Associazione Culturale “La Rinascita” Udine, Sabato 15 febbraio 2014-02-13 Convegno Giacomo Pellegrini, una vita al servizio del popolo Roma, Trieste, Venezia: Giacomo Pellegrini dirigente del Pci e parlamentare, tra guerra e dopoguerra Relazione di Gian Luigi Bettoli 1 Nell'agosto 1964, ai grandiosi funerali di Palmiro Togliatti, un compagno dai capelli bianchi apriva lo sterminato corteo: un simbolo, una bandiera senza macchia, invincibile. Quell'uomo rappresentava il Partito Comunista Italiano, la sua storia, il grande partito che veniva da lontano e andava lontano: 1 era il compagno Giacomo Pellegrini . […] esemplare comunista, di grande cultura d'animo e di mente, modesto, paziente ed indefettibile assertore dei principi che propagava ed in ogni circostanza ed occasione difendeva, 2 Giacomo Pellegrini . Caro compagno Pajetta, rispondo alla tua del 17 corr. che mi è giunta appena ieri. Ho apprezzato, in quanto importante, l'iniziativa presa in occasione della celebrazione del prossimo cinquantesimo anniversario del partito, per un qualificato lavoro di ricerca, di elaborazione, di dibattito atto a servire ad arricchire la storia del partito, anche con la collaborazione di chi "nella storia", come tu scrivi, c'è stato. Per quanto mi riguarda, io sono a disposizione del partito, per quanto si ritenga io possa contribuire a tale scopo. Io non sono in possesso di scritti inediti, di notizie autobiografiche che il partito non conosca, ma ho l'intenzione di lavorare intorno a qualche periodo della mia vita. Militante e dirigente del partito, la mia vita di partito si è espressa in mille fatti che caratterizzano lo sforzo di ognuno di noi di partecipare nei propri limiti alla elaborazione della linea del partito, alla sua realizzazione. Nel suo insieme rappresentano senza dubbio un elemento, piccolo o grande esso sia, della storia del partito. Un'autobiografia di ognuno di noi capace di esprimere ciclicamente questo "mille fatti" e trarne l'esperienza generale sarebbe lavoro importante. Ma io non mi sentire capace di realizzarlo così come io lo pongo. Né il racconto di episodi staccati della mia vita mi sembrano utili e interessanti. Forse a mio avviso se ne scrivono troppi e non lasciano traccia. Non sono in possesso di materiali, pubblicazioni o documenti di qualche utilità. Leggendo le pubblicazioni finora apparse, ho sempre pensato che la storia del partito, al limite in cui oggi è possibile scriverla, sarebbe apparsa più chiara e più convincente, se dello scriverla gli autori avessero potuto riflettere oltre che sui documenti, anche su larghe testimonianze, da ricercare in modo appropriato fra coloro che negli eventi di questi cinquant'anni furono presenti. Per cui io sono a disposizione per tutto quanto si pensi di fare per "raccogliere la mia testimonianza". D'altra parte, qui nella mia regione, mi è stato detto che verrà costituito un "Comitato" per la raccolta e l'elaborazione di informazioni e materiali atti a iniziare quello che finora non si è realmente incominciato, malgrado qualche iniziativa, cioè un lavoro per una storia del partito in questa nostra regione Friuli-Venezia Giulia. Il lavoro non sarà semplice, ma sarà certamente importante e utile. Per quanto mi riguarda, io darò tutta la mia collaborazione in tale iniziativa. Credo di averti risposto a quanto mi hai chiesto nella tua lettera. Quando avrò occasione di vederti, potrà a voce chiarirti meglio io mio pensiero. Saluti fraterni. 3 Giacomo Pellegrini 1 Fondazione Istituto Gramsci, Archivio Pci (d’ora in poi: Apc), Fondo Biografie, Memorie e Testimonianze (Bmt), f. Giacomo Pellegrini, foglio con ricordo di Vittorio Vidali, s.d., dopo la morte di Pellegrini: [...] ricordo con emozione un episodio: 2 Rodolfo Ursini-Uršič, Attraverso Trieste. Un rivoluzionario pacifista in una città di frontiera, Roma, studio i, 1996, p. 8. 3 Apc, Bmt, f. Giacomo Pellegrini, Copia di lettera, datata Udine, 24/9/1970. 2 Una biografia sullo sfondo. Va fatta innanzitutto una premessa: è assai opportuna l’iniziativa dell’Associazione udinese La Rinascita di organizzare un convegno di riflessione sulla figura di Giacomo Pellegrini, uno dei due soli dirigenti di origine friulana – l’altro è Mauro Scoccimarro - ad assumere ruoli di primo piano nel Pci nel corso della sua storia. Finora la figura di Pellegrini è stata colpita da una sorta di damnatio memoriae, tanto da non trovare una sua biografia nella pur vastissima (ma non completa, come accade di considerare giorno per giorno) opera del Nuovo Liruti 4. Finora abbiamo dovuto quindi accontentarci di brevissime sintesi, carenti soprattutto riguardo all’attività postbellica 5, o di deludenti citazioni inserite in lunghi elenchi a carattere compilativo nell’ambito della storiografia sul Pci 6. In un caso, addirittura, ci si è accontentati di ripubblicare, a dispetto dell’enfasi del titolo ed a quasi mezzo secolo di distanza, un testo del 1954. senza neanche contestualizzarlo 7. In mancanza di altro, possiamo fare riferimento ad almeno tre motivi che hanno contribuito a mandare in dissolvenza il ricordo di questo importante esponente politico. Il primo è di tipo geografico: nel momento centrale della sua attività politica, gli anni ’40 e ’50, Pellegrini è stato attivo fuori regione, a capo del Pci del Veneto: finendo per essere ricordato sullo sfondo delle memorie dei dirigenti e dei lavori degli storici di quella regione 8, e per essere oggettivamente escluso dal ciclo di “rinascita regionalista” guidato in Friuli da Mario Lizzero a partire dal 1954 9. 4 Nuovo Liruti. Dizionario biografico dei friulani. 3. L’età contemporanea, quattro tomi, Udine, Forum, 2011. A parte la discutibile esclusione da parte del comitato scientifico della biografia di Augusto Vuattolo, il primo emigrante corregionale a diventare segretario generale di un’organizzazione sindacale all’estero (la Flel, sindacato svizzero dei lavoratori edili e del legno), vanno segnalate lacune importanti come quella dell’agronomo di fama nazionale Cesare Grinovero, o di dirigenti industriali come Eugenio Cefis, Luigi Faleschini e Alvise Savorgnan di Brazzà, tutti al vertice dell’Eni con Enrico Mattei. 5 La più ampia nota biografica finora compilata è quella di Ariane Landuyt in: Franco Andreucci e Tommaso Detti, Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico. 1853/1943, Roma, Editori Riuniti, 1975-1979, quarto volume, pp. 71-73 (ripresa in: Carlo Rinaldi, I deputati del Friuli-Venezia Giulia a Montecitorio dal 1919 alla Costituente, secondo volume, Trieste, Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, 1983, pp. 523-524). Cfr. inoltre: I deputati e senatori del primo parlamento repubblicano, Roma-Milano-Catania, La Navicella, 1949, p. 590; Gianni Nazzi (a cura di), Dizionario biografico friulano, Udine, Ribis, 1997 e la scheda biografia dell’Anpi all’indirizzo internet: http://www.anpi.it/donnee-uomini/giacomo-pellegrini/ (ultimo accesso 24 novembre 2013). Merita notare come Aldo Agosti, nella sua ampia biografia: Togliatti. Un uomo di frontiera (Torino, Utet, 2003) non dedichi a Pellegrini neanche una citazione, a dispetto della collaborazione realizzata in occasione di un ciclo di conferenze bolognesi (cfr. Aldo Agosti e Giacomo Pellegrini, Storia del Partito Comunista Italiano. Gli anni della clandestinità, Bologna, Arci-Uisp “Leopardi”, 1976). 6 Cfr. Giorgio Amendola, Storia del Partito Comunista Italiano 1921-1943, Roma, Editori Riuniti, 1978. In questo caso va annotato che, per ammissione dello stesso autore, «Il presente lavoro non è fondato su una ricerca originale, condotta negli archivi, ma sull’utilizzazione della vasta bibliografia esistente sull’argomento» (ibidem, p. XI) e che la narrazione si ferma all’estate 1943, prima del periodo di nostro interesse. 7 Giacomo Pellegrini “…un grande maestro…”, [s.l.], Gruppo consiliare regionale del Partito dei Comunisti Italiani, [1999?]. 8 Cfr. sotto il primo aspetto: Cesco Chinello, Un barbaro veneziano. Mezzo secolo da comunista, Padova, Il Poligrafo, 2008, pp. 44-45, 73 (Pellegrini come l’autorità decisionale, cui Chinello si rivolge per giustificarsi di fronte alle reprimende della direzione della scuola centrale di partito, o per chiedere di essere dispensato dal non gradito incarico di responsabile della commissione quadri). Ma cfr. pure: Mario Lizzero “Andrea”. Il suo impegno civile, politico e sociale, Udine, Ifsml, 1995, p. 29: «Nel luglio del ’49 venne deciso, con mio scarsissimo consenso, di inviarmi a Venezia come membro della Segreteria triveneta di cui era segretario Giacomo Pellegrini e con il programma di farmi diventare Segretario della Federazione veneziana, il che avvenne nel ’50». Decisamente Pellegrini viene raffigurato come un incorporeo burocrate, occupato a risolvere quelle che oggi ci appaiono come intemperanze giovanili o questioni di trasferta connesse alla promozione ad un ruolo di maggiore importanza. 9 Mario Lizzero “Andrea”, cit., p. 40, riferendosi al ritorno in Friuli all’inizio del 1954: «Feci anche visita al compagno Vidali, a Trieste, allora segretario del C.C. del TLT (territorio libero di Trieste) il quale non condivideva granché la mia 3 Il secondo motivo è la campagna che, in quello stesso 1954, viene alimentata contro Pellegrini dalla centrale di provocazione anticomunista di «Pace e Libertà», con grande sforzo propagandistico sul piano nazionale. Una campagna che non può non aver prodotto qualche ricaduta nella fidelizzazione degli appartenenti al partito. Terzo e più cruciale motivo, è la collocazione politica di Pellegrini nel Pci postbellico. Ecco come la definisce in un suo libro di memorie Massimo Caprara - che dal 1944 fu segretario di Togliatti – parlando di Antonio Roasio: «Come Secchia, piemontese di Biella, apparteneva al gruppo delle Balene (Edoardo D’Onofrio, Mauro Scoccimarro, Giacomo Pellegrini) arenatesi sulla spiaggia del “Partito nuovo” di Togliatti e mai più in grado di riprendere il mare aperto e avventuroso della lotta armata come inevitabile levatrice della rivoluzione» 10. Pellegrini è quindi inquadrato nel gruppo della sinistra “storica” del Pci, capeggiata da Pietro Secchia, e questo dato è incontestabile: proprio nei documenti di archivio del responsabile dell’organizzazione del partito si trovano le tracce degli stretti rapporti di confidenza con il dirigente friulano. «Nei corridoi di Botteghe Oscure, l’argomento più appassionante di quegli anni non fu la lotta partigiana, troppo differente tra Nord e Sud, ma la guerra di Spagna, che accomunava i vari piani in un’unica, omerica epopea. La maggior parte dei vecchi funzionari vi aveva partecipato». Una solidarietà che continua nella rete organizzativa tra centro e periferia: «Molti segretari di Federazione e dirigenti di prestigio, reduci dalla Spagna (Ilio Barontini di Livorno, Osvaldo Negarville di Torino, Clemente Maglietta di Napoli, Italo Nicoletto di Brescia, Giacomo Pellegrini e Vittorio Vidali di Trieste, Giovanni Pesce detto “Visone” di Milano) avevano contatti organici e funzionavano come sentinelle decentrate degli uffici del quarto piano come se fossero rimasti sul fronte di Mirabueno […]» 11. Paolo Spriano inquadra correttamente il ruolo dei reduci dai reparti repubblicani spagnoli, definiti come la «punta di diamante» dei comunisti che organizzano nel 1943-1944 la Resistenza in Italia. Tra essi, rientrati tra varie vicissitudini (i campi di concentramento francesi, la traduzione dai collaborazionisti francesi di Vichy alle autorità fasciste, la militanza nel maquis) è Pellegrini 12. Credo che proprio in questa collocazione particolare di Pellegrini, all’interno del gruppo dirigente del Pci, vada cercata la ragione principale, e più densa di significati, della lacuna di lavori storiografici al suo proposito. La “vecchia” sinistra comunista è stata in qualche modo ritenuta inutile da parte di quella tendenza maggioritaria del partito che, con scarsa capacità di autoanalisi critica e con disinvolta capacità di mistificazione propagandistica, ha continuato a definirsi comunista – in gran parte in riferimento al modello sovietico di “comunismo realizzato” – mentre in realtà costruiva una pratica politica di robusto stampo socialdemocratico. E la tradizione stalinista di quella sinistra non poteva essere, negli anni ’60, un naturale riferimento per le molteplici tendenze della “nuova sinistra” (che impastavano ispirazioni neocomuniste con diversi fermenti estranei alla tradizione comunista). Tentativi revisionisti e non scientifici abbondano nella memorialistica. Abbiamo appena citato un libro di uno dei fondatori del gruppo operaista e filocinese de “il manifesto”, finito a scrivere per «il Giornale» di Montanelli: è evidente il tentativo di giustificare ex post scelte contraddittorie e rotture che si sono sovrapposte e succedute nel tempo. Ricostruzioni di questo genere finiscono per ridurre gli esponenti della sinistra del Pci postbellico ad ombre del passato, nostalgiche della violenza rivoluzionaria e magari, perché no, levatrici del terrorismo degli anni ‘70 13. Si tratta di tentativi di lettura che non riescono a convinzione per la battaglia della Regione Friuli-Venezia Giulia, e, penso, non la comprese dopo, per lunghi anni come fecero anche Giacomo Pellegrini e Gino Beltrame». 10 Massimo Caprara, Quando le botteghe erano oscure. 1944-1969 uomini e storie del comunismo italiano, Milano, Il Saggiatore, 1997, p. 103. 11 Caprara, cit., pp. 115-116. Il “quarto piano” era la sede della Sezione di Organizzazione, guidata da Pietro Secchia. 12 Paolo Spriano, Storia del Partito comunista italiano. La Resistenza. Togliatti e il partito nuovo, Torino, Einaudi, 1978, pp. 62-63. 13 Come fa ad esempio, a proposito di Pietro Secchia: Miriam Mafai, L'uomo che sognava la lotta armata, Milano, Rizzoli, 1984. La prima biografia scientifica di Pietro Secchia uscirà a giorni: Marco Albertaro, Le rivoluzioni non cadono dal cielo. Pietro Secchia, una vita di parte, Roma-Bari, Laterza, 2014. 4 rendere ragione del perché dirigenti come quelli citati abbiano avuto un ruolo così importante - morale ma anche politico ed organizzativo - nel Pci postbellico 14. Ruolo che viene evidenziato dai giudizi affettuosi che abbiamo posto in epigrafe 15, annotati da due dirigenti triestini come Vidali ed Ursini-Uršič, contrapposti in politica e nei ricordi 16 ma riuniti eccezionalmente nel ricordo di Pellegrini D’altra parte, non aiutano molto neanche quei bozzetti impressionistici che è facile ritrovare con frequenza nelle opere dei maggiori dirigenti del Pci. Ritratti viziati da approssimazione e talvolta da paternalismo, come nel caso della pagina dedicata da Giancarlo Pajetta a Pellegrini che arriva, con altri ex combattenti repubblicani di Spagna, al carcere di Civitavecchia nel 1939: Fu sempre un compagno d’oro, rigoroso e semplice, fraterno senza paternalismi né smancerie. […] La guerra di Spagna aveva fatto più ricca la sua esperienza cominciata già da studente universitario, al momento della fondazione del Partito. Sulle […] personali tristezze Pellegrini non crucciò mai nessuno, sobrio com’era su ciò che lo riguardava personalmente, ci aiutò con la nuova esperienza. Non so se fosse vero o almeno se fosse vero alla lettera quanto, nella nostra malignità naturale, dicevamo io e Celeste Negarville circa le sue conclusioni nelle riunioni del Comitato regionale veneto, di cui fu più tardi segretario. Più o meno nel nostro racconto quelle riunioni finivano così: «Compagni, la situazione è quella che è. Le difficoltà finanziarie sono gravi anche se abbiamo un amico che qualche aiuto cerca di darcelo». (L’allusione a Vittadello e alla sua catena di negozi d’abbigliamento era evidente.) «Ma una cosa è certa, con il Veneto o senza il Veneto, l’Italia vedrà il socialismo.» Non sarà stato proprio così, ma come era certo per Pellegrini, era certo per noi che, con la Spagna o senza la 17 Spagna, avremmo battuto il fascismo; su questo non c’era dubbio . Che dire di una descrizione come quella che abbiamo appena letto, a parte considerarla almeno non cupa come quella che la sua compagna riservò in quegli stessi giorni a Pietro Secchia? In sintesi, concordiamo con la risposta tranchante che Vittorio Foa oppose ad un analogo ritratto, il suo, da parte dello stesso dirigente comunista: trattasi di «storiografia alla “braje curte”» 18, una forma degenerativa di quella brillante oratoria propagandistica, per la quale i fratelli Pajetta erano ritenuti giustamente insuperabili. E’ giunta comunque l’ora di superare i curriculum vitae ed i ricordi autobiografici, ridimensionando il valore di fonti relative soprattutto alla memoria, che il lavoro storiografico deve saper collocare nella loro giusta dimensione soggettivistica. Occorre finalmente tuffarci negli archivi e dare conto dell’attività, delle idee e dei risultati di questi dirigenti politici e, contestualmente, di quella classe operaia italiana di cui erano interpreti e rappresentanti. Avremo così finalmente l’occasione di confrontarci con l’attività politica, le preoccupazioni ed influenze sociali e gli interessi teorici di esseri umani concreti, con la loro eredità di conquiste e sconfitte. Non possiamo, sotto questo aspetto, che concordare con le riflessioni metodologiche di Pellegrini stesso, quando scriveva nei suoi ultimi anni di vita a proposito di un altro dirigente del Pci, il triestino Giordano Pratolongo, alludendo anche ad una sua possibile biografia: 14 Sotto questo aspetto va considerato come - a differenza di Pietro Secchia e Vittorio Vidali, che ci hanno lasciato una copiosa opera storiografica (il primo) e memorialistica (il secondo, ma non lesinando di fornire preziosa, anche se selezionata, documentazione) – anche Mauro Scoccimarro attenda una biografia adeguata. Né Aldo Agosti (in Andreucci-Detti), né Alberto Buvoli (nel Nuovo Liruti) hanno trattato adeguatamente il periodo postbellico, nel quale Scoccimarro fu non solo ministro ma fece parte, con Ruggero Grieco e Palmiro Togliatti, di quella terna di dirigenti apicali che avrebbero potuto aspirare alla segreteria del partito dopo il ritorno del Pci alla legalità. 15 Insieme ad 16 Si tratta di un difetto frequente nei libri di memorie, utilizzati per “fare i conti” con gli avversari di una vita. Ne sono un esempio i testi citati dei veneziani Chinello e Vianello. Ben altro stile emerge dalla lettera (pure pubblicata in epigrafe) a Pajetta di Pellegrini, che ne testimonia la riservatezza, tipica dei militanti politici di quella generazione, passata per la clandestinità e la guerra. 17 Giancarlo Pajetta, Il ragazzo rosso, Milano, Mondadori, 1983, p. 251. 18 Cfr. rispettivamente: Giancarlo Pajetta, I partiti che non si inventano, in: «Rinascita» del 28 maggio 1976 e Vittorio Foa, Braje curte, in: «il manifesto» del 29 maggio 1976. I due interventi sono stati sintetizzati e commentati in: Stefano Merli. L’altra storia. Bosio, Montaldi e le origini della nuova sinistra, Milano, Feltrinelli, 1977, pp. 44-45. 5 Vedi bene, caro Vidali, che questi momenti della vita di questo nostro indimenticabile compagno si intrecciano strettamente agli avvenimenti che caratterizzarono quegli anni difficili, 194546-47. E a me sembra che sarebbe sminuirne il significato se mi fossi limitato a testimoniare attraverso accenni biografici la parte che ebbe Pratolongo. Si tratta in sostanza di scrivere in modo approfondito e certamente critico di quel periodo. E per farlo non ci si può fidare solamente dei ricordi personali. Bisognerebbe poter utilizzare quella documentazione, quegli archivi che pur ci sono. E bisognerebbe avere tempo. Non è da escludere che io abbia a scrivere su quegli anni e su altri momenti della mia lunga vita di militante. Dovrò naturalmente rifletterci e soprattutto preoccuparmi di consultare qualche documentazione. Ma questo è problema di “domani”. Ho voluto risponderti e scusami se l’ho fatto un poco a lungo, per spiegarti le ragioni e le mie 19 difficoltà a scrivere su Pratolongo una testimonianza completa . 6 Per quanto riguarda questo primo lavoro di inquadramento della figura di Pellegrini nel secondo dopoguerra – elaborato troppo rapidamente per poter essere considerato esaustivo - sono partito in primo luogo dall’Archivio del Pci conservato presso la Fondazione Istituto Gramsci di Roma, sul quale sto lavorando da tempo 20. Si tratta di una molteplicità di fondi, tra i quali ho lavorato soprattutto, oltre che ovviamente sul Fondo Biografie, memorie e testimonianze (dove è presente un fascicolo dedicato a Giacomo Pellegrini), sui fascicoli relativi ai Comitati regionali del Veneto e del Friuli Venezia Giulia ed alle Federazioni di Udine e Pordenone. Bisognerebbe però approfondire il materiale relativo ai verbali degli organismi dirigenti nazionali del Pci – che ho potuto vedere solo in parte - e quello sulle federazioni venete e giuliane, dove i riferimenti a Pellegrini, come dimostrano vari studi citati in questa relazione, non mancano. Acquisita la non consultabilità della documentazione probabilmente presente nel Fondo Questura presso l’Archivio di Stato di Udine - a causa dei limiti temporali previsti dalla normativa: il che è perlomeno assurdo, visto che si tratta di informazioni sottratte alla privacy delle persone, spiate da parte di organi dello Stato in forma prevalentemente illegale - è rilevante la documentazione riscontrata presso l’Archivio Centrale dello Stato, prodotta dai vari organismi di polizia e del servizio segreto interno, dipendenti dal Ministero degli Interni. Importante documentazione è conservata presso l’Archivio dell’Ifsml, in particolare nel Fondo Mario Lizzero “Andrea”, oltre che nello stesso Fondo Pellegrini 21, a testimonianza dell’acrimonia del principale fondatore dell’Istituto nel raccogliere documentazione (che per altro non era stata finora utilizzata). Oltre alle varie versioni di una corposa biografia di Pellegrini, mai completata, sono presenti tra gli altri documenti le testimonianze biografiche, raccolte sistematicamente dopo la morte del dirigente comunista: ivi comprese raccolte di interventi a stampa, come la collezione di articoli apparsi ne «Il Lavoratore» di Padova, raccolti da Franco Busetto. Grazie al coinvolgimento nell’attività di ricerca, da parte di Lizzero, di alcuni parlamentari attivi in quegli anni 22, sono stati inoltre raccolti in copia gli interventi di Pellegrini presso gli organismi istituzionali di cui ha fatto parte dal 1946 al 1973 (Assemblea Costituente, Senato della Repubblica e Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia). Tale raccolta certosina facilita di molto il lavoro degli studiosi in quanto, se la 19 Testimonianza di Giacomo Pellegrini in: Vittorio Vidali (a cura di), Giordano Pratolongo nella lotta antifascista e nell’insurrezione nazionale, Trieste, Circolo di studi politico sociali Che Guevara, 1974, p. 66. 20 Il materiale raccolto, depositato in sintesi e talvolta in copia presso l’ Istituto Friulano per la Storia del Movimento di Liberazione (d’ora in poi: Ifsml) di Udine, è già stato utilizzato, oltre che dallo scrivente, da: Tiziano Sguazzero, Partiti e culture politiche in Friuli: dalla Liberazione alla costituzione della Regione Friuli Venezia Giulia (1945-1964), in: Alberto Buvoli (a cura di), Il Friuli. Storia e Società, vol. V, 1943-1964. Dalla guerra di Liberazione alla ricostruzione. Un nuovo Friuli, Udine, Ifsml, 2012, pp. 49-207. Colgo l’occasione per ringraziare per la cortese disponibilità le archiviste Giovanna Bosman e Cristiana Pipitone. 21 Che però contiene un solo documento, una sintesi biografica dedicata a Mauro Scoccimarro. Ringrazio per la continua collaborazione il direttore dell’Istituto, Alberto Buvoli, e l’archivista Monica Emmanuelli. 22 Rispettivamente: Silvano Bacicchi per il Senato ed Arnaldo Baraccetti per l’Assemblea Costituente. Non è indicato chi abbia organizzato l’inventariazione e copiatura degli interventi di Pellegrini al Consiglio Regionale. pubblicazione degli atti parlamentari su internet da parte della Camera dei Deputati permette una ricerca agevole e sistematica del materiale per ogni parlamentare 23, analoga disponibilità non è ancora organizzata per l’altro ramo del Parlamento. L’attività politica di Pellegrini è testimoniata anche da alcune pubblicazioni, edizioni a stampa di interventi parlamentari ed in convegni di partito, conservati presso le biblioteche pubbliche, in particolare la Biblioteca “Joppi” di Udine. Tra questi, appare interessante la scoperta dell’opuscolo apocrifo elaborato da Luigi Cavallo, ed attribuito a Vittorio Vidali 24. Infine utile – e gliene va reso merito per questo, oltre che per lo stimolo alla realizzazione di questo convegno - è il lavoro svolto dal figlio di Giacomo, Carlo Pellegrini, sia in termini di indicazioni bibliografiche che per aver messo a disposizione documenti prodotti dai compagni di lotta del padre, talvolta su sua esplicita richiesta. Altri archivi andranno verificati: per esempio il Fondo Chinello, conservato presso l’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea ed il Fondo del Pci padovano, conservato presso il Centro Studi Ettore Lucini. E’ inoltre necessaria una verifica, laboriosa e sistematica, sulla stampa quotidiana e periodica regionale, oltre che sulla stampa periodica comunista 25. Visti i tempi ristretti in cui è stato organizzato il convegno odierno, ho dovuto fare alcune scelte dolorose nella scelta del materiale documentario a disposizione. Ho preferito concentrarmi sulla documentazione d’archivio, piuttosto che sulla memorialistica, per fondare con maggiore correttezza scientifica i dati del percorso politico di Pellegrini, evitando le trappole costituite dai nebulosi ed insicuri percorsi della memoria. Ho pure scelto di lasciare sullo sfondo il materiale di tipo giornalistico, più facilmente reperibile (in particolare il quotidiano comunista «l’Unità» ed i periodici locali, come il friulano «Lotta e Lavoro»), ma soggetto ad una comunicazione più “mediata” rispetto a quella svoltasi più liberamente negli organismi dirigenti. Spero in ogni caso che le indicazioni archivistiche e bibliografiche presentate in questa sede possano essere utili anche ad altre/i ricercatrici/ori in ulteriori approfondimenti. Un’eccezione in questo lavoro - che va considerato nel complesso una corposa indicazione di ricerca - è il “caso” costituito dalla provocazione organizzata, a partire dal 1954, da «Pace e Libertà». Rispetto ad essa ho ritenuto di andare a fondo della documentazione disponibile, per fugare definitivamente – come credo di avere fatto – un episodio di storia criminale del nostro paese. Dei crimini di quegli apparati pubblici e privati che, dall’Italia liberale ai giorni nostri, passando per la fase totalitaria del fascismo, hanno quasi sempre consapevolmente operato contro i movimenti popolari, in una continuità istituzionale degna di miglior causa. Si tratta di una doverosa azione risarcitoria, per quanto tardiva, di cui eravamo debitori nei confronti della memoria di un grande dirigente come Giacomo Pellegrini, e di un atto di giustizia nei confronti di quei provocatori professionali - come Luca Osteria, Luigi Cavallo ed i loro collaboratori e propagandisti - che tanto hanno fatto soffrire molte migliaia di persone, colpevoli solo di rivendicare i propri diritti. Se il potere delle classi dirigenti ha potuto riprodursi nella sua continuità di dominio di classe, è 23 Questo riguarda nello specifico l’Assemblea Costituente, compresa in quella banca dati: cfr. http://storia.camera.it/deputato/giacomo-pellegrini-19010812#nav 24 Vittorio Vidali, Chi è il sen. Giacomo Pellegrini, Trieste, Edizioni de “Il Lavoratore”, [1957]. Ringrazio in questa sede Elena De Mattia, responsabile del prestito interbibliotecario della Biblioteca di Pordenone, per questa ed altre laboriose acquisizioni. 25 Ho verificato una parte del materiale pubblicato sulla stampa comunista friulana (cfr. oltre). Articoli di Giacomo Pellegrini sono segnalati su periodici schedati dall’Istituto veneziano per la storia della Resistenza e della società contemporanea (Iveser): «Il Mattino del Popolo» di Venezia (1946-1948, http://www.unsecolodicartavenezia.it/archivio/view/schede/c911.html); «L’Attivista. Bollettino della Federazione di Venezia del P.C.I.» (1946-1947: http://www.unsecolodicartavenezia.it/archivio/view/schede/c228.html); «Il Progresso. Numero unico della Federazione veneziana del P.C.I.» (1947, http://www.unsecolodicartavenezia.it/archivio/view/schede/c1059.html); «Il Grido del Popolo. Settimanale della Federazione comunista di Venezia» (1948-1949, http://www.unsecolodicartavenezia.it/archivio/view/schede/c617.html); «Realtà Veneta» (1956, http://www.unsecolodicartavenezia.it/archivio/view/schede/c1188.html). 7 perlomeno necessario – se si vuole mantenere aperta almeno la prospettiva del cambiamento - riannodare il filo rosso della memoria dei protagonisti delle lotte per un mondo migliore, piccoli e grandi, nessuna/o esclusa/o. A Roma, nella Resistenza e nella direzione del Pci con Togliatti. Dopo essere stato liberato dal carcere di Castelfranco Emilia il 24 agosto 1943 26, Pellegrini è attivo nella Resistenza a Roma a partire dall’8 settembre 27. «Durante la guerra di Liberazione lavora presso la Segreteria del partito. Dal settembre 1943 al giugno 1944 maggiore delle formazioni garibaldine» 28. Secondo Giuseppe Gaddi: L’otto settembre 1943 egli si trova a Roma, dove era stato chiamato dalla Direzione del Partito. Egli prende parte attiva al tentativo della difesa della città dalla minacciata occupazione tedesca e, una volta questa avvenuta, continua a lavorare nella Segreteria del Partito nelle condizioni create dalla nuova situazione. E’ un lavoro minuto, continuo, alle volte difficile, ma sempre svolto con slancio e dedizione. Dall’organizzazione del Partito che sorge ovunque e ovunque bisogna aiutare, orientare e rafforzare, ai collegamenti fra il Partito e i centri dirigenti degli altri partiti e organizzazioni democratiche che occorre stabilire e consolidare, all’organizzazione dei primi gruppi di azione patriottica e delle prime formazioni partigiane del Lazio, dell’Umbria, degli Abruzzi, è tutta un’attività febbrile e intensa, svolta a contatto e sotto la direzione ed il controllo della Segreteria del Partito, attività alla quale Pellegrini dà un grande contributo concorrendo così allo sviluppo e al potenziamento del Movimento di Liberazione 29 nazionale . Chi scrive più diffusamente sulla sua attività è Carla Capponi 30, che introduce la sua figura ricordandone le informazioni a proposito della guerra di Spagna, con le quali la aiuterà ad inquadrare quelle che la giovane antifascista romana si era fatta nell’ambiente antifascista familiare. Tra l’altro descrivendo la diversa posizione anarchica con una certa onestà: Allora, quando seguivo alla radio repubblicana disturbata dalla censura fascista le vicende di quel durissimo scontro, non sapevo che nel 1943 avrei conosciuto Giacomo Pellegrini, che aveva combattuto in Spagna inviato dal Partito comunista insieme con Celeste Negarville e il compagno Scotti in qualità di tecnici. Da lui ebbi l’opportunità di approfondire meglio i caratteri positivi e negativi di quella guerra civile. Giacomo mi informò sui grandi problemi di gestione che ebbero per raggiungere 26 Acs, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, Esecuzioni, b. 116, f. Pellegrini Giacomo, lettera della direzione del carcere di Castelfranco Emilia del [2]4 agosto 1943; Cpc, b. 3822, f. Pellegrini Giacomo, Prefettura di Udine, Notizie per il prospetto biografico dell’8 settembre 1943, ove si dichiara: «avendo beneficiato delle recenti disposizioni ministeriali, il 24/8/u.s. è stato scarcerato e rimpatriato al paese di nascita, dove è stato rintracciato. Disposta vigilanza». Laddove si deduce: che lo spionaggio fascista non era morto con Badoglio, ma che la promessa vigilanza non aveva potuto impedire il tempestivo allontanamento di Pellegrini da Osoppo. I tempi andavano comunque cambiando. 27 Biografia per la Sezione Organizzazione-Quadri del Pci, del 28 dicembre 1945 e nota dattiloscritta non firmata del gennaio 1955, in Archivio Ifsml, Fondo Mario Lizzero “Andrea”, b. 58, f. 550: è qui che Pellegrini è più preciso. Cfr. inoltre: Scheda biografica del V Congresso, ibidem; Andreucci-Detti, cit.; I deputati e senatori del primo parlamento repubblicano, cit. 28 Archivio Ifsml, Fondo Mario Lizzero “Andrea”, b. 58, f. 550, scheda Pellegrini Giacomo, s.d. ma posteriore al 1964. Il grado di maggiore – secondo altri documenti nello stesso fascicolo – è conseguente al successivo riconoscimento postbellico; b. 59, f. 558, bozza di biografia, p. 20. 29 Giuseppe Gaddi, Una vita al servizio del popolo: Giacomo Pellegrini, Venezia, Federazioni del Pci del Veneto, 1954, pp. 23-25. 30 In particolare in: Carla Capponi, Con cuore di donna. Il Ventennio, la Resistenza a Roma, via Rasella: i ricordi di una protagonista, Milano, Net, 2003. Colgo l’occasione per ringraziare l’amico Pino Bongiorno per la verifica svolta a proposito di Pellegrini nella letteratura sulla Resistenza romana. 8 l’unità di tutte le forze politiche, per creare un esercito popolare forte, disciplinato, efficiente, per vincere la guerra e rinsaldare il governo repubblicano. Mi spiegò come gli anarchici non condividessero quella linea: per loro, vincere la guerra non era il fine, poiché tendevano a una rivoluzione sociale che realizzasse l’abolizione della proprietà privata, dello stato, dell’esercito e delle classi sociali, per costituire la “comune libertaria”. Ma questa visione della lotta avrebbe determinato l’indebolimento 31 fino alla rottura dell’unità del fronte combattente . Pellegrini opera già nei primi giorni dell’occupazione tedesca della capitale, ed è lui sia ad accompagnare Adele Bei 32 presso l’abitazione-rifugio della famiglia Capponi, sia a portare a Carla la richiesta di impegnarsi nel lavoro informativo guidato da Luciano Lusana 33, non limitandosi più al solo impegno logistico e politico 34. Pellegrini è uno dei formatori degli attivisti clandestini del Pci sulle questioni teoriche e politiche, ma partecipa anche alle riunioni in cui si programmano le prime azioni armate dei Gap contro i nazifascisti 35. […] consegnarci al nemico sarebbe stato un tradimento: avrebbe significato non solo rinunciare alla lotta, ma anche consegnare insieme a noi notizie preziose di cui eravamo custodi. Nelle “lezioni” che Amendola, Gesmundo, Pellegrini e Lusana avevano tenuto in casa mia, ci era stato detto con chiarezza che alle azioni repressive tedesche si doveva reagire colpo su colpo, che il nemico avrebbe usato tutti i mezzi leciti e illeciti per indurci a desistere, a consegnarci, a rinunciare; che rappresaglie erano state compiute in ogni parte d’Europa e che prima ancora, nella guerra di Spagna, questo drammatico dilemma era stato definitivamente risolto con la scelta di lotta a oltranza. “Chi si consegna al nemico è un traditore” avevano deciso le rappresentanze della Resistenza francese, olandese, italiana. Chi non se la sentiva di stare alle severe, dure regole della lotta clandestina aveva il dovere di 36 rinunciare subito ritirandosi dall’impegno di combattere . Pellegrini è, insieme a Mauro Scoccimarro ed a Fabrizio Onofri, uno dei componenti del comando cittadino romano che dirigono l’organizzazione dello sciopero generale studentesco contro l’occupazione del 29 gennaio 1944. La manifestazione comporta lo smantellamento della base finora utilizzata dai Gap, per impedire l’arresto dei massimi dirigenti comunisti, ed è in tale occasione che Capponi perde i contatti con Pellegrini, che incontrerà solo dopo la Liberazione 37. Il 4 giugno 1944, Pellegrini è – insieme a Mauro Scoccimarro e Mario Alicata - uno dei primi dirigenti comunisti che giungono in via 4 novembre alla tipografia del giornale «Il Lavoro Fascista», dove redigono la prima copia de «l’Unità» nella città liberata 38. Dopo la Liberazione, Pellegrini opera come segretario della Direzione romana del Pci, una delle due nelle quali si articola il vertice del partito, quella che fa capo a Palmiro Togliatti (l’altra è la direzione del Nord occupato, il cui vertice coincide con i due massimi esponenti delle brigate “Garibaldi”: Luigi Longo e Pietro Secchia) 39.. E’ in questa veste che il 14 dicembre 1944 Pellegrini comunica ad Umberto Terracini esule in Svizzera - la riammissione nel partito, dopo l’espulsione patita cinque anni prima per l’opposizione all’alleanza tra l’Unione Sovietica e la Germania nazista. In un secondo messaggio, il 9 gennaio 1945, Pellegrini comunica le condizioni imposte al futuro presidente della Costituente: Il compagno Togliatti personalmente ti consiglia di accettare disciplinatamente tali decisioni che 31 Capponi, Con cuore di donna, cit., p. 61. Cfr. Andreucci-Detti. 33 Primo comandante militare dei Gap centrali di Roma, poi assassinato a Via Tasso: cfr. la scheda biografica di Carla Capponi in: http://www.senato.it/3107?contenuto=3688 34 Capponi, Con cuore di donna, cit., pp. 107 e 110. 35 Capponi, Con cuore di donna, cit., pp. 110, 134-135 e 167. 36 Capponi, Con cuore di donna, cit., p. 240. 37 Capponi, Con cuore di donna, cit., pp. 171, 172 e 175. 38 Capponi, Con cuore di donna, cit., p. 303 ed Eadem, Le donne romane del 1944, in: Mario Avagliano (a cura di), Roma alla macchia. Personaggi e vicende della Resistenza, Cava de’ Tirreni, Avagliano, 1997, p. 85. 39 Gaddi, cit., p. 25. 32 9 ti permettono di riprendere il posto di lavoro nel Partito. Egli si riserva di parlare a lungo con te su tutte 40 le questioni da te trattate nelle tue lettere appena le circostanze lo permetteranno . Pellegrini è sempre presente alle riunioni della Direzione, dal 27 luglio 1944 al 6 aprile 1945. Manca per la prima volta, evidentemente per il suo trasferimento a Trieste, nella riunione del 13 maggio 1945. I suoi interventi sono rari, coerentemente con il ruolo di responsabile della redazione dei verbali e di responsabile del servizio di segreteria. Ma viene incaricato di alcuni compiti, come quando, nella prima riunione del luglio 1944, viene deciso che Pellegrini, Grifone, Molinelli e Pesenti comporranno una commissione per formulare delle proposte per la nomina dei commissari in vari enti. Particolare importanza, per i percorsi futuri di Pellegrini, ha la direzione del 13 dicembre 1944, dedicata alle informazioni di Francesco 41 sulla situazione del partito nel Nord. La relazione è molto approfondita sia per dimensioni che per particolari analitici. Il partito è passato dai 6-7.000 iscritti al 25 luglio 1943 ai 60.000 di ottobre. Si danno i dati per provincia, ma Udine non è neanche inserito in elenco, non si hanno i dati di Gorizia e vengono stimati 1.000 iscritti a Trieste. Si discute nei particolari la situazione dei rapporti con gruppi dissidenti e dello stato del movimento partigiano. Dopo aver fatto riferimento alla battuta d'arresto segnata dal proclama Alexander e dal fatto che coesistono due guerre in atto, quella progressista dell'Urss e quella reazionaria degli angloamericani, ed ai pericoli costituiti dalle manovre conservatrici e reazionarie per il dopoguerra, Francesco parla del Litorale: Nell'aprile scorso, il Comando generale Distaccamenti e Brigate Garibaldi, in seguito alla proposta del 9° Corpus dell'Esercito di liberazione della Slovenia, concludeva il patto nel quale impegnava le Brigate Garibaldi residenti nella zona di svilupparsi e agire in coordinazione con le formazioni del Nono Corpus sloveno. Nel mese di agosto scorso il compagno Urbano rappresentante del P.C.S., e a nome del 9° Corpus inviava alla nostra Direzione due lettere, nelle quali informava che l Comando del 9° Corpus aveva preso misure per disarmare e cacciare via dalla zona tutti i partigiani italiani senza alcuna discriminazione, ex Carabinieri, ex militi ex soldati italiani che a suo tempo si erano arresi e passati volontariamente nelle file partigiane. Nei primi giorni di settembre, al compagno Vittorio inviato espressamente dalla nostra Direzione al 9° Corpus per esaminare la questione, gli veniva comunicato – anche a mezzo di una lettera inviatagli dal compagno Cristof che l'O.F. e il Comando del 9° Corpus, in seguito alle manovre delle forze conservatrici e reazionarie del nostro e di altri paesi, di fare dell'Italia una pedana di lancio contro le forze progressive dell'Est, avevano preso la decisione di iniziare preparativi per occupare e annettere alla Slovenia le città di Trieste, Monfalcone ecc. Di fronte a queste nuove e serie posizioni dei compagni del P.C.S., la nostra Direzione, attraverso lettere e conversazioni, rispondeva che prima di arrivare ad una simile decisione essi avrebbero dovuto parlare col compagno Ercoli, Capo del nostro partito; in secondo luogo la nostra Direzione esprimeva il suo parere sfavorevole al fatto che i compagni sloveni impostassero la questione della liberazione della Venezia Giulia (Litorale) su un piano prettamente nazionale (rivendicazione di annettere Trieste ed altre località prevalentemente italiane), e non su un piano di guerra di liberazione contro i tedeschi e i fascisti repubblicani. La nostra Direzione attirava l'attenzione dei compagni sloveni sul grave pericolo che avrebbe sovrastato sulla condotta della guerra di liberazione, l'elemento "guerra di liberazione contro i tedeschi e i fascisti" e porre in primo piano la questione di carattere strettamente nazionale "annessionista". Una simile politica non solo non può incontrare il favore della maggioranza delle popolazioni italiane del Litorale, ma è suscettibile di scatenare in tutto il paese un'ondata di 40 Spriano, cit., pp. 317 e 383 (la citazione è in quest’ultima pagina, nota 3). Umberto Massola. La sua missione presso i comunisti sloveni ormai era conclusa: «[...] conflitto fra il PCd'I (PCI) ed il KPJ/KPS. Conflitto che, in un primo tempo, si dipanava soprattutto attraverso Umberto Massola e Edvard Kardelj e divenne poi così acuto – come specificatomi da Kardelj in un colloquio dell'immediato dopoguerra – da indurre quest'ultimo, nel corso del primo incontro con Togliatti (a Bari, nell’aprile precedente), a dichiarare Massola "persona non grata" per sovrintendere anche in futuro sui rapporti fra la Direzione del PCI per l'Italia occupata e quella del KPS/KPJ. Togliatti aderì alla richiesta designando Vincenzo Bianco a tale incarico». L'ostilità verso Massola sarebbe derivata dal suo tentativo di utilizzare un canale autonomo di comunicazione con il Comintern, indipendentemente dagli jugoslavi, e dal suo rifiuto di rendicontare loro i fondi trasmessi al Pci in accordo con il Comintern. Per questo, quando successivamente Vincenzo Bianco ritornerà in Italia, Massola non poté ritornare presso gli sloveni, come richiesto dal Pci. Cfr. Ursini-Uršič, cit., pp. 1-2. 