LETTERE PERSONALI (19 Destinatari, 26 lettere) Dr. Giulio FONTO' / 30-05-79 (La lettera inviata è scritta a penna) Verona, 30-05-79 Al Dr. Giulio FONTO' Via Puccini, 20 NOVATE MILANESE Gent.mo Dr. Giulio Fontò, Ho ricevuto la sua lettera del 26-04 u.s. ed avrei voluto risponderle presto; mi rammarico di questo ritardo, ma i sentimenti che mi portano a scriverle sono sempre ugualmente vivi e spontanei. La solitudine mia -- di cui le parlavo e che lei stesso nella sua ha ricordato -- non so se è più una solitudine sociale o una solitudine personale. Sento che lei già da anni si sta occupando di fenomenologia esistenziale: questo mi ha fatto piacere perché può essere un canale che ci permette di capirci, in quanto anch'io ho sviluppato nella mia formazione interiore quella che io direi una modalità fenomenologica con la quale mi pongo di fronte alla realtà quotidiana. Ma, mi creda, sento che nonostante ciò non è facile farsi capire: tutti questi termini, nel comunicare l'un l'altro, possono solo portare un significato molto generico, e quello che io intendo può essere molto diverso dalla sua posizione. E quella solitudine di cui sopra è proprio legata a questa concezione "tutta personale" che sono andato sviluppando. Sono d'accordo in molte cose con l'Antropoanalisi di Binswanger, sono d'accordo con diverse affermazioni che si leggono nei libri di Enzo Paci (studioso di fenomenologia), sono d'accordo con la psicoanalista Silvia Montefoschi per le affermazioni che fa nel suo volume <L'Uno e l'Altro>, dove esprime in modo tutto peculiare la sua posizione fenomenologica. Ma... questo consenso "conoscitivo" non arriva ad essere per me una vera fonte di soddisfazione; resta un punto importante: sento forte il bisogno di "vivere concretamente la mia vita quotidiana sotto questo impulso", impulso tutto nuovo nel senso che l'espressione concreta sociale in cui noi ci troviamo immersi è tutt'altro che di ispirazione fenomenologica. E' come se non soltanto il mio mondo concettuale si fosse proiettato su una concezione fenomenologica, ma tutto il mio essere fosse stato "preso in questo progetto". E, d'altro lato, l'impotenza che sento a realizzare "da solo" tale progetto mi fa "cercare l'Altro", un altro che anche lui sia stato preso in un progetto analogo, con cui non soltanto intenderci a livello astratto di idee, ma principalmente con cui attuare concretamente questo progetto in seno all'ambiente in cui vivo. Ho sperimentato personalmente quanto sia estremamente angusto per l'essere umano ogni schematismo teorico che le varie correnti psicologiche e psicoanalitiche hanno elaborato. Il conflitto esistente tra me e mia moglie, che potrei chiamare <conflitto esistenziale> sotto certi aspetti, quando è giunto nello studio di uno Psicologo o di uno Psicoanalista, ha nelle varie volte trovato solo... un caos di parole, un terreno su cui buttare alla rinfusa affermazioni, a turno, slegate fra di loro, senza alcun profilarsi di una qualche prospettiva che fosse "ricostruttiva per entrambi". Per questo ho deciso che non farò più alcun tentativo in questo senso (ricorrere allo psicoterapeuta) se prima non ho avuto modo di conoscere nel (possibile) psicoterapeuta, attraverso qualche colloquio, le caratteristiche psicologiche del suo operare professionale, le sue idee, i suoi "modi di porsi", di far fronte a fatti ed aspetti nuovi, ecc... Sin da quando mi sono sposato ho dovuto portare, e da solo, tutto il peso di una situazione psicopatologica latente che mia moglie si portava dietro sin dalla sua infanzia. Inizialmente non avevo capito quanto fosse radicata, e pertanto i rimedi che ho cercato sono stati inadeguati. Così, con l'andare degli anni, la limitatezza delle mie risorse e delle mie forze, pare non riesca più ad offrirmi altre risorse di vita, ed a volte... ho paura di soccombere, tanto mi sento esaurito e sfiduciato. Termino adesso questo colloquio, breve perché è epistolare; anche se sono stato solo io a parlare, mi immagino la sua persona qui presente che gentilmente mi ascolta e si presenta aperta al colloquio. Spero di sentirla presto, conoscere altre cose di lei, come io le faccio conoscere le mie, e le auguro sempre cose buone, per la sua famiglia ed il suo lavoro. Questa volta le ho scritto a penna, pur sapendo che la mia calligrafia e piuttosto disordinata; ecco perché di solito srivo a macchina: sia per essere più comprensibile nella lettura e sia per presentare al mio interlocutore uno scritto... più decente. Molti cordiali saluti ed un a risentirsi presto. (Firmato: Vittorio Noè) Mons. Aldo DEL MONTE - 9 maggio 1993 Verona, 9 maggio 1993 Rev.mo Mons. Aldo DEL MONTE, Torno a scriverle, a distanza di circa sei anni da quella lettera che le inviai il 7/8/87, nella quale, facendole un brevissimo quadro circa alcune mie riflessioni sulla vita ecclesiale, Le chiedevo un colloquio di persona. Quella volta, ciò .... non mi fu concesso. So che Sua Eccellenza è adesso sollevato dalle cure pastorali della diocesi (di Novara); e per questo spererei che possa più facilmente trovare un pò di tempo per concedermi un colloquio. Quel progetto di "Nuovo Apostolato" che era maturato in me lungo gli anni '80 non è cessato di essere al centro dei miei interessi di 'fedele di Cristo' e membro della Chiesa; per questo continuo, nonostante i vari dinieghi già ricevuti, a cercare un dialogo con le Autorità ecclesiastiche. Le chiedo quindi, Eccellenza, di poterla incontrare, per presentarle di persona certe proposte di iniziative di evangelizzazione; l'obiettivo primo che mi pongo non è quello di far nascere iniziative pubbliche nel contesto ecclesiale di Novara, bensì quello di intendermi con una Personalità cui è riconosciuta una autorevolezza non indifferente nella Chiesa. Nello stesso contesto di Novara, poi, se un primo dialogo con Lei avesse suscitato una certa fiducia nei confronti di quanto da me presentato, potrebbe attuarsi nel concreto una esperienza in tal senso con piccoli gruppi, in una atmosfera quasi 'privata': questo, per meglio far emergere il significato reale di quanto nei miei scritti ho solo accennato. Della diocesi di Novara ho avuto occasione (e ne sono stato felice) di conoscere (per via di certe sue pubblicazioni) il Sacerdote teologo don Giannino PIANA, con il quale, già da diversi anni ho avuto uno scambio epistolare; ho apprezzato molto il suo Pensiero, vivido per una intelligenza penetrante, ed egli credo abbia apprezzato il mio, anche se quanto ho potuto esprimere a lui attraverso i miei scritti è solo un piccolo squarcio, e per giunta in un linguaggio stringato. Ho trovato i suoi articoli nelle varie riviste (particolarmente di teologia morale) sempre permeati di una saggezza particolare, unita a spirito realistico: il tutto calato entro una tensione spirituale verso Cristo, che è veramente ammirevole. Un'altra persona ho conosciuto della diocesi di Novara: una donna che è impegnata in diocesi nell'ambito delle relazioni sociali; è la dott.ssa Mariella ENOC. La conobbi a Siracusa, nei primi di gennaio 1989, in occasione di un Convegno diocesano sulla Catechesi; l'avvicinai, là, brevemente, e poi le scrissi a Novara, per aprire un dialogo sull'apostolato dei Laici. Non ebbi però fortuna: forse perché non condivideva il mio orizzonte di Pensiero, non rispose alla mia lettera. Se Sua Eccellenza reputerà opportuno, potrà sentirsi con don Giannino Piana, al quale già a suo tempo espressi il mio desiderio di far conoscere a Lei questo mio mondo interiore, quasi immaginandomi di trovare nella Sua persona un interlocutore più capace di capirmi che non altri. Perchè Lei si possa meglio ricollegare al già lontano 1987, accludo alla presente una fotocopia di quella lettera che allora Le inviai; l'ho inserita, come aggiunta, in un fascicoletto che già raccoglie altre quattro lettere. E' questo un fascicoletto che io offro a quelle persone (poche, purtroppo!) che incontro in questo mio cammino di ricerca ecclesiale, e nelle quali intravedo una certa disposizione d'animo e preparazione culturale che mi fanno sperare in un intendersi: da questa lettura, essi coglieranno il primo cenno di questo messaggio. In quegli scritti c'è già infatti una breve traccia della mia proposta complessiva, traccia (scritta) che però non è (in generale) sufficiente per "capire nella sua realtà" il progetto di cui parlo, ed i contenuti culturali e di fede che in esso vengono a concretizzarsi: colloqui di persona sono più che mai opportuni, per giungere ad una veritiera conoscenza. Probabilmente, da questo mio presente scritto (così come dagli altri) traspare un senso di sofferenza, quella sofferenza di cui è venuta permeandosi quasi tutta la mia vita; mi perdoni questa circostanza, mentre La prego di non interpretarla in senso negativo. Anche se sssa è lungi dall'assomigliare alle sofferenze patite dal Cristo sin dalla sua nascita, nel mio cuore e nell'intimo della mia preghiera con Dio porgo ogni cosa dinanzi a Lui, perché Lui le trasformi in offerta meritoria ai suoi occhi, per i meriti di Cristo Gesù stesso. Spero che Sua Eccellenza, dopo aver letto questi scritti, mi risponda in merito. Auspicando di incontrarla, Le porgo intanto il mio cordiale saluto in Cristo Gesù. (Firmato: Vittorio Noè) Mons. Renato CORTI - 16 aprile 1995 Verona, 16 aprile 1995 Pasqua di Resurrezione Ecc.za Rev.ma Mons. Renato CORTI, -- NOVARA Ho letto il suo recente volumetto "APOSTOLI come PAOLO". Sin dalle prime pagine ho avvertito una "tonalità apostolica" che mi ha colpito, ed andando avanti vi ho trovato sempre più quello "spirito vivo" a proposito di "missionarietà", unitamente ad uno "sguardo interiore" che mira al Messaggio "integrale" che Cristo Gesù ha consegnato ai suoi Apostoli. Vi ho proprio visto "uno squarcio" di quella "tensione missionaria" che fu grande dono (datogli da Dio) dell'Apostolo Paolo. Poichè vi era citata una sua Lettera Pastorale, <Paolo e Barnaba>, mi sono permesso, ai fini di conoscere meglio questo suo pensiero in tema, di telefonare al Vescovado di Novara; molto gentilmente hanno provveduto ad inviarmene una copia, che ho ricevuto proprio pochi giorni fa, e per la quale ho già versato sul rispettivo c/c postale il dovuto. Nel cammino (umano e cristiano insieme) di formazione, Paolo Apostolo è stato per me un "consigliere particolare", oltre che un "animatore fervente": molto spesso Dio mi ha parlato 'attraverso le sue Lettere'; per questo ho ritrovato in questo suo volumetto una particolare "consonanza spirituale", oltre a quella "concordanza di vedute" in tema di attività pastorale quale i presbiteri dovrebbero svolgere, e riguardo a quei processi intermedi di formazione che preparano a (e susseguentemente accompagnano) tale pastoralità. Mi presento brevemente. Sono un laico, 62 anni, sposato, due figli; Insegnante (con la laurea in Fisica, conseguita a Catania nel 1964) di materie scientifiche per 19 anni; adesso in pensione dal 1984, anno in cui consegui anche la laurea in Psicologia all'Università di Padova. Mi perdoni se le esprimo, così direttamente e con semplicità, il mio desiderio di incontrarla, per una conversazione riguardante il vasto campo dell'apostolato, e quello della "formazione all'apostolato". Non si meravigli del fatto che io, da Verona, chieda un incontro con un Vescovo che ha sede a così tanti chilometri di distanza: quella che più divide, specialmente oggi, non è la distanza geografica dei luoghi di residenza, distanza peraltro che è colmabile dai vari mezzi di comunicazione oggi esistenti, e che non c'erano ai tempi di Paolo; è la "lontananza spirituale", o la "distanza psicologica", che è difficilmente colmabile. Due persone possono dimorare in due luoghi piuttosto distanti, ed essere "vicini spiritualmente": in tal caso la distanza geografica non impedirà a che la loro vicinanza spirituale dia luogo ad "opere in collaborazione fruttuose". Nonostante le mie molte ricerche in campo ecclesiale, non sono riuscito a trovare chi "volesse conoscermi veramente", chi volesse conoscere "quanto (di umano e di cristiano) è maturato in me (per grazia del Signore)", chi volesse "accogliere come dono alla Chiesa" questa grazia che Dio stesso, nel suo "istruirmi quotidiano", pur per le vie comuni dell'umano (spesso irte di sofferenze) e per le vie semplici della fede, ha voluto come "seminare" nella mia persona, affinchè poi, maturando (con la sua stessa grazia), venisse "colto da chi" nella Chiesa ha (tra gli altri) il compito di "scoprire e cogliere" i doni che lo Spirito dissemina qua e là, "a Suo Giudizio Sapiente". Perchè lei possa avere almeno un accenno del mio mondo intellettuale e di fede, potrebbe essere utile (e mi sarebbe molto gradito) che lei leggesse qualcuno dei miei pochi scritti su tematiche religiose, scritti che io ho stilato negli anni recenti quando, a seguito di mie richieste, mi veniva data l'occasione di una mia partecipazione anche se solo culturalmente. Ognuno di essi è stato stilato sempre in un'ottica non prettamente teorica (o intelletualistica), bensì comprendente essenzialmente (sebbene implicitamente), sia nella sua progettazione che nella stesura effettiva del testo, una serie di proposte concrete, e cioè delle operatività di fatto da realizzarsi; queste sono state concepite non come costituenti una fase successiva bensì come fase concomitante allo stesso discorso teorico, pena la non-compresione del significato effettivo del discorso stesso. Alcuni di questi scritti li inviai (anni fa) a don Giannino Piana, sacerdote della sua diocesi, di cui avevo potuto apprezzare il pensiero espresso in alcuni suoi testi. Se Sua Ecc.za lo gradisce, gliene invierò copia. Non aggiungo altro, se non che le chiedo di volermi gentilmente concedere un abboccamento personale: forse... ciascuno di noi (lei ed io) può dare all'altro un prezioso aiuto, ai fini di una "rivitalizzazione" dell'apostolato nella Chiesa, ai vari livelli delle componenti ecclesiali. In attesa di una sua risposta, la ringrazio sin d'ora per la sua attenzione alla mia lettera, e la saluto distintamente nel Signore. (Firmato: Vittorio Noè) 07 maggio 1995 Verona, 7 maggio 1995 Ecc.za Rev.ma Mons. Renato CORTI, Ho ricevuto ieri l'altro la Sua lettera in risposta alla mia del 16 aprile u.s. Non trovo le parole per dirLe la felicità che essa mi ha portato, e per ringraziarLa della Sua estrema gentilezza mostratami concedendomi di venirLa a trovare a Novara. Un'altra nota eloquente si è aggiunta a questo Suo tono di amicizia: la scritta sul Suo stemma vescovile, <Cor ad cor loquitur>. Che io sappia, questa espressione è di... Newman, del Card.le John Henry NEWMAN, che io tanto apprezzo. Da circa sei anni, da quando conobbi alcuni suoi scritti, sono stato felice di essere incluso tra gli "Amici di Newman", associandomi al Centro Amici di Newman che c'è a Roma. Nell'aprile del 1990 partecipai al Simposio che si tenne a Roma in occasione dei festeggiamenti in suo onore, per la ricorrenza del centenario della sua morte. Newman... è una figura grande, grande! è stato un apostolo originale, un teologo 'originale'; un 'profeta (di Dio)' nella Chiesa degno di questo nome! In questi giorni contatterò la Sua Segreteria per concordare un appuntamento; intanto ho creduto utile inviarLe (e l'ho fatto ieri mattina, come Stampe - Raccomandata) quegli scritti (in numero di sette) che nel corso di questi ultimi anni ho avuto occasione di stilare: saranno in totale una settantina di pagine. Prego caldamente Sua Ecc.za di voler 'perdonare' la modesta compilazione nella stesura tipografica: non disponevo (e non dispongo) di adeguate apparecchiature; a suo tempo avevo fatto uso di un piccolo computer e di una stampante altrettanto piccola; spero che questo non Le renda fastidiosa la lettura. Quando Le scrissi la mia lettera precedente, feci ricorso al computer di mio figlio: così risultò ben presentabile. In attesa di poterLa incontrare di persona, e di uno scambio verbale di opinioni e progetti, La saluto con molta cordialità nel Signore. (Firmato: Vittorio Noè) Dr. Castelli - 11 maggio 1995 LETTERA N. 2 (la n. 1 la scrissi a penna) Verona, 11 maggio 1995 Caro Dr. Castelli, Il tono della sua lettera mi significa un atteggiamento di "naturalezza e semplicità", quale quello di chi non avverte l'altro come 'estraneo'; la ringrazio di questa sua cortese