LETTERE PERSONALI
(19 Destinatari, 26 lettere)
Dr. Giulio FONTO' / 30-05-79
(La lettera inviata è scritta a penna)
Verona, 30-05-79
Al Dr. Giulio FONTO'
Via Puccini, 20
NOVATE MILANESE
Gent.mo Dr. Giulio Fontò,
Ho ricevuto la sua lettera del 26-04 u.s. ed avrei voluto risponderle presto; mi
rammarico di questo ritardo, ma i sentimenti che mi portano a scriverle sono sempre
ugualmente vivi e spontanei.
La solitudine mia -- di cui le parlavo e che lei stesso nella sua ha ricordato -- non so
se è più una solitudine sociale o una solitudine personale.
Sento che lei già da anni si sta occupando di fenomenologia esistenziale: questo mi
ha fatto piacere perché può essere un canale che ci permette di capirci, in quanto anch'io
ho sviluppato nella mia formazione interiore quella che io direi una modalità
fenomenologica con la quale mi pongo di fronte alla realtà quotidiana. Ma, mi creda,
sento che nonostante ciò non è facile farsi capire: tutti questi termini, nel comunicare l'un
l'altro, possono solo portare un significato molto generico, e quello che io intendo può
essere molto diverso dalla sua posizione. E quella solitudine di cui sopra è proprio legata
a questa concezione "tutta personale" che sono andato sviluppando. Sono d'accordo in
molte cose con l'Antropoanalisi di Binswanger, sono d'accordo con diverse affermazioni
che si leggono nei libri di Enzo Paci (studioso di fenomenologia), sono d'accordo con la
psicoanalista Silvia Montefoschi per le affermazioni che fa nel suo volume <L'Uno e
l'Altro>, dove esprime in modo tutto peculiare la sua posizione fenomenologica.
Ma... questo consenso "conoscitivo" non arriva ad essere per me una vera fonte di
soddisfazione; resta un punto importante: sento forte il bisogno di "vivere concretamente
la mia vita quotidiana sotto questo impulso", impulso tutto nuovo nel senso che
l'espressione concreta sociale in cui noi ci troviamo immersi è tutt'altro che di ispirazione
fenomenologica. E' come se non soltanto il mio mondo concettuale si fosse proiettato su
una concezione fenomenologica, ma tutto il mio essere fosse stato "preso in questo
progetto". E, d'altro lato, l'impotenza che sento a realizzare "da solo" tale progetto mi fa
"cercare l'Altro", un altro che anche lui sia stato preso in un progetto analogo, con cui
non soltanto intenderci a livello astratto di idee, ma principalmente con cui attuare
concretamente questo progetto in seno all'ambiente in cui vivo.
Ho sperimentato personalmente quanto sia estremamente angusto per l'essere
umano ogni schematismo teorico che le varie correnti psicologiche e psicoanalitiche
hanno elaborato. Il conflitto esistente tra me e mia moglie, che potrei chiamare <conflitto
esistenziale> sotto certi aspetti, quando è giunto nello studio di uno Psicologo o di uno
Psicoanalista, ha nelle varie volte trovato solo... un caos di parole, un terreno su cui
buttare alla rinfusa affermazioni, a turno, slegate fra di loro, senza alcun profilarsi di una
qualche prospettiva che fosse "ricostruttiva per entrambi". Per questo ho deciso che non
farò più alcun tentativo in questo senso (ricorrere allo psicoterapeuta) se prima non ho
avuto modo di conoscere nel (possibile) psicoterapeuta, attraverso qualche colloquio, le
caratteristiche psicologiche del suo operare professionale, le sue idee, i suoi "modi di
porsi", di far fronte a fatti ed aspetti nuovi, ecc...
Sin da quando mi sono sposato ho dovuto portare, e da solo, tutto il peso di una
situazione psicopatologica latente che mia moglie si portava dietro sin dalla sua infanzia.
Inizialmente non avevo capito quanto fosse radicata, e pertanto i rimedi che ho cercato
sono stati inadeguati. Così, con l'andare degli anni, la limitatezza delle mie risorse e delle
mie forze, pare non riesca più ad offrirmi altre risorse di vita, ed a volte... ho paura di
soccombere, tanto mi sento esaurito e sfiduciato.
Termino adesso questo colloquio, breve perché è epistolare; anche se sono stato
solo io a parlare, mi immagino la sua persona qui presente che gentilmente mi ascolta e
si presenta aperta al colloquio. Spero di sentirla presto, conoscere altre cose di lei, come
io le faccio conoscere le mie, e le auguro sempre cose buone, per la sua famiglia ed il suo
lavoro.
Questa volta le ho scritto a penna, pur sapendo che la mia calligrafia e piuttosto
disordinata; ecco perché di solito srivo a macchina: sia per essere più comprensibile nella
lettura e sia per presentare al mio interlocutore uno scritto... più decente.
Molti cordiali saluti ed un a risentirsi presto.
(Firmato: Vittorio Noè)
Mons. Aldo DEL MONTE - 9 maggio 1993
Verona, 9 maggio 1993
Rev.mo Mons. Aldo DEL MONTE,
Torno a scriverle, a distanza di circa sei anni da quella lettera che le inviai il 7/8/87,
nella quale, facendole un brevissimo quadro circa alcune mie riflessioni sulla vita
ecclesiale, Le chiedevo un colloquio di persona. Quella volta, ciò .... non mi fu concesso.
So che Sua Eccellenza è adesso sollevato dalle cure pastorali della diocesi (di
Novara); e per questo spererei che possa più facilmente trovare un pò di tempo per
concedermi un colloquio. Quel progetto di "Nuovo Apostolato" che era maturato in me
lungo gli anni '80 non è cessato di essere al centro dei miei interessi di 'fedele di Cristo' e
membro della Chiesa; per questo continuo, nonostante i vari dinieghi già ricevuti, a
cercare un dialogo con le Autorità ecclesiastiche.
Le chiedo quindi, Eccellenza, di poterla incontrare, per presentarle di persona certe
proposte di iniziative di evangelizzazione; l'obiettivo primo che mi pongo non è quello di
far nascere iniziative pubbliche nel contesto ecclesiale di Novara, bensì quello di
intendermi con una Personalità cui è riconosciuta una autorevolezza non indifferente nella
Chiesa. Nello stesso contesto di Novara, poi, se un primo dialogo con Lei avesse suscitato
una certa fiducia nei confronti di quanto da me presentato, potrebbe attuarsi nel concreto
una esperienza in tal senso con piccoli gruppi, in una atmosfera quasi 'privata': questo,
per meglio far emergere il significato reale di quanto nei miei scritti ho solo accennato.
Della diocesi di Novara ho avuto occasione (e ne sono stato felice) di conoscere (per
via di certe sue pubblicazioni) il Sacerdote teologo don Giannino PIANA, con il quale, già
da diversi anni ho avuto uno scambio epistolare; ho apprezzato molto il suo Pensiero,
vivido per una intelligenza penetrante, ed egli credo abbia apprezzato il mio, anche se
quanto ho potuto esprimere a lui attraverso i miei scritti è solo un piccolo squarcio, e per
giunta in un linguaggio stringato.
Ho trovato i suoi articoli nelle varie riviste (particolarmente di teologia morale)
sempre permeati di una saggezza particolare, unita a spirito realistico: il tutto calato
entro una tensione spirituale verso Cristo, che è veramente ammirevole.
Un'altra persona ho conosciuto della diocesi di Novara: una donna che è impegnata
in diocesi nell'ambito delle relazioni sociali; è la dott.ssa Mariella ENOC. La conobbi a
Siracusa, nei primi di gennaio 1989, in occasione di un Convegno diocesano sulla
Catechesi; l'avvicinai, là, brevemente, e poi le scrissi a Novara, per aprire un dialogo
sull'apostolato dei Laici. Non ebbi però fortuna: forse perché non condivideva il mio
orizzonte di Pensiero, non rispose alla mia lettera.
Se Sua Eccellenza reputerà opportuno, potrà sentirsi con don Giannino Piana, al
quale già a suo tempo espressi il mio desiderio di far conoscere a Lei questo mio mondo
interiore, quasi immaginandomi di trovare nella Sua persona un interlocutore più capace
di capirmi che non altri.
Perchè Lei si possa meglio ricollegare al già lontano 1987, accludo alla presente una
fotocopia di quella lettera che allora Le inviai; l'ho inserita, come aggiunta, in un
fascicoletto che già raccoglie altre quattro lettere. E' questo un fascicoletto che io offro a
quelle persone (poche, purtroppo!) che incontro in questo mio cammino di ricerca
ecclesiale, e nelle quali intravedo una certa disposizione d'animo e preparazione culturale
che mi fanno sperare in un intendersi: da questa lettura, essi coglieranno il primo cenno
di questo messaggio. In quegli scritti c'è già infatti una breve traccia della mia proposta
complessiva, traccia (scritta) che però non è (in generale) sufficiente per "capire nella
sua realtà" il progetto di cui parlo, ed i contenuti culturali e di fede che in esso vengono a
concretizzarsi: colloqui di persona sono più che mai opportuni, per giungere ad una
veritiera conoscenza.
Probabilmente, da questo mio presente scritto (così come dagli altri) traspare un
senso di sofferenza, quella sofferenza di cui è venuta permeandosi quasi tutta la mia
vita; mi perdoni questa circostanza, mentre La prego di non interpretarla in senso
negativo. Anche se sssa è lungi dall'assomigliare alle sofferenze patite dal Cristo sin dalla
sua nascita, nel mio cuore e nell'intimo della mia preghiera con Dio porgo ogni cosa
dinanzi a Lui, perché Lui le trasformi in offerta meritoria ai suoi occhi, per i meriti di
Cristo Gesù stesso.
Spero che Sua Eccellenza, dopo aver letto questi scritti, mi risponda in merito.
Auspicando di incontrarla, Le porgo intanto il mio cordiale saluto in Cristo Gesù.
(Firmato: Vittorio Noè)
Mons. Renato CORTI - 16 aprile 1995
Verona, 16 aprile 1995
Pasqua di Resurrezione
Ecc.za Rev.ma Mons. Renato CORTI, -- NOVARA
Ho letto il suo recente volumetto "APOSTOLI come PAOLO". Sin dalle prime pagine
ho avvertito una "tonalità apostolica" che mi ha colpito, ed andando avanti vi ho trovato
sempre più quello "spirito vivo" a proposito di "missionarietà", unitamente ad uno
"sguardo interiore" che mira al Messaggio "integrale" che Cristo Gesù ha consegnato ai
suoi Apostoli. Vi ho proprio visto "uno squarcio" di quella "tensione missionaria" che fu
grande dono (datogli da Dio) dell'Apostolo Paolo.
Poichè vi era citata una sua Lettera Pastorale, <Paolo e Barnaba>, mi sono
permesso, ai fini di conoscere meglio questo suo pensiero in tema, di telefonare al
Vescovado di Novara; molto gentilmente hanno provveduto ad inviarmene una copia, che
ho ricevuto proprio pochi giorni fa, e per la quale ho già versato sul rispettivo c/c postale
il dovuto.
Nel cammino (umano e cristiano insieme) di formazione, Paolo Apostolo è stato per
me un "consigliere particolare", oltre che un "animatore fervente": molto spesso Dio mi
ha parlato 'attraverso le sue Lettere'; per questo ho ritrovato in questo suo volumetto
una particolare "consonanza spirituale", oltre a quella "concordanza di vedute" in tema di
attività pastorale quale i presbiteri dovrebbero svolgere, e riguardo a quei processi
intermedi di formazione che preparano a (e susseguentemente accompagnano) tale
pastoralità.
Mi presento brevemente. Sono un laico, 62 anni, sposato, due figli; Insegnante (con
la laurea in Fisica, conseguita a Catania nel 1964) di materie scientifiche per 19 anni;
adesso in pensione dal 1984, anno in cui consegui anche la laurea in Psicologia
all'Università di Padova.
Mi perdoni se le esprimo, così direttamente e con semplicità, il mio desiderio di
incontrarla, per una conversazione riguardante il vasto campo dell'apostolato, e quello
della "formazione all'apostolato". Non si meravigli del fatto che io, da Verona, chieda un
incontro con un Vescovo che ha sede a così tanti chilometri di distanza: quella che più
divide, specialmente oggi, non è la distanza geografica dei luoghi di residenza, distanza
peraltro che è colmabile dai vari mezzi di comunicazione oggi esistenti, e che non c'erano
ai tempi di Paolo; è la "lontananza spirituale", o la "distanza psicologica", che è
difficilmente colmabile. Due persone possono dimorare in due luoghi piuttosto distanti, ed
essere "vicini spiritualmente": in tal caso la distanza geografica non impedirà a che la
loro vicinanza spirituale dia luogo ad "opere in collaborazione fruttuose".
Nonostante le mie molte ricerche in campo ecclesiale, non sono riuscito a trovare chi
"volesse conoscermi veramente", chi volesse conoscere "quanto (di umano e di cristiano)
è maturato in me (per grazia del Signore)", chi volesse "accogliere come dono alla
Chiesa" questa grazia che Dio stesso, nel suo "istruirmi quotidiano", pur per le vie comuni
dell'umano (spesso irte di sofferenze) e per le vie semplici della fede, ha voluto come
"seminare" nella mia persona, affinchè poi, maturando (con la sua stessa grazia), venisse
"colto da chi" nella Chiesa ha (tra gli altri) il compito di "scoprire e cogliere" i doni che lo
Spirito dissemina qua e là, "a Suo Giudizio Sapiente".
Perchè lei possa avere almeno un accenno del mio mondo intellettuale e di fede,
potrebbe essere utile (e mi sarebbe molto gradito) che lei leggesse qualcuno dei miei
pochi scritti su tematiche religiose, scritti che io ho stilato negli anni recenti quando, a
seguito di mie richieste, mi veniva data l'occasione di una mia partecipazione anche se
solo culturalmente. Ognuno di essi è stato stilato sempre in un'ottica non prettamente
teorica (o intelletualistica), bensì comprendente essenzialmente (sebbene
implicitamente), sia nella sua progettazione che nella stesura effettiva del testo, una
serie di proposte concrete, e cioè delle operatività di fatto da realizzarsi; queste sono
state concepite non come costituenti una fase successiva bensì come fase concomitante
allo stesso discorso teorico, pena la non-compresione del significato effettivo del discorso
stesso. Alcuni di questi scritti li inviai (anni fa) a don Giannino Piana, sacerdote della sua
diocesi, di cui avevo potuto apprezzare il pensiero espresso in alcuni suoi testi.
Se Sua Ecc.za lo gradisce, gliene invierò copia.
Non aggiungo altro, se non che le chiedo di volermi gentilmente concedere un
abboccamento personale: forse... ciascuno di noi (lei ed io) può dare all'altro un prezioso
aiuto, ai fini di una "rivitalizzazione" dell'apostolato nella Chiesa, ai vari livelli delle
componenti ecclesiali.
In attesa di una sua risposta, la ringrazio sin d'ora per la sua attenzione alla mia
lettera, e la saluto distintamente nel Signore.
(Firmato: Vittorio Noè)
07 maggio 1995
Verona, 7 maggio 1995
Ecc.za Rev.ma Mons. Renato CORTI,
Ho ricevuto ieri l'altro la Sua lettera in risposta alla mia del 16 aprile u.s. Non trovo
le parole per dirLe la felicità che essa mi ha portato, e per ringraziarLa della Sua estrema
gentilezza mostratami concedendomi di venirLa a trovare a Novara. Un'altra nota
eloquente si è aggiunta a questo Suo tono di amicizia: la scritta sul Suo stemma
vescovile,
<Cor ad cor loquitur>.
Che io sappia, questa espressione è di... Newman, del Card.le John Henry NEWMAN,
che io tanto apprezzo. Da circa sei anni, da quando conobbi alcuni suoi scritti, sono stato
felice di essere incluso tra gli "Amici di Newman", associandomi al Centro Amici di
Newman che c'è a Roma. Nell'aprile del 1990 partecipai al Simposio che si tenne a Roma
in occasione dei festeggiamenti in suo onore, per la ricorrenza del centenario della sua
morte. Newman... è una figura grande, grande! è stato un apostolo originale, un teologo
'originale'; un 'profeta (di Dio)' nella Chiesa degno di questo nome!
In questi giorni contatterò la Sua Segreteria per concordare un appuntamento;
intanto ho creduto utile inviarLe (e l'ho fatto ieri mattina, come Stampe - Raccomandata)
quegli scritti (in numero di sette) che nel corso di questi ultimi anni ho avuto occasione di
stilare: saranno in totale una settantina di pagine. Prego caldamente Sua Ecc.za di voler
'perdonare' la modesta compilazione nella stesura tipografica: non disponevo (e non
dispongo) di adeguate apparecchiature; a suo tempo avevo fatto uso di un piccolo
computer e di una stampante altrettanto piccola; spero che questo non Le renda
fastidiosa la lettura. Quando Le scrissi la mia lettera precedente, feci ricorso al computer
di mio figlio: così risultò ben presentabile.
In attesa di poterLa incontrare di persona, e di uno scambio verbale di opinioni e
progetti, La saluto con molta cordialità nel Signore.
(Firmato: Vittorio Noè)
Dr. Castelli - 11 maggio 1995
LETTERA N. 2
(la n. 1 la scrissi a penna)
Verona, 11 maggio 1995
Caro Dr. Castelli,
Il tono della sua lettera mi significa un atteggiamento di "naturalezza e semplicità",
quale quello di chi non avverte l'altro come 'estraneo'; la ringrazio di questa sua cortese
risposta.
Continuando la lettura di quel libro che ha dato occasione a questo nostro incontro
epistolare, constato che effettivamente l'ambito "psicologico" del campo indagato è
presente in grado notevole; e questo mi conferma nel proposito di uno scambio culturale
e progettuale con lei: attendo la pubblicazione dei due suoi libri di cui mi ha fatto cenno
(quali sono i titoli?... e quali le tematiche toccate?... Se puo` darmene un cenno, la
ringrazio sin d'ora).
