‟educazione ricevuta gli aprivano porte ove si incontrava con i
piú begli ingegni confluiti a Napoli da ogni parte del Reame, nonché le porte delle dimore dei
principi e della stessa corte.458
Alfonso era stato bimbo precocissimo e precocemente affidato ai migliori maestri.
Educazione completa, diremmo rinascimentale: italiano, latino, greco, filosofia, francese, storia,
musica, tanta musica, tre ore ogni giorno seduto al cembalo, e un padre che non transigeva, e poi
disegno, pittura, architettura, matematiche, cosmografia,... e nessuna di queste discipline a livello
mediocre. Il Tannoia pensa non gli venissero permesse le “due applicazioni molto ordinarie, anzi
credute indispensabili ad un cavaliere, cioè il ballo e la scherma”. Un padre capitano dei navigli
da guerra e gli inviti a corte ci fanno pensare che fosse tutt‟ altro che digiuno di tali arti. Che
M. FALASCA, Rapporti di Francisco Cabrera con Giuseppe Frassinetti e Miguel Sureda, in “Regnum Dei”,
Roma XL(1984), pp. 431-446.
455 G. FRASSINETTI, Riflessioni..., pp. 19-20.43. Nella seconda edizione una lunga nota a conferma del già scritto
citando le opere dell‟allora Beato Alfonso, Ivi, pp. 42-43.
456 G. FRASSINETTI, Compendio della Teologia Morale..., vol. II, Genova 1866, p. 76. Una nota personale nel
trattato XV, dissertazione IX, sulla comunione quotidiana.
457 Si ricava da una sua lettera del 5.10.1832 al prevosto di S. Stefano, Francesco Tagliafico:” Perdonerebbe uno
scrupolo V. S. M. Rda ad un liguorista?”. AF, Lettere.
458 Il giorno della sua conversione disgustò il padre per essersi mostrato restio ad accompagnarlo in corte al
ricevimento in onore dell‟Imperatrice Isabella.
131
454
partecipasse a cacce, le cacce clamorose del Settecento, lo narra divertito egli stesso: del suo
schioppo e della sua mira mai un uccello s‟era dato pensiero. A dodici anni sapeva tanto di
humanæ litteræ da essere presentato a Giovan Battista Vico perché lo esaminasse per l‟
ammissione all‟Università ed il Vico lo trovò idoneo. A soli sedici veniva proclamato dottore in
utroque iure summo cum honore maximisque laudibus et admiratione, a Napoli, la terra di
sommi giuristi. Ma, con grande disappunto del padre, abbandonò il foro dove si era gia fatto un
nome, dimenticò scherma e danza, ritenendo tutte le altre arti riciclabili nel sacro.459 Il foro
perdette un grande avvocato, la Chiesa ebbe un
missionario, fondatore di Ordine religioso, vescovo, scrittore di devozione, autore dottissimo di
Morale, [che] si mette a dipingere. Musicista, pittore, poeta, uomo di spirito e di garbo, capace di
risolvere una questione con una uscita, e di raddrizzare un mondo capovolto con un sorriso, ebbe
qualcosa della accorta profondità del Vico e qualcosa della vivacità profonda del Galiani... gesti
bellissimi e originali, riflessioni argute e spassose, brani caldi e splendenti, uscite d‟una miracolosa
bonomia e profondità, prese in giro caritatevoli ma tremende, repliche vivaci e repentine... grande
poeta, no, ma poeta sí... un santo che scrive un oratorio, sia pure in nuce, non è frequente...460
Quello dei Caravita, padre e figlio, Niccolò e Domenico, entrambi famosi avvocati, entrambi
studiosi e amici di studiosi, fu uno di quei salotti dove convenivano giuristi, filosofi e letterati.
Ne era frequentatore anche Giovan Battista Vico. Lo frequentò a lungo con assiduità quotidiana
anche l‟imberbe avvocatino Alfonso. Vi si discuteva di giure. Domenico Caravita proponeva “gli
articoli piú intrigati, ed ogni sera tenendosi ruota, si dilucidavano quesiti con suo
compiacimento, facendo egli da giudice, e i giovani da avvocati con sommo loro profitto”.461
Non vi si trattava solo di diritto, ma anche delle nuove filosofie giunte d‟Oltralpe, e delle antiche
e delle rinascimentali... Ambiente apertissimo, quindi, e come Vico, pur avendo bevuto di
Cartesio in quei salotti letterari, seppe ripensarlo e farsene critico, cosí Alfonso saprà servirsi di
quanto vi apprese per tenere i giovani lontani dall‟errore: “Essendo che nei tempi correnti
serpono tanti errori... io mi sono ingegnato... di raccogliere... per uso dei nostri giovani... le piú
convincenti risposte”462. In quest‟opera, e in altre, ritroviamo i nomi che avevano riempito le
dispute dai Caravita: Leibniz, Locke, Hobbes, Berkeley, Spinoza... cui si aggiunsero Voltaire,
,
Rousseau, Helvetius perché il Liguori, cosí il Frassinetti, non cessò mai dal seguire quanto si
scriveva in pregiudizio della sana dottrina. Se aveva saputo mirare alto il Frassinetti nello
sceglierselo a maestro e modello!
Anche il Frassinetti ebbe il suo salotto, la “Beato Leonardo”. La differenza di condizione
sociale non creò pregiudizio. Accidentalità. Parola di Paolo: “Non esiste giudeo o greco, né
schiavo né libero, né uomo né donna, perché siete un sol tutto in Cristo Gesú, quanti siete stati
battezzati in Cristo e di Cristo vi siete rivestiti”.463 Ammirazione affettuosa per il Liguori, tanta;
idolatria no. Il Frassinetti seppe tenere conto della figura retorica a cui si appellò in suo
componimento poetico per giustificarsi d‟aver fatto morire Temistocle di spada invece che di
veleno: la variatio.464 Si rifece al modello come Virgilio a Omero, e Dante a Virgilio, si parva
459
A. TANNOIA, Vita di S. Alfonso Maria de Liguori, ritoccata da A. CHILLETTI, Torino 1880, pp. 9s. Ci
rifacciamo a tale edizione perché il Frassinetti ne fece la recensione.
460 G. DE LUCA, Sant‟Alfonso uomo grande, “L‟Osservatore Romano della Domenica”, 4 giugno 1939.
461 A. TANNOIA, Ivi, p. 12.
462 A. M. DE‟ LIGUORI, Breve dissertazione degli errori de‟ moderni increduli...
463 Gal 3,27s.
464 AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. 19, p. 534.
132
licet componere magnis. Fu un discepolo che ripensa l‟insegnamento, lo raffronta con altri
autori, ci torna su, sa pure liberamente discostarsene e correggerlo. Con quale libertà dipenda e si
rifaccia a sant‟ Alfonso ce lo dice egli stesso nella prefazione al Compendio della teologia
morale.
Anche Genova aveva qualcosa da dare a Napoli. E poi quante cose erano cambiate dai tempi
in cui scriveva il Liguori! Un secolo o un millennio? Tra la morte del Santo napoletano e gli anni
della formazione del Frassinetti, c‟era stato lo scompiglio della Rivoluzione francese e delle
guerre napoleoniche. Se nella seconda metà del Settecento, specie a Napoli, il centro italiano
delle riforme piú avanzate, si potevano già avvertire i germi del tossico che avrebbe avvelenata
l‟aria dell‟Ottocento,465 la lotta sorda alla Chiesa poteva ancora essere scambiata con l‟eterno
contenzioso tra i due poteri, l‟ecclesiastico ed il civile, roba piú da diritto canonico che da
dogma. Lo stesso scioglimento della Compagnia di Gesú ad alcuni – al Sismondi, per esempio –
poté sembrare dovuto a cause non dissimili da quelle che avevano determinato lo scioglimento
dei Templari.466 Ai tempi di Alfonso, se vogliamo leggere la storia con gli occhi del Vico, v‟è un
ritorno di titanismo culturale in cui l‟uomo è talmente inebriato della potenza della sua ragione
da ridere dei timori che nelle età precedenti avrebbero dato origine alle religioni. “Solo un‟élite è
illuminata; la massa [è] gregge sciocco e zotico”.467
Mai come in quel secolo cosí povero di filosofia – “non a torto il Lachelier definisce il secolo
XVIII l‟âge barbare de la philosophie” –468 si fu piú convinti d‟essere un popolo di filosofi. Ma,
piú che una scalata al cielo per tirarne giú gli dei, come si racconta dei Titani, o la costruzione
d‟una torre, fatica d‟uomo, per penetrarvi, ritenevano d‟aver scoperto che il cielo era vuoto,
valendo il dio dei teisti il non-dio degli atei. Quando poi il titanismo filosofico tentò di inverarsi
nella realtà della storia, i genocidi e gli eccidi crearono la sensazione di vivere un titanismo
eroico che ben presto si mutò in titanismo guerriero rivolto non piú alla “liberazione” dei popoli
dall‟oppressione dei re e della religione, bensí ad assoggettarli con la violenza ad un impero
straniero, asservendo il cosmopolitismo culturale allo sciovinismo nazionalista. Ci fu
l‟imprevisto di Waterloo e di Sant‟ Elena. Ha sempre Iddio qualche imprevisto per ricordare la
sua presenza.
Manuel de la Roda – già ambasciatore di Spagna a Roma, colui che secolarizzò la scuola – scriveva allo
Choiseul, che per 12 anni ai tempi di Luigi XV fu il vero governatore della Francia: “La operación – l‟espulsione dei
gesuiti dalla Spagna – nada ha dejado que desear; hemo muerto el hijo; ya no nos queda más que hacer otro tanto
con la madre, nuestra santa Iglesia romana”, M. MENENDEZ Y PELAYO, Historia de los Heterodoxos Españoles, vol
II, ediz. BAC, 1956, pp. 507.525-530.
466 D. ROPS, Histoire de l‟Église du Christ, l‟Ère des Grands Craquements, Paris 1958, p. 289, n. 11.
467 M. F. SCIACCA Il pensiero italiano nell‟età del Risorgimento, Milano 19632, p. 42. Fuori di Francia
l‟infatuazione per Voltaire nel suo secolo non varcò molto i confini di quest‟élite illuminata che ne visse incantata,
ma “nei primi decenni dell‟Ottocento – gli anni della formazione del Frassinetti – mentre gli intellettuali lo
sprezzavano, le classi borghesi se ne nutrivano” ,G. DE LUCA, Art. cit.
468 M. F. SCIACCA, Op. cit., p. 125, nota 3. Affermazione azzardata se non si precisa quale filosofia dette il nome
al secolo. S‟era aperto con il De antiquissima italorum sapientia del Vico e si chiudeva con la triplice Critica di
Kant (1781.1788.1790), ma non fu per loro due se il secolo XVIII fu fregiato d‟un tal nome. Il Vico, al suo tempo,
passò quasi inosservato e, in quanto a Kant, all‟apparire delle sue grandi opere “l‟interesse dei dotti e dei letterati
tedeschi fu dapprima pigro e distratto”, G. DE RUGGIERO, L‟età del Romanticismo, Bari 1971, p. 7. Il nome al secolo
venne dalla filosofia francese che faceva moda, che ebbe Voltaire per vetrina e l‟Encyclopédie per spaccio. Moda
che aveva instaurato terrore psicologico nel mondo delle lettere: “la ghigliottina dell‟Enciclopedia era la
diffamazione che tagliava teste, fermava carriere letterarie, abbatteva idoli, ne creava degli altri per poi
eventualmente abbattere anche quelli”, A. COCHIN, La meccanica della Rivoluzione, Milano 1971, p.252. Cfr. P.
GAXOTTE, La Rivoluzione francese, trad. di L. ZALAPY, Milano 1949, cap. IIIs.; M. F. SCIACCA, Op. cit., p. 26, n.
15; D. ROPS, Histoire de l‟Église – L‟ère des grands craquements, 1965, p. 57s.
133
465
Avevano risognato con Adamo ed Eva d‟essere autonomi, perché pari a Dio, per risvegliarsi
nudi, e i loro i figli smarriti al pari dei figli dei costruttori della Torre. Dopo Waterloo,
soprattutto i nati troppo tardi per aver potuto imbracciare un fucile, ricchi solo di sogni di gloria,
ma non di gloria, e privi dell‟esperienza delle brutalità della guerra, furono i maggiormente
colpiti dal dramma della prostrazione dell‟uomo. Quella Torre fatta rudere divenne a questi
giovani disperazione, sbandamento e ricerca d‟un semi-eroico in cui credere e che surrogasse il
divino. A tanti si fece vangelo il Jacopo Ortis che, se per i piú fu solo disperazione letteraria, –
tra questi mettiamoci pure il Mazzini –, per altri fu morte suicida. Sono i giovani nati all‟inizio
del secolo, la generazione del Frassinetti. Un eco, anche se solo letterario, il compito in terza
rima del Frassinetti: Parlata d‟un disperato.469
Questi giovani, ai quali erano venute a mancare le presuntuose certezze degli atei ma non il
retaggio della scristianizzazione, condivideranno con i padri l‟ avversione per quanto sapeva di
cattolico e si illuderanno d‟aver trovata la strada buona o rivestendo l‟umano di vaga religiosità,
e fu il caso del Mazzini – come già si è notato – , o tentando di deviare la Chiesa dall‟impegno di
salvezza delle anime ad impegni puramente terreni, e fu il caso del Gioberti.470 Nell‟ Ottocento la
congiura era ormai chiara: distruggere alle radici quanto sapeva di cattolico. Anche per i figli di
genitori ignari di crisi religiosa – ed è il caso del nostro Servo di Dio – la religione aveva cessato
di essere ciò che era stata per i loro padri: un bene ereditato da vivere nella tradizione. L‟ansia
religiosa si era ora fatta problema da risolvere, un problema personale, che esigeva ricerca,
ripensamento e conquista. Sono loro, e tra i primi il Frassinetti, quei che ci scoprono che si può
vivere la pienezza della vita cristiana improtetti dall‟ambiente, e persino meglio di quei che ne
furono custoditi come fiori in serra.
È il nuovo del Frassinetti rispetto al suo maestro sant‟Alfonso.
CAPITOLO XXV
UBI PETRUS IBI ECCLESIA
Sciogliete il freno, o Sacre Muse, al pianto
E voi lire d‟Arcadia, in triste metro,
Dei dolenti pastor seguite il canto...
Dunque fra noi piú non respiri, o Pio?
Lasciasti in lutto e pianto i figli tuoi,
E desti lor l‟amaro ultimo addio.
E già consorte de‟ celesti eroi
in capo cingi l‟immortal corona
Che virtude prepara a‟ figli suoi...
469 AF,
G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. 9, p. 515s.
La crisi, che allora non varcò il ceto borghese, oggi è largamente diffusa, essendo per molti titolo di
superiorità la professione di non credente, mentre altri non vanno oltre la vaga affermazione d‟ispirazione cristiana,
liberi, si intende, di ridiscutere quanto la Chiesa insegna, prenderne le distanze ed accettare solo quel tanto che
collima con il loro pensiero.
134
470
GIUSEPPE FRASSINETTI471
Dagli scritti del Frassinetti traspare cosí evidente l‟attaccamento alla Chiesa e al Papa, che si
sarebbe potuto non aggiungere altro. Ma mi è parso togliere qualcosa a lui carissima a non dare
risalto come questo attaccamento alla Sede di Pietro e alla parola del suo Vicario fosse stata in
lui connaturata fin dalla fanciullezza. Se il Manzoni non poté trattenersi dallo scrivere il Cinque
maggio all‟annunzio della morte di Napoleone, il giovane teologo pianse anche in versi la morte
di papa Pio VII, quando, sul finire d‟agosto del 1823, giunse la notizia della sua morte. Il
diciottenne Giuseppe Frassinetti aveva già completato il corso di filosofia e si accingeva ad
entrare in teologia. Il Capitolo in terza rima di 88 versi In morte di Pio VII Pontefice Massimo
non è quindi un tema scolastico. Fu un‟effusione spontanea che rivela, sia pure nell‟osservanza
scolastica dei precetti dell‟arte poetica, quali erano fin da allora i suoi sentimenti per il papa. Per
comprendere cosa provasse bisogna rifarsi ai primi anni della sua vita.
Il Papa per quel bimbo non era piú ciò che era stato per i suoi genitori fanciulli: una risposta
del catechismo. Era persona viva per cui aveva sofferto ascoltandone nelle ore dell‟intimità della
famiglia le sofferenze dalla bocca dei suoi. Quante ne avevano fatte a quel venerando vecchio di
Pio VI, portato a morire in Francia, e ne facevano ancora al suo successore, a Pio VII, tenuto
prigioniero a Savona, cosí vicina a Genova, senza che si potesse andare a riceverne la
benedizione. Venne poi il giorno indimenticabile che poté vederlo con i suoi propri occhi nella
bella chiesa dell‟Annunziata quando tornò a Genova durante i Cento giorni di Napoleone, questa
volta in una lunghissima visita trionfante.
Cresciuto, lo guardò con gli occhi della fede. Non aveva piú importanza si chiamasse Pio VI,
Pio VII o Clemente XIV – ci insisterà nella polemica con il Gioberti che faceva di Clemente XIV
un grande papa per aver sciolto la compagnia e di Pio VII uno che s‟era fatto raggirare nel
restaurarla –.472 Il papa è grande perché papa, perché vicario di Cristo, poco importa chi sia. Il
Frassinetti àncora la sua fede a Roma, alla cattedra di Pietro, in un epoca in cui era messa in
discussione ogni parola che venisse da Roma e non era ancora stato definito il dogma
dell‟infallibilità. Lo sarà trenta mesi dopo la sua morte. Gli stessi suoi sentimenti suggerisce agli
ecclesiastici nelle Riflessioni, e qui sarebbe piú vero il vecchio titolo apposto nel manoscritto:
Esortazioni:
O miei fratelli, quanto grande è l‟odio dei nostri nemici contro Roma, altrettanto sia grande il
nostro amore per lei. Ella è il cuore del cristianesimo; noi suoi membri non possiamo vivere che del
suo sangue: apprezziamo, difendiamo il nostro cuore. La nostra credenza sia la romana, le pratiche
romane siano le nostre pratiche, il nome di cui piú andiamo gloriosi sia di romani…
È uno dei pochi scritti, se non l‟unico, in cui il Frassinetti si fa prendere dall‟ enfasi, lui cosí
pacato e misurato. Vi sono tratti in cui, ponendo degli a capo suggeriti dal ritmo, la prosa si fa
salmo:
È in Roma il successor di quel Pietro
sopra cui Cristo fondò la sua Chiesa,
è in Roma l‟immobile colonna della cattolica verità…
Ella è la Gerusalemme del nuovo Israello…
In lei è l‟inespugnabile torre di Davide…
471
AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. XIX, pp. 550-553.
Saggio intorno alla dialettica… di V. Gioberti, Genova 1846, p. 10-11.
472 ID.,
135
in lei la santa Sionne…
Io non volgerò i miei occhi da te,
tu se‟ quel monte da cui mi aspetto ogni aiuto;
tu mi dai luce,
tu mi dai lena e speranza,
avrò salute per te.
A che mi varrebbe senza di te
il Calvario e il Taborre?
Questo il cuore mi accenderebbe di viva brama
per un‟eterna beatitudine che non potrei sperare,
quello mi mostrerebbe il prezzo di mia salute,
che ottener non potrei...
O Vaticano, o monte santo,
ti riconoscano una volta tutte le nazioni
e sieno salve per te…473
CAPITOLO XXVI
SACERDOTE
UN FUOCO ARDENTE
GLI BRUCIAVA IL CUORE
Il tuo cuore sia cenacolo ampio e bene adornato allorché devi celebrare la santa Messa.
Ampio per cosí grande confidenza nella mia infinita bontà, che non vi abbia grazia che tu non
speri per te e per gli altri. Va‟ desideroso al mio altare, e desideroso con tutta la forza del tuo
spirito, da poter dire con me: Desiderio desideravi hoc Pascha manducare…474 Desideroso che
473 ID., Riflessioni..., pp. 26-35. Il libro è tutto un inno alla Chiesa e al Vicario di Cristo, ma fu tale il livore dei
giansenisti da mandarlo Roma perché fosse messo all‟Indice.
474 Lc 22,15.
136
la santa Messa ti sia manna… altrettanto soprasostanziale che saporosa, dove trovi ogni bene.
Desideroso di giovare con essa a tutti i bisogni della santa Chiesa. Ma spera, e spera
fortemente, che i tuoi desideri non saranno defraudati, che anzi saranno sorpassati dalle
benedizioni della mia infinita liberalità, accordate al valore della santa Messa. Il tuo cuore sia
pure il cenacolo bene addobbato dove io possa convenientemente cenare con te in
magnificenza di amore… Solo per questo tu dovresti aspirare alla maggior santità, anche pel
caso che tu dovessi celebrare la santa Messa una volta e non piú in tutto il corso della tua vita.
Ora, pensa che tu la celebri tutti i giorni! Procura, frattanto, di dispormi per questo modo i
cuori cristiani che ammetto alla mia cena, e ricordati che anche per essi io sono pane
quotidiano. Ricordalo per non impedirmi l‟accesso a quelle anime dove io metto il continuo
desiderio di me e colle quali, parimenti come con te, io vorrei cenare ogni giorno. A tutte le
anime che odiano ogni peccato lascia pur sempre aperto il mio cenacolo. Non mi infastidirò di
loro, finché esse non si infastidiranno di me. Non essere troppo rigoroso pei loro difetti e per
le loro imperfezioni; pensa che anche tu hai imperfezioni e difetti, forse maggiori, eppure
celebri ogni giorno.
GIUSEPPE FRASSINETTI, Gesú Cristo regola del sacerdote.
Come si accostò all‟altare la prima volta questo giovane con cui ci siamo cosí a lungo
intrattenuti sulla sua preparazione a quel santo giorno? come vi si preparò? cosa provò?
Domande destinate a restare senza risposta su uno che non tenne mai un diario per annotarvi
giorno dopo giorno pensieri e sentimenti. Ciò che si prova quei giorni, piú è intenso, meno si
annota. È cosa che passò tra il giovane levita e Dio. Una voglia di fuggire lontano, al pari di
Giona?,475 trovare scuse come Mosè?,476 protestare con Geremia, dimenticando che si sta
parlando con Dio, dirgli che si sta sbagliando, ci deve essere un errore di persona, non può essere
lui, neppure capace di dire: “a a a”?477 Mandi chi deve mandare, lui no!478 Ma c‟è una forza piú
forte ancora che ci avvinghia e trascina all‟altare di Dio, a salire quei tre gradini, a dire: Introibo
ad altare Dei.479 Un ripetere con Geremia:
Mi hai sedotto, Signore, ed io mi sono lasciato sedurre,
mi hai fatto forza ed hai prevalso…
Mi dicevo: “Non penserò piú a lui,
non parlerò piú in suo nome!
Ma nel mio cuore c‟era come un fuoco ardente
chiuso nelle mie ossa;
mi sforzavo di contenerlo,
ma non potevo.480
Quante cose hanno detto al cuore dei sacerdoti per secoli quei versetti del salmo 42: Mi
accosterò all‟altare di Dio… Ma perché ti rattristi anima mia? Perché mi turbi? E lí un
chierichetto a farci coraggio: Ma spera in Dio! Tutto qui: sperare in Dio e andare avanti. Signore
crea in me un cuore puro.481 Maria santissima… Aggiunte aliturgiche sgorganti dal cuore e da
nessuna rubrica mai proibite. Eppure qualcosa del Frassinetti ci è pervenuta. La pagina su
475 Gn
1,3s.
4,13.
477 Ger 1,6.
478 Es 3-4.
479 Sal 43(42),5. Era il versetto con cui ci si accostava all‟altare nella vecchia liturgia, quindi quella del
Frassinetti, e si recitava prima di salire i tre gradini.
480 Ger 20, 7.8-9.
481 Sal 51(50),12.
137
476 Es
riportata vale una pagina di diario scritta negli esercizi che precedettero l‟ordinazione. C‟è poi la
sorella Paola che ci viene in aiuto con la prima lettera del suo epistolario:
Molta consolazione mi recò la notizia che in questa quaresima sarai promosso ai sacri ordini del
diaconato e presbiterato. Ti raccomando di prepararti bene al S. Sacerdozio… [con] lunghe visite al
SS.mo Sacramento e fervorose preghiere a Maria SS.ma e ai Santi Apostoli, pregandoli che ti
ottengano quello spirito che essi ricevettero nel cenacolo acciocché a sua somiglianza tu fatichi
molto per la Gloria del Signore e salvazione delle anime, tenendo sempre fisse nella mente quelle
parole dette a S. Pietro da Gesú: “Se mi ami, salva le mie pecorelle”.482
Non è una lettera al fratello Giuseppe la vigilia della sua ordinazione, ma al fratello Giovanni.
Con Giuseppe non le sarebbe riuscito scrivere con quel tono di sorella-madre. Anche se
Giovanni era solo di qualche anno piú giovane di lei, era pur sempre un fratello minore che era
ricorso a lei tante e tante di quelle volte non essendovi piú in casa la mamma, ed anche con
pretese: “Le calze me le devi fare lunghe e presto… Da quando sei a Quinto ti sei scordata di
me…”.483 Ma in quelle raccomandazioni di sorella-madre al fratello Giovanni c‟è tanto ricordo di
come anni prima aveva visto il fratello Giuseppe prepararsi alla sua ordinazione, divenuto per lei
esempio vivo di come si deve essere sacerdoti: salvare anime! Quel fratello, di cui era stata
testimone quotidiana dei suoi primi otto anni di sacerdozio, e dei sacerdoti che facevano gruppo
con lui, le rimarranno termine di paragone a cui raffrontare tutti gli altri. Giunta a Roma, nella
prima lettera a Giuseppe, gli comunica le sue impressioni. Roma non era né Quinto, dove tutto
l‟anno sembrava una missione, né S. Sabina. Dallo scandalo di ciò che vedeva a Roma si
arguisce cosa era stato ai suoi occhi il mondo del fratello nei suoi primi anni di sacerdozio. E ne
sente la mancanza.
Giuseppe ci ha lasciato scritto le sue date da quella della vestizione.484 Oggi dice piú poco, ma
per secoli ha rappresentato l‟inizio di un nuovo stato. Anche in casa si avvertiva che ci
guadavano in modo diverso. Non solo le sorelle ed i fratelli, ma anche la mamma. Lo
avvertivamo nel vederla baciarci le mani. Un bacio cosí diverso da quelli di sempre. Nei vecchi
registri della mia parrocchia non si era piú registrati con gli altri familiari, ma a parte, tra gli ex
hominibus assupti.485 Non si era piú dei nostri, ma della Chiesa, di Dio. Il sette giugno dello
stesso anno – risparmio al lettore il latino – lunedí di Pentecoste, ricevette la tonsura, rito che piú
non si pratica, ed i primi due ordini minori, ostiariato e lettorato. 486 Nei vecchi sacerdoti
risuonano ancora nell‟orecchio l‟esortazione del vescovo: Preghiamo, fratelli carissimi, il
Signore nostro Gesú Cristo per questi suoi servi che s‟appressano a farsi recidere i capelli per
suo amore, perché doni loro lo Spirito Santo che conservi in loro l‟abito della religione e ne
difenda i cuori dagli ostacoli e dai desideri del mondo…487
Poi ci vestiva della cotta: “Ti rivesta il Signore dell‟uomo nuovo, quello creato secondo
Dio…”, e noi si cantava: “Mia parte di eredità è il Signore. Sei tu che mi tieni riposta la mia
eredità”.488 A casa un compagno esperto in chieriche ci radeva la prima in vertice capitis, bianca
Lettere, p. 1. L‟originale nell‟ACAG.
ivi, p. 1.
484 Ordo ad divina officia peragenda, missasque celebrandas… Genova, per l‟anno 1827. Nell‟ultima pagina
bianca annotò a penna le sue date in latino da me date tradotte.
485 Eb 5,1.
486 Si accedeva al sacerdozio salendo sette gradini, quattro ordini minori e tre maggiori, l‟ottavo era
l‟episcopato. Dei maggiori piú non esiste il suddiaconato.
487 Pontificale Romanum, De clerico faciendo.
488 Sal 16(15),5.
138
482 P. FRASSINETTI,
483 ID.,
e tonda come una particola. Per i secondi minori, esorcistato e accolitato, il Frassinetti dovette
attendere tre anni. Genova era senza vescovo, essendo stato mandato il Lambruschini nunzio a
Parigi. Per non rinviare l‟ordinazione sacerdotale, esistevano le litteræ dimissoriæ, ossia la
lettera con cui un vescovo delega un altro vescovo ad ordinare un suo suddito. Cosí, a Savona,
monsignor Airenti il 25 marzo 1827 gli conferí i secondi minori. Il 31 marzo, sabato Sitientes, il
suddiaconato, primo dei maggiori. L‟ordine della grande scelta: indietro piú non si torna! Il
vescovo lo diceva a chiare parole:
Se ricevete quest‟ordine non vi è piú lecito tornare indietro, perché dovete restare per l‟intera
vita al servizio di Dio. Servirlo è regnare, conservando con il suo aiuto la castità e restando per
sempre addetti al servizio della Chiesa. Pensateci dunque bene finché siete in tempo, e se volete
perseverare nel santo servizio, fate un passo avanti nel nome del Signore.489
Passo già fatto da tempo con il cuore. Quel giorno s‟assumeva l‟impegno di vivere casto
l‟intera vita e la recita quotidiana dell‟ufficio divino, ossia di pregare con la Chiesa e, a suo
nome, per il popolo cristiano. La Chiesa gli garantiva una esistenza povera, ma decorosa,
esistenza che non gli aveva potuto garantire la famiglia costituendogli una dote.490 La famiglia
del Frassinetti non fu in grado di costituirla a nessuno dei figli. Per Francesco, fattosi canonico
lateranense, non si pose il problema. Per i tre chierici pensò la diocesi. Non era l‟esistenza
decorosa che Giuseppe chiedeva al Signore. Chiedeva di condividere la sua passione:
Signor mio Gesú Cristo, mio unico Bene e Sposo dell‟anima mia, vi prego, pel merito del vostro
prezioso Sangue, a non permettere che giammai m‟ infastidisca della vostra croce qualunque sia
essa. Deh, non permettete che per la mia ignoranza e sensualità vi faccia questo indegnissimo torto;
datemi invece grazia che l‟ami con tutto il mio cuore come il piú prezioso pegno del vostro
amore.491
Offerta totale, senza condizioni o riserve, con patto scritto, che ricorda i patti contratti da Dio
con Noè, Abramo, Giacobbe, un pactum pacis, in latino, a noi pervenuto in un foglio volante,
patto che rinnovava piú volte al giorno, perciò trascritto in un foglietto ed incollato nella faccia
interna della copertina delle Horæ diurnæ,492 un libro che i sacerdoti portavano sempre con sé.493
Il nove giugno dello stesso anno, Sabato delle tempora di Pentecoste, ricevette il diaconato.
Con la stola a tracolla poteva toccare il Santissimo, esporre e riporre l‟ostia santa nelle
benedizioni e, in determinati casi, poterla anche distribuire ai fedeli e battezzare con tutta la
solennità del rito, nonché annunciare il vangelo, ma quel che piú conta è la mano del vescovo
posta sul capo: diacono in eterno! Diacono anche in cielo, come Stefano, come Lorenzo, come
489
Pontificale Romanum, De ordinatione subdiaconi.
Se ne è già parlato. A Giuseppe il patrimonio glie lo costituí il suo parroco. Ammontava a L. 450 l‟anno
coll‟onere di celebrare o far celebrare tante messe giornali (sic) quanto ne porta il frutto annuo di detti due
apartamenti.
491 Preghiera del Venerabile pervenutaci in un fogliettino volante.
492 Ce ne è pervenuta l‟ultima copia da lui usata. In AF.
493 Pactum pacis: “Voi, o Signore, perdonate i miei peccati e cancellate tutte le mie iniquità – Insegnatemi a
fare la vostra volontà – Datemi lo spirito buono – Mettetemi appresso di voi – Non permettete che io mi separi da
voi – Custoditemi come la pupilla dell‟occhio – Senza di voi, io polvere e cenere, niente posso fare – Io frattanto, in
virtú del vostro Nome, confidando nell‟aiuto della vostra grazia, propongo di non riserbarmi nulla per me, se non
l‟amato adempimento della legge e l‟abbraccio della vostra santa croce – Per la qual cosa io per me niente altro
dimanderò a voi. – Né per le cose, né per la vita, né per la morte, niente altro dimanderò a voi. – In questo modo, in
virtú della vostra grazia, sia fatta la pace tra la vostra e la mia volontà”.
139
490
Francesco d‟Assisi. Finalmente il 22 settembre di quello stesso anno 1827, Sabato delle tempora
d‟autunno, lo stesso vescovo, sempre a Savona, lo consacra sacerdote in eterno!
Il sacerdote deve offrire il sacrificio divino, benedire, presiedere, predicare, battezzare. A tale
alta dignità si deve salire con grande timore… perciò, figli carissimi, conservate nei vostri costumi
una castità illibata congiunta a santità di vita. Siate consapevoli di ciò che trattate, e perché
celebrate il mistero della morte del Signore, mortificate le vostre membra tenendovi lontani da ogni
vizio e concupiscenza. La vostra dottrina sia medicina spirituale per il popolo di Dio; l‟odore della
vostra vita gaudio per la Chiesa di Cristo, sicché con la predicazione e con l‟esempio ne edifichiate
la casa, quanto dire la famiglia di Dio, e che il Signore non abbia a condannar noi per avervi
conferito un tale ordine, né voi per averlo ricevuto, ma piuttosto ricompensarci. 494
A Paola non sarà sfuggito nulla del rito: quei candidati suddiaconi, diaconi e presbiteri stesi
faccia a terra mentre il popolo chiede per loro l‟intercessione dei santi cantandone le litanie,
l‟imposizione delle mani, prima il vescovo, poi tutti i sacerdoti presenti al rito, la consegna dei
vasi sacri, la pianeta arrotolata sulle spalle, l‟unzione delle mani mentre il popolo canta il Veni
Creator, e il chiudergliele legate col fazzoletto di lino che il fratello s‟era fatto orlare da lei a
punto a giorno. Sarebbe toccato alla mamma, ma la mamma assisteva dal cielo con sei sue
creature, la zia Annetta e la nonna. Di tutti si avvertiva la presenza.
Troppe le emozioni, per dire la prima messa da solo il giorno appresso?495 Stando al suo
compagno, il canonico Poggi,496 la prima messa l‟avrebbe detta nella sua parrocchia di santo
Stefano il sabato successivo, festa di san Michele. Una conferma si potrebbe vedere nel suo Ordo
missarum in cui i giorni cominciano ad essere marcati con un punto ad inchiostro nero solo dal
29, e cosí fino alla fine dell‟anno, salvo sette marcati con un cerchietto, e ne tiene conto: 87 i
primi, 7 i secondi. Potrebbe esserci un‟altra spiegazione – una mia ipotesi –. Da suddiacono
aveva contratto l‟onere di celebrare o far celebrare tante messe quanto ne porta il frutto annuo
di due appartamenti, perciò le segnate con punto potrebbero essere le celebrate per assolvere
l‟obbligo, quelle con il cerchietto le fatte celebrare da altri passando loro l‟elemosina – ce lo dice
quel tenerne il conto preciso –. Le senza notazione alcuna, dal 23 al 28 settembre, le messe per i
propri morti e per sua devozione. La prima messa, di cui parla il Poggi, deve essere la prima
solenne in canto, detta in parrocchia. Spiegazione confermata dal Frassinetti che afferma di non
averne mai saltata una497 secondo l‟esempio di sant‟ Alfonso498 e dal Fassiolo di non aver egli
mai tralasciato una messa.499
Il Frassinetti è ora armato di tutto punto per combattere le battaglie del Signore, una la
formazione del giovane clero!
494
Pontificale Romanum, De ordinatione presbyteri.
Sant‟Ignazio aspettò un anno e mezzo. Ricevuta l‟ordinazione il 24 giugno 1537, celebrò la prima volta la
notte di Natale del 1538 all‟altare della Natività in S. Maria Maggiore. S. IGNACIO DE LOYOLA, Obras completas,
Madrid 1952, Autobiografia, p. 103, n. 9 e Carta a los señores de Loyola in data 5 febbraio 1539, p. 671 e n. 2.
496 F. POGGI, Della vita e degli scritti di Giuseppe Frassinetti priore di Santa Sabina – Discorso nelle solenni
rinnovate esequie il dí 14 febbraio 1868, Genova 1868, p. 10: “Il Frassinetti l‟anno mille ottocentoventisette, il dí
faustissimo di San Michele ascese la prima volta al tremendo altare, operatore del grande sacrificio”.
497 Eccetto il giovedí ed il sabato santo dei due anni che visse nascosto
498 G. FRASSINETTI, Compendio della Teologia Morale..., vol. II, Genova 1866, p. 76. Una nota personale nel
Trattato XV, Dissertazione X. Sulla comunione quotidiana.
499 D. FASSIOLO, Op. cit., p. 17.
140
495
Provenisse da buono o da cattivo spirito – lascio che altri giudichi –, appena fui ordinato
sacerdote s‟impossessò del mio cuore una brama forte di giovare, per quanto potessi nella mia
nullità e confidando unicamente nel divino aiuto, al giovane clero…500
Con quanta insistenza chiedesse al Signore il buono spirito ce lo attesta un foglietto piegato in
due da formare 4 paginette da poter porre tra le pagine del breviario e col breviario recitarlo tutti
i giorni e piú volte al giorno. Oratio ad petendum Spiritum Bonum. Eccone il testo:
Si premettano un Pater, Ave e Credo recitati con cuore fervente e fede viva, poi, perché si
accresca la fede ed il fervore, si rivada con la mente alle parole del vangelo: “Or io vi dico,
chiedete e vi sarà dato…501 Signore abbi pietà, Cristo abbi pietà, Signore abbi pietà. – Cristo
ascoltaci, Cristo esaudiscici. – O Padre che sei nei cieli, Dio, dà lo Spirito Buono a me che te lo
chiedo. – Ometto le invocazioni titaniche –. O Padre buono, Padre amante, Padre clemente, Padre
misericordioso, Padre pio, affido nel modo piú completo alla tua santissima volontà la mia anima, il
mio corpo, la salute e la vita, e tutti i doni da te ricevuti, corporali e spirituali. Disponi di me e delle
mie cose come tu vuoi, prenditi qualunque cosa ti piaccia, ma dà a me che te lo chiedo lo Spirito
Buono. O Padre buono, Padre amante, Padre clemente, Padre misericordioso, Padre pio, dà a me
che te lo chiedo lo Spirito Buono. O Padre buono, Padre amante, Padre clemente, Padre
misericordioso, Padre pio, dà a me che te lo chiedo lo Spirito Buono, te lo chiedo per Cristo nostro
Signore, Figlio tuo, per il suo sudore di sangue, per la terribile agonia nell‟orto del Getsemani, per
quel che ebbe a soffrire per i flagelli, per la corona di spine, per le ferite dei chiodi nella mani e nei
piedi, per la ferita della lancia nel suo fianco.
Altri giudichi, non pensava certo il novello sacerdote che l‟avrebbe giudicato la Chiesa con
decreto del 14 maggio 1991 riconoscendone l‟eroicità delle virtú, cosa che mi risparmia dal dare
un mio giudizio avendolo dato la Chiesa. Mi resta quello di illustrare quel fuoco che l‟avvampò
nei quarant‟anni tre mesi e undici giorni di sacerdozio, e come ne avvampò altri, sacerdoti e
fedeli, fino a farsi precedere sugli altari.
Voglia questa prima parte suggerire a qualche giovane che è bello servire il Signore, e che si
può, anche senza la protezione delle mura d‟un seminario o d‟un convento, perché, per
convertirsi a Dio, non occorre nessuna autorizzazione. Basta dirgli: “Son qua”. Al resto penserà
lui, il Signore, e la sua santa Madre, e gli angeli e i santi a gara. Nessun santo si fece mai santo
solo, meno che meno Giuseppe Frassinetti. Santa la sorella e già sugli altari, lui in attesa
d‟esserle posto accanto, tre fratelli, piú uno di latte, tutti sacerdoti, e tutti di vita
edificantissima.502 Solo Dio sa quanti e quante ebbero il primo incitamento a farsi santi da quei
suoi libretti, e quanti sacerdoti furono facilitati nella via della santità da ciò che Giuseppe
Frassinetti scrisse per loro, e quanti, avvicinandolo, trovarono in lui la guida sicura. Se nel tuo
cuore scoccasse una scintilla…
500 G. FRASSINETTI,
Manoscritti, vol. V, Rischiarimenti sul mio passato, p. 2.
Luca 11,9-13.
502 Famoso il caso di San Bernardo. Un compagnone. Sui vent‟anni due fatti gli avevano dato uno scossone.
Partí per il monastero, ma non da solo. Con lui era uno zio, quattro fratelli e venticinque amici. Di lí a qualche
tempo fu raggiunto anche dal padre e dal fratello piccolo. E non fu che l‟inizio.
141
501
PARTE II
IL PASTORE
1827-1868
Mentre nella prima parte non mi è stato difficile seguire l‟ordine cronologico dei fatti,
senza per altro sentirmene imprigionato, nella seconda è impossibile per la molteplicità
dei campi in cui vediamo impegnato il nostro Venerabile, ciascuno dei quali sarebbe
stato sufficiente a riempire la vita d‟un santo sacerdote. Inevitabile quindi il procedere
per temi con dei richiami di modo che non ci si dimentichi che, mentre lo vediamo
impegnato in una attività, che si direbbe l‟unica, è impegnato in altre, ed anche in esse
in modo che ciascuna sembra unica. Per orientarci, dopo un primo capitolo intitolato
“Come atleta al via”, si passa a trattare per temi cercando di raggruppare, ora
anticipando ora completando, con richiami al già detto e con delle riprese, senza volerci
142
fare di tale metodo una camicia di forza. Diamo qui un prospetto dei principali temi
trattati in questa parte nel modo ora indicato:
1. Unione e formazione del clero in vista della catechesi
2. Il parroco e le associazioni parrocchiali
3. L‟apostolo della vita consacrata
Le Dorotee
Le Figlie di Maria Immacolata, lievito delle Figlie di Maria Ausiliatrice
I Figli di Maria Immacolata
L‟Opera dei figli di Maria per l‟avviamento dei giovani al sacerdozio
4. Quanto ebbe a patire per la difesa del gregge di Dio
5. L‟autore di opere ascetiche, morali e pastorali
6. La diffusione dei suoi scritti nel mondo
7. L‟amore all‟eucaristia ed a Maria.
CAPITOLO XXVII
COME ATLETA AL VIA
Prometti a me ed ai miei successori
rispetto ed ubbidienza?
Prometto
Il 22 settembre 1827, sabato delle Tempora, il vescovo di Savona, alla fine dell‟ordinazione,
tenendo racchiuse nelle sue mani le mani d‟ogni novello sacerdote inginocchiato ai suoi piedi,
completò il rito dell‟ordinazione con le parole su riportate e li congedò con la sua benedizione.
La continuazione della nostra storia altro non è che il racconto di come il nuovo ordinato
mantenne la promessa e come fu fedele alle ammonizioni riportate a conclusione della prima
parte. Non aveva che da aspettare che il vescovo gli affidasse il campo del lavoro, che sarà una
parrocchia anche se “non ebbe mai il desiderio di essere Parroco”. Furono le circostanze a
volerlo.503 Nell‟attesa fa tirocinio, ne fa quanto può, e completa la sua formazione, come ci
503
D. FASSIOLO, Memorie…, p. 29.
143
testimoniano le referenze del suo parroco e del rettore del seminario, richieste dal vescovo
nell‟affidargli la parrocchia.504
Lo vediamo far parte dei Missionari Urbani impegnati nel dare le missioni nelle parrocchie di
città505. degli Operai Evangelici, impegnati nel fare catechismo ai fanciulli; e della
Congregazione della Misericordia che si prendeva cura spirituale dei carcerati. Di quei quattro
anni trascorsi a Genova, oltre alle testimonianze dei vari archivi, abbiamo quella del Fassiolo:
Ordinato Sacerdote si considerò come tutto di Dio; quindi lo prese un aborrimento singolare per
tutto ciò che sa di passatempo o di mondana ricreazione, e senza altro si accinse alla santificazione
del prossimo. Dato il suo nome alle benemerite Congregazioni dei Missionari Urbani e dei
Fransoniani. Vi lavorò indefessamente con un impegno straordinario. Predicare, confessare, istruire
nel catechismo i giovinetti, erano cose che egli faceva col massimo gusto, sempre pronto a correre
dove maggiore scorgeva il bisogno dell‟opera sacerdotale.506
Adduce un paio d‟esempi. Il nove ottobre 1828, sacerdote da un anno, alle tre del mattino,
Genova fu scossa da un terribile terremoto. Per l‟occasione fu data una missione di quindici
giorni nella chiesa della Consolazione. Il Fassiolo dice che in quei giorni, attese indefessamente
a udire le confessioni degli uomini. Il giorno dodici, domenica, la mattina per tempissimo
entrato nel confessionale, tranne l‟ora della celebrazione della S. Messa, non ne uscí che ad
un‟ora dopo mezzogiorno. Il per tempissimo, all‟epoca, era anche le sei del mattino, se non
prima! Non solo in chiesa, ma si recava alle carceri di Sant‟Andrea anche due volte al giorno per
ascoltare le confessioni dei carcerati. Ancora dal Fassiolo507.
Non è da tacere come il Molto Rev. De Gregori, Rettore del Seminario e poi canonico della
Metropolitana, spiegando il Catechismo nella Chiesa di N. S. delle Vigne, in occasione di una
Missione, volutolo seco perché disimpegnasse la parte cosí detta dello Scolaro.508 vi riuscí cosí
bene, che il De Gregori se n‟ebbe tanto a lodare… onde poi l‟invitò a fare in Seminario la
spiegazione del vangelo ai chierici interni ed esterni..509
I registri della Congregazione della Missione Urbana ci dicono di altre presenze del
Frassinetti. Aveva chiesto di farne parte fresco d‟ordinazione. Fece le prime prove alla fine
d‟aprile nel Cantiere della Foce per quelli della catena militare “con consolante successo per lo
zelo dei missionari… e piú per la premura grande di due novizi, Maggi e Frassinetti,
nell‟insegnare a quelli infelici la dottrina cristiana”.510 Lusinghiera l‟attestazione del nuovo
“Attesto di conoscere il Rev. Giuseppe Frassinetti fin dalla sua adolescenza. Ha mostrato un amore allo
studio fuori dell‟ordinario. È d‟un candore unico in quanto a costumi. Ha collaborato in questa parrocchia con zelo
fervoroso. È membro delle congregazioni dei Missionari Urbani, degli Operai Evangelici e della Misericordia verso
i carcerati; si è inoltre molto distinto nella formazione dei fanciulli, meritando apprezzamento e lodi dei suoi
superiori”.
505 I Missionari Rurali erano impegnati nelle parrocchie extra mœnia. I Missionari Urbani, o di San Carlo, in
quelle di città; gli Operai Evangelici, detti anche Fransoniani, dal fondatore, l‟abate Paolo Fransoni, nobile
genovese, che aprí oratori per la catechizzazione dei fanciulli e congregazioni ed accademie di scienze sacre per la
formazione del giovane clero. Di questi il Frassinetti fece parte fin da chierico.
506 D. FASSIOLO, Memorie…p. 25.
507 Ivi, pp. 25s.
508 Il metodo sotto forma di dialogo tra Maestro e Scolaro (o Ignorante), sarà adottato dal Frassinetti nei
catechismi domenicali agli adulti fatti in dialetto genovese.
509 D. FASSIOLO, Memorie…, ivi, pp. 26s. Il Frassinetti ha sempre preparato le sue prediche ed i suoi catechismi e
ce ne sono pervenuti una ricca raccolta.
510 Doveva trattarsi di carcerati addetti ai lavori del cantiere. Nei registri dei Missionari Urbani si hanno altre
144
504
rettore del seminario, il Cattaneo: “da due anni – attesta di lui – ha prestato la sua opera con
grandissimo zelo nell‟alimentare ed accrescere la pietà dei chierici spiegando il vangelo la
domenica”. Dall‟ordinazione sacerdotale all‟assunzione della parrocchia di Quinto furono
quattro anni pieni, con preferenza per i fanciulli:
Si faceva a tutti con bel modo… ed era bello il vederlo in mezzo ai giovinetti spezzar loro il
pane della divina parola, istruirli amorevolmente, sopportarne con una certa noncuranza i difetti.
Stavano attenti alle sue parole e… non sapevano spiccicarsi dal suo fianco… gli riusciva facile
tenerli in chiesa e farli accostare ai Sacramenti… molti di essi a lui stesso si confessavano e non
credeva spese male le lunghe ore che anche alla sera fino a tarda ora impiegava in quest‟opera di
carità… Quanto egli amasse coltivare la gioventú si può anche vedere dal libretto degli Esercizi
spirituali che egli stampò molti anni dopo ad uso dei giovinetti.511
Debbono essere pure gli anni in cui con maggior frequenza “correa alle biblioteche e sopra i
grandi volumi dei Teologi e dei Padri spendeva lunghe ore pensando e meditando senza
risparmiare fatica”,512 avendo dovuto negli otto anni di Quinto se non rinunciare, almeno limitare
tale assiduità non avendo biblioteca a dieci passi da casa. I suoi scritti ci dicono quanta
famigliarità avesse con quei grossi tomi. Da stralci di conferenze che dava ai seminaristi si può
dedurre cosa pensasse il giovane sacerdote, cosa si proponesse di essere e quale il suo
programma di vita. Un esempio di quel suo tono piano e discorsivo di parlare.
Del modo di contenersi verso gli ecclesiastici513
Ho pensato di trattenervi, o miei fratelli, – parla ai seminaristi – sopra un punto di grande
importanza; e cioè sul modo con cui ci dobbiamo diportare nel trattare con gli ecclesiastici… Ciò
che piú facilmente farà sí che noi cadiamo, sarà il dare ascolto a ciò che comunemente si va
dicendo, che tutto sia bene ciò che si fa o che è approvato da certi ecclesiastici. Il tale, il tal altro fa
cosí; il tale, il tal altro dice cosí… Quando i fatti e le parole di quelli ecclesiastici dei quali parliamo
sono conformi allo spirito ecclesiastico che sta nel Vangelo e nella pratica dei Santi, in questi casi
dobbiamo venerarli come esemplari autorevoli e sopra di essi dobbiamo conformare la nostra vita;
ma in casi diversi?... Se mai vi fosse tra gli ecclesiastici alcuno che, pieno di vanità, altro non
stimasse che se stesso, che non cercasse altro che gloria ed onori, che poco stimasse anche le
anime, se non sono di grandi e di ricchi, che conoscesse appuntino tutte le regole dell‟onore e del
decoro per sostenerle anche a spese della carità, che altro non facesse che gonfiare i poveri giovani
ecclesiastici con certe parole di onore, di prodursi, di far spiccare il loro talento e simili, e mai loro
dicesse: “Abbiate zelo per le anime redente dal Sangue di Gesú Cristo; siate umili; non cercate la
vana gloria del mondo; tutto il vostro impegno sia di amar Gesú Cristo”; che direste… di questo
ecclesiastico? 514
Se mai vi fosse un altro che stimasse anche piú dell‟onore il denaro… se daremo a lui ascolto ci
farà venire tanto interessati, che non vorremo poi senza mercede recitare neanche un De
profundis…
presenze: 1829, nella Chiesa del Rimedio, predica sul peccato; 1830; in SS. Salvatore, discorso sulla bestemmia;
1835, in S. Stefano, che era stata la sua parrocchia, sull‟inferno; 1844, al Carmine sul giudizio di Dio; 1855,
all‟Albergo dei poveri, spiegazione del Decalogo; 1862, alle Vigne, dalla quarta domenica di Quaresima a quella di
passione, sulla penitenza. Di tali interventi ci è pervenuta la stesura.
511 D. FASSIOLO, Memorie…, pp. 27s.
512 Ivi, p. 20.
513 Un quaderno di pp. 195 con spiegazioni di vangelo e conferenze ai seminaristi. AF, Manoscritti, vol. XV, pp.
1-195. La conferenza qui riportata fu pure stampata a parte: Discorsi a sacerdoti e chierici, Roma, 1924, pp. 27-32.
514 Lc 6,26.
145
Se mai altri fosse tutto delicatezze, temesse il puzzo delle galere, delle prigioni, degli ospedali,
temesse il rozzo tratto della gente di campagna, non potesse soffrire l‟irrequietezza dei
fanciulli…che diremmo di costui?…
Vedendo altri che si pregia di non esser bigotto; che, quando ha fatto un buon preparamento di
ciarle e di frottole, prende l‟amitto per andare a celebrare la santa Messa… e mette in canzone i
chierici modesti, composti e devoti, che diremmo di costui?… nubes sine aqua...515. Sono la causa
della freddezza e dell‟ indifferenza nel popolo cristiano. Procuriamo di essere buoni ecclesiastici e i
nostri insegnamenti, per non errare, prendiamoli dal Vangelo e dalla pratica dei Santi… Nelle altre
cose non temiamo di andar contro la corrente del mondo.
CAPITOLO XXVIII
GLI ORATORI FESTIVI516
Come e perché a Genova nascessero gli oratori festivi, quale la loro attività e come si fosse
riusciti a radunare le domeniche piú di 700 ragazzi in una sola parrocchia intrattenendoli tra
funzioni religiose, catechismi e giochi ci viene narrato dallo stesso Frassinetti nella vita dello
Sturla da lui scritta:517
[Ancora chierico Luigi Sturla] domandò tosto di essere ammesso tra i chierici… degli Operai
Evangelici… Gli venne assegnato l‟oratorio festivo di Prè… e poiché ivi venivano tutti quelli del
sestiere di S. Teodoro volle prendersi particolare sollecitudine della loro cultura… Per
tempissimo… andava a raccogliere tutti i fanciulli di quel sestiere… e li conduceva all‟oratorio.
Dopo che ivi avevano ascoltato la santa Messa, l‟istruzione della dottrina ecc., li riconduceva alle
515
Nuvole senz‟acqua.
meravigli il raffronto dovendo a lungo trattare dei rapporti tra i due: uguale la dedizione per le cose di
Dio, ma ciascuno con un suo stile.
517 G. FASSINETTI, Memorie intorno alla vita del sac. Luigi Sturla, opera postuma, Genova 1871.
146
516 Non
loro case per la colazione. Poi li portava sulla collina di S. Benigno e li tratteneva per il rimanente
della mattina in ricreazioni e giuochi, cui provvedeva a proprie spese. Venuta l‟ora del desinare, li
rimenava a casa… Tornava poi a chiamarli per condurli alla dottrina in parrocchia. Questa finita, li
riconduceva sulla collina di S. Benigno, dove li tratteneva sino a notte… accompagnandoli
finalmente alle loro case. Cosí passava la sua giornata alla festa, e cosí durò per molto tempo.....518
Don Luca dei conti Passi
La scintilla che fece divampare tanto zelo fu la venuta a Genova di don Luca dei conti Passi
chiamato nel 1829 a predicare il quaresimale al Carmine. Aveva fondato l‟Opera di S. Raffaele
per la catechizzazione dei maschietti e di S. Dorotea per le femminucce. Incontrarlo e sentirsi
bruciare di zelo era un tutt‟uno. Furono tanti che dovettero a lui la spinta a realizzare le grandi
cose.
Pel tratto di circa due mesi che D. Luca si fermò a Genova – è sempre il Frassinetti – lo Sturla
non ebbe riposo… La pia Opera fu stabilita in quasi tutte le parrocchie della città e in molte dei
dintorni. Solo chi ne conosce l‟organamento può immaginare la fatica che dovette costare allo
Sturla il suo impianto, senza di cui il fondatore non faceva nulla, e senza di cui non avrebbe fatto
né anche la decima parte di quanto ha fatto. Partito il fondatore, la pia Opera restò appoggiata a lui
quasi interamente, essendone stato esso solo l‟anima ed il motore. È vero che si interessarono per la
medesima molti sacerdoti e chierici, ragguardevoli signori e signore, buon numero di pii popolani e
un numero stragrande di pie zitelle – si osservi come il Frassinetti tenda subito a slargarsi e a porre
il solista nel coro creando concerto –, ma chi animava, chi incalorava, chi dirigeva… era lo Sturla.
Pareva si moltiplicasse per ritrovarsi da per tutto. In città e fuori di città non si faceva funzione o
radunanza dove non si trovasse.
Ecco cosa si era verificato nella parrocchia del Frassinetti, in di S. Stefano.
In un corridoio… si radunavano tutte le domeniche i giovinetti che intervenivano alla dottrina.
Erano dai 40 ai 50… numero estremamente scarso per la parrocchia di quindicimila anime. Nella
prima domenica intervennero tanti giovinetti di piú che… ne fu piena zeppa la sacristia, il
corridoio, il coro. Io – la sua presenza è sempre ridotta al minimo – ch‟ero incaricato d‟insegnare la
dottrina, pregai il Prevosto che venisse a vedere se era mai possibile ch‟io facessi la consueta
istruzione. Il Prevosto non poté trovare altro espediente che rimandarli tutti, promettendo che
avrebbe provveduto un locale per la domenica seguente. Pregò allora gli Operai evangelici a
permettergli di mandare i fanciulli nell‟oratorio di S. Maria della Pietà… Quel capace oratorio ne
fu pieno: erano in numero di 700. Allora furono necessari, invece di uno, circa quattordici, tra
sacerdoti e chierici, per istruire quei giovinetti, divisi in classi e numerosi drappelli. Lo stesso,
presso a poco, fu il risultato della Pia Opera di S. Dorotea per le fanciulle.519
I “ragazzi del Gianelli” si ritrovano
A tale attività catechetica si ricollega la “Congregazione del Beato Leonardo da Porto
Maurizio” di cui parleremo nel prossimo capitolo. Qui basti accennarne lo scopo: preparare
chierici e giovani sacerdoti a tale apostolato. Ad essa fu poi annessa l‟Accademia di studi
ecclesiastici. In queste opere Frassinetti e Sturla sono l‟uno l‟ombra dell‟altro. Primo lo Sturla
nella Congregazione, primo il Frassinetti nell‟Accademia, mentre, nella riforma del Seminario,
primo sarà il Cattaneo, sorretto, inutile dirlo, dallo Sturla e dal Frassinetti che gli erano stati
compagni di classe nei corsi superiori. Di lí a qualche anno, all‟origine delle Suore Dorotee per
dare stabilità all‟Opera di S. Dorotea per le fanciulle, accanto al Frassinetti e la sorella Paola, non
mancherà lo Sturla.
518 G. FASSINETTI,
519
Memorie intorno…, pp. 8-10.
G. FASSINETTI, Memorie intorno…, pp. 13-14.
147
Sono tutti “ragazzi del Gianelli”, eccetto Paola, anche se, sia pure indirettamente, non poté
non subirne l‟influsso attraverso il fratello, avendolo sentito ad ogni suo ritorno da scuola: “Oggi
il Gianelli…”. In quel 1829, il Frassinetti ed il Cattaneo erano da poco piú di un anno sacerdoti,
lo Sturla ancora chierico, avendo dovuto sospendere gli studi alla morte d‟uno zio per aiutare il
padre nel commercio. Lo sarà nel 1832. Tutti legna secca. Bene stagionata. Don Luca la scintilla
che la fece avvampare. Poi cosa tirò cosa ed intorno a loro si ritrovarono i vecchi compagni di
scuola in un patto d‟azione comune a favore dei giovani.
Questo l‟inizio della “Beato Leonardo da Porto Maurizio”. Ma, per educare alla vita cristiana,
occorrono educatori… educati, ed ecco affiancare la “Beato Leonardo” con un‟Accademia di
scienze sacre per giovani sacerdoti e chierici in sacris.520 Un‟ora tutti i giorni meno il sabato:
Sacra scrittura, dogmatica, morale, storia ecclesiastica, spiritualità ed eloquenza. Al Convitto di
Torino si studiava solo morale, ed ad insegnarla bastava il Guala e poi il Cafasso. A Genova si
mira ad una formazione completa, ed ad insegnare è chiamato il meglio del clero genovese. Non
uno, ma piú, che, per avere un cuore solo, si sentono uno. Non l‟assolo di tromba prestigiosa, ma
concerto di tanti strumenti. Mi piace chiamare la cosa “effetto eucaristia”, diventando i molti uno
in virtú di quell‟unico pane di cui essi si nutrono.521 Se ne parlerà con piú respiro al prossimo
capitolo.
Le norme pedagogiche
Il racconto di quelle domeniche dello Sturla e sue, vissute fra centinaia di ragazzi, che il
Frassinetti ci ha scritto a tanti anni di distanza, non era che la messa in atto di norme da lui stesso
poste per iscritto in opuscoli usciti anonimi e ripubblicati con il suo nome nel 1857: Memorie
intorno alla Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio.522 Tra testo e note, che
trasferiamo nel testo, si trovano in nuce quelle che poi saranno le linee direttive del sistema
educativo di Don Bosco, conosciuto con il nome di Metodo preventivo:
IX. Quando si troveranno nelle sagrestie o in luoghi attigui alla Chiesa dei giovanetti dei quali
non consti la morigeratezza, si interrogheranno con buona maniera sull‟adempimento dei loro
doveri, su la frequenza ai SS. Sacramenti e alla istruzione cristiana. Trovandoli trascurati,
dolcemente si esorteranno a volersi correggere… Si noterà il loro nome e cognome per iscriverli
nella Pia Opera…
X. Quando per le strade si trovassero giovinetti trascurati ne‟ loro doveri… si farà loro una
amorevole correzione all‟istante, altrimenti si inviteranno a venire alla Chiesa nel giorno e ora piú
comoda per ivi farla. – Colle aspre correzioni certuni si indurano maggiormente nel male dicendo:
Chi le ha dato questa autorità di maltrattarmi? A lei non devo rendere conto delle mie azioni, ecc.
Sfuggono di incontrarsi con lui e resta chiusa la strada a una seconda correzione, se è infruttuosa la
prima. Colla mansuetudine S. Francesco di Sales – altro punto di riferimento che si ritroverà in Don
Bosco – convertí una infinità di Eretici (peggiori certamente di qualunque discolo giovinetto); non
si sa se ne avrebbe convertito un solo usando minacce e bravate.523
XI. Quanto il giovane sarà piú insolente, caparbio, ostinato, si userà con lui maggiore dolcezza,
e modi piú amorevoli, né altre minacce (purché non fosse piccolo) che dei divini castighi.524 Non si
sdegnerà, per dir cosí, di inginocchiarglisi innanzi e pregarlo per amore di Gesú Cristo a ricevere i
520
All‟epoca, come era stato per il Frassinetti, seminaristi in gran numero vivevano a casa frequentando il
seminario solo per la scuola.
521 1 Cor 10,17.
522 Stese nel 1847 e pubblicate nel 1857 con dei ritocchi.
523 [G. FASSINETTI], Memorie…, pp. 53s.
524 Don Bosco a volte metteva biglietti fra le lenzuola di questo e quel ragazzo con scritto: “Se morissi questa
notte?”, ed il ragazzo, invece che a letto, andava a confessarsi.
148
salutari avvisi, né si dovrà risentire di qualunque ingiuriosa risposta o cattivo trattamento che ne
ritraesse. – Siano molte le umiliazioni che si debbano fare da un peccatore per salvare un‟ anima,
saranno sempre un nulla al paragone di quelle che N. S. Gesú Cristo ha già sofferto per la salute di
quell‟anima stessa.525
XII. Nessuno mai dirà ho fatto abbastanza per il tale o per il tal altro, ma si moltiplicheranno le
sollecitudini e le premure a misura che crescerà il bisogno.
– Finché Dio non si stanca di dar
tempo al peccatore onde convertirsi, un peccatore suo fratello non si stanchi d‟invitarlo a
ravvedimento.526
I Sacerdoti trovando qualche giovine il quale avesse un Confessore poco adattato a bene
dirigerlo,527 procureranno con bel garbo di assegnargliene un altro; se questo inconveniente si
osservasse da un Chierico, [egli] non si prenderà questo incarico, ma ne avviserà un Sacerdote.528
XIV. Quando si vorrà fare una correzione, dare avvisi, consigli ecc., si alzerà prima la mente a
Dio dicendo: “Eterno Padre, in nome di Gesú Cristo, date forza alle mie parole”.529
Il Frassinetti torna sull‟argomento in una Appendice al suo Compendio di teologia dogmatica
pubblicato agli inizi del 1842. In una dozzina di pagine ci dà un vero trattatello di come educare i
ragazzi, un anticipo del metodo preventivo.
Sul modo di insegnare la Dottrina cristiana ai fanciulli530
Ci avvisa l‟Apostolo che senza le fede è impossibile piacere a Dio. La fede si comunica
mediante l‟udito, non si può sperare che imparino da sé stessi… È importante l‟insegnamento della
Dottrina Cristiana ai fanciulli, perché l‟infanzia e l‟adolescenza è il tempo piú adatto per instillare
nelle loro menti le verità della fede. Le prime cognizioni che loro si danno quando cominciano ad
usar di ragione sono quelle che formano il cristiano. I fanciulli si trovano formati tali senza
avvedersene, quasi nati e non fatti. Le prime impressioni dell‟infanzia restano piú profondamente
radicate e hanno influenza piú potente sopra tutta la vita...
Bisogna procurare che i fanciulli imparino il catechismo materialmente, perché la materialità
delle parole piú facilmente si ritiene… Non si vuol dire però che si debba insegnare il catechismo
solo materialmente. Lo devono mostrare soltanto materialmente le persone che non sono istruite
nella teologia… perché mancanti delle opportune cognizioni teologiche insegnerebbero alle volte
dei gravi errori; chi è poi istruito sufficientemente procuri di sminuzzarlo, di spiegarlo secondo la
capacità dei fanciulli, affinché meglio lo comprendano e le verità che vi contengono facciano piú
viva impressione nei loro animi. Ma qui si avverta di non credere sempre cosa facile ed opportuna
lo sminuzzare molto sottilmente ai fanciulli le verità della dottrina cristiana, che non è sempre cosa
facile, perché nei misteri della fede non si può sapere tutto ciò che si vorrebbe, ma soltanto quello
che dei medesimi Dio ha voluto manifestare… Non è poi cosa opportuna, perché quantunque chi
insegna la dottrina cristiana fosse dottissimo… non sarebbe questa cosa adatta per i fanciulli…
Un‟altra importante avvertenza è quella di non toccare quelle obbiezioni alle quali non si può dare
una risposta che appieno soddisfi il grosso ingegno dei fanciulli, né quelle difficoltà che non si
possono appianare con ragioni palpabili… Ai fanciulli si debbono dare quelle cognizioni che sono
importanti a sapersi per tutti, e con la possibile chiarezza e semplicità…. Questa avvertenza è
importante per i chierici studenti i quali alle volte vorrebbero insegnare ai fanciulli tutto ciò che
essi imparano.
Bisogna istruire i fanciulli gradatamente cominciando dalle cose piú necessarie a sapersi, e da
quelle progredendo a tutte le altre… Si avverta che nell‟istruire i fanciulli non si può pretendere da
tutti la stessa riuscita. Perciò si deve procurare che i piú svelti, d‟ingegno pronto e di memoria
525
Ivi, § XI, pp. 54s.
Ivi, § XII, p. 55.
527 Allusione ai confessori rigoristi che rendevano odiosa la confessione.
528 Ivi, § XIII, p. 55.
529 Ivi, § XIV, p. 55.
530 G. FASSINETTI, Compendio di teologia dogmatica, Genova 1842, pp. 225-236.
526
149
tenace, imparino piú cose, e conviene contentarsi che tanti altri tardi d‟ingegno… imparino soltanto
le cose piú necessarie… L‟insegnamento… non deve essere un insegnamento nudo e secco delle
verità della fede… deve essere un insegnamento sugoso il quale mentre illumina la mente formi
anche il cuore… Queste massime bene impresse nella prima età, non si cancelleranno mai piú in
avvenire.
Chi si accinge all‟importantissima cosa di istruire i fanciulli bisogna che sia paziente, grave e
manieroso531… perché i fanciulli, o per indole alquanto trista, o per rozzezza di educazione e
leggerezza, sono alle volte difficili e tediosi. Bisogna compatirli. Tutto il male in loro non è
malizia. Di certi difetti a volte non ne possono far di meno… Molte leggerezze e mancanze, che
non sono d‟altronde di gran conseguenza, conviene far mostra di non anche osservarle. Bisogna
sgridarli o castigarli all‟opportunità quando le mancanze sono veramente considerabili. Se il
fanciullo si sente sempre sgridare e si vede sempre castigare per ogni sciocchezza, non sapendo
come evitare tanti gridi o castighi, non bada piú né a questi né a quelli, e si forma di un‟indole
insensibile, e quindi incorreggibile.
Bisogna quindi che conservi la conveniente gravità, affinché i fanciulli abbiano sempre per il
maestro il necessario rispetto… [ma] non deve essere disgiunta dalle buone maniere, affinché i
fanciulli gustino di trattenersi con chi loro insegna la dottrina. Chi usa aspre maniere aliena gli
animi dei fanciulli dalla dottrina cristiana. I pochi che v‟intervengono si tediano, si divagano e
nulla apprendono.
Quelli per altro che insegnano la dottrina cristiana con vero zelo, non si trovano mai privi delle
richieste qualità, perché l‟amor di Dio loro insegna ogni modo opportuno per far profitto. Abbiano
dunque molto amor di Dio, considerino quanto sia cosa importante istruire le menti e formare i
cuori dei giovinetti, e quindi sperino abbondanti frutti dalle loro fatiche… agli occhi di alcuni poco
onorevoli e poco stimabili, perché sono dirette alla tenera età, e il piú delle volte a fanciulli rozzi,
ma preziosissime agli occhi di Dio, il quale non riguarda le cose coi pregiudizi dell‟umana
vanità.532
Il Compendio della Teologia Dogmatica uscí il gennaio del 1842. L‟abbia non l‟abbia
conosciuto subito Don Bosco, quando l‟ebbe in mano – ne curò la ristampa nelle Letture
cattoliche nel 1872 –, non poté non riconoscersi in quei suggerimenti e vedervisi prevenuto nel
suo sistema educativo. A voler insistere sulle probabili dipendenze, potrebbe non essere casuale
la scelta di stile da lui fatta per le prime edizioni della sua Storia ecclesiastica – la prima è del
1845 –, che richiama quello del Frassinetti usato in questo Compendio di Teologia Dogmatica di
due anni prima. Stile a domanda e risposta a parti invertite: non è il maestro che controlla il
discepolo per vedere se ha studiato, ma è il discepolo che, spinto dal desiderio di sapere, pone
domande al maestro.533
531
Nel senso che ha belle maniere, che si comporta con garbo. Cfr. N. TOMMASEO, Dizionario dei sinonimi
della lingua italiana: 1775 – Nel manieroso riguardasi segnatamente la piacevolezza e la grazia del parlare e del
conversare; 2244- Manieroso, uomo di buone maniere, e segnatamente di miti e soavi.
532 G. FASSINETTI, Compendio della Teologia Dogmatica, Genova, pp. 225-236.
533 G. BOSCO, Storia ecclesiastica ad uso delle scuole, Torino, 1845. La quarta edizione, curata dall‟Autore,
1871, muta lo stile a domanda e risposta in racconto continuo.
150
CAPITOLO XXIX
LA CONGREGAZIONE DEL BEATO LEONARDO
E
L’ACCADEMIA DI STUDI ECCLESIASTICI
Sono istituzioni che segnarono un prima e un dopo per la Chiesa genovese. La Rivoluzione
francese e la dominazione napoleonica, i “tristi tempi”, come li chiamò il Frassinetti, lasciarono i
loro segni nel Seminario e nel clero, né i tentativi del vescovo Lambruschini, succeduto allo
Spina, erano riusciti ad eliminarli. Lo spirito giansenista era ancora vivo e, se era difficile
individuare i giansenisti dichiarati, erano in tanti a respirarne l‟aria. Questo il clima degli anni in
cui il Frassinetti frequentò da esterno il Seminario e dei suoi primi anni di sacerdozio. Per sua
fortuna negli anni di “rettorica”, era stato ben vaccinato dal Gianelli. I “ragazzi del Gianelli”,
ormai quasi tutti da poco sacerdoti, non potevano non sentirsi in forte disagio. In ugual disagio
alcuni loro coetanei per le condizioni politiche. Indipendentemente gli uni dagli altri, pensano
cosa fare per uscirne fuori. Per gli uni e per gli altri una stessa risposta: unirsi.
Nel 1829 il Signore mandò incontro ai primi don Luca Passi, chiamato a predicare il
quaresimale al Carmine, che rivelò a quei giovani la loro missione: catechizzare. Ma come
catechizzare se non si reperiscono e non si catechizzano i catechizzatori? Questo il pensiero che
toglieva sonno ad alcuni di quei “ragazzi del Gianelli”, specie al Frassinetti ed allo Sturla. Tra
fine febbraio ed inizio di marzo del 1831, il Frassinetti si ricorda di quel suo compagno di
“rettorica”, non ancora sacerdote, che si era dato tanto da fare con il Passi nell‟aprire corsi di
catechesi nelle parrocchie di Genova. Lo va a trovare. È lui a raccontarcelo:
151
Richiedendosi dunque un numero molto maggiore di sacerdoti e chierici per le dottrine… il
chierico Luigi Sturla… si trovò obbligato a cercare collaboratori fra i chierici e i sacerdoti novelli.
Anche il R.do Giuseppe Frassinetti – parla di sé in terza perdona –, sacerdote da circa tre anni…
andava immaginando un progetto di una Congregazione che potesse accogliere i chierici e i novelli
sacerdoti, e ne aveva già ordinato l‟idea sostanziale… [e] già divisato i mezzi opportuni e le
regole…. Sentendo parlare tanto favorevolmente di questo chierico, pensò che sarebbe stata la
persona capace per aiutarlo nel suo divisamento.
Si porta da lui e lo trova con un gruppo di chierici e tre giovani sacerdoti che discutono delle
stesse cose che era andato a proporre. È invitato ad unirsi a loro. Accordo pieno. Si scrivessero
degli abbozzi di regole per il prossimo giovedí.
[Si] portarono varie note…, ma il Frassinetti, che aveva già da tanto tempo meditato il progetto,
portò bello e fatto un piccolo regolamento, che fu approvato da tutti con qualche aggiunta… ed
altre note. I primi che avevano formato la Congregazione, Frassinetti e Sturla, se ne prendevano
come era naturale il piú vivo impegno… Ad essi si uní Giovan Battista Cattaneo, il rettore del
seminario, il quale era stato eletto a questa carica tanto importante nel 1830, in età di anni
ventiquattro. Egli ebbe tanta parte nello stabilimento della Congregazione, che a ragione si reputa
uno dei suoi fondatori, insieme a Frassinetti e Sturla.
È l‟inizio della Congregazione del “Beato Leonardo” e dell‟Accademia che de lí a qualche
anno vi sarà annessa. Preziosa la presenza del Cattaneo, anch‟egli “ragazzo del Gianelli”, che,
ancora tutto odoroso di crisma, era stato fatto rettore del seminario. Un ventiquattrenne! Nelle
Filippiche Cicerone chiama Cesare Ottaviano puer. Il Cattaneo, un puer, formerà con i pueri
Sturla e Frassinetti, suoi coetanei, la triade trascinante. Con loro la “Beato Leonardo”,
l‟Accademia ed il Seminario diventano vasi comunicanti. Ha cosí inizio per i tre amici uno degli
impegni piú cari della loro vita: la formazione del clero in vista della evangelizzazione. Nella
storia del clero di Genova c‟è ormai un prima e c‟è un dopo.
Essi aspiravano a perfezionare la Congregazione – continua il Frassinetti –, ma vedendo che,
mentre essa cresceva in numero, necessariamente si rattepidiva in fervore… divisarono di formare
un drappello a parte, il quale mantenesse quanto fosse possibile il primo fervore, e formasse come
l‟anima della Congregazione.
Si fissa il metodo di vita: un‟ora di meditazione quotidiana, contribuzione mensile per le
spese della Congregazione e la diffusione dei buoni libri, ogni anno esercizi spirituali ed un
giorno di ritiro ogni mese in qualche casa religiosa.
Esercitavano pure tra di loro vicendevole e liberissima la correzione fraterna, essendo in verità
cor unum et anima una. Si elessero fra loro un superiore, che fu il summentovato prevosto di
Quinto [il Frassinetti], cui professavano speciale ubbidienza, però per essere piú sicuri
nell‟ubbidire, egli aveva tre correttori, i quali nel caso di qualche incongrua ingiunzione, potevano
irritarla… Solevano radunarsi una volta la settimana, ordinariamente al giovedí; per la qual cosa, il
prevosto di Quinto non ometteva di recarsi in città.
Catechizzare, certo, ma non si catechizza senza aver prima bene catechizzato i catechizzatori.
Ma se erano tutti o già sacerdoti o chierici di teologia! Non basta, nessuno ha da vivere di
rendita, ma in formazione continua e collettiva perché si sia animati dallo stesso spirito. Fare
corpo. Ridiamo la parola al Frassinetti che continua a parlare di sé in terza persona.
Nell‟anno 1833, oppure 1834, il Frassinetti, che era superiore del suddetto drappello, pensò un
giorno che sarebbe stata cosa utilissima lo stabilire una Accademia di studi ecclesiastici, nella quale
152
si procurasse che i chierici di maggiore capacità, non solo si esercitassero in quelli studi, ma
particolarmente si formassero e si unissero nelle buone massime e nei sodi e veri principi delle
scienze sacre. Pensò che si sarebbe potuto attrarre a questa Accademia il fiore dei chierici, da cui
infallibilmente deve venire il fiore del clero, pensò che ben coltivandosi questo fiore al principio, e
proseguendosene la coltura nei novelli sacerdoti, si sarebbe fatto un bene incalcolabile; quindi
comunicò subito il suo pensiero ai compagni, esortandoli ad adoprarsi che pel prossimo lunedí si
desse inizio a questa Accademia formata dei seguenti studi: 1° di Spirito, ossia di Ascetica, 2° di
Scrittura Sacra, 3° di Dogmatica, 4° di Storia Ecclesiastica, 5o di Eloquenza, 6° di Morale. Un‟ora
per giorno, rimanendo libero il sabato.
Nell‟Accademia si raccolse il fiore del clero, chierici e sacerdoti. Gente scelta, “perché non si
invitavano se non quelli che dessero le migliori speranze per pietà e per ingegno”. Grande il
fervore. Dottrine romane, maestro di spiritualità e di morale S. Alfonso Maria de‟ Liguori,
creando “uniformità di principi e di massime nei vari rami delle scienze”, riscotendo
l‟ammirazione di tutta la diocesi. Si noti la differenza con quanto avveniva nel Convitto
ecclesiastico di Torino. Lí si trattava morale e spiritualità, maestro S. Alfonso, a Genova tutte le
discipline che concorrono a formare un ecclesiastico. Il Frassinetti tenne per sé la storia
ecclesiastica, al Magnasco, futuro arcivescovo di Genova, la dogmatica, al beato Tommaso
Reggio, altro futuro arcivescovo di Genova, la Scrittura, ad altri, tutti bei nomi, le altre
discipline. Abbiamo piú elenchi di mano del Frassinetti con i nomi degli aderenti all‟Accademia,
tolti i ripetuti, si hanno ben 174 ecclesiastici tra membri della “Beato Leonardo” e accademici.
Lo spirito della “Beato Leonardo” è nelle massime che guidavano i suoi membri. Eccone alcune:
I. Che Dio domanderà conto a ciascuno dell‟uso che avrà fatto dei suoi doni…
Il. Sono obbligati a far del bene, non solo quando vi abbiano alcun temporale emolumento di
denari o di lode, ma anche col discapito delle proprie sostanze…
III. Che tanti passatempi e ricreazioni dopo ogni ecclesiastica fatica non suppongono vero
bisogno in chi li prende, ma d‟ordinario una vergognosa accidia.
IV. Che il ministro della Chiesa deve essere uomo di orazione, dato all‟attenta coltura del
proprio spirito, e che la meditazione, la lezione spirituale, la mortificazione non sono cose solo per
i frati e per le monache, che anzi ne hanno maggior bisogno quelli i quali hanno occupazioni piú
gravi.
V. Che non si deve mai disprezzare il bene perché sia poco o di poca durata.
VI. Che si deve conciliare in ogni opportuna occasione la dovuta subordinazione e rispetto alle
autorità ecclesiastiche e civili.
VII. Che si deve promuovere la lettura de buoni libri.
VIII. Che particolarmente si deve attendere alla coltura ed istruzione cristiana della gioventú.
E questi i punti basilari del Regolamento dell‟Accademia:
Il fine di questi studi è che i giovani Sacerdoti, ed i chierici s‟uniscano nel riconoscere e
provvedersi di quei sani principi che sono come le basi sopra le quali dovranno fondare i loro studi
quando vi si daranno da loro stessi ex professo. Sei sono gli studi dell‟Accademia.
Ciascuno degli studi su numerati è presieduto da un direttore:
1. Il Direttore procurerà di persuadere tutti della grande importanza di questo studio [dello
spirito] essendo quello che forma il 3. Lo Studio della Dogmatica. Il Direttore procurerà… di
distinguere chiaramente le verità definite che formano dogma irrefragabile da quelle che non sono
tali… Circa le controversie puramente di scuola degli Agostiniani, Tornisti, Scotisti, Molinisti e
Suareziani il Direttore non s‟impegnerà per nessuno dei partiti…
153
4. Lo Studio della morale. L‟autore che si dovrà seguire sarà il B. Alfonso Maria de Liguori,…
lasciando però la libertà di adottare qualche altra decisione d‟un autore grave ed approvato.
9. Affinché i sacerdoti appartenenti a questa Accademia, impediti dall‟ intervenire agli studi
surriferiti, conservino sempre la debita unione tra loro si farà una radunanza ogni quindici giorni in
cui ciascuno potrà proporre ciò che stimerà opportuno per l‟incremento della Congregazione.
CAPITOLO XXX
L’ORATORIO SAN RAFFAELE
E
L’ORATORIO DI DON BOSCO
Chi, senza guardare le date, leggesse la vita di don Luigi Sturla scritta dal Frassinetti, lo
penserebbe uno che riproduce a Genova ciò che ha visto fare a Torino da Don Bosco. Ma a
Genova siamo al 1829, anno in cui Giovanni Bosco, ragazzo di quattordici anni, si aggirava
ancora per i Becchi. Vedremo Don Bosco fare le stesse cose, ma di lí ad una dozzina d‟anni e
viene da chiedersi se il Santo ne sia stato influenzato. Ci sono divergenze, certo, ma molte ed
indubbie le convergenze. Uguale lo zelo per i giovani, attirati da giochi e scampagnate, un extra
strano per i tempi. L‟una e l‟altro basavano la formazione sul catechismo e la frequenza ai
sacramenti. A Genova però non è un corpus separatum. È parte dalla parrocchia e porta alla
parrocchia divenendone parte della vita, con un aggancio a giovani sacerdoti e chierici di
teologia raggruppati nella “Beato Leonardo”. È qualcosa di corale, non l‟opera di uno. In piú si
ha in parallelo l‟Opera di Santa Dorotea per le fanciulle. Entrambe hanno a monte Don Luca
Passi,
Leggendo le norme del Frassinetti sulla San Raffaele, mi si animavano con ciò che accadde a
Torino nella sagrestia di San Francesco l‟otto dicembre 1841. Mi parve che Don Bosco e
Bartolomeo Garelli stessero recitando su un copione del Frassinetti. Inevitabile la domanda: Era
154
Don Bosco a conoscenza di ciò si faceva a Genova? Non si chiede se Don Bosco conoscesse le
opere del Frassinetti, essendosene fatto anche editore, ma da quando.534
Finché non mi imbattei in una lettera del Gianelli non pensai a legami di dipendenza. A
Genova prima, a Torino poi, due opere suscitate da un unico "Spirito". Si ponga mente alla
successione delle date. Nel 1837 il Frassinetti pubblica le Riflessioni, un libretto di 36 pagine.
Grande lo scalpore. Lo mandano all‟Indice per la condanna. I parroci si presentano
all‟arcivescovo perché lo sconfessi. Il clamore si risolse in pubblicità e invece di passare
inosservato, ebbe larghissima diffusione sí da essere ristampato a Milano in edizione pirata e
l‟anno appresso dallo stesso Frassinetti con l‟aggiunta di note. Basterebbe tale clamore per
ritenere l‟operetta conosciuta negli ambienti ecclesiastici torinesi, dove, non meno che a Genova,
era vivo lo spirito giansenista e viva la reazione a tale spirito nel nome del Liguori, il cui centro
era il Convitto Ecclesiastico di cui l‟anima era Don Luigi Guala il cui spirito non si differenziava
dallo spirito della genovese “Congregazione del Beato Leonardo”, di cui l‟ anima era Giuseppe
Frassinetti.
