# A.N.P.I. COMUNE DI GARDONE V.T. Associazione Nazionale Partigiani d'Italia ASSESSORATO ALLA CULTURA SEZIONE DI GARDONE V.T. Testimonianze sulla Resistenza alla Beretta e alla Bernardelli di Gardone V.T. (1943-1945) In copertina: II monte Guglielmo, tempera di William Fantini Disegni di Leonello Campanelli C.E.LBLB. Gardone V.T. - 25 Aprile 1988 Presentazione L'A.N.P.I. dopo l'esperienza dello scorso anno con l'opuscolo "Testimonianza sul/a resistenza alla O.M. di Gardone V.T.", prosegue nell'opera di ricostruzione storica con la presente raccolta di testimonianze sulla Resistenza in due fabbriche tipicamente gardonesi: la Beretta e la Bernarde/li. È da rimarcare l'incredibile impegno profuso nel tentativo, sicuramente ben riuscito, di riportare al/a memoria fatti ed episodi lontani nel tempo. Le lotte ed i sacrifici anche estremi di una generazione che ha restituito la libertà e la dignità al nostro Paese vengono così riproposti alle nuove generazioni, dando vita ad un'operazione culturale di grande impegno. Il racconto prende le mosse dalla riunione del 25-7-1943 del Gran Consiglio del fascismo. La narrazione poi, senza mai perdere di vista gli eventi nazionali, si trasferisce in Valle Trompia per illustrare l'evolversi della situazione nei giorni, nei mesi successivi. I soggetti, le azioni narrati con intensità e passione attanagliano il lettore. Ora, mentre l'inesorabile corso del tempo cancella lentamente le voci dei protagonisti, questa testimonianza consegna al/a nostra piccola storia locale un documento che contribuisce a rinsaldare in tutta la comunità la coscenza delle sue radici. Giorgio dr. Entrata Assessore alla Cultura di Gardone V.T. Introduzione Ha ancora validità, a tanti anni di distanza, una nuova pubblicazione sulla resistenza specialmente se limitata ad un Comune o, come in questo caso, a solo due fabbriche? Una domanda che mi sono posto ripetutamele prima di cedere alle pressioni degli amici Mario Zoli ed Egidio Zubani per una testimonianza sulla Beretta e sulla Bernardelli. Le perplessità erano motivate da un presupposto sbagliato: ritenevo che oggi fosse tutto ormai storicamente provato e noto. Invece sono rimasto sconcertato dalle dichiarazioni di ignoranza di alcuni giovani, ed alcuni non più giovani, su episodi ormai consacrati alla storia da pubblicazioni e pellicole come quello inerente la famiglia Cervi: sette fratelli tutti fucilati ed insieme dai fascisti. Certo sono passati più di quarantanni da quel 25 aprile e quaranta dalla nostra Costituzione nata proprio da quell'unità di intenti che era stata alla base della lotta clandestina. Ho voluto appositamente citare una circolare dell'agosto del 1945, del CLN provinciale di Brescia ai Comitati periferici, in cui si sottolineava la certezza che "quel senso di unità e di reciproco rispetto delle libertà civili e politiche che ha già costituito la caratteristica dei comitati nel periodo della cospirazione e della lotta" ispirasse l'attività futura. E la nostra Costituzione fu l'esempio palmare di quell'unità; per questo non ho trovato che scarsa applicazione nel nostro Paese (anche se qualcuno oggi la vorrebbe riformare) e la Resistenza, come momento unitario, negata come materia di studio nelle scuole. Ed è per questo che ho cambiato parere, anche perché su quel periodo, anche su fatti insignificanti, non venga a cadere l'oblio. Il lettore non pensi di trovare in queste poche pagine novità sconvolgenti; è la trasposizione filtrata —per necessità di spazio —di piccole testimonianze su fatti locali che ai più, con il metro di oggi, potranno apparire addirittura banali. Ma negli anni 79437 7945 essere in possesso di un volantino, o di una pane d'arma rappresentava l'arresto, la deportazione ed anche la morte. Insieme però questi episodi—per il numero di coloro che ne hanno dato vita — sottolineano la larga partecipazione di uomini e donne ad un movimento che non ha avuto uguale in Europa, in quei Paesi ove regimi e governi avevano fatto, al momento delle dichiarazioni di guerra, una scelta di campo completamente opposta. E per capire la portata di questa "opposizione" consapevole basterà scorrere l'elenco delle testimonianze raccolte e delle persone citate. In chiusura voglio esprimere un ringraziamento innanzitutto ai già citati Zoli e Zubani per il minuzioso lavoro di raccolta delle testimonianze, a Piero Cotel/ì per avermi fornito documenti im- portanti sulla Beretta, a Lino Bel/eri, Sergio Pedretti ed a tutti coloro che con i loro ricordi hanno permesso di dare vita a questo opuscolo. Ma non posso sottacere anche l'amarezza per l'indisponibilità ad aprire i loro archivi da pane delle ditte Beretta e Bernardelli nonostante la sollecitazione ad un contributo richiesta dall'Amministrazione Comunale. Lasciandomi così nel vago anche (e non poteva costituire un segreto da conservare) nel precisare sia il numero dei dipendenti dei due stabilimenti, sia sui nominativi delle due commissioni interne. Una nota di disappunto nella speranza che chi, nel prossimo futuro potrà, lo spero, affrontare il tema della Resistenza in un'ottica più ampia con riferimento a tutta la Valle possa trovare una maggiore disponibilità ad un esame storico di quel periodo luminoso. Ed anche scusarmi verso coloro che, involontariamente, non sono stati citati in questa ricerca. Le testimonianze raccolte (di cui diamo di seguito i nominativi di coloro che le hanno fornite) non andranno perse: rimangono un patrimonio storico che verrà archiviato perché fornito anche da compagni ed amici che ultimamente ci hanno lasciato. Carlo Bianchi Testimonianze fornite da: Amadini Luigi Ardesi Giuseppe (Pino) Belleri Angelo (Lino) Bernardelli Franco Bianchi Gianfranco Bontempi Giulio Camplani Ippolito Casari Giuseppina Ci nel I i Franco Conter Mario Corbani Franco Cotelli Piero Damonti Santina (Berta) in Belleri Lazzari Vittorio Massussi Franco Migliorati Domenico Moreni Primo Orizio Francesco (Cichino) Panelli Lina in Pacchetti Pedretti Luigi (Sergio) Peli Riccardo Podestini Cesare Rizzini Andreine Rovetto Cesare Ruggeri Silvio Tanfoglio Giuseppe Tanghetti Mario Liberti Gianni Zanelli Giovanni Zanetti Chiarina ved. Ferraglie Zoli Mario Cittadini Gardonesi riconosciuti con brevetto di Partigiano e di Patriota. PARTIGIANI (122a Brigata Garibaldi) (Ermanno Margheriti delle Fiamme Verdi) Lino Belleri Ippolito Camplani Paolo Camossi Carlo Buizza Mario Zoli Gianni Liberti Adler Timpini Andrea Perini Giacomo Pedretti Antonio Pedretti Francesco Orizio Alfredo Muffolini Luigi (Sergio) Pedretti Narciso Ardesi Giulia Bentivoglio Elena Casari Giovanni Casari Rinaldo Casari Guglielmo Contrini Francesco Cotelli Pietro Daffini Silvio Ruggeri Aquilino Saleri Battista Salvinelli Ugo Tanghetti Mario Tanghetti Giulio Tanghetti Bruna Tanghetti Alfonso Rinaldini Cesare Podestini Giuseppe don Pintossi Darlo Dilda Battista Perdetti Giuseppe Fada Emilie Lombardi Ottorino Tanghetti PATRIOTI (122a Brigata Garibaldi) Angelo Camplani Giovanni Villa Teresa Tanghetti Francesco Rinaldini Gianfranco Bianchi Franco Cinelli Giulia Cinelli Gaudenzio Cotelli Pietro Sartori (FF.VV. Ermanno Margheriti) Ajmone dr. Luigi Antonio Alberti Giovanni Brignoli Francesco Brearava Luigi Zambonardi Numida Zadra Gelso Zadra Pietro Timpini (Cico) Felice Tiboni Maria Tanghetti Giuseppe Tanfoglio Giuseppe Polotti Natale Pedretti Bedognè Angelo Pierino Gitti Annibale Fada Giuseppe Sabatti Luciano Franzini (VII8 Brigata Matteotti) Francesco Botti Stefano Tononcelli Guido Poli Cesare Moretta Francesco Goliardi Angelo Sedoli Non riconosciuti anche se hanno partecipato alla Resistenza. (122a Brigata Garibaldi) Giuseppe Borghetti Gelindo Telò Marino Poli Mari Anziati Guido Poli Emma Bentivoglio Domenica Grassi Bruno Pacchetti Elena Franzini G.Battista Sabatti Stefano Sabatti Elio Frascio Luigi Casari Pasquino Tanghetti (FF.VV. E. Margheriti) Guido Bresciani Orsola Tonini Ettore Torcoli Alba Tanghetti Giuseppe Panelli Giacomo Novali Guido Bolis Giovanni Bianchini Mario Gitti Giacomo Cucchi Battista Rovati Francesco don Rossi Paolo Tosi (VII3 Brigata Matteotti) Italo Belleri (FF.VV. Brigata X Giornate) Attilio Franzosi (Giustizia e Libertà Brigata Barnaba) Secondo Tanghetti Eugenio Beccagutti Celestina Dorigo Domenica Dorigo (Isolati) - »*-•• e ' * •* -'-' Maggio 1945 — foto di gruppo dì partigìani ed "insurrezionali" gardonesi sulla piazza antistante l'ex casa del fascio. 1943 - UN SEMESTRE DI SPERANZE DISILLUSE La fine del fascismo - L'otto settembre Le prime formazioni parmigiane - II colpo alla Beretta - 1 primi arresti. Alle ore 23,45 della domenica 25 luglio 1943 l'EIAR (ente italiano audizioni radiofoniche) interrompeva all'improvviso i suoi programmi per comunicati importanti: un breve commento poi la lettura di due appelli, uno del Re e l'altro del generale Pietro Badoglio nominato poche ore prima primo ministro al posto del dimissionario Benito Mussolini. Così quarantacinque anni fa il popolo italiano apprendeva della caduta e della fine del fascismo dopo 21 anni di regime e nel VII0 anno dell'impero. Dell'arresto di Mussolini non se parlava; lo si verrà ad apprendere nei giorni successivi dai giornali. I due appelli, volutamente reticenti, miravano infatti a presentare il cambio della guardia come una semplice formalità resasi necessaria dopo i tracolli militari che avevano portato le truppe anglo-americane a sbarcare in Sicilia. Parafrasando un termine calcistico un semplice cambio d'allenatore per dare uno scossone salutare ad una squadra che non andava. Infatti in buona sostanza sia il Re che il nuovo Primo Ministro avevano sottolineato che "la guerra continua" ed a fianco degli alleati nazisti. La popolazione aveva però compreso l'effettiva portata dell'avvenimento e, nonostante l'ora tarda e l'alierà limitata diffusione di apparecchi radio, si registrarono subito nelle grandi città le prime manifestazioni di giubilo per la caduta del fascismo e con la segreta speranza che la successiva mossa politico-militare portasse alla tanto auspicata cessazione del conflitto. Ed infatti il tema della pace fu al centro, il 26 luglio, delle numerose manifestazioni che si erano svolte in quasi tutto il Paese con scioperi in tutte le fabbriche e negli uffici. Il risultato di ventiquattro ore prima era lo sbocco di una crescente ondata di malessere e di proteste nella gente, fra i lavoratori, fra i soldati, per una guerra ingiusta e chiaramente perdente che le classi meno abbienti avevano, e stavano pagando duramente in termini di lutti e di sacrifici. E gli avvertimenti al regime ed alla casa Savoia erano venuti in primo luogo dalla classe operaia con gli scioperi che nel marzo precedente avevano praticamente bloccato l'attività nelle fabbriche più importanti del Nord Italia. In quei luoghi di lavoro ove, nonostante le repressioni, gli arresti e le condanne, migliaia di antifascisti avevano mantenuta viva per tanti anni la fiamma della libertà. La caduta del fascismo venne festeggiata anche a Gardone V.T. con scioperi ed un corteo per le vie della cittadina che si sciolse in piazza Garibaldi dopo brevi comizi dal poggiolo del "Frio", tornato ad arengo popolare, di Giovanni Casari e Cichino Cinelli. Vi avevano partecipato numerosi lavoratori della Beretta, Bernardelli, Redaelli e della OM. Al seguito anche una mini banda composta da Cico Gottardi, Bruno e Battista Pacchetti, Serto Lombardi, Antonio Palini, Battista Antonini (Sangàl). Varie testimonianze ricordano anche i temi di quegli improvvisati comizi: la pace, la libertà per i detenuti politici, un miglioramento delle quote di razionamento viveri e la riduzione dell'orario di lavoro (all'epoca per motivi bellici era di 10 ore giornaliere compreso il sabato). Un particolare abbastanza curioso è venuto alla luce dalla testimonianza di Angelo (Lino) Belleri che sottolinea il carattere assolutamente improvviso della defenestrazione del fascio. Belleri con un altro giovane di Marcheno V.T., Dino Baresi, quel lunedì matti-, na doveva presentarsi al comando della Milizia a Brescia per scontare tre giorni di prigione per non essersi presentati, 48 ore prima, ai corsi della premilitare. Erano sul tram in partenza per Brescia. La manifestazione colse completamente impreparati i "Reali Carabinieri" perché Gardone V.T. — nonostante il suo glorioso passato socialista — non aveva mai creato, negli ultimi anni, preoccupazioni di ordine pubblico e le fabbriche non avevano mai partecipato agli scioperi di fine '42 e inizio '43. Del resto tranne la Redaelli anche nel periodo prefascista la conflittualità sindacale alla Beretta e alla Bernardelli era stata limitata vuoi per la filosofia liberalpaternalistica della Beretta (il corri m. Pietro Beretta esponente dei liberali era stato per anni alleato dei socialisti contro i clericali) ed aveva come contraltare i Bernardelli esponenti di primo piano del "partito popolare" cattolico. Vi è inoltre da tenere presente che i due stabilimenti erano stati dichiarati "stabilimenti ausiliari" dal Commissariato generale per la fabbricazione di guerra sulla scorta del R.D.L n. 1699 del 14 dicembre 1931. La fabbrica Beretta era stata inclusa nell'elenco "Ausiliario" già in data 16 agosto 1935 quando aveva ottenuto "grossi ordini governativi per fucili e moschetti dell'ormai obsoleto mod.1891" prima per la guerra d'Etiopia per l'impero romano e, poi, per l'intervento italiano in Spagna per schiacciare nel sangue la giovane Repubblica democratica. "Rendendo così preponderante-la produzione di armi militari anche per cospique ordinazioni di pistole mod. 34 e, dopo, il 1938 del nuovo moschetto automatico Beretta (MAS)". La qualifica di stabilimento ausiliario determinava per i dipendenti la condizione di "mobilitati civili" che