41 10 riprovazione contro l'Esercito di Tito. La nostra Direzione proponeva ai compagni sloveni di condurre la preparazione dell'occupazione del Litorale, in unione a tutte le forze progressive italiane, sotto la bandiera della guerra di liberazione contro i tedeschi e i fascisti repubblicani. Una simile impostazione politica a noi è sembrata più giusta in quanto essa è suscettibile di incontrare il favore delle masse italiane residenti nel Litorale e in tutto il paese, e servire alla mobilitazione generale contro l'occupatore tedesco. A questo proposito, in attesa di avere direttive precise dal compagno Ercoli, la nostra direzione 42 lanciava un appello ai compagni, ai partigiani e alla popolazione del Litoriale , perché appoggiassero con tutti i mezzi e con tutte le forze le prossime azioni che il glorioso esercito di Tito avrebbe intrapreso per scacciare definitivamente dalla Venezia Giulia i tedeschi e i fascisti repubblicani. In conclusione: Su alcune importanti questioni la nostra Direzione del Nord pensa: 1°) - Che si deve tener conto che la guerra per annientare i nazifascisti non è ancora terminata, che una gran parte del nostro paese è ancora occupata dai tedeschi, che siamo alla vigilia della stagione invernale, nel corso della quale, la nostra popolazione dovrà affrontare una situazione di fame e di freddo senza precedenti. 2°) - Che si deve continuare la politica di unità nazionale una politica unitaria con tutte le forze che desiderano battersi contro i tedeschi e i fascisti repubblicani. 3°) - Che si deve essere molto vigilanti, e non ignorare le manovre che elementi conservatori e reazionari svolgono in vista di isolare il nostro partito dalle larghe masse del paese, indebolire, battere e impedire lo sviluppo delle forze progressiste nella condotta della guerra di liberazione. 4°) - Che si deve continuare l’azione intrapresa per trasformare i C.L.N., da coalizione di partiti in organismi di massa, estendendo e consolidando la loro creazione nelle fabbriche, e nei rioni. 5°) - Che si deve consolidare le Brigate Garibaldi e il Comando unico del Corpo Volontari della Libertà. Intensificare le azioni di guerra, sabotaggi contro i tedeschi e fascisti. 6°) - Che si deve intensificare l'agitazione per lo scatenamento di nuovi scioperi e manifestazioni dei lavoratori delle città e delle campagne. 7°) - Che si deve estendere e consolidare la forza e l'influenza delle organizzazioni di massa: Gruppi di difesa della donna; Fronte della gioventù; I comitati di agitazione. 8°) - Che si devono liquidare al più presto le diverse lacune ancora esistenti nel lavoro di organizzazione delle Federazioni. 9°) - Che si devono migliorare i rapporti del nostro Partito con i compagni del P.C.S. (a questo 43 proposito è stata presa la decisione di inviare un membro della nostra Direzione nella ..... , a contatto con i compagni del P.C.S.). 10°) - Che si deve organizzare entro un periodo di tempo di 10 giorni una riunione allargata della Direzione, con la partecipazione dei compagni delegati residenti nelle diverse regioni. 11°) - Che si devono stabilire rapporti più continui tra la Direzione del Nord e la Direzione del sud, particolarmente con il Capo del partito il compagno Togliatti. Nella lunga riunione della Direzione del 16-18 dicembre 1944, «è approvata la composizione della segreteria: Ercoli 44, Scocci[marro], Negarville, Silvati 45, Francesco, Pellegrini» 46. In questo periodo Pellegrini è uno dei tre incaricati delle relazioni unitarie tra il Pci ed il Psiup, all’interno dell’accordo di collaborazione tra i due partiti operai 47: Egli prese parte, l’8 agosto 1944, alla riunione delle due Direzioni dei partiti comunista e socialista, a Roma, nella quale era stato posto all’ordine del giorno il tema del carattere della guerra mondiale, in quel momento e la natura dell’impegno che doveva essere messo dai due partiti nella partecipazione allo sforzo degli alleati e alla Resistenza partigiana nel centro nord d’Italia. “A conclusione della riunione delle direzioni dei Partiti Comunista e Socialista, veniva firmato a Roma un altro patto allo scopo di rinsaldare la loro politica di unità d’azione”. 42 Sic. Sic. 44 Palmiro Togliatti. 45 Antonio Roasio. 46 Apc, Fondo Mosca (M), mf. 272, pacco 25/I, Direzione, Verbali 1944-1945. 47 «permanent commission to insure unity of action of Communist and Socialist Parties, 1945», cfr. Apc, Bmt, f. Giacomo Pellegrini, Copia non contestualizzata, di biografia a stampa tratta da pubblicazione di lingua inglese del 1949. 43 11 […] Il documento così concludeva: “Alla fine della riunione è stata nominata una commissione incaricata di coordinare sul piano politico e su quello sindacale l’attività dei due partiti nelle manifestazioni comuni. Essa è composta: per il partito comunista: Palmiro Togliatti, Giuseppe Di 48 Vittorio, Giacomo Pellegrini; per il partito socialista: Pietro Nenni, Oreste Lizzadri, Ezio Villani” . A Trieste. Nel maggio 1945 viene inviato a Trieste 49, per mantenere i contatti tra il Pci e l’organizzazione comunista locale, che si viene a trovare in un territorio conteso tra Italia e Jugoslavia, occupato dalle potenze vincitrici (prima le forze armate jugoslave, poi quelle angloamericane) 50. Di Trieste aveva avuto già occasione di occuparsi nei mesi precedenti alla liberazione della città, a stretto contatto con il segretario comunista, come ricorda Caprara: «In precedenza, Togliatti aveva elaborato un cauto progetto per una soluzione del problema di Trieste, assieme a Giacomo Pellegrini, un dirigente comunista friulano. Rinascita lo aveva pubblicato nel numero di aprile del ’45 a firma “Tergestinus” […]. In esso si suggeriva “la creazione di un governo autonomo per la città e la realizzazione fra l’Italia e la Jugoslavia della più stretta collaborazione politica ed economica dei due popoli in un’Europa democratica e pacifica”. L’autonomia con condominio della sovranità italo-jugoslava era considerata, nell’ambito di questo indispensabile contesto, come un “compromesso accettabile”» 51. E’ nella Direzione del 6 aprile 1945 che si pongono le premesse per l’invio di Pellegrini a Trieste, contemporaneamente alla chiusura polemica della precedente missione di Vincenzo Bianco, bruciatosi non solo per una posizione succube rispetto ai comunisti sloveni, ma per il legame personale con il “doppio agente” (in realtà soprattutto della Gestapo) Maria Laurenti 52: I° - Questione Bianco. Ercoli riferisce sulle conclusione della Commissione d'inchiesta e legge la proposta di sanzione della Segreteria. Bianco dichiara che pur considerando molto severa nei suoi riguardi la decisione proposta, dichiara di accettarla. Si approva la proposta della Segreteria di togliere Bianco da ogni incarico dirigente a qualunque scala dell'organizzazione del partito, subordinando ogni decisione definitiva a quando, liberato il nord sarà possibile continuare l'inchiesta in collaborazione con i compagni della direzione del Nord. Quale sia il livello di tensione tra i due partiti, è evidenziato dalla riunione successiva, la prima cui Pellegrini è assente. Alla fine della relazione di Ercoli: Sulla questione di Trieste che è venuta a ostacolare il nostro cammino, avremmo potuto essere isolati. Tito non si rende conto La nostra posizione sulla questione di Trieste è chiara: mettere in stato d'accusa Mussolini fascismo e monarchia per la loro responsabilità nella politica verso le popolazioni slave della Venezia Giulia e la Jugoslavia; critica alla direzione politica del nostro paese, caratteristica per la sua imprevisione e per la mancanza di amicizia verso la Jugoslavia; per la punizione dei criminali di guerra denunciati dalla Jugoslavia. Non accettazione dei fatti compiuti. Necessità di una collaborazione 48 Archivio Ifsml, Fondo Mario Lizzero “Andrea”, b. 59, f. 558, bozza di biografia, p. 20 bis. «[…] lavorò nella Segreteria del Partito fino al maggio del 1945, quando fu inviato a Trieste»; cfr. Scheda biografica del V Congresso, in Archivio Ifsml, Fondo Mario Lizzero “Andrea”, b. 58, f. 550. 50 Andreucci-Detti, cit. 51 Caprara, cit., pp. 34-35. 52 La vicenda di Maria Laurenti è narrata estesamente nell’appendice a: Paolo Sema, Siamo rimasti soli. I comunisti del PCI nell’Istria Occidentale dal 1943 al 1946, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 2004, pp. 151-186. 49 12 con la Jugoslavia. Difendere italianità di Trieste, non compromettere avvenire di Trieste, rispettare la 53 volontà delle popolazioni giuliane . L’attività di Pellegrini a Trieste è stata studiata sulle carte del Pci innanzitutto da Raoul Pupo 54, e soprattutto, con grande attenzione per il ruolo del politico friulano, da Patrick Karlsen 55. A loro si affianca, con un libro di memorie “da vicino” (era stato il traduttore degli incontri tra Pellegrini ed il dirigente comunista sloveno Boris Kraigher) Rodolfo Ursini-Uršič 56, fornendo uno squarcio di lettura “dall’altra parte”. E’ significativo che al ruolo giocato dal dirigente comunista friulano nella vicenda giuliana del dopoguerra siano dedicati soprattutto i lavori di studiosi di orientamento nazionalista italiano 57. Si tratta di un tassello di quel fenomeno, per cui gli archivi del Pci sono diventati i più aperti e frequentati tra i partiti politici della cosiddetta “prima repubblica”, ma – di fronte allo scioglimento di quello che fu il più grande partito comunista occidentale – sono stati utilizzati soprattutto da studiosi dichiaratamente anticomunisti oppure che hanno chiuso alle loro spalle la fase dell’impegno politico-culturale nell’area comunista. Ne risulta un complesso di studi approfonditi e di ampio orizzonte, ma che tendono a leggere la politica comunista in modo distorto, svalutandone aprioristicamente sia il contesto storico, che gli orientamenti politici ed ideologici. In sintesi – e qui ci riferiamo concretamente a Karlsen, pur alludendo a tutta la letteratura dedicata al concetto di “doppiezza” togliattiana – si caricaturalizza l’orientamento classista ed internazionalista di origine marxista del Pci, per trasformarlo – una volta sottoposto ad una lettura attraverso le lenti deformanti dell’ideologia anticomunista - nello stereotipo stigmatizzante della immatura o assente sensibilità nazionale e della subalternità ad interessi stranieri (Urss ed Jugoslavia, in questo caso). E così si finisce per ragionare a prescindere dalle concrete condizioni storiche: dal contesto della seconda guerra mondiale – con l’obiettivo, nel movimento comunista internazionale, di massimizzare lo sforzo bellico e l’unità antifascista per giungere alla vittoria – al ginepraio prodotto dall’imperialismo italiano con la guerra mondiale precedente e dopo, con la conquista di territori mistilingui (oltre che di altri compattamente sloveni, croati e tedeschi) e la conseguente politica di oppressione nazionale e “pulizia etnica”, accentuata dal fascismo e poi dalla nuova guerra. In tale contesto, non solo non si prende atto delle necessità di manovra politica del Pci togliattiano - in oggettiva difficoltà perché rappresenta il movimento comunista di un paese aggressore sconfitto, giunto tardi ad aggregarsi alla lotta partigiana europea ed a confrontarsi con i “fratelli maggiori” in lotta dal 1941 – ma si banalizzano i riferimenti alle proposte dell’interventismo democratico degli anni ’10, cui lo stesso Pci si rifaceva con le proposte di internazionalizzazione dell’area giuliana 58, ed ovviamente si cancella la proposta austromarxista di convivenza multinazionale, che era stata uno dei primi obiettivi polemici dell’imperialismo italiano nascente, e poi la prima vittima politica della conquista italiana della Venezia Giulia. Un ultimo appunto metodologico rispetto alla storiografia nazionalista italiana: sembra non si voglia prendere atto che i partigiani jugoslavi, ormai strutturati come un moderno esercito tradizionale ed impegnati in battaglie campali almeno da un anno, con l’appoggio dell’Armata Rossa sovietica, non sono un’accozzaglia di banditi senza legge, ma sono riconosciuti come una delle forze armate cruciali dell’alleanza antifascista delle Nazioni Unite. Quelli che si confrontano nella “corsa per Trieste” dell’aprile 1945 (angloamericani ed jugoslavi) non sono due forze contrapposte in uno scontro di civiltà, ma due eserciti alleati, concorrenti sul piano geostrategico – come in ogni guerra che si rispetti. Comprenderlo 53 Apc, M, mf. 272, pacco 25/I, Direzione, Verbali 1944-1945. Le cancellature sono copiate dall’originale. Raoul Pupo, Trieste ’45, Roma-Bari, Laterza, 2010. 55 Patrick Karlsen, Frontiera rossa. Il Pci, il confine orientale e il contesto internazionale 1941-1955, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 2010. 56 Ursini-Uršič, cit. Cfr. inoltre, sulla missione di Pellegrini a Trieste: Roberto Gualtieri, Togliatti e la politica estera italiana. Dalle Resistenza al Trattato di pace 1943-1947, Roma, Editori Riuniti, 1995, pp. 120-123. 57 Tra i quali va affiancato, pur con un ruolo originale, Vittorio Vidali, il cui orientamento è esplicitato nel suo: Ritorno alla città senza pace. Il 1948 a Trieste, Milano, Vangelista, 1982. 58 Karlsen, cit., p. 147. Per una disamina delle articolate proposte di Carlo Maranelli, Giuseppe Ricchieri e Gaetano Salvemini, mi permetto di rinviare a: Gian Luigi Bettoli, Un geografo socialista alle soglie del “secolo breve”. L’impegno politico e sociale di Giuseppe Ricchieri, in: «Atti dell’Accademia “San Marco” di Pordenone», n. 9 (2007), pp. 131-248. 54 13 aprirebbe delle possibilità di confronto, impossibili di fronte ad una tendenziosità ormai strutturata da più di un secolo. Ed aiuterebbe anche a capire l’agilità con i comunisti jugoslavi potranno sganciarsi dall’ipoteca sovietica nel 1948, collocandosi oggettivamente nell’area occidentale, almeno dal punto di vista militare La missione di Pellegrini inizia nella Trieste occupata dai partigiani sloveni, in una posizione di rappresentanza del Pci presso un partito, quello giuliano, che nel 1944 – dopo aver perso i principali dirigenti: Luigi Frausin, Natale Kolarich, Vincenzo Gigante - è passato sotto il controllo dei comunisti sloveni, con l’assenso del precedente rappresentante del Pci, Vincenzo Bianco. Egli opera da un lato per riconquistare il terreno perduto da parte del Pci, dall’altra per imporre ai comunisti di nazionalità italiana, soprattutto istriani - di evitare rotture irrimediabili (ed umanamente rischiose) con i compagni sloveni. Nel corso della riunione di Capodistria dei comunisti dell’Istria nordoccidentale, Pellegrini interviene ben diciannove volte – ma invano - per convincere i riottosi compagni locali ad accettare l’unificazione con gli sloveni ed a rinunciare tatticamente alla loro volontà di rimanere aderenti al Pci 59. Sull’altro fronte, quello degli sloveni che rivendicavano tutto il loro territorio etnico alla Jugoslavia, la situazione non era meno difficile, manifestandosi innanzitutto nei tempestosi "confronti-scontri" verbali fra Giacomo Pellegrini – temporaneamente ospite del KPS – e Boris Kraigher, durante i quasi tre mesi dell'estate 1945 passati sotto il medesimo tetto, nella ex Villa Alessi, in via Ginnastica 72, a Trieste. Ero l'unico traduttore sempre a portata di mano: poiché spesso capitava di dover tradurre a notte fonda, al ritorno di Kraigher da Lubiana, dopo aver partecipato a qualche riunione dell'Ufficio politico del FPS. Egli era per temperamento molto impaziente e se "qualcosa lo tormentava" non riusciva quasi mai a trattenersi ed attendere il mattino per "aggredire" Pellegrini, rappresentante della Direzione del PCI a Trieste. Le tenzoni verbali – che nessuno verbalizzava – vertevano su tutto ciò che divideva i due partiti. Da parte di Kraigher l'attenzione era, allora, rivolta essenzialmente al problema dei confini: egli accusava continuamente il PCI di essere troppo tiepido e di non dare tutto l'aiuto che sarebbe stato in grado di poter dare all'azione politico-diplomatica della dirigenza jugoslava per ottenere dei "giusti" 60 confini . Nelle sue sfuriate con Pellegrini, Kraigher rinfacciava a dirigenti del Pci triestino (Frausin, Zocchi, Pratolongo, Massola e Maria Bernetič) di aver cercato di impedire a Vincenzo Bianco di far giungere alla Direzione Pci del'Alta Italia le direttive contenute nella lettera di Togliatti del 5 maggio 1944 (che dava indicazioni resistenziali coerenti con la linea jugoslava), in quanto queste contraddicevano la linea del Pci locale e quella del Clnai. Bianco poté raggiungere Milano, accompagnato da Frausin, solo dopo che Longo e Secchia avvertirono i triestini di essere d'accordo con loro. Dal canto suo, Pellegrini rendeva pan per focaccia muovendo delle accuse precise e circostanziate al KPS, partendo dalla constatazione che la riservatissima compilata da Bianco era il massimo che il KPS poteva, in quel momento, attendersi dal PCI sul problema giuliano, tenendo presenti le posizioni del CLNAI nonché quelle di alcuni esponenti del PCI, specie nella zona. Pertanto – secondo Pellegrini – si può benissimo comprendere come sia venuto a mancare ogni reale interesse, da parte del FPS, di aver un plenipotenziario del PCI, presente sul posto. Anzi, oggi ci risulta chiaro – sottolineava Pellegrini – che dopo la riservatissima, la cosa migliore per il KPS sarebbe stata l'ibernazione dei rapporti PCI-KPS come configurati nella stessa. Aggiungendo, inoltre, che sicuramente proprio per questa ragione non si era giunti alla sostituzione di Bianco con un altro plenipotenziario, malgrado che a questo incarico fosse stato designato, fin dalla fine di febbraio del 1945, Umberto Massola. Se poi – sottolineava Pellegrini – teniamo presente che l'organo competente del KPS aveva perfino trascurato di informare – come sarebbe stato suo dovere – la Direzione del PCI della "faccenda Bianco", in connessione con la Mariuccia, siamo costretti a ritenere che il KPS considerava più utile ed opportuno di 59 Paolo Sema, Siamo rimasti soli. I comunisti del PCI nell’Istria Occidentale dal 1943 al 1946, Gorizia, Libreria Editrice Goriziana, 2004, p. 78. 60 Ursini-Uršič, cit., p. 2. 14 qualsiasi altra iniziativa non rispondere – o rispondere con estrema lentezza – ai solleciti del PCI e con la scusa di assicurare a Bianco l'incolumità personale, tenere questi, di fatto, a "domicilio coatto" presso il 9° Korpus, impedendogli, col pretesto di proteggerlo, qualsiasi movimento indipendente e, nello stesso tempo, rendendo impossibile la venuta di chi doveva sostituirlo. Cosicché – continuava Pellegrini – il KPS aveva di proposito tenuto il PCI lontano, in particolare da Trieste, nei momenti più cruciali della Liberazione. Non ci meraviglierebbe – concludeva Pellegrini – se un giorno venissimo a sapere che il KPS ha avuto una parte non secondaria nel "fabbricare" il "caso Bianco". Comunque, è certo che anche se il KPS non jha avuto alcuna parte in questa "faccenda", certamente ne ha largamente approfittato essendo maturata nel momento più propizio per il KPS. Le tutt'altro che velate "accuse" di Pellegrini, avevano fatto infuriare Kraigher, il quale si era lasciato andare ad una congerie di rinfacciamenti all'indirizzo di Togliatti, imputandolo, in particolare, di aver cambiato ripetute volte, negli ultimi mesi di guerra, posizione sulla questione di Trieste, oltreché su quella della Slavia italiana e di Gorizia con il suo retroterra, abbandonando completamente le iniziali prese di posizione coerenti con lo sviluppo della guerra di liberazione del popolo sloveno e con gli obiettivi da questa perseguiti. Comunque – a parere di Kraigher – quanto specificato nella riservatissima era l minimo che dal punto di vista rivoluzionario e progressista, avrebbe dovuto fare il PCI 61. Ecco come viene ricostruito il colloquio del 17 ottobre 1944 tra Togliatti e Kardelj - il primo dopo quello dell'aprile 1944 a Bari – nel corso dei colloqui tra Pellegrini e Kraigher: Rileverò inoltre- come ebbe ad affermare Pellegrini in uno dei colloqui-scontri con Kraigher – che Togliatti era ben lontano dall'identificare l'occupazione militare con l'annessione automatica dei territori militarmente occupati. Ed appunto per rafforzare questa sua affermazione, Pellegrini si richiamava all'appello di Togliatti ai "lavoratori triestini" del 30 aprile 1945 con cui incitava e raccomandava alla popolazione di lingua italiana di collaborare in tutti i modi e con tutte le proprie forze, con le forze di occupazione allo scopo di creare uno spirito di comprensione e di amicizia, in base al quale sarebbe stato più facile risolvere i difficili problemi dei confini. Kraigher, di rimando, a sua volta si richiamava alla lettera di Kardelj della fine di ottobre del 1944 al Comitato Regionale del KPS per il Litorale sloveno, con cui si informavano i membri del Comitato che Togliatti "acconsentiva senza alcuna discussione che Trieste appartenga alla Jugoslavia". Quindi, mentre Pellegrini affermava, categoricamente, che Kardelj aveva interpretato l'assenso, anzi, diremo ancora meglio, la richiesta di Togliatti dell'occupazione militare della Venezia Giulia e di Trieste, da parte dell'Esercito di Tito, come l'accettazione da parte di Togliatti dell'incorporazione di Trieste e della Venezia Giulia nella Nuova Jugoslavia, Kraigher, da parte sua, sosteneva altrettanto categoricamente che l'assenso all'incorporazione – specie di Trieste – era stato dato da Togliatti inequivocabilmente già nei colloqui di Roma con Kardelj, nella seconda decade del mese di ottobre del 1944. L'interpretazione di Ursini-Uršič è che Kardelj abbia voluto correggere la verità, essendo «abbastanza versato in "correzioni" di questo genere», per influire positivamente sul morale dei combattenti sloveni, e non demotivarli. Ma aggiunge infine che la mancanza di un verbale del colloquio Togliatti-Kardelj rende impossibile un giudizio definitivo 62. In questa fase la politica del Pci è quella – facendo buon viso a cattiva sorte - di consentire durante l’estate 1945 alla creazione di una formazione unificata: La costituzione del Partito comunista (autonomo) della Venezia Giulia, decisa dalla Federazione comunista triestina, non senza forti esitazioni e grossi contrasti avvenne appunto nella prospettiva che ciò facilitasse il superamento delle punte più acute del contrasto aspro che dilaniava la federazione fra la “soluzione” jugoslava del problema di Trieste e l’altra che permettesse la difesa degli interessi della 61 62 Ursini-Uršič, cit., pp. 281-282 e 308-312. Ursini-Uršič, cit., pp. 322-325. 15 popolazione italiana. In grande parte questa prospettiva fu un’illusione. Costituito il partito, la situazione 63 nel suo seno rimase quella di prima . Ma i due partiti comunisti sono divisi dalla prospettiva di fondo: mentre gli sloveni puntano all’annessione di Trieste e del Goriziano, il Pci – sulla base delle proposte di Pellegrini e Togliatti – propone invece all’internazionalizzazione della Venezia Giulia, mirando così a salvaguardare l’identità nazionale degli italiani della regione. Mentre il Pci punta ad assicurare nella Consulta nazionale (la prima forma di parlamento designato, che precedente l’elezione dell’Assemblea Costituente) un comunista triestino, possibilmente di lingua slovena, i designati – Ivan Regent e Giorgio Jaksetich, respingono l’offerta 64. Si tratta di un handicap che un anno dopo sarà risolto, con l’elezione alla Costituente dal parte del Pci di Giordano Pratolongo. Ma anche la capacità di sopportazione di Pellegrini ha un limite, che si manifesta dopo tre mesi di confronto con il dirigente sloveno, quando a complicare la costituzione del Pcrg interviene la pretesa slovena (impersonata da Kraigher) di comprendere anche i comunisti della Slavia italiana. La Direzione del Pci, tramite Pellegrini, respinse la richiesta senza possibilità di replica: Da allora, tale questione sparì dal novero dei problemi che via via venivano affrontati negli incontri-scontri fra Pellegrini e Kraigher. Ed infatti tale e tanto è stato "lo scoppio di furore" di Pellegrini – il quale era persona molto pacata, paziente ed educata – alla richiesta avanzata da Kraigher, da stupirmi fortemente – datoché facevo da traduttore – sentendolo, una prima ed un'ultima volta, gridare, con voce stridula ed adirata: «Credete che vi sia tutto dovuto. Non conoscete limiti. Volete farci apparire come dei vostri agenti. Di questo mai più neanche una parola: altrimenti me ne vado, rinuncio alla vostra ospitalità». In realtà, Kraigher ci riprova, in occasione di un incontro tra le delegazioni del Pc giuliano e del Pci, guidata da Longo, che attacca gli sloveni per la loro politica annessionistica. Un successivo incontro con il Pci a Milano produce una tale reazione che gli scontri tra Kraigher e Pellegrini diventano ancora più infuocati, e Pellegrini a fine settembre abbandona la Villa Alessi 65. Intanto forse Pellegrini è l’autore di un salvataggio di massa nella Trieste dei “40 giorni” di governo jugoslavo. Secondo Rodolfo Ursini-Uršič è lui ad indirizzare a Kraigher i familiari degli 80 finanzieri arrestati dagli jugoslavi nella caserma di Via Udine 79 a Trieste. Ursini-Uršič, ritenendo che questi militari, impegnati nella vigilanza al porto cittadino, non potessero essere accusati (se non singolarmente) di crimini, interviene sul presidente del consiglio sloveno Boris Kidrič ottenendone la liberazione 66. Pellegrini si guadagna sul campo la nomina a componente del nuovo Comitato Centrale, eletto al V Congresso del Pci nel dicembre 1945. Nella Direzione del 24 dicembre 1945, nella quale si esaminano le candidature, alcuni componenti (Spano e Negarville) si esprimono a suo favore, a scapito di Amerigo Clocchiatti, un altro friulano che è stato un dirigente di primo piano della Resistenza 67. Nell’aprile 1946 il Pci costituisce una sua rappresentanza autonoma a Trieste, l’Ufficio Informazioni guidato da Pratolongo, per dare un riferimento ai compagni che, rifiutando la politica annessionistica sostenuta dal Pcrg, vengono progressivamente emarginati dal partito. Non cambia la linea, rispetto a quella seguita da Pellegrini: Controllare il dissenso montante contro la linea jugoslava nella zona A, ‘denazionalizzare’ il conflitto politico, cercare di ripristinare i rudimenti di una propria organizzazione in vista della sistemazione territoriale definitiva […] Erano questi gli obiettivi messi da Togliatti davanti a Giordano Pratolongo nell’affidargli la direzione dell’ufficio del Pci a Trieste. Pellegrini e Pratolongo stesso comunicavano la funzione dell’ufficio ai dirigenti del Pc giuliano in termini molto chiari […] Al contempo assicuravano che “la nostra azione si sarebbe svolta nel quadro della fratellanza italo slava e che “tutta 63 Testimonianza di Giacomo Pellegrini in: Vittorio Vidali, Giordano Pratolongo, cit. p. 64. Gualtieri, cit., p. 121. 65 Ursini-Uršič, cit., pp. 463-464. 66 Ursini-Uršič, cit., p. 454. 67 Apc., M, mf 272, Pacco 25/I, Direzione, Verbali 1944-1945. 64 16 l’attività dell’ufficio […] tend[e] soltanto ad impedire la dispersione di forze comuniste che potrebbero 68 essere preda di movimenti o partiti avversari . Le premesse per questa nuova iniziativa del Pci erano il venir meno del vento in poppa della gestione slovena del Pcrg, che iniziava ad aprire spazi in prospettiva per i comunisti italiani: Dalla fine del 1945 Pellegrini ammoniva Roma sulla progressiva perdita di terreno del Pcrg a Trieste anche tra le fasce popolari, le quali apparivano aderire con sempre meno entusiasmo alla parola d’ordine dell’annessione alla Jugoslavia. “Il partito è in declino – concludeva amaramente – e le cause vanno rintracciate nella linea del partito e nella sua realizzazione. Realizzazione che è vista in funzione di un limitato interesse della popolazione slava e affatto in funzione della parte italiana della popolazione 69 . Si tratta di un’iniziativa che maturerà con il richiamo a Trieste nel 1947, da parte del Pci, di Vittorio Vidali e poi, approfittando della rottura tra il Cominform ed il Pcj, dalla conquista l’anno successivo della maggioranza nel comunismo triestino, facendo leva – a dispetto della consistente dissidenza filo jugoslava – sulla centralità dell’esperienza sovietica nella cultura dei comunisti, sia italiani che sloveni giuliani 70. In quel contesto, al Pci ed in particolare a Pellegrini si porranno nuove problematiche, dovendo frenare ed incanalare le spinte nazionalistiche del nuovo dirigente del Pci triestino. Ci paiono in tale ambito discutibili le dure critiche di Lizzero a Pellegrini (ed a Togliatti) sulla questione dei rapporti con la Jugoslavia in quegli anni. Mi limito a citare e commentare due passi: […] L’altra ragione va trovata nella circostanza che non solo Pellegrini, ma tutta la segreteria generale del Pci, compreso Togliatti aveva una scarsissima conoscenza della realtà, della lotta e dei rapporti internazionali della Resistenza italiana e jugoslava nel Friuli e nella regione Giuliana. E questo non mancò di pesare negativamente sia nel tempo della lotta di liberazione che dopo il 1945. Si deve dire che Pellegrini, segretario del “triveneto”, non ammise osservazioni critiche verso il 71 Kominform e le sue prese di posizione contro Tito e la Jugoslavia, né nel 1948, né negli anni seguenti . Quanto al primo giudizio, mi permetto di riprendere una ben diversa valutazione su Togliatti e Pellegrini da parte di un dirigente comunista sloveno di Trieste: Togliatti è stato pure praticamente l'unico uomo politico italiano dell'epoca – assieme ad alcuni massimi esponenti del PCd'I, quali Giancarlo Pajetta, Antonio Roasio, Giacomo Pellegrini e pochi altri, sul piano nazionale; Natale Colarich, Ermanno Solieri, Rinaldo Rinaldi, Giorgio Iaksetich, il professor Oscar Ferlan, Alessandro Destradi, l'avvocato Giuseppe Pogassi ed alcuni altri, fra i comunisti; il professor Giorgio Roletto, il dottor Umberto Zoratti, Carolus L. Cergoly, il professor Fabio Cusin, Luigi Piemontesi ed altri democratici, sul piano locale – il quale si era reso conto, con esemplare onestà, dei terribili guasti che aveva provocato, nei rapporti reciproci fra le popolazioni veneto-giuliane e fra il popolo italiano, in generale, e quelli sloveno e croato, il terrore scatenato dall'Italia prefascista contro la minoranza slovena e croata della regione giuliana, fin dai primi mesi del 1919, e potenziato fino all'inverosimile da quella mussoliniana, dopo l'avvento del fascismo – terrore estesosi a tutti i territori occupati dalle truppe italiane, alcuni mesi dopo l'aggressione e l'invasione del Regno di Jugoslavia, 72 iniziate il 6 aprile 1941 . Quanto al secondo – a monito della cautela con cui vanno considerate le memorie personali, con tutti i loro processi di rielaborazione e stratificazione - mi permetto di citare un passo da un verbale del 1955, quando Lizzero stesso concludeva una turbolenta riunione della Segreteria del Pci pordenonese dopo 68 Karlsen, cit. p. 164. Karlsen, cit., p. 138. 70 Cfr. Vidali, Ritorno alla città senza pace, cit., ma anche la ricostruzione dei retroscena da parte di Ursini-Uršič, cit., pp. 475-494, basata sui colloqui con Pellegrini a Cervignano, dove il dirigente comunista sloveno si era rifugiato per sfuggire alle minacce dei servizi segreti jugoslavi. 71 Archivio Ifsml, fondo Mario Lizzero “Andrea”, b. 59, f. 558, bozza biografia, pp. 21 e 35. 72 Ursini-Uršič, cit., pp. 440. 69 17 la riconciliazione sovietico-jugoslava: Lizzero Mario - Conclude rilevando che dal dibattito è emerso che 8 compagni presenti alla riunione sono sostanzialmente d'accordo; la compagna Da Corte, invece, ha assunto una posizione diversa sui problemi di fondo. La differenza sul piano politico consiste nel fatto che mentre noi mettiamo l'accento sugli aspetti positivi e sui risultati positivi che non potranno mancare nel futuro per il rafforzamento della pace e delle forze sane jugoslave in seguito ai nuovi rapporti stabiliti fra l'U.R.S.S. e la Jugoslavia, la compagna Da Corte è preoccupata degli aspetti negativi contingenti. Rileva come la fiducia verso l'U.R.S.S. deriva proprio dall'esempio di lealtà costituito dallo sforzo autocritico che [ha] fatto il Comitato Centrale dell'U.S. a proposito della situazione jugoslava. Alle principali questioni poste dalla compagna Da Corte il compagno Lizzero dà la seguente spiegazione: 1') Perché Tito non si è messo mani e piedi nel fronte dell'imperialismo? Di fare questo passo glielo ha impedito certamente il popolo jugoslavo. Comunque, occorre rilevare che questo passo non lo ha compiuto. 2') Esiste o no un Partito Comunista in Jugoslavia? Non c'è. L'iniziativa di Krusciov dimostra il tentativo di farlo diventare. Il c. Lizzero afferma che dubita che il P.C. in Jugoslavia ci sia mai stato proprio perché ha seminato il terrorismo contro chiunque avesse seguito gli orientamenti dell'Ufficio d'Informazione, perché ha sempre avuto una base di massa col nazionalismo, scarsa e debole classe operaia e i contadini sono i più influenzabili a certi orientamenti nazionalisti. L'allontanamento del P.C. Jugoslavo dal campo socialista è stato possibile per gli errori commessi dal movimento operaio internazionale con a capo il C.C. dell'U.S., come dimostra la dichiarazione di Krusciov. Si dice: hanno sbagliato? Certamente. Perché è mancata l'elaborazione e studio collettivo. Sbagliato al punto che Krusciov ha fatto autocritica a Belgrado. Gli ultimi avvenimenti consigliano un maggiore sforzo per rafforzare lo studio del marxismoleninismo, tanto scarso nel nostro Partito. Leggere, studiare, discutere la dichiarazione di Krusciov, l'articolo della Pravda e tutti i documenti che verranno pubblicati nel futuro. Convocare il Comitato Federale quanto prima e attivi di Partito ovunque, anche nelle località più piccole. Il grande dibattito 73 deve portarci a rafforzare la lotta per la pace e a raccogliere un sempre maggiore numero di firme . Componente del Comitato Centrale e segretario a Venezia. Nel 1946 Pellegrini è alla guida del Pci veneto, tra Udine e Venezia. La circoscrizione organizzativa del partito assume come riferimento tutto il Triveneto, sovraintendendo in tal modo anche al comitato regionale del Friuli Venezia Giulia ed a quello per il Trentino Alto Adige, che ne costituiscono un sottoinsieme, anche se ottengono una parziale autonomia, come è esemplificato da questo schema di due anni successivo: «Il lavoro sarà così distribuito: • Pellegrini, Segretario delle tre regioni della Venezia Euganea, del Trentino-Alto Adige, del Friuli e di Gorizia. • Comitato regionale Venezia Euganea : 74 Pellegrini – Segretario regionale Zanelli – Vice-segretario 75 Lucarelli Visentini – Ispettore Simona Mafai – Ispettrice 76 Gombi – Ispettore 73 Apc, M, mf. 429, Pordenone, 1955, pp. 0691-0696, Verbale della riunione della segreteria della Federazione del P.C.I. di Pordenone del 31/5/1955. 74 Aggiunto a penna: questa potrebbe essere la Segreteria del regionale. 75 Aggiunto a penna. 18 Costa – Segretario della Segreteria regionale. • Comitato regionale del Friuli e di Gorizia. Lizzero – Segretario Beltrame – Vice-segretario Ruffini – Componente Zocchi - " ______ - Segretario della federaz. di Pordenone • Comitato regionale Trentino-Alto Adige Foco – Facente funzione di Segretario Foco – " " di segretario fed. di Bolzano 77 ? - Segretario della federaz. di Trento» . Fin dall’inizio Pellegrini opera all’esterno della sua provincia di origine, come lamentano alcuni compagni, che lo vorrebbero più presente sul territorio. Lino Zocchi afferma nel gennaio 1946 che, quando si chiede un oratore quotato, ci si deve ricordare che il compagno Pellegrini, che è il migliore, è solo raramente in Friuli: la Sezione Organizzazione cercherà di mandarlo nei centri maggiori quando lui sarà disponibile. Nel settembre successivo, Angelo Mirolo della Sezione di Spilimbergo «auspica infine che l'on. Pellegrini rimanga a Udine affinché possa maggiormente interessarsi a quelli che sono i problemi particolari e generali della nostra provincia» 78. Renzo Martinelli ha sostenuto che l’incarico regionale di Pellegrini sarebbe stato formalizzato solo nella primavera del 1947, quanto Pellegrini sarebbe chiamato a far parte di «un gruppo di dirigenti comunisti tra i più qualificati e prestigiosi [che] venne distaccato dal centro nelle regioni per rafforzare le organizzazioni federali», utilizzati per superare le lentezze nella entrata in funzione dei Comitati regionali, decisa dalla Conferenza di organizzazione di Firenze del Pci. I comitati regionali erano concepiti come organismi snelli, attraverso i quali la Direzione del partito doveva prestare la sua assistenza operativa alle federazioni. A tal fine, i segretari regionali erano figure carismatiche, spesso componenti della stessa Direzione nazionale, circondati da un apparato ridotto, non soggetto a soverchie preoccupazioni di democrazia interna e finalizzato alla costruzione dall’alto del “partito nuovo” di massa 79. Nel concreto, la documentazione d’archivio sembra dare ragione ad Ariane Landuyt, che ha affermato come Pellegrini operi da subito come responsabile regionale 80. Fin dall’inizio del 1946 Pellegrini appare rivestire funzioni di coordinamento a quel livello, come dimostra una discussione in seno al Pci di Udine, in cui egli dispone la riorganizzazione dell’apparato federale per adeguarsi alle assenze del segretario Mario Lizzero, impegnato come consultore nazionale 81. Ma il suo incarico formale è ancora quello di segretario della Federazione di Venezia, come ricorda Cesco Chinello. Con tale qualifica è infatti annotata la sua partecipazione ad una riunione dei segretari federali veneti nel giugno 1947. E’ in quella occasione lui stesso ad annunciare che: «Pellegrini, esonerato dalla Segreteria di Venezia, si dedicherà al 76 Aggiunto a penna. Apc, mf. 182, Veneto, 1948, Direzione Partito Comunista. Commissione d'organizzazione. Decisioni conclusive della Riunione tenuta con la delegazione del Comitato Regionale del Veneto, dattiloscritto anonimo. Appunto a penna: Audisio. dare testo definitivo a Pellegrini (segr. comitato reg. veneto). Allegati biglietti stilografati, con appunto a matita sul primo: Fare 4 copie. 