Da parte mia, l'unico scritto che potrei farle leggere è la mia Tesi di Laurea in
Psicologia, dove sono contenuti "in forma sintetica" molti punti nodali di una questione
psicologica (e psicodinamica) che io reputo fondamentale: la COMUNICAZIONE. Mi sono
permesso di prendere l'iniziativa di inviargliene una copia, prima ancora di domandarle (o
capire) se le sarebbe tornato gradito; d'altra parte, lei non è obbligato a leggerla,
specialmente se il suo lavoro universitario (quale tipo di attività vi svolge?) e personale le
lascia pochissimo spazio: quando le verrà la curiosità, potrà leggerne qualche pagina.
In quel lavoro vedrà senz'altro uno "stile di discorso" piuttosto insolito, da reputarsi
forse troppo 'personale': è proprio il mio stile "di pensiero e di parola espressa", un
argomentare 'personalizzato' e quasi 'a tu per tu' con l'interlocutore, una ridotta
elaborazione dei contributi della letteratura per quel tanto che attiene il nucleo centrale e
sostanziale del discorso, una 'finalizzazione di ricerca conoscitiva' indirizzata a questioni
'vitali e concrete', con l'utilizzo (oltre che della letteratura in merito) di dati esperienziali
tratti dal vivere quotidiano comune.
Nella mia concezione, la "prassi" viene a costituire il "luogo" e nello stesso tempo l'
"oggetto", in cui l'osservatore "osserva ed opera" (questi vanno intesi come 'due' processi
'distinti', anche se attuati in contemporanea ed in interconnessione), "enucleando,
esplicitando e ricostruendo concettualmente" l'osservato: dopo un tale lavoro,
l'osservatore stesso "è cambiato", ha svolto "in prima persona (e quindi con anche il suo
'mondo interiore')" un processo "auto-evolutivo".
Il mio lavoro (né questo né altri brevi) non ha avuto la fortuna di incontrare chi ne
condividesse l'importanza e la portata in vista di una "rifondazione della Psicologia", cosa
che io reputo prioritaria rispetto ad ogni Ricerca in Psicoterapia o anche Terapia
Psicologica generica.
Spero di non averla annoiata con le mie idee. La Tesi l'ho inviata ieri, come
<Stampa - Raccomandata>. In attesa di risentirla, le invio i miei più cordiali saluti.
(Firmato: Vittorio Noè)
Dr.ssa M. C. BRICCHI - 30 luglio 1995
Verona, 30 luglio 1995
Gent.ma Dr.ssa Maria Cristina BRICCHI
c/o Editrice Cittadella
ASSISI (PG)
Gent.ma Dr.ssa Bricchi,
Ho acquistato poco tempo fa (e sto leggendo) il volume di Javier GARRIDO : <Una
spiritualità per oggi>, edito da Cittadella, tradotto da lei.
Poiché sto trovando il contenuto molto interessante, ed uno dei più "vicini" alle mie
concezioni cristiane e psicologiche, il desiderio di estendere i rapporti conoscitivi in tema
mi suggerisce di prendere contatti epistolari con lei; suppongo infatti che ella, avendo
curato la traduzione di quel volume, ne condivida (in linea di massima) il discorso e
l'orizzonte.
Sono Psicologo (laico, 62 anni, sposato), molto interessato ai problemi psicologici
insiti nel cammino di "vera formazione cristiana", proprio nell'ottica di una
"personalizzazione" dei processi formativi, affrontati attraverso esperienze responsabili.
Se lei volesse essere così gentile di ragguagliarmi su questo pensiero offerto ai
lettori dall'Autore, nel senso di segnalarmi, a partire da lei stessa (che già penso
interessata in iniziative di quel genere), chi altro (e dove) sta condividendo quella
proposta, mi farebbe cosa gradita; anche se piccola cosa, un primo scambio epistolare mi
potrebbe aprire uno spiraglio, per eventuali passi successivi.
Il mio obiettivo è infatti quello di "operare concretamente" in quell'ottica, perché già
da anni constato frequentemente quanto la pastorale ecclesiastica e l'evangelizzazione
siano "piatte" e spesso "vuote", a motivo di una "assenza di aggancio reale" tra
l'operatore ed i fedeli cui l'operatore si rivolge; i laici continuano ad andare alla deriva, ed
il Clero continua nelle sue posizioni "individualistiche" (ed isolazionistiche) e di "alla
meno peggio", senza una "seria e responsabile riflessione sullo stato reale delle cose"
nella "Chiesa reale (e comprensiva dei Laici)".
In una tale situazione così complessa, dove le perplessità e gli interrogativi
riguardanti lo "stile spirituale e missionario del Sacerdote (Vescovi compresi)" si
intrecciano ad altrettante perplessità ed interrogativi vertenti la "fondamentalità cristiana
dei Laici", non valgono né gli anatemi (più o meno reciprocamente scambiati) né i più
sofisticati programmi metodologici socio-religiosi; occorre invece che ciascuno, a
qualunque livello si ponga, sviluppi una "basilare presa di coscienza di se stesso" come
"persona, autonoma e responsabile", "integrata (responsabilmente) nella Comunità
Ecclesiale": "tutti" abbiamo da "risorgere" da un tale "letargo e smarrimento".
Per questo compito, nell'ipotesi che riuscissimo con coraggio a porcelo, la base
fondamentale è l' << AMORE >>: l'amore di Cristo per noi, l'amore di noi verso Cristo,
l'amore di ciascuno di noi per l'altro; ma non ci può essere "amore sincero" se non sul
"piano della persona", della "persona cosciente di sé e delle sue responsabilità".
In questo compito nessuno può lavorare (se si vogliono frutti veri e duraturi)
"singolarmente ed a sé stante"; occorre "collegarsi", "co-operare", costituire una "rete
umano - cristiana vivente", sempre più estesa e sempre più molteplicemente articolata;
una rete dove ciascuno, sotto l'unica guida dello Spirito Santo (mediata anche dalla
Chiesa), sviluppa il suo proprio carisma secondo la sua formazione e secondo il dono
specifico di discernimento che con l'aiuto di Dio ha sviluppato, lungo gli anni di ricerca
sofferta della Volontà di Dio e della "propria Vocazione".
Enfatizzare eccessivamente (ed unilateralmente) l'apporto di uno solo di questi
"Germogli" che lo Spirito di Dio suscita, come ad esempio in p.Javier Garrido, non è
saggio; così, se si seguisse alla lettera (e senza l'ausilio di 'altri lumi') il cammino come
proposto da detto Padre francescano, inevitabilmente si andrebbe incontro a grosse
storpiature, sia della personalità umana che della stessa fede cristiana.
Ecco il perché di questa mia "ricerca di comunicazione, scambio, rapporti personali":
affinché i vari apporti, provenienti da vari soggetti animati dallo stesso ed unico Spirito,
si incontrino, dialoghino, si fecondino l'un l'altro, per costruire l'"unitaria azione" dello
Spirito Santo, il quale solo, attraverso i fedeli che gli ubbidiscono, può rivivificare la
"Ecclesia".
Le faccio pervenire questo scritto attraverso l'Editrice Cittadella, non conoscendo io
il suo recapito personale. Resto in attesa di un suo riscontro a questa mia, nella piena
libertà di lei nel farmi presente le sue vedute ed i suoi propositi; la ringrazio intanto per
l'attenzione prestatami, e le porgo i miei distinti saluti.
(Firmato: Vittorio Noè)
Dr. Vittorio NOE'
Via Montorio, 108 int.38
37131 VERONA
don Ant. FALLICO / 04-02-96
Verona, 4 febbraio 1996
Rev.do don Antonio FALLICO,
Ho intrapreso la lettura del suo libro recentemente pubblicato, <Le cinque piaghe
della parrocchia italiana>, fattomi inviare dalla Editrice Chiesa-Mondo di Catania; vedo
già diversi punti di concordanza tra il suo pensiero ed il mio.
Da diversi anni ho desiderato trovare un interlocutore che avesse aperture di vita e
di pensiero tali da consentirgli di tentare una collaborazione con me. Pur nella mia
posizione di laico, ho sviluppato un orizzonte di fede cristiana che "abbraccia in una unità
inscindibile" la Comunità Ecclesiale, in cui vivono ed operano Chierici e Laici "insieme"; di
fatto però questa modalità di "vivere ed operare insieme" non si è realizzata nel passato
(da non so quando), né si sta realizzando nel presente e né ci si sta orientando a
realizzarla nel futuro immediato; mi è parso di capire che nel suo libro ella voglia
segnalare l'importanza di questa "co-operazione".
Questa caratteristica della mia posizione culturale e vitale è stata (ed è) uno dei
diversi punti fondamentali in cui le mie proposte avanzate al Clero hanno trovato il
rifiuto. Oltre a questo, un altro punto in cui ho incontrato il diniego (del Clero) è quello
della "contemporaneità" del processo (duplice) di rivitalizzazione della Comunità
ecclesiale, dove appunto reputo che l'auspicata "conversione dei Laici" è
imprescindibilmente legata ad una altrettanta auspicata "conversione del Clero". Tale
processo deve essere "affrontato insieme" da Chierici e Laici, sia nella fase di attuazione
che nella fase della ricerca e di studio; ciascuno dei due versanti (Chierici e Laici)
contiene infatti degli apporti che non contiene l'altro, e questi apporti vanno fatti "tornare
a ricongiungersi" per ri-costituire l'unità interna della Chiesa: solo allora essa (unità) sarà
realmente "Unità Vitale in Cristo".
Certo, queste mie vedute e proposte non possono venire chiaramente espresse in
poche parole, né possono essere comprese nella loro realtà e verità con dei semplici
discorsi: se l'interlocutore non ha lui per primo assunto responsabilmente la decisione di
"volere conoscere" questo "nuovo orizzonte" di cristianesimo (nuovo rispetto alle tante
ideologie oggi in voga, ma 'vecchio', cioè 'antico', nel senso di "originario", così come era
al tempo degli Apostoli), per quanti discorsi io faccia egli fraintenderà sempre il mio
pensiero. Una tale decisione (dell'interlocutore) richiede in lui una "disponibilità interiore
al cambiamento", in quanto ogni "reale conversione" non può interessare soltanto
mutamenti ideologici ma deve comportare (dove più dove meno) cambiamenti nell'intero
assetto vitale dell'umano; se questo vale per ogni soggetto sul piano puramente umano,
vale ancor più per un soggetto che si è posto e che vive "sul piano cristiano", dove
l'umano non solo viene recuperato ma viene anche "rinnovato in Cristo"
Reputo cosa utile allegare alla presente alcuni miei scritti, in cui è possibile
intravedere alcune delle linee principali del mio pensiero e dei miei progetti. Questo
"stralcio" che le invio potrà essere seguito da altri miei scritti, qualora sarà nato in lei un
desiderio di conoscere meglio questo mio orizzonte ed un interesse ai fini di una ipotetica
compartecipazione di progetti (umano - ecclesiali) concreti.
Come le dicevo per telefono, prevedo di dovere andare a Siracusa nella seconda
metà di questo mese: spero in un incontro personale con lei, nella cordialità e nella
accoglienza, comunque sempre nella libertà di ciascuno. In attesa, le invio i miei cordiali
saluti ed auguri per il suo lavoro.
(Firmato: Vittorio Noè)
Dr. Vittorio NOE'
Via Montorio, 108/38
37131 VERONA Tel. 045-976530
don Gianni DAL LAGO / 25-02-96
Verona, 25 febbraio 1996
Rev. don Gianni DAL LAGO,
Mi sono permesso di telefonarle giorni fà, e adesso di scriverle, per un semplice
tentativo di prendere contatti con una persona ecclesiastica conosciuta (anche se solo di
nome) nel leggere un libro che mi ha molto entusiasmato: <<Verità e Unità della
Chiesa>>, di Ch. YANNARAS, edito da Interlogos. Non che io intenda impegnare la sua
persona in discussioni inerenti al pensiero di quell'autore; solo colgo l'occasione per
impegnarmi io ad aprire a lei il mio mondo interiore, il quale ha straordinariamente molte
sintonie con il mondo interiore di Yannaras; l'unica cosa che mi auguro è che lei possa
trovare quel minimo di disponibilità per "prendere conoscenza" di esso, senza
prospettarmi io chissà che dibattiti, solo auspicando di trovare in lei accoglienza
amichevole in Dio.
Sono un laico; 63 anni; sposato, ho due figli. Insegnante di materie scientifiche
negli Ist. Tecn. Industriali, ora in pensione.
Le voglio intanto inviare alcuni miei scritti, i quali offrono già uno stralcio del mio
cammino personale, cammino sofferto spiritualmente ed umanamente, a motivo anche di
una solitudine che è andata sempre più creandosi attorno alla mia persona. Sto cogliendo
questo "lumicino", quale è stata per me la segnalazione della sua persona nel libro [...
nel cui volto hanno visto l'uomo mite e buono esaltato dai testi sapienziali della
Scrittura]. Ogni piccola occasione di "cercare un dialogo" è per me una gocciolina di
rugiada che alimenta la "speranza".
La mia ricerca di "operare nella Chiesa", a partire dal "piccolo", nel senso di un
"Nuovo Apostolato", non è un obbiettivo di per sé (o primieramente) dottrinale, ma è una
esigenza, generatasi nel mio spirito lungo anni di vita, di studi e di esperienza, esigenza
vitale di una "prassi ecclesiale che sia realmente evangelica", e "benefica particolarmente
per le persone che vivono in situazioni di sofferenza"; mi riferisco alla sofferenza "morale"
più che a quella economica o biologica: la mia persona e la mia famiglia sono solo uno
dei tanti casi umani in cui la "pastorale ecclesiale" in voga ha mostrato (e mostra) tutta
la sua inadeguatezza ed incongruenza!
Chissà che non possa trovare piccole tracce di "fratellanza cristiana" a Schio; anche
se non è molto vicino, sarebbe sempre meglio che niente. Ma questa "comunione
cristiana" di cui il mio essere ha bisogno non è quella che alla spicciolata oggi viene
predicata: a parole "si dicono" tante cose belle, ma nel concreto "non si fa" quello che
realmente Gesù ci indica. Con queste mie parole io non vado cercando "comunione
cristiana" negli altri, affinché io poi ne possa beneficiare: la mia è una proposta di "offerta
mia personale" di tale comunione cristiana; la mia speranza è che quanto io porto ed
offro "venga accolto" come un "dono" che Dio misericordioso ci manda, dono che porterà
giovamento (nel senso cristiano) a queste persone ed a me stesso.
Spero che la mia confidenza spirituale non l'abbia infastidita; in attesa di venirla a
trovare, la ringrazio per la sua attenzione. Saluti cordiali in Cristo.
(Firmato: Vittorio Noè)
prof. Mauro CERUTI - 19 aprile 1996
Verona, 19 aprile 1996
Alla Direzione della Rivista <PLURIVERSO>
Via Mecenate, 91
20138 MILANO
Egr. prof. Mauro CERUTI,
L'averla potuto salutare di persona il 15 aprile u.s., nell'Incontro di Milano, l'averla
sentita parlare direttamente, l'aver poi letto l'Editoriale di <Pluriverso>, hanno fatto
crescere il mio apprezzamento e stima nei suoi confronti, nonché verso le iniziative da lei
intraprese: congratulazioni! Ringrazio ancora per l'omaggio fattomi (quel giorno) dal
responsabile della Rivista dei nn. 1 e 2, e le manifesto la mia intenzione di sottoscrivere
l'abbonamento (di questo scriverò più avanti alla Segreteria), sebbene il costo risulti un
po' altino per le mie 'tasche'; la Rivista però "ci vale!". La struttura redazionale, lo stile ed
il 'design' della veste tipografica, fanno sì che la si percorra con chiarezza ed efficacia,
rendendone la lettura e la consultazione veramente agevole; ma il pregio principale che
la rende preziosa ai miei occhi si trova nel fine che essa si propone e nei contenuti che
intende veicolare: in questo orizzonte io ritrovo molte delle mie aspirazioni culturali e
filosofiche; ho trovato felicissima ed 'originale' la rubrica <La conoscenza della
conoscenza>, tematica che tocca il 'cuore' delle mie ricerche, anche se queste
(purtroppo!) restano 'personali'.
Mi permetto, in semplice amicizia e senza pretesa alcuna di fare l'esperto, di
avanzare una proposta riguardante il sottotitolo della Rivista. Le dico intanto che, per
quanto fu fatto osservare nell'Incontro (non ricordo da chi), che cioè sarebbe stato più
opportuno porre la dizione <...per "una" civiltà...> invece che <...per "la" civiltà...>,
condivido l'osservazione, poiché giustamente di "civiltà" se ne possono costituire diverse,
tutte connotabili come 'planetarie', essendo molteplici le sfaccettature per un tale
orizzonte, ed essendo insita nello stesso progetto della Rivista l'opzione di lasciare che
l'essere umano si statuisca nella sua libertà, seppure in un contesto di integrazione
reciproca. Io ora suggerirei una 'aggiunta': al posto di <...delle idee...> porre <...delle
idee e dei saperi...>; mi spiego meglio.
A mio avviso, "idee" e "saperi" non sono la stessa cosa: il sapere deriva da idee, e
contiene idee, ma non si identifica con le stesse idee che contiene; il sapere implica
"scelta esistenziale responsabile", l'idea è invece un "prodotto ipotetico" della intelligenza
umana, che prescinde da ogni "assunzione personale"; l'idea è uno "strumento"
concettuale, il sapere è la soggettività umana che utilizza quello strumento: la persona
umana può avere molte idee e poco sapere; un esempio emblematico (...opinione tutta
mia personale) si ha nel fatto che parecchie persone militanti nella religione cristiana
(cattolica) hanno molte "idee cristiane" ma poco "sapere cristiano".
Il costrutto di una Civiltà è una "rete di saperi" più che di idee, le quali circolano
subordinate a quella rete; un mutamento evolutivo di una Civiltà non è un risultato di
mutamenti di idee, ma di "saperi"; quando si ha un mutamento eccessivo di idee, a cui
non corrisponde un mutamento di "saperi", il risultato è una "rivoluzione anarcoide", non
una "evoluzione". Oggi purtroppo abbiamo una vasta produzione, circolazione e diffusione
di "idee"; ma ci troviamo anche una minuscola presenza di "saperi", ed una altrettanto
minuscola "dialogicità" tra tali saperi: le idee non possono dialogare tra loro, possono
solo "dibattersi"; i saperi, sì possono "dialogare tra loro", fecondandosi l'un l'altro,
innescando così processi evolutivi culturali, dai quali poi sorgeranno "nuove" idee.