comportava — secondo l'art. 13 della precitata legge — un aggravamento degli ordinar! provvedimenti disciplinari per le infrazioni ai regolamenti interni "elevando di un grado, ed anche di più gradi in caso di speciale gravita, le punizioni stabilite dai regolamenti stessi". Non solo ma "nel caso di abbandono del servizio per oltre cinque giorni, o per 24 ore se trattasi di dispensati, di ammessi a ritardo ed esonerati dal richiamo alle armi per mobilitazione" il deferimento al Tribunale Militare per il reato di diserzione anche in tempo di pace. La misura determinava ov10 viamente anche l'immediata revoca dell'esonero o dispensa e l'awio al corpo di appartenenza. Ogni dipendente era a conoscenza di queste disposizioni perché aveva dovuto sottoscrivere un documento ricevendo una precisa circolare — "segreta da conservare" — nella quale erano riportati, stralciati dal resto, gli obblighi e le eventuali punizioni a cui poteva essere sottoposto. Tutto questo non deve però portarci a conclusioni sbagliate su un possibile disimpegno politico dei lavoratori dei due stabilimenti, oggetto di questa sintetica ricerca, perché come si potrà ampiamente constatare saranno queste due fabbriche a fornire il maggior numero di partigiani combattenti, di patrioti che si impegneranno sia nel periodo resistenziale a procurare armi, munizioni e viveri alle formazioni combattenti, a distribuire materiale di propaganda fra la popolazione, sia a prendere, al momento della liberazione, in mano le armi per difendere le fabbriche, le case e per riconquistare la libertà. Un impegno non estemporaneo perché larga parte di costoro saranno poi i protagonisti della vita politica, amministrativa e sindacale gardonese e non solo della nostra cittadina. Dopo il 26 luglio il lavoro era ripreso regolarmente all'insegna della "guerra continua": serviva infatti materiale bellico ma anche uomini. La Regia Prefettura di Brescia (prefetto Meda) annunciava ai sigg. Podestà e Commissari prefettizi della Provincia, con circolare n. 1670 del 2 agosto 1943, che "verrà, fra breve, disposto il richiamo per mobilitazione dei militari ancora in congedo illimitato, idonei a servizio incondizionato delle classi da! 1907 al 1922 e di quelli idonei a servizio condizionato (ex servizi sedentari) delle classi dal 1914 al 1922. Il richiamo avverrà per manifesto anziché per mezzo di precettazione personale il che comporta che i richiamati dovranno essere awiati al centro di presentazione (proprio distretto) a cura dei Capi delle Amministrazioni Comunali". Un manifesto-richiamo che non riuscirà ad apparire sui muri dei comuni bresciani per l'armistizio dell'8 settembre. Ma nel periodo badogliano, nonostante i divieti, aveva ripreso anche la vita politica. I rappresentanti dei partiti democratici (PSIUP, DC e PCI) si erano riuniti in un comitato interpartitico e pure senza avere loro sedi e loro giornali riuscivano ad ottenere udienza dal Prefetto di Brescia. La prima grossa vittoria, a fine luglio, la nomina di due Commissari dell'industria e dell'agricoltura per coordinare l'attività (nella sede degli ex sindacati fascisti) per quanto concerne la mutua, l'assistenza in generale agli operai e per la sostituzione dei fiduciari fascisti nelle fabbriche. Contemporaneamente erano stati nominati anche i Commissari per gli imprenditori sciogliendo le Corporazioni di natura fascista. Il Prefetto aveva provveduto a nominare quali Commissari il comunista Casimiro Lonati (Spartaco) e Alberto Meneghini. Fra i primi obiettivi "l'elezione, con voto segreto, delle Commissioni interne in tutte le fabbriche con compiti ben precisi: a) di trattare ogni questione sindacale che riguardasse i lavoratori; b) gestire con i lavoratori le mutue interne ove, ovviamente, esistevano; e) esigere che in attesa della ricostituzione della Confederazione del lavoro non vengano effettuate trattenute sindacali di nessun genere (i beneficiari erano le Corporazioni); d) esigere l'immediato allontanamento di tutti gli squadristi e delle spie al servizio del regime fascista". Una carta programmatica che fu alla base delle elezioni delle nuove commissioni interne sia alla Beretta che alla Bernardelli: elette con voto segreto su unica lista composta da una serie di nominativi superiori a quelli da eleggere (alla Beretta per nove commissari, la lista era composta da venti candidati). La Confe- derazione nazionale nacque invece alcuni giorni più tardi e, con decreto governativo, furono chiamati ad assumere gli incarichi Bruno Buozzi (PSIUP), Gianni Roveda (PCI) e Gioachino Quarello (DC) per il settore industria; Achille Grandi ed Oreste Lizzadri per l'agricoltura; Ezio Vanoni per il commercio e Guido De Ruggeri e Piero Calamandrei per i professionisti. Il neo sindacato riusciva ad ottenere anche l'autorizzazione stampa per un quotidiano antifascista "il lavoro italiano" alla cui direzione vennero chiamati Olindo Vennocchi, Alberto Canaletti Gaudenti e Mario Alleata, ma per una serie di disguidi tecnici ed amministrativi riuscì ad essere in edicola a Roma, con un solo numero, il 9 settembre quando già alla periferia della capitale si combatteva contro i tedeschi. Anche sul piano politico i partiti cominciarono ad intessere le file, a riallacciare rapporti con la base. Il primo a farsi sentire fu il Partito Comunista che era riuscito a mantenere attiva una rete clandestina di collegamento, notevolmente rafforzata a partire dalla fine del 1941: con Giuseppe Sabatti (Moretto) alla Beretta assieme ad IppolitoCamplani, Pietro Sartori, Angelo Marchi e Paolo Belleri. Alla Bernardelli ove si ricorda l'opera di proselitismo di Giuseppe Ferraglie (Pi), di Cichino Orizio, di Beniamino Gardone V.T. — Stabilimento della Beretta degli anni trenta (sullo sfondo la chiesa di S. Rocco). 11 Lazzari, di Sergio Pedretti e Paolo Bentivoglio. Mentre più • lungo e travagliato il recupero del PSI e della DC, la nuova sigla che aveva sostituito il partito popolare di Stiirziana memoria. I giorni intanto passavano senza ulteriori novità tranne la sempre più costante presenza di truppe tedesche in Italia mentre oltre mezzo milione di uomini, soldati italiani, delle divisioni più efficienti ed armate del nostro esercito rimanevano bloccate nei Balcani. Alla vigilia dell'armistizio la superiorità tedesca era ormai un dato di fatto tanto che il nostro Paese poteva ormai considerarsi un paese occupato. Il nostro governo aveva effettuato proteste ufficiali e passi diplomatici nei confronti degli alleati tedeschi ma inutilmente. Un incontro fra Hitler e il Re sollecitato dall'addetto militare italiano all'ambasciata di Berlino, gen. Marras, era stato respinto dai tedeschi. Un rifiuto che aveva provocato terrore nel piccolo e pavido re d'Italia ed imperatore d'Etiopia e di Libia tanto da ordinare, ancora in agosto, al gen. Piantoni la messa a punto di un piano di fuga. Ed un successivo incontro in agosto a Tarvisio, aveva messo in luce la volontà dei nazisti di non cedere un palmo dell'Italia, anche contro la volontà degli italiani, come aveva sottolineato il feldmaresciallo Keitel ed il ministro Ribbentropp ai delegati italiani genn. Ambrosio e Gueriglia. Era diventato ormai chiaro a tutti che la cessazione unilaterale, da parte dell'Italia, delle azioni di guerra avrebbe provocato una dura reazione tedesca. Lo stato maggiore dell'esercito, già a metà agosto, 12 aveva inviato ai comandi periferici una nota di servizio in codice per mettere a punto misure di difesa contro probabili attacchi di unità militari non nazionali; misure ripetute pochi giorni dopo in una memoria — la 440 O.P. — agli stessi comandi: "disposizioni da leggere e da distruggere subito". Anche il Comitato interpartitico aveva cognizione delle difficoltà esistenti, della sempre più massiccia presenza di truppe, anche corazzate, tedesche e della inferiorità numerica del nostro dispositivo di difesa. In un appello al popolo italiano si denunciava che le "responsabilità della situazione attuale grava tutta sul governo", si invitava i comitati locali alla mobilitazione, affinchè "il popolo e le forze armate siano pronte a rispondere in salda concordia all'appello per la salvezza dell'onore e della idealità della patria". L'otto settembre Ed è in questo clima confuso che l'Italia giungeva all'armistizio il 3 settembre a Cassibile, alle ore 17,15 nella tenda della mensa ufficiali dell'accampamento anglo-americano presente anche il gen. Eisenhower comandante in capo dello scacchiere del Mediterraneo. E reso noto al popolo, sempre via radio, alle 19,45 dell'8 settembre. A leggere il messaggio alla nazione era stato lo stesso gen. Badoglio, con voce stanca, precisando che l'Italia aveva posto fine alle ostilità contro gli anglo-americani e che l'esercito era pronto a reagire ad "eventuali attacchi di qualsiasi altra provenienza". Quarantacinque giorni di tergiversazioni, di tortuose macchinazioni ispirate dalla paura, si concludevano così con la bancarotta di una politica tesa sì al compromesso, ma aliena dalla ricerca di quel consenso popolare che pure il 25 luglio si era manifestato spontaneo ed imponente. Di fronte ad un esercito disorientato, tradito in larga misura da numerosi generali, la reazione tedesca non si fece attendere con il disarmo e l'arresto di numerose unità italiane. La conferma alle disposizioni della "memoria 440 O.P." non venne mai spedita e solamente il mattino del 9 settembre il "Superesercito", istituito dopo la caduta di Mussolini con compiti di coordinamento, invierà a tutti i comandi il fonogramma n. 24.202 ancora più contradditorio rispetto agli ordini precedenti, invitando tutte le unità a "non prendere, in nessun caso, l'iniziativa di atti ostili contro i germanici". In pratica una politica attendista mentre i battaglioni e le compagnie italiane si sfaldavano sotto la parola d'ordine "la guerra è finità: tutti a casa". Il 9 settembre a Gardone V.T. le fabbriche rimasero praticamente chiuse; si era provveduto a liberare i pochi prigionieri alleati dell'Oneto ai quali si aggiungeranno quelli del campo di concentramento di Vestone. Il baraccamento militare a sud del paese, zona convento, veniva in poche ore completamente distrutto; tutto fu asportato: baracche, vestiario, viveri, armi e munizioni; nella vasta campagna rimasero solo i basamenti in cemento. I soldati chiedevano solo abiti civili per tornarsene, chi poteva, a casa mentre alcuni avevano cercato ospitalità in famiglie amiche; per diversi Gardone rimase dopo la guerra la sede stabile per costruirvi una famiglia e per continuare un lavoro. La mattina del 10 settembre l'allarme per l'improvvisa comparsa di alcuni blindati tedeschi, con fuga di migliaia di persone nelle valli di Gardone e di Inzino. I tedeschi si limitarono a prendere visione della situazione esistente, dello stallo nelle fabbriche, contattarono le forze dell'ordine, i carabinieri rimasti al loro posto, per poi ripartire. I giovani e meno, ancora idonei al servizio militare, esonerati od ammessi al rinvio, preferirono, per alcuni giorni, rimanere lontani dalle fabbriche, su in montagna o presso famiglie amiche in piccoli centri della Valle, Polaveno o Ome. Per i tedeschi l'importante era la ripresa del lavoro e già il 13 settembre apparivano sui muri manifesti invitanti a ritornare nelle fabbriche, smentendo notizie allarmistiche sparse in quelle giornate. L'appello tedesco infatti precisava "nessuno deve temere nulla se ritorna al proprio posto di lavoro e vi svolge la sua attività abituale". Ed anche l'Unione industriali rivolgeva un appello ai suoi associati perché "facciano opera di persuasione presso le maestranze chiarendo che, da parte tedesca è assicurata la disponibilità del contante per effettuare regolarmente le paghe; le autorità competenti assicurano il regolare vettovagliamento per l'alimentazione e per l'approvvigionamento delle materie prime; per l'organizzazione dei trasporti sono in corso accordi con le competenti autorità per le singole categorie dell'industria". Intanto i tedeschi avevano assunto il comando di tutta la provincia affidata sotto il profilo militare, assieme a quella di Cremona, al col. Von Wuthenau; da parte fascista si era provveduto alla nomina di un triumvirato affidato ai "camerati" Becherini, Bastianon e Sorlini. Anche i partiti trasformavano il loro comitato interpartito nel CLN (Comitato di Liberazione Nazionale) che si riunisce nella Villa Venturelli di Gussago: i primi membri sono Riccardo Testa (DC) Bigio Savoldi (PSIUP) Giuseppe Ghetti e Casimiro Lonati (PCI), Antonio Vasa (Giustizia e Libertà), Ermanno Leonardi (Partito d'Azione), responsabile militare il col. Giovanni Pizzuto. Il CLN a Gardone V.T. sorse qualche mese più tardi, almeno ufficialmente, perché in provincia la proiezione delle costruzioni organizzative centrali giungeva in quei periodi distorta o perlomeno molto approssimativa. Ma non per questo gli antifascisti rimasero a guardare lo svolgimento degli avvenimenti; anzi all'indomani dell'8 settembre si mise in moto una vasta attività per accogliere ed awiare sui monti i giovani militari sbandati o i gardonesi che avevano abbandonato i loro reparti. Si andarono costituendo così vari gruppi di sbandati e di ex prigionieri: il più numeroso a Croce di Marone, uno a Colma di Zone, un terzo nelle località Spiedo e Croce di Pozzuolo, al comando di Francesco (Òichino) Cinelli dove si trovavano numerosi gardonesi ed uno in località Fai. La maggior parte però degli uomini era disarmata ed il munizionamento, anche per coloro che detenevano un fucile od un mitra era molto scarso. Possibilità di riforni- Cascina Zubani Oreste (Seracche - Rovedolo) — Importante base di rifornimento del gruppo autonomo russo. 