78 Apc, mf. 111, Udine, 1946, Verbale della riunione del Comitato Federale del 4.1.1946 e Verbale della Conferenza Provinciale d'Organizzazione (28-29 settembre 1946). 79 Renzo Martinelli, Storia del Partito comunista italiano. Il «Partito nuovo» dalla Liberazione al 18 aprile, Torino, Einaudi, 1995, pp. 183-185. La citazione è ripresa da: Celso Ghini, Il comitato regionale, in Annali della Fondazione Feltrinelli, XX (1981), pp. 121-122, citato p. 184. 80 Andreucci-Detti, cit. 81 Apc, mf. 089, Udine, 1945, Federazione di Udine, relazione di Aldo Lampredi del 15 novembre 1945; mf. 111, Udine, 1946, Verbale della riunione della segreteria del giorno 1.2.1946 et coetera. 77 19 Comitato Regionale Veneto» 82. Il lavoro di organizzazione del Pci postbellico si svolge in una situazione di grande difficoltà, in primo luogo per il fatto di non riuscire a retribuire i funzionari almeno al livello dei salari operai. E’ proprio una relazione di Pellegrini a testimoniare delle condizioni estreme di un apparato comunista logorato dalle lotte dei decenni precedenti ed ormai allo stremo delle proprie forze: «Abbiamo dei quadri che si consumano rapidamente in senso fisico. Tre quadri di Vicenza sono tubercolotici. A Belluno il segretario della Camera del Lavoro e il dirigente della Commissione agraria hanno dovuto entrare in sanatorio, e ciò perché i compagni vivono in difficilissime condizioni finanziarie; ida un mese la federazione di Belluno non è in grado di pagare gli stipendi ai tre funzionari» 83. Pellegrini sarà segretario regionale per il Veneto fino al 1957; diverrà segretario regionale del Friuli Venezia Giulia nel 1958 84. Pellegrini organizzatore del Pci friulano. Pellegrini è fin dal principio presente alle riunioni degli organismi dirigenti della Federazione provinciale di Udine, intervenendo nel concreto nei minuti problemi organizzativi. Il 1° febbraio 1946 introduce una riunione della segreteria provinciale dedicata al funzionamento dell’apparato, e la sua relazione è estremamente puntuale: Fa notare che l'apparato è molto numeroso, ci sono molti compagni. In esso sono inclusi i migliori compagni della provincia ed il lavoro non ha la sua giusta rendita. Il Segretario non può rendere nel suo lavoro perché è troppo occupato; deve ricevere troppo pubblico in una giornata. Abbiamo riconosciuto lacune politiche ed organizzative per l'assenza di lavoro collettivo. Manca un piano di lavoro collettivo per la realizzazione del lavoro. La Segreteria è un organismo fondamentale è l'organismo esecutivo; che elabora i piani di lavoro e deve lavorare collegialmente in modo permanente. Il lavoro deve partire dalla Segreteria a tutta la Federazione. Il Segretario ne è il capo – egli deve organizzare la coordinazione del lavoro per una soluzione conseguente. Egli ha delle qualità particolari, ma deve essere messo nella condizione di poter assolvere il suo lavoro; deve essere informato di tutte le condizioni della provincia sia politiche, che economiche e dell'organizzazione del Partito. Per svolgere la sua funzione deve avere dei collegamenti con le Sezioni di lavoro. La Segreteria deve preparare al Segretario tutto il materiale per svolgere un determinato lavoro in un determinato momento. L'Ufficio Quadri deve studiare i compagni e metterli nel suo giusto posto. Il lavoro d'ufficio ha certe esigenze; certi compagni non hanno ancora certe qualità. Nell'Ufficio Segreteria un compagno che svolga rapidamente con contatti al centro ed alla periferia. La Segreteria deve avere più collaboratori. Siamo poveri di mezzi, bisogna sfruttare le attitudini dei compagni. Il Segretario ha funzioni di Direzione, deve avere contatti con le Sezioni di Lavoro e Organizzazione di Partito con collegamenti permanenti per avere un quadro esatto della situazione del Partito. La Segreteria deve trascinare non deve essere trascinata. La Segreteria non può avere dei giudizi di altri Uffici se questi non funzionano. La Segreteria non può valutare uno sciopero se la Sezione Sindacale non lavora. La Sezione Organizzazione è la spina dorsale del Partito. 82 Chinello, cit., p. 44; Apc, mf. 140, Veneto, 1947, Verbale riunione segretari delle Federazioni Venete tenuta domenica 8 giugno nei locali della Federazione di Verona. 83 Verbali dell’Ufficio di organizzazione del 18-19 maggio 1947, p. 13, presso l’Apc, citati in: Martinelli, cit., pp. 182183. 84 Andreucci-Detti, cit. 20 Attraverso l'Organizzazione si creano le premesse per la lotta organizzata; senza l'organizzazione non si realizza la politica del Partito. L'organizzazione deve avere compiti specifici, deve avere un Ufficio Ispettori e deve esser attentamente curata per saper dare la situazione in qualunque momento. E' legata alla Segreteria. Gli uomini che la compongono devono avere qualità di intuito, spirito d'iniziativa, saper dare dei consigli, devono svolgere un lavoro equilibrato con se e con gli altri. Tutte le sezioni devono lavorare per realizzare le condizioni attraverso le quali è possibile realizzare la politica del Partito continuamente. (Cita la sospensione di Lotta e Lavoro). L'apparato della Federazione va scelto con criterio politico. E' difficile conciliare le qualità politiche con le qualità tecniche. Si deve costruire un apparato in cui ogni compagno abbia la ragione di esserci; gli uomini devono essere in base ai compiti, non compagni di più e avvedutezza nella scelta. Un buon apparato deve saper sviluppare il suo lavoro. Amministrazione. Il finanziamento deve essere prodotto dalla Organizzazione. Attraverso le sottoscrizioni delle masse si troveranno i fondi per la campagna elettorale. Oggi il Partito potrebbe avere dei mezzi con prestiti dalle banche, ma è invece giusto che il Partito debba avere una base finanziaria propria. Le quote devono essere controllate. Ci deve essere una commissione finanziaria che funzioni. Occorre un buon amministratore; i registri devono essere semplici e controllabili da tutti. Richiama l'attenzione sul potenziare il lavoro collettivo. Non ci si può stupire se, in questo contesto, dopo breve dibattito le conclusioni, altrettanto puntuali e specifiche negli incarichi nominativi, sono tratte ancora una volta da Pellegrini. Lui stesso è presente alla successiva riunione, che si tiene il 5 successivo, ed è dedicata ai problemi sindacali (è uno dei proponenti l’istituzione di una Camera del Lavoro cittadina ad Udine) 85. Nel Comitato Federale del 20 marzo 1946 Pellegrini partecipa presiedendo la riunione, dedicata alle candidature per le prossime elezioni per l’Assemblea Costituente. Pellegrini, che viene proposto al secondo posto nella lista, subito dopo il capolista Mauro Scoccimarro, interviene senza peli sulla lingua a proposito delle candidature dei vari compagni e compagne; precisa che Lino Zocchi 86 non verrà candidato in Friuli, perché la sua candidatura sarà posta a livello nazionale per rappresentare alla Costituente i comunisti di Trieste ed infine conclude dando indicazioni organizzative sulla campagna elettorale 87. Pellegrini è presente anche al Comitato Federale del 18 giugno successivo, quando si discute del risultato elettorale. La relazione del segretario provinciale Mario Lizzero ed il suo intervento, che precede le conclusioni (sempre di Lizzero) danno indicazioni ben diverse da quelle espresse nella valutazione inviata al gruppo dirigente nazionale sopra riportata. In questo caso l’obiettivo è quello di motivare i compagni, superando la delusione rispetto all’insuccesso vissuto, per impegnare il partito nella lotta politica per la realizzazione della repubblica democratica e nel rinnovamento sociale, puntualizzando che l’obiettivo non è la rivoluzione operaia: Pellegrini: E' pienamente d'accordo con la relazione del compagno Lizzero. Sia in Friuli che in Italia il Partito rimane la forza senza la quale non c'è possibilità di soluzione dei problemi. Si può dire quindi che il P.C. ha vinto. Bisogna ora vedere quale politica dobbiamo fare e come condurla. La politica di unità nazionale riesce confermata dai risultati; ma è necessario riflettere sui risultati per capire quale unità è necessaria. Sono stati commessi errori nella realizzazione della linea politica. Noi continuiamo ad essere un Partito rivoluzionario e pertanto la lotta politica deve essere condotta come una lotta di classe. Il nostro Partito è il Partito della classe operaia che cerca di portare la classe operaia alla direzione della vita politica nazionale. Unità nazionale quindi per quanto riguarda la lotta della classe operaia contro la reazione, le forze del capitale. 85 Apc, M, mf. 111, 1946, Udine, Riunioni della segreteria della Federazione provinciale, pp. 1675/1699. Lino Zocchi “Ninci”, originario di Trieste, comandante delle formazioni Garibaldi “Friuli” e futuro presidente dell’Anppia nazionale. Cfr. nota biografica in: http://www.anpi.it/donne-e-uomini/lino-zocchi/ 87 Apc, M, mf. 111, 1946, Udine, Verbale della riunione del Comitato Federale del 20.3.1946, pp. 1647/1652. 86 21 Attualmente in Italia siamo in un periodo di rivoluzione sociale; non operaia od altro. Tutti i problemi italiani debbono essere risolti da tutti, con alla testa le forze operaie e contadine. Il Partito deve farsi quindi il propagandista e l'organizzatore delle forze sociali necessarie alla rivoluzione. La repubblica potrà costruirsi solo con l'intervento prevalente delle forze progressive e, pertanto, le riforme non potranno avvenire se la repubblica non sarà l'espressione democratica delle masse popolari. Dobbiamo essere dei realizzatori e non solo dei critici degli errori avversari. Nella campagna politica non siamo riusciti a differenziarci sufficientemente bene dagli altri avversari; e cioè ci siamo differenziati, ma come uomini troppo energici. Dobbiamo definirci come i migliori anche nelle realizzazioni pratiche della vita, non solo moralmente, ma anche nelle soluzioni pratiche dei problemi. Più del numero vale la qualità. Possiamo dire che i nostri 4 milioni e mezzo di voti si equivalgono agli 8 della D.C. e anzi sono di un valore superiore. E poiché nella costruzione della repubblica e della democrazia il peso determinante sarà rappresentato da quelle forze che sapranno sostenere la repubblica e la democrazia, e poiché i nostri 4 milioni e mezzo di voti sono costituiti da quelli più attivi, così il peso determinante sarà costituito dal nostro Partito. L'elezione, se rimane fine a se stessa, è puramente formale. Noi concepiamo invece il 2 giugno come un movimento rivoluzionario. Perché la politica di unità nazionale possa realizzare è necessario avere lo strumento per poterla condurre; e questo strumento è rappresentato dalle masse. Noi abbiamo una grande organizzazione di Partito che non dà, oggi, ciò che potrebbe dare; ma che potrà dare tutto se sapremo organizzare un piano concreto di lavoro. (Nelle recenti elezioni non sono state applicate le necessità rilevate al III° Congresso provinciale; è mancato cioè un piano organico di lavoro. Il Comitato Federale ha agito sotto l'influsso della situazione politica, mentre invece la situazione politica doveva essere determinata dal lavoro del Partito. Questo errore in parte è dovuto anche alla mancanza di capacità dei comitati direttivi di sezione. Presentemente le sezioni non sono in grado di dirigere la vita politica del paese:sono invece aggruppamenti di esseri che hanno presa la tessera del Partito, senza pensare che la vera tessera è l'attività. E' necessario pertanto dare anche una giusta soluzione ai legami tra la vita delle sezioni e la Federazione. Il problema dei disoccupati non è stato risolto che in linea formale dalle Camere del Lavoro (assistenza spicciola, ma nulla di concreto), mentre invece è necessario che le masse escano con una soluzione concreta dall'azione se si vuole che si sentano portate alla lotta; quindi l'azione deve essere concreta. Invece né il Partito né le Camere del Lavoro hanno ricavato alcun beneficio dalle azioni. Il Partito deve essere il centro della vita delle organizzazioni; non possiamo dire però di essere il Partito delle masse poiché non abbiamo la necessaria forza sulle masse. Unito a questo problema c'è anche quello degli intellettuali, che non è staccato, ma che si risolve nella misura in cui le soluzioni degli interessi delle masse operaie avranno risultato. Nella misura cioè che noi sapremo risolvere e tutelare i problemi delle masse smuoveremo l'indifferenza degli intellettuali e desteremo il loro interesse per il Partito. Rapporto con gli altri Partiti. I compagni responsabili della Federazione hanno impostato e risolto bene i problemi con gli altri Partiti. Ci sono state delle lacune alla periferia, però, non al centro. La periferia è insufficiente; risultato di posizioni opportunistiche e settarie. Nella misura che sapremo impostare i problemi delle masse otterremo l'unione con i Partiti. Potremo realizzare la Repubblica democratica dei lavoratori, se avremo un Partito costituito da elementi capaci di impostare e risolvere i problemi concreti delle masse . Pellegrini interviene nuovamente anche nella sessione pomeridiana, quando si affronta la questione della vertenza mezzadrile, criticando l’incertezza dimostrata dalla Camera del Lavoro nella 22 gestione delle lotte realizzate finora e nel non seguire scrupolosamente le indicazioni del partito 88. Anche quando Pellegrini è assente, come nella riunione di segreteria del 24 giugno, quando – discutendo della sostituzione del segretario comunista della Camera del Lavoro, Primo Romanutti, nel primo precoce contrasto, tra i tanti che contrapporranno d’ora in poi il Pci e la Cgil udinesi – il dibattito ruota attorno alla sua proposta di ricercare un candidato al di fuori della Federazione udinese. Si conclude di interpellare Pellegrini insieme ad altri dirigenti, per avere delle proposte, ma se ne otterrà solo l’ammissione che mancano persone disponibili (ne prende atto la segreteria del 3 luglio) 89. Pellegrini viene chiamato solennemente a presiedere la riunione del Comitato Federale del 1° novembre 1946: Viene proposto alla Presidenza, ed accettato all'unanimità il compagno On. Giacomo Pellegrini, il quale sottopone all'approvazione dei presenti un ordine del giorno di condanna dell'attentato compiuto a Roma ai danni dell'Ambasciata inglese da inviarsi al Governatore Alleato e propone di inviare un saluto ai popoli dell'Unione Sovietica ed al loro Capo – il generalissimo Stalin – in occasione dell'anniversario della Rivoluzione d'Ottobre. Interviene poi sulle elezioni sindacali, propugnando una linea di unità che non rappresenti un eccessivo cedimento nei confronti delle altre correnti politiche (cita la Federterra, dove però la componente democristiana è debole, in quanto i mezzadri sono organizzati separatamente, con i piccoli proprietari, dalla Coldiretti). Un successivo intervento è dedicato al patto di unità d’azione con il Psiup, la cui situazione è analizzata criticamente: Pellegrini: Svolge una chiara e precisa analisi della struttura politica e organizzativa del P.S., rileva che vi sono in quel Partito alcuni elementi nemici della rivoluzione proletaria, altri tentennamenti perché non sentono con chiarezza classista i problemi, ma che la maggior parte di essi sono molto vicini a noi. Su questi dobbiamo lavorare. Fa osservare che le elezioni politiche hanno dimostrato che strati 90 numerosi delle masse seguono il P.S. benché esso abbia assunto talvolta posizioni o no rivoluzionarie . Analizza la mancanza di sensibilità di molti elementi del P.S. per la lotta; essi non comprendono chiaramente la necessità del continuo mutare della tattica di lotta e delle fasi di passaggio dalla società capitalistica a quella socialista. Il disorientamento esistente nel P.S. si riflette sulle masse e determina un rallentamento della possibilità di attuazione della nostra azione politica. Dopo aver riassunto la discussione del C.F., rileva l'assoluta necessità che la nostra azione di comunisti e di Partito riesca a portare chiarezza nelle masse e nel P.S. poiché questa è la condizione indispensabile per il patto di unità che a sua volta è assolutamente necessario per la realizzazione di un fronte democratico. Pertanto, siccome i Partiti Soc. e Com. hanno gli stessi principi che hanno per base la classe operaia, bisogna unificare la classe operaia se si vuole superare l'attuale situazione. Osserva infine che il Patto d'azione è di utilità per entrambi i Partiti per il raggiungimento degli obbiettivi di classe, e deve servire anche a smascherare ed eliminare tutti gli elementi disonesti che si trovano nel P.S. E solo con l'eliminazione di questi elementi, conclude l'oratore, sarà possibile raggiungere l'unità della classe operaia; ma per far ciò è necessario anche che i residui di settarismo che affiorano nel nostro Partito vengano completamente eliminati. Il punto successivo, quello sull’autonomia regionale friulana, viene trattato da Gino Beltrame, che fa esplicitamente riferimento alle posizioni espresse da Pellegrini sul periodico della Federazione. Una posizione molto tattica, che rifiuta l’ipotesi dello “stato cuscinetto” e quindi ogni legame con le zone del Goriziano oggetto del contenzioso internazionale, sia la riproposizione della manovra pisentiana della “Provincia del Friuli” del 1923, realizzata in pure funzione antislovena. La conclusione è un blando sostegno all’ipotesi autonomistica, per non farsi scavalcare dalla Dc: 88 Apc, M, mf. 111, 1946, Udine, Verbale della riunione del Comitato Federale del 20.3.1946, pp. 1653/1674. Apc, M, mf. 111, 1946, Udine, Riunioni della segreteria della Federazione provinciale, pp. 1700/1738. 90 Sic. 89 23 Beltrame: fa la storia della questione specificando che fin dal sorgere dei primi accenni nel senso di un'autonomia Friulana la Federazione ha preso posizione, preoccupata soprattutto che attraverso questo problema si potesse creare un legame con la Provincia di Gorizia e quindi con tutti i territori in contestazione. Fin dal periodo cospirativo la Federazione ha tenuto a tener ben separata la Provincia di Udine dalle zone contestate; perché consapevole delle manovre di altre correnti (particolarmente D.C.) tendenti sia allo Stato cuscinetto, sia ad un plebiscito nel quale gli italiani della Prov. di Udine avrebbero controbilanciato gli slavi della Ven. Giulia. Perciò si dichiarò il problema non attuale e lo si fece accantonare. Dopo aver esposto la posizione del Partito sul problema delle autonomie regionali in generale posizione che risulta particolarmente da due articoli del comp. Grieco recentemente apparsi su Rinascita e Vie Nuove, passa a trattare della nostra posizione attuale sul problema della regione Friulana in particolare. Noi non siamo molto entusiasti dell'idea, ma non possiamo permettere che la D.C. se ne faccia una base elettorale sfruttando sentimenti campanilistici abbastanza diffusi in Friuli. Bisogna quindi prendere una posizione che, senza contraddire esplicitamente la rivendicazione, ci permetta di contenerla e controllarla riportandoli a limiti non pericolosi. E' la posizione che appare nel recente articolo del comp. Pellegrini su "Libertà" e nell'editoriale di "Lotta e Lavoro". La riunione è stata commentata nella bozza di biografia pellegriniana elaborata da Mario Lizzero, riferendo che ci fu un dibattito contrastato, con una maggioranza contraria ed una minoranza favorevole all’autonomia regionale friulana: Noi pensiamo che uno dei massimi errori commessi da Pellegrini sia quello che egli ha fatto in Friuli, negli anni 1945-’47 e nell’Assemblea Costituente di cui allora era componente, per il Friuli, appunto. […] In quella riunione del C.F. della Federazione friulana del Pci, presieduta da Giacomo Pellegrini, ci furono voci che si alzarono a favore della rivendicazione dell’autonomia regionale friulana. 91 Ma la maggioranza fu con Pellegrini e prese posizione contraria. Naturalmente fu un grosso errore . Il che non corrisponde agli atti conservati della riunione, dove il dibattito è polarizzato tra la posizione della sezione pordenonese, contraria all’autonomia regionale, e quella della segreteria, presentata da Beltrame. Si tratta – nel caso di Lizzero - di un evidente caso di ricostruzione mnemonica, non controllata sui documenti. A tal proposito, riportiamo proprio il testo del suo intervento: Lizzero: Riassumendo osserva che la posizione presa dalla Segreteria sarebbe stata accettata da tutto il C.F. se non ci fosse stata la posizione dissenziente di Pordenone e rileva che tale posizione è stata sostenuta da tempo. A nome della Segreteria prende atto che malgrado certi punti di vista di alcune zone la decisione di aderire all'autonomia regionale è stata favorevolmente giudicata. Dopo un intervento di Pellegrini, pure lui in appoggio alla posizione della segreteria, la parola ritorna al relatore: Beltrame: conclude rilevando che l'andamento stesso della discussione (Udine contro Venezia, Pordenone contro Udine, Sacile contro Pordenone) rivela quanto pericolose siano certe posizioni e ribadisce quella già assunta dalla Segreteria . Infine c’è la proposta di Padovan 92 che, in riferimento all’imminente Conferenza di Organizzazione del partito, «Propone che si chieda che la Direzione sia più vicina alla nostra Federazione in considerazione della posizione estremamente delicata della nostra Provincia e che il compagno Pellegrini venga assegnato a Udine» 93. Una volta strutturato il Comitato Regionale (in realtà interregionale del Veneto), è Lizzero, incaricato della segreteria regionale per il Friuli-Venezia Giulia 94 a formalizzarvi la presenza di Pellegrini: «Si 91 Archivio Ifsml, Fondo Mario Lizzero “Andrea”, b. 59, f. 558, pp. 25-26. Giovanni Padoan: cfr. la nota biografia all’indirizzo: http://www.anpi.it/donne-e-uomini/giovanni-padoan/ 93 Apc, M, mf. 111, 1946, Udine, Verbale della riunione del Comitato Federale del 20.3.1946, pp. 1653/1674. 94 All’epoca la denominazione ufficiale della regione prevede il trattino. 92 24 riferisce alla discussione e ritiene che ne sia sorta la necessità di un preciso chiarimento sul funzionamento e sui compiti del Comitato Regionale V.G. affinché non abbia ad interferire con quello Veneto che dirige anche la nostra azione. Il Compagno Pellegrini dovrà essere interpellato e egli stesso potrebbe dirigere il nostro lavoro partecipando quando possibile, a tutte le riunioni del Comitato Regionale. […]» 95. Anche se qualche settimana dopo è possibile leggere una frase che fa pensare a qualche problema di ruolo tra i dirigenti dei due organismi: «Lizzero introduce dichiarando che l'invito a Pellegrini è stato formulato sulla base della proposta del Segretario della Federazione di Pordenone Visentini, fatta nell'ultima riunione del Comitato Regionale Friuli Venezia Giulia». La relazione è svolta da Pellegrini, che analizza la situazione mondiale come contrassegnata da un aggravarsi delle tensioni fra le forze della pace ed i loro avversari. Sul piano interno indica la centralità del Piano invernale, ma sottolinea l'inadeguatezza del partito nel Veneto, gli scarsi legami con le organizzazioni di massa ed i disoccupati: da tutto ciò emergono le carenze dei quadri del partito. «Solo il Friuli è stato considerato meno deficiente delle altre provincie venete come pure Gorizia, ma ci sono molte deficienze in queste vostre Federazioni. Una deficienza profonda si nota tra i quadri sindacali come è dimostrato dal movimento sindacale stesso dove si oscilla su posizioni statiche e talora di arretramento. Cita il caso gravissimo della defezione della lotta del Sindacato Tessili della provincia di Udine e le conseguenze che ha avuto per il movimento di allora in campo nazionale». In generale nel Veneto la sottovalutazione delle forze partigiane porta all'incapacità di dirigere le associazioni combattentistiche. Le commissioni di lavoro non sono ovunque costituite, oppure sono composte da quadri inadeguati; «talora qualche Federazione ha un metodo di lavoro e di direzione che non la distingue da un partito di tipo socialdemocratico». La formazione dei quadri del partito può avvenire grazie alle scuole da istituire, ma soprattutto nella pratica della lotta, e nel lavoro collegiale di partito. Le commissioni di lavoro da costituire immediatamente sono: Organizzazione, Massa, Stampa e propaganda, Femminile, Amministrativa, Cars. 96 Giovanile. «Parla quindi della commissione Lav. Massa e rilevando le gravi deficienze che esistono specialmente nel Campo Sindacale. Esistono scarsi legami tra il Partito e il sindacato il che crea un certo dualismo tra i compagni dirigenti che lavorano nell'ambito del partito e i quadri dirigenti che lavorano nel sindacato ciò è dovuto ad insufficiente direzione del Partito su quei quadri cioè alla mancanza di una commissione sindacale». «Esiste talora un pericoloso dualismo anche nel campo femminile dovuto alle stesse cause». Pellegrini si dedica alla descrizione del metodo di lavoro che deve essere seguito dai vari organismi delle federazioni, sostiene la necessità che ogni quadro formi il suo eventuale sostituto e che i quadri operino secondo un preciso piano di lavoro. Altro settore nel quale vengono individuate gravi carenze da superare è quello della Stampa e propaganda. Al termine del dibattito Pellegrini conclude lamentando innanzitutto che il convegno non ha potuto esprimere di più, a causa della grave mancanza di relazioni sulle federazioni da parte dei singoli segretari. Comunque il convegno è stato utile per l'acquisizione di una coscienza dei limiti nel lavoro finora realizzato. Sottolinea nuovamente la necessità che ognuno prepari il suo sostituto, il lavoro collegiale, quello delle commissioni; sottolinea quindi l'esistenza apparsa anche dal dibattito di incomprensioni, se non di dualismo, tra i quadri che lavorano nell'ambito del sindacato e quelli del Partito. Qui ricorda che la soluzione del problema dei quadri anche per quanto riguarda gli organismi di massa in generale, come pure il Partito, non deve trovarsi sulla traccia dei quadri "giovani" e "vecchi"; non si tratta di un problema di generazioni quanto di devozione al Partito, di capacità e di concrete esigenze politiche. Conclude ribadendo la necessità di lavorare, sia come partito che come organismi di massa ed amministrazioni locali, nel senso della realizzazione del piano invernale. Ragionamento cui seguono una serie di informazioni tecniche sulla destinazione e gli incarichi dei quadri nelle varie province .97. 95 Apc, M, mf. 182, 1948, Friuli-Venezia Giulia, pp. 1081/1110, Verbale della riunione del Comitato Regionale del 15.11.1948. 96 Sic. 97 Apc, M, mf. 182, 1948, Friuli-Venezia Giulia, pp. 1081/1110, Verbale del convegno regionale quadri, Udine 10.12.1948. 25 2 giugno 1946: la sconfitta dei comunisti friulani alle elezioni per la Costituente. Il 2 giugno 1946 Pellegrini è eletto all’Assemblea Costituente, quale unico parlamentare del Pci per l’XI Collegio (province di Udine e Belluno) con 5.375 voti di preferenza, subentrando a Mauro Scoccimarro 14.484 voti di preferenza) che opta per il Collegio unico nazionale. Si tratta di un risultato molto deludente per i comunisti friulani, che – a dispetto del protagonismo resistenziale – si ritrovano schiacciati dalla riconferma del Partito Socialista come partito egemone nella sinistra 98, con i suoi quattro parlamentari, e dall’emergere della Dc come partito di maggioranza relativa, con sei 99. Ecco come Pellegrini commenta il risultato dopo la consultazione nelle organizzazioni comuniste del collegio, introducendo alcuni elementi analitici che ritroveremo anche negli anni successivi: [...] Confrontando con le elezioni del 1921, i comunisti ed i socialisti insieme hanno visto aumentare i loro voti ed hanno mantenuto il numero dei deputati (5). Ma per quanto concerne l'esito per il nostro Partito si deve francamente riconoscere che abbiamo subito una sconfitta. Le nostre prospettive ragionate ci facevano sperare tre posti con circa 100.000 voti, mentre i posti sono ridotti a uno e i voti a qualcosa di più della metà. Non mi è possibile in questo momento darvi una spiegazione dettagliata e completa delle cause che ci hanno portato a questi risultati. Tuttavia penso che si possa già fin d'ora trarre delle conclusioni che nelle linee generali non si differenzieranno di molto dalle conclusioni definitive che i due comitati Federali stanno elaborando sulla base di un controllo delle organizzazioni. In primo luogo è da sottolineare l'enorme percentuale di votanti che ha fatto si che migliaia e migliaia di donne e uomini completamente staccati per la loro età e la loro vita da ogni attività politica anche nel senso il più elementare si sono recati a votare letteralmente inquadrati dalle organizzazioni legate alla chiesa. Altro elemento che bisogna riconoscere è l'esistenza di una efficiente organizzazione capillare della chiesa e della D.C. che ha funzionato a pieno rendimento, sia nella campagna elettorale che nel giorno delle elezioni. Il terrorismo religioso organizzato con diabolica perseveranza ed intelligenza è stato poi un elemento attraverso il quale decine di migliaia di elettori, in specie donne, ànno sentito la preoccupazione di votare per i comunisti. Gli effetti di questo terrorismo si sono intrallacciati sempre alla campagna di calunnie e di menzogne lanciate contro i nostri dirigenti nazionali e locali. Conseguenza fu che, nel dubbio e nella preoccupazione, migliaia e migliaia di elettori riversarono i loro suffragi sui candidati socialisti, i quali per loro conto, con frasi ed affermazioni reticenti alimentarono nella coscienza dei lavoratori il dubbio sul Partito Comunista. In queste province poi la questione nazionale in generale e quella di Trieste in particolare è stata fortemente sentita. Non sono state sufficienti le nostre esplicite dichiarazioni a proposito dell'italianità di Trieste. Agli avversari, che nei contraddittori uscivano sempre scornati, non riusciva difficile nella propaganda spicciola introdurre il concetto che le nostre erano parole e che i fatti erano ben evidenti. I comunisti Jugoslavi non solo minacciavano Trieste, ma anche alcune regioni del Friuli stesso. La paura degli slavi, nelle masse lavoratrici, è senza dubbio un fatto molto concreto e di molta presa. 98 Il Psiup vede confermati tre dei suoi parlamentari prefascisti - gli antichi organizzatori del Segretariato dell’Emigrazione di Udine (Giovanni Cosattini e Giuseppe Ernesto Piemonte) e l’avvocato bellunese Oberdan Vigna oltre al medico udinese Gino Pieri. 99 Il Pci ottiene 69.117 voti di lista nel collegio, a fronte dei 171.111 del Psiup e dei 263.371 della Dc. Terzo nella lista comunista è il bellunese G. Banchieri (3.638), cui seguono il consultore nazionale Mario Lizzero (3.508) ed il futuro deputato friulano Gino Beltrame (2.682). Cfr.: I deputati e senatori del primo parlamento repubblicano, cit.; Rinaldi, cit., pp. 67-68. 26 Ma a mio avviso non sarebbe giusto, per spiegare il nostro insuccesso, fermarci a queste cause certamente importanti. Bisogna sforzarsi a vedere quanto, nell'insuccesso, è responsabilità nostra, della nostra organizzazione, del nostro modo di applicazione della linea politica del Partito. Sul piano dell'organizzazione bisogna constatare che noi siamo assenti in numerosi paesi della Provincia, e che in altri paesi dove l'organizzazione esiste, essa è, nella migliore delle ipotesi, un'organizzazione di propaganda generica e di distribuzione non sempre intelligente della stampa di Partito. Nelle zone dove l'organizzazione esiste e funziona politicamente, abbiamo avuto dei successi, come nella Bassa Friulana, oppure siamo riusciti a contenere l'insuccesso entro limiti sopportabili. La falla organizzativa si è rivelata nel corso della campagna elettorale e nei risultati come una delle deficienze più gravi delle Federazioni di Udine-Belluno. Altra spiegazione è quella di una reale assenza di attività politica di massa da parte di numerose nostre organizzazioni. Le conseguenze di questo fatto nel corso della campagna elettorale si rivelarono molto gravi, particolarmente per il fatto che la differenziazione fra noi e i socialisti e fra noi e la D.C. avveniva quasi sempre sul piano polemico in relazione a posizioni politiche generali. Mentre gli altri, anche i socialisti, usavano armi sleali nei nostri confronti noi ci limitavamo a parlare di programma e della necessità di conseguenza politica nell'applicazione del programma. Nella situazione di grave ignoranza politica in cui si trovano le nostre masse, noi non riusciamo a realizzare un passaggio decisivo delle masse a nostro fianco. Da tutti i comizi, e ne abbiamo fatti moltissimi, appariva chiara la simpatia nei nostri confronti per la lealtà della nostra posizione, la concretezza del nostro programma generale ed anche locale, per il nostro passato di combattenti antifascisti. Ma non si è andati più in là della simpatia. Nel dubbio, nella incertezza che i comunisti saranno veramente quello che dicono di essere, moltissimi hanno votato per i socialisti. Anche nel Friuli e nel Bellunese si sono dimostrate le gravi conseguenze di un debole lavoro sindacale, di una debole azione delle masse sul piano delle rivendicazioni sociali. E' tutta una lacuna che deve essere prontamente colmata. Bisognerebbe ora parlare sulla concretezza della nostra politica di unità nazionale in questa regione di frontiera, ma non ho elementi sufficienti per esprimere un mio giudizio che non sia enunciazione generale e perciò un poco astratta. Ripeto, queste sono conclusioni tratte da un esame piuttosto rapido della situazione, così come si presenta al lume dei risultati elettorali. L'esame dovrà essere approfondito. A questo s'accinge attualmente la Federazione di Udine; che seppure è stata colpita dai risultati, sente fortemente che molto è possibile fare perché il peso specifico del nostro Partito nel Friuli sia decisivo nella realizzazione di un programma democratico della Repubblica Italiana. Superato un momento di delusione, tutti i compagni sono nuovamente al lavoro, convinti che nella critica e nell'autocritica sarà possibile trovare la soluzione dei problemi che si pongono attualmente all'organizzazione del Partito nella provincia di 100 Udine . Emergono alcuni tratti (se ci si astrae dal contesto friulano di tensione per i rapporti con gli jugoslavi) che ritroveremo con continuità nell’analisi di Pellegrini sull’insieme della realtà veneta, e che spiegherebbero - secondo Cesco Chinello - i limiti di un’impostazione attivistica, in cui la recriminazione sui limiti organizzativi sostituisce l’esigenza di analizzare e confrontarsi con le novità che mutano nella realtà sociale, in evoluzione negli anni ’50 con la trasformazione da un’economia agricola alla crescita delle nuove realtà industriali diffuse nel territorio. Un ritardo di analisi, che per altro Chinello attribuisce allo stesso Palmiro Togliatti, con una continuità che va dal discorso al congresso padovano del 1947 alla conferenza regionale veneta del 1959 (nella quale viene eletto come nuovo segretario regionale il veneziano Gianmario Vianello 101) e di cui Pellegrini appare l’elemento di continuità in sede locale, con quella sua tautologia - «il Veneto è quello che è» - che sarà implacabilmente presa di mira dagli «innovatori» 102. 100 Apc, mf. 111, Udine, 1946, Copia dattiloscritta di lettera di Giacomo Pellegrini alla Segreteria del Pci, Udine 6 giugno 1946, Resoconto del risultato politico e referendario del 2 giugno 1946 nel collegio di Udine-Belluno. 101 Giammario Vianello, Cultura, politica e classe operaia, intervista contenuta in: Alfredo Aiello, Ciminiere ammainate: trent'anni di opposizione al declino industriale, Portogruaro, Nuova Dimensione, p. 295. 102 Chinello, cit., p. 83. 27 1946 – 1948: l’attività all’Assemblea Costituente. Pellegrini interviene una sola volta nelle discussioni parlamentari, con un’interrogazione sugli incidenti del 29 giugno 1947 a Venezia, scoppiati a seguito di un comizio della Democrazia Cristiana: si tratta di una discussione violenta, svoltasi poco più di un mese dopo la rottura dei governi di unità antifascista e la nascita del quarto governo De Gasperi, basato su una coalizione centrista. Sull’avvenimento sono state presentate ben tre diverse interrogazioni: oltre a quella di Pellegrini per il Pci («a) per conoscere quali sono le disposizioni di legge che consentirono di mettere a disposizione del Partito democratico cristiano le forze di polizia, per presidiare, nella giornata di domenica, 29 giugno, la piazza San Marco di Venezia; b) sugli incidenti che si svolsero […]»), ci sono quella del socialista veneziano Giovanni Tonetti («sugli incidenti che si sono verificati […] in occasione del comizio indetto dall’onorevole De Gasperi e sugli arresti arbitrari e indiscriminati che ne sono seguiti») e, per la Democrazia Cristiana, un’interrogazione firmata da ben quattro suoi parlamentari veneziani: Pietro Mentasti 103, Giovanni Ponti, Pietro Lizier e Celeste Bastianetto («per conoscere […] quali provvidenze il Governo intenda adottare perché la libertà di parola nelle pubbliche manifestazioni sia a tutti garantita e così pure tutelata la sicurezza dei partecipanti contro ogni atto di faziosità e di violenza») 104. Pellegrini presenta anche alcune interrogazioni con risposta scritta, su tematiche disparate. Se apparentemente possono apparire disomogenee, se paragonate al dibattito sull’elaborazione costituzionale, esse sono rivelatrici del magma di problematiche di un paese che cerca di cambiare radicalmente, ma non riesce a disfarsi facilmente delle ipoteche del passato. E’ il caso dell’interrogazione presentata insieme al compagno Riccardo Ravagnan 105 al ministro della pubblica istruzione, «per conoscere le misure che intende prendere, perché nelle scuole professionali di Venezia sia proibito, quale libro di testo il volume La luce del mondo, autore Onofrio di Francesco, in cui si fa aperta apologia delle istituzioni monarchiche, del «re imperatore», e si offende la democrazia italiana attraverso le volgare calunnie contro alcuni partiti democratici». Libro che, secondo la risposta del ministro Guido Gonella 106, che per altro annuncia il ritiro del manuale, era stato «defascistizzato ai sensi dell’apposita ordinanza ministeriale», e già questo caso può esemplificare i criteri con i quali un apparato burocratico che è ancora quello del vecchio regime provvede a riciclare silenziosamente i canoni interpretativi della cultura conservatrice e fascistoide che in gran parte transiterà nell’Italia democristiana del dopoguerra 107. La precedente interrogazione riguardava la richiesta di «conoscere quali misure si intendano prendere per rapidamente liquidare le spettanze dei reduci, già residenti nell’Africa Italiana, ed ora provenienti dai campi di prigionia», e mobilita per la risposta il ministro ad interim per l’Africa Italiana, che 103 Del gruppo, Pietro Mentasti è il più importante: non solo per aver ricoperto ruoli di governo, come Alto commissario per l’alimentazione nei primi due governi De Gasperi, ma per essere stato l’artefice dell’acquisizione alla Dc veneta del quotidiano «Il Gazzettino», attraverso le trattative nell’esilio svizzero con i proprietari della Sade, Volpi e Cini, durante la fase resistenziale. Organizzatore delle leghe bianche nel Polesine nel primo dopoguerra era stato il segretario nazionale della Federazione piccoli affittuari e proprietari e componente dell’esecutivo nazionale della Confederazione Italiana del Lavoro. Dopo la caduta del fascismo fu commissario della Federazione nazionale coloni e mezzadri, poi rappresentante democristiano nel Clnai. Cfr. la commemorazione alla Camera dei Deputati nella seduta del 25 settembre 1958: http://www.camera.it/_dati/leg03/lavori/stenografici/sed0032/sed0032.pdf (pp. 1669-1671) e Maurizio Reberschak, Gli uomini capitali: il «gruppo veneziano» (Volpi, Cini e gli altri), in: Stuart Woolf e Mario Isnenghi (a cura di), Storia di Venezia. II. L’Ottocento e il Novecento, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 2002. 