risposta. Continuando la lettura di quel libro che ha dato occasione a questo nostro incontro epistolare, constato che effettivamente l'ambito "psicologico" del campo indagato è presente in grado notevole; e questo mi conferma nel proposito di uno scambio culturale e progettuale con lei: attendo la pubblicazione dei due suoi libri di cui mi ha fatto cenno (quali sono i titoli?... e quali le tematiche toccate?... Se puo` darmene un cenno, la ringrazio sin d'ora). Da parte mia, l'unico scritto che potrei farle leggere è la mia Tesi di Laurea in Psicologia, dove sono contenuti "in forma sintetica" molti punti nodali di una questione psicologica (e psicodinamica) che io reputo fondamentale: la COMUNICAZIONE. Mi sono permesso di prendere l'iniziativa di inviargliene una copia, prima ancora di domandarle (o capire) se le sarebbe tornato gradito; d'altra parte, lei non è obbligato a leggerla, specialmente se il suo lavoro universitario (quale tipo di attività vi svolge?) e personale le lascia pochissimo spazio: quando le verrà la curiosità, potrà leggerne qualche pagina. In quel lavoro vedrà senz'altro uno "stile di discorso" piuttosto insolito, da reputarsi forse troppo 'personale': è proprio il mio stile "di pensiero e di parola espressa", un argomentare 'personalizzato' e quasi 'a tu per tu' con l'interlocutore, una ridotta elaborazione dei contributi della letteratura per quel tanto che attiene il nucleo centrale e sostanziale del discorso, una 'finalizzazione di ricerca conoscitiva' indirizzata a questioni 'vitali e concrete', con l'utilizzo (oltre che della letteratura in merito) di dati esperienziali tratti dal vivere quotidiano comune. Nella mia concezione, la "prassi" viene a costituire il "luogo" e nello stesso tempo l' "oggetto", in cui l'osservatore "osserva ed opera" (questi vanno intesi come 'due' processi 'distinti', anche se attuati in contemporanea ed in interconnessione), "enucleando, esplicitando e ricostruendo concettualmente" l'osservato: dopo un tale lavoro, l'osservatore stesso "è cambiato", ha svolto "in prima persona (e quindi con anche il suo 'mondo interiore')" un processo "auto-evolutivo". Il mio lavoro (né questo né altri brevi) non ha avuto la fortuna di incontrare chi ne condividesse l'importanza e la portata in vista di una "rifondazione della Psicologia", cosa che io reputo prioritaria rispetto ad ogni Ricerca in Psicoterapia o anche Terapia Psicologica generica. Spero di non averla annoiata con le mie idee. La Tesi l'ho inviata ieri, come <Stampa - Raccomandata>. In attesa di risentirla, le invio i miei più cordiali saluti. (Firmato: Vittorio Noè) Dr.ssa M. C. BRICCHI - 30 luglio 1995 Verona, 30 luglio 1995 Gent.ma Dr.ssa Maria Cristina BRICCHI c/o Editrice Cittadella ASSISI (PG) Gent.ma Dr.ssa Bricchi, Ho acquistato poco tempo fa (e sto leggendo) il volume di Javier GARRIDO : <Una spiritualità per oggi>, edito da Cittadella, tradotto da lei. Poiché sto trovando il contenuto molto interessante, ed uno dei più "vicini" alle mie concezioni cristiane e psicologiche, il desiderio di estendere i rapporti conoscitivi in tema mi suggerisce di prendere contatti epistolari con lei; suppongo infatti che ella, avendo curato la traduzione di quel volume, ne condivida (in linea di massima) il discorso e l'orizzonte. Sono Psicologo (laico, 62 anni, sposato), molto interessato ai problemi psicologici insiti nel cammino di "vera formazione cristiana", proprio nell'ottica di una "personalizzazione" dei processi formativi, affrontati attraverso esperienze responsabili. Se lei volesse essere così gentile di ragguagliarmi su questo pensiero offerto ai lettori dall'Autore, nel senso di segnalarmi, a partire da lei stessa (che già penso interessata in iniziative di quel genere), chi altro (e dove) sta condividendo quella proposta, mi farebbe cosa gradita; anche se piccola cosa, un primo scambio epistolare mi potrebbe aprire uno spiraglio, per eventuali passi successivi. Il mio obiettivo è infatti quello di "operare concretamente" in quell'ottica, perché già da anni constato frequentemente quanto la pastorale ecclesiastica e l'evangelizzazione siano "piatte" e spesso "vuote", a motivo di una "assenza di aggancio reale" tra l'operatore ed i fedeli cui l'operatore si rivolge; i laici continuano ad andare alla deriva, ed il Clero continua nelle sue posizioni "individualistiche" (ed isolazionistiche) e di "alla meno peggio", senza una "seria e responsabile riflessione sullo stato reale delle cose" nella "Chiesa reale (e comprensiva dei Laici)". In una tale situazione così complessa, dove le perplessità e gli interrogativi riguardanti lo "stile spirituale e missionario del Sacerdote (Vescovi compresi)" si intrecciano ad altrettante perplessità ed interrogativi vertenti la "fondamentalità cristiana dei Laici", non valgono né gli anatemi (più o meno reciprocamente scambiati) né i più sofisticati programmi metodologici socio-religiosi; occorre invece che ciascuno, a qualunque livello si ponga, sviluppi una "basilare presa di coscienza di se stesso" come "persona, autonoma e responsabile", "integrata (responsabilmente) nella Comunità Ecclesiale": "tutti" abbiamo da "risorgere" da un tale "letargo e smarrimento". Per questo compito, nell'ipotesi che riuscissimo con coraggio a porcelo, la base fondamentale è l' << AMORE >>: l'amore di Cristo per noi, l'amore di noi verso Cristo, l'amore di ciascuno di noi per l'altro; ma non ci può essere "amore sincero" se non sul "piano della persona", della "persona cosciente di sé e delle sue responsabilità". In questo compito nessuno può lavorare (se si vogliono frutti veri e duraturi) "singolarmente ed a sé stante"; occorre "collegarsi", "co-operare", costituire una "rete umano - cristiana vivente", sempre più estesa e sempre più molteplicemente articolata; una rete dove ciascuno, sotto l'unica guida dello Spirito Santo (mediata anche dalla Chiesa), sviluppa il suo proprio carisma secondo la sua formazione e secondo il dono specifico di discernimento che con l'aiuto di Dio ha sviluppato, lungo gli anni di ricerca sofferta della Volontà di Dio e della "propria Vocazione". Enfatizzare eccessivamente (ed unilateralmente) l'apporto di uno solo di questi "Germogli" che lo Spirito di Dio suscita, come ad esempio in p.Javier Garrido, non è saggio; così, se si seguisse alla lettera (e senza l'ausilio di 'altri lumi') il cammino come proposto da detto Padre francescano, inevitabilmente si andrebbe incontro a grosse storpiature, sia della personalità umana che della stessa fede cristiana. Ecco il perché di questa mia "ricerca di comunicazione, scambio, rapporti personali": affinché i vari apporti, provenienti da vari soggetti animati dallo stesso ed unico Spirito, si incontrino, dialoghino, si fecondino l'un l'altro, per costruire l'"unitaria azione" dello Spirito Santo, il quale solo, attraverso i fedeli che gli ubbidiscono, può rivivificare la "Ecclesia". Le faccio pervenire questo scritto attraverso l'Editrice Cittadella, non conoscendo io il suo recapito personale. Resto in attesa di un suo riscontro a questa mia, nella piena libertà di lei nel farmi presente le sue vedute ed i suoi propositi; la ringrazio intanto per l'attenzione prestatami, e le porgo i miei distinti saluti. (Firmato: Vittorio Noè) Dr. Vittorio NOE' Via Montorio, 108 int.38 37131 VERONA don Ant. FALLICO / 04-02-96 Verona, 4 febbraio 1996 Rev.do don Antonio FALLICO, Ho intrapreso la lettura del suo libro recentemente pubblicato, <Le cinque piaghe della parrocchia italiana>, fattomi inviare dalla Editrice Chiesa-Mondo di Catania; vedo già diversi punti di concordanza tra il suo pensiero ed il mio. Da diversi anni ho desiderato trovare un interlocutore che avesse aperture di vita e di pensiero tali da consentirgli di tentare una collaborazione con me. Pur nella mia posizione di laico, ho sviluppato un orizzonte di fede cristiana che "abbraccia in una unità inscindibile" la Comunità Ecclesiale, in cui vivono ed operano Chierici e Laici "insieme"; di fatto però questa modalità di "vivere ed operare insieme" non si è realizzata nel passato (da non so quando), né si sta realizzando nel presente e né ci si sta orientando a realizzarla nel futuro immediato; mi è parso di capire che nel suo libro ella voglia segnalare l'importanza di questa "co-operazione". Questa caratteristica della mia posizione culturale e vitale è stata (ed è) uno dei diversi punti fondamentali in cui le mie proposte avanzate al Clero hanno trovato il rifiuto. Oltre a questo, un altro punto in cui ho incontrato il diniego (del Clero) è quello della "contemporaneità" del processo (duplice) di rivitalizzazione della Comunità ecclesiale, dove appunto reputo che l'auspicata "conversione dei Laici" è imprescindibilmente legata ad una altrettanta auspicata "conversione del Clero". Tale processo deve essere "affrontato insieme" da Chierici e Laici, sia nella fase di attuazione che nella fase della ricerca e di studio; ciascuno dei due versanti (Chierici e Laici) contiene infatti degli apporti che non contiene l'altro, e questi apporti vanno fatti "tornare a ricongiungersi" per ri-costituire l'unità interna della Chiesa: solo allora essa (unità) sarà realmente "Unità Vitale in Cristo". Certo, queste mie vedute e proposte non possono venire chiaramente espresse in poche parole, né possono essere comprese nella loro realtà e verità con dei semplici discorsi: se l'interlocutore non ha lui per primo assunto responsabilmente la decisione di "volere conoscere" questo "nuovo orizzonte" di cristianesimo (nuovo rispetto alle tante ideologie oggi in voga, ma 'vecchio', cioè 'antico', nel senso di "originario", così come era al tempo degli Apostoli), per quanti discorsi io faccia egli fraintenderà sempre il mio pensiero. Una tale decisione (dell'interlocutore) richiede in lui una "disponibilità interiore al cambiamento", in quanto ogni "reale conversione" non può interessare soltanto mutamenti ideologici ma deve comportare (dove più dove meno) cambiamenti nell'intero assetto vitale dell'umano; se questo vale per ogni soggetto sul piano puramente umano, vale ancor più per un soggetto che si è posto e che vive "sul piano cristiano", dove l'umano non solo viene recuperato ma viene anche "rinnovato in Cristo" Reputo cosa utile allegare alla presente alcuni miei scritti, in cui è possibile intravedere alcune delle linee principali del mio pensiero e dei miei progetti. Questo "stralcio" che le invio potrà essere seguito da altri miei scritti, qualora sarà nato in lei un desiderio di conoscere meglio questo mio orizzonte ed un interesse ai fini di una ipotetica compartecipazione di progetti (umano - ecclesiali) concreti. Come le dicevo per telefono, prevedo di dovere andare a Siracusa nella seconda metà di questo mese: spero in un incontro personale con lei, nella cordialità e nella accoglienza, comunque sempre nella libertà di ciascuno. In attesa, le invio i miei cordiali saluti ed auguri per il suo lavoro. (Firmato: Vittorio Noè) Dr. Vittorio NOE' Via Montorio, 108/38 37131 VERONA Tel. 045-976530 don Gianni DAL LAGO / 25-02-96 Verona, 25 febbraio 1996 Rev. don Gianni DAL LAGO, Mi sono permesso di telefonarle giorni fà, e adesso di scriverle, per un semplice tentativo di prendere contatti con una persona ecclesiastica conosciuta (anche se solo di nome) nel leggere un libro che mi ha molto entusiasmato: <<Verità e Unità della Chiesa>>, di Ch. YANNARAS, edito da Interlogos. Non che io intenda impegnare la sua persona in discussioni inerenti al pensiero di quell'autore; solo colgo l'occasione per impegnarmi io ad aprire a lei il mio mondo interiore, il quale ha straordinariamente molte sintonie con il mondo interiore di Yannaras; l'unica cosa che mi auguro è che lei possa trovare quel minimo di disponibilità per "prendere conoscenza" di esso, senza prospettarmi io chissà che dibattiti, solo auspicando di trovare in lei accoglienza amichevole in Dio. Sono un laico; 63 anni; sposato, ho due figli. Insegnante di materie scientifiche negli Ist. Tecn. Industriali, ora in pensione. Le voglio intanto inviare alcuni miei scritti, i quali offrono già uno stralcio del mio cammino personale, cammino sofferto spiritualmente ed umanamente, a motivo anche di una solitudine che è andata sempre più creandosi attorno alla mia persona. Sto cogliendo questo "lumicino", quale è stata per me la segnalazione della sua persona nel libro [... nel cui volto hanno visto l'uomo mite e buono esaltato dai testi sapienziali della Scrittura]. Ogni piccola occasione di "cercare un dialogo" è per me una gocciolina di rugiada che alimenta la "speranza". La mia ricerca di "operare nella Chiesa", a partire dal "piccolo", nel senso di un "Nuovo Apostolato", non è un obbiettivo di per sé (o primieramente) dottrinale, ma è una esigenza, generatasi nel mio spirito lungo anni di vita, di studi e di esperienza, esigenza vitale di una "prassi ecclesiale che sia realmente evangelica", e "benefica particolarmente per le persone che vivono in situazioni di sofferenza"; mi riferisco alla sofferenza "morale" più che a quella economica o biologica: la mia persona e la mia famiglia sono solo uno dei tanti casi umani in cui la "pastorale ecclesiale" in voga ha mostrato (e mostra) tutta la sua inadeguatezza ed incongruenza! Chissà che non possa trovare piccole tracce di "fratellanza cristiana" a Schio; anche se non è molto vicino, sarebbe sempre meglio che niente. Ma questa "comunione cristiana" di cui il mio essere ha bisogno non è quella che alla spicciolata oggi viene predicata: a parole "si dicono" tante cose belle, ma nel concreto "non si fa" quello che realmente Gesù ci indica. Con queste mie parole io non vado cercando "comunione cristiana" negli altri, affinché io poi ne possa beneficiare: la mia è una proposta di "offerta mia personale" di tale comunione cristiana; la mia speranza è che quanto io porto ed offro "venga accolto" come un "dono" che Dio misericordioso ci manda, dono che porterà giovamento (nel senso cristiano) a queste persone ed a me stesso. Spero che la mia confidenza spirituale non l'abbia infastidita; in attesa di venirla a trovare, la ringrazio per la sua attenzione. Saluti cordiali in Cristo. (Firmato: Vittorio Noè) prof. Mauro CERUTI - 19 aprile 1996 Verona, 19 aprile 1996 Alla Direzione della Rivista <PLURIVERSO> Via Mecenate, 91 20138 MILANO Egr. prof. Mauro CERUTI, L'averla potuto salutare di persona il 15 aprile u.s., nell'Incontro di Milano, l'averla sentita parlare direttamente, l'aver poi letto l'Editoriale di <Pluriverso>, hanno fatto crescere il mio apprezzamento e stima nei suoi confronti, nonché verso le iniziative da lei intraprese: congratulazioni! Ringrazio ancora per l'omaggio fattomi (quel giorno) dal responsabile della Rivista dei nn. 1 e 2, e le manifesto la mia intenzione di sottoscrivere l'abbonamento (di questo scriverò più avanti alla Segreteria), sebbene il costo risulti un po' altino per le mie 'tasche'; la Rivista però "ci vale!". La struttura redazionale, lo stile ed il 'design' della veste tipografica, fanno sì che la si percorra con chiarezza ed efficacia, rendendone la lettura e la consultazione veramente agevole; ma il pregio principale che la rende preziosa ai miei occhi si trova nel fine che essa si propone e nei contenuti che intende veicolare: in questo orizzonte io ritrovo molte delle mie aspirazioni culturali e filosofiche; ho trovato felicissima ed 'originale' la rubrica <La conoscenza della conoscenza>, tematica che tocca il 'cuore' delle mie ricerche, anche se queste (purtroppo!) restano 'personali'. Mi permetto, in semplice amicizia e senza pretesa alcuna di fare l'esperto, di avanzare una proposta riguardante il sottotitolo della Rivista. Le dico intanto che, per quanto fu fatto osservare nell'Incontro (non ricordo da chi), che cioè sarebbe stato più opportuno porre la dizione <...per "una" civiltà...> invece che <...per "la" civiltà...>, condivido l'osservazione, poiché giustamente di "civiltà" se ne possono costituire diverse, tutte connotabili come 'planetarie', essendo molteplici le sfaccettature per un tale orizzonte, ed essendo insita nello stesso progetto della Rivista l'opzione di lasciare che l'essere umano si statuisca nella sua libertà, seppure in un contesto di integrazione reciproca. Io ora suggerirei una 'aggiunta': al posto di <...delle idee...