Fatta questa distinzione (secondo le mie vedute), qualora tale inquadratura venisse
condivisa trovo che sarebbe di notevole pregio per la Rivista fornire già subito al lettore,
ponendo nel sottotitolo del periodico anzidetto la dizione che ho suggerito, la chiave
interpretativa di una "collocazione diversificata" dei prodotti intellettuali che nello
scenario culturale sociale emergono di volta in volta. Una tale "chiarificazione"
permetterebbe di dialogare meglio e più efficacemente, riducendo (anche se non sarà mai
possibile azzerarli) i fraintendimenti, e facilitando la "comprensione veritiera" del discorso
offerto dall'interlocutore. Inoltre e conseguentemente, chi si esprime, se condivide tale
differenziazione, utilizzerà una terminologia, un linguaggio, un discorso, che "segnalano
(a chi legge 'attentamente')" il "taglio" del suo pensiero, la sua "collocazione" nel vasto
campo delle "voci" espresse dai vari autori ed attori.
La letteratura poi offre esempi non pochi di una tale differenziazione, anche se di
fatto non si riscontra in essa una "proposta esplicita" di utilizzare tale differenziazione, sia
in fase di costituzione di un discorso e sia in fase di analisi di un testo che riporta quel
discorso.
I componenti del Comitato scientifico redazionale di codesta Rivista sono senz'altro
molto più competenti di me in materia; la mia parola perciò ha voluto essere soltanto una
segnalazione amichevole, dettata da una "stima" per il vostro lavoro, che mi auguro vada
prosperando nel verso migliore.
Rinnovando il mio cordiale saluto a lei, Dr. Ceruti, colgo l'occasione per salutare
anche i componenti collaboratori della Direzione e della Redazione.
(Firmato: Vittorio Noè)
Dr. Vittorio NOE'
Via Montorio, 108/38
37131 VERONA
prof. Anzini / 01-06-96
Verona, 1 giugno 1996
Egr. prof. Anzini,
Facendo seguito alla telefonata che le feci ieri, le invio una mia <Lettera al
Direttore>. Forse potrà risultare manchevole in qualche punto, ma io spero possa essere
passabile; comunque, mi rimetto al suo giudizio.
Nel quadro di quelle mie aspirazioni, di cui le feci cenno nella mia telefonata, c'è
tuttavia quella di potere "estrinsecare nel concreto" certe vedute in tema di Fede
Cristiana ed in tema di Evangelizzazione pratica; e quindi di mediare tale realizzazione
attraverso pubblicazione su Riviste di qualche mio articolo.
Dai pochi contatti tentati sino ad oggi, m'è sembrato che quei brevi cenni del mio
pensiero comunicato all'interlocutore venivano inquadrati come delle vedute
<tradizionaliste>, se l'interlocutore era un "innovatista"; e viceversa, dagli interlocutori
"integralisti" venivano inquadrate come <troppo innovative>. In realtà la mia posizione
culturale in tema non è né <tradizionalista> né <innovativa> nel senso comunemente
dato a questi termini; potrei definirla <radicalmente innovativa nella prassi>, ma ho
constatato che tale espressione (che contiene "tre" termini) viene interpretata, in
ciascuno dei tre termini e nella sua struttura d'insieme, in modo erroneo: quindi il mio
pensiero è venuto quasi sempre frainteso.
Vedo sempre più che all'interno della nostra Chiesa manca proprio la "volontà" di
"Dialogo conoscitivo"; si fanno sì dei 'dibattiti', anche dei dialoghi che (volendo coniare
un nuovo termine per rendere il concetto al meglio) chiamerei "accordativi": sono questi
dei dialoghi in cui l'obbiettivo che ci si pone è quello di "trovare un accordo" tra le
conoscenze e proposte (diverse) di ciascuno dei due soggetti interlocutori; non è quello di
"porre in discussione di fronte all'altro" le proprie conoscenze e proposte. Tale decisione
scaturirebbe solo da una presa di coscienza che le proprie conoscnenze e proposte sono
in realtà incomplete e parzialmente errate, e dove si situano gli errori e le lacune non lo
si sa: ecco perché "si vuole ricercare assieme all'altro", "in dialogo conoscitivo" con
l'altro.
Quando più sopra ho chiamato la mia posizione <radicalmente innovativa nella
prassi>, non ho voluto significare che il mio intento è principalmente il cosiddetto <agire
pratico e concreto>; sostengo invece che è necessaria un'azione radicale di
"trasformazione", sia della <pratica> che della <teoria>, e propugno quindi una
<Trasformazione Culturale Radicale>.
Più avanti spero di renderle questo mio pensiero più esplicito; in questo primo
tentativo di "incontrarci", le accludo alla presente fotocopia di due brevi scritti da me
stilati alcuni anni addietro: anche da essi ella potrà trarre tracce del mio orizzonte
culturale ed ecclesiale.
Ripromettendomi di venire a conoscerla di persona, le invio intanto i miei cordiali
saluti.
(Firmato: Vittorio Noè)
Dr. Vittorio MOE'
Via Montorio, 108/38
37131 Verona
o______O______o
Lettera al Direttore
Lettera al Direttore, allegata alla precedente (ANZINI)
Caro Direttore,
Da quando la posizione assunta dal Vescovo Mons. Marcel LEFEVRE nei confronti
della Dirigenza Vaticana si fece più critica (1988), sino a giungere ad un dilemma
teologicamente irrisolvibile, le mie riflessioni sulla "funzione" della Gerarchia
Ecclesiastica, riflessioni di uno studioso laico ed ufficialmente non schierato, ma
sinceramente alla ricerca di un "Amare e Servire Dio" secondo i Suoi Disegni ed in seno
alla Sua Chiesa, si sono caricate ancor più di un amaro cruccio, nel vedere quanta "Grazia
di Dio" veniva sprecata, e quasi rigettata, a motivo di un "orgoglio umano" variamente
mascherato.
Scrissi allora, oltre che ad alcune Personalità ecclesiastiche di Roma, anche a Mons.
Lefevre; ma credo che la mia lettera, accompagnata da altri pochi miei scritti contestuali,
non fu fatta giungere al destinatario da chi stava nelle vie intermedie; o forse... ancora
una volta non fui reputato degno di credito alcuno.
A mio avviso, le Autorità di Roma avevano "smesso" la veste del "Buon Pastore", per
rivestirsi (eccessivamente e fuori luogo) di una "toga giuridica", di stampo mondano
sebbene il linguaggio verbale si riferisse a cose divine. D'altro canto la schiera di fedeli
(Sacerdoti e Laici), che si erano sempre più aggregati attorno al progetto di Mons.
Lefevre, non era riuscita a "maturare nella Fede" così come quella iniziativa richiedeva, e
come pareva che gli stessi Disegni divini volessero indicare al fine di ri-equilibrare certe
"aperture" "operate in modo scoordinato ed irresponsabile" dai documenti approvati dai
Padri Conciliari del Vaticano II; questa schiera di fedeli, specificatamente nei suoi membri
più impegnati intellettualmente, sia come teologi che come filosofi o sociologi, cadde così
anch'essa nello stesso errore cui si erano portate le Autorità Vaticane: cercare il
chiarimento, e la soluzione di quella divergenza, sul piano della teologia e su quello del
diritto Canonico.
Fu così ancora una volta estromessa la FEDE.
Una cosa si può constatare oggi, a distanza di quasi otto anni da quell'evento
(Consacrazione Episcopale di alcuni Sacerdoti, operata da Mons. Lefevre) che provocò
quello che fu chiamato (più o meno impropriamente ed erroneamente) uno "scisma": che
la situazione tra queste due polarità cristiane, "tradizionalisti" e "non-tradizionalisti" è
rimasta "nella confusione", in quella stessa confusione in cui è andata sempre più
imprigionandosi sin dall'inizio delle critiche mosse da Lefevre ai risultati del Concilio.
Forse è significativo il titolo di un opuscolo di questo Vescovo, <<Un colpo da maestro di
Satana>>; anche in questo "permanere della confusione" io ci vedo lo zampino di
Satana, lui il padre della Menzogna, il principe delle Tenebre, il nemico della Verità, e per
ciò stesso il nemico dell'Amore. La Fede è fondamentalmente Amore, e solo in un secondo
momento produce Teologia.
Che ne pensa lei, sig. Direttore: non sarebbe un avvicinarsi ai Disegni divini, se ci
impegnassimo a "ri-costruire la Comunità Ecclesiale" operando fattivamente "nella Fede e
nell'Amore attorno a Cristo Gesù", certi della sua parola che ci disse che Egli è vicino a
ciascuno dei più piccoli dei suoi discepoli? La Teologia e la Cultura Intellettuale restano
discorsi e parole vuote ed inutili, se negli altri livelli non c'è una "vita cristianamente
operosa", che mira a "Testimoniare Gesù il Cristo" nelle singole vicende umane concrete.
La ringrazio per avermi dato modo di manifestare ad altri queste mie riflessioni
spirituali; e mi permetto, salutando questi altri nell'Amore di Nostro Signore, di chiedere
loro l'impagabile dono di una loro Preghiera.
(Firmato: Vittorio Noè)
D.ssa Cr. CARNICELLA - 15 giugno 1996
Verona 15 giugno 1996
Alla Segreteria della SIRT
Roma
Gent.ma D.ssa Cristina CARNICELLA,
Ho letto in questi giorni il n.2/1995 di RICERCHE TEOLOGICHE , ed ancora in questi
giorni ho sottoscritto l'abbonamento (nuovo) per il 1996 a detta Rivista, presso le
Dehoniane di Roma.
Le sto volendo scrivere queste righe (che non so ancora se saranno poche o molte)
per manifestare allo staff che gestisce la vostra Associazione Teologica (SIRT), tramite lei
che ne è la segretaria, il mio compiacimento per le iniziative racchiuse nei vostri progetti.
Non sono un teologo; non sono un prete. Laico, sposato e con due figli già grandi;
superata la sessantina di età. Laureato in Fisica, e poi in Psicologia; studioso, oltre che
delle questioni psicologiche e sociali, anche delle problematiche religiose (cristiane) ed
ecclesiali, sia sul piano teoretico che su quello pastorale.
Stranamente (ma io mi spiego il perché...), il mio interesse per far fruttare nella
Chiesa le poche risorse che porto non ha riscosso "fiducia" nell'ambito del Clero. Quanto
ho letto (nella Rivista) a riguardo i vostri impegni culturali teologici ha ridestato perciò in
me la speranza di poter fare qualche piccolo passo in avanti: è stata come una
"finestrella" che si aprisse verso un futuro.
Mi prospetto l'evenienza di poter "dialogare" con altri studiosi della SIRT, anche
attraverso la vostra Rivista, per offrire all'attenzione dei ricercatori (vecchi e nuovi)
alcune mie osservazioni a riguardo i problemi teologici, a riguardo il modo di fare
teologia, a riguardo il "soggetto ecclesiale" che si accinge a fare teologia, a riguardo gli
stessi "contenuti della Fede" sui quali ci si propone di elaborare delle riflessioni critico culturali, ai fini di esplicitare un sistema teoretico (teologico) che racchiuda e gestisca
culturalmente quegli stessi contenuti.
Il paradigma che sta alla base di questo mio tentativo che avanzo verso di voi è la …
(manca il termine, per errore di trascrizione al computer!), che l'Associazione si è posta
come criterio metodologico nei suoi lavori. Il mio orizzonte culturale infatti, non solo è
intessuto di contenuti multidisciplinari, ma si articola, sia nel suo svilupparsi sia nel suo
tentativo di interlocuzione, lungo vie a plurilivelli, sì da coinvolgere (o fare appello a)
istanze umane e cristiane che nella cultura tradizionale sono state situate in settori
diversi e separati, sia del "sapere" che della "vita".
Una "Ricerca (teologica) interdisciplinare" è allora, in questa mia ottica,
"radicalmente diversa" dalle ricerche teologiche che a tuttoggi vengono condotte, dove,
nel caso si volesse evidenziare una certa "compresenza" di livelli diversi in un elaborato
teologico, in realtà si tratterebbe di un "assemblaggio" di "filoni individuali e settoriali"
diversi, ricercati e percorsi separatamente (gli uni dagli altri) e poi fatti stare insieme 'alla
bene e meglio': la ricerca che sta alla (loro) base resta però ancora "individualista" e
"solipsistica".
Il quadro che viene prospettato nella predetta Rivista (n.2/95), là dove si riporta in
appendice la introduzione nella Sirt della Comunità di ricerca <Sala Barberini> di
Barletta, con tutte le istanze umano - ecclesiali che quella Comunità intende perseguire,
mi ha entusiasmato: occorre però coraggio non poco, discernimento non poco, generosità
non poca, tenacia non poca! Ma occorre soprattutto avere il "coraggio di uscire dai vecchi
schemi procedurali", per far posto ai "timidi tentativi" del "nuovo genuino ed evangelico":
ogni ricerca teologica, che si dimenticasse della sua "radice", che è il Vangelo e la
'Tradizione' in esso fondata (non si confonda la 'Tradizione' con le tradizioni), rischia
sempre di ridursi ad un insieme di "algoritmi concettuali puramente umani e poco
realistici", privi di quella "vita divina" che invece impregna misteriosamente il discorso
teologico quando fosse stato sviluppato in concomitanza con una "contemplazione
interiore della Verità", la quale (Verità) per suo libero dono si manifesta alla creatura
umana che "Le vuole essere fedele".
Mi piacerebbe potere avere uno scambio epistolare anche con il Dr. Carlo
ROCCHETTA (non so se sia sacerdote), il Presidente uscente della Sirt, di cui ho
apprezzato la relazione finale.
Voglio poi complimentarmi con lei per il suo articolo sulla "Comunicazione", dove ho
trovato parecchi punti di consonanza.
Concludo questo mio scritto, che vuole essere un tentativo di dialogo, augurandomi
di avere ancora altre occasioni per uno scambio, ovviamente che sia costruttivo; e chissà
che non ci sia anche occasione per uno scritto... sulla Rivista.
In attesa di una sua risposta, la ringrazio per la gentile attenzione prestatami, e le
porgo i miei distinti saluti.
(Firmato: Vittorio Noè)
Dr. Vittorio NOE'
Via Montorio, 108 int.38
37131 VERONA -- Tel. 045-976530
Arai DANIELE / 10-11-96
Verona, 10 novembre 1996
Egr.Dr. Arai Daniele,
Voglio scriverle queste righe, dopo lo scambio telefonico che abbiamo avuto alcuni
giorni fa, per meglio segnalarle alcuni miei punti di vista, tra quelli che io reputo più
essenziali per una "ricerca in comune" in vista di una migliore 'cristianizzazione'.
Anche se ancora non conosco la sua persona, la sua mentalità, il suo orizzonte
culturale, mi immagino un suo atteggiamento interno disposto a questa "ricerca" e quindi
ad un "dialogo fraterno", senza remore o pregiudizi, attraverso il quale (dialogo) "scoprire
e capire" nuovi orizzonti, nuove tematiche, nuovi problemi, nuove prospettive operative:
in altre parole una "nuova presa di coscienza" del nostro "essere cristiani", del nostro
"vivere da cristiani", del nostro "operare da cristiani", dove <cristiani> significa "discepoli
fedeli" di Cristo Gesù ed "ascoltatori attenti ed altrettanto fedeli" della quotidiana (ed
incessante) Parola dello Spirito Santo.
Mi pare di averle già detto (per telefono) la mia età (64 anni); laureato in Fisica (nel
1964) ed in Psicologia (nel 1984); dal 1983 sono in pensione da Insegnante di Fisica e di
Elettrotecnica negli Ist.Tecn. Industriali; continuo i miei studi coltivando quegli interessi
culturali che hanno (oltre agli interessi scientifici) da sempre animato la mia vita: la
Psicologia, la ricerca ecclesiale di Fede, quelle problematiche culturali ed intellettuali che
hanno attinenza con un vivere umanamente sano e cristianamente veritiero.
Sono sposato dal 1965; ho due figli; il matrimonio tuttavia non è stato proprio fonte
di felicità: tutt'altro! Ho accettato (ed accetto) dalle mani del Signore questa "croce",
sperando, pur in seno a questa situazione lacerante, di "compiere la Volontà di Dio",
giorno per giorno, secondo come Egli me la significa. In questa mia 'croce' (o meglio
'nostra', in quanto anche mia moglie ed i nostri due figli ne hanno sofferto e ne soffrono)
quelle persone del Clero che sono state contattate, non solo non ci sono state di valido
aiuto, ma spesso state addirittura fonti di ulteriori malintesi, divergenze e
contrapposizioni. Ma... passiamo ad altro.
Per una prima conoscenza del mio orizzonte ecclesiale, le invio (allegati alla
presente) copia di alcuni miei scritti. Sono una parte della raccolta di <Lettere> che a suo
tempo inoltrai a Personalità ecclesiastiche; in esse ho cercato di comunicare al rispettivo
destinatario certe mie vedute a riguardo il nostro modo di vivere la Fede ed il comune
agire in materia di Apostolato, avanzando delle "critiche costruttive", nel senso che
mentre da un lato facevo osservare l'incongruenza (o addirittura la contraddizione) di un
certo fare del Clero e di molti Laici istituzionalizzati con il Clero, da un altro lato avanzavo
delle proposte concrete di mutamento di cammino operativo, assumendomi io per primo
la responsabilità dei primi passi. la mia offerta, unitamente alle mie osservazioni, sono
state sistematicamente ogni volta respinte.
In realtà, come ci si diceva giorni fa per telefono, nell'ambito ecclesiale si è andata
sempre più sviluppando una rete di atteggiamenti (di pensiero e di azione) contraddittori:
si vuole "rinnovare", appellandosi al Vaticano II, ma si pretende anche di tenersi ancorati
su certi pregiudizi che lungo molti decenni si sono inveterati nella Gerarchia Ecclesiastica;
si vuole "restare fedeli al Vangelo ad alla Tradizione della Chiesa", ma si pretende anche
di coniugare una non ben chiarita comunione con l'uomo di oggi, con le sue molteplici
istanze (di ordine personale e sociale), con i suoi molteplici volti esistenziali e religiosi.