13 mento potevano venire dalla Beretta Armi, perché la Bernardelli in quel periodo produceva solo spolette d'artiglieria mod. 1.0.40. Alcuni erano convinti che le armi -si potevano ottenere tramite una negoziazione con Beretta, altri invece, in modo particolare Cichino Cinelli, Masetti Giuseppe (Pi), il dr. Luigi Aimone, Sortolo Baglioni ed Angelo Marocchi, ritenevano che si doveva compiere un colpo di mano presso la fabbrica ed al più presto approfittando del fatto che lo stabilimento non era ancora presidiato dai tedeschi. Vinse, in un primo momento, la prima tesi e si imbastirono una serie di incontri con la proprietà Beretta. Il primo impatto presso l'osteria Cinelli ad Inzino. Rappresentava la Beretta Gianni Cavagnis, nel 1944 diventava poi capo della compagnia Brescia e successivamente del battaglione Adamello della Brigata nera E. Tognù. Un secondo in casa Baglioni, spónda sinistra del Meila con il comm. Pietro Beretta; all'incontro erano presenti Silvio Ruggeri, Giuseppe Masetti, Ardiccio Moretta, Francesco Orizio, Gianni Pacchetti e Peppino Pelosi. Ma le trattative vanno per le lunghe e si manifestano inconcludenti anzi, è l'impressione dei più, che Beretta preferisca un'azione di forza piuttosto di consegnare le armi che produce, su sua ammissione, non per i tedeschi né per i fascisti ma per l'Ungheria e la Romania. Si decideva allora di passare all'azione. Cichino Orizio e Beppe Pelosi venivano inviati a Brescia per prendere contatti con il CLN provinciale ed ottenere l'autorizzazione al colpo. All'inizio la proposta 14 veniva accolta con freddezza, ma dopo una lunga ed accesa discussione otteneva via libera ai gruppi per l'azione che scattava la notte fra il 6 ed il 7 ottobre. In mattinata vi fu una ulteriore riunione ed il piano venne perfezionato in casa di Gianni Pacchetti. Ai "ribelli" un importante appoggio logistico venne fornito da un gruppo di lavoratori della Beretta. Ricorda Lina Panelli-Pacchetti che la sua abitazione, un appartamento in una casa popolare di via Valle, fu scelta perché era la più tranquilla e la coppia senza figli. Poco prima del colpo ricorda che Pelosi gli fece esaminare alcuni uomini travisati senza riuscire a conoscerli anche se fra questi vi era il marito Gianni. Non fu proprio così durante il colpo perché, forse con un'inchiesta interna, si riuscì, da parte della Beretta, a ricostruire "l'identikit" — come si dice ora — di almeno cinque dipendenti che parteciparono al colpo: messi in condizione di licenziarsi non saranno mai più riassunti, tranne ovwiamente Vincenzo Zaina, consegnatosi dopo un periodo di montagna e morto in tragiche circostanze in provincia di Nòvara 111 maggio del 1945. Quando fu fatto prigioniero apparteneva alla Xa Mas. Fra gli altri Battista Belleri, Giovanni Pintossi (Gianni Negher). Il colpo alla Beretta II colpo alla Beretta si svolse con perfetta sincronia, secondo le regole di una perfetta azione militare. I partigiani, riuniti parte in Valle di Gardone ed alla Chiesa di S. Rocco bloccarono le strade. A Villa Carcina, anche per escludere Lumezzane, ove si trovava un grosso presidio fascista, vennero tagliati i fili del telefono da parte di Cecchino Orizio, Spartaco Belleri ed Eugenio Beccagutti: mancavano cinque minuti a mezzanotte e subito dopo entravano in azione i partigiani. Un gruppo prendeva d'assalto la fabbrica dopo essersi fatti aprire con uno stratagemma la porta in via Siepi, mentre un altro formato da gardonesi della banda Cinelli prendeva posizione davanti alla caserma dei carabinieri piazzando anche una mitragliatrice. Ma i carabinieri "o non si accorsero di nulla o decisero di non muoversi" ricorda Andreine Rizzini, che partecipò con Angelo Belleri, Marino Poli ed un Bonsi detto Paris. Il bottino di armi e munizioni fu ingente anche se una grossa partita di pallottole cai. 9L nascoste sotto una "pila" di legna al Banco di Prova, sfuggì alle ricerche. Si è sempre parlato di oltre 300 mitra, di un migliaio di pistole, di alcune decine di fucili da guerra oltre a munizioni di vario calibro. Armi che ancora in nottata dopo averle portate alla base (la Chiesa di S. Rocco), venivano divise fra le formazioni che avevano partecipato all'impresa ed in parte nascoste sia nella Chiesetta, sia nel campanile della parrocchiale di Gardone V.T.Una parte raggiunse le baite sopra Marchenò utilizzando una carretta del Baglioni, riportata il giorno dopo (Sabatti Paolo). La reazione dei tedeschi, sopraggiunti in forze e con mezzi blindati, di primo mattino, non si faceva attendere. I membri della Commissione interna della Beretta ed i candidati in lista venivano convo- cati presso la portineria degli uffici. Al centralino a dettare i vari nominativi Gianni Cavagnis, uno dei dirigenti della fabbrica. "Al mattino — ricorda Ippolito (Felice) Camplani—il lavoro era ripreso regolarmente, presenti anche i ragazzi (ancora in fabbrica) che avevano partecipato all'azione. Ero preoccupato, perché prima di riprendere il posto, erano venuti da me, tutti euforici, per parlare del colpo eseguito. Temevo che ne parlassero anche con gli altri ma invece fecero il loro dovere. Nel pò meriggio poco dopo le ore 14, vengo chiamato dal capo reparto perché sono atteso in portineria uffici e vi trovai, sotto gli occhi attenti dei carabinieri armati, tutti i candidati per l'elezione della Commissione interna. Ne mancavano solo tre: Sartori, che aveva fatto il turno di notte, Dino Gallizioli e Giovanni Ferraglio malati o finti malati". Arrestati e tradotti a Canton Mombello; Angelo Baglioni, Ippolito Camplani, Giovanni Casari, Ugo Cinelli, Domenico e Marco Geminassi, Ugo Cotelii, Piero Daffini, Bruno Pacchetti, Angelo Marchi, Antonio Rusconi, Silvio Ruggeri, Giuseppe Zaina, Piero Timpini e Piero Guerini. A questo elenco si aggiungevano il prevosto don Francesco Rossi, il dr. Luigi Ajmone, Leone Baglioni, Bibi Bolognini, Pierino Combini e Zaverio Consoli, ex sindaco socialista di Lovere. Alcuni verranno liberati dopo pochi giorni, gli altri, specialmente i politici — con Pietro Timpini — saranno gli ultimi a lasciare il carcere dopo 63 giorni di prigionia. Il momento peggiore era venuto per loro il 31 otto- Tessera 41 riconoscimento rilasciata dalla Ditta ^£±A. ^^W «tesero rerisoluzione Tessera di riconoscimento rilasciata dalla ditta P. Beretta e vidimata con timbro datato 24-11-1943 dal Comando tedesco. bre, quando, in un attentato contro il carcere di Spalto San Marco, perdeva la vita il direttore Dr. Miraglia ed un milite. Don Francesco Rossi fu il primo a lasciare il carcere anche per le pressioni del Vescovo mons. Tredici. Armati i gruppi, rimaneva il problema di rifocillare una massa di gente che andava aumentando ogni giorno, per cui si decise di operare un al- tro colpo di mano, questa volta a Tavernole presso il Consorzio Agrario. All'operazione parteciparono 75 uomini: 25 armati, gli altri disarmati serviranno per il recupero ed il trasporto dei latticini e dei formaggi. Fra i disarmati ex prigionieri di guerra iugoslavi e senegalesi. Per il trasporto il CLN provinciale prowedeva ad inviare tre autocarri della OM con au- 15 tisti in divisa tedesca; a dirigere l'operazione, Gianni Longhi, della banda Martini, passato poi alla RSI e delatore nei confronti dei vecchi compagni di lotta. I gruppi si portarono all'appuntamento a Gimmo, davanti alla Chiesa per le ore 18, da diverse località: erano presenti fra gli altri, Gianni Negher, Vincenzo Zaina, Giovanni Casari, Andreine Belleri e Cesare Ravagnani. Veniva bloccata la strada ed il telefono e si entrò nel consorzio utilizzando la tecnica dell'ariete — un autocarro si aprì la strada infrangendo la vetrina principale — dopo aver disarmato e fermato i carabinieri della locale stazione. Requisito il formaggio e recuperate lire 20.000 che furono consegnate al gerente. Nessun incidente lungo' il ritorno; solo in località Piazzette di Gardone V.T., la minicolonna si imbatteva nella ronda composta da tre carabinieri che furono disarmati e bloccati sino al ritorno della camionetta che era andata in VaHe di Gardone (gli altri due automezzi avevano proseguito per Brescia). Le azioni dei "ribelli" e la impossibilità — in quel periodo — a far loro fronte da parte dei fascisti e dei tedeschi determinò entusiasmo specialmente fra i giovani. Il fronte settentrionale era in movimento e la liberazione dell'Italia sembrava solo questione di giorni. Ed anche in montagna si pensava al futuro: si univa in matrimonio a Pezzoro, Cichino Cinelli e nel novembre del 1943 a Santa Maria del Giogo, don Rossi sposava Francesco Rinaldini (Cenciolino) con Giuseppina Casari. A rendere possibili questi matrimoni di brigata, il cappellano militare don Giuseppe (Oscar) Pintos- 16 si, che aveva raggiunto ancora a settembre le formazioni partigiane accompagnato dal suo attendente Michelino Botta. Dopo il colpo alla Beretta, continuava però il lavoro di recupero di ulteriori armi in maniera spontanea, prima, ed organizzata poi. In località Padile nei pressi dell'osteria Facchini una segnalazione dava per certo la presenza di armi nascoste all'indomani dell'8 settembre. Il sopralluogo da buoni risultati, ma ben custoditi si ritrovano solo fucili da caccia di ottima fattura; le chiavi delle casse furono mandate al proprietario: la ditta Beretta, con la spiegazione che ai partigiani quelle non servivano. Intanto all'interno della Beretta si prowedeva a fare uscire clandestinamente alcune armi: sarà poi un canale obbligato per rifornire di mitra spe- cialmente la 122a brigata Garibaldi dopo la sua costituzione. La presenza e l'attivismo delle formazioni partigiane preoccupava i tedeschi che a novembre decidevano il primo grosso rastrellamento nel bresciano. L'operazione partì dal la zona lacustre del Sebino con obiettivo Croce di Marone. Si combattè a lungo dalle sei del mattino sino alle 14 del 9 novembre, ma—anche pertradimenti e defezioni — i partigiani furono costretti a fuggire lasciando morti e feriti. Fra i prigionieri un giovane gardonese Umberto Bonsi, che verrà fucilato in un terrapieno del Castello di Brescia il 6 gennaio del 1944. La sconfitta mise di fronte ad una crudele realtà centinaia di uomini delle formazioni. Sulle montagne di casa rimaneva in azione soltanto il gruppo Cinelli, che per il sopraggiungere delle prime nevi e dell'inverno si era spostato più a valle. Ma l'accerchiamento nemico si faceva più stretto. Era frequente l'apparizione di spie e più difficile superare i posti di blocco con viveri e materiale. Ai primi di dicembre, nei pressi della cascina Calzoni, veniva fermato un individuo sospetto. Portato in località Spiedo, veniva più volte interrogato dai commissari del gruppo Arturo (L. Speziale) e Antonio Faini. Addosso nascosto nella cintura un cifrario, un blocchetto di assegni, salvacondotti tedeschi e del denaro. Inoltre nei pochi giorni trascorsi al campo aveva proweduto ad annotarsi i nomi di battaglia di numerosi partigiani. L'8 dicembre condannato a morte veniva fucilato in località Spiedo. Ciò dava forse l'awio ad un secondo pesante rastrellamento iniziato alle prime luci del 13 dicembre, che interessò non solo Gardone V.T. ma anche Ponte Zanano. I primi arresti 27 novembre 1943, S. Maria del Giogo — Un gruppo di partecipanti alle nozze Rinaldini-Casari—Si riconoscono: Marino Poli, Alfonso Rinaldini, Paolo Camossi, Battista Pedretti (in alto), Santina Raccagni, Elena e Giuseppina Casari, Gianni Pacchetti, Giacomo Rinaldini, Emma Ambrosi, Vittorio Coccoli, (ed accosciati) Rino Coccoli, Francesco Rinaldini (Cenciolino), Amatore Milani e Giovanni Casari. Sorlini ed i suoi uomini potevano contare anche sull'appoggio di unaventinadi uomini della banda Martini che si erano costituiti. Conoscevano indirizzi di collaboratori e le locai ita ove Cinelli si era acquartierato (il suo comando era alle porte di Gardone V.T. all'inizio della Valle in casa Donati). Gli arresti sono numerosi: Gino Benetti, Attilio Zambonardi, Belleri (Bagolina) ed in uno scontro a fuoco in località Calzoni, fu ferito anche il Cinelli che riusciva però a sfuggire alla cattura. A Gardone intanto un gruppo di fasci- sti faceva irruzione in casa di Giulio Tanghetti, in via Diaz, che da alcuni giorni ospitava quattro prigionieri inglesi in attesa di mandarli in montagna. I fascisti giunsero a colpo sicuro e scoperto uno degli ex-prigionieri (Sint Shaw) non eseguirono alcuna perquisizione: bloccarono la signora Tanghetti e la figlia Maria e lasciarono la casa permettendo agli altri familiari di far uscire i tre inglesi e di metterli in salvo. Il capofamiglia veniva arrestato alla Beretta ove lavorava. Anna Fumasini e la figlia Maria verranno poi rilasciate, mentre Guido Tanghetti rimarrà in carcere per lunghi sette mesi. Condannato a morte dal Tribunale Speciale di Parma si vedrà commutata la pena con destinazione Germania. Fortunatamente interveniva il rag. Vincenzo Bernardelli che riusciva ad ottenere, per lui, l'esonero dal servizio coattivo di lavoro in Germania e a farlo rimettere in libertà, assumendolo come operaio specializzato nella sua fabbrica d'armi. Il Tanghetti raggiungerà poi i familiari in montagna fra le file partigiane. Fu l'ultimo gardonese che vide, prima della fucilazione, Francesco Cinelli e fu al fianco del rag. Carlo Beretta nei momenti più duri di isolamento dopo il suo arresto. II 17 dicembre Riccardo Peli, appena diciassettenne, cercava di "rubare" assieme a Giovanni Mondinelli, tutti e due di Marcheno e dipendenti della Beretta, un mitra per fornirlo ad un giovane in procinto di salire in montagna. L'impresa, per una serie di circostanze awerse, non andò in porto e i due furono arrestati. Peli rimarrà in stato di arresto per quattro giorni, mentre il Mon- dinelli potrà tornare a casa solo alcuni mesi più tardi. Ma l'odissea di Riccardo Peli non era finita: licenziato dalla Beretta, fu inviato in Germania al campo di Dachau. Un'identica azione era riuscita invece prima a Lino Belleri e Luigi Amadini: asportarono due mitra che poi nascosero per utilizzarli. L'ultimo atto del 1943: l'arresto a Carpenedolo, su delazione di Francesco Cinelli. Si chiudeva così un periodo che era stato foriero, all'inizio, di tante speranze di libertà e di pace e che coll'inverno registrava nere prospettive per il futuro: gli alleati sempre più lontani, il movimento partigiano in Valle Trompia in quel momento sconfitto ed annullato. Sui monti solo qualche sbandato ed un gruppo di ex prigionieri russi, che per mesi furono gli unici protagonisti della resistenza nella media valle. Attorno a loro però si fece subito sentire la solidarietà e l'appoggio delle popolazioni, dei lavoratori e dei partiti antifascisti. 