104 Assemblea Costituente, seduta antimeridiana di mercoledì 7 luglio 1947, pp. 5488 e segg, in: http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/Assemblea/sed175/sed175nc.pdf 105 Cfr. Andreucci-Detti. 106 Cfr. http://www.treccani.it/enciclopedia/guido-gonella_(Dizionario-Biografico)/ 107 Assemblea Costituente, Allegato alla CXXVI seduta del 19 maggio 1947, Risposte scritte ad interrogazioni, p. 516, in: http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/assemblea/sed126/sed126nc_all.pdf 28 poi è il presidente del consiglio Alcide De Gasperi, ed il ministro della difesa Luigi Gasparotto 108. Si tratta di un complesso di più di centomila reduci dai vari lembi di un impero coloniale italiano che si era già disfatto nel 1940-1942, con la riduzione in prigionia dei soldati dispersi su quei lontani fronti. Un parte non piccola,nel complesso, delle masse di italiani prigionieri di guerra dei vari avversari che si erano susseguiti durante il secondo conflitto mondiale (Nazioni Unite, Germania e Giappone). De Gasperi informa come la liquidazione delle competenze arretrate ai militari reduci dalla prigionia abbia risentito della confusione istituzionale conseguente al disfacimento posteriore all’8 settembre 1943. Fino al 25 aprile 1945 se ne occupò il Ministero dell’Africa Italiana, per poi delegare l’incombenza della gestione delle pratiche ai Distretti militari, che corrispondono agli interessati dei «congrui acconti coi quali far fronte alle prime più inderogabili esigenze». Il saldo delle liquidazioni è comunque subordinato ad una verifica del ministero, che deve calcolare la cifra esatta e scomputarvi le anticipazioni corrisposte alle famiglie ed i debiti assunti dagli interessati. Procedura accelerata dall’ottobre 1946: «Con ciò tuttavia non si sono certo eliminate tutte le difficoltà che si frappongono ad una sollecita liquidazione delle competenze spettanti ai singoli reduci»: constatazione che viene spiegata con vari fattori, come «1°) il fatto che tutti i documenti relativi ai rimpatriati sono rimasti presso i Distretti dei territori coloniali e andati in massima parte distrutti, il che obbliga alla ricostruzione, caso per caso, delle posizioni militari, economiche e giuridiche dei singoli interessati basandosi sulle dichiarazioni di questi ultimi da controllare con gli elementi conservati negli archivi del Ministero o da far convalidare da ufficiali o funzionari già residenti in Africa; 2° il fatto che le dichiarazioni degli interessati sono molto spesso sommarie e vaghe e rendono lunghe e difficili le istruttorie; 3°) la complessità di molte posizioni individuali a chiarire le quali sono stati necessari e si rendono spesso necessari accertamenti ed intese con le varie Amministrazioni interessate e soprattutto col Ministero della guerra; 4°) la perdita verificatasi di migliaia di fascicoli in occasione del trasferimento degli archivi al Nord, il che priva in molti casi il Ministero di ogni elemento di controllo costringendo a laboriose ricostruzioni attraverso atti di altri uffici sovente dislocati fuori sede». Complicato è in particolare il conteggio delle anticipazioni corrisposte alle famiglie successivamente da svariati enti, e solo recentemente è stato possibile iniziale a riunificare gli archivi a Roma, per un complesso di oltre centomila pratiche. Iniziativa che però trova un ostacolo nel fatto che il ministero competente non ha ancora a disposizione locali adatti in cui trasferirsi. Gasparotto informa che «i reduci dalla prigionia di guerra, già residenti in A.O.I. ricevono all’atto dello sbarco da parte dei Centri alloggio un anticipo in relazione al grado rivestito e successivamente, possibilmente durante la licenza di rimpatrio, ottengono la liquidazione definitiva degli assegni di prigionia presso i distretti militari di residenza». Nei casi di difficoltà, i distretti sono autorizzati a corrispondere un ulteriore anticipo. Il sistema, efficiente secondo il ministro, subisce dei ritardi a causa «degli accertamenti che debbono essere esperiti nei confronti del personale rientrato dall’internamento con la qualifica di civile, e che all’atto della cattura era militare o militarizzato, poiché in questi casi è necessario stabilire se esiste o meno il diritto agli assegni […]. Gasparotto conclude infine che inevitabili ritardi sono stati comunque dovuti al «rilevante numero di reduci già residenti in Africa Orientale Italiana» 109. Rispetto all’evidenza politica e sociale dei due precedenti interventi, del tutto diverso per la scelta di interlocutore sociale è l’argomento della terza interrogazione, riguardante la riapertura del termine di iscrizione nell’albo degli architetti dei professori di disegno architettonico, per por rimedio «agli effetti ingiusti ed antigiuridici della legge del 1923». Il ministro Gonella, ricordando la norma a sanatoria del 1931 che avrebbe avuto valore solo per i diplomati entro il 31 dicembre 1926, escludendo i diplomati nel 1927 e gli altri studenti che non avessero completato gli studi – rigettava l’istanza di Pellegrini, ritenendo che non fosse possibile sanare la posizione di chi non aveva compiuto gli studi tecnici indispensabile per l’esercizio della professione di architetto 110. Riguardo a quest’ultimo intervento, si può ricollegare l’iniziativa al probabile suggerimento di Cesare Scoccimarro, diplomatosi nel 1921 proprio come professore di disegno 108 biografia Assemblea Costituente, Allegato alla LXXXVI seduta del 12 aprile 1947, Risposte scritte ad interrogazioni, pp. 414415, in: http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/assemblea/sed086/sed086nc_all.pdf 110 Assemblea Costituente, Allegato alla CCCXLIX seduta del 13 gennaio 1948, Risposte scritte ad interrogazioni, p. 1112, in: http://legislature.camera.it/_dati/costituente/lavori/assemblea/sed349/sed349nc_all.pdf 109 29 architettonico presso l’Accademia di Belle Arti di Venezia, e fratello dell’altro maggiore dirigente comunista di origine friulana, Mauro 111. Geopolitica dell’autonomia regionale. La questione regionalistica si intreccia con l’attività politico-istituzionale di Pellegrini, dalla Costituente fino agli anni ’60 in Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia. Pellegrini sarà eletto nel 1964 nella prima legislatura regionale, all’interno di un gruppo in cui emergono le figure di dirigenti provenienti dalla Resistenza. Anche in questo caso, il fugace riferimento contenuto nel volume einaudiano dedicato al Friuli Venezia Giulia conferma il leit-motiv di un Pellegrini scettico, se non chiuso, pur dovendogli riconoscere la preminenza tra gli eletti comunisti: Una rappresentanza così qualificata non corrisponde tuttavia a un’altrettanto convinta adesione al progetto regionalista. Pellegrini in particolare, che era stato nella segreteria di Togliatti e che più di qualsiasi altra persona in Friuli-Venezia Giulia manteneva i rapporti con il Partito comunista dell’Unione Sovietica, non si dimostra mai incline a vedere nel decentramento regionale una vera fase di sviluppo dello Stato italiano. Nonostante questa convinzione il Pellegrini entra in consiglio nelle prime due legislature con la quota di preferenze più alta non solo per quegli anni (rispettivamente 8200 e 112 9007) ma per tutta la rimanente vicenda elettorale del Pci-Pds . Anche se la problematica del regionalismo non è oggetto di questa relazione - essendone prevista una specifica su Pellegrini consigliere regionale - ci pare importante riferire le sue posizioni, come esplicitate estesamente in un appunto per Ruggero Grieco durante i lavori dell’Assemblea Costituente. Si tratta di valutazioni che fanno parte dei ragionamenti del Pci nel lungo periodo, relativamente alla vicenda politico-economica delle regioni nordorientali e dei caratteri del regionalismo che si va delineando nella redazione della nuova Costituzione: 1. Di regione friulana, di autonomia friulana se ne parla dal 1866 in poi. A tener vivo tali orientamenti concorsero e gli interessi di alcuni gruppi reazionari, nobiltà agraria legata all'Austria asburgica, e la constatazione, nei vecchi, che "con l'Italia non si stava meglio che con l'Austria". L'emigrazione poi, affievolendo il sentimento nazionale, ed agendo nel senso di mettere in risalto l'incapacità, per alcuni la cattiva volontà, dell'Italia di risolvere il problema del lavoro, ha aggiunto nuovi elementi a tali orientamenti. 2. Il centralismo statale ha dato esca alle critiche di coloro che accusavano "Roma" di non pensare al Friuli. Ma tale critica ha anche colpito l'idea dell'unità regionale veneta, con Venezia capoluogo, e tale critica era ed è alimentata dalla storia passata e recente (Magistero delle Acque). 3. Da ciò la forza che [ha]avuto l'idea di una regione friulana, dal momento che si è cominciato a parlare di una costituzione italiana di tipo regionalistico. Naturalmente vi è stata e vi è molta confusione, in parte voluta. Per molti "regione" significa decentramento amministrativo, ma il fatto che si lasciano passare formule generiche, che si alimentano tendenza "all'autosufficienza", che si da vita a un "Movimento popolare autonomista" che non specifica molto il suo programma, legato all'altro fatto che in Friuli i regionalisti della D.C., sono fermi partigiani di un regionalismo con potestà politiche, e possibilmente le più larghe, da al regionalismo friulano un preciso significato ideologico e politico. 111 Annalisa Avon, Cesare Scoccimarro architetto (1897-1953), in: Annalisa Avon (a cura di), Trent’anni di architettura, disegno industriale e arredo d’interni. Cesare Scoccimarro (1897-1953), Udine, Forum, 2013, pp. 15 e 43. 112 Michele Degrassi, L’ultima delle regioni a statuto speciale, in: Roberto Finzi, Claudio Magris e Giovanni Miccoli (a cura di), Il Friuli-Venezia Giulia, Torino, Einaudi, 2002, p. 771. Degrassi non esplicita in questo caso le sue fonti, che potrebbero essere costituite, oltre che dai resoconti dei dibattiti in Consiglio Regionale, dalla memoria orale dei dirigenti del Pci. Il tutto in un contesto poco accurato, in cui talvolta gli stessi nomi dei protagonisti citati – Giuseppe Girardini, Paolo Berzanti, Fulvio Bergomas - vengono storpiati sistematicamente, e riportati erroneamente nello stesso indice dei nomi del volume. 30 4. L'idea della regione friulana non è accettata da tutto il Friuli. Il territorio alla destra del Tagliamento (Pordenone, Sacile) è per una Regione Veneta. La zona di Cervignano è per la sua unione con Monfalcone. Gorizia e Monfalcone non vogliono far parte di una regione che abbia come capoluogo Udine, ecc. 5. Nel quadro della situazione internazionale il Friuli è diventato una zona estremamente interessante. Per Udine passano le ferrovie che uniscono l'Italia all'Europa Centro-Orientale. Vi è un progetto inglese, per cui sembra si siano già trovati i capitali per una grande autostrada che unirebbe Trieste attraverso Cividale, all'Austria. Il sistema stradale coordina importanti linee di comunicazioni. La pianura friulana, a ridosso delle catene delle Prealpi è un ideale campo d'aviazione. L'hinterland friulano allargherebbe in maniera conveniente il "territorio libero di Trieste". Per tutte queste ragioni gli inglesi, subito dopo la liberazione dimostrarono di interessarsi, in ogni modo, del Friuli, e delle idee di autonomia che già si mormoravano quì e là. Al momento delle trattative di Parigi si è parlato con insistenza di un progetto inglese che estendesse il territorio libero fino al Tagliamento. A Trieste vi è un giornale e un movimento, notoriamente finanziato dagli inglesi che dice apertamente queste cose. La stessa pressione poliziesca esercitata dagli inglesi contro i nostri compagni e il movimento partigiano garibaldino è un aspetto di tale interesse. E' mia opinione che in questo momento un'autonomia friulana a cui fosse concesso uno statuto speciale per il fatto dell'aggregamento della zona della V.G. che resta all'Italia, converrebbe agli inglesi da ogni punto di vista, a meno che la nostra organizzazione di partito, a cui dovrebbe concedersi una larga autonomia nell'iniziativa politica, non agisse in un determinante tempo per dare alla tendenza autonomistica delle masse un preciso orientamento classista. Ma ciò può inquadrarsi solamente in un determinata prospettiva che non mi sembra la più probabile. 6. L'obbiettivo di annullare la V.G. legando al Friuli la parte restante non mi sembra giusto. Il Friuli è troppo legato alla V.g. E troppo è stato fatto dalla direzione per trasportare in Friuli i centri di direzione dell'attività giuliana, per pensare ad una simile possibilità, tanto più poi che in Friuli noi non abbiamo né forti organizzazioni di partito, né forti organizzazioni democratiche. 7. Detto questo, a mio avviso, è però necessario fissare una nuova linea sul problema del regionalismo e dell'autonomia nel Veneto. Quello che fino ad oggi ha nuociuto è l'assenza di tale linea 113 . Si tratta di una valutazione storica della modificata autorappresentazione locale – nei passaggi delle tre compagini statali susseguitesi nell’arco di un secolo e mezzo in Friuli, inframmezzate da occupazioni militari temporanee – attenta soprattutto ai caratteri di classe del pensiero autonomista. Un pensiero non omogeneo, messo in discussione dalle tendenze centrifughe della periferia regionale, e già ipotecato dal moderatismo democristiano. Ma è la dimensione geopolitica ed economica quella di cui è preoccupato Pellegrini, impegnato da tempo dal Pci sul “fronte giuliano”. Quello che sottolinea sono le reti di comunicazione internazionale, stradali e ferroviarie, e le mire dell’imperialismo inglese, che si ritiene interessato a gestire tutta l’area che da Trieste arriva a comprendere gran parte dello stesso Friuli, per controllare da qui le relazioni con l’ Europa centro-orientale contesa tra le grandi potenze (in questa fase la regione è – a differenza del resto d’Italia – ancora sotto il controllo del Governo Militare Alleato, che vi rimarrà fino al 31 dicembre 1947). La stessa valutazione sulla pianura friulana come «ideale campo di aviazione» è profetica sul piano del confronto militare della guerra fredda incipiente, che vedrà insediarsi in regione la catastrofica ipoteca delle servitù militari. Il legame tra imperialismo inglese ed autonomismo moderato locale, a Trieste ed in Friuli, è troppo sospetto per non preoccuparsene. Il rischio è quello di vedere risucchiare il Friuli e quanto rimane della Venezia Giulia in una realtà sottratta alle possibilità di azione politica della sinistra, a causa della debolezza del partito in Friuli. Il tutto in un contesto in cui il Pci finora è rimasto indietro nel definire una politica 113 Apc, Bmt, f. Giacomo Pellegrini, f. 9 marzo 1947 – per Grieco - Appunti sulla Regione Friulana. Si tratta di cinque pagine di appunti su carta intestata dell'Assemblea Costituente, in fitta scrittura a penna, datate 9 marzo 1947, in fotocopia. 31 regionalistica a livello della macroregione, il Veneto. Un “commissario all’armata” in terra di Vandea 114. Ritorniamo sul rapporto tra Pellegrini ed il Pci veneto. Esso è al centro del suo particolareggiato intervento alla Conferenza di Organizzazione nazionale del Pci, un momento particolarmente importante per la costruzione del “partito nuovo” di massa togliattiano. Nel corso di questa relazione emergono con precisione i pochi pregi ed i moltissimi limiti di un partito debole in un contesto del tutto ostile, rispetto al quale Pellegrini non può che evidenziare tutta la sua insoddisfazione per una realtà deludente. Di fronte alle semplificazioni dei suoi critici postumi, merita riprodurre integralmente l’intervento: PELLEGRINI - della Federazione Veneta. Il Veneto si presenta a questa [conferenza] nazionale di organizzazione non con i successi con cui si presentano altre Federazioni. Non si presenta con dei successi in quanto il lavoro di Partito non ha avuto gli sviluppi che il lavoro di partito ha avuto in altre regioni e conseguentemente la situazione del Veneto è una situazione piuttosto pesante. ... noi possiamo constatare in questa regione importante dell'Italia la persistenza di elementi di caratteristica reazionari. ... Le cause di questo sono, in parte, cause obbiettive, ossia esse vanno ricercate nel loro contenuto obbiettivo, nelle difficoltà in cui si svolge il lavoro del nostro partito dalla liberazione ad oggi. Vanno ricercate nella grande miseria delle masse venete in gran parte masse di contadini, di un contadiname molto povero. Vanno ricercate nel fenomeno migrazione. Ad esempio la provincia di Belluno, dove il partito aveva seimila iscritti, ha visto partire recentemente duemila membri di partito e con ciò diverse sezioni della nostra organizzazione di Belluno si sono quasi sfasciate. Questi duemila elementi di partito costretti ad emigrare erano fra i migliori quadri della organizzazione di Belluno. Sarebbe però grave errore se noi comunisti del Veneto ci coprissimo di queste difficoltà obiettive. Se così facessimo noi non comprenderemo la causa più importante che spiegano i nostri insuccessi che spiegano anche la persistenza della situazione. Dobbiamo avere il coraggio di affermare che dalla liberazione ad oggi il nostro partito in tutta la provincia veneta, ha avuto un cattivo inquadramento e conseguentemente ha avuto delle gravi debolezze di organizzazione. Esse sono principalmente le debolezze che si sono riflesse nel reclutamento. E' assolutamente giusto chiedere che il nostro Partito diventi ovunque un grande partito di massa, un grande partito di popolo. Ma è certo che alcuni aspetti del reclutamento nelle provincie venete non hanno permesso di realizzare l'afflusso al nostro partito di quegli elementi che i quali per qualità, per capacità, per onestà fossero in grado di animare le nostre organizzazioni di quelle caratteristiche che sono essenziali perché le organizzazioni del Partito comunista diventino organizzazioni dirigenti, rappresentative delle larghe masse popolari. Il problema di una epurazione del Partito nelle province venete, nella federazione del Veneto, è un problema attualissimo. Altro elemento negativo del reclutamento è la tendenza all'operaismo che in questa regione d'Italia ha sembrato e in parte sembra ancora dominare alcune nostre federazioni. Perché la composizione sociale delle nostre organizzazioni di partito, è una composizione che non corrisponde alla composizione sociale delle masse popolari del Veneto. Altro elemento negativo dal punto di vista dell'inquadramento e dell'organizzazione del Partito, è stata la mancanza di una decentralizzazione delle organizzazioni del Partito. Naturalmente anche nel Veneto, fino dalle giornate della liberazione, si costituirono cellule di partito, sezioni di partito, ma nella realtà, quasi sempre, ci siamo trovati di fronte a organizzazioni il cui carattere prevalente è stato quello di essere organizzazioni di tipo territoriale, sempre difficilmente manovrabili, non capaci di realizzare una delle condizioni essenziali per l'esistenza del Partito dei lavoratori, cioè un partito il quale è strumento per la realizzazione di una politica ed abbia nello stesso tempo qualità e capacità per realizzare il 114 Il riferimento era ben presente a Pellegrini, che intitolerà proprio Il Veneto non sarà Vandea un suo articolo pubblicato su «Vie Nuove» il 17 agosto 1947; lo stesso «Il Lavoratore Friulano» prefascista intitolava le cronache dal Friuli centrale come Notizie dalla Vandea. Sulla funzione dei commissari all’armata, scelti nelle file dei convenzionali montagnardi per raddrizzare le sorti della guerra rivoluzionaria contro la coalizione delle corone europee, mi permetto di citare un classico romanzo popolare come 1793 di Victor Hugo. 32 controllo permanente per l'applicazione della politica stessa. Altri elementi controversi nell'organizzazione del Partito nel Veneto sono da ricercarsi in alcuni aspetti che hanno caratterizzata la formazione dei comitati direttivi in tutte le istanze della organizzazione del Partito. E questo, naturalmente, ha avuto la sua grave influenza nella realizzazione dei contatti fra il partito e larghe masse popolari. Noi comunisti veneti siamo assolutamente convinti che la reazione del Veneto potrà essere vinta; noi comunisti veneti siamo convinti che potremo fare del Veneto una regione dove le forze della reazione saranno battute politicamente come avviene in gran parte di altre regioni d'Italia nella misura in cui sapremo conquistare la maggioranza popolare dei lavoratori e conquistare le larghe masse femminili ora aderenti alla democrazia cristiana. Noi del Veneto siamo perfettamente d'accordo con le linee dell'attività organizzativa del nostro partito secondo come si è espresso il compagno Secchia. Siamo perfettamente d'accordo della necessità di una maggiore organizzazione nel Partito siamo d'accordo sulla necessità di realizzare un grande decentramento nell'organizzazione del partito, siamo perfettamente d'accordo che le organizzazioni di base nel Partito siano in grado di assolvere alla funzione dell'organizzazione di base del Partito dei Lavoratori, che sia cioè un'organizzazione semplice, elementare, un'organizzazione la quale sia in grado appunto per queste sue particolarità di ottenere una diretta partecipazione alla elaborazione della linea politica del Partito, che sia in grado di realizzare le condizioni di sviluppo di attività per ogni membro del partito e realizzare le caratteristiche attraverso le quali possano essere formati i quadri del partito. Noi delle Federazioni del Veneto [siamo] d'accordo con le organizzazioni perché esse creino la possibilità di formazione di organismi politici veramente dirigenti della attività popolare, degli uomini, delle donne della nostra regione e noi siamo particolarmente d'accordo per un tipo di organizzazione di base di questo genere nel nostro partito perché siamo convinti che solo attraverso un'organizzazione simile possiamo attuare le possibilità di un controllo effettivo, efficace nell'applicazione della linea del partito. Da parte delle organizzazioni del partito saremo con ciò messi nelle condizioni di realizzare uno dei più importanti successi per il Partito della classe operaia dei lavoratori, se ogni membro del Partito è in grado di assolvere il compito affidatogli. Noi sentiamo che potremo liberare da altre lacune il nostro lavoro politico attraverso una migliore utilizzazione dei membri del Partito ed una loro più razionale organizzazione. Nel Veneto abbiamo circa 190.000 iscritti al Partito; è una cifra notevole, anche se non può soddisfare, in quanto il Veneto ha una delle percentuali più basse. Ma siamo convinti che una massa di 190.000 membri di Partito saranno capaci di attuare una più razionale utilizzazione di se stessi per ottenere un successo maggiore di quello che sia stato fin qui raggiunto. Nei numerosi interventi che si sono susseguiti in questa tribuna sono state avanzate affermazioni con le quali si dà una linea di più razionale utilizzazione dei compagni. E' da questo punto di vista che noi comunisti del Veneto crediamo sia necessario risolvere in maniera più conseguente di quanto fino oggi non sia avvenuto, il problema degli effettivi e degli aggregati dell'organizzazione di base di questo Partito. Il Veneto dove vi è una scarsa base industriale dove i caratteri dell'industria sono quelli di una industria in formazione di un'industria in cui il proletariato non ha ancora quelle caratteristiche proprie delle grandi città industriali, ha bisogno particolarmente che i membri di partito che si formano politicamente nelle officine e nelle industrie siano uno strumento importantissimo in qualche caso decisivo della formazione e dello sviluppo del partito nelle campagne. Secondo noi una più giusta soluzione del problema degli effettivi e degli aggregati nelle organizzazioni di base è il modo più conseguente per risolvere il problema non solo dei giusti rapporti tra città e campagna ma è anche la sua maniera giusta e conseguente per realizzare le condizioni del formarsi e del rafforzarsi dell'organizzazione del partito nelle nostre campagne dove noi abbiamo una massa lavoratrice cui manca una larga tradizione politica, dove abbiamo una massa lavoratrice assente dalla vita politica ed anche assente da alcuni aspetti della vita sociale, una massa di lavoratori i quali dopo la liberazione sono accorsi nelle file del partito ma che rapidamente sono diventati nel partito degli elementi passivi e cioè degli elementi i quali non erano in grado di realizzare sia pure minimamente la funzione del membro di partito, di colui cioè il quale deve essere sempre nell'azione politica, un elemento di animazione di tutti gli aspetti della vita politica e sociale. Noi pensiamo che numerosi membri di partito dei centri industriali la cui vita si svolge al di fuori dell'officina, prevalentemente nelle campagne, nei villaggi, nei comuni che circondano i centri industriali, noi pensiamo che numerosi di questi compagni debbono essere messi a completa disposizione delle organizzazioni di base del partito perché è attorno ad essi, è con la loro 33 esperienza e col loro lavoro che in questi villaggi non solo potrà costituirsi ma potrà rafforzarsi l'organizzazione del partito. Noi abbiamo numerose sezioni del partito le quali non esistono politicamente in quanto mancano di compagni i quali giorno per giorno abbiano la possibilità di interpretare gli avvenimenti generali e particolari della vita delle masse e contemporaneamente siano in grado di essere elementi di guida nell'azione dei lavoratori, e questo è particolarmente importante nelle campagne venete dove per le condizioni caratteristiche del popolo lavoratore, per i rapporti di sfruttamento che legano le masse dei contadini ai proprietari della terra, grandi battaglie da parte di queste masse si affacciano all'orizzonte. Noi potremmo dirigere queste battaglie, noi potremmo influenzarle, noi potremo attraverso queste lotte portare un contributo decisivo alla trasformazione del Veneto dalle condizioni in cui esso attualmente si trova, potremo portare un contributo in una regione dove la lotta politica, e la lotta sociale riusciranno ad essere un elemento di trasformazione della situazione generale nella misura in cui in ogni centro noi saremo in grado di costituire una organizzazione di partito la quale sappia impostare e giustamente risolvere i problemi delle masse lavoratrici. E' da questo punto di vista che noi poniamo il problema degli effettivi e degli aggregati e vorremmo che da questa conferenza nazionale uscisse una direttiva chiara e precisa che permettesse una giusta impostazione ed una giusta soluzione di uno dei problemi che a noi interessano fondamentalmente. Un altro aspetto dell'attività politica del nostro partito nel Veneto a cui vorremmo che fosse data anche una soluzione di organizzazione è il problema della lotta contro il sinistrismo; è forse una delle caratteristiche delle regioni povere economicamente e politicamente quella di esprimere fenomeni di trotskismo, di sinistrismo; nel Veneto assistiamo a questi fenomeni forse in misura maggiore di quanto non assistiamo nelle altre regioni. Non si può dire che il trotskismo nel Veneto abbia una base organizzativa e cerca di darsi questa base; sarebbe un grosso errore se trascurassimo l'influenza del sinistrismo perché noi la vediamo manifestarsi giorno per giorno in tutti i modi e questa forma di sinistrismo trova la sua manifestazione nelle lotte per la difesa del salario, sulle posizioni dell'anticlericalismo; attraverso queste manifestazioni vediamo manifestarsi delle difficoltà molto gravi nell'azione del nostro partito. E' certo che attraverso i fenomeni del sinistrismo che si manifestano nella vita delle masse lavoratrici del Veneto noi possiamo capire alcune delle difficoltà che ci si frappongono nella penetrazione in mezzo alle masse. La lotta contro il sinistrismo noi pensiamo sia uno dei problemi politici dei più importanti che stanno di fronte alla nostra organizzazione ma pensiamo anche che questa lotta potrà dare dei risultati positivi alla sola condizione che essa sia una lotta organizzata, una lotta la quale si svolga secondo un piano e noi pensiamo che a questa lotta organizzata deve darci un aiuto la direzione del partito attraverso una illustrazione coi mezzi che sono a sua disposizione, di quelle che sono le forme di manifestazione del sinistrismo e anche di quella che è la triste storia dei dirigenti dei gruppi di sinistra, dei gruppi totskisti italiani. Ci sono altri due problemi sui quali vorrei intrattenervi e che voglio vedere dal punto di vista organizzativo: uno è il problema dei rapporti coi socialisti. Nel Veneto questo partito si presenta come caratteristica non sempre uniforme; a Venezia hanno avuto la prevalenza i gruppi di sinistra, in altre Federazioni hanno avuto la prevalenza gruppi di destra. E' certo che i risultati che noi possiamo constatare dal punto di vista dell'orientamento del Partito socialista in provincia di Venezia sono anche da ricercarsi nel fatto che tra i socialisti e comunisti di Venezia sono sempre esistiti dei buoni rapporti i quali hanno avuto una forma organizzata. I rapporti fra questi due partiti nel quadro del patto d'unità d'azione dovrebbero assumere sempre un aspetto concreto, una forma organizzata. Un altro aspetto del problema dell'organizzazione unitaria delle masse popolari e lavoratrici nella lotta contro il risorgente fascismo va tenuto particolarmente presente. Il problema si pone nel Veneto con urgenza non inferiore a quanto si verifica nell’Italia Meridionale. Il neo fascismo nel Veneto risorge e lavora e si presenta in forme a volte fortemente organizzate. E' certo che al risolvere del fascismo non potremo rispondere che con la migliore organizzazione delle forze popolari e con la loro democratizzazione. E' certo che per noi nel Veneto si pone il problema dell'organizzazione di blocchi popolari raggruppanti le forze democratiche sincere ed oneste della regione, per lottare contro il fascismo. Nel Friuli siamo già all'inizio di questa esperienza di lotta che potrà dare grandi e decisivi risultati. La parola d'ordine è indipendenza nazionale, libertà e lotta contro il fascismo; la nostra azione sta passando alla realizzazione di forme di organizzazione che tende a raggruppare tutte le forze democratiche sane che vanno dai comunisti agli azionisti e anche ad alcuni gruppi della stessa democrazia cristiana di sinistra. Questa forma di organizzazione risponde non solo alle esigenze del Friuli 34 ma corrisponde perfettamente alle condizioni della lotta politica nel Veneto dove la reazione è ancora forte e dove potrà essere vinta soltanto dall'azione organizzata del nostro partito e vinta con certezza nella misura che l'organizzazione del nostro partito sia in grado di divenire il centro animatore e 115 propulsore di una organizzazione unitaria di tutte le forze democratiche . In sintesi: una realtà agricola arretrata, segnata da una pesante emigrazione (che dissangua i ranghi stessi del partito), con scarso sviluppo industriale. Ed un partito che, pur numeroso per iscritti, ha scarso consenso elettorale ed è incapace di adeguarsi alla realtà sociale. Il Pci veneto pecca talvolta di operaismo, è segnato dall’influsso dell’estremismo di sinistra 116 ed in generale è burocratico, non decentrato, incapace di elaborazione politica e di dare un ruolo alle masse di iscritti accorse dopo la Liberazione, ma precocemente rifluite nella passività. Un partito maschile, dove le donne sono lasciate all’egemonia democristiana. La costruzione del decentramento del “partito nuovo” passa in primo luogo – secondo Pellegrini – per la messa a disposizione delle esangui sezioni territoriali, dei quadri operai di fabbrica, che possono diventare i dirigenti delle grandi agitazioni contadine che si intravvedono all’orizzonte, per lo stridente contrasto dei rapporti sociali nelle campagne. Vale infine la pena sottolineare che quello di cui parla Pellegrini è il Nordest italiano dei primi giorni del 1947: un vero e proprio “Meridione del Nord” 117, appena uscito dalle devastazioni della guerra. Bisogna puntualizzare, altrimenti il giudizio sopra riferito di Chinello – con l’appiattimento della dimensione diacronica, tipico dei resoconti mnemonici - potrebbe far pensare ad un anticipo di fenomeni che maturano nella seconda metà degli anni ’50, come lo sviluppo dell’industria tayloristica e la concentrazione dei cosiddetti “metal mezzadri” nei nuovi poli di sviluppo dell’industria manifatturiera. Tempi duri. La fine dell’unità antifascista e la guerra fredda. Pellegrini dà conto al Comitato Centrale del Pci, a proposito delle reazioni dei comunisti veneti alla svolta internazionale segnata dalla costituzione, nel settembre 1947, dell’Ufficio di informazione dei partiti comunisti ed operai (Cominform). La conferenza, tenutasi nella località slesiana di Szklarska Poręba (anche se nel dibattito congressuale si parla della capitale polacca), vede la costituzione di un organismo più ristretto dell’Internazionale Comunista, limitato ai soli paesi di quella che si va delineando come l’area di influenza sovietica, con la sola presenza, tra gli occidentali, dei partiti comunisti italiano e francese. Ne segue una accentuazione in senso movimentista ed antimperialista della politica comunista in Italia, che secondo Pellegrini non viene automaticamente recepita dal corpo del partito, nel quale non appaiono riserve evidenti, ma si percepisce un comportamento passivo ed opportunistico. E’ probabilmente il segno del proseguire delle difficoltà del Pci veneto in una realtà dove pochi nuclei operaie sono isolati in un 115 Apc, Fmb, f. Giacomo Pellegrini, copia resoconto dattiloscritto (in quattro segmenti distinti) dell’intervento alla Conferenza Nazionale di Organizzazione del Pci, gennaio 1947. Seduta pomeridiana dell'8 gennaio 1947. 116 Si tratta di una testimonianza importante della presenza organizzata di gruppi, soprattutto bordighisti, accertati nel Vicentino ma anche nella Bassa Friulana (da Palmanova hanno origine alcuni quadri nazionali importanti del Partito Comunista Internazionale): cfr. Dino Erba, Nascita e morte di un partito rivoluzionario. Il Partito Comunista Internazionalista 1943-1952 e Riccardo Salvador, Ricordi di un militante, ambedue Milano, All’Insegna del Gatto Rosso, 2012. Karlsen, cit., pp. 168-170, facendo confusione tra tendenze comuniste diverse, li confonde con infiltrazioni filo jugoslave, utilizzando documentazione dei Servizi Informativi e Speciali, senza però prendere atto dei ripetuti avvisi dell’autore da cui dipende, in merito alla relativa attendibilità della documentazione del Sis (la prosecuzione dell’Ovra in epoca repubblicana, con lo stesso personale): cfr. Pietro Di Loreto, Togliatti e la «doppiezza». Il Pci tra democrazia e insurrezione 1944-49, Bologna, Il Mulino, 1991. 117 Non è solo un modo di dire: ancora nel 1963 Loris Fortuna presentava la sua piattaforma elettorale chiedendo l’applicazione della legislazione speciale per il Sud anche in Friuli: cfr. Loris Fortuna, Il Friuli. Tesi per uno sviluppo economico, Udine, Del Bianco, 1963. 35 ambiente rurale arretrato 118. Dopo l’attentato a Togliatti dal 14 luglio 1948, Pellegrini è uno dei dirigenti inviati immediatamente sul territorio per gestire le situazioni giudicate più calde e ricondurre la protesta all’interno della linea decisa dalla Direzione del Pci, che rifiuta unanime la prospettiva dell’insurrezione e ritiene che il movimento di protesta vada incanalato, in modo da non prestare il fianco ad eventuali aggressioni da parte delle forze conservatrici 119. Il 25-27 luglio 1949 Pellegrini rileva come lo sforzo volontaristico promesso nel gennaio 1947 progredisca con grande difficoltà: Nel Veneto purtroppo da tre anni lavoriamo male. Ma sulla situazione attuale giocano vecchi errori e antiche deficienze. La situazione non è dappertutto uniforme: a Venezia possiamo dire che molti errori sono stati corretti. A Porto Marghera però nonostante questo e nonostante che la combattività non sia diminuita non siamo riusciti a consolidare una organizzazione degna di questo nome e non riusciamo a far crescere i compagni ideologicamente e politicamente. Influenza negativa determinata dalla progressiva decomposizione del P.S.: si tratta di studiare i mezzi per rimediare a questo fatto. In alcune province per esempio l'emigrazione è un fatto serio quando ad emigrare sono i compagni e i simpatizzanti come nel Friuli. Il Partito nel Veneto è ancora uno strumento inefficiente rispetto alla complessità della situazione. Anche il C[omitato] R[egionale] è stato sinora troppo oppresso dai numerosi problemi contingenti: dal problema della sua funzionalità bisogna partire per 120 correggere deficienze e errori . Ma meno di un anno dopo, il 12 aprile 1950, giungono i primi segnali del dispiegarsi dei movimenti di lotta nell’ambito del Piano del Lavoro lanciato dalla Cgil: Il movimento delle masse del Veneto dimostra che in questi ultimi tre mesi le masse hanno aumentato la loro combattività in tutte le province. 50.000 disoccupati messi in movimento. Lotte contro i licenziamenti con il suo centro al Cantiere Breda dove la lotta ha assunto il suo culmine. La lotta per la Breda ha portato alla mobilitazione di vasti strati della popolazione. Si è raggiunto in larga misura l'unità della classe operaia. Il punto culminante della lotta si è raggiunto il 14-15 marzo con uno sciopero così vasto che non si era mai visto nel Veneto. 121 Nello sciopero per i fatti di Lentella non si ebbe la partecipazione dei ceti medi. La Federazione di Venezia ha dimostrato maggiore capacità di iniziativa politica per l'unità della classe operaia e per le alleanze. Importanza assunta dal Convegno Nazionale degli scrittori della resistenza. Nel Veneto vi è il problema di valutare la differenza tra gli scioperi del 14-15 e del 22 marzo. Non si può attribuire alla stanchezza, a debolezze organizzative e tecniche. Dopo lo sciopero del 14-15 marzo si è avuto in alcuni gruppi della insoddisfazione per la conclusione dello sciopero. Si tratta di manifestazioni di estremismo. Le federazioni non sono state in grado di spiegare il legame tra le lotte parziali e generali. I compagni tendono a vedere le lotte parziali come lotte generali con soluzioni generali. Da ciò l'insoddisfazione dei risultati parziali. Non possiamo essere contenti del tesseramento salvo Venezia e Belluno che hanno superato il 100%. Ancora meno soddisfatti si deve essere del livello raggiunto dal tesseramento sindacale. Anche dopo movimenti condotti con risultati positivi non si è saputo tradurre questi successi in risultati organizzativi. 118 Verbali del C[omitato] C[entrale], 11-13 novembre 1947, p. 146, presso l’Apc, citati in: Martinelli, cit., p. 252. Il verbale di questa riunione non è compreso tra quelli conservati nel fascicolo di Pellegrini del Fondo Bmt dell’Apc. 119 Giovanni Gozzini e Renzo Martinelli, Storia del Partito comunista italiano. Dall’attentato a Togliatti all’VIII congresso, Torino, Einaudi, 1998, pp. 26-27. 120 Acs, Bmt, f. Giacomo Pellegrini, interventi al Comitato Centrale (estratti resoconti dattilografici interventi). 121 Il 21 marzo 1950 a Lentella, nel comprensorio di Vasto (Ch), uno sciopero a rovescio fu represso dalla polizia, con 2 morti e dieci feriti tra i lavoratori. La Cgil proclamò uno sciopero nazionale di protesta. 