> porre <...delle idee e dei saperi...>; mi spiego meglio. A mio avviso, "idee" e "saperi" non sono la stessa cosa: il sapere deriva da idee, e contiene idee, ma non si identifica con le stesse idee che contiene; il sapere implica "scelta esistenziale responsabile", l'idea è invece un "prodotto ipotetico" della intelligenza umana, che prescinde da ogni "assunzione personale"; l'idea è uno "strumento" concettuale, il sapere è la soggettività umana che utilizza quello strumento: la persona umana può avere molte idee e poco sapere; un esempio emblematico (...opinione tutta mia personale) si ha nel fatto che parecchie persone militanti nella religione cristiana (cattolica) hanno molte "idee cristiane" ma poco "sapere cristiano". Il costrutto di una Civiltà è una "rete di saperi" più che di idee, le quali circolano subordinate a quella rete; un mutamento evolutivo di una Civiltà non è un risultato di mutamenti di idee, ma di "saperi"; quando si ha un mutamento eccessivo di idee, a cui non corrisponde un mutamento di "saperi", il risultato è una "rivoluzione anarcoide", non una "evoluzione". Oggi purtroppo abbiamo una vasta produzione, circolazione e diffusione di "idee"; ma ci troviamo anche una minuscola presenza di "saperi", ed una altrettanto minuscola "dialogicità" tra tali saperi: le idee non possono dialogare tra loro, possono solo "dibattersi"; i saperi, sì possono "dialogare tra loro", fecondandosi l'un l'altro, innescando così processi evolutivi culturali, dai quali poi sorgeranno "nuove" idee. Fatta questa distinzione (secondo le mie vedute), qualora tale inquadratura venisse condivisa trovo che sarebbe di notevole pregio per la Rivista fornire già subito al lettore, ponendo nel sottotitolo del periodico anzidetto la dizione che ho suggerito, la chiave interpretativa di una "collocazione diversificata" dei prodotti intellettuali che nello scenario culturale sociale emergono di volta in volta. Una tale "chiarificazione" permetterebbe di dialogare meglio e più efficacemente, riducendo (anche se non sarà mai possibile azzerarli) i fraintendimenti, e facilitando la "comprensione veritiera" del discorso offerto dall'interlocutore. Inoltre e conseguentemente, chi si esprime, se condivide tale differenziazione, utilizzerà una terminologia, un linguaggio, un discorso, che "segnalano (a chi legge 'attentamente')" il "taglio" del suo pensiero, la sua "collocazione" nel vasto campo delle "voci" espresse dai vari autori ed attori. La letteratura poi offre esempi non pochi di una tale differenziazione, anche se di fatto non si riscontra in essa una "proposta esplicita" di utilizzare tale differenziazione, sia in fase di costituzione di un discorso e sia in fase di analisi di un testo che riporta quel discorso. I componenti del Comitato scientifico redazionale di codesta Rivista sono senz'altro molto più competenti di me in materia; la mia parola perciò ha voluto essere soltanto una segnalazione amichevole, dettata da una "stima" per il vostro lavoro, che mi auguro vada prosperando nel verso migliore. Rinnovando il mio cordiale saluto a lei, Dr. Ceruti, colgo l'occasione per salutare anche i componenti collaboratori della Direzione e della Redazione. (Firmato: Vittorio Noè) Dr. Vittorio NOE' Via Montorio, 108/38 37131 VERONA prof. Anzini / 01-06-96 Verona, 1 giugno 1996 Egr. prof. Anzini, Facendo seguito alla telefonata che le feci ieri, le invio una mia <Lettera al Direttore>. Forse potrà risultare manchevole in qualche punto, ma io spero possa essere passabile; comunque, mi rimetto al suo giudizio. Nel quadro di quelle mie aspirazioni, di cui le feci cenno nella mia telefonata, c'è tuttavia quella di potere "estrinsecare nel concreto" certe vedute in tema di Fede Cristiana ed in tema di Evangelizzazione pratica; e quindi di mediare tale realizzazione attraverso pubblicazione su Riviste di qualche mio articolo. Dai pochi contatti tentati sino ad oggi, m'è sembrato che quei brevi cenni del mio pensiero comunicato all'interlocutore venivano inquadrati come delle vedute <tradizionaliste>, se l'interlocutore era un "innovatista"; e viceversa, dagli interlocutori "integralisti" venivano inquadrate come <troppo innovative>. In realtà la mia posizione culturale in tema non è né <tradizionalista> né <innovativa> nel senso comunemente dato a questi termini; potrei definirla <radicalmente innovativa nella prassi>, ma ho constatato che tale espressione (che contiene "tre" termini) viene interpretata, in ciascuno dei tre termini e nella sua struttura d'insieme, in modo erroneo: quindi il mio pensiero è venuto quasi sempre frainteso. Vedo sempre più che all'interno della nostra Chiesa manca proprio la "volontà" di "Dialogo conoscitivo"; si fanno sì dei 'dibattiti', anche dei dialoghi che (volendo coniare un nuovo termine per rendere il concetto al meglio) chiamerei "accordativi": sono questi dei dialoghi in cui l'obbiettivo che ci si pone è quello di "trovare un accordo" tra le conoscenze e proposte (diverse) di ciascuno dei due soggetti interlocutori; non è quello di "porre in discussione di fronte all'altro" le proprie conoscenze e proposte. Tale decisione scaturirebbe solo da una presa di coscienza che le proprie conoscnenze e proposte sono in realtà incomplete e parzialmente errate, e dove si situano gli errori e le lacune non lo si sa: ecco perché "si vuole ricercare assieme all'altro", "in dialogo conoscitivo" con l'altro. Quando più sopra ho chiamato la mia posizione <radicalmente innovativa nella prassi>, non ho voluto significare che il mio intento è principalmente il cosiddetto <agire pratico e concreto>; sostengo invece che è necessaria un'azione radicale di "trasformazione", sia della <pratica> che della <teoria>, e propugno quindi una <Trasformazione Culturale Radicale>. Più avanti spero di renderle questo mio pensiero più esplicito; in questo primo tentativo di "incontrarci", le accludo alla presente fotocopia di due brevi scritti da me stilati alcuni anni addietro: anche da essi ella potrà trarre tracce del mio orizzonte culturale ed ecclesiale. Ripromettendomi di venire a conoscerla di persona, le invio intanto i miei cordiali saluti. (Firmato: Vittorio Noè) Dr. Vittorio MOE' Via Montorio, 108/38 37131 Verona o______O______o Lettera al Direttore Lettera al Direttore, allegata alla precedente (ANZINI) Caro Direttore, Da quando la posizione assunta dal Vescovo Mons. Marcel LEFEVRE nei confronti della Dirigenza Vaticana si fece più critica (1988), sino a giungere ad un dilemma teologicamente irrisolvibile, le mie riflessioni sulla "funzione" della Gerarchia Ecclesiastica, riflessioni di uno studioso laico ed ufficialmente non schierato, ma sinceramente alla ricerca di un "Amare e Servire Dio" secondo i Suoi Disegni ed in seno alla Sua Chiesa, si sono caricate ancor più di un amaro cruccio, nel vedere quanta "Grazia di Dio" veniva sprecata, e quasi rigettata, a motivo di un "orgoglio umano" variamente mascherato. Scrissi allora, oltre che ad alcune Personalità ecclesiastiche di Roma, anche a Mons. Lefevre; ma credo che la mia lettera, accompagnata da altri pochi miei scritti contestuali, non fu fatta giungere al destinatario da chi stava nelle vie intermedie; o forse... ancora una volta non fui reputato degno di credito alcuno. A mio avviso, le Autorità di Roma avevano "smesso" la veste del "Buon Pastore", per rivestirsi (eccessivamente e fuori luogo) di una "toga giuridica", di stampo mondano sebbene il linguaggio verbale si riferisse a cose divine. D'altro canto la schiera di fedeli (Sacerdoti e Laici), che si erano sempre più aggregati attorno al progetto di Mons. Lefevre, non era riuscita a "maturare nella Fede" così come quella iniziativa richiedeva, e come pareva che gli stessi Disegni divini volessero indicare al fine di ri-equilibrare certe "aperture" "operate in modo scoordinato ed irresponsabile" dai documenti approvati dai Padri Conciliari del Vaticano II; questa schiera di fedeli, specificatamente nei suoi membri più impegnati intellettualmente, sia come teologi che come filosofi o sociologi, cadde così anch'essa nello stesso errore cui si erano portate le Autorità Vaticane: cercare il chiarimento, e la soluzione di quella divergenza, sul piano della teologia e su quello del diritto Canonico. Fu così ancora una volta estromessa la FEDE. Una cosa si può constatare oggi, a distanza di quasi otto anni da quell'evento (Consacrazione Episcopale di alcuni Sacerdoti, operata da Mons. Lefevre) che provocò quello che fu chiamato (più o meno impropriamente ed erroneamente) uno "scisma": che la situazione tra queste due polarità cristiane, "tradizionalisti" e "non-tradizionalisti" è rimasta "nella confusione", in quella stessa confusione in cui è andata sempre più imprigionandosi sin dall'inizio delle critiche mosse da Lefevre ai risultati del Concilio. Forse è significativo il titolo di un opuscolo di questo Vescovo, <<Un colpo da maestro di Satana>>; anche in questo "permanere della confusione" io ci vedo lo zampino di Satana, lui il padre della Menzogna, il principe delle Tenebre, il nemico della Verità, e per ciò stesso il nemico dell'Amore. La Fede è fondamentalmente Amore, e solo in un secondo momento produce Teologia. Che ne pensa lei, sig. Direttore: non sarebbe un avvicinarsi ai Disegni divini, se ci impegnassimo a "ri-costruire la Comunità Ecclesiale" operando fattivamente "nella Fede e nell'Amore attorno a Cristo Gesù", certi della sua parola che ci disse che Egli è vicino a ciascuno dei più piccoli dei suoi discepoli? La Teologia e la Cultura Intellettuale restano discorsi e parole vuote ed inutili, se negli altri livelli non c'è una "vita cristianamente operosa", che mira a "Testimoniare Gesù il Cristo" nelle singole vicende umane concrete. La ringrazio per avermi dato modo di manifestare ad altri queste mie riflessioni spirituali; e mi permetto, salutando questi altri nell'Amore di Nostro Signore, di chiedere loro l'impagabile dono di una loro Preghiera. (Firmato: Vittorio Noè) D.ssa Cr. CARNICELLA - 15 giugno 1996 Verona 15 giugno 1996 Alla Segreteria della SIRT Roma Gent.ma D.ssa Cristina CARNICELLA, Ho letto in questi giorni il n.2/1995 di RICERCHE TEOLOGICHE , ed ancora in questi giorni ho sottoscritto l'abbonamento (nuovo) per il 1996 a detta Rivista, presso le Dehoniane di Roma. Le sto volendo scrivere queste righe (che non so ancora se saranno poche o molte) per manifestare allo staff che gestisce la vostra Associazione Teologica (SIRT), tramite lei che ne è la segretaria, il mio compiacimento per le iniziative racchiuse nei vostri progetti. Non sono un teologo; non sono un prete. Laico, sposato e con due figli già grandi; superata la sessantina di età. Laureato in Fisica, e poi in Psicologia; studioso, oltre che delle questioni psicologiche e sociali, anche delle problematiche religiose (cristiane) ed ecclesiali, sia sul piano teoretico che su quello pastorale. Stranamente (ma io mi spiego il perché...), il mio interesse per far fruttare nella Chiesa le poche risorse che porto non ha riscosso "fiducia" nell'ambito del Clero. Quanto ho letto (nella Rivista) a riguardo i vostri impegni culturali teologici ha ridestato perciò in me la speranza di poter fare qualche piccolo passo in avanti: è stata come una "finestrella" che si aprisse verso un futuro. Mi prospetto l'evenienza di poter "dialogare" con altri studiosi della SIRT, anche attraverso la vostra Rivista, per offrire all'attenzione dei ricercatori (vecchi e nuovi) alcune mie osservazioni a riguardo i problemi teologici, a riguardo il modo di fare teologia, a riguardo il "soggetto ecclesiale" che si accinge a fare teologia, a riguardo gli stessi "contenuti della Fede" sui quali ci si propone di elaborare delle riflessioni critico culturali, ai fini di esplicitare un sistema teoretico (teologico) che racchiuda e gestisca culturalmente quegli stessi contenuti. Il paradigma che sta alla base di questo mio tentativo che avanzo verso di voi è la … (manca il termine, per errore di trascrizione al computer!), che l'Associazione si è posta come criterio metodologico nei suoi lavori. Il mio orizzonte culturale infatti, non solo è intessuto di contenuti multidisciplinari, ma si articola, sia nel suo svilupparsi sia nel suo tentativo di interlocuzione, lungo vie a plurilivelli, sì da coinvolgere (o fare appello a) istanze umane e cristiane che nella cultura tradizionale sono state situate in settori diversi e separati, sia del "sapere" che della "vita". Una "Ricerca (teologica) interdisciplinare" è allora, in questa mia ottica, "radicalmente diversa" dalle ricerche teologiche che a tuttoggi vengono condotte, dove, nel caso si volesse evidenziare una certa "compresenza" di livelli diversi in un elaborato teologico, in realtà si tratterebbe di un "assemblaggio" di "filoni individuali e settoriali" diversi, ricercati e percorsi separatamente (gli uni dagli altri) e poi fatti stare insieme 'alla bene e meglio': la ricerca che sta alla (loro) base resta però ancora "individualista" e "solipsistica". Il quadro che viene prospettato nella predetta Rivista (n.2/95), là dove si riporta in appendice la introduzione nella Sirt della Comunità di ricerca <Sala Barberini> di Barletta, con tutte le istanze umano - ecclesiali che quella Comunità intende perseguire, mi ha entusiasmato: occorre però coraggio non poco, discernimento non poco, generosità non poca, tenacia non poca! Ma occorre soprattutto avere il "coraggio di uscire dai vecchi schemi procedurali", per far posto ai "timidi tentativi" del "nuovo genuino ed evangelico": ogni ricerca teologica, che si dimenticasse della sua "radice", che è il Vangelo e la 'Tradizione' in esso fondata (non si confonda la 'Tradizione' con le tradizioni), rischia sempre di ridursi ad un insieme di "algoritmi concettuali puramente umani e poco realistici", privi di quella "vita divina" che invece impregna misteriosamente il discorso teologico quando fosse stato sviluppato in concomitanza con una "contemplazione interiore della Verità", la quale (Verità) per suo libero dono si manifesta alla creatura umana che "Le vuole essere fedele". Mi piacerebbe potere avere uno scambio epistolare anche con il Dr. Carlo ROCCHETTA (non so se sia sacerdote), il Presidente uscente della Sirt, di cui ho apprezzato la relazione finale. Voglio poi complimentarmi con lei per il suo articolo sulla "Comunicazione", dove ho trovato parecchi punti di consonanza. Concludo questo mio scritto, che vuole essere un tentativo di dialogo, augurandomi di avere ancora altre occasioni per uno scambio, ovviamente che sia costruttivo; e chissà che non ci sia anche occasione per uno scritto... sulla Rivista. In attesa di una sua risposta, la ringrazio per la gentile attenzione prestatami, e le porgo i miei distinti saluti. (Firmato: Vittorio Noè) Dr. Vittorio NOE' Via Montorio, 108 int.38 37131 VERONA -- Tel. 045-976530 Arai DANIELE / 10-11-96 Verona, 10 novembre 1996 Egr.Dr. Arai Daniele, Voglio scriverle queste righe, dopo lo scambio telefonico che abbiamo avuto alcuni giorni fa, per meglio segnalarle alcuni miei punti di vista, tra quelli che io reputo più essenziali per una "ricerca in comune" in vista di una migliore 'cristianizzazione'. Anche se ancora non conosco la sua persona, la sua mentalità, il suo orizzonte culturale, mi immagino un suo atteggiamento interno disposto a questa "ricerca" e quindi ad un "dialogo fraterno", senza remore o pregiudizi, attraverso il quale (dialogo) "scoprire e capire" nuovi orizzonti, nuove tematiche, nuovi problemi, nuove prospettive operative: in altre parole una "nuova presa di coscienza" del nostro "essere cristiani", del nostro "vivere da cristiani", del nostro "operare da cristiani", dove <cristiani> significa "discepoli fedeli" di Cristo Gesù ed "ascoltatori attenti ed altrettanto fedeli" della quotidiana (ed incessante) Parola dello Spirito Santo. Mi pare di averle già detto (per telefono) la mia età (64 anni); laureato in Fisica (nel 1964) ed in Psicologia (nel 1984); dal 1983 sono in pensione da Insegnante di Fisica e di Elettrotecnica negli Ist.Tecn. Industriali; continuo i miei studi coltivando quegli interessi culturali che hanno (oltre agli interessi scientifici) da sempre animato la mia vita: la Psicologia, la ricerca ecclesiale di Fede, quelle problematiche culturali ed intellettuali che