17 1944 - UN ANNO DI RESISTENZA I tanti morti - 1 giovani del 1926 - L'estate di lotta - L'attesa della liberazione. Giuseppe Contessa Domenico Contessa Periti nei campi di sterminio Francesco Gazzaroli 18 Onorino Moretti Il 1944 iniziava con prospettive ancora più fosche. Alcuni sbandati che per un certo periodo erano stati in montagna e poi avevano aderito alla RSI (Repubblica Sociale Italiana fondata dai fascisti), finirono per diventare delatori al servizio di tedeschi e fascisti. Il CLN provinciale veniva decimato da arresti nelle giornate fra il 4 ed il 6 gennaio. Incominciarono i processi e le fucilazioni: il 31 dicembre ad aprire le fila dei morti erano stati il ten. col. Ferruccio Lorenzini e tre suoi uomini: Giuseppe Bonassoli, Rene Renault e Kostantinos Jougiu. Il gruppo Lorenzini aveva iniziato la sua attività sui monti di Polaveno. Il 6 gennaio era stato il turno di Umberto Bonsi. Il movimento resistenziale sembrava ormai allo sfascio dopo l'arresto di alcuni capi partigiani come Ermanno Margheriti, Astolfo Lunardi, Giacomo Perlasca e Mario Bettinsoli. La Valle Trompia era ancora teatro, nelle giornate del 12 e del 13 gennaio, di un vasto rastrellamento che investirà anche la Valle Sabbia. Il 27 veniva fucilato Francesco Cinelli; "Brescia Repubblicana", l'organo dei fascisti bresciani, ne dava l'annuncio sotto il titolo "fucilazione di un capobanda", presentandolo come uno che terrorizzava le popolazioni, si dava, con altri a furti, rapine ed omicidi, saccheggi ed atti di violenza contro militari germanici. "Uno dei capi della banda, certo Cinelli Francesco da Gardone V.T. fu condannato a morte dal Tribunale di guerra del comando militare germanico e giustiziato ieri all'alba". La notizia apparve nell'edizione del 28 gennaio sotto quella annunciante la convocazione a Brescia del "Tribunale Speciale per la difesa dello Stato" per giudicare la "banda Lunardi". Astolfo Lunardi ed Ermanno Margheriti condannati a morte furono fucilati al poligono di Mompiano l'alba del 6 febbraio due settimane prima dell'esecuzione di Perlasca e Bettinzoli. Ed il 29 febbraio chiuderà la lunga serie Peppino Pelosi, uno dei protagonisti del colpo alla Beretta, ammazzato a S. Michele di Verona. Ma mentre era più aspra la reazione nazi-fascista, il CLN, dopo i primi sbandamenti, si riorganizzava con nuovi uomini; riprendeva le azioni di disturbo e di sabotaggio, tanto che il prefetto di Brescia, Gaspare Barbera, si vedeva costretto a emettere un decreto che "vieta il transito in bicicletta dalle ore 18 alle 5 del mattino successivo". Il 18 febbraio veniva emesso dalla RSI un duro bando di reclutamento; molti giovani aderiscono per poi lasciare, a primavera, le caserme e rifugiarsi sui monti. Anche a Gardone V.T. in primavera sorgeva il CLN comunale composto inizialmente da Ippolito Camplani (Felice) per il PCI; Renzo Franzini (Franco) per il PSIUP (sorto dalla fusione, ancora nel 1943, fra il PSI ed il MUP: Movimento di Unità Popolare) e Battista Rovati per la DC. Francesco Cinelli, fucilato il 27 gennaio 1944 a Brescia. Renzo Franzini verrà sue cessivamente sostituito con Paolo Leali. Il CLN aveva il compito di mantenere i collegamenti con il centro di Brescia e coordinare le attività dei vari gruppi di patrioti che agivano nelle fabbriche e fuori. Ripartiti praticamente in due gruppi ideologicamente distinti ma in continua ed attiva collaborazione fra loro. Uno faceva capo a Giuseppe Masetti, Sortolo Baglioni e Pietro Ferraglie, mentre l'altro gravitava attorno ai sacerdoti ed aveva come esponenti di punta Gino Pintossi, Battista Rovati e Battista Pardetti (Roma). Mentre all'interno dei due stabilimenti gli elementi più attivi erano alla Bernardelli: Francesco (Cichino) Orizio, Giuseppe Ferraglie (Pi), Beniamino Lazzari, Libero Ferraglie, Ardicelo Moretta, i fratelli Cico e Adler Timpini, Giovanni Cartella, Franco Massussi, Gianfranco Bianchi, Adele Carlenzoli, Lisi Coccoli, Francesco Cotelli, Angelo Gitti, Luigi (Sergio) Pedretti, Bruno Gabrieli, Franco Corbani, Eugenio Beccagutti, Gettoni 19 (Barba), Silvio Bordiga, Ange lo Zoli, Paolo Bentivoglio, Angelo Scaroni, Giuseppe Berna ed in parte potevano contare sul rag. Vincenzo Bernardelli, pronto a concedere qualche permesso in caso di necessità. A coordinare l'attività del CLN aziendale prowedevano Paolo Bentivoglio, Ardiccio Moretta e Angelo Gitti. Un discreto numero di attivi patrioti, ai quali bisognava aggiùngere altre decine di persone, in prevalenza donne, indispensabili per azioni di propaganda e per portare fuori i chiodi a tre punte che venivano poi smistati a Brescia. In fabbrica inoltre in quel periodo, non ci si mobilitava solo per la lotta armata o per raccogliere aiuti ed armi ai partigiani. Anzi questo fu forse un aspetto che riusciva ad interessare solo una minoranza degli oltre 600 dipendenti della Bernardelli; ciò che coinvolse invece la maggioranza delle maestranze, fu un'attività, che si potrebbe chiamare presindacale, su molti aspetti della condizione operaia del periodo: dai salari, alle tessere annonarie, a minute questioni di reparto o addirittura che riguardavano singoli operai. E alla Beretta: Ippolito Camplani, Pierino Sartori, che diventerà il Sindaco della Liberazione, Carlo Buizza (Carli), Angelo Boniotti, Popi Sabatti, Giovanni Casari, Numida Zadra, Cesare Podestini, Remo Levi, Giovanni Bianchini, Silvio Buggeri, Franco e Ugo Cinelli, Angelo Baglioni, Domenico e Marco Geminassi, Ugo Cotelli, Piero Daffini, Bruno Pacchetti, Angelo Marchi, Antonio Palini, Gino Pintossi, Giovanni Resinelli — Sindaco poi di Marcheno —, 20 Antonio Rusconi, Pietro Timpini, Battista Salvinelli (iniziò la sua attività alla Bernardelli per essere assunto poi al 18 aprile '44 alla Beretta), Francesco (Cenciolino) Rinaldini, Andreino Bondio, Cico Gottardi, Francesco Pederzani, Paolo Belleri, Giacomo Innocente Belleri, Angelo Camplani e Gianni Uberti. E diverse donne: Giulia Bentivoglio, Elena Casari, Teresa Tanghetti, Bruna Bertarini e Lina Saiani. Le due fabbriche daranno un discreto numero di uomini alle formazioni di montagna: Lino Belleri, Mario Zoli, Francesco Moretti, Giovanni Casari, Silvio Ruggeri, Elio Frascio, Sergio Pedretti, Giuseppe Ferraglio, Giuseppe Sabatti (il Moretto), licenziato nel 1943, Battista Belleri, Giovanni Pintossi e Vincenzo Zaina. Alla Beretta l'azione "raccolta armi" interessò un notevole numero di dipendenti: dai colpi individuali della fine '43 si passò ad un lavoro più sistematico puntando sulle parti d'armi da far uscire, specialmente durante gli allarmi, allorché veniva meno la sorveglianza dei tedeschi, dei fascisti e delle guardie. Nascoste in punti prestabiliti nell'Oneto venivano raccolte la sera e portate presso l'abitazione di Angelo Boniotti in Rovedolo, ove si prowedeva ad assemblare i pezzi e rendere agibili le armi. I pezzi mancanti venivano sostituiti il giorno dopo; con Francesco (Cico) Gottardi e Francesco Pederzani a punzonare i pezzi nuovi con le matricole di quelli asportati per evitare che i tedeschi si accorgessero delle mancanze. Dopo il colpo alla Beretta si era insediato un presidio di tedeschi: una ventina di uomini, più i sottufficiali, alloggiati o in fabbrica o in appartamenti della Beretta in via Siepi. Vi rimasero — potenziati però nel numero - sino al 26 aprile 1945. Un lavoro pericoloso ma continuo che vedeva impegnate decine e decine di persone: uomini, donne ed alcuni impiegati, (in condizioni di privilegio rispetto agli altri perché non soggetti a perquisizione al momento dell'uscita dalla fabbrica per fine turno). Era solo un aspetto dell'impegno politico: l'altro riguardava azioni di sabotaggio sul materiale finito. La Beretta in quel periodo — siamo nel 1944 — produceva, secondo alcune testimonianze, circa 1.500 mitra al giorno che venivano ritirati una volta alla settimana, in giorni sempre diversi, per evitare possibili sorprese partigiane sulla via del ritorno verso Brescia. Gli operai che venivano addetti al carico, venivano scelti all'ultimo minuto ed erano obbligati a fermarsi in fabbrica al termine del turno di lavoro ordinario. Nella squadra vi era sempre qualcuno collegato con la Resistenza: cercavano di salire sugli autocarri o, stando a terra, di essere gli ultimi della catena di uomini. Col favore del buio si riusciva quindi a sabotare diversi mitra sbattendoli contro le sponde dell'automezzo, obbligando poi, a giorni di distanza, a riportare le armi intaccate, per la riparazione nello stabilimento. Ed anche in azioni di proselitismo e di diffusione di materiale di propaganda e di cartelle per il "soccorso rosso". Un compito anche questo non facile ed estremamente rischioso perché Gianni Cavagnis, uno dei dirigenti della Beretta, arruolatosi nella brigata nera Tognù, manteneva nella fabbrica rapporti con delatori "suoi fiduciari" come scriveva al cap. Bonometti, comandante della stazione gardonese della GNR (Guardie Nazionali Repubblicane) che aveva sostituito i carabinieri. "Ti comunico che la distribuzione dei manifesti (ciclostile) nello stabilimento è stata fatta da Sartori Pietro (reparto canne) che con Camplani Ippolito e Marchi Angelo dirigono il movimento sovversivo". O, altra missiva al Bonometti: "mi risulta che il rag. Attilio Bosatta della ditta P. Beretta, commentando il discorso del DUCE, si esprimeva nel modo seguente: è un discorso esaltato; per difendere la valle padana non bisogna stare alla Stocchetta, ecc. ecc. Ti prego di sentire tali persone e, se necessita, portarle alle prigioni della Brigata in via Crispi. Fammi il piacere di comunicarmi qualche cosa in merito e nel tempo più sollecito". O: "avrei un piacere da chiedervi ed uno solo... desidero par/are con Zanardelli Giovanni detto "Barbilù" di Col/io, ex ribellista, al più presto possibile. Anche nella vostra caserma (a Gardone V.T.) vi comunicherò dopo il perche". (Zanardelli Giovanni, detto il "barbù" e non come erroneamente scriveva il Cavagnis, era in effetti un collaboratore delle Fiamme Verdi, come riporta Pietro Gerola nel suo libro "Nella notte ci guidano le stelle"). Un capitano, il Cavagnis, che ci teneva, almeno ufficiosamente, al buon nome, suo e dei brigatisti, tanto da sollecitare il suo camerata Bonometti ad interessarsi perché "presso l'orologiaio Bat- taglia c'è un orologio in riparazione. Questo orologio è stato rubato a Camplani durante un rastrellamento. Credo l'abbia consegnato un russo di guardia presso lo stabilimento Beretta. Interessati. Questo signore (il russo) era in rastrellamento con noi e non vorrei che i proprietari dessero la colpa a noi". L'awento della bella stagione, il ritorno in montagna di tanti giovani, la nascita di nuove formazioni partigiane unitamente alla sempre scarsa incidenza sulla popolazione degli slogan mussoliniani, preoccupava la repubblica fascista. Caduti nel vuoto i larghi appelli alla socializzazione — come previsti dalla carta di Verona — su un coinvolgimento nella gestione delle aziende dei lavoratori, vuoi per l'indifferenza degli imprenditori e per una palese contrarietà dei loro stessi padroni nazisti, i "repubblichini" erano ripiegati su una socializzazione in scala ridotta, cercando di coinvolgere i datori di lavoro in una politica di apertura verso i lavoratori specialmente su quei temi (scarsità di generi alimentari, prezzi alle stelle per la borsa nera) al centro di numerose rivendicazioni operaie. Ed anche la Beretta seguendo questo filone aveva aperto nel 1944 uno spaccio di alimentari, ove a prezzi calmierati, si poteva trovare qualcosa in più e fuori della tessera annonaria, oltre a distribuzioni periodiche di patate, sale, scarpe militari e copertoni per bicicletta. I tedeschi dal canto loro assicuravano, nelle zone strategiche per la produzione di materiale bellico, il regolare afflusso dei generi alimentari tesserati contrariamente a quanto avveniva nei comuni vicini. Una disparità di trattamento che porterà, per esempio, il Commissario prefettizio di Marcheno a lamentarsi con il Prefetto di Brescia, Innocente Dugnani, che nel maggio del 1944 era subentrato al Barbera. "A Gardone V.T. l'assegnazione è superiore per quanto riguarda alcuni generi alimentari. Da notare che la massa di popolazione operaia è occupata a Gardone V.T. per cui la disparità di trattamento è a portata di ogni famiglia. Ciò nuoce alla tranquillità ed all'umore". Nel gennaio del 1945 a Marcheno non si avrà per esempio alcuna assegnazione di sale contro "l'etto per ogni persona distribuito a Gardone V.T." ignorando un supplemento fornito ai propri dipendenti dalla ditta Bernardelli: sale da miniera ma accolto come manna dalle famiglie dei lavoratori. Le attività "socializzanti" venivano affidate in gestione alle Commissioni interne finendo così a far perdere loro la funzione iniziale, limitando la loro attività solo a poteri marginali e non più quello