Al Teologo – scriveva il Gianelli al Cattaneo Il 23.7.1838 – ho mandato la copia delle
“Riflessioni” che mi favoriste.535 Quanta allegrezza ho provato per questa ristampa! È un vero
trionfo. Io però ne sono senza e ne aspetto un‟altra copia.536
All‟orecchio del teologo Guala quel libro fu musica. Vi si raccomandava la lettura del Beato
Alfonso M. de‟ Liguori, ciò che il Guala andava facendo da anni.
Contro questi disastrosi errori [dei giansenisti] era sorto nel secolo precedente il Dottor S.
Alfonso, Fondatore de‟ Redentoristi – leggiamo nel Lemoyne – e le sue opere tutte sono un
antidoto efficacissimo contro di essi. Perciò il Teol. Guala si adoperò a diffondere in Piemonte le
opere di questo Santo.537
Nelle Riflessioni del Frassinetti si leggeva:
Adesso che quasi tutti imparano a leggere, e i nostri nemici sono cosí liberali per diffondere i
perversi scritti, è necessario che noi altrettanto ci adoperiamo… mettendo buoni libri nelle mani
particolarmente dei semplici… Che se mi fosse chiesto di quali opere, tra l‟altre molte, si dovrebbe
particolarmente promuovere la lettura, direi le opere del beato Alfonso Maria de Liguori.538
In nota si difende dalle accuse mosse alla prima edizione e indica alcuni titoli del Liguori. Il
Frassinetti come il Guala. Non fa meraviglia se nel Convitto il Guala cominciasse a donare
l‟opuscolo del Frassinetti a quanti vi andavano per direzione spirituale, uno il chierico Bosco. Si
noti la catena: Frassinetti  Gianelli  Guala  Convitto Ecclesiastico, dove Don Bosco andrà
"Il mio Protettore è San Francesco di Sales / il mio Maestro è San Tommaso / il mio Teologo è Sant‟Alfonso,
/ il mio Autore è il Frassinetti”. Parole udite da Don Bosco dal suo alunno e barbiere Don Bartolomeo Fornari. Cfr.
Lettera del salesiano Giorgio Seriè al padre Giovanni Vaccari in data 27 ottobre 1953. AF. Si noti che il "Maestro"
ed il "Teologo" di Don Bosco sono gli stessi del Frassinetti, del Guala e del Cafasso. Sono le “autorità” a cui si
rifacevano sia la “Beato Leonardo”, sia il Convitto Ecclesiastico.
535 Seconda edizione curata dal Frassinetti, terza se si tiene conto dell‟edizione pirata.
536 Le prime due nell‟AF, la terza in A. GIANELLI, Lettere, vol. II, lettera 467, p. 155.
537 GB. LEMOYNE, Memorie biografiche di Don G. Bosco, vol. II, Torino 1901, pp. 41s. Il Lemoyne da bambino
era portato dalla nonna alle prediche del Frassinetti. Gli rimase molto attaccato. Già sacerdote, volendo farsi
salesiano, Don Bosco pose per condizione il consenso del Frassinetti.
538 G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici, Genova 1838, p. 19. Il testo di questa edizione è
conforme alla prima dell‟anno innanzi, con l‟aggiunta di 19 note.
155
534
a completerà i suoi studi dal 1841 al 1844. I contatti del Gianelli con Torino continuano.
Entusiasta della pubblicazione del Frassinetti, e della successiva, Osservazioni sopra gli studi
ecclesiastici, il 4.aprile1840 gli scriveva da Torino:
Qui vi è tanto maggior difficoltà in quanto le Dottrine di sant‟Alfonso non sono ancora vedute
di buon occhio, non solo dai Giansenisti che qui abbondano, ma anche dai buoni cattolici, perché
tutti formati sulla sesta del rigorismo… Spero che molto potrà influire e giovare la presenza del
Nunzio Apostolico [Vincenzo Massí]. Oh che brav‟uomo! È un santo... Mons. Gualco vi avrà detto
di mandar copia dei vostri due Opuscoli [le Riflessioni e le Osservazioni] al Nunzio.
E a don Barabino da Bobbio il 10 maggio 1840: “Il Nunzio è innamorato del clero di Genova.
Aveva cominciato a leggere gli Opuscoli del Frassinetti e ne è incantato”. Il Gianelli aveva
quindi rapporti con il Guala e nei soggiorni a Torino diffondeva le due opere del Frassinetti. Di
piú. Nel 1843 il Frassinetti aiutando mons. Francesco Cabrera, anche lui entrato nella "Beato
Leonardo", ad aprire in Genova un "Convitto ecclesiastico" per chierici e sacerdoti spagnoli, si
rivolse al Guala per avere le regole del suo "Convitto".539
L‟otto dicembre 1841, data a cui risale l‟inizio dell‟Oratorio, Don Bosco era uno dei
convittori. Dati i rapporti Frassinetti-Gianelli-Guala e Frassinetti-Guala, è pensabile che libri cosí
“chiacchierati” per l‟antigiansenismo e l‟alfonsismo, destinati il primo al clero in genere, ai
giovani studenti di teologia il secondo, entrambi inviati dal Gianelli al Guala con alti elogi e
confermati dall‟autorità d‟un nunzio ritenuto santo da un santo, non fossero conosciuti dallo
studente di teologia Giovanni Bosco, almeno dalla sua entrata nel "Convitto" in cui il giovane
clero veniva formato sui testi del Liguori?
Prima delle Riflessioni il Frassinetti aveva già pubblicato nel 1835 il Regolamento per una
conferenza di Ecclesiastici collaboratori della Pia Opera di S. Raffaele e di S. Dorotea steso
quattro anni innanzi, essendo stato “approvato dal Vicario Generale Lorenzo Biale il 2 luglio
1831.540 Non si ha prova se anche questo opuscolo di 11 pagine, uscito anonimo,541 fosse giunto
al Guala, ma, data l‟ amicizia con il Gianelli, al quale il Frassinetti dava sempre a rivedere i suoi
scritti, la cosa è verosimile, tanto piú che nelle Riflessioni c‟è un richiamo all‟opera di San
Raffaele ed a quella di Santa Dorotea. Pubblicazione anonima in quanto non portava il nome
dell‟autore, non perché fosse ignorato chi l‟aveva stesa, specie da un Gianelli che le aveva
sempre tutte in prima lettura.
Dalle lettere scritte al Frassinetti agli inizi degli anni Quaranta si apprende che la “Beato
Leonardo” si andava riproducendo anche altrove in Italia, è quindi verosimile che a questo
opuscolo, che ne conteneva il programma, fosse stata data grande diffusione tra il giovane clero.
Non osta che a Torino ci fosse già il Convitto Ecclesiastico, limitandosi questo al
perfezionamento del giovane sacerdote in vista del confessionale, mentre la “Beato Leonardo”
era nata per tenere il clero unito negli impegni pastorali e promuoverne la santificazione.
539
Nell‟AF la risposta del Guala.
Si ha un manoscritto del Frassinetti firmato da 39 membri, di cui 3 abati, uno Agostino de Mari, futuro
vescovo di Savona, 8 sacerdoti, 28 chierici tra i quali il fratello Giovanni e lo Sturla. Non ancora presente il
Cattaneo. Segue un altro foglietto di due facciate con alla fine una nota: “Approvato dalla radunanza del dí 18
febbrajo 1831”. Ripubblicato come Documento I nelle Memorie intorno…, pp. 47-55,
541 Non meravigli l‟anonimato illustrando l‟opuscolo le direttive della Beato Leonardo. A volte l‟anonimato era
legato alle condizioni del tempo e suggerito da prudenza, o al non volersi mettere in vetrina o perché il nome
dell‟autore non condizionasse il lettore. Mai per sfuggire le proprie responsabilità. Di alcune pubblicazioni è solo
della prima edizione. Anonimato non assoluto, avendo sempre chiesto l‟imprimatur della Curia
156
540
Leggendo questi opuscoli si ha l‟impressione che nella sacrestia di San Francesco l‟otto
dicembre 1841 Don Bosco e Bartolomeo Garelli stessero recitando su di un copione del
Frassinetti, vecchio di dieci anni, non solo, ma che il giovane sacerdote si sia rifatto a quegli
opuscoli anche per altre iniziative del suo zelo, quali la passione per lo studio della storia e la
diffusione della buona stampa.542
L’otto dicembre 1841
Un ragazzone se ne sta imbambolato nel mezzo della sacrestia. Un sagrestano manesco lo
malmena cacciandolo a bacchettate. Interviene Don Bosco, lo fa richiamare e s‟interessa di lui
ponendogli delle domande. Riporto qui sotto in doppia colonna le norme del Frassinetti e la
scena riferita dal Lemoyne.
Norme del Frassinetti
IX. Quando si troveranno nelle
sacristie o luoghi attigui alle Chiese dei
giovinetti dei quali non consti la
morigeratezza, si interrogheranno con
buona maniera sull‟ adempimento dei
loro doveri, intorno la frequenza dei SS.
Sacramenti e alla istruzione Cristiana, e
trovandoli trascurati dolcemente si
esorteranno a volersi correggere; si
indicherà loro un buon Confessore, se già
non lo avessero, si noterà il loro Nome e
Cognome per iscriverlo alla Pia Opera
[di S. Raffaele].
Se la prima correzione sarà inutile, si
replicherà finché si arrendano.543
I giovinetti separati da‟ loro
compagni, e corretti dolcemente da soli,
sogliono essere piú umili e meno restii ad
arrendersi. Si deve inoltre cercare l‟ora
piú comoda per essi, giacché il pescatore
cerca sempre l‟ora piú adatta onde
assicurarsi una buona pesca e non
osserva se gli comodi.544
542
Racconto secondo il Lemoyne
– Come ti chiami?
– Bartolomeo Garelli.
– Di che paese sei?
– Di Asti.
– Che fai?
– Il muratore.
– Hai papà e mamma?
– Sono morti.
– Quanti anni hai?
– Sedici.
– Sai leggere e scrivere?
– No.
– Sai cantare?
– No.
– Sai fischiare?
– Oh, sí!
– Hai fatto la prima comunione?
– No.
– E la prima confessione?
– Sí, ma ero piccolo.
– Dici sempre le preghiere?
– Non le ricordo.
– Vai al catechismo?
– No. Mi vergogno a stare con i
piccoli che lo sanno ed io non lo so.
– Se te lo facessi io a parte in una
cameretta dove nessuno ti maltratterà?
– Oh, sí!
– Vogliamo cominciare adesso?
– Certo.545
Cfr.: [G. FRASSINETTI], Memorie..., pp. 51-55 (cap. III, 1.8-14); Riflessioni... pp.18-23 con le note 9-11, pp.
42-43
543
Ivi, p. 54.
nota 1 al § X, p.54.
Memorie…, vol. II, cit., pp. 70-75.
544 [G. FRASSINETTI], Memorie…,
545 GB. LEMOYNE,
157
Domande ovvie che si usa rivolgere ad un ragazzo, non molto diverse da quelle che Don
Bosco da piccolo si sentí rivolgere dal chierico Cafasso: – Quanti anni hai? vai a scuola? hai
fatto la prima comunione? ti confessi spesso?… –,546 ma a ragazzi che si presentano bene, puliti,
educati, con cui s‟apre e si chiude il discorso e tutto finisce lí. Qui no. Sono ragazzi nessuno con
nulla in loro che ti attiri, spesso discoli e villani, persino insolenti, abituati ad essere trattati a
calci, bacchettate e male parole. Ragazzi da togliersi dai piedi. Don Bosco qui sembra aver fatto
sue le norme date dal Frassinetti.
Sono molte le convergenze tra i due, convergenze che non cancellano le differenze. Molti i
campi in cui sono sulla stessa linea, oltre la cura della gioventú: il culto della storia a servizio
dell‟apologetica. Nelle Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici su 112 pagine 58 sono dedicate
allo studio della storia ecclesiastica, spesso ignorata nei corsi teologici dell‟epoca.547 Cosí anche
la diffusione della buona stampa, di linguaggio popolare, a pochi centesimi e forti tirature.
I nostri nemici si fanno oratori eloquenti di Satana e dove non giungono le parole mandano i
libri… I libri sono quelli onde i nemici si valgono per diffondere l‟errore e autorizzare il
disordine… Noi ecclesiastici dovremmo pure con altrettanto impegno promuovere la lettura dei
libri buoni, i quali bene spesso non sono letti e stimati perché non sono conosciuti; e non solo
dobbiamo promuoverla nelle persone colte, ma anche nelle persone illetterate, purché sappiano
alquanto leggere ancorché il nostro zelo dovesse cagionar qualche spesa… L‟apostolato degli empi
si adopera specialmente al sovvertimento della gioventú… Noi a questa sgraziata generazione…
dobbiamo opporre una generazione pia e morigerata… si rende perciò necessario che coltiviamo
con premure particolari la gioventú. A lei procuriamo dei buoni libri, onde si formi con veri e retti
principi di onestà e di religione; correggiamone con amorevole maestria la leggerezza e l‟
incostanza… facciamole gustare il bene e le pratiche di pietà, sicché vi si radichi e vi si assodi;
guardiamola dai pericoli con vigile cautela; rendiamola sottomessa e ubbidiente a chi la dee
governare e dirigere; e tutto ciò sia da noi eseguito con gran zelo ed impegno, giacché ella forma le
speranze di santa Chiesa… Non disdegniamo di occuparci intorno alle tenere pianticelle, affinché
crescano sane e vigorose, né vengano guaste da mano nemica.548
Se il libro non fosse datato, questa pagina scritta nel 1837, tutti la direbbero un manifesto
programmatico di Don Bosco, mentre, e non penso si sia lontani dal vero, di questo manifesto
Don Bosco dovette fare il suo programma d‟azione: cura della gioventú e stampa popolare. Le
rispondenze esaminate non sono le sole e fanno pensare che forse fin da chierico Don Bosco
fosse a conoscenza di tali scritti e ne rimanesse influenzato. Per avere contatti documentati tra i
due occorre attendere gli anni Cinquanta. Di lí ad un secolo e mezzo un altro giovane sacerdote
piemontese, il beato Don Alberione, troverà nel Frassinetti il suo ispiratore e maestro per
l‟apostolato della buona stampa e tra le sue prime pubblicazioni non potevano mancare opere del
Frassinetti.
GB. LEMOYNE, Memorie…, vol. I,
547 Nel seminario di Genova si riuscí
546
Torino 1898, p. 186.
ad introdurla in quegli anni, ma, nel 1854, il nuovo arcivescovo ne abolí la
cattedra. Cfr. PIETRO TACCHINI, Lettera seconda a Enrico Jorioz autore della Biografia di Andrea Charvaz, Genova
1871, p. 31. Pietro Tacchini uno dei 28 chierici che nel 1831 firmarono il Regolamento.
548 G. FRASSINETTI, Riflessioni…, pp. 15-21. Di Don Bosco non tutti sanno che fin dagli inizi scrisse opere
comprensibili anche dai rozzi, di poco costo e grande divulgazione.
158
CAPITOLO XXXI
PARROCO A QUINTO
L‟archivio della parrocchia di Quinto, dove il Frassinetti fu parroco dal 1831 al 1839, ci ha
conservato una buona documentazione della sua presenza. Quinto era un villaggio sui duemila
abitanti a cinque miglia a levante di Genova. Contadini e pescatori. Lasciamo quanto riguarda
l‟amministrazione – anche di essa ha da occuparsi un parroco e va a lode del Frassinetti la cura
con cui tenne la contabilità, anche se non fa meraviglia in un genovese figlio di mercante –, e
fermiamoci sui documenti che ci attestano il suo impegno pastorale da sembrare che a Quinto ci
fosse missione i 365 giorni dell‟anno.
Perché la vita di pietà dei tempi passati non desti stupore in un lettore di oggi, specie se è nato
a riforma liturgica attuata ed affermata, sono necessarie due parole per riporci nel mondo di
allora. Nella mia fanciullezza, vissuta in un paesetto posto sulla cima di un monte alto mille e
duecento metri, per scendere nelle nove frazioni che gli fanno corona nelle valli e risalire al
paese, c‟erano solo sentieri da capre. Unico mezzo per muoversi erano i piedi o l‟asino. Per i piú
benestanti il mulo. Ora che anche lassú c‟è tutta una rete di strade, non si vede piú un asino, non
un mulo. Chi ignorasse quanto essi siano stati preziosi per secoli, potrebbe chiedersi come
facessero a vivere lassú senza le strade. Come avranno fatto ad innalzate la Cupola di San Pietro
sprovvisti com‟erano di elettricità e dei mezzi di cui oggi noi disponiamo? Ma lassú la Cupola
c‟è. Avevano mezzi efficaci che oggi piú non servono e di cui i piú ignorano perfino l‟ esistenza.
Cosí per la pietà, c‟erano forme diverse che portavano allo stesso risultato. Ne è prova la
moltitudine di santi vissuti prima della riforma liturgica.
A quei tempi tanta gente era analfabeta, la cultura di quei rari che avevano frequentato
qualche anno di scuola, specie nei villaggi, non andava oltre le tre o quattro classi di elementari,
piú su giungevano in pochi.549 La lingua d‟uso era il dialetto. La forma odierna della liturgia
sarebbe stata per loro quel che poteva essere l‟automobile per i contadini del mio paese prima
che costruissero le strade. Ma, essendo le vie di Dio infinite, la gente non fu meno santa. Il
Frassinetti, e non solo lui, a chi non era in grado di servirsi dei nostri modi per mettersi in
contatto con Dio, ne offriva altri e popolava il cielo di santi.
La catechesi
549 Analfabeti, ma non stupidi né ignoranti, come si potrebbe pensare. Ciò che non potevano apprendere con gli
occhi leggendo, l‟apprendevano con l‟ascolto e, perché meno distratti, lo ritenevano meglio. Per restringerci al
campo religioso, buona la conoscenza delle dottrina, della storia sacra, dei fatti del vangelo, delle vite dei santi.
159
Giunto a Quinto, per prima cosa organizzò la catechesi, istituendovi l‟Opera di Santa Dorotea
per le fanciulle e di San Raffaele per i fanciulli, opere di cui si è già a lungo parlato. Ha molto
interesse il modo in cui le organizzò. Troviamo nei libri parrocchiali in data 1835:
Venuto economo in questa parrocchia, ho veduto il gran bisogno che vi era di stabilirvi la Pia
Opera e, con l‟aiuto di Dio, in poco tempo ci sono riuscito… Io che ho veduto in Genova il frutto
mirabile di questa Pia Opera, e poi quello che ha prodotto in questa parrocchia, non poso cessare di
farne ogni encomio.
Questa l‟organizzazione. Scelta una donna di pietà e carità, l‟Anziana, e una vice, pone
entrambe a sostegno delle Sorvegliatrici, “donne molto pie, impegnate e di molta carità verso le
fanciulle”. Ad ogni sorvegliatrice un drappello di fanciulle da otto ad una ventina, e due
assistenti, “giovani morigerate, serie e devote”, che si prendono cura delle fanciulle della
dottrina. Loro compito, oltre il catechismo, è tenerle lontane dalle cattive compagnie ed
invogliarle a frequentare i sacramenti. In breve, abbiano per esse le premure di una buona
mamma. Le fanciulle del catechismo vanno dai cinque ai quattordici anni. Passata tale età,
possono ancora rimanervi, non però iscriversi. Una cura particolare per le trascurate dalle
famiglie, ma non iscriverne contro la loro volontà. Convincerle. Compito questo riservato al
parroco. Queste le norme pedagogiche: mai maniere brusche, usare sempre dolcezza per quanto
possano essere caparbie, mai questionare con i parenti. Contentarsi di quel che si riesce a
ricavare.550 Nei quattro anni da che la Pia Opera era stata istituita a Quinto, il numero delle
fanciulle si vide triplicato: “Io adesso ho la consolazione di vedere venire alla dottrina cristiana e
frequentare i sacramenti tutte le fanciulle della parrocchia”. Aggiunge che il concorso delle pie
donne gli aveva alleggerito molto il lavoro di parroco.
Una statistica del 1838551 riporta 15 drappelli di fanciulle con il nome di ciascuna di loro,
delle assistenti e delle sorveglianti. Le fanciulle sono 186, dai cinque ai quattordici anni, rare di
quindici. Defalcando 38 nomi cancellati, ne restano 98, cui vanno aggiunti, tra maschi e donne,
quarantadue sorveglianti ed assistenti, e questo in un paese sotto i due mila abitanti! I
sorveglianti e le assistenti erano oggetto di cura speciale nella “Compagnia della Dottrina
cristiana”, mai abbandonati a loro stessi o senza guida pedagogica. Le formule della Dottrina si
apprendevano cantandole, essendo “molto utile, perché i fanciulli, cantando adagio le parole
della Dottrina, le imparano meglio”.
I maschi appena ventiquattro. Ne dice la ragione: “In questi paesi di marina è piú difficile
trovar uomini impegnati a fare da assistenti”, essendo in gran parte imbarcati. Gli stessi fanciulli
fin dai dieci anni si accompagnavano al padre o a qualche parente a fare da mozzi. Chiude con
una notazione: sorveglianti ed assistenti, sia uomini che donne, per non sentirsi dire: “medico
cura prima te stesso”, sono diventati migliori. Dell‟inizio delle Congregazioni di Santa Dorotea e
di San Raffaele, a cui sarà affidata tale opera, si è già parlato.
Grande importanza è data allo studio del catechismo.552 Tutte le domeniche, estate ed
inverno, senza saltarne una, nel primo pomeriggio c‟era il catechismo ai fanciulli e alle fanciulle
presente il parroco. Terminato il catechismo ai fanciulli, c‟era il catechismo agli adulti fatto in
550
Sulla sua pedagogia ci siamo già diffusi dimostrando che anticipava di dodici anni il metodo preventivo di
Don Bosco e che Don Bosco fu forse influenzato dai suoi scritti.
551 Nel 1838 non aveva piú con sé la sorella né a Quinto vi era piú alcuna dorotea.
552 Ce ne sono pervenuti in gran numero. Otto formato quaderno. Calcolando il doppio i volumi formato
protocollo, si hanno ben 7228 pagine formato quaderno!
160
genovese in forma di dialogo: ad un sacerdote la parte dell‟ignorante, ad un altro quella del
maestro. I molti manoscritti a noi pervenuti ci attestano l‟impegno con cui vi si preparava. Si
ometteva solo le domeniche con i vespri cantati. In Quaresima la “dottrina” diventava quotidiana
per quei che si preparavano alla prima comunione, somministrata il lunedí santo. In quel giorno
perché i fanciulli non restino tutto il giorno oziosi e, peggio, non lo passino andando di qua e di
là a mangiare e bere disordinatamente, io ho introdotto l‟uso di richiamarli in chiesa e, dopo aver
tenuto un discorso sulle rinunce del battesimo, le fo rinnovare.
Altra innovazione:
Perché, coltivando la gioventú, si fa il bene piú grande che un parroco possa fare, già da vari
anni ho introdotto una specie di esercizi spirituali ai giovanetti e alle giovanette durante la
settimana di Passione. Invito a questi esercizi tutti i giovanetti e tutte le giovanette già ammessi alla
comunione e che non superino i sedici o diciassette anni.
Una pastorale innovativa codificata nel 1858, ad un quarto di secolo, con una pubblicazione
fortunatissima: Esercizi spirituali per giovanetti di ambo i sessi”.553 Una conferma di quanto
affermato: il Frassinetti scrive la sua esperienza, e solo dopo lungo collaudo. Senza che ci pensi,
quindi, ci dà la sua autobiografia.
Quando io era parroco in un paese della riviera di Genova… dovendo preparare i fanciulli alla
prima Comunione, pensai che sarebbe stato bene disporli… con alcuni giorni di esercizi spirituali,
invitando a prendervi parte gli altri giovinetti e giovanette… Molte volte poi ho ripetuto questi
esercizi in città, anche in qualche educandato, e anche fuori dell‟occasione della prima Comunione.
Tutte le volte ho dovuto persuadermi che non mi ero ingannato in quel primo giudizio. Mi consta
inoltre che l‟esempio fu imitato da altri, certamente con frutto, perché piú volte vollero rinnovarne
la prova. Per chi non ne ha l‟esperienza, basterà, una sola riflessione perché si persuada:
all‟adolescenza si parla quasi mai direttamente: le prediche, le spiegazioni del Vangelo, i
catechismi riguardano quasi esclusivamente gli adulti; di modo che raramente i giovinetti ascoltano
parola di Dio che si confaccia ai loro particolari bisogni… In questi esercizi ho usato qualche
parabola in luogo di esempi… come imitazione dell‟Evangelo… posso assicurare che ne ho avuto
consolazioni particolari per il numero con cui intervenivano, tale da riempire la chiesa, e per le
confessioni che vi ascoltavo…
Colpisce il linguaggio piano della pubblicazione, segno che chi scrive è uso a parlare ai
fanciulli e ad essere da loro ascoltato. Ne riporto un paio di periodi:
Iddio si mostrò sempre amante delle primizie. Quando il popolo ebreo gli faceva le offerte nel
tempio di Gerusalemme, voleva per sé le primizie; voleva il primo agnello, il primo grano che si
mieteva. E perché? Perché Dio vuole per sé le cose piú preziose… Vedete infatti quanto sono cari i
primi carciofi, la prima uva? Orbene, perché sono piú preziose, Iddio vuole per sé le primizie della
nostra vita, vuole per sé la bella età dell'adolescenza… Per questa ragione, perché la vostra età è la
553 Il Povero, un foglio satirico di Genova, nel n. 50(1850) del 26 settembre, a pagina 3, trovò modo di
satireggiare Il celebre Autore dell’opera "Due parole all’orecchio delle gentili signore" – si alludeva ad un suo
libriccino in cui le gentili signore erano richiamate a serietà e modestia –, il Parroco di S. Sabina, tutte le sere dà gli
esercizi spirituali a porte chiuse – falso le porte chiuse! – ai giovanetti della sua parrocchia. Ciò che suoni in
Genova il nome di Frassinetti, è inutile dire, questo solo vuol osservare Il Povero, che… or nel medesimo metro non
si dilettasse di biasciarle a quelle dei ragazzi. Padri e madri di famiglia, diffidate di questo Pastore, che vuole fare
sue faccende a porte chiuse… Tenetevi a casa i vostri figli, educateveli voi, che codesti esercizi alla men trista
saranno certo una scuola di reazione. Le ultime parole sono la chiave di lettura. Al suo apparire di lí a qualche
anno, l‟opera fu ampiamente recensita con alte lodi dalla “Civiltà cattolica”, libro piú e piú volte ristampato.
161
piú cara al Signore. Gli Angeli custodi si prendono particolari premure di voi e vi assistono con
singolare vigilanza e con piú tenero amore. Per questa ragione medesima i Santi e le Sante piú
insigni dimostrarono sempre speciale impegno di coltivare il vostro spirito… Ma perché parlo degli
Angeli, perché parlo dei Santi, mentre vedo che il medesimo Signor nostro amava tanto i fanciulli,
godeva di vederli intorno a sé, metteva sul loro capo le sue mani divine e loro dava con effusione di
cuore le piú abbondanti benedizioni? Un giorno alcuni fanciulli si accostarono a Gesú, forse
qualche poco schiamazzando. Temendo i Discepoli che Egli ne fosse tediato, si diedero a
scacciarli. Gesú disapprovò questa loro severità: “Oh! che cosa fate?– diceva – lasciateli venire a
me, godo di stare con loro, coi miei cari fanciulli, ai quali particolarmente è destinato il Paradiso”.
Lo stile di un papà che parla ai figlioli. Duravano sei giorni, ogni giorno una riflessione sulle grandi
verità: Chi ci ha creati e perché, la presenza di Dio, la fuga dal peccato, il pericolo delle cattive
compagnie e dell‟inferno, il paradiso, la devozione alla Madonna, la frequenza alla comunione… L‟altro
discorsetto era un esame pratico di come comportarsi. Un esempio:
Sono cattive compagnie quelle che insegnano a disubbidire al padre e alla madre, a rubare in
casa e fuori casa, quelle che hanno in bocca cattive parole… che le feste fanno perdere la santa
Messa, specialmente quelle che fanno certi discorsi che non si vorrebbe fossero sentiti perché sono
discorsi brutti e maliziosi…
Si chiudevano con ricordi e massime che riassumevano quanto era stato loro detto e raccomandato.
I mesi di febbraio marzo ed aprile erano i piú pieni, essendo il tempo in cui i contadini non
erano troppo assorbiti dai lavori. Gli ultimi dieci giorni del carnevale messa al mattino prima di
andare al lavoro. Da Quinquagesima fino a Pasqua tutte le domeniche al pomeriggio esposizione
del Santissimo e predica.
Il culto perpetuo del SS. Sacramento
Consisteva in un‟ora di adorazione fatta in casa, distribuito il compito in modo che in ogni ora
del giorno e della notte, e giorno dell‟anno, ci fosse uno in adorazione. Come era stato divulgato
– un‟ora l‟anno ogni iscritto –, presentava due gravi difficoltà: facile scordarsene ed occorrevano
8760 persone. In una parrocchia come la sua che non arrivava a duemila, compresi i lattanti,
neppure a parlarne. Propone di portare l‟ora di adorazione da annuale a bimensile, riducendo cosí
le persone necessarie a 365. Essendo l‟impegno quindicinale, era facile ricordarsene. La proposta
venne diffusa con una sua pubblicazione del 1839.554
La sordomuta di Nervi.
Accade che si pensi ai tutti e si ignori l‟uno, nel caso una sordomuta sui quarant‟anni nella
parrocchia limitrofa di Nervi condannata a vivere nella completa ignoranza di Dio. A Genova
c‟era un istituto per loro, non però in Riviera. Questo ci dice che lo zelo del Frassinetti non si
restringeva ai soli parrocchiani.
Infelici sordomuti, non conoscono quel Dio che li creò a sua somiglianza, né sanno del perché
del loro stato e come alleggerirlo con la speranza di una vita tranquilla ed eterna – scrive in quel
suo studio –. Vengono nelle nostre chiese e vedono i suo altari, l‟immagine di un uomo crocifisso,
ma quali sentimenti può suscitare in un sordo muto?
Cosa fare per annunciare loro i misteri principali della fede sí da poterli ammettere alla
confessione e comunione? Un suo cappellano, don Domenico Cortese, gli fece notare che la vista
poteva supplire l‟udito. Gli bastò per escogitare un suo metodo per tanti poveretti di villaggio
554 [G. FRASSINETTI], Culto perpetuo del SS. Sacramento, Genova 1839, pp. 16. È anche riportato in tutte le
edizioni del Parroco novello.
162
privi della possibilità di entrare nell‟ istituto messo su a Genova dallo scolopio Ottavio Assarotti,
cui era succeduto nella direzione don Luigi Boselli. Lo provò con quella sordomuta ottenendo il
necessario per ammetterla alla confessione e alla comunione. Pensò quindi di passare la sua
esperienza ai parroci dei villaggi dove, a differenza del centro, non c‟erano istituzioni che li
curassero, stendendo un trattatello. Un‟istruzione limitata all‟azione pastorale non potendo un
parroco fare di piú. In 13 pagine presenta la situazione del genovesato, esclusa la città, indicando
quanti sordomuti ci sono in ogni parrocchia, 58 in tutto, e in 16 pagine in scrittura minuta espone
il metodo escogitato per catechizzarli. Ebbe l‟infelice idea di mandarne copia al Boselli per
averne un giudizio. Trovò una spina.555
L’epidemia colerica
Un flagello che faceva spesso strage e, ad ogni ricorrenza, sia a Quinto come poi a Genova,
vediamo il Frassinetti incurante del contagio. A Quinto, lui parroco, si verificò in agosto
settembre 1835, 100 i casi 37 i morti, nel settembre del 1836, 36 i casi 26 i morti, e nell‟agosto
settembre 1837, 58 i casi, 27 morti. Non uno fu privo di assistenza spirituale, o sua o dei
cappuccini di Quarto, assistenza come è raccomandata nel suo Parroco novello, non limitata all‟
amministrazione dei sacramenti, ma fatta di ripetute visite e di presenza continua durante
l‟agonia.
555
Vedere Spina 1 nel capitolo “Triboli e spine”.
163
CAPITOLO XXXII
PARROCO A SANTA SABINA IN GENOVA
Si legge in Plutarco che Cesare, recandosi a governare la sua provincia, nell‟attraversare le
Alpi, giunto ad un villaggio di quattro case, si sentí chiedere da alcuni del seguito se anche lí si
nutrissero ambizioni di comando e si lottasse per conseguirlo. Cesare rispose serio: “Preferirei
essere primo qui che secondo a Roma”. Altri gusti il Frassinetti. A Quinto, un paesetto, era un
qualcuno, potremmo dire il primo, per giunta in un angolo di paradiso: eterna primavera, boschi
d‟ulivo, aranceti, mare azzurro e fiori ovunque, ed ecco che lo lascia per l‟ ultima parrocchia di
Genova da nessuno ambita tanto era povera e mal ridotta, Santa Sabina.556 A giudicare il parroco
dalla parrocchia, non ce n‟era uno che gli venisse dietro. Da primo a Quinto, ultimo a Genova,
ma in breve il suo nome rese Santa Sabina cuore della vita cristiana della città, non solo, ma ad
essa si guarderà da tante parti d‟Europa ed oltre. Nella Francia dell‟Ottocento, senza quel Curato,
nessuno avrebbe mai saputo che c‟era una borgata chiamata Ars, cosí senza quel Priore nessuno
al mondo avrebbe saputo dell‟esistenza d‟un chiesa genovese intitolata a Santa Sabina. Chiesa
antichissima, ma, quando il Frassinetti ne prese possesso, tra le piú umili di Genova. Lo
mettevano in risalto le splendide chiese che la circondavano: l‟Annunziata, San Siro, il
Carmine… Una chiesa cosí nulla che nel 1812 fu sconsacrata e ridotta a deposito. Sarà
riconsacrata nel 1815 per poi essere di nuovo soppressa e sconsacrata. Nel 1937 fu venduta con
sommo scandalo di Don Orione:
Sono pronto ad andare elemosinando in tutte le chiese pur di riscattare alla diocesi di Genova il
sacro edificio. Il Servo di Dio sarà elevato agli onori degli altari e i genovesi non avranno la sua
parrocchia e la sua canonica. È un po‟ colpa loro, se la sorella Paola lo ha preceduto nella gloria del
Bernini.557
Don Orione morí di lí a poco e nessuno pensò piú a riscattare chiesa. Dove per un trentennio il
Frassinetti aveva celebrato, pregato, predicato, catechizzato e confessato, e con lui altri santi
sacerdoti, oggi non si può pellegrinare come ad un santuario perché prima vi fu aperto un cinema
e poi una banca.558 Se della chiesa si può ancora intravedere la struttura, della canonica piú nulla.
556
Nei documenti piú antichi è detta Chiesa del Corpo di Cristo, di San Vittore e di Santa Savina, una santa
lodigiana. Culto importato da profughi milanesi. Verso il mille e cento a Santa Savina fu sostituita la martire Santa
Sabina. Una lapide sepolcrale di un certo Elicileto “valoroso e grande soldato”, morto in Genova nel 591, andata
purtroppo perduta, ne testimoniava l‟antichità. Fu una delle prime chiese a subire saccheggio quando Genova fu
invasa dai saraceni . Nel 1008 fu affidata ai benedettini che la tenero fino al 1615, anno in cui passò al clero
diocesano.
557 E. F. FALDI, Il priore di santa Sabina, p. 57. Riferisce quanto l‟orionino don Sciaccaluga gli aveva detto di
aver udito da Don Orione.
558 Per lo stato in cui è ridotto l‟edificio, riporto dal FALDI, Op. cit. pp. 59s. “Recandoci oggi dalla parte opposta
all‟entrata principale, è visibile l‟abside della navata centrale… fa bella mostra delle sue pietre da taglio, degli
archetti che la sormontano… L‟abside della navata sinistra esiste ancora, ma rimane purtroppo sottratta allo sguardo
per le costruzioni che le sono state addossate. La parte destra è andata completamente distrutta… Il portale
cinquecentesco dell‟ingresso principale e quattro capitelli di pietra scolpita si trovano nel museo di S. Agostino.
Dell‟altro portale sorgente sul fianco dell‟antica Chiesa non venne conservata che la pietra sormontante l‟arco gotico
164
Il titolo fu passato ad una nuova parrocchia eretta nella periferia della città, nel cui archivio poco
si è salvato della presenza del Frassinetti nel vecchio titolo.
Poca cosa dunque Santa Sabina al giungervi del Frassinetti. Modesta la parrocchia, modesta la
chiesa, modestissima la canonica, e tutto mal ridotto. Il 31 maggio 1839, prendendone possesso,
al Frassinetti non poté non stringersi il cuore. Mura affumicate e corrose dall‟umidità, cappelle
senza i cancelli, niente suppellettili, pochi e mal ridotti gli arredi, spoglia di tutto, “una stalla” al
dire di un teste al processo di canonizzazione. Il suo restauro non poteva non essere il primo
pensiero del Priore. Ai primi inizi non trovò corrispondenza tra parrocchiani e gente facoltosa
della città, ma, come fu conosciuto il suo zelo ed il suo disinteresse, le borse si aprirono, specie
quella del marchese Serra, sí che la poté rimettere presto a nuovo. Nel 1846 lo vediamo scrivere
la storia di Santa Sabina per sdebitarsi con i benefattori.559 Al restauro della canonica, anch‟essa
angusta e modestissima, pensò dopo, e solo quanto bastasse per accoglierci il vecchio padre e i
fratelli sacerdoti Giovanni e Raffaele, suoi fedeli collaboratori. Vi creò anche spazio per qualche
altro sacerdote e qualche chierico e, negli ultimi anni, per tre Figli di Maria, religiosi al secolo,
che vi gettarono il primo seme dell‟Opera dei Figli di Santa Maria Immacolata. Spazio cosí
angusto da dover presto trapiantare altrove l‟Opera nascente.
Agli inizi il Frassinetti si ritrovò dunque in una chiesa non solo umile, ma quasi deserta. Con
la predicazione, l‟assiduità al confessionale ed il molto zelo tosto il numero dei fedeli fu tale che
la chiesa si rivelò piccola per poterli contenere. Ce ne parla Mons. Masnata che conobbe il Priore
e ne fu il quarto successore:
Era molto commovente vedere il venerando Priore recitare in comune le preghiere del mattino e
della sera, fare al tramonto dopo la recita del S. Rosario insieme ai numerosi parrocchiani la
meditazione e concludere la giornata con l‟esame di coscienza… Una circostanza di non poco
rilievo nella vita del il Servo di Dio… l‟essersi indugiato a S. Sabina come Priore di un‟umile
Parrocchia per ben quasi trent‟anni e rimanervi contento, felice di sacrificarsi per Dio e per il
prossimo, non solo in una posizione al tutto inferiore ai suoi meriti, alla sua profonda dottrina, alle
sue rare virtú, nonché alle sue opere letterarie ed ascetiche, date alle stampe... ma in modo speciale
in una casa parrocchiale come sopra descritta... 560 Parmi che un uomo di sí illustre fama mondiale,
vuoi per scienza, vuoi per singolari virtú sacerdotali, con l‟aver continuato per circa trent‟anni la
sua vita in S. Sabina, provi ad oltranza la sua profonda umiltà, il disprezzo degli onori e dei beni
con sopra inciso il caratteristico Agnello”. Nella nuova parrocchia in via Donghi, che ne perpetua il nome, sono
finiti: “La statua in marmo della Titolare di Bernardo Mantero; il Crocifisso con la Vergine e S. Giovanni di
Gerolamo Pittaluga; le tele S. Stefano di Bernardo Castelli; il S. Gregorio di Andrea Ansaldo; il S. Sebastiano di
Domenico Cappellini, il busto in marmo del Priore Frassinetti”.
559 G. FRASSINETTI, Santa Sabina martire, narrazione, Genova 1846, pp. 62. “ A voi, o Pii, che con le vostre
generose oblazioni concorreste al ristoro di questa Chiesa…”.
560 Aveva dato una descrizione della canonica che qui riassumo. Si entrava dalla piazzetta del campanile. Un
piccolo portico, scale strette, umide e prive di finestre, illuminate giorno e notte da una lampada ad olio che il Priore
faceva ardere davanti ad una bella statua d‟una Madonna che porge a baciare il piede del Bambino. Molta l‟umidità.
Quattro finestre a ponente, con vista del bel cielo di Genova. Una cucina orribile in cui mai entrava raggio di sole
per l‟altezza dei fabbricati vicini. Una saletta che serviva da sala da pranzo. Il Frassinetti, amante della povertà e del
sacrificio, aveva scelto per sé la stanza piú scomoda e piú piccola che dava sul terrazzo, una cella francescana. Un
piccolo lettino accostato alla parete, un cassettone con su un pellicano. Nello studio una libreria lungo la parete, un
tavolo con su una grande statua dell‟Immacolata ed un Crocifisso. Dello studio il Lemoyne ci dà questa descrizione:
“Piú volte entrato nella sua camera di studio abbastanza grande, vidi volumi di teologia morale antichi e moderni,
grossi e piccoli, i quali aperti occupavano tutte le sedie, i tavolini e il sofà con i margini pieni di note da lui scritte”.
Eppure in questa casa, umile e disadorna, entrarono non solo i parrocchiani, ma insigni sacerdoti – uno Don Bosco –
, vescovi e persone dell‟aristocrazia.
165
terreni, il suo grande zelo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, insomma il complesso delle
piú eroiche virtú.
Certo cosa singolare. La procedura normale era un‟altra: man mano che una parrocchia
appetibile si rendeva vacante e si indiceva il concorso per assegnarla, si verificava uno
spostamento di parroci dal meno al piú. Il Frassinetti, con la cultura che aveva, se vi avesse
ambito, non sarebbe certo morto priore di Santa Sabina. Ma lí, nel cuore della vecchia Genova,
poteva fare del bene, ed altro non cercava. Se ne ebbe una conferma nel 1856, quando il vescovo
Charvaz lo umiliò ingiungendogli per castigo un corso d‟esercizi e se ne divulgò la notizia fino a
Roma, da allarmare le sorella Santa Paola, e fino in Francia. Il vescovo di Albenga gli offrí la
parrocchia di Oneglia,561 la miglior della Diocesi. Il Frassinetti ringraziò, ma, finché non gli
fosse stato impedito di continuare a fare un po‟ di bene in Genova, sarebbe rimasto a Santa
Sabina. Nel caso avesse dovuto accettare l‟offerta, Oneglia era troppo, gli sarebbe bastato molto
meno.
Come a volte suole accadere, da un male un bene: la lettera scritta al suo vescovo, in cui
chiariva il suo comportamento, ci rivela la conoscenza che aveva del diritto canonico, e quelle
scritte alla sorella e al vescovo di Albenga, mons. Raffaele Biale, ci dicono la passione che stava
vivendo, ma con tono cosí distaccato da far pensare scriva di altri e di fatti vecchi di mille anni.
Ma di questo a suo luogo. Anche dell‟apostolo Paolo ignoreremmo alcune pagine della sua vita,
e che pagine!, se non fosse stato costretto a difendere il suo operato.
La nuova parrocchia offriva un indubbio vantaggio al suo zelo: il sito al centro di Genova ed
un pubblico piú vario e piú numeroso, essendo facilmente accessibile da fedeli di altre
parrocchie. Sul luogo poteva poi maggiormente occuparsi della “Beato Leonardo” e
dell‟Accademia di studi, piú che da Quinto, in un‟ epoca in cui uno si poteva muovere solo
servendosi dei piedi e, tra andata e ritorno, non bastavano due ore, né era strada da potersi fare
tutti i giorni. Uomo di studio, a Genova ritrovava le vecchie biblioteche in cui aveva passato
tante ore della sua giovinezza.
Manuale pratico del parroco novello562
Leggendo si ha l‟impressione di leggere la sua autobiografia. Non è un libro scritto da giovane
dove fissa i suoi bei sogni, no, è scritto da vecchio per comunicare la sua esperienza: io ho fatto
cosí, provate anche voi. Mi fermo alle prime pagine che qui riassumo. Per essere parroco non
basta essere un santo sacerdote, se privi di altre qualità. Prime fra tutte la capacità di annunziare
in modo conveniente la parola di Dio e quella di ascoltare le confessioni. Per questo ministero
l‟istruzione non è sufficiente, anche se necessaria, se fosse scompagnata dalla prudenza, dalla
pazienza, da una quotidiana assiduità al confessionale e da zelo che attrae. Quando a Genova
scopersero che il Priore si era fatto del confessionale un suo quasi domicilio, Santa Sabina si fece
angusta per i molti che la frequentavano. La terza dote è già presupposta nelle precedenti, ma si
slarga ad ogni altra attività di un buon parroco: “Il sacerdote che non si trovasse quotidianamente
disposto a tale sorta di sacrifici e privazioni, non dovrebbe aspirare a cure parrocchiali”. Insiste
su quotidianamente sottolineandolo. Indugia sulla retta intenzione, ossia mirare solo a
santificarsi santificando, perciò “è da deplorare che molti aspirino al ministero parrocchiale come
i secolari aspirano ad un impiego non riguardando il bene che possono fare… ma solo all‟utile
che possono ritrarre per sé e le proprie famiglie”. Depreca il non ritenere “buona una parrocchia
561
Sarà poi unita a Porto Maurizio, rinominata Imperia e fatta provincia.
Manuale pratico del parroco novello, Novara, 1863.
562 G. FRASSINETTI,
166
che non sia pingue”, e quei che per necessità agli inizi si accontentano di una cura di tenue
rendita, ma, ancor prima di prenderne possesso, pensano alla rinuncia in vista di altra parrocchia
piú pingue. Parroci privi di spirito pastorale, spirito che deve avere dell‟amore materno:
Questi parroci si devono paragonare non alle madri, ma alle balie che nutrono i bambini per
salario, prontissime a lasciare il primo, quando un altro sia loro offerto con maggior pagamento.
Guai alle parrocchie cui sventuratamente tocchi avere a parroco uno di cosí fatti trafficanti! Essi
sono dei mercenari del Vangelo, dei quali il lupo non ha paura.
Nei suoi scritti ci confessa il suo vissuto, è lui a dircelo:
Essendo ormai trent‟anni – in realtà trentadue – che io esercito il ministero di parroco,
quantunque in molte cose, ed anche in tutte io possa mancare di scienza speculativa, mi sembra non
poter piú mancare di scienza sperimentale; ed avendo già esercitato questo ministero per piú di
sette anni anche in una parrocchia fuori di città che ha borgo e villa, la mia esperienza potrebbe
valere qualche cosa per le parrocchie di villa, di borgo e di città. All‟infuori di questa io non mi
arrogo altra ragione o titolo per giustificare il mio divisamento di dare alle stampe questo Manuale
pratico. Io lo presento ai parroci novelli colla libertà di un fratello anziano, che loro può dire: voi,
freschi di studi, mi avanzerete nelle cognizioni teoriche, ma nelle pratiche necessariamente
m‟avvantaggio io sopra di voi.
L‟economia del lavoro non ci permette di porre in parallelo i suoi consigli ai giovani parroci e
i fatti della sua vita. Altro non ci è concesso se non di estrapolare dall‟indice il piano di lavoro ed
arricchirlo di qualche spigolatura.
167
CAPITOLO XXXIII
PARROCO MAESTRO DI PARROCI
Giuseppe Frassinetti è autore di un “Manuale del parroco novello” che sa tanto di autobiografia. Pare vi
ripensi la vita per accompagnare passo passo un giovane sacerdote che va a dirigere una parrocchia.
Comincia dalla presa di possesso e dal primo sermone, dicendogli da quali intenzioni deve sentirsi
animato:
Un discorso concettoso e fiorito di eleganze, specialmente in questa prima occasione,
caratterizza il parroco per uomo leggero e senza cuore… Leggero perché in cerca della gloriuzza
che solo gli può venire da saccentini sfaccendati… senza cuore, perché dimostra che a lui non
importa fare intendere i suoi pensieri ed affetti alla massima parte di coloro che lo ascoltano.
Consigli per il pranzo di presa di possesso:
sia quale si conviene non a gran signore o spaccone, ma a un povero pastore di anime… Questa
voglia di grandeggiare acquista loro sul bel principio il compatimento dei discreti e le ironie dei
beffardi… Accade non di rado che per la leggerezza del sermone e per la sontuosità del pranzo, il
giorno di possesso è una cattiva raccomandazione che si fa da per sé il parroco novello.
Consigli per l‟arredamento della canonica
Certi salotti e salottini parrocchiali sono cosí sfarzosi o galanti da potersi passare per buoni a
conti e marchesi oppure a novelli sposi… Il novello parroco dovrà pensare che il suo salotto… è la
chiesa… questo il salotto che deve mantenere decoroso e ben ornato affinché ingeneri nel popolo
fedele sentimenti di rispetto e devozione... Il parroco che sarà molto sollecito che questo salotto, la
chiesa, sia vago e ben adorno non peccherà davanti a Dio e sarà scusato davanti agli uomini se
mostrerà di tener negletto il suo salotto particolare.
I poveri
Mi sono indugiato su questi consigli a riprova di quanto si è affermato: il Frassinetti è uno che consiglia il
suo vissuto. Non ci è dato seguirlo pagina per pagina, sia pure sunteggiandolo. Ci limitiamo alla citazione
di alcuni titoli: “Come fare le correzioni” – in sottotitolo tratta della dolcezza da usarsi nel farle –, “Come
reprimere gli scandali”. Non possiamo però omettere: “Come comportarsi con i poveri”. Si potrebbe
compendiare con le poche parole della Didaché, il libretto scritto che forse era ancora vivo l‟apostolo
Giovanni: “Si bagni di sudore l‟elemosina nella tua mano, finché non sai a chi la dài”, norma fatta propria
dai genovesi in genere e che ha creato loro la fama di essere avari, ma se un genovese sa che ciò che dà
diventa pane per chi ha fame e veste per chi è nudo, è difficile trovare gente piú generosa e che dia senza
squilli di tromba. Tra i molti ne ha sperimentato qualcosa Don Orione. Nessuna meraviglia se il genovese
Frassinetti se ne fa una norma e, avvertito il bisogno, sappia togliersi il pane di bocca. Suggerisce come
distinguere i veri poveri da falsi, a chi dei veri poveri dare la preferenza e come comportarsi con gli altri:
Con i veri poveri deve avere viscere veramente materne e quindi provvederli nei bisogni con
tutta sollecitudine… fare l‟elemosina con modi caritatevoli ed urbani, specialmente se i ricorrenti
sono di civile condizione, cui l‟elemosina riesce di per sé tanto umiliante. Deve poi guardarsi dal
mostrarsi infastidito. Si ricordi dell‟hilarem datorem diligit Deus… Ai poveri darà del proprio,
giusta la sua possibilità, e se ciò non bastasse procurerà loro altre sovvenzioni…
Insiste sul “dia ai poveri del proprio quanto può”. C‟era all‟epoca l‟uso di costituire al figlio che si
faceva sacerdote una dote piú o meno sostanziosa secondo la ricchezza della famiglia. Di tale proprietà il
sacerdote era di fatto padrone solo del reddito, ma non del capitale che, per non aver egli eredi diretti, alla
168
morte tornava ai parenti. No, afferma il Frassinetti, il parroco deve far parte ai poveri anche dei beni di
famiglia e si fa ironico con chi non la pensa cosí:
Veramente presso alcuni parrochi i beni provenienti dalla famiglia sono cosa sacra, intangibile,
da passare ai nipoti in tutta la loro integrità , anzi, per soprappiú, impinguati di tutti i frutti messi
sempre in riserbo durante l‟intera vita, perché il parroco deve vivere del beneficio [ecclesiastico] e
non defraudare i nipoti o altri parenti della illimitata speranza che tutto il suo debba essere loro.
Non vuole entrare in materia di disposizioni giuridiche o di morale,
sebbene per la morale vi sarebbe molto da dire, osserverò che i buoni parroci hanno sempre
costumato servirsi di tutto il fatto loro per fare il bene, e non può esservi dubbio che le rendite
patrimoniali siano fatto loro. Osserverò che quando giudicarono che fosse cosa opportuna, non si
servirono solo della rendita. Se il secolare prende la sua parte dello stesso patrimonio e se ne giova
come meglio gli aggrada, alienandolo o tutto o in parte, la mandi pure al diavolo, mi si perdoni
l‟espressione, è ben mandata, il mondo non ha che dire, l‟ecclesiastico invece, prendendo la sua
parte, dovrà prenderla non come padrone, ma come semplice amministratore obbligato a
conservarla, anzi a lasciarla migliorata e accresciuta alla famiglia. Viene da dire a certi parroci:
Miseri fattori della vostra famiglia, a che vi giovano i vostri beni? Che ne ritraete se non i fastidi
dell‟ amministrazione, senza neanche percepirne un salario? Se non volevate servirvene, né per la
gloria di Dio, né per il bene del prossimo, era meglio per voi rinunziarvi per togliervi il fastidio di
amministrarli. D‟altra parte non sarà mai da credere che quando Iddio ci domanderà conto dell‟uso
dei beni a noi elargiti, ne voglia escludere i patrimoniali o che sarà contento che gli rispondiamo: li
abbiamo serbati interi per la famiglia.
Citazione lunga, ma è un ritratto della sua vita. In una sua minuta parla di una sua zia che batteva a soldi,
rivolgendosi al nipote don Raffaele. Don Giuseppe le ha dato cento franchi, cifra notevole all‟epoca, ma
vuole vederci chiaro, perché non avendo niente di mio, ma solo quello che ricavo dalla parrocchia, io
avrei scrupolo di darlo ai miei parenti senza che mi fosse permesso di informarmi se non vi sia altro
mezzo per provvedere alle loro necessità. A un parroco di S. Sabina non sopravanza da far regali di
qualche entità.
È disposto ad aiutarla, ma vuole vedere chiaro. Di questa zia non si sa piú nulla. Se vede chiaro, chiunque
sia il bisognoso, la sua generosità non ha limiti fino a dare piú volte il materasso del suo letto dormendo
su un tavolaccio nell‟attesa di potersene procurare un altro. Spulcio dalle deposizioni:
I suoi beni alla morte passarono tutti all‟Istituzione dei Figli di Maria, ma dovevano essere ben
pochi perché dava tutto ai poveri e la sua canonica era al di sotto di ogni povera canonica. Lasciava
ai malati poveri biglietti di banca sotto il cuscino563… Risparmiava sul vitto e su gli abiti quanto
poteva per donare ai poveri. Largo nel distribuire ai poveri, non solo quanto riceveva dai
benefattori, ma anche del suo.
Le elemosine voleva farle di persona per dire una buona parola e per contatto umano. Ad una donna
spendacciona con marito disoccupato, invece che soldi come essa avrebbe preferito, aprí un conto dal
fornaio. A Genova era dato vedere nelle chiese, e forse ancora, tante sedie ammonticchiate che una donna
distribuiva dietro offerta a chi la richiedeva. A Santa Sabina nessuna offerta. Si potrebbe continuare a
lungo con le citazioni sul suo disinteresse e la sua generosità. Il non chiedere i diritti d‟autore di quanto
andava pubblicando, per tenerne basso il prezzo, senza però cedere la proprietà all‟editore perché non lo
aumentasse nelle ristampe, senza contare le copie senza numero regalate. Ne seppe qualcosa Don Bosco
che, alla morte dell‟amico, era preoccupato di chi, al suo posto, avrebbe potuto garantirgli l‟esito di un
cinquecento copie delle “Letture cattoliche”, copie che il Frassinetti regalava in buon numero. Prova di
tanta generosità è l‟aver lasciato ai fratelli sacerdoti un buon numero di libri, non però soldi, e se ne erano
passati per quelle mani senza mai attaccarvisi!
563
Ad uno un biglietto da cento lire!
169
La benedizione delle case
L‟occasione per stabilire la conoscenza con i parrocchiani sí da poter ripetere con il Signore: “Io conosco
le mie pecore e le mie pecore conoscono me”, era la benedizione delle case fatta con comodo, con occhio
a cui nulla sfugge. Conoscere e farsi conoscere. Cosa che pone al numero uno. Conoscere la situazione
familiare, interessarsi dei fanciulli, se hanno fatto la comunione, se vanno a catechismo, “se vi siano
sufficienti letti perché non dormano insieme”, la condizione economica “perché si trovano certe famiglie
vergognose, le quali decadute dalla loro condizione, gemono nella piú grande miseria, mancanti di letti di
vesti e di tozzo di pane”. Certo una benedizione fatta in tal modo è faticosa, ma, per quanta fatica possa
costare, deve essere propria del parroco. Se vecchio e malato, ne benedica ogni anno una parte, delegando
il resto ai curati. Disapprova quei parroci che fanno benedire l‟intera parrocchia riservando a sé alcune
case di signori da benedire il Sabato Santo.
La predicazione
Nell‟ultima edizione ben settanta pagine. Comincia con la preparazione:
I predicatori, e specialmente i parroci, vanno soggetti ad una tentazione di vanità che loro spesse
volte fa dire bugie di predicare senza aver nulla pensato prima. Da una parte credono di farsi onore
con il dare ad intendere che essi hanno prontezza di ingegno e tanta facilità di eloquio da non aver
bisogno di nessuna preparazione, se la prova riesca bene: se riesce male, credono di scusarsi.
No, tutte le prediche vanno preparate, non solo i panegirici ed i quaresimali. È necessario per evitare
inesattezze, osservazioni poco adatte, ripetere sempre le stesse cose, disamorare l‟uditorio dall‟ascolto.
Insiste sulla chiarezza e l‟ intelligibilità della predicazione. Via i concetti astrusi, le argomentazioni sottili,
discorsi forbiti nelle grandi feste, ma parlare alla portata di tutti. Porta l‟esempio di Sant‟ Alfonso:
“Sapeva di retorica piú di noi, ma, per farsi capire dalle turbe, non seppe scegliere altro stile che parabole
e paragoni dozzinali”. Insiste sull‟ assiduità alla predicazione e condanna quanti nei mesi estivi si
prendono vacanza omettendo anche il vangelo domenicale. Come predicare ai fanciulli, come agli adulti,
con quale delicatezza toccare il sesto comandamento, come esortare al piú, oltre lo stretto dovuto.
Testimonianza che sta suggerendo ciò che egli praticava, sono i numerosi volumi a noi pervenuti con le
tracce delle sue prediche, anche dei vangeli e catechismi tenuti gli ultimi anni della vita. Le tracce dei
catechismi sono scritte in italiano, ma erano tenuti in genovese, la parlata comune, perché sua
preoccupazione era farsi capire anche dall‟analfabeta. Il capitolo si fa lungo e rincresce dover tralasciare
il molto che ci sarebbe ancora da dire, specie l‟ultima parte sulle virtú proprie d‟un parroco dove torna ad
insistere a lungo sul disinteresse, sullo studio della perfezione cristiana per esserne maestro ed esempio,
su una purezza angelica, sull‟orazione. Vi attingeremo negli altri capitoli nel trattare i vari momenti della
sua vita. Finisco riportando due citazioni trascritte a mano nelle sue Horæ diurnæ ed una sua preghiera da
un foglio volante in aggiunta al “Pactum pacis” riportato nella nota 20 del capitolo 26 che ne rivelano lo
spirito.
1.
“Figlio mio, dà retta alla mia sapienza
Tendi l‟orecchio al mio insegnamento,
custodiscine le riflessioni
per avere la scienza sulle tue labbra”.564
[Aggiunge: Salita, riposo, convito sul Carmelo].
2.
“Non sanno gli uomini ciò che arriverebbero a fare per sé e per gli altri se si abbandonassero
con sincerità nelle mani di Dio”.565
3.
564
Pr 5,1.
565 IGNAZIO DI LOYOLA.
170
Signor mio Gesú Cristo, mio unico Bene e Sposo dell‟anima mia, vi prego, pel merito del
vostro prezioso Sangue, a non permette che giammai m‟infastidisca della vostra croce
qualunque sia essa. Deh, non permettete che per la mia ignoranza e sensualità vi faccia
questo indegnissimo torto.Datemi invece grazia che io la ami con tutto il mio cuore come il
piú prezioso pegno del vostro amore.566
CAPITOLO XXXIV
566
Da un foglio volante del Venerabile. Diamo la versione italiana fatta da lui stesso.
171
LE ASSOCIAZIONI
Il Frassinetti fu il parroco delle associazioni. Ne abbiamo già anticipato qualcosa parlando del suo
parrocato a Quinto mettendo in risalto come tenesse impegnati i fedeli riunendoli in varie associazioni. La
sua Teologia morale ha un‟Appendice: Brevi parole ai Sacerdoti fratelli, stampata anche a parte. Vi si
legge: “Quanto potremmo fare che non facciamo, se fosse tra noi maggiore unione!”, ed invita a prendere
esempio dai nemici del bene che sanno associarsi e combattere uniti per riuscire ad attuare i loro perversi
programmi. L‟abbiamo già visto mettere su la “Beato Leonardo” con la sua Accademia di studi ed in
quanta stretta unione numerosi sacerdoti vi vissero e vi lavorarono. Fatto parroco, escogiterà varie
associazioni perché i fedeli vi si incontrino, vi si formino e si impegnino sostenendosi l‟un l‟altro.
L‟opera della catechesi, di cui si è già parlato, ne fu una, non la sola. Un cenno di quelle istituite divenuto
parroco a Genova, rifacendoci alle pubblicazioni che per esse scriveva che, piú che programma sul da
farsi, sono la storia di quanto aveva già fatto ed un invito a fare.
La Pia Unione delle amanti della Santa Modestia propagandata con pagella di quattro pagine. Il nome
dice lo scopo. Le ascritte si contarono a migliaia.567 Le amicizie spirituali, imitazione da Santa Teresa di
Gesú e stimolo allo zelo per la salute delle anime da Santa Maria Maddalena dei Pazzi.568 Gruppetti di
non piú di cinque persone per evitare confusione, ma ciascuno doveva crearne un altro di cinque. Pia
unione delle anime desiderose di farsi sante.569 Unione di persone che coltivino il loro spirito e si aiutino
tra loro. Pia unione dell‟Immacolata.570 L‟anno innanzi ne era stato dichiarato il dogma. Pia unione del
santo ed immacolato Cuore di Maria per la conversione dei peccatori, formata per i fanciulli nella
parrocchia di Santa Sabina.571 Grande l‟importanza data alla preghiera dei fanciulli. Vi si iscrissero a
migliaia anche di altre parrocchie. Pia unione delle Figlie di Maria Santissima sotto il titolo della
Purità,572.da non confondersi con le Figlie di Maria monache in casa. Pensata per le fanciulle per tenerle
unite dopo la prima comunione. Conferenza mensile ed ogni anno un corso di esercizi. Pia Unione delle
Vedove cristiane sotto il Patrocinio della Vergine Addolorata e di S. Caterina da Genova.573 La beata
Rosa Gattorno ne fu una delle piú impegnate prima di passare a fondare le Suore di Sant‟Anna.
Soprattutto il pensiero dei malati gravi sí da potersi presentare al cospetto di Dio ed affermare che non
una sola della anime a lui affidate era andata perduta. Pensò ad una Pia Unione in cui gli iscritti si
obbligassero a far la loro confessione in caso di grave malattia non piú tardi della terza visita del medico e
chiedere che venisse tosto loro portato il Viatico e poi amministrata l‟estrema unzione.574
La Pia Associazione
per la conservazione ed incremento della fede cattolica
fu la regina di tutte fra quante destinate ai fedeli in genere. Riassumiamone l‟origine. Nel 1852 alcuni
ecclesiastici, già membri della “B. Leonardo”, ormai cessata per le vicende dei tempi, si consultarono per
vedere in qual modo potessero porre un qualche argine ai mali religiosi e morali che già da alcuni anni si
diffondevano. Pensarono ad una Pia Associazione per la conservazione ed incremento della fede cattolica
che provvedesse ai bisogni dei tempi, tale da potersi estendersi anche altrove. Pronta la critica: Una
Associazione Cattolica in una città tutta cattolica! Genova non è un paese protestante! Si aggirò la critica
modificandone il nome: Pia Associazione da promuoversi nelle Parrocchie in onore di Maria SS. per la
conservazione ed incremento della Fede Cattolica. Ne fu fatta conoscere la proposta tirando una pagella
567
Genova, 1843, pp. 4.
Genova, 1853, pp. 32. Ebbe molte ristampe.
569 Genova, 1854, pp. 3. Se ne ebbero molte ristampe.
570 Genova, 1855, pp. 16.
571 Genova, 1860, pp. 14.
572 Genova, 1860, pp. 14.
573 Genova, 1861, pp. 30.
574 Nel programma manoscritto si legge una cinquantina di firme di aderenti, tra le prime quella di Tommaso
Reggio di recente dichiarato beato.
172
568
di oltre 12.000 esemplari – numero enorme – ed affidandone la distribuzione a dei “Promotori”. Se ne
trovarono in quasi tutte le parrocchie della città. Ogni quindici giorni un‟adunanza nella sacristia di S.
Torpete, adunanza divenuta in appresso mensile.
Si ebbe ciò che si cercava: un drappello di buoni e fervorosi cristiani, tra i quali venne scelto un
Presidente, un Vice, ecc., si formò la Consulta. Si ordinò la prima Commissione per la diffusione
dei buoni libri e si formò il Regolamento… Nell‟anno 1853 cominciarono le adunanze generali nel
magnifico Oratorio dei Padri di S. Filippo… Di mano in mano si formarono le altre Commissioni…
Il primo Presidente fu il Marchese Pantaleone Giustiniani... [cui presto successe] il Marchese G. B.
Cambiaso, al cui zelo si deve se la Pia Associazione non perí sul nascere.
Se ne creò anche un ramo femminile. Le “Promotrici”
cominciarono a radunarsi nella sacristia di S. Sabina… facendo da parte loro altrettanto che gli
uomini, sotto la presidenza della Marchesa Eugenia Pallavicini. Esse di piú raccolgono elemosine
mensili per mettere in sicuro le fanciulle pericolanti… 575 Le donne in un primo tempo si
radunavano nella sacrestia di Santa Sabina finché non trovarono una sede piú appropriata in
Sant‟Ambrogio.Tra i loro compiti c‟era anche quello di prendersi cura della ragazze povere e
trascurate dai parenti tenendole lontane dal battere la strada.
Ciò che si era realizzato a Genova era da estendersi anche altrove
qualora un buon cattolico, specialmente se di condizione notevole, radunasse intorno a sé altri
tre o quattro zelanti per la gloria di Dio… e cominciasse subito a far qualche cosa, dico
cominciasse subito, perché chi differisce aspettando migliori tempi e piú opportuni, ordinariamente
non fa mai nulla.576
Si formarono varie “Commissioni”, ciascuna con un suo impegno. Tra i piú importanti quello della
diffusione dei buoni libri nelle parrocchie, negli ospedali, negli alberghi, nei ricoveri e nelle comunità
religiose. Alle spese pensavano in gran parte gli stessi soci tassandosi in varia misura fino disporre come
media annuale dalle due alle tremila lire, cifra per i tempi considerevole. Di preferenza libri di piccola
mole da diffondersi in grande quantità. Altre “Commissioni” assolvevano altri impegni:
Adorazione diurna al Santissimo Sacramento,
Accompagnamento del viatico ai malati gravi,
Promozione della frequenza dei fanciulli al catechismo,
Adorazione notturna nella chiesa di San Torpete,
Porre argine alla propaganda protestante, ed altri ancora.
Non ignorò i bisogni materiali degli operai. Nel 1854, insieme al Magnasco, fu fondata la “Società
Operaia di mutuo soccorso S. Giovanni Battista” i cui membri si impegnavano ad aiutarsi e a sostenersi
vicendevolmente nei loro vari bisogni. La domenica 23 luglio fu tenuta la prima adunanza nella Canonica
di S. Torpete per la lettura dello statuto.577
Si notino le novità di alcune di queste associazioni: non nascono come associazioni parrocchiali, ma di
piú ampio respiro; né clericali, ma laiche, anche se clero e parroci erano i benvenuti. Non tutti, però,
benché buoni cristiani, capivano questa necessità d‟associarsi.
575
Vagheggia anche l‟idea di una Pia Unione tra sacerdoti, nella quale sostenendosi a vicenda nei bisogni dello
spirito, si aiutassero anche nelle necessità temporali; tenuto conto della condizione di molti poveri sacerdoti costretti
ad una vita stentata.
576 Non meravigli quel “di condizione notevole”. A scriverlo è lo stesso che dava tanto spazio d‟azione alla
gente della piú bassa classe sociale. Servirsi di tutti per giungere a tutti. Bene anche i nobili, se sanno mettere
prestigio e borsa a servizio del bene.
577 L‟OLIVARI, da cui dipendo, l‟affermava ancora esistente nel 1928 quando scriveva.
173
Sono al mondo persone dotate di eccellenti qualità: mancano tuttavia di una importantissima: la
scienza del loro secolo. Sembrano gente di cento anni fa, tanto poco conoscono il tempo presente,
perché cento anni fa una vita in tutto privata era la piú commendevole per la generalità dei cristiani;
di modo che, tolti gli uomini di pubblico reggimento, tutti gli altri non potevano far cosa migliore
che attendere a sé stessi, alle proprie famiglie... esercitando ciascuno da per sé la carità cristiana in
tutti i suoi rami. Pensano costoro, che questa vita di ritiro e di astensione da ogni pubblicità sia
egualmente commendevole ai dí che corrono, anzi si pregiano di questo loro concentramento in sé
stessi, e vanno un po‟ orgogliosetti di poter dire: Io penso a me, io non mi mischio, io non mi
intrigo, io faccio il bene alla foggia vecchia. Quindi se a costoro si parli di associazioni, le
disapprovano tutte egualmente senza distinguere tra le cattive e le buone, e si guardano cautamente
dal prendere parte a nessuna. Uomini del 1754, varcato un secolo, non dovreste piú vivere al
nostro: ma poiché vivete tuttora, osservate la differenza che vi ha tra il secolo vostro ed il nostro!
Cosí parlava il Frassinetti nel 1854.578
La stampa periodica
Non c‟è pagina di questo nostro lavoro, si può dire, in cui non si faccia menzione delle sue pubblicazioni
cosí strettamente unite alla sua azione pastorale. Ne abbiamo già avuto piú volte occasione di parlarne e
dire come la concepiva. Ma non gli pareva bastasse scrivere e diffondere buoni libri. Pensò alla
pubblicazione di un settimanale diverso da quelli che già a Genova esistevano diretti da sacerdoti che
avevano fatto parte della “Beato Leonardo”. Giornali battaglieri, polemici, nati a rintuzzare la stampa
laica.579 La Carità, il settimanale da lui progettato doveva essere tutt‟altra cosa. Doveva occuparsene la
Pia Associazione per la conservazione e l‟incremento della fede. Essere tale che
pervenendo piú facilmente di qualunque altro alle mani di tutti – cito l‟Olivari – sia piú diffuso e
piú si intrometta nel corpo sociale. Il minimo prezzo è il mezzo piú efficace perché un giornale
consegua il suddetto fine: perciò il suo prezzo sarà inferiore a quello di qualunque altro giornale di
minor costo... Questo giornale sarà sostanzialmente religioso, trattando brevemente, ma
solidamente le materie che sono di maggior importanza alla giornata. Non avrà assolutamente alcun
colore politico; unico suo colore sarà il cattolico, che si confà a tutte le esigenze delle oneste
opinioni. Esso in qualunque caso conserverà inviolabile rispetto verso tutte le persone. Gli errori
saranno combattuti, le colpe disapprovate; ma gli erranti e i colpevoli non saranno menomamente
ingiuriati. Principalmente riferirà le notizie religiose, tuttavia non ometterà un ristretto di tutte le
altre notizie per conoscere l‟andamento del mondo contemporaneo. Esporrà qualche breve
riflessione sul Vangelo della domenica, e qualche schiarimento su di un punto catechistico. Questo
giornale uscirà una volta alla settimana. La Carità sarà il suo titolo, nome che esprime l‟unico fine
a cui mira e i mezzi di cui si varrà per conseguirlo.
Un giornale che non ignorasse quei che non ne leggono alcuno, anche se piccola cosa per tenerne
bassissimo il costo. “Per costoro sarà meglio il poco che il nulla”. C‟era modernità di criteri e conoscenza
dei bisogni reali del popolo. Purtroppo il Frassinetti non ne vide la realizzazione, pur avendo incontrato l‟
approvazione entusiasta di alcuni vescovi. L‟idea era gettata. A qualche anno dalla morte, a Genova ne
578
OLIVARI, Op. cit. pag. 155. Un testo virgolettato di cui ignoro l‟originale.
Non. già che in Genova non si fosse sentita la necessità di insorgere contro le esorbitanze della rivoluzione e
dell‟empietà stampando un buon giornale. Un gruppo di cattolici conoscitori esperti dei bisogni dei tempi, fra i quali
i sacerdoti Alimonda e Reggio, fondarono nel 1848 l‟Armonia,che fu poi trasferita a Tortino e sotto la direzione del
Teologo. Giacomo Margotti diventò piú tardi la gloriosa Unità Cattolica. L‟anno appresso a Genova si fondò il
Cattolico e ne ebbe la direzione l‟Alimonda coadiuvato dal Reggio, allora Abate di Carignano. Nel 1861 si
trasformò nello Stendardo cattolico, e ne assunse la direzione l‟Abate Reggio, mantenendone lo spirito e
temperandone la forma come richiedevano i tempi mutati. Ebbe vita gloriosa fino al 1874. Ma non era questo il
genere di giornale a cui mirava il Frassinetti.
174
579
uscirono due invece che uno, e l‟uno e l‟altro avevano tanto del suo programma: L‟amico delle famiglie e
la Settimana religiosa.580
CAPITOLO XXXV
GIUSEPPE FRASSINETTI
ALLE ORIGINI DELLE DOROTEE
580 La loro lunga vita – L’amico delle famiglie uscí per piú di sessanta anni – dimostra quanto fosse indovinata
la formula proposta dal Frassinetti. Padre Carlo Olivari vi collaborò fino al giorno in cui chiuse gli occhi – 23
gennaio 1940 – con l‟articolo di fondo firmato con un asterisco.
175
A Genova, e ovunque i fratelli Passi fossero passati, accanto all‟Opera San Raffaele sorgeva
quella di Santa Dorotea. Una storia da raccontare essendo l‟inizio della “Congregazione delle
Dorotee”, parte precipua dell‟attività pastorale del Frassinetti. Anch‟egli si direbbe scelto da Dio
alle sue forme di apostolato prima ancora che fosse concepito nel seno materno, come fu per
Geremia,581 predisponendo ambiente ed incontri che lo preparassero al suo ministero, senza
violarne in modo alcuno la natura quale gli era stata trasmessa da genovesi figli del popolo. Si è
detto come i Frassinetti fossero innamorati della castità pensata dono totale di sé al Signore, e
che per Paola il desiderio sembrava si dovesse mutare in rimpianto per non aver dote. Se fosse
riuscita ad entrare in convento, sarebbe stata un‟umile suora conversa: cucina orto scopa e
lavanderia. Nessun spazio per una qualche iniziativa. Altri erano i piani del Signore. Accadeva in
quella casa ciò che era accaduto ai due di Emmaus: sentivano ardersi il cuore in petto senza
sapere il perché.582 Piangevano uno che avevano compagno di strada. Cosí Giuseppe, Paola, gli
altri fratelli, il padre, la nonna, la zia e la stessa domestica, già senza saperlo vivevano in quella
casa-convento la vita a cui sospiravano, mancandone soltanto le forme tradizionali.
Nel luglio 1831 il Frassinetti, si è visto, andò parroco a Quinto. Parroco, vi trapiantò, o
incrementò, l‟Opera di San Raffaele e di Santa Dorotea. Per questa sollecitò la venuta della
sorella riuscendo a superare le resistenze del padre grazie ad una provvidenziale malattia. A detta
del medico, a Paola bisognava l‟aria di mare. Di Quinto. Il fratello aveva a cuore la salute della
sorella, ma non gli premeva meno quella delle anime delle fanciulle. Chi piú di lei, da lui stesso
educata, avrebbe potuto offrirgli collaborazione al riparo delle chiacchiere nel vedere un giovane
di ventisei anni occuparsi tanto di ragazze? Per l‟Opera di Santa Dorotea si servirà di lei, non
vedendo piú la donna come oggetto passivo di cure pastorali del parroco, ma soggetto attivo
capace d‟essere associata al proprio ministero. Paola accetta con gioia questa vita cosí nuova per
lei. Per la prima volta viene a godere una libertà di movimento impensabile in casa del padre.
Mai una volta uscita di casa se non accompagnata! Le resta però sempre vivo il cruccio di non
poter essere una vera suora per quella mancanza di dote.
A Quinto il suo problema divenne il problema delle amiche che si andava facendo
incoraggiata dal fratello, perché anche in loro, per la direzione spirituale che ricevevano dal
parroco in confessione e per la frequentazione di Paola, si era acceso il desiderio di farsi suore,
benché prive di dote. Si noti: il Frassinetti non ha rivelazioni dall‟alto, né fa progetti a tavolino.
È uno che ha situazioni non cercate da risolvere. Una: la formazione delle ragazze. Il pensiero
vola alla sorella da lui ben conosciuta perché da lui educata. Lei la persona da associarsi nel
ministero per giungere là dove a lui non era dato di accedere senza suscitare pettegolezzi. Le
avrebbe inoltre lenito il rammarico di non poter entrare in convento per la mancanza di dote
facendone una monaca in casa impegnata nelle attività parrocchiali. Risolveva cosí il problema
della cura delle ragazze, dava alla sorella un qualcosa che la consolasse per non essersi potuta
monacare e tranquillizzava il padre che temeva di vedersi la casa vuota da tanti che erano. Mi
perdoni il padre un cattivo pensiero: non avrà benedetto in fondo al cuore l‟assoluta impossibilità
di costituirle una dote che gli tratteneva la figlia in casa? Vedovo dalla loro infanzia, il figlio
Francesco tra i canonici lateranensi, Giuseppe parroco a Quinto, gli altri due, una volta preti,
chissà dove… A far famiglia gli rimaneva Paola, in casa se non sposata, vicina di casa se sposata,
ricreandogli una famiglia ricca di sorrisi di nipotini. Via anche lei, era troppo. Andasse pure dal
fratello a rimettersi in salute. Si sentiva ancora di buona gamba per andarla spesso a trovare e…
581
582
176
Ger 1,5.
Lc 24,13-35.
a controllare che tra i due non ci fosse un qualche tacito accordo. Dal come si svolsero i fatti
parrebbe che ci fosse.
A Torino per piú di trent‟anni Don Bosco restrinse la sua opera ai soli maschi. Per il Passi, il
Frassinetti e lo Sturla, accanto all‟Opera di San Raffaele, c‟è quella di Santa Dorotea. La prima
affidata a chierici e giovani sacerdoti, la seconda a donne di buona volontà. Ma le donne, andate
a marito, si sentivano legate ai doveri di famiglia e, se giovani, non mancava in casa la puntura:
per i preti il tempo lo trovavano, per le cose di casa no, poca importa se per farsi perdonare il
tempo dato ai preti, facessero in casa piú degli altri. Il Frassinetti per fare un po‟ di bene alle
fanciulle aveva trovata la soluzione prendendo con sé la sorella facendone il suo braccio
destro.583 E per tre anni Paola fu monaca in casa con cuore in convento.
A Quinto non mancavano ragazze desiderose di compiacere in tutto il Signore, perché non
innamorarle della vita consacrata anche se prive di dote? Per il momento il Priore benediceva
l‟amicizia che nasceva tra loro e la sorella, se poi non avessero saputo pensare questa vita tutta di
Dio senza convento, da monache in casa, metterne per loro su uno in paese non occorreva molto.
Bastava il poco che avrebbero potuto, il loro lavoro e, soprattutto, la Provvidenza che lo Sturla,
l‟amico fraterno, pareva avere ingaggiata a suo pieno servizio. Si sarebbe cosí creata alle
fanciulle la possibilità di vita consacrata in convento ed avere chi si occupasse dell‟Opera di S.
Dorotea. Né lui, né la sorella, né le compagne ambivano di piú, felici di essere suore poverette a
servizio del Signore. Fu il Frassinetti a pensarlo? Fu Paola? Giuseppe dice di non ricordarlo.
Ricorda però
le gravissime difficoltà. Il Prevosto doveva assumersi la cura di quelle zitelle ed era appena
all‟età di ventotto anni, suo padre era alienissimo dal permettere che la figlia si levasse dal
convivere con lui per racchiudersi con quelle giovani, temendo che quel tentativo producesse un
esito sfavorevole, frattanto non si avevano i mezzi per fare fronte alle spese. Il detto prevosto,
insieme con il R. Luigi Sturla e gli altri suoi piú intimi amici della Congregazione del B. Leonardo
avrebbero voluto tentare l‟impresa che si sperava potesse riuscire di gloria a Dio584.
Il corsivo è mio. Ci dice da chi partí l‟iniziativa: dai membri della “Beato Leonardo”. Cosí il
giorno di santa Chiara del 1834,585. allora il 12 agosto, nacquero le Figlie di Santa Fede.
Ripercorriamone la storia. A Giuseppe premeva:
– Dare istruzione religiosa ordinata ad una vita cristianamente vissuta.586
– Eccitare nelle piú fervorose il desiderio di una vita a Dio consacrata. Per chi non potesse
entrare in convento, vivere la sostanza dei consigli evangelici in famiglia o, se libere da impegni
familiari, in comunità che non esigessero dote. Per il momento nessun vincolo giuridico. “Regola”,
un quadernetto.
– Vita religiosa non fine a se stessa, ma ordinata alla salvezza delle anime. Nel caso: tenere le
fanciulle lontane dal male, formarle alla vita cristiana, insegnare loro il catechismo, i lavori
donneschi ed un po‟ a leggere.
583
Da lui formata, sulla cui fronte vedo inciso per copyright il nome del fratello. Si noti come il Frassinetti conosca
e sappia scegliere e valorizzare. Un talent scout di buona vista e di buon naso, il Frassinetti. Sceglie tra gente da altri
mai presa in considerazione.
584 G. FRASSINETTI, Memorie intorno alla Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio, Oneglia 1857,
pp. 63. Riproduce un manoscritto dell‟agosto 1847 con qualche ritocco per cura di don LUIGI BOTTARO. Mia la
sottolineatura.
585 Chiesa in cui era seppellito il loro nonno materno, Paolo Viale.
586 Mi si passino le ripetizioni di quanto si è detto nella prima parte aver fatto il Frassinetti chierico e sacerdote
novello per la formazione religiosa dei suoi fratelli e della sorella.
177
– Procacciarsi il sostentamento con il lavoro delle proprie mani. Nessun mensile da parte delle
ragazze. Se il loro lavoro non fosse bastato, la Provvidenza non avrebbe mancato di supplire con la
generosità dei buoni.
Programma che si ricava dalle prime pubblicazioni del Frassinetti, a lungo vissute ed
esperimentato prima di venire steso sulla carta. Il tenore delle esortazioni del Frassinetti dovette
essere piú o meno quello che si legge nei libretti diretti al popolo in generale ed alle giovanette in
particolare: Culto perpetuo in onore del SS. Sacramento, 1839; La santa verginità, 1841; La
forza di un libretto, 1841; Compendio di teologia dogmatica, 1842, scritto in italiano perché se
ne potessero servire non solo i chierici – gli studi ecclesiastici all‟epoca erano fatti in lingua
latina, persino la fisica! –, ma anche chi fosse solo in grado di saper leggere, il caso della sorella
e di parte delle sue amiche; Il conforto dell‟anima divota, 1844; Avviamento dei giovanetti nella
divozione a Maria Santissima, 1845. Fondamentale, anche se del 1853, le Amicizie spirituali,
imitazione da santa Teresa di Gesú e stimolo per la salute delle anime da santa Maria
Maddalena de‟ Pazzi, ossia trovare nell‟amicizia l‟aiuto per il raggiungimento della perfezione
cristiana con reciproche esortazioni e con correzioni fraterne. Grande fu la rispondenza delle
giovanette:
Né cessavano esse [le ragazze di Quinto] di importunare il Signor Prevosto, che era pure
confessore di tutte loro – scrive la Vassallo –, per avere consiglio ed aiuto in un‟impresa nella quale
la loro povertà opponeva fortissimi ostacoli. Il buon Prevosto desiderava vivamente contentarle e,
come raccontava la buona sorella Danero, cominciò proprio da essa a cercare di riuscirci. La
mandò dunque a chiamare la mamma e… le chiese quanto avrebbe potuto dare per dote… La
povera donna rispose che a forza di molti stenti e sacrifici… era riuscita a mettere insieme la
somma di lire genovesi duecento. Il Frassinetti, che… aveva saputo che anche in qualità di
converse non si richiedeva, oltre al corredo, meno di due o tre mila lire, esclamò: “Oh, come siamo
lontani dal cammino! Voglio io mettere su un istituto per il quale non ci sia bisogno di tanti
denari”.587
Appare chiaro che il Frassinetti, avendo innamorato della vita consacrata la sorella e queste
ragazze, ha da risolvere una difficoltà insormontabile: la dote. Quindi è lui, il Frassinetti, che,
costretto a trovare una soluzione, pensa ad un nuovo istituto che non ponga un tale ostacolo.