36 Occorre un grande sforzo per dare ai quadri del Veneto una giusta comprensione della situazione e della prospettiva. Non esiste un problema di lotte piccole e lotte grandi perché tutte fanno parte del problema di maturazione delle condizioni per la vittoria. Nel Veneto si avverte bene la sottovalutazione del periodo di guerra. Vi è più che altrove il focolaio di guerra rappresentato dai titini. Le masse ed anche i compagni non vedono un reale pericolo di guerra e per questo non vi è un'azione organizzata (comitati per la pace) in difesa della pace. Anche riguardo al piano del lavoro non si è fatta una azione per popolarizzarlo tra le masse. Non si è saputo legare i movimenti di massa alla realizzazione del piano. Desidera che da questo C.C. venga fuori una direttiva precisa (precisare il significato della 122 espressione di resistenza civile) . L’influsso della rottura tra il Cominform (ed il Pci) ed i comunisti jugoslavi è sottolineata dall’emergere – questa volta reale, e non frutto delle fantasie provocatorie degli spioni “ex” fascisti – della dissidenza “titina”, che si organizza come partito alternativo (il Movimento dei Lavoratori Italiani e poi l’Unione Socialista Indipendente, che più tardi confluirà in maggioranza nel Psi), ma anche come fenomeno di dissenso interno, con vasti addentellati nei gruppi dirigenti, particolarmente sindacali (Pellegrini fa riferimento pure a fenomeni di insoddisfazione della base operaia di fronte alla conduzione delle vertenze). Non è un caso che, due mesi prima della denuncia di Pellegrini, ci sia stato un attento sopralluogo di un funzionario della Sezione Centrale di Organizzazione tra Friuli e Veneto, coinvolgendo sei province, per valutare e schedare sistematicamente la presenza “titina” all’interno delle Federazioni del Pci 123. Cosa questo significasse in termini di lacerazione dei rapporti nelle organizzazioni di base, lo ha testimoniato nella sua bella storia della sezione di San Stino di Livenza Romano Pascutto 124 En passant, ci permettiamo di rilevare come l’investimento di Pellegrini su Lizzero a Venezia (ove era arrivato nel luglio 1949) risulti una buona scelta, visti i risultati del movimento che vengono continuamente rilevati. Ma Pellegrini non riesce ad essere soddisfatto, la situazione – anche se si muovono categorie di piccola borghesia – continua a ruotare di fronte ai due tradizionali punti di forza della sinistra veneta, la città industriale di Venezia e la provincia bracciantile del Polesine. Al Comitato Centrale del 10 ottobre 1950 afferma, non risparmiando il suo sarcasmo esplicito verso realtà come quella del partito padovano, incapace di intervenire nelle campagne: Sarebbe un errore credere che nel Veneto la politica del Partito non si applichi a causa delle insufficienze organizzative. Questa politica si applica, anche se con difficoltà ed incertezza. Nel Veneto è in corso un movimento artigiano in cui il Partito ha un'influenza non secondaria. Vi è il movimento che ha condotto alle Assise di Adria, che rappresenta una iniziativa importante del Partito. Nella raccolta delle firme per la pace qualche passo avanti si è fatto rispetto ai risultati del 18 aprile. Naturalmente non siamo soddisfatti. Il movimento delle masse ha uno sviluppo ineguale. A Rovigo ed a Venezia siamo più avanti che nelle altre provincie. Le cifre relative alla campagna per la pace non dicono le difficoltà che abbiamo incontrato e che incontriamo in questo lavoro, difficoltà alla radice delle quali c'è un'incapacità del Partito a realizzare una politica dei conquista delle masse alla lotta per la pace. Perché si pensa che non è possibile realizzare una tale politica, come ha sostenuto il compagno Gaddi nel suo intervento? La base di questo dubbio sta nel fatto che non si riesce a legare tutti gli aspetti della politica che il partito deve condurre. Questo problema si pone anche per quanto riguarda la politica contadina del Partito per la quale manca un'azione concreta che ci leghi strettamente alle 122 Acs, Bmt, f. Giacomo Pellegrini, interventi al Comitato Centrale, cit. Apc, M, 1950, mf. 324, Veneto, Rapporti Mazzetti su Veneto e Venezia Giulia (problemi del titismo, ecc.), pp. 19882062. 124 Romano Pascutto, Riunione di Cellula, Portogruaro, Nuova Dimensione, 1983, pp. 26-27. Per la cronaca, viene ricostruita la drammatica seduta in cui Cesco Chinello, della Federazione di Venezia, prende a schiaffi durante la riunione un operaio che era andato a Belgrado ed aveva rilasciato qualche incauta dichiarazione alla stampa: provocando l’indignazione di qualche anziano iscritto, che giustamente riteneva indegno usare metodi coercitivi degni del passato regime. Nelle sue memorie Chinello farà autocritica su queste intemperanze staliniane giovanili. 123 37 masse. Ad es. la Federazione di Padova riesce ad avere buoni risultati in tutte le campagne che si svolgono prevalentemente all'interno del Partito, non in quelle in cui bisogna uscire dal Partito. Al fondo ci sono debolezze ideologiche e politiche, che noi dobbiamo superare. Noi, ad es., spieghiamo gran parte delle nostre insufficienze con la rappresentazione delle influenze che il titismo eserciterebbe nel Veneto; ma non ci rendiamo conto che gli strumenti di cui dispone il titismo sono molto inferiori a quelli di cui disponiamo noi. Noi non riusciamo, ripeto, a rendere chiara l'interdipendenza dei vari aspetti della politica del Partito; di qui le nostre debolezze. Cosa dobbiamo fare? C'è un problema di scelta dei quadri prendendoli tra coloro che sono usciti da un'esperienza di lotta politica; e questi sono ancora pochi. C'è il problema di migliorare il tono della lotta politica. C'è la necessità di curare di più e meglio di problemi organizzativi. In conclusione si tratta di tener conto che nella misura in cui riusciremo a dare carattere concreto alla azione del Partito 125 potremo migliorare il nostro lavoro . 38 Non può stupire che anche i risultati della vittoria elettorale contro la “legge truffa” e l’avanzata delle sinistre nelle elezioni del 1953 siano vissuti con grande cautela. L’insediamento della Dc nel mondo contadino sembra impermeabile anche a dure lotte, come quella di Istrana: Resoconto risultati elettorali: il Pci guadagna nel veneto 70.000 voti sul 1946, la Dc rimane forte (56%), la socialdemocrazia perde il 46% dei voti del 1948, il Psi avanza. Istrana (Treviso), paese di piccoli proprietari, ha condotto lotte serie in difesa della pace (contro la costruzione di un aereoporto militare). P.C.I. 19 voti, P.S.I. 41, M.S.I. 67, D.C. 1.654. I voti d.c. non misurano ancora la tendenza di malcontento che esiste in larga misura. Il Psi avanza a spese del Psdi, ma anche del Pci, specie a Venezia. Non giusto orientamento dei compagni veneti nei riguardi dell'unità d'azione del P.S.I. Le Giunte d'intesa sono venute di fatto a sostituirsi, verso l'esterno, ai due partiti. Tendenza all'unificazione di tutte le correnti socialiste "autonomiste". Anche nel Veneto è in corso un processo di trasformazione nell'orientamento delle masse popolari, molto più ampio di quanto non dicano gli stessi risultati elettorali. Questioni ideologiche, politiche e organizzative che ne derivano. Debolezza persistente (o anche assenza) delle organizzazioni 126 di massa . Pellegrini non si limita, negli anni della sua segreteria veneta, ad un ruolo locale, ma partecipa, a nome del Pci, ad avvenimenti nazionali. In alcuni casi, si tratta di interventi qualificati, come quando nel gennaio 1953 fa parte, con Girolamo Li Causi e Giancarlo Pajetta, della delegazione del partito al XXX congresso socialista, che si svolge a Milano 127. In altri casi si tratta di momenti più consuetudinari dell’attività del partito, come la partecipazione, sul palco del Comitato centrale, alla manifestazione della Festa dell’Unità al Foro italico di Roma, nella quale viene accolto il ritorno alla vita politica di Palmiro Togliatti, dopo l’attentato 128. Negli anni successivi, Pellegrini sarà uno dei primi obiettivi della fase di ricambio dell’organizzazione del partito iniziata nel 1956, orchestrata dal responsabile dell’organizzazione Giorgio Amendola: La direzione del Pci aveva discusso sulla necessità di organizzare queste conferenze regionali in base a un rapporto di Amendola che poneva con molta forza l’esigenza di far corrispondere l’organizzazione del partito alle indicazioni dell’VIII Congresso, superando ogni resistenza e ritardo. La stagione del rinnovamento che si apriva divenne subito materia di scontro all’interno della stessa direzione e negli organismi periferici, come avvenne in occasione della preparazione e dello svolgimento della prima Conferenza regionale del Veneto nel gennaio del 1959. Si affermarono le tesi sostenute dal nuovo Segretario di Venezia, Gian Mario Vianello, in forte polemica con la parte conservatrice del partito, impersonata da Giacomo Pellegrini, allora segretario regionale e membro 125 Acs, Bmt, f. Giacomo Pellegrini, interventi al Comitato Centrale, cit. Ibidem, C.C. del 2 luglio 1953. 127 Caprara, cit., foto 19. 128 Eva Paola Amendola, Storia fotografica del Partito Comunista Italiano, Roma, Editori Riuniti, 1981, II vol., foto 141. 126 della direzione nazionale 129 . Ma il processo di ricambio del gruppo dirigente del Pci locale non si concluderà con la promozione di Amendola, bensì con la rimozione della sua ingombrante presenza dal ruolo di responsabile dell’organizzazione: e saranno proprio gli esponenti della sinistra a dargli il colpo di grazia, spingendo in tutt’altra direzione la conclusione del processo: Già nella riunione di direzione nazionale del luglio 1959, per la convocazione del congresso, era partita dal gruppo conservatore (Pellegrini, Colombi, Romagnoli, Scoccimarro) la critica alle tesi della Conferenza regionale emiliana, sostenendo che “non sempre il (cosiddetto) rinnovamento coincide con il rafforzamento del partito” e che quindi la forza del Pci veniva oggettivamente indebolita. Oggetto principale dell’attacco era stato però Giorgio Amendola: accettato e sollecitato da tutti quando si trattava di rimediare i guasti di Secchia, ora che la sua politica di “rinnovamento” si era affermata nelle conferenze regionali, che avevano visto emergere, grazie a lui, una nuova generazione di gruppi dirigenti, era giunto il momento di metterlo in discussione e di togliergli il “posto di comando” dell’organizzazione. Ciò avvenne al congresso, quando fu sostituito da Enrico Berlinguer, 130 con l’accordo di tutti. […] . Tende ad affermarsi un orientamento centrista che taglia le due ali estreme del partito. Nel gennaio 1960 Barca commenta il risultato nell’elezione a voto segreto al Comitato Centrale del Pci al 9° Congresso del Pci: «penalizzati erano stati alcuni segretari regionali evidentemente non graditi alle loro delegazioni (Pellegrini 851 voti, Masetti 809, Vidali 821) e, come al solito, Amendola, Pajetta, Cacciapuoti» 131. Comunisti e cattolici, tra apertura a sinistra, via italiana al socialismo e centrosinistra. Fedele alla linea togliattiana del “partito nuovo”, Pellegrini è attento a quanto di nuovo si sta muovendo nel mondo cattolico, con specifico riferimento alle dinamiche interne alla Democrazia Cristiana. Nel Comitato Centrale del 13 aprile 1954, egli rileva come, mentre l’attività congressuale in Veneto trova interesse nelle masse, numerose iniziative hanno avuto poco successo. C'è uno sviluppo del partito: il tesseramento è al 99%, ma rimane insufficiente il rapporto tra il lavoro fatto e gli obiettivi da raggiungere. Fondamentale in Veneto è il problema dei cattolici: un fermento sulle riforme si manifesta nella Dc: Da parte nostra c'è però un'incomprensione che non permette di risolvere il problema del contatto con i cattolici. E' una debolezza che dobbiamo superare. Anche nelle lotte si manifesta una tendenza all'azione a oltranza (sciopero alla francese, ecc.). Nuovamente quindi Pellegrini è attento a sottolineare la necessità di mantenere la disciplina nei movimenti operai, evitare eccessi conflittuali e tenere l’attenzione rivolta a quanto di nuovo si muove nel 129 Guido Fanti e Gian Carlo Ferri, Cronache dall’Emilia rossa: l’impossibile riformismo del Pci, Bologna, Pendragon, 2001, pp. 46-47. 130 Guido Fanti e Gian Carlo Ferri, cit., pp. 55-56. 131 Barca, cit., vol. I, Con Togliatti e Longo, pp. 229. Lo stesso Togliatti aveva ottenuto, con 908 voti, il quarto risultato elettorale; tra i penalizzati apparivano anche esponenti di primo piano, come il responsabile dell’organizzazione Giorgio Amendola, autore della generale rotazione dei quadri del partito dopo la sostituzione di Pietro Secchia in quel ruolo, ed il suo fedelissimo Salvatore Cacciapuoti. Quanto a Vidali, indicato dopo il segretario veneto e quello umbro, si trattava non di un segretario regionale, ma del segretario della Federazione autonoma del Pci di Trieste: «Il partito triestino, d’altra parte, si è abituato per anni allo Statuto di autonomia, che ne faceva un partito coordinato al PCI, ma con un suo spazio di libertà e con un suo riconoscimento internazionale, che Mosca tendeva a sottolineare. Lo scontro per riportare compiutamente il partito nell’alveo del Pci è stato quindi molto duro, sia a Roma che a Trieste […]» (cfr. le 246-247). 39 partito di maggioranza assoluta in regione. Egli sottolinea un problema di mancanza di preparazione nei quadri intermedi e di base. I congressi hanno evidenziato lo scarso funzionamento delle organizzazioni di base del partito: «Dai Congressi deve uscire un'indicazione per un buon funzionamento delle organizzazioni libere.» Il Pci è inoltre debole sul piano propagandistico, e lo stesso partito nazionale dovrà farsene carico 132 . Tre mesi dopo – il 17 luglio 1954 - il discorso viene riproposto, con una maggiore sottolineatura della necessità di dialogare con i fermenti nuovi che percorrono la Dc, agendo anche sul piano della lotta per l’autonomia regionale, che sta diventando un obiettivo popolare. Interessante il fatto che quest’ultimo discorso avvenga mentre in contemporanea Lizzero, tornato segretario ad Udine nel gennaio precedente, lancia la campagna per l’autonomia regionale in Friuli. Segno dei tempi è anche il rilievo del calo della tensione sulle problematiche a carattere nazionale, proprio mentre si ripropone la questione giuliana, sulla quale il Pci è in maggiore difficoltà rispetto alle altre forze politiche, ostacolando le relazioni positive che si possono costruire sul piano delle politiche socioeconomiche. A questo proposito, Pellegrini si schiera – all’unisono con i comunisti triestini – contro la spartizione del Territorio Libero tra Italia ed Jugoslavia, che si sta profilando all’orizzonte. I congressi sono andati bene. Essi hanno avuto luce dalle lotte condotte. Grande combattività delle masse. Ma oggi si pone il problema della ricerca di forze nuove, che oggettivamente esistono. Conoscere meglio il movimento cattolico. Nel Veneto si parla di una rivoluzione silenziosa avvenuta all'interno della d.c. In realtà accanto alle esigenze sociali, vi sono nel Veneto le forze che spingono verso una soluzione clericale dei problemi della società italiana. Posizioni confuse e contraddittorie: ma che non possiamo trascurare. Per quanto riguarda la difesa della libertà, necessità di riprendere la campagna per le autonomie locali e per l'Ente regione. Nel Veneto le masse sentono il regionalismo. Un altro problema: la politica internazionale. Si elaborano poco questi temi (almeno nel Veneto). Non dimentichiamo che le maggiori riserve di altre forze – che pure possono concordare con noi su problemi economici – si hanno sul terreno della politica internazionale. Questione di Trieste: necessità appoggio combattivo lotta contro la spartizione . Però deve preoccupare molto la richiesta di uno stato speciale per Trieste e la polemica che si è sviluppata. 133 Perché la cosa interessa anche le altre zone di frontiera . Alcuni contatti evidenziano una situazione di reale apertura del dibattito nelle file democristiane. In una lettera del marzo 1955 a Togliatti, Pellegrini segnala che il gruppo che dirige il settimanale veneto della Dc, «Il Popolo del Veneto», ha avvicinato il compagno Granziera, dirigente del Movimento dei Partigiani della Pace, facendogli la proposta - vista l'utilità della campagna per l'interdizione delle armi di sterminio e della relativa raccolta di firma - di costituire un comitato unitario in provincia di Venezia, per dirigere la campagna. I democristiani pongono come condizione che il Movimento dei Partigiani per la Pace non figuri come tale: proposta giudicata interessante da Pellegrini. Lui stesso ha controproposto di coordinarsi in parallelo, dall'alto, su appelli e raccolte di firme differenziate. Se ne sta discutendo, ma Pellegrini interroga Togliatti sul suo parere, a proposito della possibilità di sciogliere il Movimento dei Partigiani per la Pace, per inserirlo in un movimento più largo in cui siano presenti gruppi organizzati cattolici (anche se infine precisa che tale proposta non è a suo avviso utile e necessaria) 134. Pochi mesi più tardi, nel Comitato Centrale del 23 luglio 1955, Pellegrini ripropone la questione del dialogo con le correnti democristiane progressiste, distinguendo tra esse e l’integralismo ed il segretario nazionale della Dc Amintore Fanfani, ed individuando obiettivi nazionali concreti su cui realizzare convergenze: 132 Acs, Bmt, f. Giacomo Pellegrini, interventi al Comitato Centrale, cit. Ibidem. 134 Apc, Bmt, f. Giacomo Pellegrini, copia lettera del 15 marzo 1955. 133 40 Deve essere fatto uno sforzo per precisare l'obiettivo generale di lotta: l'apertura a sinistra. Gli elementi fondamentali della situazione sono il movimento delle masse per il raggiungimento di alcuni obiettivi concreti e la posizione sempre più reazionaria del padronato. Il punto di debolezza dell'avversario di classe è la sua incapacità a trovare soluzioni politiche alla situazione di malcontento e di disagio generale. La dc è in crisi: vi sono, da un canto, l'integralismo di Fanfani e, dall'altro, posizioni relativamente democratiche. La crisi dc presenta vari aspetti e perché il nostro partito abbia migliore conoscenza di essa è necessario che individui cosa c'è dietro, quali interessi particolari e contrastanti agitano oggi il mondo cattolico. Solo allora sarà possibile individuare più efficacemente gli obiettivi unitari di lotta. Il movimento delle masse cattoliche ha trovato sollecitazioni non soltanto nella demagogia fanfaniana, ma anche e soprattutto in una spinta rinnovatrice che anima oggi queste masse dinanzi alla gravità della situazione italiana. Attraverso il colloquio dobbiamo promuovere azioni politiche con i cattolici, come, per esempio, sui patti agrari, l'IRI, il petrolio. E' un processo lungo e difficile, ma assolutamente necessario per rendere realizzabile l'apertura a sinistra. Questa azione di colloquio e di contatti non esclude, anzi impone, una campagna continua, precisa, contro la demagogia delle direzione clericale e la sua azione di divisione delle masse. La necessità del colloquio, però, non è 135 ancora intesa esattamente neanche da tutti i nostri quadri . Continua l’attenzione per la Dc, ma riportando al centro dell’attenzione i rapporti a sinistra in vista delle imminenti elezioni amministrative, nel ragionamento di Pellegrini in occasione del Comitato Centrale del 25 gennaio 1956. Si discute dell’ipotesi di presentazione su tre liste: molti eletti della Dc nelle passate elezioni sono malcontenti e vogliono votare altrimenti, e quindi la scelta di tre liste può essere importante per le prossime elezioni. Importante il problema della socialdemocrazia in Veneto: deve essere chiaro che sarà difficile per Pci e Psi riassorbirne la gran parte dell'elettorato. Ed intanto, a Venezia, cominciano i primi approcci tra socialisti e democristiani in vista di giunte di centrosinistra. Giusto stare in guardia contro illusioni di "franamenti" nel mondo cattolico, come dice Terracini; però occorre aggiungere che nella d.c. esistono non solo stati di fermento e posizioni di critica e di polemica verso dirigenti, ma anche volontà di gruppi sempre più precisi di fare una loro politica, che ha due obiettivi: tener viva polemica all'interno della d.c., preparare condizioni per poter svolgere un ruolo autonomo nella politica del nostro paese. Non si può non tener conto di questo, specie per i problemi contadini (giusta causa, soprattutto) ed anche per le masse popolari della città. Serio lavoro occorre per affrontare questo problema onde si giunga a certe soluzioni, senza però troppe illusioni. D'altra parte oltre a questioni delle 3 liste occorre definire meglio il senso della nostra linea politica, e oltre a questo sviluppare un'azione politica che migliorerà nostro lavoro anche verso i compagni socialisti, nel senso di correggere talune loro impostazioni non giuste. Bisogna lavorare tra le masse meno avanzate, ove 3 liste possono avere seguaci, far orientare questo processo in maniera giusta. Gruppi di sinistra d.c. difendono legge proporzionale, non solo perché espressione di maggiore 136 democrazia, ma anche perché per la difficoltà di dare ? ai comuni con l'applicazione di essa, occorre non alleanza socialisti-d.c. di sinistra per costituire una giunta per esempio a Venezia. Bisogna aiutare i compagni socialisti a superare la loro non sempre chiara posizione sul pericolo di questa politica alla 137 quale talora essi danno ascolto Ci sono possibilità di migliorare le posizioni del Pci, anche a Venezia, in rapporto alle relazioni unitarie tra Pci e Psi. A Belluno si possono conquistare unitariamente i comuni, anche il capoluogo. La fine di un’epoca: il 1956, tra Unione Sovietica, Trieste ed Jugoslavia. Di lì a soli sei mesi, la situazione evolve velocemente. C’è stato il XX congresso del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, con il rapporto segreto di Chruščëv e l’esplosione di una crisi mondiale del movimento comunista. Togliatti attua una difficile manovra di sganciamento dai sovietici, investendo sulla 135 Acs, Bmt, f. Giacomo Pellegrini, interventi al Comitato Centrale, cit. Sic. 137 Acs, Bmt, f. Giacomo Pellegrini, interventi al Comitato Centrale, cit. 136 41 “via italiana al socialismo” per portare il Pci al di fuori di una situazione in cui improvvisamente si sta accentuando il suo isolamento 138. Pellegrini, entrato in Direzione come membro candidato alla Conferenza di Organizzazione del 1954, interviene nella Direzione del 20 giugno rilevando come: Non posso non riconoscere che il rapporto Chr. è sconcertante, fatti gravi, l’insieme del rapporto crea sconcerto nel P.; modo come è arrivato a noi; il XX Congresso ha fatto sorgere discussioni, il rapporto T[ogliatti] al CC ha spiegato e il P. è rimasto soddisfatto; dopo le elezioni, il rapporto Chr. ha riportato la discussione su una base molto più seria. Nella valutazione tener conto della pesantezza e 139 preoccupazione esistenti nel P. prima del rapporto di Ch. […] . Pellegrini, nell’intervento al Comitato Centrale del Pci del 26 successivo, mette in chiaro alcuni concetti chiave della nuova linea del Pci, autonoma da quella sovietica, collocandosi con Secchia alla sinistra del segretario 140: essa non deve trattarsi di una riduzione al parlamentarismo e che i punti di riferimento principale sono coniugare socialismo e democrazia politica e rapporto con le masse cattoliche (chiarendo che questo non significa subalternità al clericalismo dominante la politica italiana, su cui il Pci è debole): Va data piena adesione al rapporto del compagno Togliatti sia per la sua sostanza politica ed ideologica che offre a tutto il partito nuove possibilità di iniziativa sia per il metodo con il quale vengono impostati i problemi centrali che stanno oggi di fronte al movimento socialista. Anzitutto, per il dibattito precongressuale, occorre riconfermare il ruolo insostituibile del Partito comunista, ricco di una esperienza rivoluzionaria e unitaria quanto mai grande. Occorre combattere la tendenza di quei compagni faciloni i quali ritengono che la via italiana al socialismo si risolva puramente e semplicemente nella via parlamentare da percorrere agevolmente passando da un risultato elettorale positivo all'altro, in pari tempo deve essere contestata la tesi secondo cui nella situazione italiana si manifesti una tendenza alla attenuazione della lotta di classe. Se si bandisce il campo da queste concezioni ottimisticamente illusorie ci si rende conto come la enunciazione del principio della via italiana finisca con il soddisfare la richiesta di una chiara prospettiva politica e apra quindi il problema di definire le forze che possono esser messe in movimento e dei contenuti politici intorno ai quali è possibile realizzare il massimo delle alleanze. Quale è la sostanza della nostra ricerca di una via italiana al socialismo? Da un lato il rapporto tra l'esigenza di una trasformazione socialista e quella della democrazia politica, dall'altro il problema dei cattolici. A questo proposito occorre riconoscere le nostre debolezze nel combattere il pericolo di degenerazione clericale del regime democratico e, in pari tempo, comprendere che occorre valutare con spirito nuovo le posizioni delle masse cattoliche organizzate che premono per ottenere determinate trasformazioni delle strutture sociali capitalistiche: di cui l'esigenza di un impegno particolare nello studio delle iniziative che occorre prendere in una situazione che ci offre più larghe possibilità di movimento. Attento e puntuale deve essere il nostro esame nel funzionamento del Partito nelle sue 141 varie istanze e nel complesso Di primo piano è il ruolo che assume Pellegrini nella fase di discussione tra Pci e Pcus nel 1956, dopo il XX congresso del partito sovietico. Il viaggio è oggetto di uno dei due riferimenti dedicati a Pellegrini da Luciano Barca nel suo diario: si tratta di un documento particolarmente importante tra quelli lasciati dai massimi dirigenti del Pci, poiché redatto su note compilate giorno per giorno, con maggiore capacità di rendicontazione degli eventi rispetto alla pubblicazione di memorie retrospettive (anche se il diario è stato revisionato dall’autore in occasione della pubblicazione). Nel luglio 1956 Barca annota nel suo diario la presenza di Pellegrini a Mosca, in una delegazione del Pci (con Giancarlo Pajetta e Celeste Negarville) presso i compagni sovietici, nei giorni di tensione tra i due partiti dopo il Rapporto segreto di Chruščëv al Ventesimo congresso del Pcus e le successive riflessioni 138 I verbali della Direzione comunista del 1956 sono stati pubblicati in: Maria Luisa Righi (a cura di), Quel terribile 1956. I verbali della Direzione comunista tra il XX Congresso del PCUS e l’VIII Congresso del PCI, Roma, Editori Riuniti, 1996. 139 Righi, cit. p. 78. 140 Così Gozzini-Martinelli, p. 543. 141 Acs, Bmt, f. Giacomo Pellegrini, interventi al Comitato Centrale, cit. 42 critiche di Togliatti su «Nuovi Argomenti» nel giugno di quell’anno 142. Del viaggio in Urss parla anche Mafai, che non manca di incasellare Pellegrini nel ruolo del filosovietico: L’intervista di Togliatti non piacque ai sovietici; per questo una delegazione del Pci venne mandata a Mosca per discutere della questione con il gruppo dirigente sovietico. Il capo delegazione era Giancarlo Pajetta e con lui andarono Giacomo Pellegrini e Celeste Negarville. La delegazione avrebbe dovuto anche capire come si sviluppava il dibattito e la situazione in Unione Sovietica e come intendeva muoversi il partito sovietico per correggere le conseguenze degli errori già denunciati. Giacomo Pellegrini sembrava addirittura poco convinto della verità delle denunce, sembrava non poter credere ai vergognosi fatti portati alla luce. Diversa la posizione di Celeste Negarville, che aveva già avuto modo di 143 esprimere (sia pure soltanto nelle pagine del suo diario) alcune riserve sull’operato politico di Stalin . 43 La narrazione continua con gli incontri con i dirigenti sovietici e qualche ricordo personale dei successivi incontri romani nella sede del Pci. Lasciamo per un momento da parte la considerazione su come sia facile liberarsi, in sede rigorosamente privata, o nelle memorie postume, del rigido ossequio alla ortodossia staliniana del movimento operaio. Come se fosse possibile, nei partiti comunisti ufficiali dell’epoca - ed anche degli anni successivi, come dimostrò la vicenda del gruppo de “il manifesto” nel 1969 - mantenere un qualche ruolo, senza un disciplinato allineamento alla linea prevalente. Si tratta di un facile senno di poi, meritorio di poca o nulla considerazione in sede storiografica, se non per lo studio dell’evoluzione dell’atteggiamento, del cambiamento di ruolo e dell’elaborazione della memoria di chi ne è protagonista. Quello che è perlomeno disturbante è riscontrare il racconto di Mafai con quello – che immaginiamo abbia la stessa fonte, cioè i ricordi di Giancarlo Pajetta – fatto in altra sede da Indro Montanelli 144. In questo caso, il centro della narrazione è il racconto grand-guignolesco fatto da un Chruščëv ubriaco a Pajetta e Negarville su come fosse stato strangolato a tradimento dagli altri massimi dirigenti del Pcus il capo della polizia politica Lavrentij Berija, per poi inscenarne successivamente un finto processo e condanna (in questo caso, non si fa accenno a Pellegrini, forse assente per il minor rango gerarchico nel partito italiano). Se questo è il livello delle informazioni che transitano attraverso le memorie dei protagonisti, urge senz’altro passare ad un’analisi documentale, sospendendo il giudizio su quanto finora trasmessoci. In realtà il risultato delle delegazione è tutt’altro che disprezzabile, ed ha posto le basi per un rapporto più equo tra i due partiti, come nota Pellegrini nel suo intervento alla Direzione del 18 luglio, nella quale la delegazione relaziona sul viaggio in Urss: D’accordo con l’intervento di Togliatti. Sarebbe un errore ritirare l’affermazione discussa. D’altronde i compagni sovietici non ce lo chiedono e si sono convinti della sostanziale giustezza dell’intervista. Molte cose non hanno ricevuto una risposta esauriente. La delegazione non deve essere considerata come una conclusione: abbiamo discusso con molta franchezza e così dovremo fare nel 145 futuro sulle cose non chiare . Il 26 settembre 1956 Pellegrini deve esprimersi non solo sulle vicende del partito sovietico, ma anche sulle prese di posizione di Vittorio Vidali: «Il modo come è stato conosciuto il rapporto Chruščëv 142 Barca, cit., vol. I, Con Togliatti e Longo, p. 148. Miriam Mafai, Una vita, quasi due (a cura di Sara Scalia), Milano, Rizzoli, 2013. 144 Lo si trova citato come fonte nelle schede biografiche: http://it.wikipedia.org/wiki/Gian_Carlo_Pajetta alla nota 4, e http://it.wikipedia.org/wiki/Celeste_Negarville alla nota 2 (il libro citato è: Indro Montanelli, I protagonisti, Rizzoli Editori, Milano 1976, pp. 66-67). Montanelli data il viaggio in Urss al mese di settembre. La fuga di notizie a proposito del “processo a Beria”, secondo Secchia, fu dovuta alle confidenze di Negarville e Pajetta con Montanelli ed Eugenio Reale (che proprio in quei mesi rompe con il Pci). Togliatti costrinse i tre delegati a smentire di essere venuti a conoscenza dell’episodio, cosa che Pellegrini fece contro voglia, per disciplina di partito, dopo essersi dichiarato estraneo alla fuga di notizie nella riunione della Direzione: cfr. Collotti, cit., pp. 447-448; Righi, cit., p. 120. 145 Righi, cit. p. 126. La relazione della delegazione è riprodotta alle pp. 142-158. 143 segna l’inizio della perdita di prestigio dell’Urss. Nocive conseguenze degli articoli di Vidali per quanto riguarda i problemi jugoslavi e sovietici. […]» 146. Si ripropone la vicenda dell’anno precedente, quando Pellegrini aveva già dovuto intervenire a Trieste, presso un partito ancora formalmente autonomo dal Pci, dopo che Vidali aveva accolto il riavvicinamento sovietico-jugoslavo con una riproposizione delle più viete posizioni antijugoslave del Cominform 147. Ecco il resoconto di quell’intervento commissariale, per “mettere le redini” all’intrattabile segretario triestino, che Pellegrini si dimostra capace come pochi di riportare alla ragione. Un documento interessante anche per capire le dinamiche organizzative della consultazione, svoltasi tra la riunione con il partito triestino, gestita da Pellegrini, la successiva approvazione romana e la telefonata finale alla collaboratrice di Vidali: Cari compagni, come da vostro incarico ho partecipato nella giornata di ieri alla riunione del C.C. del Partito Comunista del Territorio di Trieste. All'ord. d.g. era la discussione sulla risoluzione concordata con la Segreteria del nostro Partito. La risoluzione è stata approvata alla unanimità meno il voto del comp. Poccecai che si è dichiarato contrario al riconoscimento di aver commesso degli errori pubblicando il noto articolo del Lavoratore. Il C.C. ha pure deciso di pubblicare sul Lavoratore di lunedì prossimo, non il testo della risoluzione, che però verrà comunicata per via interna a tutte le organizzazioni, ma un comunicato in cui sia espresso, nella sostanza ed in modo chiaro, l'errore commesso e che tale comunicato sia commentato da una serie di articoli e da comizi pubblici tenuti dal comp. Vidali. Su questa decisione la Segreteria del P.C. del T.T. chiede il parere della Segreteria del P.C.I. La mia opinione è che possa essere accettata la decisione del C.C. del Part. C. di Trieste salvo a controllarne la realizzazione. Giacomo Pellegrini Appunto 1: telefonato a Laura Weiss il 30/VI - f.to: Amadesi. Appunto 2: Ai membri della Segreteria: voto volante. Appunto 3: D'accordo di accettare la proposta dei comp. di Trieste con riserva, però, di 148 esaminarla, successivamente di pubblicarne o no la risoluzione nel suo testo integrale . Il 30 ottobre, nella riunione della Direzione dedicata alla valutazione delle conseguenze della rivolta ungherese, Pellegrini interviene segnalando la situazione di crisi frenetica che l’insurrezione e la repressione sovietica hanno prodotto nel partito, i cui segmenti sono ormai schizzati in ogni direzione, sfuggendo ad una disciplina uniforme. Il suo contributo è di consenso alla linea del vertice nazionale, e di polemica con tutte le voci dissidenti: Disagio e difficoltà nel Veneto. In generale le segreterie prendono buone posizioni, ma appena c’è la convocazione del CF esse si disorientano. Esempio di Padova. Si accusa la direzione del partito di conoscere la situazione nelle democrazie popolari e di non dare un rapido, giusto giudizio sugli avvenimenti polacchi e ungheresi. Contrapposizione di Gomułka a Togliatti. Si dice che bisogna rinnovare la direzione al congresso, che la linea della Cgil deve essere imposta al partito. Influenza nefasta dei deputati ritornati dalla Camera che vogliono prendere posizione aperta. In conclusione, manifesto brutto, ma niente su intervento sovietico. A Venezia divisione del CF in due parti: una col segretario federale su posizioni giuste, un’altra in sostanza disfattista e antipartito. Nelle altre federazioni venete simili posizioni non sono apparse, ma non escludo che si presentino in riunioni più larghe della segreteria. Alla base vi è amarezza e sconforto, una certa sfiducia nella direzione, ma non si nota né spirito di capitolazione né spirito antipartito, La posizione della Cgil e la dichiarazione di Di Vittorio non hanno certamente aiutato. Consolidare nel partito la fiducia nel CC e nella 146 Righi, cit. pp. 180-181. Cfr. l’editoriale di Vittorio Vidali su «Il Lavoratore» di Trieste del 20 maggio 1955, la dichiarazione del comp. Kruscev ed i comunisti triestini, ristampato in: Vidali, Ritorno alla città senza pace, cit., pp. 135-138. 148 Apc, Bmt, f. Giacomo Pellegrini, fotocopia lettera del 30 giugno 1955, Alla segreteria del Pci, Roma. 147 44 direzione. Bisogna fare qualcosa in questo senso. Serio sforzo di controllo sull’Unità. L’edizione di Milano non aiuta a orientare il partito. Limitare il pettegolezzo che da Milano viene diffuso nelle province dai corrispondenti del giornale. Completamente d’accordo con Togliatti e sulla linea da lui esposta bisogna mobilitare tutto il partito. Togliere l’idea che al centro si voglia fermare il processo cominciato col XX Congresso. Sono quindi d’accordo con Amendola sulla necessità della lotta su due fronti 149. Le alluvioni nel Polesine e le battaglie per la rinascita della Valle Padana. Nell’intervento pronunciato al Comitato Centrale del 9 dicembre 1957, Pellegrini pone il problema della condizione disastrosa della Valle Padana, a partire dal Polesine colpito per la seconda volta in un decennio da una disastrosa alluvione, che accentua – insieme alla crisi agraria – la fuga dei braccianti agricoli verso il triangolo industriale: Bisogna porre con forza la questione della Valle Padana, che riemerge ad ogni alluvione. E' dal 1951 che il problema è apparso intollerabile ed ha denunciato l'incapacità della classe dirigente democristiana ad affrontare i problemi della difesa del suolo. Si è sviluppato un grande movimento popolare, coinvolgendo tecnici, amministratori ed organizzatori nello studio di soluzioni concrete, ma il governo non ha dato risposte. Gli stanziamenti non hanno trovato impiego effettivo, e sono stati spesi solo 11 miliardi per l'imbrigliamento ed altre opere. Gravi problemi dipendono dell'esodo di enormi masse rurali dal Polesine nelle zone industriali: «Questi lavoratori sono sfruttati e maltrattati.» Il governo usa il denaro per il riarmo invece che per opere indispensabili. Propone una conferenza dei comunisti della Valle del Po, per definire un programma sul tema e mobilitare il partito. Sono i problemi che ha già affrontato in un ampia disamina dei problemi economici del Veneto, pubblicata in opuscolo nel 1954, in cui i problemi economici e sociali sono legati all’attenzione a quanto si muove nel mondo cattolico, ed allo sviluppo della politica unitaria a sinistra 150. Ma i problemi del Polesine sono i stridenti, in una zona dove già nel 1951 la mancanza di interventi di prevenzione, ma anche di soccorso, hanno trasformato l’alluvione e la rotta degli argini in una tragedia di dimensioni catastrofiche 151. Sono questi i temi su cui Pellegrini promuove a Rovigo, dopo la seconda disastrosa alluvione del 1956, nel febbraio 1958, l’assemblea dei comunisti della Valle Padana. Anche in questo caso la sua relazione, insieme alle conclusioni di Gian Carlo Pajetta, sono pubblicate dal Pci in un opuscolo. Si pongono i problemi della regolazione dei corsi d’acqua e della difesa del suolo, denunciando non solo l’incuria della politica governativa, ma anche le responsabilità dei monopoli dell’industria elettrica privata, che governano i corsi d’acqua nell’area montana, al di fuori di una logica di interesse pubblico. La politica europea viene vista come uno strumento dei monopoli per attaccare la condizione contadina ed espellere manodopera votata all’emigrazione. L’alternativa è quella di una politica di bonifica e di riforma agraria, che contemperi sviluppo agricolo ed industriale; l’istituzione delle regioni è uno strumento per dare avvio a queste politiche di rinnovamento 152. Nell’ultimo intervento pronunciato al Comitato Centrale, il 9 giugno 1958, Pellegrini deve nuovamente fare i conti con i limiti dei risultati dell’attività politica del Pci nel Veneto, dove la crisi del 1956 149 Righi, cit., pp. 228-229. Sottolineano la consonanza di Pellegrini con Amendola: Gozzini-Martinelli, cit., p. 595. Giacomo Pellegrini, I problemi delle popolazioni venete e i compiti dei comunisti, Venezia, Segreteria Regionale Veneta del Pci, 1954. 151 Giacomo Pellegrini, Alcuni problemi dell’assistenza nelle zone alluvionate, in: «Rinascita», anno VIII, n. 12, dicembre 1951, pp. 561-562. 152 Giacomo Pellegrini – G. Carlo Pajetta, Per la rinascita e il progresso della Valle padana. Discorsi pronunciati all’Assemblea dei comunisti della Valle padana. Rovigo 8-9 febbraio 1958, Roma, La stampa moderna, 1958 (con G. Carlo Pajetta); Giacomo Pellegrini, I monopoli contro la rinascita del Delta padano, in: «Rinascita», anno XV, n. 4, aprile 1958, pp. 243-245. 