riconosciuto di agente contrattuale fra le parti: "erano solo di supporto alla politica nazi-fascista" — testimonianza di Sergio Pedretti. Per cui i partiti ed il CLN chiesero a coloro che erano stati eletti, prima dell'otto settembre, di rassegnare le dimissioni da tale incarico. Non fu facile raggiungere un'unità su tale decisione, ma dopo ampia discussione con gli interessati le C.l. — elette dai lavoratori — venivano a cessare. Alla Beretta oltre allo spaccio, era sorta anche una men- 21 sa ove, a prezzi stracciati, an che i familiari potevano ritirare, nel tardo pomeriggio, una "gavetta" di minestra, ippolito Camplani ricorda che, agli inizi della primavera, una sera trovò a casa, al rientro dal lavoro, il compagno Spartaco (Casimiro Lonati che nel 1943 quale commissario fu uno dei propugnatori della nascita delle C.l. nel bresciano) con altri due sconosciuti. Le argomentazioni da loro portate per lo scioglimento della C.l. finiscono per convincerlo: chiede solo un po' di tempo per coinvolgere anche gli altri a rassegnare le loro dimissioni. Si giunge presto ad una totale adesione; l'abbandono degli incarichi viene motivato con lo scarso appoggio ed alle lagnanze, nei loro confronti, da parte di numerosi lavoratori. Una decisione che venne comunicata al sindacato fascista (risorto dopo l'8 settembre); furono convocati in sede e spiegarono al fiduciario Carati le loro motivazioni. Alla fine le dimissioni vennero accolte anche per la C.l. della Bernardelli ed i commissari vennero sostituiti da fiduciari nominati dalle organizzazioni fasciste. Alla Beretta fu chiamata la "Commissione della mensa perché i nuovi elementi vi trascorrevano le giornate e di vero sindacalismo fino alla liberazione non se ne vide l'ombra". Alla "Bernardelli" la seconda C.l. risultò in pratica formata da un solo ed unico membro (anche se ufficialmente erano due, Tullio Zamboni e Falda), poiché nessun altro accettò l'incarico. "Non ricor. do come si chiamasse (G. Franco Bianchi); lo vedo ancora però in giacca e cravatta aggirarsi negli "stabiotti" dei 22 capi reparto con l'aria indaffarata alla ricerca di qualcuno che volesse affidargli il ruolo di "difensore operaio". Quasi nessuno lo filava poiché gli operai i loro guai cercavano di risolverli da soli o, nella maggioranza dei casi, di parlarne in giro fino a dar vita, quasi per germinazione spontanea, a gruppi solidali e mettere insieme così la delegazione necessaria per portare il problema di fronte alla direzione". Ma non mancarono anche in quei primi mesi misure repressive fasciste. In aprile vennero arrestati i fratelli Ferraglie: Giuseppe, Oliviero e Giglio; il primo era uno dei più attivi comunisti alla Bernardelli; rimasero in carcere tre mesi tranne l'Oliviero in libertà dopo pochi giorni. Sui monti intanto si andavano formando nuove unità. A fianco dei "russi" operavano parecchi giovani che poi daranno vita alla 122a brigata Garibaldi. Giovanni Casari, salito in montagna nonostante la menomazione fisica lo avesse reso inidoneo al servizio militare, rientrato in casa per una breve visita era riuscito a sfuggire agli uomini del cap. Bonometti a metà marzo: per una notte intera lo avevano cercato nella casa Baglioni, sicuri della sua presenza perché avvertiti da una soffiata. Il capitano della GNR minacciò di arrestare il Mansueto Baglioni e Cesare Podestini, presenti nella casa, "ma non fece nulla, noi capimmo però che c'erano persone che ci spiavano". Ma nonostante il pericolo fu proprio nel cortile dei Baglioni, qualche tempo più tardi, che furono sotterrate pistole e mitra con relativo munizionamento; saranno recuperate il mattino del 26 aprile, giorno dell'insur- Omodei Maffeo — operaio della Beretta —padre di2partigiani e noto antifascista di Bovegno, fu fucilato il 15 agosto 1944 (eccidio di Bovegno). rezione, per armare i giovani che erano saliti alla Chiesa di San Rocco. All'operazione avevano partecipato Numida Zadra, il dr. Bianchini e due fratelli Levi. I giovani del 1926 II problema armi era sempre più assillante per il CLN anche in previsione di una massiccia affluenza di giovani in montagna per l'imminente chiamata alle armi delle classi 1924,1925 e 1926.1 mezzi per repertare armi erano diversi; talvolta i mitra venivano calati dalle finestre prospicenti il Mella, ma generalmente le armi (pistole e mitra) uscivano dalla fabbrica smontate per essere poi riassemblate in abitazioni trasformate in vere e proprie officine clandestine. O passando dalla fucina vecchia della Beretta che dava sulla via Zanardelli. Il primo maggio '44 venne ricordato con numerosi volantini a firma il "soccorso rosso", inegglanti sia alla festa del lavoro, sia invitando i cittadini a sottoscrivere a favore delle vittime del fascismo (rapporto GNR di Gardone V.T. del 5-51944). Alcuni giorni più tardi di fronte al bando fascista, di notte, furono infilati nelle porte o affissi ai muri numerosi volantini dal seguente tenore: "giovani delle classi 1924-1925 e 1926 non presentatevi. Chi si presenta tradisce l'Italia" (rapp. GNR del 20-6-44). Ed ancora altri — segnalati dalla GNR in data 29 giugno — invitanti gli operai a non recarsi in Germania a lavorare. Volantini stampigliati da parte di alcuni giovani con i pezzi di una scatola "il piccolo tipografo" sottratta da Carlo Poli (della Beretta finito poi in Germania) a Ferdinando Ricci, figlio della titolare di una oreficeria nell'attuale via Gramsci. Ironia del destino, il Ricci, attuale proprietario della Ricci e Pluda in piazza Loggia a Brescia, e la madre vennero fermati il 26 aprile quali collaboratori dei nazi-fascisti. Ai primi di giugno il bando di chiamata: riguardava con le altre classi il 1° semestre del Girto Belleri — arrestato il 24 giugno 1944 — deportato In Germania, moriva dopo il suo rientro a Gardone il 17-6-1946. 1926 ragazzini allora appena diciottenni. Quelli al lavoro furono tutti licenziati. La loro destinazione era la Germania per addestramento dando il cambio ai reparti del nuovo esercito repubblichino fascista che rientravano in Italia e precisamente i battaglioni Monte Rosa, S. Marco, Littorio e Italia. Alla Beretta il dr. Giuseppe e Gianni Cavagnis prima di licenziare questi giovani, avevano tenuto, forse per giustificazione, un breve discorsetto di commiato, rammaricandosi di non averli potuti esonerare ed augurando loro buona fortuna e di farsi, magari, una famiglia in Germania (Mario Zoli). La chiamata fu contrabbandata infatti come avvio coatto al lavoro. La chiamata alle armi diede scarsi risultati: decine e decine di giovani lasciarono sì le loro case, ma per raggiungere la montagna destinazione Guglielmo. I giovani vi affluirono da diversi punti: dalla Valle di Inzino, da Anveno ed un gruppo da Marcheno con altri giovani venuti dalla Valle Sabbia. Era il 17 giugno; la presenza di tanti giovani creava grossi problemi: scarseggiavano i viveri (anche se nei primi giorni ognuno vi fa fronte con quel poco che si era portato da casa) ma in misura predominante mancavano le armi. Il 24 giugno giugno si decideva il trasferimento di un gruppo consistente verso la Valle Camonica ove, grazie ai ripetuti lanci di viveri ed armi da parte degli alleati, le Fiamme Verdi vantavano una dotazione maggiore. Erano settanta giovani, solo cinque erano armati. Superato il Colle di S. Zeno, furono circondati ed attaccati dai fascisti: nella breve sparatoria rimaneva ucciso un giovane e 17 fatti prigionieri: condotti a Brescia, spediti poi in Germania. Fra questi tre gardonesi, Francesco Gazzaroli, Luigi Belleri ed Alfredo Muffolini. il primo morì nel campo di prigionia di Buchewald mentre il Belleri tornerà a casa gravemente ammalato per morire a Gardone V.T. il 17 giugno 1946 a soli vent'anni. Dei diciottenni del 1926 persero la vita, inoltre, Aldo Franceschetti, caduto nel corso di un rastrellamento il 24 agosto a Precasaglio in Valle Camonica (partigiano) e per cause di guerra Annibale Lancini, rimpatriato in gravi condizioni il 31 ottobre da Altenburg/Thur (Germania) e Aldo Franceschetti - Operaio della ditta P. Beretta di Gardone V.T. - con la chiamata alle armi del primo semestre del 1926, che avviene tra il 15 e il 20 giugno, si rifugia in montagna nell'alta Valle Camonica in località Precasaglio; da qui prende contatti con elementi della resistenza operanti in zona. Sorpreso da un rastrellamento a Precasaglio viene gravemente ferito. Morirà a Sreno dopo poche ore pronunciando queste parole: «Possa l'offerta della mia giovane vita affrettare di un so/o istante la pace di Dio al mondo sofferente». La frase tra virgo/ette è tratta dal libro di Piero Gerola —Nella notte ci guidano le stelle — 23 morto a casa il 26 febbraio del 1945 ed Antonio Campanelli. Il mese di giugno segnò un'intensa attività da parte delle formazioni partigiane. Dopo l'eliminazione del presidio GNR di Brezzo la sera del 28 giugno, la presenza attiva di "ribelli" obbligava i fascisti a togliere tutti i loro uomini presenti nelle varie caserme di Tavernole, Bovegno e Collie. "Dopo i noti fatti del 28 sera — scriveva il cap. Carlo Bonometti al comando provinciale della GNR — con l'aggressione alla caserma di Brozzo la situazione è completamente cambiata nell'alta Valle. Nuclei separati di ribelli, rafforzati dagli elementi sottrattisi alla chiamata alle armi delle classi 24-25 e 26 cominciarono a radunarsi nei paesi di Bovegno e di Collio, per cui, fio disposto l'immediato trasferimento del personale al distaccamento di Gardone V.T. Dal ripiegamento dei presidi sono cominciate le interruzioni telefoniche con l'alta valle; oggi (5 luglio) funziona solo la linea con Bovegno. Fonte fiduciaria segnala che i ribelli sarebbero in fase di preparazione l'attacco a Gardone V.T. (recupero automezzi alla OM — prelievo armi alla Beretta — e caserma della guardia per stabilirvi provvisoriamente il quartiere generale). Questo attacco sarebbe fatto simultaneamente da diverse bande che trovansi in zona con un complesso di forze dio/tre un migliaio di uomini diretti dai capi scelti dal Comitato Rosso che avrebbe come unico esponente certo Nicola che avrebbe diretto l'aggressione di Brozzo con i 32 membri del Comitato oltre agli aggregati. Sempre dalla stessa fonte 24 viene segnalato che nell'alta valle bresciana si troverebbero 10 mila uomini provenienti da altre regioni sprovvisti in parte di armamento ed equipaggiamento pronti ad intervenire appena gli anglo-americani raggiunsero Bologna. Viene segnalato pure che negli allarmi notturni delle notti scorse siano stati lanciati viveri in abbondanza et forte quantità di valuta italiana. Queste notizie sono giunte da più fonti, non sempre concordi perché taluni asseriscono siano stati lanciati anche dei paracadutisti. Trova fondamento il lancio di valuta perché ipartigiani dispongono di forte quantità di denaro, tanto che le provviste viveri et vino asportati da spacci del comune di Collio sono state regolarmente liquidate in contanti". E si capisce come da informazioni, false ed ingigantite, sia maturata la decisione di porre all'altezza della caserma GNR di Gardone V.T., pressapoco all'altezza del cancello d'ingresso della villa Beretta, una sbarra che segnava un ipotetico confine fra la repubblichetta fascista ed una presunta zona libera ove comandavano i "ribelli". Dall'inizio di luglio le forze nazi-fasciste opereranno solo qualche sporadica puntata impiegando mezzi e uomini. Spedizioni che avevano l'unico scopo di gettare il terrore, la morte e la distruzione nei paesi dell'Alta valle come è poi accaduto a ferragosto a Bovegno (fra i caduti un dipendente della Beretta, Maffeo Omodei). La sbarra rimarrà in funzione sin dopo la Liberazione, mentre l'altra strada di accesso per l'Alta Valle, in viaZanar- delli, verrà parte ostruita all'inizio della "Levata" e riservata ai soli pedoni. Alla sera l'accesso veniva vietatto a tutti con chiusura di una porta riaperta solo al mattino. Se da parte dei patrioti il lavoro di recupero e di assemblamento di parti d'arma proseguiva ininterrottamente anche i nazifascisti si preoccupavano delle armi che, a loro parere, dovevano esistere a Gardone V.T., recuperate e mai consegnate dopo l'8 settembre. Il comando tedesco, riprendendo una lettera del novembre 1943, avente per oggetto: consegna delle armi e munizioni nel comune di Gardone V.T., si rivolgeva al Capo della Provincia per risottolineare che "è a conoscenza di questo comando che, tanto le armi quanto le munizioni nel comune di Gardone V.T. non sono mai state consegnate, poiché il Podestà precedente non si è curato per quanto riguardava la consegna, come pure i carabinieri. In riferimento alle ordinanze del Comando Tedesco perle armi in possesso a/la popolazione nei territori occupati, ordino nuovamente la totale consegna delle armi e delle munizioni. Prego perciò codesta Prefettura di voler provvedere affinchè tutte le armi e munizioni vengano effettivamente consegnate. Tutte le armi ammassate sono da spedire al Comando Militare germanico presso l'Arsenale (di Gardone V.T.). Per le armi da caccia è da unire un prospetto dei singoli proprietari, indicando la condizione, nome e cognome nonché abitazione del proprietario, come pure la specie dell'arma". Non si è potuto avere riscontro sul buon fine di questo secondo invito. I tedeschi erano preoccupati anche della situazione esistente in Italia come si può evincere dal resoconto al Fuhrer dall'Oberstil di gendarmeria Kuhn e dal maggiore di polizia per la sicurezza Degener, di ritorno da un sopralluogo in Italia, in cui si sottolinea che "secondo l'opinione di tutti i posti di servizio tedeschi in Italia il popolo nella sua totalità è stanco di guerra e non partecipa in nessun modo all'edificazione dello stato di Mussolini. La popolazione