Ostacolo inesistente per chi fosse stata provvista di mezzi. Del resto, è poco verosimile che la
sorella, mai prima d‟allora fatta uscire di casa da sola, pensasse di fondare lei una congregazione
religiosa. È il Frassinetti che ne parla alla sorella, quindi sua l‟idea di un nuovo istituto, com‟era
in gran parte suo il merito della vocazione di quelle ragazze:
L‟idea del nuovo Istituto – depone con giuramento la Sommariva – venne prima in mente al
suo fratello D. Giuseppe appunto quando incontrò difficoltà per collocare in religione la sorella,
ossia pensò alla possibilità di fondare una Congregazione religiosa dove non si richiedesse sempre,
cioè in tutti i casi, la dote.588
Una congregazione con una duplice finalità: dare a quelle fanciulle la possibilità di santificarsi
consacrandosi al Signore e servirsi di loro per la formazione cristiana delle altre ragazze curando
l‟Opera di Santa Dorotea. Cosí, come con lo Sturla aveva fondato la “Congregazione del Beato
Leonardo da Porto Maurizio” spinto dall‟urgenza di avere chierici e giovani sacerdoti ben
formati per l‟Opera di San Raffaele, spinto dalla stessa urgenza, servendosi della sorella e delle
sue amiche pensò di poter dare all‟Opera di Santa Dorotea catechiste qualificate e maestre di
587
588
178
E. VASSALLO, Memorie…, pp. 163s.
Positio, Summarium, pp. 82s.
santità. Una longa manus del parroco per giungere là dove egli non poteva senza suscitare
pettegolezzi e, soprattutto, con quella efficacia con cui potevano le donne. Si noti come tutto ha
per centro la parrocchia.
Fin dalle origini vediamo il Frassinetti impegnato nella formazione non solo di collaboratori,
ma anche di collaboratrici per poter espletare un ministero altrimenti precluso. Suo compito dar
loro un‟ottima formazione spirituale e buona cultura religiosa perché la cura delle giovani non si
esaurisse nell‟ apprendimento mnemonico di formule di catechismo non comprese o, peggio, mal
comprese, ed in questa e quella pratica di pietà. Non fonda per loro un‟accademia come aveva
fatto per i chierici di teologia ed il giovane clero, essendo a quei tempi impensabile per le donne
per l‟assenza d‟un minimo di cultura di base, ma non passa giorno che non faccia loro
un‟istruzione. Con la sorella l‟aveva già fatto fin da studente. Si trattava solo di continuare
allargandosi.
Paola, maturata in questo clima, ripeteva con le ragazze ciò che dal fratello aveva sentito
raccontare facesse lo Sturla: ricreazione e catechismo. In piú innamorare quante piú ne potesse
alla vita consacrata educandone la spiritualità con le opere ascetiche di sant‟Alfonso. Se Paola
non entrò in un monastero disposto a chiudere un occhio sulla dote, la ragione, si legge, fu
perché non vi si osservava con rigore il voto di povertà. Solo questa la ragione o non anche per
non rinunciare all‟apostolato tra le giovani a cui era stata iniziata dal fratello e che assolveva con
gioia? Cosí, mentre a sostegno dell‟Opera di San Raffaele c‟era la “Beato Leonardo”, a sostegno
dell‟Opera di Santa Dorotea prendeva concretezza un nuovo istituto di ragazze del popolo a Dio
consacrate.589 “Questo Istituto pertanto ebbe il suo principio dalla Congregazione del B.
Leonardo”, parole del Frassinetti, scritte nel 1847, stampate nel 1857, viva la sorella.590
Il fuoco si propagava: Gianelli, i “Ragazzi del Gianelli”, Giuseppe Frassinetti, Luigi Sturla,
Giovanni Battista Cattaneo, Salvatore Magnasco, Tommaso Reggio… che, a loro volta,
appiccano fuoco ad altri compagni. Giuseppe ai fratelli piú giovani ed alla sorella, la sorella alle
ragazze di Quinto... L‟orchestra si fa sempre piú numerosa. È Giuseppe che dice a queste ragazze
che la consacrazione si può vivere anche senza la protezione delle mura d‟un convento. 591 Ma
alla sorella ed alle sue amiche sembrava poco se non si fosse lasciata la propria casa per vivere in
comunità. Giuseppe le accontenta compilando una regola per loro.
Le Figlie di Santa Fede
Una piccola cosa, su misura d‟una parrocchia d‟un duemila anime, come gli ricorderà la
sorella quando la piccola cosa si stava mutando in una grande cosa: “Se ti ricordi, quando
abbiamo cominciato l‟Istituto non avevamo certo intenzione di fare una cosa grande”.592 Si
notino i plurali: Abbiamo cominciato, non avevamo intenzione. In italiano, a differenza
dell‟inglese, il “NOI” si può sottintendere tanto è chiaramente incluso nella voce verbale. Quindi
per Paola le Dorotee erano state fondate da”NOI”, lei ed il fratello. No, il Frassinetti non
589
Ai collaboratori ed alle collaboratrici il Frassinetti chiedeva innanzi tutto cultura religiosa e santità, perché il
loro zelo fosse zelo illuminato. Per questo si era fatto scrittore.
590.G. FRASSINETTI, Memorie intorno…, pp. 62-66. Un documento di tale valore fu ignorato dal Processo di
Paola e da tutti i suoi biografi eccetto la Rossetto che conosce il Documento IV delle Memorie intorno… come III
nel volume XIII dell‟edizione vaticana delle Opere edite ed inedite del Frassinetti. R. ROSSETTO, Paola Frassinetti,
Padova 1984, lo cita a pp. 37.38.41, senza però mettere in risalto il valore e notare che la nascita dell‟Istituto è
presentata dal Frassinetti come una fondazione della “Beato Leonardo”.
591 Tesi sostenuta ne La forza di un libretto.
592 P. FRASSINETTI, OP. cit., Lettera al fratello in data 4 luglio 1851, p. 84.
179
pensava di “fare una cosa grande”, fondare una nuova congregazione religiosa sul modello delle
antiche, né andò oltre l‟apertura d‟una piccola casa in cui un gruppo di giovanette da lui guidate
facessero vita comune. L‟origine delle Dorotee ci viene da lui stesso raccontata parlando di sé in
terza persona e ponendosi secondo il suo stile in ombra.593
Ciò che tante volte si è tentato, né mai fu dato ottenere stabilmente, di formare cioè un Istituto
per le povere zitelle594 nel quale fossero ricevute senza dote, si è voluto tentare nuovamente nella
parrocchia di S. Pietro di Quinto nell‟anno 1834. Il Prevosto di questa Parrocchia, Giuseppe
Frassinetti, aveva con sé una sorella unica per nome Paola, la quale aveva desiderato ritirarsi dal
secolo, ma, per mancanza di dote, non aveva potuto effettuare il suo desiderio. Convivendo col
fratello si era messa in intima relazione con alcune zitelle del luogo date alla pietà e desiderose
anch‟esse di ritirarsi dal mondo, ma esse pure mancanti della dote necessaria …. Non ricordo se la
suddetta sorella del Prevosto abbia ideato per se stessa, oppure le fosse suggerito il tentativo di
formare un Istituto per le zitelle povere, è certo che si diede all‟impresa con molto calore. La cosa
presentava gravissime difficoltà. Il Prevosto doveva assumersi la cura di quelle zitelle ed era
appena all‟età di ventotto anni… Insieme col R.do Luigi Sturla e gli altri suoi piú intimi amici della
Congregazione del B. Leonardo avrebbero voluto tentare l‟impresa.... Consultarono allora il R.do P.
Bresciani della Compagnia di Gesú… Egli approvò il divisamento e lo incoraggiò. Facendosi molte
preghiere, il Prevosto stese una specie di Regolamento per la nuova Comunità… Erano in numero
di sette: Paola Frassinetti era la Superiora… presero una casa a pigione… per l‟annuo fitto di Ln
(lire nuove) 120, volendo pagare il primo semestre il suddetto P. Bresciani… Quindi ai 12 agosto
del 1834, giorno di S. Chiara, che si avevano scelto a loro singolare protettrice, si radunarono in
quella Casa…595
Nacquero cosí le “Figlie di Santa Fede”
Nell‟anno 1835, venuto in Quinto il M.to R.do Luca de‟ Conti Passi, fondatore della Pia Opera di
S. Raffaele e S. Dororea, visitò la nascente Comunità, e... credette di potersi servire di loro come di
primi elementi per la fondazione dell‟Istituto regolare di Sta Dorotea che stava divisando; fatta la
proposta, esse vi accondiscesero come pure i membri della Congregazione [del “Beato Leonardo”]
che ne avevano cura.596
Fondatore il Passi, no, ma fu certo molto, molto di piú, di una cara conoscenza che si usa
invitare nei giorni ricordevoli, avendo avuto una parte tutt‟altro che secondaria nella scelta della
loro attività, quanto dire della stessa ragione di essere di tutte le Dorotee, non escluse quelle
della Frassinetti. Ne è prova il mutamento di nome: da Figlie di Santa Fede in Suore di Santa
Dorotea. Fallí, invece, nel tentativo di unire i diversi istituti, che avevano scelto per scopo la
stessa Opera in un‟unica grande famiglia, lasciando a ciascun gruppo il piú ampio respiro che ai
tempi si potesse immaginare.597
Queste “zitelle”, come già la sorella, non furono oggetto passivo delle cure del Priore,
ragazze cui altro non si fosse chiesto se non obbedienza passiva al loro direttore spirituale, né ad
altro orientate se non alla propria santificazione. Come il Signore aveva curato in modo del tutto
particolare i Dodici pensando ai tutti, cosí il Frassinetti cura questo drappelletto di ragazze
593
G. FRASSINETTI, Memorie intorno…, Documento IV, pp. 62-66.
All‟epoca “zitella” stava per “ragazza”
595 G. FRASSINETTI, Memorie intorno…, Documento IV, p. 62-66.
596 Ivi.
597 All‟inizio le Dorotee, tutti i rami delle Dorotee, ebbero Regole che fanno pensare a quelle che San Filippo
diede agli oratoriani: ogni casa completamente autonoma dalle altre – per le Dorotee: ogni gruppo di case – per quel
che riguarda il governo, ma tutte aventi la stessa regola con possibilità di prestiti di personale.
180
594
pensando a tutte le ragazze della parrocchia. Il Frassinetti non fa di queste ragazze un corpus
separatum. Vuole che vivano in pienezza la vita della Chiesa a vantaggio della Chiesa che, per
ora, nel concreto, è la loro parrocchia, Quinto. Cosa possono fare delle fanciulle? Comunicare la
loro ricchezza spirituale alle fanciulle del villaggio. Quando poi la sorella prende una strada
diversa da quella che egli aveva pensato, lasciò che andasse dove lo Spirito le menava. Fu un
guadagno? Fu una perdita? Chi è in grado di dirlo?
CAPITOLO XXXVI
A CIASCUNO IL SUO
Prima di lasciare le Dorotee dobbiamo soffermarci ancora sui rapporti tra Giuseppe e la
sorella. Le prime biografe rivendicano a Paola essere stata la sola fondatrice, titolo che pareva
insidiato dalla figura di don Luca Passi!598 Dal fratello no, che, fin dagli inizi, seppe porsi in
598 F. SARTORI, Vita del conte cavaliere don Luca Passi… fondatore della Pia Opera e del Religioso Istituto di S
. Dorotea, Padova, 1882, p. 208. La vita, uscita a spoglie di Paola ancora calde, rivendicava al Passi il titolo di
fondatore non solo delle Dorotee di Venezia, ma anche di quelle di Genova. Se il Sartori pecca nell‟aggiungere, le
biografe nel togliere.
181
ombra, anche se non si potrebbe contestargli il titolo di “confondatore”. Le Memorie delle
biografe, non ostante il molto insistere che Paola fu la sola fondatrice, lasciano l‟impressione che
il vero ideatore e fondatore fu il fratello. I salmi sono di Davide. Tutti? Vecchia la tendenza di
attribuire al piú famoso anche la produzione dei ritenuti meno famosi. Nessuna meraviglia se
anche nelle vite dei santi, si tenda ad epicizzare chi è creduto il protagonista aggiungendo al suo
l‟altrui dando ad una congregazione un solo fondatore, restii a dividerne con altri la gloria. A
pranzo da amici, genitori di una bimba incantevole di quattro anni, ci fu il dolce in mio onore.
– Lo hai fatto tu? – Chiesi alla bimba.
– Sí, ma mi ha anche aiutato mamma.
La madre la guardò e sorrise compiaciuta di tanta onestà, lei guardò la mamma e sorrise. Del
resto era fatto in casa da quei di casa e, perché roba di casa, roba sua. Cosí in cielo il fratello
avrà guardato la sorella, e la sorella il fratello, ed avranno sorriso dell‟insistere della Vassallo la
Sommariva e la Masyn che unica fondatrice fu Paola. Certo, ma con l‟aiuto del fratello.
“Frassinetti” Paola, “Frassinetti” Giuseppe, sempre di “Frassinetti” si tratta, ed in casa non si
guarda questo è mio e questo è tuo. Qui non ci si domanda se Paola fu indipendente dal fratello
nella direzione dell‟istituto, avendolo essa affermato a chiare parole:
Io non domandai a mio fratello notizia alcuna di voi… e caso gli avessi domandato qualche
relazione, non sarebbe stato un dargli autorità sopra di voi… Se mio fratello vede le cose
diversamente che ve ne preme? Egli non è né il vostro Direttore, né confessore. Lo stesso vi dico
riguardo di D. Sturla, certo che per gratitudine per ciò che [lo Sturla] ha fatto, bisogna, quando si
può senza mancare all‟essenziale, usargli qualche condiscendenza o almeno aver pazienza alle sue
importunità… 599 La lettera successiva ancora piú chiara:
Vorrei che vi persuadeste che io sono contenta di tutto ciò che avete fatto, e solo vi mandai la
lettera di mio fratello per vostra regola e vi dissi di farla vedere a D. Filippo [Storace] perché, se
mai vi fosse stato qualche cosa da dovere in qualche modo mitigare, ve ne avesse avvertito; ma, del
resto, io conosco bene mio fratello e Prete Sturla e a bella posta non ho loro mandato nessuna
ingerenza e nessuna autorità.600
599
P. FRASSINETTI, Lett. 131, a suor Gianelli superiora di Genova, 19.9.1857, p. 154.
P. FRASSINETTI, Lett. 134, p. 158, in data 21.12.1857. Conosceva Paola veramente i due o credeva di
conoscerli? Lo Sturla era tornato dall‟esilio in Arabia da poche settimane. Durante i nove anni di lontananza mai
aveva dimenticato Paola, autorizzando il suo amministratore di passarle i frutti dei suoi beni. Una bella somma. La
qualche condiscendenza usategli dalla Gianelli dovette far capire allo Sturla di non essere gradito, quindi meglio
appartarsi, cosa di cui Paola non saprà poi rendersi ragione, Lettera al fratello del 12-07-1859, p. 190. Sturla non
cessò di essere Sturla fino agli ultimi giorni: “Sopraccarico di tante occupazioni e fatiche, osò accingersi ad una
impresa che prevedeva non avrebbe potuto condurre a fine senza immensi fastidi e sollecitudini, né senza gravissime
responsabilità: impresa cui d‟altra parte nessun altro avrebbe voluto sobbarcarsi, se egli non era… comprare un
fondo ad un Pio Istituto – leggi: Dorotee –, e trovare nientemeno che settanta e piú mila lire in poco tempo… vi si
accinse e riuscí… Fu l‟ultima impresa dello Sturla, che doveva coronare tutte le altre e quasi segnare la fine della
sua carriera mortale”. G. FRASSINETTI, Memorie intorno alla vita del sac. Luigi Sturla, Genova 1871, pp. 90s. Nella
seconda edizione, uscita per il centenario della nascita dello Sturla, Genova 1905, a p. 89 leggiamo in nota. “Si tratta
della compera del palazzo Raggio, in S. Francesco d‟Albaro, fatta dalla Frassinetti per le sue Suore Dorotee. E la
compera fu fatta per opera di quel zelantissimo sacerdote Sturla (che sino alla morte fu protettore instancabile
dell‟Istituto)”, A. CAPECELATRO, Vita di Paola Frassinetti 223.
182
600
Fu Paola indipendente dal fratello fin dalle prime origini? Stando alle Memorie ci fu rottura da
prima che formassero comunità, e rottura definitiva. Paola avrebbe accettato dal fratello solo un
aiuto esterno:
Non possiamo determinare con certezza se l‟idea del nuovo istituto sorgesse nella mente della
Madre nostra o in quella del fratello suo… Quel che è certo si è che… don Giuseppe coadiuvò la
sorella nella fondazione e le fu di grande aiuto; sebbene… egli, prima ancora che le candidate si
riunissero in comunità, si ritirò, e Paola da sola – questo corsivo nel testo, gli altri miei – andò
innanzi con coraggio e fiducia in Dio, il che vedendo il fratello tornò ad aiutarla ed essa gli mostrò
sempre molta gratitudine e deferenza governando però il suo istituto senza punto dipendere da
lui.601
Piena indipendenza, quindi, e questa ne sarebbe stata l‟occasione:
Avvicinandosi il tempo di riunirsi in comunità… chi sotto un pretesto, chi sotto un altro, [le
compagne] si ritirarono. Il prevosto, vista la mal parata, dichiarò alla sorella che egli non intendeva
piú di andare innanzi, e che perciò lasciasse in libertà tutte quelle giovani. Si contristò Paola…:
“Ma come?! Dopo che ci hai messo in ballo – quindi l‟iniziativa era del fratello –, ci abbandoni?…
Ebbene, se tu ti ritiri, io mi sento il coraggio di andare avanti da sola”.602
Su questa risposta le Dorotee argomentano che fu Paola l‟unica fondatrice sottolineando
innumerevoli volte il “da sola!”, senza escludere aiuti esterni del
fratello. Se non si fosse ricreduto, Paola sarebbe andata avanti da sola. Se alle parole di Paola
si volesse dare un valore letterale, verrebbe da pensare che o non si rendeva conto di quel che
diceva, o che peccava gravemente di presunzione.
Valore d’uno scambio di battute
Le biografe lo prendono troppo alla lettera e lo forzano a provare la piena autonomia di Paola
fin da prima che si radunassero in comunità. Paola, e solo Paola, fu l‟unica fondatrice e, a sentire
la Vassallo, per divina disposizione!603 In realtà fu solo rumore di parole, continuando l‟uno e
l‟altra nell‟impegno che si erano assunto, e nello stesso rapporto. Le parole di Paola sanno di
minaccia, ma per costringere il fratello a non desistere, e sapeva di minaccia la decisione del
fratello di volersene lavare le mani per costringere la sorella a premere sulle compagne per un
piú serio impegno. Quel “Dopo che ci hai messo in ballo ci abbandoni?” dimostra che l‟iniziativa
era stata del fratello. Giuseppe fa la voce grossa volendo piú decisione nelle ragazze. Paola
risponde sullo stesso tono, ma capisce che ha ragione e per non perderne l‟aiuto – altro che
avanti da sola! –, le chiama e pone l‟aut aut che il fratello aveva posto a lei: volevano o non
volevano farsi suore? Il fratello ne resta soddisfatto e tutto torna come prima senza
discontinuità. Rumore di parole. Ancora per alcuni anni è sempre Giuseppe colui che dice, che
fa e fa fare, è lui che continua ad essere quel che da anni era stato con la sorella: guida e autorità
che decide. Per dimostrarlo basta rileggere le testimonianze delle stesse dorotee che non
601
Memorie, p. 18.
Memorie, pp. 20s.
603 E. VASSALLO, Memorie, pp. 177s. Per la Neirotti lo scambio di battute “prova all‟evidenza che la fondatrice è
LEI – maiuscolo nel testo –”, Op. cit., p. 24. Le basta davvero poco per l‟evidenza. La Rossetto: “Il fratello, stupito
di tanta decisione, le rispose: – Fa‟ pure – e soggiunse – : Tu, o hai una grande presunzione, o una gran fede”, Op.
cit. p. 39. Solo lei pone queste parole in bocca a Giuseppe. In forma un po‟ diversa, e sempre per sentito dire, suor
Bozzano al Processo, Positio p. 102, ma in altro contesto.
183
602
avvertono di smentire l‟interpretazione data da loro a quello scambio di battute messo in tanto in
risalto.
Vedendo il prevosto che le cose procedevano bene, riprese animo e venne nuovamente in aiuto
della sorella ripigliando le intralasciate istruzioni e applicandosi con maggior impegno, che non per
lo innanzi ad esercitare nella virtú quell‟eletto drappello… Alle volte invitava dei sacerdoti suoi
amici, e voleva che le candidate esponessero in loro presenza le difficoltà che intravedevano… 604
Assenza totale del da sola, tante volte ripetuto. Quei sacerdoti suoi amici sono lo Sturla, il
Cattaneo ed altri della “Beato Leonardo”. Giuseppe vedeva ciò che Paola non vedeva, ed aveva
responsabilità che Paola non aveva, né poteva avvertire. Se tutto si fosse risolto nel nulla, la
responsabilità del fallimento sarebbe ricaduta tutta e soltanto su Giuseppe, non su di lei, e
Giuseppe doveva tenere conto dell‟opposizione del padre il cui cuore ancora sanguinava per quel
sí estortogli dal figlio; tener conto delle chiacchiere della gente d‟un piccolo
villaggio. Le critiche sarebbero ricadute tutte su quel parroco cosí giovane e cosí amante di
novità. Non poteva rischiare di compromettere la sua azione pastorale che dava l‟impressione
che a Quinto ci fosse una continua missione. Doveva poi tener conto della malevolenza di parte
del clero genovese con gli occhi fissi su di lui per trovare di che accusarlo, denigrarlo e
screditare la sua creatura, la “Beato Leonardo”, a cui l‟Opera di Quinto si rifaceva.
Le biografe non avvertono di essere smentite dal loro stesso racconto presentando sempre
Giuseppe come chi si dà da fare e chi prende decisioni:
Don Giuseppe… pregò il padre di volergli mandare [la sorella] a Quinto. Non ci volle molto
perché Paola entrasse nei disegni del fratello… [e] si accinse all‟opera che doveva essere come il
primo noviziato di tutta la sua vita… Non possiamo determinare con certezza se l‟idea del nuovo
Istituto sorgesse prima nella mente della Madre nostra o in quella del fratello suo… – la
Sommariva l‟attribuisce al fratello –. 605 Il Frassinetti comunicò il disegno a vari sacerdoti suoi
amici, fra cui don Luigi Sturla,… il sac. Boccalandro, confessore di Paola [e coadiutore del
Frassinetti]… e, sopra tutti, il gesuita padre Antonio Bresciani…606
È lo stile del Frassinetti. Non fa cosa senza renderne partecipi gli amici della “Beato
Leonardo”: Il nuovo istituto promana dalla “Beato Leonardo”.607 Vi fu la presenza di un gesuita,
il padre Bresciani, ma solo come consigliere:
Dal vedere che il primo consultore cui si rivolgevano i fondatori della Congregazione era un
Gesuita – scrive il Frassinetti –, non si deve con ciò argomentare, che questi padri abbiano avuto
parte nella prima idea della Congregazione, sicché possa riputarsi opera loro...608
Si noti: “i fondatori”. I neretti sono miei. Riprendiamo la lettura delle biografe:
Il prevosto Frassinetti e la sorella presero ad esplorare privatamente l‟animo di quelle giovani…
e ne trovarono subito dodici… Ma prima di riunirle a vivere in comunità vollero che per circa un
anno ognuna di loro abitando nella propria famiglia desse prova della sua stabilità; ed intanto il
604
Memorie, p. 22.
“L‟idea del nuovo Istituto – depone sotto giuramento – venne prima in mente al suo fratello”, Positio,
Summarium, pp. 82s.
606 Memorie, pp. 14.17s.
607 [G. FRASSINETTI], Memorie intorno…, Documento IV, pp. 62-66.
608 [G. FRASSINETTI], Memorie intorno…, p. 21.
184
605
Frassinetti nei giorni festivi le radunava… esponendo loro con semplicità e chiarezza i vantaggi e
le difficoltà della vita religiosa… Non si contentava che le future religiose imparassero la sola
teoria della virtú; bramava che imparassero anche piú a praticarla… E acciocché sempre meglio si
avvezzassero ad ubbidire, era stabilito che per turno settimanale ciascuna di esse facesse da
superiora alle altre; ma era stabilito che chi faceva da superiora non approvasse, né suggerisse o
imponesse alle altre mortificazione alcuna, senza il consiglio del prevosto. La prima all‟esercizio
dell‟ ubbidienza e della mortificazione era Paola.609
La superiora di turno, in carica una settimana, non doveva perciò godere di molta autorità. È il
Frassinetti che decide, è il Frassinetti che dirige, è il Frassinetti il superiore di fatto, è il
Frassinetti che scrive le prime Regole per una comunità d‟una mezza dozzina di ragazze. Anche
quando sono già riunite in comunità, è il Frassinetti colui che dispone e tutte gli obbediscono, la
sorella per prima.610 Ed è il fratello che le strappa il consenso del padre. Lo ricorda la stessa
Paola:
Avvenne un giorno – raccontava Paola – che, andati in parrocchia alla spiegazione del
catechismo per gli adulti, mio fratello… cominciò a declamare contro quei genitori che
ostinatamente si oppongono alla vocazione religiosa dei figli… io, che sedevo proprio acanto a mio
padre,… non sapevo dove posare lo sguardo. Tornammo a casa in silenzio, ché io non osava fiatare
e, messici a tavola, mio padre era serio… finalmente, volto al Prevosto, gli disse: “se tu avevi
qualche osservazione da farmi, me la potevi fare in privato, senza mettermi in berlina davanti a
tutti”.611
Ne fu cosí vinta la resistenza e
come Dio volle – continuano le Memorie –, il signor Frassinetti si piegò finalmente a dare alla
figlia il tanto sospirato consenso… Paola, aiutata dal fratello, si diè tosto a cercare l‟asilo che
doveva accoglierla… e trovò opportunissima una casina.612
Aiutata dal fratello. Piú verosimile il fratello su indicazione della sorella. Si pensi lo stupore
del padrone nel vedere una ragazza chiedergli la casa in affitto! Cosa inaudita in un paesetto
dell‟Ottocento! Il primo pensiero sarebbe stato un cattivo pensiero. Se non le fosse stata chiusa la
porta in faccia, si sarebbe sentita dire perché non fosse venuto il prevosto. Venisse, e se ne
sarebbe parlato. E poi, come avrebbe potuto stipulare lei il contratto non disponendo d‟un soldo?
Né era portata a contrattare. Andata a Roma, sente urgente bisogno dello Sturla e prega il fratello
di mandalo: “sai bene – gli scrive – quanto poco sono capace di tali affari”.613 Ma, soprattutto, è
il fratello che ne nutriva lo spirito.
A rompere la monotonia del lavoro e a sollevare lo spirito, leggevano ad ogni ora una massima
di pietà in un manoscritto del prevosto Frassinetti… né mancava il dolce sollievo del canto, giacché
quelle nostre prime Madri dovevano ripetere di tanto in tanto, sulle consuete ariette popolari, divote
canzoncine in lode di Dio e della santissima Vergine, prese per lo piú dalle opere di S. Alfonso
Maria de‟ Liguori. Erano tutte ascritte al Culto perpetuo del SS.mo Sacramento…614
609
Memorie, pp. 18s.
Memorie, p. 29.
611 Memorie, p. 32.
612 Memorie, p. 23.
613 Non lo dice, ma sa che, andando, lo Sturla portava con sé anche la sua borsa.
614 Memorie, p. 28.
610
185
Le biografe sono male informate. Abbiamo la prima stesura del manoscritto del Frassinetti
con correzioni e ripensamenti, specie nella parte poetica. Sono strofette composte per loro dal
Frassinetti, non del Liguori.615 Si ricordò di essere stato poeta negli anni di “Rettorica” e mise
l‟arte a sevizio della pietà. L‟ impostazione è benedettina, un “Ora et labora”, adattato a ragazze
di poca cultura ed anche analfabete. Cinque ore al giorno di lavoro in silenzio, rotto ogni tanto
dalla lettura di un pensiero d‟un paio righe. Alla fine di ogni ora si cantava una strofetta. Ci sono
pervenute seicento considerazioni e 78 strofette in vario metro, tutte adatte al canto,616 tutte
composizioni del Frassinetti, eccetto otto prese dal Metastasio, in piú il salmo 136 in una sua
traduzione poetica. Anche la catena ininterrotta di adoratori ed adoratrici dell‟Eucaristia si rifà
allo zelo del Frassinetti.617 Continuiamo la lettura:
La fondatrice aveva stabilito che per addestrarsi a parlare… dovessero tutte per turno
giornaliero parlare or sopra questa, or sopra quella virtú… assai di frequente in presenza del
prevosto e non di rado anche al cospetto di altri sacerdoti che il prevosto spesso conduceva seco…
La sorella Danero ci raccontava che essa aveva dovuto fare il suo ragionamento tre giorni appena
dopo l‟ingresso in religione…618
“La fondatrice aveva stabilito”, lei o il fratello? Rivedremo la Danero tra le suore converse,
cioè tra le addette ai servizi di casa, mentre, alla scuola del Frassinetti, era stata preparata
all‟apostolato tra le giovani ed esercitata a parlare. Nelle Regole del 1851, dalla cui elaborazione
il Frassinetti fu tenuto fuori, si nota uno scadimento per la rigida divisione introdotta tra maestre
e converse.619 Anche qui, come nel suo Catechismo dogmatico, dove sono i ragazzi che chiedono
al maestro d‟essere illuminati su questo e quel punto, e non il maestro che pone domande a cui si
risponde con un imparaticcio a memoria, si avverte il tocco pedagogico del Frassinetti che muta
l‟uditorio da passivo in attivo.
Le Figlie di Santa Fede diventano Suore di Santa Dorotea
Da piú di un anno il Frassinetti dirigeva il nuovo istituto come superiore di fatto. Nell‟estate
del 1835 aveva infierito il colera ed il prevosto e le ragazze si erano prodigati nell‟assistenza dei
contagiati, non però Paola a cui il padre aveva ingiunto di rimanere a casa, quindi ancora a lui
soggetta.620 Prima che l‟anno finisse ci fu la visita del Passi. Si congratulò della nuova istituzione
e propose come scopo specifico l‟Opera di Santa Dorotea e che vi si impegnassero con un quarto
voto. L‟ iniziativa partí dal Passi. Paola ascoltò il Passi ed il fratello senza trovare da ridire sul
nome nuovo non di sua scelta: Suore di Santa Dorotea.621 Lo stesso anno parte delle fanciulle si
ritirarono richiamate dai genitori forse per averle viste esposte al contagio. A porre i genitori da
parte della ragionevolezza c‟era l‟esempio del padre di Paola che alla figlia aveva proibito
l‟assistenza dei colerosi e l‟aveva rivoluta con sé. La casa di Quinto venne chiusa e, se non ci fu
rottura tra il prima ed il dopo, il merito è tutto dello Sturla che aveva affidato a due di loro la
scuola da lui aperta a San Teodoro.
615
Manoscritti, vol. IV, pp. 905-938. Stampato in Opere edite ed inedite, vol. XIII: Pie considerazioni e
canzoncine spirituali ad uso delle religiose, 1912, pp. 459-517.
616 Un esempio: Se l‟amore al nostro Sposo | Non si fonda in umiltà,| È un amor falso e bugiardo | che ben
presto svanirà.
617 [ G. FRASSINETTI], Culto perpetuo del SS. Sacramento, Genova 1839.
618 Memorie, p. 28.
619 Un esempio in Costituzioni e Regole, p. 128. Anche nelle Regole del 1840 c‟era la distinzione tra maestre e
converse, ma queste non erano escluse da incarichi ed uffici propri delle maestre se ne mostravano la capacità, p.17.
620 Memorie, p. 33.
621 Memorie, p. 31
186
Si apre a Genova e si chiude a Quinto
Si deve ancora alla generosità dello Sturla l‟apertura di altre case, ed è lui che in Genova si
presta a supplire il Frassinetti, legato alla parrocchia di Quinto fino al 1839 pur avendo
frequentissimi contatti con Genova.622 Grandi i meriti dello Sturla riconosciuti anche dalle
biografe quale benefattore segnalatissimo.
Lo Sturla… aveva impiantata una scuola femminile nel sestiere di S. Teodoro… chiese alla
Frassinetti che volesse mandarvi alcune sue figlie, e la madre nostra vi destinò Teresa Albino e
Marianna Danero, le quali passarono alla nuova residenza il giorno di S. Andrea Apostolo [30
novembre] dell‟anno 1835.623
“Chiese alla Frassinetti”. Stando alla deposizione della Danero, la richiesta fu fatta al fratello
che “approvò”, ed è piú che naturale.624 Si noti la tendenza a trasferire alla sorella ciò che è del
fratello. Lo Sturla, come già per i ragazzi, si dette anima e corpo per le fanciulle e fu lui che,
affidando la scuola alla nuova istituzione, le diede continuità in un momento in cui Paola ne era
impedita dal padre il quale
non cessava dallo stimolarla ad abbandonare l‟impresa… Oltre il disturbo interno, cominciò
all‟esterno la mormorazione a carico del nuovo istituto e tanto andò innanzi che la stessa autorità
ecclesiastica se ne impensierí ed il buon prevosto ne ebbe non poco a soffrire – mio il corsivo –.
Allora il signor Frassinetti… intimò a Paola di far ritorno alla casa paterna minacciando… di
mandarla a prendere con la forza.625
A parte la contrarietà di vedersi abbandonato anche dalla figlia, 626 al padre sembrava che la
nuova istituzione stesse franando, e non senza ragione. Delle sette giovani, Paola compresa, due
a Genova su richiesta dello Sturla, due andate via,627 rimanevano Paola ed altre due, una di
queste non si sapeva come fare per rimandarla a casa. Unica soluzione, chiudere tutto aspettando
tempi migliori, accontentando per il momento anche il signor Frassinetti che rivoleva la figlia a
casa. Se la fondazione ebbe continuità, si dovette alle due di Genova, quanto dire allo Sturla.
Siamo ai primi di dicembre 1835. Solo alla Pasqua del 1836, 3 aprile, Paola ottiene dal padre il
consenso definitivo. L‟ottenne senza ulteriori interventi persuasivi del fratello? Chi conta le volte
che il padre avrà parlato al figlio della fissazione della sorella ed il figlio a ripetergli di non
renderla infelice. Alla partenza di Paola per Roma quel sant‟uomo non farà nessuna opposizione.
Si leggano le lettere di Paola: chiede, chiede ripetutamente, certa d‟essere esaudita. Anche
nell‟ultima lettera, Paola chiede ancora una volta un piacere al santo vecchio. Ricostituita la
comunità in Genova, delle prime compagne rimandate per il momento a casa, tornò solo l‟Oliva,
per andare via definitivamente nel 1839. In cambio si aggiunsero altre tre.
Formata la comunità di [S. Teodoro], la Frassinetti ne era la superiora, sotto la direzione sempre
del fratello don Giuseppe coadiuvato dallo Sturla – si noti: il superiore di fatto è ancora il fratello –.
Crescendo ogni giorno il numero delle povere fanciulle… si pensò dai suddetti sacerdoti – il
fratello e lo Sturla – di cercare un locale piú ampio… sulla Montagnola detta dei Servi… In quella
622
La strada in cui era andato ad abitare il padre e i due figli ancora in famiglia, quando Giuseppe fu fatto
parroco di Quinto. Positio, p. 85.
623 Memorie, p. 34.
624 Positio, p. 47.
625 Memorie, p. 35.
626 Solo nel 1839, passato Giuseppe a Santa Sabina, vedrà ricostituita la famiglia.
627 Memorie, p. 35, e deposizione della Danero, Positio, pp. 48s.
187
casa l‟istituto cominciò a prendere sviluppo tanto pel numero delle ragazze quanto per quello delle
suore.628
Paola, passata a Genova, non avendo piú la possibilità di confessarsi dal Boccalandro,629
chiede al fratello da chi andare, ed il fratello le indica il gesuita padre Benettelli.630 Ancora il
fratello in primo piano. Lui e lo Sturla, la sua ombra. Il padre Benettelli si mostrò rude. Dicesse i
peccati. Lo lascerà alla venuta a Genova del gesuita spagnolo Firmino Costa,631 con il quale si
intese a pieno:632 Benché l‟uno e l‟altro gesuiti, abbiamo i due tipi di confessori di suore: l‟ideale
di S. Rosa Filippini,633 che vede nella suora solo una penitente che gli si rivolge per chiedere il
perdono dei peccati, ed il confessore ideale di S. Lucia Venerini,634 che vede la suora e l‟istituto
con i suoi interessi materiali e di governo da prendere a cuore per dovere di carità.
Quando trasmigrarono a Palazzo Morando nel cuore di Genova Paola pensò all‟abito – si noti
la tendenza di Paola di uniformarsi al modello che allora s‟aveva della monaca –.635 Nell‟aprire
la nuova sede chi fa tutto è ancora lo Sturla, e trovare, per lo Sturla significa trovare casa e mezzi
per acquistarla, cosí come si dà da fare nel 1837 per l‟apertura della casa di Rivarolo.636 Sarà
ancora lo Sturla, di lí ad un trentennio che troverà i mezzi per comprare la sede definitiva, quella
di Albaro. Fu l‟ultimo suo atto a favore delle Dorotee prima di morire di lí a poco. Come
riuscisse a trovare soldi ce ne parla il Frassinetti nel raccontarci la vita dell‟amico.637
Il 4 marzo 1838, prima domenica di Quaresima, in tredici vestono l‟abito religioso benedetto
dal Passi. Paola, cinque maestre e sette converse. L‟Istituto aveva ora piú case. Con l‟apporto di
pie donne la domenica era presente in 24 parrocchie curandosi di ben 2891 fanciulle.638 Se ne
chiese quindi l‟approvazione presentando al card. Tadini, un Prospetto in cui si esponeva lo
scopo che si prefiggeva.
628
Positio, deposizione di Marianna Danero, p.49.
Coadiutore del Frassinetti, uno della “Beato Leonardo”, e gli succederà a Santa Sabina per pochi mesi dopo
averne ricevuto l‟ultimo respiro per poi seguirlo subito alla tomba.
630 Giovanni Battista Benetelli, nato a Padova il 6 agosto 1786, gesuita a 30 anni, già sacerdote, confessore a
Genova in Sant‟Ambrogio, 1832-1839 e 1842-1848. Fu interpellato nel 1834 dal Frassinetti insieme al Bresciani su
l‟erezione del nuovo Istituto.
631 Nato a Flasà, Gerona nel 1806, fu a Genova dal 1837 al 1841. Di lui si dà un esempio di obbedienza…
eroica. “Quando in una Università dei Padri Gesuiti venne a mancare improvvisamente il professore di Lingua
Greca… il P. Costa che da pochi mesi studiava quella lingua,… avrebbe dovuto fare lezione a studenti universitari
provetti… supplicato dal Superiore di confidare in Dio… si accinse all‟impresa «senza ma… e senza se…». Lo
sforzo gli avrebbe prodotto un tumore alla fronte, “la cicatrice dell‟ obbedienza”, M. NEIROTTI, Paola Frassinetti a
Genova, Genova 1984, p. 137. Può l‟obbedienza comandare con danno a terzi facendo professore un impreparato? È
virtú obbedire a simili comandi? Dispensa l‟obbedienza dalla responsabilità personale? Chi aveva un tale concetto
dell‟ubbidienza che conto avrà fatto delle difficoltà delle anime che dirigeva?
632 Memorie, pp. 44s.
633 G. ANDREUCCI, Ragguaglio della vita della Serva di Dio Rosa Venerini…, 1732, p. 54.
634 F. DI SIMONE, Della vita della Serva di Dio Lucia Filippini…, Roma 1732, p. 42.
635 Deposizione della Danero, Positio, p. 49s.
636 Memorie, p. 40s. Quando nel 1839 ci fu la terribile alluvione “Oltre al generosissimo D. Sturla, il quale non
le abbandonò mai, videro accorrere…”, p. 42.
637 G. FRASSINETTI, Memorie intorno alla vita del sac. Luigi Sturla, pp. 90s.
638 M. NEIROTTI, Paola Frassinetti a Genova, Genova 1984, pp. 46-51.
188
629
Il Frassinetti, lo Sturla, il Cattaneo e il Passi
rivedono le Regole
L‟approvazione dovette essere solo orale. Il prospetto presupponeva una revisione del primo
regolamento e fu fatta dal Frassinetti, lo Sturla, il Cattaneo, il Barabino ed il Passi. Tutti della
“Beato Leonardo”, eccetto il Passi.
Del regolamento cosí rivisto, in cui dovette confluire il vecchio del Frassinetti, si pensava non
ci fosse pervenuta copia,639 mentre si conserva nell‟Archivio delle Dorotee di Vicenza –
l‟originale o una copia a piú mani? –, alle quali va il mio grazie per avermene dato una
fotocopia. Ritoccato dal Passi fu stampato a Venezia nel 1840.640
La separazione
La separazione di Paola dal fratello ci fu, ma non ai primi inizi, né nel periodo genovese, ma
solo dopo che, per iniziativa del Passi, Paola nel maggio del 1841 era passata Roma. Giunta a
Roma, Paola sente forte la mancanza dello Sturla e scongiura il fratello di mandarglielo per
risolvere i problemi economici da cui non sapeva come uscire, manifestandogli il rammarico che
non fosse anche lui a Roma con la sua “Beato Leonardo” per operarvi un po‟ di bonifica
spirituale.641 Ciò prova che non aveva rotto i cordoni ombelicali che la legavano al fratello, allo
Sturla ed alla “Beato Leonardo”. Dei gesuiti aveva sempre sentito parlare con grande
ammirazione dal fratello. Non le rimaneva quindi che appoggiarsi a loro. Trovato il suo
appoggio, comincia a farsi sempre piú marcata la differenza di vedute tra lei ed il fratello, tra lei
e don Luca Passi. Con il fratello conserva una grande apertura tenendolo ancora per parecchio
informato delle cose sue, cosa che fa anche con il padre,642 ma, per quel che riguarda il governo
dell‟Istituto, il fratello risulta tenuto sempre piú fuori, pur continuando a ricorrervi soprattutto
perché gli risolva questo o quel problema da cui non sapeva come uscirne. V‟è quindi una
progressiva emancipazione. È lei che comincia a vedere con occhio diverso o il fratello che,
ritenendola adulta e con buoni consiglieri, si pone in ombra, o l‟una e l‟altra ragione?
Divergenze di vedute
Dalle regole scritte dal Frassinetti, nel rifacimento dell‟edizione stampata a Venezia nel 1840,
le Dorotee non si presentano come congregazione con forte potere centrale, ma come
federazione di comunità con un unico regolamento ed una stessa passione apostolica, legate tra
loro, piú che da vincoli giuridici, dal vincolo della carità e dall‟impegno, con quarto voto, di
dedicare tutte le loro forze ad una stessa Opera a favore delle fanciulle. In quanto a governo,
ogni istituto conservava la propria autonomia. Per il vincolo di carità, e per l‟uguale scopo, erano
previsti scambi di personale in forma di prestiti o definitivi.
Le costituzioni rifatte su quelle dei gesuiti tendevano invece alla monarchia con poteri
praticamente assoluti e incarico a vita in chi la dirige, non solo, ma tutte le case ed ogni suora
639
M. NEIROTTI, .Paola Frassinetti a Genova, pp. 34.43.
Non siamo in grado di dire con certezza se la copia manoscritta conservata nell‟archivio delle Dorotee di
Vicenza è conforme alla virgola a tale revisione. Sono 44 pagine cm 25,8 x 36,3, divise in due colonne, una scritta,
l‟altra lasciata in bianco per le osservazioni, stese da diverse mani, una, tenendo conto degli scritti certamente suoi,
potrebbe essere quella del Frassinetti, ma non oso affermarlo. Vedi pure A. I. BASSANI, Le costituzioni delle Suore
maestre di S. Dorotea…, in “Claretianum”, vol. XXXIV(Roma 1994), p. 315.
641 P. FRASSINETTI . Lett. 4, p. 4, in data 30-7-1842, al fratello Giuseppe.
642 Richiede i suoi libri per diffonderli, gli riferisce i giudizi che ne danno cardinali e prelati. Spesso ricorre al
padre per questo e quel piacere. Sa che può sempre disporre del fratello, sa che gli può sempre chiedere, e piú volte
ne sperimenta la larga generosità.
189
640
dovevano essere formate sullo stesso stampo. Di qui, il confessore, se nel luogo ne esistevano,
doveva essere un gesuita, cosa criticata dal fratello in difesa della libertà di coscienza, non
essendo la confessione istituita per creare uniformità in un istituto religioso.643
L‟approvazione delle regole e il riconoscimento dell‟istituto della Santa Sede fu per Paola una
via crucis durata quanto la vita. Fosse già sua impressione, fosse per il giudizio negativo di
gesuiti di gran nome suoi consiglieri, le regole portate da Genova – un tascabile di 76 pagine, ma
con incluse le norme pedagogiche ed il rituale – sembrarono misera cosa per essere approvate
della Santa Sede. “Regolette”, le chiama la Vassallo. I gesuiti le offrirono in cambio le regole di
S.
Ignazio ritoccate per le Dame del Sacro Cuore che “appunto sono le stesse dei Gesuiti
medesimi”.644 Le adattasse alle sue suore. Ma era pur sempre un abito da soldati, per uomini, non
fatto su misura per donne, e vecchio di tre secoli!
Da questo momento, 1841-1844, non dallo scambio di battute prima che l‟ Istituto avesse
inizio, per quel che ne riguarda la direzione, Paola cominciò a divergere dal fratello sempre
meno capito – ma era stato mai veramente capito? –
tendendo a fare delle sue suore il ramo femminile dei gesuiti, non di diritto, ma di fatto, felice
che il gesuita Firmino Costa nel 1846 avesse saputo mutare delle pie donne in “vere monache”,
stando alle prime biografe. Diverso il pensiero del fratello, pensiero che sarà sintetizzato nei
capitoli seguenti dove si tratta degli Istituti laicali.
Ognuno la sua strada
643 Nelle lettere di quel 1857 troviamo piú cose in cui la sorella non si mostra in sintonia con il fratello e con lo
Sturla. Occasione dovette essere l‟eccesso di zelo della nuova superiora di Genova che, tra l‟altro, pretese che tutte
le suore si confessassero da un unico confessore, e questo doveva essere un gesuita. Il Frassinetti, che aveva passato
una vita in confessionale, dovette mostrare alla sorella gli inconvenienti che ne potevano nascere. Un vero peccato la
perdita di quella lunga lettera che non ci permette di sapere cosa propriamente il fratello le avesse fatto rilevare, ma
che il sacramento potesse farsi odioso a qualche suora che piú non avesse fiducia in quel confessore da lei non
scelto, è tutt‟altro da escludere, soprattutto se lo avesse visto parlare abitualmente e a lungo con la superiora.
Parlavano solo delle cose di casa, o anche di lei? Il sospetto, anche se infondato, non era impossibile. Qualunque sia
poi il motivo di non essere paga di quel confessore, alla suora non va negata la possibilità di rivolgersi ad un altro.
Lo fa pensare la risposta della sorella: “Ho ricevuto la tua lunga lettera, e ti ringrazio della relazione che mi dai delle
cose di costí… il tuo ragionare è giustissimo… In quanto all‟aver indotte tutte le Suore da un confessore avrà
sbagliato per averlo fatto troppo presto – mia la sottolineatura –, ma sappi che qui non vanno bene se non le
comunità che hanno un solo confessore, con gli straordinari, ben inteso, ai tempi stabiliti…. È anche scusabile se ha
cercato di condurle dai Gesuiti perché, avendo noi le regole quasi conforme alle loro, siamo con piú facilità intese e
guidate secondo lo spirito del nostro Istituto… In tempo della Repubblica – 1848-1849 – dovettero le Suore
confessarsi da un Francescano vero sant‟uomo, eppure, nel lodare egli le sue regole, dispregiava alquanto le loro…
Vedi, dunque, che se siamo un poco timorose… siamo anche un poco da compatire”, Lett. 128, giugno 1857, p. 145.
Suor Cosso cosí depose al Processo per il Frassinetti: “Il Servo di Dio non confessava tutta la piccola Comunità
della Casa di Genova, ma solamente alcune… non mi confessai piú dal Frassinetti dal momento in cui la Madre
Gianelli, attillatissima alla direzione dei Padri Gesuiti, prese possesso come Superiora delle due case di Genova e di
Rivarolo”. Il Frassinetti anticipava di sessant‟anni le disposizioni del Codex Iuris Canonici del 1917 che,
legiferando sulla confessione delle religiose, ha di mira la loro assoluta libertà di coscienza. L‟ultima revisione,
1983, permette alla suora di adire in qualunque chiesa a qualunque confessore, senza che sia tenuta a riferire alla
superiora d‟essersi confessata. A voler noi pensare quei di lassú con i nostri pensieri di quaggiú, Paola non ha potuto
non dare atto al fratello di avere avuto lunga vista.
644 P. FRASSINETTI, Lett. 11, pp. 15, 30-7-1842, al fratello Giuseppe. Positio, Summ. addizionale, pp. 75s.
190
Seguendo Paolo e Barbara negli gli Atti degli Apostoli, a metà del capitolo 15 ci si trova di
fronte a qualcosa che non si sarebbe mai immaginato, tanto si pensavano l‟uno complemento
dell‟altro. Entrambi amavano il Signore come di piú è impensabile, eppure scelgono strade
diverse ciascuno pensando la propria quella che piú lo avrebbe glorificato. La meta resta unica
per entrambi: far conoscere ed amare Cristo a quanta piú gente si può. Separazione non senza
lacerazione perché, per non separarsi, ciascuno cercò di convertire a sé l‟altro non senza
riscaldarsi – questo il significato del greco paroxismós –, tanto all‟uno premeva non perdere
tempo e all‟altro salvare Marco all‟apostolato che, da giovane crea problemi, lo rivedremo di
“bell‟aiuto” per Paolo e, per Pietro, un figlio a cui affidare il porre sulla carta il vangelo che egli
predicava. Barbara con Marco navigò verso Cipro, Paolo si diresse verso la Siria e la Cilicia,
entrambi dediti con pienezza a Cristo.
Lungi da me mettere a raffronto la santità di Paola e del fratello, cerco soltanto di esporre le
diverse scelte che l‟uno e l‟altra pensarono piú atte a meglio servire il Signore. Per amore del
perfetto, ed il perfetto erano le regole dei gesuiti, Paola commise l‟errore che Vincenzo Cuoco,
in altro campo e con altra visuale, rimprovera ai padri della Rivoluzione partenopea del 1799, e a
sé stesso che ne fece parte: “Hanno voluto imitare tutto ciò che vi era in essa: vi era molto di
bene e molto di male, di cui i francesi stessi si sarebbero un giorno avveduti”. Sostituiamo a
molto di male, molto di non adatto ed inattuale, e la citazione calza a pennello. Fratello e sorella
differivano soprattutto in quel che segue: “ma non hanno i nostri voluto aspettare i giudizi del
tempo, né hanno saputo indovinarli”,645 se si sostituisce al voluto della seconda edizione, il
saputo della prima: non aver saputo indovinare i tempi ed aspettare. Giuseppe per eccesso, Paola
per difetto. La sorella troppo ancorata sul vecchio modello gesuitico; il fratello troppo proiettato
nel futuro, che, con il suo istituto laicale delle Figlie di Maria, precorreva i tempi con troppo
anticipo.
Paola vede solo la sua opera, ignorando il resto; le biografe solo il problema di Paola;
Giuseppe vede l‟opera nel contesto della parrocchia, della “Beato Leonardo” e della diocesi.
Paola, di lí ad un vent‟anni, ormai madre generale di un istituto affermato, circa la direzione
spirituale delle suore vede innanzi tutto il buon ordine della comunità, quindi direzione uniforme
affidata solo ai gesuiti se presenti in città; il fratello è preoccupato della tutela della libertà di
coscienza di ciascuna suora, avendo una visione delle cose legata ad una vita passata in
confessionale, esperienza che la sorella non aveva.
Per Paola una suora andava protetta in ogni suo movimento e respiro, perciò la necessità di
regole che prevedessero e regolamentassero quanto si pensava legato alla vita consacrata;
Giuseppe concedeva larga fiducia, ampio movimento d‟azione e d‟iniziativa.646 Le regole
suggerite dai gesuiti tendevano a mettere la suora nella impossibilità materiale di fare un passo
falso, tenendola legata in fasce anche da adulta; Giuseppe insisteva, forse con troppo anticipo,
sulla sostanza delle vita religiosa piú che sulla minutaglia della precettistica. Le costituzioni dei
gesuiti, che Paola prende a modello, compilate dal Loyola per uomini del suo tempo, in gran
parte sacerdoti, non erano per donne, meno che meno per donne analfabete in buon numero. Per
questo, e perché datate – quante cose erano accadute e mutate in tre secoli! –, non fu scelta
felice. Si aggiunga che il rifacimento non fu fatto sul testo quale era professato dai gesuiti, ma
sull‟ adattamento fatto dalle Dame del Sacro Cuore con le modifiche del 1839, dove l‟ispirazione
645 V. CUOCO,
Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli, 1862, cap. XVIII, inizio.
Mi rifaccio alle Regole per le Figlie di M. Immacolata, certamente sue, ignorando quelle del 1834, non
essendo in grado di giudicare quanto del Passi entrò in quelle del 1838-1840.
191
646
ignaziana fondamentale non sembra essere stata capita, mentre era stato parzialmente svuotato
l‟aspetto originale delle Costituzioni del S. Cuore.647 Piú errore di chi la dirigeva che suoi, tanto
che alle critiche confessa che anch‟essa non ne era rimasta soddisfatta.648
Il Frassinetti invece mostra una mirabile flessibilità. Duce il napoletano meraviglioso Alfonso
Maria de‟ Liguori, lo vediamo scendere lungo la via di Gerico accanto all‟uomo abbandonato piú
morto che vivo, stoppino di lampada ormai fumigante, e, discepolo d‟un tanto maestro che lo ha
fatto discepolo del Maestro, lo ravviva. Ravvivato che lo abbia, insieme al non peccare piú, fa
leva sul punto vivo che in nessun uomo manca, e, di lí partendo, gli addita le vette piú alte della
perfezione. Sí, anche lui può aspirare ad essere perfetto come è perfetto il Padre nostro che è nei
cieli. Ai piú generosi addita la vita consacrata, la sostanza della vita consacrata, senza legarli
ad una sola forma. Una vita consacrata aperta a tutti. Gente che non è piú di questo mondo, ma
non lo fugge, vi resta, vive nel suo bel mezzo e se ne fa lievito. La parrocchia con il Frassinetti
non ha piú solo un parroco che è tutto. Ha collaboratori, ha chierici che vivono in famiglia, ha
ragazzi e ragazze ed ogni altra categoria di fedeli. Loro sono la parrocchia. Una parrocchia
pensata officina di santi santificatori con cento lunghe braccia che giungono ovunque, anche
dove lui, il Priore, in nessun modo potrebbe arrivare.
647 Cfr. Evoluzione canonica e legale della Società del sacro Cuore di Gesú dal 1827 al 1853, articolo che si
ricollega a J. DE CHARRY, Histoire des Constitutions de la Société du Cœur, Rome, 1975,1979,1981. Un grazie
all‟archivista suor Anne Léonard.
648 P. FRASSINETTI, Lett. 213, p. 282 e Lett. 215, p. 286.
192
La piú bella componente la vita consacrata posta a servizio della parrocchia, una vita
consacrata aperta e facilitata a tutti, perciò spoglia d’ogni formalità, priva di ogni apparato,
ma ricca di tutta la sostanza, la freschezza e lo slancio della vita consacrata. Sono le
“Monache in casa” e i “Religiosi al secolo”.
Gli “Istituti secolari”.
Il Frassinetti non dice superate le vecchie forme di vita religiosa. Non poche delle sue
“Monache in casa” sciameranno verso le congregazioni tradizionali e piú d‟una sarà fondatrice di
nuove. Bastino due nomi, ma non sono le uniche: la beata Rosa Gattorno, fondatrice delle Suore
di Sant‟Anna e Santa Maria Mazzarello, confondatrice delle Figlie di Maria Ausiliatrice.
Nessuna meraviglia se la sorella, passata a Roma e lontana ormai dal fratello,649 fattasi sempre
piú ammiratrice dei gesuiti, abbia pensato di rimodellare la congregazione delle Dorotee sulla
loro, fino ad incaricarne uno, il padre Fava, di stendere le costituzioni che pensava definitive.
Non era stato cosí alle origini nel pensiero del fratello. Fu cosa aliena dalla sua mente mettere
su una falange, muro di bronzo inattaccabile, ma pesante nel muoversi. Piú calzante prendere a
paragone la legione dei romani: tre fila di gruppi d‟armati, spaziati come i neri di una scacchiera,
leggerissimi, mobilissimi, qualunque fosse la configurazione del terreno. Le varie congregazioni
di dorotee sorte in quegli anni Trenta erano state pensate fondazioni che, mentre godevano piena
autonomia di governo e di iniziative, formassero tra loro federazione, strettamente unite l‟una
alle altre per l‟unicità dello scopo e delle regole, con possibilità di scampi di personale,
momentanei e duraturi. Flessibilità che si riproduceva in ogni singolo gruppo: case madri per
aver partorito case figlie, ma queste, se capaci di parti, divenivano a loro volta case madri. Di
piú. Negli ultimi dodici anni di vita il Frassinetti pare anticipare la strategia che si vedrà nella
guerra di Spagna degli anni Trenta: aggiungere alle legioni una quinta colonna mimetizzata in
campo nemico, priva di divise e segni di riconoscimento, e moventesi in ordine sparso, in cui
ciascuno era ad un tempo soldato e duce. Sono i religiosi e le religiose al secolo. Un anticipo
degli istituti secolari, persino il nome: Istituti secolari. Argomento dei prossimi capitoli.
NOTA. Ci sarebbe ancora molto da dire sui rapporti intercosi tra Giuseppe e la sorella, ma
l‟economia del lavoro non permette di riportare un mio lungo studio.
CAPITOLO XXXVII
649 In ventisette anni quasi unici contatti una settantina di lettere di Paola al padre e al fratello, mentre si ha il
rammarico che quelle del fratello a Paola siano andate tutte perdute. Quanta ricchezza vi avremmo potuto attingere!
193
DON PESTARINO
E LE RAGAZZE DI MORNESE
L‟Istituto delle Dorotee della sorella Paola andava sempre piú assumendo le caratteristiche
degli istituti tradizionali. Lo sviluppo che prendeva era indizio che rispondeva alle necessità del
momento, non a tutte, né a quelle per le quali dal Frassinetti era stato concepito, nato per chi
voleva consacrarsi al Signore e non disponeva di una dote. Portasse quel che poteva, chi poteva.
Avere poi case proprie con educandati che non sfigurassero con quei di buon nome, riproponeva
il problema dei mezzi. Agli inizi era bastata la generosità di Giuseppe e dei suoi amici, lo Sturla
soprattutto. Passato qualche anno, una di basso ceto aveva speranza di farsi Dorotea solo se
richiesta dalle esigenze dei servizi domestici.650 Inoltre, nate per aiutare il parroco nell‟Opera di
S. Dorotea, tendevano sempre piú a divenire un corpus separatum, suore di convento che
s‟occupavano anche dell‟Opera. Tali ragioni crearono nel Frassinetti l‟impressione che il
problema, per cui le Dorotee erano nate, non era stato risolto. Né lo convinceva quella
separazione cosí netta tra maestre e converse, le prime destinate all‟apostolato, le altre ai lavori
domestici, un impiego da persone di servizio, e da accettarne solo nel numero necessario per il
disimpegno di tali servizi, senza possibilità di impieghi piú alti, ne avessero pure le doti. Stando
alle regole preparate nel 1851 formavano di fatto, anche giuridicamente, una sotto categoria di
suore non essendo ammesse al quarto voto o a cariche di governo, né risultava chiaro se “voti
semplici”, i soli da esse emessi, fosse sinonimo di “voti temporanei” con la possibilità di poter
essere rinviate senza interpellare la Santa Sede.
Ma il Frassinetti incoraggiava qualunque fanciulla ad accogliere l‟invito del Signore, anche se
non adatta a far da maestra e tutti i posti di servizio fossero coperti. In lui prevaleva quest‟anima,
per la sorella si facevano determinanti le esigenze dell‟istituto. Quanto poi alla netta divisione tra
maestre, la collaborazione all‟apostolato di non poche persone di servizio e di umilissima
condizione lo convinceva ogni giorno piú che ne erano capacissime.651 Quella diversità tra
converse e maestre, a dirla francamente, era legata piú al ceto di provenienza che a differenza di
formazione per studi fatti o non fatti. In tale stato d‟animo, penso, si trovasse il Frassinetti
quando gli pervenne un plico da parte di don Pestarino, autrice una ragazza sui vent‟anni, Angela
Maccagno. Guardasse un po‟ lui.
Don Domenico Pestarino
Chi era questo sacerdote di villaggio, riuscito ad innamorare della vita consacrata un
gruppetto di ragazze, che si rivolgeva al Frassinetti? Era nato il 5 gennaio 1817 a Mornese in
diocesi di Acqui. Aveva fatto i suoi primi studi ad Ovada ed in Acqui. Qui accadde qualche cosa
di provvidenziale per il bene che ne venne, anche se mal fatta. Nel passare da umanità a rettorica
l‟esame era dato dal professore di rettorica e non da quello di umanità. I due, dice il Maccono,
erano cane e gatto. Tutti bocciati. Aveva preteso che scrivessero in latino un brano del Bartoli
mentre egli lo dettava! Meglio passare alle scuole del seminario di Genova. Vi frequentò
rettorica e filosofia da esterno, teologia da interno. Sacerdote il 21 settembre del 1839, vi fu
trattenuto come assistente fino a tutto il 1847. Gli anni d‟oro della “Beato Leonardo”,
dell‟annessa Accademia ecclesiastica e del seminario. Furono pure gli anni della sua giovinezza,
compendiabile in tre nomi: Frassinetti, Sturla e Cattaneo. Il Frassinetti sopra tutti, che piú d‟ogni
altro ne influenzò la formazione e gli rimarrà faro su cui orientarsi per il resto della vita. La
650
651
194
Costituzioni e Regole, Roma 1851, p. 12.
La Danero, che ebbe una parte di prim‟ordine all‟inizio, la ritroviamo tra le converse.
biografia di don Pestarino, scritta dal salesiano don Ferdinando Maccono, è piena di quel
nome.652 Dopo aver citato il Frassinetti parlando della Congregazione del Beato Leonardo e la
sua Accademia, si pone la domanda:
Studente chierico del seminario, entrò anch‟egli a far parte di codesta congregazione? – e si
risponde –: Non abbiamo prove definitive, ma per l‟ottima indole di Don Pestarino e l‟intima
relazione che ci fu sempre tra lui e lo Sturla e il Frassinetti, siamo indotti a credere di sí.653
Un foglio di mano del Frassinetti, se conosciuto, avrebbe tolto il dubbio. V‟è una lista di nomi
divisa in quattro colonne. Nell‟ultima si legge: Pestarino Domenico, lui. Essendo tra i “Preti”, la
lista fu redatta dopo il 21.9.1839. Essendovi il beato Tomaso Reggio, ordinato il 18.9.1841,
questa la data post quem. Se non si ha la prova che vi fosse appartenuto fin da chierico, quel
nome sta lí a rendere molto probabile la supposizione del Maccono. Col Maccono ricreiamo il
clima di quegli anni di seminario facendo nostre le citazioni dal Frassinetti di cui egli si serve,
non fosse altro per ribadire la mirabile unione che intercorreva tra quei giovani sacerdoti alla cui
scuola il Pestarino andava formandosi:
Fra le cose che non portavano buone conseguenze, una era che nei sacerdoti prefetti [prima del
Cattaneo] non si richiedeva nulla di particolare, né a riguardo della scienza, né a riguardo della
pietà… Il giovane Rettore conobbe che si dovevano cercare i migliori prefetti… Riuscí nel suo
divisamento, e da allora in poi i prefetti del seminario furono ecclesiastici dotati di positiva scienza
e virtú.654
Elencando le qualità che si richiedevano ad un prefetto, il Maccono fa il ritratto del Pestarino
e ci descrivere come espletava il suo ufficio. Tra l‟atro: “Usava fin d‟allora il sistema
preventivo”655, ossia prima di Don Bosco, lo noto a conferma di quanto ho sostenuto: prima che
Don Bosco a Torino, già a Genova il Frassinetti, affermato da un salesiano. Il Maccono insiste
sul Frassinetti dedicandogli un lungo paragrafo titolato: Un ottimo consigliere: Giuseppe
Frassinetti, a cui
facevano capo molti sacerdoti di buono spirito per istruzioni e consigli sul modo di regolarsi
nella predicazione, nella soluzione dei casi di coscienza, sul modo d‟infervorare il popolo nella
devozione… sui mezzi per coltivare la pietà nei giovani, nel preservarli dall‟incredulità e nel tenerli
lontani dai vizi; sullo stabilire pie unioni tra i giovani, fra le donzelle e le madri di famiglia. Anche
D. Pestarino prese a frequentare la casa del Frassinetti… D. Pestarino, dal conversare col
Frassinetti e dal praticare con lui, si rassodò sempre piú in uno spirito di pietà fervente, in uno zelo
veramente apostolico, in un distacco da se stesso e da ogni cosa per essere sempre piú un vero
sacerdote secondo il cuore di Dio.656
Tornato il Pestarino al suo paese, “non cessò di essere missionario genovese”,657 portando con
sé i modi e lo spirito di Santa Sabina e del suo Priore. Per pagine e pagine il Maccono non fa che
652
F. MACCONO, L’Apostolo di Mornese, sac. Domenico Pestarino, 1927, p. 176.
F. MACCONO, L’Apostolo di Mornese…, p. 17.
654 F. MACCONO, L’Apostolo di Mornese…pp. 22s. con rinvio per il passo citato a G. FRASSINETTI, Memorie
intorno al sacerdote Luigi Sturla, in Opere edite ed inedite, vol. XIII, Roma 1913, p. 415.
655 F. MACCONO, L’Apostolo di Mornese… p. 24.
656 F. MACCONO, L’Apostolo di Mornese… pp. 30s.
657 F. MACCONO, L’Apostolo di Mornese… p. 35.
195
653
ricollegare il Pestarino al Frassinetti:658 lotta al rigorismo giansenista, esortazione alla
comunione frequente e quotidiana, catechismo ai fanciulli e alle fanciulle, catechismi dialogati
tra maestro e ignorante.
Cercò di fare a Mornese quanto faceva il Frassinetti… del quale è risaputo l‟amore che portava
ai fanciulli e le raccomandazioni che faceva al clero di occuparsene volentieri… D. Pestarino cercò
di attuare in modo perfetto questo programma…. In quei tempi era uso che… nessuno si
ammettesse alla prima Comunione se non aveva compiuto i dodici anni. D. Pestarino era però della
scuola del Frassinetti il quale insegnava che “di regola generale che non si deve aspettare che i
fanciulli passino i dieci anni”… Cosí ci assicurano le coetanee di Suor Maria Mazzarello.659
Ho abbondato nelle citazioni tratte dalla biografia di don Pestarino scritta da un salesiano,
perché non ci si meravigli se ricolleghiamo il Pestarino al Frassinetti, sembrando, ed essendo,
una sua longa manus.
Le ragazze di Mornese
Alla vigilia dei rivolgimenti del 1847-1849 il Pestarino tornò a Mornese. Il Lemoyne lo fa
tornare nel 1849.660 Data insostenibile, essendo stata già da un anno mandata via la vecchia
dirigenza per le pressioni della piazza. Ci è pervenuto il manoscritto del chierico Luigi Persoglio,
alunno di filosofia, dal novembre del 1847 al 1854, anno dell‟ordinazione.661 Nelle prime due
pagine, ancora sotto la vecchia dirigenza, ne dà la composizione. Manca il nome di don
Pestarino, quindi dall‟anno 1847-1848 non era piú presente. Se in seguito non poté piú
riconoscersi nel seminario privo del Cattaneo, si sentiva di casa a S. Sabina dove il Frassinetti
aveva ripreso il suo ministero dopo tredici mesi d‟esilio.662
Tornato il Pestarino a Mornese, alle ragazze del paese non pare vero poterlo avere per padre
spirituale. Benché giovane, non rifugge dall‟occuparsene. Aveva l‟esempio nel suo Frassinetti di
cui aveva acquisito lo spirito ed a lui si rifaceva per consiglio e direttive. Nessuna meraviglia
quindi se lo vedremo nutrire quelle ragazze con i libretti che il Frassinetti andava pubblicando
innamorandole della verginità e della vita di perfezione. D‟entrare in convento neppure a
parlarne, tante sarebbero state le difficoltà. Cosí, a vent‟anni di distanza, al Pestarino si riponeva
il problema che era stato posto al Frassinetti dalla sorella. Problema vecchio da potersi ora
risolvere in modo nuovo: chi poteva impedire a queste giovani di vivere da persone consacrate
restando nella loro casa? Il Frassinetti aveva dimostrato tale possibilità fin dal 1841 nella Forza
d‟un libretto.
Cosa conteneva quel plico?
Né il Pestarino, né la Maccagno, pensavano certo che il Signore si stava servendo di loro per
dare origine alle Figlie di Maria Immacolata e poi alle Figlie di Maria Ausiliatrice. Cosa
contenesse quel plico ce lo narra il Frassinetti.
658
Le annotazioni ai margini della fotocopia: Frassinetti nella predicazione; nel confessionale; nelle
associazioni parrocchiali; coi fanciulli come il Frassinetti, ecc., se sono dell‟autore, si direbbero poste in vista di
una riedizione.
659 F. MACCONO, L’Apostolo di Mornese…, pp. 45.54.56.
660 G B. LEMOYNE, .Memorie biografiche del Ven. D. Giovanni Bosco, vol. VII, p. 295.
661 Memorie per servire alla storia del Seminario Arcivescovile di Genova scritte dal Seminarista Luigi
Persoglio durante gli anni della sua dimora in Seminario dal novembre 1847 al giugno 1854, Archivio
Frassinettiano.
662 Né v‟era piú lo Sturla che tornerà dall‟esilio in Arabia nell‟aprile del 1857.
196
Verso l‟anno 1850 in Mornese… una zitella al diciottesimo anno di sua età si determinò di darsi
intieramente a Dio senza abbracciare la vita religiosa rimanendo al secolo. Considerando intanto
che molte zitelle, le quali non possono, oppure non amano professare vita claustrale, piú facilmente
si darebbero tutte a Dio se vi fosse un mezzo che loro rendesse piú agevole il conseguimento della
perfezione cristiana rimanendo in mezzo al mondo, pensò… una compagnia di zitelle le quali
fossero intenzionate di osservare con la massima puntualità la divina legge anche nelle minime
cose, di modo che la loro vita… fosse immune da ogni peccato; che vivessero distaccate
coll‟affetto dai beni della terra praticando cosí la vera povertà di spirito; che, a cosí dire, non
avessero volontà propria, amanti della piú perfetta ubbidienza; inoltre che avessero il piú fermo
proposito di conservare perpetua castità,… fossero anche pronte a farne voto se venisse loro
accordato dal confessore... in una parola, che rimanendo queste zitelle in mezzo al mondo,
aspirassero a quella perfezione cui aspirano le buone religiose nei loro chiostri. Oltre a ciò, che si
esercitassero nelle opere di misericordia, segnatamente aiutando ed assistendo le inferme del luogo,
impegnandosi che non manchi l‟istruzione cristiana alle fanciullette, promovendo le opere di pietà,
in genere ogni cosa conferente al servizio di Dio e alla salute delle anime… si considerassero
sorelle, e non solo si impegnassero per il reciproco vantaggio dello spirito, ma anche si aiutassero
nei loro temporali bisogni.
Trovate alcune compagne, abbozza una regola e la fa vedere a Don Pestarino che la manda al
Frassinetti che, assorbito da altri lavori, trascurò di rispondere,
finalmente dopo due anni, nell‟autunno del 1855, compilò la richiesta regola… Chi la compilò –
parla di sé in terza persona – si attenne fedelmente alla traccia somministratagli, niente
aggiungendo e niente mutando di sostanziale.
Avuta la regola, la domenica dopo l‟Immacolata dello stesso 1855,663 diedero inizio alla Pia
Unione in numero di cinque. Il sedici agosto del 1856. anche a Genova si ha un‟identica
associazione. Se ne stampa la regola in poche copie “volendosi provare la sua riuscita prima di
divulgarla”, e impedire critiche e censure. Don Pestarino la fece conoscere al vescovo della
Diocesi che, andando a Mornese nel 1857 per la conclusione del mese Mariano, radunò in chiesa
le ragazze, ne ricevette “una specie di professione” e ne approvò la Regola.664
Si limitò il Frassinetti a semplici ritocchi “niente aggiungendo e niente mutando di
sostanziale”? Fu un‟idea originale della Maccagno o le era nata dalla lettura dei libretti del
Frassinetti, uno soprattutto: La forza d‟un libretto? Si ripete ancora una volta quel suo porsi in
ombra facendo figurare altri come aveva già fatto raccontando l‟origine della Beato Leonardo e
delle Dorotee. Un praticare l‟
Industria V – Se si vuol introdurre in alcun luogo una buona istituzione o pratica caritatevole e
pia, e trovi nelle persone ivi influenti tale opposizione da non poterla vincere, adoprati perché… sia
introdotta ed accolta in qualche luogo vicino. Dopo che avrà ivi fruttificato, la notizia del bene ed
utile che essa porta, si spargerà dove soffre l‟opposizione…665
663
Il giorno 9 dicembre.
G. FRASSINETTI, Regola della Pia Unione delle Nuove Orsoline, Figlie di S. Maria Immacolata, Genova
1867, pp. 3-8. Alle prime cinque – Angela Maccagno, Maria Mazzarello e altre quattro – si era aggiunta una giovane
vedova. Questo il testo della professione: “Io, essendo risoluta, mediante il divino aiuto, di attendere alla mia
santificazione, specialmente col guardarmi da ogni peccato anche minimo, pienamente avvertito, ed all‟esercizio
della carità verso il mio prossimo, prometto di osservare la Regola della Pia Unione delle Figlie di M. Immacolata”.
Cronistoria, vol. I, p. 74.
665 G. FRASSINETTI, Industrie spirituali, Genova 18643, pp. 12s.
197
664
In un secondo tempo, aggiungendo al nome di Figlie di Maria Immacolata quello di Nuove
Orsoline, seppe rinunciare ad ogni diritto di primogenitura:
Industria VII – Uno dei pretesti piú frequenti, onde il mondo fa guerra al bene, è quello della
novità. Per la qual cosa tu procurerai di togliere, per quanto sarà possibile, l‟aria di novità al bene
che vuoi promuovere, studiandoti al possibile di presentarlo come imitazione di ciò che già in altri
tempi o in altri luoghi è stato fatto; la qual cosa non ti sarà difficile, essendo vero che nil sub sole
novum.666 … Da siffatta industria verrà ancora quest‟altro bene: ne avrà minore soddisfazione
l‟amor proprio, parendo tu piuttosto imitatore che inventore.667
Non si trattò di semplici ritocchi, essendo impossibile. Appare chiaro se si tenta di porre in
sinossi i due testi e mettere in risalto i piccoli ritocchi che il Frassinetti dice di avere apportato
all‟Abbozzo della Maccagno. Il manoscritto del Frassinetti a noi pervenuto è un manoscritto
martoriato da ripensamenti e correzioni. Lavoro suo. La stessa idea di vita consacrata restando
nella propria famiglia e nella propria condizione espressa nell‟Abbozzo, alla Maccagno era stata
suggerita dalla Forza di un libretto edito nel 1841,668 uno di quei libretti del Frassinetti con cui il
Pestarino nutriva le ragazze di Mornese.
CAPITOLO XXXVIII
LE FIGLIE DI MARIA IMMACOLATA
MONACHE IN CASA
Una rassegna delle pubblicazioni del Frassinetti con cui don Pestarino nutriva le ragazze di
Mornese ci fa conoscere la formazione che loro dava. Ad esse fa spesso riferimento la
666
Non c‟è nulla di nuovo sotto il sole, Siracide 1,10.
G. FRASSINETTI, Industrie… pp. 14s..
668 Anche in questo capitolo e nei seguenti, sempre per economia di spazio, ci vediamo costretti a sunteggiare ed
ad omettere i testi posti in sinossi.
198
667
Cronistoria.669 Riferiamo i titoli in essa citati ed alcuni altri fondamentali. Nel 1839 il
Frassinetti, con Il culto perpetuo in onore del SS. Sacramento, cominciò a pubblicare titoli diretti
ai fedeli in genere ed alle giovani in particolare. Fondamentali: Santa verginità, e La forza di un
libretto, dialoghetti,1841, riediti molte volte, il primo con il titolo La gemma delle fanciulle
cristiane, ossia la santa verginità. Nel 1842 il Compendio della teologia dogmatica riedito
numerose volte col titolo Catechismo dogmatico, e nel 1844 Il conforto dell‟anima divota, con
un‟appendice sul santo timor di Dio.670 Nel 1851 uscirono i Ricordi di una figlia che vuol essere
tutta di Gesú:
[Il mese di giugno] seguí senza speciali funzioni, ma con la lettura giornaliera del libretto del
Frassinetti Per una figlia che vuol essere tutta di Gesú671. Petronilla [Mazzarello] racconta: “Da
don Pestarino le figlie apprendevano anche il modo di farsi industriose per fare il bene. Una volta,
per esempio… abbiamo comprato cento copie dell‟opuscoletto Una Figlia che vuol essere tutta di
Gesú e… le lasciavamo cadere... “. Maria [Mazzarello] non poteva non essere la prima in
quell‟attivo sciame di api.672
La stessa trovata nella Forza di un libretto di un quindici anni innanzi. In questi opuscoli si
parla di ape industriosa. Testimonianza indiretta che tale libretto era da loro conosciuto. Nel
1856 si ha Pia Unione delle Figlie di Maria Immacolata, la prima pubblicazione scritta per le
ragazze di Mornese.673
Ai primi del 1857
[Don Bosco] – scrive il Lemoyne – stringeva amicizia con il Priore di Santa Sabina, D.
Giuseppe Frassinetti, santo e dotto moralista, da lui pregato di volergli comporre qualche fascicolo
per la sua associazione popolare 674.
In questa circostanza Don Bosco dovette conoscere il Pestarino nella canonica del
Frassinetti.675 Fu Don Bosco a cercare il Frassinetti e, averlo cercato per chiederne la
collaborazione, conferma che già lo conosceva attraverso gli scritti. Nel 1859 gli pubblica La
rosa senza spine, memoria sulla vita della pia zitella Rosa Cordone676. una domestica “Figlia di
669
Cronistoria, vol. I, p. 53. Ne tratto molto ampiamente in una mia monografia, qui espunta per economia di
lavoro.
670
Non nel 1852, come afferma il Capurro, ripreso dal Renzi, essendo stato recensito a Roma nel numero
maggio-giugno, 1844, negli “Annali di scienze religiose”.
671 Cronistoria, vol. I, p.134.
672 Cronistoria, vol. I, p. 185.
673 Non ci è pervenuta nessuna delle poche copie tirate, ma il manoscritto tormentato da molte correzioni
d‟Autore. Fu riprodotto con ritocchi in appendice alla Monaca in casa.
674 GB. LEMOYNE, Memorie…, vol. V, Torino 1905, p. 605. Si tratta delle Letture Cattoliche. Il Lemoyne, nato a
Genova il 2.2.1839, conosceva il Frassinetti fin da bambino.
675 La Cronistoria – vol. I, p. 34 – riporta questa dichiarazione del card. Cagliero: “Don Pestarino mi disse di
aver conosciuto don Bosco a Genova, in casa del parroco Frassinetti di s. Sabina… e questo incontro e visite
posteriori avvennero nel 1860, 61, 62”, ma in queste tre date non ci furono visite di Don Bosco a Genova “e –
continua – [nel ] 64 quando fummo in gita a Mornese e vi presi parte anch‟io”. Data questa troppo tarda che dal
contesto risulta non essere la prima. Perciò dovette essere quella su indicata. Fu a Genova due volte anche nel 1858,
è vero, ma solo le poche ore dallo scendere dal treno e imbarcarsi per Civitavecchia diretto a Roma, e dalla nave al
treno al ritorno. Il Lemoyne riporta le visite fatte in quelle poche ore, ma tace visite al Frassinetti
676 Stampato dalla Tip. Paravia Torino, maggio 1859, p. 72.
199
Maria Immacolata”. È la prima collaborazioni – o la seconda?677–. Collaborazione gratuita
cominciata male.678 Don Bosco, con una disinvoltura che per noi ha dell‟incredibile, gli fece
quaranta tagli senza neppure espungere i rinvii alle parti tagliate. Il Frassinetti non la riconobbe
per sua, come dichiara nell‟Avvertenza dell‟edizione genuina da lui curata e stampata a Genova
lo stesso anno.679
Dello stesso anno una terza edizione. In un semestre tre edizioni della storia d‟una giovane
morta da soli sei mesi!680 Anche nell‟edizione di Don Bosco in nota si fa la storia della Pia
Unione e se ne dice lo scopo già riportato nel capitolo precedente con poche varianti e qualche
integrazione, tra l‟altro vi si legge il nome Istituto secolare che anticipa di quasi un secolo
quello di oggi! Nel fascicolo I della stessa annata, Don Bosco aveva pubblicato la vita di
Domenico Savio morto due anni prima. Entrambi offrono ai giovani dell‟ora esempi dell‟ora. Si
direbbe che operino in parallelo.681 Il Frassinetti non cessò la collaborazione per la disinvolta
libertà di Don Bosco. L‟anno appresso pubblicò la biografia di un‟altra Figlia di Maria. Ma di lei
piú oltre. Lo stesso anno, esce La monaca in casa, con due appendici:, uno su Pia Unione delle
Figlie di S. Maria Immacolata,682 l‟altro su Le amicizie spirituali, imitazione di S. Teresa.
Leggiamo nella Cronistoria.
In via ordinaria, nelle adunanze le Figlie [di M. Immacolata di Mornese] leggevano e
spiegavano fra loro, per una piú chiara comprensione alcune pagine della Monaca in casa di s.
Alfonso M. de Liguori… .683
Evidente errore di attribuzione, avendo già indicato per autore il Frassinetti. Ci è pervenuta
solo la quarta del 1863 – ogni anno un‟edizione! –. Da essa si veniva a conoscere lo spirito e la
Nell‟elenco dell‟Istituto Centrale per il Catalogo Unico, Indice SBN: GIUSEPPE FRASSINETTI, Libro aureo
ossia l‟umiltà in pratica per condurre alla perfezione cristiana: utile per tutti i fedeli. “Letture cattoliche”, Torino,
Paravia, 1856, p. 63, 14 cm. Biblioteca dell‟Istituto internazionale Don Bosco, Torino. Opera finora da tutti ignorata.
678 Per principio, il Frassinetti rinunciava ai diritti d‟autore anche con gli altri stampatori, perché tenessero basso
il prezzo di copertina, non rinunciava alla proprietà dell‟opera, perché gli stampatori, tentati dal successo, non
gonfiassero il prezzo. Non solo, ma esitava in Genova un cinquecento copie d‟ogni numero di Letture cattoliche.
Alla sua morte Don Bosco era preoccupato con chi sostituirlo.
679 Nell‟Avvertenza si legge: “La tanto benemerita Direzione delle Letture Cattoliche… stampava le mie
Memorie sulla vita della pia zitella Rosa Cordone non quali erano da me compilate, ma abbreviate molto
sensibilmente, di modo che furono tolti piú di quaranta brani: frattanto non si tenne conto di queste mutilazioni, e
qua e là vengono citati i tratti che sono stati omessi… – porta degli esempi – … io mi credo in dovere di fare una
nuova edizione di queste Memorie quali le ho compilate e le posso riconoscere per cosa mia. È perciò che questa
edizione chiamo genuina”. Lo stesso infortunio in M. E. POSADA, Storia e santità, Roma 1992. Nell‟Introduzione, p.
26, scrive: “In appendice, poi, ho inserito una compilazione degli scritti del Frassinetti confrontati con l‟itinerario
cronologico e formativo della Mazzarello offertomi gentilmente da P. Manfredo Falasca, postulatore della causa di
canonizzazione del Frassinetti”. Appendice omessa per contenere il numero delle pagine mi dissero, senza rivedere
l‟introduzione.
680 Per gentile cortesia di Madre Ester Posada, FMA, disponiamo della prima edizione in fotocopia, quella di
Don Bosco, e della quinta, Genova 1867, p. 104, che fu l‟ultima curata dall‟Autore, morto a breve distanza di tempo.