hanno attinenza con un vivere umanamente sano e cristianamente veritiero. Sono sposato dal 1965; ho due figli; il matrimonio tuttavia non è stato proprio fonte di felicità: tutt'altro! Ho accettato (ed accetto) dalle mani del Signore questa "croce", sperando, pur in seno a questa situazione lacerante, di "compiere la Volontà di Dio", giorno per giorno, secondo come Egli me la significa. In questa mia 'croce' (o meglio 'nostra', in quanto anche mia moglie ed i nostri due figli ne hanno sofferto e ne soffrono) quelle persone del Clero che sono state contattate, non solo non ci sono state di valido aiuto, ma spesso state addirittura fonti di ulteriori malintesi, divergenze e contrapposizioni. Ma... passiamo ad altro. Per una prima conoscenza del mio orizzonte ecclesiale, le invio (allegati alla presente) copia di alcuni miei scritti. Sono una parte della raccolta di <Lettere> che a suo tempo inoltrai a Personalità ecclesiastiche; in esse ho cercato di comunicare al rispettivo destinatario certe mie vedute a riguardo il nostro modo di vivere la Fede ed il comune agire in materia di Apostolato, avanzando delle "critiche costruttive", nel senso che mentre da un lato facevo osservare l'incongruenza (o addirittura la contraddizione) di un certo fare del Clero e di molti Laici istituzionalizzati con il Clero, da un altro lato avanzavo delle proposte concrete di mutamento di cammino operativo, assumendomi io per primo la responsabilità dei primi passi. la mia offerta, unitamente alle mie osservazioni, sono state sistematicamente ogni volta respinte. In realtà, come ci si diceva giorni fa per telefono, nell'ambito ecclesiale si è andata sempre più sviluppando una rete di atteggiamenti (di pensiero e di azione) contraddittori: si vuole "rinnovare", appellandosi al Vaticano II, ma si pretende anche di tenersi ancorati su certi pregiudizi che lungo molti decenni si sono inveterati nella Gerarchia Ecclesiastica; si vuole "restare fedeli al Vangelo ad alla Tradizione della Chiesa", ma si pretende anche di coniugare una non ben chiarita comunione con l'uomo di oggi, con le sue molteplici istanze (di ordine personale e sociale), con i suoi molteplici volti esistenziali e religiosi. Questo "ibridismo" (ripeto: nel pensiero e nell'azione) presente in modo marcato nelle Personalità della Gerarchia Ecclesiastica, agli alti ed ai bassi livelli, è nocivo alla Chiesa ed alla Evangelizzazione; esso e presente in ognuna delle "correnti" ecclesiali che a partire dal Vaticano II si sono prodotte, ed è presente anche nella (così chiamata) <Fraternità S.Pio X> sorta per opera di Mons.Lefevre, sebbene in seno a questo contesto assuma forme "simmetriche" a quelle assunte nel contesto della Gerarchia ecclesiale romana. I fraintendimenti fra le varie componenti di una stessa Chiesa pare che vanno sempre più accrescendosi con il passare di questi ultimi anni, e questo in concomitanza di un accrescersi delle "divisioni interne di fatto". Al <dialogo> è stato sostituito il <dibattito>; alla <comunicazione personale> è stata sostituita la <comunicazione burocratica>; alla <comunione di Fede> è stato sostituito il <consenso dottrinale teologico - filosofico> o la <adesione implicita alla dottrina> avallata dalla Gerarchia; ... e così via per altre "alterazioni" che si sono prodotte in seno al Popolo di Dio. Non mi dilungo oltre. Credo che il campo su cui confrontarci, lei ed io, emerso da questo mio discorso, e da quello che lei troverà negli scritti che le allego, sia già abbastanza esteso. Non pretendo affatto concordanza di vedute da parte di altri; chiedo umilmente soltanto "compartecipazione sincera e veritiera" in questo mio cammino di Fede, sì che l'uno possa essere di aiuto all'altro nel concretizzare sempre meglio quella "Vocazione" cui Dio in modo misterioso l'ha chiamato, ed attraverso la quale (vocazione) lo conduce quotidianamente e lo guida. Questo <confrontarci> di cui parlo, in vista di una <compartecipazione sincera e veritiera>, non intende essere in prima istanza un approfondimento teoretico e dottrinale, anche se reputo indispensabile un chiarimento concettuale ed una migliore messa a fuoco mano a mano che vengono riesaminate le singole questioni toccate; intende invece invitare l'interlocutore ad andare "oltre la struttura teoretica dottrinale", per "incontrarsi con il vitale concreto e reale", non ancora "incasellato (e spesso 'imprigionato') entro rigide categorie logiche", e quindi "fluente nell'esperienza viva dell'incontro nel presente", sotto lo sguardo attento e rispettoso dei due (o più) interlocutori, anche se costoro geograficamente si trovassero situati a notevole distanza l'uno dall'altro: non è la distanza fisica, infatti, che allontana l'uomo l'uno dall'altro, o almeno non lo è come causa principale, bensì è il "distanziarsi spirituale", spesso ricercato come una "difesa del proprio Io" dall'altro, pensato come un ipotetico "invasore" del proprio mondo personale. Tale distanza spirituale creatasi e mantenuta impedisce l'"incontro umano reale", lasciando spazio soltanto per le "elaborazioni intellettuali sull'uomo"; ma tali elaborazioni intellettuali sull'uomo non sono l'"uomo reale e concreto", nella "sua verità esistenziale viva"; così come le elaborazioni intellettuali sul Vangelo non sono il "Vangelo", nella "sua vivezza di Messaggio di Salvezza" datoci da Cristo Gesù; e così ancora come le elaborazioni intellettuali sulla Fede non sono la "Fede", nella sua "verità viva di rapporto filiale con Dio"! Lo 'strumento' (le elaborazioni intellettuali) non va confuso con l'oggetto (l'uomo, il Vangelo, la Fede) per il quale quello strumento viene adoperato: lo strumento deve esso adeguarsi e sottostare all'oggetto, e non viceversa! Spero di non averla stancata o infastidita; accolga questa mia confidenza spirituale con un orecchio verso di me e con l'altro verso Dio: Egli le suggerirà come coglierne il 'senso', quello che è giusto ai Suoi occhi. Senza la sua Luce, noi non capiamo nulla: né del mistero di Dio, né del mistero di Gesù nostro Salvatore, né del mistero della Sua Chiesa; e nemmeno dello stesso mistero 'originario' dell'uomo. La saluto con molta cordialità, e resto in attesa di un suo scritto. (Firmato: Vittorio Noè) Dr. Vittorio NOE' Via Montorio, 108 int. 38 37131 VERONA o______O______o 19-01-97 Verona, 19/01/97 Egr.Sig. Arai DANIELE, -- Fregene Rispondo con ritardo alla sua del 28/11 u.s., ritardo non solo per il lasso di tempo trascorso ma anche rispetto ai propositi che mi ero fatto. Mi accorgo con mia grande sofferenza interiore che lo scoramento va crescendo, che lavoro di meno, che le forze fisiche ed il coraggio morale vanno sempre più diminuendo: il primo e migliore aiuto che un amico potrebbe darmi è quello di un "salutare incoraggiamento e sprono"; invece continuo il mio tran-tran nella consueta solitudine. Non ricordo se gliel'ho già detto: vivo a Verona "da solo", la mia famiglia vive a Padova; dal 1979 c'è una separazione coniugale con mia moglie: questa è stata una delle più grosse lacerazioni che Satana ha inflitto alla mia persona, ed ho capito (interiormente) che è stata una parte del prezzo che ho dovuto pagare per conservare la "fedeltà a Dio". Questa mia fedeltà a Dio, in Cristo Gesù, è tuttavia cosparsa di macchie, per cui quella gioia interiore che si può sentire nell'offrirsi all'Amore Divino è offuscata dalla coscienza di molti peccati; e così, peccatore, mi offro tutto a Lui, pur nella mia debolezza ma nel rinnovo del mio desiderio, volontà ed impegno di servirLo "con migliore fedeltà". Ho letto il n.9 del periodico IL NUOVO OSSERVATORE CATTOLICO, dove tra l'altro c'e il suo articolo su quell'argomento tema del suo prossimo libro; nel suo mondo interiore, attraverso il suo parlare, vedo molte cose che reputo "vengano da Dio", e mi rammarica poi il fatto che spesso questi tesori che lo Spirito Santo suscita in chi è desideroso di servirLo si perdono in gran parte, a motivo della nostra "cecità umana" ed anche della nostra "presunzione dottrinaria". Per questo la cosa che più auspico con lei è che ci si possa "incontrare realmente", nel nostro pensiero e nel nostro cuore, sì che i tesori dello Spirito che lei porta possano "incontrarsi" con quei pochi che porto io: allora si avrebbe molto più che una semplice somma, si avrebbe un potenziamento reciproco, sempre a gloria di Dio ed al suo servizio, non a soddisfazione nostra. Satana sa quanto questo "incontrarsi reale" possa essere "fertile di resurrezione spirituale cristiana", e per questo si adopera in tutti i modi per impedirlo, falsificando o distorcendo le "comunicazioni tra l'uno e l'altro", suggestionando con interpretazioni abnormi sugli eventi, sui contenuti di questi eventi, sulle varie opinioni espresse. Per questo oso dirle: non si lasci prendere "dal negativo" molto presto, nel leggere miei scritti; non lasci che quel "lumicino" che ella può intravedere in questa persona che le parla possa venire soffocato e spento dalla "zizzania" che Satana semina al suo intorno. Ho scritto al Direttore del Periodico anzidetto, perché mi invii in abbonamento i numeri successivi; gli ho poi esposto in breve il mio punto di vista a riguardo la necessità (inderogabile) di <<confrontarci>>, non nel senso di "giudicarci" ma nel senso di "compenetrarci" nelle nostre proposte, nelle nostre vedute, nel nostro sentire, sì che l'uno possa essere fonte di chiarimento e discernimento per l'altro. Nella sua mi ha fatto cenno di una seria crisi nel suo matrimonio; non vorrei sembrare indiscreto o inopportuno, se le esprimo il desiderio di conoscere meglio queste sue vicende umane nel suo vivere quotidiano reale. Sono d'avviso (e lo sono stato già da molti anni) che un vero rinnovamento della Chiesa può derivare solo da un rinnovamento della "vita reale cristiana" dei suoi fedeli, tenendo presente che una vita reale cristiana è essenzialmente legata ad una vita reale umana: il carattere "cristiano" è inscindibile dal carattere "umano", per essendo differenziabili. Saranno i nuovi "santi" quelli che potranno far risplendere la Luce del volto del Cristo nella Chiesa; ma questi nuovi santi io non li penso su quella falsariga cui comunemente ci si riferisce come caratteristica della santità: della <santità> ormai ci si è fatto, nella concezione comune ecclesiale, uno "stereotipo" che di fatto è vuoto, dis-umano e dis-divino. Mi dice anche che ha studiato Fisica e Psicologia. Ha fatto gli studi universitari su queste discipline? A proposito della Psicologia, non so se gliel'ho già detto: i miei studi universitari su questa materia sono stati molto intrecciati da critiche profonde che spesso ho fatto alla Psicologia ufficiale; molte di queste mie riflessioni critiche le ho annotate su dei quaderni, che adesso sto cercando con molta pazienza, poco alla volta, di passare su dischetto. Sono però tutte riflessioni "stringate", che richiederebbero delle delucidazioni e concomitanti esplicazioni se si vuole cogliere il loro significato reale; ad un lettore "estraneo" potrebbero apparire come affermazioni gratuite e poco significative. Per quanto riguarda poi la <dottrina>, il posto che le compete nella vita della Chiesa, la funzione che è chiamata a svolgere, si tratta realmente di un interrogativo vasto e radicale, e che quindi non può essere risolto con delle semplici "decisioni dottrinali" o con un semplice e formale ritorno ad un supposto 'status quo': si rischierebbe di cadere nel vaneggiamento. Nella Chiesa c'è realmente un caos dottrinale, creatosi (a mio parere) a partire dalla Rivoluzione francese, la quale ebbe effetti dirompenti sui vari piani culturali ed i vari sistemi di pensiero. Quella Rivoluzione non fu una rivoluzione intellettuale, ma generò quei profondi presupposti sociologici e quelle premesse politiche i quali poi avrebbero dato luogo a correnti di pensiero rivoluzionarie nonché a percorsi politici fra l'anarchico e l'innovazione, scombussolando così anche gli assetti politici oltre che quelli sociali, e scombussolando anche il sistema dell'Autorità gerarchica della Chiesa stessa. Una risposta forte data dalla Chiesa a quegli eventi (dell'ottocento) sempre più deflagranti, e sempre più caratterizzati da quella concezione sociologica poi chiamata <Modernismo> e <Liberalismo>, fu il Concilio Vaticano I. Lei nella sua lettera parla degli... "sciagurati del Vaticano II"; ebbene, a me è venuto da dire, in seguito a varie riflessioni in concomitanza con certi studi, tra i quali quelli sulla figura del Card.le John Henry NEWMAN (che ho apprezzato ed apprezzo molto), mi è venuto da dire: ... quegli sciagurati del Vaticano I...! In particolare per la proclamazione della Infallibilità pontificia, cui si giunse "quasi per imposizione ed intimidazione", (quegli sciagurati...) accentuarono il clima di "contraddizione dottrinaria" che si era creato nella Chiesa; si pretendeva infatti di combattere (o correggere) una dottrina reputata erronea imponendo altra dottrina, costruita su misura ma con artificiosità, solo corroborata dalla autorità giuridica. Questo comportamento costituisce una grave offesa allo Spirito Santo! Un riesame culturale e dottrinale è perciò urgente nella Chiesa, per depurarla da tante "false dottrine" che subdolamente sono penetrate sin nelle alte sfere della Gerarchia; il Vaticano II si può dire essere stato un altro colpo demolitore, dopo quello del Vaticano I: il Vaticano I fu un colpo che tendeva a piegare la Chiesa "verso destra", il Vaticano II è stato un colpo che ha cercato di piegare la Chiesa "verso sinistra". L'uno e l'altro hanno formato "un colpo doppio" inferto da Satana (ma ciò non toglie la responsabilità di chi di pertinenza) nel tentativo di scardinare la Chiesa dal suo Fondamento che è Cristo Gesù. Il Vescovo Mons. Marcel LEFEVRE era in buona parte nel vero, "vedeva secondo lo Spirito", quando parlò di un <Colpo da maestro di Satana>.... La <dottrina> oggi nella Chiesa ha assunto una funzione "bivalente" ed "ambigua", come un'arma a doppio taglio, e bisogna perciò maneggiarla con molta accortezza; se poi affrontiamo il problema di una <revisione dottrinaria>, il pericolo di quella ambiguità risulta più insidioso. Tuttavia tale revisione va affrontata, pena l'aggravamento della crisi. Ma... come rimediare ora?... Come convertirsi?... La frenesia e l'enfatizzazione del ruolo della <dottrina> potrebbero farci diventare "strumenti (subdolamente manipolati da Satana)" idonei perché Satana possa infliggere alla Chiesa un "terzo colpo"... Guai, se venisse un Vaticano III...!!! Non si confonda l'<amore per la sana dottrina> (che è oggi così fievole!...) con la "ricerca dottrinale" o ancor peggio con la "'lotta' per la sana dottrina": ciascuna di queste tre istanze comporta una dinamica processuale (esterna ed interna) diversa dalle altre; la "lotta" poi per la "sana" dottrina è nella Chiesa una contraddizione in termini, in quanto lo stesso Gesù ci ha insegnato che i suoi Insegnamenti (dai quali deve essere fatta derivare la 'sana' dottrina) non è con la "lotta" che vanno fatti diffondere, ma con l'<amore>. Adesso termino salutandola cordialmente, sperando che non trovi molto pesante la riflessione su questo mio scritto. Rinnovo gli auguri di un Buon Anno nuovo, 1997. (Firmato: Vittorio Noè) Dr. Vittorio NOE' Via Montorio, 108 int. 38 37131 VERONA o______O______o 31-03-97 Verona, 31 marzo 1997 Egregio Sig. Arai DANIELE, Come le dicevo giorni fa per telefono, e come le ho già indicato nelle mie comunicazioni precedenti, il progetto che io porto in me si articola su entrambi i versanti: quello <dottrinale> e quello <vitale concreto>. Le osservazioni teoriche che lei avanza a riguardo lo sviluppo dottrinale che si è avuto negli ultimi decenni nella Chiesa, particolarmente in concomitanza con il Concilio Vaticano II, sono da me condivise in larga parte; ma nello stesso tempo le vedo come particolarmente idonee ad "estendere" quel medesimo discorso su altre tematiche ecclesiali, che io reputo anch'esse di basilare importanza in vista di un genuino e veritiero recupero della Fede così come la Tradizione Apostolica ce la ha consegnata. A tal fine sottolineo ancora che quella parte del mio orizzonte di fede e di cultura, che io reputo possa appropriatamente innestarsi ed integrarsi con il suo (orizzonte), non è esprimibile