JOHN D. BLAKELEY
LA TORRE MISTICA
DEI TAROCCHI
Gli antichi saggi che idearono gli Arcani dei Tarocchi furono certo maestri nell'arte della
comunicazione; seppero individuare le inclinazioni più frivole dell'animo dell'uomo servendosene
come veicolo per trasmettere un'enorme mole di sapere, che solo così poté scavalcare gli ostacoli
del tempo e dell'oblio.
Ma il successo di quegli antichi maestri non fu completo. Forse gli uomini dei secoli più recenti
sono troppo cerebrali, meno sensibili alla corrispondenza naturale tra immagine e concetto; forse
le immagini stesse hanno perso ormai con l'uso la loro immediatezza e non trasmettono più il loro
significato. Quale che ne sia la ragione, e nonostante un'intensa ricerca e speculazione cui molti
si sono dedicati nel diciannovesimo secolo, sembra che il sapere degli antichi maestri non sia
trapelato fino a noi se non in modo confuso e frammentario.
JOHN D. BLAKELEY, con l'impegno di tutta una vita di studio paziente, ha scoperto ed
esplorato un valido legame tra certe immagini dei Tarocchi e un libro quasi dimenticato e
misterioso esso stesso. Seguendo una così affascinante linea di indagine e analizzando e
confrontando dati di enorme interesse attinti a molte culture, ha potuto intravedere una
concezione nuova e valida sull'origine e la natura degli Arcani. Tale concezione Blakeley ci
propone in questo libro, assieme a illustrazioni suggestive e a un esame completo e accurato del contesto storico e del materiale.
LA TORRE MISTICA
DEI TAROCCHI
di
JOHN D. BLAKELEY
Titolo originale:
THE MYSTICAL TOWER
OF THE TAROT
(Watkins, London)
Traduzione di:
ALFREDO POLLINI
1974, John D. Blakeley, London.
1976, Casa Ed. Astrolabio - Ubaldini Editore, Roma.
pag. 175
₤. 16.000
John P. Blakeley
LA TORRE
MISTICA
dei
TAROCCHI
Gli Arcani Maggiori dei Tarocchi meritano
una lunga e silenziosa contemplazione, aiutandoci
a scoprire anche parzialmente la saggezza
degli antichi maestri, ci saranno di incalcolabile
aiuto nella nostra ricerca dell'unica
verità fondamentale e indivisibile
ROMA
ASTROLABIO
MCMLXXVI
INDICE
Prefazione
pag.
5
Introduzione
»
7
1. Qualche opinione .
»
10
2. Tipi, nomi e origini .
»
16
3. I quattro semi
»
23
4. Il Quaternion
»
34
5. Gli Arcani Maggiori
»
45
6. I legami con i Sufi
»
64
7. L'allegoria
»
77
g. La scala mistica
»
123
9. L'involucro della beatitudine
»
143
10. Frutti dell'Albero della Vita
»
151
Poscritto
»
157
Opere consultate
»
161
Note alle illustrazioni
»
165
Indice analitico
»
167
Finito di stampare nell'aprile 1976 presso Tipografia Città Nuova della PAMOM
per conto della Casa Editrice Astrolabio - Ubaldini Editore, Roma.
PREFAZIONE
Sul mazzo di carte illustrate meglio note come Tarocchi si è già scritto moltissimo e può
sembrare che ormai rimanga ben poco da aggiungere. Tuttavia, io ho il privilegio e la gioia di
scrivere la prefazione di un'opera che, a quanto ritengo, presenta idee nuove e una nuova
comprensione su questo enigmatico sistema di comunicazione simbolica. J. D. Blakeley, scienziato
di fama nel campo della tecnologia chimica, ha occupato numerosi incarichi di responsabilità
nell'industria e ha molto contribuito allo studio della sua disciplina con articoli e conferenze.
Attualmente è consulente professionista.
Da più di trent'anni, Blakeley si interessa delle religioni orientali e delle antiche tradizioni
misteriche; per sedici anni è stato segretario del Dormer Masonic Study Circle, dove ha anche
tenuto numerose conferenze; oggi è uno dei vicepresidenti dello stesso Circolo.
Quando si è ritrovato finalmente libero dagli impegni quotidiani della sua attività professionale,
ha avuto la possibilità di dedicare tempo alla coordinazione di tutto il materiale sui Tarocchi che
aveva raccolto nel corso di parecchi anni. Da questo lavoro è nato il libro che vi presento.
I lettori avranno modo di accorgersi che l'opera è il risultato di ricerche minuziose e di un
pensiero originale: non si tratta semplicemente di una ricapitolazione di idee sull'argomento,
attinte da altre opere, e rappresenta un modo nuovo di affrontare un problema che ha destato
l'attenzione di tanti scrittori e di tanti pensatori.
Nella sua opera recente, Yeats, the Tarot and the Golden Dawn, Kathleen Raine, nota studiosa e
poetessa, conclude con queste parole:
" I possenti simboli dei Tarocchi figurano tra i molti emblemi delle immagini primordiali;
mediante i quali si possono apprendere gli aspetti immutabili, universali della realtà; e stanno alla
base di alcune delle più grandiose immagini poetiche di Yeats... ".
GEOFFREY M. WATKINS
INTRODUZIONE
L'origine, lo scopo e il significato delle carte dei Tarocchi rimangono tuttora avvolti nel mistero,
anche se oggi l'interesse nei loro confronti è forse assai più vivo di quanto sia mai stato in tutte
le epoche storiche precedenti. Se si volesse cercare una ragione di questa popolarità, come
prima e più ovvia ipotesi la si individuerebbe nell'incertezza delle condizioni di vita dell'ultimo
cinquantennio. Siamo stati testimoni involontari di rivolgimenti sociali ed economici che hanno
colpito paesi considerati modelli di stabilità; abbiamo assistito ai rovinosi risultati della crudeltà
dell'uomo contro l'uomo; siamo dolorosamente consapevoli dell'evoluzione di armi aggressive
tanto pericolose da diventare una minaccia potenziale alla continuazione dell'esistenza della vita
umana sul pianeta da noi chiamato Terra.
Tutti questi sviluppi hanno determinato nell'individuo un senso di insicurezza, che può essere
attenuato solo dalla ferma convinzione di essere al mondo per uno scopo preciso e dalla fede
nell'esistenza in qualcosa al di là del breve periodo di vita accordato a ciascuno di noi. In tempi di
tensione e angoscia è sempre stato normale andare a cercar conforto nella religione; ma anche le
dottrine hanno risentito di un'insidiosa, analitica propagazione del dubbio che richiede le "prove"
prima di ammettere la fede, e che considera con sospetto quanto non può venire valutato e
classificato dalla mente razionale. Il risultato è stato il crearsi di un vuoto non ancora colmato.
Molti cercano la sicurezza nell'acquisizione delle ricchezze di questo mondo, oppure affidandosi
a qualche forma di assicurazione collettiva basata su grandi, potenti gruppi impersonali, che
spesso vengono definiti "lo Stato". Altri cercano di "evadere" ricorrendo alle droghe
psichedeliche; altri ancora si dedicano agli antichi sistemi di divinazione.