Anche in questa edizione mantiene l‟Avvertenza della seconda a noi non pervenuta. Raffrontando l‟edizione curata
da Don Bosco con la quinta, non si capisce il perché dei tagli.
681 O non sarà stato l‟esempio del Frassinetti a suggerire a Don Bosco di fare qualcosa di simile per i giovani
anticipandone la pubblicazione?
682 Vi ripete la storia dell‟origine.
683 Cronistoria, vol. I, p. 76. In quegli anni, il vescovo di Ventimiglia, futuro arcivescovo di Genova, il beato
Tommaso Reggio, dava alle Suore di S. Marta, da lui fondate, la Monaca in casa come regola provvisoria, Positio,
vol. II, p. 462.
200
677
natura delle Figlie di Maria. Se anche nella prima edizione era presente la nota di p. 194, come è
pensabile, Don Bosco vi ritrovò la storia della loro origine. Una storia parallela è riportata nella
Cronistoria.684 Nel 1860 pubblicò le Industrie spirituali secondo il bisogno dei tempi:685 e
siccome [M. Mazzarello] non faceva piú conto della vita se non per quanto può dare di gloria a
Dio e di utilità spirituale al prossimo, rileggeva con attenzione, fino a saperlo a memoria,
l‟opuscolo Industrie spirituali del can. Frassinetti – una loro promozione! – per animarsi a
divenire, anche lei, un‟ape ingegnosa nel fare il bene, appena la salute le permettesse di
muoversi fuori di casa.
Lo stesso anno Il modello della povera fanciulla Rosa Pedemonte, 686 una figlia di Maria di
Genova morta di venti anni il 30 gennaio 1860 – anche questa volta a cadavere ancora caldo –.
Era stata per qualche tempo a Mornese per rimettersi in salute, ospite di quelle Figlie di Maria.
Vi si parla delle Figlie di Maria e di Mornese, cominciando dalla dedica: “Alle Figlie di Maria
Immacolata”.687 Sempre nella stessa biografia torna a piú riprese sulla “Pia Unione” dicendone
lo scopo, i doveri e lo spirito che deve animare quante ne fanno parte.688
Le Figlie di Maria di Genova erano in stretto contatto con quelle di Mornese: Era quasi un anno che
[la Pedemonte] aveva in casa sua una zitella di Mornese [la Maccagno], la quale si tratteneva in
Genova a motivo di studio per poter essere autorizzata a fare scuola alle fanciulle del suo
paese… ritornando a casa sua sul principiare di agosto, portò seco Rosina con la speranza che
quell‟aria le giovasse e non permise che tornasse fino al termine di ottobre [del 1858].689
A Genova la Maccagno trovò nel Frassinetti il direttore spirituale con il quale rimase sempre
in contatto con visite e lettere. La Pedemonte, tornata a Genova ai primi di gennaio, vi morí il 27.
Vi fu quindi fin dalle origini un stretta unione tra le Figlie di Maria di Genova e di Mornese. Nei
due lunghi soggiorni della Pedemonte a Mornese, la Mazzarello ebbe modo di sentir parlare del
Frassinetti con il quale l‟inferma si manteneva in corrispondenza. La sua biografia diede alle
ragazze di Mornese, quindi alla Mazzarello, esempi vivi a cui rifarsi per essere sante Figlie di
Maria. La Cronistoria ci conferma la lettura che ne facevano, specie Maria Mazzarello,
trovandovi i modelli a cui rifarsi.690 La Mazzarello ancora nulla sapeva di Don Bosco. Sempre
nel 1860 Il Pater Noster di santa Teresa di Gesú, Trattato della preghiera,691 un trattato di
spiritualità, e la riedizione nelle Letture Cattoliche di uno dei primi scritti: La gemma delle
fanciulle cristiane, ossia la santa verginità. Nel 1861 L‟arte di farsi santi.
684
Cronistoria, vol. I, p. 64-79.
GB. LEMOYNE, Op. cit., vol. VI, p. 48°: “Intanto rimettevasi agli associati il fascicolo pel mese di febbraio
[1860] delle Letture Cattoliche: Industrie spirituali secondo il bisogno dei tempi per Giuseppe Frassinetti… «Questo
libro, scrive il Frassinetti, insegna molti espedienti e varie arti e finezze, o lettore, con le quali ti riuscirà piú facile
evitare il male, operare il bene, giovare al prossimo; ed anche all‟uopo dare la burla al mondo ed al demonio, per
fare, a loro dispetto, ciò che non vorrebbero»”.
686 GB. LEMOYNE, Op. cit., vol. VI, p. 658: “Il secondo fascicolo [delle Letture cattoliche] era uscito dalla penna
del grande amico di D. Bosco…”.
687 G. FRASSINETTI, Il modello della povera fanciulla Rosina Pedemonte…, Oneglia 1861, pp. III-VI. La regola
della Pia Unione si trova nella Monaca in casa di cui fra breve. Per Rosina Pedemonte, cfr. pure Cronistoria, I, pp.
83s.; 93.
688 Ivi, pp.79s.
689 Ivi, p.85. La ragazza di Mornese è Angela Maccagno. Anche la sorella della Pedemonte, Angela, cameriera
di una nobile famiglia che seguiva nei suoi spostamenti, era Figlia di Maria. Fu da vari luoghi d‟Italia in
corrispondenza con il Frassinetti e, dovunque andava, fiorivano Figlie di Maria.
690 Cronistoria, vol. I, p. 93s.
691 Tradotto in inglese, spagnolo e tedesco.
201
685
Prima che imbrunisse – leggiamo nella Cronistoria –, Maria [Mazzarello] leggeva [alle
fanciulle del laboratorio] una paginetta, d‟ordinario, sulle Massime Eterne di s. Alfonso Maria de‟
Liguori, oppure su L‟arte di farsi santi, del Frassinetti. Senza aver l‟aria di fare una scuola di
religione, in realtà commentava e spiegava la lettura in maniera facile e piana, sí da essere bene
intesa da tutte.692
Anche le Massime eterne sono spia dell‟influsso del Frassinetti, libro che primo metteva in
mano a chi fosse desideroso di darsi a vita spirituale. Dietro il Frassinetti c‟era sant‟Alfonso. Ne
era il battistrada. La Mazzarello, quindi, nutriva quelle ragazze con libri del Frassinetti o con
quelli da lui raccomandati. Lo stesso anno Il paradiso in terra nel celibato.693 Nel 1862 La
fanciulla amante della santa verginità; Colloqui per la novena di s. Angela Merici con orazione
per la scelta dello stato, con un estratto dalla Vita; Mazzolino di fiori pel mese di Maria; Avvisi
e pratiche per un‟anima che desidera darsi ad una vita divota.
Nel 1863 La Missione delle fanciulle – Racconti contemporanei, anch‟esso ripubblicato nelle
“Letture cattoliche”.694 Le protagoniste dei racconti sono di Figlie di Maria viventi, indicati con
N. N. Nell‟edizione vaticana alcuni si poterono indicare in chiaro. Gli esempi si susseguono agli
esempi. Sono fanciulle giovanissime che mostrano nel concreto il campo di apostolato di queste
Figlie di Maria ed i modi da loro seguiti, come pure dalle “apostolette” che ne erano come il
semenzaio. Un quadro vivo, ricco d‟esempi di questo apostolato femminile – sono quindi i fatti a
parlare – e, ad un tempo, senza che il Frassinetti se ne accorga, dipinge se stesso che ha suscitato
il movimento e lo tiene vivo. Sempre nel 1863 la Regola della Pia Unione delle Nuove Orsoline
figlie di Maria Immacolata, sotto la protezione di s. Orsola e di s. Angela Merici,695 regole
vissute dalla Mazzarello finché non ebbe quelle di Don Bosco su cui torneremo.
Il 1864: Proposte agli amanti di Gesú, un appello alla comunione quotidiana, alla verginità e
al celibato; Il religioso al secolo, anche se tende allo stesso scopo della Monaca in casa, non è
un adattamento per i maschi, ma opera originale. Il Frassinetti fa pensare ad un sarto che fa
vestiti su misura, incapace di scrivere senza il cliente sotto gli occhi; Due gioie nascoste.
Esortazione alla comunione frequente ed alla castità perfetta. Il giardinetto di Maria.
Che non avrà fatto Maria [Mazzarello], perché le sue ragazze onorassero la Vergine Santa, nel
mese a lei dedicato!… Introdusse anche fra loro la pratica del Giardinetto di Maria. Il can. [!]
Frassinetti, in una sua visita a Mornese, l‟aveva loro insegnata e spiegata, perché la facessero fare
alle ragazze: e quando Petronilla gli aveva domandato: “E noi la possiamo fare?” egli aveva
risposto: “Eh! le piante piú vecchie danno i frutti piú saporiti!”. Sicché le figlie fecero esse pure
con le ragazze il “Giardinetto di Maria”; e la Mazzarello se ne serví con molto accorgimento per
lavorare le anime delle fanciulle col fervore della religione.696
Si noti l‟interruzione, indice della partecipazione e del tono di conversazione che il Frassinetti
dava alle sue prediche ed istruzioni. Nello stesso anno:Amiamo Gesú!, Amiamo Maria! Prima di
parlare del primo incontro di Don Bosco con le ragazze di Mornese avvenuto quest‟anno e degli
incontri con il Pestarino, completiamo la serie delle pubblicazioni del Frassinetti destinate al gran
692
Cronistoria, vol. I, p.124.
GB. LEMOYNE, Op. cit., vol. VI, p. 1037: “Pel novembre era pronto l‟opuscolo Il paradiso in terra nel
celibato cristiano per Giuseppe Frassinetti “
694 “Il venerando e dotto sacerdote Frassinetti, esimio suo collaboratore per le Letture Cattoliche, preparava
l‟edizione di due preziose operette: La gemma delle fanciulle cristiane, ossia la santa verginità e La Missione delle
fanciulle, racconti contemporanei.
695 La Cronistoria, vol. I, p. 67, cita l‟edizione genovese del 1867.
696 Cronistoria, vol. I, pp. 129s.
202
693
pubblico.697 Nel 1865 Amiamo S. Giuseppe! Nel 1866 Dissertazione sulla comunione quotidiana;
Frutti del mese mariano; Nel 1866 una nuova edizione della Regola della Pia Unione delle Nuove
Orsoline figlie di Maria Immacolata, sotto la protezione di s. Orsola e di s. Angela Merici, di cui
dovremo parlare a parte avendo una sua storia. Nel 1867, l‟ultimo anno di vita: La divozione
illuminata,elogiata dalla “Civiltà cattolica”, la ristampa della Regola conforme all‟edizione del
1863 e il Convito del divino amore, di cui non vide l‟uscita perché sotto stampa.698
Don Bosco entra nel mondo delle Figlie di Maria
La Cronistoria fa incontrare la prima volta Don Bosco ed il Pestarino nel 1862, durante un
viaggio in treno, basandosi sulla testimonianza di un Don Giuseppe Campi, di “tenace memoria”,
per averlo appreso dallo stesso Pestarino.699 La data va anticipata sulla testimonianza non meno
autorevole del cardinal Cagliero che li fa incontrare nella canonica del Frassinetti. 700 Nell‟estate
del 1862, viaggiando in treno con il Pestarino, Don Bosco già sapeva molto delle Figlie di Maria
Immacolata, non fosse stato altro per aver curato la stampa delle biografie di Rosa Cordone e di
Rosina Pedemonte, né è da escludere che ne abbia discorso piú e piú volte con lo stesso
Frassinetti.
Del raduno, meglio dei raduni, del 1862 siamo in grado di dire qualcosa di piú preciso
essendoci pervenuto un manoscritto del Frassinetti in prima stesura con correzioni ed aggiunte di
sua mano: Regolamento per la Congregazione dei Sacerdoti Missionari della Diocesi di Acqui.
Vi sono riportati i risultati delle elezioni pro interim del 26 agosto: Domenico Pestarino risulta 2o
consultore. Un raduno quindi si tenne il 26 agosto al santuario della Rocchetta nel comune di
Lerma. Le riunioni furono due, una il 26 agosto, quella della fondazione citata dal Frassinetti,
una seconda il mercoledí 3 settembre. Nessun accenno alla presenza di Don Bosco, né, del resto,
anche se presente, ve ne era motivo.701
Un silenzio quindi che non contraddice le altre testimonianze. Il primo incontro di Don Bosco
con le ragazze di Mornese, compresa la Mazzarello, ci fu il 7 ottobre 1864, quando Mornese
visse le grandi giornate rievocate dalle Memorie del Lemoyne e dalla Cronaca.702 Veniva da
Genova dove s‟era fermato dal tre al sette. Fu loro guida nella visita della città Giuseppe Canale,
membro – vedi caso! – della benemerita Società dei Figli dell‟Immacolata di D. Frassinetti…
Egli in quei giorni, nei quali gli alunni dell‟Oratorio avevano dimorato a Genova, era stato loro
guida e mentore in ogni luogo da visitare”.703
Fece loro da guida anche il Frassinetti, “dal quale [Don Bosco] era passato a far atto di
riverenza ed amicizia in canonica”. Il Frassinetti rimase vivo nella memoria d‟un ragazzo che
sarà un nome nella Società Salesiana, Don Francesia:704
Ometto l‟opera maggiore, Compendio di teologia morale, non destinata a fanciulle.
Il Frassinetti non ne vide luce, essendo morto mentre era in corso di stampa. Ad esso, per voce comune, si
sarebbe ispirato Pio X nel permettere la comunione quotidiana e nell‟ammettervi i fanciulli raggiunto che avessero
l‟uso della ragione. Fu tradotto in varie lingue: francese, tedesco, spagnolo, portoghese, boemo, fiammingo… In
quei giorni stava preparando la quarta edizione del suo Compendio di teologia morale, quattro edizioni in due anni,
cinque con l‟edizione napoletana in un sol volume.
699 Cronistoria, vol. I, p.111:
700 Istituto Figlie di Maria Ausiliatrice, Cronistoria, vol. I Allegato n.2, Roma 1977, p. 324. È una Memoria
scritta per le Figlie di Maria Ausiliatrice in Roma il 15 febbraio 1922 e conservata nell‟Arch. Gener. FMA.
701 G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. V, p. 176-190, in fogli formato protocollo. AF. Il manoscritto è datato:
ottobre 1862.
702 Cronaca, vol. I, pp. 148ss.
703 GB. LEMOYNE, Memorie…, vol. VII, p. 752-759.
203
697
698
[Nel] visitare il palazzo di Andrea Doria… Don Bosco era accompagnato da quel decoro del
clero genovese Don Giuseppe Frassinetti… Don Bosco ci diceva “Miei cari, facciamo tesoro,
perché il buon Frassinetti è una vera arca di erudizione di storia patria”. Ci faceva meraviglia sentir
Don Bosco raccomandarsi che lo ascoltassimo bene “perché ascoltare lui vale leggere una
biblioteca…”.705
In questo 1864 don Montebruno pensava di farsi aiutare da Don Bosco per i suoi artigianelli.
Lo stesso pensiero avrà pure il Frassinetti di lí a qualche anno per l‟incipiente opera dei ragazzi
poveri desiderosi di farsi sacerdoti. Nell‟uno e nell‟altro caso non se ne fece nulla. Intanto le
“Letture cattoliche” continuavano a stampare e a ristampare opere del Frassinetti, libri tutti che
continuavano a nutrire la Figlie di Maria di Mornese.
Su cosa poteva basarsi la stima di Don Bosco per il Frassinetti?
Prima di chiudere il capitolo fermiamoci un minuto a considerare su cosa poteva basarsi la
stima di Don Bosco per il suo santo amico genovese fino a spingerlo a cercarlo per ottenerne la
collaborazione. Per il fatto stesso che ne chiedeva la collaborazione, non ne ignorava certo le
opere, meno che meno i titoli di maggior successo ristampati in continuazione, uno soprattutto:
Gesú Cristo, regola del sacerdote, pubblicato nel 1852 e già nel 1855 tradotto in inglese da un
convertito dall‟anglicanesimo, James Laird Patterson, futuro vescovo ausiliare del Manning.706
In quest‟opera, nel paragrafo sulla cura dei fanciulli, Don Bosco trovava parole che avrà sentito
rivolte a se stesso e chissà che proprio qualche pagina di questo libro non gli abbia dato una
prima spinta a prendere in considerazione che la collaborazione delle donne può essere di
immenso aiuto:
Ora lascio pensare a te – pone in bocca al Signore – cosa dovrei dire a quegli orgogliosi, cotanto
stupidi (sic), che credono di avvilirsi occupandosi dell‟ istruzione e della coltura dei fanciulli.…
Nota infine che, non solo direttamente, ma anche indirettamente puoi attendere alla coltura ed alla
istruzione dei parvoli, procurando che i genitori soddisfino a questi loro doveri verso i figliuoli e
che, in loro difetto, vi suppliscano altre pie persone. Qualora trovi fanciulli, privi di genitori o che
abbiano genitori trascurati, raccomandali alla carità di anime pie perché esse provvedano, col loro
zelo ed industria, a quella mancanza. Molte vi sono di queste anime… Tu devi invitarle,
incoraggiarle, dirigerle colle tue fervorose e savie parole. Sappi che l‟apostolato a pro‟ dei fanciulli
è il piú fruttuoso…
Parole musica alle orecchie di Don Bosco. Chi sono queste anime pie? Lo dice nel paragrafo
successivo: Coltura delle anime pie:
Né mi rifiutava – è sempre Cristo che parla – di dare speciale cultura alle anime del sesso
debole, le quali avevano fede in me e volevano seguitarmi nella perfezione delle mie dottrine. Vedi
come io veniva ammaestrando Maddalena707 che stava, estatica, assisa ai miei piedi e approvavo,
704
Ivi, p. 753.
GB. FRANCESIA, Don Bosco e le sue ultime passeggiate, p. 260. Durante questa gita ci fu pure l‟incontro di
Don Bosco col giovane sacerdote Giovambattista Lemoyne che subito gli chiese di accoglierlo tra i salesiani. Gli fu
posta la condizione d‟avere l‟assenso del Frassinetti. L‟ebbe, anche se il Frassinetti aveva posto gli occhi su di lui
per affidargli la direzione della Figlie di Maria Immacolata.
706 Sarà tradotto anche in francese, in spagnolo piú volte, due in tedesco, in fiammingo, in rumeno da un
ortodosso per incarico d‟un vescovo ortodosso, in armeno dal vescovo Yovhannes Nazlian e forse anche in altre
lingue di cui non ci fu data comunicazione.
707 Fa sua la confusione creata da papa Gregorio Magno, che, unendo in una sola festa liturgica Maria di
Betania, Maria Maddalena e la in civitate Peccatrix, portò a credere si trattasse d‟una sola donna invece che tre
distinte persone. Ma aggiunge valore: ci si può servire anche di buone cristiane che ebbero un passato scandaloso!
204
705
contro la faccendiera Marta, il suo cessare dalla fatica, per attendere all‟interna dolcezza della mia
parola (Lc 10,33ss). Come io permetteva che mi seguitassero nelle mie evangeliche pellegrinazioni
altre divote donne (Lc 8,2-3). Ho permesso che costoro mi accompagnassero fino al Calvario ed ivi
assistessero alla mia morte, insieme colla mia divina Madre… Impara dunque da me… L‟amore
bene ordinato vuole, infatti, che tu ami piú chi io amo maggiormente e chi maggiormente mi ama.
Ti do un particolare ricordo, e questo è, che quando trovi, specialmente nella gioventú, anime pie,
ben disposte a conservarsi in perfetta castità e a rinunziare all‟amore del mondo, tu le incoraggi a
rimanere in quel felice stato… Se vorrai poi coltivare in quelle anime con molto frutto la bella virtú
e innamorarmele fortemente, fa che il sacramento del mio Corpo sia il loro pane quotidiano…
Si noti quel quotidiano. Nel § 13 parla della cura dei candidati al sacerdozio, nel § 14 della
formazione intellettuale ordinata alla pastorale, nel § 15 torna a parlare delle donne. Dopo aver
dato le norme per difendersi dai pericoli: come è disposto il tuo cuore per le mie Maddalene e
Caterine che sono in cielo, cosí sia disposto per queste mie creature che sono in terra… Lasciava
che mi seguissero nella mia predicazione e si vedeva che io amava il fervore della loro pietà (Lc
8,2-3). Ho voluto che restasse nel mio Vangelo, che io “amava Marta e la sua sorella Maria”
(Gv 11,5). E ciò devi osservare, affinché una fuga o timore eccessivo di tali creature non
t‟impedisca di curare la loro spirituale salute. Tanto per esse, come per gli uomini, ho stabilito i
miei ministri a direttori spirituali, e anch‟esse debbono trovare nei miei ministri un padre che le
consoli, un maestro che le istruisca, un condottiero che le guidi, un pastore che le pasca. E chi
potrà censurare la mia divina ordinazione?
In nota cita san Basilio: Æqua profecto viris et mulieribus pietatis est ratio, per le cose dello
spirito, per gli uomini e per le donne esiste una sola regola:
Osserva dunque di non tralasciare nulla di bene che tu possa fare a tali anime, per un timore che
nascesse da poca fede… Fidati di me, ché né tu, né quelle ne avrete danno, ma esse [avranno]
incremento alla loro pietà e tu una bella corona. Se, usando tutto il dovuto riserbo, ciò non ostante
il mondo vorrà proverbiarti o calunniarti, fa‟ il sordo alle sue vane parole. Sono io il tuo giudice.
Innanzi tutto attendere alla loro formazione, poi, a anime spiritualmente ben formate, chiedere
collaborazione nell‟apostolato. Nel § 16 tratta appunto dei collaboratori e delle collaboratrici di
cui un sacerdote deve sapersi servire:
Come io mi sono valso della donna Samaritana per illuminare molti dei suoi concittadini (Gv
4,28ss.), ti potrai valere anche tu delle donne divote, le quali, per una pietà generalmente piú viva
ed insinuante, specialmente tra le persone del loro sesso, rendono buoni servigi all‟interesse della
mia gloria… Il mio Apostolo non ricusava di averle collaboratrici....708 Eccita e nutri in costoro
spirito di zelo per la mia gloria: esse ne sono molto capaci, come mostrano le vite delle mie sante e
come ti insegnerà l‟esperienza – una implicita confessione basata sulla sua personale esperienza –.
Specialmente ti raccomando di animarle, dirigerle, confortarle nella cura delle fanciulle trascurate
dai loro genitori.
Nella donna, quindi, il Frassinetti non vedeva solo la benefattrice generosa pronta a venire in
soccorso con i mezzi di cui può disporre – per tanti anni era entrata cosí nelle opere di Don
Bosco –, o per i servizi di cucina e di guardaroba, come negli anni Sessanta Don Bosco
cominciava a sentirne bisogno, ma la donna evangelizzatrice assegnandole un apostolato a favore
delle ragazze. Contribuirono gli scritti e l‟esempio del Frassinetti a fare entrare Don Bosco in
708 In nota cita di nuovo San Basilio che, rifacendosi a Filippesi 4,3, affermava che era tradizione che Paolo si
fosse valso di collaboratrici: ferunt istas sanctum Paulum coadiutrices in Evangelii disseminatione habuisee
mulieres.
205
questo campo d‟azione per il quale si sentiva cosí poco portato? Che gli sia venuta dal Frassinetti
l‟ultima spinta a vincere le sue ritrosie ed esitazioni nello slargare il suo ministero alle donne
servendosi di donne? In questa operetta, che non pochi vescovi cominciarono a donare ai loro
sacerdoti a chiusura degli esercizi spirituali, c‟è tutto il sacerdote Frassinetti, anche per quel che
riguarda la pastorale femminile, che altro non è se non un distillato della sua esperienza pastorale
che sarà ampliata di lí ad undici anni nel Manuale del parroco novello. Nel § 17 parla della
buona stampa, apostolato cosí caro al cuore di Don Bosco.
C‟è tutto il Frassinetti, ma anche un giovane sacerdote che a lui si rifaceva: il Pestarino, che,
leggendo quelle pagine, riviveva gli anni genovesi. Come per il Frassinetti, per il Pestarino: le
donne sono da Dio chiamate alle vette della santità, non importa se campagnole che sanno, e non
sempre, solo compitare, e quindi un sacerdote deve additare loro tali vette, essendo oltretutto la
santità il presupposto di quell‟azione pastorale in cui il Frassinetti ed il Pestarino le ritenevano
piú adatte dell‟uomo.Uno sguardo al Manuale del Parroco novello709 dove trasfuse l‟esperienza
di parroco, come si è già messo in risalto.
Pratica dello zelo
In qualunque popolazione, anche ristretta, è sempre un numero d‟anime che hanno un po‟ di
fervore, d‟amor di Dio… tali persone dell‟uno e dell‟altro sesso – mia la sottolineatura – sono
capacissime a prestare al parroco la loro opera, anzi dispostissime e desiderose di farlo… ne troverà
anche nelle savie zitelle, specialmente se hanno già fermato il proprio proposito di conservarsi in
santa verginità, proposito che dispone piú di qualunque altro a vita di perfezione e anche di
apostolato per la promozione di ogni bene – si noti come metta insieme vita di perfezione e
apostolato d‟ogni bene –… Il maggior bene poi lo faranno, come mostra l‟esperienza le pie vedove
– pensava alla beata Rosa Gattorno, allora monaca in casa? 710–, e le zitelle presso le fanciulle mal
curate dai loro genitori e presso quelle che sono tra il piegarsi alla vita mondana e alla vita divota…
Ed è da notare che molto di questo bene non potrebbe farlo da per se steso il parroco per niun
modo… Guai al parroco che si accingesse a questa sorta di missione, che sebbene santa di per se
stessa, addiverrebbe per lui tosto la piú scandalosa e riprovevole! E piú, che sarebbe a dire se
queste fanciulle dovesse cercarle in case nemiche alla pietà, nei laboratori, nelle botteghe, nelle
osterie, dove per altro impunemente e senza pericolo di dicerie e scandali sono cercate dalle zelanti
donne e zitelle? – si noti come estende il campo della loro azione –. A quest‟uopo è grandemente
da commendare in primo luogo la Pia Opera di San Raffaele e di Santa Dorotea… Quindi vengono
le Pie Unioni dei Figli e delle Figlie di S. Maria Immacolata, che, vivendo al secolo, si prefiggono
di aspirare al conseguimento della perfezione cristiana, non solo con l‟esatto adempimento della
divina legge, ma anche con serbare perpetua e perfetta castità e coltivare con speciale premura le
virtú dell‟obbedienza e povertà di spirito, e si prefiggono inoltre di attendere per quanto possono
alla santificazione dei loro prossimi.711
Quando il Frassinetti scriveva il Manuale del parroco novello già era stato incontrato da Don
Bosco e da vari anni aveva intrapreso a scriveva per le sue “Letture cattoliche”
diffondendogliene per giunta in gran numero. Tra le ragazze di Mornese e Don Bosco non ci era
ancora stato contatto di sorta, ma, per aver già pubblicato la biografia di due Figlie di Maria,
709
G. FRASSINETTI, Manuale pratico del Parroco novello,1863, pp. 296, cm 16x24. A meno di un anno uscí a
Genova la seconda edizione corretta e notabilmente accresciuta dall‟Autore, salendo a pp. 720 cm 8,5x12,5. Non si
contano le edizioni e le ristampe, tradotto in spagnolo, francese, inglese, piú volte in tedesco. Si può dire che per
quasi un secolo non ci sia stato parroco che non se lo sia preso per guida. Ne trovai una copia tra i libri d‟un mio zio
parroco, fatto poi vescovo, in un paesetto d‟Abruzzo, .
710 A. M. FIOCCHI, Rosa Gattorno, 1996, pp. 117-120. Per piú notizie si rimanda alla Positio, 1991, e a ROSA
GATTORNO, Lettere, vol. I e II, Roma 1992, pp. 541,731.
711 G. FRASSINETTI, Manuale…, pp. 267-269.
206
scritte dal Frassinetti per le “Letture cattoliche”,712 ne conosceva l‟esistenza ed il bene che esse
facevano.
Rimandiamo alla fine il quesito se il Frassinetti vedesse con piú simpatia queste umili e zelantissime
monache in casa, libere da ogni irreggimentazione e formalismo, oppure le congregazione che da esse poi
si svilupparono, regolate secondo le norme canoniche allora in vigore, come fu per le Figlie di Santa Fede
divenute Dorotee e sarà per le Figlie di Maria Immacolata divenute dopo la sua morte Figlie di Maria
Ausiliatrice. Come aveva saputo appartarsi e lasciare libera la sorella, attirata nell‟orbita dei gesuiti, di
dare una sua impronta all‟opera di cui, come minimo potremmo chiamarlo confondatore, cosí, senza
dubbio, avrebbe fatto con la Mazzarello attirata nell‟orbita di Don Bosco. L‟essenziale era fare il bene,
poco importava lo stile. Il Lemoyne, diceva del Frassinetti, da lui ben conosciuto: “Profonda era l‟umiltà
di quel santo Sacerdote. Mi diceva: «Mia sorella viene a consultarmi e poi fa tutto il contrario e ci…
riesce». Ecco, l‟essenziale era riuscire a fare il bene. Anche Don Bosco ci riuscirà, e come!
CAPITOLO XXXIX
ALCUNE FIGLIE DI MARIA IMMACOLATA
DIVENTANO FIGLIE DI MARIA AUSILIATRICE
Leggendo le Memorie raccolte dal Lemoyne e dal Ceria, resta di Don Bosco l‟impressione di
un fiume maestoso incrementato lungo il percorso da abbondanti piogge dal cielo e dalle acque
degli affluenti di destra e di sinistra, ma già ricco ricchissimo d‟acque proprie sin dalla sua
sorgente. Nessuna meraviglia, quindi, se il fascino di Don Bosco condizionò la mano dei suoi
biografi. Come, però, non c‟è santo che non abbia santificato, cosí non c‟è santo che non sia stato
da altri aiutato a farsi santo. Tutto viene da Dio, ma lo fa giungere da chi ci sta intorno perché si
senta il bisogno dell‟altro. Lassú ce la rideremo vedendoci quaggiú cosí impegnati a rivendicare
tutto il merito di questa o quella fondazione al nostro UNO, dimentichi che c‟è chi semina, chi
irriga e chi miete, ognuno la sua parte secondo il dono, ma è Dio che da l‟incremento. 713 Che
proprio i santi che piú ci hanno affascinato non abbiano un giorno a farci una bella ripassata per
l‟animosità con cui si è tifato chi per Cefa, chi per Apollo, chi per Paolo…714
Messe le mani avanti, mi permetto di esporre qualche mia impressione su Don Bosco.
Ambrogio, passato in otto giorni da catecumeno a vescovo, e vescovo di Milano, per nutrire il
suo gregge non rifuggí dal prendere dove trovava e, benedicendo Dio di possedere latino e greco,
traduceva e rimanipolava aggiungendo del suo con grave scandalo di Girolamo: l‟informis
cornicula che si faceva bella delle penne d‟un pavone! nel caso, di Didimo il Cieco. Già, ma se a
712
Certamente da lui rilette. Ne è testimonianza i tagli operati nella prima pubblicazione.
1 Cor 3,6s.
714 1 Cor 1,12.
713
207
scopiazzare è un genio della statura d‟Ambrogio, ciò che ne viene fuori porta l‟impronta del
genio. Anche Dante, e poi il Tasso, fanno gemere una pianta ferita, Virgilio ne avrebbe ammirato
la geniale variatio ignorando i suoi diritti d‟autore. Non altrimenti Don Bosco, prende dove trova
e fa suo, benedicendo Dio che gli ha dato mani che moltiplicano, organizzano e valorizzano ciò
che esse toccano. Nessuno in questo gli è pari. Ciò che ne esce, ne porta l‟impronta. È di Don
Bosco. Se Don Bosco non avesse ascoltato la voce di Dio, da garzone di tipografia, avrebbe
anticipato i grandi editori Vallecchi, Rizzoli e Mondadori presi insieme, che, da garzoni
divennero editori, e che editori! Nessuna meraviglia quindi se vediamo un uomo di tale fascino
attrarre tanti e tanti che con lui si incontrarono, uno il Pestarino, una la Mazzarello. Era portato
ad assorbire e a centralizzare. Tanti non seppero resistergli, ma non tutti. Uno il servo di Dio don
Montebruno.
All‟origine un equivoco. Aveva chiesto un aiuto per la conduzione della sua opera, non la
salesanizzazione. Un uguale equivoco con i concezionisti che causò resistenza e rottura: un aiuto
sí, salesiani no.715 Uguale il rifiuto della Maccagno, ed altre con lei, di passare a Don Bosco con
la Mazzarello. Le Figlie di Maria Ausiliatrice non erano la stessa cosa delle Figlie di Maria
Immacolata. Ci fu chi tentennò e chi fece a sé stessa violenza per adattarsi al nuovo.
Al Frassinetti mancava il senso dell‟organizzazione. Non aveva alle spalle generazioni di
soldati e governi feudali, ma una repubblica di liberi armatori. Non solo grandi armatori, ma
anche gruppetti di barcaioli legati da vecchia amicizia.
Pietro ai circoncisi, Paolo agli incirconcisi, Don Bosco ai giovani. Scelta netta. Tredicenne
rifiuta di dare uno guardata ad una bimba di cinque. No alla Barolo. Se non ci fosse una lettera
del Beato Faà di Bruno, che lo invitava ad assumersi la direzione di una editrice cattolica, si
direbbe che Don Bosco lo ignori. Eppure il Faà farà a Torino per le ragazze ciò che Don Bosco
faceva per i ragazzi. Per dare pane a tanti giovani occorrevano soldi, molti soldi, ciò fa scoprire a
Don Bosco la donna in quanto benefattrice. I Faà di Bruno, la stessa famiglia del beato, erano
ricchi. Don Bosco non li ignora, ma in quanto benefattori e benefattrici. Le opere si moltiplicano,
mamma Margherita non c‟è piú, i collegi hanno bisogno di gente fidata e disinteressata cui
affidare i servizi di cucina e di guardaroba. Lemoyne lo dice con chiare parole: “Alla morte della
madre, ci narrò D. Rua, Don Bosco intravide la necessità di una Congregazione di Religiose, che
avesse in cura il vestiario e la biancheria di cosí numerosa famiglia”.716
In quegli anni Cinquanta e Sessanta, Don Bosco non solo aveva già conosciuto il Frassinetti,
ma lo aveva letto con attenzione pubblicando numerose sue opere nelle Letture cattoliche.
Essendo le pubblicazioni frutto di una scelta, ne conosceva certo anche altre. In Gesú Cristo
regola del sacerdote e nel Manuale del parroco novello il Frassinetti, pur consigliando ai
sacerdoti un grande riserbo nel trattare con donne, li esortava a servirsi del loro apporto per il
molto bene che esse, e sole esse, potevano fare, ma non chiedeva servizi di cucina, di
guardaroba, bensí collaborazione nell‟apostolato. Don Bosco ne era a conoscenza dai libri del
Frassinetti che aveva letto e gli aveva stampato, ma anche, e soprattutto, da ciò che ebbe modo di
vedere con i suoi occhi in Santa Sabina, dove, tra l‟altro, la Provvidenza lo fece incontrare con
don Pestarino. Per la chiarezza dell‟esposizione mi si perdonino le ripetizioni necessarie per
comprendere il passaggio da Figlie di M. Immacolata a Figlie di M. Ausiliatrice.
Le ragazze di Mornese
715
716
208
E. PERNIOLA, Luigi Monti, fondatore dei Figli dell‟Immacolata Concezione, Saronno 1983, pp. 513-572.
GB. LEMOYNE, Op. cit., vol. V, pp. 368s.
Varie sono le tattiche di guerra: la falange, muro di scudi e lance contro muro di scudi e lance;
la legione romana poneva la sua forza nella mobilità e nell‟ adattamento al suolo su cui si
combatteva, e furono loro a Cinocefale che restarono padroni del campo. Anche la legione
poteva essere superata e lo fu dal combattimento per bande, proprio degli ibèri, se guidate dalla
genialità d‟un romano, Sertorio. Paola propende per la prima tattica, Don Bosco sceglie la
seconda, il Frassinetti la terza. Nelle truppe del Frassinetti nessun schieramento frontale, né
uniforme, né distintivo che comunque li distingua. Nessuno può sospettare un soldato di Cristo
nella rivendugliola che passa di porta in porta, non rifuggendo dall‟entrare anche nelle bettole.
Piena libertà di movimento, nessun limite ad ogni santa iniziativa. Ognuno, secondo le
circostanze, soldato e generale.
La Figlia di Maria, monaca in casa, non si chiude in una roccaforte difesa da sette cinte di
mura – convento e rifugio all‟epoca si equivalevano –, ma, secondo il precetto di Cristo, vive nel
mondo e non è del mondo, e se ne fa sale e luce. Non un corpus separatum, nessun abito che la
distingua, né suono di campanella che ne regoli i tempi. Non vincoli giuridici, non voto pubblico,
ma forte e saldo il vincolo morale e religioso di offerta totale a Dio. Un sol voto privato, quello
della castità, ma povertà effettiva ed affettiva, amata e vissuta con gioia, ed obbedienza che le fa
serve di tutti: “Sí, volentieri…”, la risposta a qualunque cosa venisse loro chiesta purché non in
contrasto con la legge di Dio e della Chiesa. Virtú religiose ridotte a nuda sostanza. Ma non
meno sante di chi vive in convento, anzi c‟è chi, in convento, chiedendo scrupolosamente i
“dovuti permessi” sa viverci ricco, come minorenne in famiglia doviziosa. È la sostanza che
conta, per questo semplicissime le regole del Frassinetti e nessuna pretesa di tutto regolare. E sa
appartarsi, lasciando che una giovane, se non si sente anima consacrata senza vestire un abito,
vada a vivere la sua consacrazione tra le sacre mura ed abbia ogni attimo della giornata regolato.
Gli fosse cara come gli era la sorella Paola. Nella casa del Padre non si contano i modi di poterci
vivere e per tutti c‟è un posto. Purché sia scelta spontanea e non indotta da altri. Lui vivo, ci
furono vescovi ai quali piacevano queste “monache in casa”, ma non erano disposti ad
approvarne le regole per la loro diocesi senza modifiche. Il Frassinetti, prevedeva che, lui morto,
avrebbero potuto snaturarle.
Nell‟ottobre del 1864 la Mazzarello ha già ventisette anni e cinque mesi, età tale da poterla
pensare già spiritualmente formata, e formata alla scuola esclusiva del Pestarino e del Frassinetti.
Né lei né le ragazze di Mornese fino a quell‟ ottobre avevano ancora avuto contatto di sorta con
Don Bosco. Nei dieci anni che seguono solo incontri sporadici. Loro maestro di spirito resta
ancora il Pestarino con alle spalle il Frassinetti finché visse. Pensiero e tono vengono dal
Frassinetti, già chiaro in nuce fin dalla Forza di un libretto stampato nel 1841.
Il Frassinetti, come fa partecipe la sorella della prima idea delle Dorotee,717 con lo stesso stile,
ponendo se stesso in ombra, racconta la storia della Pia Unione presentandola come idea della
Maccagno e dando a credere d‟essersi limitato a pochi ritocchi. Il merito era tutto delle ragazze
di Mornese. Un raffronto tra l‟abbozzo della Maccagno718 e le regole scritte dal Frassinetti,
mostra con evidenza che della Maccagno sussiste il desiderio di farsi santa e santificare, il resto è
del Frassinetti, e quello stesso desiderio di farsi santa e santificare pur restando in famiglia
profluiva dalle pubblicazioni del Frassinetti datele a leggere dal Pestarino.719 Né merito si può
Memorie intorno alla Congregazione del Beato Leonardo…, Oneglia 1857, p. 62.
Cronistoria, allegato 1.
719 Cronistoria, vol. 1: “Se la data e i particolari della sua [della Mazzarello] totale consacrazione al Signore
sono rimaste sotto il velo del silenzio, non ci sono però ignote… le esortazioni vive e insistenti di don Pestarino,
209
717
718
attribuire a santa Angela Merici ignota alla Maccagno e, a parte il nome ed una notizia generica,
allo stesso Frassinetti.
Or poi sono per certo notevoli alcune particolarità di questo ristabilimento [delle Orsoline]. La
prima si è che la zitella che propose l‟idea della Pia Unione non aveva mai avuto sentore
dell‟Istituto di S. Angela, come non ne aveva avuto mai il suo direttore [il Pestarino], né chi
compilò questa regola [lui, il Frassinetti].720
La ragione della sua insistenza nel rifarsi a sant‟Angela Merici altro non è se non una della
sue industrie spirituali a cui ricorreva per difendersi dall‟accusa di innovatore. Ciò che era
criticato come novità, era vecchio d‟oltre tre secoli!
Fino all‟ottobre 1871, vigilia della fondazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice, ossia nei
sette anni dal primo incontro di Don Bosco con le Figlie di Maria di Mornese, non mancano
contatti tra Don Bosco e il Pestarino, tra Don Bosco e le ragazze di Mornese. Ma Don Bosco
aspetta a rivelare il suo progetto. L‟influsso che poté avere su quelle giovani non dovette
superare quello d‟un santo predicatore d‟esercizi accompagnato dall‟aureola di quanto si diceva
di lui. Per quanto fosse la venerazione per Don Bosco, le ragazze di Mornese continuavano a
vivere la spiritualità frassinettiana guidate dal Pestarino in continuo contatto con il Frassinetti
finché visse. Nel 1872, quando alcune decisero di passare a Don Bosco, la Mazzarello ha 35
anni, già formata, e formata alla scuola del Frassinetti, sia indirettamente attraverso il Pestarino,
sia direttamente per i ripetuti incontri con lui, lo Sturla e Giacinto Bianchi, sia per aver fatto delle
sue pubblicazioni il suo cibo quotidiano.
Divenute salesiane, per due anni ancora, fino alla morte del Pestarino, Don Bosco giunse a
queste giovani attraverso il suo filtro, il Pestarino della scuola del Frassinetti. Nel 1874, morto il
Pestarino, la direzione è tutta salesiana, ma non di Don Bosco in persona, preso com‟era da mille
cose e distante da Mornese e da Nizza Monferrato, né esisteva telefono che stabilisse contatti
diretti, né la Mazzarello era donna di molta e facile penna da trattare le cose per
corrispondenza.721 C‟era, è vero, il direttore che lo rappresentava, ma erano pretini sbarbatelli,
stimati non di per se stessi, ma per luce riflessa, per la stima che si aveva per chi li aveva
nominati, Don Bosco. Giovani senza dubbio capacissimi quando operavano tra i giovani degli
oratori festivi e negli istituti salesiani, maschi con maschi, non certo ricchi di conoscenza della
psicologia femminile tenuti sempre lontani da donne ed abituati a guardarle come il peggiore
pericolo per la loro vocazione. Cosí impreparati, era facile fossero portati a fare di Mornese e
degli altri istituti che man mano si aprivano, una copia conforme di Valdocco.
Per fortuna le suore hanno ben sviluppato il senso del filtro e del rigetto. Non credo che la
prima generazione, specie quelle che provenivano dalla Figlie di Maria Immacolata, accettassero
cosa alcuna, anche se proveniva da Don Bosco, che non fosse passata per il filtro Mazzarello, e
la Mazzarello conosceva la natura femminile, e ciascuna di quelle prime suore, piú e meglio di
qualunque direttore fosse inviato da Don Bosco. Per essere stata sarta, prendeva quei vestiti,
oltre che nelle devote letture da lui fatte man mano che riceveva gli appropriati opuscoli e foglietti dai suoi amici di
Genova”, p. 53. Mio il corsivo. Erano le pubblicazioni del Frassinetti. Cfr. pure pp. 34 e 45.
720 G. FRASSINETTI, Vita ed Istituto…, pp. 100s. Nella terza edizione – non dispongo della seconda – in una nota
dice che conosceva le Orsoline quali erano al suo tempo, religiose in comunità, non quali erano state all‟origine ed
erano rimaste finché la santa visse: religiose secolari viventi nelle loro famiglie. (Ivi. Genova, 1867, p. 111).
721 Ci furono visite della Mazzarello a Torino e spostamenti per la fondazione di nuove case, ma si parlava di
tante cose terra terra riguardanti il governo, l‟economia, le opere da assumere ed altro che richiedevano piú orecchi
di Marta che di Maria.
210
creati in serie su astratte misure perfette di taglio maschile, e li riadattava alla comunità reale e
ad ogni singola suora. Se mi si perdona l‟espressione, quelle pie fanciulle di Mornese vengono sí
salesianizzate, ma alla… Mazzarello. Chiunque ha avuto un certa esperienza di suore, almeno di
quelle di ieri, sa che ad esse giungeva del cappellano quanto la superiore ne filtrava. Santo, se la
superiora tale lo diceva; una qualche riserva, e non era piú santo, per tornare ad esserlo di nuovo
il giorno appresso se la superiora ne rimetteva in risalto le virtú. Da quelle prime suore Don
Bosco era visto con gli occhi della Mazzarello.
Purtroppo le testimoni di quei dieci anni, ossia da quando Don Bosco comincia a rivelare
chiaro il suo progetto fino alla morte della Mazzarello, 1871-1881, erano donne semplici, non
certo di penna. Dopo la sua morte raccontarono edificate ai salesiani di penna la vita della madre,
ma a scriverla non furono loro, furono gli uomini di penna, i salesiani, per i quali tutto si rifaceva
a Don Bosco. Era ancora da venire il giorno in cui le donne non sentissero piú alcun bisogno
d‟appoggiarsi ad uomini per nessuna cosa. Di scrivere libri, all‟epoca, neppure a parlarne. È
quindi necessario un lavoro di ricupero e di revisione, che, senza togliere nulla a nessuno, dia il
suo a chi venne ignorato.
Torniamo indietro per vedere se il passaggio alle dipendenze di Don Bosco fu solo un
cambiamento di nome ed un rilancio alla grande, o se invece vi furono modifiche tali da farne
cosa diversa da ciò che era prima, una rifondazione. Nessuno può dircelo con piú chiarezza di
chi le aveva tenute a battesimo, il Frassinetti. Nel 1862, dieci anni prima della rifondazione,
quando Don Bosco ancora non si era incontrato con le ragazze di Mornese, data quindi non
sospetta, narrando la storia delle prime Orsoline, scriveva come in profezia:
La Compagnia [di Sant‟Orsola] ebbe a soffrire due prove che ne minacciarono l‟esistenza, ma la
santa proteggeva dal cielo – quindi si tratta di prove di dopo la morte della Santa –. La prima si fu
che varie persone influenti, animate da uno zelo inconsiderato, cominciarono a censurarla e a
disapprovarla niente meno che nella sua sostanza, pretendendo che fosse cosa assai imprudente e
pericolosa lasciar tante giovani figlie aventi proposito di castità perfetta sparse per la città e
dimoranti nelle loro case; richiedevano perciò che tutte si radunassero in comunità e si mettessero a
vivere in clausura. Con questo si veniva a distruggere sostanzialmente l‟opera della Santa, la quale
voleva appunto che le sue figlie rimanessero nelle loro famiglie perché ne fossero l‟edificazione e
restassero sparse nella massa del popolo perché ne fossero come il buon lievito fermentatore. La
maggioranza delle figlie protestò contro questa innovazione; savi e dotti ecclesiastici la
combatterono; la controversia fu quindi sopita e fu ridonata la pace.
La seconda prova, sebbene riguardasse un punto non tanto sostanziale, nondimeno mise la
Compagnia in maggior pericolo. La Santa, come abbiamo accennato, non aveva prescritto alcuna
forma di abito per le sue figlie, ma, poco dopo la sua morte, la maggior parte di esse… pretendeva
di stabilire che tutte portassero un cordone… perché fosse segno e simbolo della verginità da esse
professata.
Dice a quali espedienti ricorsero per riuscirci e continua:
Noi dobbiamo adorare le disposizioni della divina Provvidenza che permise si introducessero
allora questa variazione nell‟Istituto di Sant‟Angela e ne permise poi altre maggiori, operate da
uomini insigni in prudenza e pietà. Tuttavia… non è da approvare che talora gli uomini mettano
cosí facilmente le mani nelle opere altrui, dopo che i loro autori sono morti, e quando perciò non
possono piú dare ragione del loro operato, tanto piú ove trattesi di opere architettate da grandi
santi e compiute con particolare assistenza di Dio, delle quali opere una era senza dubbio la
Compagnia di sant‟Angela – mio il corsivo.
211
Parlando in specie della forma dell‟abito, noi noteremo che una pia zitella, la quale non ha
alcuna distinzione di abito può molto piú facilmente esercitare tra la massa del popolo quella specie
di apostolato che intendeva la Santa, imperocché meno osservata e con maggiore libertà si può
introdurre dovunque richieda il bisogno…. Se Sant‟Angela Merici avesse voluto formare una
compagnia di buone zitelle che attendessero soltanto alla propria santificazione, avrebbe ella stessa
prescritta una forma di abito particolare che meglio le sequestrassero dal mondo… Ma avendo essa
voluto formare una Compagnia di scopo cosí universale… per cui la suora deve potersi introdurre
anche in quelle famiglie e in quei luoghi nei quali la persona religiosa non sarebbe la meglio
accolta… saviamente aveva disposto che le sue figlie non si dovessero distinguere nell‟abito… che
se queste osservazioni non capacitassero taluno sulla congruenza di lasciar vagare per la città zitelle
dedicate al divino servizio senza salvaguardia dell‟abito religioso, gli faremo novellamente notare,
che tale fu l‟Istituto di Sant‟Angela, alla quale non si vorrà dare taccia di poco prudente, e che tale
fu approvato dalla santa Sede, la cui autorità per ogni cristiano è la piú veneranda.722
Queste parole ci fanno da spia che il Frassinetti pensava alle critiche che si potevano fare e
che già forse da non pochi si facevano, e a ciò che sarebbe potuto accadere dopo la sua morte e
che di lí a dieci anni di fatto accadde, non solo a quante divennero Figlie di Maria Ausiliatrice,
ma a non pochi altri gruppi. L‟anno appresso pubblicò La Missione delle fanciulle, racconti
contemporanei – a sostegno, si direbbe, delle argomentazioni – in cui mostra in azione le Figlie
di Maria e fanciullette che aspirano a diventarle. I racconti sono cosí introdotti:
Dio, perché onnipotente, non ha mai bisogno di grandi e forti strumenti per compiere le opere
sue, si serve anzi talvolta degli strumenti piú piccoli e piú deboli a preferenza dei maggiori... Le
fanciulle cristiane, considerate per se stesse, sono certamente le creature piú povere di entità e di
vigore…; ciò non ostante, se Dio se ne voglia servire, dà anche ad esse mezzi assai efficaci…
Questi racconti contemporanei, nei quali non vi ha nulla di finto o di esagerato, sono pura storia
di ciò che avviene attualmente in una città d‟Italia [Genova].
Due fanciullette
N. N. [Fortuna]723 è una fanciulletta tra i dieci e gli undici… Ella ha già un drappelletto di
ragazzine minori di sé, tutte sopra i sette anni, che raccoglie nelle feste dai vari vicoli della sua
parrocchia per condurle a Messa. Ogni mese, poco piú poco meno, le porta a confessarsi… N. N.724
una mattina si porta da una madre di famiglia e le chiede una sua figliuolina per condurla a
confessarsi. Si trova ivi a caso una donna già attempata, la quale ammirata di tanto zelo… le dice:
O mia figliuola, non vorresti portare anche me a confessarmi? Cui la fanciulletta: Certo che vi
porto, sono pronta quando volete…
La porta, aspetta seduta tutto il tempo. Confessata e comunicata, va per tornare a casa, ma la
bimba le fa osservare che va fatto il ringraziamento. Non sono le uniche che “cominciano per
questo modo ad addestrarsi alle opere di zelo”.
La rivendugliola
G. FRASSINETTI, Vita ed Istituto… 1a ediz., pp. 54-58, Genova. Don Bosco gli ristampò il libretto nelle
Letture cattoliche due volte, nel 1863 e nel 1884, undici anni prima e dieci anni dopo la trasformazione delle Figlie
di Maria Immacolata in Figlie di Maria Ausiliatrice, ma non dovette porci attenzione.
723 Nella copia della prima edizione vedo una nota a matita: “Fortuna, vivente”.
724 Manca ogni annotazione a matita che ci permetta di individuarla.
212
722
N. N. [Maria Carbone]725 è un rivendugliola tra i diciannove e i venti anni. Ella va in girò per la
città dalla mattina alla sera vendendo le frutta che sono della stagione… si ferma dalle botteghe,
dalle porte delle case, in mezzo alle vie, ma specialmente dovunque si argomenta di poter fare un
qualche bene spirituale a pro di alcuna giovinetta, zitella o donna. Col miglior garbo che sa viene in
discorso delle cose di Dio… Se vede che il suo parlare non riesce ingrato, passa ad interrogarle…
Non è caso raro che trovi povere giovani ed anche donne le quali non le possono indicare né una
chiesa che frequentano, né talora il tempo da che si sono accostate ai Sacramenti… Allora le
esorta… perché intraprendano una vita migliore. Ella non ha tanta facondia,… conosce una zitella
già attempata piú facile e felice di eloquio… La giovane… or con l‟uno or con l‟altro pretesto si
industria di guidare a costei quelle che conosce essere in maggior bisogno… Generalmente ivi
intraprendono nuova vita e poi non sanno trattenersi dal ritornarvi con frequenza… Per la Pasqua
passata conduceva quivi buon numero di rivendugliole sue pari… Queste vi portarono altre loro
amiche e congiunte…
La zitella già attempata era Angela Rossi, la domestica di don Sturla. La “saletta” era nella
canonica di Santa Sabina divenuta loro punto di riferimento.726 Né mancava di trovare loro un
lavoro in ambienti onesti. Sono esempi che mettono in risalto le differenze tra le Figlie di Maria
Immacolata che Don Bosco incontrò a Mornese e le figlie di Maria Ausiliatrice come poi egli le
volle. Don Bosco, interessandosi delle donne come collaboratrici, non poté non vederle se non
con gli occhi di direttore di collegi e di educatore della gioventú. Abbiamo quindi suore
collegiali con disciplina collegiale, quale essa poteva essere nell‟ Ottocento: uniforme, orari,
regole minuziose, movimenti a suono di campanella, tutto e tutte sotto vigile controllo. Collegiali
educatrici di altre collegiali, ma anche con la prospettiva di passare l‟intera vita a rammendare
calze.
Il Frassinetti rivede le regole stese dalla Maccagno, anche se la sua revisione non fu di lievi
ritocchi come egli afferma, né poteva essere, ma alla giovane lasciò l‟impressione d‟esserne lei
l‟autrice. Don Bosco invece impone le sue regole, rifatte su quelle pensate per i salesiani con
ritocchi desunti da regole di altre congregazioni femminili, senza tenere conto di quelle che
stavano già vivendo da venti anni. Ne escono regole snellite quanto si vuole rispetto a quelle
delle monache del passato, ma non di piú di quanto poteva essere la divisa d‟un bersagliere
rispetto a quella d‟un vecchio fante affardellato. Piú leggera, certo, ma non fino ad eliminare
spalline, piume, cordoni e fiocchi vari.
Le donne furono viste dal Frassinetti con gli occhi d‟un parroco aperto ad ogni bene di ogni
anima, ma d‟un parroco che nulla sapeva della disciplina d‟un collegio non essendo mai stato
interno di seminario. Le pensò collaboratrici attive, che giungessero là dove il sacerdote non
poteva, con smisurata libertà di movimento e di iniziativa, convinto che quella parte l‟avrebbero
svolta meglio di quanto potesse un sacerdote. Le pensò come una quinta colonna mimetizzata in
campo nemico – mi si passi il paragone anacronistico di ciò che fu durante la guerra civile in
Spagna –. All‟apparenza erano donne in nulla diverse dalle altre donne, da poter porre piede
anche là dove un sacerdote entrandovi avrebbe suscitato scandalo, eppure non erano del mondo,
ma tutte e solo di Dio. Perciò piú che di minute prescrizioni disciplinari, le armava di una solida
formazione spirituale che facesse loro e da convento e da grata e da abito religioso e da suora
accompagnatrice nei loro movimenti. Dov‟è la pienezza della carità, si fa superflua la legge.727
725
Trovo annotato: Carbone Maria, vivente. In una lettera di Virginia Avio, Figlia di Maria, al Padre Piccardo,
26.10.1910, si legge: “Visse molti anni in questa comunità ed era membro utilissimo nelle opere dell‟Istituto. Morí
nell‟aprile del 1908 di 65 anni”.
726 G. FRASSINETTI, La Missione delle fanciulle…, Oneglia, 1863, pp. 2-17.
727 Gal 5,14.
213
Formazione religiosa nutrita di preghiera, d‟eucaristia quotidianamente ricevuta e protezione di
Maria Immacolata. Anche in questo, perché non paia novità, si riallaccia ad un precedente: San
Vincenzo de‟ Paoli che tolse la monaca dalla stretta clausura e la pose nelle corsie degli ospedali.
A quelle che erano senza obblighi di famiglia e libere di disporre di se stesse il Frassinetti dava
la possibilità di formare piccole comunità di tre o quattro, non di piú, al massimo cinque – se piú
cessava la famiglia – sostentate dal loro lavoro. Nella Missione delle fanciulle descrive La casa
di lavoro, una comunità di Genova:
Sono quattro sorelle che vivono in un appartamento assai informe composto di una stanza senza
luce, due stanze e cucina. Esse lavorano per guadagnarsi il pane, due in fiori finti, una in stivaletti,
l‟altra in biancheria: fanno pure ostie e particole per le varie Chiese. Occupano in questi lavori
alcune fanciulle dei dintorni e altre in maggior numero vi accorrono per imparare la dottrina
cristiana.728
Questa casa inoltre è luogo di convegno per un gran numero di fanciulle già grandicelle, ed
anche adulte, le quali vi affluiscono… a anche da località notabilmente distanti…specialmente alle
feste quando non devono attendere ai lavori e, avendo qualche poco di tempo libero, vi accorrono
anche nei dí feriali… nei giorni festivi, tengono alle medesime una pia adunanza dove leggono
qualche libro devoto e raccontano esempi edificanti… Generalmente sono giovani use a vivere in
mezzo ai pericoli e aliene dalle pratiche della religione. Ciò non ostante, essendo tra esse
buonissimi cuori ed indoli assai pieghevoli al bene, restano vivamente commosse da quelle
letture… queste poi invitano altre loro compagne che ugualmente si approfittano della conferenza.
Talvolta una ne tira cinque, sei e anche piú…Si noti che queste fanciulle non si potrebbero in altro
modo tirare al bene… Specialmente quando dette fanciulle sono già grandi, i ministri di Dio e gli
stessi parrochi si trovano nell‟impossibilità di giovare alle loro anime. Non era compiuto un anno
da che era aperta questa casa… che con l‟aiuto di una terza avevano indotto a salutare mutamento
di vita… già presso a settanta… .729
Don Bosco avverte le differenze tra ciò che erano quelle figlie di Maria di Mornese e cerca di
evitare il trauma del passaggio dall‟uno all‟altro modo di muoversi, anzi, dal muoversi al non
muoversi, e perciò non osa rivelare di colpo il suo piano. Lo fa a dosi, anche con don Pestarino,
che tentò inutilmente di salvare il nome, a tutti cosí caro. L‟adesione a Don Bosco gli si mutò in
calvario.
In questo è d‟accordo anche il mio Capitolo – riferisce Don Bosco a don Pestarino –. Prima
ancora di parlarne al Santo Padre ho voluto sentire il parere dei miei piú fidi collaboratori… ora
vedremo di formulare un abbozzo di regole, piú o meno sulla base delle nostre, fatte, si intende, le
debite modificazioni. Alle nuove religiose daremo il bel nome di Figlie di Maria Ausiliatrice: è
contento don Pestarino?730 – Miei i corsivi –
Si noti: i desideri della ragazze di Mornese sono del tutto ignorati, ignorato lo stesso don
Pestarino, ignorate le loro regole fino ad allora vissute. Avviene anche qui, secondo i geni del
luogo di cui sopra s‟è detto, ciò che nel decennio antecedente era avvenuto all‟unificazione
d‟Italia. Gli stati annessi si videro tutto sostituito: leggi, amministrazione, tradizioni con le
istituzioni vigenti in Piemonte. È contento don Pestarino? Nella Cronistoria il paragrafo che
segue è intitolato: Don Pestarino fra due morse.731 Aveva fatto tanto per dare una scuola ed un
convitto ai ragazzi di Mornese, elargendo quanto piú aveva potuto del suo patrimonio, ed era
G. FRASSINETTI, La Missione delle fanciulle… Porta quattro esempi del loro interessamento per fanciulle
appena adolescenti, p. 39
729 G. FRASSINETTI, La Missione delle fanciulle…, pp. 42-47.
730 Cronistoria, vol. I, pp. .245s.
731 Cronistoria, vol. I, p .246.
214
728
molto, con la collaborazione corale di tutti i suoi paesani. Il collegio per maschi, diventa
convento di suore e collegio di bambine. È contento don Pestarino? Ma alla gente, alla gente che
aveva fatto tanto, e tanto si aspettava, chi glie lo avrebbe detto? Don Pestarino! È contento don
Pestarino?
Il povero don Pestarino – continua la Cronistoria – dovette trovarsi certamente tra due morse:
da una parte le difficoltà che vedeva insormontabili e dall‟altra l‟adesione piena del suo cuore alle
disposizioni del Padre amato, del santo superiore. Come avrebbe visto il paese questa cosa? Tutti in
ansia per il collegio maschile e averlo, invece, di figlie! di suore! Non avrebbero gridato tutti al
tradimento contro di lui, contro don Bosco? E queste figlie, per quanto pie e virtuose sarebbero
disposte a farsi suore? Egli le sapeva contente del loro stato e nessuna gli aveva parlato di farsi
religiosa – mia la sottolineatura –. Maria Mazzarello sí, da giovanetta, lo aveva vivamente
desiderato… E per il bene della parrocchia, si erano rese tutte cosí utili quelle figlie! E le loro
famiglie? Che avrebbe potuto rispondere se era tutto contro di lui?732
Si noti: le ragazze di Mornese, i mornesani, lo stesso don Pestarino ci risultano tutti oggetti
passivi. Un paragrafo della Cronistoria ha per titolo: Don Bosco chiarisce parte – mia la
sottolineatura – del suo pensiero a don Pestarino.733 Quelle ragazze di Mornese erano felici di
essere come erano, felici del loro bel nome: Figlie di Maria Immacolata. Sanno che possono
essere tutte del Signore pur restando in famiglia, senza che peraltro fosse loro esclusa la
possibilità di formare piccole comunità come avevano fatto a Genova e cominciato a Mornese.
Lo stava a dimostrare la Casa dell‟Immacolata. Nessuna meraviglia, quindi, che la proposta di
diventare suore, anche se di don Bosco, fosse accolta con freddezza, né capivano quelle rifiniture
che si andavano introducendo e di cui non sentivano nessun bisogno. Si direbbe che Don Bosco
le vedesse ottimo materiale grezzo da ripulire e lavorare. La mentalità dei politici dell‟epoca:
s‟era fatta l‟Italia, ma gli italiani cosí com‟erano non andavano, erano ancora da farsi. Una
mentalità non dissimile trapela anche dalle pagine della Cronistoria. Qualcosa di simile era stato
fatto dal padre Firmino Costa con le Dorotee:
Fu lui che predicò alle nostre la prima muta di esercizi spirituali, secondo il metodo di S.
Ignazio, e fu del pari lui che mediante il ministero della sacramentale confessione e con
opportunissime pubbliche istruzioni, diede al nostro Istituto la vera forma delle istituzioni
religiose.734
Per quanto Don Bosco cercasse a Mornese l‟impatto morbido, non mancarono le reazioni:
“Cosí non si può andare avanti sempre con la bocca chiusa”, protesta Rosina Mazzarello. Le
resistenze di Petronilla a dover fare tutto come le altre ed in tempi convenuti, quel confessarsi e
comunicarsi nei giorni prescritti, loro che si comunicavano già quotidianamente, e poi
quell‟uniforme, e tutto quel parlare di disciplina! Si ripensi alla libertà di movimento di quella
rivendugliola, non per questo meno anima consacrata, e poi si dia una scorsa alle nuove regole
piene zeppe di proibizioni: Non si permetterà d‟uscire da sola. Di fermarsi per la strada e
discorrere con chicchessia. Le suore non frequenteranno neppure le case dei signori parroci.
Andranno in parlatorio accompagnate da una consorella, anche se fossero andati a trovarla i
parenti piú stretti, non esclusa la madre. Tra i libri consigliati per la lettura troviamo la Monica
santa di sant‟Alfonso, ma nessun titolo del Frassinetti con i quali erano state nutrite e che lo
stesso Don Bosco continuava a ristampare nelle Letture cattoliche.
732
Cronistoria, vol. I, p .243.
Cronistoria, vol. I, pp. .246s.
734 Memorie, Op. cit. p. 52.
733
215
Il Frassinetti aveva voluto aprire la possibilità della vita consacrata a chi fosse priva di mezzi,
per le Figlie di Maria Ausiliatrice si richiedeva lire 30 mensili per un anno e mezzo dall‟entrata
come postulanti ed una dote non inferiore alle lire mille. All‟epoca 30 lire, poco piú poco meno,
era l‟intero guadagno mensile di un operaio non qualificato con cui doveva farci vivere l‟intera
famiglia.
216
La Maccagno, la piú addentro allo spirito del Frassinetti, e la piú istruita, anzi l‟unica istruita
di quel gruppo di ragazze, non entrò. Il Frassinetti era già morto da quattro anni e non poteva
quindi dire i suoi perché, i perché d‟un parroco ignoti ad un direttore di collegi, né consigliare
don Pestarino e le sue figlie. Ma avrebbe certo lasciato fare, come aveva lasciato che la sorella
andasse per la sua strada, fedele al principio: “Noi dobbiamo adorare le disposizioni della divina
Provvidenza che permette l‟introduzione di queste variazioni”. Ma, come non riconobbe per
genuina la Vita di Rosa Cordone che Don Bosco gli stampò tagliandone proprio marte quaranta
passi, da ristamparla lui per suo conto genuina, cosí penso avrebbe fatto di fronte al nuovo
istituto religioso, pur riconoscendone il gran bene che esso faceva e benedicendone Dio.735
Don Bosco rimane piú aderente alle possibilità del momento storico. La sua grande
innovazione è la loro posizione giuridica fuori di casa, non il dentro casa. Fuori i suoi religiosi
sono dei cittadini pari in diritti e doveri a tutti i cittadini del nuovo Regno d‟Italia, e ciò li
metteva al riparo delle leggi eversive; dentro casa erano religiosi secondo tradizione.736 Molte le
differenze tra il prima ed il dopo. Don Bosco le organizzò conferendo un forte potere centrale
all‟ istituzione. Anche qui si manifesta il genio della terra. Nella Chiesa c‟era posto per la
Mazzarello, ma anche per la Maccagno, la donna che piú di ogni altra era entrata nello spirito del
Frassinetti, e che, con alcune altre, rifiutò di accettare le novità. Si sarebbero appoggiate ai
salesiani, ma solo dopo di essere state ascoltate ed aver visto presa in considerazione la bozza
delle modifiche che esse erano disposte ad apportare alle proprie regole. Don Bosco non ne fece
nulla e loro rimasero quel che erano.
Durante questo periodo di consolanti novità per il collegio [di Mornese], quale la condotta della
maestra Maccagno? Secondo Angiolina Pestarino e Maria Livia Gastaldo, vedova Giardino –
ancora oggi (1938) arzille vecchiette – la Maccagno pur conservando la pena causatale dallo
“sciamare delle sue api, con alla testa la Main”, si manteneva nell‟abituale buon tratto verso
ognuna di loro, mentre pareva non ancora disposta a rinunciare al proprio ideale rispetto alle sue
“Nuove Orsoline”. L‟incompleto regolamento che si ha sott‟occhio e il breve cenno sulle origini
delle “Nuove Orsoline” della diocesi di Acqui, lasciano supporre che la
Maccagno si sia valsa proprio di quel soggiorno di mons. Sciandra a Mornese, per presentargli
un suo tentativo di organizzazione delle “Nuove Orsoline in parte modificata “ – si rinvia qui agli
Allegati 13 e 14 –737, assicurandone la vita con l‟appoggiarle a don Bosco. Ma i suoi erano sentieri
troppo diversi da quelli indicati a don Bosco dalla divina Provvidenza.738
735
In questa messa in risalto delle differenze, pur conoscendo il lavoro veramente magistrale con ottimo
apparato critico di suor CECILIA ROMERO, Costituzioni per l‟Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice (1872-1885),
Roma 1983, pp. 357, ho tarpato le ali e mi sono attenuto alla Cronistoria perché rispecchia il modo in cui la prima
generazione delle Figlie di Maria Ausiliatrice, in grado per lo piú di appena compitare, accolse le innovazioni
apportate da Don Bosco. Resta il rincrescimento di non aver svolto l‟ argomento come avevo progettato e raccolto
materiale. Un lusso che non si può permettere chi sta vivendo il suo bel tramonto. Ho imitato re Davide che raccolse
l‟occorrente per costruire il tempio, e ne lasciò la realizzazione a Salomone, sperando vi sia qualcuno, o qualcuna, di
buoni studi, che riprenda il lavoro uscendo dal chiuso della propria congregazione per rifarsi alla ricchezza derivata
dalla passione delle cose di Dio di tanti santi sacerdoti qui nominati e gli sia possibile accedere a una mia prima
stesura piú ampia da cui questa è ricavata.
736 Una innovazione per difendersi dalle leggi eversive contro la cosiddetta mano morta suggeritagli nel 1857
dallo stesso ministro, Urbano Rattazzi, che aveva sostenuto la legge della soppressone dei conventi, cfr. GB.
LEMOYNE, Memorie…, vol. V, pp. 696-699.
737 Cronistoria, vol. I, p. 355-363.
738 Cronistoria, vol. I, pp. 295s.
217
Il Frassinetti anticipava di quasi un secolo le congregazioni laicali, ma sapeva che i tempi non
vanno forzati e che difficilmente quelle piccole comunità spontanee avrebbero allora potuto
avere un riconoscimento giuridico che le difendesse da snaturamenti e arbitri di vescovi e
persino di parroci. Pensò di poter ottenere qualcosa – almeno approvazioni morali e benedizioni
da parte di piú vescovi, ed un riconoscimento da Roma che le mettesse al riparo da tali arbitri,
ma il tempo era ormai per lui finito. Mi si perdoni la corsa in avanti e l‟omissione d‟un buon
numero d‟anni e fatti di grande rilevanza altrove trattati.
218
CAPITOLO XL
ANTONIO PICCARDO
Fattosi coraggio, un ragazzo sui quattordici anni affrontò il Priore. Perché le femmine sí, e
loro no; perché esse potevano vivere a Dio consacrate ed i maschi no. Dopo il nostro lungo
indugiare sulle varie forme con cui il Priore aveva aperto alle ragazze la possibilità di potersi
consacrare a Dio, anche qualche lettore potrebbe chiedersi: “E i maschi?”. Certo, ma proprio con
loro il Priore aveva cominciato, sia pure con una categoria ben determinata, quanti si
preparavano a divenire sacerdoti. Ne abbiamo già trattato parlando della “Beato Leonardo”.
Restava un vuoto per chi aspirava alla vita consacrata, ma non al sacerdozio, perché non poteva,
né si sentiva di vivere in convento fratello laico. Tornasse con dei compagni. Ne possediamo il
racconto dello stesso Frassinetti premesso alla terza edizione del suo Compendio di teologia
morale.739
Uscito alle stampe nell‟anno 1861 il Modello delle povere fanciulle, Rosa Pedemonte,… un
giovinetto ai 14 anni, lette le sue memorie, mi domandava, perché non si potesse fare dai giovani
ciò che di già si faceva con tanto buon successo dalle fanciulle. Io, che conosceva il suo spirito
molto vivace e intraprendente, gli rispondevo, che come già da sei anni si era impiantata la Pia
Unione delle Figlie di S. Maria Immacolata, la quale di già si andava mirabilmente diffondendo,
nulla vietava che se ne impiantasse un‟altra che fosse dei Figli dell‟Immacolata Madre, i quali per
la maggiore influenza che avrebbero nella società, potrebbero operare anche maggior bene che le
fanciulle. Si accingesse all‟opera e cercasse alcuni compagni, i quali volessero emulare le Figlie. In
tal maniera anche l‟ Unione dei Figli sarebbe formata. Il giovinetto accolse la mia proposta, e poco
stante trovò alcuni altri giovani, tutti a sé maggiori di età, risoluti di vivere tutti per Iddio, e fu
formata l‟Unione. Essa a poco a poco crescendo ebbe in Genova una cinquantina d‟inscritti. Fu
stabilita poi in vari altri luoghi.
Passa poi a dirci cosa fossero questi Figli di Maria Immacolata:
I Figli di S. Maria Immacolata hanno una breve Regola, che fu approvata da Mons. Vescovo di
Novara per la sua Diocesi, e trovasi in fine all‟Opuscolo il Religioso al secolo, che ne è quasi lo
sviluppo ed il commento… Si dicono Religiosi al secolo, perché continuano a vivere al secolo
nell‟esercizio delle loro arti, mestieri e professioni. Quindi devono avere, se non il voto, almeno il
proposito della castità perfetta e perpetua. Sebbene non abbiano rinunziato alle loro sostanze,
devono tuttavia coltivare lo spirito delta santa povertà, con vivere distaccati dalle cose del mondo, e
spendere del proprio per la gloria di Dio e per la carità del prossimo, giusta i dettami di una
prudenza, che non sia umana ma evangelica, consigliandosi, per non errare, col proprio confessore
ed anche col direttore della loro Pia Unione. Devono pure esercitarsi nella santa ubbidienza,
regolandosi in tutte le cose di qualche importanza, anche nel bene che operano o promuovono,
giusta i suggerimenti del direttore. In tal modo praticano i Consigli Evangelici per .quanto possono
praticarsi da persone viventi al secolo. Non devono tuttavia far voto di povertà e di ubbidienza,
perché vivendo in mezzo al mondo forse piú volte troverebbero nell‟adempimento di questi voti
inquietudini ed ansietà che disturberebbero la pace della coscienza.
Voto e promesse che si aggiungono a ciò cui sono già tenuti in quanto cristiani:
739
Pp. 3-6.
219
Prima regola dei Figli di S. Maria Immacolata è che non commettano giammai peccati
pienamente avvertiti, né anche dei piú leggeri: regola che d‟altra parte è propria di tutti i cristiani:
stante che ogni cristiano è tenuto ad evitarli tutti, e tutti di fatto, per la ragione che sono pienamente
avvertiti, si possono evitare…
Non basta l‟astenersi dal male.
Ma poiché al conseguimento della perfezione cristiana non basta astenersi dal male, ma bisogna
anche operare il bene, essi devono, secondo che porta la loro capacità e stato, esercitarsi nello opere
buone, anche in quelle di supererogazione, soprattutto esplicando zelo per la salute spirituale del
prossimo. Non devono quindi contentarsi di aspirare a quella perfezione che basterebbe ai religiosi
romiti o solitari, ma devono grandemente impegnarsi di promuovere il bene delle anime, emulando
la perfezione dei religiosi di vita attiva… per la qual cosa non sarebbero da ammettere tra i Figli di
S. Maria Immacolata quei cristiani, fossero pure di santa vita, che attendono soltanto a sé, e non
promuovono il bene spirituale del prossimo se non colle loro preghiere. I Figli di S. Maria
Immacolata, per quanto porta la loro capacità, e giusta i suggerimenti della prudenza cristiana,
devono attendere ad impedire i peccati e gli scandali, a promuovere le buone opere, specialmente la
frequenza ai SS. Sacramenti, e devono aspirare a moltiplicarsi cercando altri, specialmente tra i
giovani, che vogliano fare parte del loro santo Istituto. In questi tempi, nei quali sono tanti tra i
secolari gli apostoli di Satanasso, i Figli di S. Maria Immacolata devono essere tra i secolari gli
Apostoli di Gesú Cristo.
Congregazione tale che può moltiplicarsi per generazioni spontanee.
In ogni luogo, se vi sarà uno zelante Ministro del Signore, a Dio piacendo, si potrà formare un
numeroso drappello di Figli di S. Maria Immacolata. In mancanza del Sacerdote, anche un pio
secolare potrà fare altrettanto. Un pio secolare che persuadesse due o tre suoi amici a praticare la
piccola Regola sopra accennata potrebbe impiantare dovunque questo Istituto, piú che opportuno,
necessario ai nostri tempi, in que‟ luoghi soprattutto nei quali la solenne e pubblica professione
della vita religiosa resta impedita.740 In Genova alcuni pochi Figli di S. Maria Immacolata,
emulando le Figlie già raccoltesi in famigliole, si sono radunati a far vita comune, ciascuno
attendendo ai propri impieghi, senza alcun distintivo esteriore e si accingono a promuovere altra
opera, che benedetta da Dio, avrà grande risultato pel bene di S. Chiesa.
Ecco come don Antonio Isola, un religioso al secolo divenuto poi sacerdote, ci racconta le
origini dei religiosi al secolo:
Nell‟anno 1864 [il Priore] pubblicava… il Religioso al Secolo che è una regola per vivere
virtuosamente in mezzo alla società, pur continuando ciascuno a vivere in famiglia e ad occuparsi
nella sua arte e nel suo negozio. Aggiunse perciò in fine dell‟opera la regola per la Congregazione
dei Figli di S. Maria Immacolata… La Congregazione si moltiplicò in breve divenendo
numerosissima di modo che la sala della canonica non era piú sufficiente. Si divise in due sezioni,
riunendo la seconda in San Luca. Questa schiera di giovani di tutte le condizioni, e cosí numerosa,
dipendeva da lui come da un padre, anzi direi ancora di piú perché si amava veramente e perciò si
temeva di disgustarlo e quindi si ubbidiva in tutto in modo assoluto. E se ne videro i frutti, perché,
anche se dopo la sua morte vi fu qualche defezione, la maggior parte perseverò e diversi divennero
sacerdoti esemplari.741
740
Erano gli anni in cui le leggi eversive fecero chiudere centinaia e centinaia di conventi.
Ci è pervenuto un quaderno di don Antonio Isola in cui si narra l‟origine delle due opere con
particolari ignorati dal biografo Carlo Olivari. “Vedendo le loro buone disposizioni, [il Priore] pensò di
fare come aveva fatto per le figlie e invitò coloro che potevano ad unirsi insieme a fare vita comune,
741
220
L‟altra opera era la “Pia Opera dei Figli di Maria Immacolata”, con lo scopo di aiutare a
divenire sacerdote chi vi aspirava, ma non poteva per mancanza di mezzi. L‟opera si ricollega a
tre giovani religiosi al secolo che la seconda domenica dopo l‟Epifania del 1866, dopo di essere
stati a chiedere la protezione di Maria nel santuario della Madonnetta, iniziarono a fare vita
comune in un locale della canonica di Santa Sabina. Ecco il racconto che ne fa il biografo padre
Carlo Olivari cugino di Pietro Olivari:
Pietro Olivari, une dei tre, aveva la direzione della piccola comunità. Il Frassinetti prediligeva
quel piccolo cenacolo dove alla scuola dell‟Olivari vedeva cosí bene trasfuso il suo spirito.
Frequentava in quel tempo la sacrestia di S. Sabina un ragazzetto, certo Nicolo Ferretti da
Monteghirfo, che mostrava desiderio di avviarsi al sacerdozio, ma egli era povero.742 Come fare? Il
Frassinetti ne tenne parola all‟Olivari perché lo raccomandasse al direttore degli Artigianelli che lo
volesse accogliere nel suo istituto. Ma l‟Olivari…: “Possiamo, disse, prenderlo con noi e
mantenerlo dei nostri risparmi”. Il Frassinetti aderí di buon grado a quella proposta, e quel
giovanetto fu il primo alunno della pia Casa dei Figli di Maria.
A sentir raccontare le varie storie, si direbbe che siano sempre gli altri. Il Frassinetti non fa
che assecondare. È solo uno che raccoglie le iniziative e non le lascia cadere. Alla
moltiplicazione dei pani il Signore non rifiutò quei cinque pani e quei due pesci, ritenuti dagli
apostoli da non prendersi neppure in considerazione. Li prese e li moltiplicò. Dopo il primo
ragazzo, un secondo ed un terzo, un quarto… La canonica piú non basta e si va in cerca di chi ha
un po‟ piú di spazio e cuore grande per ospitarli. L‟Olivari dirigeva la tipografia degli
Artigianelli messa su da don Montebruno per dare un‟arte ed un pane a ragazzi di cui nessuno si
curava. Alla mensa dei poveri c‟è sempre ancora un po‟ di posto per altri poveri. Il Montebruno
offrí alcune stanze nell‟Opera degli Artigianelli in Carignano. Continuando ad aumentare, il
primo luglio 1867 lasciarono i locali degli Artigianelli per un modesto appartamento in via Lata
– sempre in zona Carignano – sotto la direzione dell‟Olivari che andò a stare con loro.743 Dopo
continuando ciascuno la sua arte, e a prendere qualche giovinetto, che avesse passato i 15 anni ed avesse
vocazione, per farlo studiare con il frutto del loro lavoro. A quest‟invito risposero il Sig. Pietro Olivari,
direttore della Tipografia della Gioventú, il Sig. Rezzano compositore, il Sig. Emanuele Pedemonte
orefice, il Sig. Giovanni Bottino cartolaio, il Sig. Bernardo Rosina, uno svizzero che lavorava nella
fabbrica dei mattoni a Sampierdarena, i quali tutti si sistemarono nel locale degli Artigianelli fondato dal
Rev. Montebruno”. Dopo aver parlato a lungo della morte del Frassinetti e di come aiutò a comporne la
salma, riprende il discorso interrotto: “Morto il Priore, la casa dei Figli di Maria continuò sotto la
direzione spirituale di D. Raffaele Frassinetti e della temporale del Sig. Pietro Olivari, il Sig. Giuseppe
Canale, il Sig. Antonio Guano, il Sig. Ferrua, il Sig. Giovanni Marcenaro ed altri… Intanto avevano
accettato Gambino ed ai 27 di Giugno sono entrato io, ottavo. Mi fu dato l‟incarico di prefetto e di
ripetitore agli altri che andavano alla scuola in Seminario. Ma don Raffaele non si sentiva di continuare
da solo la direzione spirituale ed il Sig. Olivari desiderava che ci fosse un Sacerdote per dirigere bene i
futuri leviti, perché, per le sue occupazioni, e soprattutto per la sua umiltà, non si vedeva atto a questo
uffizio. Ne parlò con il chierico Semino, suo amico, che nelle vacanze veniva a convivere con noi e
faceva scuola agli alunni, che gli propose Antonio Piccardo, chierico alla vigilia del sacerdozio”. Ho dato
una raggiustata in fatto di lingua al testo posto tra virgolette. La chiede egli stesso. “Avendo scritto correnti calamo e senza [brutta]copia, è
male scritto e con degli errori. Prego di correggerli e di compatirmi”
742 Nicolò Ferretti morrà missionario negli Stati Uniti
d‟America. Il secondo fu Giovan Battista Boraggini, che
spenderà la vita nell‟Opera dei Figli di Maria, il terzo morí studente, il quarto, Bartolomeo Arecco, il cui nome
resterà legato all‟Istituto Arecco. Notizie attinte in parte dal quaderno dell‟Isola.
743 Alla casa di via Lata, dove un gruppo continuava a dormire, si aggiunse tosto quella di via Miliys distante
pochi passi. I giovani erano ormai una quarantina. Solo il primo febbraio 1872 ebbero la sistemazione definitiva in
via Ginevrina. Chiusa che fu la via per la sistemazione urbanistica della zona, l‟ingresso passò in via Jacopo Ruffini
dove ancora siamo.
221
aver parlato dei vari traslochi, il biografo, che di lí a qualche anno fu uno di quei ragazzi,
continua:
Non dimenticava però il Frassinetti l‟Opera nascente, che anzi scrisse per essa un apposito
regolamento; ed egli stesso vi si recava in dati giorni ad istruire quei giovinetti nelle verità eterne, li
esortava all‟amore di Gesú in Sacramento, spronandoli alla bella pratica della Comunione
quotidiana. E si mostrava contento di loro; e a chi gli domandava dei suoi figli dell‟Immacolata,
rispondeva: “Sí, sono contento, si regolano bene; ma bisogna vigilare attentamente che il diavolo
non ci metta la coda”. Se non che, crescendo la comunità, parve conveniente che avesse a Direttore
un sacerdote che tutto si dedicasse al suo governo, non potendo il Frassinetti per le cure della
parrocchia attendervi in quel modo che avrebbe voluto; né volendo l‟Olivari durare in un ufficio
che la sua qualità di secolare e le occupazioni della tipografia gli rendevano incompatibile. Il
Semino… non seppe proporre di meglio che il suo compagno Antonio Piccardo, di distinta famiglia
voltrese, allora diacono e prefetto della camerata dei piccoli.
Piacque al Frassinetti la scelta, e il giovane diacono accettò di buon grado l‟invito. Solo si
aspettava che fosse consacrato sacerdote. Ma in quel mezzo il Frassinetti morí. Egli che aveva
gittato il seme benedetto non doveva vederne che i primi germogli.