Questo "ibridismo" (ripeto: nel pensiero e nell'azione) presente in modo marcato nelle
Personalità della Gerarchia Ecclesiastica, agli alti ed ai bassi livelli, è nocivo alla Chiesa ed
alla Evangelizzazione; esso e presente in ognuna delle "correnti" ecclesiali che a partire
dal Vaticano II si sono prodotte, ed è presente anche nella (così chiamata) <Fraternità
S.Pio X> sorta per opera di Mons.Lefevre, sebbene in seno a questo contesto assuma
forme "simmetriche" a quelle assunte nel contesto della Gerarchia ecclesiale romana.
I fraintendimenti fra le varie componenti di una stessa Chiesa pare che vanno
sempre più accrescendosi con il passare di questi ultimi anni, e questo in concomitanza di
un accrescersi delle "divisioni interne di fatto". Al <dialogo> è stato sostituito il
<dibattito>; alla <comunicazione personale> è stata sostituita la <comunicazione
burocratica>; alla <comunione di Fede> è stato sostituito il <consenso dottrinale
teologico - filosofico> o la <adesione implicita alla dottrina> avallata dalla Gerarchia; ...
e così via per altre "alterazioni" che si sono prodotte in seno al Popolo di Dio.
Non mi dilungo oltre. Credo che il campo su cui confrontarci, lei ed io, emerso da
questo mio discorso, e da quello che lei troverà negli scritti che le allego, sia già
abbastanza esteso. Non pretendo affatto concordanza di vedute da parte di altri; chiedo
umilmente soltanto "compartecipazione sincera e veritiera" in questo mio cammino di
Fede, sì che l'uno possa essere di aiuto all'altro nel concretizzare sempre meglio quella
"Vocazione" cui Dio in modo misterioso l'ha chiamato, ed attraverso la quale (vocazione)
lo conduce quotidianamente e lo guida.
Questo <confrontarci> di cui parlo, in vista di una <compartecipazione sincera e
veritiera>, non intende essere in prima istanza un approfondimento teoretico e
dottrinale, anche se reputo indispensabile un chiarimento concettuale ed una migliore
messa a fuoco mano a mano che vengono riesaminate le singole questioni toccate;
intende invece invitare l'interlocutore ad andare "oltre la struttura teoretica dottrinale",
per "incontrarsi con il vitale concreto e reale", non ancora "incasellato (e spesso
'imprigionato') entro rigide categorie logiche", e quindi "fluente nell'esperienza viva
dell'incontro nel presente", sotto lo sguardo attento e rispettoso dei due (o più)
interlocutori, anche se costoro geograficamente si trovassero situati a notevole distanza
l'uno dall'altro: non è la distanza fisica, infatti, che allontana l'uomo l'uno dall'altro, o
almeno non lo è come causa principale, bensì è il "distanziarsi spirituale", spesso
ricercato come una "difesa del proprio Io" dall'altro, pensato come un ipotetico "invasore"
del proprio mondo personale.
Tale distanza spirituale creatasi e mantenuta impedisce l'"incontro umano reale",
lasciando spazio soltanto per le "elaborazioni intellettuali sull'uomo"; ma tali elaborazioni
intellettuali sull'uomo non sono l'"uomo reale e concreto", nella "sua verità esistenziale
viva"; così come le elaborazioni intellettuali sul Vangelo non sono il "Vangelo", nella "sua
vivezza di Messaggio di Salvezza" datoci da Cristo Gesù; e così ancora come le
elaborazioni intellettuali sulla Fede non sono la "Fede", nella sua "verità viva di rapporto
filiale con Dio"! Lo 'strumento' (le elaborazioni intellettuali) non va confuso con l'oggetto
(l'uomo, il Vangelo, la Fede) per il quale quello strumento viene adoperato: lo strumento
deve esso adeguarsi e sottostare all'oggetto, e non viceversa!
Spero di non averla stancata o infastidita; accolga questa mia confidenza spirituale
con un orecchio verso di me e con l'altro verso Dio: Egli le suggerirà come coglierne il
'senso', quello che è giusto ai Suoi occhi. Senza la sua Luce, noi non capiamo nulla: né
del mistero di Dio, né del mistero di Gesù nostro Salvatore, né del mistero della Sua
Chiesa; e nemmeno dello stesso mistero 'originario' dell'uomo.
La saluto con molta cordialità, e resto in attesa di un suo scritto.
(Firmato: Vittorio Noè)
Dr. Vittorio NOE'
Via Montorio, 108 int. 38
37131 VERONA
o______O______o
19-01-97
Verona, 19/01/97
Egr.Sig. Arai DANIELE, -- Fregene
Rispondo con ritardo alla sua del 28/11 u.s., ritardo non solo per il lasso di tempo
trascorso ma anche rispetto ai propositi che mi ero fatto. Mi accorgo con mia grande
sofferenza interiore che lo scoramento va crescendo, che lavoro di meno, che le forze
fisiche ed il coraggio morale vanno sempre più diminuendo: il primo e migliore aiuto che
un amico potrebbe darmi è quello di un "salutare incoraggiamento e sprono"; invece
continuo il mio tran-tran nella consueta solitudine.
Non ricordo se gliel'ho già detto: vivo a Verona "da solo", la mia famiglia vive a
Padova; dal 1979 c'è una separazione coniugale con mia moglie: questa è stata una delle
più grosse lacerazioni che Satana ha inflitto alla mia persona, ed ho capito
(interiormente) che è stata una parte del prezzo che ho dovuto pagare per conservare la
"fedeltà a Dio". Questa mia fedeltà a Dio, in Cristo Gesù, è tuttavia cosparsa di macchie,
per cui quella gioia interiore che si può sentire nell'offrirsi all'Amore Divino è offuscata
dalla coscienza di molti peccati; e così, peccatore, mi offro tutto a Lui, pur nella mia
debolezza ma nel rinnovo del mio desiderio, volontà ed impegno di servirLo "con migliore
fedeltà".
Ho letto il n.9 del periodico IL NUOVO OSSERVATORE CATTOLICO, dove tra l'altro
c'e il suo articolo su quell'argomento tema del suo prossimo libro; nel suo mondo
interiore, attraverso il suo parlare, vedo molte cose che reputo "vengano da Dio", e mi
rammarica poi il fatto che spesso questi tesori che lo Spirito Santo suscita in chi è
desideroso di servirLo si perdono in gran parte, a motivo della nostra "cecità umana" ed
anche della nostra "presunzione dottrinaria". Per questo la cosa che più auspico con lei è
che ci si possa "incontrare realmente", nel nostro pensiero e nel nostro cuore, sì che i
tesori dello Spirito che lei porta possano "incontrarsi" con quei pochi che porto io: allora
si avrebbe molto più che una semplice somma, si avrebbe un potenziamento reciproco,
sempre a gloria di Dio ed al suo servizio, non a soddisfazione nostra. Satana sa quanto
questo "incontrarsi reale" possa essere "fertile di resurrezione spirituale cristiana", e per
questo si adopera in tutti i modi per impedirlo, falsificando o distorcendo le
"comunicazioni tra l'uno e l'altro", suggestionando con interpretazioni abnormi sugli
eventi, sui contenuti di questi eventi, sulle varie opinioni espresse. Per questo oso dirle:
non si lasci prendere "dal negativo" molto presto, nel leggere miei scritti; non lasci che
quel "lumicino" che ella può intravedere in questa persona che le parla possa venire
soffocato e spento dalla "zizzania" che Satana semina al suo intorno.
Ho scritto al Direttore del Periodico anzidetto, perché mi invii in abbonamento i
numeri successivi; gli ho poi esposto in breve il mio punto di vista a riguardo la necessità
(inderogabile) di <<confrontarci>>, non nel senso di "giudicarci" ma nel senso di
"compenetrarci" nelle nostre proposte, nelle nostre vedute, nel nostro sentire, sì che l'uno
possa essere fonte di chiarimento e discernimento per l'altro.
Nella sua mi ha fatto cenno di una seria crisi nel suo matrimonio; non vorrei
sembrare indiscreto o inopportuno, se le esprimo il desiderio di conoscere meglio queste
sue vicende umane nel suo vivere quotidiano reale. Sono d'avviso (e lo sono stato già da
molti anni) che un vero rinnovamento della Chiesa può derivare solo da un rinnovamento
della "vita reale cristiana" dei suoi fedeli, tenendo presente che una vita reale cristiana è
essenzialmente legata ad una vita reale umana: il carattere "cristiano" è inscindibile dal
carattere "umano", per essendo differenziabili. Saranno i nuovi "santi" quelli che
potranno far risplendere la Luce del volto del Cristo nella Chiesa; ma questi nuovi santi io
non li penso su quella falsariga cui comunemente ci si riferisce come caratteristica della
santità: della <santità> ormai ci si è fatto, nella concezione comune ecclesiale, uno
"stereotipo" che di fatto è vuoto, dis-umano e dis-divino.
Mi dice anche che ha studiato Fisica e Psicologia. Ha fatto gli studi universitari su
queste discipline? A proposito della Psicologia, non so se gliel'ho già detto: i miei studi
universitari su questa materia sono stati molto intrecciati da critiche profonde che spesso
ho fatto alla Psicologia ufficiale; molte di queste mie riflessioni critiche le ho annotate su
dei quaderni, che adesso sto cercando con molta pazienza, poco alla volta, di passare su
dischetto. Sono però tutte riflessioni "stringate", che richiederebbero delle delucidazioni e
concomitanti esplicazioni se si vuole cogliere il loro significato reale; ad un lettore
"estraneo" potrebbero apparire come affermazioni gratuite e poco significative.
Per quanto riguarda poi la <dottrina>, il posto che le compete nella vita della
Chiesa, la funzione che è chiamata a svolgere, si tratta realmente di un interrogativo
vasto e radicale, e che quindi non può essere risolto con delle semplici "decisioni
dottrinali" o con un semplice e formale ritorno ad un supposto 'status quo': si
rischierebbe di cadere nel vaneggiamento.
Nella Chiesa c'è realmente un caos dottrinale, creatosi (a mio parere) a partire dalla
Rivoluzione francese, la quale ebbe effetti dirompenti sui vari piani culturali ed i vari
sistemi di pensiero. Quella Rivoluzione non fu una rivoluzione intellettuale, ma generò
quei profondi presupposti sociologici e quelle premesse politiche i quali poi avrebbero
dato luogo a correnti di pensiero rivoluzionarie nonché a percorsi politici fra l'anarchico e
l'innovazione, scombussolando così anche gli assetti politici oltre che quelli sociali, e
scombussolando anche il sistema dell'Autorità gerarchica della Chiesa stessa.
Una risposta forte data dalla Chiesa a quegli eventi (dell'ottocento) sempre più
deflagranti, e sempre più caratterizzati da quella concezione sociologica poi chiamata
<Modernismo> e <Liberalismo>, fu il Concilio Vaticano I. Lei nella sua lettera parla
degli... "sciagurati del Vaticano II"; ebbene, a me è venuto da dire, in seguito a varie
riflessioni in concomitanza con certi studi, tra i quali quelli sulla figura del Card.le John
Henry NEWMAN (che ho apprezzato ed apprezzo molto), mi è venuto da dire: ... quegli
sciagurati del Vaticano I...! In particolare per la proclamazione della Infallibilità pontificia,
cui si giunse "quasi per imposizione ed intimidazione", (quegli sciagurati...) accentuarono
il clima di "contraddizione dottrinaria" che si era creato nella Chiesa; si pretendeva infatti
di combattere (o correggere) una dottrina reputata erronea imponendo altra dottrina,
costruita su misura ma con artificiosità, solo corroborata dalla autorità giuridica. Questo
comportamento costituisce una grave offesa allo Spirito Santo!
Un riesame culturale e dottrinale è perciò urgente nella Chiesa, per depurarla da
tante "false dottrine" che subdolamente sono penetrate sin nelle alte sfere della
Gerarchia; il Vaticano II si può dire essere stato un altro colpo demolitore, dopo quello
del Vaticano I: il Vaticano I fu un colpo che tendeva a piegare la Chiesa "verso destra", il
Vaticano II è stato un colpo che ha cercato di piegare la Chiesa "verso sinistra". L'uno e
l'altro hanno formato "un colpo doppio" inferto da Satana (ma ciò non toglie la
responsabilità di chi di pertinenza) nel tentativo di scardinare la Chiesa dal suo
Fondamento che è Cristo Gesù.
Il Vescovo Mons. Marcel LEFEVRE era in buona parte nel vero, "vedeva secondo lo
Spirito", quando parlò di un <Colpo da maestro di Satana>....
La <dottrina> oggi nella Chiesa ha assunto una funzione "bivalente" ed "ambigua",
come un'arma a doppio taglio, e bisogna perciò maneggiarla con molta accortezza; se poi
affrontiamo il problema di una <revisione dottrinaria>, il pericolo di quella ambiguità
risulta più insidioso. Tuttavia tale revisione va affrontata, pena l'aggravamento della crisi.
Ma... come rimediare ora?... Come convertirsi?... La frenesia e l'enfatizzazione del
ruolo della <dottrina> potrebbero farci diventare "strumenti (subdolamente manipolati
da Satana)" idonei perché Satana possa infliggere alla Chiesa un "terzo colpo"... Guai, se
venisse un Vaticano III...!!!
Non si confonda l'<amore per la sana dottrina> (che è oggi così fievole!...) con la
"ricerca dottrinale" o ancor peggio con la "'lotta' per la sana dottrina": ciascuna di queste
tre istanze comporta una dinamica processuale (esterna ed interna) diversa dalle altre; la
"lotta" poi per la "sana" dottrina è nella Chiesa una contraddizione in termini, in quanto
lo stesso Gesù ci ha insegnato che i suoi Insegnamenti (dai quali deve essere fatta
derivare la 'sana' dottrina) non è con la "lotta" che vanno fatti diffondere, ma con
l'<amore>.
Adesso termino salutandola cordialmente, sperando che non trovi molto pesante la
riflessione su questo mio scritto. Rinnovo gli auguri di un Buon Anno nuovo, 1997.
(Firmato: Vittorio Noè)
Dr. Vittorio NOE'
Via Montorio, 108 int. 38
37131 VERONA
o______O______o
31-03-97
Verona, 31 marzo 1997
Egregio Sig. Arai DANIELE,
Come le dicevo giorni fa per telefono, e come le ho già indicato nelle mie
comunicazioni precedenti, il progetto che io porto in me si articola su entrambi i versanti:
quello <dottrinale> e quello <vitale concreto>. Le osservazioni teoriche che lei avanza a
riguardo lo sviluppo dottrinale che si è avuto negli ultimi decenni nella Chiesa,
particolarmente in concomitanza con il Concilio Vaticano II, sono da me condivise in larga
parte; ma nello stesso tempo le vedo come particolarmente idonee ad "estendere" quel
medesimo discorso su altre tematiche ecclesiali, che io reputo anch'esse di basilare
importanza in vista di un genuino e veritiero recupero della Fede così come la Tradizione
Apostolica ce la ha consegnata.
A tal fine sottolineo ancora che quella parte del mio orizzonte di fede e di cultura,
che io reputo possa appropriatamente innestarsi ed integrarsi con il suo (orizzonte), non
è esprimibile se non attraverso <comunicazioni dialogiche e dialogate>; ed è questo
quello che io mi auguro possa avvenire tra noi due, senza di cui i miei scritti, pochi o
molti che fossero, apparirebbero sempre di scarso significato o addirittura strani e
fuorvianti, cosa che è sempre avvenuta nei miei tentativi precedentemente avanzati con
altre persone. In seguito a questa amara esperienza e nell'intento di superarla, io molte
volte in passato, e credo anche nelle mie (poche) lettere a lei inviate, ho segnalato
l'importanza di aprire gli occhi e chiarirsi le idee su ciò che costituisce l'operato e
l'operare di Satana nel contesto della comunità ecclesiale cristiana (cattolica), operato
che si indirizza su ogni membro della Chiesa, nessuno escluso; e questo operato è spesso
costituito dalla "suggestione" che certi contributi espressi da altri siano di nessun valore e
quindi da scartare, impedendo così "astutamente" l'<integrarsi> dei vari contributi,
quell'integrarsi che io vedo sia oggi uno dei principali obbiettivi cui lo Spirito Santo ci
invita, compito molto difficoltoso sia per la complessità della problematica e sia per
l'azione oppositrice e divergente di Satana. E' proprio il <retto discernimento> che oggi è
deficitario nella Chiesa, a tutti i livelli.
Ebbene, il recupero di questo retto discernimento, così come oggi la situazione
storico - culturale si presenta, non è conseguibile lavorando solo sul piano dottrinale, ma
richiede una "concomitante opera di santificazione" nel vero senso di questo termine: i
due momenti, quello della dottrina e quello della santità, devono intrecciarsi ed
interconnettersi per giungere alla <unità nello spirito e dello spirito>; le due ricerche
dovranno interagire e fondersi, apportando ciascuna "nuova luce" all'altra, avendo
sempre presente che al cospetto di Dio ciascuna delle due istanze risulta monca e povera
se attuata senza dell'altra. La questione della santità, così come da me evidenziata, non
si indirizza solo ai soggetti destinatari di uno studio dottrinale, ma coinvolge
"contemporaneamente ed unitariamente" la stessa dottrina che viene elaborata e lo
stesso soggetto (studioso) di tale ricerca teorico - culturale; il binomio <dottrina santità> corrisponde al binomio <fede - opere>; binomio molte volte ed in varie forme
discorsive segnalato nella S.Scrittura, una delle quali forme è quella in cui viene
affermato: <la fede senza le opere è morta>; a tale affermazione corrisponde
quest'altra: <la dottrina senza la santità è (cristianamente) vuota>.