prevalentemente in maggioranza respinge la guida attua/e italiana e preferirebbe, in particolare nelle provincie del Nord, una autorità tedesca. Un grande numero di vecchi fascisti none entrato nel partito fascista repubblicano. La popolazione — suggerivano i due ispettori — deve essere influenzata dal comportamento subordinato e corretto dell'esercito e della polizia germanica, in contrapposizione favorevole al suo atteggiamento critico ed avverso nei confronti della nuova direzione fascista. L'influenza comunista è aumentata. Il basso clero influenza il popolo nel senso che presenta il comunismo come innocuo e non pericoloso. Si ignora se questa presa di posizione sia originata dalle direttive delle più alte gerarchle ecclesiastiche". Ed il "basso clero" pagherà duramente una scelta di campo: dal secondo semestre del 1944 a pochi giorni prima della liberazione saranno numerosi i sacerdoti bresciani a finire in galera. Dopo don Rossi finirà a Canton Mombello — sia pure per pochi giorni —anche don Giulio Pini ed il curato di Sarezzo don Angelo Pozzi ar- restati il 14 marzo del 1945. Sul "comportamento subordinato e corretto dell'esercito e della polizia germanica" testimoniano le migliaia di vittime massacrate dopo torture e sevizie. Intanto Roma veniva liberata e successivamente le forze alleate aprivano un secondo fronte in Europa sbarcando in Normandia (Francia) ed il Comando Supremo della SS a Berlino, H. Himmler dichiarava l'Italia del Nord e l'Italia Centrale come "territori di lotta contro le bande" con tutte le pesanti conseguenze, in termini di rappresaglia, per migliaia e migliaia di anziani, donne e bambini. Un altro giovane gardonese, dipendente della Beretta, perderà la vita il 2 settembre sopra Marcheno, Franco Moretti di solo 17 anni, non soggetto ad obblighi di leva. Aveva voluto raggiungere i gari- Francesco Moretti — il più giovane garibaldino della 722a — ucciso a Cesovo il 2 settembre 1944. baldini spontaneamente: "Perdonami — aveva lasciato scritto al padre — se ti lascio così inaspettatamente, però potrai comprendermi, sono giovane e giovane sarai stato anche tu, e così tu potrai capire che sono animato da spirito patriottico e fra pochi giorni anch'io sarò un garibaldino. Non dare la colpa a nessuno della mia partenza perché so/o io sono il solo responsabile". Era in brigata da pochi giorni e si era offerto volontario per recuperare del materiale a valle. Era sceso assieme a Giuseppe Sabatti (Moretto), salito alla formazione per awisare dell'arresto, avvenuto il mattino, di un altro garibaldino della122a: Luigi Longo (Medico). Longo era uno dei militari di stanza a Gardone V.T. P8 settembre che aveva scelto la strada della montagna. Verrà fucilato; dopo sevizie, a S. Onofrio il 9 settembre del 1944. Invano cercheranno di estorcergli notizie sulle formazioni partigiane, sulle loro dislocazioni. I nomi delle persone che li aiutavano. Verrà sottoposto anche a confronto — testimonianza di Salvinelli Battista— "nella caserma della GNH di Gardone V.T. con me, Cotelli e Tolotti e qualche altro prelevati dalla Beretta o dalla Bernardelli. Tutti abbiamo risposto dì non aver/o mai visto, anche se io ed altri lo conoscevamo molto bene. Il risultato del confronto fu negativo e dopo qualche ora ci hanno lasciati liberi". Non così il "Medico", suo nome di battaglia, che veniva poi fucilato. Luigi Longo è un gardonese ad honorem ed il suo nome figura fra i caduti per la libertà del nostro comu- 25 Luigi Longo (Medico) — arrestato il 2 settembre 1944 — fu fucilato il 9 dello stesso mese a S. Onofrìo. ne. La salma di Franco Moretti veniva intanto recuperata il giorno dopo, il 3 settembre, dagli amici e dai familiari al roccolo del Grillo (proprietario Umberto Gitti) a Cesovo e riportato a casa. I suoi funerali diventarono una manifestazione antifascista con la partecipazione di migliaiafra giovani e cittadini: gli operai delle due fabbriche sfidando ogni possibile provvedimento disciplinare parteciparono alle esequie. Un lunghissimo corteo che si snodò dalla località "Bresciana" sino al cimitero di Gardone V.T. sorvegliato a distanza dai fascisti in armi; la salma, portata a spalla da decine di giovani, superava con alcune difficoltà la strettoia di via Zanardelli. Al cimitero dopo il rito religioso prendeva la parola un giovane di Marchenò, Angelo Moreni (operaio della Beretta), ricordando gli ideali di libertà a cui si era ispirato il giovane Franco Moretti. Prima che la salma venisse tumulata decine di giovani ba- 26 ciavano il feretro quasi a sottolineare con quel gesto un giuramento di impegno antifascista, un volere prendere in mano il "testimone", nella gara alla libertà, che Franco Moretti aveva dovuto lasciar cadere. Per tanti lavoratori rappresentava anche la seconda disobbedienza ai regolamenti interni che imponevano, per la fabbrica d'armi, una continuità di servizio. La prima era scattata un paio di mesi prima, precisamente il giovedì 13 luglio quando la città di Brescia era stata investita dal più pesante bombardamento che il capoluogo aveva dovuto registrare. Incursioni a riprese, compiute da almeno 126 aerei da bombardamento che avevano colpito, assieme ad alcuni obiettivi cosidetti militari, centri popolari: 200 i morti a migliaia i feriti. Una serie di bombardamenti a tappeto che avevano preso l'avvio durante la notte, verso l'una e quaranta e che avevano avuto il punto centrale attorno alle 11 con l'arrivo, in rapida successione, di numerose formazioni di quadrimotori. Già verso mezzogiorno a Gardone erano giunte le prime drammatiche notizie e numerosi dipendenti della Beretta, residenti a Brescia (l'azienda aveva allora oltre 2.600 addetti), si erano rivolti alla Direzione per avere notizie. Erano in maggioranza padri preoccupati per le loro famiglie a chiedere in continuazione, presentandosi sotto gli uffici, notizie e manifestando la volontà di abbandonare la fabbrica per recarsi a casa. Nel primo pomeriggio il rag. Carlo Beretta — "sior Carlo" — decideva di far sospendere la lavorazione e di rimet- tere tutti in libertà. L'autorità tedesca interpretò l'atto, ispirato solo da motivi umanitari, come un sabotaggio e fece arrestare il rag. Carlo Beretta responsabile della produzione. Rimarrà in carcere in perfetto isolamento per circa 20 giorni a disposizione dell'autorità germanica. Gli unici gardonesi a vederlo, sia pure di sfuggita, durante i successivi allarmi aerei furono Vito Enriquez e Guido Tanghetti che non solo dividerà con lui i pochi generi alimentari di cui è in possesso ma darà, a mezzo delle figlie Olga e Bruna, tempestive notizie alla famiglia Beretta delle condizioni del rag. Carlo. Ad affrettare la liberazione del "sior Carlo" furono i lavoratori della Beretta che ridussero la produzione costringendo i tedeschi a lasciarlo andare. Solo col suo ritorno in fabbrica la produzione di armi ritornò quasi normale. Il problema centrale e più preoccupante per il CLN rimaneva sempre quello delle armi ed i tre membri del comitato gardonese decisero di chiedere, un'altra volta, alla Ditta Beretta una fornitura di armi per le formazioni partigiane. Latore della missiva il parroco di Gardone V.T. don Francesco Rossi: non riuscì a concludere praticamente nulla perché il comm. Pietro Beretta rispose che le armi le dava già alle Fiamme Verdi. Un secondo tentativo veniva operato da Giuseppe Vergineila prima di assumere il comando della 122a brigata Garibaldi: "Verginei/a mi chiese al/a fine di settembre o primi di ottobre —testimonianza di Santina Damonti (Berta) staffetta della 122a - di accompagnarlo alla fabbrica d'armi Beretta per andare a chiedere armi e soldi per ipartigiani. L'appuntamento era stato preso tramite uno dei nostri: Franco Cinelli, impiegato alla Beretta e fratello di Francesco, comandante di uno dei primi gruppipartigiani in Valle di Gardone. Ci presentiamo in portineria ed il Cinelli che ci stava aspettando, accompagnò Vergine/la al colloquio, lo attesi sotto, Vergine/la mi disse che Beretta gli aveva promesso solo soldi per la Brigata". La Damonti parla di un colloquio con il comm. Pietro Beretta mentre Cinelli, precisa che i contatti li ebbe con il dr. Giuseppe Beretta. Ma la promessa dopo diversi giorni non si era ancora concretizzata, tanto che Giuseppe Verginella, nella giornata in cui conduceva la sua brigata al colpo della Giandoso, in tuta daoperaio lasciò gli uomini fermi in Nanveno per scendere a valle assieme a Elio Fascio: voleva risentire i Beretta ed avere spiegazioni sul ritardo, ma non riuscì a parlare con loro. Al rientro nella squadra che nel frattempo si era spostata in Domaro dichiarava — secondo le testimonianze di Mario Zoli e Lino Bel I eri — "la prossima volta ai Beretta ci parlerò con la pistola in pugno". Il colpo alla "Giandoso" — molto rischioso perché la fabbrica situata all'Arsenale — dov'è poi sorto il "Supercinema" — si trovava proprio di fronte al presidio tedesco alloggiato nella vecchia scuola professionale. Il colpo avvenne il 5 ottobre con un gruppo di 30 garibaldini: oltre a Belleri, Fascio e Zoli parteciparono anche i fratelli Mario e Ugo Tanghetti. "Sotto la pioggia a dirotto mentre un gruppo di uomini era di protezione nei punti più pericolosi, gli altri entrarono in fabbrica e con gli operai prelevarono il bottino. Durante il ritorno verso S. Maria, alcuni operai, miei coetanei (addetti al trasporto delle pistole mitragliatrici e relativo munizionamento) che ci aiutavano, riconobbero sia me che mio fratello e ci scambiammo affettuose congratulazioni". (Marlo Tanghetti). Verginella con un gruppo di altri armati aveva invece proseguito per Brescia, mettendo a segno altri due colpi alla SEB (Società Elettrica Bresciana) per dei soldi ed alla Brixia per una partita di scarpe. La Beretta mantenne il suo impegno solo parecchi giorni più tardi. "Tramite Franco Cinelli—Santina Damonti Belleri — vengo a sapere che mi saranno consegnati dei soldi. Pietro Beretta mi fa segno di spostarmi verso la zona dell'Oneto e li lontano da occhi indiscreti mi consegna, tremolante, una busta con dentro dei soldi: poi si allontanò pregandomi di non seguirlo e non fatevi più vedere perché ho i tedeschi in casa. Non ricordo bene l'ammontare della somma, ma da un primo sguardo ritenni non inferiore alle trecentomila lire". Il "sior Piero" consegnerà nei primi mesi del 1945 altre 100.000 lire al CLN gardonese tramite Ippolito Camplani. Per le armi nessun impegno perché le forniva già alle Fiamme Verdi di Gerola. Una bugia perché la Beretta incominciò, dalle testimonianze assunte, ad inviare armi a Colilo solo dopo il gennaio del 1945. Frattanto si era costituito il Fronte della Gioventù in sosti- tuzione al CLN giovanile che aveva curato e diffuso i volantini nel giugno del 1944. A dirigere la nuova organizzazione, Annibale Fada, Guido Baglioni, Gianni Pintossi per la De, Libero Ferraglio, Gianfranco Bianchi, Roberto Lombardi, Franco Masussi, Piero Cotelli per le sinistre. "Ricordo che siccome il partito (PCI) sollecitava la costruzione di un organismo, il più rappresentativo possibile e ovviamente il più unitario, cercammo a lungo un giovane liberale". Fra le prime azioni, la tentata rapina alia farmacia Malfassi, posta quasi di fronte alla caserma della GNR. L'idea fu di Libero Ferraglio che era responsabile della SAP (Squadra d'Azione Partigiana) costituita alla Bernardelli: oltre il Ferraglio vi parteciparono Gianfranco Bianchi, Franco Massussi e Piero Coccoli. "Fuori sotto i portici assistettero, non invitati, il Fada e il Pintossi, segno che della faccenda se ne era discusso nel famoso comitato giovanile". Il piano era semplice e l'ultimo che entrava doveva abbassare la serranda. "Avvolti nel mantello e con la sciarpa sul viso entrammo e puntammo le pistole contro il Malfassi e contro la commessa (Lina Tanfoglio) che invece riuscì a dare l'allarme. Sono sicuro che mi riconobbe subito, nonostante il mascheramento, ma non fiatò nemmeno dopo" (Gianfranco Bianchi). I quattro riuscirono a fuggire rialzando ignominiosamente, la saracinesca appena abbassata. L'attesa della liberazione E siamo di nuovo alle soglie dell'inverno, il secondo sotto la tirannia nazifascista. 