Abbiamo davvero perduto il contatto diretto con le potenze superiori che un tempo guidavano e
ispiravano l'umanità? Oppure siamo così intenti a cercare all'esterno - fino al punto di
intraprendere un programma di viaggi interplanetari - che abbiamo perduto la capacità di
guardare dentro di noi e di comunicare in silenzio con il centro misterioso, con il vero "Io" che è
in ognuno di noi? Forse questa carenza è un malessere tipico dei popoli dell'Occidente, perché
molti degli abitanti dei paesi orientali sono tuttora acutamente consci dell'influenza pervasiva di
forze invisibili. Nei tempi antichi, tali forze erano personificate come "dèi" e per rivolgere loro
domande venivano creati sistemi di divinazione.
L'ipotesi secondo la quale le carte dei Tarocchi erano in origine simboli pittorici derivati dagli
antichi sistemi misterici non è affatto nuova; è stata avanzata molte volte, ma in maggioranza i
tentativi di spiegazione erano privi di coerenza e quindi tutt'altro che convincenti.
È possibile, come ha affermato un autore, che il vero significato del sistema dei Tarocchi sia
conservato nel patrimonio di conoscenza di una o più società segrete; oppure può darsi,
semplicemente, che non abbiamo saputo leggere il messaggio che le carte presentavano
silenziosamente alla nostra attenzione, durante tutti i secoli della loro esistenza.
Questo libro cerca di indicare un nesso logico e diretto tra gli Arcani Maggiori e l'insegnamento
esoterico dei sistemi del Mistero Orfico. Inevitabilmente, tale insegnamento incorpora il
pensiero neoplatonico e chiama le "potenze" superiori con i loro nomi greci; tuttavia fu ispirato
da una splendida esposizione del pensiero persiano. L'autore di quel documento, ovviamente,
conosceva alla perfezione le tradizioni sufiche; ma l'autore della presente opera non può vantare
una conoscenza diretta dei metodi sufici o dei loro segreti più riposti, e quindi le sue conclusioni
rappresentano una valutazione personale.
Si è cercato volutamente di evitare confronti diretti tra le varie convinzioni religiose; ma il
lettore attento noterà molte associazioni tra la dottrina cristiana e gli antichi simboli
precristiani. Inoltre, quanti hanno una preparazione adeguata scopriranno riferimenti indiretti a
più recenti sistemi esoterici di insegnamento.
È molto probabile che gli Arcani Maggiori fossero in origine simboli pittorici che, come tutti i
simboli, rappresentano la verità in molti aspetti e su molti piani di pensiero. Un simbolo ha la
caratteristica essenziale di comunicare significati diversi a persone diverse; e ogni significato
sarà vero per ogni particolare individuo. È molto imprudente, da parte di chicchessia, affermare
che l'interpretazione data da un altro "non è esatta" poiché tutto dipende dallo stadio di
evoluzione nella "consapevolezza" raggiunto dall'individuo. L'autore è convinto che adoperare gli
Arcani Maggiori per giocare a carte, e persino per formulare domande su eventi futuri, significhi
degradare il loro scopo originario, e ritiene che il loro messaggio sia ancora valido oggi quanto lo
era molti secoli or sono. Gli Arcani Maggiori meritano una lunga, silenziosa contemplazione; e se
ci aiutano a scorgere anche parzialmente la saggezza degli antichi maestri, saranno
immensamente utili nella nostra ricerca dell'unica verità fondamentale e indivisibile.
Nel compilare un'indagine di questo genere, è molto importante attingere a piene mani alla
letteratura attendibile esistente; ma forse è anche più importante fruire dell'assistenza di
consiglieri che possiedano una conoscenza autorevole nei rispettivi campi. Nella preparazione di
questo libro, ho avuto la fortuna di godere di una preziosa assistenza, che mi è stata assicurata
con prontezza e generosità.
Esprimo innanzi tutto la mia gratitudine a Miss E.A.J. Cartwright, che mi ha concesso di
includere un lungo brano del bellissimo libro scritto dal suo illustre nonno verso la fine del secolo
decimonono con il titolo The Mystic Rose from the Garden of the King. È stato appunto questo
libro a offrirmi l'ispirazione per la presente opera e per il suo titolo.
Ho poi un debito di riconoscenza verso il mio stimatissimo amico Geoffrey M. Watkins il quale,
molti anni fa, fu il primo a suggerirmi che il simbolismo dei Tarocchi andava forse concepito in
modo nuovo. In seguito egli mi diede un aiuto prezioso, leggendo i primi abbozzi, prestandomi la
sua copia di The Hymns of Orpheus di Thomas Taylor, e assicurandomi consigli e indicazioni,
grazie al suo immenso patrimonio di conoscenze relative al simbolismo e al misticismo. Sono
particolarmente orgoglioso, inoltre, che egli abbia accettato di scrivere la prefazione alla mia
opera.
Altri due cari amici hanno dato un contributo significativo al mio lavoro, e riconosco il mio debito
nei loro confronti: John Karamadzanis per le informazioni sulle tradizioni greche e per il suo
aiuto nello studio affascinante dei significati esoterici di tante parole greche; e Michael Innes, il
quale mi ha prestato la sua copia dell'VIII volume dell'opera monumentale di Court de Gébelin, e
mi ha fornito una copia dell'edizione originale francese de L'Histoire de la Magie, offrendomi
inoltre consigli sull'interpretazione.
Ringrazio infine John Moore, il quale si è occupato personalmente della fotografia delle
illustrazioni dei Tarocchi incluse nel presente libro.
1
QUALCHE OPINIONE
Si dice che i Tarocchi descrivano pittoricamente la Saggezza Eterna. I veri autori non sono mai
stati identificati e non è mai stato individuato il paese d'origine, benché sull'argomento siano
stati scritti e pubblicati moltissimi libri e benché l'ispirazione del sistema sia stata trasmessa da
molti illustri studiosi di filosofia. Alcuni tentativi di spiegazione recano il marchio della
possibilità; alcuni sono pazzamente stravaganti. Per quanto il sistema dei Tarocchi fosse noto in
Europa all'incirca fin dal secolo decimoquarto, non destò un interesse serio tra gli studiosi fino a
quando Court de Gébelin pubblicò la sua profonda indagine che porta il titolo generale di Le
Monde Primitif (1781), e nella quale parlava del "gioco" nei seguenti termini: "Se sentissimo
annunciare che esiste ancora un'opera degli antichi Egizi, un libro sfuggito agli incendi che
distrussero le loro magnifiche biblioteche e contenente il loro insegnamento incorrotto, su
argomenti del genere più interessante, senza alcun dubbio ciascuno sarebbe ansioso di conoscere
un libro tanto straordinario; sarebbe certamente così. Ebbene, questo libro dell'antico Egitto è il
gioco dei tarocchi: lo possediamo sotto forma di carte".