Come il mio discorso manifesta l'esigenza di un recupero dottrinale, e quindi di una
rielaborazione dei vari contenuti dottrinali oggi sparsi in forma spesso caotica, ibrida ed
incongruente nei vari ambiti ecclesiali, i quali contenuti presentano inoltre spesso delle
deturpazioni (a volte gravi) rispetto alla dottrina genuina del Vangelo, così questo stesso
mio discorso vuole segnalare l'esigenza (anch'essa inderogabile) di un recupero del
concetto stesso di <santità>, molto deturpato anch'esso attraverso una storia di
compromessi ed opportunismi sociali. Non si può ottenere una "sana" dottrina se non
attraverso un contemporaneo recupero della santità vera; la santità è intimamente ed
essenzialmente legata ad una dottrina, dottrina che nella sua fase iniziale si trova in
forma "implicita" e che solo in fasi susseguenti viene dal soggetto stesso resa esplicita
con l'aiuto di studi intellettuali; tale esplicitazione è spesso indispensabile per la
"salvaguardia" della stessa santità che va maturando e crescendo nella vita,
continuamente messa a dura prova nel 'mondo', nel mondo che è in noi stessi e nel
mondo umano che ci circonda.
In realtà uno dei mali più grossi che sono stati introdotti nella Chiesa nel contesto
del Concilio Vaticano II è stato un aver sancito di fatto un 'divorzio' tra santità e dottrina,
spezzandone il connubio e l'intimo legame da Dio voluto e costituendone due istanze
separate ed autonome. Tale scissione è stata da sempre l'obbiettivo principale del
Modernismo nei confronti della Chiesa Cattolica. Già il Card.le John Henry NEWMAN (di
cui le feci cenno nella mia lettera precedente) aveva intuito questo attacco alla <vera
Fede> sin da quando era ancora anglicano (prima del 1845), ed accolse con cuore puro la
vocazione di Dio su di lui accettando di combattere questa dura battaglia in difesa della
vera Fede; il decorso di questa battaglia lo condusse alla Chiesa Cattolica, e là continuò
sino alla fine dei suoi giorni (1890) a combattere contro gli errori del Liberalismo e del
Modernismo. Ma ebbe tutto un suo stile Intellettuale ed operativo in questo suo
apostolato; per questo la sua Teologia è in qualche modo <sui generis>: è una teologia
del credente e non una teologia dell'intellettuale.
Lo spirito del Modernismo ha fatto nascere nella Chiesa la 'classe' dei Teologi
Intellettuali, già presente prima del Vaticano II ma sviluppatasi ancor più dopo questo
Concilio; i <teologi intellettuali>, così come io qui li intendo, e cioè come assumenti una
scissione tra santità e dottrina, non produrranno mai "sana" dottrina, in qualunque
schieramento ecclesiale essi si collochino, e quindi nemmeno nell'ambito dei cosiddetti
Tradizionalisti. A questo proposito credo di essere nel giusto se affermo che i teologi
intellettuali 'tradizionalisti' avrebbero tradito lo spirito del Vescovo Mons.Lefevre, in
quanto costui pur nella sua contestazione dottrinale con la Curia Romana conservava il
connubio <santità - dottrina>, in cui inoltre il primato egli lo riconosceva alla <santità>,
incentrando questa nella <fedeltà> al Cristo di sempre ed alla Chiesa di sempre; e quindi
neanche loro hanno fatto (e fanno) della "sana" critica dottrinale, principalmente per il
fatto che la loro ricerca risulta più di carattere "auto - apologetico" e di contrapposizione
con l'innovativo: non è una "ricerca della verità profonda ed integrale", quale oggi invece
sarebbe necessario operare. Per percorrere un tale cammino occorre < ... abnegare
semetipsum et sequere Christum>; l'aver io proposto, quelle volte che ho cercato un
interlocutore, un tale invito ha avuto sempre come risultato ... un 'abbandono'.
L'opera deleteria del Modernismo nei confronti della Chiesa Cattolica non si è
limitata alla sfera dottrinale, anche se in questa gli effetti sono stati più vistosi; in
concomitanza esso si adoperava per demolire la consistenza ed il concetto stesso di
<santità>: vi è riuscito non meno che in campo dottrinale! Anche su questo piano la
figura del già ricordato Card.le Newman è emblematica, ed esprime chiaramente la
tensione conflittuale che la vera santità richiede nel testimoniare la propria fedeltà al
Cristo Gesù ed al Dio Vivente contro i molteplici attacchi del Maligno, palesi o subdoli. Ma
a questo declino, a questo svuotamento di vera consistenza, dello stato di santità
l'Istituzione ecclesiastica non ha rivolto quella attenzione che meritava, ed ha assistito
quasi passivamente ed impotente preoccupata più che altro della sfera dottrinale: è stato
proprio in quel piano (della santità) che nella Chiesa si è verificato il danno maggiore. La
figura del 'santo' è stata resa stereotipa, quasi retorica, adornata di tecnicismi sacri e
verbalismi estetici, alla stregua di un residuo archeologico; il folklore narrativo ha
soppiantato il rivissuto della "storia viva" del santo; quei pochi santi che sono riusciti a
restare fedeli alla loro vocazione divina sono stati "snobbati e misconosciuti" da parte
della Gerarchia, intenta più che altro a dare lustro a se stessa, sentendosi vacillare di
fronte agli interrogativi intellettuali (o pseudo-intellettuali) che il nuovo mondo
(moderno) le poneva. In realtà, di fatto, la Chiesa Gerarchica ha "tradito" i 'santi', i quali
sono sopravvissuti per la sola forza dello Spirito rimasto vivo in loro nonostante i
contraccolpi della Gerarchia, oltre che i colpi dell'ambiente 'mondano e pagano'.
Anche su questo tema la figura di Newman è un "testimone" lucido ed eclatante (per
chi 'voglia' capirlo); eppure la Teologia di oggi lo snobba, ed il Magistero vi si adegua (a
questa Teologia presuntuosa) per il quieto vivere. Quanto alla causa di beatificazione del
Newman, si aspetta il famoso <prodigio miracoloso sul piano fisico-naturalistico>; i
prodigi sul piano dello spirito [dei quali la vita del Newman è piena, come piena lo è pure
la sua opera dottrinale] non hanno più valore, o se lo hanno è sempre di fatto posto su
un piano secondario: ecco il Positivismo entrato nella Teologia ad opera della corrente
Modernista; ecco l'enfatizzazione di fatto dell'elemento "naturalistico" rispetto
all'elemento "spirituale"; a quest'ultimo poi viene conferita una consistenza che è
anch'essa più di ordine 'terreno' che 'divino', più di ordine 'tecnico' che di ordine 'vitale'.
Non è il caso che descriva qui quali sono in particolare le cosiddette forme di santità
ufficialmente riconosciute e comunemente descritte nelle varie opere ad esse attinenti: il
lettore onesto e sincero che mi avesse seguito attentamente (e non con atteggiamento
puramente passivo) nel mio discorso, accompagnando la sua riflessione interiore alla
mia, non farebbe fatica a richiamarle alla sua mente ed a constatare la veridicità di
quanto da me qui asserito.
Ritornando ora a quanto detto all'inizio di questa lettera, la mia ipotesi è che se il
suo contributo (dottrinale) si apre al "connubio" con il contributo da me offerto (che è un
contributo 'misto', di santità e dottrina), facendo sì che le nostre due riflessioni si fondano
in un discorso unitario ed integrato, allora la "critica" alla prassi dottrinale oggi vigente
nella istituzione ecclesiale, specialmente sul piano della Gerarchia, risulterà realmente e
veramente "costruttiva", e non soltanto 'demolitiva'. I vari Y.Congar e De Lubac, spesso
chiamati in causa come per segnalare (con essi) un ingresso del Modernismo nella
Chiesa, sono a loro volta anch'essi portatori di altri 'sani' contributi; solo che invece di
coglierne il messaggio vitale cristiano, contenuto nelle loro opere e frammisto ad
inevitabili distorsioni, certi operatori e certi studiosi hanno trovato più comodo, più
gratificante e più funzionale al loro progetto intellettuale attenersi a certe parti tecniche
del loro discorso, quelle esattamente che, staccate dal contesto dell'intero lavoro e
dell'intero personaggio (l'autore), si prestavano meglio ad una interpretazione in senso
Modernista, operata peraltro attraverso veli di copertura appositamente creati da una
cultura intellettuale teologica 'pluralistica'. Il <Pluralismo ideologico> è stato (ed è)
un'arma potente nella metodologia del Modernismo; ed è un equivalente antesignano del
dominio della <Dea ragione>.
Io non ho degli scritti specifici a forma di <saggio> da potere offrire alla sua lettura
per una migliore conoscenza del mio orizzonte culturale e cristiano; ho una raccolta di
Lettere inviate a Personalità ecclesiastiche, delle quali tempo fa gliene inviai un estratto:
da esse si potrebbe (sebbene in parte) intuire il mio mondo spirituale ed il mio progetto
di vita e di apostolato. Ho anche una raccolta di <Considerazioni>, cronologicamente
scritte su dei quaderni e che adesso sto cercando (con pazienza) di trasferire su dei
dischetti.
Ma la mia aspirazione resta sempre quella di pubblicare un lavoro vero e proprio,
anche in un contesto di dialogo a due voci, dove appunto la mia riflessione si innesta su
(e prende avvio da) uno scritto stilato da un autore disposto ed aperto a questa
<coralità> di discorso: in tale sede si potrebbe meglio capire il contenuto vero e proprio
del mio pensiero e dei miei intenti operativi. Ho detto <intenti operativi> nel senso che il
mio progetto non è costituito tanto dalla stesura di un testo teorico di pensiero, quanto
da una esplicazione attuativa di iniziative concrete, da me messe in atto in prima persona
e con assunzione di responsabilità, miranti a "ri-educare", a partire dal piccolo se si
vuole, la Comunità cristiana ecclesiale, Clero compreso. In questo progetto di <rieducazione> c'è il recupero di una genuinità dottrinale unitamente al recupero di una
santità (anch'essa 'genuina') concretamente vissuta e vivente nel contesto della comunità
ecclesiale.
Questo cammino di ri-educazione me lo figuro di poterlo attuare attraverso una serie
di Incontri, come delle conferenze condotte però in modo diverso dallo stile tradizionale;
in un tale contesto l'espressione dialogica e dialogata consentirebbe all'ascoltatore (che è
anche in dialogo, oltre che in ascolto) di "giungere a capire" certi concetti, da me
comunicati verbalmente solo in modo insufficiente, e certe situazioni di vita (umana e
cristiana) concreta e di comportamenti personali da me descritti attraverso parole
anch'esse insufficienti. La <parola> è un veicolo molto limitato per tradurre certe
"questioni di vita"; la <relazione dialogica esperienziale>, anche se dovesse risultare più
sofferta, è più fertile per una veritiera comprensione.
Molte volte, leggendo dei libri o degli articoli di Riviste, mi sono sorte (e mi sorgono)
delle riflessioni critiche su quanto espresso dall'autore dello scritto; se io potessi
postillare quel testo con quelle mie osservazioni ne verrebbe uno scritto <a due voci>,
che in qualche modo abbozza quel <dialogo culturale> cui io spesso mi sono riferito.
Non volendo appesantire oltre questo mio scritto, termino ringraziandola della sua
cortese attenzione, augurandomi di non averla stancata troppo. Distinti saluti.
(Firmato: Vittorio Noè)
Dr. Vittorio NOE'
Via Montorio, 108 int. 38
37131 VERONA
L. Fioretti / 21-01-97
Verona, 21/01/97
Caro Fioretti,
Scusami se ti scrivo con ritardo riguardo a quei fogli (4) che mi hai mandato alcuni
mesi fa, scritti che tu stilasti, come si vede dalla data in calce, nella ricorrenza del tuo
onomastico, S. Lorenzo, 10/08/96. Con rammarico ti confesso che mi sento sempre più
affievolire lo spirito, oltre che sentire il corpo meno robusto e meno in salute; mi faccio
coraggio ed alimento la speranza rivolgendo lo sguardo al Crocefisso.
Come si è verificato per qualche altro tuo scritto precedente, anche in questo mi
trovo in difficoltà a stilare una mia risposta come parere di un amico ad un amico; anzi
forse la difficoltà è maggiore. Il tuo parlare, quasi a ruota libera, richiama tanti problemi
della vita ecclesiale e dei fedeli, e su ciascuno esprime degli interrogativi, delle risposte
personali a questi interrogativi, e nello stesso tempo sollecita l'interlocutore ad una sua
risposta: come fare a rispondere con uno scritto (per forza di cose, breve) alle molteplici
questioni sollevate? Da tener presente che sono questioni collegate tra loro in un modo o
nell'altro, e collegate ancora con altre questioni cui tu non fai cenno direttamente, e alle
quali io per forza maggiore dovrò fare riferimento per farmi capire nella risposta
complessiva.
Il panorama che tu presenti contiene i temi su: celibato presbiterale, amore
coniugale, istituzione ecclesiastica, concezione della Chiesa come famiglia, amore
fraterno e famiglia, vocazione, libertà, ecc... Le tematiche che io sono costretto ad
aggiungere potrebbero essere: puntualizzazione sul concetto di "vocazione", trovando
l'inquadratura da te espressa in merito piuttosto riduttiva e statica; il problema della
"attuazione concreta" sia di una vocazione e sia dei comandamenti evangelici;
puntualizzazione sul tema della "libertà", per il quale tu fai un cenno che reputo riduttivo
ed in parte anche superficiale.
In fase di prima risposta, ti dico (da amico): hai ragione! Tu segnali questioni reali,
storpiature realmente esistenti nell'ambito cristiano cattolico, nell'ambito del Clero, che
sono di una certa gravità; tu segnali delle mete additate già dal Vangelo e che nella
prassi ecclesiale pare vengano tenute in scarsa considerazione; la tua coscienza di
"cristiano", da cui tu cogli questa luce, io la vedo "retta", illuminata dallo Spirito.
Come seconda fase della risposta, ti debbo segnalare (sempre da amico) delle
eccessive enfatizzazioni e generalizzazioni, che io non condivido; e non le condivido
perché ho avuto modo anche di riflettere sul lato "concreto ed umano realistico" delle
stesse questioni, cosa che forse tu non hai fatto sufficientemente. Il terreno che ci fa
differenziare in questo secondo punto è la "formazione culturale ed umana" di noi due:
tu, maturato in un cammino sacerdotale basato sulla inquadratura che viene dato nei
Seminari, hai assimilato una formazione culturale ed umana di tipo <dogmatico, teorico,
dottrinale, canonico - giuridico, moralistico>, in cui è stata pressoché assente la <ricerca
culturale ed intellettuale sul piano esperienziale>: questa è una delle gravi lacune di
tutti i Preti; questa lacuna la si scopre in modo più plateale quando si affronta il problema
del "celibato", sia sacerdotale che in generale: il Clero adduce delle giustificazioni
caratterizzate soltanto da quelle categorie anzidette, mentre non porta in campo le
"relazioni dinamiche esperienziali" le quali, sotto un certo aspetto, sono tra i fattori più
essenziali della questione; e non le porta perché il Clero ha in quel settore umano (livello
esperienziale) una estrema lacunosità e cecità. A questo livello, una riflessione sincera e
consapevole porterebbe a concludere che il Sacerdozio così come voluto da Cristo, ed il
Matrimonio così come voluto da Cristo, sono "inconciliabili in uno stesso soggetto", nel
senso che la "pienezza di vocazione" dell'uno è incompatibile con la pienezza di vocazione
dell'altro; si tratta di una "incompatibilità esperienziale e umanamente concreta". Per
capire questo, occorre anche avere ben assimilato il contenuto significativo
dell'espressione di Gesù: <non si può servire a due padroni...>; e dell'altra espressione:
<l'uomo lascerà... e si unirà alla sua donna...>; ed ancora: <chi ama il padre e la madre
più di me non è degno di me...>; e poi vari passi di S. Paolo.
Collegata alla tematica del celibato, tu richiami poi la tematica dell'Amore. Il tuo
discorso in merito ha molte sottolineature di grande valore; ma scivola anche verso
"generalizzazioni superficiali", quasi volendo dire che Dio lo si può amare come si vuole,
ed in qualunque modo: questa frase dice 'tutto' e dice 'niente', ed inoltre fa saltare tutto
il Vangelo, ponendo al suo posto "una propria religione" costruita a propria misura.
Su questo argomento si può vedere quale sia il "contenuto" concettuale che ognuno
di noi fa corrispondere alla parola <amore>, come quando ci domandiamo: ma per te,
che cos'è <amore>? E qui capisci che è facile riscontrare una notevole discordanza tra
diverse concezioni dell'<amore>; se poi passiamo all'Amore insegnatoci da Gesù, allora
le divergenze aumentano: per capire questo amore occorre avere fatto un notevole
cammino nella via della "vera" santità, non di quella esteriore e pietistica.
Un altro concetto che trovo sia lacunoso nella formazione del Clero è quello di
<Natura Umana>: anche qui manca il livello "esperienziale" e quello della "dinamica del
concreto". Per questo tu argomenti in un certo modo su che cosa sia "secondo natura" e
che cosa sia "contro natura": in questo tuo argomentare io non mi trovo d'accordo. La
Natura (umana) è qualcosa di molto più complesso di quanto la formazione del Clero
porta ad intendere, ma non che questo problema (di cosa sia la Natura umana) sia molto
più difficile da capire; solo che, per essere "veritieri" sull'argomento, occorre essere
"aperti verso certe ricerche culturali", cosa che non si riscontra nel Clero. Per altro verso,
nei miei studi ho molto spesso incontrato, in autori di posizione anti-cristiana, una
concezione della Natura (umana) ancora più "mutilata" e "restrittiva" di quella che c'è nel
Clero; da un lato questi autori 'vedono' certe cose che il Clero non vede, e da un altro
lato 'si ostinano a chiudere gli occhi' su altre cose che, anche se in parte, il Clero 'vede'.
Con questo non voglio dire che la concezione che io ho sviluppato sia la migliore o la
più veritiera; mi piacerebbe soltanto "dialogare" sull'argomento "con sincerità d'ambo le
parti", sia con il Clero che con quegli altri studiosi: solo mettendo le carte in tavola
"onestamente" e "cercando la verità con sincerità" si potranno scoprire aspetti nuovi della
Natura umana, che altrimenti ci resteranno preclusi.
Ed ora ti saluto con un <a risentirci>. Buon Anno!