Ben lo vide dal cielo grandeggiare e ne esultò il Signore.744
Eccoci giunti ad Antonio Piccardo. Ancora una volta il Frassinetti è uno che ascolta e fa suoi i
suggerimenti di altri prendendoli come voci di Dio. Alla sua morte, 2 gennaio 1868, il Piccardo
non era ancora consacrato sacerdote. Lo sarà il 6 giugno di quell‟anno, sabato dell‟ottava di
Pentecoste, vigilia della SS. Trinità. Nell‟attesa che egli fosse ordinato, a tutto pensava ancora
l‟Olivari745. Il Piccardo assunse la direzione della Pia Opera nel luglio dello stesso anno. L‟
Olivari gli resterà vicino fino alla chiusura dei suoi giorni.
Antonio Piccardo
Ci si pone subito una domanda. Quanto aveva del Frassinetti il Piccardo? In seminario
Antonio Piccardo aveva avuto l‟incarico di prefetto che era già stato di Domenico Pestarino. Ma
erano cambiati i tempi, e con i tempi il seminario. Il Pestarino, il seminario e il suo rettore, erano
vissuti in osmosi con la “Beato Leonardo”. Gli occhi ed il cuore del Pestarino erano ripieni del
Frassinetti, ed a lui si rifece finché il Frassinetti restò in vita. Si è già detto come negli anni
Trenta e Quaranta il Seminario e la “Beato Leonardo” con la sua Accademia fossero tra loro vasi
comunicanti. Con la venuta dello Charvaz sarà tutto cambiato.
Dopo i fatti del ‟48, estinta la “Beato Leonardo” ed espulso dal seminario il Cattaneo con la
vecchia direzione, la nuova, almeno in parte, era prevenuta nei riguardi del Frassinetti. Giunto lo
Charvaz, il seminario fu reso collegio di tutti i seminaristi, cessando la possibilità d‟essere
seminarista esterno, cosa deprecata dal Frassinetti in uno degli suoi ultimi scritti pubblicato
postumo. Il chierico Piccardo quindi non era nelle condizioni in cui si era trovato il Pestarino e
con lui tanti altri. Del Frassinetti aveva sentito certo parlare, se non altro dall‟amico Semino,
letto dei libri e, forse, l‟aveva anche piú volte incontrato, ma non era stato della sua scuola, né
744
CARLO OLIVARI, Della vita e delle opere del Servo di Dio, sac. Giuseppe Frassinetti, Genova,
1929, pp. 220-223.
745 Da non confondere con il cugino, molto piú giovane, padre Carlo Olivari, autore della biografia,
grande latinista ed educatore di svariate centinaia di sacerdoti genovesi, da me ben conosciuto perché, non
uscendo piú di camera, negli anni del mio ginnasio gli portavo tre volte al giorno i pasti e, mentre
desinava, mi fermavo ad ascoltarlo.
222
aveva respirato il clima della “Beato Leonardo” e della sua Accademia. Il seminario era
soprattutto collegio, e collegio significa innanzi tutto ordine e disciplina. Tra i responsabili di
quest‟ordine e di questa disciplina, troviamo il Piccardo con un qualcosa, però, che aveva attirato
l‟attenzione del Semino: con i ragazzi ci sapeva fare.
Quando, ancora diacono, su suggerimento del Semino, fu scelto a dirigere quella neppure
mezza dozzina di ragazzi poveri che desideravano diventare sacerdoti, il Frassinetti pensava
certo di poterselo formare e trasmettergli il suo spirito. Non aveva ancora compiuto i sessantatre
anni e godeva buona salute, quindi aveva la prospettiva di vivere ancora un discreto numero
d‟anni, se non come il vivrà il fratello don Giovanni, che toccherà gli ottantacinque, su una
buona dozzina poteva contarci, l‟età che vivranno, anno piú anno meno, gli altri fratelli sacerdoti
e la sorella, tempo sufficiente per comunicare al Piccardo il meglio di sé e, chissà, risuscitare
l‟Accademia della “Beato Leonardo” per i chierici di teologia e i giovani sacerdoti, oltre ad offrir
loro la sua parrocchia e quelle dei suoi vecchi amici parroci quali campi di tirocinio. Sono i se
della irrealtà, buoni solo ad offrire materia ai sogni. Purtroppo morí prima ancora che il Piccardo
fosse ordinato sacerdote.
Lo spirito del Frassinetti non gli pervenne quindi per via diretta, ma per sentito dire, attraverso
il tipografo Pietro Olivari, il Semino e Raffaele Frassinetti che gli si affiancarono, nessuno però
con personalità tale tale che lo facesse sentire alunno invece che maestro.746 Per sua buona
ventura, proprio in quel 1868, il giorno di san Pietro, il Magnasco veniva consacrato vescovo
ausiliare e l‟anno successivo, ritiratosi lo Charvaz, assumeva il governo della diocesi. Al
Magnasco succederà il beato Tommaso Reggio, l‟uno e l‟altro della scuola del Frassinetti; l‟uno
e l‟altro già membri della “Beato Leonardo”; l‟uno e l‟altro scelti dal Frassinetti a dirigere corsi
nell‟Accademia, il primo di dogmatica, l‟altro di scrittura. E si sa, invecchiati, si fa forte la
nostalgia di quando si fu giovani. I trentatre anni della loro reggenza della diocesi furono l‟epoca
d‟oro della Pia Opera, tanta fu la fiducia che l‟uno e l‟altro riposero nel Piccardo e l‟aiuto che
questi ne ricevette. Il Reggio gli affidò la stessa direzione del seminario arcivescovile, pur
continuando a mantenere quella della Pia Opera. Con il Reggio la formazione del clero genovese
era per intero nelle mani del Piccardo.
In quei trentatre anni, i membri della comunità che curavano la Pia Opera, ne avessero non ne
avessero consapevolezza, furono di fatto tutti religiosi al secolo, avendone la sostanza, ossia
castità, povertà effettiva ed affettiva, per usare un‟espressione del Frassinetti, benché non
746 Ascoltiamo ancora don Isola: Il Piccardo “Cambiò il metodo di vita e di occupazione degli alunni volendo
che questi dipendessero in tutto da lui mentre prima, per cosí dire, comandavano tutti. Questo portò un po‟ di
dispiacere tra i Figli di Maria, per cui qualcuno uscí dalla casa, ma per gli alunni fu bene perché la casa non avrebbe
potuto svilupparsi e dopo alcuni anni si sarebbe estinta. Sono certo che lo stesso Priore, se fosse vissuto, avrebbe
approvato. Don Piccardo, benché tenesse tutto ciò che poté della Regola del Frassinetti, regolò gli alunni come in
collegio… Il Sig. Olivari era sempre d‟accordo col Direttore e cosí ogni cosa andava bene, perché il Direttore colla
sua fermezza, e con i mezzi di cui poteva disporre, andava innanzi imperterrito superando tutti gli ostacoli”. Termina
con una appendice dove enumera le molte opere che, sia direttamente sia indirettamente, si rifacevano al Frassinetti:
Le Congregazioni di M. Immacolata maschile e femminile, “seminari da cui uscirono le altre che da quasi 50 anni si
occupano della Gioventú”, gli Oratorii festivi, le Figlie di Santa Dorotea per insegnare il catechismo e condurre le
fanciulle ai sacramenti, il Montebruno ebbe dal Frassinetti l‟ispirazione per l‟Opera degli Artigianelli, Suor Maria
Teresa deve al Frassinetti l‟ispirazione per la Casa della Piccola Provvidenza e “fu aiutata dai Figli di Maria di Santa
Sabina quando in un piccolo appartamento di Via S. Lorenzo cominciò a raccogliere le prime fanciulle
abbandonate… Insomma [il Frassinetti] fu un uomo straordinario che Iddio mandò per l‟onore e la difesa della
religione e per il bene specialmente della Gioventú e, se il suo secolo non lo conobbe, anzi lo perseguitò, i venturi,
conoscendone le opere, gli daranno l‟onore dovuto”.
223
giuridica – lo possono attestare i pochi rimasti che hanno conosciuto il nipote di padre Piccardo,
padre “Piccardino”, poverissimo benché ricco di famiglia e, chi piú chi meno, negli anni della
nostra formazione si mangiò tutti del suo pane –. In quanto all‟obbedienza, pur non avendone il
voto, non credo ci sia mai stato uno dei suoi collaboratori che non abbia fatto proprio il piú
piccolo desiderio del “Signor Direttore”, o che abbia osato dire un ma. Questo è quanto il
Piccardo raccolse della eredità del Frassinetti: fornire a Genova sacerdoti numerosi e ben
formati, e ne forní chi dice tre chi dice quattrocento, e non solo a Genova, perché non furono
pochi quei che entrarono nei vari ordini religiosi o partirono missionari.
Il Piccardo, prima di entrare in seminario, era stato convittore nel Nazionale. Nessuna
meraviglia se in lui nascesse il desiderio di fare qualcosa anche per giovani che non aspiravano
alla sacerdozio. Per loro aprí l‟Istituto Sacra Famiglia a Rivarolo, opera mai presa in
considerazione dal Frassinetti. Alla morte del Reggio, quando la Pia Opera era all‟apice della sua
attività, si avevano tre case, quella di Genova, un seminario per i piccoli a Pra, e il Sacra
Famiglia, da cui, benché a ciò non destinata, uscirono non pochi sacerdoti.
A piú d‟uno di quei collaboratori a tempo pieno, già di fatto religiosi, pareva di non esserlo,
non essendolo di diritto. In modo particolare al Minetti. Si parlava quindi di trasformare la Pia
Opera in congregazione religiosa – s‟è visto che lo pensarono anche il Frassinetti e lo Sturla e
che ne furono dissuasi –. Si parlava. E, forse, si sarebbe ancora continuato a parlare se le
difficoltà suscitate dal nuovo vescovo mons. Pulciano non avessero accelerato quanto da tempo
già stava maturandosi. Ebbe cosí principio a Roma la Congregazione dei Figli di S. Maria
Immacolata e l‟Istituto del Mascherone in cui veniva continuata la cura del clero, sia pure non
piú con quella esuberanza di vita che si era avuta a Genova fino al 1902. In questo momento
l‟aiuto del pontefice san Pio X fu tale che potremmo chiamarlo a giusto merito confondatore. Ci
concesse il decretum laudis a neppure mezz‟anno di distanza dall‟inizio della nuova
congregazione.
Non tutti i sacerdoti che lavoravano a tempo pieno nelle case della Pia Opera, dopo di essere
in essa cresciuti e formati, come il Boraggini, il Gesino, il Mantero…,747 vi aderirono come
membri, pur continuando la collaborazione piena e con immutato disinteresse per quanto tempo
vissero.
L‟opera del Piccardo ha quindi due fasi. Nella prima lo vediamo ereditare dal Frassinetti uno
solo dei suoi impegni, che assolse splendidamente: andare incontro alle vocazioni povere ed
offrire sacerdoti ben formati ai vescovi, colmando cosí le lacune spaventose che andavano
verificandosi nel clero. Tutta la rimanente attività del Frassinetti però parve andata perduta,
anche per il sopravvenire degli eventi bellici che mutarono i chierici in soldati di trincea, molti i
partiti, pochi quei che tornarono. Un po‟ alla volta ci fu la ripresa, soprattutto con l‟apertura di
parrocchie in Italia, Polonia, Argentina, Cile e Filippine dove si offre ai suoi membri la
possibilità di rivivere la vita del Fondatore, e case di educazione, di cui il Frassinetti ed Piccardo
certo se ne rallegrano insieme in cielo.
CAPITOLO XLI
TRIBOLI E SPINE
747
224
Ai quali va aggiunto il professore Pio Oliva.
Dopo aver raggruppato la storia delle varie istituzione a cui dette inizio o di cuifu gran parte, torniamo
indietro negli anni per fermarci un po‟ sui triboli, sulle spine ed altre prove che dovette affrontare. Prove
fuori dell‟ordinario, non le varie difficoltà che incontra un parroco da parte dei suoi parrocchiani che
pretendono questo e quest‟altro, che hanno da ridire su questo e su quest‟altro, vedendo abolite o
riformate vecchie usanze, o perché tardi a comprendere il valore di cose mai viste prima. Piú che triboli e
spine sono solo occasioni buone per tenersi in gara con Giobbe e vedere chi dei due è piú paziente, ma
non feriscono l‟animo né lasciano segno.
Accusato di far parte di una società segreta748
Il sacerdote Luigi Boselli, direttore dell‟Istituto dei sordomuti di Genova, era stato richiesto di
un parere su un suo metodo usato per catechizzare i sordomuti. Lodò la buona intenzione, ma,
invece di dare un giudizio sul metodo, come migliorarlo o se fosse da buttare via, si improvvisò
teologo discettando su quanto nell‟introduzione il Frassinetti affermava necessario conoscersi
per essere ammessi ai sacramenti. Peggio, lo denunciò al ministro degli interni ed all‟
arcivescovo insinuando che facesse parte di una società segreta:
Mi venne supposto che quello scritto sia opera di una società segreta la quale, sotto mentito velo
di religione, mascheri disegni di iniquità, laonde io che non conosco altre società che la Chiesa di
Cristo e lo Stato dove sono nato... credo mio dovere particolare di verificare la supposizione.749
Il Frassinetti per giungere al Boselli si era servito del can. Cattaneo. Toccato sulla sua
ortodossia, ma nulla sapendo delle denunce al ministro degli interni e all‟arcivescovo,750 se ne
lamenta con l‟amico. Nell‟introduzione al suo lavoro aveva affermato che, essere all‟oscuro di
tutto, è peggio dell‟avere poca luce. Il Boselli non la pensa cosí e condanna i protestanti che
vanno a predicare in Africa ed in America, per portarvi la conoscenza di Dio, perché, dando poca
luce, ne danno una conoscenza eretica. Lo dimostra facendosi forte della sua esperienza: “I
mezzi dotti e i saputelli sono piú nocivi di chi è del tutto ignorante”, con evidente allusione al
Frassinetti.751
Io – scrive il Frassinetti al Cattaneo –, che intendo di essere cristianissimo piú che il Re di
Francia, vorrei sapere da voi, che vi intendete di Teologia, se in questi punti sono in errore, perché
piú mi importa di creder bene, che insegnar a sordomuti. Non mi sono preso finora grande scrupolo
della mia fede perché un Vescovo certamente teologo mi fece scrivere dal suo segretario: “Ha letto
Monsignore il di lei metodo per la istruzione dei sordomuti e ne è rimasto contentissimo sotto ogni
rapporto”, il qual voto nulla vale in materia di istruzione dei sordomuti di che quel Vescovo non si
intende, ma mi fido che possa valere qualche cosa in materia di Teologia.752
Questo primo lavoro del Frassinetti vedrà la luce con dei ritocchi in tutte le edizioni del
Parroco Novello fin dalla prima del 1863.
Accusato di screditare il clero della diocesi
748
Se ne è fatto cenno ala fine del capitolo 31, Parroco a Quinto.
Genova, Archivio dei Sordomuti n. 1165.
750 Furono scoperte dalle ricerche dei suoi biografi.
751 Luigi Boselli, come del resto lo stesso GB Assarotti, subí l‟influenza dei giansenisti ed ebbe contatti con i
suoi maggiori esponenti, Degola e Descalzi. Patriota, fu visto mescolato tra i dimostranti del 1846-1848. Fu avverso
al potere temporale e contro la definizione dell‟infallibilità del papa. Non fu inviso all‟autorità ecclesiastica. Nel
1835, l‟anno che aveva denunciato il Frassinetti, ebbe encomi dall‟arcivescovo Tadini e da papa Gregorio XVI .per
la sua opera a favore dei sordomuti genovesi.
752 A F. Il vescovo è Mons. GB. De Albertis, vescovo di Ventimiglia.
225
749
Il Frassinetti, in una sua memoria titolata: Rischiarimenti sul mio passato, parla della
Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio come causa della guerra che gli fu
mossa nel 1837 in occasione della pubblicazione di un suo opuscolo. Seguo da vicino il suo
racconto.
Aveva scritto un‟Esortazione agli Ecclesiastici per leggerla in Congregazione. V‟era un
accenno alle arti con le quali la Chiesa veniva combattuta. Il marchese Giuseppe Durazzo,
venutone a conoscenza, volle fargliela stampare a sue spese. Accondiscese purché il revisore
ecclesiastico la rivedesse come censore ed amico con piena facoltà di mutare senza consultarlo.
Non gli mutò virgola e nel maggio del 1837 vide la luce con il titolo di Riflessioni agli
Ecclesiastici. Chi aspettava l‟occasione per muovergli guerra vi trovò una riga che l‟avrebbe
giustificata.753 Cosa aveva scritto di cosí grave? Aveva chiamato i giansenisti setta quasi
indefinibile di tristi ipocriti. Tutto qui. Bastò per inoltrare una denuncia al cardinale e mandare al
Santo Ufficio una copia
raccomandata ad un ecclesiastico due volte buono, il quale aspettando e non vedendo uscire il
decreto della condanna, interrogò uno dei membri della Congregazione sull‟esito dell‟esame
dell‟operetta. Si sentí rispondere scherzosamente: se l‟autore delle Riflessioni si porterà a Roma,
facilmente sarà fatto vescovo.754
A Genova coinvolsero nella condanna tutta la “Beato Leonardo”, rea di “mettere in discredito
tutti gli attempati e vecchi ecclesiastici” tacciandoli di giansenismo. Si sparse la voce che se ne
era fatta una lista. Tutti ne parlavano anche se nessuno poteva dire di averla vista. A tanto
chiasso si radunò il Collegio dei parroci e si stabilí di recarsi in corpo dal vescovo e denunciarlo.
Anche i poco convinti dell‟accusa, non sapendo su cosa fosse appoggiata, si presentarono al
cardinale al gran completo, inclusi i parroci del suburbio, meno il Frassinetti ed il parroco di San
Salvatore.755 Udiamo il Frassinetti:
Sua Eminenza li interrogò chi fossero i calunniatori, cui non seppero rispondere se non con dire
e ridire che ciò si blaterava comunemente da tutti. Nessuno della Congregazione aveva accusato
alcuno di giansenismo, quindi erano nell‟ impossibilità di citarne uno solo. Si accennò alla lista dei
giansenisti, ma siccome nessuno l‟aveva potuta vedere, come non esistente, si conobbe che anche
questa era cosa che si blaterava senza fondamento. Si parlò delle mie Riflessioni, cioè del tratto
dove parlo dei giansenisti, ma sua Eminenza rispose che quel tratto era generico contro quella setta
e non toccava alcuno del clero in particolare.
Gran chiasso per nulla. Alcuni parroci tornarono dal cardinale a chiedere scusa.
Ciò non ostante questo fatto commosse tutta la città e non si parlava piú d‟altra cosa che
dell‟accusa di giansenismo data ai parrochi della città, della lista dei giansenisti e della divisione
nel clero che si diceva operata dalla Congregazione del B. Leonardo. Una infinità di dicerie
confondeva le cose, si precipitavano i piú strani giudizi e si voleva temere d‟una setta che si stesse
formando in Genova sotto il nome della Congregazione del B. Leonardo. I nemici avvaloravano tali
voci e soffiavano in questo fuoco… Le dicerie si estesero per tutta la Diocesi, per tutto la Stato, per
tutta l‟Italia e fuori, sicché dello sconcerto del clero di Genova parlarono anche i giornali di
Francia.
753
C‟era già stato il tentativo del Boselli, vedi Spina n.1.
Le citazioni sono prese dal racconto che ne fa il Frassinetti. Attingo da un manoscritto arricchito di note da
don Angelo Remondini. Nella sua canonica il Frassinetti trovò il primo rifugio quando dovette nascondersi
755 Annota Angelo Remondini: È cosa rimarchevole che nel libro delle deliberazioni del Collegio dei Parrochi
non vi sia cenno delle sedute fatte pel detto oggetto, né della presa deliberazione di portarsi da S. E. l‟Arcivescovo.
226
754
Questa è la vera storia… e non merita nessuna fede il Semeria che non era sul luogo e scrisse
malamente informato.756
Non desistettero. Ci furono pressioni sul cardinale perché sopprimesse la Congregazione
senza riuscirci. A qualche settimana di distanza, il 30 giugno, il cardinale faceva pubblicare un
breve di Gregorio XVI con concessione di molte indulgenze ut Congregatio huiusmodi maiora
in dies suscipiat incrementa.757 Approvazione che si aggiungeva alle sue, l‟ultima del 12 gennaio
dello stesso anno, quando già circolavano dicerie sul conto della Congregazione.
Essa poi prosperava in mezzo a sí fiera battaglia e si ebbe la consolazione di vedere che di tanti
chierici e preti, che ne facevano parte, si ritirò dalla medesima un sol prete confessando
ingenuamente a Pr[ete] Sturla essere egli persuaso del bene che faceva la Congregazione, che
tuttavia i propri interessi piú non gli permettevano di continuare nella medesima. Sperava qualche
cosa dagli avversari alla Congregazione, ma non ebbe nulla. Allora fu l‟epoca del maggior
concorso alle conferenze e alle accademie e si toccò con mano che in essa non erano ipocriti come
alcuni avevano voluto supporre.
I congregati, pur avendo risposto con il silenzio, continuarono ad essere attaccati, soprattutto i
membri piú in vista, primo il Frassinetti, autore dell‟opuscolo. Non fu risparmiato neppure da chi
sapeva che era stato scritto con buono spirito. Un giovane di 32 anni erigersi a maestro del clero!
Rivolto a costoro, scrive:
risponderei che in questo non saprei trovare imprudenza, fossi stato ancor piú giovine, perché è
evidente che qualunque sacerdote ha diritto di parlare non solo ai suoi confratelli di una diocesi, ma
anche a quelli di tutto il mondo (come fa chi parla per mezzo della stampa), s‟intende a quelli che
hanno la compiacenza di ascoltare ovvero leggere le sue parole, cioè ha diritto di scrivere per tutti
quelli che vogliono leggere ciò che scrive. Se altri dicesse spettare ai vescovi esclusivamente il
proporre riflessioni e fare esortazioni agli ecclesiastici, risponderei… che un sacerdote qualunque,
dico di piú, anche un laico, può suggerire riflessioni e fare esortazioni a qualunque persona del
mondo, che si degni ascoltarle.
Si appella alla storia: persino
persone laiche, anche donne, suggerirono riflessioni e fecero esortazioni non solo ai sacerdoti,
ma a vescovi e a papi… come l‟ultimo della famiglia ha la facoltà di dire a tutti i membri della
stessa, compresi i maggiori: facciamo tutti quanto è in poter nostro perché i nostri interessi siano
prosperati. Credo che non solo i fratelli, ma nemmeno il padre ed il nonno se ne terrebbero
adontati. Se fossi vescovo vorrei essere ascoltato da tutti i sacerdoti miei sudditi, non essendo
vescovo io non pretendo essere ascoltato se non da quei sacerdoti che ne hanno pazienza. Or qui
non può essere né usurpazione di autorità, né arroganza.
Sí, il cardinale ha detto che avrebbe fatto meglio a non pubblicare. Ebbe anche momenti di
freddezza, ma furono momenti, infatti
nell‟anno stesso, venuto in visita nella mia parrocchia, nel discorso che tenne alla popolazione,
mi fece un elogio ben lusinghiero. Nell‟anno 1839 mi conferí la parrocchia di S. Sabina in questa
città e tosto mi onorò delle cariche di revisore ecclesiastico per la stampa e di esaminatore pel
756 Semeria ne parla nei suoi Secoli Cristiani di Torino, vol. 1°, p. 423. V‟è intera la notifica del 9 giugno in cui
il cardinale riafferma la sua stima per il clero della diocesi. Il prevosto di San Donato, don Amedeo Giovanelli, uno
dei piú offesi, la lesse dal pulpito.
757 Perché tale Congregazione fiorisca ogni giorno piú.
227
clero, nelle quali cariche sono durato in vivo esercizio sino alla sua morte, cioè verso la fine del
1847.
Ricorda di essere stato da lui difeso in una radunanza generale dei missionari urbani contro un
parroco cui impose di tacere.758 Passa poi in rassegna le sue pubblicazioni fino alla data in cui
scrive, 1847, per dimostrare dal loro successo che il pubblico non lo riteneva imprudente.
Noterò le edizioni che conosco, avendo motivo di credere che se ne siano fatte anche altre a mia
insaputa, alcune le ho conosciute per puro caso, e la maggior parte furono fatte senza domandarmi
il permesso.
Tutte bene accolte nelle principali città d‟Italia e mai una censura, tolte le due parole sui
giansenisti, prese in mala parte, e il dubbio avanzato sulla grandezza di papa Manganelli. Fa
l‟elenco delle molteplici edizioni. Non avrà fatto un gran bene, ma spera d‟aver fatto qualche
piccolo bene in Genova e fuori.
Il tafferuglio che si è fatto nascere dal primo opuscolo, sarebbe nato ugualmente per qualche
altro pretesto che avrebbero saputo cogliere i nemici del bene, che come dappertutto , non faccio
torto alla mia patria, erano anche in Genova.
Da un male un bene: il suo nome si venne a conoscere in Italia e fuori e dell‟opuscolo si ebbe un‟edizione
pirata a Milano
CAPITOLO XLII
NEL 1846 OSÒ SMASCHERARE GIOBERTI
CREDUTO IL MESSIA DELLA PATRIA759
758 Annota Angelo Remondini: Credo che ciò si riferisca al Reverendo Solari, priore di S. Carlo. Vedi Giornale
degli Studiosi.
228
Studiando la storia del Risorgimento viene da chiedersi cosa si intenda per “popolo”, se i
pochi che si agitavano, oppure ogni uomo nato a respirare aria, nessuno escluso. Fu Cristo che
riqualificò l‟ultimo umiliato su cui pesavano millenni di vessazioni e di disprezzo facendone un
primo, un Figlio di Dio, fino ad identificarlo con se stesso: “Quanto faceste ad uno di questi
fratelli miei minimi, lo faceste a me”.760 Per la Chiesa “popolo” ha questa seconda accezione:
l‟insieme degli uomini, nessuno escluso, avendo Gesú fatto popolo di Dio Lazzaro di professione
accattone,761 la vedova che piange l‟unico figlio,762 o si priva del vitto del giorno e ne fa offerta al
Tempio,763 la prostituta asfissiata dal fetore dell‟ abisso in cui è precipitata e sogna aria pulita,764
l‟esattore ladro che vorrebbe avvicinare Cristo e non osa, pago di spiarlo tra le foglie d‟un
sicomoro,765 il bandito che sul patibolo si scopre capace di giusto giudizio,766 l‟uomo nessuno.767
Per i nostri risorgimentali era “popolo” chi sapesse leggere e scrivere, disponesse di un buon
reddito e fosse della medio alta borghesia. Non bastava l‟essere nati italiani, si doveva essere
italiani degni d‟un tal nome, del popolo che fa storia, la storia che interessò un Tucidide o un
Tacito nei tempi antichi; il Cuoco, il Colletta, il Cantú ai loro tempi. Gli altri, massa amorfa.768
Si pensi la fortuna di una insulsaggine di Massimo d‟Azeglio: “Abbiamo fatto l‟Italia, ora
dobbiamo fare gli italiani”, tant‟era sparuto il gruppo di quanti si ritenevano degni d‟un tal
nome! Di lí l‟impegno nel volerli rimpastare secondo un loro stampo. Di lí la parola d‟ordine:
Educare! Famoso il Dio e popolo del Mazzini. Quale Dio? quale popolo? Non il popolo quale lo
conoscevano i parroci, gli unici, forse, tra quei che sapevano leggere, che mai ne avevano perso
il contatto, provenienti spesso essi stessi dalle classi piú umili, per i quali la parola “popolo”
esprimeva il concreto delle persone di cui condividevano la vita. Il popolo vero, non già ciò che
di esso vaneggiava questo o quel filosofo, questo o quel politico. L‟uomo come è, non come
secondo loro avrebbe dovuto essere, e perciò da rieducare secondo un modello da essi in astratto
pensato. Né il dio – proto, la minuscola – del Mazzini aveva nulla in comune con il Dio vero –
proto, la maiuscola – in cui il popolo credeva: il Dio del catechismo, non un essere supremo in
nebbiosa dissolvenza, incurante dei fatti della nostra vita.
Il primo agitarsi dei risorgimentali fu ignorato dal popolo. Opera di militari e di funzionari
napoleonici emarginati dai nuovi governi, e di studenti dolenti di essere nati tardi per vivere le
grandi imprese. I moti del 1831, ignorati dal popolo, ne segnarono la fine. Luigi Filippo, il re
straniero chiamato a scacciare principi stranieri, non si era mosso. Per il Mazzini tale fallimento
era dovuto alla disunione tra le carbonerie, alla legge del mistero di cui si fasciavano e al non
rivolgersi al popolo. Altra la via da battere: educare il popolo portandolo a pensare come la
pensava lui, il Mazzini. Educazione accettata da pochi della borghesia per poi rinnegarla in tanti.
759
Si rimanda all‟Appendice in fondo al capitolo la confutazione ai Prolegomeni.
Mt 25,40.
761 Lc 16,19-31.
762 Lc 7,11-17.
763 Mc 12,41-44; Lc 21,14.
764 Lc 7,36-50.
765 Lc 19,1-10.
766 Lc 23,39-43.
767 Mt 25,40.46.
768 Nel 1861, alle elezioni della camera del 1° Parlamento ebbero diritto al voto 419.938 cittadini su 21.915.242,
l‟1,9% della popolazione. Votarono 242.363, l‟1,1%. I voti ottenuti dagli eletti – i collegi erano uninominali –
furono 170.567. Un parlamento rappresentato dallo 0,7% della popolazione, a tacere dei brogli e dei
condizionamenti dei 70.000 statali. Su 443 eletti 85 i blasonati, 23 gli ufficiali superiori, 74 gli avvocati!
229
760
Per gli altri, la quasi totalità del popolo, Mazzini era un sovvertitore. Il fallimento dei suoi moti
gli tolse credibilità, come la fine di Ciro Menotti l‟aveva tolta ai carbonari. Fu l‟ora del Gioberti.
Gioberti
Sarebbe errore attribuire la sua immensa fortuna al fallimento dei moti carbonari ed alle
inconcludenti congiure mazziniane. Il Gioberti seppe giungere al popolo e vi giunse, lui
sacerdote, via ecclesiastica barando abilmente con la religione. Il suo Del primato morale e
civile degli Italiani l‟aveva reso di colpo famoso facendolo voce di messia.769 Parve tale anche a
gesuiti d‟un certo nome, i quali ebbero un amaro ricredersi all‟apparire dei Prolegomeni del
Primato.770 Il 1845 fu l‟anno dei Prolegomeni. Un libello. Vi si bollava ad eterna infamia tutta la
Compagnia e, con essa, quanti erano sospettati di favorirla. Se dal Mazzini i fedeli erano difesi
nulla comprendendo della sua religione laica e di quel suo “dio”, non cosí dal Gioberti. In loro
aiuto venne il Frassinetti.
Il Saggio del Frassinetti
Ce n‟era d‟avanzo per essere classificato gesuitante, e dei peggiori, se non il peggiore, ad
argomentare da come sarà trattato dal Gioberti e da quanti ne erano infatuati. Del Gioberti
tralascio la sua produzione filosofica che, per l‟ astrattezza della materia, aveva interessato solo
gli addetti ai lavori, per restringermi al tentativo di strumentalizzare la religione cattolica a fini
politici.771 Nel maggio 1843, pubblicando a Bruxelles Del primato morale e civile degli Italiani,
Gioberti divenne di colpo famoso in tutta Italia. Il successo di quest‟opera fu favoloso, non solo
presso i liberali, ma anche nel mondo ecclesiastico, non eccettuato, si disse, il futuro papa Pio
IX. Il Gioberti parve sanare la ferita inferta dall‟insulto di Lamartine: Je vais chercher ailleurs,
pardonne, ombre romaine! des hommes et non pas de la poussière humaine”. Eravamo vivi e
chiamati a grandi cose. Il consenso fu unanime fino all‟apparizione dei
Prolegomeni del Primato
Un libello in cui il Gioberti additava all‟obbrobrio i gesuiti causa dei mali d‟ Italia. I gesuiti,
non la religione, non la Chiesa, non il Papa, come il Sismondi nella Storia delle repubbliche
italiane,772 né il cristianesimo, come i mazziniani per aver esaurito la sua missione, né il clero
aperto ai tempi. I non aperti gente plagiata dai gesuiti, dei gesuitanti non diversi dai gesuiti. Se
questi erano individuati da una pubblica professione, era gesuitante chiunque non consentisse
con il Gioberti o osasse criticarlo. Solo a pochi parve subito chiaro a cosa il Gioberti tendesse:
servirsi della Chiesa per partecipare al popolo, fino ad allora assente, la passione risorgimentale.
Gesuiti e gesuitanti andavano demoliti perché creduti un ostacolo; grandi elogi invece per il clero
aperto alle innovazioni politiche. Contro il tentativo di fare della Chiesa uno strumento politico,
769
V. GIOBERTI, Del primato morale e civile degl’Italiani, Bruxelles, 1842-1843.
Cavour, in una lettera del 13.2.1843 a Pietro Santarosa, sospetta Gioberti ingesuitato.
771
Nato a Torino nel 1801, nel 1823 si laureò ivi in teologia. Sacerdote nel 1825, di lí a poco dottore aggregato
del Collegio teologico ed elemosiniere di corte. Le simpatie per la Giovine Italia lo coinvolsero nella repressione dei
moti mazziniani del 1833. Arrestato il 31 maggio, fu fatto emigrare per non dare eccessiva risonanza ai processi con
l‟implicarvi un sacerdote dell‟università ed elemosiniere di corte. Riparò a Parigi per poi stabilirsi a Bruxelles fino al
ritorno in Italia nel 1848. L‟accoglienza fu un‟apoteosi, durata però il tempo che durò l‟illusione. Spenta l‟illusione,
seguí il tracollo.
772 S. SISMONDI, Storia delle repubbliche italiane, T. XVI, Capolago 1832, pp. 357-376.
230
770
il Frassinetti sentí il dovere di intervenire per premunire i fedeli ed il clero dalla infatuazione
giobertiana.773 Si sa la sorte dello strumento: quando piú non serve, si getta.
Il Biennio 1846-1848
I padri della Compagnia avevano già risposto al Gioberti con difese atte a confutare le accuse,
piú che ad aprire gli occhi sull‟insidia alla gente semplice. Al Frassinetti il Primato non aveva
suscitato illusioni ed entusiasmi come in tanta parte del clero, inclusi alcuni gesuiti, uno il Curci.
Se i Prolegomeni fossero stati solo un libello, penso che dal Frassinetti sarebbe stato ignorato,
bastando le confutazioni ponderose scritte dai gesuiti.774 V‟era una ragione piú pressante: mettere
in guardia le anime semplici, ed anche il clero, dall‟affermazione del primato dei valori politici,
civili e nazionali in cui veniva a risolversi la religione. Faccio mia per i fatti di ieri l‟odierna
messa in guardia del filosofo Augusto Del Noce contro l‟affermazione del primato
dell‟economico, che subordina e risolve in sé l‟eticità.775 La variazione dei termini, da me
apportata, è solo un mutar nome ad uno stesso male: la subordinazione del religioso al puramente
umano quale viene proposto di tempo in tempo dall‟intelligencija che fa moda, con l‟aggiunta
del ricatto: “Se la Chiesa vuol essere credibile, deve…”. Variano i modi, ma tutti diretti ad un
solo scopo: la pretesa che sia l‟uomo a decidere del vero e del falso, del bene e del male. La
laicizzazione del religioso proposta nel 1834 da Demofilo/Gioberti sulle pagine della Giovine
Italia.
Il termine gesuitismo era vago sí da poterci includere non solo i singoli sacerdoti che non si
fossero lasciati incantare, quali a Genova il Frassinetti, lo Sturla, il Cattaneo, ed altri a loro
vicini,776 ma interi gruppi di persone etichettati frassinisti e sturlisti, quali i soci della “Beato
Leonardo” ed intere congregazioni religiose. Ne seppero qualcosa le Dorotee. Si veniva cosí a
creare divisione nel clero: sacerdoti che facevano onore allo loro stato perché aperti ai tempi, e
sacerdoti retrivi ed ipocriti. Dall‟esecrazione alla persecuzione il passo fu breve. Un esempio,
l‟attacco del Gioberti al Frassinetti nel Gesuita moderno.
Il Priore aveva avvertito che l‟attacco ai gesuiti e gesuitanti era il preludio dell‟attacco
generale alle altre istituzioni della Chiesa per svuotarla del divino.777
773 Molti gli infatuati del Gioberti creduto paladino della fede e della patria libertà. Vi caddero Don Bosco e non
pochi gesuiti, che presto si dovettero amaramente ricredere.
774
Avevano già risposto i gesuiti Carlo M. Curci e Francesco Pellico, fratello di Silvio, cui era stato dedicato il
Primato, dedica mantenuta nella riedizione con l‟Avvertenza, tirata a parte col titolo di Prolegomeni, e da Silvio
rifiutata con lettera all‟Univers del 28.6.1845. Il Curci restituí colpo a colpo senza pietà, il Padre Pellico con tatto e
carità tali da suscitare l‟ironia dello stesso Gioberti che lo chiama Madre Pellico.
775
A. DEL NOCE, I padroni del futuro elargiscono valori in Il sabato, n. 32(1987), 9.
776 Lo Sturla, benché d‟indole e di stile cosí diversi, era l‟altra metà del Frassinetti.
777
Non sono in grado di affermare se allorché scriveva il Frassinetti conoscesse la lettera inviata dodici anni
prima da Demofilo/Gioberti “Ai Compilatori della Giovine Italia” ed ivi dal Mazzini stampata nel sesto fascicolo
del 1834. Che Demofilo fosse Gioberti si venne a sapere con certezza solo nel 1849, quando i mazziniani,
sentendosi traditi, la ripubblicarono, svelando l‟identità dell‟autore. Ne riportiamo qui solo qualche stralcio:
“Viviamo in un tempo, in cui una religione veramente nuova non è possibile, siccome alcuni vani tentativi
dimostrano – allude al fallimento del culto della Dea Ragione?–… perché i suoi simboli non sono morti… Che resta
dunque a farsi, se non che [il cristianesimo]… diventi una religione civile? Io direi adunque agli amatori del
cristianesimo: “La religione che voi adorate è morta… Se volete risuscitarla davvero… ponetela d’accordo con
l’uomo e col secolo. L’uomo è progressivo, fatela progressiva… immedesimatela con essa ragione, e dimostratele
che il libero esame, saviamente interdetto dai cattolici quando l’ingegno umano era barbaro…, è ora non che
permesso, ma prescritto a chi ne è capace… Il nostro secolo è supremamente sociale… Rendete adunque la
231
Dove portassero le fasi di tale nefasto influsso si può ripercorrere nel sacerdote genovese
Cristoforo Bonavino. Aveva lottato invano con il padre per farsi gesuita. Fu seminarista da porsi
in vetrina, per qualche tempo pupillo del Gianelli. Dopo un periodo di doppia vita, finí con
l‟apostatare e con l‟approdare all‟ ateismo. Mutato nome in Ausonio Franchi, passò a combattere
la Chiesa dalla cattedra e con libri e riviste in nome della ragione. Di lui, e del suo tardo
ravvedimento, si tornerà a parlare avendo avuto a che fare con il nostro Servo di Dio.
Usciti i Prolegomeni, il Frassinetti li confutò con il Saggio intorno alla dialettica e alla
religione di Vincenzo Gioberti,778 in cui si propose di dire con parole semplici e chiare chi fosse
il Gioberti a cui ogni giorno piú si guardava con incredibile fanatismo, gonfiandone oltre ogni
misura fama ed ingegno. Ne uscí fuori un opuscolo di dialettica stringente che smascherava
quella fiera congerie di accuse sostenute non da prove, ma da ingiurie ed invettive. Anche nel
piú infatuato giobertiano a lettura ultimata poteva nascere il dubbio che il Gioberti non fosse poi
quel grande dialettico che dicevano e che la sua religione fosse tutt‟altro che trasparente, anzi, ad
esaminarla bene, ben misera cosa.779 La difesa si fa di pagina in pagina piú serrata, spesso
sferzante. Il libello del Gioberti, benché l‟autore si professi uomo che vuole essere reputato
eminentemente cattolico, era privo proprio delle qualità che gli si attribuivano e di cui egli
menava vanto: dialettica e attaccamento alla Chiesa.780 Non si doveva, quindi, prestare fede alla
sua ostentata devozione alla Chiesa.
religione sociale… Se farete cosí, la religione rimarrà… Altrimenti ella morrà… Paragonate il Papa a Cristo. E
quando avrete… fatto vedere quanto divario corra… dal sublime Redentore delle genti a quel vigliacco oppressore
di popoli [all‟epoca Gregorio XVI],… ponete mano arditamente al vivo cristianesimo, chiaritelo, divulgatelo… La
vostra causa è eterna e però piú durativa della forma antica… Dio e Prossimo. Ma ora dice per vostra bocca e del
secolo: Dio e Popolo; perché esso Dio… sta per… fondare una cristianità novella…[e] nuovamente scenderà sulla
terra… Ma la sua comparsa non sarà, come la prima, un’apparizione individuale, fatta nella ragione di un uomo
solo [Gesú], ma generale e nella ragione di tutti. Iddio sarà umanato, ma non nel figliuolo dell‟uomo, ma nel
popolo…”. In La Giovine Italia e l’Abate Vincenzo Gioberti, Torino 1849, pp. 50-53.58s.61. Edizione rarissima,
non vedendola citata nell‟edizione nazionale. È posseduta dall‟Archivio Frassinetti dei FSMI, Roma. Vi è ritratto il
vero animo del Gioberti, tolta la maschera di cattolico. Che Demofilo fosse il Gioberti lo confessa uno che fu già
ultra giobertiano, AUSONIO FRANCHI: “Negavo [al Gioberti] addirittura il titolo di filosofo, non ravvisando in lui se
non un nemico mortale della filosofia moderna… ad ammonirmi dell‟abbaglio… sarebbe dovuto bastare l‟articolo:
Cristianesimo e democrazia, già stampato nella Giovine Italia nel 1834 sotto il pseudonimo di Demofilo, ristampato
col nome del Gioberti nel febrajo del ‟49 per cura di un mazziniano il quale ne traeva argomenti. per denunciarlo
all‟Italia per un apostata ed un traditore della democrazia… e il Gioberti ne aveva col suo silenzio implicitamente
riconosciuta l‟autenticità”, , Ultima critica, vol. I, Milano, 1889, pp. 146s. Cfr. inoltre la recensione: I misteri di
Demofilo per S.S. prof. di filosofia, Torino 1850, in Civiltà cattolica, Serie I, vol. 20 (1850), pp. 98s. che mi pare si
possa attribuire al Curci o al Taparelli dalla confessione che vi si legge: “E chi scrive quest‟annunzio… gabbato egli
pure un tempo dall‟ ipocrisia del Gioberti, poté contribuire non poco ad accrescerne fra i Cattolici la rinomanza”.
Anche se il Frassinetti ignorava chi fosse Demofilo, e forse l‟esistenza della stessa lettera, nel Gioberti, avvertiva
odore d‟un Demofilo. Non è da escludere però che a Genova se ne conoscesse l‟autore.
778 [G. FRASSINETTI], Saggio intorno alla dialettica di Vincenzo Gioberti, Tipografia Faziola, Genova, 1846, pp.
86, cm 9,5x14,5. Il Frassinetti aveva preparato una seconda edizione dell‟opuscolo che, lui vivo, non fu data alle
stampe. Fu pubblicata nel vol. XIII dell‟ediz. Vaticana delle sue Opere predicabili ed ascetiche, Roma 1912, pp.
147-214.
779 Il Bonavino si pone ora l‟interrogativo che pensa si ponga ogni lettore del Gioberti: “Come mai uno scrittore
di tanto ingegno, di tanta dottrina poté cadere in tal abisso di contraddizioni, da cui sarebbesi di leggieri guardato
ogni mediocre scolaro?” e i suoi lettori poteano dirsi press’a poco tutti li Italiani che avessero qualche cultura
letteraria… Opera citata, vol. I, 149. Le domande che già si pose il Frassinetti, contro il quale il Bonavino era
insorto con due libelli per difendere chi avrebbe calpestato di lí a qualche anno.
780
48.
232
Il Frassinetti non confutò ad una ad una le calunnie dei Prolegomeni, lavoro del Curci. Ne
esaminò solo alcune, per mettere in evidenza le contraddizioni in cui il grande dialettico era
incorso. Uscí nel maggio del 1846, poco prima dell‟ avvento al trono di papa Pio IX, che, per i
suoi provvedimenti, fu facile farlo passare per chi avesse fatta sua la causa giobertiana. Nelle
opere inedite del Gioberti, pubblicate postume, si ha la prova che il Frassinetti aveva colto nel
segno.
Ai preti liberaleggianti il Saggio, che criticava un tanto filosofo, presentandolo come uno che
tentava l‟affossamento della Chiesa, e non come un suo paladino, parve sacrilega bestemmia.
Immediata la reazione irosa ed insolente in un opuscolo di 64 pagine, stampato alla macchia,
luogo: Italia, scritto da C. B. che don Remondini, il sacerdote meglio informato delle cose della
Genova dei suoi tempi, individua in Cristoforo Bonavino di cui sopra s‟è anticipato un cenno.
Mentre aggiungeva calunnia a calunnia contro i gesuiti, rovesciava sul Frassinetti scherni e
triviali insulti, tacciandolo di ignoranza e mala fede. Il Frassinetti non replicò. Fu difeso da P. G.
che, al dire di don Remondini, sarebbe la sigla di Prete Gaetano, ossia Gaetano Alimonda, il
futuro cardinale arcivescovo di Torino, amicissimo del Frassinetti. Bastarono queste quattro
paginette per dare la stura a quanto era rimasto in corpo a C. B. che, divenuto B. C., sempre alla
macchia, pubblicò un opuscolo di 75 pagine contro I Gesuiti moderni e i loro affigliati (sic) in
risposta a P. G.781. Informatore del Gioberti, attraverso Vincenzo Ricci, era appunto il Bonavino,
almeno come fu sospettato e non senza fondamento.782 Tornato il Bonavino in seno alla Chiesa
in sul finire dei suoi anni, nei tre volumi della sua Ultima critica, con cui ritrattava la filosofia da
lui sostenuta, tace di quei due librettacci e delle sue informazioni al Gioberti, mentre rievoca
l‟infatuazione generale che per lui si era avuta fino a far perdere la testa a non poca parte del
clero. Che cosí fosse, ne è testimonianza l‟accoglienza che il seminario di Genova aveva
preparato al Gioberti quando fece visita alla città.783 Ancora qualche mese e l‟astro si sarebbe
eclissato. Meteora.784
Che la messa in guardia fosse necessaria, e non solo per la comune delle persone, ce lo
conferma lo smarrimento intellettuale e religioso del Bonavino e di tanta parte del clero. Il
Frassinetti aveva visto con lucidità dove, ad essere coerenti, avrebbe condotto l‟incantesimo
giobertiano: al rifiuto di ogni religione rivelata in nome della libertà e della ragione.785 L‟odio e
781
C. B., I Gesuiti, risposta al M. R. D. Frassineto (sic), Italia, 1846; G., Osservazione al libello di G. B.,
Tipografia Pagano [Genova], con permissione; B. C., Autentiche prove contro i Gesuiti Moderni, loro affigliati ed il
celebre dialettico Mo Ro Frassinetto (sic), Appendice all’opuscolo di C. B., in risposta a G., Italia 1846.
782 Al dire di DON A. REMONDINI, uno dei piú documentati conoscitori delle cose di Genova, in un foglio
conservato nell‟Archivio Frassinetti.
783 Confronta il Documento riportato nell‟Appendice. in cui si riporta il pietoso indirizzo che gli fu rivolto dalla
direzione del Seminario e dal corpo docente.
784 In una lettera dal fronte nei giorni dell‟armistizio il beato Francesco Faà di Bruno, allora ufficiale di stato
maggiore della brigata comandata dal principe ereditario Vittorio Emanuele, ci dice come furono accolti i politicanti
in visita ai reparti: “Brofferio non istette nemmeno un‟ora qui. Le mille imprecazioni dei nostri ufficiali il fecero
desistere dalla sua impresa. Si fece accompagnare in vettura da tre ufficiali per paura che per istrada non lo
ammazzeno (sic). Gioberti gli toccò la stessa sorte ed un soldato finí per tirargli addosso un torso di cavolo”, in
PALAZZINI, Francesco Faà di Bruno, Roma, 1980, vol. I, 132, che rimanda a Epistolario, Francesco al conte
Radicati, 10.8.1848, Archivio delle Suore Min. del Suffragio, Torino. Sempre il Faà di Bruno scrive al marchese
Luigi Trotti-Bentivoglio: “[I volontari] tanto animosi sul principio, in gran parte presentemente, schivi dalle marce,
dalle fatiche, del bivacchi, si sbandano e tornano alle loro case…” in Il Risorgimento italiano in un carteggio di
patrioti italiani, 1820-1860, a cura di MALVEZZI, Milano 1924, 69, n. 225, citato dal PALAZZINI, ivi, pp. 119s.”,
785 Un quadro lucido e conciso di quel liberalismo cattolico politicizzato ci viene dato da L. BORGHI in Il
Risorgimento. Introduzione: il pensiero pedagogico del Risorgimento, Firenze 1958.
233
il disprezzo riversato sulla Compagnia e su i gesuitanti non era che il primo attacco contro la
Chiesa, perché era la Chiesa ad avere approvato ed approvava la Compagnia di Gesú, come fa
risaltare con insistenza il Frassinetti. Ora, non essendovi differenze di rilievo tra la pastorale dei
gesuiti e quella degli altri ordini e congregazioni religiose, come pure della piú parte dei clero
diocesano, né differendo la vita cristiana comunemente vissuta dal modo come era da loro
proposta, dopo i gesuiti sarebbe venuta la volta di tutti gli altri, anch‟essi accusati di gesuitismo.
Gli unici a salvarsi sarebbero stati gli ecclesiastici conquistati alle vedute dei liberali, per lo piú i
già affetti da giansenismo, facilmente manovrabili e non meno disposti dei non dimenticati
sacerdoti sermentés dell‟epoca rivoluzionaria a prestare collaborazione. Non c‟è papa e papa,
come vorrebbe il Gioberti, Clemente XIV, che sciolse la Compagnia, “Magno”, non Pio VII che
per la istaurazione morale e religiosa del mondo l‟aveva risuscitata!
Quando un Papa fa una cosa non si deve osservare se sia grande o non lo sia; ai buoni cattolici
basta che sia Papa sapendo che tutti i Sommi Pontefici… ebbero ed avranno sempre la stessa
autorità.786
Per disfare l‟incantesimo del negromante, mette in risalto quanto poco dialettico egli sia e
come le sue professioni di fede cattolica siano per nulla convincenti. Né logico, né cattolico
come un cattolico ha da essere. Cosí, non solo ne demolisce l‟opera, ma smaschera l‟uomo: un
illusionista, peggio: un negromante, come i maghi dei poemi cavallereschi creatori di castelli
fantasma destinati a dissolversi nel nulla, rotto che sia l‟incantesimo. Ci volle dell‟ardire nella
tarda primavera del ‟46, quando Gioberti era l‟idolo delle folle, guardato come il messia inviato
da Dio all‟Italia, perché l‟Italia, meglio: l‟aristocrazia del pensiero italiano – ai rozzi e alle donne
Gioberti non si abbassava –, avesse a redimere il mondo, secondo quanto si sosteneva nel
Primato. Principe di questa aristocrazia era lui, il Gioberti! La fama del suo ingegno, gonfiata a
dismisura dall‟ entusiasmo popolare, stava toccando punte di incontrollato fanatismo. 787 Al suo
arrivo a Genova, non pochi del seminario e del clero, e non fra gli ultimi, persero addirittura testa
e decoro.788 A quarant‟anni di distanza ecco come Ausonio Franchi/Cristoforo Bonavino
rievocava quei tempi:
Preti e frati nelle loro prediche, vescovi e cardinali nelle loro omelie, teologi e apologisti ne‟
loro libri citavano a gara i testi del Gioberti quasi di un mezzo padre della Chiesa, aggiungendo
quasi una consacrazione al nome d‟Italia… il mezzo scelto e adoperato dal Gioberti per una
risurrezione d‟Italia aveva con efficacia prodigiosa servito al suo fine.789
786
11.
Osare criticare Gioberti era sommo sacrilegio. In data 2 ottobre 1847 il Gioberti scriveva al Pinelli: “Io sono
confuso per gli applausi al mio povero nome. Ve ne ha però uno, che ho gustato senza rossore. L‟abate Frassinetti…
fu accerchiato da alcuni giovani, mentre passava soletto per una via, e costretto a gridare: Viva Gioberti” (A.
COLLETTI, Ausonio Franchi e i suoi tempi, Genova 1925, 73 n. 2). Una simile violenza, anche se non si può
affermare che si tratti della stessa, nella deposizione resa dal sac. Agostino Vignola: “La famiglia Bondanzo mi
riferí che una notte il Servo di Dio fu chiamato e andò tutto solo da un infermo, e che al ritorno dei giovinastri
nottambuli lo affrontarono e, malmenandolo, lo percossero con uno schiaffo, ma che egli tollerò pazientemente e
continuò il suo cammino verso casa” (Copia pubblica foglio 480 verso). Che il Frassinetti abbia gridato evviva
Gioberti è facile immaginare trattarsi di una spacconeria di chi voleva farsi bello agli occhi del Gioberti. Vantare
simili eroismi di giovani che malmenano un prete soletto senza arrossire di tale evviva!
788 A. COLLETTI, Ausonio Franchi e i suoi tempi, Genova 1925, pp. 81.85.
789 Il pseudonimo Ausonio Franchi fu assunto da Cristoforo Bonavino quando, dopo anni di vita ambigua – sono
del 1846 i due libelli contro il Frassinetti e i gesuiti, del 1849 la versione, a lui attribuita, del pamphlet di V.
MEUNIER, Gesú Cristo davanti al tribunale di guerra –, rinnegò il suo sacerdozio e la sua fede per un radicale
234
787
Il Frassinetti presente i Crucifige del Venerdí Santo dopo gli Osanna della Domenica delle
Palme. Gli uomini del ‟48, gli stessi che avevano innalzato Pio IX alle stelle, appena avvertirono
che non stava al giuoco, lo additarono all‟odio e al ludibrio universale quale uomo di scarso
giudizio, incapace di comprendere l‟importanza del movimento nazionale. Fama ancora viva nei
nostri laici. Con il suo rifiuto di mettersi a capo d‟una crociata contro l‟Austria, sposando il
cattolicesimo alla causa del progresso e della civiltà, aveva condannato Roma al tramonto morale
e nullificato il sogno giobertiano.790 Ne esperimentò qualcosa il Frassinetti, a parte l‟esilio, che,
anche dopo i tumulti del ‟48-49, sarà ancora additato all‟odio di cui restano echi sulla stampa
liberale dell‟epoca.791
razionalismo ed un rabbioso anticlericalismo. Nato a Genova-Pegli nel 1821, da giovane chierico aderí alla
congregazione fondata da sant‟Antonio Maria Gianelli che lo ordinò sacerdote nel 1842, convinto di aver trovato in
lui un tesoro. Non il Frassinetti. Vistolo dal Gianelli, fu sentito mormorare scotendo il capo: “Pure non mi va, non
mi va!”, A. COLLETTI, Op. cit., pp. 22s.. Il Gianelli dovette presto ricredersi ed allontanarlo dalla congregazione e
dalla diocesi profetizzandogli: “Voi diventerete un eretico”, come lo stesso Bonavino riferirà da vecchio. Nel 1853
l‟apostasia dalla fede fu aperta e totale, ne combatté le verità sulla Ragione, un suo giornale, su libri e dalla cattedra
universitaria, accanendosi nel dimostrare l‟incompatibilità tra libertà e qualunque religione rivelata da sostituirsi con
la religione dell‟umanità. Da vecchio si ravvide, rientrò nella Chiesa, tornò a celebrare messa, e vergò quasi duemila
pagine per confutare il suo pensiero in Ultima critica, Milano 1889,1891,1893, pp. 680, 499, 672, dove, benché
ormai vecchio deluso e ricreduto, è dato leggere pagine in cui si sente vibrargli ancora l‟animo riandando con il
pensiero al Gioberti. Vi tratta la propria deviazione intellettuale, ma tace dei suoi libelli contro il Frassinetti ed i
gesuiti, delle informazioni calunniose sul clero genovese fatte pervenire al Gioberti che se ne valse nel Gesuita
moderno, né una parola sulle lacrime fatte versare. Solo un accenno indiretto parlando di sé in terza persona:
“Eppure quei compagni ed amici, venivano da lui denunciati anch‟essi quasi tutti… fra le redivive turbe dei farisei,
la cui vita era una continua ipocrisia, una perpetua impostura!…”. Vol. I pp. 156s., quello nel testo, questo in nota
dal II vol. 402. Nel vol. III, 130 elogi generici per il clero genovese.
790 In quei giorni di parossistica esaltazione neoguelfa, don Bosco proibí ai suoi giovani di gridare: “Viva Pio
IX!”. Gridassero: “Viva il Papa!”. Avesse letto o non avesse letto l‟opuscolo del Frassinetti, ne seguisse già o non ne
seguisse ancora le pubblicazioni a mano a mano che uscivano e che avrebbe poi tanto aiutato a diffondere, la
pensava allo stesso modo. Con il Gioberti don Bosco si incontrò due volte. Riferendo a casa l‟esito del primo
incontro, profetizzò che sarebbe finito male. La seconda dopo la posta all‟Indice del Gesuita moderno, Gaeta il 30
maggio 1849, per esortarlo a ritrattarsi. Si sentí dire: “La mia ritrattazione consiste nel non rispondere: basta il mio
silenzio”, risposta meno impudente di quanto affermò per iscritto: “L‟interdetto di Gaeta mi fa ingrassare”, in V.
Gioberti. Ricordi biografici e carteggio edito dal MASSARI, Napoli 1868, vol. 3° pp. 454s.. Don Bosco vedeva
nell‟azione del Gioberti una divisione di compiti con quella del Mazzini: tattiche diverse, uno il bersaglio. Se ne ha
conferma in un abboccamento tra i due nel febbraio del 1848. L‟antico Demofilo col Mazzini può parlare scoperto:
“Siamo due file in battaglia; la nostra è ora innanzi e pronta a combattere; aspettate l‟esito della nostra zuffa, e, se
falliremo, potrete ripigliar voi”, Op. cit., vol. 4° 21. Fu tale la fascinazione del Gioberti che un chierico di don Bosco
spese 120 lire, cifra ai tempi enorme, per procurarsene le opere. Lo stesso Don Bosco, nella prima edizione della sua
Storia ecclesiastica, riportava il nome del Gioberti e qualche sua affermazione, tosto espunti nelle edizioni
successive, non solo, ma convinse altri a non appoggiare il loro dire su di lui. Si confronti nei contesti: G. LEMOYNE,
Memorie biografiche di don Giovanni Bosco, S. Benigno Canavese, vol. 2°, 1901, pp. 143-146;319s.; vol. 3°, ivi
1903, pp. 237-244; 310; 333s.; 422-425; 525-528.
791 Dopo l‟arresto di Garibaldi in fuga da Roma, si gridò essere pregiudicata la libertà individuale. In realtà si
trattava d‟una messa in scena, non solo, ma fu gratificato dal governo sardo con una pensione di 300 lire! Su La
Strega di Genova il 12 settembre, pag. 4: “Le reliquie dei faziosi rimasti a Genova, tolgono l‟occasione dell‟arresto
di Garibaldi… per gridare a piena gola che la libertà individuale è in pericolo… Oh, i semplici che sono, codesti
faziosi! mentre passeggiano liberi e sicuri per le vie di Genova un Camillo Vercellone, un parroco Frassinetti,… si
può dire che la libertà personale non è piú garantita dallo Statuto?”. Sempre La strega, nel n. 11(1849) ironizzava
sul Gioberti, da cui ormai i liberali si sentivano traditi, perché, nel muovere guerra ai gesuiti, aveva salvato gli altri
preti, invece che fare di tutti un fascio. L‟anno appresso Il povero – se ne è già parlato –, diffida i genitori dal
mandare i figli agli esercizi spirituali del parroco di S. Sabina, il Frassinetti, perché alla men trista sarà una scuola
di reazioni. Oltre alle violenze contro il Frassinetti già riportate, gli Atti del processo di canonizzazione ce ne
tramandano altre. Luisa Cosso depone: “So che durante i moti rivoluzionari del 1848… fu fatto segno all‟odio dei
235
L‟Olivari792 non sa dirci se al Gioberti pervenne l‟opuscolo. Il pio biografo non dovette
sentirsela di leggere quell‟infamia del Gesuita moderno, cinque volumi posti all‟Indice. Vi
avrebbe scoperto che gli era pervenuto, e se ne era guastato cosí il sangue da dedicare al
Frassinetti pagine piene di sovrano disprezzo, dolente, dice, di non potersene valere come
avrebbe desiderato per avere avuto troppo tardi il suo Saggio. Era il Bonavino ad informarlo sul
clero genovese, direttamente e tramite Vincenzo Ricci.793
Gli effetti di tale campagna di odi e di calunnie si rivelarono durante i sommovimenti
antigesuitici di quel triennio ruggente – 1846-1849 – costringendo i religiosi a fuggire e a vivere
nascosti. Uguale sorte toccò ai gesuitanti genovesi:794 al Frassinetti, vissuto nascosto tredici
mesi; a don Sturla, inseguito di città in città finché non trovò respiro per un dieci anni in Arabia e
in Etiopia; al Cattaneo, rettore del seminario, loro comune amico e collaboratore, uno che aveva
cambiato volto al seminario di Genova dopo un tristissimo decadimento. Destituito dall‟incarico,
visse a lungo nello stesso nascondiglio del Frassinetti, mentre altri disfacevano ciò che lui con
tanta pazienza e spese personali aveva saputo costruire. Uguale sorte a mons. Cabrera, costretto a
tornare in Spagna con fuga avventurosa dopo aver assistito impotente alla fine del suo bel
“Convitto ecclesiastico” per i sacerdoti spagnoli rifugiati a Genova, messo su con l‟aiuto del
Frassinetti, alla cui Accademia quei giovani andavano formandosi.795
Fuggire e nascondersi, era quanto aveva saputo consigliare il vicario generale, Giuseppe
Ferrari che, in quel lungo periodo di torbidi e di sede vacante per la morte del cardinale Tadini, si
barcamenava come meglio poteva, cedendo alle richieste della piazza fino ad allontanare dal
seminario, insieme al rettore Cattaneo, quanti altri fossero tacciati d‟essere gesuitanti, sturlisti o
frassinettisti, né seppe impedire che sacerdoti, anch‟essi armati di schioppo, si unissero ai
rivoltosi. Il Frassinetti lasciò la cura della parrocchia a due fratelli sacerdoti, prese il nome della
madre, Prete Viale, e stette nascosto nei pressi di Genova. Fu una pausa di raccoglimento e di
studio – vi preparerà i suoi lavori piú impegnativi di morale, ascetica e vita pastorale –, senza
però cessare di assistere per vie segrete i fratelli nella guida della parrocchia. Quando tornò in
sede continuò a vedersi fatto oggetto del malanimo dei liberaleggianti ogni volta che fossero
riusciti a cogliere un qualche appiglio per ravvivargli contro la campagna di odio.
Episodi ed avvenimenti questi che mettono in risalto quanto il Servo di Dio seppe soffrire per
la difesa della verità e della Chiesa, il suo coraggio, la sua pazienza e la sua prudenza. Se c‟era
da illuminare i semplici, non esitò a scrivere, ma preferí tacere se si fosse trattato di rintuzzare le
offese alla sua persona. Come aveva accettato tacendo le offese e lo sprezzo di cui si trova eco
nelle lettere della madre del Mazzini al figlio, accettò la persecuzione dei “patrioti”, fino alle
percosse. Nei suoi scritti nessun accenno al Bonavino.
Il Frassinetti sa bene che sarà criticato e condannato dai ben pensanti:
settari, i quali… persino lo colpirono a sassi…”, Copia pubblica…, già citata, foglio 955. E Maria Berta Bassino
d‟aver appreso da Angela Rossi “che una volta, recandosi [il Frassinetti] in Chiesa, venne affrontato da un tale che
lo appostava e lo percosse con uno schiaffo cosí violento, che la guancia gonfiò straordinariamente, ma il Servo di
Dio, che pur conosceva l‟aggressore, non volle mai palesarlo”. Difficile dire se si tratta dello stesso episodio di cui,
informatone, godette senza arrossire il Gioberti. Si è portati a dire di no, aggiungendo la teste che il Frassinetti
avrebbe imposto il silenzio anche al sacrestano presente, quindi non era soletto, Op. cit., f. 365.
792 C. OLIVARI, Della vita e delle pere del servo di Dio Sac. Giuseppe Frassinetti, Genova 1928, 107.
793 A. COLLETTI, Op. cit., pp. 45-58, con attenzione a n. 2, 46.
794 A. BRESCIANI, L’Ebreo di Verona, uscito a puntate sulla Civiltà cattolica. Lí dove descrive l‟assalto dei
rivoluzionari alle case dei gesuiti a Genova e la loro fuga.
795 Il Cabrera, tornato in Spagna, dopo alcuni anni entrò nella Compagnia di Gesú.
236
Che monta – diranno – prendere le parti di un Istituto che ha tanti nemici accanitissimi, i quali,
tanto piú lo vedono encomiato e difeso, tanto piú infuriano e si inveleniscono contro il
medesimo?… Questa regola che si appella di prudenza è la piú comoda che possa tenersi nelle
vicende di questo mondo. Infatti non opporsi ai cattivi, è un assicurarsi di non dovere incontrarne le
ire…
Non sa però trattenersi dall‟invitarli a leggere dove Dante li pone: “mischiati sono a quel
cattivo coro / delli Angeli che non furon ribelli”.796 Se egli ne assume la difesa è per mettere in
guardia i fedeli piú semplici ed indifesi:
il campione dei nemici è il Gioberti. Oggigiorno bisogna combattere contro di lui, anzi meglio
l‟opinione del suo valore; dissipato questo quasi incantesimo, rimarrà come il negromante sfatato
del poeta. Questo incantesimo non si può disfare in un tratto, ci vuol tempo, ché l‟opinione col
tempo si forma e col tempo si distrugge… io non scrivo pei dotti e letterati, scrivo pel comune delle
persone alle quali fosse pervenuta la malefica diceria del filosofo pervertitore. Non mi propongo
una compiuta confutazione delle sue innumerevoli calunnie; ma soltanto di accennarne le principali
a prevenire gli incauti.797
Chiuse il lavoro con una profezia
al disinganno di coloro che credono il Gioberti uomo grande, e sempre grande, e perciò sempre
autorevole… In questo suo scritto gonfio, capzioso e seducente le moltitudini dei figliuoli di Eva,
io lo vedo raffigurato nell‟eroe di Milton cangiato in rospo nell‟orecchio di costei, cui mentre
dormiva alterava la fantasia per
Destarvi immagin strane e larve e sogni
generar scontenti,
Egri pensier cosí, speranze vane
Vani disegni e stemperate brame
Di un cieco superbir tumide e calde.
Preghiamo frattanto che la lancia d‟Ituriello non lo punga
poiché al tocco di celeste tempra
Sparisce ogni arte ed ogni inganno, e riede
Tosto ogni cosa al suo verace aspetto.798
Il Saggio rimase in gola al Gioberti guastandogli i giorni dell‟apoteosi – l‟ebbe ad elezione di
Pio IX avvenuta –. Chissà se gli tornò in mente quando, fulminato dalla censura, invece di
ingrassare, si ritrovò calpestato da chi piú l‟aveva osannato, incluso Bonavino fattosi
mazziniano col nome rotondo di Ausonio Franchi,799 o quando, cinquantunenne, se ebbe tempo,
fu fulminato da colpo apoplettico con accanto una bibbia protestante e un giornale mutati dagli
agiografi in Imitazione di Cristo e Promessi sposi. Per fiore funebre un‟ultima bugia.
Pochissimi avevano visto chiaro come il Frassinetti, e soprattutto con tanto anticipo. Tale sua
chiusa, anche a chi non era per nulla affascinato del Gioberti, pur non associandosi al riso degli
796 213;
DANTE, Inferno, 3,37s.
5s.
798 Sono citati i versi 1080.1084-1087.1090-1092 del libro IV del Paradiso perduto nella versione di Lazzaro
Papi, là dove Satana, trasformatosi in rospo per eludere la vigilanza dei cherubini, parla all‟orecchio di Eva
suggestionandola nel sonno. Lo scopre il cherubino Ituriele che con il tocco della sua spada rompe l‟incantesimo.
799 Si confronti quanto scriveva ne La Filosofia delle Scuole Cristiane, Introduzione, Capolago 1852, ma stesa
già da tempo. Ne peschiamo una sola perla: “Il suo [del Gioberti] apostolato è finito, ed egli, spettacolo tristo ed
istruttivo, è ora condannato a sopravvivere alla sua gloria ed a vegliare sulla tomba della sua fama”, XXVIs.
237
797
infatuati, dovette certo sembrare un vaneggiamento. In realtà era visione di fede, serenità di
giudizio e manifestazione di fortezza cristiana. Anche il re Carlo Alberto aveva visto chiaro.
Scriveva a Pio IX il 10.9.1848 che su cento preti del suo regno, e Genova ne era parte, piú di
ottanta marciavano sotto la bandiera del Gioberti.800 Aggiungo altre due testimonianze dei pochi
che non se ne incantarono, l‟una e l‟altra di non-gesuiti, per dimostrare che la condanna del
Frassinetti non era dovuta a prevenzione.801 La prima di Silvio Pellico a cui il Gioberti aveva
dedicato il Primato.
Presenta i miei rispetti al Teol. [Giovanni] Bosco. Egli ha ben ragione di deplorare il cattivo uso
che il Gioberti ha fatto del suo talento ingiuriando i Gesuiti. Tutte le teste che non sono leggère
condannano del pari un attacco cosí furioso. Speriamo che un giorno Gioberti riconoscerà il torto,
perché è in buona fede. È un uomo ardente che ama la verità, ma che si lascia accecare dalle
prevenzioni.802
Non saprei dire se qui il Pellico sia incapace di pensar male o tema di farlo. Vuol crederlo in
buona fede e, sperando di ritrarlo dall‟errore, gli scriveva:
Tu riceverai plausi da persone facilmente plaudenti, e sono plausi ingannevoli… quando, per
effetto della passione, taluno diventa… consequenziario esagerato, il suo preteso rigore di dialettica
è vana illusione.
Letto che ebbe il Gesuita moderno, scriveva il 22.7.1847 alla sorella:
La nuova opera del Gioberti è il piú stupefacente diluvio di parole, di lodi, d‟ingiurie che si
possa immaginare… Quanto a me, mi loda e mi compiange, mi guarda con pietà e fa sfoggio delle
piú lepide barzellette. Si crede tale un gigante da atterrare tutti quelli che non la pensano come
lui… In mezzo a tante pagine furiose ci sono, come sempre, degli elogi alla religione, al papa
ecc.”…
Due giorni dopo, sempre alla stessa:
[è] tanto ammiratore del proprio cervello da crederci degli allocchi. Del resto le sue beffe sono
condite di piccoli elogi attraenti. Me soprattutto loda come il migliore degli uomini, ma soltanto
divenuto uno scimunito. Vedi bene che non me ne posso lamentare.803
Se tratta cosí “il martire dello Spielberg”, nessuna meraviglia se nella stessa opera fa strame
del Frassinetti senza sentire il bisogno di condire gli oltraggi con piccoli elogi attraenti. L‟altra
testimonianza è dell‟abate Amedeo Peyron, professore di gran nome nell‟Università di Torino,
rispondendo al gesuita padre Manera che gli si era rivolto perché volesse indurre il Gioberti a
resipiscenza.
800
Civ. catt., Serie X, vol. 100(1879) pp. 531s. dove è riportata nel testo francese e Civ. catt quaderno
1594(18.11.1916) 442.
801 Si aggiungano le condanne e riserve di non-gesuiti suscitate dal Gesuita moderno: N. Tommaseo, C. Cantú:
“incerto e sleale nei giudizi”, Storia degli Italiani, Torino 1857-1859, 577; A. ROSMINI, che pur aveva di che
lamentarsi di piú d‟un gesuita: “Ho seppellito quell‟opera temeraria e calunniatrice, né per me risusciterà piú: voi ne
sareste amareggiato, trovando in essa le persone piú sante denigrate, come sa fare lo spirito dell‟abisso: insomma
non ne ragioniamo tampoco, che ce ne contaminerebbe pur il discorrere”, Epistolario, Lettera a M. Parma,
1.2.1847, Casale 1887-1894, vol. IX 728; e altri ancora.
802 In una sua lettera alla sorella Giuseppina del 29.6.1845, il giorno dopo di quella all‟Univers, cfr. sopra nota
15.
803 Civ. catt., Art. cit., quad. 1591(7.10.1916) 70; q. 1594 pp. 436s.
238
Conosco intimamente il Gioberti: nulla di quanto pubblica mi ha sorpreso. La sua vita va
passando per vari periodi, formati dal predominio di un‟idea, che egli esagera, facendovi
convergere le altre. Esagerò il Primato, e dettò un‟utopia. I colleghi di Lei – i gesuiti – ne fecero
gran festa e andarono ripetendo, che se Dio nella sua clemenza donasse all‟Europa dieci Gioberti,
essa sarebbe tutta cattolica. Io rideva. Si ripeteva da molti che il Gioberti s‟era acconciato colla
Società [= i gesuiti]; egli lo riseppe, volle negarlo e dettò un libretto infamatorio, che mi ha
stomacato. Ella mi consiglia a scrivere al Gioberti. In dodici anni [da che fu fatto espatriare] gli
scrissi due sole volte, l‟una per raccomandargli la moderazione nei suoi scritti, l‟altra per dirgli:
siete prete; fate dunque il prete… Prevedo che il suo libro sarà da Roma proibito; che farci? Roma
è sovranamente moderata e sempre ricusò di far plauso al Primato, sebbene fosse invitata a dar
qualche benigna dimostrazione all‟autore.804
Il Frassinetti aveva reclamato prove. Per risposta si ebbe insulti e sovrano disprezzo. Gran
titolo d‟onore, non degnando Gioberti di prendere in considerazione “librettucci cosí mingherlini
che fa pietà solo a vederli”805 e, per giunta, d‟ uno di cui non sa dire se “sia maggiore la temerità,
il fanatismo o l‟ ignoranza”!806 Lui no, scriveva solo a grossi tomi – ben cinque, e poi sette, il
Gesuita moderno “per un totale di ventinove centinaia di pagine”, per dirla con il Curci –, e, pur
prostrato dall‟altare nella polvere, di lí a pochi anni affermerà di sé :
Ho coscienza del mio valore né voglio ormar807 le pecore… le cose che mi concernono io le
accerto sull‟onor mio; e quando altri le contraddicesse, gl‟Italiani decideranno se si debba piú
credere alla sua che alla mia parola… io non entro in parole con ogni sorta di persone… Soglio
eleggere i miei avversari e non accettare ciascuno che si presenta”.808
Diamo qui sotto nell‟Appendice un breve saggio degli argomenti con cui il Frassinetti lo
confutò.809
APPENDICE: Stralci del Saggio intorno alla dialettica di V.Gioberti.810
1. –La Compagnia fu sciolta dal grande papa Clemente XIV.
– Non è la persona del papa che conferisce autorità, ma il fatto che è papa. Cita sant‟Alfonso per
dire quanto poco spontaneo fosse stato il provvedimento di Clemente XIV. “Ma per ciò che adesso
importa a noi… quanto fece Clemente XIV, disfece Pio VII colla stessa autorità, come riconosce
anche il Gioberti”.811
804
Civiltà catt., Art. cit., quad. 1592(21.10.1916) pp. 184s.
V. GIOBERTI, Gesuita moderno, vol. I, CCCXXXVII (nel primo volume usò la numerazione romana, da noi
per comodità di lettura tradotta in cifre arabiche seguite da punto). Citiamo dall‟edizione nazionale, Milano 1940,
curata da M. F. SCIACCA che riproduce l‟edizione di Losanna del 1846, in realtà del 1847, introducendo nel testo le
correzioni approntate dallo stesso Gioberti.
806 Op. cit., vol. V 279.
807 Odorare.
808 V. GIOBERTI, Del Rinnovamento civile d’Italia, Parigi-Torino 1851, in due volumi, oltre mille pagine!.
Citiamo dal Proemio V e XIV. Forse per non smentire la sua fama di dire e nello stesso tempo contraddire, in una
nota della stessa pagina XIV dedica quaranta righe alla principessa di Belgioioso a suo dire vana, puerile, pedante!
809 Le citazioni rimandano alla prima edizione, essendo quella l‟edizione pervenuta al Gioberti suscitandone le
furie.
810 Poniamo le affermazioni del Gioberti in corpo 11, in corpo 10 la confutazione. Non si riportano le parole, ma
il pensiero, a meno che non siano virgolettate.
811 Pp. 6-14.
239
805
2. – Sí, Pio VII l‟ha ristabilita, ma intendeva ristabilire la Compagnia quale era alle origini,
non quella corrotta disciolta da papa Clemente XIV.
– Distinzione capziosa. Pio VII non poteva illudersi di risuscitare la Compagnia di quanti la
l‟illustrarono alle origini servendosi dei sopravvissuti d‟una istituzione disciolta perché
profondamente corrotta, e rimediare con essa ai tanti mali del mondo. La Compagnia disciolta era
la stessa delle origini. Chiama s. Alfonso a testimone. Gioberti l‟ha sparata cosí grossa che il
Frassinetti non sa trattenere un: Poffare!, e pensare che chiama Pio VII pontefice santissimo e
venerando!812
3. – La Compagnia ha tradito i nobili voti di Pio VII, difatti i gesuiti moderni…
– “Una lunga tirata di improperi non fu mai un buon argomento per un filosofo; anzi questa è la
ragione che adopera la donna del trivio quando vuole umiliare la sua nemica”. Gioberti afferma,
non prova. Contrapporre la nuova Compagnia a quella delle origini, è un ricalcare i riformatori del
secolo XVI che contrapponevano la Chiesa del loro secolo a quella dei tempi antichi. La verità è
che il progresso e la civiltà del Gioberti non hanno nulla da temere da un Ignazio co‟ suoi
compagni, mentre li può disturbare il P. Roothaan coi suoi consorti.813
4. – Non tutti i gesuiti sono cosí tristi, ve ne sono dei buoni di cui la Compagnia si serve per
coonestare l‟influenza perniciosa di tutto il corpo.
– Ancora affermazioni gratuite che non possono convincere chi non si sente di rimettersi
all‟autorità di un novello ipse dixit! E quei buoni e venerandi padri, cosí strumentalizzati, non
s‟accorgono di nulla? Fino a questo punto li ha fatti ciechi l‟obbedienza passiva? Ma spieghi il
Gioberti come possa la dannosa ignoranza, effetto di quella loro ubbidienza passiva, toccare solo
un cosí ristretto numero di membri, risparmiandone la generalità!814
5. – I gesuiti dei nostri giorni antepongono la loro dominazione ad ogni altra cosa e, poiché la
civiltà, ormai adulta, oppone a tali pretensioni ostacoli troppo forti, la combattano ingerendosi in
ogni luogo
– Il Frassinetti gli chiede ironico se per caso i gesuiti non siano i responsabili di tutte le
rivoluzioni scoppiate in Europa ed anche in Turchia negli ultimi trent‟ anni! Adduca una prova,
una!815
6. – Con il Medioevo i buoni ingegni cominciarono ad essere esclusi dal sacerdozio… nel
santuario si insinuò il regno assoluto dei mediocri… la Compagnia sostituisce i grandi maestri
dell‟antichità facendosi fautrice sviscerata del merito volgare per avere libero ed intero il
maneggio delle cose… guerricciole scolastiche, invidie fratesche… Ha impedito alla teologia di
raggiungere i progressi delle discipline profane e di riconciliarsi con gli spiriti e i bisogni del
secolo, l‟ha resa debole, squallida, puerile, barbogia, fastidiosa, cavillatrice, ne imbarbarí la
forma, ne emulse la sostanza… Corrotta la morale, offeso il dogma, avvilito il culto, snervata la
disciplina, debilitata la gerarchia…
Se prima della fondazione della Compagnia, non è sua colpa; se dopo, quando? Quando fu
sciolta o fin dalle origini? Che stavano a fare gli altri ordini: benedettini, domenicani,
812
Pp. 15-17.
Pp. 18-21.
814 Pp. 22-26.
815 Pp. 27-28.
240
813
francescani…? Dove il clero secolare? Di nulla s‟avvide la Chiesa? Neppure i protestanti piú
violenti arrivarono a tanto! La religione non fu mai come lui dice. Unica prova una sfilza di chi non
sa?.816
7. – Gioberti non sa immaginarsi un Atanasio, un Agostino o un Basilio educati alla gesuitica,
mentre non gli ripugna pensare cristiani Socrate e Catone.
– Gli ricorda che Socrate non rifiutava atti di adorazione a dei che derideva in cuor suo, che
Catone “faceva commercio delle sue schiave volendo che oltre ai lavori manuali portassero altro
emolumento piú ragguardevole alla sua casa”.
8. – Colpa dei gesuiti la decadenza degli studi… insegnano ipocrisia, frangono la volontà,
prostrano la ragione, spengono gli affetti piú sacri, tarpano l‟ immaginazione… tengono lo
straniero in Italia! mentre i giovani dell‟antica Roma… Una lunga litania che il Frassinetti
raggruppa in 14 categorie.
– Se i piú begli esempi di virtú si trovano nella civiltà pagana, “saremmo tentati a bestemmiare
che la Religione cristiana abbia oscurato e indebolito la scienza, la civiltà e la virtú”. Prove?
Un‟asserzione di Carlo Botta! Cosí, quei che erano capaci solo di cose di piccola levatura, riescono
a strumentalizzare ai loro fini persino l‟impero d‟Austria! Riuscire a tanto è segno di genio
straordinario ed unico al mondo! Confutate le accuse conclude con amarezza: Viva il filosofo! In
realtà il Gioberti è miglior parolaio che ragionatore. Un don Chisciotte.817
9. – I gesuiti pretendono di essere necessari al cristianesimo…
– “Non sanno anch‟essi che al loro nascere il Cristianesimo già esisteva da quindici secoli?”…
dicono che la Compagnia è un buon sussidio per la Chiesa come lo sono tanti altri Ordini
religiosi…818
10. – Il Gioberti “arrossirebbe per la sua patria se i governi e i popoli fossero disposti a
tollerarli pazientemente”, perciò, lí dove “il Gesuitismo è stabilito… se il principe non ha
cuore… di liberarsene con pronta e maschia risoluzione… 1. Deve sopravvegliarlo
attentamente… 3. impedirgli di frammettersi nell‟ educazione, 4. nell‟istruzione pubblica o
privata, 5. d‟ingerirsi nelle cose civili, 6. di profanare il pulpito… 8. di tendere le reti a
donazioni, lasciti, reditaggi”.
– Lasciare oziosi i gesuiti! macchinerebbero le peggiori cose mettendo il mondo a soqquadro!
Non è serio. Il Frassinetti limita la risposta al punto ottavo che è quello che veramente importa al
Gioberti. “Bisogna confessare che i Gesuiti finché son vivi sono mancanti di una dote… poter
rimanersi senza mangiare, dote finora serbata ai morti… A questo fine ogni uomo si deve qualche
poco adoperare… lo stesso Abate Gioberti, mentre che, se a somiglianza de‟ Gesuiti non ritrae
nulla dalla messa e dalla predicazione – piú non diceva messa né esercitava ministero –, s‟industria
per altre vie”.819 Non saprei dire se il Frassinetti fosse a conoscenza delle altre vie a cui attingeva il
Gioberti e se qui vi faccia allusione.820
816
Pp. 29-33; 50-58
Pp. 33-49.
818 Pp. 58-61.
819 Pp. 63-68.
820 Allusioni ad altre fonti di guadagno nella lettera al Gioberti del 15.6.1845 di padre Luigi Taparelli d‟Azeglio
SJ, fratello di Massimo. Avendolo i Prolegomeni eccettuato dalla condanna in blocco di tutti i gesuiti insieme a
241
817
11. – Via dall‟Europa i gesuiti! Ne suggerisce un modo “spiccio, agevole, utile, nobile e
pellegrino”: portino “la religione e l‟incivilimento presso tante nazioni barbare e selvagge
dell‟Asia, dell‟America, dell‟Affrica e dell‟Oceania”.
– “Il Gioberti in sostanza non odia la Compagnia,… pena e tribola di sentirsela ai fianchi…”.