Nella sua opera intitolata Magia trascendente (pag. 3), Eliphas Lévi (l'Abbé Louis Constant, 18101875) parla in termini molto simili: "Esiste poi un'altra opera; ma, per quanto in un certo senso
sia popolarissima e si possa trovare dovunque, è la più occulta e sconosciuta, perché è la chiave
del resto. È sempre bene in vista, senza che il pubblico la conosca; nessuno ne sospetta
l'esistenza e nessuno si sogna di cercarla dove è realmente. Questo libro, che forse è più antico
di Enoch, non è mai stato tradotto, ma si è conservato senza mutilazioni in caratteri primordiali,
su fogli distaccati come le tavolette degli antichi. Nessuno se ne è accorto, benché un illustre
studioso abbia rivelato, se non il suo segreto, la sua grande antichità e la sua straordinaria
conservazione... In verità è un'opera monumentale ed eccezionale, forte e semplice come
l'architettura delle piramidi e quindi duratura come queste; un libro che è il compendio di tutte
le scienze, che può risolvere tutti i problemi con le sue infinite combinazioni, che parla evocando
il pensiero, ispira ogni possibile concezione ed è forse il capolavoro della mente umana. Deve
venire indiscutibilmente considerato uno dei doni più grandi lasciatici in eredità dagli antichi".
Una nota informa che Lévi si riferisce ai Tarocchi degli zingari: l'originale delle carte da gioco
moderne.
Il dottor Gerard Encausse, sotto lo pseudonimo di "Papus", si esprime in modo non molto diverso
nel suo libro The Tarot of the Bohemians (pag. 4): "Poiché gli iniziati scoprirono che si stava
avvicinando il momento in cui le loro dottrine sarebbero andate perdute per l'umanità, compirono
strenui sforzi per salvare dall'oblio la legge della sintesi. A tale scopo vennero usati tre grandi
metodi:
“1. Le società segrete, quali continuazione diretta dei Misteri.
“2. Il culto, quale traduzione simbolica delle dottrine superiori, a uso del popolo.
“3. Infine, il popolo stesso divenne il depositario inconsapevole della dottrina".
Encausse continua: "... La scuola di Alessandria fu la fonte principale, da cui derivò la società
segreta dell'Occidente... Le sette gnostiche, gli Arabi, gli Alchimisti, i Templari, i Rosa-Croce e
infine i Massoni formano la catena occidentale della trasmissione della scienza occulta. Una
rapida occhiata alle dottrine di queste associazioni basta a dimostrare che la forma attuale della
Massoneria ha perduto quasi interamente i significati dei simboli tradizionali costituenti il
patrimonio che avrebbe dovuto venire trasmesso nei secoli". Più oltre, egli aggiunge: "... Le
società segrete vennero create per trasmettere nel loro simbolismo la parte scientifica
dell'iniziazione primitiva, mentre le sette religiose avevano il compito di sviluppare gli aspetti
filosofici e metafisici della dottrina. Ogni sacerdote di una fede antica era un iniziato; egli, cioè,
sapeva benissimo che esisteva una sola religione e che il culto serviva esclusivamente a tradurre
quella religione per le diverse nazioni, secondo il loro temperamento. Ciò condusse a un risultato
importante: un sacerdote, quale che fossero gli dèi da lui serviti, era accolto onorevolmente nei
templi di tutte le altre divinità, ed era autorizzato a offrir loro sacrifici". Segue poi una nota
per spiegare che "queste circostanze non comportavano affatto una concezione politeistica;
significavano in sostanza che tutti i rituali potevano venire integrati in un'unità che abbracciava
ogni cosa".
P. Christian, nella sua opera L'Histoire de la Magie (1870) scrive degli antichi Misteri egizi: « Un
Mago, che qui porta il nome di “Pastoforo” (Portatore dei Sacri Simboli) viene ad aprire la porta
al postulante. “Figlio della terra" dice sorridendo, "sii il benvenuto. Sei sfuggito all'agguato
dell'abisso scoprendo la via dei saggi. Pochi aspiranti ai Misteri, prima di te; hanno trionfato di
questa prova; gli altri sono tutti periti... Non posso nasconderti che altri pericoli ti attendono, ma
sono autorizzato a incoraggiarti spiegandoti i simboli, la cui comprensione crea attorno al cuore
dell'uomo un'armatura invulnerabile. Contempla con me queste sacre immagini; ascolta
attentamente le mie parole e, se riuscirai a fissarle nella memoria, i re del mondo saranno meno
potenti di te quando ritornerai sulla terra... La scienza della volontà, principio di ogni saggezza e
fonte di ogni potere, è contenuta in ventidue arcani, o geroglifici simbolici, i cui attributi
nascondono significati riposti. che, nel complesso, costituiscono una dottrina assoluta, associata
nella memoria, dalle sue corrispondenze, alle lettere del linguaggio sacro e ai numeri
corrispondenti a tali lettere. Ogni lettera e ogni numero... esprime una realtà del mondo divino,
del mondo intellettuale e del mondo fisico. Ogni arcano, reso visibile o tangibile da una di queste
immagini, è la formula di una legge dell'attività umana nei suoi rapporti con le forze spirituali e
materiali, la cui combinazione produce i fenomeni della vita” ».
Nel libro intitolato Il Simbolismo dei Tarocchi e pubblicato a Pietroburgo nel 1913, P. D.
Ouspensky scrive: "La storia dei Tarocchi è un grande enigma. Nel Medioevo, quando i Tarocchi
fecero la loro prima apparizione storica, c'era la tendenza a costruire sintetici sistemi simbolici
o logici simili all'Ars Magna di Raimondo Lullo. Qualcosa di simile ai Tarocchi, però, esiste anche
in India e in Cina, quindi non possiamo pensare che tali sistemi siano stati creati in Europa nel
Medioevo; inoltre, sono evidentemente collegati agli Antichi Misteri e alle Iniziazioni egizie. Per
quanto la loro origine sia perduta nell'oblio e lo scopo del loro autore, o autori, sia del tutto
sconosciuto, senza alcun dubbio si tratta del più completo codice del simbolismo ermetico da noi
posseduto".
Non tutti i commenti, tuttavia, erano così entusiasti. I puritani chiamavano i Tarocchi "il libro
figurato del Diavolo", e lo stesso titolo venne dato a una storia delle carte da gioco scritta nel
1892 da Mrs. John King van Renssellaer. Frank Lind, nella sua opera How to Understand the
Tarot (Prediction Guide Book No. 3), riferisce una curiosa leggenda sull'origine dei Tarocchi:
quando, in tempi immensamente remoti, i Guardiani della Dottrina Segreta, gli iniziati che erano i
depositari dei Misteri occulti, si accorsero dell'appressarsi di un tempo in cui i loro insegnamenti
potevano andare perduti per l'umanità, dovettero trovare un modo per salvare dalla completa
distruzione i fattori essenziali della loro conoscenza sacra. I membri del consiglio dei gerofanti
proposero varie soluzioni. "Dipingete i testi degli assiomi sulle pareti del tempio più solido e più
antico", suggerì uno. Gli obiettarono che l'edificio non avrebbe resistito alle forze distruttive
degli invasori e delle intemperie. Un altro consigliò di incidere gli assiomi su lamine del metallo
più resistente. Si ribattè allora che se il metallo non era prezioso, sarebbe arrugginito, mentre
se fosse stato prezioso avrebbe certamente attirato i ladri. Un terzo formulò questa proposta:
"Affidiamo i nostri arcani a un uomo semplice ma virtuoso, che difenderà il segreto dai profani e
prima di morire lo trasmetterà a un altro semplice e virtuoso quanto lui; così la trasmissione
continuerà nel tempo fino a quando sarà di nuovo possibile insegnare e comprendere la verità". Gli
fu risposto, però, che la vera semplicità è rara e la virtù è accessibile alla tentazione. Poi il più
giovane degli adepti disse: "Approfittiamo dei vizi, dei peccati e delle passioni malvagie dell'uomo
per conservare i nostri insegnamenti segreti: dobbiamo esprimerli simbolicamente per mezzo di
figure in apparenza innocenti che, moltiplicate all'infinito, sazieranno una delle più forti brame
dell'uomo, la brama del gioco. Affidiamo alle forze del male la conservazione dei semi della virtù
che contengono la certezza della salvezza e del bene del mondo". La proposta fu accolta con
unanime approvazione: e così nacquero i Tarocchi. Questa narrazione è tratta dal libro di Frank
Lind e, anche se la leggenda non riferisce una verità concreta, contiene un'idea sulla quale vale la
pena di riflettere.