(Firmato: Vittorio Noè)
Prof. Ivo CISAR SPADON / 23-01-97
Verona 23-01-97
Egr. Prof. Ivo CISAR SPADON,
Ho avuto il suo nominativo (che spero aver capito giusto) per telefono dalla Casa
Editrice SEGNO, di Udine, come riferimento per l'opera svolta dal p. Enrico ZOFFOLI. Mi è
stato infatti detto che detto Sacerdote è morto lo scorso anno, e ciò mi è molto
dispiaciuto, tra l'altro perché avrei voluto contattarlo su quelle tematiche ecclesiastiche di
cui lui si era interessato.
Sono un laico; 64 anni; sposato, ho due figli; insegnante di materie scientifiche
negli Ist. Tecn. Industriali; ora in pensione. Mi viene in mente che diversi anni fa (verso
l'80-81) ho conosciuto un professore di Lettere di Pordenone, un certo Venditti (o giù di
li), anche lui Commissario d'esame di maturità (industriale) ad Este (PD).
Mi sono da molto interessato di Psicologia, conseguendo poi la laurea nel marzo
1984; ed anche di problematiche inerente la nostra Fede cristiana e la vita della Chiesa.
Sarebbe per me gradito potere avere dei contatti, anche se epistolari, con chi è
interessato a quei problemi che tanto stanno travagliando il Popolo di Dio: sono problemi
di genuinità della fede, problemi di evangelizzazione e di pastorale, problemi riguardanti
la cultura religiosa (compresa quella teologica) e laica; ma anche problemi inerenti alla
"verità reale" della consistenza della persona umana, della psicodinamica del vivere ed
agire dell'uomo, problemi di rapporti interpersonali e sociali. Se io ho cercato di
evidenziare con particolare accento gli aspetti psicologici e sociali, e quelle dottrine
sull'umano che ad essi sono pertinenti, in quanto le mie disposizioni intellettive e d'animo
erano protese verso quel campo dell'umano, altri potrebbero avere anche optato per altre
sottolineature di altri profili dell'umano, pur anch'essi presenti nella complessità socio ecclesiale in cui viviamo; ma ancora questi altri potrebbero aver lavorato nello stesso
campo in cui ho lavorato io, traendo però conclusioni diverse dalle mie. "Dialogare" l'un
con l'altro su quanto ciascuno ha evidenziato, interpretato e segnalato, penso che
sarebbe proficuo per un miglioramento della nostra vita cristiana, ivi compreso l'aspetto
specificamente umano; di riflesso anche la vita della Chiesa ne trarrebbe vantaggio.
Se ella trovasse in sè una certa disponibilità a questo incontro (epistolare), io le
sarei grato.
In attesa di una sua comunicazione, porgo i miei distinti saluti.
(Firmato: Vittorio Noè)
Dr. Vittorio NOE'
Via Montorio, 108/38
37131 VERONA
Tel. 045/97.65.30
Dr. Montuschi Ferdinando / 15-11-97
Verona, 15 novembre 1997
Egr. Dr. Montuschi,
Ho acquistato il suo volume intitolato <FARE ed ESSERE> poco più di un mese fa, e
sono andato leggendolo, alternandolo ad altre mie letture: man mano che andavo avanti,
mi entusiasmava sempre di più, sì da sentire il desiderio di contattarla personalmente.
Quando le telefonai giorni fa per accertarmi di aver rintracciato correttamente
l'autore del libro, non volendo essere inopportuno, mi sono limitato a salutarla e chiedere
il suo recapito postale. Nell'animo mio ci sono molte cose che vorrei manifestarle:
argomenti di carattere culturale ed argomenti di carattere strettamente personale; e vi
sono anche altrettante istanze che vorrei avanzarle, per conoscere meglio sia il suo
orizzonte culturale ed umano e sia i criteri operativi e progettuali da lei seguiti nella sua
attività professionale di Psicoterapeuta.
La mia età è di 65 anni; sposato (non troppo felicemente) con due figli; laureato
(prima in Fisica, nel 1964, e poi) in Psicologia nel 1984, a Padova, porto avanti i miei
studi in questo settore, pur non esercitando nel senso vero e proprio l'attività di
Consulenza Psicologica o di Psicoterapia. La mia attività lavorativa sul piano remunerativo
è stata quella di Insegnante (di Fisica, Elettrotecnica ed Elettronica) negli Ist. Tecn. Ind.,
dal 1964 al 1983, anno in cui ho chiesto di andare in quiescienza, per motivi vari che qui
non sto a specificare; adesso percepisco quindi la pensione, che è l'unica mia fonte di
reddito. Anche mia moglie ha insegnato, nella Scuola Media; ed è andata in pensione
proprio nel mese di settembre scorso.
Non è facile in un breve scritto trasmettere ad altri, pur nelle linee essenziali, il
proprio pensiero, specialmente quando si tratta del vasto campo dell'Umano. Non
dispongo di pubblicazioni, sebbene l'abbia spesso desiderato ed anche cercato; le diverse
difficoltà cui la mia vita personale è andata frequentemente incontro sono state anch'esse
un 'handcap' per il mio cammino culturale "pubblico", per cui la mia ricerca intellettuale
ed esperienziale ha dovuto accontentarsi del solo cammino 'privato e personale'. Se lei lo
desiderasse, io volentieri le invierei copia della mia Tesi di Laurea in Psicologia, la quale
ha per titolo <<La Comunicazione tra Adulto e Bambino e lo Sviluppo Intellettivo>>. E'
stato quello un lavoro molto personale, che ha incontrato anche qualche critica
nell'ambito accademico; ma della validità di quanto ivi da me asserito e sostenuto sono
tutt'ora convinto, ed ho constatato con una certa soddisfazione che in tempi successivi
altri autori, manifestando il loro pensiero in delle opere, evidenziavano anche loro certi
'paradigmi' e certi 'parametri' inerenti la Comunicazione Umana come punti nodali e
cruciali, estrapolandone anche certe conseguenze di ordine pragmatico, sia in ambito
Pedagogico, sia in ambito Psicologico, sia in ambito Psicoanalitico. Certe mie affermazini
furono allora reputate troppo 'originali', non in sintonia con la concezione comune in
Psicologia accademica; anche lo stile espositivo fu giudicato poco 'intellettuale'. Tuttavia,
quel lavoro è stato ed è uno squarcio, anche se parziale e molto condensato, del mio
orizzonte culturale ed esistenziale.
Non le nascondo che per quanto riguarda il mio mondo interiore vivo nell'orizzonte
cristiano, pur nel mio piccolo e con i miei limiti; nei miei studi ho sviluppato perciò anche
una ricerca sulla vita cristiana ed ecclesiale, dove l'ampia problematica della Psicologia
dell'essere umano si coniuga in modo inestricabile con l'altrettanto ampia problematica
della Fede Cristiana.
Potrebbe essere utile, ai fini di una migliore conoscenza reciproca, che io le indicassi
alcuni dei punti del suo libro che più hanno attirato la mia attenzione e suscitato un
notevole consenso; ma questi punti sono tanti e non saprei farne né una graduatoria né
un elenco. Le segnalo in sintesi alcune delle tesi che emergono dal suo discorso, con le
quali mi trovo in sintonia:
C'è un legame profondo tra il “fare” di una persona ed il suo “essere” persona.
Ogni 'fare', affinché possa essere psicologicamente costruttivo per la persona, deve
essere accompagnato da una "ricerca" della "adeguatezza al fine esistenziale" di questo
'fare'.
La "presa di coscienza" del proprio comportamento richiede un "sapere distaccarsi"
da se stessi, sì che ad ogni istanza del proprio essere umano venga concessa quella
"libertà" di presentarsi sullo scenario comportamentale nella sua originalità umana, e le
venga riconosciuta la sua funzione nella totalità della persona.
La "conoscenza (reale e veritiera) di sé" non può avvenire se non con la
"mediazione" dell'Altro: in questo "dialogo esistenziale e vitale", ricco di processi
psicodinamici, si scopre e si sviluppa la propria natura umana.
Quello che rende un avvenimento (della vita) psicologicamente influente sulla
persona umana è il “significato” che esso suscita nell'orizzonte vitale del soggetto; tale
significato che l'evento assume dipende dall'atteggiamento esistenziale e relazionale che
il soggetto è andato via via sviluppando.
Ma la conoscenza reciproca potrebbe venire migliorata anche attraverso segnalazioni
da parte mia di punti del suo libro in cui il discorso che ivi si snoda non mi trova tanto in
accordo, o di punti in cui io avrei aggiunto delle osservazioni che a mio parere avrebbero
reso più efficace, agli occhi del lettore, la proposta conoscitiva che là veniva a lui offerta.
Questi punti mi è stato più difficile individuarli, per cui... rimando (eventualmente) ad
un'altra volta.
Augurandomi di non averla importunata ed annoiata, spero di sentirla presto, e le
invio intanto i miei più cordiali saluti.
(Firmato: Vittorio Noè)
Dr. Vittorio NOE'
Via Montorio, 108/38
37131 VERONA Tel. 045-97.65.30
prof. Marco MILELLA - 09-06-02
Padova, 09-06-02
Egr. Prof. Milella,
Le scrivo queste righe, poche perché non sono certo ancora del suo vero recapito
postale: quello cui mi sto indirizzando mi è stato fornito (per telefono) gentilmente dalla
Editrice CLEUP di Padova, la quale ha pubblicato (1998) il suo volume: “La rete nascosta.
Per una relazionalità formativa”.
Questa sua opera -- che io solo da alcuni mesi ho cominciato a leggere -- ha
suscitato in me un largo e profondo interesse, sia sotto il profilo teorico e sia in vista di
propositi concreti operativi.
Sono laureato in Psicologia (a Padova, nel 1984), ma non esercito tale professione,
non per mia scelta bensì per rassegnazione: per il fatto che io ho scelto e sviluppato un
orientamento che si discosta parecchio dai vari orientamenti più seguiti in tale campo, la
mia ricerca operativa ha trovato sempre un ‘muro’ ed una ‘diffidenza’. Ciononostante, il
mio interesse per le questioni umane, sia personali che sociali, non è diminuito, anzi è
cresciuto e maturato ancora di più. La mia attività lavorativa è stata quella di Insegnante
di Fisica, Elettrotecnica ed Elettronica negli Ist.Tecn.Ind., avendo conseguita la laurea in
Fisica (a Catania, nel 1964) e partecipato ai vari Concorsi a Cattedra; adesso (ho circa 70
anni) sono... in pensione.
Mi piacerebbe tentare con lei uno scambio di vedute e di esperienze culturali, quasi
con l’intento di mettere in comune -- sempre nel reciproco rispetto della persona dell’altro
-- i frutti (teorici ed esperienziali) conseguiti nelle nostre rispettive ricerche umane e
nell’umano.
Sperando di non aver fatto cosa a lei sgradita con questa mia iniziativa, in attesa di
una sua risposta le invio i miei più distinti saluti.
(Firmato: Vittorio Noè)
Dott. Vittorio NOE’
Via Montorio, 108 int.38
37131 VERONA
Tel. 045-976530
o______O______o
24 luglio 2002
Padova, 24 luglio 2002
Egr. Prof. Milella.
Ho ricevuto la sua breve e-mail, dove per fortuna mi ha esplicitato il suo indirizzo di
posta elettronica; pensavo anch'io infatti che ricevendo una e-mail, a prescindere dal
contenuto del testo, ci fosse in qualche altra parte indicato l'indirizzo di posta elettronica
del mittente: ma io nella sua e-mail non l'ho trovato; c'è da dire anche che io non sono
molte esperto in queste cose. Passiamo ad altro.
Come mi era prevedibile, fra i tanti luoghi di cui parlarle non so da dove cominciare,
ed allora... azzardo nella mia spontaneità del momento.
Le dissi nel mio primo scritto che avevo scelto e sviluppato un orientamento di
Psicologia che si staccava da quelli che nella Psicologia contemporanea si sono sviluppati.
Tale scostamento è avvenuto per diversi parametri: un primo parametro è quello
costituito dalla "Relazione Interpersonale", la quale nella mia concezione viene a
configurarsi come uno dei nodi centrali per ogni tematica che si affrontasse, sia sul piano
della conoscenza teorica e sia sul piano della prassi operativa, quivi compreso anche il
vasto mondo delle psicoterapie.
Un altro parametro è quello inerente al "Campo" di osservazione, il quale campo -mentre nella concezione comune alle varie correnti di pensiero è ben delimitato, sia
nell'oggetto e sia nella finalità, a ciò che esplicitamente mostra in primo piano
"caratteristiche psicologiche", nel senso accademico dell'espressione -- nel mio orizzonte
esso (campo) abbraccia "l'intero ambito umano", includendo così tutti i campi delle
singole cosiddette Scienze Umane.
Un terzo parametro è "l'espressione religiosa", la quale -- mentre comunemente in
Psicologia (e campi ad essa attinenti) viene praticamente esclusa -- nella mia concezione
della Psicologia l'evento religioso fa 'parte integrante' dell'essere umano: una sua
esclusione la reputo perciò una 'mutilazione' dello stesso oggetto (l'uomo) che venisse
osservato e studiato.
Un quarto parametro infine è la "Metodica": mentre nei vari settori della Psicologia
la metodica di studio ricalca quasi quella delle Scienze Naturali, a mio avviso un tale
procedere e (corr.: è) distorcente, oltre che fortemente riduttivo. Anche in questo punto
c'è una differenza radicale tra l'orientamento comune in Psicologia ed il mio: secondo la
concezione comune, "obbiettivando" l'uomo non (corr.: lo) si può studiare meglio, con
rigore scientifico, e quindi con più probabilità di risultati certi; secondo la mia concezione,
"soggettivando" l'uomo, e quindi "entrando in relazione" con lui, lo si potrà conoscere
meglio e con più verità: la "verità dell'umano" è sostanzialmente diversa dalla "verità
scientifica", ed è rispetto a questa di grado superiore. Un autore che ho apprezzato
molto, in riferimento a questi argomenti, è il filosofo Wilhelm DILTHEY; peccato quei
(corr.: che i) suoi... successori non hanno (corr.: abbiano) saputo coltivare e sviluppare
adeguatamente quanto egli aveva già costruito.
Questa ovviamente è una breve premessa, per un primo approccio conoscitivo. A
titolo esemplificativo, reputo possa tornare utile allegarle alcune delle mie annotazioni
che presi parecchi anni fa. (CPS 1973)
Intanto la saluto con molta cordialità.
(Firmato: Vittorio Noè)
P.S. Mi trovo ancora Padova, ma presto rientrerò a Verona.
o______O______o
25 luglio 2002
Padova, 25 luglio 2002
Egr. Prof. Milella, mi scuso per alcuni errori di scrittura che ho riscontrato esserci nella
lettera inviatele ieri sera; poiché alcuni potrebbero dare luogo ad interpretazioni errate
del senso della frase, le invio una copia di quel testo "con le correzioni". Mi scusi.
Vittorio NOE'
o______O______o
04 agosto 2002
Padova, 04 agosto 2002
Egregio Prof. Milella,
Ho ricevuto la sua e-mail del 26 luglio 2002.
Le invio (in allegato) alcune altre 'tessere' del mio pensiero. Ho chiamato questi
scritti <CONSIDERAZIONI PSICOLOGICHE> (abbr. CPS) appunto perché, nel corso delle
mie giornate, a contatto con me stesso e con la realtà esperienziale esterna, mi
sorgevano delle riflessioni che mi facevano 'vedere' aspetti particolari (della realtà
umana) che prima mi erano sconosciuti, o che prima mi si presentavano con valenza
diversa. Nel 'considerare' la realtà umana quotidiana di cui di volta in volta sono stato
protagonista o spettatore-osservatore, il mio obiettivo è stato sempre quello di "scoprire
nuovi elementi e nuovi aspetti", e nello stesso tempo di "scoprire i legami e le gerarchie"
che sussistevano tra i vari molteplici elementi; tutto questo è racchiudibile in un'unica
espressione: "cercare la verità nell'umano e dell'umano".
Più avanti le esprimerò alcune considerazioni sul contenuto del suo libro <La Rete
Nascosta>; intanto lei avrà già 'incontrato' e 'conosciuto' alcuni tratti della mia
personalità e del mio orizzonte culturale, così... ci saranno più probabilità che lei possa
cogliere quelle mie osservazioni nel loro vero senso e significato. Non le nascondo il mio
timore di essere frainteso, per il fatto che ancora c'è molta poca dimestichezza tra le
nostre persone e tra i nostri mondi culturali, e nello stesso tempo (credo) molto distacco
tra i nostri 'obiettivi' esistenziali e professionali; tuttavia... voglio 'tentare', come le
dicevo nel mio primo scritto.
La ringrazio sin d'ora dell'attenzione (e della pazienza) verso i miei scritti, i quali
(sono consapevole) potrebbero risultare "di non agevole lettura".
Molti cordiali saluti.
(Firmato: Vittorio Noè)
don G. Giussani – 19-12-2002
Lettera Fax
Verona, 19 dicembre 2002
Reverendo don Giuseppe Giussani, -- BOZZOLO (CR)
Sono un vecchio socio affezionato della fondazione don Primo Mazzolari, in quanto
molto affezionato alla persona di questo sacerdote tutto peculiare. Conosco il pensiero di
don Mazzolari (anche se solo in parte) da circa una quindicina di anni; sono venuto anche
a Bozzolo diversi anni fa, prendendo contatto con don Piero Piazza, che adesso è defunto,
nell'intento di dare una mia partecipazione, un contributo operativo, per quello che
poteva essere la esplicitazione del messaggio che don Primo ci ha lasciato. Avevo preso
contatti allora anche con il professor Libero Dall'Asta di Bozzolo, avevo avuto con lui
diversi colloqui, ed egli gentilmente mi aveva anche fatto omaggio di un volume di don
Mazzolari. Da allora don Mazzolari mi è rimasto nel cuore, anche se la mia offerta, la mia
proposta, sia con il signor Libero Dall'Asta e sia con don Piero Piazza, può dirsi che non
hanno trovato seguito, forse per una certa incomprensione o anche perplessità nei
confronti della mia persona. Io abito a Verona e vivo modestamente come Insegnante in
pensione.