150 45 appare tutt’altro che superata, mentre in Friuli addirittura avviene la non elezione del capolista alla Camera dei Deputati: D'accordo con il rapporto di Longo. I risultati del Veneto non soddisfacenti, per le flessioni ma soprattutto perché non c'è stato un aumento in questa regione ove ci sembrava esistessero condizioni obiettive per fare avanzare nel quadro di un'avanzata delle sinistre, il nostro partito e nella regione ove la d.c. è più forte. Voglio parlare dell'emigrazione non per cercare di giustificare ma per prendere atto che questo fenomeno sta diventando un fenomeno sociale di grande portata. Da Udine negli ultimi anni 120.00[0] emigrati, il 2% del corpo elettorale valido. Che contenuto democratico ha nel Veneto, in consultazione elettorale quando manca tanta parte del corpo elettorale valida? Bisogna tenerlo presente per porlo nei dovuti termini politici. Gli emigrati che vengono dal Belgio e dalla Svizzera portano orientamenti – date le pressioni subite – a noi sfavorevoli. Votano d.c. e socialdemocratico. Anche questo è un problema che dobbiamo tenere presente nel nostro lavoro. Occorre tenere presente anche l'azione della Jugoslavia. L'indicazione che veniva dalla loro stampa – radio ecc. era di votare socialista come unica forza capace di spingere avanti soluzione democratica alla situazione italiana. Hanno utilizzato la minoranza slovena per fare confluire i voti sul PSI. Tutti i canali di informazione e concentramento: lo stato, il Partito, la stampa ecc. utilizzati per questo scopo. Perché nel Veneto lo schieramento di sinistra non è riuscito a strappare voti alla d.c. tanto più che all'interno della d.c. contrasti, lotte, disagi, ecc. - contrasti di cui si sono avute conferme nella firma delle liste e nel gioco delle preferenze. Il capolista del Friuli-Venezia Giulia non è stato eletto. Dobbiamo fare esame critico di come abbiamo portato avanti l'azione politica nei confronti delle masse cattoliche. Superficialità nella ricerca di questa azione, decadimento di attività. Incomprensione, anche nei dirigenti federali, su come si deve portare avanti una politica di larghe alleanze. 153 attività. Le Debolezza, che sta diventando organica, nell'orientamento dei quadri, e degli elezioni del 1956 hanno segnato una caduta preoccupante della nostra influenza elettorale. Non sono state superate dopo il 1956, le deficienze di orientamento e organizzative che stavano alla base della caduta del 1956. Restano posizioni di chiaro revisionismo – Belluno-Feltre. Il gruppo dirigente diviso e la parte fedele al partito non riescono a combattere in modo giusto e si chiudono in posizioni settarie. Treviso analoga situazione seppure con caratteristiche diverse. Le eterne discussioni del C.F. di Venezia sono anch'esse un indice di insufficiente unità e chiarezza politica e ideologica. I tormenti angosciosi, a volte drammatici di Gorizia sulle questioni slovene, jugoslave, non permettevano ai compagni di avere posizioni di forza politiche tali da differenziarsi dai socialisti nel momento in cui la Jugoslavia indicava il PSI come la sola forza di rinnovamento. Questa situazione di debolezza nell'orientamento spiegano i nostri arretramenti e l'avanzata del PSI che però non porta la sinistra alla stessa percentuale del '53. Non si è riusciti a chiarire la scelta politica da fare; la difesa del voto comunista è stato debole. Resta quindi molto grosso il problema dell'orientamento politico e ideologico. Alla debolezza politica bisogna aggiungere la persistente debolezza organizzativa in tutta la regione del partito e tutte le organizzazioni di massa. Sono compiti concreti che dovranno affrontare. Chiediamo al C.C. esame e aiuto per la regione Veneta. Mentre il lavoro verso i cattolici rileva risultati inadeguati, emergono fenomeni nuovi. In passato, sul piano politico, l’emigrazione significava soprattutto un’emorragia di attivisti politici e sindacali; ora le nuove generazioni migratorie al contrario vengono formate nei sindacati socialdemocratici e cristianodemocratici europei, mettendo in difficoltà il Pci: la Cgil, appartenente alla Federazione Sindacale Mondiale – cui aderisce la sola Cgt francese, tra i sindacati maggiori dell’Europa occidentale – non è riconosciuta dai sindacati appartenenti alla Icftu/Cisl internazionale. 1948 – 1963: Senatore della Repubblica. 153 Sic. 46 Al momento della prima legislatura come senatore nel 1948, Pellegrini risiede a Venezia, in Campo San Maurizio, Calle del Doge, 2746 e si dichiara pubblicista come professione. E’ senatore di diritto, «perché Deputato alla Costituente, ed ha scontato anni dieci e mesi nove di reclusione, in seguito a condanna del Tribunale speciale per la difesa dello Stato» 154. Il rientro in Parlamento avviene nel contesto della dura sconfitta delle liste unitarie del Fronte Popolare, che riuniscono comunisti, socialisti e repubblicani di sinistra, e della vittoria della Democrazia Cristiana, che conquista – per la prima ed ultima volta nella storia repubblicana – la maggioranza assoluta dei seggi. Non si tratta di una campagna elettorale come le altre, ma di un vero e proprio plebiscito pro o contro il comunismo: la mobilitazione del blocco conservatore, e gli aiuti internazionali delle potenze occidentali creano un clima durissimo. E’ in questo contesto che Pellegrini denuncia insieme ad altri compagni lo «”stato di terrore” creato dal clero in Veneto» a giustificazione del cedimento elettorale: «Abbiamo avuto episodi di istigazione al linciaggio di nostri candidati, organizzati da frati, preti, particolarmente attivi e pericolosi» 155. Viene eletto al Senato nel 1953 e nel 1958 (in quest’ultima occasione opta per il Senato, essendo stato eletto anche alla Camera dei Deputati nel collegio Udine-Belluno-Gorizia). Nel 1963 non viene rieletto: un anno dopo riprenderà la sua attività legislativa nel primo Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia 156. Durante la prima legislatura, fino al gennaio 1952 è componente della Quinta Commissione Permanente (Finanze e Tesoro), per poi passare alla Quarta (Difesa) 157. L’elenco delle iniziative prese da Pellegrini singolarmente, od in associazione con altri parlamentari, è stato ricostruito da Silvano Bacicchi, ma senza riuscire ad acquisire tutte le copie degli interventi 158. E’ possibile colmare le lacune grazie alla pubblicazione in files in .pdf degli atti parlamentari, sul sito internet del Senato della Repubblica: a questo proposito, l’indice prodotto da Bacicchi è importantissimo per condurci attraverso un sito che ancor oggi – a differenza di quello della Camera dei Deputati – non è fornito di un collegamento automatico tra le schede dei parlamentari ed i resoconti dei dibattiti. Tra le prime iniziative di Pellegrini c’è la presentazione di un’interpellanza, dedicata alle violenze esercitate dalle forze di polizia in provincia di Padova nel corso dello sciopero bracciantile nel giugno 1949 159 . Il 28 giugno 1950 Pellegrini interviene sullo stato di previsione del Ministero dell’Industria e Commercio, con un’articolata analisi della situazione economica del Veneto 160. Il 9 maggio 1952 interviene, anche in questo caso con un discorso di ampio respiro, nella discussione sul disegno di legge per le aree montane, sottolineando le particolari condizioni di povertà della montagna veneta e friulana 161. Il 26 marzo 1953 interviene a sostegno del disegno di legge “Bitossi” (dal nome del parlamentare comunista e segretario della Cgil) per la tutela delle lavoratrici mondariso e dei loro figli, discutendo delle gravi condizioni di lavoro degli operai agricoli, che andavano ben oltre quelle del solo Polesine, l’area maggiormente interessata in Veneto 162. Nella seconda legislatura, Pellegrini presenta un’interrogazione al Presidente del Consiglio dei Ministri, per sostenere un intervento nei confronti dell’Ente Tre Venezie, sottoposto all’alta vigilanza della stessa Presidenza, «al fine di consigliare il ritiro dei ricorsi presentati dall’Ente stesso al Tribunale di Gorizia per far condannare sessanta affittuari della tenuta di proprietà dell’Ente nella località di Piuma (Gorizia) al rilascio dei fondi in affitto agli stessi» 163. 154 I deputati e senatori del primo parlamento repubblicano, cit. Intervento alla Direzione del Pci del 26 aprile 1948, citato in: Di Loreto, cit., p. 260. 156 Andreucci-Detti, cit. 157 Cfr. scheda Giacomo Pellegrini, prima legislatura, in sito internet Senato. 158 Archivio Ifsml, Fondo Mario Lizzero “Andrea”, b. 58, f. 552. 159 Senato della Repubblica, CCLVI seduta, 22 luglio 1949, pp. 9659-9662 160 Senato della Repubblica, CDLVIII seduta, 28 giugno 1950, pp. 17843-17853. 161 Senato della Repubblica, DCCCIV seduta, 9 maggio 1952, pp. 33391-33398. 162 Senato della Repubblica, CMLXXXIV seduta, 26 marzo 1953, pp. 40523-40528. 163 Senato della Repubblica, LV seduta, 28 ottobre 1953, p. 2085. 155 47 Il 22 settembre 1954 un’interrogazione è rivolta al Ministero del lavoro e della previdenza sociale, «per conoscere se è a conoscenza dei propositi di chiusura, a partire dal 13 settembre, dello stabilimento S.E.T.S.A. di Cividale del Friuli, e quali provvedimenti il Governo intende adottare per ovviare una misura che, col grave danno economico per i lavoratori, è destinata a portare grave turbamento delle popolazioni di una sensibile zona di frontiera» 164. Il 6 maggio 1957 Pellegrini interroga il Presidente del Consiglio dei Ministri per conoscere lo stato dell’inquadramento professionale del personale finora dipendente dal Commissariato generale del governo a Trieste 165. Il 10 ottobre presenta un’interrogazione al Ministro del Tesoro per sollecitare un adeguamento della dotazione finanziaria alla Amministrazione Provinciale di Gorizia 166. L’11 dicembre dello stesso anno interviene nel dibattito parlamentare sulle proposte di legge per includere il territorio di Trieste nelle circoscrizioni per le prossime elezioni senatoriali, sottolineando i gravi problemi dell’economia triestina, a partire dalla crisi dell’industria cantieristica, e la necessità di dare una rappresentanza elettiva a quella provincia 167. Il 18 dicembre interroga il Ministro delle Finanze, a tutela di un numeroso gruppo di proprietari di terreni golenali nello Spilimberghese 168. Il 17 settembre 1958 Pellegrini interviene sulla proposta di bilancio di previsione del Ministero degli Esteri, diffondendosi sulla situazione politica dei paesi dell’America Latina 169. Il 29 e 31 ottobre successivo presenta un ordine del giorno, che verrà respinto dalla maggioranza, nell’ambito dello stato di previsione dei ministeri economici per il 1959, in cui chiede un intervento economico straordinario a favore delle industrie dell’Iri nelle provincie di Gorizia e Trieste 170. Il 5 maggio 1959 interviene nel dibattito sul bilancio di previsione del Ministero delle Finanze, sostenendo un ordine del giorno a sostegno degli interventi a favore dell’industria giuliana in crisi 171. Il 30 giugno interviene nel dibattito sul bilancio di previsione, ponendo i problemi complessivi del Friuli Venezia Giulia, affermando che è in atto un movimento unitario delle popolazioni volto al riconoscimento dell’autonomia regionale 172. Il 16 dicembre interviene sulla proposta di legge costituzionale per l’assegnazione di una rappresentanza senatoriale ai comuni del territorio di Trieste 173. Il 10 e 14 giugno 1960 interviene sullo stato di previsione del Ministero degli Esteri, per contestare l’occupazione militare del territorio, con le relative servitù militari, e proporre una politica di pace in alternativa alla Nato 174. Il 29 settembre interviene sul bilancio di previsione del Ministero delle Partecipazioni Statali, denunciando lo stato ormai comatoso dei cantieri navali giuliani 175. Il 23 maggio 1961 fa un complesso intervento sul piano quinquennale per l’agricoltura 176. Il 5 ed il 13 luglio interviene sugli stati di previsione dei Ministeri della Difesa e dei Trasporti, per denunciare i vincoli imposti dalle servitù militari e protestare contro la minaccia di soppressione di alcuni tronchi ferroviari 177. Il 5 ottobre interviene lungamente sullo stato di previsione del Ministero dell’Interno, in merito all’attuazione 164 Senato della Repubblica, CLXXX seduta, 22 settembre 1954, p. 7133. Senato della Repubblica, 528° seduta, 6 maggio 1957, p. 21847. 166 Senato della Repubblica, 577° seduta, 10 ottobre 1957, pp. 24156-24157. 167 Senato della Repubblica, 609° seduta, 11 dicembre 1957, pp. 25434-35435. 168 Senato della Repubblica, 613° seduta, 18 dicembre 1957, pp. 25618-25619. 169 Senato della Repubblica, 20° seduta, 17 settembre 1958, pp. 840-845. 170 Senato della Repubblica, 57° e 60° seduta, 29 e 31 ottobre 1958, pp. 2501-2502 e 2624-2625. 171 Senato della Repubblica, 113° e 117° seduta, 5 e 13 maggio 1959, pp. 5351-5354 e 5597-5598 172 Senato della Repubblica, 153° seduta, 30 giugno 1959, pp. 7178-7181. 173 Senato della Repubblica, 206° seduta, 16 dicembre 1959, pp. 9972-9973. 174 Senato della Repubblica, 259° e 261° seduta, 10 e 14 giugno 1960, pp. 12347-12350 e 12431-12437. L’intervento viene anche pubblicato in opuscolo: Giacomo Pellegrini, Servitù militari e basi straniere. Limite allo sviluppo economico e civile. Pericolo grave per le popolazioni. Discorso pronunciato al Senato della Repubblica nella seduta del 14 giugno 1960, Roma, Tipografia del Senato, s.d. [1960]. 175 Senato della Repubblica, 299° seduta, 29 settembre 1960, p. 14175. 176 Senato della Repubblica, 396° seduta, 23 maggio 1961, pp. 18524-18531. 177 Senato della Repubblica, 435° e 444° seduta, 5, 13 e 18 luglio 1961, pp. 20187-20188, 20621 e 20763. 165 48 dell’ordinamento regionale del Friuli Venezia Giulia 178. Un anno dopo, il 12 ottobre 1962, Pellegrini pronuncia un altro lungo intervento sulla proposta di legge costituzionale per l’istituzione della regione autonoma Friuli Venezia Giulia 179. Il 21 gennaio 1963 interviene nuovamente sull’argomento, per annunciare il voto favorevole del gruppo comunista 180. «Pace e libertà»: la provocazione del 1954 e la risposta del Pci. Un’accusa infamante. 49 All’inizio del 1954, Pellegrini diventa l’obiettivo di una campagna denigratoria del movimento anticomunista «Pace e libertà» , sulla base delle dichiarazioni di un ex agente dell’Ovra, Luca Osteria, uno dei più intraprendenti infiltrati della polizia fascista nelle file dei partiti comunista e socialista durante il Ventennio 181. Ecco quanto viene pubblicato in un numero speciale dell’omonimo giornale: Guidato e controllato dagli agenti dell’Ovra, Pellegrini si rimise in contatto con il Centro parigino del Pci, affermando nelle sue lettere che egli godeva della più completa libertà e che tutto andava per il meglio. Così egli, in stato di arresto sino dai primi di febbraio 1939 continuò a mantenere fino all’aprile rapporti diretti con Ruggero Grieco, a quel tempo esponente della segreteria comunista. Scopo evidente di questa lurida manovra era di attirare nella rete della polizia fascista altri funzionari e militanti 182 comunisti; come purtroppo avvenne . […] il Pellegrini ricevé i classici 30 denari di Giuda o, per essere più precisi una parte delle 4.000 lire che, con due passaporti falsi, il Centro Estero, tramite l’attuale senatore Vittorio Flecchia, aveva 183 inviato a Mario Vinelli di Genova per consentire al Pellegrini di rientrare in Francia . E’ solo l’inizio: Pellegrini viene nuovamente attaccato nel numero 4-5 del periodico, in cui Osteria interroga direttamente il segretario comunista Palmiro Togliatti: 184 […] A fine gennaio del 1939 Giuseppe Berti e Cesare Masini inviarono in Italia nelle mani della polizia Giacomo Pellegrini e Tombetti Giuseppe che vennero regolarmente arrestati a Genova: il primo in una villa in via Rio Torbido ed il secondo in una casa in via Teglia. Non appena tradotto in questura, Pellegrini chiese ed ottenne di conferire con il dirigente dell’Ufficio politico dr. Carmelo Sbezzi, al quale dichiarò spontaneamente di avere subito una crisi di coscienza e di volersi mettere a totale disposizione della polizia. Per ora, onorevole, ai fini di una inchiesta per accertare le varie responsabilità dei suoi collaboratori, è necessario porre le seguenti domande: […] 7) E’ stato o non è stato l’onorevole Pellegrini Giacomo a scrivere spontaneamente le corrispondenze inviate al Centro estero dalla questura di Genova in cui il Pellegrini lasciava credere ai massimi dirigenti del P.C.I. che egli godeva della più completa libertà e che tutto andava per il meglio, allo scopo di attirare nella rete della polizia altri funzionari comunisti? 8) E’ stato o non è stato il Pellegrini collegato per corrispondenza col Centro estero fino al mese di aprile del 1939, mentre egli era in stato di arresto sin dal febbraio? 178 Senato della Repubblica, 462° seduta, 5 ottobre 1961, pp. 21528-21537. Senato della Repubblica, 620° seduta, 12 ottobre 1962, pp. 28937-28497. 180 Senato della Repubblica, 682° seduta, 21 gennaio 1963, p. 31809. 181 Franco Fucci, Le polizie di Mussolini. La repressione dell’antifascismo nel “ventennio”, Milano, Mursia, 1985, pp. 279-281. 182 Fucci, Le polizie di Mussolini, cit., p. 280 (citazione da: «Pace e libertà», numero speciale 1954, pag. 16). 183 Ibidem (citazione da: «Pace e libertà», n. 3). In ambedue i passi, Fucci smentisce alcuni particolari di quanto scritto dal periodico, laddove questi si discostano dal racconto di Luca Osteria, che è la sua fonte quasi esclusiva sulla vicenda. 184 Sic nel dattiloscritto. Recte: Massini. 179 9) E’ stato o non è stato il Pellegrini a denunciare alla polizia le missioni clandestine svolte dall’onorevole Spano Velio in Italia (Napoli) e in Egitto? 10) E’ stato o non è stato il Pellegrini ad informare la polizia che l’emissaria comunista Dirce Scarazzati, con la quale doveva incontrarsi il 24 marzo 1939 nel ristorante della stazione di Ancona, sarebbe stata identificabile attraverso il segno di riconoscimento costituito dal romanzo di A. Manzoni, e cioè “I promessi sposi”? Voglia, onorevole, compiacersi di mettere a fuoco, agli effetti della valutazione della responsabilità politica e morale del Pellegrini, i seguenti dati di fatto: a) al momento in cui il capo della polizia politica dr. Guido Leto diede telefonicamente l’ordine di procedere all’arresto del Pellegrini e del Tombetti, la polizia non aveva nessun elemento nelle mani oltre i predetti funzionari del Partito per sviluppare l’operazione; b) gli organi tecnici della polizia, quando Leto diede l’ordine di arrestare i due emissari, consideravano l’operazione completamente finita dopo la denuncia dei due al Tribunale Speciale per la difesa dello Stato; c) l’arresto di quattro emissari comunisti dell’intera rete clandestina che condusse alla dissoluzione dell’apparato non sarebbe avvenuto, se il Pellegrini non fosse passato subito dalla parte 185 dell’O.V.R.A. . Non basta: «Pace e libertà» stampa 100.000 manifesti che vengono diffusi in tutta Italia. Il deputato democristiano Giuseppe Togni attacca il Pellegrini ed il Pci nella seduta del 19 ottobre alla Camera dei Deputati, scatenando un pandemonio e le dure proteste di comunisti e socialisti e la vicenda viene trattata dalla stampa italiana ed internazionale 186. Il Pci però non rimane fermo: Il 17 giugno 1954 i dirigenti di tutte le Federazioni Comuniste delle Tre Venezie e i parlamentari comunisti veneti si sono riuniti a Padova intorno al senatore Giacomo Pellegrini, Segretario Regionale per il veneto del P.C.I., per esprimergli la riconoscenza dei comunisti veneti per quanto egli ha fatto e va facendo per la causa del popolo, e in modo particolare per lo sviluppo e il potenziamento del Partito Comunista e delle organizzazioni democratiche del Veneto. Nel corso della manifestazione è stata fatta dai presenti la proposta di dare alle stampe un opuscoletto che contribuisca a far meglio conoscere, e quindi ancor maggiormente amare e stimare, da parte di tutti i lavoratori delle Venezie la sua figura di combattente intrepido ed instancabile della causa della pace, della libertà, del Socialismo. La pagine che seguono sono la risposta alla richiesta formulata in quella manifestazione. I lettori vorranno però tenere conto delle difficoltà che si incontrano nel lumeggiare compiutamente, nei limiti ristretti di un opuscoletto, tutta una vita così densa di avvenimenti, così ricca di lotte combattute, di 187 sacrifici serenamente affrontati, di un dovere sempre interamente e spesso oscuramente compiuto . Di fronte alle accuse contro alcuni dei suoi più prestigiosi dirigenti (oltre a Pellegrini, ci sono anche Cino Moscatelli e Pietro Secchia) Palmiro Togliatti motiva con un articolo de «l’Unità» del 24 ottobre, annunciato solennemente in testa alla prima pagina del quotidiano comunista il giorno prima, il rifiuto di dare spazio all’avversario querelandolo 188. Osteria sceglie quindi di querelare i dirigenti comunisti il 14 giugno 1955, per i duri giudizi da loro proferiti al suo riguardo 189. Non veniamo informati sull’esito del procedimento, che comunque ha avuto una sua coda 185 Da «Pace e Libertà», n. 4-5 anno 1954, estratto dattiloscritto dell’articolo, firmato “Ugo” (Luca Osteria), in: Archivio Ifsml, Fondo Mario Lizzero “Andrea”, b. 58, f. 550. 186 Fucci, Le polizie di Mussolini, cit., p. 285: cita il «Time» del 1° novembre 1954 ed il «New York Times» del 9 novembre 1954. 187 Gaddi, cit., p. 3. 188 Palmiro Togliatti, Del dare querela, «l’Unità» del 24 ottobre 1954. 189 Fucci, Le polizie di Mussolini, cit., p. 281; Franzinelli, I tentacoli dell’Ovra. Agenti, collaboratori e vittime della polizia politica fascista, Torino, Bollati Boringhieri, 2000, p. 482. 50 archivistica. Infatti una parte del materiale conservato all’Acs nel fondo Tribunale Speciale non è più presso tale archivio, in quanto utilizzato per il procedimento 190. «Pace e libertà»: un’agenzia di provocazione anticomunista internazionale. Per capire quale complessa struttura di provocazione si fosse occupata della campagna diffamatoria nei confronti di Pellegrini, bisogna soffermarsi sull’attività di «Pace e libertà» e del suo principale protagonista, Luigi Cavallo. A questa figura, che tra il 1945 ed il 1949 fu una delle grandi firme de «l’Unità», cui venivano assegnati anche articoli di fondo sulla prima pagina del quotidiano comunista, dedica una delle sue prime inchieste il pretore di Torino Raffaele Guariniello, ripresa dal giornalista - e futuro biografo del magistrato - Alberto Papuzzi 191. Cavallo è un personaggio abituato a muoversi di nascosto, a produrre iniziativa politica celando la sua reale identità attraverso abili camuffamenti della sua stessa biografia 192. Forse da sempre è stato un doppiogiochista: fin da quando, da giovane, si avvicina all’antifascismo e contemporaneamente utilizza i canali del regime per recarsi per studio in Germania. Certo appare stupefacente come lo stesso Cavallo possa passare agevolmente da un ruolo importante nelle file del movimento “Stella Rossa”, visto con diffidenza dai comunisti ufficiali, ad incarichi importanti nello stesso Pci, fino a diventare un corrispondente estero del quotidiano, posizione equivalente di fatto a quella di “ambasciatore” ufficioso del partito. Escluso dal Pci nel 1949, Cavallo diviene il costoso corrispondente dagli Usa del quotidiano torinese «Gazzetta del Popolo», e dal 1954, al momento del rientro in Italia, inizia a lavorare per il movimento anticomunista internazionale «Paix et Liberté», promosso da Jean Paul David e, in Italia, dal diplomatico ed ex partigiano monarchico Edgardo Sogno. Ecco come lo stesso Cavallo descriverà il suo nuovo lavoro, parlandone in terza persona: Rientra in Italia nel 1954 e diventa direttore responsabile (lo rimarrà per un anno) di Pace e Libertà, che fa opera di smitizzazione della storia del Pci (denuncia delle collusioni tra Ovra e Togliatti: il capo del Pci si avvale della polizia fascista per liquidare oppositori della sua linea politica, Camilla Ravera, ecc.); denuncia di casi di capitolazione davanti alla polizia fascista (Secchia, Moscatelli). Nel settembre provoca lo scandalo Ingic (incriminazione di Spataro Dc, Mazzoni e altri deputati del Pci, Ferri, ecc.). Cavallo litiga con Sogno che si opponeva alla denuncia dello scandalo Ingic e voleva trasformare Pace e Libertà in un’organizzazione monarchica di destra, mentre Cavallo la voleva a netto predominio ex comunista. Cavallo si trasferisce da Milano a Torino all’inizio del 1955. Diventa il consigliere politico e 193 sindacale del Prof. Valletta . Il sodalizio tra Cavallo e Sogno è comunque destinato a continuare, almeno fin quando il giudice istruttore Luciano Violante li farà arrestare nel maggio 1976, accusandoli di aver cercato di organizzare un colpo di stato nell’agosto di due anni prima. Ma quello che ora ci importa è l’azione di Cavallo in quella metà degli anni ’50, quando il suo lavoro di propaganda anticomunista si concentra sulla principale azienda industriale italiana, la Fiat, dove – certamente anche grazie ai suoi servizi – la Fiom subisce una bruciante sconfitta alle elezioni per il rinnovo delle Commissioni Interne nel 1955. Un risultato che, se certamente ha cause proprie di strategia sindacale, è ottenuto grazie alla creazione di una rete spionistica, ad un’azione propagandistica tanto subdola quanto estesa, alle minacce sistematiche nei confronti dei lavoratori 190 Il f. 7333 era stato interamente spedito alla Corte di Appello di Roma il 3 maggio 1956 ed avrebbe dovuto essere integralmente restituito il 16 aprile 1957. Ad un controllo successivo, è risultata presente presso l’Acs solo la b. 686, mentre mancano le b. 687, 688 e 689. Andrà quindi verificata l’ipotesi se il materiale mancante possa essere conservato presso l’Archivio Provinciale dello Stato di Roma, avendo seguito il destino dell’archivio giudiziario presso il quale si è svolta la causa Osteria vs. Pci. 191 Alberto Papuzzi, Il provocatore, Torino, Einaudi, 1976. Papuzzi ha ripreso la vicenda in: Il giudice. Le battaglie di Raffaele Guariniello, Roma, Donzelli, 2011. Alle pp. 95-162 è pubblicato il testo della sentenza contro Cavallo del 26 luglio 1975. 192 Che sembrano continuare post mortem: cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Luigi_Cavallo 193 Papuzzi, Il provocatore, cit., p. 44. 51 militanti della sinistra ed alle loro famiglie, fino al loro licenziamento sistematico. Scriverà Guariniello nella sentenza: Nel 1955 il dr. Cavallo ha diretto la propaganda anticomunista all’interno del complesso Fiat ed ha contribuito in modo determinante a rovesciare il rapporto di forza in favore dei sindacati democratici… Nel 1955 venne affidata al Cavallo la propaganda anticomunista in altri stabilimenti (Falck, Ceda di Trieste e Monfalcone, Franco Tosi di Legnano, ecc.) Fu quello il solo anno in cui in detti complessi la Fiom venne messa in minoranza. […] I metodi adottati dal Cavallo nei confronti del Pci possono quindi essere impiegati contro qualsiasi altro partito (ricordiamo la propaganda svolta dal Cavallo all’interno del Psi in favore degli «autonomisti»)… Il Cavallo dispone di tutta l’attrezzature (tipografia propria, mezzi, archivio, anagrafe, informatori, attivisti) necessaria per qualsiasi genere di azioni propagandistiche… Ricordiamo, inoltre, gli 194 opuscoli apocrifi (Vidali su Pellegrini, Federazione comunista genovese, ecc.)… . Quali siano le tendenze mistificatorie di Cavallo, lo evidenziano i tentativi denunciati di diffamare con fotomontaggi scandalistici sindacalisti ed esponenti politici (Cisl e Pci), attribuendo loro illecite attività sessuali o la proprietà di immobili di lusso 195. L’azione di «Pace e libertà» si esplica attraverso le schedature finalizzate alla selezione del personale ed allo spionaggio nei confronti delle organizzazioni sindacali (verranno scoperti e sequestrati da Guariniello 350.000 fascicoli 196), telefonate minatorie alle famiglie dei lavoratori, volantini e manifesti stampati clandestinamente: e sarà proprio un reato minore come l’esercizio abusivo dell’arte tipografica che permetterà al pretore di condannare Cavallo. Papuzzi riproduce l’intero testo di un lungo opuscolo, inviato al domicilio di migliaia di operai Fiat per le elezioni delle Commissioni Interne del 1958 197. Il testo, introdotto da un minaccioso «Alt! Non prenotatevi per il licenziamento!», unisce ad affermazioni diffamatorie che dimostrano buone informazioni dall’interno dell’apparato della Fiom e del Pci 198, ragionamenti populistici e critiche “di sinistra”, mischiandole alla minaccia di licenziamenti di massa ma anche a considerazioni realistiche sulla subalternità dell’azione della sinistra in fabbrica a problematiche distanti dalle esigenze operaie di fronte della ristrutturazione tayloristica dell’industria italiana (come la centralità della battaglia per la pace, su cui ha fatto considerazioni cruciali Aris Accornero 199). Tutta la produzione di Cavallo realizza l’identico schema: attacchi personali alla «incapacità» e «imborghesimento» dei dirigenti di sinistra, il che è rappresentato come causa della debolezza della Fiom; tale debolezza impedisce la difesa contro le rappresaglie e ne consegue una «sterilità di azione» dei dirigenti e attivisti della Fiom; mentre l’alternativa lasciata balenare è il benessere della «collettività 200 operaia aziendale» (vedi: prestiti, scuole, colonie, ecc.) . Cavallo fiancheggia la scissione della Cisl nel 1958 e la creazione del sindacato “giallo” filoaziendale (prima Liberi Lavoratori Democratici, poi Sida, il progenitore dell’attuale Fismic), mentre gli attivisti della Fiom – e, dal 1958, quelli della stessa Cisl – vengono licenziati in massa: più di 3.000 tra il 1955 ed il 1960 194 Papuzzi, Il provocatore, cit., pp. 105-106, dove il giudice cita un documento sequestrato presso lo stesso Cavallo. Papuzzi, Il provocatore, cit., pp. 109-110. 196 Come denuncerà il caporedattore torinese de «l’Unità»: cfr. Diego Novelli, Spionaggio Fiat, Roma, Editori Riuniti, 1972. L’evoluzione degli eventi è tale che il sottotitolo del libro riporta La storia della schedatura di centocinquantamila lavoratori avvenuta attraverso la corruzione di organi di Stato, mentre a p. 94 si annuncia: «Abbiamo appreso da Napoli mentre stavamo licenziando queste ultime pagine che le schede sotto sequestro presso l’archivio segreto della Fiat sistemato all’ultimo piano (sotto il tetto) del palazzo di corso Marconi a Torino, sono oltre 350 mila». Per fare un paragone, le schedature del Casellario Politico Centrale fascista conservate all’Archivio Centrale dello Stato, relative a tutt’Italia, sono valutate tra le 160 e le 170 mila. 197 Papuzzi, Il provocatore, cit., pp. 50-57. 198 Nel 1964-1965 furono scoperti due informatori di Cavallo nello stesso apparato della Federazione del Pci di Torino: cfr. Papuzzi, Il provocatore, cit., pp. 71-72. 199 Aris Accornero, Gli anni '50 in fabbrica - con un diario di Commissione interna, Bari, De Donato, 1973. 200 Papuzzi, Il provocatore, cit., pp. 50-57; la citazione è a p. 57. 195 52 201 . L’azione di Cavallo si protrarrà a lungo: dal 1969 al 1972 promuoverà la creazione di una struttura di provocazione organizzata, «Iniziativa Sindacale», attraverso l’utilizzo di infiltrati nelle organizzazioni della sinistra, di attivisti sindacali “gialli” e di vere e proprie squadre di picchiatori, oltre che di propagandisti che diffondono giornali, manifesti murali e volantini. Nel biennio successivo Cavallo si impegna nella scissione delle Acli, attaccate per la “scelta socialista” del convegno di Vallombrosa del 1969 e la rottura del collateralismo con la Democrazia Cristiana 202. Anche Giuseppe De Lutiis si occupa di Cavallo e delle sue creature nell’ambito dello studio di maggior respiro sui servizi segreti italiani postfascisti, in particolare evidenziandone sul piano interno i legami con il governo Scelba ed il suo ministero della Difesa, retto da Paolo Emilio Taviani e, sul piano internazionale, il fatto che: «probabilmente Pace e libertà fu la prima struttura parallela sovranazionale dell’alleanza atlantica» 203. La dimensione internazionale di «Pace e Libertà» è ricostruita da Gianni Flamini, che ne colloca le premesse nei programmi di “difesa civile” e di guerra psicologica della Nato, in funzione antisovietica e quindi anche di repressione delle “quinte colonne”, costituite dai movimenti di sinistra antagonista nell’occidente europeo. In tale prospettiva, la genesi del fenomeno – di cui sono strateghi Edgardo Sogno e Mario Scelba – si colloca nella fase precedente a quella indicata da De Lutiis, cioè già nell’ambito dei governi De Gasperi, dopo la rottura dell’unità antifascista nel 1947 e durante la prima legislatura repubblicana. Il segmento italiano è originariamente una branca di «Paix et Liberté», promosso nel 1950 a Parigi dal deputato Jean Paul David, segretario del Rassemblement des Gauches Republicaines – che riunisce segmenti socialisti, radicali e centristi, anche con la presenza di esponenti già collaborazionisti durante il periodo di Vichy - e finanziato con i fondi statunitensi del Piano Marshall. Ma è nel 1953, quando il nuovo presidente statunitense Eisenhower invia a Roma come ambasciatrice Clare Boothe Luce, che il piano si dispiega, accelerato dalla sconfitta di De Gasperi di quell’anno. Inizia un imponente piano di aiuti economici (e di pressioni politiche) statunitensi nei confronti delle grandi industrie italiane, coordinati attraverso l’ufficio Rei del Sifar, il servizio segreto militare 204. A fianco della struttura di provocazione, capeggiata da Sogno e Scelba, si colloca una ondata duramente repressiva verso la Cgil nelle fabbriche, con l’espulsione di migliaia di militanti 205. «Pace e libertà» non si interessò certo solo a Pellegrini e ad altri dirigenti comunisti: suoi obiettivi furono anche i dirigenti della sinistra socialista, quelli che poi nel 1964 avrebbero costituito il nuovo Psiup: Vittorio Foa, Tullio Vecchietti, Emilio Lussu, Dario Valori, Lelio Basso, Lucio Libertini 206. Va notato, a tal proposito, che in particolare gli ultimi due non potevano certo essere inclusi tra gli esponenti politici sospettabili di filosovietismo, rappresentando anzi a livello italiano gli esponenti politici di sinistra più attenti alle componenti non staliniane del marxismo 207. Libertini, in particolare, fu una vera e propria “bestia nera” per il Pci, anche al momento della sua confluenza con la maggioranza del Psiup nel 1972 208. Un’ultima annotazione, a sottolineare le logiche del verminaio spionistico in cui ci siamo dovuti 201 Papuzzi, Il provocatore, cit., pp. 58. Papuzzi, Il provocatore, cit., pp. 74-83 e 118-141. 203 Giuseppe De Lutiis, I servizi segreti in Italia. Dal fascismo all’intelligence del XXI secolo, Milano, Sperling & Kupfer, 2010, p. 164. 204 Sull’ufficio Ricerche Economiche ed Industriali del Sifar ed il suo dirigente, il colonnello Renzo Rocca, cfr. De Lutiis, cit. , in particolare pp. 69-73. 205 Gianni Flamini, I pretoriani di Pace e Libertà. Storie di guerra fredda in Italia, Roma, Editori Riuniti, 2001; la storia della repressione e della difficile resistenza operaia è stata ricostruita da: Emilio Pugno e Sergio Garavini, Gli anni duri alla Fiat. La resistenza sindacale e la ripresa, Torino, Einaudi, 1974. 206 De Lutiis, cit., p. 166. 207 Su Lelio Basso, noto in particolare come studioso del pensiero di Rosa Luxemburg, cfr. il recente: Lelio Basso e Pietro Nenni, Carteggio. Trent’anni di storia del socialismo italiano (a cura di Luciano Paolicchi), Roma, Editori Riuniti, 2011. La sua opera è ora disponibile su internet, all’indirizzo: http://www.leliobasso.it/ . 208 Sul percorso politico e teorico , cfr. Lucio Libertini. 50 anni nella storia della sinistra (a cura di Enzo Santarelli), Roma, Liberazione Libri, [1993]. Sulla difficile accoglienza da parte del Pci, cfr. Aldo Agosti, Il partito provvisorio. Storia del Psiup nel lungo Sessantotto italiano, Roma-Bari, Laterza, 2013, pp. 279-282. 202 53 addentrare. Luca Osteria afferma: «Anche dopo la guerra ebbi prove della faciloneria degli americani: fui io, ad esempio, a evitare loro di impegolarsi con quel tale Luigi Cavallo, comunista e poi anticomunista, personaggio ambiguo di cui le cronache ebbero in seguito occasione di parlare abbondantemente» 209. Mai fidarsi dei propri contatti… Le testimonianze dall’interno del Pci sull’accusa. L’episodio del 1939 che vede al centro Pellegrini è trattato nei libri di memorie di alcuni dirigenti comunisti. Alla fine del 1938, Pellegrini, rientrato dalla Spagna, opera nell’ufficio di segreteria del centro estero del Pcd’i a Parigi, quindi in una funzione di immediato supporto amministrativo all’organismo politico vero e proprio, composto da Giuseppe Berti, Ruggero Grieco, Giuseppe Di Vittorio ed Antonio Roasio 210. E’ nel quadro della riorganizzazione del Pcd’i dopo la sconfitta in Spagna, che si punta a riportare il partito in Italia, con un Centro Interno clandestino capace di operare autonomamente sul piano propagandistico. I contatti sono inizialmente mantenuti da alcuni funzionari, come un altro friulano, Amerigo Clocchiatti. Una volta scelta come luogo per l’installazione del Centro la città di Genova, il primo errore – secondo Roasio – è quello di avervi destinato come funzionario di riferimento Giuseppe Tombetti (Romeo) 211, digiuno di pratica clandestina. Durante la sua prima ispezione a Genova nell’ottobre 1938 212, Tombetti è arrestato ed accetta di fare da esca per l’Ovra. Questi, rientrato in Francia, informa il Centro del partito che esiste una situazione ottimale. A gennaio quindi si decide di inviare Cesare Massini, che però si accorge di essere spiato già prima della partenza. Viene quindi designato alla missione a Genova, in sua sostituzione, Giacomo Pellegrini. A Genova, Pellegrini si accorge subito che la situazione non è come l’ha descritta Tombetti. Solo dopo il suo arresto e quello successivo della triestina Maria Bernetič 213, a Parigi si saprà la verità, grazie ai messaggi in codice, spediti dal carcere da Pellegrini alla moglie: si trattava di una trappola già predisposta, che aveva portato all’arresto dei gruppi comunisti liguri, uno dei quali era in realtà una semplice creatura di un infiltrato dell’Ovra, Luca Osteria. Si tratta di un duro colpo alle prospettive di ripresa del lavoro illegale organizzato in Italia, che provocherà anche una stretta dei controlli dell’Ovra sull’apparato del Pcd’i in Francia 214. Concorde con Roasio nel descrivere l’ambiente del Centro Estero di Parigi del Pcd’i come ipotecato dal clima di sospetto e gestione burocratica imposto da Giuseppe Berti, Ambrogio Donini - responsabile insieme ad Emilio Sereni della Commissione per il lavoro tra gli intellettuali – afferma che le spie erano già ben insediate nel vertice dei comunisti italiani (tra esse “Romeo” Tombetti, ma anche Bianco215, presso il quale risiedeva lo stesso Berti) 216. Il nuovo Centro Interno avrebbe dovuto essere poi essere stabilizzato, dopo la fase di insediamento, 209 Fucci, Spie per la libertà, cit., p. 386. Antonio Roasio, Figlio della classe operaia, Milano, Vangelista, 1977, p. 155. 211 Roasio però scrive erroneamente Trombetti, errore che si ritrova anche in altri autori. 212 Non risultano conferme documentali di questa notizia relativa ad un viaggio antecedente di Tombetti. 213 Il suo cognome fu italianizzato forzatamente, sotto il fascismo – come tantissimi altri - in Maria Bernetti. Nelle varie sedi, il suo cognome sloveno viene presentato in tutte le forme di trascrizione possibile: dall’austroungarico Bernetich, all’italiano Bernetic, fino al (correttamente sloveno) Bernetič. Nell’incertezza, mi è parso corretto uniformarmi a quest’ultima grafia. 214 Roasio, cit., pp. 156-162. 215 Si tratta di Eugenio Bianco, amministratore del giornale dell’Unione Popolare «la Voce degli Italiani», come chiarisce Andrea Ricciardi, Leo Valiani, gli anni della formazione : tra socialismo, comunismo e rivoluzione democratica, Milano, Angeli, 2007, p. 201. Su Bianco, cfr. inoltre: Paolo Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano. I fronti popolari, Stalin, la guerra, Torino, Einaudi, 1978, pp. 235-236; Franzinelli, I tentacoli dell’Ovra, cit., p. 306; Mauro Canali, Le spie del regime, Bologna, Il Mulino, 2004, ad indicem. 