È certo comunque che, nel corso dei secoli, molte autorità cercarono di vietare l'uso delle carte,
affermando che erano strumenti del vizio e della disonestà. Secondo il dottor J. B. Thiers
(Traité des Jeux et des Divertissements, 1686), il Sinodo di Langres del 1404 (Tit. de Ludibus
probibitis) vietò al clero di giocare ai dadi, a triquetrac e a carte. Singer cita un rapporto di
Mons. Neubronner, amministratore a Ulm intorno al 1806, dove è detto che negli archivi di quella
città esisteva un antico volume in pergamena, datato 1397 e chiamato "Libro Rosso" per via delle
iniziali di quel colore, che conteneva la proibizione di giocare a carte. I documenti provano,
inoltre che, nel 1423, san Bernardino da Siena predicava contro i giochi delle carte e faceva
riferimento a naibis e carticellis. Menestrier ricorda gli statuti di Amedeo VIII duca di Savoia e
poi papa Felice V, il quale proibiva nei suoi territori tutti i giochi che avessero per posta denaro; i
suoi sudditi erano autorizzati a divertirsi con certi giochi, purché le puntate fossero costituite
solo da cibi e bevande. Si dice che la disposizione venisse emanata nel 1430, per quanto Peignot
affermi che si trattava invece del 1470 (vedere Chatto pag. 81).
Il reverendo E. S. Taylor, nella sua History of Playing Cards (1865), dice dei puritani: "Ogni
comunità condannava duramente le carte, i dadi, le danze, gli ornamenti del vestiario. Si ritiene
che non una sola carta da gioco sia stata portata dai Padri Pellegrini nella Nuova Inghilterra,
dove ancora oggi tali cose sono scarsissime; e i loro confratelli rimasti in patria, quando
pervennero al potere, non lasciarono nulla di intentato per farle cadere in disuso. Prynne, Hall e
altri scrissero a profusione libri e opuscoli per denunciare queste "vanità carnali' ".
Tali notizie sembrano confermare la possibilità che le reazioni favorevoli alle carte da gioco
datino soprattutto a partire dalla seconda metà del secolo decimottavo, soprattutto a opera di
un gruppo di simbolisti francesi, tra i quali Court de Gébelin merita una particolare attenzione,
perché forse fu lui a lanciare l'idea che le carte avessero significati più profondi di quanto
apparisse superficialmente. A partire da quel periodo, molti ricercatori eminenti si sono dedicati
allo studio delle carte. Sono stati scritti molti libri dottissimi, che tuttavia sono ancora legati
alla divinazione e al desiderio di sollevare il velo del futuro, e si può sospettare che, ancora oggi,
l'interesse per i Tarocchi costituisca una forma di evasione dai rischi del "gioco della vita". In
altre parole, l'usanza greca di consultare l'Oracolo di Delfi e l'abitudine di consultare le stelle,
comune ai Magi caldei come all'astrologo moderno, hanno caratterizzato fin dai tempi storici più
remoti la mentalità con cui l'uomo si accosta all'ignoto.
Sappiamo che l’I King dell'antica Cina attirò l'attenzione di Confucio e che la divinazione per
mezzo di questo metodo è tuttora popolare, e non solo in Oriente; ma non vi è alcuna somiglianza
evidente tra i segni usati nel metodo dell' I King e l'arte colorata degli Arcani Maggiori dei
Tarocchi: ci si deve chiedere perché la Saggezza degli Antichi, ammesso che tale denominazione
sia esatta, si sia tanto svilita nel corso dei secoli. Forse, come afferma qualcuno, la natura
esoterica di quella saggezza era nascosta troppo bene? Oppure, come si apprende dalla
letteratura medioevale del Santo Graal, la saggezza venne volutamente sottratta al piano umano,
quando l'evoluzione della razza si orientò verso le scienze materiali? È vero, come sostengono
alcuni, che l'antica scienza è conservata da ignoti maestri della saggezza, o dorme, non
riconosciuta, negli archivi delle biblioteche e nelle tradizioni esoteriche di gruppi o istituzioni
organizzate, per attendere la piena influenza dell'Era dell'Acquario, che a quanto si dice
ristabilirà gli antichi principi della “Fratellanza dell'Uomo” con l'indispensabile corollario della
“Paternità di Dio” anche se quest'ultimo termine può non essere molto popolare nella moderna
propaganda "razionalista"? Insomma, se i Tarocchi sono veramente ciò che è stato detto che
sono, perché non li usiamo di più e meglio?
2
TIPI, NOMI E ORIGINI
Il normale mazzo dei Tarocchi contiene in totale settantotto carte, compresi i ventidue Arcani
Maggiori, i cosiddetti atous o trionfi, e cinquantasei Arcani Minori che sono le cosiddette “carte
di colore” o “semi”. Gli Arcani Maggiori possono variare; si va da disegni relativamente semplici ad
altri molto elaborati. Ci occuperemo in particolare del loro simbolismo. Hanno tutti forma
pittorica e, di solito, ogni carta porta un nome che la distingue, per quanto non sia sempre stato
così. Ventuno di queste carte sono numerate consecutivamente da uno a ventuno; ve ne è poi una
che non è numerata, o porta la designazione di "zero". I cinquantasei Arcani Minori, dai quali
sembrano derivare i moderni mazzi di carte da gioco, sono divisi in quattro semi, ognuno dei quali
ha quattordici carte. Dieci di esse portano numeri consecutivi da uno a dieci, secondo il numero
dei simboli ripetuti che vi appaiono; vi sono poi quattro carte "di onori" o "figure": il re, la regina,
il cavaliere o cavallo, il fante o valletto. I quattro semi sono chiamati Bastoni, Spade, Coppe e
Denari (o Pentacoli).
Con i veri Tarocchi vengono spesso confuse le carte da Trappola e le carte francesi da picchetto,
che però non contengono gli Arcani Maggiori. Il mazzo da Trappola comprende trentasei o
quarantotto carte; ma il mazzo più piccolo contiene solo sei carte numerali di ogni seme: l'uno, il
due, il sette, l'otto, il nove e il dieci (vedere Singer, pag. 22). Il mazzo più grande ha tre figure o
onori, e i semi comprendono dodici carte ciascuno, con l'eliminazione dell'asso o del dieci. Il
mazzo da picchetto include la regina di ogni seme, così che il numero totale delle carte è
normalmente cinquantadue. Nella Fig. 1 viene data un'idea dei varii tipi di carte.