Cosí, “i primi nemici della religione e dell‟incivilimento” sono fatti “apportatori dei medesimi a
quelle infelici nazioni”. Cerchi d‟essere serio. “Il filosofo non dee mai proporre cosa che vede non
solo impossibile, ma eminentemente ridicola… Ei forse si figurava che… il Padre Generale…
noleggiasse una cinquantina di vapori per portarli a cangiar aria… Che bella veduta passare come
in processione lo stretto di Gibilterra per diffondersi quindi in tutto il mondo ancora selvaggio!”. Il
Gioberti si contraddice con quanto aveva scritto due anni innanzi e “piú di una volta si contraddice
in questo tratto medesimo”.821
12. – Il clero non se la intenda con i gesuiti, ne va l‟onore della Santa Sede.
– “Cosa è mai questa S. Sede che il zelante Abate invita tutti a difendere…?” Una fanciulla
scema? Un fantoccio “incapace di conoscere i suoi mali, insensibile ai medesimi e imbelle a
combatterli?…Or via, signor Gioberti, meno carità per la S. Sede, e‟ piú rispetto”.822 In nota
aggiunge: la pretesa, propria dei giansenisti, di voler essere ritenuti cattolici strettamente uniti alla
Santa Sede, mentre l‟amavano quanto può amarla il protestante piú protestante, cosa che si
riscontra uguale in un buon numero di miscredenti che parlano d‟un cattolicesimo fittizio, fatto a
loro modo. È bene avvertire le anime semplici “non usarsi da tutti gli stessi vocaboli per intendere
le stesse cose; esservi perciò due cattolicesimi, uno di fatto e di sostanza il cui centro è la S. Sede
Romana, l‟altro di supposizione e di parole il cui centro è l‟umano orgoglio: il primo sempre lo
stesso e invariabile che non può piacere se non al vero credente, il secondo versatile e multiforme
che tanto al falso teologo quanto al falso filosofo può andare a grado”.823
13. – 1. I migliori apostoli dell‟odierno razionalismo sono i gesuiti… 2. L‟ Inghilterra, la
Scandinavia, la Russia, la Grecia, le province eterodosse della Svizzera e della Germania
rigetteranno sempre la ribenedizione “finché la fede romana non si affaccerà nella sua antica
semplicità , non lisciata di falsi colori, non molle… non pusillanime… non superstiziosa, non
padre Pellico, gli fa presente che nessun gesuita gli ha mai dato occasione di lamento. “Che abbiate ai nemici nostri,
come certi secolari spacciano, venduto la penna, è idea sí nera, sí orribile, che in chi vi conosce non può aver adito:
tanto piú avendo voi ricusato agiatezze e stipendi onorati”. Se allude alle cattedre universitarie di Roma e di Pisa, è
la rinuncia della volpe esopiana all‟uva. Le chiacchiere non erano prive di fondamento, percependo dal Pinelli un
assegno semestrale di 2.500 franchi senza titoli che giustificassero quei 5.000 franchi annui, cifra all‟epoca enorme.
Ne dà conferma il Gioberti scrivendo il 16.2.1848 al Pinelli: “Ti accuso il ricevuto della cambiale di 2600 franchi…
Ma perché il soprassello? – 100 lire in piú –… Mi farai piacere di sottrarre dal prossimo semestre la somma… ogni
qualvolta mi trovi in angustie sarò il primo a chiedertela”, G. MASSARI, Op. cit., vol. 3° 34. Anche padre Pellico
accennava a voci su i veri motivi che avrebbero spinto il Gioberti a scrivere: Vincenzo Gioberti e i gesuiti, “Civiltà
catt”, n. 1593 del 4.11.1916, 323. A monte del Pinelli, c‟era la Loggia. Lo aveva visto chiaro, mons. Pecci, nunzio a
Bruxelles e futuro papa Leone XIII, scrivendo a padre Manera il 6.9.1845: “Sospettai che il partito che esiste in
Piemonte, avverso ai Gesuiti, avesse potuto spingerlo a quel passo [di scrivere], indicandogli come opportuno il
momento di combattere la Compagnia, contro la quale contemporaneamente si preparavano i vigorosi attacchi…
nella Svizzera e nella Francia”. La Civiltà catt. postilla: “La contemporaneità è il marchio infallibile per scoprire
l‟opera della setta cosmopolita, cioè della massoneria, della quale Gioberti fu strumento e zimbello” art. cit., n.
15892 del 9.1916, pp. 66s.
821 Pp. 77-81.
822 Pp. 69-73.
823 Pp. 74, n. 1.
242
subdola…”. 3. L‟ ostacolo che si frappone alla riconciliazione religiosa dell‟Europa scismatica,
eretica, miscredente, è la Compagnia, con tutte le sue diramazioni e clientele”.824
– La prima e la terza asserzione gli ricordano “Mongolfier con quel suo pallone grosso grosso
che avrebbe potuto sollevare da terra 1200 uomini con le loro armi e bagaglie”. Ribatte la seconda.
Tattica antica! mutano solo i rei: una volta erano gli scolastici e i curiali romani, oggi i gesuiti.
Aggiunge un avvertimento ad personam, che fu facile profezia: “Veda che un giorno o l‟altro [la
Chiesa] non prenda un cattivo aspetto anche per lui: consideri frattanto che le macchie e nebbie che
si hanno negli occhi appaiono necessariamente negli oggetti osservati”.825
14. – Se i suoi avversari riuscissero a far condannare i suoi libri, Gioberti sa che “l‟ossequio
cattolico piú sincero e profondo può accompagnarsi a meraviglia colla ragionevole indipendenza
del filosofo e colla savia libertà del cittadino”.
– Il Frassinetti gli ricorda il dovere d‟un buon cattolico. A condanna avvenuta, gli fu ricordato
da Don Bosco con gli esempi del Rosmini e del Ventura.826 “Pertanto, o neghi il Gioberti che la
Congregazione Romana abbia legittima autorità di condannare i libri che reputa erronei, ma questo
non vorrà fare perché dice di rispettare le Congregazioni di Roma…, oppure riconosca che i libri da
essa proibiti debbono considerarsi come tali dai buoni cattolici, siano filosofi, campagnoli o di
qualunque altra specie”. In nota gli ricorda ciò che egli aveva attribuito alla Congregazione
dell‟Indice nella sua Introduzione alla Filosofia:827 “una sagacità incomparabile a penetrare
addentro nelle dottrine e scoprire nei principi le ultime conseguenze sfuggite agli occhi di tutti i
coetanei” anteponendola ad “ogni magistrato scientifico e religioso”.828 Segno che parla per
conoscenza diretta delle sue opere, anche delle puramente filosofiche, e che, dietro un linguaggio
semplice c‟è una sicura conoscenza attinta alle fonti.
Si metta a raffronto lo scritto del Frassinetti con l‟indirizzo rivolto al Gioberti da non pochi
del cero genovese, la parresia829 dell‟uno, mi si passi la voce greca, e la piaggeria degli altri.
DOCUMENTO
A VINCENZO GIOBERTI IL SEMINARIO DI GENOVA
XXI MAGGIO MDCCCXLVIII
Non vi stupite, Signor Gioberti, se innanzi all‟Uomo di nome Europeo noi ci confondiamo…. È assai che ne sia
dato contemplare il vostro volto; ché per un lato non sappiamo se prestar fede ai nostri sguardi, e per l‟altro le nostre
pupille non dovrebbero affissarsi nel Sole. Ma noi ben voluti dal venerato Canonico che vi ci presenta, da Lui
preposti all‟istruzione dei giovanetti, da Lui che non fe‟ sua pesca nel torbido, e professò mai sempre i Vostri
principi e ammirò le vostre dottrine, dovevamo ossequiarvi Padre, anche a nome della gioventú Ecclesiastica…
come v‟ossequiarono e v‟ ossequieranno tanti fig1i, che avete in Italia. Un ardente nostro pensiero era quello di
baciare la mano, che disegnò il Primato d‟Italia, e a risuscitare questa terra d‟eroi, a farla nazione cominciò dal
combattere, negl‟immortali Prolegomeni, i1 peggiore nostro nemico, e nell‟impareggiabile Gesuita moderno
trionfonne. Viva Dio! sono compiuti i nostri desideri – respiriamo. Viva Dio! vostra mercé risorgeremo per sempre.
Viva Dio! non andranno a vuoto le nostre speranze sui destini della nostra nazione. PIO vi studiò, PIO seguitovvi.
CARLO ALBERTO compie colla spada quello, che Voi auspicaste cogli scritti. L‟opera esordita da Voi, da voi
assistita, benedetta da Dio, da magnanimi Principi inoltrata, accetta e vantaggiosa ai popoli non può fallire a buon
824
Testa di ponte per poi ad attaccare il resto del clero, una volta fatti fuori i gesuiti.
Pp. 75s..
826 Cfr la nota sopra.
827 Vol. I, n. 19.
828 Pp. 81-85
829 Il parlar franco e chiaro di chi rende testimonianza alla verità, anche se in presenza di gente ostile che lo
vuole morto Gv 7,13: 18,20; At 4,29.31; 9,27-30:28.31
243
825
fine. I Ferdinandi che ieri mandavano a intorbidare le gioie onde venivate a colmarne, non isperino crollare il
grand‟edifizio, ma tremino al ruggito dei popoli traditi, ch‟è tromba di giudizio. Padre, ché non abbiamo altro nome
né piú tenero né piú sacro per appellarvi, Padre non vi sfugga dall‟animo, che la Vostra missione cresce ogni dí piú
d‟importanza. Scrivete, evangelizzate, fate. Nostra cura sarà tenervi dietro, quanto sta in noi, con praticare i vostri
insegnamenti a tutto costo. La nostra prece v‟implora, se possibil fosse, quei giorni di vita che avete preparato
all‟Italia anche coll‟ultimo trionfo, che ritornate da ottenere nella savia, ma vacillante Milano. Sí, Rettore
Reverendissimo, sí Colleghi e Fratelli dolcissimi, viva lungamente e felice e glorioso questo vero Missionario,
quest‟Apostolo dell‟Indipendenza, dell‟Unione, dell‟Amistà, della Concordia, e della Nazionalità Italiana.
VIVA GIOBERTI!!!
Canonico Luigi FORTE Rettore;– Prete Angelo FULLE Vice-Rettore
Prete G. M. MOLFINO per la Fisica ed Etica
Prete Nicolò MELA per Logica e Metafisica
Prete Felice BOTTO per Rettorica Maggiore
Prete Luigi CICCHERO per Umanità Maggiore
Prete Gio. Batta DE BARBlERI per Umanità Minore.
Prete Francesco CICCHERO per Grammatica Maggiore.
Prete Antonio LIZZA per Grammatica Minore
Prete Carlo FIGARI Prefetto;– Prete Nicolò NORERO Prefetto
In quei giorni il Frassinetti viveva nascosto sotto mentito nome, cosí il Cattaneo, non piú
rettore del seminario. Impensabile con lui una simile vergogna! Lo Sturla aveva trovato salvezza
rifugiandosi in Aden. Un testo, questo, che fotografa i tempi.
CAPITOLO XLIII
NELLA BUFERA DEL 1846-1849
La storia appresa sui libri scolastici, e rivissuta sognandoci protagonisti, un giorno sulle barricate, un altro
d‟essere uno dei Mille, un altro con salto di millenni fare prodigi di valore al seguito di Cesare, dai popoli
sconfitti fu vissuta in modo ben diversa. I sogni sono sogni. Entrati nella vita, non ne rimane traccia, salvo
non càpiti che d‟improvviso non si apra una finestra sulle realtà dei tempi eroici. Leggendo in classe la
conclusione della campagna di Cesare contro gli Elvezi mi colpí quel Summa omnium… tirate le somme:
dei 368.000 usciti dalle loro terre, di cui solo 92.000 atti a portare le armi, quindi 276.000 i disarmati, ne
rientrarono 110.000. Anche fossero caduti tutti i combattenti, perirono ben 166.000 civili, quanto dire
donne, vecchi e bambini. Una strage. Mai trovato nei testi scolastici una noticina che lo abbia messo in
risalto. Nel Ferrabino: “Le cifre (se sono esatte, se sono autentiche) vogliono dare un‟idea terribile di quel
moto d‟uomini”.830 Altro non sa dire. Questa la storia raccontata dai vincitori. Non diversa quella del
nostro Risorgimento. Invano si incontra nei testi scolastici pagine come questa del Frassinetti in memoria
dell‟amico don Luigi Sturla, e scrive con mano leggera! Pagine che ci dicono quali e quante gloriose
furono le azioni che monumentarono i nostri padri. Ascoltiamolo.
Non dirò tutto ciò che si potrebbe dire delle cose che toccano le vicende dello Sturla. Nell‟anno
1847 l‟orizzonte era spaventosamente nero… Volgendo la fine di quest‟anno, quasi ogni sera, si
facevano le cosí dette dimostrazioni, e si andavano minacciando i fatti ch‟ebbero poi luogo sul
primo scorcio del 1848. A fronte delle piú esplicite minacce, dovettero cessare tutte le cosí dette
gesuitate, e per le prime l‟Opera di S. Raffaele e di S. Dorotea non che la Congregazione del B.
830
244
ALDO FERRABINO, Nuova storia di Roma, vol. II, Padova, 1942, pp.. 532s.
Leonardo. Lo Sturla… [veniva] minacciato e disprezzato, quasi temuto come un essere pericoloso e
compromettente. Passarono cosí gli ultimi mesi del 47 e i primi due del 48. Sul principio di marzo,
discacciati i Gesuiti ed altre comunità religiose ch‟erano in voce di gesuitanti, si venne a provocare
lo sfratto anche degl‟individui ch‟erano appellati con questo nome. Uno era lo Sturla. La mattina
del 7 di questo mese gli fu intimato che ormai non si tollerava piú ch‟egli abitasse in Genova, che
la sua cacciata era decretata per ordine italiano, cui non ubbidendo, avrebbe incontrato pubblici
insulti e peggio. L‟inviolabilità del domicilio non salvava nessuno da quell‟ordine: sarebbero stati
guai per il padre che avesse tenuto in casa nascosto il figliuolo, guai per il fratello, che avesse dato
ricetto al fratello colpito da quell‟ostracismo: questo era il caso dello Sturla.
Cosí si inaugurava l‟epoca della novella libertà!
Lo Sturla, non sapendo al momento dove rivolgersi, se ne andò nella valle della Polcevera... ma
tutti lo accoglievano tremando di paura, perché sapevano bene che se per disavventura il Comitato,
cosí detto liberale, che emanava quegli ordini avesse saputo alcun di loro avergli dato ricovero o
anche un bicchiere d‟acqua… sarebbe incorso nella stessa scomunica e maledizione. Conobbe
allora che gli conveniva precipitosamente fuggire: e occultamente, come credeva. Prendendo posto
su di un piroscafo, si diresse alla volta di Roma. Chi scrive era nel medesimo caso [quanto dire che
la storia dello Sturla è la sua stessa storia], e stava nascosto in Genova presso un suo zio… I
dittatori della piazza avevano tosto dato avviso ai fratelli italiani residenti in Roma dell‟arrivo dello
Sturla. Il giorno dopo l‟arrivo vide sulle cantonate di Roma un avviso: È arrivato in Roma D. Luigi
Sturla: accoglietelo secondo i suoi meriti.
Per non compromettere una comunità religiosa che l‟ospita [le Dorotee?]
si presentò al cardinale Prefetto di Propaganda perché lo mandasse a qualche Missione dove non avesse
piú ad ingelosire i fratelli. Egli per buona sorte sapeva l‟inglese. Il Cardinale lo destinò per le Missioni
d‟oriente, ed egli tosto s‟imbarcò per Alessandria di Egitto. Credeva colà essere al sicuro dai fratelli. Ma quei
di Roma avevano avvisato quei di Alessandria, ed ecco in Alessandria rinnovarsi la scena di Roma: ecco il
suo arrivo annunziato ivi pure pubblicamente colla benevola esortazione di trattarlo secondo i meriti. Il
povero Sturla cosí bistrattato non aveva quasi piú danaro e non poteva intraprendere un altro viaggio: cercò
chi gli facesse un prestito di qualche somma assicurando ch‟era di famiglia benestante, e che nulla avrebbe
perduto… ma il Signore, quando vuole provare i suoi servi, permette accecamenti e durezze in persone anche
buone e caritatevoli… Arrivato a Suez non aveva danaro pel viaggio di mille duecento miglia che gli
restavano a fare per giungere in Aden… Fu ricevuto sul piroscafo dando quel poco che gli rimaneva, ovvero
per carità come parrebbe piú probabile… arrivato in Aden non aveva per ricompensarli se non un
francescone, circa uno scudo, che essi ricusarono di accettare compatendo la sua estrema povertà…
Un incontro provvidenziale:
Appena messo il piede a terra, dovette avvedersi che il nome di gesuita [pur non essendo egli gesuita] era
nome di maledizione anche colà, dove pel continuo passaggio dei piroscafi pervenivano i principali giornali
d‟Europa… Era colà da qualche tempo una persona, la quale avrebbe dovuto usargli riguardo e carità. Al
primo incontro gli fissò gli occhi in faccia, e lo interrogò: Tu sei un gesuita? Egli negò di essere un gesuita; e
la faccenda non ebbe altro seguito. In Aden si fermò poco, e passò sulla costa dell‟Africa tra i Gallas… ed ivi
conobbe l‟apostolo di queste terre, il Vescovo Massaia; il quale… ne prese stima e lo amò. Lo rimandò in
Aden, dove gli fu affidata la Missione, e dove essendo l‟unico sacerdote, fu eletto dal Governo inglese
cappellano del presidio composto quasi tutto d‟irlandesi cattolici. Terminarono allora le dure prove cui lo
volle sottoposto il
Signore… In breve non solo godette la stima e l‟amore degli irlandesi, ma anche dei protestanti, e degli
infedeli di ogni specie… dello stesso ministro protestante e di sua moglie, alieni dalla nostra santa fede…, ma
non avversi alla medesima.
La storia sofferta è diversa da quella del testo scolastico. La crudezza dei fatti qui solo
accennata, si può leggere nel romanzo L‟Ebreo di Verona di Antonio Bresciani, il gesuita che
abbiamo avuto occasione di nominare piú volte. È un romanzo, ma le pagine in cui descrive
245
l‟assalto alle case dei gesuiti in quel terribile marzo 1848 sono di storia. Peccato abbia voluto
propinarci i fatti a sua conoscenza, e di prima mano, sotto forma di romanzo di poco o nullo
valore letterario comparso a puntate sulla Civiltà cattolica.831
Il Frassinetti, nella vita dello Sturla, di sé dà solo un cenno. L‟accusa che gli veniva gridata
era l‟aver addobbato la porta della parrocchia con drappo nero e tocco d‟oro. Era l‟uso, ma i
fratelli italiani ci videro i colori dell‟Austria! Anch‟egli, temendo un ordine d‟arresto del
Comitato liberale, dovette fuggire e nascondersi, prima in casa d‟un suo zio per una decina di
giorni, poi, dal 18 al 29 marzo, presso il parroco Remondini, infine a San Cipriano ospite di un
altro parroco genovese, Girolamo Campanella, che vi viveva anch‟egli nascosto.832 A loro due si
aggiunse il Cattaneo. Ancora una volta da un male un bene.
Non potendo piú dirigere le anime a voce viva, né la parrocchia di persona, fu costretto a
scrivere lettere.
Diciamo qualcosa noi di quell’orizzonte spaventosamente nero
che il Frassinetti ci tace o ci accenna appena. Dal tardo 1847 le dimostrazioni succedono alle
dimostrazioni, non poche hanno per meta una chiesa con tanto di canto di Te Deum. Non può
non colpire questa commistione di sacro e di profano. Il 10 dicembre grande corteo al santuario
di O Regina, promosso dai mazziniani, e benedizione delle bandiere patriottiche e poi a Portoria.
I seminaristi – c‟è ancora la vecchia dirigenza – non partecipano.833 Dimostrazioni chiassose, ma
che potremmo ancora chiamare pacifiche rispetto a quelle che si vedranno fra un paio di mesi. Il
nove febbraio giunse notizia che erano stati resi noti gli articoli base dello Statuto – sarà
concesso il 4 marzo –. Di nuovo bandiere, cortei e Te Deum in chiesa. Bene in vista vari preti
con tanto di coccarda.
831
Da primo fascicolo. 6 aprile 1850. Insiste che sono fatti reali, RACCONTO VERO nella sostanza, finto negli
accidenti; o a dir meglio anche gli accidenti son veri, ma spesso sotto nomi e luoghi diversi, benché in tempi esatti e
precisi. Del primo numero se ne fecero otto ristampe e in men che non si dica la tiratura salí a 12.000 copie. Le
riviste liberali nate a Torino per contrapporglisi ebbero vita tisica e breve, una Il Cimento, su cui Francesco De
Sanctis ne stroncò lo stile, ma non contestò la verità dei fatti: “Io non voglio discutere con voi, né della verità dei
vostri principi, né della verità dei fatti…, considero lo scrittore…”. Ci si rammarica non ci abbia dato un racconto
storico non solo nella sostanza ma anche nella forma. Per la nostra storia ci interessa il racconto degli orrori di quei
primi giorni di marzo 1848 fatto dal contromastro della fregata San Michele ad un visitatore mostrandogli i gesuiti
giacenti nella stiva, piú morti che vivi, riusciti a salvarsi dall‟assalto degli energumeni alla Casa professa
Sant‟Ambrogio ed al palazzo Doria-Tursi dove dirigevano il Collegio Reale. Devastazione, ruberie, scempio delle
cose sacre, d‟una ricca biblioteca… A riprova che è romanzo la forma, ma è storia ciò che vi si racconta, di quei
giorni ci è pervenuto il diario di un seminarista in cui sono annotati gli stessi fatti: LUIGI PERSOGLIO, Memoria dal
novembre 1847 al giugno 1854 per servire alla storia del Seminario di Genova, che cosí annota gli stessi fatti: “Con
il 1 Marzo, dopo due e piú mesi che erano ogni notte assaliti cogli urli e co‟ sassi e grida terribili di saccheggi e di
morte minacciati, tra immenso pericolo, travestiti e per incognite vie poterono salvarsi i piú a bordo del San
Michele, alcuni in casa di pie famiglie… ai Gesuiti furono consorti nei patimenti i Fratelli delle Scuole Cristiane e i
Passionisti, quindi le Comunità femminili insegnanti delle Dame del Sacro Cuore, del Buon Pastore, delle Dorotee,
delle Medee ecc. ecc. in ultimo parecchi Canonici, Parrochi e Sacerdoti”.
832 Cosí l‟Alimonda nel suo elogio funebre: “Sopra un solitario colle in modesta casa illuminata a tutti i raggi del
sole, con guardatura bellissima, piccola villeggiatura di famiglia, nel funesto 1848, quieto ritiro di tre santi amici”,
A. e M. REMONDINI, Parrocchie dell’archidiocesi di Genova, Regione XII, Genova 1891, pp. 28s. Il Giornale degli
Studiosi del 1871 dà un lungo elenco, non completo, dei sacerdoti che dovettero nascondersi, p. 365.
833 Il Boselli al margine del Libro delle deliberazioni annota del suo vice: “Don Rivara con Don Sturla ed altri
erano membri di una setta nemica delle Religione e dello Stato” [la Beato Leonardo].
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Con l‟assalto al Collegio Tursi la sera del 29 febbraio ed alla casa professa di dei gesuiti, a
Sant‟Ambrogio, il primo del mese, ebbe inizio la grande ubriacatura. Dopo i gesuiti, ed altri
istituti di religiosi e religiose, è la volta della direzione del Seminario, personificata nel Cattaneo.
Bastò la minaccia, facendo capire al vicario Ferrari che se voleva evitare il ripetersi dei fatti,
aveva da cedere alle loro richieste. Ed il Ferrari cedette. Non paghi di aver tolto il Cattaneo, il 17
marzo sulla porta del Seminario si leggeva:
Gran Dio che con sapienza alta e profonda
Regoli il tutto dal celeste soglio
Deh! Il voto del tuo popolo seconda!
Tu togliesti in Cattaneo un grand‟imbroglio
Ma sta in Seminario un Alimonda
V‟è un Peragallo, resta ancor Persoglio:834
Deh, ancor di mezzo a noi, deh presto togli /
questo terno di cabale e d‟ imbroglio.
Congedata la vecchia direzione ed i vecchi professori, di che animo fossero i nuovi ce lo dice
l‟indirizzo presentato al Gioberti riportato nel capitolo precedente.835 Con la nuova dirigenza dei
111 seminaristi al principio dell‟anno, rettore il Cattaneo, ne rimasero 30! Fossero almeno vissuti
in pace! Continue le chiassate, ci fu un‟invasione dei seminaristi esterni al grido di viva Pio IX!,
viva Carlo Alberto! ed il Vicario, incapace d‟imporsi, lasciò che i seminaristi interni scendessero
in cortile e fraternizzassero nelle acclamazioni.
Grande lo sbandamento del clero. Ce ne furono che tenevano comizi, in prima fila nei cortei
con al petto tanto di coccarda tricolore e, nei giorni piú bui, armati tra gli armati. Se alcuni fecero
ritorno, altri si persero, uno don Giuseppe Piaggio, la cui firma mai mancava nei proclami dei
“Comitati”. Quando nell‟aprile del 1849 Genova insorse contro i Savoia, fu eletto capitano dello
squadrone dei preti, anch‟essi armati con il placet del vicario Ferrari, sia pure estorto, e fu visto
capeggiare l‟assalto alla Darsena. Don Bartolomeo Bottaro si fa poeta e compone “salmi
patriottici pieni d‟amor patrio, di sensi nobili e di odio ai gesuiti”, posti all‟Indice e l‟autore
sospeso a divinis. Don Filippo Maineri visto alla Cinque giornate di Milano arringare gli insorti,
poi a Roma cappellano della legione garibaldina, ed altro ancora. Sia detto a sua lode, nel 1855,
carcerato tra carcerati, si prodigò nell‟assistere i colpiti dal colera e tornò alla Chiesa. Partito per
l‟Australia di lui piú nulla si seppe. Don Filippo De Bono che si dichiarava anzitutto liberale.
Apostatò e tradusse la Vita di Gesú del Renan. Alla morte non una croce, non una preghiera, ma
le insegne massoniche.
834
Sacerdote della Beato Leonardo, prefetto in seminario, fratello del seminarista Luigi.
Non fu una sostituzione tranquilla per le proteste di non pochi seminaristi, specie della camerata dei mezzani,
molto decisi, fino ad impedire alla camerata di mischiarsi con la folla dei dimostranti durate il passeggio e
pretendendo il ritorno a casa. Uno della nuova direzione, sacerdote da pochi giorni, Luigi Cichero, appena ordinato
portò la bandiera sotto le finestre del consolato romano e lí a gridare: Viva Pio IX!. Anche all‟interno del seminario
schiamazzate al grido di “Viva Pio IX!”
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835
Lettere da un’isola di pace
Mentre Genova era babele, il Signore concesse al Frassinetti un‟isola di pace che ci si rivela
dalla serenità delle sue lettere. Due ai fratelli a cui era rimasta affidata la parrocchia. Nella prima,
dopo il maggio del 1848, dice che non gli occorre nulla e che tutto si risolverà in bene, perciò
non si lascino sopraffare dalla prova fino a dimenticare il quærite primun regnum Dei,836 di quel
digitus Dei che governa le cose e di quell‟Uno che combatte per noi perciò sarà vanissima tutta
l‟umana prudenza, anzi, se sarà eccessiva, avrà cattivi effetti. I fratelli avevano per timore
tralasciato il Mese di maggio ed altre pie pratiche. Aggiunge di capirli perché c‟è motivo di
temere di tutto. Abbiano però fede. In qualunque modo vadano le cose, andranno sempre per il
nostro meglio. In una parola: uniformarsi alla volontà di Dio. Fede dunque, perché essa basta a
tutto, non paura che non giova a nulla, anzi rovina tante cose. È penato per il padre, ma bisogna
che anch‟egli si faccia dei meriti. Chiude con un versetto de salmo: Oculi mei semper ad
Dominum quoniam ipse evellet de laqueo pedes meos.837 Nell‟altra lettera si rammarica che non
gli abbiano fatto sapere della malattia del padre. Ricorda che se si aggravasse, tenuto conto che
ha passato i settant‟anni, applichino e facciano applicare messe per ottenergli un felice transito,
se il Signore avesse cosí disposto. Prego per lui e prego per voi che vi trovate in tanta angustia e
con tanti pensieri.
Un biglietto per il seminarista Persoglio. Per dono di Dio è tranquillo perché
sempre vidi, e vedo sempre piú chiaro che il tutto è disposto per il mio maggior bene… che bel
tempo per pensare a sé e starsene riposatamente con Dio… Io in questo tempo mi sono innamorato
delle Opere di Santa Teresa se non le avete mai lette posatamente, vorrei che le leggeste... Oh, il
Triunvirato! Prendiamo una buona lezione sulla stabilità ed importanza di questo mondo. Che
sbalzi, che rovesci da un momento all‟altro! Quanto durerà?... io mi sono tenuto in relazione con
alcune anime che credo straordinariamente buone e faccio pregare perché Dio mandi molti santi.838
Biglietto prezioso perché ci rivela cosa egli facesse. Non era in ozio in attesa di giorni
migliori che gli permettessero di tornare in parrocchia, né si perdeva in lamentele. Invece che
scrivere libri nei ritagli di tempo, dopo aver assolto tutti gli uffici d‟un parroco e risposto a tutte
le chiamate, ora è come tornato agli anni di preparazione al sacerdozio: prega, pensa, scrive, e
ciò che scrive diventa argomento di conversazione con il Cattaneo e il Campanella. Ne vennero
fuori le prime stesure di alcuni suoi lavori piú impegnativi, uno il Compendio di teologia morale.
Chissà se avremmo avuto le sue opere maggiori senza quei tredici mesi di “vacanza” fuori
programma nella quiete di San Cipriano. Le lettere con cui si tenne in contatto con le anime da
lui dirette ci fanno da spia dei suoi studi. Due alla contessa Galli. Nella prima la ringrazia di
avere accettato di curare la biancheria della chiesa pur avendo uguale incarico in un‟altra:
Io non avrei creduto che questo tempo che si dice di tribolazone dovesse essere, come sin‟ora
fu, il piú felice della mia vita... il Signore non permette i mali se non per ricavarne maggiori beni...
questo è tempo nel quale piú del solito si devono fare dei santi, dei santi occulti, che risplenderanno
nel segreto del suo divin volto, ed anche santi palesi che ravvivino la fede nei popoli.
L‟altra alla stessa fu scritta per il Natale:
836
Mt 6,33: Cercate per prima cosa il regno di Dio.
Sal 14,15. Ho gli occhi sempre fissi al Signore perché è Lui che libera i miei piedi dal laccio.
838 Alla morte di Luigi Persoglio, l‟autore del Diario, il biglietto fu trovato tra le sue carte. Accennando al
Triunvirato, deve essere stato scritto non prima del febbraio del 1849. Dopo alcuni anni di sacerdozio il Persoglio si
fece gesuita.
248
837
Agli eletti di Dio ogni cosa ridonda in benedizione. La ringrazio di quanto fa anche fuori di
regola – mi permetta che mi esprima cosí – per la chiesa... andando cosí a lungo questa strana
villeggiatura, il Signore non ha voluto che me la dovessi godere solo e romito, ma con il migliore
compagno che potessi desiderare.
Ad una parrocchiana non identificata nessun accenno alla sua situazione. Le cita il capitolo
101 della vita S. Maria Maddalena de‟ Pazzi e le raccomanda di pregare suggerendole come. A
suor Carlotta Gibelli ne scrive sette tutte molto lunghe, tutte di direzione spirituale. Non si
direbbero scritte in quei tristi giorni. È un padre che conforta la figlia provata da afflizioni di
spirito:
Mi rallegro molto del nuovo ufficio di infermiera... il piú bell‟ufficio della comunità, però state
all‟erta a riconoscere sempre nell‟inferma N. S. Gesú. Vi raccomando: ciò che potete fare di basso
e disgustoso da per voi, non lo facciate fare dalle altre, anche aveste converse ai vostri comandi...
Se aveste una scintilla del fuoco immenso che arde nel Cuore di Gesú, lo farà ardere in fiamme.
In una seconda lettera:
Siete afflitta? Dio sia benedetto! Siete molto afflitta? Dio sia molto benedetto!.. Se volete stare
con Gesú accomodatevi sulla croce con Lui, ma allegramente, allegramente, allegramente… Perché
vi dà inquietudine l‟ufficio di maestra delle educande? Voi dovete considerare che la Maestra sia
Maria Santissima e voi di essere la sua serva.
Di sé? Che sta benissimo di corpo e che in quel ritiro non ha a fare altro che coltivare il suo
spirito. In una terza lettera:
Vedo che il Signore vi dà vivo desiderio di farvi santa... poche sono le anime che Dio faccia
sante di slancio... generalmente i santi si fanno a poco a poco passando per molte miserie e timori,
angustie, anche spaventi e tentazioni... la grazia della santità è grazia cosí grande che non può
costare troppo cara, si dovessero pure soffrite tutti i tormenti... tutto sarebbe niente.
Le propone di fare un‟unione di spirito tra anime le quali non vogliono avere in questo mondo altro
desiderio… se non la perfetta santità per se stessi e per le altre anime. Dà consigli rifacendosi a Santa
Teresa. Nella lettera successiva le consiglia i capitoli XXII-XXX del Cammino della perfezione della
Santa. Nella quinta le comunica la realizzazione dell‟unione di anime di cui le aveva parlato:
Oltre noi tre [lui, lei e la sua superiora], un sacerdote molto distinto che in questa occasione ha
dovuro anch‟esso allontamarsi da Genova. Il Signore già da molto tempo lo tribola nella salute ed è
molto desideroso di farsi santo...839 l‟altra è una povera domestica.
Due lettere, sempre alla Gibelli, sono datate. Una 5 dicembre:
Vedo chiaro che finora camminate bene per divina misericordia e spero che camminerete sempre meglio.
Non si è mai dato al mondo che un‟anima la quale non vuole desiderare altro che farsi santa non vi sia
riuscita.
Le cita la Seconda mansione del Castello interiore ed il capitolo 23 del Cammino della
perfezione di S. Teresa, nonché La fiamma d‟amor viva di san Giovanni della Croce. Se vuole le
opere della Santa si rivolga a nome suo ai suoi fratelli “ma vi avviso che la stampa è molto
839 Il Cattaneo, cfr. l‟ultima delle sette lettere. Stando al Remondini, informatissimo, era uno dei tre sacerdoti
rifugiatisi a San Cipriano. Qui sembrerebbe di no. Ma potrebbe trattarsi di qualche assenza temporanea. Cfr. pure
Cenni sulla Vita [del Frassinetti] in Telog. Morale, IV ed.
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cattiva”. L‟altra lettera è del 14 gennaio 1849. Cita ancora Santa Teresa e San Giovanni della
Croce secondo il quale, se si vuole un‟unione intima con Dio, bisogna osservare con esattezza i
comandamenti e portare la croce, e la rimanda ai capitoli V e VII della Salita al Carmelo. Dopo
averla esortata ad amare la croce, aggiunge:
siate certa che anche in questa vita a tempo e luogo Dio vi consolerà… Dio è buono con l‟anima
che lo cerca, dice il Profeta, ma non deve cercare altro che Lui, ed ha ragione a pretenderlo…
perché sarebbe bello che ad una creatura cosí piccola davanti a Dio non bastasse un bene infinito.
Coraggio dunque...
Insiste ancora sull‟umiltà. Su come pregare le addita la Madonna alle Nozze di Cana che
espose semplicemente il bisogno: Non hanno vino… A sua imitazione esponete i vostri bisogni al
Signore ed Egli provvederà. Un cenno alla sua situazione. “Circa il mio ritorno finora ci vedo
scuro. Preghiamo che si fatta la volontà di Dio”.
Si parlerà a parte dei suoi lavori piú impegnativi di questi mesi d‟esilio.
Dopo Novara, la Domenica delle Palme, primo di aprile del 1849, Genova insorse contro i
Savoia tentando di ristabilire la repubblica. Si videro preti andare all‟assalto fucile in mano, uno
Cristoforo Bonavino, non ancora mutato in Ausonio Franchi,840 ma dovettero arrendersi ai
bersaglieri di La Marmora e il giorno di Pasqua si trattò la resa. Un decreto reale concesse
l‟amnistia ai rivoltosi che non si erano troppo compromessi. Tornata la quiete, il Frassinetti poté
rientrare in Santa Sabina dopo tredici mesi di assenza.
CAPITOLO XLIV
ANCORA TRIBOLI E SPINE
Accusato dal vescovo di usurpare prerogative proprie del vescovo!
Nel 1856 il Frassinetti aveva stampato un opuscolo in cui riferiva tre apparizioni della
Vergine a delle contadinelle della Val Polcevera.841 Il revisore ecclesiastico, il can. Salvatore
Magnasco, non vi aveva trovato nulla che ne vietasse la pubblicazione. Lo stampatore, invece
che mettere: Con licenza dell‟autorità ecclesiastica, pose: Con approvazione. Il vescovo, il
savoiardo Andrea Charvaz, non perdonò la svista del tipografo che aveva mutato la formula con
l‟altra adoperata dal Frassinetti negli altri lavori. Il Frassinetti, questa l‟accusa, aveva usurpato
una prerogativa di competenza del vescovo. Non valse fargli osservare che si era limitato a
narrare astenendosi da ogni giudizio, cosa che nessun canone proibiva. Gli fu inflitto un corso di
esercizi e, invece che essere mantenuto segreto come promesso, ne fu data tanta risonanza da
farne parlare anche la stampa francese. Avocò inoltre a sé la revisione di quanto avesse ancora
pubblicato in seguito. Per il Frassinetti furono giorni di passione, per noi provvidenziali perché
fu occasione di alcune lettere che ci permettono una conoscenza del Frassinetti che altrimenti ci
sarebbe rimasta ignorata: una al proprio vescovo, una alla sorella che gli aveva scritto allarmata
da quel che si udiva a Roma ed una a Mons. Raffaele Biale, vescovo di Albenga, che gli aveva
scritto per lo steso motivo. C‟è inoltre una ferma e dignitosa lettera di protesta del Magnasco al
840
841
250
C‟era chi l‟aveva udito dire:”Se i soldati regi entreranno, daremo loro la caccia”.
G. FRASSINETTI, Relazione di tre apparizioni di Maria SS. in Val Polcevera nel 1856.
vescovo. Ripercorriamone la storia come da lui raccontata al vescovo di Albenga. Si parlava di
apparizioni della Madonna. Il Frassinetti si informa e
avendone ascoltato io stesso dalle medesime il racconto, prese le debite informazioni sulle loro
persone, e parendomi, come pure giudicavano soggetti pii e dotti, che quelle apparizioni avessero
qualche grado di buona probabilità, ho pensato che pubblicandole con riflessioni, potessero tornare
edificanti.
Fece leggere lo scritto a piú ecclesiastici per averne un parere e lo presentò al revisore ecclesiastico, il
can. Magnasco. Nulla da eccepire. Venuto alla luce, il Magnasco fu ripreso per aver contravvenuto alle
disposizioni del Concilio di Trento che riserva al vescovo l‟approvazione delle apparizioni. A nulla serví
far notare che le apparizioni non si approvavano, ma si raccontava quel che si diceva. Il Magnasco fu
cancellato dal catalogo dei revisori esposto nella curia lasciandone visibile la cancellatura per piú giorni e
si pubblicò sui giornali che l‟approvazione non aveva la debita autorizzazione del vescovo, senza
prescrivere il ritiro dell‟opuscolo. Il Magnasco non si difese sui giornali, ma scrisse al vicario generale
dimostrando di aver operato conforme a quanto prescritto dal diritto canonico e mettendo in risalto il torto
che gli era stato fatto. Come non scritto. Dopo il Magnasco venne chiamato a rendiconto anche il
Frassinetti.
Comparendo l‟Arcivescovo, ero da solo a solo con lui. Mi parve vederlo alquanto risentito e
cominciò dal dirmi se io, che sono tanto ossequiente con Roma, non credo di dover rispettare le
costituzioni del Concilio di Trento tra le quali è quella che non si possono pubblicare nuovi
miracoli senza che prima siano stati approvati dal Vescovo. Non avendo presente le parole del
Concilio e non parendomi tempo opportuno per fare discussioni (nulla avevo saputo del colloquio
tenuto dall‟Arcivescovo col Revisore – il Magnasco –), ho risposto che io ignoravo esistere alcun
decreto del Concilio di Trento il quale condannasse il mio operato e che lo avrebbe ignorato anche
il Revisore. Ripigliò che non era tollerabile questa ignoranza del Concilio di Trento e come io
ardissi stampare essendo in questa ignoranza.
Fa osservare che l‟anno innanzi altri in diocesi avevano fatto qualcosa di simile e non c‟era stato nessun
richiamo. Gli riconobbe che aveva una mezza ragione.
Ma instava ch‟io sapevo essere stato imposto silenzio alla ragazza... Rispondevo che la ragazza
stessa mi aveva detto esserle stato imposto il silenzio e ad un tempo ordinato che non manifestasse
la persona che a lei lo imponeva... per il che io non potevo sapere che quest‟ordine venisse dal
Superiore; che ad ogni modo io credevo che le era stato imposto il silenzio a cagione di liberarla da
una interminabile vessazione a cui da un mese andava soggetta dovendo raccontare le cento volte al
giorno le avute apparizioni. Certo io non potevo supporre che alcuno le avesse imposto il silenzio a
fine che non si pubblicassero le apparizioni dopo che già da un mese correvano per le bocche di
tutti e ormai ne era sparsa la fama per ogni dove, come mi risulta, anche fuori del nostro Stato.
Avrebbe potuto far notare che ne avevano già parlato dagli altari, ma “la qual cosa, tanto a me favorevole,
io ho creduto dover tacere per non cagionare disturbi a chi aveva operato con buona intenzione”. Da quel
che viene dopo è chiaro che il vescovo aveva colto quel pretesto per dirgliene quattro che da tempo
rimuginava:
Ripigliò poi che vi sono altri Parrochi i quali potrebbero stampare al pari di me, che tuttavia se
ne astengono e perché io voglia stampare. Cui nulla risposi. Pareva l‟Arcivescovo tanto persuaso
ch‟io mi fossi arrogato giurisdizione vescovile pubblicando quelle apparizioni, che mi disse non
sottomettermi ad un processo soltanto per la ragione che io avevo fatto ricorso alla Revisione
Ecclesiastica. Passò quindi a dirmi che io con le mie stampe già avevo messo la divisione nel clero
ai tempi del suo antecessore e se adesso avevo intenzione di ricominciare. Che da ora innanzi, se
avessi voluto stampare qualche cosa, egli stesso sarebbe stato il mio revisore; che si era avveduto
ch‟io avevo pubblicato queste apparizioni per avere occasione di fare una specie di Pastorale, lo
che spettava a lui, e giudicando ch‟io fossi animato da uno zelo imprudente mi diceva che lo zelo
251
non è affare di testa. Io vidi allora che era nella supposizione che fossero vere le maligne dicerie
già sparse contro di me, sono diciannove anni, per quell‟opuscolo dove ho toccato i giansenisti, o, a
meglio dire, ho supposto che ve ne siano senza però accennare ad alcuno.
Lo Charvaz si mostra magnanimo:
Non sarò severo, farete tre giorni di esercizi a N. S. del Monte, aggiungendo che con questo
castigo non intendeva umiliarmi, ma darmi luogo a riflettere bene sulle mie intenzioni. Io
rispondevo che non mi pareva dover fare alcun esame sulle mie intenzioni, che del resto, se mi
permetteva, ne avrei fatto otto giorni a S. Barnaba secondo il mio consueto di ogni anno. Il che mi
accordava... Gli domandavo se dovessi farli subito. Tra una ventina di giorni. Con queste parole mi
accomiatava.
Tornato a casa consulta i testi e vede che proibire “la pubblicazione storica dei miracoli prima che siano
approvati dai Vescovi” era cosa nuova nel diritto canonico. Su di essi scrive una sua difesa, la fa
esaminare a padre Cottolengo, fratello del santo, che si incarica di presentarla al vicario del vescovo.
Niente da fare. È respinta al mittente senza, a credergli, neppure presentarla al vescovo,
essendo persuasissimo che se l‟Arcivescovo aveva pronunciato qualche cosa, l‟avrà pensata
prima di dirla, che inoltre con assai bel modo gli aveva fatto intendere come in alcune cose non sia
da stare sulla lettera loro ma da cercarsi lo spirito che hanno, e però, nel caso presente delle
apparizioni qualunque sacerdote, prima di scriverle e pubblicarle, avrebbe dovuto per ispirito di
buona intelligenza e giusta dipendenza parlarne coll‟Ordinario.
Il Frassinetti, che di diritto se ne intendeva, prende qui la matita blu:
Dal che mi pare potere argomentare che il superiore avesse riconosciuto non essere nel mio
opuscolo contravvenzione alla lettera del Concilio, ma volere ancora supporre che vi fosse
contravvenzione allo spirito del medesimo... Mi pareva tuttavia evidente che, non avendo parlato il
Concilio di narrazioni storiche degli avvenimenti miracolosi, pubblicandoli, non si potesse peccare
né contro la lettera, né contro lo spirito di quel decreto. Inoltre mi pareva che il Superiore non
avrebbe mai autorità d‟infliggere un castigo a chi peccasse contro lo spirito di una legge senza
peccare contro la lettera, essendo principio troppo generalmente ammesso che finis legis non cadit
sub lege. Similmente non mi pareva fondata l‟altra accusa di buona intelligenza e di giusta
dipendenza dopo che avevo presentato il mio scritto al Revisore Ecclesiastico che era il legittimo
rappresentante del Superiore.
Rispedisce la sua difesa direttamente al vescovo accompagnata da una lettera:
Mi credevo bastantemente giustificato per le ragioni ivi esposte, che inoltre io non potevo essere
reputato reo di nulla dopo aver presentato lo scritto al Revisore che lo rappresentava, e dopo aver
adoperato tutte le cautele che erano del caso, frattanto gli facevo noto che (certo non per mia colpa)
si era fatta pubblica anche fuor di città e diocesi la pena impostami degli esercizi che pareva
dovesse restare segreta. Ciò non ostante conchiudevo ch‟io volevo ubbidire ad ogni costo, di modo
che, se non avesse revocato l‟ordine, io dentro il termine stabilito avrei fatto gli esercizi. Non ebbi
risposta.
Ha l‟occasione di parlare con il vicario e gli pare sia ascoltato con cordialità:
Speravo dovesse produrre qualche effetto, ma nulla ne seguí. Noto che tanto l‟Arcivescovo
come Monsignor Vicario mi hanno detto non aver mai avuto motivo di querela sul mio conto da
che essi sono al regime di questa Diocesi.
Sono tanti a dirgli di non fare quegli esercizi andandone di mezzo il suo onore:
ma io, considerando che l‟argomento della mia supposta colpa era pubblico, potendo ciascuno
leggere il mio libretto, che tutto il clero regolare e secolare già ne aveva giudicato in mio favore, di
252
modo che non ho potuto sapere che un solo ecclesiastico abbia voluto suppormi reo,...
considerando che presso i piú l‟ ubbidienza sarebbe stata piú lodevole che un appello nel caso che
il superiore avesse rinnovato l‟ordine, io mi sono portato a fare gli esercizi, spirando venti giorni.
Devo confessare che ho sentito un po‟ di ripugnanza nel subire castigo essendo innocente, per cosa
lecita senza dubbio, e nella mia intenzione e nel giudizio di molti, anche buona; ma l‟ho vinta
pensando che male sarebbe stato doverlo subire per qualche colpa... Questa è la storia della mia
ultima avventura.842
Ancora una spina, il pericolo che venissero snaturate
le Regole delle Nuove Orsoline
Si è parlato delle Figlie di Maria Immacolata e della grande diffusione che esse presero in molte diocesi.
Nel 1863 il Frassinetti ricompose la Regola portando gli articoli da 78 a 207 (in realtà 205 perché
vediamo saltati i numeri 156 e 195), affiancando al nome di “Figlie di Maria Immacolata” quello di
“Nove Orsoline” dichiarandone la ragione, Regola che ebbe l‟approvazione del vescovo di Novara, Mons.
Filippo Gentile, un genovese che aveva fatto parte della Congregazione del Beato Leonardo, senza però
abrogare la prima stesura , ristampata lo stesso anno come appendice alla Monaca in casa, di cui s‟è
detto, con questa nota.
[La] Regola [delle Figlie di Maria Immacolata] fu ampliata e stampata in Genova col titolo
Regola delle Nuove Orsoline figlie di Santa Maria Immacolata843 e, con una piccola variazione nel
titolo, fu ristampata poco dopo in Roma (sempre nel 1863)844… Non si è omessa quivi [nella
Monaca in casa] la piccola, per dare l‟operetta colle sue appendici e perché la piccola è
sufficientissima per iniziare la Pia Unione dovunque si voglia845.
Nel 1866 ne fu fatta una nuova edizione a Genova di pp. 86. Don Giuseppe Capurro la dice: “È la stessa
già segnata sopra al n. 35 e 66, 846 ma di molto ampliata e sul modello della vera regola di s. Angela
ecc.”847. Deve trattarsi quindi di quella di cui il Frassinetti parla nel Modello della povera fanciulla
Rosina Pedemonte, Genova, 1866, di cui non ci è pervenuta copia. Non può quindi riferirsi all‟edizione
del 1863, stampata in Genova col titolo Regola delle Nuove Orsoline figlie di Santa Maria Immacolata”,
essendo questa piú ampia. L‟edizione “approvata da Sua eccellenza il nostro Arcivescovo [Charvaz] con
decreto del 24 ottobre 1965” è piú ampia di quella del 1856, ma meno di quella del 1863. Nel 1867, con
lo Charvaz ancora al governo della diocesi, il Frassinetti fece una ristampa non di quella del 1866 con
tanto di approvazione dello Charvaz, come ci si sarebbe aspettato, bensí di quella del 1863 immutata,
anch‟essa stampata a Genova, con la semplice dicitura Con licenza dell‟Autorità ecclesiastica, cosa ben
diversa di una approvazione vescovile.
842
Lettera scritta il 3 Dicembre 1856.
Ce ne è pervenuta una copia.
844 Ce ne è pervenuta una copia: Regola della Pia Unione delle Figlie di Maria, Roma, tipi della
Civiltà cattolica, 1863, pp. 128, in tutto uguale alla genovese, salvo la correzione di qualche
errore di composizione e l‟aggiunta di tre righe quali si riscontrano scritte a mano dal Frassinetti
nella copia genovese.
845 P. 194.
846 Catalogo Bibliografico.
847 Pongo in corsivo l‟aggiunta a mano. Questo fa pensare che il Capurro ebbe modo di
esaminarla. Se il numero delle pagine è 86, è maggiore dell‟edizione del 1856, ma non di quelle
del 1863 e 1867. Al Capurro si deve la prima bibliografia del Frassinetti in appendice, ma con
numerazione autonoma, in Giuseppe Frassinetti e l‟opera sua, Genova 1908, pp. 24+31. Mi
servo di una copia con numerose note integrative di sua mano. Vi si riportano 86 titoli pubblicati
vivente il Frassinetti, 12 postumi, nonché 38 non ancora pubblicati e che saranno pubblicati
postumi solo in parte. Fu ristampata dal Renzi sostituendo il suo nome a quello del Capurro, ma
di suo c‟è soltanto l‟aggiunta di alcune ristampe ed il rifacimento delle locandine.
843
253
Ci è poi pervenuta una copia di una edizione del 1876, morti il Frassinetti e lo Charvaz, stampata
anch‟essa in Genova: Regola della Pia Unione delle Figlie di S. Maria Immacolata, sotto la protezione di
S. Orsola e di S. Angela Merici con l‟approvazione di S. Ecc: R.ma Mons. Arcivescovo di
Genova,Genova, pp. 79. A pag. 10 si legge:
SALVATORE MAGNASCO, per grazia di Dio e della Santa Sede, Arcivescovo di Genova, ecc. ecc, Mentre
accordiamo licenza che si ristampi, con l‟aggiunta di qualche opportuna nota, la Regola della Pia Unione
delle Figlie di S. Maria Immacolata, già approvata dal nostro venerato Antecessore, la lodiamo e
confermiamo colla nostra approvazione, facendo voti che questa Pia Unione si estenda sempre piú nella
nostra archidiocesi. Genova, li 15 luglio 1876. .
Vengono da porsi alcune domande:
1. Come è pensabile che, nella stessa città, governando ancora la diocesi lo Charvaz, che ne aveva dato
l‟approvazione, nel modo in cui racconta la Gattorno per riuscire ad ottenerla,848 il Frassinetti, ad appena
un anno di distanza, abbia ristampato immutata l‟edizione del 1863 sotto gli occhi del vescovo senza tener
conto della sua revisione? Né è pensabile che il Frassinetti avesse dimenticato la tristissima storia di dieci
anni prima.849
2. La dichiarazione del Magnasco afferma che la Regola del 1876 è la stessa di quella approvata dallo
Charvaz nel 1865, salvo l‟aggiunta di qualche opportuna nota, tipograficamente non distinta dal testo che
si pensa uguale a quello del 1865. Quale era quindi il testo approvato dallo Charvaz?
3. Purtroppo non mi è stato possibile vedere quali furono le parti cancellate dalla Gattorno ponendo i due
testi in sinossi, cosa che ho fatto, essendoci state anche le mani di don Firpo e dello stesso Charvaz,
tutt‟altro che leggère, diventando le omissioni tali e tante che, piú che ritocchi, si ha un vero scempio!
4. Se ogni vescovo avesse avuto la pretesa dello Charvaz di rimanipolare la Regola a suo talento, che ne
sarebbe restato della nuova istituzione? E non solo i vescovi! Don Bosco nel 1874 alle Figlie di Maria
Immacolata di Mornese, mutate in Figlie di Maria Ausiliatrice, darà regole del tutto nuove. La
Mazzarello e altre di quelle giovani accettarono non senza brontolii e qualche resistenza, la Maccagno ed
altre scelsero di restare fedeli allo spirito del Frassinetti.
5. C‟è quanto basta per comprendere la grande preoccupazione del Frassinetti, come si ricava dalle sue
lettere, ed il darsi da fare per poter avere un qualche riconoscimento da Roma, con firma del Papa, fino a
programmare un viaggio a Roma, accompagnandosi a don Bosco nel gennaio 1867. Per Don Bosco
andava bene, ma gli fece notare che sarebbe stato meglio a giugno, perché, celebrandosi il centenario del
Martirio di Pietro, avrebbe potuto incontrare un buon numero di vescovi. A giugno ci fu il colera. Di lí a
sei mesi il Frassinetti era morto.
6. Una rilettura delle lettere di quel periodo, in gran parte in cerca di commendatizie a vari vescovi, e le
loro adesioni, ci dice quanto fosse preoccupato di vedere la sua opera snaturata dai liberi ritocchi che ogni
presule si sarebbe permesso di fare per non averne capito lo spirito.
7. Si aggiunga che il Frassinetti era molto geloso dei suoi scritti, come del resto ogni scrittore,
pretendendo che fossero stampati come erano usciti dalla sua penna, mentre teneva in gran conto le
modifiche proposte ai manoscritti dai suoi amici a cui usava darli a leggere. Se ne è avuto modo di
parlarne a proposito della sua prima collaborazione alle Letture cattoliche di Don Bosco, che, vistasela
modificata, non riconobbe per sua.
8. È pensabile che uno, cosí minuzioso nel rileggere le sue cose, che fa tale pubblica protesta, con tutto il
rispetto e la stima che aveva per Don Bosco, possa aver riconosciuto per suo lo scempio di quella
edizione? Al piú, essendoci di mezzo il suo vescovo, poté tacere, salvo a ripubblicare l‟anno appresso l‟
edizione genuina senza fare alcuna dichiarazione. A conferma di cosa pensasse di chi entrava con tanta
disinvoltura nelle opere altrui, nella Vita ed Istituto di S. Angela Merici, Genova 1867, dopo aver narrato
in che modo, lei morta, fu travisato il suo istituto, a pag. 55 si trova una riflessione già riportata che qui
848
849
254
A. M. FIOCCHI, Rosa Gattorno, Roma, 1996, pp. 107-120.
Vedi la “Ancora una spina…” in questo stesso capitolo.
richiamiamo:
… non è da approvare che talora gli uomini mettano cosí facilmente le mani nelle opere altrui, dopo che i
loro autori sono morti, e quando perciò non possono piú dare ragione del loro operato…
Era sotto l‟impressione dei ritocchi operati dallo Charvaz?850 Una spina che lo fece a lungo tribolare.
CAPITOLO XLV
IL MORALISTA
Il canonico Antonio Campanella il giornalista battagliero fratello di don Girolamo che ospitò il Frassinetti
nella loro casa di campagna nei tredici mesi di vita nascosta, cosí presenta la quarta edizione del
Compendio di teologia morale.
Benché i pregi di un libro si debbono desumere piú che da altro dall‟intrinseca sua bontà; contuttociò
conferisce molto a farlo apprezzare conoscere quale fosse la vita di chi lo scrisse. E questo, se per ogni
generazione di libri può esser utile, lo deve essere maggiormente per un trattato di Teologia Morale: perché è
ben diverso si discorra delle cose di coscienza e del modo di regolare questo principio interiore degli atti
umani, avendo a guida o solo lo studio o la sola pratica; ovvero con la scorta di entrambi, studio e pratica, e
nel tempo stesso sia uomo di preghiera, di ritiro, ardente di zelo e dedito all‟esercizio di quelle virtú che
tende ad illustrare e promuovere con la sua penna. Abbiano dunque i lettori di questo Compendio qualche
cenno sopra la vita dell‟autore. Veduto chi fu e come visse, daranno agevolmente alle sue discussioni tutto il
valore che si meritano.
Dice del Frassinetti, morto da un anno, e della sua opera, e poi continua:
Del Compendio della Teologia Morale di S. Alfonso M. De‟ Liguori è da dire un po‟ particolarmente. Lavorò
in esso di buona lena nel tempo che esulava dalla sua parrocchia, cioè da diciotto anni innanzi al pubblicarlo,
e doveva essere tutto latino, e senza che ci avesse ad entrar nulla di suo. Piú tardi credé meglio di darlo, qual
è, in volgare, eccetto alcuni articoli piú delicati, e con sue note e dissertazioni. Sebbene professasse il
massimo rispetto, come per le altre opere di S. Alfonso, cosí per le opere morali; nientedimeno, gli parve
qualche volta di aver ragioni valevoli da poter dissentire da lui. Avvenimenti nuovi, leggi nuove, maniere
nuove d‟investire il danaro in commercio lo chiamavano a risolvere nuove questioni. Se all‟opera di
sant‟Alfonso il profondo sapere del Santo e l‟ esperienza di sessant‟anni di confessioni avevano dato molta
autorità, al Frassinetti ne dava similmente non poca lo studio e l‟esperienza di circa quarant‟anni di
confessionale sicché buon numero di sacerdoti si lodarono assaissimo degli aiuti che trovavano nel
Compendio del Frassinetti all‟esercizio del difficile ministero; e una prova evidente della stima che riscosse
l‟abbiamo nelle tre edizioni esaurite in poco piú di un triennio. 851 … Il Frassinetti era occupato in riandare
questo Compendio per prepararlo alla quarta ristampa, e quasi tutto lo aveva percorso, con farvi delle piccole
aggiunte e variazioni, quando ammalò.
Uscito il primo volume nel 1865,852 cosí lo recensiva la Civiltà cattolica:
850
Per ragione di spazio ometto le Regole ritoccate dallo Charvaz, edite dal Magnasco con altri
ritocchi, poste in sinossi con quelle del 1863 ristampate immutate nel 1867.
851
Quattro con l‟edizione napoletana uscita nel 1866 non di sua iniziativa.
Il primo volume uscí nel tardo autunno del 1865, nella primavera del „66 il secondo e, a poca distanza, la
seconda edizione di entrambi. Nell‟estate del 1867 uscí la terza. Alla fine dell‟anno era pronta la quarta, ma il
Frassinetti morí il 2 gennaio senza averla ancora passata al tipografo. Uscirà nel 1869 curata dal gesuita Antonio
Ballerini.
255
852
In questo Compendio della Teologia Morale di S. Alfonso M. de‟ Liguori scorgiamo le idee e le dottrine del
santo e dotto Vescovo fedelmente ritratte e con buon ordine disposte: quindi per la sostanza del libro non
abbiamo altro che lode da tributare al chiarissimo autore. Il vederlo però scritto in volgare ci spiace. Il clero
italiano non è, grazie a Dio, sceso sí basso nella istruzione, che non possa intendere il latino facilissimo delle
istituzioni morali; e se fosse pericolo che possa discendervi, invece di facilitargli il modo di apprendere le
scienze a lui indispensabili col porgergliele in favella italiana, bisognerebbe anzi obbligarlo con libri scritti in
buono stile latino a studiare questa lingua. La favella latina è la favella della Chiesa, e bisogna farla
apprendere se si vuole un clero colto ed intelligente. Il chiaro Frassinetti, che ebbe sempre da noi elogi
sincerissimi, per tanti bei libri da lui stampati, ci perdoni questa umile protestazione. Essa è figlia di un
convincimento generato dalla sperienza e dalla convinzione. 853
Giudizio d‟un professore in cattedra, diverso da quello d‟un parroco che conosce l‟ultimo prete della
diocesi; diverso anche da quello d‟un pastore d‟anime quale fu il Gianelli. Il 25 aprile 1866 il Frassinetti
manda alla Civiltà cattolica il secondo volume, ringrazia della recensione del primo e spiega il perché
dell‟uso dell‟italiano:
Soddisfo al mio debito di ringraziare cordialmente le loro Paternità per l‟ annunzio che si sono compiaciute
di fare della pubblicazione del primo volume. Il loro tanto autorevole giudizio che il mio lavoro nella sua
sostanza sia buono cooperò certamente, e forse fu causa potissima che avesse tanto uno smercio
straordinario, di modo che l‟edizione è quasi esaurita. A riguardo dell‟italiano che Loro spiacque, apprezzo
sommamente le forti ragioni che Le indussero a disapprovarlo, e spero poterlo cangiare in latino dando al
lavoro forma un po‟ piú scolastica…854
Di lí ad un paio di settimane, nel numero 389 della Civiltà cattolica, 18 maggio 1866, si annuncia l‟uscita
del secondo volume e la ristampa del primo:
[Di] questo secondo volume ci basterà dire che esso ha i pregi che notammo nell‟annunzio del primo.
Sappiamo che il giudizio portato di quest‟opera dal pubblico è stato ancor piú favorevole del nostro, giacché
l‟edizione è stata esaurita prima quasi che il secondo volume si ponesse in vendita.855.
L‟ultimo numero del 1866, il 403, annuncia la seconda edizione dei due volumi:
Ciò che il dotto e chiaro signor Frassinetti dice nell‟avvertenza al benigno lettore intorno a questa seconda
edizione del suo Compendio di Morale, che cioè esso sia al tutto da lui riveduto, corretto e notabilmente
aumentato, può in tutta certezza avverarsi da chi ha la pazienza di farne il confronto. Se dunque la prima
edizione fu tanto pregiata dal clero italiano, molto piú sarà questa seconda, che tanto sopra l‟altra è
migliorata.
Elogi a denti stretti. Non potendone non apprezzare il contenuto, se ne critica la lingua con cui
è scritto. Avutane la spiegazione, il recensore pare si ricreda e gliene dia atto. Negli altri due
annunci si hanno solo parole di elogio, ma parole contate. Il vero motivo di tanto gelo dovette
essere l‟Appendice sul votare o non votare alle elezioni politiche posta alla fine del primo
volume, riprodotta identica nella seconda edizione.856 e, di lí ad un sei sette mesi, riscritta piú
chiara nella terza edizione che dalla Civiltà fu ignorata. Ci torneremo nel prossimo capitolo.
853
Civiltà cattolica n. 378 del 30 novembre 1865, p. 728.
Archivio della Civiltà cattolica.
855 Civiltà cattolica, VI, VI (1866), p. 596.
856 L’Appendice “Caso di coscienza” era stata stroncata nel numero 368 della Civiltà, pp. 652-666, lo stesso che
portava la prima recensione del Compendio, non in quanto apparsa nel Compendio, ma sul n. 180 dello “Stendardo
cattolico”, senza nominare il giornale, il Compendio o alcuno dei 18 firmatari, uno il Frassinetti, insieme ai futuri
vescovi di Genova, il Magnasco e il beato Reggio, non che il futuro cardinale Alimonda, dicendo il motivo della
riserva: “Agli onorevoli scrittori, i quali hanno asserita l‟obbligazione di contribuire col suffragio alla buona
elezione dei Deputati chiediamo la permissione di ventilare le principali ragioni che essi hanno prodotto…
desideriamo che essi tengano come sincere le protestazioni della stima in che abbiamo le loro persone. Di che è
argomento l‟astenerci, che facciamo, dal riferire i loro nomi e dal citare gli opuscoli ed i giornali ne‟ quali si
256
854
La prima stesura di quel Compendio – si noti l‟umiltà del titolo – il Frassinetti l‟aveva fatta in
buono stile latino, ma, da bravo genovese, sapeva per esperienza che non tutti i preti sono come
si suppone che debbano essere e che tanti di sua conoscenza a leggere latino sudavano, ed egli
non era stato inviato a tener alto il culto del latino, ma a facilitare all‟ultimo prete la missione di
salvezza delle anime. Il recensore ritiene che il rispetto dovuto al latino sia cosa piú sacra che
l‟andare incontro a preti che ne masticassero poco, fosse o non fosse loro colpa. Il Frassinetti
antepone, in linea con il vangelo, il bene dell‟uomo, come in concreto egli lo conosce,
all‟idolatria d‟un sabato, in questo caso il bel latino.857 Il libro fu un best-seller, in due anni e
mezzo quattro edizioni, includendo la napoletana, la seconda a pochi mesi dalla prima. Il clero
non si era ritenuto offeso di vedersi trattato… da ignorante.
Cosa intendeva il Frassinetti scrivendo: “A riguardo dell‟italiano… spero poterlo cangiare in
latino dando al lavoro forma un po‟ piú scolastica”? Quel “cangiare in latino” non significa:
“Tradurrò in latino ciò che è uscito pubblicato in italiano e da loro criticato”, perché la prima
stesura fu fatta in latino quando viveva nascosto in casa dei Campanella, lavoro privo di note e
dissertazioni a noi pervenuto. Ebbe dunque il pensiero di affiancare all‟edizione italiana la latina
già pronta per la stampa e la mandò all‟editore con questa nota: L‟autore si raccomanda
sommamente perché questa operetta, che gli costò molta fatica e di cui non ha copia, non vada
perduta, perciò, se non si giudicasse di stamparla, prega che gli sia cautamente rimandata, in caso
si stampasse, bisognerebbe…
Dopo lo strepitoso successo delle ripetute edizioni italiane, ne fu certo sconsigliato, forse dallo stesso
stampatore, il figlio di M. Immacolata, religioso al secolo, Pietro Olivari. Un inutile sperpero di soldi
perché solo pochi avrebbero comparato il testo latino per sostituirlo all‟italiano, non solo, ma l‟opera era
ricercata soprattutto per le note e le dissertazioni che mancavano nel latino.
Le due prime edizioni furono dedicate a mons. Raffaele Biale, vescovo di Albenga che negli anni della
prova gli era stato tanto vicino, la terza
Ai Figli di Maria Immacolata… [che] si accingono a promuovere altra opera – da cui sarebbe derivata la
Congregazione dei Figli di Santa Maria Immacolata –, che, benedetta da Dio, avrà un grande risultato per il
bene della Chiesa.858
Diamo uno sguardo alla terza edizione, l‟ultima da lui edita. Prepone al trattato “Della coscienza”, trattato
con cui si aprivano i corsi di morale, 13 principi notevoli, poi i trattati secondo la tradizione scolastica, ma
con del nuovo a cui va legato l‟enorme successo. Al testo ripensato su Sant‟Alfonso, aggiunge di
propriamente suo “Note” e “Dissertazioni”, sentendosi libero di scostarsi dal Santo se ne crede il caso. Le
“Note”, preziosissime, sono in tutto 186, 15 e di maggior respiro le “Dissertazioni” non meno preziose. In
esse è travasata tutta la sua esperienza di quarant‟anni di confessionale. Nessuno meglio di lui stesso ci
può presentare la sua opera. Lo fa nella Prefazione di cui riportiamo ampi stralci.
Ciò che inutilmente si era sempre desiderato, né forse si sperava di poter mai conseguire, si è finalmente per
la divina grazia ottenuto, il bell‟accordo di dottrine morali, mediante il quale generalmente i confessori,
seguendo gli stessi principi, vengono alle stesse conseguenze pratiche.
Si evita cosí quel “disaccordo funesto, specialmente pei rozzi ed ignoranti” che lasciava pensare che ogni
confessore avesse per la stessa azione un suo giudizio morale, da uno giudicata lecita, da un altro peccato
grave:
contengono le ragioni…”. L‟unico ed il vero motivo il riguardo loro dovuto? Non sarà anche stato per non
avvalorare la tesi con nomi di tanta autorità?
857 Mt 12,11s.
858 Dice cosa sia quest‟altra opera [la Pia casa dei Figli di Maria] facendone la storia degli inizi, pp. 3-6.
257
Oggigiorno, fatte poche eccezioni… ciò che vieta o permette un confessore, è vietato o permesso anche dagli
altri; ciò che uno afferma essere peccato mortale, è affermato pure dagli altri… [per] grazia della Divina
Provvidenza che ha disposto che si diffondessero quasi universalmente le dottrine morali di S. Alfonso de‟
Liguori… Le dottrine di questo Santo sono ora le dottrine non solo dell‟ Italia, ma dell‟Europa, e del mondo
cattolico… Da sí fatto accordo è venuto che generalmente non abbia piú luogo quel soverchio rigore che in
tanta parte aveva invaso le scuole, specialmente nel secolo passato [il Settecento], rigore inopportuno a
promuovere nel popolo cristiano la frequenza dei Sacramenti…
Indica i pericoli di un eccessivo rigorismo ed i vantaggi di una piú mite dottrina:
Mentre da una parte si calunnia la Confessione sacramentale come peso insopportabile alle coscienze, e con
facilità i cattivi cristiani ne smettono 1‟uso, che cosa avverrebbe qualora si adoprasse coi penitenti un rigore
non necessario od eccessivo? I calunniatori troverebbero pretesto di piú per malignare quella divina
istituzione, e i cristiani trascurati lo troverebbero similmente per giustificare il loro allontanamento dalla
medesima… Facilitata la sacramentale confessione con miti e soavi dottrine, piú confacenti, che non erano
alcune altre, allo spirito del Vangelo, manca ai primi ed ai secondi quell‟apparente ragione di cui si valgano
per giustificare la loro empietà o indolenza.
Tolta l‟odiosità alla confessione, si apriva l‟accesso alla comunione frequente e quotidiana.859
Si rivolge soprattutto ai sacerdoti novelli e questi i perché.
1. Perché coi principi riflessi attendo a sciogliere le controversie morali, e mostro come non ostante la varietà
delle teorie e delle opinioni, possa il confessore nella pratica sbrigarsi delle difficoltà e dei dubbi, e assolvere
i penitenti senza che gli resti fondato timore di avere errato.
2. Perché addito il modo di abbreviare assai quelle confessioni che sogliono essere piú lunghe e prolisse.
3. Perché dimostro potersi evitare molte interrogazioni assai fastidiose in materia del sesto comandamento.
4. Perché mi studio di appianare le difficoltà che s‟incontrano nelle confessioni dei rozzi, degl‟ignoranti e dei
fanciulli, che sono la massima parte dei penitenti.
5. Perché tocco le questioni del giorno applicando ad esse i principi morali riconosciuti dagli antichi.
Questo il piano del lavoro e queste le fonti da cui ha attinto:860
Già da piú anni avevo fatto un Compendio il piú breve ed insieme, ardisco dire, il piú compiuto delle
Dottrine Morali di S. Alfonso basato sull‟Opera Homo Apostolicus, in cui, come attesta egli stesso, nulla
manca, ed anzi v‟ha alcun che di piú che non è nell‟Opera grande; la quale tuttavia non ho lasciato di
consultare, come potrà il lettore conoscere. Volevo stampare questo Compendio senza alcuna aggiunta od
osservazione per servizio degli studiosi di S. Alfonso; ma riflettendo che impinguato di note e illustrato con
alcune dissertazioni riguardanti la pratica ed anche i tempi in cui viviamo, avrebbe potuto riuscire di
maggiore utilità, segnatamente ai confessori novelli, ho dimesso la prima idea, e ho aggiunto note in buon
numero, ed anche dissertazioni, dove mi parevano opportune.
Segue l‟ordine dei trattati dell‟Homo Apostolicus, eliminando le ripetizioni. Strettamente sue
sono le note e le dissertazioni riguardanti la pratica, e le questioni del giorno, senza quasi mai
discostarsi dal Santo, ma
avverrà tuttavia alcuna volta che trattandosi di materie piú metafisiche che morali e perciò piú filosofiche che
teologiche, ed anche di casi particolari, io non concordi pienamente col Santo, e metta come piú probabile
alcuna sentenza reputata da lui meno probabile. La qual cosa voglio notare espressamente, affinché non si
creda che io sia troppo cieco suo ammiratore, e che voglia mettere i suoi scritti a paro dei Concili Generali e
delle Bolle Dogmatiche… Se è lecito talvolta dissentire da S. Giovanni Crisostomo, da S. Agostino, da S.
859
Ne parleremo nel capitolo 48.
Si vale di preferenza delle opere del Card. TH. GOUSSET e del Padre J. GURY. Di quest‟ultimo può valersi
dell‟edizione che stava curando Antonio Ballerini, professore di morale nel Collegio Romano [l‟attuale Gregoriana]
ricevendone i quinterni “di mano in mano che escono dal torchio”. Per i fascicoli non ancora pubblicati usa
l‟edizione napoletana del 1855.
258
860
Tommaso, da S. Bo-naventura ecc; perché non sarà lecito in qualche punto controverso dissentir pure da S.
Alfonso?
Se S. Agostino e gli altri autori citati ritrattarono questa e quella opinione e modificarono altre, sarebbe
fare un torto a Sant‟Alfonso volendolo stimare mai caduto in una svista o abbaglio, perciò:
Ogni volta che mi crederò lecito di non convenire con lui, farò vedere che la mia diversa opinione ha
l‟approvazione e il suffragio di gravi autori, ed è appoggiata a ragioni tali da non doversi cosi facilmente
disprezzare.
Un lavoro, il suo, che riguarda specialmente la pratica,
che importa molto piú della teorica e, in punto di pratica, trentasette anni di quotidiano esercizio sembrano
darmi un qualche diritto a discorrere intorno a questa materia. Tuttavia mentre desidero di far qualche bene,
mi spaventa il solo pensiero di poter fare qualche male, perciò non ho voluto fidarmi per nulla dei lunghi anni
di confessionale, chiedendo invece lume al Signore ogni volta che ho preso in mano la penna; ed oltre a ciò
nulla ho scritto che non abbia prima consultato con uomini dotti, pii, e sperimentati. Per tutto ciò che in
questa operetta sarà del mio, mi rimetto al giudizio dei lettori. Sottometto poi ogni cosa al giudizio della
Santa romana Chiesa, di cui mi dichiaro e mi protesto figlio ubbidientissimo, come il voglio essere a Cristo
divino suo Capo e Maestro.
Un successo clamoroso. Un eco lo stupore del Prólogo della versione spagnola:
Quattro numerose edizioni in quattro anni – in realtà, con l‟edizione napoletana, erano cinque861 –,… Essa è
il frutto dell‟esperienza di un colto e virtuoso Autore che quando la diede alla luce aveva quarant‟anni di
continua presenza in confessionale… Fu un caso che l‟ebbi tra le mani, e leggerla e tradurla fu un tutt‟uno.
Anche l‟edizione spagnola ebbe ripetute edizioni. Ci fu la traduzione tedesca, la francese e la portoghese,
questa fatta in Brasile. Il Patriarca di Venezia Giuseppe Sarto, futuro Pio X, conversando con il maestro
Lorenzo Perosi, gli vide sul tavolo la Morale del Frassinetti, la prese in mano e disse: “Fu un vero
maestro”.862 Il successo continuò a lungo. Il cardinal Boetto confidava al gesuita padre Lucchetti, suo
confratello: “Da giovane non mi sarei sentito di confessare, se non avessi letto la Morale del
Frassinetti”.863 Il successo veniva a coronare la lotta combattuta dal Frassinetti e la sua “Beato Leonardo”
contro giansenisti ed affetti dal loro spirito di cui si è già parlato. Per il trionfo completo mancava un‟altra
opera, Il Convito del divino amore che aveva portato al tipografo il giorno innanzi che si pose a letto per
non piú rialzarsi. In esso apparirà la connessione logica dei suoi lavori: la lotta al rigorismo giansenista ed
al rigorismo in genere era il presupposto che toglieva l‟odiosità alla confessione e rendeva l‟eucaristia
cibo quotidiano dei cristiani, cibo senza del quale si poteva in nessun modo aspirare ad una vita di
perfezione, a cui chiama anche quei che non possono entrare in convento, puntando alla vetta additataci
da Nostro Signore ne Discorso della Montagna: “Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro che è nei
cieli”. Ne parleremo in un prossimo capitolo.
861
Dicono che, quando il Frassinetti lo seppe, se ne mostrasse sorpreso ed esclamasse: “Potrei fare le mie
rimostranze, ma lasciamo andare, si diffonderà di piú”. Una copia dell‟edizione nell‟Archivio Frassinetti.
862 Osservatore Romano, n. 154, 1939.
863 Siamo stati in tanti a ripetere la stessa affermazione. Con il redentorista padre Damen si studiava per gli
esami a riga a riga il suo bel trattato, comprese le notunculæ in calce paginæ, tanto era esigente e pignolo, e grande
il timore di sentirci dire: “Studebis in villa”. Per il confessionale ci si rifaceva al Frassinetti, non solo noi
dell‟Urbaniana, ma anche molti che frequentavano le altre università pontificie. Valga per un mio grazie.
259
CAPITOLO XLVI
LIBERALE O REAZIONARIO IL FRASSINETTI?
Con l‟occupazione di gran parte degli Stati Pontifici nel 1860, si erano posti gravi problemi,
anche se non nella gravità di dopo l‟occupazione di Roma nel 1870 con la perdita di quel
rimasuglio di stato che garantiva al pontefice la sua piena autonomia. Dopo i fatti del ‟60, ad un
pastore d‟anime si poneva la domanda: Un suddito degli stati annessi, in particolar modo se degli
ex-Stati pontifici – Romagna, Marche ed Umbria – può conservare i vecchi incarichi statali, se
ne ha, e, in genere, usufruire dei diritti civili e politici che gli occupanti gli riconoscono alla pari
dei vecchi sudditi dei Savoia? Sono gli anni in cui la “Civiltà cattolica” ignorava il Regno
d‟Italia e parlava di Stati Sardi e, trasferita la capitale a Firenze, dal n. del 22 novembre 1865, di
Toscana e Stati annessi.
I nostri testi di storia patria, trattando del Risorgimento, vedono nella Chiesa o una forza
politica di cui si sarebbe potuto servire, o la forza che intralciava l‟ opera di quanti si battevano
per l‟unità.864 Nel periodo risorgimentale, due le caselle assegnate ai cattolici in genere, ed al
clero in particolare: cattolici-liberali – una minoranza di menti “aperte”– e cattolici-reazionari,
menti “retrive”.
Chi sono i reazionari? È questo uno di quei nomi magici – si leggeva sul Cattolico di Genova il
27 novembre 1849 – usati quasi ad incanto, dei quali i moderni demagoghi si fecero una
provvigione e si formularono un frasario per segnare al disprezzo dei meno veggenti quelle persone
che dessero impedimento o fastidio. Questo nome va di conserva con gli altri di retrogradi, di
gesuiti, codini, aristocratici e somiglianti, che sempre ebbero in bocca senza mai definire. 865
L‟Alimonda, se era lui, di lí a vent‟anni avrebbe potuto aggiungere almeno due altre voci
temporalista, in opposizione a conciliatorista. Nomi magici! Magici soprattutto per l‟odio e le
vessazioni che seppero suscitare. Gli storici di quel periodo ci si presentano incapaci di percepire
cosa la Chiesa veramente sia, e quale la vera missione a cui essa è ordinata: rigenerare l‟uomo
con i mezzi soprannaturali messi a sua disposizione per farne un figlio di Dio e cittadino del
cielo, vedendo in essa soltanto un‟istituzione terrena. Da altro punto di vista si sarebbero dovuti
giudicare i suoi uomini e le sue istituzioni e chiedersi se la loro opposizione era contro il nuovo
stato politico o non piuttosto contro i modi adottati per attuarlo e contro quanto sonava negazione
864 Anche nel biennio d‟infatuazione giobertiana la Chiesa fu vista solo come una forza politica creduta
vantaggiosa per la realizzazione d‟un piano politico.
865 Lo stile è di Gaetano Alimonda, vicinissimo al Frassinetti, il “P. G.” [Prete Gaetano] che nel 1846 scese in
campo per difendere il Frassinetti contro il Bonavino.
260
di vita cristiana. Non il rifiuto di una Italia unita ed indipendente dallo straniero, né feticistico
attaccamento a questa o quella forma di governo – monarchia o repubblica, Savoia sí Savoia no –
, ma il rifiuto di ridurre il cattolicesimo a strumento di quella loro politica, di quella loro civiltà e
di quel loro progresso.
L‟aggettivo liberale, aggiunto a cattolico, ne rendeva equivoco il significato e su tale
equivoco, si é visto, il Gioberti giocò con tale abilità da passare nei nostri testi di storia come il
maggiore propugnatore d‟un cattolicesimo aperto ai tempi nuovi. In realtà si trattava di una
religione civile gabellata per religione di Cristo. Il Frassinetti fu dei pochi che subito avvertí
l‟equivoco e lo denunciò. La risposta alla domanda: – Liberale o reazionario?– ce l‟anticipa il
Frassinetti in un appunto per il progetto d‟un settimanale: La Cartà, già riportato: “Esso non avrà
assolutamente nessun colore politico: unico suo colore sarà il cattolico…”.866 Si era ancora negli
anni Cinquanta, quando a Genova già usciva il Cattolico, uno dei fogli piú battaglieri.
Dopo il Sessanta si aggiunse un problema di coscienza che un pastore d‟anime non poteva
non porsi: i rapporti di un timorato di Dio con il nuovo governo di fatto. La soluzione del
Frassinetti, parve agli intransigenti soluzione di un liberale! Con quale altro nome appellare chi,
contro la norma né eletti, né elettori, propugnava l‟andare a votare, farsi eleggere e persino
prestare giuramenti all‟usurpatore?
Riponendo la penna – cosí l‟estate del 1867 licenziava la terza edizione del suo Compendio di
teologia morale – mi prende il timore che alcuno, dopo letta quest‟Appendice… dica di me: Toh un
cattolico liberale… Io sono cattolico semplicemente in tutta le semplicità del termine… I liberali
che sanno fiutar bene la gente non mi credettero mai dei loro. Infatti nel 1848-49 mi tennero
esiliato dalla mia parrocchia per tredici mesi; e fa un anno appena, che all‟epoca del domicilio
coatto si adoprarono per farne gustare le dolcezze anche a me…867 Io inoltre protesto che non ho
mai cangiato né modo di pensare, né modo di agire. Mi diceva tempo fa un liberale: Ella pensa
diversamente da me; ma ho stima di lei, perché sta immobile nei principi in cui crede… Io dunque
non sono mai stato, né sono, né voglio essere cattolico con qualche aggiunta. Sono sempre stato,
sono, e spero che sempre sarò cattolico semplicemente. Io sto colla S. Sede… Quando essa
spiegherà la sua “Risposta” – su cui aveva argomentato – in modo diverso dal modo in cui la
intendo io, cangerò tosto di sentimento. Fin tanto che Essa tace, chiedo e spero ottener la grazia che
mi si permetta di poter pensare a modo mio, com‟io consento agli altri di pensare a modo loro. In
necessariis, unitas, in dubiis libertas, in omnibus charitas. Quotiescunque e Roma scripta venerint,
quoad nos omnes causæ finitæ erunt.868 Finalmente, mentre rifiuto la denominazione di cattolicoliberale, ho l‟onore di poter gridare alto, che davanti a qualunque Governo sono sempre stato
inappuntabile, come sempre è lo schietto cattolico, che necessariamente tiene la dottrina di S.
Paolo sopra accennata.869
Cosa aveva scritto di cosí scandaloso da essere chiamato liberale dai cattolici intransigenti? L‟Appendice
del Compendio rifatta per la terza edizione e qui riprodotta alla fine del capitolo. A piú di un gesuita
romano sembrò aver passato ogni segno, come si viene a conoscere da una lettera del moralista Ballerini
al Frassinetti in cui gli propone di placarli suggerendo i ritocchi qui sotto evidenziati in doppia colonna,
ritocchi che parrebbero piccole sfumature lessicali.