27 Non si registra sui monti l'abbandono dell'inverno 1943. Le organizzazioni clandestine avevano messo a punto un loro piano. Parte degli uomini rimarranno sui posti, alloggiati in case di patrioti che rischiavano con questa loro disponibilità di finire al muro, perché secondo i proclami teseschi, venivano considerati traditori della patria e passibili di immediata esecuzione. Mentre il grosso fu accompagnato in basi sicure nella bassa bresciana Le armi, oliate e opportunamente occultate nei pressi di Marcheno, saranno ricuperate qualche mese più tardi e rimesse in piena efficienza. Il 1944 si chiuse con uno sciopero alla Bernardelli di fronte alla sospensione, con minaccia di licenziamento, di alcuni operai. Per riscaldare l'enorme capannone che ospitava alcuni reparti, la direzione aveva fatto installare alcune stufe cilindriche tranne che nella meccanica. Quella più vicina si trovava oltre il tramezzo in muratura che la divideva dal collaudo delle piccole parti di spolette. I lavoratori protestarono più volte in direzione perché venisse tolto di mezzo il muro. Ma invano, perché le ragioni erano di indole morale: in meccanica lavoravano solo uomini, mentre in collaudo erano tutte donne, e la famiglia Bernardelli, troppo buon cattolica, non poteva permettere promiscui awicinamenti. Allora si passò all'azione; i lavoratori si munirono di pesanti morselli di ferro e cominciarono a scagliarli contro i forati, approfittando di una assenza delle guardie. "Trovammo subito una solidarietà diffusa; le donne del collaudo ci incitavano dall'al- 28 tra parte del muro, i compagni dei torni, delle frese e degli altri banchi ci vennero ad aiutare. Sicché quando le guardie attratte dal fracasso giunsero nel reparto, il muro aveva cominciato a crollare in un nugolo di calcinacci fra gli ewiva e gli applausi. Era chiaro però che non era solo il muro che ci dava fastidio, per cui la direzione capita l'antifona sospese cinque, ritenuti i caporioni della rivolta". Lo stabilimento si fermò di colpo ed il lavoro venne ripreso solo dopo che la Bernardelli ebbe ritirati i prowedimenti. "Noi ottenemmo la nostra stufa, il muro fu riedificato e così anche la morale fu salva". Mentre alla Beretta, dopo la segnalazione contro tre lavoratori fatta dal cap. Gianni Cavagnis, venivano fermati prima l'Angelo Marchi e poi l'Ippolito Camplani costretto a presentarsi in caserma dopo una perquisizione a casa sua (la famiglia era sfollata in quel periodo a Marcheno). I militi avevano sequestrato solo un invito ad una riunione per la costituzione di un centro culturale, firmato dal rag. Andreino Bondio in data però non sospetta: era dell'anno precedente e nel periodo che intercorreva fra il 25 luglio e l'8 settembre. Da questa prima innocente contestazione l'interrogatorio affrontò poi temi più scottanti, per cui ad un certo punto il Camplani si rese conto che difficilmente avrebbe potuto tornare a casa. Anzi il cap. Bonometti, dopo avergli precisato che in cella c'erano già il Marchi ed il Sartori, lo avvisava che il giorno dopo la questione sarebbe passata nelle mani delle SS tedesche. "Fu in quel momento che il capitano ricevette una telefonata che lo fece scattare in piedi ordinando al piantone di preparare una pattuglia armata perché era in corso una sparatoria davanti al cinema S. Filippo (si trovava in via Zanetti, ove attualmente c'è il bar e Pauditorium Bernardelli)". Lo stesso capo del distaccamento GNR prese il mitragliatore ed uscì dall'ufficio lasciando solo il Camplani che approfittando della confusione riuscì a scappare. Si ripresenterà al lavoro alcuni giorni dopo con l'assicurazione ottenuta dal sig. Carlino Beretta, che non sarebbe stato molestato. Cosa era successo quella sera? Una squadra SAP — tre giovani armati di pistola — si trovava al bar dell'oratorio in attesa di fare un colpo. "L'obiettivo era un tedesco da disarmare: un militare che quasi tutte le sere scendeva dal vicolo Guarda, dopo aver trascorso la serata in compagnia di una donna, della quale mi sfugge il nome, abbastanza chiacchierata in paese ancora prima della guerra; mi pare lavorasse alla Beretta. Quando uscimmo dal ritrovo, con noi (Gianfranco Bianchi, Piero Coccoli e Roberto Lombardi) lasciarono il bar anche altri giovani. Ci fermammo sulla strada chiacchierando del più e del meno, mi ricordo che si rideva per qualcosa. Improvvisamente si accesero contro di noi diverse torce elettriche e udimmo distintamente il comando "in alto le mani". Prima Roberto che si trovava più vicino al porticine che dava sulla rampa che immetteva sul piccolo terreno di gioco, poi io e dietro il Coccoli, infilammo la scala e poi, a rotta di collo, attraversammo il campetto mentre la ronda fascista sparava raffiche di mitra all'impazzata, colpendo la rampa superiore delle scale. Giunti in fondo prendemmo un'altra porta che dava sempre su via Zanetti: il Lombardi svoltò a sinistra per piazza Garibaldi, io invece girai a destra fino al Gallinari per risalire poi lo stradone fino ad Inzino. All'altezza della casa del fascio sentivo ancora le raffiche dei mitra. Andai a Inzino per awisare il Libero Ferraglie e per chiedergli di avviarmi subito in montagna, temevo di essere ricercato; non sapevo nulla del Coccoli che non avevo più sentito dietro di me e perché gli altri giovani presenti al ritrovo mi conoscevano". L'incontro con la ronda fascista fu ccasionale e non frut- to di una spiata; i giovani non parlarono ed il Coccoli era riuscito a fuggire saltando nel Trento. Aveva perso la sciarpa con le sue iniziali per cui, per precauzione, attese la liberazione in Domaro. 29 a Brescia" e comprende una serie di informazioni fornite da I bombardamenti su Gardone V.T. - Gli ul- un giovane, nativo di Tavernotimi colpi - II 26 Aprile e la Ricostruzione le s/M. che era riuscito a superare la linea gotica e presentarsi ad un comando alleato, Un altro anno si era chiuso Una bomba aveva colpito pochi giorni prima dell'11 nolasciando una profonda amaanche casa Taoldini a pochi vembre, dopo aver abbandorezza. Da mesi il fronte era metri dal fabbricato scolastinato una formazione partigiapraticamente fermo anche se co; solo per puro caso non si na operante nel bresciano il la "parte" italiana liberata si ebbero a registrare dei morti 26 ottobre. La nota è redatta era andata allargando. Roma fra i fanciulli che in preda al dal Quartiere Generale, diera tornata ad essere la capipanico si accalcavano sulle staccamento di terra del servitale d'Italia con un governo in rampe di scale che portavano zio segreto M.A.A.F. ed è larcui erano rappresentati tutti i all'uscita a pianoterra. Unico gamente documentata sulla partiti, ma l'amarezza, ed anobiettivo militare un'ala vuota posizione di fabbriche come che lo scoramento, venivano del vecchio Arsenale. Un'inla Beretta, sulla tinteggiatura, dal fatto che altri 365 giorni cursione improvvisa senza al"mascheramento", dei tre staerano trascorsi senza portare cun allarme di preavviso per bilimenti; la produzione, il perla pace e la libertà, e con magla popolazione e per i lavorasonale occupato (3.000 alla giori lutti per gli eccidi nazifatori — erano diverse migliaia Beretta, 600 alla Bernardelli, scisti, per la guerra che insanpresenti a quell'ora negli sta1.600 alla OM), sulle loro cenguinava tutte le contrade del bilimenti. trali elettriche e sul materiale Paese ed anche per le vittime, La mancanza di ogni misuusato per le diverse lavorasempre più numerose, dei ra di prevenzione determinazioni. bombardamenti alleati. va una forte protesta in tutte le Con un'annotazione per fabbriche, per chiedere un poquanto riguarda la Beretta "...è voce corrente che i tedeschi I bombardamenti a Gardone sto di avvistamento in montagna che segnalasse l'arrivo di vogliono spostare la fabbrica Gardone V.T. era stata riapparecchi. L'idea partita dala Bolzano, con tutte le sue sparmiata: solo una bomba la ÒM si estendeva a tutti gli alprincipali insta/lature; in caso l'11 novembre era stata lanciatri stabilimenti che con uno di ritiro lo stabilimento verrebta durante la notte da un aereo sciopero ottenevano che le be fatto saltare". La precisione solitario ma aveva provocato aziende si assumano l'onere della fonte, le sue indicazioni, solo allarme. Il 1945 si apriva per una "Vedetta interzonale fanno pensare che non si sia invece proprio all'insegna del operaia" in località Navezze. trattato di una testimonianza di primo vero bombardamento: Un awistamento che funzioun singolo personaggio, ma alle ore 14 del 12 gennaio una nerà sino al termine della bensì di un rapporto redatto formazione di quattro cacciaguerra, 24 ore su 24, mediante dal SIMNI (Servizio informabombardieri depositava otto l'impiego di 16 uomini con rezioni militari nord Italia) che grosse bombe sull'abitato. sponsabile Dante Cazzago: 4 operava nelle zone ancora ocColpiti quasi tutti obiettivi civili: per ogni stabilimento, Beretta, cupate, suddiviso in 26 "grupun'intera famiglia moriva seBernardelli, OM e Redaelli. pi di cellule" di cui almeno sei polta sotto il crollo della loro Gli alleati erano particolardi stanza nel bresciano. abitazione in via Cominazzo, mente informati sull'ubicazioUn servizio di informazioni, 3. Dalle macerie venivano ne delle aziende armiere garanche per le unità partigiane, estratti i cadaveri di Giovandonesi. Un documento risermolto rischioso perché i suoi battista Moretti di 67 anni, delvato, pubblicato nella seconmembri erano punibili, se scola moglie Maria Beretta di 66, da edizione di "Incursioni perti, con la morte. Infatti con della nuora Maria Zanetti di 37 aeree su Brescia e provincia", circolare-telegramma il Preanni e dei nipotini Mario di 9 di parla diffusamente di Gardofetto di Brescia aveva invitato Gaspare e Gianluigi di 8 e Mane V.T. La nota, datata 11 notutti i Sindaci bresciani a renrio di 4 anni di Francesco. I fevembre 1944, ha per oggetto dere noto alle popolazioni che riti ammontano a 20. "obiettivo Gardone V.T. vicino "chiunque, anche senza in- 1945 - IL VENTO DELLA LIBERAZIONE 30 31 tenzione criminosa, comunichi notizie riguardanti operazioni belliche, la consistenza e l'ubicazione di apprestamenti difensivi, i movimenti dei reparti, la natura del terreno equa/siasi altra indicazione che, anche indirettamente, possa riuscire utile al nemico, è punito con la pena di morte stante il codice penale per la legge di guerra e secondo le disposizioni del ministero degli interni del 9-10-1943". L'avvistamento di Navezze sarà particolarmente utile, come vedremo, nel caso del secondo bombardamento. Parte del materiale in dotazione all'avvistamento — in viveri e coperte — verrà tacitamente lasciato prelevare agli uomini della 122a brigata Garibaldi attestata sul Sondino. L'azione fu concordata con alcuni operai presenti a Navezze la notte del 4 aprile mentre era in corso l'ultimo bombardamento notturno dulia città. Dall'avvistamento si vedevano in lontananza le fiamme provocate dalle bombe sull'abitato di B rescia. Gli ultimi colpi Era convinzione generale ormai, che il fascio ed i tedeschi avevano i giorni contati, per cui si intensificava, anche nei mesi invernali, l'opera di propaganda, di raccolta e di assemblaggio di armi. Anche l'armamento della 122a brigata Garibaldi veniva recuperato e rimesso a punto. Le armi erano state sotterrate al Dossolino tra Magno e Aleno. Il CLN aveva potenziato il suo esecutivo con nuovi membri. I commissari diventarono nove: Pietro Timpini (Cico), Battista Rovati e Giuseppe Panelli, con funzione di 32 Navezze — luogo ove sorgeva il posto di avvistamento segretario, per la DC; Ippolito Camplani, Giuseppe Masetti e Piero Sartori per il PCI; Renzo Franzini, Battista Leali ed Annibale Cabona per il PSIUP. D'accordo con i responsabili della formazione garibaldina, decidevano il recupero delle armi. Il gruppo incaricato della delicata operazione — il tragitto da compiere a piedi era abbastanza lungo, da Marcheno a casa Pedretti in via Seradello a Ponte Zanano— era composto da Adler Timpini, Aldo Casari, Rino Rinaldini, Paolo Camossi, Carlino Buizza, Amatore Milani, Ferruccio Mondinelli, Angelo Marocchi, Gianni Pacchetti, Luigi Pedretti, Francesco Orizio, Giovanni Brignoli e Pietro Daffini. Ad attenderli sul posto, Mario Zoli. Con le armi nascoste sotto i mantelli e divisi in piccole squadre, il viaggio di ritorno proseguiva senza intoppi sino a destinazione. Solo l'ultima quaterna si era imbattuta in una pattuglia tedesca all'altezza del cimitero di Gardone. I germanici spararono, ma i patrioti riuscirono a defilarsi: le armi nascoste provvisoriamente nei campi, verranno recuperate il giorno dopo approfittando di uno dei tanti allarmi aerei. In casa Pedretti, armieri volontari — operai della Beretta e Bernardelli — provvederanno a riattarle ed a renderle di nuovo funzionanti. Il vento dell'imminente primavera sembrava annunciare la disfatta nazifascista. Ed anche i più tiepidi si davano da fare. La sconfitta nazifascista era ormai certa ed anche la famiglia Beretta, dopo tanti dinieghi, a metà febbraio rompeva gli indugi e metteva a disposizione armi, munizioni ed anche viveri, ma, per scelta politica, non alla Garibaldi ma solo alle Fiamme Verdi operante in Alta Valle. Un grosso quantitativo esce dalla fabbri- ca a metà febbraio. Dalla Beretta usciranno armi sempre con destinazione Collio, per altri due viaggi con il camioncino della ditta, mentre un altro carico, nascosto sotto i rottami, raggiungerà una formazione partigiana operante in Val Seriana (Bergamo). Il 3 aprile Gardone V.T. subiva il secondo bombardamento e le otto bombe colpivano obiettivi militari. Veniva centrato il reparto macchine della Beretta ed alcuni capannoni della OM. Vainer Barbi, 30 anni, veniva fulminato da un cavo dell'alta tensione staccatosi per un colpo di mitraglia; al bombardamento aveva fatto seguito un mitragliamento. Fu l'unica vittima perché l'avvistamento di Navezze aveva dato l'allarme con anticipo permettendo ai lavoratori di lasciare i loro reparti. L'attività del CLN era tesa anche a fornire materiale di propaganda, per cui si prelevò il ciclostile del Comune; l'azione era affidata a Sergio Pedretti, Libero Ferraglie e Aldo Casari. Bisogna ricordare che all'epoca il Pedretti ed il Ferraglie erano disoccupati: la ditta Vincenzo Bernardelli li aveva licenziati assieme a Giovanni Cartella, Bruno Gabrieli e Francesco Cotelli, il 23 gennaio. Motivo ufficiale del provvedimento, la riduzione di personale, ma in realtà si era assecondata un'odiosa rappresaglia voluta dai fascisti contro cinque lavoratori fra i più attivi antifascisti nella fabbrica. La misura aveva provocato una dura reazione dei lavoratori scesi in sciopero ma i licenziamenti erano rimasti: nessuno dei cinque ritornerà poi a lavorare alla Bernardelli. Il colpo al Comune andava felicemente in porto. Si era ap- proffittato della solita puntatina alla "Sortola" del vigile Monteverdi per entrare. Casari rimaneva a far palo, mentre gli altri due prelevavano il ciclostile e lo portavano in Seradello a casa Pedretti. A metterlo in funzione dovevano pensarci due studenti, occupati alla OM. Avevano allora in affitto una stanza in Valle d'Inzino, all'altezza del cimitero. Uscendo dalla OM al termine del turno di lavoro, avevano provveduto a prelevare il ciclostile, ma durante il trasferimento ad