Ben diverso da tutti questi, ma di solito associato ai Tarocchi, è il cosiddetto “mazzo del
Mantenga” che comprende cinquanta carte simboliche, tutte in forma pittorica. Si ritiene che
derivino da originali di arte fiorentina e si pensa che il loro nome esatto debba essere Cartes de
Baldini (vedere Taylor, pag. 121). Si è affermato che siano gli originali dai quali sarebbero
derivati gli Arcani Maggiori: ma questa ipotesi non è stata accettata da tutti. Nel corso degli
anni sono state prodotte molte varianti di carte pittoriche, per ragioni diverse, e Rakoczi ( The
Painted Caravan) parla di un mazzo di ben novantasette carte; ma quello che ci interessa è il
mazzo di Tarocchi di settantotto carte, sul quale sono state formulate tante ipotesi fin dai
tempi più antichi.
A sostegno della tesi di un'origine egizia, Court de Gébelin sostenne che la parola Tarot (o
Tarocco) derivasse da due parole egizie: tar (strada) e ro, ros o rog (re o reale). Egli si richiamò
anche alla parola arosh, considerata divisibile nelle sillabe a (dottrina o scienza) e rosh
(Mercurio). L'ipotesi fu ripresa da Taylor (pag. 18). Altri, incluso William Postel (Wirth pag. 34)
osservarono che la parola rota (ruota) poteva venire anagrammata in taro, e che era inclusa nella
frase rosa-crociana rota mundi (ruota dell'universo; vedere An Encyclopedic Outline of Masonic,
Hermetic, Qabbalistic and Rosicrucian Symbolical Philosophy, pag. CXXIX) W. Starkie (In
Sara's Tents) osserva che la parola ungherese torok significa "mazzo di carte” e che deriva dallo
hindu taru. Questo, ovviamente, solleva la questione di una possibile associazione con tara,
l'incarnazione della saggezza (prajña) nel sistema religioso tibetano. Idries Shah (The Sufis,
pag. 398) afferma che la parola deriva dall'arabo TaRIQa (corso della vita, modo di vivere, via
percorsa dai viaggiatori) e indica che la parola araba turuq significa “quattro vie”. Segnala infine
che la parola TaRIQa può essere espressa visivamente come una palma.
È stato detto (Singer, pag. 14 e Taylor, pag. 5) che soltanto i ventidue Arcani Maggiori sono i
veri Tarocchi e che i cosiddetti Arcani Minori hanno origine diversa. L'ipotesi è suffragata dal
fatto che i simboli dei semi di molti tipi, sia nelle carte da Trappola che in quelle da picchetto,
sono identici a quelli delle carte di colore del mazzo dei Tarocchi e potrebbero esserne stati
addirittura i prototipi. Le notizie più antiche pervenuteci a proposito delle carte, in Europa, le
chiamano naibi. Ecco ciò che narra Covelluzzo (Chatto, pag. 23): "Anno 1379, fu recato in Viterbo
el Gioco delle Carte, che venne de Seracina, e chiamisi tra loro Naibi". Ciò ha indotto gli studiosi
ad associarne l'origine agli Arabi; e poiché la parola naipes è tuttora d'uso comune in Spagna per
indicare le carte, si presume che vi venissero introdotte dagli invasori mori quando occuparono
gran parte dell'Europa meridionale. D'altra parte Chatto (pag. 24) osserva che "vi è ragione di
credere che la parola naipe o naipes, riferita alle carte, inizialmente non indicava le carte stesse
in generale, bensì il gioco che con esse veniva giocato". In ogni caso ancora oggi, se qualcuno, in
Spagna, chiede "un mazzo di carte", gli viene dato quasi sicuramente un normale mazzo di carte
da gioco con cuori, fiori, quadri e picche; bisogna invece chiedere le carte naipes, che
comprendono Copas, Bastos, Oros (o Dineros) ed Espadas. La derivazione della parola naib o
naipes ha probabilmente un'importanza considerevole nella nostra indagine. Singer (pag. 7)
riferisce un'opinione di Breitkopf, secondo il quale è legata alla parola araba nabi (profeta o
indovino) e con la parola analoga ebraica che ha lo stesso significato. Chatto (pag. 22) sostiene
che la parola naib, in "industani", ha il significato di "viceré, luogotenente, o delegato che governa
un certo distretto"; identica è l'affermazione di Idries Shah ( The Sufis, pag. 398). Chatto (pag.
27) riferisce inoltre l'opinione di Bullet, per il quale la parola naipes deriva dal basco napa, che
significa "piatto" o "piano", e aggiunge un giudizio di Eloi Johanneau, secondo il quale la parola
deriverebbe dal latino mappa (carta geografica) e da nappe (tovaglia o tovagliolo) "che viene
spiegato sulla tavola come una carta". Un'altra associazione, forse ancor più fantasiosa, è
registrata da Singer (pag. 6): secondo l'abate Rive la parola naipes deriva da "N. P." le iniziali di
Nicholao Pepin, considerato da alcuni “l'inventore” spagnolo delle carte da gioco.
Vi è poi un'altra associazione, assai meno conosciuta delle precedenti: il Lama Anagarika Govinda
(Foundations of Tibetan Mysticism, pagina 140; trad. it., I fondamenti del misticismo tibetano,
Astrolabio, Roma 1972, pag. 136), parla del nabhi-padma, o manipura-cakra (il “loto
dell'ombelico”) che, nel corpo umano, è in connessione con il plesso solare. D. A. Mackenzie ( The
Migration of Symbols, pag. 116) riferisce a sua volta che la parola nabhi, in sanscrito "ombelico"
viene usata nel senso di "medio, in mezzo". Egli osserva che “l'ombelico” di una ruota era nabhya,
e associa la parola al centro di un vortice e all'asse di una swastika. Può darsi che nelle parole
rota e nabhi noi troviamo una guida nella nostra ricerca del simbolismo di ciò che i tibetani
chiamano "il ciclo degli stati terreni dell'esistenza", più conosciuto in Occidente come "ruota
della vita"; e questo potrebbe spiegare l'associazione del sistema dei Tarocchi con i tentativi di
predire gli eventi futuri.
I Tarocchi e il loro uso nella divinazione sono stati legati alla razza nomade degli Zingari fin dai
primi tempi; c'è chi afferma che siano stati portati in Europa appunto da quella razza. Singer
(pag. 317) riferisce: "Grellman (Versuch über die Zigeuner, Gottinga 1787) si è dato molto da
fare per dimostrare che gli Zingari vennero dall'Indostan, che appartenevano alle caste inferiori
dei Paria o Suder, e che emigrarono quando Timur Beg conquistò e devastò l'India all'inizio del
secolo decimoquinto... Il paese di Zinganen, sotto Multan, fu il loro primo rifugio; là essi rimasero
al sicuro fino a quando Timur tornò dal Gange, lasciando dietro di sé una scia di terrore; allora
quegli sventurati cercarono di nuovo salvezza nella fuga, imitati da un gran numero di indigeni; da
questo deriva, si pensa, il nome con cui sono oggi conosciuti nell'Europa meridionali, zingari. Si
suppone che siano passati attraverso i deserti di Persia, Sigistan, Makran e Kirman, lungo il Golfo
Persico fino alla foce dell'Eufrate; e da lì, passando per Bassora, si siano addentrati nei grandi
deserti dell'Arabia, quindi nell'Arabia Petraea, e infine in Egitto, attraverso l'istmo di Subs.