se non attraverso <comunicazioni dialogiche e dialogate>; ed è questo quello che io mi auguro possa avvenire tra noi due, senza di cui i miei scritti, pochi o molti che fossero, apparirebbero sempre di scarso significato o addirittura strani e fuorvianti, cosa che è sempre avvenuta nei miei tentativi precedentemente avanzati con altre persone. In seguito a questa amara esperienza e nell'intento di superarla, io molte volte in passato, e credo anche nelle mie (poche) lettere a lei inviate, ho segnalato l'importanza di aprire gli occhi e chiarirsi le idee su ciò che costituisce l'operato e l'operare di Satana nel contesto della comunità ecclesiale cristiana (cattolica), operato che si indirizza su ogni membro della Chiesa, nessuno escluso; e questo operato è spesso costituito dalla "suggestione" che certi contributi espressi da altri siano di nessun valore e quindi da scartare, impedendo così "astutamente" l'<integrarsi> dei vari contributi, quell'integrarsi che io vedo sia oggi uno dei principali obbiettivi cui lo Spirito Santo ci invita, compito molto difficoltoso sia per la complessità della problematica e sia per l'azione oppositrice e divergente di Satana. E' proprio il <retto discernimento> che oggi è deficitario nella Chiesa, a tutti i livelli. Ebbene, il recupero di questo retto discernimento, così come oggi la situazione storico - culturale si presenta, non è conseguibile lavorando solo sul piano dottrinale, ma richiede una "concomitante opera di santificazione" nel vero senso di questo termine: i due momenti, quello della dottrina e quello della santità, devono intrecciarsi ed interconnettersi per giungere alla <unità nello spirito e dello spirito>; le due ricerche dovranno interagire e fondersi, apportando ciascuna "nuova luce" all'altra, avendo sempre presente che al cospetto di Dio ciascuna delle due istanze risulta monca e povera se attuata senza dell'altra. La questione della santità, così come da me evidenziata, non si indirizza solo ai soggetti destinatari di uno studio dottrinale, ma coinvolge "contemporaneamente ed unitariamente" la stessa dottrina che viene elaborata e lo stesso soggetto (studioso) di tale ricerca teorico - culturale; il binomio <dottrina santità> corrisponde al binomio <fede - opere>; binomio molte volte ed in varie forme discorsive segnalato nella S.Scrittura, una delle quali forme è quella in cui viene affermato: <la fede senza le opere è morta>; a tale affermazione corrisponde quest'altra: <la dottrina senza la santità è (cristianamente) vuota>. Come il mio discorso manifesta l'esigenza di un recupero dottrinale, e quindi di una rielaborazione dei vari contenuti dottrinali oggi sparsi in forma spesso caotica, ibrida ed incongruente nei vari ambiti ecclesiali, i quali contenuti presentano inoltre spesso delle deturpazioni (a volte gravi) rispetto alla dottrina genuina del Vangelo, così questo stesso mio discorso vuole segnalare l'esigenza (anch'essa inderogabile) di un recupero del concetto stesso di <santità>, molto deturpato anch'esso attraverso una storia di compromessi ed opportunismi sociali. Non si può ottenere una "sana" dottrina se non attraverso un contemporaneo recupero della santità vera; la santità è intimamente ed essenzialmente legata ad una dottrina, dottrina che nella sua fase iniziale si trova in forma "implicita" e che solo in fasi susseguenti viene dal soggetto stesso resa esplicita con l'aiuto di studi intellettuali; tale esplicitazione è spesso indispensabile per la "salvaguardia" della stessa santità che va maturando e crescendo nella vita, continuamente messa a dura prova nel 'mondo', nel mondo che è in noi stessi e nel mondo umano che ci circonda. In realtà uno dei mali più grossi che sono stati introdotti nella Chiesa nel contesto del Concilio Vaticano II è stato un aver sancito di fatto un 'divorzio' tra santità e dottrina, spezzandone il connubio e l'intimo legame da Dio voluto e costituendone due istanze separate ed autonome. Tale scissione è stata da sempre l'obbiettivo principale del Modernismo nei confronti della Chiesa Cattolica. Già il Card.le John Henry NEWMAN (di cui le feci cenno nella mia lettera precedente) aveva intuito questo attacco alla <vera Fede> sin da quando era ancora anglicano (prima del 1845), ed accolse con cuore puro la vocazione di Dio su di lui accettando di combattere questa dura battaglia in difesa della vera Fede; il decorso di questa battaglia lo condusse alla Chiesa Cattolica, e là continuò sino alla fine dei suoi giorni (1890) a combattere contro gli errori del Liberalismo e del Modernismo. Ma ebbe tutto un suo stile Intellettuale ed operativo in questo suo apostolato; per questo la sua Teologia è in qualche modo <sui generis>: è una teologia del credente e non una teologia dell'intellettuale. Lo spirito del Modernismo ha fatto nascere nella Chiesa la 'classe' dei Teologi Intellettuali, già presente prima del Vaticano II ma sviluppatasi ancor più dopo questo Concilio; i <teologi intellettuali>, così come io qui li intendo, e cioè come assumenti una scissione tra santità e dottrina, non produrranno mai "sana" dottrina, in qualunque schieramento ecclesiale essi si collochino, e quindi nemmeno nell'ambito dei cosiddetti Tradizionalisti. A questo proposito credo di essere nel giusto se affermo che i teologi intellettuali 'tradizionalisti' avrebbero tradito lo spirito del Vescovo Mons.Lefevre, in quanto costui pur nella sua contestazione dottrinale con la Curia Romana conservava il connubio <santità - dottrina>, in cui inoltre il primato egli lo riconosceva alla <santità>, incentrando questa nella <fedeltà> al Cristo di sempre ed alla Chiesa di sempre; e quindi neanche loro hanno fatto (e fanno) della "sana" critica dottrinale, principalmente per il fatto che la loro ricerca risulta più di carattere "auto - apologetico" e di contrapposizione con l'innovativo: non è una "ricerca della verità profonda ed integrale", quale oggi invece sarebbe necessario operare. Per percorrere un tale cammino occorre < ... abnegare semetipsum et sequere Christum>; l'aver io proposto, quelle volte che ho cercato un interlocutore, un tale invito ha avuto sempre come risultato ... un 'abbandono'. L'opera deleteria del Modernismo nei confronti della Chiesa Cattolica non si è limitata alla sfera dottrinale, anche se in questa gli effetti sono stati più vistosi; in concomitanza esso si adoperava per demolire la consistenza ed il concetto stesso di <santità>: vi è riuscito non meno che in campo dottrinale! Anche su questo piano la figura del già ricordato Card.le Newman è emblematica, ed esprime chiaramente la tensione conflittuale che la vera santità richiede nel testimoniare la propria fedeltà al Cristo Gesù ed al Dio Vivente contro i molteplici attacchi del Maligno, palesi o subdoli. Ma a questo declino, a questo svuotamento di vera consistenza, dello stato di santità l'Istituzione ecclesiastica non ha rivolto quella attenzione che meritava, ed ha assistito quasi passivamente ed impotente preoccupata più che altro della sfera dottrinale: è stato proprio in quel piano (della santità) che nella Chiesa si è verificato il danno maggiore. La figura del 'santo' è stata resa stereotipa, quasi retorica, adornata di tecnicismi sacri e verbalismi estetici, alla stregua di un residuo archeologico; il folklore narrativo ha soppiantato il rivissuto della "storia viva" del santo; quei pochi santi che sono riusciti a restare fedeli alla loro vocazione divina sono stati "snobbati e misconosciuti" da parte della Gerarchia, intenta più che altro a dare lustro a se stessa, sentendosi vacillare di fronte agli interrogativi intellettuali (o pseudo-intellettuali) che il nuovo mondo (moderno) le poneva. In realtà, di fatto, la Chiesa Gerarchica ha "tradito" i 'santi', i quali sono sopravvissuti per la sola forza dello Spirito rimasto vivo in loro nonostante i contraccolpi della Gerarchia, oltre che i colpi dell'ambiente 'mondano e pagano'. Anche su questo tema la figura di Newman è un "testimone" lucido ed eclatante (per chi 'voglia' capirlo); eppure la Teologia di oggi lo snobba, ed il Magistero vi si adegua (a questa Teologia presuntuosa) per il quieto vivere. Quanto alla causa di beatificazione del Newman, si aspetta il famoso <prodigio miracoloso sul piano fisico-naturalistico>; i prodigi sul piano dello spirito [dei quali la vita del Newman è piena, come piena lo è pure la sua opera dottrinale] non hanno più valore, o se lo hanno è sempre di fatto posto su un piano secondario: ecco il Positivismo entrato nella Teologia ad opera della corrente Modernista; ecco l'enfatizzazione di fatto dell'elemento "naturalistico" rispetto all'elemento "spirituale"; a quest'ultimo poi viene conferita una consistenza che è anch'essa più di ordine 'terreno' che 'divino', più di ordine 'tecnico' che di ordine 'vitale'. Non è il caso che descriva qui quali sono in particolare le cosiddette forme di santità ufficialmente riconosciute e comunemente descritte nelle varie opere ad esse attinenti: il lettore onesto e sincero che mi avesse seguito attentamente (e non con atteggiamento puramente passivo) nel mio discorso, accompagnando la sua riflessione interiore alla mia, non farebbe fatica a richiamarle alla sua mente ed a constatare la veridicità di quanto da me qui asserito. Ritornando ora a quanto detto all'inizio di questa lettera, la mia ipotesi è che se il suo contributo (dottrinale) si apre al "connubio" con il contributo da me offerto (che è un contributo 'misto', di santità e dottrina), facendo sì che le nostre due riflessioni si fondano in un discorso unitario ed integrato, allora la "critica" alla prassi dottrinale oggi vigente nella istituzione ecclesiale, specialmente sul piano della Gerarchia, risulterà realmente e veramente "costruttiva", e non soltanto 'demolitiva'. I vari Y.Congar e De Lubac, spesso chiamati in causa come per segnalare (con essi) un ingresso del Modernismo nella Chiesa, sono a loro volta anch'essi portatori di altri 'sani' contributi; solo che invece di coglierne il messaggio vitale cristiano, contenuto nelle loro opere e frammisto ad inevitabili distorsioni, certi operatori e certi studiosi hanno trovato più comodo, più gratificante e più funzionale al loro progetto intellettuale attenersi a certe parti tecniche del loro discorso, quelle esattamente che, staccate dal contesto dell'intero lavoro e dell'intero personaggio (l'autore), si prestavano meglio ad una interpretazione in senso Modernista, operata peraltro attraverso veli di copertura appositamente creati da una cultura intellettuale teologica 'pluralistica'. Il <Pluralismo ideologico> è stato (ed è) un'arma potente nella metodologia del Modernismo; ed è un equivalente antesignano del dominio della <Dea ragione>. Io non ho degli scritti specifici a forma di <saggio> da potere offrire alla sua lettura per una migliore conoscenza del mio orizzonte culturale e cristiano; ho una raccolta di Lettere inviate a Personalità ecclesiastiche, delle quali tempo fa gliene inviai un estratto: da esse si potrebbe (sebbene in parte) intuire il mio mondo spirituale ed il mio progetto di vita e di apostolato. Ho anche una raccolta di <Considerazioni>, cronologicamente scritte su dei quaderni e che adesso sto cercando (con pazienza) di trasferire su dei dischetti. Ma la mia aspirazione resta sempre quella di pubblicare un lavoro vero e proprio, anche in un contesto di dialogo a due voci, dove appunto la mia riflessione si innesta su (e prende avvio da) uno scritto stilato da un autore disposto ed aperto a questa <coralità> di discorso: in tale sede si potrebbe meglio capire il contenuto vero e proprio del mio pensiero e dei miei intenti operativi. Ho detto <intenti operativi> nel senso che il mio progetto non è costituito tanto dalla stesura di un testo teorico di pensiero, quanto da una esplicazione attuativa di iniziative concrete, da me messe in atto in prima persona e con assunzione di responsabilità, miranti a "ri-educare", a partire dal piccolo se si vuole, la Comunità cristiana ecclesiale, Clero compreso. In questo progetto di <rieducazione> c'è il recupero di una genuinità dottrinale unitamente al recupero di una santità (anch'essa 'genuina') concretamente vissuta e vivente nel contesto della comunità ecclesiale. Questo cammino di ri-educazione me lo figuro di poterlo attuare attraverso una serie di Incontri, come delle conferenze condotte però in modo diverso dallo stile tradizionale; in un tale contesto l'espressione dialogica e dialogata consentirebbe all'ascoltatore (che è anche in dialogo, oltre che in ascolto) di "giungere a capire" certi concetti, da me comunicati verbalmente solo in modo insufficiente, e certe situazioni di vita (umana e cristiana) concreta e di comportamenti personali da me descritti attraverso parole anch'esse insufficienti. La <parola> è un veicolo molto limitato per tradurre certe "questioni di vita"; la <relazione dialogica esperienziale>, anche se dovesse risultare più sofferta, è più fertile per una veritiera comprensione. Molte volte, leggendo dei libri o degli articoli di Riviste, mi sono sorte (e mi sorgono) delle riflessioni critiche su quanto espresso dall'autore dello scritto; se io potessi postillare quel testo con quelle mie osservazioni ne verrebbe uno scritto <a due voci>, che in qualche modo abbozza quel <dialogo culturale> cui io spesso mi sono riferito. Non volendo appesantire oltre questo mio scritto, termino ringraziandola della sua cortese attenzione, augurandomi di non averla stancata troppo. Distinti saluti. (Firmato: Vittorio Noè) Dr. Vittorio NOE' Via Montorio, 108 int. 38 37131 VERONA L. Fioretti / 21-01-97 Verona, 21/01/97 Caro Fioretti, Scusami se ti scrivo con ritardo riguardo a quei fogli (4) che mi hai mandato alcuni mesi fa, scritti che tu stilasti, come si vede dalla data in calce, nella ricorrenza del tuo onomastico, S. Lorenzo, 10/08/96. Con rammarico ti confesso che mi sento sempre più affievolire lo spirito, oltre che sentire il corpo meno robusto e meno in salute; mi faccio coraggio ed alimento la speranza rivolgendo lo sguardo al Crocefisso. Come si è verificato per qualche altro tuo scritto precedente, anche in questo mi trovo in difficoltà a stilare una mia risposta come parere di un amico ad un amico; anzi forse la difficoltà è maggiore. Il tuo parlare, quasi a ruota libera, richiama tanti problemi della vita ecclesiale e dei fedeli, e su ciascuno esprime degli interrogativi, delle risposte personali a questi interrogativi, e nello stesso tempo sollecita l'interlocutore ad una sua risposta: come fare a rispondere con uno scritto (per forza di cose, breve) alle molteplici questioni sollevate? Da tener presente che sono questioni collegate tra loro in un modo o nell'altro, e collegate ancora con altre questioni cui tu non fai cenno direttamente, e alle quali io per forza maggiore dovrò fare riferimento per farmi capire nella risposta complessiva. Il panorama che tu presenti contiene i temi su: celibato presbiterale, amore coniugale, istituzione ecclesiastica, concezione della Chiesa come famiglia, amore fraterno e famiglia, vocazione, libertà, ecc... Le tematiche che io sono costretto ad aggiungere potrebbero essere: puntualizzazione sul concetto di "vocazione", trovando l'inquadratura da te espressa in merito piuttosto riduttiva e statica; il problema della "attuazione concreta" sia di una vocazione e sia dei comandamenti evangelici; puntualizzazione sul tema della "libertà", per il quale tu fai un cenno che reputo riduttivo ed in parte anche superficiale. In fase di prima risposta, ti dico (da amico): hai ragione! Tu segnali questioni reali, storpiature realmente esistenti nell'ambito cristiano cattolico, nell'ambito del Clero, che sono di una certa gravità; tu segnali delle mete additate già dal Vangelo e che nella prassi ecclesiale pare vengano tenute in scarsa considerazione; la tua coscienza di "cristiano", da cui tu cogli questa luce, io la vedo "retta", illuminata dallo Spirito. Come seconda fase della risposta, ti debbo segnalare (sempre da amico) delle eccessive enfatizzazioni e generalizzazioni, che io non condivido; e non le condivido perché ho avuto modo anche di riflettere sul lato "concreto ed umano realistico" delle stesse questioni, cosa che forse tu non hai fatto sufficientemente. Il terreno che ci fa differenziare in questo secondo punto è la "formazione culturale ed umana" di noi due: tu, maturato in un cammino sacerdotale basato sulla inquadratura che viene dato nei Seminari, hai assimilato una formazione culturale ed umana di tipo <dogmatico, teorico, dottrinale, canonico - giuridico, moralistico>, in cui è stata pressoché assente la <ricerca culturale ed intellettuale sul piano esperienziale>: questa è una delle gravi lacune di tutti i Preti; questa lacuna la si scopre in modo più plateale quando si affronta il problema del "celibato", sia sacerdotale che in generale: il Clero adduce delle giustificazioni caratterizzate soltanto da quelle categorie anzidette, mentre non porta in campo le "relazioni dinamiche esperienziali" le quali, sotto un certo aspetto, sono tra i fattori più essenziali della questione; e non le porta perché il Clero ha in quel settore umano (livello esperienziale) una estrema lacunosità e cecità. A questo livello, una riflessione sincera e consapevole porterebbe a concludere che il Sacerdozio così come voluto da Cristo, ed il Matrimonio così come voluto da Cristo, sono "inconciliabili in uno stesso soggetto", nel senso che la "pienezza di vocazione" dell'uno è incompatibile con la pienezza di vocazione dell'altro; si tratta di una "incompatibilità esperienziale e umanamente concreta". Per capire questo, occorre anche avere ben assimilato il contenuto significativo dell'espressione di Gesù: <non si può servire a due padroni...