Compendio di T. M., III ed., 1867
866
Compendio di T. M., IV ed., v. II, 1869
AF, G. FRASSINETTI, Manoscritti, vol. IX, pp. 220s.
Non saprei dire a cosa alluda.
868 Al detto “Unità in ciò che è necessario, libertà in ciò che è dubbio, ed in ogni cosa carità”, aggiunge di suo:
“parlato che abbia Roma, per me tutte le cause sono finite”, eco del Roma locuta, causa finita.
869 G. FRASSINETTI, Compendio…, 18673, p. 771. Testo paolino: Rm 13,1-8.
261
867
(Rivista da Ballerini-Cima pp. 479-81).
(Curata dal Frassinetti pp. 768-70).
Or poiché spetta ai popoli mandare i deputati al Parlamento, i popoli hanno un diritto
incontestabile di mandarvi dei galantuomini; anzi poiché i popoli non possono
rinunziare al proprio bene religioso e civile, sono in obbligo di mandarveli… La
seconda è che i popoli, i quali hanno questo diritto, non possono essere impediti
dall‟esercitarlo dai diritti che possono competere ai Principi spodestati, i quali di fatto
non comandano piú…
La terza, è che se i popoli hanno da avere
La terza è, che se i popoli hanno da
un Governo, è necessario che in qualche
avere un Governo, è necessario che in
modo gli si sottomettano, e quindi che
qualche modo lo riconoscano, e quindi
gli ubbidiscano…
che gli ubbidiscano…
Quindi non vi può essere alcuna legge che
Quindi non vi può essere alcuna legge
vieti quella soggezione ed ubbidienza,
che vieti quel riconoscimento ed
eccetto che il nuovo Governo esigesse
ubbidienza, eccetto che il nuovo
cose per sé cattive…
Governo esigesse cose per sé cattive…
altre volte in Italia, e sempre in tutto il
altre volte in Italia, e sempre in tutto il
mondo, avvennero cose simili alle
mondo, avvennero cose simili alle
presenti, e che tuttavia non si ebbero i
presenti, e che tuttavia non si ebbero i
timori, che ora si hanno, nella
timori, che ora si hanno, nel
sottomissione necessaria e nella lecita
riconoscimento necessario e nella lecita obbedienza ai nuovi Governi…
obbedienza ai nuovi Governi…
Quindi qualora le leggi esigano dei giuramenti non solo dai deputati alla Camera
elettiva, ma dai Senatori, dai magistrati… i buoni cattolici non debbono rifiutarsi di
renderli in tutto ciò che è chiaramente lecito…
La quinta è che dobbiamo sottometterci ai disegni della Divina Provvidenza anche
allora che ci vengono inaspettati e disgustosi… È necessario conoscere i tempi e
adattarvisi, salvi i principi della Morale e della Fede…
Sulla copia della terza edizione, a noi pervenuta, su cui il Frassinetti aveva preparato le
correzioni e le aggiunte per la quarta, pur avendo avuto quattro mesi di tempo, non tenne conto
dei suggerimenti del Ballerini.870 Morto il Frassinetti, il Ballerini, curatore della quarta edizione,
nel 1869 introdusse le modifiche che aveva suggerito insieme ad altri suoi ritocchi. La stampa la
curava l‟oratoriano padre Antonio Cima. Nessuno dei due dovette tenere presente ciò che due
anni prima il Frassinetti aveva scritto nella Vita di Santa Angela Merici, passo da noi già citato e
che qui ripetiamo applicando noi alla sua opera ciò che egli diceva a proposito dell‟opera della
Santa:
non è da approvare che talora gli uomini mettano cosí facilmente le mani nelle opere altrui,
dopo che i loro autori sono morti, e quando perciò non possono piú dare ragione del loro operato,
tanto piú ove trattesi di opere architettate da grandi santi e compiute con particolare assistenza di
Dio.871
Liberale o reazionario il Frassinetti?
870 L‟ultima correzione del testo è a pagina 754. L‟Appendice che chiude l‟opera comincia a p. 760, quindi la
revisione era già pronta per essere passata al tipografo. Ne è riprova che sono rivisti anche gli indici. Se avesse
voluto accettare il suggerimento del Ballerini, un lavoro di due minuti, non sarebbe stato quattro mesi senza tenerne
conto, quattro mesi in cui tra i due non ci fu piú nessun scambio di lettere come si deduce dalla lettera del Ballerini
in risposta a chi gli dava la notizia della morte in cui si rammarica dell‟ osservazione che gli aveva fatto con la sua
ultima quattro mesi prima.
871 G. FRASSINETTI, Vita ed Istituto… Genova, 1862, p. 56.
262
Domanda d‟obbligo scrivendo di un genovese vissuto a Genova nel periodo ruggente del
Risorgimento, domanda assorbita dopo il Settanta dall‟altra, comprensiva della prima:
Conciliatorista o temporalista? Ma il Frassinetti era già morto da due anni e nove mesi. Il
Frassinetti non tratta del governo in astratto come si vorrebbe che esso fosse, ma di questo
“governo” con cui ora abbiamo a che fare, anche se da noi non voluto e per mille motivi
deprecato. Nei suoi anni ve n‟erano stati tanti: Repubblica Ligure, Impero Napoleonico,
Repubblica di Genova, Regno di Sardegna assoluto, Regno di Sardegna costituzionale, Regno
d‟Italia. Si direbbe che tra tutte queste lotte e modifiche di confini e forme di governo, il
Frassinetti abbia fatto suo il precetto del Signore: Lascia ai morti seppellire i loro morti, tu vai
ad annunciare il regno di Dio.872 Della politica si interessò solo quando vennero emanate leggi
in contrasto con le leggi di Dio per ricordare ai fedeli quali erano i loro doveri, nel caso, andare a
votare dando il voto a chi si opponeva a tali leggi.873 Ma per tanti le caselle mentali erano solo
due: temporalista / conciliatorista, e tutt‟ora, con altri nomi, spesso sono ancora solo due,
impensabile una terza per chi sia solo prete, e prete preoccupato solo della salvezza delle anime
che si trovavano a vivere in queste e quelle circostanze di tempo e di luogo. Niente di meglio che
dare la parola allo stesso Frassinetti riproducendo larghi stralci dei quell‟Appendice rifatta di
sana pianta che aveva suscitato tanto allarme nei propugnatori di “né eletti, né elettori”.
Appendice sulle elezioni politiche
Avendo promesso di parlare delle questioni del giorno, non posso omettere quella, che forse è la
piú. ardente, ed insieme la piú pericolosa a toccarsi, per un certo esasperamento di animi venuto a
seguito di ciò che pareva dovesse togliere ogni occasione di dissidio. E ciascun vede che io
accenno alla Risposta della Sacra Penitenzieria, provocata dai nostri Vescovi… Prima di questa
Risposta si combatteva tra i cattolici quasi divisi in due schiere. Altri dicevano essere lecito
mandare Deputati al Parlamento, e quindi non essere vietato ai Deputati prestare il giuramento che
esige lo Statuto; altri negavano l‟una e 1‟altra cosa…. Ecco la Risposta della Sacra Penitenzieria
al quesito di come si debba rispondere a chi domanda se si possa accettare l‟ufficio di deputato al
Parlamento:
A questo primo quesito, sí, a condizione che i deputati eletti aggiungano al giuramento la
riserva: salve le leggi divine ed ecclesiastiche in modo che sia udita da due testimoni a lui vicini e
che gli eletti garantiscano gli elettori che mai proporranno leggi ingiuste, né le voteranno se
proposte da altri. In occasione delle elezioni non è vietato ai vescovi, se ne fossero richiesti, di
ricordare ai fedeli il dovere di impedire il male e promuovere il bene. 1dicembre 1866.
Partendo da tale responso il Frassinetti cosí argomenta:
[La] Risposta del 1° dicembre 1866 merita particolare rispetto ed osservanza, essendo data ai
piú ragguardevoli personaggi, quali sono i Vescovi nella Chiesa di Dio, e data dopo di essere stata
vista, e perciò tacitamente approvata dal Romano Pontefice; emanata poi in materia cosí grave,
quali sono le elezioni politiche, dalle quali al presente… dipende la rovina o la salute delle nostre
popolazioni a riguardo della religione… Risposta [che pare] tronchi tutte le questioni che si
agitavano tra i cattolici rispetto alle elezioni politiche.
Si discuteva se i parlamentari delle regioni invase, soprattutto gli eletti nelle Marche, nell‟Umbria e
Romagna, province degli Stati pontifici, potessero prestare giuramento:
Se è lecito all‟Eletto accettare il mandato, è lecito agli Elettori di darlo, essendo due cose
pienamente correlative e sommamente connesse. Ora se gli Elettori possono conferire il mandato, e
872
873
Lc 9,60.
Come quando venne introdotto il matrimonio civile.
263
se gli eletti: possono accettarlo, vuol dire che davanti alla Sacra Penitenzieria sono insussistenti
tutte le ragioni che si adducevano da chi sosteneva il contrario. La Sacra Penitenzieria risponde
affirmative, senza alcuna distinzione di province vecchie o di province nuove, senza distinzione fra
Torinesi, Bolognesi, Napoletani, Toscani, Modenesi o Parmigiani. Vuol dire dunque che tutti i
popoli dell‟Italia senza paura di violare la legge naturale e d‟incorrere alcuna censura, possono
accostarsi alle urne elettorali, mandare al Parlamento i loro Deputati, e questi poi emettere il
giuramento che si richiede.
Giuramento con la riserva sopra riportata emessa nel modo indicato.
È evidente che la Sacra Penitenzieria non voleva rendere inutile la sua Risposta, se i Deputati
cattolici avessero dovuto gridar alto ch‟essi giuravano con quella limitazione, di modo che li
avessero uditi la Camera, il Ministero e le Tribune… Intendeva bene la S. Penitenzieria che un
giuramento prestato con quella clausola, sarebbe stato rifiutato e i Deputati espulsi dalla Camera…
Si dirà che la S. Penitenzieria non vieta di gridar alto in mezzo alla Camera la limitazione e che il
Deputato che alto la griderà, sarà un cristiano piú coraggioso di colui il quale la fa intendere
soltanto ai due testimoni vicini. È verissima 1‟una e 1‟altra cosa; ma è pur vero che in tal maniera
si esce dalla questione proposta…: se la S Penitenzieria sia contenta che la limitazione sia udita
anche da due soli testimoni. Noi diciamo che ne è contenta, perché cosí suonano le sue parole.
Passa all‟altra condizione, ossia l‟opporsi alle leggi ingiuste
Vuol dire in primo luogo che i Deputati eletti devono avere buone intenzioni, obbligo generale a
tutti i cristiani; e che in secondo luogo tali buone intenzioni, le quali sono di non favorire e di non
approvare col loro voto leggi cattive ed ingiuste, devono manifestarle; che anzi devono promettere
di riprovare apertamente tali leggi, qualora fossero proposte al Parlamento. Ciò poi non si dice che
debbano fare nell‟atto di emettere il giuramento, anzi nemmeno si dice che debbano ciò fare nel
Parlamento – se avesse voluto… lo avrebbe pur detto –… Per altro chi potrebbe vietare al Deputato
che, emesso il giuramento, in mille occasioni dicesse e protestasse in Parlamento ch‟egli non
favorirebbe né approverebbe col suo voto leggi cattive ed ingiuste; che anzi le riproverebbe
apertamente qualora fossero proposte alla Camera? Non v‟ ha dubbio che… in mille occasioni
potrebbe fare tali dichiarazioni e proteste… senza nessun pericolo; mentre che non solo ciascun
Deputato, ma eziandio qualunque cittadino ha il diritto incontestabile di gridar alto e di stampare:
io disapprovo, io sono nemico di tutte le leggi del mondo cattive ed ingiuste.
Quale il dovere dei vescovi:
Anche questo è un latino assai piano e facile. Nihil obstare, niente impedisce, vuol dire che non
vi è alcuna legge né naturale, né divina, né ecclesiastica, che vieti ai Vescovi di qualunque parte
d‟Italia di esortare i fedeli a concorrere alle urne elettorali per eleggere buoni Deputati, né è vi
pericolo a questo riguardo di commettere alcun peccato, né d‟incorrere alcuna censura; altrimenti si
dovrebbe dire che qualche cosa obstaret, lo impedirebbe.
I Vescovi, in una parola, devono ricordare che ciascun fedele è obbligato, per quanto può, ad impedire il
male, e a promuovere il bene. Non è pensabile che per ricordare tale verità cosí elementare i vescovi ne
debbano essere richiesti, dovendo sempre gridare alto: fuggi il male ed opera il bene, predica permessa
anche all‟ultimo chierico e a qualunque fedele. La Sacra Penitenzieria non fa che ricordare che quel
principio vale anche per le elezioni politiche. Passa quindi a confutare chi sottilizzava sul valore di
quell‟infinito teneri, essere obbligato. Il principio è chiaro: deve!
Passando al pratico, qualora non ci fosse nessuna speranza di riuscire a mandare al Parlamento un
candidato che prendesse tali impegni con l‟elettorato, l‟andare a votare non potrebbe essere obbligatorio;
essendo principio incontestabile che un atto inutile non può essere comandato da nessuna legge.
È qui candidamente confesso che molti, considerando l‟incertezza, ed anche la poca probabilità
di buon esito che potevano avere in. varie epoche le votazioni in Italia, stante la prevalenza delle
264
sètte, e l‟apatia dei buoni ecc. ecc. pensavano che il. concorso alle urne elettorali dovesse riuscire
inutile, o presso che inutile; e quindi logicamente conchiudevano che tal concorso si dovesse
riconoscere bensí lecito, ma non già doveroso… Riconosce la fondatezza dell‟obiezione, presa in
considerazione anche dal cardinale Penitenziere nella lettera al Vescovo di Mondoví, che
l‟applicazione nei casi particolari dipende da mille circostanze, le quali ben ponderate, diranno
quando SI DEBBA O POSSA CONCORRERE ALLE ELEZIONI. Ma cita il medesimo vescovo che aggiunge:
Noi osserviamo che dicendo la lettera che le circostanze faranno giudicare quando si debba o
possa concorrere alle elezioni, sembra che non si possa piú sostenere dal lato morale la formula: né
eletti, né elettori, perché la risposta non ammette esclusività in generale, ma dice, anzi, che certe
circostanze possono indurre una vera obbligazione di concorrere all‟urna, e certe altre varranno
solo a dispensare uno o piú elettori da siffatta obbligazione.874
Avendo la Santa Sede indicato il modo di render lecito il giuramento e che andare o non andare a votare
dipende dalle circostanze, dal lato morale non si può piú ora sostenere la formula né eletti, né elettori,
perché la totale esclusione dei cattolici dal Parlamento frustrerebbe del tutto le intenzioni della Santa
Sede. Il pensiero era chiaro, ma non mancarono giornali cattolici che ebbero da ridire d‟averne resa nota
la pubblicazione. Il Frassinetti fa osservare la stranezza di voler tenere occulta una risposta data ai vescovi
a regola dei fedeli! Dicano quel che vogliono dire,
poiché si tratta di questione assai vitale, dalla quale, lo neghi chi vuole, dipendono in tanta parte
i nostri interessi religiosi e politici, morali e finanziari, me ne sappia grado chi vuole, non credo
dovere omettere alcune osservazioni sulla questione medesima, che giudico conformi alla risposta
della S. Penitenzieria.
1. Negli Stati Costituzionali le sorti dei popoli dipendono dal Parlamento, se il Parlamento è
composto di Deputati galantuomini, gli interessi della Nazione sono tutelati, e in caso diverso sono
conculcati. Ora, poiché spetta ai popoli mandare i Deputati al Parlamento, i popoli hanno un diritto
incontestabile di mandarvi dei galantuomini; anzi poiché i popoli non possono rinunziare al proprio
bene religioso e civile, sono in obbligo di mandarveli. Questo il senso dell‟essere tenuti.
2. I popoli che hanno questo diritto non possono essere impediti nell‟esercitarlo dai diritti che
possano competere ai Principi spodestati, i quali di fatto non comandano piú, né possono fare piú
alcun bene ai popoli sottratti dal loro reggimento… I popoli… hanno diritto ad un governo nuovo,
per non rimanere nell‟anarchia, che distrugge issofatto la società.
3. Se i popoli hanno da avere un Governo, è necessario che in qualche modo lo riconoscano, e
quindi che gli ubbidiscano, non potendo esistere azione di Governo, dove non sia corrispettività di
governati. Quindi non vi può essere alcuna legge che vieti quel riconoscimento ed ubbidienza,
eccetto che il nuovo Governo esigesse cose per sé cattive, come sarebbe rinunziare alla fede…
4. Se i popoli devono di necessità riconoscere il Governo cui sottostanno, devono pure
riconoscerne gli ordinamenti in tutto ciò che non v‟ha nulla di cattivo, e d‟ingiustificabile dalle
circostanze… Sarebbe una contraddizione riconoscere il Governo, e non volerne riconoscere gli
ordinamenti in ciò che è lecito riconoscerli. Quindi se le leggi esigano dei giuramenti non solo dai
Deputati alla Camera elettiva, ma dai Senatori, dai Magistrati, dai Professori ecc., i buoni cattolici
non devono rifiutarsi di darli in tutto ciò che è chiaramente lecito. Qualora tutti i componenti il
potere legislativo, il potere esecutivo, l‟amministrativo, tutti i Magistrati, tutti gli Insegnanti, tutti
fossero privi di timor di Dio, avremmo il sommo del pubblico male, che ci si presenta come la piú
spaventosa ipotesi. E non v‟ha poi dubbio che tutti dovrebbero essere tali, se ai buoni cristiani non
fosse lecito prestare i giuramenti richiesti dallo Stato. Ora la Risposta della S. Penitenzieria ci salva
dall‟attuazione della spaventosa ipotesi.
5. Ci dobbiamo sottomettere ai disegni della Divina Provvidenza anche allora che ci vengono
inaspettati e disgustosi; aiutandoci tuttavia il meglio che possiamo per conseguire il bene con quei
874 Il medesimo vescovo nella sua “Notificazione” del 27 febbraio (1867), scriveva: “Gli elettori dovranno
intervenire alle elezioni, tranne una scusa legittima che possa scansarneli, ed usare tutti i mezzi leciti che sono a loro
mano per la buona riuscita delle medesime, anche a costo d‟incomodi e di qualche sacrifizio”
265
mezzi ch‟Essa lascia in mano nostra… Tanti anni di delusioni pare che ormai avrebbero dovuto
ammaestrarci. La Sacra Penitenzieria ci apre la strada per cercare ed operare il pubblico bene negli
attuali dolorosi frangenti: entriamoci pacificamente e senza timore… È necessario conoscere i
tempi e adattarvisi, salvi i principi della Morale e della Fede. Roma conosce i tempi, Roma vi si
adatta.
Conclude con il passo sopra riportato: “Riponendo la penna, mi prende un timore, ed è che alcuno
dopo letta quest‟Appendice, giusta il vezzo già molto in uso, dica di me: toh un cattolico liberale…”.
La IV edizione del Compendio edita dopo la morte del Frassinetti
La terza edizione del Compendio ebbe l‟imprimatur – il si pubblichi – il dieci luglio 1867 e, stampata che
fu, su di una copia a noi pervenuta il Frassinetti cominciò subito a preparare la quarta. Il 6 settembre il
gesuita Antonio Ballerini gli scrive di quattro Figlie di Maria che avevano iniziato vita comune ed
aggiunge d‟aver sentito criticare dai confratelli l‟Appendice del Compendio. Letta con attenzione, a suo
giudizio, la critica è immotivata e suggerirebbe la sola modifica di cui su si è detto. Nei quattro mesi che
il Frassinetti ancora visse, tra i due ci fu un solo contatto per via indiretta, avendo il padre Cima riferito al
Ballerini il giudizio del Frassinetti su l‟osservazione che gli era stata fatta e di cui non teneva conto. Il
Ballerini, appresa che ebbe la morte del Frassinetti, scrivendo al padre Cima il 14 gennaio 1868, dovette
riferirsi a tale fatto: Per quanto io sia duro al pianto, il dolore piú d‟una volta m‟ha tratto le lacrime, e
questo dolore è comune a tutti. Non lo conosceva di vista né di conversare, ma io lo conosceva
abbastanza per le sue lettere, che conservo in gran numero, e tutti poi il conoscevano ne‟ suoi libri, nei
quali ha lasciato l‟impronta della sua bell‟ anima... per me è stato un caso rincrescevole che l‟ultima mia
diretta a lui abbia dovuto essere una specie di censura e quasi di certa riprensione – mia la sottolineatura
–.Me miserabile! ma la sua virtú ha saputo vincermi ed oppresso da dolori mortali poté pensare a farmi
rispondere ciò che Vostra. Signoria mi scrisse di quella [mia lettera].
Dall‟undici marzo 1868 cominciò tra il Ballerini ed il Cima uno scambio di lettere per la ristampa del
Compendio. Il Ballerini lo pregava di chiedere ai fratelli Frassinetti, eredi del Defunto, una procura in cui
dicessero aver saputo da fonte sicura che il Compendio di Teologia Morale era stato “denunziato alla S.
Congregazione dell‟Indice” e che lo avevano incaricato di sostenerne la difesa:875
Io volentieri mi sobbarco a questo incarico perché, per il luogo che occupo posso farlo
utilmente, e del resto il moltissimo che debbo a quel santo e caro uomo, e, di piú, l‟interesse che la
sua memoria non sia tocca, e cosí impedito il gran bene dei suoi scritti, mi obbligano a nulla
ricusare di quanto potrò... (si faccia presto).
Ricevuto l‟incarico di curare la stampa della quarta edizione, chiede la copia rivista dal
Frassinetti, rassicurandolo della restituzione. Il 10 luglio spedisce al Cima una prima parte del
Compendio rivisto.876 “Le noterelle aggiunte, si raccomanda, è bene porle con caratteri
diversi”,877 alle pochissime sue, non ponesse assolutamente il suo nome per non sottometterle a
Roma “a processi e revisioni, che vanno in lungaggini eterne”. Bastava l‟avviso che erano
secondo la mente dell‟Autore. Dice delle critiche ricevute dal Censore delle Sacra
Congregazione e come si sia dovuto adattare.878
875
È la terza volta che i suoi nemici cercano di far condannare una sua opera: negli anni Trenta le Riflessioni
proposte agli Ecclesiastici e le Osservazioni sopra gli studi ecclesiastici, di cui si è già detto. Condannata una
qualunque delle sue opere, avrebbero avuto di che screditarlo su quanto egli avesse scritto.
876 Veniva fatta a Genova seguita dall‟oratoriano padre Cima nella Tipografia della Gioventú, di cui era direttore
Pietro Olivari.
877 Cosa non fatta.
878 Nella prima dopo la morte del Frassinetti troviamo omissioni modifiche ed aggiunte non sue, ma di chi pensò
di poterne interpretare la mente, ossia del Ballerini e del Cima, e smussate le difficoltà che prevedevano potersi
266
Sebbene questa edizione si pubblichi dopo la morte del dotto e pio Autore, può tuttavia
considerarsi fatta come sotto i suoi auspici. Essendoché, in seguito a qualche osservazione fattagli,
aveva egli già posto mano a ritoccare e riforbire l‟opera, con modificare e spiegare alcun passo che
era stato occasione di qualche dubbio mosso da rispettabili ecclesiastici... Ove si è creduto
opportuno, non si è mancato di inserire qua e là qualche noterella ed altro simile schiarimento, a
fine di porre meglio in luce la mente dell‟Autore... Quelle differenze pertanto, che s‟incontreranno
tra queste e le tre precedenti edizioni, dovranno essere intese e spiegate secondo i piú chiari
sentimenti della presente, la quale perciò stesso reputiamo piú conforme alla mente dell‟Autore,
come quella che pone in piú chiara vista all‟occhio dei lettori i sentimenti dallo scrittore stesso
intesi.879
Resta il dubbio se la mente del Revisore coincideva con la mente dell‟Autore e, se vivo, avrebbe fatta sua
la revisione, uno che non riconobbe per sua una pubblicazione edita da Don Bosco non conforme al
manoscritto uscito dalle sue mani e la ripubblicò avvertendo che solo quella era da considerarsi genuina.
frapporre alla ristampa. Ne risulta un Frassinetti piú aperto del Ballerini, che, se non fosse morto, pur restando
sempre fuori della politica, si poteva pensare conciliatorista, nel senso del pastore che deve pensare alla salvezza
non dell‟uomo in astratto, ma di quest‟uomo, sottoposto a queste leggi e questo governo di fatto. Particolari, questi,
da trattare in un saggio ponendo a raffronto pagina dopo pagina la copia della terza edizione con le correzioni di sua
mano, per fortuna a noi pervenuta, e la quarta e distinguere il pensiero del Frassinetti da quello del Ballerini-Cima
che ne interpretarono la mente.
879 Steso dal Ballerini, di cui ci è pervenuto il manoscritto.
267
CAPITOLO XLVII
VIENI, SERVO FEDELE,
ASSIDITI
AL CONVITO DEL DIVINO AMORE
Al Processo di canonizzazione piú di un teste, ripensando certe parole del Frassinetti udite negli ultimi
mesi del 1867, afferma che, benché in buona salute, né avanzato in età, presentisse che il suo tempo
quaggiú stesse per finire. Il 1866 ed 1867 erano stati un anni pieni. Ma ebbe mai il Frassinetti un solo
giorno che non fu giorno pieno? Furono gli anni delle tre edizioni del Compendio di Teologia Morale, e
su una copia della terza, fresca d‟inchiostro, aveva preparato la quarta rivedendola a riga a riga. Oltre a
curare la ristampa di vari titoli,880 ne scrisse di nuovi: Frutti del mese mariano; Dell‟impiego del denaro;
Amiamo Gesú; La devozione illuminata; Dissertazione sulla comunione quotidiana; in due anni due
edizioni; Ricordi per un giovanetto cristiano, in due anni due edizioni; Ristretto delle cose piú necessarie
a sapersi dal cristiano; Intorno alle ss. comunioni applicate in suffragio dei defunti; Sulla deficienza
delle vocazioni allo stato ecclesiastico; Regola di vita pel giovanetto cristiano; Amiamo S. Giuseppe.
L‟ultima pubblicazione potremmo chiamarla Discorso della sua ultima cena. Iniziata il giorno dei Santi
del 1866 la terminò il 6 Agosto del 1867, giorno della Trasfigurazione, festa che ricorda quell‟assaggio di
paradiso dato dal Signore a Pietro, Giovanni e Giacomo per fortificarli nella fede, e, attraverso loro, a noi,
Il convito del Divino amore
In questo giorno sacro alla vostra festività – cosí ce lo presenta –, Santi tutti del paradiso, che
già foste chiamati ad assidervi alla Cena delle Nozze dell‟Agnello881 commensali al Convito del
beatifico Divino Amore in cielo, io offro a Voi il mio lavoro, cui oggi do principio, sul Convito del
Divino Amore qui in terra. La sostanza del Pascolo è pur la stessa: Voi ve ne pascete lassú
contemplando e godendo, noi ce ne pasciamo quaggiú credendo e patendo; ma la sostanza è la
stessa. Quegli, che è il Pane del cielo, è pur la Manna del deserto, Cristo in cielo fulgente in gloria,
in terra nascosto sotto le specie sacramentali…
O gloriosi Santi, io offro a Voi, e a Voi raccomando il povero mio lavoro; affinché
m‟intercediate la grazia ch‟esso sia valevole, efficace invito a molti e molti cristiani ad affluire
famelici e sitibondi al gran Convito del Divino Amore… Gloriosi Santi, il gustare del Convito del
Divino Amore in terra è pur quello che vi ha disposti sí bene a gustare del Convito del Divino
Amore in cielo. Pregate Voi il Signore che benedica a questo mio lavoro, affinché per suo mezzo
tanti e tanti gustando adesso, come già Voi, il gran pascolo in fede, si dispongano a gustarlo poi
con Voi nella gloria.
È il compendio della sua vita. Dopo di essersi pasciuto qui in terra di quel cibo, mistero di
fede, si accingeva a gustarselo nella visione in cielo. Viene da ricalcare l‟addio di Paolo a
Timoteo: “Il tempo della mia partenza è vicino. Ho combattuto la buona battaglia, sono ormai
giunto al termine della mia corsa, ho conservato la fede. Non mi resta ormai che ricevere il
Gesú Cristo regola del sacerdote, 8a edizione; Amicizie spirituali, 3a; La rosa senza spine;. Rosa Cordone,
3 ; Inustrie spirituali, 4a; Il modello della povera fanciulla Rosa Pedemonte, 5a; Il Pater noster di S. Tresa D’Avila,
2a; Il paradiso in terra nel celibato cristiano, 3a; L’arte di farsi santi, 3a; Vita ed istituto di S. Anela Merici, 3a; La
missione delle fanciulle, 3a ristampata ad Oneglia e nelle “Letture cattoliche” di Don Bosco; Dialoghetti sui
comandamenti della Chiesa, 3a; Regola della Pia unione delle Orsoline, ed aveva nel cassetto altri titoli pronti a
passare in tipografia, uno soprattutto, la biografia del suo amico di una vita, Memorie intorno alla vita del sac. Luigi
Sturla.
881 Apocalisse cap. 19.
268
880
a
premio che il Signore ha riposto per me”.882 Anche per il Frassinetti è l‟ora d‟assidersi a quel
banchetto, non piú pascendosene per fede e nella speranza, ma nel possesso e nella visione.
Come San Gregorio Taumaturgo sul punto di lasciare questo mondo,883 il Frassinetti avrà
fermato il pensiero sul capovolgimento che in meno di un mezzo secolo si era operato: non piú
rari fedeli assisi al “Convito del divino amore”, come negli anni della sua giovinezza, ma
balaustrate piene di fedeli lí inginocchiati per ricevere quel pane del cielo, ed altri in file parallele
alle loro spalle in attesa di potersi inginocchiare. Non solo nelle grandi feste, Pasqua, Pentecoste,
Assunta, Natale, ma ogni domenica, molti tutti i giorni, e tanti fanciulli. Giovane dovette
ragionare sulla falsariga dell‟Apostolo: “Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo, ma
come invocheranno uno in cui non hanno creduto? Come crederanno in uno che non hanno
udito? Come udiranno se non v‟è chi lo annunci?”.884 Una scala di tanti gradini da salirsi senza
saltarne uno per giungere alla salvezza, quanto dire all‟unione con Cristo, sacramentale quaggiú,
preludio e condizione dell‟unione in cielo. Sul modello di Paolo, il Frassinetti ha trovato la sua
scala per il cielo, e ci accompagna scalino per scalino, cominciando con il togliere di mezzo chi
ne impediva l‟accesso rendendola odiosa; Paolo i giudaizzanti, il Frassinetti i nipoti di
Giansenio. L‟abbiamo visto entrare in campo attaccando frontalmente “una setta quasi
indefinibile di tristi ipocriti”, i giansenisti per l‟appunto, e chi ne condivideva il pensiero.
Ripercorriamone il cammino.
Io sono il pane vivente, disceso dal cielo. Se qualcuno mangia di questo pane, vivrà in eterno. E il pane che io
darò è la mia carne per la vita del mondo… In verità, in verità vi dico: se non mangiate la carne del Figlio
dell‟uomo e non berrete il suo sangue, non avete la vita in voi. Chi si ciba della mia carne e beve il mio
sangue, ha la vita eterna, e io lo risusciterò nell‟ultimo giorno. La mia carne infatti è vero cibo e il mio
sangue è vera bevanda. Chi si ciba della mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui.885
La condizione per appagare questo desiderio di nutrirci di quel pane divino, desiderio fatto
nascere in noi dal Signore, è una coscienza pura. Come purificarla, se non si ha piú l‟innocenza
del battesimo e si cade cosí facilmente in tante miserie? Con il sacramento della penitenza. Ma il
confessore fa le cose cosí difficili, la rende cosí odiosa, non medico ma inquisitore, e rare le
volte che conceda di assidersi a quel divino banchetto… Impossibile la comunione frequente e
quotidiana con confessori che rendano odiosa la confessione. Il Frassinetti, confessore, si farà
maestro dei confessori, un maestro cosí diverso dai rigoristi.
Duce il napoletano meraviglioso Alfonso Maria de‟ Liguori, il Frassinetti scende lungo la via di Gerico
accanto all‟uomo abbandonato piú morto che vivo, stoppino di lampada ormai fumigante, e, discepolo
d‟un tanto maestro, ne fa suo lo spirito, come Eliseo fece proprio quello di Elia – il paragone è suo –. Non
si limita a dare assoluzioni dopo lungo esame per vedere se ne è o non ne è degno, ma, ravvivata la buona
disposizione, insieme al non peccare piú, fa leva sul punto vivo che in nessun uomo manca, e, di lí
partendo, gli addita le vette piú alte della perfezione. In virtú di quel pane che ogni giorno ci dona, anche
lui può aspirare ad essere perfetto come è perfetto il Padre nostro che è nei cieli. Ed in virtú di quel pane
si fa suggeritore di risposte generose agli inviti di Dio, apostolo di vita consacrata nel modo piú pieno in
cui da noi si può rivivere la vita di Cristo. Ne abbiamo già a lungo parlato. Non si limitò a popolare
seminari e conventi, ma, con le sue monache in casa e i suoi religiosi al secolo, mutò in convento le loro
case natali. Un autore di morale che non restringe la conoscenza alle cose da non farsi e alla loro gravità,
ma che si slarga nel mondo di quella spiritualità vissuta da Santa Teresa d‟Avila, da Sant‟Alfonso e da
882
2Tm 4,7s.
Il 17 novembre si leggeva nel vecchio Breviario che stando il Santo per lasciare questa terra chiedesse quanti
pagani ci fossero ancora nella città di Neocesarea e gli rispondessero che arrivavano appena a diciassette. – Ne sia
ringraziato Iddio, disse, erano appunto diciassette i cristiani quando io ne divenni vescovo –.
884 Rm 10,13s.
885 Gv 6,51-56.
269
883
altri maestri di spirito, con una sua aggiunta: puoi essere perfetto, della perfezione del tuo Padre che è nei
cieli, anche se non puoi o non pensi di entrare in convento. Due nomi di questi ultimi, già incontrati:
Angela Maccagno e Pietro Olivari.
Opus consummavi,
ho compiuto la missione che mi hai affidato, può ora ripetere le parole che il suo divino
Maestro rivolse al Padre la sera dell‟ultima cena.886 Nella prima metà di dicembre, in una
conferenza ai Figli di Maria aspiranti al sacerdozio, aveva parlato della seconda venuta del
Signore: “Tutti rimanemmo impressionati – depone don Arecco, allora uno degli adolescenti
delle Pia Casa – perché ne parlò come se per lui la morte dovesse venire presto”. Cosí pure in un
ritiro alle Figlie di Maria. Qualcosa, depongono i testi al Processo, doveva presentire. Celebrò
tutte le funzioni del Natale come sempre. Come sempre fu lui a far baciare il Bambinello ai tutti i
suoi parrocchiani. Il giorno dopo andò a confessare le Suore dello Spirito Santo. Al ritorno un
leggero malessere, ma non ne fece caso e si fermò in chiesa per le funzioni. Tutto come sempre.
Il 27 passò nella tipografia degli Artigianelli887 a correggere le bozze del Convito del divino
amore. Trascinò quel malessere, cui non dette importanza, fino alla domenica 29 in cui accudí al
ministero come sempre. La sera fece gran fatica a recitare il mattutino del giorno dopo, come da
tanti è stato uso fino alla riforma liturgica. Il 30, come sempre, ancora in piedi per tempo. Una
lunga seduta di confessionale, come sempre. Benché la celebrazione della messa gli costasse
molta fatica, riuscí ancora ad attendere alle solite occupazioni. Il 31 provò ad alzarsi per andare a
celebrare, ma non ne ebbe la forza e dovette essere aiutato nel rimettersi a letto.
Era la fine. Si ricordò ciò che aveva sempre insegnato: viatico ed estrema unzione quando il
malato è in grado da poterne ancora seguire il rito. Chiamò Domenico Fassiolo, il giovane
chierico che teneva in casa, e lo mandò a prendere la borsa dell‟olio santo. Ce lo racconta lui, il
Fassiolo, scrivendo la prima biografia di chi gli era stato piú padre del padre secondo la carne:
Chi l‟avesse veduto la domenica ultima dell‟anno 1867 e ultima della sua vita fare colla solita
energia le sacre funzioni e predicare al numeroso popolo la divina parola, non avrebbe pensato
all‟imminente sua morte. Eppure lo aveva già assalito un leggero malore, onde la sera poté a stento
recitare il Mattutino del giorno seguente. Passò inquieta assai la notte, tuttavia al mattino del lunedí
confessò per lo spazio di un‟ora e celebrò la Messa, però con grande fatica… ma poco si credette
alla gravezza della sua infermità vedendolo sempre conservare la sua solita vivacità e attendere alle
solite sue occupazioni. In tutto quel giorno il male non presentò sintomo alcuno da inquietare e
mettere l‟apprensione in quei di casa. Il giorno dopo volle alzarsi per celebrare la S. Messa, ma
s‟accorse di essere malato assai, perché fu tale la sua debolezza che si dovette aiutarlo a riporsi a
letto. Allora cominciò il timore e la costernazione a impossessarsi di chiunque seppe della sua
malattia perché in tanti anni non si era mai udito che il Priore avesse per malattia lasciato di
celebrare il S. Sacrificio… furono in fretta chiamati medici, gli furono prodigate le piú amorevoli
cure, ma nulla valse. In breve la notizia della sua malattia si sparse per Genova tutta, e vi fu un
accorrere di persone di ogni condizione per averne notizie, ed era spettacolo ben triste vedere
uscirne molti colle lagrime agli occhi e sospirare e gettarsi ginocchioni ai piedi degli altari per
implorarne la guarigione. Si cominciarono tridui, e quanti parrocchiani fecero promesse e voti…
per l‟amato Pastore!... Ma fermo era il decreto di Dio; l‟angelo della terra doveva divenire angelo
del cielo e, piú che agli uomini, la sua compagnia doveva riuscire cara ai beati comprensori.
Aggravandosi il male il giorno primo dell‟anno 1868, volle confessarsi dal Rettore di S. Marco,
Pietro Boccalandro, che era il suo confessore, e gli fu, a sua richiesta, amministrato il S. Viatico dal
886
Gv 17,4.
Ne era direttore Pietro Olivari, religioso al secolo, al quale erano affidati anche i primi ragazzi della Pia
Opera dei Figli di Maria che aspiravano al sacerdozio.
270
887
Parroco di S. Fede, come il piú vicino… E qui vogliamo riferire una particolarità avvenuta prima
del Viatico per far conoscere sempre meglio che ciò che insegnava e predicava agli altri, amava
praticarlo fedelmente egli stesso. Essendogli io, che allora abitavo presso di lui in qualità di
chierico, andato in stanza e rimastovi solo, egli a me rivolto raccomandandomi che volessi pregare
sempre per l‟anima sua, aggiunse: fammi un piacere, va e che nessuno ti veda, prendi la borsa
dell‟Olio Santo e portamela in camera. Ma, signor Priore, ripigliai, non creda poi di star tanto male.
O bene o male che io mi stia, non importa; ho sempre insegnato agli altri che dopo il Viatico si può
con sicurtà amministrare l‟Olio Santo: quindi ora voglio che la stessa cosa sia praticata con me, va
e spicciati. Il che avendo eseguito e portateglielo in camera, egli mi sorrise come di un benefizio a
lui fatto; però non gli fu amministrato subito, come pur voleva e chiedeva replicatamente, perché
dopo il Viatico si notò in lui un leggerissimo miglioramento.
Ascoltiamo, sempre dal Fassiolo, la sua ultima giornata:
La mattina del due Gennaio 1868… le forze cominciarono a diminuire e il respiro a farsi
affannoso… A mezzogiorno, quantunque a mala pena potesse articolare le parole, recitò l‟Angelus
Domini con gran devozione e singolare raccoglimento… i suoi occhi, il suo volto avevano tale
un‟aria di rassegnazione mista a tranquillità che rapiva i cuori. Quindi cominciò a declinare
sensibilmente e alle due pomeridiane entrò in agonia…. Mentre agonizzava cercò colla mano già
fredda la medaglia della Madonna che teneva appesa al collo per mezzo di un ruvido spago. Gliela
porse il suo collaboratore D. Giacinto Bianchi, ed egli fece atto di baciarla, e certo che Maria in
quel punto non abbandonò il devoto suo figlio che tanto in vita l‟ebbe onorata e fatta onorare da
altri. La baciò con santo trasporto di amore e poscia fra il gemito e il singhiozzare dei circostanti
poco prima delle tre pomeridiane si addormentò placidamente nel Signore.
Abbiamo omesso l‟insistere sulla folla dei parrocchiani che accorreva a chiedere notizie, la
chiesa piena di fedeli che pregavano per lui e le molte manifestazioni che rivelavano quanto egli
fosse amato dai confratelli e dai fedeli. I Figli di Maria, religiosi al secolo, insieme ad un
sacerdote, vollero essere loro a comporne la salma rivestendola delle insegne di parroco. Grande
e continuo fu l‟afflusso dei parrocchiani e del clero della città benché fosse una giornata
rigidissima:
Tutti sospiravano e piangevano inconsolabilmente genuflessi ai piedi delle venerate spoglie
dell‟uomo di Dio. Nondimeno…l‟encomio piú bello, il panegirico piú veritiero delle sue virtú
erano le lagrime e le preghiere dei poveri… il tributo di lode dai figliuoli della miseria, i quali
furono i figli suoi prediletti,. inconsolabili per la sua perdita… prova manifesta dei sussidi, noti
solo ad essi e a Dio, che avevano ricevuto da quelle mani benefiche.
Non occorre descrivere, perché facile immaginare, il concorso della folla il giorno dopo ai
funerali con l‟intervento dei parroci della città, ed il numeroso accompagnamento fino al
cimitero di Staglieno non ostante la giornata rigidissima e tanta neve caduta di fresco, ed allora la
via, scrive l‟Olivari, “per l‟assiduo andirivieni di carri nei giorni di pioggia o di neve diventava
un vero tormento a percorrerla a piedi”. La domenica cinque gennaio, don Ambrogio Picone,
sacerdote piissimo, invitato a spiegare il vangelo, invece che spiegare il vangelo, non seppe
trattenersi dal parlare del santo Priore. Il pomeriggio si ripeté con il canonico Andrea Grasso
invitato a fare il catechismo. Il 14 febbraio, per iniziativa dei sacerdoti genovesi, il Priore fu
ricordato con un solenne funerale fatto a loro spesa, affidando l‟elogio funebre al can. Filippo
Poggi, suo antico compagno di scuola negli anni di “rettorica”, filosofia e teologia, e lo tessé con
tutte le regole dell‟arte apprese dal Gianelli, senza riuscire a trattenere il pianto.
Il 16 aprile 1934 la salma fu riesumata dal cimitero di Staglieno e ritumulata nella cappella dei suoi Figli
di Maria in via Iacopo Ruffini, dove riposa in attesa che sia glorificato anche qui in terra.
271
Il centro della sua attività nel cuore di Genova, la chiesa di Santa Sabina, nel 1932 fu chiusa al culto, poi,
venduta, divenne un cinema, con grave scandalo di San Luigi Orione e, rivenduta ancora, sede di una
banca.
CAPITOLO XLVIII
IL FRASSINETTI IN GIRO PER IL MONDO
Vai per tutto il mondo
ed annuncia il vangelo ad ogni creatura
272
Maestro, sí, ma senza mai uscire dalla sua terra, la diocesi di Genova. Il Frassinetti, pur
appartenendo ad un popolo di navigatori, non risulta che abbia mai navigato o che si sia troppo
allontanato dal rione dove nacque piú di quanto si riesca a camminare a piedi in un paio d‟ore e
forse meno, come negli otto anni che fu parroco a Quinto nelle sue andate a Genova. Nei tempi
tristissimi, costretto a riparare in esilio, mentre il suo amico don Sturla si spingeva in Egitto, ad
Aden e in Etiopia, il suo estero fu San Cipriano in Val Polcevera, il cammino di una
scampagnata. I viaggi piú lunghi lo portarono giovane chierico a Savona per ricevervi i secondi
minori e gli ordini maggiori.888 Anziano si spinse un tre volte fino a Mornese ad una settantina di
chilometri.889 Vi andò di certo in ferrovia fino ad Arquata già collegata da otto anni con Genova.
Furono i suoi primi ed unici viaggi con tale novità. Lí lo avranno aspettato con un calesse. A
Mornese andò l‟ultima volta con lo Sturla per istituire una casa della Pia Unione dei Figli di S.
Maria Immacolata dove già erano nate e fiorivano le Figlie di Maria.
Il Frassinetti e lo Sturla in treno! Tra le mille accuse che il Gioberti aveva lanciato contro i
gesuiti e gesuitanti, e i due erano pensati della peggiore specie, c‟era anche questa: scomunicano
dal pulpito strade ferrate e vapori! Ma il Gioberti era già passato da un po‟ di anni nel regno dei
piú per poterne restare trasecolato. Prete casalingo il Frassinetti, ma non per questo ebbe a
fastidio quei confratelli che pare avessero fatto loro il detto: navigare necesse, vivere non
necesse, gente che muore a non muoversi, come don Giacinto Bianchi, il suo ultimo
collaboratore in Santa Sabina nelle cui mani rese il suo spirito a Dio. Nella casa del Padre le
mansioni sono molte, cosí i modi di vivere nella Chiesa. A tirarlo fuori dai carrugi della sua città
non era bastato l‟invito della sorella890 né l‟esortazione dell‟amico sacerdote Giovan Battista
Cortes: Bramerei tanto – gli scriveva il 5 giugno 1844 – che Vostra Signoria si potesse distaccare
per qualche tempo da quella limitata sfera di terra in cui si racchiude. Perché un sí ingiusto
scompartimento nella sua persona? concedere alla testa tanta rapidità, e nulla poi alle gambe? Si
persuada che, se invece di conoscere il mondo da qualche giornale, potrà conoscerlo
personalmente – nelle sue varie istituzioni – farà come l‟ape sui fiori; e ne uscirà del buon
miele.891
Il Frassinetti restò sordo. Nel 1865 sentí il bisogno di un viaggio a Roma per salvare la natura
delle sue Figlie di Maria, monache in casa, o Nuove Orsoline che dir si voglia, perché, con il loro
espandersi in tutta Italia in modo imprevedibile, ogni vescovo non si sentisse autorizzato a
modificarne regolamento e spirito, ma morto lo Sturla nell‟aprile, gli si era raddoppiato il lavoro.
Il Ballerini, saputo che aveva trovato un aiuto in don Giacinto Bianchi, gli scriveva:
mi rallegro di cuore e ringrazio la bontà del Signore nostro Iddio, che l‟abbia consolato
sostituendo allo Sturla… un altro a Lei gradito… Avrei bramato da ciò una conseguenza, cioè che
eseguisse il proposito, già significatomi come sospeso, di fare una scappata a Roma… Invece Ella
mi significa che avremo qui il degnissimo D. Giovanni, ma non dispero, perché una cosa non
esclude l‟altra.
888
Da un appunto in latino del Frassinetti con data, luogo e vescovo ordinante. Per mare?
Ad Angela Maccagno il 31.7.1866: “Io e P. Giacinto abbiamo intenzione di venire a Mornese domenica 5 ag.
al dopo pranzo… come le altre volte… desidero proprio di fare questa terza visita a Mornese, a Don Pestarino ai
Figli e alle Figlie dell‟ Immacolata”.
890 Già la sorella, passata a Roma nel 1841, nella prima lettera: “Oh quanto qui starebbe bene la Congregazione
del Beato Leonardo!”. P. FRASSINETTI, Lettere, p. 4.
891 Archivio Frassinetti. Le sottolineature sono negli autografi.
273
889
La sua andata a Roma doveva essere proprio necessaria se l‟anno appresso prendeva contatti
con Don Bosco per fare insieme il viaggio in pieno inverno.
Forse – gli rispondeva Don Bosco il 27 dicembre – non tornerà comodo andar a Roma insieme
perché io ho divisato di recarmi ai primi giorni dell‟anno… per lei credo è opportunissimo che si
trovi a Giugno quando vescovi e distinti personaggi si troveranno nella capitale del
Cristianesimo… qualora ella preferisse anticipare, mel dica e vedremo di fissare un luogo di
appuntamento…892
Don Bosco andò solo. A giugno non andrà nessuno dei due, a luglio inoltrato a Roma
infieriva il colera. Il Frassinetti farà il suo primo lungo viaggio, ed ultimo, ad un anno e sei giorni
dalla lettera, avendo per meta non Roma ma il paradiso. Eppure il Frassinetti andò molto piú
lontano dell‟amico suo don Sturla e di don Giacinto, l‟ultimo suo collaboratore mai fermo. Con i
suoi libri.
Dimmi chi ti legge
e ti dirò quel che vali
Non so se sia un proverbio antico o di mia invenzione, ma mi pare vero. Anche se di Virgilio
avessimo perso tutto, basterebbe ‟l lungo studio e ‟l grande amore di Dante per il suo maestro
per porlo tra i grandi della letteratura. Una piú approfondita conoscenza de ‟l lungo studio e ‟l
grande amore dei traduttori del Frassinetti ci aiuta a conoscerlo meglio. Vedendolo tradotto da
penne di letterati, e letterati di buon nome, viene da domandarci come, pur essendo di esperienza
ristretta ai soli suoi concittadini, di pensiero chiaro, ma non uomo d‟arte, abbia potuto suscitare
in tanti paesi interesse in gente di un certo nome nel campo delle lettere. Cominciamo dal primo
in ordine di tempo.
Juan Manuel de Berriozábal
Chi è costui?, ruminai tra me e me, proprio come don Abbondio nell‟imbattersi in Carneade,
quando, leggendo nel Capurro la lista delle traduzioni del Conforto dell‟anima divota, trovai: “in
spagnolo: El aliento del alma devota, 2a ediz. trad. di Manuel de Berriozábal, 1852”.893 A don
Abbondio pareva bene d‟averlo letto o sentito quel nome, a me Berriozábal suonava nuovo. Lo
pensai un ecclesiastico tornato da Roma in Spagna con il libriccino del Frassinetti e tanto italiano
quanto pensava potesse bastare per tradurlo e farlo conoscere ad anime devote di non sofisticata
contentatura. Tutt‟altro. È conosciuto dall‟Espasa-Calpe, la Treccani degli spagnoli, e ancor piú
dal Manual del librero ispano americano,894 non solo, ma anche dal British Museum, dagli
Annali delle scienze religiose, la rivista del futuro cardinale Antonio De Luca,895 né poteva
sfuggire all‟occhio del Moroni che radunò notizie a non finire nel maremagnum dei centotre
volumi, piú sei di indici, del suo Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica.896 Questo
escritor peruano y marqués de Casa ]ara, nato a Cuzco nel 1815 e morto a Parigi nel 1892, di
nobile e ricca famiglia peruviana, trasferitosi giovanissimo in Spagna e in un secondo tempo a
Parigi, ebbe l‟onore, benché giovanissimo, di scrivere su una rivista di don Jaime Balmes, il
gigante della cultura religiosa spagnola della prima metà dell‟Ottocento, e non solo religiosa. Al
Balmes, avarissimo di recensioni, nei 33 volumi delle sue Obras completas se ne contano appena
tre, due brevissime, quaranta pagine non parvero troppe per recensire Berriozábal su La
892
AF. Don Bosco era quindi al corrente delle cose del Frassinetti.
G. CAPURRO, Op. cit., p. 6.
894 A. PALAU Y DULCET, Manual del librero Hispanoamericano, t. II, Barcellona, 1949.
895 X,432.452: XVIII,459.
896 G. MORONI, Dizionario di erudizione storico-eccles., vv. 103+6, Venezia, 1840-1879.
274
893
Sociedad: Literatura, Obras de don ]uan Manuel de Berriozábal, maqués de Casa Jara.897
Qualche riga della lunga recensione:
In un secolo scettico e apatico, nel cui vortice vediamo con pena naufragare molti giovani… è di
conforto, imbattersi con uno, giovanissimo d‟anni, di chiara rinomanza, ricco di beni, entusiasta per
le belle lettere e i lunghi viaggi, che non si è lasciato contaminare dall‟aria attossicata della nostra
età, e mantiene nei suoi scritti e nel suo cuore integra e salda la fede, tenerissima la pietà. Tale a noi
appare l‟esimio scrittore don Juan Manuel de Berriozábal, marchese di Casa ]ara… Il signor di
Berriozábal non disdegna la prosa o tradurre opere che pensa possano giovare alla religione, ma
Berriozábal è poesia. È nato poeta, dalla prima infanzia compone poesie, scenderà nel sepolcro
componendo versi. Nel 1839 ha dato alla luce alcune composizioni di Lamartine, già tradotte in età
giovanissima, ed è stato tale il successo da essere tosto ristampate a Parigi ed in un‟altra località…
Ne cita ampi stralci. Berriozábal non fu solo efficace traduttore, ma poeta epico e di romances
e di coplas. Quando uscí questa recensione cosi lusinghiera, 7 settembre 1844, il Conforto
dell‟anima divota del Frassinetti era uscito da pochi mesi e quindi non ancora tradotto e, forse,
neppure ancora conosciuto. Il Berriozábal continuò a poetare mirando sempre all‟edificazione, a
scrivere libri e a tradurne, quello del Frassinetti ne fu uno, ed ebbe presto una seconda edizione.
Dagli altri titoli usciti dalla sua penna viene da pensarlo un contemplativo, devotissimo di Maria
Vergine, innamorato della Sacra Scrittura, incantato dei bimbi, di sentimenti finissimi e animo
delicato.898 Fermiamoci ancora in Spagna.
Juan José Urráburu
Un nome in fatto di studi. Gesuita basco nel 1878 fu chiamato alla Gregoriana da Leone XIII
per attuare le direttive da lui date per il rinnovamento delle filosofia scolastica e vi insegnò per
nove anni. Fu autore di un‟opera filosofica ponderosa in cui sottopose a revisione critica tutti gli
indirizzi della filosofia scolastica. Accanto ai tanti volumoni l‟umile libretto del Frassinetti, Gesú
Cristo regola del sacerdote. Lo legge, lo rilegge e se lo traduce:Jesucristo regla del sacerdote,
benché ne fosse stata fatta una traduzione da appena due anni nella stessa Madrid da don Isidoro
De Lope Moral. Ancora un nome e di ben piú chiara fama, sempre in Spagna, ma in lingua
catalana,
Mossèn Llorenç Riber, Mestre en Gay Saber
Nella prima metà del Novecento fu uno dei poeti piú apprezzati dell‟area maiorchina. Di
ispirazione classica e religiosa, canta lo spirito umile dei suoi isolani e le grandi figure della
897 JAIME BALMES, Obras comptelas, vol. 33, Barcellona, 1925-1927. È la celebre “Balmesiana”. .El
Pensamiento de la Nación, periodico religioso, politico e letterario fondato e diretto dal Balmes, [7.2.184431.12.1846], fu l‟arbitro della politica cattolica di Spagna fino a condizionare gli stessi avversari. Pochissimi e
sceltissimi i collaboratoti, uno il Berriozábal. La Sociedad [1.3.1843-7.9.l844], rivista religiosa, filosofica, politica e
letteraria, ebbe nel Balmes il suo unico redattore. Il numero 23 portava da p. 504 la recensione delle opere del
Berriozábal fatta dal Balmes sotto il titolo di Literatura.
898 Alcuni titoli che gettano luce sull‟autore. È un lettore amoroso della Sacra Scrittura, si incanta delle opere di
Dio, di Nostro Signore e dei bimbi. Osservazioni sulle bellezze letterarie... poetiche e religiose della Sacra Bibbia,
M (= Madrid) 1849, pp. 1216 in 3 vol.; Osservazioni sulle bellezze... dell’Antico Testamento, M 1864, 2 vol.,
ristampati nel 1865; Osservazioni sulle bellezze religiose... nella vita del nostro adorabile Salvatore, M 1866, pp.
432, ristampato s. d. in 3 vol; Amore alla Scrittura, per la Chiesa e per Maria Vergine; Storia della Chiesa dei primi
secoli fino al trionfo della Madre di Dio nel concilio di Efeso, M 1867, 5 vol. Una raccolta di passi del Crisostomo.
Pensieri sulla Provvidenza, M 1862, pp. 338. Poesie sacre, M 1851, pp. 338, ristampate aumentate nel 1863, Poesie
religiose, M 1863, pp. 261, “Una bella edizione”, annota il Palau; Poesia alla Regina dei cieli, 1853, ristampato;...
Conversazioni sui bimbi dell’Antico e Nuovo Testamento, M 1862… Titoli che ci dicono da che spirito fosse
animato.
275
cristianesimo. A parte le composizioni originali, che qui non prendiamo in considerazione, ma
che gli aprirono le porte della Regia Accademia di Spagna divenendone un suo membro, e gli
studi su ricerche agiografiche – sei volumi –, nonché importanti lavori sull‟antichità classica,
dalla sua penna uscirono “magnifícas traductiones” di classici latini: tutto Virgilio, tutto Orazio,
tutto Seneca, e le Confessioni di Sant‟Agostino, non che da Tacito, Sallustio e Cicerone, con
relative introduzioni. Fecero epoca i suoi articoli sul Diario de Barcelona, dove coniugava la
perfectión de su personal estilo con el rigor de una erudición formidable. Nella prima parte della
vita scrisse quasi esclusivamente in catalano, poi una serie de libros compuestos en el mejor
castellano in cui nulla perse del suo refinadisimo estilo. Un clásico que supe vivir la hora actual.
Del nostro Frassinetti tradusse un buon numero di titoli piú volte ristampati. Certo fanno un bel
vedere suoi “librettucci” cosí disprezzati dal Gioberti, e di nessuna pretesa letteraria, accanto a
testi greci di Platone ed Aristotele sulla scrivania della Chatterton, di cui diremo, e ai giganti
della latinità su quella del Riber. Il primo a stupirsene sarebbe stato il Frassinetti stesso.
Il Frassinetti nelle Isole Britanniche e Oltreoceano
Già nel 1855, a soli tre anni dalla sua prima apparizione in Italia, vi troviamo tradotto Gesú
Cristo regola del sacerdote. Lo tradusse James Laird Patterson, già pastore anglicano, poi
sacerdote cattolico, presente con una certa frequenza nelle Letters and Diaries del Newman,899
amico personale del cardinal Wiseman, rettore del seminario dell‟archidiocesi di Westminster ed
infine vescovo ausiliare del cardinal Manning nella stessa diocesi. Quand‟era rettore del
seminario dovette pensare l‟opera del Frassinetti un ottimo aiuto per chi si accingeva a diventare
sacerdote. Fece fortuna perché fu piú volte ristampato.
Nel 1871 un oblato di San Carlo – religiosi fondati dal Manning quand‟era semplice prete –
tradusse il Catechismo dogmatico con prefazione dello stesso Manning, non ancora cardinale,
ma già arcivescovo di Westminster.
Nel 1883 fu tradotto il Manuale del parroco novello da William Hutch, un canonico irlandese
nato da famiglia cattolica. Un best-seller. Ad un anno e mezzo di distanza se ne ebbe una
seconda edizione quando la prima già era esaurita da un pezzo, andata a ruba da una parte e
l‟altra dell‟Atlantico. Il traduttore può scrivere compiaciuto: The first edition of this Translation
was received with such marked favour on both sides of the Atlantic,900 that within a few months
after its appearance I was urged by the publisher to prepare a second edition, e si scusa di aver
dovuto rimandare la seconda edizione perché preso da altri impegni. L‟imprimatur e il
reimprimatur sono del cardinal Manning. La traduzione suscitò polemiche e il traduttore difese
le opinioni del Frassinetti su l‟Irish Ecclesiastical Record. Lo stesso Hutch tradurrà nel l887 Il
Pater noster di Santa Teresa, un libro, afferma nella prefazione, che è qualche cosa di piú di quel
che il titolo dichiari: “in realtà è un campendio di teologia ascetica e mistica”. Come il Patterson
anche Hutch fu per anni rettore di seminario. L‟uno e l‟altro avevano trovato nel Frassinetti un
grande maestro per i loro seminaristi e giovani sacerdoti. L‟economia del lavoro non ci permette
di fermarci di piú su di loro, volendo indugiare su una gentile scrittrice accolta dal Newman nella
Chiesa cattolica insieme al marito ed ad una nipote.
Lady Georgiana Chatterton, 1806-1876.901
899
The Letters and Diaries of JOHN H NEWMAN, volumi I-XXXI. Il Patterson vi compare dal vol. XIV al XXXI.
Ne ebbi una riprova negli Stati Uniti trovando una copia di questa prima edizione nella biblioteca del
Seminario di Filadelfia.
901 Figlia unica del Rev. Lashelles Iremorgen, Prebendary di Winchester, e di Harriet, l‟ultima dei figli del vice
governatore delle Bahamas, John Gambier, discendente di un ugonotto emigrato in Inghilterra dopo l‟editto di
276
900
Nel novembre del 1876 fu pubblicata postuma la sua traduzione del Conforto dell‟anima
divota con l‟appendice Sul santo timor di Dio, che ha tutto il sapore di un tributo di riconoscenza
per una grande grazia ricevuta, la pace del cuore, mentre i tentativi di altri erano falliti, uno il
Newman, colui che l‟aveva ricevuta nella Chiesa cattolica insieme al marito ed ad una nipote. Fu
il marito a curarne la pubblicazione e ad inviarne una copia al Newman con queste parole: The
translation was the fruit of the Catholic conviction she attained in her last years. L‟opera del
Frassinetti aveva contribuito a dare pace nella certezza di fede ad uno spirito tormentato dal
dubbio. Questa la risposta del Newman:
Oratorio, 21 genn. 1877:
Mia cara signora Ferrers,902
mi voglia tanto ringraziare il signor Dering per il bel libro che mi ha inviato, santificato per di
piú com‟è dalle circostanze in cui venne pubblicato. È una appropriata commemorazione della cara
lady Chatterton e sono molto lieto d‟esserne in possesso… Questo libriccino deve essere stato per
lui un‟occupazione di grande lenimento… Con i piú distinti ossequi per il signor Ferrers,
molto cordialmente, suo John H. Newman.903
Per il Newman, la traduzione di questo little volume del Frassinetti, ultimo titolo delle 29
pubblicazioni in prosa e in versi della Chatterton, era il piú bel monumento con cui avesse potuto
ricordare la Defunta.904 In una nota a pie‟ di pagina, apposta da Charles Stephen Dessain e
Thomas Gornall, curatori del XXVIII volume delle Letters and Diaries del Newman, leggiamo:
Era The Consolation of the Devout soul di Giuseppe Frassinetti, tradotto da Georgiana
Chatterton, Londra 1876, e pubblicato postumo dal marito Edward Dering. Nella prefazione, datata
novembre l876, il Dering spiega che la traduzione era il frutto della certezza di fede cattolica da lei
raggiunta nei suoi ultimi anni.
Con questa lettera si chiude la lunga corrispondenza che il Newman aveva avuto con la
Chatterton, il marito Edward Dering e la nipote del primo marito Rebecca Dulcibella Orpen,
rimasta attaccatissima alla zia d‟acquisto. Il 9 giugno 1863 il Newman aveva ricevuto due
pubblicazioni della Chatterton: Selections from the Works of Plato, translated, London 1862; e
Reflections on the History of the Kings of Judah, London 1848, insieme ad una sua lettera datata
l‟8 in cui si leggeva: “Per l‟impressione che io ho avuto dai suoi scritti sono spinta a pensare che
lei sarà lieto di aiutare una persona che sta provando quei dubbi in cui lei stesso si è
imbattuto”.905 Povera Chatterton, i dubbi la tormenteranno ancora fin quasi alla vigilia della
morte. A darle certezza e pace, a detta del marito, contribuí il libriccino del Frassinetti da lei
tradotto. Benché da anglicana possedesse “una ferma fede circa le verità della rivelazione, le
Nantes. Nei Gambier, e nelle famiglie imparentate, tra le quali i Pitt, non si contavano gli ammiragli e i grandi nomi,
basti citarne uno, fratello di Harriet e zio di Geogiana: James Gambier (1756-1833), l‟eroe del Glorious First of
June 1794 per aver rotto con la sua nave, la Defence, la linea della squadra francese nelle acque della Manica, indi
lord de1l‟Ammiragliato durante le guerre napoleoniche, comandante in capo della flotta del Baltico… Nel 1824
Georgiana andò sposa al baronetto William Abraham Chatterton e ne conservò il nome anche quando, rimasta
vedova, passò a seconde nozze con Edward H. Dering, essendosi ormai affermata con tal nome nel mondo delle
lettere con i suoi poemi, romanzi e traduzioni.
902 Rebecca Dulcibella, figlia unica di Abraham Edward Orpen, era nipote del baronetto James Chatterton. Andò
sposa a Marmion Edward Ferrers, discendente da una nobilissima famiglia che risaliva a Guglielmo il
Conquistatore, la stessa dei Derby.
903 The Letters and Diaries of John H. NEWMAN, volume XXVIII, curato da CH. S. DESSAIN E TH. GORNALL,
Oxford 1975, p. 162.
904 Una fotocopia dalla biblioteca del Newman nell‟Archivio Frassinetti.
905 Letters and Diaries ne riportano 73: 47 alla Chatterton, 18 al marito, 7 alla nipote, signora Ferrers.
277
controversie apparse su Essays and Reviews l‟avevano distolta dalla Chiesa d‟Inghilterra e le
facevano
vivamente desiderare che la chiesa visibile, che rappresenta la cristianità, fosse tale da
rispondere nel modo piú attraente ai fini cui essa è destinata. Cosa che realizza la Chiesa romana
per il maggior numero degli aspetti...
Ma nella Chiesa romana, per la conoscenza che ne aveva fatto nel Belgio e in Italia, aveva
notato cose di cattivo gusto ai suoi occhi. Nel Belgio il modo con cui erano adornate le statue della
Vergine da parere delle bambole, a Roma, dove alcuni anni prima aveva trascorso due inverni, il
modo in cui certi preti officiavano all‟altare. Il Newman non se ne meravigliò avendo anch‟egli
provato le stesse difficoltà e le rispose che si può essere cattolici romani senza essere cattolici alla
romana, potendo essere cattolici romani all‟inglese. Si può credere con ferma fede quanto c‟è da
credere intorno alla Madonna ed amarla, senza sentirsi tenuto ad esprimere la propria devozione
nelle forme degli italiani, forme che non piacciono alla Chatterton e non piacciono a lui. È l‟inizio
di una corrispondenza che durerà dodici anni fino alla morte della Chatterton.
Il 20 settembre 1865 il Newman con un‟unica cerimonia aveva ricevuto l‟abiura di tutta la
famiglia, accettando nella Chiesa la Chatterton, una sua nipote ed il marito. Ma i dubbi della
Chatterton non erano scomparsi, anche se in quei giorni dovette credere d‟averli superati, e ai
quali il Newman dovette dare l‟ importanza che si usa dare agli scrupoli di un‟anima delicata e
esageratamente timorosa. Chi ha presente il contenuto dell‟operetta del Frassinetti, Il conforto
dell‟anima divota, e soprattutto l‟appendice Sul santo timor di Dio, già intuisce l‟importanza che
questa lettura ebbe nel liberare il suo spirito. È questo, penso, il primo miracolo, ma nell‟ordine
dello spirito, compiuto dal nostro Venerabile.
Il Frassinetti tra gli armeni
G. FRASSINETTI, Yisus Khristos Kanon Khahanayin, tradotto da YOVHANNES NAZLIAN,
Venezia, Stamperia dei Padri Mechitaristi, in occasione del suo giubileo sacerdotale 1898-1923.
Un libretto 216 pagine di cm. 8,5x12 trovato tra carte ammonticchiate destinate prima o dopo a
finire nei rifiuti. I caratteri armeni della copertina fanno un bel vedere, ma leggerli... Il numero
dei capitoli e la loro ripartizione, il succedersi delle lettere uguali nel nome dell‟autore – ss i tt i –
facevano chiara spia che si trattava di uno dei piú fortunati scritti del Frassinetti: Gesú Cristo
regola del sacerdote. Una visita al Pontificio Collegio Armeno e tutte le curiosità furono
soddisfatte da Mons. Giuseppe Kaftangian. Se conosceva libro e traduttore! E che uomo il
traduttore! Dominava l‟italiano in modo perfetto, e il greco ed il latino. Scriveva versi che si
sarebbero detti di Virgilio. Aveva vissuto con lui a lungo nel Collegio Armeno dove era giunto
giovinetto nel 1924 e dove in quegli anni si trovava anche Mons. Giovanni Nazlian, 906 il
traduttore, uno scampato ai massacri di cristiani armeni perpetrati dai turchi durante la prima
guerra mondiale. Un genocidio di cui nessuno parla: 600.000 i cristiani trucidati, un terzo della
popolazione, un altro terzo deportato e solo un terzo riuscí a porsi in salvo. Di 250 sacerdoti del
patriarcato cattolico 126 i massacrati, 5 i vescovi, altri due periranno in esilio per le conseguenze
delle malversazioni, di un altro non si seppe piú nulla. 175 le suore fecero una ugual fine.
Perché?, perché sterminare tutto un popolo per qualche migliaio di agitatori? Domanda a cui un
ufficiale del sultano rispose: “Se sei punto da una pulce, forse che non le uccidi tutte?”. Neppure
i bambini furono risparmiati. Talaat-bey, ministro degli interni, aveva dato ordine di uccidere
anche loro perché, crescendo, potevano diventare rivoluzionari. Mons. Nazlian si trovava a
Lourdes e non gli fu possibile tornare in patria per lo stato di guerra che contrapponeva la
906
278
Piú comunemente traslitterato Naslian, alla Francese, cosí anche in AAS.
Turchia con Austria e Germania alle potenze dell‟Intesa. In quei tristissimi anni d‟agonia il libro
del Frassinetti Gesú Cristo regola del sacerdote gli fu forza per essere sacerdote ad immagine di
Cristo e lo tradusse in armeno per dar coraggio ai confratelli sopravvissuti al massacro,
facendone loro dono in ricordo dei vescovi e sacerdoti che avevano testimoniato Gesú Cristo con
il sangue, come attesta nella dedica firmata con tutti i suoi titoli: “Ordinario di Trebisonda,
Vicario generale del patriarcato armeno cattolico, Visitatore apostolico”. Era nato il 28 gennaio
1875 e chiuse gli occhi arcivescovo titolare di Tarso tra la sua gente rifugiata nel Libano il 15
settembre 1957.
Il capitolo si è fatto lungo per parlare delle molte e ripetute traduzioni in francese ed in
tedesco, nonché in altre lingue. 907 Si è a conoscenza di traduzioni in una dozzina di lingue, le già
citate ed in portoghese, polacco, ceco, slovacco, ruteno, vietnamita. La rumena merita una riga a
parte perché in essa fu fatto tradurre da un vescovo ortodosso quando il Concilio Vaticano
Secondo era di là da venire e di ecumenismo si parlava da pochi. Il 12 settembre 1928
l‟Archimandrita Chesarie Paunescu scriveva alla Tipografia Poliglotta Vaticana:
Nel desiderio di porre nelle mani dei lettori rumeni l‟opuscolo di Frassinetti: Gesú Cristo regola del
sacerdote vogliamo intraprendere la sua traduzione in rumeno. Preghiamo, dunque gli egregi signori editori
accordarci il permesso di tradurre e stampare in rumeno questa traduzione. In aspettazione di una risposta
favorevole, vogliano gradire i sensi della piú perfetta stima, con cui abbiamo l‟onore d‟essere della V. .S.
Devotissimi ed obbligatissimi
Chesarie Paunescu, archimandrita, Husi
Dr. Petre Vintilescu, prof. Bucaresti
La Tipografia Vaticana passò la richiesta al nostro Padre Generale che fu lieto di accordare
l‟autorizzazione. Purtroppo, per quanto abbia cercato, non sono riuscito a rintracciare copia della
versione.
907
Nella storia del Frassinetti ci siamo incontrati un paio di volte con Francisco Cabrera, di nobilissima famiglia
spagnola, di quei, per capirci, che dopo avere scritto: duca, conte, marchese, per non farla troppo lunga sogliono
aggiungere ai propri titoli ecc. ecc. ecc. Non ancora sacerdote s‟era potuto salvare con una fuga avventurosa dalla
matanza de los frailes del 1835: Cordoba, Gibilterra, Malta, Roma, Genova dove fu colpito dai membri della Beato
Leonardo e ne entrò a far parte. Nel 1843 aprí un convitto ecclesiastico con l‟aiuto del Frassinetti per una trentina di
spagnoli che partecipavano a tutte le sedute dell‟Accademia. Nel triste marzo 1848 dovette pur lui darsi ad una fuga
avventurosa. Ricompare gesuita il 19 aprile 1864 con una lettera al Frassinetti da León: “Dopo tanto tempo che
nemmeno sappiamo l‟uno dell‟altro se viviamo…” e gli comunica che sta traducendo in spagnolo il suo Avviamento
dei giovinetti nella divozione di Maria: “che spero diffonderlo in questo mese di Maggio”. Si noti: non chiede
licenza di tradurre. Quante altre versioni si sono fatte di cui non ci è giunta notizia?
279
CAPITOLO XLIX
VERGINE MARIA, MADRE DI GESÚ, FATECI SANTI
Una invocazione dei primi Figli di Maria, religiosi al secolo, ripetuta per cinquanta volte all‟inizio delle
loro adunanze quindicinali, corona in mano, intercalando un gloria ogni dieci invocazioni.908 Da loro
passò nella Casa dei Figli di Maria dei giovani avviati al sacerdozio, detta a conclusione delle preghiere
del mattino. Per anni e anni si sono sentiti due cori alternarsi, uno richiamava l‟ attenzione della Vergine
perché ascoltasse i suoi figli che avevano da dirle qualche cosa che stava loro molto a cuore, come usano i
bimbi con la mamma, l‟ altro coro formulava la richiesta, invertendo le parti ogni dieci invocazioni:
“Vergine Maria, Madre di Gesú” / “Fateci santi!”, per fermarsi solo all‟ultimo granello della corona. Ogni
dieci invocazioni il Gloria in onore della Santissima Trinità per sottolineare che si chiedeva santità per
rallegrare il cuore di Dio. Poteva la Vergine essere sorda a richieste cosí sante e insistite dei suoi figli?
Coroncina cara al Frassinetti. La prese dal “Cottolengo” dove all‟Angelus del mezzogiorno e della sera,
malati e sani, vecchi e giovani, tutti i giorni bussavano per santità al cuore della Vergine ancor piú che per
il pane del giorno.
Il Frassinetti ne illustra il valore sostanzialissimo, perché si chiede a Dio ciò che egli vuole che gli si
chieda: diventare santi,909 ed elimina il pregiudizio
della troppa difficoltà e quasi impossibilità che vi sia a farsi santi, cioè a servire Iddio con
perfezione nel proprio stato, il secolare da secolare, il religioso da religioso, il coniugato da
coniugato. Abituandosi invece a domandare con replicatissime istanze la grazia di farsi santo,
908
909
280
Regola della pia Unione dei Figli di Maria Immacolata, § 8
1 Tess 4,3.
ciascuno si troverà naturalmente persuaso che questa è grazia da potersi ottenere da tutti, come da
tutti si può domandare.
Una coroncina per far nascere il desiderio del paradiso. Il Frassinetti, dandola a recitare ai primi Figli di
Maria religiosi al secolo, si fa forte di sant‟Agostino: “Signore, se non ascolti tale preghiera, quale
preghiera ascolterai mai?”. Ottenuta tale grazia, con essa vengono tutte le altre,910 e conclude: “Chi
meglio si adopererà per far sí che si domandi da molti la grazia di farsi santi, piú facilmente l‟otterrà per
se stesso, non permettendo Dio che alcuno resti privo per sé di quel bene che procura agli altri”. Non è
facile contare quanti, leggendo le sue opere, si sono innamorati della santità credendola possibile anche
per loro. Bastino due nomi: la sorella santa Paola e santa Maria Mazzarello. Si può quindi ben concludere
che la grazia di diventare santo certamente il Frassinetti l‟ottenne pure per se stesso, di santo in cielo,
perché non credo abbia mai pensato di vedersi posto su altari qui in terra e gente inginocchiata a pregarlo.
La glorificazione qui in terra non è un aumento di gloria per chi è lassú, ma un aiuto che la Chiesa offre a
noi di quaggiú per invogliarci ad imitarlo, perché anche noi si ripeta con sant‟Agostino: “Se questi e
quelle, perché non io?”, e giovarci del loro patrocinio. Ed anche, perché no?, da studenti chiedere di
essere promossi e soccorsi nelle mille altre occorrenze in cui si sente di non farcela da soli. Per andare
incontro a questo nostro santo desiderio, farci il cuore alle cose di lassú, ed avere una mano che ci aiuti
quaggiú, fin dai tempi antichi la Chiesa ha favorito il culto dei santi. Di alcuni ci dà la garanzia che sono
certamente lassú. Sono i santi canonizzati dopo un lungo processo.
Il riconoscimento da parte della Chiesa
Il processo di canonizzazione del Frassinetti si è concluso il 14 maggio 1991 con la
dichiarazione dell‟eroicità delle sue virtú. Ora manca solo la conferma dall‟Alto, ossia un
miracolo riconosciuto dalla Chiesa per essere dichiarato beato, ed uno per essere dichiarato santo
e proposto alla venerazione di tutti i fedeli. Del Frassinetti ce ne sono già stati, ma non tali da
presentarsi al rigoroso esame della Chiesa con buona speranza di superarlo. Qui cade a proposito
un adattamento al caso nostro delle parole di Paolo ai Romani: “Come invocheranno uno in cui
non hanno creduto? e come crederanno in uno che non hanno udito? E come udiranno senza
predicatore”,911 parole che possiamo cosí ricalcare: “Come si può invocare grazia da un servo di
Dio che non si conosce? E come può essere conosciuto se ne parlano pochi e poco?”. Siamo in
molti a dover dire: Mea culpa, mea maxima culpa. Si sono già riportate le parole udite dalla
bocca di Don Orione quando fu sconsacrata e venduta la chiesa di Santa Sabina:
Sono pronto ad andare elemosinando in tutte le chiese per riscattare alla diocesi di Genova il
sacro edificio. Il Servo di Dio sarà elevato agli onori degli altari e i genovesi non avranno la sua
parrocchia e la sua canonica. È un po‟ loro colpa, se la sorella Paola lo ha preceduto nella gloria
degli altari.
La Positio
La fonte precipua, a cui si attinge per narrare la vita di un santo, è la Positio, come viene
chiamata la sintesi delle testimonianze giurate raccolte durante il processo di canonizzazione che
il relatore della causa presenta ai teologi consultori perché le esaminino. Se l‟esame è favorevole,
il cardinale ponente presenta il loro giudizio alla Commissione dei cardinali e vescovi per la
dichiarazione dell‟eroicità delle virtú del Servo di Dio. Su di essa, se favorevole, si basa poi il
Pontefice per dichiarare che il Servo di Dio praticò tutte le virtú in grado eroico. Tale
dichiarazione gli conferisce il titolo di venerabile.
910
911
Lc 12,31.
Rm 10,14.
281
La Positio è il risultato di mille inchieste ed esami durati spesso decenni; per il Frassinetti dal
1916 al 1990. Purtroppo, quando nel 1916 si aprí il processo di canonizzazione erano già
trascorsi quarantotto anni dalla sua morte. Quale il perché di tanto ritardo? Uno, forse, la
mancanza di fatti strepitosi che ancora si pensavano connaturali in un santo da altare. Rivelatrice
la reazione del fratello don Giovanni Frassinetti quando seppe che le suore dorotee volevano
introdurre la causa per la canonizzazione della sorella Paola. Nei pressi di Campetto, il cuore
della vecchia Genova, in quel formicolare di gente a tutte le ore del giorno, aggredí ad alta voce
ed in pretto genovese la madre generale delle dorotee: – A mæ sêu santa? A mæ sêu santa! –.912
Che la sorella fosse una santa suora nessun dubbio, e mai le aveva negato il suo aiuto con ripetuti
viaggi a Roma, ma non riusciva a capacitarsi che potesse essere santa da altare. Mia sorella
santa! Fu poi uno dei testimoni al processo di canonizzazione. Altra ragione sarebbe stata la
grande povertà della Pia Opera dei Figli di Maria in quei suoi primi decenni di vita che non
permetteva di affrontare le molte spese.
Le testimonianze
Un documento prezioso è il profilo che il Servo di Dio scrisse alla morte di don Luigi Sturla,
amico piú che fraterno.913 Furono cosí legati tutta la vita che dire Frassinetti era dire Sturla e dire
Sturla era dire Frassinetti, insieme additati all‟ infamia da Gioberti nel Gesuita moderno, fino ad
equivalersi gli insulti sturlista! e frassinista!914 Parla dell‟amico di recente scomparso, ma quel
che dice di lui, a parte la divisione dei compiti e la casuale separazione nell‟ora della
persecuzione, si può considerare detto di se stesso.
Quando nel 1916 fu aperto il Processo i testimoni de visu chiamati a deporre avevano
conosciuto il Servo di Dio da giovani perciò in grado di riferire piú che altro dell‟edificazione
che ne avevano ricevuto; i testimoni ex-auditu, riferirono il gran bene che ne avevano sentito dire
dai vecchi che non cessavano di parlarne. Si poté addurre un‟altra testimonianza di grande
valore: una breve vita tracciata da Domenico Fassiolo a undici anni dalla sua scomparsa.915 Il
Fassiolo doveva al Frassinetti l‟aver potuto diventare sacerdote, essendo stato da lui accolto nella
sua canonica, chierico in difficoltà, e, ancora chierico, ne aveva ricevuto l‟ ultimo respiro. Nel
suo scritto si avverte il fascino che l‟umile Priore di un‟ umile parrocchia aveva esercitato su di
lui negli anni di vita comune.
Testimonianze edificanti quali può rendere il popolo semplice. Quei che del Servo di Dio
avrebbero potuto dire il piú ed il meglio, e di che statura egli fosse stato, erano già tutti morti:
l‟arcivescovo Magnasco, il cardinale Alimonda, don Pestarino, la Maccagno, i fratelli sacerdoti,
912
Un ricordo personale di quanto ci raccontava il padre generale Giacomo Bruzzone che da chierico aveva
conosciuto Giovanni Frassinetti. Se ne trova conferma nella Positio Servæ Dei Paulæ Frassinetti, Animadversiones,
p. 11.
913 G. FRASSINETTI, Memorie intorno alla vita del sac. Luigi Sturla, opera postuma, Genova 1871, pp. 95.
914 Per la voce “Sturlismo” vedi V. GIOBERTI, Il Gesuita moderno, vol. V, in Tavola e sommario il sottotitolo al
cap. XIX e, nel testo, a p. 279; vol. VI, cap. XXIII p. 186, nell‟Edizione Nazionale delle Opere edite ed inedite, a
cura di M. F. SCIACCA, Milano 1940-1942; per Frassinisti e Sturlisti vedi P. TACCHINI, Sopra i documenti inseriti
nella “Notizia biografica volgarizzata di mons. Andrea Charvaz” – Nuove osservazioni al Revdo canonico Enrico
Jorioz, Genova Tip. della Gioventú, 1872, p. 13; A. COLLETTI, Ausonio Franchi e i suoi tempi, Torino 1925, p. 40;
per gesuitanti vedi G. FRASSINETTI, Memorie intorno…, citate, p. 54. Già il Gianelli, vescovo di Bobbio, il 4 ottobre
1842, scrivendo a don Giuseppe Botti, chiamava i congregati della Beato Leonardo “Frassinettisti”, A. GIANELLI,
Lettere, Vol. III, 1978, p. 201.
915 D. FASSIOLO, Memorie storiche intorno alla vita del sac. Giuseppe Frassinetti, Priore a S. Sabina in Genova,
Genova 1879, pp. 207.
282
la sorella santa, il tipografo Pietro Olivari, san Giovanni Bosco, santa Maria Mazzarello, il
moralista Ballerini ed altre sante persone come don Francesco Montebruno, don Giacinto
Bianchi e sant‟Agostino Roscelli, il beato Tommaso Reggio, le beate Rosa Gattorno ed Eugenia
Ravasco, alcuni dei quali erano stati con lui cor unum et anima una, e tutti gli dovevano molto,
alcuni moltissimo. Anche i soli nomi, alcuni dei quali già venerati come santi ed altri sulla via di
esserlo, sono un‟alta commendatizia. Si aggiungano le lacune di documenti che nella Positio non
furono presi nella dovuta considerazione. Innanzi tutto l‟apologia con cui il Frassinetti difese la
Congregazione del Beato Leonardo da accuse e calunnie. Per quanto studiasse di non mettersi in
risalto, pur rifacendone la storia col distacco dello storico, non poté non parlare di se stesso. A
tale ragguaglio si debbono aggiungere le risposte di chiarimento inviate alla sorella ed al vescovo
di Albenga nella triste circostanza di una condanna ad un corso d‟esercizi inflittagli dal suo
vescovo con pubblicità da farne parlare perfino a Roma, persino dai giornali in Francia! L‟una e
l‟altro gli avevano scritto allarmati. Nelle risposte racconta con distacco la penosa storia e le
mortificazioni subite per un bene compiuto. Per il biografo sono una fortuna, come è una fortuna
per tutti i cristiani l‟essere stato costretto l‟apostolo Paolo a difendere piú volte il suo operato. 916
Senza quelle difese ci sarebbero rimaste ignote le pagine piú belle della sua vita. Esiste infine
una fonte non sfruttata come ci si sarebbe aspettato: le sue opere. A leggerle bene, prime fra tutte
Gesú Cristo regola del sacerdote ed il Manuale del parroco novello, scritti avanti negli anni,
sono la sua piú bella biografia.