Dall'Egitto, giunsero poi in Europa per vie diverse". Singer osserva inoltre, basandosi su varie
autorità, che molte parole del vocabolario degli Zingari e delle tribù nomadi della Nubia sono
simili a quelle usate nella lingua indostana per indicare oggetti corrispondenti. Aggiunge poi che,
sebbene Bernouille ritenesse la lingua degli Zingari affine a quella del popolo semitico, Rudiger
aveva notato che appariva invece d'origine sanscrita ed era simile all'indostano.
Walter Starkie (In Sara's Tents) riporta un'affermazione di Colocci (Gli Zingari, Torino, 1880): i
"Romanichal" danno ai quattro semi delle carte da gioco i nomi Pal, Pohara, Spathi e Rup. Dice
inoltre che la parola pal deriva dal sanscrito pallav (un ramoscello con foglie); poharra in
ungherese equivale a "coppe" ed è simile al romeno pahar; spathi viene dal sanscrito sa-patri (con
foglia); e rup deriva dalla parola hindu che significa "denaro". Taylor (pag. 9) cita Pasquier
(Recherches Historiques), il quale dice che gli Zingari apparvero per la prima volta a Parigi
nell'agosto 1427. Era una schiera composta da più di un centinaio di persone e guidata da alcuni
capi che si presentavano come conti, e sostenevano di essere cristiani, scacciati dall'Egitto a
opera dei musulmani, ma "senza dubbio si trattava di un sistema per accattivarsi simpatie".
Taylor aggiunge che "in Francia ricevettero il nome di Bohemes, sia perché avessero soggiornato
in Boemia, sia perché böem, un'antica parola francese, significa stregone". Egli cita altri nomi con
cui vengono chiamati, come Zingari (in Italia), Zigeuner (in Germania), ma aggiunge che il loro
vero nome è Tsigani. Singer (pag. 25) nota anche i nomi Gitanos (in Spagna) ed Aegyptii (in
qualche autore latino), aggiungendo che apparvero per la prima volta in Germania nel 1417
(Munster, Cosmology B. III c. v).
Se le date sono attendibili, sembra improbabile (ma si veda comunque il Poscritto) che gli Zingari
siano stati i primi a portare le carte in Europa. Singer (pag. 21) cita un brano di Pipozza di
Sandro, fiorentino, che si riferisce al 1299 (o forse all'inizio del secolo decimoquarto) e indica
come a quell'epoca fossero già usate in Italia le parole carte e naibi. Inoltre, ovviamente,
abbiamo la testimonianza di Covelluzzo, citata più sopra, secondo la quale il gioco di naib fu
portato a Viterbo nel 1379. Vi è inoltre la famosa testimonianza relativa ai tre mazzi di Tarocchi
che si dice siano stati appositamente dipinti nel 1393 per Carlo VI secondo la tradizione, ma con
qualche dubbio, sarebbero opera di Jacquemin Gringonneur (Singer, pag. 30, e Chatto, pag. 195).
Chatto si richiama a una descrizione di Duchesne (Observations sur les Cartes à jouer: Annuaire
Historique 1837), in cui è detto fra l'altro che "sono diciassette, e senza il minimo dubbio
facevano parte di un mazzo di cosiddetti Tarocchi che, completo, consisteva di cinquanta carte".
Benché Leber concordasse con Duchesne nell'attribuirle a un artista francese dei tempi di Carlo
VI, Chatto è convinto che potrebbero essere opera di un artista italiano e, giudicando dallo stile
degli abiti, formula l'ipotesi che non possano essere anteriori al 1425. Se tali osservazioni sono
esatte, dobbiamo concludere che certe forme di carte da gioco erano già conosciute, almeno in
Italia, prima della venuta documentata degli Zingari in Europa, e che al loro uso era associata la
parola naib o naibi.
Tutto sembra indicare l'esistenza di una linea di trasmissione dall'Arabia o dall'Africa
settentrionale, ma non sappiamo esattamente quali carte venissero indicate con il nome di naibi.
Si sa che i Mori giunsero in Spagna nel 710 d.C., dopo essere arrivati in Egitto nel 635 d.C. e in
Sicilia nel 652 d.C. Penetrarono in Francia nel 731 d.C. e rimasero nella Spagna meridionale fino al
1492, e sappiamo che portarono in Europa un patrimonio culturale di altissimo livello. La più tarda
filosofia alchemica deve moltissimo alla scuola di Jabir ibn Hayyan, fondata nell'ottavo secolo.
Non dobbiamo tuttavia dimenticare la possibilità che i Crociati, di ritorno dalla Terrasanta,
abbiano portato con sé una certa conoscenza della filosofia musulmana; anzi, è stata avanzata
l'ipotesi che Edoardo I avesse avuto stretti contatti con le tradizioni orientali quando, ancora
principe di Galles, combatté per quasi cinque anni in Siria. Tanto Singer (pag. 18) quanto Chatto
(pag. 18) si riferiscono alla History of the Garter di Anstis, che cita i Cataloghi del Guardaroba
del 1278, indicando che a quei tempi era conosciuto un gioco chiamato quatuor reges; e Singer
inoltre parla di un editto del tempo di Riccardo I dell'anno 1190 d.C., che proibisce di giocare a
qualunque gioco, per denaro, a tutti i membri dell'esercito, a eccezione dei cavalieri e del clero;
ma Singer pensa che il gioco in questione fosse quello degli scacchi. Chatto (pag. 74) ricorda
anche il Gülden Spil (gioco aureo), scritto alla metà del secolo decimoquinto da un frate
domenicano di nome Ingold, e nel quale si sosteneva che il gioco delle carte era arrivato per la
prima volta in Germania verso il 1300; vi è tuttavia una nota dove si precisa che, secondo von
Murr, tale data andrebbe spostata almeno cinquant'anni più tardi.
Ci troviamo ora di fronte al problema di stabilire cosa si intendesse, esattamente, per il "gioco di
carte che chiamano naib". Poiché è certo che i Mori occuparono parte della Spagna e dell'Italia,
si potrebbe presumere che avessero introdotto le loro usanze in entrambi i paesi, e vi è motivo di
supporre che il gioco di naib (in Italia) e quello di naipes (in Spagna) provenissero dalla stessa
fonte. Sappiamo però che i naipes spagnoli non compresero mai quelli che oggi chiamiamo Arcani
Maggiori, e ciò significa che doveva trattarsi delle carte ora chiamate Trappola. Se la nostra
conclusione è esatta, sembra ragionevole presumere che in origine gli Arcani Maggiori fossero
completamente distinti dalle altre carte e che venissero combinati in un'epoca successiva,
formando il mazzo dei Tarocchi. Questa opinione è suffragata da un passo dell'Encyclopaedia
Britannica: "Probabilmente le carte più antiche venivano dall'Oriente ed erano usate per la
divinazione, ma non erano carte figurate e avevano soltanto i quattro semi numerati, quindi non
includevano i ventidue Arcani Maggiori che, probabilmente, furono aggiunti molto più tardi".