Leggendo la rivista Impegno, mi viene sempre di più nell'animo quella catena (che
già da anni ho pensato di sviluppare) di Incontri con delle persone interessate, nei quali
Incontri riflettere seriamente e anche con dialogo sulle tante tematiche che don Mazzolari
ha espresso nei suoi scritti, ed anche ha segnalato nei suoi diari. Vedo che nella vita
quotidiana ecclesiale manca proprio questa "riflessione seria", che sia non una riflessione
strettamente teorica, ovvero anche 'puramente teorica', ma una riflessione (potremo
dire) orientata alla vita concreta, orientata al vivere quotidiano esperienziale,
comportamentale, relazionale; riflessione orientata agli obiettivi, ai progetti che l'essere
umano si pone: però, considerando il soggetto umano come "essere cristiano", perché
l'essere 'umano' ha dei progetti, il 'soggetto cristiano' invece, oltre ad avere
l'inquadratura dell'umano, ha anche "in modo coessenziale" l'inquadratura della fede, e
quindi il progetto e gli obbiettivi di un soggetto cristiano sono in qualche modo diversi da
quelli di un soggetto non-cristiano. Queste riflessioni io vorrei sviluppare anche attraverso
degli scritti periodici, che potrebbero trovare collocazione anche sulla rivista Impegno o
su altre riviste.
Uno dei volumi di don Mazzolari parla del coraggio di "confrontarsi" e di "dialogare":
questo penso che sia un punto nodale di quella che è la vita cristiana, nel senso che è
effettivamente molto importante. Don Mazzolari aveva evidenziato che quest'aspetto qui
è molto carente; quindi, ai fini di mettere in luce l'opera di Mazzolari, sarebbe bene
cominciare dal "come iniziare nel concreto" questo tentativo di incontrarsi. Mi rendo conto
che non riesco ad esprimermi, ma voglio dire: prendere delle iniziative, creare delle
situazioni, che consentono di "incontrarsi", invitando, chiamando, cercando, e man mano
che ci si incontra ancora "cercare di dialogare"; ma "cercare", perché il dialogo non nasce
subito. Con questo (e cioè con il 'cercare') voglio anche dire che il dialogo non è dato per
scontato in partenza, ma occorre essere 'disponibili' (al dialogo). Allora, come
propedeutico c'è il problema (e quindi anche l'obiettivo) di "sviluppare la disponibilità" al
dialogo; nell'incontro cioè occorre mettersi davanti come obiettivo quello di "sviluppare
questa disponibilità", quindi come proprio (si potrebbe dire) un lavorio a livello di
personalità, a livello di relazione fra i membri che partecipano all'incontro: la disponibilità
non è data di per sé stessa come un fatto isolato, ma è un qualche cosa che 'nasce',
ovvero può nascere nell'incontro.
Infine voglio far presente che l'uso della <posta elettronica> faciliterebbe molte
cose, in quanto con più scioltezza e più immediatezza i vari soggetti che volessero
incontrarsi e comunicare si potrebbero mettere in contatto tra di loro: in questi problemi,
la "immediatezza" di una comunicazione è molto importante e molto incidente.
Non aggiungo altro, per non cadere nella retorica. Se vorrà rispondermi, anche
brevemente, le sarò grato; perdoni il mio stile non troppo usuale. Le invio intanto i miei
più distinti saluti.
(Firmato: Vittorio Noè)
Dr. Vittorio NOE'
Via Montorio, 108/38
37131 VERONA
Tel. 045 976530
o______O______o
don Giuseppe Giussani – 29-02-2004
(To: [email protected])
Padova 29 febbraio 2004
Al Presidente della Fondazione Mazzolari
BOZZOLO (MN)
Rev.do don Giuseppe Giussani,
Molte felicitazioni a lei ed alla Fondazione Mazzolari per la realizzazione del sito
Internet: ci voleva proprio! Ne sono venuto a conoscenza solo poco più di una settimana
fa, quando (da Padova) sono andato a Verona a ritirare la posta, e vi ho trovato il
notiziario n. 2 del dicembre 2003. Ero stato assente da Verona per diversi mesi.
Alcune settimane fa ho rinnovato la mia adesione a codesto Centro (per l'invio della
rivista <Impegno>) con un versamento sul vostro c/c postale di 20 €. Capisco quanto
l'amministrare la Fondazione nel modo migliore richiede lavoro e denaro, e mi spiace che
le mie condizioni economiche non mi consentono di offrire qualcosa di più. Però sarei
lieto, come le ho già accennato nelle poche lettere passate che le ho inviato, potere in
qualche modo essere utile, anche con contributi culturali e spirituali; cosa che purtroppo
mi rendo conto non sia tanto facile, sia per la distanza geografica e sia per la scarsa
conoscenza che i componenti del Consiglio di Direzione del centro hanno della mia
persona.
Ho inviato al dottor Gianni Borsa (nuovo direttore della Rivista) giorni fa una breve
lettera (via e-mail), esponendogli la mia disponibilità; fra l'altro facevo presente (a
grosse linee) che si potrebbe creare (ideandola ed organizzandola nel modo migliore e
più proficuo) una "rete informatica" fra i vari simpatizzanti di Mazzolari, mettendo a
disposizione ciascuno le proprie e-mail per degli scambi di opinioni, riflessioni, proposte;
scambi che con animo sincero potrebbero attuarsi come tra "amici", tenendo presente
anche (a mio avviso) che Mazzolari è stato un apostolo di Cristo, e non un sociologo o un
filosofo, che l'opera di Mazzolari mirava ad "evangelizzare" le persone che vivono nel
sociale, e che perciò il porsi come "amico di Mazzolari" deve significare porsi come "amico
di Cristo", quindi anche "amico della Chiesa" in quanto Corpo Mistico di Cristo. Questo da
me ora espresso a lei significa anche che gli scritti del Mazzolari vanno letti e interpretati
nel più vasto contesto che è la Chiesa, di cui don Primo è stato un fedele testimone.
I primi scritti di Mazzolari (e su Mazzolari) io li ho acquistati nel luglio 1987. Avevo
conosciuto (per l'eco che giungeva) la figura del Mazzolari, anche se brevemente
delineata, già nel lontano fine anni '40 primi anni '50, a Siracusa -- io sono nato ad
Augusta (SR) nel 1932 -- da amici sacerdoti, fra i quali ricordo don Carmelo Ferraro,
divenuto poi vescovo di Piazza Armerina, e don Alfredo Garsia, divenuto vescovo di
Caltanissetta. Nel periodo 1987-88 ho conosciuto padre Aldo Bergamaschi (docente
all'università di Verona e residente a Reggio Emilia), che ha curato la raccolta dei
documenti, dei diari, ecc. di don Mazzolari; e ho conosciuto anche don Piero Piazza
essendo io venuto a Bozzolo alla Fondazione: nel maggio 1988 acquistai i quattro volumi
di Adesso; conobbi allora anche il professore Libero Dall'Asta.
Mi sono sempre augurato da allora (ed ho pregato anche Dio per questo) che il
lavoro di raccolta dei documenti venisse svolto con cura, con correttezza, con rispetto
della verità e fedeltà a don Primo, perché mi ero reso conto che lo stile del discorso di
quell'apostolo era molto intrecciato e complesso, come intrecciati e complessi erano i suoi
pensieri e le sue riflessioni: una piccola alterazione del testo originale avrebbe fatto (e
farebbe) cambiare senso all'intero esprimersi del Mazzolari. Riconosco ed apprezzo perciò
il lavoro paziente che c'è voluto: Dio ve ne darà ricompensa!
Io non so come sono regolate le mansioni amministrative del Centro; per cui, non
sapendo se c'è una Segreteria a cui rivolgere queste brevi richieste che seguono, le
presento a lei:
1) vorrei acquistare due Quaderni di Documenti: il n. 5 inerente agli articoli apparsi
su <La Vita Cattolica>; ed il n. 8 inerente agli articoli apparsi nel quotidiano <L'Italia>.
2) in uno dei numeri precedenti del Notiziario, a suo tempo lessi che è disponibile su
floppy disk l'indice generale degli articoli dei quattro volumi di Adesso: vorrei questo
dischetto.
Per il pagamento penso che nello stesso pacco metterete un bollettino di c/c postale
indicandomi la somma da versare; ma se la vostra prassi è diversa mi faccia sapere come
devo procedere.
La mia residenza è a Verona; ma per motivi vari (fra i quali quello inerente il mio
stato di salute, in questo periodo non tanto florida) mi trovo ancora Padova; voi
registrate nel vostro archivio anche questo mio secondo indirizzo che pongo in calce. La
prego quindi di spedirmi il tutto al mio indirizzo di Padova.
Ringraziandola di tutto ed augurandole... copiosi frutti, le invio cordiali saluti.
(Firmato: Vittorio Noè)
NOE' dr. Vittorio
(Indirizzo ... )
don Lucio Nicoletto / 01-02-2003
Padova, 1 febbraio 2003
Reverendo don Lucio Nicoletto, -- RUBANO (PD)
Le chiedo innanzitutto scusa per tanto tempo che ho lasciato passare per la
restituzione di quanto da lei prestatomi: le cassette (8) dei discorsi di don Mazzolari, e la
sua tesi di Baccellierato su Mazzolari. La ringrazio molto, mi sono stati molto graditi e
utili. Questo materiale era già pronto per riportarglielo da un paio di settimane, ma in
questo periodo sono stato impossibilitato per mancanza dell'auto. Adesso glielo sto
facendo pervenire, confezionato insieme alla meglio, cogliendo l'occasione favorevole che
mia moglie (la quale fa la catechista a San Carlo Borromeo di Padova) si recherà oggi al
Seminario Minore accompagnando i ragazzi che dovranno ricevere la S. Cresima.
Oltre al mio ringraziamento per la sua cortesia, vorrei presentarle il mio desiderio di
reincontrarla, nell'augurio di una migliore conoscenza reciproca, ai fini di potere essere di
aiuto l'uno all'altro nel compito ecclesiale che ciascuno di noi due si è proposto. Acclusa
alla presente troverà copia della lettera (fax) che inviai alla Fondazione Mazzolari di
Bozzolo, lettera che però è rimasta senza risposta; da questo breve scritto lei potrà
acquisire qualcos'altro di quelli che sono i miei propositi.
Sperando di poterla risentire, le porgo i miei distinti saluti.
(Firmato: Vittorio Noè)
Mons. Aldo COZZANI - 11 marzo 2003
Padova, 11 marzo 2003
Molto Rev.do Mons. Aldo COZZANI, -- CREMONA
Con un certo sentimento di nostalgia, misto a rimpianto per tante circostanze della
mia vita andate a vuoto, torno ad incontrarla (per lettera) dopo circa una quindicina di
anni. Proprio tanti (circa) anni addietro io, avendo letto qualche suo scritto, venni a
trovarla a Cremona, nel tentativo di dar vita ad un incontro collaborativo con chi era stato
molto vicino a don Primo MAZZOLARI.
Mi chiamo Vittorio Noè; vivo a Verona, ma in questo periodo mi trovo a Padova,
presso dei parenti famigliari. Recentemente ho letto nella rivista <Impegno>, numero di
dicembre 2002, un riferimento alla sua persona quale "... l'ultimo sacerdote vivente che
ha trascorso la sua giovinezza accanto a don Primo..." (pag. 156). La mia nostalgia nel
richiamare alla memoria la sua persona (e quell'incontro) è in consonanza con il mio forte
desiderio che nutrivo allora, e che mi si è risvegliato in questi mesi più recenti, di
adoperarmi perché si faccia veramente luce sulla figura di Mazzolari, e non solo
dell'apologetica o della retorica intellettualista, che serve solamente a porre aureole a se
stessi a scapito (palesemente, a mio avviso) della "verità" sul <Messaggio> che è venuto
a costituire tutta la vita di quella figura "originale" di ‘profeta’ che fu il Mazzolari, a partire
dalla sua vita in Seminario e sino alla sua morte.
A mio parere, la "vera figura" -- morale, spirituale, umana, cristiana, sacerdotale -di Mazzolari non è stata ancora posta in luce, stando ai lavori (che sono venuto a
conoscere) che si sono fatti su di lui. Ci sono dei "frammenti" interpretativi, tanti
frammenti: alcuni sono delle vere e proprie ‘tessere’ (di un ‘mosaico’), altri sono scaglie
(di tessere) che hanno perso il loro significato originario; ma... da tali frammenti non si
può risalire al Messaggio unitario del Mazzolari mediante un semplice lavoro di raccolta,
riunione, accorpamento: l' "intero unitario" è ben altro, è oltre alla somma dei frammenti.
Il suo "Pensiero" è “pluridimensionale” e "fortemente interconnesso": questa è una
delle caratteristiche di un pensiero "profetico" -- profetico nel senso di "inviato da Dio"
per noi, e non nel senso di pre-correre i tempi: lui era al passo coi tempi, perché Dio è
sempre al passo coi tempi, ed in quel suo pensiero io ho sempre visto che Dio era con lui;
siamo stati noi (la maggior parte dei cristiani del XX secolo) che (rispetto a quel pensiero,
se si vuole) eravamo "indietro coi tempi"; mi riferisco ai cristiani cattolici "Chierici" e
"Laici"--. Un Pensiero di siffatte caratteristiche non può essere "ricostruito"
semplicemente riunendo i corrispondenti scritti; può invece essere enucleato da persona
veramente preparata ed esperta, uno studioso dallo spirito "creativo e realistico",
"anelante alla verità" perché possa penetrare oltre a ciò che appare e coglierla nella sua
vivezza, e che sa "guardare con amore" alla realtà umana concreta; uno studioso che
nella ricerca interpretativa operasse con quello stesso stile dell'autore di quegli scritti,
stile che va prima con pazienza scoperto e capito: soltanto chi si è fatto sul serio
discepolo di Cristo può fedelmente interpretare e capire il lavoro di un altro discepolo di
Cristo. In particolare, lo studioso deve avere acquisito anche lui la capacità di sviluppare
un "pensiero pluridimensionale" con elementi interconnessi.
Si badi bene però che tale caratteristica di pensiero di cui sto parlando non è uno
"stile letterario linguistico" che l'autore (in questo caso, Mazzolari) si è costruito nel
comporre i suoi scritti o i suoi discorsi; è invece il "contenuto" di quel pensiero ad avere
quelle caratteristiche, è la "sostanza del materiale" che egli voleva trasmettere ad avere
quella consistenza: l'autore l'accoglie nella sua verità, e la traduce all'esterno, cercando
di rispettarne il connettivo originario. Il Messaggio Evangelico -- che è quello in definitiva
cui Mazzolari si dedicava ad insegnare (mentre con impegno lo attuava in sé) -- è proprio
una "sostanza" con tali caratteristiche.
Tuttavia, nonostante il fatto che ancora non siano emersi (stando alle mie
conoscenze piuttosto incomplete) di tali "studi - ricerca esplicativa", devesì riconoscere
un grande merito a don Piero Piazza (che io incontrai più volte già circa 16 anni fa) che
con sollecitudine si è prodigato, sin dal nascere della Fondazione (da lui stesso voluta), a
ché le tante preziose tracce lasciate da don Primo non andassero perdute, affinché tante
altre menti e tanti altri cuori potessero incontrarsi con quella figura umana-cristiana
degna di essere "meglio conosciuta". Attorno a don Piero Piazza ci sono stati dei
collaboratori, a cui è più che doveroso dire anche a loro un sentito e riconoscente
<Grazie!>. Dio ha voluto che Mazzolari "restasse", come pietra di confronto, come spirito
incentivante, come esempio confortante; dopo don Piazza (chiamato dal Signore nel suo
Regno celeste il 17-11-1992), altri stanno continuando il paziente lavoro, non solo quello
di riordinare in modo critico il materiale, ma anche quello di creare modalità funzionali di
consultazione dell’eredità culturale di don Primo Mazzolari, nonché modalità di scambio
agili ed efficaci fra i vari studiosi e cultori di quelle tematiche. Anche se non appare
evidente, questo lavoro è anch’esso indispensabile e prezioso, in quanto prepara delle
buone basi per le successive ricerche e studi: a tutti un <Grazie!>.
Ritornando alla figura di don Mazzolari, questa caratteristica (piuttosto ‘originale’)
del Pensiero e della Personalità del Mazzolari, quella di essere (sia l’uno che l’altra)
sistemi fortemente interconnessi (oltre che pluridimensionali), ha permeato l'opera
apostolica di don Primo, facendo sì che il suo Messaggio risultasse di più ricco e più denso
contenuto; i destinatari (Chierici e Laici) purtroppo si sono mostrati impreparati nel
recepirlo, e poco disposti ad "ascoltarlo sul serio": i Chierici per certi fattori, i Laici per
altri fattori; l'attività di Mazzolari non trovava perciò un terreno facile, né accogliente.
Tuttavia voglio dire che, a mio avviso, è un falso che il maggior ostacolo Mazzolari
l'abbia avuto dalla Gerarchia ecclesiastica: i Laici del suo tempo, come anche quelli poi
dei decenni successivi, erano investiti da quel Messaggio non meno che i Chierici, in
quanto era un richiamo che Mazzolari (sotto lo stimolo dello Spirito Santo) rivolgeva alla
<Comunità Ecclesiale> tutta, nessuno escluso -- come lo stesso don Primo spesso, molto
spesso ripeteva. Molti Laici di quel tempo, e dei decenni successivi, hanno trovato
"comodo" continuare a sonnecchiare all'ombra dell'Autorità ecclesiastica, devolvendo e
delegando ad essa ogni potere decisionale ed operativo, e quindi ogni responsabilità.
In questo la Gerarchia ecclesiastica -- sebbene mostrasse anch’essa le sue proprie
manchevolezze -- ha commesso la grave pecca di farsi "complice" della ingenerosità, fine
furbizia, opportunismo, di tanti Laici, che erano stati "personalmente" da Dio chiamati
(da quel misterioso Messaggio che giungeva loro attraverso Mazzolari) -- Dio chiama
sempre ‘personalmente’, sebbene ‘comunitariamente’ --: complicità resa possibile per il
fatto che anch'essi (i componenti della Gerarchia ecclesiastica), smarriti per il susseguirsi
veloce degli eventi storici (politici e civili), erano ‘preoccupati’ di non commettere ulteriori
errori che avrebbero potuto rendere ancora più precario quello scarso equilibrio che con
difficoltà s'era raggiunto tra mondo cristiano e mondo socio-politico ateo. Non si
dimentichi poi -- e questo è essenziale, per capire correttamente il pensiero e
l'atteggiamento di Mazzolari -- che in questo mondo socio-politico ateo coabitavano due
schieramenti opposti: il Fascismo ed il Comunismo, di fronte ai quali l'orizzonte cristiano
rischiava di apparire (e quindi eventualmente di porsi o venire posto) come un terzo
schieramento, che sarebbe potuto essere "tirato dalla propria parte" da ciascuno dei due
contendenti (comunisti e fascisti).