Se ne ha la riprova nelle litteræ postulatoriæ, le lettere cioè con cui si chiede di poter
introdurre il processo apostolico. Uno dei nove teologi consultori mostra il suo stupore per il
numero e, ancor piú, per il nome di chi scrisse tali lettere ed i motivi che ciascuno addusse. C‟era
l‟episcopato italiano al gran completo, e non “con una semplice firma di sottoscrizione – afferma
–, ma con chiaro giudizio personale, per ogni petizione, cosa davvero singolare”. 917 Quelle firme
appartengono a 10 cardinali, 52 arcivescovi, 136 vescovi, dei quali alcuni saranno onorati della
porpora; 24 superiori generali, tra cui il servo di Dio Paolo Manna; e poi il Gemelli; e 47 padri
gesuiti della Gregoriana, tra i quali i padri Cappello e Vermeersch, che affermano di lui:
Theologia morali optime meritus e poi anche 46 padri gesuiti dell‟Università di Lovanio con la
firma ripetuta del Vermeersch:
Questo santo sacerdote – attestano–, che illuminò con la sua virtú e con i suoi scritti il secolo
scorso, ben può essere indicato come modello di ogni classe di persone: dei parroci per il suo zelo
illuminato ed ardente; dei sacerdoti tutti per il suo ministero dolce e caritatevole, cosí fecondo di
sante iniziative, e per il suo spirito di lavoro e di studio; delle anime che tendono alla perfezione
evangelica per lo spirito di santità e di fervore infuso nelle sue molteplici istituzioni; delle anime
che vivono tra i pericoli del mondo per la sua intemerata purezza ed il suo amore alla Santissima
Eucaristia. Ma a noi, Figli di S. Ignazio, in modo particolare sta a cuore la glorificazione del Servo
di Dio, per il triste retaggio di dolori e di persecuzioni che dovette subire dai nemici della Chiesa
cattolica per la sola accusa di aver difeso la Chiesa cattolica e la Compagnia di Gesú. Ma piú
ancora per la venerazione e l‟amore di cui circondarono la sua persona i Superiori e i Padri della
nostra Compagnia.918
Tutta gente, questa, che lo aveva conosciuto dalle sue opere e vi aveva avvertito una perfetta
rispondenza tra quel che scriveva e ciò che egli era. Il Frassinetti, di fatti, non fu un teorico della
spiritualità, né studiò pagina per puro amore di cultura religiosa. Era troppo genovese puro
916
1 Cor 4,6-21; 9,1-27; 2 Cor capitoli 10-12; Gal 1,6-22.
RV, Voto IX, Roma 1990, p. 68.
918 POS.D, Epist. Postul., p. 1-69. I passi citati a p. 66bis e a pp. 59-61.
917
283
sangue, per crogiolarsi di astrazioni e aggiungere teorie a teorie. Una teologia, la sua, applicata
alle situazioni concrete delle anime, una teologia tutta ordinata alla santificazione propria ed
altrui. Per linee semplicissime, e da lui vissuta.
Relazione di un miracolo attribuito
all’intercessione del ven. Giuseppe Frassinetti
Notizie di grazie ricevute ce ne sono diverse, alcune già riportate da CARLO OLIVARI, Il Servo
di Dio, Sac. Giuseppe Frassinetti, pp. 339-342, e da FELICE FALDI, Il Priore di S. Sabina, pp.
205-212. Qui aggiungiamo una relazione giuntaci da poco dal Cile:
Io, Maria Cecilia Baier [RUT: 4-956-790-8], di nazionalità cilena, vedova con due figli, (una medichessa
di 36 anni, l‟altro ingegnere di 35), domiciliata in Eloisa Díaz, 5913, Santiago de Chile, attesto quanto
segue:
Il 24 agosto 2001 fui operata nella clinica Indisa d‟un tumore interno sanguinante (isteroctomía totale).
Fui operata dalla dottoressa Signora Margarita Busquet.
L‟operazione, al dire di mia figlia medichessa, fu eccessivamente lunga e sanguinosa. Terminata
l‟operazione, fui trasferita nel reparto intensivo della stessa clinica. Risvegliandomi dall‟anestesia ricordo
bene le persone lí presenti. Dopo quella notte passarono mesi in cui fui in coma profondo.
La gravità del mio stato fu prodotta da una perforazione durante l‟operazione e che interessò tre parti
dell‟intestino grasso. Ne conseguí una setticemia per i rifiuti organici diffusisi nell‟interno del corpo.
Tre giorni dopo l‟operazione, la mia famiglia decise di trasferirmi alla clinica Alemana, dove rimasi fino
al 20 dicembre 2001. In questo periodo fui curata da molti medici, tra cui i dottori Mario Caracci, che mi
sottopose a quattro operazioni, e i dottori Iván Caviedes, Ivo Tomicic, Claudio Canals, Cristian Barria,
Patricia Apt, Luis Córdova e molti altri. Tutti costoro, insieme alla cartella clinica conservata nell‟UCI
della clinica, possono testimoniare quanto io attesto.
Durante tale periodo ebbi, oltre a due interruzioni di respirazione, una interruzione cardio-respiratoria che
stava per causarmi la morte. Il Dr. Descalsi, presente in quel momento alle tre del mattino, mi applicò un
rianimatore e in un attimo tutti i medici si interessarono della situazione. Per fortuna riuscirono a
rianimarmi.
Durante tutto il tempo che mi trovai in coma profondo, ebbi un unico sogno. Sognai tutto il tempo mio
marito defunto che stava sull‟orlo di un grandissimo abisso, rotondo e profondo, a forma di imbuto. Di
fronte v‟erano molte persone di ogni età che giravano intorno. Mio marito mi fece un cenno con gli occhi
ed io feci un passo con paura. In quel momento sentii come un parlottare alle mie spalle d‟uno che
s‟avanzava preso d‟angustia. Mi prese per la vita dicendo “Via di qui!”. Era vestito con una lunga sottana
nera, nere le scarpe e con mani forti. Mi posò in un luogo solitario con foraggio secco. Non avevo nulla,
camminai, corsi ed il sogno svaní.
Nel gennaio del 2002, mentre mi andavo rimettendo, mi muovevo per la casa su una sedia a ruote. Entrai
in una stanza e vidi una stampa di padre Giuseppe Frassinetti. Sentii un colpo al cuore e capii, vedendo il
suo abito, che era stato lui, col favore di Dio, a salvarmi dalla morte. Domandai da dove fosse uscita
quella stampa e mi dissero che il parroco della mia parrocchia (San Patricio, curata dai Figli di Maria),
padre Giuseppe Cicconi, era venuto a visitarmi ed aveva posto l‟immagine sotto il cuscino. Mia madre la
trovò il giorno dopo tra le lenzuola. Pregò il padre Frassinetti con fervore per tre giorni. Al terzo giorno
aprii gli occhi ed ebbe inizio la guarigione.
Oggi sono guarita e non ho parole per ringraziare questa santa persona che con la grazia di Dio mi salvo
la vita.
Cecilia Baier Soissa
Santiago, gennaio 2003.
284
Un invito, questo, a chi ricevesse una qualche grazia per intercessione del Servo di Dio a volerla
notificare al Postulatore della Causa: Via del Mascherone ,55 – 00186 Roma. Di diverse ci è giunta la
notizia, ma si è invano atteso che ci si inviasse la documentazione.
CAPITOLO L
IL PRIORE NEL RICORDO DEI GENOVESI
Aggiungiamo qualche testimonianza resa al processo di canonizzazione da gente che a distanza di tanti
anni ne teneva vivo il ricordo.
1. Il can. Cesare Danese conobbe il Frassinetti da adolescente, frequentò le sue adunanze settimanali ed
ebbe occasione di parlargli molte volte. Ricorda la grande stima che godeva come confessore e direttore
di anime. Nel vestire non presentava nessuna ricercatezza. Quando, un dieci anni dalla morte, gli successe
come parroco, ne sentiva dire ancora tanto bene, ma la vita parrocchiale non era piú come ai tempi del
Frassinetti.919 Durante il suo parrocato diversi prelati e vescovi erano andati a visitare la chiesa e la
canonica in omaggio alla memoria del Frassinetti parlandone con ammirazione. Il cardinale Schiaffino
volle celebrarvi la Messa.
2. Il sacerdote Emmanuele Montaldo lo ha conosciuto solo di vista, ma letto le opere, specialmente il
Parroco novello che ha pure diffuso per la praticità dei suoi insegnamenti. Ha udito persone che lo
dicevano un novatore perché divulgava il sistema morale di S. Alfonso e la molta frequenza alla
comunione in S. Sabina, ricevuta anche quotidianamente, in vivo contrasto con le dottrine dei rigoristi.
Una teologia che però gli pare piú rispondente ai bisogni delle anime. Aveva partecipato a tornate
accademiche sentendolo parlare De Censuris “come recitasse il Pater Noster”. Lo ricorda sacerdote dotto
e pio.
3. Antonio Parodi, Can. Decano del Rimedio, da seminarista ne sentiva parlare da una sua zia superiora
delle Figlie di Maria e da altri sacerdoti che lo dicevano di santa di vita. Aveva conosciuto anche i tre
fratelli sacerdoti. Può affermare che “Il Frassinetti rappresentava il fulcro del movimento del clero, della
vita religiosa delle varie Congregazioni… la Chiesa di S. Sabina era punto di convegno non dei soli
parrocchiani, ma di tutte le anime buone, desiderose di perfezione… Quelli del clero e del laicato, che
avevano avuto qualche consuetudine di vita col Frassinetti, quando glie ne parlavano, usavano termini che
denotavano la loro ammirazione per lui, come uomo di Dio, zelante della sua gloria e della salvezza delle
anime” Se nel seminario si cominciò a fare la comunione frequente e quotidiana si dovette a sacerdoti che
avevano fatto proprio l‟insegnamento del Frassinetti.
919 Il primo successore, malandato in salute, non aveva potuto molto accudire alla parrocchia e quindi “la vita
religiosa si era di molto assopita”.
285
4. Ecco come un aiuto farmacista racconta la sua chiamata al sacerdozio:920
Sentii parlare molte volte del Frassinetti nella farmacia Danese, dove io passai tredici anni come
apprendista. Spesso si parlava del Frassinetti come di un uomo che lavorava nel campo del bene.
Venni a conoscere il Frassinetti per strada. Fu lui stesso che mi avvicinò e mi chiese se lo
conoscessi. Risposi di no. Mi domandò se avessi sentito mai parlare di un Frassinetti. Risposi di sí,
ma che non lo conoscevo. – Sono io – soggiunse: e mi disse se volevo accompagnarlo a far parte
della sua Congregazione. Risposi che i miei doveri mi vincolavano troppo e che non potevo perciò
aderire al suo invito. Lo incontrai poi per istrada altre volte e mi si accompagnava e mi rinnovava
l‟invito. Morto che fu il mio principale…cominciai a frequentare detta Congregazione… Rimasi in
relazione tre o quattro anni, durante i quali di tanto in tanto mi recavo alle adunanze.
Ricorda l‟opera dei Religiosi al secolo di cui fece parte e dei loro raduni a S. Sabina. Parla anche
dell‟opera delle Figlie di Maria:
Le giovani si radunavano lavorando ognuna secondo le proprie attitudini e insegnando il lavoro
ad altre ragazze che raccoglievano intorno a sé, e che conducevano poi alla dottrina, alla pratica dei
Sacramenti, all‟esercizio della vita cristiana… Anche la casa della Provvidenza credo che abbia
avuto origine dallo zelo del Frassinetti perché la Virginia Avio, come la Teresa che si dedicò alla
casa della Provvidenza, erano penitenti dal Frassinetti…[Credo] che di tutte queste opere
l‟ispiratore e la mente direttrice fosse il Frassinetti.
Conclude la deposizione ricordando l‟origine del Figli di Maria, di cui fu parte fino al sacerdozio prima
che l‟Opera diventasse congregazione religiosa.
5. Vincenzo Stronello da giovane, prima di sposarsi, era stato Figlio di Maria dal 1864 al 1866. Aveva
fatto parte anche della Congregazione di S. Raffaele, recandosi la domenica ad insegnare la dottrina ai
ragazzi. La domenica il Frassinetti teneva conferenze spirituali ai Figli di Maria nella canonica di S.
Sabina, ricordate come conversazioni familiari in cui ognuno poteva rivolgergli domande per avere
schiarimenti. Vi si andava volentieri perché le conferenze erano di conforto e di edificazione. Lo ricorda
come un uomo zelante della gloria di Dio, di carattere piuttosto riservato, pronto al sacrificio. Uno che
avrebbe sacrificato la propria vita per la fede. Peccato che il processo di canonizzazione sia iniziato con
tanto ritardo!
6. Giovanni Giuseppe Chiola, padre di famiglia, commerciante. L‟aveva conosciuto personalmente da
adolescente. La sua famiglia non faceva cosa senza consigliarsi con il Priore. A lui ricorrevano non solo i
suoi genitori, ma anche suoi parenti ed amici di famiglia stimandolo consigliere illuminato e prudente,
specialmente quando c‟era da decidere la scelta di stato dei giovani, cosa in cui il Servo di Dio era stimato
specialista. Per lungo tempo usò confessarsi dal fratello Raffaele, ma non mancava di avvicinare spesso il
Priore per chiedergli se poteva sentire la confessione della sorella,921 ed il Priore gli chiedeva se andava a
messa e se stava attento alle prediche. Le ricordava ancora: brevi e sostanziose, e viva l‟impressione che
gli suscitavano. Piú ancora di quel che ha visto cogli occhi suoi e toccato con le sue mani, è ciò che di lui
dicevano in casa, specie la sorella. Conoscevano la famiglia Frassinetti modesta di condizione. Di essa
sapevano tanto, e dei figli, anche di quando erano ancora piccoli. Una famiglia di santi. Sa che Giuseppe
era stato d‟esempio ai compagni – da ciò si può argomentare che il padre fosse stato un suo compagno –,
sa che aveva cominciato i suoi studi con Padre Angelico, un francescano secolarizzato quando la
Rivoluzione espropriò i conventi cacciandone i frati, noto predicatore, da lui stesso conosciuto ed
avvicinato per chiedere qualche aiuto nei suoi studi. Ricorda che soleva.lamentarsi dello scarso profitto di
certi scolari cosí diversi da ciò che era stato il Frassinetti. Da alcuni sacerdoti ha poi sentito che il
Frassinetti era uno dei migliori alunni del seminario e che, quantunque d‟indole vivace, riusciva sempre a
920 Antonio Isola era stato presente alla morte del Priore ed aiutò a curarne il cadavere. Ci è pervenuto un suo
racconto della composizione della salma e dei funerali.
921 Posso testificare che mia madre si lodava del Frassinetti come del migliore confessore che aveva trovato per
mia sorella in sostituzione di Mons. Magnasco.
286
dominarsi, uno che fin da studente di teologia emergeva sugli altri per zelo della gloria di Dio e per
l‟impegno che poneva nel prendersi cura dei giovani nell‟oratorio. Un certo Antonio Guano gli
raccontava che il Frassinetti era il piú attivo, il piú capace e di tanta dolcezza e pazienza da apparire
completamente mutato dal ragazzo vivace che era stato.
Ha sentito piú e piú volte che il Frassinetti giovane sacerdote era stato capo e promotore delle
Congregazioni di S. Dorotea e S. Raffaele e che in tali opere si distingueva per singolare zelo ed
operosità. Sa anche che a Quinto, una parrocchia difficilissima a governarsi, dove egli da giovane andava
a villeggiare, era ancora viva la sua memoria di quando vi era stato parroco e del suo zelo. Una sua donna
di servizio di quel paese gli diceva di come il Frassinetti fosse generoso con i poveri da dare in elemosine
quanto aveva e che durante l‟epidemia colerica aveva dimostrato un singolare spirito di carità e di
coraggio ignorando il pericolo. Sa ancora che durante i torbidi del 1848 dovette vivere nascosto ma che
durante tale assenza continuò ad occuparsene anche a rischio di scoprirsi e d‟essere rintracciato. La
sorella gli disse che in casa si pregava per lui perché era dato per spacciato. Al ritorno i parrocchiani di S.
Sabina avrebbero voluto accoglierlo con molta festa, ma temettero qualche rappresaglia. Era piuttosto
breve nel predicare, assai parco nel gesto.
Malgrado questo, egli aveva la dote d‟incatenare l‟attenzione dell‟uditorio, di modo che nessun
rumore turbava mai il raccoglimento. Un predicare che aveva del nuovo e del diverso dai metodi di
predicazione popolare fino allora seguiti. Toccava al vivo i difetti del popolo e della gioventú,
come se vivesse continuamente tra loro. La chiesa era sempre piena. Di giovani saremo stati una
ventina, attratti dalla chiarezza e naturalezza dell‟esposizione, e per i buoni sentimenti che essa
produceva… Nelle sue prediche inculcava con lucidità mirabile la virtú della fede, dicendo che per
essa si deve essere pronti a dare anche la vita. Pel cielo, soggiungeva, si dovrebbe sacrificar tutto…
Dai discorsi che poi si sentivano dalla gente si capiva che le sue prediche producevano buoni frutti.
Sa ancora che il Frassinetti si faceva piccolo coi piccoli, che era modesto e composto nel suo esteriore,
tutto astratto dalle cose di questo mondo, che frequentava le carceri e vi prodigava la propria attività a
favore dei carcerati. Ha sentito dire in famiglia, che all‟epoca abitava vicino alla parrocchia di S. Sabina,
che il Frassinetti l‟aveva rinnovata, avendola trovata assai trasandata. Tanto è vero che i suoi non
permettevano alle donne di servizio di frequentare le vie di quella parrocchia per la consueta spesa
giornaliera. Ha udito da sacerdoti che i preti avrebbero dovuto far capo al Frassinetti per la dottrina e per
come svolgere il ministero. Tra gli altri Monsignor Formica, vescovo di Cuneo e don Luigi Revelli, suoi
congiunti, dicevano che per la formazione scientifica del giovane clero sarebbe stato necessario introdurre
nei seminari la sua dottrina morale. C‟era chi però lo tacciava di novatore.
Ad una sua sorella, giudicandola non adatta alla vita claustrale, consigliò di vivere in famiglia con tutte
quelle pratiche e quelle cautele che possono convenire a una suora. Doveva quindi al Frassinetti l‟esser
vissuta in famiglia fino alla morte in perfetta tranquillità di spirito. Un‟altra sorella, ancora viva,
riconosceva d‟aver attinto singolare conforto dalle prediche del Frassinetti. Ci fu chi gli suscitò contro
delle animosità e qualcuno persino l‟ingiuriò. Contrarietà anche da chi non capiva quel suo insistere su la
comunione quotidiana, definita da taluni, anche del clero, un abuso.
La fama di santità del Frassinetti era rimasta sempre viva nella sua famiglia e nel popolo. Lo argomenta
dal fatto che appena si divulgò la notizia del processo di canonizzazione, si sentí dire che sarebbe stato
assai meglio se la causa del Frassinetti si fosse svolta prima di quella della sorella Paola. Anche lui pensa
lo stesso, anche perché si sarebbero potuto udire testi che conobbero intimamente il Servo di Dio, che
ebbero modo di apprezzarlo e che avrebbero potuto deporre molto sulla sua vita, gente ormai defunta, una
la sua sorella defunta. Mons. Gamberoni, Vescovo di Chiavari, in un colloquio gli manifestò essere sua
persuasione che forse sarebbe stato meglio che la causa del Frassinetti si fosse trattata prima di quella di
sua sorella Paola. Ricorda che cinque o sei anni addietro il Vescovo di Ventimiglia, parlò incidentalmente
del Frassinetti ed espresse il desiderio che fosse elevato all‟onore degli altari.
Gli fu chiesto a chi il Frassinetti aveva lasciato i suoi beni. Rispose di aver udito che aveva lasciato tutto
all‟Istituzione dei Figli di Maria, ma che doveva trattarsi di ben poca cosa, perché il Frassinetti dava tutto
in elemosina e la sua canonica era al di sotto di ogni piú povera canonica di campagna.
287
7. Don Agostino922 sui sedici anni, siamo nel 1860, sentí parlare con tanta stima del Frassinetti
da compagni di scuola. Lo stesso anno glielo fece conoscere lo Sturla, suo confessore, e tutte le
domeniche cominciò a frequentarne la canonica come membro della Congregazione dei Figli di
Maria. Le adunanze vi si tenevano verso le dieci e mezza. Tra i frequentatori ricorda Pietro
Olivari ed altri.923 Vi partecipava anche lo Sturla. Si leggeva, si pregava, poi il Frassinetti
prendeva la parola. Discorsi quanto mai semplici. Ebbe con lui anche incontri privati e piú volte
vi si confessò. Un agente di cambio gli disse che da ragazzo una sua zia lo conduceva a S. Sabina
a sentire le prediche del Frassinetti.924 Nel 1862, entrato nel Seminario, non cessò di avvicinarlo
e chiedergli di quei “suoi libretti che stampava in grande quantità e che distribuiva gratuitamente
e volentieri a tutti”. Conobbe i fratelli e la sorella, soprattutto il parroco di Coronata:
Uomo di santa vita, devotissimo della Madonna e zelantissimo del culto. Don Giovanni era di
carattere un po‟ meno alla mano. Don Raffaele si dedicava in modo speciale ai fanciulli e scrisse
qualche libricino che ebbi anch‟io. La sorella ebbi occasione di conoscerla a Roma.
Sa molto delle Figlie di Maria monache in casa, “penitenti del Servo di Dio”. Sa dei Figli di Maria
essendo in continua amicizia con parecchi di loro.
Posso inoltre testificare che Don Rapallo, defunto prevosto di S. Siro, aveva convissuto col
Frassinetti nella Canonica di S. Sabina, di dove si recava a scuola in Seminario, e credo vi abbia
pure convissuto il Fassiolo che poi fu Arciprete di Arenzano. Ricordo che quando il Frassinetti
ammalò, il Rapallo, allora alunno interno del Seminario, si mostrava tutto piangente deplorando di
non poter uscire per assistere in qualche modo il morente.
Dalle opere del Frassinetti s‟era formato il concetto che dirigesse le anime con criteri piú larghi che
stretti. Ricorda d‟aver udito che in Seminario era criticato dal professore di morale perché nei giorni di
magro tollerava l‟uso di molti operai di prendere brodo di trippa. “Voglio vederlo in Purgatorio,
diceva”.925
Altre testimonianze pescate qua e là alla rinfusa:
Il suo calamaio era una boccettina da pochi centesimi e per penna si valeva di una penna d‟oca.
Il vestito molto dimesso e qualche volta stinto. Nelle scale della canonica ho visto diverse
immagini della Madonna fattevi porre dal Servo di Dio che invitava a baciare… la canonica era di
una grande semplicità. Povertà in tutto: semplici i libri, semplici i mobili, semplicissime le tende di
cotone, roba da pochi soldi… sentivo dire che il vitto era quanto mai semplice e frugale.
Dai discorsi che faceva in congregazione, mi pareva uomo prudente; umile nel tratto, schietto e
mansueto.
Sentii varie volte il Servo di Dio predicare. Ebbi la convinzione che vi si preparasse, ma non ho
notato in lui nessuna qualità particolare atta a destare impressione nell‟uditorio.
Essendo entrato una sera in Santa Sabina vi trovai molta gente e notai che dal pulito si leggeva
la meditazione
922
Santo Agostino Lavagetto, arciprete di S. Quirico, Genova.
Fa il nome di parecchi.
924 Anche il Lemoyne, lo storico di Don Bosco, ricordava da vecchio che la nonna lo portava fin da bambino ad
udire quelle prediche.
925 Questo il testo incriminato: “Molti della povera gente costumano tra noi al venerdí sera di bere il brodo di
trippa, o anche farne zuppa per la famiglia. Questo costume è riprovevole… quindi il confessore dovrà impegnarsi
per quanto potrà, di impedire questo abuso. Tuttavia considerando che quel brodo, poco meno che stomachevole,
non contiene se non pochissima sostanza di carne, non dovrà condannare tale bevanda o pasto di peccato mortale, né
dovrà per questo negare o minacciare di negare l‟assoluzione qualora usassero tale bevanda o pasto per rimedio di
riscaldamento, od anche per non sapere, massime d‟inverno, come rifocillare altrimenti lo stomaco della famigliola
grama. Cita il parere del moralista Gousset per casi simili: “La Chiesa ha pietà dei poveri”.
288
923
Profittava d‟ogni minuto residuo di tempo per dedicarsi al bene delle anime… se usciva di casa
era per qualche opera buona…
Io, che fui sua penitente, ho constatato che era semplice e breve.
Si ammalò il 27 dicembre del 1867, nel quale giorno s‟era recato alla tipografia degli
Artigianelli per correggere non so quale lavoro tipografico. Lo colse il freddo e il male. Volle ciò
nondimeno accudire alle consuete occupazioni del suo ministero, finché il giorno ultimo dell‟anno
o il successivo, sfinito, dovette per forza mettersi a letto… godeva larga stima come confessore e
direttore d‟anime… L‟impressione che si riportava nel sentirlo predicare era quella di un uomo di
Dio.
CAPITOLO LI
CONGEDO
Duole doversi distaccare da Uno con cui si è vissuto tanti anni insieme ripensandone i pensieri
e la vita anche se consolati dalla speranza di andare fra non molto a far parte di quel suo circolo
di amici che gli si è ricomposto lassú, felice dell‟ultimo posto. Prima di posare la penna ancora
qualche sguardo senza troppo badare all‟ordine, e se si è già detto o non detto ancora, chiedendo
scusa se il ritratto che di lui ho fatto è poco felice, come poco felice fu l‟unica fotografia a noi
pervenuta di Uno che fu ritratto vivo di Cristo.
Del Frassinetti si può ripetere ciò che Luca ci ha sintetizzato di Cristo: cœpit facere et
docere,926 per aver anch‟egli vissuto quel che insegnava, meglio: per avere insegnato quel che
viveva. I libri Gesú Cristo, regola del sacerdote e Manuale pratico del parroco novello non ci
fanno rimpiangere il non esserci pervenuta una sua fotografia decente. In essi non si legge ciò
che giovane sacerdote si proponesse di essere, ma ciò che egli fu, il suo vissuto, scritti come
sono negli anni della maturità avanzata, come un voler esortare i sacerdoti a rimodellarsi sul
modello su cui egli si era rimodellato, un dire: “Se io, perché non voi?”. O con l‟Apostolo:
“Rimodellatevi su di me, come io mi sono rimodellato su Cristo”.927 Questa la genesi delle sue
pubblicazioni, sí da potersi considerare brani di una sua autobiografia, cosa che mi fa pensare di
non essere caduto nell‟ arbitrario se nel corso del lavoro mi sono tanto servito dei suoi scritti
vedendovi translucere la sua vita. Le sue pagine sono la sua piú bella e chiara trascrizione.
Un santo vissuto tra la gente
Il Frassinetti non si fece santo in un romitorio. Se non fu del mondo, non visse un sol giorno
fuori del suo mondo. Visse nel mondo anche per tutto il periodo degli studi, avendo frequentato
il seminario solo come alunno esterno. Fu uomo socievole e fece corpo con quanti altri a Genova
ebbero i suoi stessi ideali e con essi fu il lievito della “Beato Leonardo” in cui troviamo i nomi di
quanti poi sarebbero stati il fiore del clero genovese. Attuò il segno dell‟eucaristia dei molti che
si fanno uno in virtú di un unico pane.928 Sarebbe stato uno snaturare la sua storia se lo avessimo
isolato per farne un solista, mentre è il piú bello strumento di un‟orchestra messa su
principalmente da lui e da lui diretta. Ho parlato quindi del maestro e della sua orchestra. Una
storia, almeno nelle intenzioni, a tutto campo. Sua e dei suoi amici nel loro tempo, un tempo a
noi giunto travisato dai testi scolastici e dalla pubblicistica risorgimentale. Di qui la necessità di
926
At 1,1.
1, Cor 11,1.
928 1 Cor 10,17.
927
289
riscrivere quei tempi, almeno quanto basta per comprendere uno stile di vita cosí diverso da
quello dei suoi coetanei, Mazzini, Campanella e Jacopo Ruffini, i due ultimi suoi compagni di
scuola a filosofia.
L’uomo delle amicizie
Nei seminari non c‟era predica in cui non si mettessero in guardia i giovani dai pericoli delle
amicizie particolari, ed ogni amicizia ingenerava il sospetto che fosse tale. Un tenersi lontani dal
focolare per paura di scottarsi. Il Frassinetti ignorava l‟esperienza del collegio. Aveva quella
della famiglia e dell‟amicizia contratta con i compagni di “Rettorica” alla scuola del Gianelli, un
maestro che fu sentito amico dai suoi alunni, e lo restò per la vita. Il Frassinetti sarà l‟uomo delle
amicizie, amicizie pensate come il miglior sostegno vicendevole per santificarsi e santificare, e
lo fu da molto prima che si innamorasse delle opere di santa Teresa d‟Avila. Quando poi sulla
cinquantina scrisse un trattatello di 32 paginette, Le amicizie spirituali, per porre in ombra se
stesso o anche forse per salvarsi dalle critiche di chi la pensava in modo diverso e, ad un tempo,
conferirgli maggiore autorità, aggiunse: Imitazione da S. Teresa di Gesú. Non scoprí le bellezze
dell‟amicizia in età matura. Gli abbiamo visto accanto per l‟intera vita quanti gli furono
compagni negli anni di “Rettorica” alla scuola d‟un Santo.
C’è modo e modo di leggere la storia
Leggere la storia con la mentalità dell‟oggi, anche quella religiosa, anche se è vera nei fatti, è
un condannarsi a non comprenderla, come se, per esempio, ci si dimenticasse che le anime
affidate a quei zelanti pastori erano in gran parte gente analfabeta ed in parte persone appena in
grado di leggere e scrivere come può farlo chi ha frequentato solo qualche classe delle
elementari. Basti questa considerazione per dedurne che il bene operato da un parroco di quei
tempi non si può misurare dal numero delle bibbie diffuse a gente che non ci si sarebbe
raccapezzata, né meravigliarsi del largo spazio dato alle pratiche di devozione per nutrirne la
pietà. I libri a loro destinati dovevano essere tali da potersi comprendere dall‟analfabeta al
sentirseli leggere da chi aveva fatto terza elementare e forse anche meno. Un nutrire di latte chi
era privo di denti atti a masticare cibi duri, ma latte ricco di tutta la sostanza nutritiva dei cibi
duri di cui si nutre l‟adulto.929 Questo spiega nel Frassinetti, a differenza del suo sant‟Alfonso, l‟
assenza del rinvio alle fonti da cui attingeva.
Un pastore è grande non solo per ciò che fu, ma anche per ciò che seppe non essere
Altrettanto errato sarebbe pretendere che nell‟Ottocento i pastori d‟anime guardassero i
protestanti come “fratelli separati” invece che come lupi che venivano ad insidiare la fede del
loro gregge. In realtà, piú che annunciatori della verità, erano individui, non pochi dei quali preti
spretati, coalizzati con anticlericali e massoni, e non di rado essi stessi massoni, contro quanto
sapesse di cattolico. Anche le cose buone, di cui si facevano latori, erano presentate in polemica
con la Chiesa, a voler tacere la somma di calunnie e d‟infamie che lanciavano a piene mani
contro la Chiesa cattolica ed il suo capo. Velare di silenzi la lotta di un Don Bosco o d‟un
Frassinetti contro l‟invadenza dei protestanti, perché non in armonia con l‟odierno movimento
ecumenico, sarebbe un adulterarne la figura. Peggio poi se, dicendo e non dicendo, si volessero
scusare. Questi santi pastori lavorarono alla salvezza del popolo nel mezzo del quale essi
vivevano. Non furono dei teorici da tavolino o dei cattedratici. Nessuna meraviglia, quindi, se si
incontrano forme d‟apostolato che oggi non hanno piú senso, ma la mancanza di tali forme, oggi
929
290
1 Cor 3,2.
morte, sarebbe per loro un grave capo d‟accusa: non aver conosciuto il loro gregge ed averne
disatteso i reali bisogni. L‟apostolo Paolo nutriva di latte chi non era capace di masticare pane.930
D‟altra parte, nel Frassinetti non mancarono semi di iniziative che ebbero del profetico, ma il
nostro Priore seppe non forzarne una crescita fuori stagione, lasciando che la Provvidenza li
portasse a maturazione in questi nostri tempi. Se ne fu mai toccato, egli seppe resistere a tale
tentazione. Cade a proposito una pagina del card. Newman:
Quando ero anglicano, studiando la storia ecclesiastica, mi si concentrava l‟attenzione su come
l‟errore, da cui poi si sarebbe sviluppata un‟eresia, era dovuto all‟aver insistito fuori tempo su un
aspetto della verità non tenendo conto della proibizione dell‟autorità. Ogni cosa ha un suo tempo.
Non sono pochi quelli che desiderano la riforma di un abuso, o lo sviluppo piú pieno di una
dottrina, o l‟adozione d‟un suo personale piano, senza chiedersi se sia quello il momento giusto.
Anzi, sapendo che nessuno si moverà in quella direzione nei suoi giorni, se non è lui stesso a
muoversi, si rifiuta di dare ascolto alla voce dell‟autorità e manda in rovina nel suo secolo un buon
lavoro perché non abbia a compirlo felicemente un altro nel secolo successivo. Un uomo siffatto
potrà passare alla storia come un audace campione della verità ed un martire del libero pensiero,
mentre è proprio una di quelle persone a cui l‟autorità competente dovrebbe imporre il silenzio
anche se la materia non rientra nel campo dell‟infallibilità. Ciò non di meno un tale intervento, per
aver tacitato un riformatore, passerà alla storia come un esempio di tirannica ingerenza nelle
private opinioni… mentre, d‟altro canto, potrebbe venire in soccorso dell‟autorità un violento
partito oltranzista che muta le opinioni in dogmi, avendo soprattutto a cuore l‟eliminazione d‟ogni
corrente di opinione diversa dalla propria… Sono posizioni che si riscontrano sia nei tempi passati
come nei presenti.931
Riflessioni che valgono anche per la pastorale. Il Frassinetti seppe innovare senza forzare o
violentare. Gettò il seme, seppe aspettare il tempo necessario perché germogliasse e non gli
importò se poi altri fossero venuti a mietere nel suo campo.Furono in tanti a mietere là dove il
Frassinetti aveva seminato e s‟era rallegrato nel vedere il campo verdeggiare, come, ad esempio,
la bella fioritura delle Figlie di S. Maria Immacolata di Mornese, con cui si anticipava di quasi
un secolo le congregazioni laicali, divenute poi, morto il Frassinetti, Figlie di Maria Ausiliatrice,
suore secondo tradizione.
Mi sono ugualmente guardato dal presentarlo come un profeta dei tempi nuovi ed anticipatore
del Concilio Vaticano II. Una tentazione a cui era facile cedere per le molte rispondenze tra la
sua pastorale e le prescrizioni e direttive che ci sono state date dal Concilio. Preferisco sia il
lettore a notarle, forse con sorpresa, se la sua conoscenza della religione fosse legata a certa
pubblicistica che gli avesse dato a credere che il Concilio abbia segnato per la Chiesa l‟anno zero
ed operato una conversione ad U rispetto al passato, stabilendo un prima e un dopo fino a
rompere la continuità della storia. La pietra che fa da confine tra il prima e il dopo è Cristo, e
solo Cristo, ed in Lui il prima si ordina al dopo.932
Rispondenze sí, clonazioni no
930
1 Cor 3,2.
931 J. E. NEWMAN, Apologia Pro Vita Sua, General Answer
932 A tanti sembra che, perché risplenda la luce dei tempi
to Mr. Kingsley, in una mia traduzione.
presenti, si debba mutare in tenebra il tempo passato.
Eppure basterebbe entrare in una biblioteca e sostare un minuto innanzi ai 382 volumi del Migne, a non voler tener
conto dei volumi del Supplementum, o leggere una sola questione della Summa, perché nasca il dubbio che i secoli
in cui furono scritte tali opere dovettero essere tutt‟altro che tenebrosi! Non si getterebbe tra i rifiuti ciò che non si
conosce. Il Frassinetti, per innovare nella tradizione, fu un cultore della storia ecclesiastica ed a tale studio esortò
vivamente il clero.
291
C‟è un modo spiccio con cui si usa spesso compendiare la vita d‟un servo di Dio: rapportarlo
ad un santo insigne ed etichettarlo “secondo” dopo di lui, senza precisare a quale distanza e con
quanti altri condivida quel secondo posto. Il Frassinetti è conosciuto come il “Secondo Curato
d‟Ars”. Il primo che affidò alla carta stampata ciò che a Genova era impressione comune, aver
avuto un secondo Curato d‟Ars, fu il genovese Domenico Fassiolo: Io non voglio né sono da
tanto da istituire paragoni, ma se è lecito esternare un mio sentimento, dirò che come la Francia
in questi ultimi tempi si gloria del Servo di Dio, Giovanni Battista Vianney, Parroco d‟Ars…
cosí l‟Italia può ancora gloriarsi del compianto Priore di S. Sabina. Ambedue zelantissimi della
gloria di Dio e della salute delle anime, instancabili nell‟esercizio dei loro pastorali uffici, nulla
mai mostrando di terreno nel loro conversare, nulla che non fosse conveniente al loro sacerdotale
carattere. Se il primo edificò la Francia colle ammirabili opere dell‟eroismo e dei miracoli, il
secondo edificò non meno l‟Italia e l‟estero col portento de‟ suoi scritti e colla grandezza della
sua umiltà….933
Il raffronto fu ritenuto valido, ripreso dai biografi posteriori e riportato dalle enciclopedie
ecclesiastiche italiane e straniere nel profilo del Servo di Dio. 934 Rimase cosí fissata in
quell‟appellativo l‟immagine che del santo Priore si erano fatta i genovesi e quant‟altri erano
passati per Santa Sabina rimanendone edificati. Era la vox populi. Questo l‟aspetto che piú aveva
colpito i genovesi, mentre
dalla molteplicità di quello che scrisse: dove si ha tanta copia di cose, – annotava lo Stendardo
Cattolico, l‟otto gennaio 1868, una settimana dalla morte del Servo di Dio –, avrà supposto, chi non
fosse Genovese, non aver atteso egli quasi mai ad altro che scrivere.935
No, non c‟è santo che non sia stato lavorato da Dio con genialità ed estrosità da risultare un
unicum irripetibile. Ci possono essere rassomiglianze piú o meno accentuate, come si riscontrano
tra fratelli, un marchio di fabbrica, fotocopie no. Il raffronto è valido solo se precisato, come del
resto fa lo stesso Fassiolo nel passo sopra riportato, e farà, ad esempio, il tedesco Konrad
Hoffmann:
Mediante la predicazione, la catechesi, il confessionale ed associazioni religiose per le varie
categorie, il Frassinetti rinnovò stupendamente la vita morale della sua parrocchia col fervore ed il
successo d‟un Vianney.936
Un paragone che egli restringe al servizio parrocchiale. Nel resto della voce Hoffmann tratta dello
scrittore e della fondazione delle Opere delle Figlie di Maria e dei Figli di Maria. Senza tali precisazioni
933 D. FASSIOLO,
Op. cit., p. 9.
J.-B. MIREBEAU, nella traduzione francese di Gesú Cristo regola del sacerdote, Jésus Christ, Règle du
Prêtre, Paris 1885, nell‟Avant propos, scriveva ricalcando il Fassiolo: Il fut au delà des Alpes comme un autre Curé
d‟Ars, et si la France a le droit de se glorifier du vénérable J. -B. Marie Vianney, l‟Italie peut aussi à juste titre se
glorifier du regretté Prieur de Sainte-Sabine; ripreso da E. MANGENOT nel Dictionnaire de Théologie Catholique,
vol. VI, Paris 1920, c. 769: …il merita d‟être comparé au Curé d‟Ars. Cosí pure S. ROMANI, Enciclopedia del
cristianesimo, Roma 1947, p. 662: Meritatamente è chiamato il Curato d‟Ars italianp, ed il cardinal PIETRO
PALAZZINI nell‟Encicl. Catt., vol. V c. 1703: All‟attività pastorale intensa, tanto da essere chiamato il Curato d‟Ars
italiano, aggiunse quella di scrittore di ascetica pastorale e di teologo moralista. J. C. WILLKE nella New Catholic
Encyclopedia, New York 1967, alla voce: His intensely active pastoral apostolate won for him the reputation of
being the Italian Curé d‟Ars, (vol. VI p. 81).
935 Giuseppe Frassinetti, Priore di Santa Sabina. Estratto dallo “Stendardo Cattolico”, 8 Gennaio 1868, p. 9.
936 K. HOFFMANN in Lexikon für Theologie und kirche, IV, Freiburg im Breisgau 1937 c.138: Frassinetti frischte
mit dem Eifer und Erfolg eines Vianney durch Predigten, Katechesen, Beichtstuhl u. mittels religiöser
Standesvereine das sittl. Leben seiner Gemeide wunderbar auf…
292
934
l‟appellativo si fa deviante, perché porta a pensare il Frassinetti copia conforme del Curato d‟Ars. Pari
zelo per la gloria di Dio e la salvezza delle anime, ma il Frassinetti fu uomo di molto studio e buona
penna, il Curato d‟Ars no; il Frassinetti confessore benigno, il Curato d‟Ars tendeva al rigorismo; la vita
del Frassinetti parca e povera, ma tale che ogni povero vi si può riconoscere; quella del santo Curato
ripiena di penitenze spaventose; nel Frassinetti nulla fuori dell‟ordinario, e fu questo il suo straordinario,
sicché tutti possono dire: – Se lui, perché non io? –, mentre nel Curato d‟Ars tutto fu fuori dell‟ordinario
sí da potersi solo in lui ammirare la potenza di Dio. Distinzioni superflue se si riavvicina il Priore di Santa
Sabina a sant‟Alfonso Maria de‟ Liguori. Lo notavano a due anni dalla morte le Letture Cattoliche di
Genova a proposito del libretto Amiamo S. Giuseppe: “Esso è scritto in quello stile piano e facile che fa
del Frassinetti un altro Liguori, come un altro Liguori può dirsi per la varietà degli scritti da esso
lasciati”.937
Si noti il diverso riferimento: chi, come il Fassiolo, ha avanti agli occhi il parroco santo, visto
all‟altare, o in ginocchio a pregare, o per interminabili ore in confessionale, o a catechizzare
grandi e piccini e, se incontrato per strada, che andava ad assistere qualche infermo o tornava
dall‟averlo assistito, va col pensiero al santo Curato d‟Ars; chi lo conosce dai suoi scritti, pensa a
sant‟Alfonso Maria de‟ Liguori. Le rispondenze fra sant‟Alfonso Maria de‟ Liguori ed il
venerabile Giuseppe Frassinetti sono tali e tante da poter porre le due figure in parallelo, cosa
che si è abbozzata nel capitolo dove si è parlato dell‟impressione che le opere di sant‟Alfonso
suscitarono sul giovane chierico fino a spingerlo a sceglierselo per maestro. Possiamo pensare il
Frassinetti quale egli è stato, anche non si fosse incontrato con il Gianelli, cui è tanto debitore,
ma non è piú possibile, io credo, se, giovane chierico, non si fosse fatto discepolo del napoletano
meraviglioso938 come Eliseo di Elia.
Somigliante a sant’Alfonso, ma non copia conforme
Per affermarlo non si dovrebbe tener conto della irripetibilità d‟ogni figura di santo, né dei
geni del luogo, che, nel caso, differenziano un genovese da un napoletano,, e dei tempi in cui i
due vissero, l‟uno prima della Rivoluzione francese e l‟altro dopo, come dei cambiamenti di
situazioni che nel frattempo si erano prodotti. Discepolo attento, ma non adoratore dell‟ipse dixit
d‟un tanto maestro. Sapeva ripensarne l‟insegnamento, tornarci su e, dove gli pareva bene, non
farsi scrupolo di discostarsene, come appare chiaro nelle dissertazioni e note apposte nel
Compendio della Teologia morale di sant‟Alfonso. Anche Genova aveva
qualcosa da dare a Napoli: senso pratico legato alla realtà quotidiana della vita.
Due vite in una
Del Frassinetti non basta narrare lo zelo con cui curò le anime a lui affidate, aggiungendo che
riuscí anche a trovare tempo per scrivere libri, senza fermarsi ad esaminarne il contenuto, come
se le due attività si fossero svolte in parallelo l‟una non interferendo con l‟altra. Un extra che
poco aggiunge e nulla muta. Il Frassinetti, per l‟impostazione della sua attività sacerdotale, nella
misura che gli permisero le sue forze e i doni da Dio ricevuti, lo troviamo sulla linea di quei santi
che furono ad un tempo dottori e pastori, dottori perché pastori: sant‟ Ambrogio, sant‟Agostino
e, giú giú, fino a sant‟Alfonso, il suo modello. Pastori e scrittori che avrebbero potuto apporre sui
loro libri la scritta: Non vi dico cose che io non ho praticato e non continui a praticare, e, se con
la grazia del Signore posso praticarle io, anche voi lo potete. Siate, dunque, miei imitatori,
937
938
Letture Cattoliche di Genova, anno 1870, p. 97.
G. DE LUCA, Sant‟Alfonso uomo grande, “L‟Osservatore Romano della Domenica”, 4 giugno 1939.
293
com‟io di Cristo.939 I loro scritti sono la piú bella storia della loro vita vissuta e di come in essi si
andò effettuando la metànoia che li rese immagini vive del Cristo.
Metanoia, una felice espressione greca senza equivalente in latino o in italiano, se non la si
vuole impoverire con conversione o, peggio, con penitenza. La metanoia è il cambiamento del
modo di pensare e sentire le cose, un ripudiare i nostri pensieri ed i nostri sentimenti per
trapiantarvi i pensieri ed i sentimenti di Cristo, un trapianto di divino lí dove tutto era terreno,940
facendo della nuova mentalità la nostra norma di vita fino a poter ripetere con l‟Apostolo: Non
sono io invero che vivo, ma è Cristo che vive in me.941 Gli scritti di quei santi pastori, se letti
cronologicamente, ci permettono di seguire questo processo di assimilazione del divino nella
mente, nel cuore e nella vita, assimilazione che si fa zelo per le anime, bruciate come sono dal
desiderio di partecipare ad altri quanto essi vanno ricevendo. Come loro il Frassinetti. Gesú
Cristo, la regola del sacerdote.
Non ci siamo quindi contentati di dire che il Frassinetti scrisse questo e quel libro, ma ne
abbiamo scorso le pagine per conoscere il pensiero, la vita e la radice del suo zelo. Separare una
cosa dall‟altra è come voler separare i fatti della vita di Cristo dal suo insegnamento, il fàcere dal
docère.942 La vita di questi servi di Dio fu una vita “dabar”, la voce ebraica che significa ad un
tempo parola e cosa, 943 parola che si è fatta cosa, cosa che manifesta e canta il recondito del
proprio essere lodandone Iddio: “Grandi cose ha operato in me la potenza di Dio”.944
Liberale o reazionario il Frassinetti? Domanda d‟obbligo scrivendo di un genovese vissuto a
Genova nel periodo ruggente del nostro Risorgimento. Domanda a cui si è risposto nel capitolo
46 ancora di fresca lettura. Sarebbe quindi grave errore guardare il Frassinetti, vissuto a Genova,
focolaio di rivoluzionari, negli anni piú caldi del Risorgimento, con gli occhi del politico e dei
media di quei tempi invece che con gli occhi del credente. Fu sacerdote, e solo sacerdote.
Pensieri peregrini
Se un giovane presentasse una tesi di laurea sostenendo che la vera causa di tanti mali e del
franare di tante potenze sia l‟avere negato Dio – e non c‟è negazione piú radicale del non tenerlo
in nessun conto, ignorarlo –,945 e vedesse in tanti avvenimenti un ripetersi in scala sociale
economica e politica ciò che l‟apostolo Paolo afferma dell‟uomo che non si è preoccupato di
acquistarne una vera conoscenza,946 non escludo un sorriso nel relatore, anche se cattolico
praticante. Un lavoro, per essere lavoro scientifico, pare debba ignorare Dio, soprattutto un Dio
attivo che si interessa delle cose nostre da protagonista e che, se permette per un certo tempo il
trionfo del male, è solo un tollerarlo “per lasciar libere le creature, sapendo poi ricavare il bene
anche dal male”. È pensabile che, per aver dichiarato la società la non esistenza di Dio o che, se
939
1 Cor 4,16; 11,1; 1 Ts 1,6.
1 Cor 15, 45-49.
941 Gal 2,20.
942 At 1,1.
943 Parola realtà, ciò che dice è. Per usare un termine scolastico, in “dabar” res et veritas convertuntur. Ci dice il
fondo della cosa, rendendolo conoscibile chiaro e trasparente. La storia per gli ebrei era “debarîm, parole-fatti,
rivelatrici del protagonista Dio sí da presentire anche il “di piú”, non percepibile dalla ragione, che preannunciava il
Verbo che si fece Carne e ci diede il potere di conoscere l‟inconoscibile di Dio. Una via a tale conoscenza, che ci
india, sono questi santi uomini “Parola di Dio”, d ebar JHWH, .
944 Lc 1,49.
945 L‟ateo che lo combatte ne afferma implicitamente l‟esistenza tenendone viva la memoria.
946 Rm 1, 18-32.
294
940
esiste, non se ne ha da tener conto, Dio abbia cessato di essere Dio e non operi piú da Dio? o
abbia ristretto il suo dominio nei confini assegnatigli dall‟uomo, al privato di quei che si ostinano
a credere ancora in lui?
Dall‟Illuminismo in poi sembra che l‟umanità, specie nei pubblici ordinamenti, si muova in
piena autonomia da Dio. Anche se tanti si professano cristiani, nei fatti paiono piú seguaci di
Pelagio che di Cristo non ritenendo necessario l‟intervento divino nelle nostre cose persuasi che
la natura dell‟uomo basta a se stessa. Basta da sola. Se Dio interviene con il suo aiuto, bene, ma
non ce n‟era bisogno, smentendo il senza di me non potete far nulla.947 Non avvertono che “i
loro ragionari sono vacui, avendo la stupidità ottenebrato la loro mente fino a far loro credere
d‟essere sapienti, mentre non sono che poveri sciocchi”.948 Si precludono, difatti, la percezione
della presenza di Dio nelle cose umane, anche puramente umane, cosa avvertita cinquecent‟anni
prima di Cristo anche da Eschilo ripensando i fatti da lui vissuti. Nella sconfitta dei Persiani a
Salamina vedeva la mano di un dio che veniva a ricordare all‟uomo ristupidito dalla hybris, ossia
da quell‟esaltazione che lo porta ad ignorare i limiti dell‟uomo, che: “quando un uomo s‟affretta
alla sua perdita, anche il dio l‟aiuta a rovinarsi”.949 Se tale luce dall‟alto è necessaria per la
comprensione piena d‟ogni nostra storia, è condizione senza della quale nulla, ma proprio nulla,
si può comprendere della vera storia d‟un santo in cui il grande protagonista è Dio. Con tali
occhi lessero gli agiografi la storia d‟Israele, Agostino ripensò la storia universale nella Città di
Dio e la propria storia nelle Confessioni.
“Chi dicono gli uomini che sia il Figlio dell‟Uomo?… Ma voi cosa dite che io sia?…”.950 Gli
occhi della ragione, che non percepiscono il “di piú” del Cristo, percepibile solo se vengono
illuminati dalla fede, di lui possono dire solo che è un uomo grande. Per gli ebrei, la cui storia
era tutta nella Bibbia, uno che poteva stare alla pari con Elia e gli altri grandi d‟Israele; per noi
moderni, un maestro incantatore, uno charmeur, al dire di Renan.
La vita del Frassinetti sta a dirci come Dio si riveli nei suoi santi trasformandoli in immagini
vive del Figlio suo, e vuole convincere a farci santi dicendoci con la sua vita le parole
dell‟Apostolo agli Efesini:
Per questa ragione, piego le mie ginocchia davanti al Padre dal quale ogni famiglia in cielo e
sulla terra si denomina, perché vi conceda, secondo i tesori della sua gloria, di irrobustirvi
grandemente nell‟uomo interiore grazie al suo spirito, di ospitare il Cristo nei vostri cuori per
mezzo della fede, affinché, radicati e fondati nell‟amore, riusciate ad afferrare, insieme a tutti i
santi, la larghezza, la lunghezza, l‟altezza e la profondità, cioè a conoscere l‟amore del Cristo che
trascende ogni conoscenza, e cosí vi riempiate della totale pienezza di Dio. A colui che, per la forza
che opera in noi, ha potere di fare molto di piú di quanto chiediamo o immaginiamo, a lui la gloria
nella chiesa e in Cristo Gesú per tutte le generazioni e per sempre. Amen.951
Nei miei limiti ho cercato di mettere in risalto la presenza di Dio nell‟opera di Giuseppe
Frassinetti, presenza da protagonista, che, pur nulla togliendo alle libere scelte dell‟uomo, se
trova rispondenza, lo dirige secondo i suoi piani. Ho provato a narrarla sulla falsariga indicataci
947
Gv 15,5; Lc 11,23.
Rm 1,23.
949 ESCHILO, I Persiani, 742. G. PERROTTA, I tragici greci, Messina-Firenze 1971, p. 24.
950 Mt 16,13-17.
951 Paolo agli Efesini, 3,14-21.
948
295
dalla Vergine nel Magnificat: Grandi cose il braccio del Signore riuscí a compiere servendosi del
suo servo Giuseppe Frassinetti. Non so se, ed in che misura, ci sia riuscito. Giudichi i lettore.
INDICE DEI NOMI PROPRI952
A
952 Non vengono inclusi, oltre al nome del ven. Giuseppe Frassinetti, ricorrente in quasi tutte le pagine, i nomi degli dei e
delle dee che si incontrano nei suoi lavori scolastici da noi citati, e gran parte dei nomi del Nuovo testamento. Si rinvia al nome
proprio anche quando nel testo al suo posto viene usato quello comune, come “la sorella”, invece che “Paola”, “il padre”,
“l‟arcivescovo”… Gli antichi perdonavano ad Omero l‟aver ceduto di tanto in tanto al sonno, voglia il benigno Lettore usare
anche lui un po‟ di indulgenza con me se a volte – credo poche – gli capiterà di cercare Agostino, il Santo, e trovare Agostino
Pareto, o altre omonimie, per aver io dormicchiato nel compilare la lista dei nomi su cui il computer facesse le sue ricerche non
avvertendo che in quel capitolo non c‟era solo il Santo di nome “Agostino”, né in altri un solo “Campanella” o un solo “Bottaro”.
Il computer è il modello perfetto dell‟ubbidienza cieca, pronta e precisa, un fulmine!, ma si guarda dal discuterla. Peccato il
Loyola non ne conoscesse l‟esistenza per servirne come esempio al posto del suo como cuerpo muerto che, oltre tutto, mi diceva
una suora infermiera, anche se non dice nulla, è tutt‟altro che facile riuscire a spostare.
296
Abba, G. C.; 96
Acton, F. E. J.; 104
Adeodato; 49
Agostino, Sant‟; 14; 49; 50; 52; 73; 112; 116; 117; 118; 119; 121; 126; 127; 133; 138; 282; 307; 334; 335; 353; 355
Airenti, G. V.; 157
Alberione Giac, Beato; 182
Albino, T.; 217
Alessandro Magno; 14
Alfieri, V.; 106
Alfonso de‟ Liguori, Sant‟; 57; 67; 70; 71; 79; 87; 113; 122; 123; 134; 141; 142; 144; 147; 149; 159; 175; 177; 178; 197; 208;
216; 223; 233; 235; 281; 302; 305; 306; 321; 349; 352; 353
Alfonso, de‟ Liguori, Sant‟; 118
Alimonda, G.; 202; 289; 290; 304; 309; 337
Ambrogio, Sant‟; 49; 119; 242; 353
Andreucci, G.; 219
Angela Merici, Santa; 235; 236; 245
Angelico, Padre; 39; 40; 42; 343
Antoine, P.-G.; 122; 123; 145
Antonio Gianelli, Sant‟; 24; 28; 42; 45; 46; 47; 48; 73; 74; 75; 76; 78; 79; 83; 90; 98; 103; 114; 116; 124; 140; 142; 168; 173;
177; 178; 179; 208; 272; 275; 303; 324; 348; 352
Arecco, B.; 258; 322
Ariosto, L.; 76
Arnauld, A.; 135
Arnauld, C.; 135
Arnauld, Madre Angelica; 135
Arnoldo, Sant‟; 118
Assarotti, GB.; 187; 264
Atanasio, Sant‟; 118; 282
Atenagora; 129
Atti 9,27-30:28.31; 285
Aubert, R.; 130
Audisio, G.; 97
Avio, V.; 249; 342
Azara, J. N.; 9
Bacone, F.; 112
Baier Soissa, C.; 339
Ballerini, A.; 303; 311; 312; 317; 326; 337
Balmes, J; 327
Balsamo-Crivelli, G.; 97
Bañez, D.; 50
Barabino, N.; 46; 75; 219
Barolo, G.; 243
Bartoli, D.; 226
Basilio, San; 239; 282
Bassani, A. I.; 220
Bassino, M. B.; 276
Bautain, L.; 101
Bayle, P.; 112
Belgioioso, C.; 280
Benettelli, GB.; 218
Bentinck, W.; 22
Benza, G.; 99
Berchet, G.; 107
Berkeley, G.; 149
Bernardino, San; 118
Bernardo, San; 22; 160
Berriozábal, J. M. de; 327; 328
Berthier, L.-Al.; 11
Bertolotto, P.; 17
Bertora, G.; 78
Biale, L.; 179
Biale, R.; 191; 295; 305; 337
Bianchi, G.; 245; 323; 326; 337
Bixio, N.; 104
Boccaccio; 106
297
Boccalandro, P.; 214; 218; 323
Boetto, P.; 308
Bolasco, G.; 122
Bonaventura, San; 133; 307
Bonavino, C. vedi Franchi, A.; 74
Boraggini, GB.; 261
Borghi, L.; 274
Borgia, S.; 11
Bosco, M.; 243
Boselli, L.; 187; 263; 264; 290
Bossuet, J. B.; 112
Botta, C.; 16; 19; 94; 110; 282
Bottaro, B.; 291
Bottaro, L.; 206
Bottino, G.; 257
Bourdon; 122
Bouyer, L.; 130
Bozzano, G.; 213
Braschi, G. A., vedi Pio VI; 11
Bresciani, A.; 104; 209; 214; 218; 277; 289
Brofferio, A.; 273
Bruno, G.; 97
Byron, G.; 107; 110
Cabella, C.; 79
Cabrera, F. L.; 91; 179; 277
Cagliero, G.; 232
Cagliostro, (G. Balsamo); 11
Calleri, F.; 92
Calliari, P.; 123
Cambiaso, M; 19
Campanella, G.; 302
Campanella, A.; 302
Campanella, F.; 7; 77; 78; 103; 348
Campanella, G.; 77; 289; 292
Campi, G.; 236
Cantú, C.; 268; 279
Cappello, F. M.; 338
Cappuyns, M.; 130
Capurro, G.; 5; 6; 42; 77; 146; 231; 299; 327
Caravita, D.; 148
Caravita, N.; 148
Carbonara, L.; 18
Carducci, G.; 8; 86; 106
Carlo Alberto; 279; 285; 290
Carlo Felice; 32; 78; 82
Cartesio, (R. Descartes); 112; 129
Casamassa, A.; 49; 129
Catone; 282
Cattaneo, GB.; 28; 43; 46; 77; 78; 90; 93; 114; 124; 168; 174; 178; 179; 208; 213; 219; 226; 228; 263; 264; 271; 277; 289; 290;
292; 293
Cavour, C.; 95
Cavour, C. B. di; 269
Cayré, F.; 130
Cechov, A.; 106
Celesia, E.; 99
Ceria, E.; 242
Cerisola, A. M.; 30
Cervone; 10
Cesare; 189; 287
CHARRY, J. de; 223
Charvaz, A.; 43; 191; 259; 295; 297; 299; 300; 301
Chateaubriand, F.-R. de; 25; 105; 107; 108; 109; 110; 127
Chatterton, G.; 52
Chatterton, W. A.; 330
Chiabrera, G.; 88; 107
298
Chiola, C.; 342
Choiseul, E. F.; 149
Ciccarone, S.; 95
Cicerone; 75; 106; 112
Cichero, L.; 290
Cima, A.; 312; 316
Cipriano, S.; 127
Claudel, P.; 12
Clemente XIV; 153; 274; 281
Cochin, A.; 150
CODIGNOLA, A.; 77; 78; 83; 99
Colletti, A.; 79; 91; 92; 98; 122; 275; 277
Condillac, É. B.; 112
Copernico, N.; 112; 114
Cordone, R.; 54; 232; 236; 253
Cornelio Nepote; 112
Cortes, GB.; 325
Cortese, D.; 187
Corvetto, L. E.; 18
Cosso, L.; 221
Costa, F.; 219; 222; 252
Cottolengo, F.; 297
Croce, B.; 106
Cuneo, G.; 18
Cuoco, V.; 124; 222; 268
Curato d‟Ars; 350
Curci, C. M.; 270; 271; 272; 273; 280
D‟Annunzio, G.; 106
D‟Azeglio, M.; 104
Da Vinci, L.; 142
Daffra, A.; 344
Damaso, San; 119
Damen, C.; 308
Danero, M.; 70; 216; 217; 218
Danese, C.; 341
Dante; 75; 95; 112; 130; 149; 242
De Albertis, GB.; 264
De Amicis, E.; 96
De Boni, F.; 79
De Bono, F.; 291
De Filippi, A. M. abate; 32
De Gregori, Gerol.; 122
De Gregori, Giac.; 41; 79; 98
De Gregori, S.; 122
De Gregori, St.; 92
De la Roda, M.; 149
De Lope Moral, I.; 328
De Luca, A.; 327
De Luca, G.; 72; 102; 142; 148; 150; 352
De Oleza, J.; 91
De Sanctis, F.; 108; 110; 289
Decotto, M.; 115; 122; 123
Degola, E.; 17; 41; 92; 122; 123; 143; 264
Del Noce, A.; 271
Demofilo, vedi Gioberti; 271
Dering, E. H.; 330; 331
Des Geneys, G. A.; 83
Descalzi, L. A.; 264
Dettori, G. M.; 123
Di Simone, F.; 219
Dickens, Ch.; 104
Didimo il Cieco; 119; 242
Donadoni, E.; 106
Dulcibella Orpen, R.; 331
Durazzo, G.; 19; 264
299
Efrén de la M. de Dios; 84
Enrico IV di Borbone; 26
Erodoto; 137
Eschilo; 355
Eufrasia Pelletier, Sant‟; 27
Eugenia Ravasco, Beata; 29; 337
Eugenia, P.; 200
Eustochio, Santa; 119
Falasca, M.; 48; 52; 91; 147; 232
Fassiolo, D.; 39; 69; 78; 106; 110; 111; 125; 159; 322; 323; 337; 345; 350
Fénélon, F.; 112
Ferdinando IV, re di Napoli; 11; 96
Ferrabino, A.; 287
Ferrari, G.; 277; 290; 291
Ferrers, M. E.; 330
Ferretti, N.; 258
Festo; 68
Filippo Neri, San; 210
Fiocchi, A. M.; 240; 299
Flora, F.; 106
Florino; 74
Fontanelle, B.; 112
Forcellini, E.; 74
Formica, A.; 344
Fornari, B.; 177
Fortuna; 248
Foscolo, U.; 17; 99; 106; 124
Francesco di Sales, San; 133; 169; 177
Francesco Faà di Bruno, Beato; 243
Francesco, San; 25
Francesia, GB.; 237
Franchi, A.; 144; 272; 275; 278; 294
Frassineto, Giac.; 6
Frassineto, Sagino de; 6
Frassinetti Viale, A.; 3; 6; 30
Frassinetti, Angela; 31
Frassinetti, Angelica; 30
Frassinetti, Anna; 30; 45; 55; 158
Frassinetti, Bartolomeo; 31; 67
Frassinetti, Camillo; 30; 67
Frassinetti, Francesca; 30
Frassinetti, Francesco; 31; 33; 35; 157; 205
Frassinetti, Francesco, padre del Ven., vedi Frassinetti, GB; 5
Frassinetti, G.; 28
Frassinetti, GB.; 30; 33; 39; 205; 214; 217
Frassinetti, Giovanni; 31; 33; 34; 35; 36; 47; 51; 60; 156; 179; 190; 260; 336
Frassinetti, Gius., nonno paterno; 6
Frassinetti, Raffaele; 28; 31; 33; 35; 43; 47; 64; 65; 190; 195; 257; 260; 343
Frassinetti, Santa Paola; 28; 30; 31; 32; 33; 34; 35; 36; 44; 45; 50; 55; 56; 69; 70; 146; 155; 158; 168; 204; 205; 206; 208; 209;
211; 212; 213; 215; 217; 218; 219; 222; 225; 244; 253; 336; 337; 344
Frassinetto, Fra Cr.; 6
Frugoni, C. I.; 74; 107; 126
Gabriele dell‟Addolorata, San; 104
Galiani, F.; 74; 148
Galileo, G.; 112
Gamberoni, G.; 344
Gambier, H.; 330
Gambier, J.; 330
Garelli, B.; 177; 180
Garibaldi, G.; 95
Garnerin; 4
Garofalo, S.; 28
Gaspare del Bufalo, San; 28
Gastaldo, M. L.; 253
Gaudé, L.; 57
300
Gentile, D.; 41
Gentile, F.; 298
Gentile, G.; 97
Gentile, Giac. Fil.; 255
Gerdil, H.-S.; 11
Gesino, M.; 261
Giacinto, B.; 325
Gianelli, L.; 221
Giansenio, C.; 143; 320
Gibelli, C.; 292; 293
Gioberti, V.; 24; 71; 96; 97; 105; 153; 269; 270; 271; 272; 274; 278; 281; 290; 310; 325; 329
Giovanelli, A.; 265
Giovanni Bosco, San; 28; 48; 97; 110; 123; 169; 170; 172; 177; 180; 181; 182; 184; 191; 196; 205; 227; 232; 233; 234; 236; 237;
238; 239; 241; 242; 243; 244; 245; 246; 247; 251; 253; 254; 270; 276; 279; 284; 300; 326; 337; 349
Giovanni Crisostomo, San; 68; 75; 87; 307
Giovanni della Croce, San; 41; 293
Giovanni Evangelista; 49
Giovanni Vianney, San; 27; 105; 189; 350
Giovenale; 82; 112
Girolamo, San; 49; 85; 119; 126; 127; 138; 139; 242
Giuseppe Cafasso, San; 169; 177; 181
Giuseppe Cottolengo, San; 28
Giuseppe Flavio; 112
Giustiniani, P.; 200
Giustino; 73
Gladstone, W. E.; 104
Goethe, J. W. von; 107
Gousset, Th.; 306; 345
Granelli, G.; 113
Grasso, G.; 324
Gregorio MagnoSan; 238
Gregorio Taumaturgo, San; 320
Gregorio XVI; 265; 271
Guala, L.; 24; 123; 169; 177; 178; 179
Gualco, D.; 77
Guano, A.; 343
Guerra, A.; 40
Guglielmino, E.; 41
Gury, J.; 306
Haller; 10
Helvetius, Cl.-A.; 149
Henrion, M. R. A.; 10
Hobbes, Th.; 113; 149
Hoffmann, K.; 351
Hugo, V.; 110
Hutch, W.; 329
Ignazio di Antiochia, San; 129
Ignazio di Loyola, San; 198
Ignazio di Loyola, Sant‟; 70; 223; 252; 281
Ignazio, Sant‟; 159
Iremorgen, L.; 330
Ireneo; 74
Isola, A.; 257; 260; 342
Jorioz, E.; 43
Kafka, F.; 106
Kaftangian, G.; 332
Kant, E.; 107; 113; 150
Koch; 130
La Marmora, A.; 294
Lachelier, J.; 150
Lamartine, A.; 107; 110; 270; 328
Lambruschini, L.; 76; 90; 173
Lamennais, F. de; 101; 105; 107; 110; 111
Lanteri, P. B.; 24
Lattanzio; 112
301
Lavagetto, S. A.; 345
Leibniz, G. W.; 112; 149
Lemoyne, GB.; 48; 110; 178; 181; 191; 228; 232; 233; 235; 237; 241; 242; 243; 276; 345
Léonard, A.; 223
Leone XIII; 283
Leonida; 86
Leopardi, G.; 82; 83; 107; 110
Lequien, M.; 130
Litterio, D.; 96
Locke, J.; 112; 149
Lorca; 106
Lucchetti,; 308
Lucia Venerini, Santa; 219
Lucrezio; 112
Luigi Filippo; 269
Luigi Gonzaga, San; 85
Luigi Orione, San; 189; 195; 324; 335
Luigi XVI; 10
Lupi, L.; 18
Lutero; 23; 108; 143
Luxardo, F.; 60; 75; 122
Luzio, A.; 109
Maccagno, A.; 225; 228; 229; 230; 234; 243; 245; 249; 253; 321; 325; 337
Maccono, F.; 226; 227
Machiavelli, N.; 108
Macpherson, J.; 99
Maddalena Sofia Barat, Santa; 27
Magnasco, S.; 42; 175; 208; 260; 295; 300; 301; 304; 337; 343
Maineri, F.; 291
Maistre, J. de; 107; 109; 110; 111
Malebranche, N. de; 112
Manera; 280; 283
Mangenot, E.; 351
Mann, Th.; 106
Manna, P.; 338
Manning, E. E.; 51; 238; 329
Mantero, GB:; 261
Manzoni, A.; 57; 106; 108; 152
Marcellino Champagnat, Beato; 27
Marconi; 36
Margotti, G.; 202
Mari, A. de; 179
Maria Luigia; 20
Maria Maddalena de‟ Pazzi, Santa; 70; 292
Maria Mazzarello, Santa; 28; 224; 227; 232; 234; 235; 241; 242; 243; 244; 246; 251; 253; 334; 337
Maritain, J.; 106
Marziale; 112
Masnata, , Mons.; 190
Massa, G.; 122
Massaia, G.; 288
Massari, G.; 276; 283
Massena, A.; 16
Massí, V.; 179
Masyn, M.; 211
Mazzarello, M.; 231
Mazzarello, P.; 231
Mazzarello, R.; 252
Mazzini Drago, M.; 16; 109
Mazzini, A.; 78; 98; 104
Mazzini, Fr (Cicchina); 104
Mazzini, G.; 3; 13; 24; 29; 40; 78; 79; 83; 94; 95; 96; 98; 102; 103; 104; 106; 110; 111; 143; 150; 269; 271; 276; 348
Mazzini, Giac.; 16
Mazzini, M.; 97; 278
Mazzini, R.; 104
Menotti, M.; 269
302
Messori, V.; 95
Metastasio, P.; 74; 107; 112; 216
Meunier, V.; 275
Michelangelo, P.; 96
Minetti, A.; 261
Mirebeau, J.-B.; 351
Miscosi, G.; 15
Molinelli, GB.; 122
Monnica, Santa; 49
Montagne, M. E. de; 112
Montaldo, E.; 341
Montebruno, F.; 242; 258; 337
Montesquieu, Ch.-L. de; 112
Monti, V.; 110; 128
Morgen, R.; 96
MORONI, G.; 20; 22; 327
Murat, G.; 83
Muratori, L. A.; 74; 112
Musso, G. (Gran Diavolo); 13
Muzzarelli, A. M.; 113
Napoleone; 4; 14; 19; 26; 28; 39; 108; 152
Nazlian, Y.; 238; 332
Neirotti, M.; 213; 219; 220
Newman, J. H.; 28; 121; 329; 332; 349
Newton, I.; 112
Olgiati, Fr.; 63
Oliva, M.; 218
Oliva, P.; 261
Olivari, C.; 42; 202; 203; 257; 258; 259; 277; 324
Olivari, P.; 28; 257; 258; 259; 305; 321; 337; 345
OLMI, G.; 41; 98
Omero; 137; 149
Orazio; 75; 112
Ovidio; 112
P. G., Prete Gaetano, vedi Alimonda; G. 273
Padre Santo, (S. Fr. da Camporosso); 28; 48
Palau y Dulcet, A.; 327
Palazzini, P.; 95; 274
Pallavicini, L.; 17
Pallia, P.; 24
Palmieri, V.; 123
Pammachio, San; 119
Paola Frassinetti, Santa, vedi Frassinetti, Paola; 16
Paolino, San; 139
Papini, G.; 49
Parente, P.; 63
Pareto, A.; 23
Parini, G.; 74; 106
Parodi, A.; 341
Pascal, B.; 112
Pascoli, G.; 106
Pasquali, A.; 134
Passi, L.; 167; 168; 173; 177; 209; 211; 217; 219; 220
Pastor, L. von; 10
Patterson, J. L.; 237; 329
Paunescu, Ch.; 333
Peano, G.; 112
Pedemonte, E.; 257
Pedemonte, R.; 33; 234; 236; 255; 299
Pelagio; 143
Pellico, F.; 271; 283
Pellico, S.; 279
Peragallo; 290
Pernigotti, F.; 298
Perosi, L.; 308
303
Perrotta, G.; 355
Persoglio, L.; 31; 91; 92; 123; 228; 289; 291; 292
Persoglio, V.; 290
Pestarino, A.; 253
Pestarino, D.; 28; 225; 226; 227; 228; 229; 230; 231; 232; 236; 240; 242; 244; 245; 251; 252; 253; 259; 325; 337
Petavio, (Petau), D.; 113
Petrarca, F.; 83; 111
Peyron, A.; 123
Piaggio, G.; 291
Piccardo, A.; 110; 249; 259
Piccardo, A. JR; 261
Picone, A.; 324
Pinelli, P. D.; 275; 283
Pio IX; 270; 273; 275; 276; 279; 285; 290
Pio VI; 10; 14; 20
Pio VI; 153
Pio VI.; 12
Pio VII; 4; 12; 14; 22; 26; 39; 76; 152; 274; 281
Pio X; 236; 261; 308
Pirandello, L.; 106
Pittaluga, GB., (pre‟ Gioanin); 3
Plinio; 112
Plutarco; 74; 189
Poggi, F.; 47; 77; 78; 106; 110; 112; 113; 159; 324
Policarpo; 74
Polignac, M. de; 112
Posada, M. E.; 232; 233
Pulciano, E.; 261
Quintana, M. J.; 23
Quintilliano; 112
Quodvultdeus, San; 54
Rapallo,; 345
Rattazzi, U.; 253
Rebora, C.; 106
Rebuffo, P.; 42; 114
Remondini, A.; 92; 273; 289; 293
Remondini, M.; 92; 289
Remondini, R.; 265
Remondini, Tipografi; 117
Renan, E.; 79; 102; 291; 355
Renzi, G.; 231; 299
Revelli, GB.; 28
Revelli, L.; 344
Rezzano; 257
Riber, M. LL.; 328
Ricci, V.; 273; 277
Ricciotti, G.; 137
Rilke, R. M.; 106
Rivara; 290
Roberti, G. B.; 113
Roberto Bellarmino, San; 52
Rodolico, N.; 96; 144
Romani, S.; 351
Romero, C.; 253
Roothaan, J. Ph.; 281
Rops, D.; 123; 149
Rosa da Viterbo, Santa; 57
Rosa Gattorno, Beata; 29; 78; 200; 224; 299; 337
Roscelli, Sant‟A.; 337
Rosina, B.; 257
Rosmini, A.; 279; 284
Rossetto, R.; 208; 213
Rossi, A.; 249; 276
Rousseau, J.-J.; 23; 41; 113; 149
Rua, M.; 243
304
Ruffini Curlo, E.; 103
Ruffini, F.; 104
Ruffini, G.; 43; 76; 78; 100
Ruffini, J.; 7; 78; 100; 348
Ruggiero, G. de; 150
Ruperto; 118
Sacy, L. I. le Maistre de; 135
Salinas, J. de; 50
Sallustio; 99
Sanguineti, G.; 95
Santarosa, P.; 269
Sartori, F.; 211
Schellembrid, R.; 20
Schiaffino, P. M.; 33; 34
Schlegel, F.; 8
Sciacca, M. F.; 99; 144; 150; 280
Sciallero; 78
Sciandra, G. M.; 254
Scott, W.; 110
Segneri, P. Jr; 64
Segneri, P. Sr.; 75; 126
Semeria,; 265
Semino, GB.; 258; 259
Seneca; 112
Seriè, G.; 177
Serra, G.; 15; 16
Serra, marchese]; 190
Serra, S.; 18
Sertorio; 244
Shelley, P. B.; 110
Signorotti, A.; 122
Silva, P.; 96
Silverio de S. Teresa; 50
Sismondi, J.-Ch. S. de; 108; 124; 149; 270
Soave, F.; 113
Socrate; 87; 282
Solari; 267
Sommariva, T.; 211; 214
Spina, G.; 19; 20; 23; 73; 91; 122; 173
Spinosa, B.; 113
Spotorno, GB.; 109; 122; 126; 127
Staël, (A.-L. Necher) Mme de; 110
Steggink, O.; 84
Stiglmayre, R.; 130
Storace, F.; 212
Stronello, V.; 60; 342
Sturla, L.; 28; 36; 77; 102; 106; 124; 167; 168; 173; 174; 177; 179; 208; 209; 211; 212; 213; 214; 215; 217; 218; 219; 225; 226;
245; 249; 261; 266; 271; 277; 287; 288; 290; 325; 326; 336; 345
Tacchini, P.; 43; 181
Tacito; 268
Tadini, P.; 90; 219; 264; 277
Tagliafico, Fr.; 40; 147
alaat-bey,; 332
Talleyrand, M. de; 11
Tannoia, A. M.; 142; 148
Taparelli d‟Azeglio, L.; 272; 283
Taparelli d‟Azeglio, M.; 268; 283
Tasso, T.; 75; 242
Temistocle; 75; 149
Teodosio da Voltri; 48
Teresa d‟Avila, Santa; 50; 136; 293; 321; 348
Teresa del B. G., Santa; 81; 89
Tetrarca, F.; 75
Tolstoi, L. N.; 106
Tommaseo, N.; 171; 279
305
Tommaso d‟Aquino, San; 47; 63; 114; 127; 147; 177
Tommaso Reggio, Beato; 29; 175; 200; 202; 208; 233; 260; 337
Tommaso Reggio, San; 304
Tommaso, San; 138; 307
Tracy, A.-L.-C. Destutt conte di; 112
Troiano, A. M.; 96
Troiano, P.; 95; 96
Trotti-Bentivoglio, L.; 274
Tucidide; 16; 268
Unamuno, M. de; 106
Ungaretti, G.; 106
Urráburu, J. J.; 328
Vaccari, A.; 138
Vaccari, G.; 177
Valentini, G.; 112; 113; 114; 116
Vassallo, E.; 32; 33; 38; 44; 45; 60; 69; 70; 207; 211; 213; 221
Ventura, G.; 284
Vercellone, C.; 276
Vermeersch, A.; 338
Viale, A. G.; 30
Viale, GB.; 30
Viale, P.; 3
Vico, GB.; 148; 149; 150
Vignola, A.; 275
Vimercati, Conte; 37
Vincenzo de‟ Paoli, San; 250
Vincenzo Pallotti, San; 28
Vintilescu. P.; 333
Virenti, G. V.; 90
Virgilio; 49; 50; 75; 112; 149; 242
Vitale, V.; 16; 21; 41T
Vittorio Emanuele I; 22
Voltaire, F. M. A.; 23; 41; 113; 149
Willke, J. C.; 351
Wiseman, N. P.; 329
INDICE BIBLICO
ANTICO TESTAMENTO
Gen 1, 4.10.12.18.21.25.31; p. 82
Gen 1,11s.; p. 73
Gen 3,8; p. 82
Gen 4,6-10; p. 126
Es capp. 3-4; p. 155
1 Re 19,12s.; 82
1 Re 19,15-16; 73
2 Re 2,9-12; p. 145s.
Sal 14,15; 291
Sal 16(15),5; p. 157
Sal 43(42),5; p. 155
Sal 51(50),12; p. 155
Sal 133(132),1; p. 35
Sap 15,7; p. 102
Pr 5,1; p. 198
Is 43,19; p. 25
Ger 1,5; 204
Ger 1,6; p. 155
Ger 20,7.8-9; p. 155
Dn 9,23;10,11.19; p. 85
306
Gn 1,3s.; p. 155
Zc 14,7; p 11
NUOVO TESTAMENTO
Mt 4,1-141; p. 126
Mt 5,13s.; p. 24
Mt 5,48; p. 145
Mt 6,33; p. 291
Mt 9,15; p. 88
Mt 9,17 p. 27
Mt 10,24; p. 126
Mt 11,25; p. 89
Mt 11,29; p. 120
Mt 12,11s; p. 304
Mt 12,20; p. 145
Mt 13,24-30; p. 97
Mt 16,13-17; p. 355
Mt 13,33; p. 29
Mt 20,26; p. 111
Mt 23, 24; p. 136
Mt 24,24; p. 73
Mt 25,40.46; p.268
Mt 26,31; 11
Mt 27,45; 11
Mt 27,64-66; p 11
Mc 1,12s.; p. 126
Mc 10,43; p. 111
Mc 12,41-44; p. 268
Mc 14,27; p 11
Lc 1,49; p. 354
Lc 4,1-13; pp. 24; 126
Lc 6,26; p. 165
Lc 6,40; p. 126
Lc 7,11-17; p. 268
Lc 7,36-50; p. 268
Lc 10,21; p. 89
Lc 10,38-42; p. 45
Lc 10,42; p. 46
Lc 11,9-13; p. 160
Lc 11,23; p. 355
Lc 12,31; p. 334
Lc 14.28-33; p. 53
Lc 16,8; p. 111
Lc 16,19-31; p. 268
Lc 17,34; p. 104
Lc 18,8; p. 94
Lc 19,1-10; p. 268
Lc 21,14; p. 268
Lc 22,15; p. 154
Lc 22,26; p. 111
Lc 22,53.p. 11
Lc 23,39-43; p. 268
Lc 24,13-35; p.204
Lc 24,45; p. 137
307
Gv 1,10; p. 73
Gv 1,45; p. 28
Gv 4,5-29; p. 45
Gv 4,27; p. 12; 46;
Gv 6,64; p. 119
Gv 6,51-56; p. 321
Gv 7,15; p. 60
Gv 15,5; p. 355
Gv 17,4; p.322
Gv 19,30; p. 11
Gv 20,9; p. 12
At 1,1; pp. 347; 353
At 4, 12; p. 117
At 26,24; p. 68
Rm 1, 18-32; p. 354
Rm 1,21-23; 355
Rm 4,15; p. 120
Rm 10,2; p. 120
Rm 10,13s; p. 320
Rm 10,14; p. 335
Rm 10,17; p. 47
Rm 10,18; p. 58
Rm 13,10; p. 120
1 Cor 1,12; p. 242
1 Cor 1,18-25; p. 126
1 Cor 1,28; p. 25
1 Cor 3,2; p. 349
1 Cor 3,6s.; p. 242
1 Cor 3, 22s.; p. 119
1 Cor 4,6-21; 337
1 Cor 4,16; 353
1 Cor 8,1; pp. 118; 119; 120
1 Cor 9,1-27; p. 337
1 Cor 9,26; p. 94; 135
1 Cor 10,17; p. 169; 348
1, Cor 11,1; pp. 347; 353
1 Cor 12,11; p. 119.
1 Cor 13,4; p. 120
1 Cor 14,8s; p. 47
1 Cor 15, 45-49; p. 353
1 Cor, 16,9; P. 87; 145
2 Cor 2,1-5; p. 126
2 Cor capp. 10-12; p. 337
Gal 1,6-22; p. 337
Gal 2,20; p. 353
Gal 3,27s.; p. 149
Gal 5,14; p. 250
Fil 1,6; 2,13; p. 53
1 Ts 1,6; p. 353
1 Ts 4,3; p. 334
1 Ts 5,21; p. 119
2 Tm 4,7s; p. 320
Tt 3,9; p. 127
Eb 5,1; p. 156
1 Gv. 3,2; p. 62
308
Ap cap. 19; p, 219
Ap 21,5; p. 25.
309
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Vita del Venerabile Giuseppe Frassinetti