Ecco le date che risultano più attendibili:
1393 (forse 1425)
1470 - 1485
1589
Le carte di Carlo VI, attribuite a Gringonneur;
Cartes de Baldini (il mazzo Mantegna);
Garzoni (Piazza Universale di Tutte le Professioni del Mondo –
Venezia) parla dei Tarocchi come di "una nuova invenzione" (cfr.
Singer, pag. 22).
Forse non è una coincidenza che le più antiche immagini superstiti degli Arcani Maggiori siano
datate con certezza entro un secolo dall'annientamento dell'Ordine dei Templari e dal martirio
del loro Gran Maestro, Jacques de Molay. Secondo una solida tradizione i Templari avrebbero
conosciuto, almeno in parte, i Misteri dei Saraceni; e alcuni membri dell'Ordine sarebbero stati
iniziati a tali riti segreti.
Dovremmo forse associare alle date sopra riportate anche la seguente affermazione di Chatto
(pag. 194): "... per quanto la manifattura delle carte fiorisse sia in Italia, sia in Germania prima
dell'anno 1450, non sono mai state scoperte cosiddette carte da Tarocchi di quel periodo che
possano venir considerate, in base alle dimensioni e all'esecuzione, come destinate a venire
adoperate comunemente per giocare; al contrario, esistono parecchi esemplari di carte numerali
dei quattro segni, stampigliate o silografate, di tipo evidentemente mediocre e destinate all'uso
comune, che non possono essere posteriori al 1450".
Chatto (pag. 192) indica un'altra data che si riferirebbe all' “invenzione” del gioco del
Tarocchino. Secondo Cicognara, una tradizione afferma che a Francesco Fibbia, principe di Pisa,
residente a Bologna prima del 1419, era stato accordato il privilegio di porre il proprio stemma
sulla Regina di Bastoni e quello della moglie sulla Regina di Danari, quale riconoscimento, da parte
dei “Riformatori” della città, della parte da lui avuta nella “invenzione” del Tarocchino. Ci si può
chiedere, tuttavia, se nella sua qualità di comandante in capo delle forze bolognesi, egli avesse
potuto mettere le mani su parte dei documenti sequestrati ai Templari e avesse combinato un
certo numero di illustrazioni (gli Arcani Maggiori) con le preesistenti carte nahbi: naturalmente,
si tratta di una pura e semplice ipotesi. Ma è interessante notare ciò che dice l'Encyclopaedia
Britannica: "In origine i Tarocchi erano alluminati con disegni individuali di significato esoterico".
Nessuna affermazione del genere è mai stata formulata a proposito delle carte a quattro semi.
Paul Marteau (Le Tarot de Marseille) dice che il disegno attuale delle antiche carte marsigliesi è
una riproduzione dell'edizione pubblicata nel 1761 da Nicolas Conver, maître cartier di Marsiglia,
il quale aveva conservato i blocchi di legno e i colori dei suoi lontani predecessori; ma non viene
indicata una data per la loro origine. Willshire ( Descriptive Catalogue of Playing and other Cards
in the British Museum) precisa che un mazzo di carte, da lui citato con il numero 1.4, proviene da
Bologna e risale alla seconda metà del secolo decimosettimo. A una osservazione attenta tali
carte appaiono in sostanza identiche all'Ancien Tarot de Marseille: ma è evidente che i disegni
possono derivare da fonti ancora più antiche, di cui non abbiamo notizie precise.
segue ……… da pag. 23
estratto ………da pag. 50
0. IL MATTO
Un uomo piuttosto giovane, vestito con trascuratezza, un bastone bilanciato
sulla spalla destra; un fagotto o una piccola borsa pende dall'estremità del
bastone, che è tenuto fermo con la mano sinistra. Nella destra l'uomo tiene
un altro bastone al quale si appoggia per camminare. Un cane, o un animale
simile a un cane, gli azzanna una gamba da tergo, e sembra spingerlo verso
l'orlo di un precipizio, o talvolta verso un coccodrillo.
I. IL BAGATTO (O MAGO)
Un giovane sta ritto dietro un tavolo a quattro gambe (una delle quali spesso
è nascosta). Sul tavolo vi sono vari oggetti, che di solito comprendono anche
i simboli dei quattro semi numerali. In una mano, spesso la sinistra, il giovane
stringe una corta bacchetta inclinata verso l'alto, mentre la destra punta
verso il basso. Sulla testa, in forma di cappello, oppure immediatamente al di
sopra della testa stessa, c'è il lemniscus, simbolo dell'infinito, che in origine
era la forma del nastro fissato alla corona del trionfatore.
II. LA PAPESSA
(O GRANDE SACERDOTESSA)
Una donna maestosa, seduta, tiene sulle ginocchia un libro parzialmente
celato. Sul capo porta una corona simile a una doppia tiara papale; ha il
volto velato, oppure un velo pende dietro di lei. In alcune varianti la
donna sta in mezzo a due colonne, e talvolta il suo copricapo ha la forma
del diadema di Iside, con il disco della luna piena tra le mezzelune
sporgenti, che rappresenterebbero la luna crescente e quella calante.
III. L'IMPERATRICE
Una donna seduta, dall'aria materna. Nella mano sinistra stringe uno
scettro, sormontato da un globo e da una croce; con la mano sinistra regge
uno scudo sul quale è raffigurato un uccello ad ali aperte; secondo alcuni,
l'uccello rappresenta una fenice. Sul capo, la donna porta una corona
sormontata o circondata da stelle, spesso in numero di dodici.
IIII. L'IMPERATORE
Un uomo barbuto dall'aspetto regale è seduto, spesso su una pietra
cubica, con le gambe incrociate. Nella destra regge verticalmente uno
scettro, e talvolta stringe nella sinistra un globo sormontato da una
croce. Accanto a lui, di solito alla sua sinistra, c'è uno scudo sul quale è
raffigurato un uccello dalle ali e dalle zampe protese.
Sul capo porta una corona orlata da una specie di rotolo.
V. IL PAPA (O GEROFANTE)
Un uomo barbuto, dall'aspetto venerabile, è seduto tra due colonne; davanti
a lui stanno due figure inginocchiate. Con la mano sinistra regge un bastone
che termina in una doppia croce, e sul capo porta il triregno papale. Due dita
della mano destra sono ripiegate e due protese, nel segno mistico
dell'occultamento parziale.
VI. L'INNAMORATO
Un giovane sta ritto tra due donne. Quella a destra porta una corona e un
abito stretto in vita da una cintura, mentre quella a sinistra indossa una
veste sciolta e ha i capelli sparsi sulle spalle, ma talvolta porta in capo
ghirlande di fiori. Di solito, la prima delle due tiene la mano sinistra sulla
spalla destra del giovane, la seconda gli posa la mano sinistra sulla parte
sinistra del petto. Al di sopra del gruppo una figura alata, simile a un
cherubino, tende l'arco puntando la freccia tra l'uomo e la donna alla sua
sinistra. In una varietà di Tarocchi (il mazzo di Oswald Wirth) l'uomo è
ritto in un punto dove un sentiero diverge in due rami a forma della lettera Y, e tiene i piedi
rivolti verso i due sentieri divergenti.