216 Ambrogio Donini, Sessant’anni di militanza comunista, Milano, Teti, 1988 210 54 con una direzione di tre persone: Massini, Umberto Massola e Domenico Ciufoli 217. Avremo occasione di rincontrarli nella storia del comunismo tra Friuli e Venezia Giulia, non prima di avere, rispettivamente, organizzato gli scioperi operai del marzo 1943 nel “triangolo industriale” 218 ed avere partecipato alla cospirazione e poi all’insurrezione dei sopravvissuti del lager di Buchenwald nell’aprile 1945. Massola si occuperà a più riprese dei rapporti tra Pci e Pcj tra il 1942 ed il 1946, nella stessa funzione che sarà l’anno dopo di Pellegrini 219; Ciufoli, segretario del Pci in Puglia fino al 1950, deputato ed ispettore della Sezione organizzazione del Pci, sarà stabilmente presente nel 1951-1952 in Friuli, al punto da dirigerne di fatto l’organizzazione, fino ad autocandidarsi alla segreteria regionale 220. Pure Amendola considera inquisitoria la gestione di Berti, giunto da Mosca e subentrato nella regia del Centro Estero a Grieco, e pregiudicata l’attività rispetto all’Italia: «I contatti col paese erano stati praticamente interrotti dopo il fallimento del tentativo di costituire la base di un centro interno nel paese, quando il compagno Trombetti (Romeo) 221, funzionario importante dell’apparato del Pci che, inviato in Italia, arrestato, aveva tradito, e permesso alla polizia fascista di arrestare Pellegrini ed altri compagni. Profonda appariva la penetrazione della provocazione nella rete organizzativa del partito nel paese, e anche in certe basi di lavoro clandestino esistenti in Francia» 222. Il finto ed il vero Vidali. Pellegrini e la confluenza del Pc triestino nel Pci. In epoca successiva, dopo le vicende tumultuose per il Pci del 1956, che vedono il partito messo in crisi dal susseguirsi di scosse nell’Europa orientale – dalla denuncia Chruščëviana dei crimini di Stalin al XX Congresso del Pcus, alle rivolte polacca ed ungherese, fino alla repressione di quest’ultima da parte sovietica – Luigi Cavallo diffonderà un opuscolo apocrifo, attribuito esplicitamente a «Vittorio Vidali, Segretario del Partito Comunista del Territorio di Trieste» e se ne dichiara la stampa per conto delle «Edizioni de “Il Lavoratore” – Via Capitolina, 3 - Trieste», quindi presso la sede comunista triestina e da parte del periodico comunista locale 223. Il testo, però, è ben difforme dallo stile utilizzato da Vidali, e piuttosto assimilabile alle argomentazioni note di Cavallo ed Osteria. Certo, il linguaggio utilizzato nell’opuscolo è ben distante da quello comunista dell’epoca, a meno che non si sia voluto piuttosto parodiare quello dei processi staliniani: vedasi frasi come «Oggi il principale ostacolo è costituito dal senatore Giacomo Pellegrini». Certo è poco credibile anche pensare che si potessero leggere, nel linguaggio pubblico comunista dell’epoca, passi come «l’VIII Congresso del Pci escludesse dalle cariche alcuni dirigenti corrotti e compromessi. Era dal 1931 che 217 Spriano, Storia del Partito Comunista Italiano. I fronti popolari, Stalin, la guerra, cit. pp. 299-300. Umberto Massola, Gli scioperi del 1943, marzo-aprile, le fabbriche contro il fascismo, Roma, Editori Riuniti, 1973. 219 Karlsen, cit., ad indicem. 220 Apc, mf. 335, Friuli Venezia 1951, Giulia, relazione di D. Ciufoli della Sezione di Organizzazione, pp. 1429-1432; Udine, 1951, Verbale della riunione del Comitato Federale, Udine, 3 maggio 1951, pp. 2161-2177; Verbale della riunione del Comitato Esecutivo, Udine, 14 maggio 1951, pp. 2178-2186; Verbale della riunione del Comitato Esecutivo, Udine, 21 maggio 1951, pp. 2189-2196; Verbale della riunione del Comitato Esecutivo del 16 luglio 1951, pp. 2247-2253; mf. 344, Pordenone, 1952, Sezione d'Organizzazione, Brevi note sulla Federazione di Pordenone, di D. Ciufoli, del 5 aprile 1952, pp. 2498-2510; Regionale Friuli-Venezia Giulia, 1952, Resoconto dattiloscritto, non firmato e datato 10 aprile 1952, Sezione di organizzazione. Note sulla riunione con i compagni del Friuli, pp. 2357/2363; Verbale di riunione del Comitato Regionale Friuli-Venezia Giulia del 19 aprile 1952, pp. 2364/2371; Verbale della riunione del Comitato Regionale Fvg, Udine, 5 maggio 1952, pp. 2372-2374; Verbale della riunione del Comitato Regionale Friuli-V. Giulia, Udine, 10 maggio 1952; pp. 2375-2379; Minuta della lettera prot. n. 0/794 Va.as. del 18 luglio 1952, della Sezione di Organizzazione della Direzione del Pci alla Segreteria del C.R. Venezia Giulia ed al compagno Primo Feliziani presso il C.R. in Udine, p. 2386; Relazione dattiloscritta, firmata da Gino Beltrame ed indirizzata alla Direzione del P.C.I., Ufficio Nazionale di Organizzazione e datata 11 novembre 1952, pp. 2388-2400; Archivio di Stato di Udine, Fondo Questura, f. Primo Feliziani. Cfr. inoltre Andreucci-Detti, cit., biografia a cura di Franco Andreucci. 221 Anche Amendola scrive Trombetti. 222 Giorgio Amendola, Lettere a Milano 1949-1945, Roma, Editori Riuniti, 1976, pp. 11-12. 223 Vidali, Chi è il sen. Giacomo Pellegrini, cit. 218 55 un simile fatto non si verificava più». Quanto a passaggi – tutti pubblicati in caratteri maiuscoli – come: Perché il sen. Giacomo Pellegrini non è stato cacciato dal Comitato Centrale? Perché, mentre nella Direzione uscente era soltanto membro candidato, risulta nella nuova membro effettivo? Meglio ancora: Perché Togliatti ha imposto al nuovo Comitato Centrale l’elezione di Pellegrini nella Direzione, sapendo perfettamente che un «tipo» del genere non può che discreditare ulteriormente il prestigio già scosso dei dirigenti centrali del Partito? si possono fare due osservazioni: la prima è che tali affermazioni avrebbero certo potuto apparire, come le precedenti, nel dibattito comunista, ma solo in quello riservato degli organi di partito. Certo non in espressioni pubbliche, se non ad espulsione avvenuta. La seconda osservazione è che appare veramente poco credibile che fosse Vidali a formulare tali giudizi, visto il legame di profondo rispetto nei confronti di Pellegrini. Quello che è evidente è piuttosto l’intendimento di seminare disorientamento nelle file comuniste, attraverso la contrapposizione di due esponenti così rigorosi e fedeli al partito come Pellegrini e Vidali 224. Un altro elemento filologicamente inattendibile è contenuto alla conclusione dell’opuscolo, quando si afferma che «Pellegrini è riuscito a farsi membro effettivo della Direzione nazionale del Partito, malgrado la strenua opposizione della delegazione di Trieste all’VIII Congresso» 225. A quell’epoca, infatti, il Partito Comunista del Territorio Libero di Trieste non era ancora confluito nel Pci, fatto che avverrà solo nel Comitato Centrale del Pci del 12-13 luglio 1957 226. E’ Pellegrini, in quella sede, a relazionare sul risultato del VI congresso del Pc di Trieste tenutosi il 28-30 giugno precedente e conclusosi con la richiesta, approvata con un solo astenuto, di confluenza nel Pci come federazione autonoma. Una confluenza non indolore, che prevede un adeguamento del partito triestino al modello italiano del “partito di massa”: […]. I compagni triestini si sono sempre battuti per difendere gli interessi fondamentali dei lavoratori della loro città e per fare del territorio di Trieste non un punto di urto, ma un punto di accordo e di unità tra italiani e slavi. Con la loro azione essi hanno raggiunto indubbiamente risultati positivi. E’ giusto dire che, sulla base di questi accordi essi debbono sviluppare un’opera di rielaborazione critica, di approfondimento e di arricchimento delle loro posizioni. Accettando – come hanno accettato nel loro VI Congresso – i principi e la linea dello VIII Congresso del Pci, i comunisti di Trieste mostrano di essersi messi appunto su questa via. I problemi di Trieste possono essere risolti con la solidarietà e la partecipazione delle forze democratiche italiane. E’ necessario che Trieste cessi d’essere oggetto di conflitti nazionalistici, è necessario un mutamento della politica estera italiana nel senso d’una politica di pace e di buoni rapporti coi Paesi dell’Oriente europeo. Uno degli obiettivi centrali della popolazione di Trieste nell’azione per la rinascita della loro città è la creazione della regione autonoma a statuto speciale Friuli-Venezia Giulia: e anche questo è un obiettivo raggiungibile mediante la lotta [e] unità dei lavoratori triestini e di tutti i lavoratori italiani. In questa realtà risiede il fondamento logico della trasformazione del P.C. di Trieste in Federazione autonoma del P.C.I. Il riconoscimento dell’autonomia non è una «concessione». Esso è determinato dalla particolare situazione del territorio, dal fatto che in esso convivono due nazionalità, dall’esistenza di problemi – anche organizzativi – che richiedono soluzioni particolari. Il limite dell’autonomia sta nell’affermazione dell’unità del Partito. E da questo punto di vista è necessario che i 224 Vidali, Chi è il sen. Giacomo Pellegrini, cit., pp. 5-8. Vidali, Chi è il sen. Giacomo Pellegrini, cit., p. 22. 226 «l’Unità» del 14 luglio 1957, pp. 1 e 7, Conclusi i lavori del Comitato Centrale e della C.C.C. del P.C.I. Avanti per una piena applicazione della linea politica dell’VIII Congresso! […] Le conclusioni di Togliatti e le relazioni di Trivelli sul XV Congresso della Fgci e di Pellegrini sulla confluenza del Pc di Trieste nel Pci – Vidali e altri 4 compagni triestini cooptati negli organi dirigenti del Pci. 225 56 compagni di Trieste sappiano superare la loro caratteristica di partito di quadri per diventare partito di massa così come è il partito italiano. L’applicazione senza riserva della piattaforma del XX Congresso del Pcus e dell’VIII Congresso del Pci troverà ora concreta applicazione nella azione quotidiana dei compagni triestini. […] Segue una breve discussione, nella quale interviene, dopo Gian Carlo Pajetta, Trombadori e Miceli, Vittorio Vidali, il quale descrive senza ambiguità la situazione di reale differenza dei comunisti triestini rispetto al resto del paese: Torniamo nel Pci dopo 13 anni di separazione: 13 anni di lotta dura. Non è, questo, un atto puramente amministrativo: è la conclusione di un processo iniziato parecchi anni fa, e nato dalla necessità di legare sempre più strettamente le lotte della nostra classe operaia a quella della classe operaia italiana. E’ un processo che non è concluso, ma che deve allargarsi e continuare, poiché vogliamo favorire l’inserimento nel quadro del movimento democratico italiano non soltanto dei nostri compagni ma di tutti i lavoratori, di tutti gli uomini di sinistra, di tutti i triestini di tendenze democratiche. Siamo, è vero, una piccola Federazione, dal punto di vista del numero degli iscritti. Abbiamo un membro del Partito per ogni 8 elettori; le organizzazioni di massa sono ristrette; l’impronta del nostro duro passato pesa ancora su di noi, e ci ha condotto ad errori ideologici, politici, organizzativi che abbiamo pagato e stiamo pagando a caro prezzo. Abbiamo fatto il possibile per superare quegli errori, ma è restato ancora in noi qualcosa del vecchio settarismo, dogmatismo, massimalismo. Entrando in un grande partito come il Pci saremo aiutati a superare i nostri errori, anche perché verrà alleggerita la pressione politica che grava sul nostro piccolo territorio. Il nostro problema fondamentale è l’unità politica interna del nostro partito, un’unità non formale, ma da consolidare continuamente sulla base della lotta di classe, dell’internazionalismo proletario, del nostro profondo attaccamento all’Unione Sovietica. […] Compagni – termina Vidali – ci impegniamo a lavorare per metterci rapidamente al passo 227 con le altre Federazioni del Pci . Pellegrini conclude proponendo la delega alla Segreteria nazionale per la puntualizzazione della delibera, visto il dibattito. Presenta inoltre le proposte di cooptazione dei compagni triestini negli organi nazionali del Pci: vengono proposti Vittorio Vidali, Giuseppe Burlo, Carlo Siskovic per il Comitato Centrale e Marina Bernetič e Giordano Pacco per la Commissione Centrale di Controllo. Togliatti pone ai voti il documento e le candidature, che tutte singolarmente vengono approvate all’unanimità 228. Il falso di Cavallo era già stato denunciato in una corrispondenza da Trieste di tre mesi prima, nella fase preparatoria della confluenza. Commentando un articolo di Vidali pubblicato su «Il Lavoratore», dedicato alla convocazione del congresso del Partito Comunista di Trieste per decidere la riunificazione con quello italiano, si afferma che: […] è forse perché siamo alla vigilia di un avvenimento di tanta importanza in seno al movimento operaio italiano, che in questi giorni le solite centrali di provocazione hanno messo in circolazione un opuscolo libellistico contro il compagno Giacomo Pellegrini – opuscolo che viene presentato come pubblicazione del «Lavoratore», e il cui contenuto è attribuito al compagno Vittorio Vidali. Venuta a conoscenza di ciò la segreteria del Pci di Trieste ha emesso un comunicato in cui «denuncia alla opinione pubblica questo vergognoso e grossolano falso da parte di provocatori anonimi, ma non per questo meno identificabili tra quanti, da tempo, si distinguono in azioni furfantesche del genere. «Le calunnie contenute nel libello appartengono allo sporco arsenale anticomunista dei provocatori di «Pace e Libertà» ed il falso riguardante l’autore e l’editore dell’opuscolo rivela ispiratori e finanziatori della stessa risma di coloro che in questi giorni sono stati denunciati sull’«Unità» per altri falsi diffusi in varie città d’Italia. 227 228 «l’Unità» del 14 luglio 1957, p. 7, La relazione di Pellegrini sul Congresso del P.C. di Trieste – Vidali. «l’Unità» del 14 luglio 1957, p. 7, Le conclusioni e il voto. 57 «Il segretario Vittorio Vidali e gli altri membri della segreteria del partito di Trieste sono convinti che i compagni e amici del partito e anche l’opinione pubblica a Trieste e in tutta Italia riconosceranno con facilità il grossolano e miserabile falso dei provocatori essendo noti a tutti i sentimenti di affetto e profondo rispetto che i comunisti triestini nutrono per il compagno Pellegrini, valoroso dirigente del P.C.I., al quale specialmente il compagno Vidali e gli altri compagni della segreteria e del Comitato Centrale del P.C. di Trieste sono legati da saldi vincoli fraterni, frutto di lunghi e duri anni di lotta comune, nella quale il compagno Giacomo Pellegrini è stato sempre particolarmente vicino ai compagni 229 triestini» . Non può stupire che l’azione provocatoria anticomunista avvenisse in corrispondenza di un delicato momento di ricostruzione dei rapporti tra comunisti in un’area delicata per le relazioni internazionali. Con un quarto di secolo di anticipo sull’inchiesta del pretore Guariniello, i comunisti triestini si dimostravano ottimi analisti, individuando subito gli autori del misfatto. Ai margini del partito. Confinato in un ruolo importante in sede istituzionale al Consiglio Regionale del Friuli Venezia Giulia (esperienza su cui non interveniamo in questa sede, essendo affidata alla cura di Otello Bosari), Pellegrini rimane in contatto con il gruppo della “sinistra storica” del Pci, che ruota intorno a Pietro Secchia. Ci limitiamo a notare come, nelle dinamiche interne al Pci, la marginalizzazione rispetto al gruppo dirigente non significhi esclusione dall’affidamento di incarichi di lavoro di grande prestigio e responsabilità istituzionale: pensiamo ad esempio ad Umberto Terracini come presidente della Costituente, o più tardi a Pietro Ingrao, primo presidente comunista della Camera dei Deputati, per citare due nomi tra i più famosi. E’ proprio il biografo di Secchia, Marco Albertaro, a ricordarci come Pellegrini sia molto vicino a Secchia, uno dei pochi compagni di cui l’ex vicesegretario del partito si fidi molto, dopo l'estromissione dal gruppo dirigente. E’ proprio con Pellegrini che Secchia si confida in una lettera del 19 agosto 1963, nella quale - riferendosi ad una polemica avuta con Togliatti durante un Comitato Centrale, in cui erano state fatte pesanti allusioni al suo archivio – egli afferma di volersi recare dal segretario, per chiarire che nel suo archivio non c'era null'altro che documenti storici 230. I riferimenti a Pellegrini nei diari di Secchia confermano questa vicinanza 231. Come ha notato Enzo Collotti, dopo il 1954, Se la prospettiva del “rinnovamento” non era e non doveva essere, come risulta dallo stesso libro di Giorgio Amendola, una indicazione puramente organizzativa ma una rettifica politica complessiva della linea del Pci, il sacrificio della posizione di Secchia appare come un passaggio quasi obbligato. E ciò non soltanto per esautorare personalmente uno dei dirigenti che presumibilmente avrebbero opposto maggior resistenza a una scelta politica che non condivideva, ma principalmente per rimuovere quello che rappresentava pur sempre il punto di riferimento di una generazione di dirigenti, la generazione dei quadri medi provenienti dall’antifascismo della clandestinità, dalle carceri e dalla resistenza, la generazione, tanto per limitarci ai nomi che ricorrono nelle stesse pagine di Secchia, dei Roasio, dei Cicalini, dei Gaddi, dei Bardini, degli Alberganti, dei Vaia, dei Pellegrini, dei Pratolongo, dei 232 Bera, dei Roncagli, e via dicendo . Questo accomunamento al destino di Secchia avviene però con qualche ritardo. Pellegrini – che nel 229 «l’Unità» del 12 maggio 1957, p. 8, Un articolo del compagno Vittorio Vidali sul «Lavoratore». Al prossimo congresso il Pc di Trieste deciderà di confluire nel Partito italiano. La segreteria del P.C.T. denuncia un volgare falso sui rapporti tra i comunisti triestini e il compagno Giacomo Pellegrini e riafferma la sua stima e fiducia al dirigente comunista. 230 Messaggio di posta elettronica di Marco Albertaro del 12 febbraio 2014, ore 16.50. 231 Cfr. Enzo Collotti (a cura di), Annali Fondazione Giangiacomo Feltrinelli XIX, Milano, Feltrinelli, 1978, ad indicem. 232 Collotti, cit., p. 110. 58 1954 fa parte della Commissione nazionale di organizzazione nel momento in cui ne diviene responsabile Amendola 233 - rimane per alcuni anni in ruoli importanti anche nell’ “era Amendola”, e non fa parte di quel gruppo di dirigenti che nel dicembre 1956 si oppone all’esclusione di Secchia dalla Direzione del partito 234. Anzi, proprio in quell’occasione Pellegrini - che farà parte del Comitato Centrale del Pci fino al 1969, quando verrà eletto nella Commissione Centrale di Controllo – viene promosso da componente supplente della Direzione, ruolo in cui è stato designato nel gennaio 1955, ad effettivo, ruolo in cui rimarrà fino al 1960. Probabilmente il suo disciplinato equilibrio ed il ruolo operativo (fino al 1956 è segretario regionale per il Veneto, nel 1957-1960 è segretario per il Friuli Venezia Giulia) ritardano la sua emarginazione 235. Ma il giudizio di Amendola su Pellegrini sarà comunque negativo, visto che lo inserisce sbagliandone l’incarico: lo designa come segretario della federazione di Venezia – tra i «molti compagni [che] erano segretari federali fin dalla liberazione o da molti anni […] Questo fatto effettivamente rappresentava un ostacolo all’avanzamento di nuovi quadri ed anche al miglioramento dei metodi di lavoro, dei criteri di selezione dei quadri, dello stile di lavoro». Come in tutte le memorie orali (il libro è un’intervista a cura di Renato Nicolai), si attua una sovrapposizioni tra giudizi successivi e realtà: infatti Pellegrini era stato portato in Direzione per la prima volta proprio nella Conferenza del 1954 236. Nel 1962 l’emarginazione di Pellegrini diviene più netta, con la mancata inclusione nella commissione per le tesi del X Congresso 237 Il clima di tensione alimenta non solo il dibattito politico, ma la stessa contesa sulla memoria del partito. V notato come i riferimenti all’Unione Sovietica, dove Pellegrini si reca nel novembre 1967, per l’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre, siano tutt’altro che privi di critiche. Come rivela la caustica battuta di Secchia, a proposito di una telefonata in cui Pellegrini gli narra di un colloquio avuto con Giorgio Amendola: Una rivoluzionario non cessa mai di lottare sino a quando la partita non è chiusa e per un rivoluzionario la partita è chiusa soltanto quand’è sottoterra, per questo Stalin liquidava i suoi oppositori. I pionieri sono spesso sconfitti e dimenticati. Anche se è l’aratro che traccia il solco, è più 238 facile che sia ricordata la spada che difende una conquista già realizzata A questo proposito, va preso atto di quello che ha recentemente sostenuto Aldo Agosti nella sua storia del Psiup, che proprio in quegli anni consumava l’apice della sua parabola, assumendo una posizione ostile alla “primavera di Praga” e poi reticente (rispetto alla chiara posizione di condanna del Pci) sull’invasione sovietica della Cecoslovacchia dell’agosto 1968. Il filosovietismo della sinistra socialista era una posizione che coinvolgeva non solo la maggioritaria corrente morandiana, esplicitamente leninista e facilmente assimilabile alla “sinistra storica” comunista, ma anche vecchi quadri massimalisti od azionisti (ad esempio il sardista Emilio Lussu) e perfino settori operaisti, in quando individuato come una cartina di tornasole di una rigorosa scelta antagonista, in opposizione ad ogni cedimento socialdemocratico alle sirene del neocapitalismo. Tanto che in quelle settimane, secondo la testimonianza di Silvano Miniati, si parlò del passaggio al Psiup di alcuni settori comunisti, in polemica con la linea del partito 239. Giacomo Pellegrini muore il 27 agosto 1979 ad Udine. I funerali avvengono nel paese natale, in un clima contrassegnato da una linea del Pci ormai molto lontana dal suo sentire. Eccone la cronaca negli appunti di uno dei suoi compagni più vicini: Oggi abbiamo portato Pellegrini al cimitero di Osoppo. Così se ne è andato per sempre il vecchio compagno dal volto sempre triste e severo, dai capelli candidi. 233 Giorgio Amendola, Il rinnovamento del Pci, Roma, Editori Riuniti, 1978, p. 57. Collotti, cit., p. 342. 235 Collotti, cit., p. 370; Archivio Ifsml, Fondo Mario Lizzero “Andrea”, b. 58, f. 550, schede biografiche. 236 Amendola, Il rinnovamento del Pci, cit., pp. 63-64. 237 Collotti, cit. p. 451. 238 Collotti, cit., pp. 532 e 540. 239 Aldo Agosti, Il partito provvisorio. Storia del Psiup nel lungo Sessantotto italiano, Roma-Bari, Laterza, 2013, pp. 172174. 234 59 Anch’io l’ho salutato con brevi parole. C’era parecchia gente, molte delegazioni ma mi è sembrato che mancasse il popolo. Meritava di più. Il sole era alto, il cielo sereno nello splendente pomeriggio. Ho ammirato la campagna friulana mentre ci recavamo a Osoppo, sua cittadina natale: una campagna estesa, bella, piena di colori, con i vigneti carichi d’uva e il granoturco maturo. Osoppo, disastrata dal terremoto, ha accolto il corteo in uno spiazzo fra le baracche prefabbricate. Per la direzione del partito c’erano Boldrini, Cacciapuoti, Cervetti. Ho visto anche Brambilla da Milano, Federici da Venezia, Berna e la Flora da Belluno e tanti altri. Ha parlato Cervetti: aulico, ufficiale, ci ha presentato un Pellegrini fatto su misura, conformista, disciplinato, ligio, perfetto: ne è uscita una figura non corrispondente alla realtà. Perché non è stato detto che era contro il compromesso storico, contro l’eurocomunismo, contro la terza via, per l’Unione Sovietica, contro la linea attuale, politica e sindacale 240 del partito? Soltanto Toschi ha detto: Pellegrini è sempre stato fedele all’Ottobre e a Lenin. Quando un compagno muore dovrebbero parlare in suo onore soltanto compagni che l’hanno 241 amato e ai quali il morto voleva bene . Commenterà Giuseppe Gaddi, in una lettera ad Ambrogio Donini: «Se ne è andato uno dei pochi con i quali era ancora possibile discutere senza essere tacciati di superati o cose del genere», commenta con Ambrogio Donini la morte dell’amico, «e senza i frequenti scambi di idee che avevo con lui mi sento ancora più isolato, estraniato dalla vita politica attiva, cioè, praticamente, dalla vita tout court...» 242 Diffamazione postuma: il libro di Fucci e l’articolo di Mizzau. Un partigiano bianco contro Pellegrini. Nel 1985, sei anni dopo la morte di Pellegrini, un libro sullo spionaggio fascista riapre la ferita del 1954. Quello di Franco Fucci è un libro documentato, ma viziato dal fatto di essere un testo basato prevalentemente sulle ricerche altrui - le stesse indicazioni dei documenti consultati non permettono di risalire alla fonte - e soprattutto dalla pervasiva testimonianza dell’agente fascista Luca Osteria, della cui narrazione l’autore diventa consapevole relatore in questa ed in altra occasione 243. Il libro costituisce anche la prima testimonianza sulla campagna diffamatoria del 1954, che Fucci accredita acriticamente, limitandosi solamente a puntualizzare alcuni aspetti, quando questi differiscono da quanto gli narra il suo informatore 244. La ricostruzione dei fatti si basa su alcuni assunti: il Pci avrebbe provveduto ad incolpare Giuseppe Tombetti, personaggio misterioso, di cui non si sarebbe certi neanche nel nome, del quale si sarebbe provveduto ad eliminare ogni traccia, compreso il «fascicolo personale»: a fare questa denuncia sarebbe Dante Corneli, comunista romano sopravvissuto alle purghe staliniane, autore di una imponente serie di pubblicazioni sulle vittime dello stalinismo ma anche impreciso studioso della documentazione conservata 240 Renzo Toschi, all’epoca segretario della Federazione del Pci di Udine. Apc, Fondo memorie e biografie, f. Giacomo Pellegrini, Ricordo di Vittorio Vidali, dattiloscritto del 29 novembre 1979, citato da: Alessandro Casellato, Giuseppe Gaddi. Storia di un rivoluzionario disciplinato, Sommacampagna, Cierre, 2004, p. 163. 242 Casellato, cit., p. 161. 243 Franco Fucci, Spie per la libertà. I servizi segreti della Resistenza italiana, Milano, Mursia, 1983. Ecco come, a pp. 154-155, Fucci descrive la sua fonte: quel Luca Osteria “Ugo” che dirigeva una squadra di poliziotti italiani alle dipendenze del Comando SS di Milano, della cui opera, indiscutibilmente meritoria, e della cui figura, indiscutibilmente singolare […]». Alla pagina successiva, nota 1, Fucci inquadra Osteria tra i «collaboratori continuativi non clandestini» dell’Organizzazione «Franchi», struttura resistenziale diretta dal monarchico Edgardo Sogno. In altri luoghi del libro si ripetono i giudizi di Fucci su Osteria, a testimonianza di un’indubbia ammirazione dell’autore per il suo Personaggio: «astutissimo», «rocambolesca attività»; «l’episodio di “Ugo” rimane, nella storia della lotta dei Servizi di informazione, il più romanzesco, ai limiti dell’incredibile» (p. 383); «In lunghi colloqui che l’Osteria ha avuto con l’Autore di questo libro, è apparsa evidente la volontà da parte sua di esprimere un parere distaccato» (p. 384). 244 Fucci, Le polizie di Mussolini, cit., pp. 269-285. 241 60 presso l’Archivio Centrale dello Stato 245. Secondo Fucci, anzi secondo la sua fonte confidenziale esclusiva: Secondo Luca Osteria (che fu colui che lo arrestò nel marzo del 1939), il fascicolo conteneva la prova delle connessioni fra Tombetti e Giacomo Pellegrini, le cui vicende sono strettamente collegate, e qualcuno ha provveduto alla sottrazione per scaricare le responsabilità del Pellegrini (divenuto nel frattempo esponente di primo piano del partito) e trasformare Tombetti in capro espiatorio dell’intero imbroglio ligure. Incongruo questo riferimento a Pellegrini «divenuto nel frattempo esponente di primo piano del partito», quando già nel 1926 egli era entrato nella segreteria nazionale del Pcd’i (come scrive Fucci stesso poche pagine dopo, in una sintesi biografica). Quanto a Tombetti - scrive Fucci/Osteria - non si sa con precisione che fine abbia fatto: l’ultima notizia vorrebbe che, dopo una condanna minore al Tribunale Speciale (7 anni, poca cosa rispetto al suo successore Pellegrini, che viene condannato a 20: ma tale condanna non merita neanche la citazione di Fucci), fosse tornato in Francia presso la moglie, comunista pure lei ma appartenente ad una famiglia di artigiani benestanti 246. Ancora meno credibile il fatto che Tombetti a Genova abbia presentato ad Oreste Tarditi (finto comunista infiltrato dall’Ovra) Pellegrini con tanto di nome e cognome, violando il rigido costume della clandestinità 247. Ma Fucci ha altro da pensare che badare a queste inezie: da bravo militarista 248 gli importa di più dare a Pellegrini dell’imboscato in Spagna, per i suoi incarichi di tipo politico o, peggio, suggerire che fosse stato coinvolto in «alcune delle più torbide pagine della storia del comunismo internazionale» perché presente in Catalogna: come se lì non ci fosse stata una delle più calde linee del fronte della resistenza repubblicana 249. La narrazione dell’arresto e del cedimento di Pellegrini avviene attraverso il filtro di Osteria, escludendo ogni altra testimonianza contraria nota all’epoca, ed accettando la sua versione sulla distruzione delle prove del tradimento: «tutti i verbali delle decine di interrogatori condotti da Osteria vengono distrutti e sostituiti con un unico verbale, dal quale risultano prove così inconfutabili di colpevolezza (prove dedotte dalla polizia e non già ricavate da confessioni dell’imputato) che i giudizi 250 del Tribunale speciale infliggono al Pellegrini, nel processo del 2 febbraio 1940, la severa condanna a 20 anni di reclusione» 251. Come se il Tribunale speciale avesse bisogno di prove inventate per condannare un dirigente comunista, per di più recidivo. Sempre accreditando Osteria come fonte affidabile, Fucci non si rende conto di come alcune osservazioni minino alle fondamenta la loro tesi. Come quando afferma che «un suo ingenuo tentativo di comunicare qualcosa con linguaggio cifrato viene subito sventato dai tecnici dell’Ovra», confermando il fatto che Pellegrini non aveva rinunciato ad avvertire il Centro Estero del partito. Oppure quando, ritornando sulla questione dei verbali degli interrogatori, attribuisce al Pci – partito con una morale ed una disciplina rigidissima ed ossessiva quanto a criteri di moralità degli iscritti e sicurezza dell’organizzazione – un comportamento fantascientifico: 245 Fucci, Le polizie di Mussolini, cit., p. 270. Della cautela con cui vanno maneggiati i materiali di Corneli, specie quando utilizzati acriticamente da Fucci, ci siamo già occupati in: Gian Luigi Bettoli, Costante Masutti, biografia di un socialista rivoluzionario, in: «Storia contemporanea in Friuli», anno XXXVIII, n. 39, 2008, pp. , 34-36. 246 Fucci, Le polizie di Mussolini, cit., pp. 270-271 e 274-275. 247 Fucci, Le polizie di Mussolini, cit., p. 274. 248 Franco Fucci era stato ufficiale degli alpini, ed aveva anche diretto il giornale dell’Associazione Nazionale Alpini. Giornalista, aveva lavorato come caporedattore sia al quotidiano della Dc «Il Popolo» che poi a «Il Giorno», giornale dell’Eni di Enrico Mattei (il grande dirigente industriale era stato un capo partigiano democristiano ed amava circondarsi di suoi compagni del tempo di guerra, alcuni dei quali legati ai servizi segreti: cfr. Nico Perrone, Enrico Mattei, Bologna, Il Mulino, 2001, pp. 58-59): cfr. E’ morto Franco Fucci, storico redattore capo del vecchio Giorno, in: http://www.francoabruzzo.it/document.asp?DID=12782 ma anche la nota biografica di copertina in Fucci, cit. 249 Fucci, Le polizie di Mussolini, cit., p. 275. 250 Sic. 251 Fucci, Le polizie di Mussolini, cit., p. 279. 61 Secondo Osteria, il Pci sapeva del cedimento di Pellegrini e cercò anche, dopo la guerra, i documenti che lo testimoniassero; ma, come sappiamo, i verbali originali erano stati bruciati e sostituiti con quelli che consentirono il deferimento di Pellegrini al Tribunale speciale. Mancavano dunque le prove per una condanna interna del partito. Inoltre prendere provvedimenti a carico del senatore friulano significava accettare le accuse formulate da anticomunisti accaniti quali erano gli esponenti di «Pace e Libertà» e infliggere un gravissimo colpo alla credibilità del vertice del partito, al quale da tanti anni l’accusato apparteneva. Se nel Pci aveva potuto allignare un traditore a così alto livello, quanti altri 252 ce ne potevano essere stati, dei quali nulla si sapeva? . Non c’è che dire: il Pci riusciva – nella mentalità densa di pregiudizi di qualche suo antagonista – ad essere contemporaneamente il partito che colpiva spietatamente avversari e dissidenti, ma era costretto a subire il ricatto di un solo, diabolico, agente segreto superstite dell’Ovra, condannandosi – come in un film dell’orrore – a mantenere in delicatissimi posti di comando e rappresentanza un elemento ormai compromesso. Al punto da inserirlo perfino nella Direzione nazionale l’anno dopo lo scandalo, nel 1955! Confessiamo di essere disarmati di fronte a tanta fantasia, che francamente ci pare estranea al campo della verificabilità storiografica. Già a caldo Gino Conti osservava , recensendo il libro di Fucci sull’organo dell’Anppia 253, che […] si basa troppo sulla testimonianza di uno dei suoi provocatori ancora viventi, Luca Osteria, esagerandone la portata e finendo col prestarsi a certi suoi tentativi di buttare fango sulle proprie vittime. Già durante il periodo repubblichino il criminale poté scamparla facendo il doppio gioco. Adesso, carpendo la buona fede dell’A., l’Osteria tenta di rimettere in circolazione una provocazione montata da lui e dall’Ovra contro il dirigente del Pci Giacomo Pellegrini nel 1940; provocazione 254 dimostrata tale da un’apposita inchiesta svolta nel dopoguerra anche con il contributo dell’Anppia . Più articolato ma non meno lapidario il giudizio di Mimmo Franzinelli. L’autore della monumentale monografia sulla polizia politica fascista commenta: Osteria, che nel 1939 aveva determinato l’arresto di Pellegrini, vestiva nel 1954 i panni dell’accusatore, mentre era l’esponente comunista, condannato a 20 anni dal Tribunale speciale e rimasto in galera sino all’agosto 1943, a dover provare… la propria coerenza antifascista. Alla metà degli anni ottanta il giornalista Franco Fucci (già comandante partigiano nel lecchese) rilanciò nel volume Le polizie di Mussolini (cit, pp. 269-85) le accuse di Osteria contro Pellegrini, senza vagliarle criticamente né 255 interrogarsi sulla credibilità della loro fonte . Merita osservare che Mauro Canali, autore dell’altra opera più organica sulla storia della polizia politica fascista, pur diffondendosi sull’operato di Luca Osteria, non degna di attenzione l’episodio del 1939. Chi era Giuseppe Tombetti. Contrariamente a quanto sostengono Corneli e, sulla sua traccia, Fucci, all’Archivio Centrale dello Stato è regolarmente conservato il fascicolo del Casellario Politico Centrale intestato a Giuseppe Tombetti, nato a Cesena (Fo) il 3 agosto 1902. E’ schedato come bracciante, comunista, denunciato al Tribunale Speciale, «nel fascicolo è presente scheda biografica» 256. 252 Fucci, Le polizie di Mussolini, cit., pp. 279 e 281. Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti. 254 Gino Conti, Franco Fucci «Le polizie di Mussolini», «l’antifascista», maggio 1986, p. 11, in: Archivio Carlo Pellegrini. 255 Mimmo Franzinelli, I tentacoli dell’Ovra, cit., pp. 481-482. 256 Acs, Cpc, b. 5134, f. 098822, Tombetti Giuseppe. Parimenti, è conservato il fascicolo personale relativo a Tombetti nel fondo del Tribunale Speciale, relativo alle esecuzioni di pena. 253 62 Si confrontino questi estremi con quelli forniti da Corneli/Fucci: «Nessuno ne fa il minimo cenno biografico […]. Tombetti è un uomo di circa 40 anni, di statura media, robusto, bruno, con la faccia segnata del contadino. E’ di Imola, autodidatta, di mediocre legatura intellettuale e culturale» 257. E’ evidente come vengano utilizzate le categorie criminologiche tipiche delle schedature poliziesche, cui in qualche modo probabilmente Corneli potrebbe avere avuto accesso. Ma confrontiamo ancora quanto scrivono i due autori con lo schedino del «Supplemento dei sovversivi» emanato dal Questore di Forlì il 15 settembre 1937: «Connotati: statura alta, bruno-pallido, capelli e occhi castani, naso rettilineo, fronte alta, adiposità poca». La descrizione non è esattamente la stessa, come non lo è quest’altra antecedente, del 25 marzo 1932: «Statura 1,70, corporatura esile, capelli castani, viso ovale, fronte alta, sopracciglia castane, occhi castani, naso rettilineo, zigomi sporgenti, labbra grassa, barba e baffi rasi, mento ovale, collo lungo». Presso l’Acs è conservato – nella stessa busta - anche il fascicolo relativo al fratello Egisto, che gestisce a Basilea una trattoria dove si ritrovano gli antifascisti italiani 258. Una cosa ci colpisce immediatamente: mentre nel fascicolo di Egisto si conserva una foto del sorvegliato, nessuna appare in quello di Giuseppe. Si tratta di un fatto singolare, visto che Giuseppe è stato arrestato e quindi avrebbe dovuto essere sottoposto alla tradizionale foto segnaletica a più angolature. Tenendo conto che un obiettivo prioritario per la polizia fascista è ottenere una foto di ogni segnalato, sia essa tratta per via burocratica dai documenti amministrativi conservati, oppure procurata da informatori ed infiltrati attraverso qualche sotterfugio. Tombetti è sorvegliato dal dicembre 1931 fino all’aprile 1943. E’ annotata una ripresa di contatto nel maggio 1950, ma non ne conosciamo l’esito, visto che non abbiamo trovato un analogo fascicolo relativo a Tombetti per il periodo postbellico. La polizia fascista ne conosce lo pseudonimo Romeo. Tombetti ha sposato nel 1924 la coetanea Maria Amadori, dalla quale ha avuto una figlia, nata in Svizzera nel 1926. Fino al 1925 259, quando è espatriato definitivamente per ragioni di lavoro, Tombetti è stato iscritto al partito repubblicano, manifestando talvolta idee socialiste, senza fare una rilevante attività politica. Nelle corrispondenze degli anni successivi, Tombetti sarà alternativamente citato come repubblicano o comunista. Similmente, il risiedere in una località francese appartenente al conurbamento di Basilea creerà qualche confusione alle autorità fasciste a proposito dello stato in cui è emigrato effettivamente. Tombetti viene infatti segnalato a partire dal dicembre 1931 come comunista frequentante riunioni di oppositori, attivi tra Mulhouse e la vicina Basilea, tra i quali si contano i suoi cognati Augusto e Secondo Amadori; in realtà lui stesso indicherà l’anno di avvicinamento al Pcd’i nel 1927 260. Inizialmente Giuseppe viene segnalato erroneamente con il nome di Eugenio e qualificato come repubblicano; successivamente viene chiarito l’equivoco, che continua però in qualche modo per la sovrapposizione con l’attività antifascista del fratello Egisto. Il 5 gennaio 1934, vengono segnalati come appartenenti al gruppo della Lidu 261 ed al Pri di Huningue (in Alsazia) anche Giuseppe Amadori - che dovrebbe essere il padre di Augusto, Maria e Secondo - ed Emilio Amadori, che potrebbe essere fratello di Giuseppe, ed è schedato come socialista 262. Decisamente una famiglia antifascista. 257 Fucci, Le polizie di Mussolini, cit., p. 270. Acs, Cpc, b. 5134, f. 38478, Tombetti Egisto. 259 La scheda biografica indica questo come l’anno dell’emigrazione in Svizzera. Anche se altre corrispondenze anticipano al 1921 la partenza, il 1923 è indicato come anno di una prima emigrazione in Francia nel verbale di interrogatorio di polizia del 9 marzo 1939. Ivi sono aggiunti maggiori particolari sulle località frequentate, e la notizia del rientro in patria per malattia nel 1924. 260 Acs, Cpc, b. 86, Amadori Augusto, nato nel 1907 a Cesena ed ivi residente, repubblicano, muratore, confinato a Rossano Calabro; b, 87, Amadori Secondo, nato nel 1904 a Cesena, residente in Francia, comunista, muratore. Cfr. il data base dell’Acs: http://www.acs.beniculturali.it/index.php?it/206/casellario-politico-centrale Nel fascicolo di Tombetti, anche Secondo viene definito come repubblicano in una nota del 5 gennaio 1934 della Prefettura di Forlì. 261 Lega Italiana per i Diritti dell’Uomo, sorta nell’esilio antifascista come organizzazione unitaria, sul modello dell’omonima organizzazione francese, innanzitutto negli ambienti massonici e con prevalenti adesioni dall’area democratica, repubblicana e socialista. 