Inzino venivano sorpresi da una pattuglia di militi. Si lasciavano tradire dall'emozione e tentavano una fuga; uno veniva preso mentre l'altro riusciva a fuggire. Sottoposto a torture, finirà per confessare dove aveva ritirato il ciclostile. Veniva arrestato Sergio Pedretti che riuscì poi a sfuggire approfittando di occasioni propizie. Rimarrà nei dintorni per un certo periodo di tempo, noterà sua madre che i militi portavano via, riuscendo ad awisare il responsabile di zona del PCI, Cesare Belleri (Rovi), da alcuni mesi alloggiato nella sua casa. A Gardone verrà invece arrestato Annibale Fada, che teneva i contatti con i due studenti, rimarrà rinchiuso nel carcere di Brescia fino alla liberazione. Pedretti raggiungerà poi la 122a brigata Garibaldi: ai momento della liberazione era vice commissario di brigata. Il 26 aprile e la ricostruzione Ormai ci si avvicinava a grandi passi alla liberazione. Il malcontento e la protesta aumentavano nelle fabbriche. Il 19 aprile — proprio nella giornata che vedeva impegnata in un lungo combattimento contro i fascisti la 122a brigata Garibaldi — le due fabbriche gardonesi entravano in sciopero assieme ali OM. L'agitazione aveva preso l'avvio alle ore 10 ed era proseguita per tutta la giornata. Uno sciopero che assumerà in quell'occasione "un carattere preinsurrezionale, dando un impulso concreto all'ultimo decisivo balzo verso la liberazione". Il 25 aprile era giorno festivo per la ricorrenza del Patrono; nel primo pomeriggio si registrava l'ultimo bombardamento su Villa Carcina: una formazione di caccia bombardieri tentava, a più riprese, di centrare il ponte di Pregno, gettando l'allarme anche a Gardone, perché prima di picchiare sull'obiettivo, i quattro aerei viravano, prendendo posizione, sopra il paese. La radio fascista non dava praticamente più alcun bollettino, mentre radio Londra annunciava la liberazione di numerose città ad opera dei partigiani. Anche le truppe alleate ed i reparti del nuovo esercito italiano erano giunti alla pianura padana, con i tedeschi in fuga e l'esercito repubblichino in totale sfacelo. Il CLN provinciale impartiva l'ordine di insurrezione il giorno 26. Quando il messaggio giungerà a Gardone le fabbriche erano vuote e la Beretta presidiata dai tedeschi. Nelle sue disposizioni insurrezionali il CLN invitava invece i lavoratori a presidiare gli stabilimenti per evitare che i tedeschi facessero saltare gli impianti. Alla chiesa di S. Rocco si radunavano operai e patrioti; si recuperano le armi nascoste e si prowedeva a distribuirle assieme a quelle che dalla fabbrica Beretta veniva- 33 no fatte uscire dalle finestre dei magazzini prospicenti il vicolo Gorgo. Il CLN secondo il piano già prestabilito prendeva possesso del comune insediadovi il nuovo sindaco Piero Sartori. I combattimenti iniziarono nel primo pomeriggio. Le uniche resistenze vennero dai tedeschi asseragliati alla Beretta, mentre il cap. Bonometti del GNR aveva sottoscritto la resa alla122a brigata Garibaldi il 23 aprile alle ore 17 ad Irma. Alle 16 la situazione era completamente sotto controllo: purtroppo si doveva trarre un bilancio di vittime. Sotto il fuoco tedesco erano caduti Antonio Nodari, sposato con figli, Mario Piovanelli, Giacomo Ghizzardi e Faustino Raza. Il giorno dopo a Inzino, un gruppo di tedeschi in fuga su un autocarro, riusciti a superare la sbarra di Gardone V.T. alle sette del mattino, uccidevano Ardito Zatti. Venivano poi fermati nel comune di Marchenq dalla 122a brigata Garibaldi. I primi partigiani a raggiungere il paese furono Giovanni Casari e Lino Belleri. Già il 26 sera il CLN gardonese lanciava il suo appello alla popolazione per una fattiva collaborazione, sottolineando, che da quel momento, il Comitato aveva assunto il governo del nostro paese. "...Detto comitato risiede in permanenza nel palazzo municipale. Tutti i cittadini che intendono partecipare al movimento del CLN sono invitati a presentarsi nel più breve tempo possibile presso il palazzo municipale per essere regolarmente inquadrati nelle «Squadre di Servizio» e ricevere l'autorizzazione al porto d'armi. Coloro che si trovano 34 in possesso di armi senza la predetta autorizzazione, devono entro le ore 18 del giorno 27 corrente consegnarle". Furono ancora giorni febbrili perché la guerra non era ancora finita, la presenza di gruppi di sbandati fascisti e tedeschi, obbligava ad attenta vigilanza. La fine della guerra in Italia verrà infatti sottoscritta la domenica 29 aprile a Caserta; il protocollo prevedeva la cessazione delle ostilità a partire dalle ore 14 del 2 maggio: ventiquattr'ore dopo il primo maggio, il primo in libertà. Non ci furono, quel giorno, a Gardone V.T. particolari manifestazioni: unico minicorteo, quello formato dalle ausiliarie e collaboratrici dei tedeschi e dei fascisti, costrette a sfilare per le vie del paese con la testa completamente rapata. Retaggio, questo, di una "moda" che il fascismo italiano aveva messo in auge durante la campagna di Spagna ed in Jugoslavia e poi dopo l'otto settembre contro le donne dei partigiani. Ai lavoratori su iniziativa del Commissario politico Giovanni Casari e del comando della 122a brigata Garibaldi, veniva corrisposto un premio straordinario di lire 3.000 dopo un incontro presso la ditta Beretta, di tutti gli imprenditori o direttori delle altre imprese, presente il primo segretario della Camera del Lavoro, quel Cesare Belleri (Rovi), animatore nel periodo clandestino della resistenza: sia unitaria, sia come responsabile del PCI nella nostra zona. Si tornava alla realtà fatta di tanti problemi, compresi quelli della riconversione industriale e dell'eccedenza di manodopera. Tornavano ad essere elette le Commissioni interne. Non si riuscì invece a fare accettare alle aziende i "consigli di gestione". Alla Beretta, dopo una serie di agitazioni, si riuscì a formare una parvenza di consiglio denominato "Commissione tecnica consultiva" formata dai dirigenti dell'azienda, dai capo reparto, da un impiegato tecnico e da un operaio, eletti dalle maestranze. Il voto premiò Pino Ardesi ed Ippolito Camplani. Sotto il profilo amministrativo era il CLN che dirigeva il Comune. Piero Sartori, ne era il Sindaco, mentre come Assessori figuravano Annibale Cabona e Battista Rovati, con l'incarico anche di Vice Sindaco, Attilio Zanoletti, Renzo Franzini, Pietro Gitti e Giuseppe Panelli. Aveva funzioni sovracomunali perché il Comitato Provinciale aveva suddiviso la provincia in 12 zone e precisamente: Breno, Iseo, Gardone V.T., Vestane, Gavardo, Salò, Desenzano, Montichiari, Bagnolo Mella, Orzinuovi, Chiari e Brescia. Le funzioni del CLN erano molto più articolate rispetto agli attuali consigli comunali. Avevano in primo luogo funzioni politiche, di organizzazione e sviluppo della nuova coscienza democratica e di fiancheggiamento delle Autorità attraverso una mobilitazione di forze popolari per l'instaurazione di un nuovo clima politico e civile. Queste funzioni si esercitavano soprattutto nella preparazione morale e tecnica delle elezioni, sia amministrative che politiche, sia promuovendo congressi dei CLN della loro zona. "Per quanto riguarda l'attività politica dei Comitati in rapporto alle elezioni, noi siamo sicuri —scrìveva il Comita- to provinciale — che essi sapranno al momento opportuno imprimere nelle loro circoscrizioni territoriali quel senso di unità e di reciproco rispetto delle libertà civili e politiche che ha già costituito la caratteristica dei Comitati nel periodo della cospirazione e della lotta". Unitamente a compiti di controllo annonario, di epurazione e giustizia, dell'assistenza in generale ed anche in direzione della ripresa dell'attività in diverse aziende, e di co- stituzione di cooperative di trasporto. Numerosi partigiani e patrioti avevano continuato un'attività di natura militare, inglobati nella polizia che aveva sostituito per alcuni mesi sia le Questure che le locali stazioni dei carabinieri. Lasciando poi il "posto" ai normali effettivi di poliziotti e di carabinieri. Gli ultimi partigiani verranno estromessi nel 1947-48 dopo l'assunzione del dicastero degli interni da parte del DC Mario Sceiba. All'inizio del 1946 entreran- no alla Beretta come dipendenti i partigiani: per alcuni di loro come Mario Zoli, Lino Belleri, Angelo Moreni, Giovanni Casari e Silvio Ruggeri, sarà un ritorno allo stabilimento abbandonato al momento della scelta di battersi per la libertà, per Sergio Pedretti, la ripresa del lavoro dopo il licenziamento alla Bernardelli; la "prima attività" per i fratelli Tanghetti Mario e Ugo. Passaporto per i lavoratori costretti ad andare a lavorare in Germania. 35 Indice dei nomi di questo opuscolo Alicata Mario Ambrosio (gen.) Ajmone dr. Luigi Alberti Antonio Amadini Luigi Anziati Mari Ardesi Alberto Ardesi Giuseppe (Pino) Ardesi Narciso Antonini Battista (Sangàl) Badoglio Piero Baglioni Angelo Bagiioni Sortolo Baglioni Guido Baglioni Leone Baresi Dino Barbera Gaspare Bastianon Battaglia (orologiaio) Beccagutti Eugenio Becherini Bedognè Angelo Belleri Andreine Belleri Angelo Belleri (Bagolina) Belleri Battista Belleri Innocente Giacomo Belleri Italo Belleri Luigi Belleri Paolo (lustri) Belleri Spartaco Bentivoglio Emma Bentivoglio Giulia Bentivoglio Paolo Benetti Gino Beretta Carlo Beretta Giuseppe Beretta Maria Beretta Pietro Berna Giuseppe Bernardelli Vincenzo Bertarini Bruna Bettinzoli Mario Setto ni (Barba) Bianchini Giovanni Bolis Guido Bolognini Bibi Bondio Andreine Boniotti Angelo Bonometti cap. Carlo Bordiga Silvio 36 Borghetti Giuseppe Bosatta Attilio Botta Michelino Botti Francesco Brearava Francesco Bresciani Guido Buizza Carlo (Carli) Cabona Annibale Calzoni (cascina) Campanelli Antonio Camplani Angelo Camplani Ippolito Camplani Marco Camossi Paolo Canaletti Gaudenti Alfredo Casari Aldo Casari Elena Casari Giovanni Casari Giuseppina Casari Luigi Carati Carlenzoli Adele Cavagnis Giovanni Cazzago Dante Cinelli Francesco (Cichino) Cinelii Franco Cinelli Giulia Cinelli (osteria) Cinelli Ugo Coccoli Lisi Coccoli Piero Combini Pierino Cominassi Domenico Cominassi Marco Consoli Zaverio Contrini Guglielmo Corbani Franco Cotelli Francesco Cotelli Gaudenzio Cotelli Pietro Cotelli Ugo Cucchi Luigi Daffini Pietro Damonti Santina (Berta) Dilda Darlo Donati (casa) Dorigo Celestina Dorigo Domenica Dugnani Innocente Eisenhower (gen.) Enriquez Vito Facchetti Battista Pacchetti Bruno Facchetti Gianni Fada Annibale Fada Giuseppe Paini Antonio Ferraglie Giglio Ferraglie Giovanni Ferraglie Giuseppe Ferraglie Libero Ferraglie Oliviero Franceschetti Aldo Franzini Elena Franzini Luciano Franzini Renzo Franzosi Attilio Frascio Elio Fumasini Anna in Tanghetti Gabrieli Bruno Gazzaroli Francesco Gerola Piero Ghetti Giuseppe Gitti Angelo Salvatore Gitti Pierino Gitti Umberto Goliardi Francesco (Cico) Grassi Domenica Gueriglia (gen.) Guerini Pietro Hitler Adolfo Jogiù Kostantinos Kaitel Lancini Annibale Lazzari Beniamino Leali Paolo Leonardi Ermanno Levi Giorgio Levi Remo Lombardi Emilio Lombardi Roberto Lonati Casimiro (Spartaco) Longhi Gianni Longo Luigi (Medico) Lorenzini col. Ferruccio Lunardi Astolfo Marchi Angelo Margheriti Ermanno Marocchi Angelo Marras (gen.) Masetti Giuseppe Massussi Franco Meda (Prefetto) Milani Amatore Mi raglia Mondinelli Ferruccio Mondinelli Giovanni Moreni Angelo Moretta Ardicelo Moretta Cesare Moretti Francesco Moretti Franco Moretti Giambattista Moretti Gian Luigi Moretti Mario Muffolini Alfredo Mussolini Benito Negri Anita Novali Graziano Orizio Francesco Pai in i Antonio Panelli Giuseppe Pardetti Battista (Roma) Pederzani Francesco Pedretti Antonio Pedretti Giacomo Pedretti Luigi (Sergio) Pedretti Natale Pelosi Peppino Peli Riccardo Perini Andrea Piantoni (gen.) Pini don Giulio Pintossi Gino Pintossi Giovanni (Negher) Pintossi don Giuseppe Pizzuto Giovanni (col.) Podestini Cesare Poli Carlo Poli Guido Poli Guido Poli Marino Polotti Giuseppe Pozzi don Angelo Ravagnani Cesare Renault Rene Resinelli Giovanni Ribbentrop (gen.) Ricci Fernando Rinaldini Alfonso Rinaldini Francesco (Cenciolino) Rossi don Francesco Rovati Battista Ruggeri Silvio Rusconi Antonio Sabatti Giovan battista (Popi) Sabatti Giuseppe (Moretto) Sabatti Giuseppe Sabatti Paolo Sabatti Stefano Saiani Lina Saleri Aquilino Salvinelli Battista Sanzogni Angelo Sartori Pietro Scaroni Angelo Sedoli Angelo Shaw Sint Sorlini Speziale Leonardo Villa Giovanni Vittorio Emanuele 111° Von Wuthenau Zadra Gelso Zadra Numida Zaina Giuseppe Zaina Vincenzo Zambonardi Attilio Zambonardi Luigi Zanetti Maria Zoli Angelo Zoli Mario Tanfoglio Giuseppe Tanghetti Alba Tanghetti Bruna Tanghetti Giulio Tanghetti Maria Tanghetti Mario Tanghetti Olga Tanghetti Ottorino Tanghetti Pasquino Tanghetti Secondo Tanghetti Ugo Telò Gelindo Testa Riccardo Tiboni Felice Timpini Adler Timpini Pietro Timpini Pietro (Cico) Tolotti Tonini Orsola Tononcelli Stefano Torcoli Ettore Tosi Paolo Tredici mons. Giacinto Vasa Antonio Vennocchi Olindo Venturelli (casa) Verginella Giuseppe 37 Bibliografia "Brescia cattolica contro il fase/so", Molinari "Documenti inediti della RSI", Lodovico Galli "Incursioni aeree su Brescia e provincia", Lodovico Galli (I2 e lla ed.) "La Wehrmacht a Brescia", Lodovico Galli "Uomini e fatti di Brescia partigiana", Leonida Tedoldi "L'ultima primavera", Leonida Tedoldi "La resistenza bresciana", Antonio Fappani (3 voi.) "// movimento operaio bresciano nella resistenza", Marino Ruzzenenti "La 122a Brigata Garibaldi", Marino Ruzzenenti "La resistenza bresciana", Istituto storico della Resistenza (17 fascicoli) "Gardone Valle Trompia", AA.VV. Testimonianze sulla resistenza all'OM", AA.VV. "Nella notte ci guidano le stelle", Piero Gerola (la e lla ed.) 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