>; e dell'altra espressione: <l'uomo lascerà... e si unirà alla sua donna...>; ed ancora: <chi ama il padre e la madre più di me non è degno di me...>; e poi vari passi di S. Paolo. Collegata alla tematica del celibato, tu richiami poi la tematica dell'Amore. Il tuo discorso in merito ha molte sottolineature di grande valore; ma scivola anche verso "generalizzazioni superficiali", quasi volendo dire che Dio lo si può amare come si vuole, ed in qualunque modo: questa frase dice 'tutto' e dice 'niente', ed inoltre fa saltare tutto il Vangelo, ponendo al suo posto "una propria religione" costruita a propria misura. Su questo argomento si può vedere quale sia il "contenuto" concettuale che ognuno di noi fa corrispondere alla parola <amore>, come quando ci domandiamo: ma per te, che cos'è <amore>? E qui capisci che è facile riscontrare una notevole discordanza tra diverse concezioni dell'<amore>; se poi passiamo all'Amore insegnatoci da Gesù, allora le divergenze aumentano: per capire questo amore occorre avere fatto un notevole cammino nella via della "vera" santità, non di quella esteriore e pietistica. Un altro concetto che trovo sia lacunoso nella formazione del Clero è quello di <Natura Umana>: anche qui manca il livello "esperienziale" e quello della "dinamica del concreto". Per questo tu argomenti in un certo modo su che cosa sia "secondo natura" e che cosa sia "contro natura": in questo tuo argomentare io non mi trovo d'accordo. La Natura (umana) è qualcosa di molto più complesso di quanto la formazione del Clero porta ad intendere, ma non che questo problema (di cosa sia la Natura umana) sia molto più difficile da capire; solo che, per essere "veritieri" sull'argomento, occorre essere "aperti verso certe ricerche culturali", cosa che non si riscontra nel Clero. Per altro verso, nei miei studi ho molto spesso incontrato, in autori di posizione anti-cristiana, una concezione della Natura (umana) ancora più "mutilata" e "restrittiva" di quella che c'è nel Clero; da un lato questi autori 'vedono' certe cose che il Clero non vede, e da un altro lato 'si ostinano a chiudere gli occhi' su altre cose che, anche se in parte, il Clero 'vede'. Con questo non voglio dire che la concezione che io ho sviluppato sia la migliore o la più veritiera; mi piacerebbe soltanto "dialogare" sull'argomento "con sincerità d'ambo le parti", sia con il Clero che con quegli altri studiosi: solo mettendo le carte in tavola "onestamente" e "cercando la verità con sincerità" si potranno scoprire aspetti nuovi della Natura umana, che altrimenti ci resteranno preclusi. Ed ora ti saluto con un <a risentirci>. Buon Anno! (Firmato: Vittorio Noè) Prof. Ivo CISAR SPADON / 23-01-97 Verona 23-01-97 Egr. Prof. Ivo CISAR SPADON, Ho avuto il suo nominativo (che spero aver capito giusto) per telefono dalla Casa Editrice SEGNO, di Udine, come riferimento per l'opera svolta dal p. Enrico ZOFFOLI. Mi è stato infatti detto che detto Sacerdote è morto lo scorso anno, e ciò mi è molto dispiaciuto, tra l'altro perché avrei voluto contattarlo su quelle tematiche ecclesiastiche di cui lui si era interessato. Sono un laico; 64 anni; sposato, ho due figli; insegnante di materie scientifiche negli Ist. Tecn. Industriali; ora in pensione. Mi viene in mente che diversi anni fa (verso l'80-81) ho conosciuto un professore di Lettere di Pordenone, un certo Venditti (o giù di li), anche lui Commissario d'esame di maturità (industriale) ad Este (PD). Mi sono da molto interessato di Psicologia, conseguendo poi la laurea nel marzo 1984; ed anche di problematiche inerente la nostra Fede cristiana e la vita della Chiesa. Sarebbe per me gradito potere avere dei contatti, anche se epistolari, con chi è interessato a quei problemi che tanto stanno travagliando il Popolo di Dio: sono problemi di genuinità della fede, problemi di evangelizzazione e di pastorale, problemi riguardanti la cultura religiosa (compresa quella teologica) e laica; ma anche problemi inerenti alla "verità reale" della consistenza della persona umana, della psicodinamica del vivere ed agire dell'uomo, problemi di rapporti interpersonali e sociali. Se io ho cercato di evidenziare con particolare accento gli aspetti psicologici e sociali, e quelle dottrine sull'umano che ad essi sono pertinenti, in quanto le mie disposizioni intellettive e d'animo erano protese verso quel campo dell'umano, altri potrebbero avere anche optato per altre sottolineature di altri profili dell'umano, pur anch'essi presenti nella complessità socio ecclesiale in cui viviamo; ma ancora questi altri potrebbero aver lavorato nello stesso campo in cui ho lavorato io, traendo però conclusioni diverse dalle mie. "Dialogare" l'un con l'altro su quanto ciascuno ha evidenziato, interpretato e segnalato, penso che sarebbe proficuo per un miglioramento della nostra vita cristiana, ivi compreso l'aspetto specificamente umano; di riflesso anche la vita della Chiesa ne trarrebbe vantaggio. Se ella trovasse in sè una certa disponibilità a questo incontro (epistolare), io le sarei grato. In attesa di una sua comunicazione, porgo i miei distinti saluti. (Firmato: Vittorio Noè) Dr. Vittorio NOE' Via Montorio, 108/38 37131 VERONA Tel. 045/97.65.30 Dr. Montuschi Ferdinando / 15-11-97 Verona, 15 novembre 1997 Egr. Dr. Montuschi, Ho acquistato il suo volume intitolato <FARE ed ESSERE> poco più di un mese fa, e sono andato leggendolo, alternandolo ad altre mie letture: man mano che andavo avanti, mi entusiasmava sempre di più, sì da sentire il desiderio di contattarla personalmente. Quando le telefonai giorni fa per accertarmi di aver rintracciato correttamente l'autore del libro, non volendo essere inopportuno, mi sono limitato a salutarla e chiedere il suo recapito postale. Nell'animo mio ci sono molte cose che vorrei manifestarle: argomenti di carattere culturale ed argomenti di carattere strettamente personale; e vi sono anche altrettante istanze che vorrei avanzarle, per conoscere meglio sia il suo orizzonte culturale ed umano e sia i criteri operativi e progettuali da lei seguiti nella sua attività professionale di Psicoterapeuta. La mia età è di 65 anni; sposato (non troppo felicemente) con due figli; laureato (prima in Fisica, nel 1964, e poi) in Psicologia nel 1984, a Padova, porto avanti i miei studi in questo settore, pur non esercitando nel senso vero e proprio l'attività di Consulenza Psicologica o di Psicoterapia. La mia attività lavorativa sul piano remunerativo è stata quella di Insegnante (di Fisica, Elettrotecnica ed Elettronica) negli Ist. Tecn. Ind., dal 1964 al 1983, anno in cui ho chiesto di andare in quiescienza, per motivi vari che qui non sto a specificare; adesso percepisco quindi la pensione, che è l'unica mia fonte di reddito. Anche mia moglie ha insegnato, nella Scuola Media; ed è andata in pensione proprio nel mese di settembre scorso. Non è facile in un breve scritto trasmettere ad altri, pur nelle linee essenziali, il proprio pensiero, specialmente quando si tratta del vasto campo dell'Umano. Non dispongo di pubblicazioni, sebbene l'abbia spesso desiderato ed anche cercato; le diverse difficoltà cui la mia vita personale è andata frequentemente incontro sono state anch'esse un 'handcap' per il mio cammino culturale "pubblico", per cui la mia ricerca intellettuale ed esperienziale ha dovuto accontentarsi del solo cammino 'privato e personale'. Se lei lo desiderasse, io volentieri le invierei copia della mia Tesi di Laurea in Psicologia, la quale ha per titolo <<La Comunicazione tra Adulto e Bambino e lo Sviluppo Intellettivo>>. E' stato quello un lavoro molto personale, che ha incontrato anche qualche critica nell'ambito accademico; ma della validità di quanto ivi da me asserito e sostenuto sono tutt'ora convinto, ed ho constatato con una certa soddisfazione che in tempi successivi altri autori, manifestando il loro pensiero in delle opere, evidenziavano anche loro certi 'paradigmi' e certi 'parametri' inerenti la Comunicazione Umana come punti nodali e cruciali, estrapolandone anche certe conseguenze di ordine pragmatico, sia in ambito Pedagogico, sia in ambito Psicologico, sia in ambito Psicoanalitico. Certe mie affermazini furono allora reputate troppo 'originali', non in sintonia con la concezione comune in Psicologia accademica; anche lo stile espositivo fu giudicato poco 'intellettuale'. Tuttavia, quel lavoro è stato ed è uno squarcio, anche se parziale e molto condensato, del mio orizzonte culturale ed esistenziale. Non le nascondo che per quanto riguarda il mio mondo interiore vivo nell'orizzonte cristiano, pur nel mio piccolo e con i miei limiti; nei miei studi ho sviluppato perciò anche una ricerca sulla vita cristiana ed ecclesiale, dove l'ampia problematica della Psicologia dell'essere umano si coniuga in modo inestricabile con l'altrettanto ampia problematica della Fede Cristiana. Potrebbe essere utile, ai fini di una migliore conoscenza reciproca, che io le indicassi alcuni dei punti del suo libro che più hanno attirato la mia attenzione e suscitato un notevole consenso; ma questi punti sono tanti e non saprei farne né una graduatoria né un elenco. Le segnalo in sintesi alcune delle tesi che emergono dal suo discorso, con le quali mi trovo in sintonia: C'è un legame profondo tra il “fare” di una persona ed il suo “essere” persona. Ogni 'fare', affinché possa essere psicologicamente costruttivo per la persona, deve essere accompagnato da una "ricerca" della "adeguatezza al fine esistenziale" di questo 'fare'. La "presa di coscienza" del proprio comportamento richiede un "sapere distaccarsi" da se stessi, sì che ad ogni istanza del proprio essere umano venga concessa quella "libertà" di presentarsi sullo scenario comportamentale nella sua originalità umana, e le venga riconosciuta la sua funzione nella totalità della persona. La "conoscenza (reale e veritiera) di sé" non può avvenire se non con la "mediazione" dell'Altro: in questo "dialogo esistenziale e vitale", ricco di processi psicodinamici, si scopre e si sviluppa la propria natura umana. Quello che rende un avvenimento (della vita) psicologicamente influente sulla persona umana è il “significato” che esso suscita nell'orizzonte vitale del soggetto; tale significato che l'evento assume dipende dall'atteggiamento esistenziale e relazionale che il soggetto è andato via via sviluppando. Ma la conoscenza reciproca potrebbe venire migliorata anche attraverso segnalazioni da parte mia di punti del suo libro in cui il discorso che ivi si snoda non mi trova tanto in accordo, o di punti in cui io avrei aggiunto delle osservazioni che a mio parere avrebbero reso più efficace, agli occhi del lettore, la proposta conoscitiva che là veniva a lui offerta. Questi punti mi è stato più difficile individuarli, per cui... rimando (eventualmente) ad un'altra volta. Augurandomi di non averla importunata ed annoiata, spero di sentirla presto, e le invio intanto i miei più cordiali saluti. (Firmato: Vittorio Noè) Dr. Vittorio NOE' Via Montorio, 108/38 37131 VERONA Tel. 045-97.65.30 prof. Marco MILELLA - 09-06-02 Padova, 09-06-02 Egr. Prof. Milella, Le scrivo queste righe, poche perché non sono certo ancora del suo vero recapito postale: quello cui mi sto indirizzando mi è stato fornito (per telefono) gentilmente dalla Editrice CLEUP di Padova, la quale ha pubblicato (1998) il suo volume: “La rete nascosta. Per una relazionalità formativa”. Questa sua opera -- che io solo da alcuni mesi ho cominciato a leggere -- ha suscitato in me un largo e profondo interesse, sia sotto il profilo teorico e sia in vista di propositi concreti operativi. Sono laureato in Psicologia (a Padova, nel 1984), ma non esercito tale professione, non per mia scelta bensì per rassegnazione: per il fatto che io ho scelto e sviluppato un orientamento che si discosta parecchio dai vari orientamenti più seguiti in tale campo, la mia ricerca operativa ha trovato sempre un ‘muro’ ed una ‘diffidenza’. Ciononostante, il mio interesse per le questioni umane, sia personali che sociali, non è diminuito, anzi è cresciuto e maturato ancora di più. La mia attività lavorativa è stata quella di Insegnante di Fisica, Elettrotecnica ed Elettronica negli Ist.Tecn.Ind., avendo conseguita la laurea in Fisica (a Catania, nel 1964) e partecipato ai vari Concorsi a Cattedra; adesso (ho circa 70 anni) sono... in pensione. Mi piacerebbe tentare con lei uno scambio di vedute e di esperienze culturali, quasi con l’intento di mettere in comune -- sempre nel reciproco rispetto della persona dell’altro -- i frutti (teorici ed esperienziali) conseguiti nelle nostre rispettive ricerche umane e nell’umano. Sperando di non aver fatto cosa a lei sgradita con questa mia iniziativa, in attesa di una sua risposta le invio i miei più distinti saluti. (Firmato: Vittorio Noè) Dott. Vittorio NOE’ Via Montorio, 108 int.38 37131 VERONA Tel. 045-976530 o______O______o 24 luglio 2002 Padova, 24 luglio 2002 Egr. Prof. Milella. Ho ricevuto la sua breve e-mail, dove per fortuna mi ha esplicitato il suo indirizzo di posta elettronica; pensavo anch'io infatti che ricevendo una e-mail, a prescindere dal contenuto del testo, ci fosse in qualche altra parte indicato l'indirizzo di posta elettronica del mittente: ma io nella sua e-mail non l'ho trovato; c'è da dire anche che io non sono molte esperto in queste cose. Passiamo ad altro. Come mi era prevedibile, fra i tanti luoghi di cui parlarle non so da dove cominciare, ed allora... azzardo nella mia spontaneità del momento. Le dissi nel mio primo scritto che avevo scelto e sviluppato un orientamento di Psicologia che si staccava da quelli che nella Psicologia contemporanea si sono sviluppati. Tale scostamento è avvenuto per diversi parametri: un primo parametro è quello costituito dalla "Relazione Interpersonale", la quale nella mia concezione viene a configurarsi come uno dei nodi centrali per ogni tematica che si affrontasse, sia sul piano della conoscenza teorica e sia sul piano della prassi operativa, quivi compreso anche il vasto mondo delle psicoterapie. Un altro parametro è quello inerente al "Campo" di osservazione, il quale campo -mentre nella concezione comune alle varie correnti di pensiero è ben delimitato, sia nell'oggetto e sia nella finalità, a ciò che esplicitamente mostra in primo piano "caratteristiche psicologiche", nel senso accademico dell'espressione -- nel mio orizzonte esso (campo) abbraccia "l'intero ambito umano", includendo così tutti i campi delle singole cosiddette Scienze Umane. Un terzo parametro è "l'espressione religiosa", la quale -- mentre comunemente in Psicologia (e campi ad essa attinenti) viene praticamente esclusa -- nella mia concezione della Psicologia l'evento religioso fa 'parte integrante' dell'essere umano: una sua esclusione la reputo perciò una 'mutilazione' dello stesso oggetto (l'uomo) che venisse osservato