VII. IL C A R R O
Un uomo d'aspetto principesco sta ritto su un carro con baldacchino, al
quale sono attaccati due animali in posizione di riposo. Di regola si tratta
di due cavalli, ma talvolta sono rappresentati come sfingi dalle accentuate
caratteristiche femminili, e spesso sono rivolti in direzioni divergenti ma
con le teste girate l'una verso l'altra. Il baldacchino è sorretto da
quattro sostegni verticali, e l'uomo porta in capo una corona aperta o
chiusa; stringe uno scettro nella mano destra. Di solito, sulle sue spalle
sono raffigurate due mezzelune, adorne di volti umani. Le
ruote del carro sono solitamente inclinate ad angoli abnormi rispetto alla linea del veicolo. Sulla
parte anteriore del carro figura normalmente un emblema.
VIII. LA GIUSTIZIA
Una donna coronata, seduta tra due colonne. Nella destra stringe
l'impugnatura di una spada, tenuta verticalmente con la punta verso l'alto,
e con la sinistra regge una bilancia, con i piatti sospesi ciascuno a tre
catenelle. A. E. Waite sostenne che la numerazione di questa carta è
errata, e che dovrebbe essere scambiata con quella della “Forza'; tuttavia
non fornì spiegazioni convincenti per corroborare tale affermazione.
VIIII. L'EREMITA
Un vecchio tiene alta una lanterna con la mano destra e si appoggia con la
sinistra a un bastone. Il suo lungo manto ha un cappuccio che, in qualche
mazzo, gli copre la testa; di regola pende invece sulle sue spalle. Appare
ritto sul terreno brullo e, almeno in due mazzi, per terra, accanto a lui, è
raffigurato un serpente.
X. LA RUOTA DELLA FORTUNA
Una ruota a sei raggi, montata verticalmente su un semplice sostegno
ligneo; vi è un asse centrale, di cui si vede solo una parte. All'estremità
dell'asse c'è una manovella, per indicare che la ruota può venir fatta
girare. In cima alla ruota c'è un animale simile a una sfinge, con una corta
spada inclinata sopra la spalla; altre due figure animalesche sono collocate
alle estremità opposte del diametro orizzontale della ruota: una sta
salendo e l'altra sta discendendo mentre la ruota gira, benché nulla stia a
indicare che la manovella venga mossa da qualche agente esterno.
XI. LA FORTEZZA (O FORZA)
Una donna che indossa una veste sciolta apre (o chiude) le fauci di un leone.
Porta un cappello a forma di lemniscus, simile a quello del Bagatto della
carta n° I. Come si è accennato più sopra, A. E. Waite sosteneva che questa
carta doveva essere scambiata con quella raffigurante la Giustizia.
XII. L'APPESO
Un uomo, legato per il piede sinistro a una sbarra trasversale, pende a
testa in giù tra due pali, ognuno dei quali presenta sei monconi di rami. Una
delle gambe, di solito la destra, passa dietro l'altra formando una croce; le
mani sono nascoste dietro la schiena, e la linea formata dal suo corpo e
dalle sue braccia è triangolare. Il viso ha un'aria serena.
XIII. LA MORTE
Il titolo tradizionale di questa carta è omesso in molti mazzi, soprattutto
in quelli di origine francese, benché Court de Gébelin dia il titolo nella
descrizione che accompagna le illustrazioni in Le Monde Primitif. La carta
raffigura uno scheletro che impugna una falce e recide teste, mani e piedi
umani; una delle teste porta ancora una corona.
XIIII. LA TEMPERANZA
Un'angelica figura alata versa il liquido da un vaso, tenuto con la mano
sinistra, in un altro tenuto con la destra ad una certa distanza dal primo.
Immediatamente al di sopra della fronte della figura vi è un emblema che
può essere circolare oppure formato di piccoli cerchi contigui. Alcune
piante isolate crescono al suolo attorno alla figura.
XV. IL DIAVOLO
Una figura centrale, con gli attributi di un capro o di un pipistrello e con
artigli al posto dei piedi, sta ritta o seduta sopra un'incudine alla quale
sono legate, per mezzo di guinzagli, due figure umane o satiresche. La
figura centrale stringe una bacchetta (o scettro) nella mano sinistra e
tiene levata la destra, a palmo aperto. Spesso le due figure legate hanno
brevi corna, semplici o ramificate.
XVI. LA TORRE
Un fulmine schianta la sommità merlata di una solida torre, dalla quale
precipitano a capofitto due figure umane. Normalmente, nella parte
superiore della torre vi sono tre aperture: una sta sopra le altre due. Il
titolo francese della carta, la Maison Dieu, viene spesso usato nel senso di
“ospedale'. Oggetti simili a foglie stanno cadendo al suolo.
XVII. LA STELLA
Una giovane donna nuda è inginocchiata, con un ginocchio posato a terra e
l'altro piede immerso nell'acqua. Regge due vasi dai quali versa un liquido:
uno dei getti cade sul suolo, l'altro nell'acqua. Sopra di lei, nel cielo, vi sono
sette stelle; un'ottava stella, più grande, è al centro, nella parte superiore
della carta. Un uccello o una farfalla sta sul ramo più alto di un albero o di
un arbusto vicino.
XVIII. LA LUNA
Due cani, o un cane e un lupo, sembrano abbaiare o ululare verso la faccia di
una grande luna nel cielo. A fianco degli animali sono situate due torri, una
su ogni lato della carta. Da una pozza d'acqua posta in primo piano esce,
passando sulla terraferma, un essere simile a un gambero. Dal cielo cadono
oggetti simili a foglie.
XVIIII. IL SOLE
Un grande sole, nella parte superiore centrale della carta, è formato da
una faccia, circondata da raggi appuntiti, alternativamente diritti e
ondulati. Due bambini, un maschio e una femmina, stanno uno accanto
all'altro dentro il muro di un giardino. Come nella carta precedente, dal
cielo cadono oggetti simili a foglie.
XX. L'ANGELO (O IL GIUDIZIO)
Spesso questa carta è designata come “Il Giudizio Universale'. Al
centro, un'angelica figura alata, uscente da una nuvola, soffia
nell'imboccatura d'una tromba adorna di una bandiera sulla quale è
raffigurata una croce cosmica. In primo piano vi sono tombe o bare
scoperchiate dalle quali escono figure umane.
XXI. IL MONDO
Una figura umana, coperta di veli leggeri e probabilmente androgina, è
collocata al centro di un'ellisse formata di foglie d'alloro. Stringe in
ciascuna mano una corta bacchetta, tenendola per la parte centrale, e
le gambe formano una croce. All'esterno dell'ellisse, a ciascun angolo
della carta, vi sono le quattro figure simboliche della “visione di
Ezechiele': l'angelo (in alto a sinistra); il toro (in basso a sinistra); il
leone (in basso a destra) e l'aquila (in alto a destra).
……… a pag. 58
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