Nella persona di Mazzolari, che si era offerto a Cristo come ministro della sua Chiesa
e nella sua Chiesa, Dio si rivolgeva al "Suo Popolo", inviava un Messaggio al suo Popolo -il quale è costituito da l’ "intera Ecclesia", Chierici e Laici insieme --. Se il suo Popolo è
stato in gran parte sordo o restio ad accogliere quel Messaggio, ad un'analisi attenta ed
onesta si potrà mettere in luce quanto hanno mancato i Chierici e quanto hanno mancato
i Laici; il grado di colpevolezza e responsabilità di ciascuna delle due componenti
ecclesiali lo conosce solamente Iddio: noi non potremmo mai stabilirlo, e neanche ci
spetta; preoccuparsi di farlo, può essere un subdolo tentativo diabolico per farci
allontanare dall'assumere noi ciascuno le proprie responsabilità, (farci allontanare)
dall'accogliere ciascuno il compito da Dio affidatogli.
Preciso, per meglio chiarire il mio pensiero, che nel discorso da me fatto (ed in
quello che più avanti farò) <responsabilità> e <colpa>, non solo non si equivalgono, ma
sostengo che sono due cose sostanzialmente diverse, contrariamente a come
comunemente si asserirebbe: la <responsabilità> fa riferimento ad un "compito" che ci si
prefigge di adempiere, e questa (la responsabilità) va "assunta"; la <colpa> fa
riferimento ad un "venire meno alla responsabilità assunta". Nel campo ecclesiale di oggi,
quella che maggiormente io voglio sottolineare è la "mancanza di assunzione di
responsabilità" -- agli alti ed ai bassi livelli, sia presbiterali che laicali -- piuttosto che il
“venir meno a responsabilità assunte”: se le responsabilità (circa un dato compito) non
sono state ‘assunte personalmente’, quale discorso potrà poi farsi a riguardo le colpe per
compiti non adempiuti? Saranno discorsi vaganti, che non portano a niente. In tema di
<responsabilità>, Mazzolari si è posto da grande maestro e da grande esempio!
Tutta la Cultura cristiana intellettuale che si è sviluppata dopo la morte di Mazzolari,
compresi i lavori del Concilio Vaticano II, e le varie procedure attuative (sul piano
teoretico e su quello pratico) dei contenuti di quel Concilio, elaborate nel non breve
periodo ad esso successivo, sono una dimostrazione lampante di una "assenza", di una
"latitanza", di un "estraniarsi" dei Laici, non tanto a livello giuridico quanto a "livello
vocazionale": "in realtà", non c'è oggi (come non c’era nell’ante-Concilio) un <Laicato
cattolico>, c'è solo sulla carta, sulle parole che di volta in volta si usano per fare delle
"celebrazioni" di comodo e tranquillizzanti.
Tutti gli scritti di don Primo, un po' qua un po' la, mettono in luce questo. I Laici che
ascoltavano o leggevano quel parlare, quel comunicarsi -- nei discorsi e negli scritti del
Mazzolari --, "giravano ad altri" il peso della responsabilità; fra questi (Laici) c'erano (e ci
sono anche oggi), con numerosità notevole, persone molto "vicine al Clero", persone con
mansioni intellettuali od operative in settori ecclesiali strettamente collegati con
l'operatività del Clero. Si ricordi come don Primo dissentisse nei confronti della Azione
Cattolica; non tanto per se stessa, ma per certe regole e normative che si dava, le quali
in definitiva ed in realtà "arroccavano" il sistema e limitavano la fertilità dei singoli
membri nel loro "Agire Cattolico".
Il "vero" <Laicato cattolico> -- quello auspicato con passione da Mazzolari -- non
c'era ai tempi suoi stessi (un bel po' prima del Concilio Vaticano II), non è riuscito a
crearlo neanche Mazzolari stesso, e non si è formato (in realtà) neanche dopo questo
Concilio: non continuiamo ad illuderci! Mettiamoci invece seriamente (e generosamente)
all'opera, tutti! "Mettiamo in comune" i doni di Dio che ciascuno ha ricevuto
personalmente, tutti, e facciamone tesoro: non continuiamo a sprecarli! Ed altresì,
lasciamo che i propri doni vengano "fecondati" -- seppur sotto la guida dello Spirito Santo
-- nell'incontrarsi misterioso con i doni di altri, con i quali si auspica (o ci si propone) di
instaurare un rapporto umano cooperativo e vitale: anche questo era nello stile di vita di
don Primo.
Su questa prospettiva, del reciproco fecondarsi dei molteplici doni che lo Spirito
Santo ha distribuito nei vari membri del Corpo Ecclesiale, qui sì io reputo che i Chierici, ai
bassi ed agli alti livelli, si trovano molto indietro: essi hanno continuato -- e lo fa notare
anche Mazzolari nei suoi diari -- e continuano anche dopo il Vaticano II, a prospettarsi
una meta ed un cammino di formazione che hanno carattere tipicamente "individualista",
con anche delle note tecnicistiche ed 'eccessivamente' pragmatiche. Questa concezione in
campo di formazione sacerdotale impedisce, sin dal suo nascere, lo sviluppo della
"creatività" dell'essere umano, "essere umano" che è la base dell' "essere sacerdotale";
ed impedisce anche di "aprirsi realmente" all' "orizzonte comunitario interpersonale", che
è la base dell' "essere Comunità cristiana".
A riguardo il “fecondarsi a vicenda” dei vari doni, questo non deve vedersi (come è
invalso nella prassi comune) come un "arricchimento", per somma di doni -- il concetto di
<arricchimento> è riduttivo e distorcente rispetto al concetto vitale del <fecondarsi> -bensì deve essere visto come un "trasformarsi", uno "svilupparsi", un "ri-crearsi": ciò
implicherà ovviamente "cambiamenti" nella propria personalità, quelli proprio sollecitati
dello Spirito Santo. Il mirare ad un “arricchimento” -- seppure di doni spirituali -porterebbe sempre di più ad un atteggiamento, e ad una concezione del proprio essere e
del proprio vivere, di tipo “personalistico” ed “individualistico” -- cosa che io reputo
negativa, molto negativa nell’oggi della Chiesa --; mentre, mirando ad un “fecondarsi
reciproco” dei doni spirituali, si fomenterebbe ed accrescerebbe una “vita comunionale
cristiana”
Su questa tematica, la Gerarchia ecclesiastica ha un grave ed improcrastinabile
compito da affrontare: qui è molto indietro coi tempi! È indiscutibile che in tale compito
non può assolutamente essere ancora "assente" la componente laica della Chiesa. In
questo problema che ci si prospettasse, si intravedono allora due (e non uno) "nodi"
cruciali da affrontare, uno in riferimento ai Chierici -- affinché fra essi si crei realmente
una “comunione di ministero” ed una “cooperazione interpersonale nei vari processi di
crescita” e di formazione presbiterale, ivi compresa la formazione che si attua nei
Seminari, maggiori e minori --, e l'altro in riferimento ai Laici; il nodo circa i Laici è
costituito dal fatto che in realtà "non c'è già, il Laicato Cattolico": occorre "ricrearlo", farlo
"ri-nascere". Questi due nodi devono essere affrontati "contemporaneamente" ed
elaborati in un unico progetto operativo, che li veda e li ponga in stretta relazione
reciproca.
Il Rinnovamento Ecclesiale non può essere operato con procedure che ancora una
volta continuerebbero a tenere "due mondi" (per giunta, separati) nella Chiesa: il “mondo
dei Chierici” ed il “mondo dei Laici”; la loro (dei Chierici e dei Laici) collocazione nel
"mondo (unico) della Ecclesia" può comportare differenziazione solo a livello di ministero
(e quindi a "livello vocazionale" specifico), non a livello di "orizzonte cristiano” (che è
unico): non ci possono essere due orizzonti cristiani, uno per i Chierici e uno per i Laici!
Si ricordi su questa questione il profondo (e tanto sofferto!) contributo dato dal Card.le
John Henry NEWMAN (n. 1801; m. 1890: Primo Mazzolari era nato da pochi mesi),
sottolineando come la presenza del Laicato nella Chiesa fosse "costitutiva ed essenziale":
<...Quis custodiet Custodes?...> (vedi in particolare il suo volumetto <Sulla
consultazione dei fedeli in materia di dottrina>, trad. a cura di Pietro Spinucci Morcelliana, Brescia, 1991). Il Mazzolari conosceva questa generosa figura, come risulta
da alcuni documenti. Io ho avuto sempre la vaga sensazione interiore che Dio avesse
donato a Primo Mazzolari parte dello spirito di Newman; se non ricordo male, la
Fondazione ha dedicato un Quaderno, parecchi anni fa, a questo accostamento tra i due
personaggi.
Per quanto riguarda l'apporto dottrinale teologico sulla figura dei Laici, il dopo
Concilio (oltre al Concilio stesso) è pieno di scritti in merito. Di fatto però tutto è rimasto
sulla carta...: non sono stati innescati "processi vitali" concreti che "generassero" il
"nuovo" <Laicato Cattolico>. Secondo la mia concezione, questo risultato, scarso ed in
qualche modo deludente, era prevedibile, da aspettarselo: non può essere infatti un (o
più) documento “dottrinale teologico” a creare in seno alla Chiesa una corrente di “vitalità
cristiana”, esso può solo “coordinare” (per renderlo più efficiente e fertile) un certo flusso
vitale (operativo) che “sia già sorto (e quindi già presente) nella Chiesa”, e sorto per altri
processi ed altre vie che non sono certo i documenti dottrinali e teologici.
Ho voluto manifestarle questa parte del mio Pensiero complessivo a riguardo quel
“mondo di problemi” che don Primo Mazzolari ha posto sul tappeto ed ha cominciato ad
affrontare, da solo purtroppo! Credo che queste mie parole, se si vuole dare ad esse
credito, dovrebbero far nascere il dubbio che forse... in tante cose (del mondo ecclesiale)
si sia "sbagliato strada" -- non tanto per quello che riguarda la metodica e le procedure
tecniche nella pastorale, bensì quanto a "sostanza formativa complessiva" dei singoli
soggetti umani protagonisti nel cammino cristiano --, e che la "colpa" (io la intendo nel
senso lato, non nel senso come comunemente viene inteso nei vari discorsi che si fanno
in merito) non sia affatto tutta della Gerarchia ecclesiastica.
Occorre ora intraprendere, da ambo i versanti della Comunità ecclesiale, Chierici e
Laici insieme, una "Ricerca fondamentale", compiuta in un’ottica di “Riflessione
fondamentale”, che prima di tutto faccia emergere (portare alla luce) le "vere
responsabilità" di ciascuno di noi -- che sono quelle che si hanno dinanzi a Dio, perché la
Comunità ecclesiale è di Cristo: noi tutti, Laici e Chierici, siamo (e ci dobbiamo porre
come) suoi discepoli, i quali appunto devono rendere conto a Lui; e non quelle
(responsabilità) che ognuno, per propria comodità, si attribuisce, o si arroga il diritto di
attribuire ad altri --, prendendo coscienza del "proprio compito in seno alla Chiesa".
Questa <Ricerca fondamentale> è ormai ineludibile! E lo è perché ineludibile (a mio
avviso) è altresì il <Ri-pensare la Nuova Evangelizzazione>. Don Primo Mazzolari è stato
un “Pioniere della Nuova Evangelizzazione”, intesa questa come l’aveva intesa lui, e non
come è stata inquadrata nel dopo-Concilio; per cui “ri-scoprire il Mazzolari, vivo ed
apostolo nella Chiesa” sarebbe un lavoro propedeutico importante ai fini di un “Riscoprire la Nuova Evangelizzazione”
Non mi dilungo oltre, perché prevedo che questo mio parlare susciterà più
perplessità che condivisione in chi mi ascolta. Spero che la mia comunicazione, pur
contenendo alcune enfatizzazioni (inevitabili, nel tentativo di trasmettere il corretto
significato), venga colta nella sua veridicità indicativa ed assertiva.
Vorrei farle conoscere anche alcuni miei scritti degli anni passati; essi sono registrati
in un dischetto (da computer). Se lei lo desidera, gli spedirò il dischetto; intanto le
accludo il foglio di <presentazione> che lo accompagna.
Questa lettera l’avevo già scritta nei giorni scorsi; l’averla sentita per telefono
questa mattina mi ha fatto molto piacere. Mi auguro di leggere una sua risposta, quando
può.
La ringrazio di tutto. Distinti saluti.
(Firmato: Vittorio Noè)
Dott. Vittorio NOE'
(Indirizzo ... )
dott. Gianni Borsa / 27-02-2004
(to: [email protected])
Padova 27 febbraio 2004
all'attenzione del nuovo Direttore
della Rivista <Impegno>
BOZZOLO (MN)
Egr. dottor Gianni Borsa,
L'avere appreso, anche se con diversi mesi di ritardo, che la Fondazione Mazzolari
adesso ha un sito Internet è stato per me motivo di una certa gioia e di una sentita
speranza. A questa novità se ne è associata un'altra: quella di un nuovo direttore della
Rivista <Impegno> nella sua persona.
Per quanto riguarda la direzione del periodico, sostanzialmente non dovrebbe essere
cambiato nulla, in quanto connotata di una certa validità è stata quella del compianto
Arturo Chiodi. Io (che ho 72 anni) conosco il Centro Mazzolari da parecchi anni, dagli anni
in cui c'era ancora don Piero Piazza, intorno ai 15 anni fa...; e sono stato sempre (e lo
resto tuttora) un estimatore di don Primo, di cui credo di aver potuto cogliere certi tratti
della sua persona umana e cristiana insieme, attraverso letture dei suoi scritti,
accompagnate anche da letture di testi (e discorsi ascoltati) da altri stilati su quel
personaggio.
Dacché ho conosciuto don Mazzolari è sorto in me un desiderio che ho sempre
conservato (e sempre più ravvivato) di poter dialogare con altre persone che nutrono un
certo apprezzamento dell'opera di quel sacerdote, unitamente ad un desiderio concreto di
operare passi nuovi, che mettano meglio in luce ed attualizzino nel concreto reale
dell'umano cristiano quello che fu lo spirito profetico ed apostolico di don Primo. La gioia
e la speranza espressale nell'inizio di questa lettera è in gran parte legata a quei due
eventi (novità) suddetti, e si sprigionano da questo mio desiderio che le ho manifestato.
Cosa hanno significato per me le due novità?
1) La creazione di un sito consente un allargamento ad altri del contenuto
complesso che è l'evento Mazzolari (ho trovato a me congeniale l'uso del termine
“evento” per indicare l'intera presenza storica di Mazzolari nella Chiesa e nella società); il
che porta ad allargare la cerchia degli ipotetici interlocutori in vista di quel dialogo che ho
sempre auspicato. Il sito Internet poi permette l'uso della posta elettronica, che oggi è un
valido strumento di comunicazione come avevo accennato a don Giuseppe Giussani in
una lettera inviatagli poco più di un anno fa; ed offre anche un modo semplice per
organizzare team di lavoro e di riflessione da parte di un gruppo di persone (abitualmente
quasi impossibilitati ad incontri diretti) che si fossero accordati per quel progetto.
2) Il portarsi alla ribalta come direttore della rivista di un nuovo soggetto suscita in
me nuova speranza che io possa trovare in questo nuovo soggetto quelle modalità di
incontro e di ricerca conoscitiva che mi consentano di portare sul tavolo, per una
conoscenza più allargata da parte di altri, quelle molteplici riflessioni che nel corso di
tanti anni sono andato via via elaborando: sulla figura di don Mazzolari sulla sua opera
sul suo pensiero.
Il taglio della mia formazione mentale e spirituale, e così anche il mio stile di
pensiero, sono piuttosto diversi da quelli che comunemente si incontrano, e questo è uno
dei fattori di divergenza nella dialettica del discorso che potrebbe nascere fra me ed un
ipotetico interlocutore; eppure, anche in ciò avverto una certa assonanza quando leggo
scritti di don Mazzolari, così come avverto che di fatto quello scritto di Mazzolari (su cui
ho posato la mia attenzione) risulta, nella comune prassi interpretativa svolta da altri
lettori, non colto nella sua giusta luce e nelle sue reali implicazioni, che pure erano
presenti nella persona del Mazzolari quando esprimeva parte di sé in quel suo
manifestarsi (per iscritto o a voce).
Non mi dilungo. Spero solo si possa aprire un fruttuoso dialogo almeno in vista di
una più allargata conoscenza ed in vista anche di un ulteriore potenziamento della
operatività del Centro Mazzolariano; potenziamento non tanto nel senso di
moltiplicazione di procedure tecniche o di rafforzamenti delle piste su cui attualmente si
procede, quanto piuttosto nel senso di una più profonda ed estesa incidenza nel modo di
procedere, nel modo di ricercare piste nuove, nel modo di affrontare i problemi, nel modo
di guardare ai possibili sviluppi e frutti conseguibili.
Nella prospettiva sopraddetta, di un dialogo sincero tra coloro che sono interessati
ad allargare il campo conoscitivo inerente alla figura del Mazzolari -- e conseguentemente
(perché don Primo non era un pensatore speculativo, bensì un “animato operatore
lungimirante") a promuovere iniziative che diano vita nel concreto dell'umano-cristiano a
scambi di risorse umane e spirituali, per una reale “crescita cristiana", individuale e
comunitaria, in seno alla Chiesa -- metto a disposizione di altri che lo desiderano la mia
e-mail.
La ringrazio dell'attenzione prestatami e la saluto distintamente.
(Firmato: Vittorio Noè)
NOE' dr. Vittorio
Via Montorio, 108 int. 38 -- 37131 VERONA
tel. 045-976530
E-mail:
P.S. In questo periodo, e non so sino a quando, mi trovo a Padova, al seguente indirizzo:
(Indirizzo ... )
Fine
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