262 Acs, Cpc, b. 86, Amadori Giuseppe, nato nel 1882 a Cesena, ivi residente, muratore, repubblicano; Amadori Daniele, nato nel 1890 a Cesena, residente in Francia, bracciante, socialista. 258 63 Nel luglio 1937 vengono intercettate corrispondenze per Maria Amadori indirizzate a Parigi, presso un recapito del Soccorso Rosso Internazionale, e questo fa dedurre alla polizia fascista che Tombetti possa essersi arruolato nelle truppe repubblicane in Spagna, ma l’informazione non è confermata. Tombetti in sede di interrogatorio informerà sul trasferimento a Parigi avvenuto nel 1936. In una lettera della Prefettura di Genova del 5 novembre 1939 si informa di come il Centro estero di Parigi del Pcd’i sia stato riorganizzato nell’autunno del 1937, con l’invio da Mosca di Giuseppe Berti, con l’obiettivo di riprendere in mano le fila dell’organizzazione comunista in Italia. A tal fine, nel febbraio 1939 vengono inviati in Italia dapprima Tombetti (per l’esattezza il 28 gennaio 263) «e successivamente il funzionario e membro della segreteria Pellegrini Giacomo, allo scopo di organizzare e riorganizzare cellule comuniste in Liguria». Tombetti riassume le sue vicende umane e politiche in un interrogatorio che avviene alcune settimane dopo il 24 febbraio 1939, data di arrivo di Pellegrini. Tombetti e Pellegrini vengono arrestati il 6 marzo, anche se il loro arresto sarà formalizzato solo il 23 maggio successivo, in coincidenza con l’arresto della maggior parte degli organizzati 264. L’interrogato ricostruisce tutto il reticolo dell’organizzazione comunista a Genova con cui è venuto in contatto, facendo in particolare riferimento all’ingegner Spartaco Muratori, che viene identificato come il punto di riferimento della rete clandestina comunista. Tombetti riconosce dopo qualche incertezza Pellegrini, identificandolo come il responsabile del Centro Interno chiamato «Redi» ed ammette di averlo già conosciuto a Parigi. Comunica che, dopo aver portato in stampa l’edizione clandestina di un giornale comunista, avrebbe dovuto consegnarla ad Ancona ad un altro emissario proveniente da Parigi, e descrive i connotati di «Lina», l’altra emissaria del Centro Estero che avrebbe dovuto fargli da collegamento il 9 febbraio a Genova, ma che non era venuta all’appuntamento. Infine cerca di giustificare la sua iscrizione del Pcd’i come frutto di pressioni da parte di un comunista svizzero che poteva condizionarne la possibilità di collocamento al lavoro 265. Due mesi dopo l’arresto a Genova troviamo una confessione di Tombetti 266, in cui accusa il Pcd’i di organizzare attività terroristiche in Italia, attività facente capo a Giuseppe Dozza e diretta da uno slavo non identificato, da cui dipendeva l’istriano Andrea Benussi. Successivamente «il Tombetti, in un esposto al Giudice Istruttore si è dichiarato pentito di avere dato la sua opera al comunismo» 267. Nelle periodica scheda delle «Notizie per il prospetto biografico», la prima dopo l’arresto, si afferma: […] Si esclude sia stato in Spagna, né durante la rivoluzione, né prima. Ha dichiarato che il breve soggiorno in Italia gli aveva aperto gli occhi e gli aveva permesso di constatare che la situazione interna del Paese era ben diversa da quella descrittagli, a fosche tinte, negli ambienti del partito comunista. Ha dato effettive prove del suo pentimento confessando spontaneamente fatti circostanze [sic] molto importanti ai fini di polizia e si è dimostrato intimamente ravveduto. Denunziato il 7/6/u.s. al Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato 268 . Condannato a sette anni – ridotti a cinque - il 2 marzo 1940, per i reati di ricostituzione, appartenenza e propaganda di associazione comunista, Tombetti chiede la grazia già il 18 marzo: Maestà, piegato l’animo da cocente dolore, l’umile sottoscritto Tombetti Giuseppe fu Giovanni, 263 Secondo la confessione di Tombetti stesso, che corrisponde sia a quanto ricorda Roasio nelle sue memorie, sia alla datazione nel citato memoriale di «Pace e Libertà», n. 4-5, sopra citate. 264 Acs, Cpc, b. 5134, f. 098822, Tombetti Giuseppe, Casa penale di Fossano, Estratto dalla cartella biografica; archivio Carlo Pellegrini, copia della sentenza n. 9 della Commissione Istruttoria presso il Tribunale Speciale, 2 febbraio 1940. 265 Acs, Cpc, b. 5134, f. 098822, Tombetti Giuseppe, interrogatorio del 9 marzo 1939 presso l’Ufficio politico della Questura di Genova. 266 Acs, Cpc, b. 5134, f. 098822, Tombetti Giuseppe, interrogatorio dell’8 maggio 1939 presso l’Ufficio politico della Questura di Genova. 267 Archivio Carlo Pellegrini, copia della sentenza n. 9, cit. 268 Acs, Cpc, b. 5134, f. 098822, Tombetti Giuseppe, Prefettura di Genova, Notizie per il prospetto biografico del 30 giugno 1939. 64 condannato ad anni 7 di reclusione per reato politico, si rivolge con umile cuore a V. Maestà Imperiale invocando pietà ed indulgenza, onde, perdonato, lo si voglia restituire al deserto focolare domestico. In un momento di smarrimento, di incoscienza che assolutamente non rifletteva i veri sentimenti suoi – che furono sempre di devozione e di ossequio vivo e spontaneo alla Vostra Maestà Imperiale e a chi con tanta sapienza regge le sorti d’Italia – il Duce – il sottoscritto ebbe a incorrere nei rigori della legge. Il momentaneo travisamento ha gettato nella più cupa disperazione la famiglia ed il supplicante, che non ebbe a cedere ad un gene[ne]rato sentimento, ma ad un istante di debolezza, umilmente chiede a V. Maestà Imperiale di raccogliere il disperato appello a restituirlo, perdonato, alla vita modesta, ma serena, onorata, fin ieri condotta. Questo confida di ottenere dalla pietà di V.M. Imperiale l’umile sottoscritto che con fervorosa 269 speranza e preghiera, devotamente si sottoscrive . Il 7 maggio un Appunto della Divisione Affari Generali e Riservati annota che: «l’Autorità di P.S. di Genova, che procedette all’arresto ed alla denunzia al Tribunale Speciale, ha espresso parere favorevole in considerazione che, dalla data dell’arresto a quella della denunzia, il Tombetti ha dato prova effettiva di ravvedimento, confessando spontaneamente fatti e circostanze 270 molto importanti che condussero all’arresto di un emissario comunista» . L’ufficio del Procuratore Generale presso la Direzione Generale per gli Istituti di Prevenzione e di Pena, Ufficio Liberazione Condizionale, annota che Tombetti: Ha fatto atto di sottomissione. Arrestato, dichiarandosi pentito dell’attività sovversiva fino a quel momento svolta, fece ampie confessioni dalle quali si ebbe la prova dell’opera sovversiva svolta dal Muratori Spartaco e Barisoni Giuseppe e fornì utilissime informazioni che condussero all’arresto dell’emissario comunista Dirce Scarazzati. La R. Questura di Genova affermando che il Tombetti ha dato effettive prove di ravvedimento esprime parere favorevole all’accoglimento della istanza di grazia. Il Ministero dell’Interno comunica che la riguardo il Duce si è espresso favorevolmente 271 . Anche il Pubblico Ministero esprime il suo parere favorevole. Ma neanche il parere del dittatore sembra bastare. Anche il fascismo italiano è vittima del policentrismo burocratico su cui si regge: Ha espiato solo un anno della pena inflittagli. L’Arma dei CC.RR. di Cesena affermando che un eventuale provvedimento di clemenza produrrebbe nel pubblico cattiva impressione, esprime parere contrario all’accoglimento dell’istanza di grazia. Anche la R. Prefettura di Forlì esprime parere contrario 272 . Nel marzo 1940, nell’elenco delle persone destinatarie della corrispondenza autorizzata, la residenza della moglie – cui vengono attribuite le stesse idee comuniste del marito - risulta fissata a Basilea, presso il cognato Egisto Tombetti. Il comportamento politico della moglie, e dei nipoti Ideale ed Irene, «che appartengono a famiglia di sovversivi», induce il consolato italiano di quella città a dare parere negativo 269 Acs, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, Esecuzioni, b. 116, f. Tombetti Giuseppe, copia dattiloscritta datata Roma, 7 aprile 1940. 270 Acs, Cpc, b. 5134, f. 098822, Tombetti Giuseppe, Appunto del Ministero dell’Interno, Direzione Generale della Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Generali e Riservati. 271 Con decisione del 12 maggio 1940, comunicata dal vicecapo della polizia Carmine Senise: cfr. Acs, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, Esecuzioni, b. 116, f. Tombetti Giuseppe, copia dattiloscritta datata 19 maggio 1940. 272 Acs, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, Esecuzioni, b. 116, f. Tombetti Giuseppe, Specchietto per la grazia sovrana, 19 maggio 1940. 65 all’autorizzazione alla corrispondenza. La moglie rientra nell’aprile successivo a Cesena, da dove inizia – insieme a suo padre, alla madre di Tombetti e ad altri parenti – il calvario delle autorizzazioni (e degli oneri di viaggio gravati da condizioni di indigenza) alle visite in carcere. Due anni dopo, Tombetti presenta una seconda, umiliante, domanda di grazia al re il 15 maggio 1942, dal carcere di San Gimignano. Il direttore del carcere commenta: «che il Tombetti, durante la carcerazione fin’ora sofferta, ha serbato regolare condotta disciplinare ed ha dichiarato di dissentire dalle sue idee comuniste», constatazione rafforzata nel parere del Consiglio di disciplina presso lo stesso carcere del 21 agosto 1942, ove si precisa che «ha dimostrato di dissentire dalle sue idee comuniste» 273. La pratica per la liberazione condizionale di Tombetti prende avvio nel gennaio 1943; il 28 febbraio 1943 il Ministero dell’Interno comunica alle Prefetture di Genova e Forlì che Tombetti ha richiesto la liberazione condizionale, e che le autorità giudiziarie e carcerarie hanno espresso parere favorevole. Nel marzo 1943 anche le due Prefetture interpellate danno il loro parere favorevole. Infine la pratica, «che ha sofferto ritardo per la mancata tempestiva risposta dell’Arma competente che ha dovuto essere sollecitata» 274 vede il suo esito positivo: il 21 aprile 1943 «Il Duce si è espresso favorevolmente» 275. La decisione di concessione della libertà condizionata, a meno di un anno dalla scadenza della detenzione, ha luogo il 4 maggio 1943 con decreto del Ministro Guardasigilli, fissando il domicilio di Tombetti a Torino. La sentenza viene eseguita con la scarcerazione il 13 maggio 1943 276. Qui finiscono le informazioni in nostro possesso relative a Tombetti. Fucci affermava: «Risulta che venne liberato dal carcere durante il periodo badogliano e che raggiunse immediatamente in Francia la moglie e i cognati. Da allora di lui si sono perse effettivamente le tracce». Affermazione falsa per quanto riguarda il periodo della liberazione (il fascismo, per quanto indebolito, era pienamente in sella), ed azzardata per la destinazione: l’espatrio da Torino alla Francia occupata da italiani e tedeschi avrebbe potuto avvenire solo con il consenso delle autorità fasciste, stanti i vincoli di domicilio della libertà condizionata, oppure attraverso reti clandestine, che Tombetti non avrebbe potuto agevolmente utilizzare. Gratuito il seguito delle affermazioni di Fucci, derivanti dalla precedente premessa infondata: «Lascia perplessi il fatto che il Pci lo abbia lasciato tranquillamente godersi una libertà che era il premio al suo tradimento. (non c’è dubbio che la sua scarcerazione anzitempo e il suo espatrio furono facilitati dalle autorità di polizia del governo di Badoglio […]» 277. Giuseppe Tombetti è morto nella sua città natale il 25 luglio 1991. Negli ultimi anni abitava in una casa di riposo 278. Osteria nel dopoguerra. Roberta Foggia, verificando i nastri registrati con le interviste di Fucci ad Osteria, fonte dei libri del giornalista, e studiando il fondo depositato da Ferruccio Parri all’Archivio Centrale dello Stato, ha potuto arricchire la conoscenza storica a proposito della spia fascista nel dopoguerra 279. 273 Acs, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, Esecuzioni, b. 116, f. Tombetti Giuseppe, istanza di grazia e lettera di trasmissione del direttore, 25 maggio 1942 e prospetto pareri «Istanza liberazione condizionale», s.d. 274 Acs, Cpc, b. 5134, f. 098822, Tombetti Giuseppe, lettera della Prefettura di Forlì del 7 aprile 1943, prot. Gab. 01216. 275 Acs, Cpc, b. 5134, f. 098822, Tombetti Giuseppe, annotazione in calce del Capo Divisione Affari Generali e Riservati ad un appunto del Casellario Politico Centrale del 10 aprile 1943, prot. n. 14296/98822. 276 Acs, Tribunale Speciale per la Difesa dello Stato, Esecuzioni, b. 116, f. Tombetti Giuseppe, ordinanza del giudice di sorveglianza presso il Tribunale di Siena, copia conforme del 12 maggio 1943, ed atti successivi. 277 Fucci, Le polizie di Mussolini, cit., p. 271. 278 Messaggio di posta elettronica del Comune di Cesena, Servizi demografici, del 12 febbraio 2014, ore 9.47. 279 Roberta Foggia, Ferruccio Parri, Luca Osteria e gli uomini dell’Ovra. I legami del capo partigiano con ex informatori fascisti, in: «Nuova Storia Contemporanea», a. VIII, n. 4, luglio-agosto 2004, pp. 23-52. 66 Osteria, con la sua squadra, stava operando a Milano per conto delle SS naziste, quando nel gennaio 1945 – imbattendosi nel massimo esponente resistenziale, Ferruccio Parri, imprigionato – approfitta dell’occasione per cambiare fronte, mettendosi al servizio del Clnai 280. Ne derivano evidenti garanzie per il dopoguerra (la cui conclusione non poteva che essere evidente per un elemento abile e spregiudicato), oltre che l’apertura di un doppio canale di finanziamento, dai fascisti e dalla Resistenza. Tanto è vero che Osteria ed i suoi collaboratori partecipano perfino all’insurrezione milanese, nelle file di “Giustizia e Libertà”. Nel periodo immediatamente successivo, la squadra di Osteria viene assunta direttamente da Ferruccio Parri nel periodo in cui egli è il primo Presidente del Consiglio dell’Italia liberata. La più pagata spia fascista diviene quindi disinvoltamente il responsabile del servizio di sicurezza del capo della Resistenza, a testimonianza di come la continuità delle istituzioni si annidasse anche nelle pieghe dei più intransigenti portabandiera del cambiamento radicale. Osteria in tal modo sfugge alla pubblicazione negli elenchi delle spie dell’Ovra ed evita procedimenti per la sua attività precedente 281. Qual è il campo in cui Osteria disimpegna i suoi servizi informativi per Parri? Seguendo la sua consolidata esperienza, egli si occupa di raccogliere informazioni sul Pci e sul Psiup, contribuendo in tal modo a costruire quella immagine di “doppiezza” e scarsa affidabilità democratica, con la quale viene stigmatizzato il Partito Comunista e dei suoi alleati socialisti. Una collaborazione, quella di Osteria, che anche se in forma discontinua avrà seguito anche negli anni successivi, ed è documentata fino al 1953. Foggia rileva come la causa della rarefazione dei rapporti è probabilmente da addebitarsi al fatto che Osteria, oltre ad essere troppo anticomunista per Parri, era un mercenario che non lavorava certo per poco, ed inoltre – anche se la disponibilità della documentazione non le ha permesso una verifica assoluta – egli era divenuto un collaboratore dei Servizi Informativi e Speciali, l’ente che tra il 1944 ed il 1948 prende il posto della Divisione di Polizia Politica della P.S. Osteria continua la sua attività di sorveglianza anticomunista ed antisocialista, suggerendo che è necessario iniziare sistematicamente e con tutti i mezzi un’azione concreta di disgregazione in seno alle forze del partito comunista e in particolare fra i capi della brigate garibaldine e Matteotti che in questo momento devono esser considerate forze attive del sovversivismo. L’infiltrazione di Osteria continua come sotto la dittatura: nel gennaio 1948 egli è occupato come gestore di alcune case da gioco, con licenze rilasciategli dall’Anpi di Milano 282. Foggia rileva inoltre come Fucci non abbia utilizzato nei suoi scritti tutte le informazioni fornitegli da Osteria, in particolare quelle relative alla collaborazione con il ministro degli interni Mario Scelba, esponente della destra democristiana e duro anticomunista. Come sotto il fascismo, Osteria lavora non come un dipendente del Ministero dell’Interno, ma come collaboratore esterno, potendo così percepire somme molto più cospicue, parte delle quali provenienti da privati. Ed è qui che i destini di Osteria e di Cavallo si incrociano, a discapito di Giacomo Pellegrini: Sembra, infatti, che parte del contributo per organizzare questo servizio dovesse pervenire dall’ingegner Vittorio Valletta, dirigente della Fiat, interessato anche lui a colpire le cellule comuniste nate all’interno delle sue fabbriche. Interessante in questo caso il confronto tra il materiale audio e la documentazione dattiloscritta donata da Fucci alla Fondazione Isec. Nel promemoria dello storico è presente questa importante annotazione che riguarda l’attività anticomunista condotta in prima linea da Osteria in collaborazione sia 280 Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia. Foggia, cit., p. 44, nota come – in una corrispondenza del 1954 con l’ex capitano dei servizi di sicurezza germanici e criminale di guerra Theodor Saevecke, il suo riferimento a Milano durante la guerra - Osteria non nasconda un esplicito cameratismo nazifascista, confermando il valore opportunistico del suo passaggio di campo del 1945. Sui rapporti tra i due, cfr. Luigi Borgomaneri, Hitler a Milano. I crimini di Theodor Saevecke capo della Gestapo, Roma, Datanews, 1997. 282 Foggia, cit., pp. 40-43. Il passo, citato a p. 42, è tratto da un promemoria del 13 dicembre 1947 indirizzato a Ferruccio Parri. 281 67 con l’apparato statale sia con i dirigenti delle grandi industrie nazionali private. Una strana coincidenza ha però reso irrecuperabile l’originale versione audio dell’informazione. Insolito è anche il fatto che 283 Fucci non abbia utilizzato queste interessanti notizie a sua conoscenza nelle pubblicazioni . E’ proprio scrivendo all’ex comandante della polizia politica tedesca a Milano, Theodor Saevecke, divenuto nel dopoguerra funzionario dei servizi di sicurezza della Repubblica federale tedesca e collaboratore della Cia statunitense, che Osteria conferma la sua collaborazione con il movimento Pace e Libertà il cui scopo fondamentale è quello di coalizzare tutte le forze democratiche per sgretolare l’organizzazione che il Cominform ha fatto nascere in Italia e nell’Europa occidentale. […] Il modo per meglio combatterli è quello di richiamare l’attenzione della base sulle gravi responsabilità che pesano sui capi comunisti più in vista e mettere nella maggiore evidenza il tradimento da essi consumato contro la classe operaia. Con questo sistema intendiamo spezzare il fanatismo che 284 lega la base alla Direzione centrale del partito comunista che a sua volta è controllata da Mosca . Va prestata attenzione alla data: la lettera è scritta il 10 dicembre del 1954. Non a caso è in questa fase dei rapporti che va inquadrato l’attacco a Giacomo Pellegrini, condotto da Osteria e – attraverso anche vari pseudonimi - da Cavallo, il quale «adottava la strategia di “insinuare nel loro animo [degli operai comunisti] il dubbio che uomini compromessi con lo stalinismo, i tradimenti, le delazioni, fossero la palla al piede del movimento operaio”» 285. Si muove – in differita - anche Feo di Beàn Nel 1990 l’esponente democristiano Alfeo Mizzau ripropone le accuse a Pellegrini su una rivista, in contraddittorio con due storici esponenti del Pci friulano 286. La rivista, «La Panarie» è quella dove Mizzau, talvolta con lo pseudonimo Feo di Beàn, esprime il suo preconcetto, e talvolta paradossale, anticomunismo 287 . La “fonte” delle informazioni di Mizzau è Fucci, ma egli approfitta dell’uscita di un altro libro, che accuserebbe – secondo il politico codroipese – Pellegrini di essere stato «una spia dell’Ovra (la polizia fascista)», nel contesto della tesi fantasiosa secondo cui gli antifascisti Carlo e Nello Rosselli sarebbero stati assassinati non dal fascismo italiano, ma dai comunisti 288. Lizzero replica a Mizzau con due lettere, che vengono intercalate nell’articolo. Nella prima del 29 dicembre 1990, Lizzero riprende punto per punto le affermazioni di Bandini. Nell’ordine: «secondo il parere di un vecchio funzionario del Pci 289 la crisi politica e personale di Giacomo Pellegrini comincia appunto col primo processo di Mosca»; «negli immediati paraggi del “miliziano Rosselli”, vi sono almeno due persone pericolose, il cui vero volto verrà svelato soltanto nel 1945 290: si tratta di Giacomo Pellegrini […]»; la collaborazione con l’Ovra che porta all’arresto di molti compagni in Italia; il ruolo politico di rilievo nel dopoguerra «benché il Partito comunista abbia sicura conoscenza dei suoi trascorsi»; il dubbio sulla reale partecipazione di Pellegrini alla guerra di Spagna. 283 Foggia, cit., pp. 44-45. A proposito delle registrazioni, l’autrice riferisce che «Il lato del nastro che riguarda queste informazioni è stato interamente cancellato». 284 Foggia, cit., p. 44, che trae il passo da: Luigi Borgomaneri, cit., pp. 183-184, ove la lettera è riportata integralmente. 285 Foggia, cit., pp. 45-46, ove cita la testimonianza dell’altro capo di «Pace e Libertà», Edgardo Sogno. 286 Alfeo Mizzau e Mario Lizzero, Il senatore Giacomo Pellegrini spia dell’Ovra?, in: «La Panarie», XXII, n. 89, 1990, pp. 3-6 e: Alfeo Mizzau ed Amerigo Clocchiatti, Ritorniamo su: Giacomo Pellegrini spia dell’Ovra? Il caso Giacomo Pellegrini «Spia dell’Ovra», la polizza politica del regime fascista, in: «La Panarie», XXIII, n. 92, 1991, pp. 3-9. 287 Cfr. ad esempio: Feo di Beàn (Alfeo Mizzau), Note semiserie, Beano slovena?, in «La Panarie», n. 33-34, 1967, p. 38. 288 Franco Bandini, Il cono d’ombra: chi armò la mano degli assassini dei fratelli Rosselli, Milano, Sugarco, 1990, pp. 103-104, citato in: Mizzau-Lizzero, Il senatore Giacomo Pellegrini spia dell’Ovra?, cit., p. 3. 289 Che non viene indicato. 290 Non si sa in quale sede ed occasione. 68 Lizzero, nella sua prima lettera, nota inesattezze come l’affermare che Pellegrini fosse stato eletto senatore nel 1956, data del tutto errata 291, ma più in generale sottolinea come le accuse più gravi siano solo ipotesi, talora formulate addirittura in alternativa, come quella secondo cui «in via di ipotesi del tutto teorica, è supponibile che nel 1939 il Pellegrini fosse a conoscenza della esistenza della “talpa” comunista di Parigi e che sia stato trattenuto in Italia e anche pesantemente condannato appunto per evitare di compromettere la talpa stessa» e poi: «se le cose andarono realmente così, ben si capisce che il Pellegrini sia stato difeso a spada tratta e debitamente onorato». Indubbiamente, nota Lizzero, così si fanno gratuitamente affermazioni a casaccio, comequella secondo cui la “talpa” nel Centro Estero del Pci avrebbe potuto essere Pellegrini, ma anche altri tre o quattro dirigenti. La polemica di Lizzero, più che sull’episodio genovese del 1939, si mantiene sulle generali: il grande, incomparabile contributo del Pci alla lotta contro la dittatura, ed il fatto che – dopo le scoperte sull’Organizzazione O e Gladio – i democristiani farebbero meglio a badare agli scandali loro. Concludendo con un giudizio sulla inattendibilità storiografica del libro di Bandini, Lizzero afferma però in modo singolare: «ti saluto, senza dirti, per ora, quali sono le persone anche nella nostra Regione che sanno bene, quanto siano destituite di valore queste opinioni del Bandini». Mizzau replica ponendo una domanda paradossale a Lizzero: «e se Pellegrini fosse entrato nell’Ovra, su comando della Direzione del Pc, per regolare i conti interni al partito? In quei tempi burrascosi non sarebbe stato impossibile», affermazione che Lizzero respinge nella seconda lettera, il 17 gennaio 1991. Mizzau conclude infine affermando l’impossibilità di scegliere se abbiano ragione Lizzero, oppure Bandini e Fucci 292. Eppure Lizzero, già nel 1986, dopo l’uscita del libro di Fucci, aveva già raccolto almeno una delle tre testimonianze di protagoniste degli eventi del 1939, in vista della biografia di Pellegrini cui stava attendendo, ma che non porterà mai a compimento. Si tratta di Maria Bernetič, Dirce Scarazzati e Regina Franceschino, tre delle dirigenti del Pcd’i che erano state arrestate dopo la caduta di Pellegrini e Tombetti. La testimonianza di Maria Bernetič è affidata ad un dattiloscritto compilato da Lizzero stesso, dopo un colloquio. Afferma la dirigente comunista triestina: Le cose che mi citi del libro “Le polizie di Mussolini”, sono palesemente falsificate in modo vergognoso in relazione a quanto dice del compagno Giacomo Pellegrini. Posso dimostrarti quanto dico per aver vissuto direttamente, come dice lo stesso autore del libro. Dirò intanto che Giuseppe Tombetti, era il cassiere del Centro estero del Pci a Parigi; conosceva dunque tutti i massimi dirigenti del Partito purtroppo. Nel 1939, a Parigi, io abitavo nella casa della famiglia del Tombetti. Ma in quella casa avevano abitato anche i compagni Giorgio Amendola ed Emilio Sereni ed anche la sua compagna Marina Sereni. Tombetti era informato delle disavventure di Bernetič durante l’ultimo viaggio in Italia svoltosi nel 1938, nel quale si trovò ad essere strettamente controllata dalla polizia. Al termine di quel viaggio, Tombetti – per ordine di Berti – la escluse dal Centro del partito come punizione. Più tardi, riammessa nell’apparato, Bernetič viene inviata in Italia: Quando il Centro estero del P. decise di mandare di nuovo in Italia me, noi sapevamo già che Pellegrini era stato arrestato. Ma non sapevano che era stato arrestato anche il Tombetti. Perché? Perché Tombetti aveva detto all’Ovra tutto quel che sapeva; aveva detto tutti i nomi dei massimi dirigenti del Pci nel Centro estero, o che stavano a Mosca. Non solo, ma si era messo a collaborare con la polizia fascista. Accettò il suggerimento della polizia di scrivere al Centro estero di Parigi come se fosse sempre in libertà e invitando i compagni a mandargli il passaporto a Genova. […] Disse Bibolotti che “Romeo”, (cioè il Tombetti), era in cattive condizioni a Genova, come aveva scritto alla moglie, e che era libero, ma in pericolo e che bisognava portargli il passaporto che doveva servire a spostarsi. 291 292 Pellegrini fu senatore dal 1948 al 1963, e nel 1956 non si tennero elezioni parlamentari. Mizzau-Lizzero, Il senatore Giacomo Pellegrini spia dell’Ovra?, cit., pp. 3-6. 69 Solo più tardi sapemmo che Tombetti scriveva sotto dettatura dell’Ovra e che lui era già in galera. Pellegrini non scrisse mai dopo arrestato anzi non disse una sola parola. E’ stato “Romeo” a parlare e a scrivere come se fosse ancora libero: Tombetti ha tradito. […] Mi preparai a partire per Genova. Devo aggiungere che Tombetti aveva in Svizzera un fratello legato al Pci. Aveva un compito particolare dal Centro estero: accompagnare i compagni che entravano in Italia, dal confine francese con la Svizzera, e attraverso questo Paese li accompagnava al confine italiano da dove entravano in Italia. Così fece anche con me. Io penso che quel tale fratello potesse essere un confidente della polizia anche lui. Durante i pesanti interrogatori, con pestaggi e torture brutali durate per molti giorni, Bernetič apprende che la polizia è informata perfettamente sul Centro estero del partito, Durante gli interrogatori brutali ho saputo che anche Pellegrini era stato arrestato e torturato; ma non mi dissero o chiesero cose che poteva aver detto il compagno Pellegrini. […] Aveva [Bernetič] saputo che anche il compagno Serbandini aveva parlato per debolezza, dicendo alcune cose. Parlato, ma non tradito come Tombetti. […] Devo ricordarti che al processo, mentre tutti noi eravamo nella gabbia, il Tombetti era fuori per la sua collaborazione con l’Ovra. Non 293 solo: al processo a me hanno dato 16 anni, a Pellegrini 20 e al Tombetti solo 6 . Più tarde sono le testimonianze di Regina Franceschino 294 e Dirce Scarazzati 295, raccolte tra il 1991 ed il 1996 grazie a Carlo Pellegrini, che mette a loro disposizione la sentenza istruttoria del Tribunale Speciale 296. Esse convergono nell’escludere ogni ruolo di Giacomo Pellegrini nella missione in Italia nel corso della quale vennero arrestate, e nell’attribuirne la responsabilità a Giuseppe Berti. E’ invece Amerigo Clocchiatti – un altro grande dirigente comunista di origine friulana 297 - a replicare a Mizzau su «La Panarie», su richiesta di Carlo Pellegrini. Clocchiatti, dopo aver ricordato i legami fraterni con Giacomo Pellegrini, replica che la storia del partito comunista è una cosa seria, e non va mistificata con fantasie. Quanto alle lacune nella biografia di Pellegrini, esse sono dovute solamente alla sua modestia: come per quanto riguarda la Spagna, dove il suo ruolo era di segretario personale di Togliatti. Clocchiatti, pur riconoscendo l’esistenza di un traditore nel Centro Estero del Pcd’i, ritiene che questi non potesse essere Pellegrini, visto che il documento con cui si indicavano 44 dirigenti di primo piano del partito – presente in copia anche nel suo fascicolo personale - era stato inviato il 12 luglio 1939 al Ministero dell’Interno «dall’ispettore per i fasci della Francia» solo quattro mesi dopo l’arresto di Pellegrini. Infine avendo letto Pellegrini 298. riaffermando storiografica. 293 Clocchiatti cita il parere di Agostino Novella, altro dirigente di primo piano del Pci, che – la documentazione processuale – lo aveva rassicurato sul comportamento esemplare di Complessivamente, come Lizzero anche Clocchiatti si mantiene su un piano generale, la stima per Pellegrini ma non ponendosi il problema di un approfondimento in sede Archivio Carlo Pellegrini, lettera di Mario Lizzero a Marina (Maria Bernetič) del 5 marzo 1986, con allegata «Breve nota riassuntiva della dichiarazione della compagna Bernetič, Trieste 4.5.’86». Bernetič informa inoltre che «nel 1943 ho fatto una relazione su questi fatti che è nell’Archivio del Pci a Roma». Altra copia del memoriale, comprensiva degli appunti di Lizzero durante l’intervista, in Archivio Ifsml, Fondo Mario Lizzero “Andrea”, b. 59, f. 553. Su Marina Bernetič cfr. la stringata nota biografica: http://www.deportati.it/addio_marina.html e, per l’attività parlamentare: http://storia.camera.it/deputato/maria-bernetic-19020314 294 Ines Domenicali, Regina Franceschino “Irma”, in: «Storia contemporanea in Friuli», anno XXV, n. 26, Ifsml, 1995, pp. 201-203. 295 Cfr. la nota biografica: http://www.anpi.it/donne-e-uomini/dirce-scarazzati-giuntoli/ 296 Archivio Carlo Pellegrini, due dattiloscritti s.d. di Regina Franceschino, uno controfirmato da Dirce Scarazzati. 297 Cfr. la nota biografica: http://www.anpi.it/donne-e-uomini/amerigo-clocchiatti/ e, per l’attività parlamentare: http://storia.camera.it/deputato/amerigo-clocchiatti-19111208 298 Clocchiatti, Ritorniamo su: Giacomo Pellegrini spia dell’Ovra?, cit., pp. 5-9. 70 Della differenza tra la storiografia ed il fare propaganda. A proposito di cosa è provabile, e di cosa invece sia (solo teoricamente) probabile. La moderna epistemologia si nutre anche di tesi affascinanti, come quella di Karl Popper, secondo la quale possiamo teoricamente escludere la veridicità solamente di ciò che è chiaramente falsificabile. Si narra che ci fu una volta in cui un altro grande filosofo di origine viennese, Ludwig Wittgenstein, minacciasse Popper con un attizzatoio al King’s College di Cambridge, ritenendo banali le sue tesi 299. Per quanto ci riguarda, pensiamo che forse è impossibile, secondo le tesi popperiane (anche lui, da ex comunista, divenuto un feroce anticomunista), escludere scientificamente il fatto che Giacomo Pellegrini possa avere ceduto in un interrogatorio, nelle mani della polizia fascista. Riteniamo per altro che cedere – lo ribadiamo: formuliamo questa ipotesi solo teoricamente - di fronte a chi ti tortura selvaggiamente sia una debolezza attribuibile solo ai torturatori, e che le vittime meritino ogni comprensione da parte nostra. Ma ci pare, infine, che le incongruenze, le falsità e le vere e proprie strutture provocatorie implicate nella strumentalizzazione sulla vicenda dell’arresto genovese di Giacomo Pellegrini siano tali e tante da non lasciare spazio a dubbi, almeno a noi che ci ispiriamo ad un materialismo positivistico. Anche se merita continuare la ricerca e la revisione documentale, riteniamo sufficiente già ora quanto raccolto per dichiarare che la campagna di Osteria, Cavallo, Fucci e Mizzau è stata solo un mucchio di immondizia, che merita di essere rigettata addosso ai suoi autori, coscienti protagonisti di una campagna anticomunista senza scrupoli. Ci rimane solo un senso di amarezza, pensando al fatto che le ricerche – per quanto necessarie di approfondimenti – realizzate in occasione del convegno odierno, potevano essere fatte già negli anni in cui scrivevano i Fucci ed i Mizzau. Si sarebbe potuto fare di più? Credo di si: i fascicoli del Casellario Politico Centrale, pur non ancora riordinati alfabeticamente, erano già consultabili negli anni ’60 e quando uscì il libro di Fucci (1986) era già stato avviato l’impegno ciclopico dell’Anppia di schedatura della documentazione conservata al Casellario Politico Centrale 300, basato proprio sul riordino alfabetico del fondo. Purtroppo, dopo le acquisizioni di materiali volute da Mario Lizzero presso l’archivio del Pci, relative agli anni della dittatura, sembra che gli archivi romani siano diventati un obiettivo troppo lontano per la maggior parte dei ricercatori friulani. Su un altro piano, che va oltre il limite della nostra ricerca, va infine annotato - a proposito di autori come Canali e Foggia - come siamo di fronte ad una vera e propria “guerra di spie” combattuta sul corpo della memoria antifascista. Scrittori impegnati sul fronte della pubblicistica storiografica “di destra”, come Canali e Foggia, tendono a smitizzare figure di culto della memoria laica ed azionista, da Ignazio Silone, Max Salvadori fino a - in questo caso - Ferruccio Parri, sollevando le offese obiezioni di studiosi cultori di quelle memorie. Il risultato paradossale è quello di rovesciare la polemica anticomunista e di fornire materiale per la difesa di chi – oggi Pellegrini, altrove Vidali – era stato obiettivo delle accuse da parte della sinistra occidentalizzante 301. E’ un buon esempio di come - credendo dopo il 1989 di aver eliminato per sempre lo spettro del comunismo sovietico, sostituendolo con un pensiero liberal-socialista non classista – si finisca per lasciare spazio ad un revisionismo storiografico liberal-conservatore, funzionale all’egemonia neoliberista trionfante. Senza voler entrare nel merito di episodi che ci porterebbero lontano dall’obiettivo della nostra 299 David Edmonds e John Eidinow, La lite di Cambridge, Milano, Garzanti, 2002. Adriano Dal Pont (coordinatore), Simonetta Carolini ed altri (a cura di), Antifascisti nel casellario politico centrale, 19 volumi, Roma, Anppia, 1988-1995. 301 A solo titolo esemplificativo, cfr. Dario Biocca e Mauro Canali, L’informatore: Silone, i comunisti e la polizia, MilanoTrento, Luni, 2000 e la rabbiosa risposta di: Giuseppe Tamburrano, Il «caso» Silone, Torino, Utet, 2006; Mimmo Franzinelli, Max Salvadori: una spia del regime?!?, in «Italia contemporanea», n. 238, marzo 2005, pp. 87-107, che replica a Canali, Le spie del regime, cit. Cfr. anche, per una visione d’insieme: Romeo Aureli, Le “spie” degli azionisti, in «Annali della Fondazione Ugo La Malfa», v. XIX, 2004, pp. 153-164. 300 71 ricerca – ma anche no, se pensiamo alle frequentazioni postbelliche triestine di Luigi Antonini e Vanni Buscemi Montana, contrapposti a Vittorio Vidali e ad Ezio Taddei 302 - ci limitiamo in questa sede ad auspicare che finiscano presto i tempi della “storiografia di partito” - soprattutto quando emergano disinvolture nell’analisi documentale - per cercare di dare maggiore equilibrio e dignità metodologica alla ricerca nel campo della storiografia politica. Non potrà che avvantaggiarsene la politica stessa, fuoriuscendo da mistificazioni e giustificazionismi ideologici di corto respiro. Certo, se abbiamo potuto assistere a casi clamorosi di storiografia totalmente indiziaria, come il citato libro di Biocca e Canali su Ignazio Silone, questa esperienza dello studio relativo alla persecuzione giornalistica nei confronti di Giacomo Pellegrini non può che essere un monito: non solo al rigore metodologico, ma anche ad una maggiore resilienza rispetto ad un uso strumentale della storiografia, e ad un maggiore coraggio, invece, nell’investire le poche risorse verso campagne di ricerca più incisive in profondità e più larghe quanto ad orizzonti, superando i provincialismi e le pigrizie che rischiano di avvilire la ricerca storica. 302 Vi abbiamo accennato in: Gian Luigi Bettoli, Contadini, operai e sindacato in Friuli dalla Resistenza al "miracolo economico", in: (a cura di Alberto Buvoli) Il Friuli. Storia e società. 1943-1964. Dalla guerra di Liberazione alla ricostruzione. Un nuovo Friuli, vol. V, Udine, Ifsml, 2012, pp. 358-359. Cfr. inoltre: Fraser M. Ottanelli, Fascist Informant and Italian-American Labor Leader: The Paradox of Vanni Buscemi Montana, in: «The Italian American Review», vol. 7, n. 1, Spring/Summer 1999, pp. 104-116; Mauro Canali, Tutta la verità sul caso Tresca, in: «Liberal», n. 4, febbraiomarzo 2001; Angela Torelli, La doppia vita di un antifascista italo-americano. Vanni Montana da informatore della polizia italiana ad agente dell'Oss, in: «Nuova Storia Contemporanea», VIII, 1, gennaio-febbraio 2004, pp. 81-94. Sul povero Taddei, così come sul giornalista anarchico Carlo Tresca (e sul dirigente comunista Ruggero Grieco) si è abbattuto come una furia: Luciano Canfora, Gramsci in carcere e il fascismo, Roma, Salerno, 2012. Non meno indiziario nella sua tesi che Biocca e Canali a proposito di Silone, non meno incauto e superficiale di Canali a proposito di Max Salvadori, nel complesso il libro di Canfora - insieme al successivo Spie, URSS, antifascismo. Gramsci 1926-1937 – viziato com’è da arroganza settaria non addolcita dallo spessore filologico dell’autore, merita di essere catalogato in quel tipo di editoria totalitaria ben descritta da George Orwell in 1984. 72 Una prima bibliografia delle opere di Giacomo Pellegrini. Il Veneto non sarà Vandea, in: «Vie Nuove» del 17 agosto 1947. Nel Friuli si complotta contro la pace e la Nazione, in: «Vie Nuove» dell'8 dicembre 1947. Nel Veneto preti come rondini, in: «Vie Nuove» del 15 febbraio 1948. Salvare la pace a tutti i costi, in: «Il Lavoratore» (settimanale della Federazione Pci di Padova) del 22 luglio 1950. L’avanzata nel Veneto, in: «Il Lavoratore» del 16 giugno 1951. Alcuni problemi dell’assistenza nelle zone alluvionate, in: «Rinascita», anno VIII, n. 12, dicembre 1951, pp. 561-562. Difendiamo il “Biancotto”,bandiera della Resistenza, in: «Il Lavoratore» del 13 dicembre 1952. Intensificare il tesseramento e il reclutamento al Partito. La dichiarazione del sen. 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Per la partecipazione dei cattolici alla lotta contro la guerra e la miseria. Dall’intervento del sen. Giacomo Pellegrini alla Conferenza nazionale del P.C.I., in: «Il Lavoratore» del 20-26 gennaio 1955. Il Veneto non deve essere terra di occupazione di truppe straniere, in: «Il Lavoratore» del 3-10 giugno 1955. In tema di preparazione delle Conferenze Provinciali della donna comunista, in: «Il Lavoratore» del 16-23 settembre 1955. Compiti di lavoro e di lotta per l’anno nuovo, in: «Il Lavoratore» del 30 dicembre 1955. Provvedimenti adeguati contro la miseria e la disoccupazione, in: «Il Lavoratore» del 2 marzo 1956. Per la rinascita e il progresso della Valle padana. Discorsi pronunciati all’Assemblea dei comunisti della Valle padana. Rovigo 8-9 febbraio 1958, Roma, La stampa moderna, 1958 (con G. Carlo Pajetta). I monopoli contro la rinascita del Delta padano, in: «Rinascita», anno XV, n. 4, aprile 1958, pp. 243-245. Servitù militari e basi straniere. 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