e studiato. Un quarto parametro infine è la "Metodica": mentre nei vari settori della Psicologia la metodica di studio ricalca quasi quella delle Scienze Naturali, a mio avviso un tale procedere e (corr.: è) distorcente, oltre che fortemente riduttivo. Anche in questo punto c'è una differenza radicale tra l'orientamento comune in Psicologia ed il mio: secondo la concezione comune, "obbiettivando" l'uomo non (corr.: lo) si può studiare meglio, con rigore scientifico, e quindi con più probabilità di risultati certi; secondo la mia concezione, "soggettivando" l'uomo, e quindi "entrando in relazione" con lui, lo si potrà conoscere meglio e con più verità: la "verità dell'umano" è sostanzialmente diversa dalla "verità scientifica", ed è rispetto a questa di grado superiore. Un autore che ho apprezzato molto, in riferimento a questi argomenti, è il filosofo Wilhelm DILTHEY; peccato quei (corr.: che i) suoi... successori non hanno (corr.: abbiano) saputo coltivare e sviluppare adeguatamente quanto egli aveva già costruito. Questa ovviamente è una breve premessa, per un primo approccio conoscitivo. A titolo esemplificativo, reputo possa tornare utile allegarle alcune delle mie annotazioni che presi parecchi anni fa. (CPS 1973) Intanto la saluto con molta cordialità. (Firmato: Vittorio Noè) P.S. Mi trovo ancora Padova, ma presto rientrerò a Verona. o______O______o 25 luglio 2002 Padova, 25 luglio 2002 Egr. Prof. Milella, mi scuso per alcuni errori di scrittura che ho riscontrato esserci nella lettera inviatele ieri sera; poiché alcuni potrebbero dare luogo ad interpretazioni errate del senso della frase, le invio una copia di quel testo "con le correzioni". Mi scusi. Vittorio NOE' o______O______o 04 agosto 2002 Padova, 04 agosto 2002 Egregio Prof. Milella, Ho ricevuto la sua e-mail del 26 luglio 2002. Le invio (in allegato) alcune altre 'tessere' del mio pensiero. Ho chiamato questi scritti <CONSIDERAZIONI PSICOLOGICHE> (abbr. CPS) appunto perché, nel corso delle mie giornate, a contatto con me stesso e con la realtà esperienziale esterna, mi sorgevano delle riflessioni che mi facevano 'vedere' aspetti particolari (della realtà umana) che prima mi erano sconosciuti, o che prima mi si presentavano con valenza diversa. Nel 'considerare' la realtà umana quotidiana di cui di volta in volta sono stato protagonista o spettatore-osservatore, il mio obiettivo è stato sempre quello di "scoprire nuovi elementi e nuovi aspetti", e nello stesso tempo di "scoprire i legami e le gerarchie" che sussistevano tra i vari molteplici elementi; tutto questo è racchiudibile in un'unica espressione: "cercare la verità nell'umano e dell'umano". Più avanti le esprimerò alcune considerazioni sul contenuto del suo libro <La Rete Nascosta>; intanto lei avrà già 'incontrato' e 'conosciuto' alcuni tratti della mia personalità e del mio orizzonte culturale, così... ci saranno più probabilità che lei possa cogliere quelle mie osservazioni nel loro vero senso e significato. Non le nascondo il mio timore di essere frainteso, per il fatto che ancora c'è molta poca dimestichezza tra le nostre persone e tra i nostri mondi culturali, e nello stesso tempo (credo) molto distacco tra i nostri 'obiettivi' esistenziali e professionali; tuttavia... voglio 'tentare', come le dicevo nel mio primo scritto. La ringrazio sin d'ora dell'attenzione (e della pazienza) verso i miei scritti, i quali (sono consapevole) potrebbero risultare "di non agevole lettura". Molti cordiali saluti. (Firmato: Vittorio Noè) don G. Giussani – 19-12-2002 Lettera Fax Verona, 19 dicembre 2002 Reverendo don Giuseppe Giussani, -- BOZZOLO (CR) Sono un vecchio socio affezionato della fondazione don Primo Mazzolari, in quanto molto affezionato alla persona di questo sacerdote tutto peculiare. Conosco il pensiero di don Mazzolari (anche se solo in parte) da circa una quindicina di anni; sono venuto anche a Bozzolo diversi anni fa, prendendo contatto con don Piero Piazza, che adesso è defunto, nell'intento di dare una mia partecipazione, un contributo operativo, per quello che poteva essere la esplicitazione del messaggio che don Primo ci ha lasciato. Avevo preso contatti allora anche con il professor Libero Dall'Asta di Bozzolo, avevo avuto con lui diversi colloqui, ed egli gentilmente mi aveva anche fatto omaggio di un volume di don Mazzolari. Da allora don Mazzolari mi è rimasto nel cuore, anche se la mia offerta, la mia proposta, sia con il signor Libero Dall'Asta e sia con don Piero Piazza, può dirsi che non hanno trovato seguito, forse per una certa incomprensione o anche perplessità nei confronti della mia persona. Io abito a Verona e vivo modestamente come Insegnante in pensione. Leggendo la rivista Impegno, mi viene sempre di più nell'animo quella catena (che già da anni ho pensato di sviluppare) di Incontri con delle persone interessate, nei quali Incontri riflettere seriamente e anche con dialogo sulle tante tematiche che don Mazzolari ha espresso nei suoi scritti, ed anche ha segnalato nei suoi diari. Vedo che nella vita quotidiana ecclesiale manca proprio questa "riflessione seria", che sia non una riflessione strettamente teorica, ovvero anche 'puramente teorica', ma una riflessione (potremo dire) orientata alla vita concreta, orientata al vivere quotidiano esperienziale, comportamentale, relazionale; riflessione orientata agli obiettivi, ai progetti che l'essere umano si pone: però, considerando il soggetto umano come "essere cristiano", perché l'essere 'umano' ha dei progetti, il 'soggetto cristiano' invece, oltre ad avere l'inquadratura dell'umano, ha anche "in modo coessenziale" l'inquadratura della fede, e quindi il progetto e gli obbiettivi di un soggetto cristiano sono in qualche modo diversi da quelli di un soggetto non-cristiano. Queste riflessioni io vorrei sviluppare anche attraverso degli scritti periodici, che potrebbero trovare collocazione anche sulla rivista Impegno o su altre riviste. Uno dei volumi di don Mazzolari parla del coraggio di "confrontarsi" e di "dialogare": questo penso che sia un punto nodale di quella che è la vita cristiana, nel senso che è effettivamente molto importante. Don Mazzolari aveva evidenziato che quest'aspetto qui è molto carente; quindi, ai fini di mettere in luce l'opera di Mazzolari, sarebbe bene cominciare dal "come iniziare nel concreto" questo tentativo di incontrarsi. Mi rendo conto che non riesco ad esprimermi, ma voglio dire: prendere delle iniziative, creare delle situazioni, che consentono di "incontrarsi", invitando, chiamando, cercando, e man mano che ci si incontra ancora "cercare di dialogare"; ma "cercare", perché il dialogo non nasce subito. Con questo (e cioè con il 'cercare') voglio anche dire che il dialogo non è dato per scontato in partenza, ma occorre essere 'disponibili' (al dialogo). Allora, come propedeutico c'è il problema (e quindi anche l'obiettivo) di "sviluppare la disponibilità" al dialogo; nell'incontro cioè occorre mettersi davanti come obiettivo quello di "sviluppare questa disponibilità", quindi come proprio (si potrebbe dire) un lavorio a livello di personalità, a livello di relazione fra i membri che partecipano all'incontro: la disponibilità non è data di per sé stessa come un fatto isolato, ma è un qualche cosa che 'nasce', ovvero può nascere nell'incontro. Infine voglio far presente che l'uso della <posta elettronica> faciliterebbe molte cose, in quanto con più scioltezza e più immediatezza i vari soggetti che volessero incontrarsi e comunicare si potrebbero mettere in contatto tra di loro: in questi problemi, la "immediatezza" di una comunicazione è molto importante e molto incidente. Non aggiungo altro, per non cadere nella retorica. Se vorrà rispondermi, anche brevemente, le sarò grato; perdoni il mio stile non troppo usuale. Le invio intanto i miei più distinti saluti. (Firmato: Vittorio Noè) Dr. Vittorio NOE' Via Montorio, 108/38 37131 VERONA Tel. 045 976530 o______O______o don Giuseppe Giussani – 29-02-2004 (To: [email protected]) Padova 29 febbraio 2004 Al Presidente della Fondazione Mazzolari BOZZOLO (MN) Rev.do don Giuseppe Giussani, Molte felicitazioni a lei ed alla Fondazione Mazzolari per la realizzazione del sito Internet: ci voleva proprio! Ne sono venuto a conoscenza solo poco più di una settimana fa, quando (da Padova) sono andato a Verona a ritirare la posta, e vi ho trovato il notiziario n. 2 del dicembre 2003. Ero stato assente da Verona per diversi mesi. Alcune settimane fa ho rinnovato la mia adesione a codesto Centro (per l'invio della rivista <Impegno>) con un versamento sul vostro c/c postale di 20 €. Capisco quanto l'amministrare la Fondazione nel modo migliore richiede lavoro e denaro, e mi spiace che le mie condizioni economiche non mi consentono di offrire qualcosa di più. Però sarei lieto, come le ho già accennato nelle poche lettere passate che le ho inviato, potere in qualche modo essere utile, anche con contributi culturali e spirituali; cosa che purtroppo mi rendo conto non sia tanto facile, sia per la distanza geografica e sia per la scarsa conoscenza che i componenti del Consiglio di Direzione del centro hanno della mia persona. Ho inviato al dottor Gianni Borsa (nuovo direttore della Rivista) giorni fa una breve lettera (via e-mail), esponendogli la mia disponibilità; fra l'altro facevo presente (a grosse linee) che si potrebbe creare (ideandola ed organizzandola nel modo migliore e più proficuo) una "rete informatica" fra i vari simpatizzanti di Mazzolari, mettendo a disposizione ciascuno le proprie e-mail per degli scambi di opinioni, riflessioni, proposte; scambi che con animo sincero potrebbero attuarsi come tra "amici", tenendo presente anche (a mio avviso) che Mazzolari è stato un apostolo di Cristo, e non un sociologo o un filosofo, che l'opera di Mazzolari mirava ad "evangelizzare" le persone che vivono nel sociale, e che perciò il porsi come "amico di Mazzolari" deve significare porsi come "amico di Cristo", quindi anche "amico della Chiesa" in quanto Corpo Mistico di Cristo. Questo da me ora espresso a lei significa anche che gli scritti del Mazzolari vanno letti e interpretati nel più vasto contesto che è la Chiesa, di cui don Primo è stato un fedele testimone. I primi scritti di Mazzolari (e su Mazzolari) io li ho acquistati nel luglio 1987. Avevo conosciuto (per l'eco che giungeva) la figura del Mazzolari, anche se brevemente delineata, già nel lontano fine anni '40 primi anni '50, a Siracusa -- io sono nato ad Augusta (SR) nel 1932 -- da amici sacerdoti, fra i quali ricordo don Carmelo Ferraro, divenuto poi vescovo di Piazza Armerina, e don Alfredo Garsia, divenuto vescovo di Caltanissetta. Nel periodo 1987-88 ho conosciuto padre Aldo Bergamaschi (docente all'università di Verona e residente a Reggio Emilia), che ha curato la raccolta dei documenti, dei diari, ecc. di don Mazzolari; e ho conosciuto anche don Piero Piazza essendo io venuto a Bozzolo alla Fondazione: nel maggio 1988 acquistai i quattro volumi di Adesso; conobbi allora anche il professore Libero Dall'Asta. Mi sono sempre augurato da allora (ed ho pregato anche Dio per questo) che il lavoro di raccolta dei documenti venisse svolto con cura, con correttezza, con rispetto della verità e fedeltà a don Primo, perché mi ero reso conto che lo stile del discorso di quell'apostolo era molto intrecciato e complesso, come intrecciati e complessi erano i suoi pensieri e le sue riflessioni: una piccola alterazione del testo originale avrebbe fatto (e farebbe) cambiare senso all'intero esprimersi del Mazzolari. Riconosco ed apprezzo perciò il lavoro paziente che c'è voluto: Dio ve ne darà ricompensa! Io non so come sono regolate le mansioni amministrative del Centro; per cui, non sapendo se c'è una Segreteria a cui rivolgere queste brevi richieste che seguono, le presento a lei: 1) vorrei acquistare due Quaderni di Documenti: il n. 5 inerente agli articoli apparsi su <La Vita Cattolica>; ed il n. 8 inerente agli articoli apparsi nel quotidiano <L'Italia>. 2) in uno dei numeri precedenti del Notiziario, a suo tempo lessi che è disponibile su floppy disk l'indice generale degli articoli dei quattro volumi di Adesso: vorrei questo dischetto. Per il pagamento penso che nello stesso pacco metterete un bollettino di c/c postale indicandomi la somma da versare; ma se la vostra prassi è diversa mi faccia sapere come devo procedere. La mia residenza è a Verona; ma per motivi vari (fra i quali quello inerente il mio stato di salute, in questo periodo non tanto florida) mi trovo ancora Padova; voi registrate nel vostro archivio anche questo mio secondo indirizzo che pongo in calce. La prego quindi di spedirmi il tutto al mio indirizzo di Padova. Ringraziandola di tutto ed augurandole... copiosi frutti, le invio cordiali saluti. (Firmato: Vittorio Noè) NOE' dr. Vittorio (Indirizzo ... ) don Lucio Nicoletto / 01-02-2003 Padova, 1 febbraio 2003 Reverendo don Lucio Nicoletto, -- RUBANO (PD) Le chiedo innanzitutto scusa per tanto tempo che ho lasciato passare per la restituzione di quanto da lei prestatomi: le cassette (8) dei discorsi di don Mazzolari, e la sua tesi di Baccellierato su Mazzolari. La ringrazio molto, mi sono stati molto graditi e utili. Questo materiale era già pronto per riportarglielo da un paio di settimane, ma in questo periodo sono stato impossibilitato per mancanza dell'auto. Adesso glielo sto facendo pervenire, confezionato insieme alla meglio, cogliendo l'occasione favorevole che mia moglie (la quale fa la catechista a San Carlo Borromeo di Padova) si recherà oggi al Seminario Minore accompagnando i ragazzi che dovranno ricevere la S. Cresima. Oltre al mio ringraziamento per la sua cortesia, vorrei presentarle il mio desiderio di reincontrarla, nell'augurio di una migliore conoscenza reciproca, ai fini di potere essere di aiuto l'uno all'altro nel compito ecclesiale che ciascuno di noi due si è proposto. Acclusa alla presente troverà copia della lettera (fax) che inviai alla Fondazione Mazzolari di Bozzolo, lettera che però è rimasta senza risposta; da questo breve scritto lei potrà acquisire qualcos'altro di quelli che sono i miei propositi. Sperando di poterla risentire, le porgo i miei distinti saluti. (Firmato: Vittorio Noè) Mons. Aldo COZZANI - 11 marzo 2003 Padova, 11 marzo 2003 Molto Rev.do Mons. Aldo COZZANI, -- CREMONA Con un certo sentimento di nostalgia, misto a rimpianto per tante circostanze della mia vita andate a vuoto, torno ad incontrarla (per lettera) dopo circa una quindicina di anni. Proprio tanti (circa) anni addietro io, avendo letto qualche suo scritto, venni a trovarla a Cremona, nel tentativo di dar vita ad un incontro collaborativo con chi era stato molto vicino a don Primo MAZZOLARI. Mi chiamo Vittorio Noè; vivo a Verona, ma in questo periodo mi trovo a Padova, presso dei parenti famigliari. Recentemente ho letto nella rivista <Impegno>, numero di dicembre 2002, un riferimento alla sua persona quale "... l'ultimo sacerdote vivente che ha trascorso la sua giovinezza accanto a don Primo..." (pag. 156). La mia nostalgia nel richiamare alla memoria la sua persona (e quell'incontro) è in consonanza con il mio forte desiderio che nutrivo allora, e che mi si è risvegliato in questi mesi più recenti, di adoperarmi perché si faccia veramente luce sulla figura di Mazzolari, e non solo dell'apologetica o della retorica intellettualista, che serve solamente a porre aureole a se stessi a scapito (palesemente, a mio avviso) della "verità" sul <Messaggio> che è venuto a costituire tutta la vita di quella figura "originale" di ‘profeta’ che fu il Mazzolari, a partire dalla sua vita in Seminario e sino alla sua morte. A mio parere, la "vera figura" -- morale, spirituale, umana, cristiana, sacerdotale -di Mazzolari non è stata ancora posta in luce, stando ai lavori (che sono venuto a conoscere) che si sono fatti su di lui. Ci sono dei "frammenti" interpretativi, tanti frammenti: alcuni sono delle vere e proprie ‘tessere’ (di un ‘mosaico’), altri sono scaglie (di tessere) che hanno perso il loro significato originario; ma... da tali frammenti non si può risalire al Messaggio unitario del Mazzolari mediante un semplice lavoro di raccolta, riunione, accorpamento: l' "intero unitario" è ben altro, è oltre alla somma dei frammenti. Il suo "Pensiero" è “pluridimensionale” e "fortemente interconnesso": questa è una delle caratteristiche di un pensiero "profetico" -- profetico nel senso di "inviato da Dio" per noi, e non nel senso di pre-correre i tempi: lui era al passo coi tempi, perché Dio è sempre al passo coi tempi, ed in quel suo pensiero io ho sempre visto che Dio era con lui; siamo stati noi (la maggior parte dei cristiani del XX secolo) che (rispetto a quel pensiero, se si vuole) eravamo "indietro coi tempi"; mi riferisco ai cristiani cattolici "Chierici" e "Laici"--. Un Pensiero di siffatte caratteristiche non può essere "ricostruito" semplicemente riunendo i corrispondenti scritti; può invece essere enucleato da persona veramente preparata ed esperta, uno studioso dallo spirito "creativo e realistico", "anelante alla verità" perché possa penetrare oltre a ciò che appare e coglierla nella sua vivezza, e che sa "guardare con amore" alla realtà umana concreta; uno studioso che nella ricerca interpretativa operasse con quello stesso stile dell'autore di quegli scritti, stile che va prima con pazienza scoperto e capito: soltanto chi si è fatto sul serio discepolo di Cristo può fedelmente interpretare e capire il lavoro di un altro discepolo di Cristo. In particolare, lo studioso deve avere acquisito anche lui la capacità di sviluppare un "pensiero pluridimensionale" con elementi interconnessi. Si badi bene però che tale caratteristica di pensiero di cui sto parlando non è uno "stile letterario linguistico" che l'autore (in questo caso, Mazzolari) si è costruito nel comporre i suoi scritti o i suoi discorsi; è invece il "contenuto" di quel pensiero ad avere quelle caratteristiche, è la "sostanza del materiale" che egli voleva trasmettere ad avere quella consistenza: l'autore l'accoglie nella sua verità, e la traduce all'esterno, cercando di rispettarne il connettivo originario. Il Messaggio Evangelico -- che è quello in definitiva cui Mazzolari si dedicava ad insegnare (mentre con impegno lo attuava in sé) -- è proprio una "sostanza" con tali caratteristiche. Tuttavia, nonostante il fatto che ancora non siano emersi (stando alle mie conoscenze piuttosto incomplete) di tali "studi - ricerca esplicativa", devesì riconoscere un grande merito a don Piero Piazza (che io incontrai più volte già circa 16 anni fa) che con sollecitudine si è prodigato, sin dal nascere della Fondazione (da lui stesso voluta), a ché le tante preziose tracce lasciate da don Primo non andassero perdute, affinché tante altre menti e tanti altri cuori potessero incontrarsi con quella figura umana-cristiana degna di essere "meglio conosciuta". Attorno a don Piero Piazza ci sono stati dei collaboratori, a cui è più che doveroso dire anche a loro un sentito e riconoscente <Grazie!>. Dio ha voluto che Mazzolari "restasse", come pietra di confronto, come spirito incentivante, come esempio confortante; dopo don Piazza (chiamato dal Signore nel suo Regno celeste il 17-11-1992), altri stanno continuando il paziente lavoro, non solo quello di riordinare in modo critico il materiale, ma anche quello di creare modalità funzionali di consultazione dell’eredità culturale di don Primo Mazzolari, nonché modalità di scambio agili ed efficaci fra i vari studiosi e cultori di quelle tematiche. Anche se non appare evidente, questo lavoro è anch’esso indispensabile e prezioso, in quanto prepara delle buone basi per le successive ricerche e studi: a tutti un <Grazie!>. Ritornando alla figura di don Mazzolari, questa caratteristica (piuttosto ‘originale’) del Pensiero e della Personalità del Mazzolari, quella di essere (sia l’uno che l’altra) sistemi fortemente interconnessi (oltre che pluridimensionali), ha permeato l'opera apostolica di don Primo, facendo sì che il suo Messaggio risultasse di più ricco e più denso contenuto; i destinatari (Chierici e Laici) purtroppo si sono mostrati impreparati nel recepirlo, e poco disposti ad "ascoltarlo sul serio": i Chierici per certi fattori, i Laici per altri fattori; l'attività di Mazzolari non trovava perciò un terreno facile, né accogliente. Tuttavia voglio dire che, a mio avviso, è un falso che il maggior ostacolo Mazzolari l'abbia avuto dalla Gerarchia ecclesiastica: i Laici del suo tempo, come anche quelli poi dei decenni successivi, erano investiti da quel Messaggio non meno che i Chierici, in quanto era un richiamo che Mazzolari (sotto lo stimolo dello Spirito Santo) rivolgeva alla <Comunità Ecclesiale> tutta, nessuno escluso -- come lo stesso don Primo spesso, molto spesso ripeteva. Molti Laici di quel tempo, e dei decenni successivi, hanno trovato "comodo" continuare a sonnecchiare all'ombra dell'Autorità ecclesiastica, devolvendo e delegando ad essa ogni potere decisionale ed operativo, e quindi ogni responsabilità. In questo la Gerarchia ecclesiastica -- sebbene mostrasse anch’essa le sue proprie manchevolezze -- ha commesso la grave pecca di farsi "complice" della ingenerosità, fine furbizia, opportunismo, di tanti Laici, che erano stati "personalmente" da Dio chiamati (da quel misterioso Messaggio che giungeva loro attraverso Mazzolari) -- Dio chiama sempre ‘personalmente’, sebbene ‘comunitariamente’ --: complicità resa possibile per il fatto che anch'essi (i componenti della Gerarchia ecclesiastica), smarriti per il susseguirsi veloce degli eventi storici (politici e civili), erano ‘preoccupati’ di non commettere ulteriori errori che avrebbero potuto rendere ancora più precario quello scarso equilibrio che con difficoltà s'era raggiunto tra mondo cristiano e mondo socio-politico ateo. Non si dimentichi poi -- e questo è essenziale, per capire correttamente il pensiero e l'atteggiamento di Mazzolari -- che in questo mondo socio-politico ateo coabitavano due schieramenti opposti: il Fascismo ed il Comunismo, di fronte ai quali l'orizzonte cristiano rischiava di apparire (e quindi eventualmente di porsi o venire posto) come un terzo schieramento, che sarebbe potuto essere "tirato dalla propria parte" da ciascuno dei due contendenti (comunisti e fascisti). Nella persona di Mazzolari, che si era offerto a Cristo come ministro della sua Chiesa e nella sua Chiesa, Dio si rivolgeva al "Suo Popolo", inviava un Messaggio al suo Popolo -il quale è costituito da l’ "intera Ecclesia", Chierici e Laici insieme --. Se il suo Popolo è stato in gran parte sordo o restio ad accogliere quel Messaggio, ad un'analisi attenta ed onesta si potrà mettere in luce quanto hanno mancato i Chierici e quanto hanno mancato i Laici; il grado di colpevolezza e responsabilità di ciascuna delle due componenti ecclesiali lo conosce solamente Iddio: noi non potremmo mai stabilirlo, e neanche ci spetta; preoccuparsi di farlo, può essere un subdolo tentativo diabolico per farci allontanare dall'assumere noi ciascuno le proprie responsabilità, (farci allontanare) dall'accogliere ciascuno il compito da Dio affidatogli. Preciso, per meglio chiarire il mio pensiero, che nel discorso da me fatto (ed in quello che più avanti farò) <responsabilità> e <colpa>, non solo non si equivalgono, ma sostengo che sono due cose sostanzialmente diverse, contrariamente a come comunemente si asserirebbe: la <responsabilità> fa riferimento ad un "compito" che ci si prefigge di adempiere, e questa (la responsabilità) va "assunta"; la <colpa> fa riferimento ad un "venire meno alla responsabilità assunta". Nel campo ecclesiale di oggi, quella che maggiormente io voglio sottolineare è la "mancanza di assunzione di responsabilità" -- agli alti ed ai bassi livelli, sia presbiterali che laicali -- piuttosto che il “venir meno a responsabilità assunte”: se le responsabilità (circa un dato compito) non sono state ‘assunte personalmente’, quale discorso potrà poi farsi a riguardo le colpe per compiti non adempiuti? Saranno discorsi vaganti, che non portano a niente. In tema di <responsabilità>, Mazzolari si è posto da grande maestro e da grande esempio! Tutta la Cultura cristiana intellettuale che si è sviluppata dopo la morte di Mazzolari, compresi i lavori del Concilio Vaticano II, e le varie procedure attuative (sul piano teoretico e su quello pratico) dei contenuti di quel Concilio, elaborate nel non breve periodo ad esso successivo, sono una dimostrazione lampante di una "assenza", di una "latitanza", di un "estraniarsi" dei Laici, non tanto a livello giuridico quanto a "livello vocazionale": "in realtà", non c'è oggi (come non c’era nell’ante-Concilio) un <Laicato cattolico>, c'è solo sulla carta, sulle parole che di volta in volta si usano per fare delle "celebrazioni" di comodo e tranquillizzanti. Tutti gli scritti di don Primo, un po' qua un po' la, mettono in luce questo. I Laici che ascoltavano o leggevano quel parlare, quel comunicarsi -- nei discorsi e negli scritti del Mazzolari --, "giravano ad altri" il peso della responsabilità; fra questi (Laici) c'erano (e ci sono anche oggi), con numerosità notevole, persone molto "vicine al Clero", persone con mansioni intellettuali od operative in settori ecclesiali strettamente collegati con l'operatività del Clero. Si ricordi come don Primo dissentisse nei confronti della Azione Cattolica; non tanto per se stessa, ma per certe regole e normative che si dava, le quali in definitiva ed in realtà "arroccavano" il sistema e limitavano la fertilità dei singoli membri nel loro "Agire Cattolico". Il "vero" <Laicato cattolico> -- quello auspicato con passione da Mazzolari -- non c'era ai tempi suoi stessi (un bel po' prima del Concilio Vaticano II), non è riuscito a crearlo neanche Mazzolari stesso, e non si è formato (in realtà) neanche dopo questo Concilio: non continuiamo ad illuderci! Mettiamoci invece seriamente (e generosamente) all'opera, tutti! "Mettiamo in comune" i doni di Dio che ciascuno ha ricevuto personalmente, tutti, e facciamone tesoro: non continuiamo a sprecarli! Ed altresì, lasciamo che i propri doni vengano "fecondati" -- seppur sotto la guida dello Spirito Santo -- nell'incontrarsi misterioso con i doni di altri, con i quali si auspica (o ci si propone) di instaurare un rapporto umano cooperativo e vitale: anche questo era nello stile di vita di don Primo. Su questa prospettiva, del reciproco fecondarsi dei molteplici doni che lo Spirito Santo ha distribuito nei vari membri del Corpo Ecclesiale, qui sì io reputo che i Chierici, ai bassi ed agli alti livelli, si trovano molto indietro: essi hanno continuato -- e lo fa notare anche Mazzolari nei suoi diari -- e continuano anche dopo il Vaticano II, a prospettarsi una meta ed un cammino di formazione che hanno carattere tipicamente "individualista", con anche delle note tecnicistiche ed 'eccessivamente' pragmatiche. Questa concezione in campo di formazione sacerdotale impedisce, sin dal suo nascere, lo sviluppo della "creatività" dell'essere umano, "essere umano" che è la base dell' "essere sacerdotale"; ed impedisce anche di "aprirsi realmente" all' "orizzonte comunitario interpersonale", che è la base dell' "essere Comunità cristiana". A riguardo il “fecondarsi a vicenda” dei vari doni, questo non deve vedersi (come è invalso nella prassi comune) come un "arricchimento", per somma di doni -- il concetto di <arricchimento> è riduttivo e distorcente rispetto al concetto vitale del <fecondarsi> -bensì deve essere visto come un "trasformarsi", uno "svilupparsi", un "ri-crearsi": ciò implicherà ovviamente "cambiamenti" nella propria personalità, quelli proprio sollecitati dello Spirito Santo. Il mirare ad un “arricchimento” -- seppure di doni spirituali -porterebbe sempre di più ad un atteggiamento, e ad una concezione del proprio essere e del proprio vivere, di tipo “personalistico” ed “individualistico” -- cosa che io reputo negativa, molto negativa nell’oggi della Chiesa --; mentre, mirando ad un “fecondarsi reciproco” dei doni spirituali, si fomenterebbe ed accrescerebbe una “vita comunionale cristiana” Su questa tematica, la Gerarchia ecclesiastica ha un grave ed improcrastinabile compito da affrontare: qui è molto indietro coi tempi! È indiscutibile che in tale compito non può assolutamente essere ancora "assente" la componente laica della Chiesa. In questo problema che ci si prospettasse, si intravedono allora due (e non uno) "nodi" cruciali da affrontare, uno in riferimento ai Chierici -- affinché fra essi si crei realmente una “comunione di ministero” ed una “cooperazione interpersonale nei vari processi di crescita” e di formazione presbiterale, ivi compresa la formazione che si attua nei Seminari, maggiori e minori --, e l'altro in riferimento ai Laici; il nodo circa i Laici è costituito dal fatto che in realtà "non c'è già, il Laicato Cattolico": occorre "ricrearlo", farlo "ri-nascere". Questi due nodi devono essere affrontati "contemporaneamente" ed elaborati in un unico progetto operativo, che li veda e li ponga in stretta relazione reciproca. Il Rinnovamento Ecclesiale non può essere operato con procedure che ancora una volta continuerebbero a tenere "due mondi" (per giunta, separati) nella Chiesa: il “mondo dei Chierici” ed il “mondo dei Laici”; la loro (dei Chierici e dei Laici) collocazione nel "mondo (unico) della Ecclesia" può comportare differenziazione solo a livello di ministero (e quindi a "livello vocazionale" specifico), non a livello di "orizzonte cristiano” (che è unico): non ci possono essere due orizzonti cristiani, uno per i Chierici e uno per i Laici! Si ricordi su questa questione il profondo (e tanto sofferto!) contributo dato dal Card.le John Henry NEWMAN (n. 1801; m. 1890: Primo Mazzolari era nato da pochi mesi), sottolineando come la presenza del Laicato nella Chiesa fosse "costitutiva ed essenziale": <...Quis custodiet Custodes?...> (vedi in particolare il suo volumetto <Sulla consultazione dei fedeli in materia di dottrina>, trad. a cura di Pietro Spinucci Morcelliana, Brescia, 1991). Il Mazzolari conosceva questa generosa figura, come risulta da alcuni documenti. Io ho avuto sempre la vaga sensazione interiore che Dio avesse donato a Primo Mazzolari parte dello spirito di Newman; se non ricordo male, la Fondazione ha dedicato un Quaderno, parecchi anni fa, a questo accostamento tra i due personaggi. Per quanto riguarda l'apporto dottrinale teologico sulla figura dei Laici, il dopo Concilio (oltre al Concilio stesso) è pieno di scritti in merito. Di fatto però tutto è rimasto sulla carta...: non sono stati innescati "processi vitali" concreti che "generassero" il "nuovo" <Laicato Cattolico>. Secondo la mia concezione, questo risultato, scarso ed in qualche modo deludente, era prevedibile, da aspettarselo: non può essere infatti un (o più) documento “dottrinale teologico” a creare in seno alla Chiesa una corrente di “vitalità cristiana”, esso può solo “coordinare” (per renderlo più efficiente e fertile) un certo flusso vitale (operativo) che “sia già sorto (e quindi già presente) nella Chiesa”, e sorto per altri processi ed altre vie che non sono certo i documenti dottrinali e teologici. Ho voluto manifestarle questa parte del mio Pensiero complessivo a riguardo quel “mondo di problemi” che don Primo Mazzolari ha posto sul tappeto ed ha cominciato ad affrontare, da solo purtroppo! Credo che queste mie parole, se si vuole dare ad esse credito, dovrebbero far nascere il dubbio che forse... in tante cose (del mondo ecclesiale) si sia "sbagliato strada" -- non tanto per quello che riguarda la metodica e le procedure tecniche nella pastorale, bensì quanto a "sostanza formativa complessiva" dei singoli soggetti umani protagonisti nel cammino cristiano --, e che la "colpa" (io la intendo nel senso lato, non nel senso come comunemente viene inteso nei vari discorsi che si fanno in merito) non sia affatto tutta della Gerarchia ecclesiastica. Occorre ora intraprendere, da ambo i versanti della Comunità ecclesiale, Chierici e Laici insieme, una "Ricerca fondamentale", compiuta in un’ottica di “Riflessione fondamentale”, che prima di tutto faccia emergere (portare alla luce) le "vere responsabilità" di ciascuno di noi -- che sono quelle che si hanno dinanzi a Dio, perché la Comunità ecclesiale è di Cristo: noi tutti, Laici e Chierici, siamo (e ci dobbiamo porre come) suoi discepoli, i quali appunto devono rendere conto a Lui; e non quelle (responsabilità) che ognuno, per propria comodità, si attribuisce, o si arroga il diritto di attribuire ad altri --, prendendo coscienza del "proprio compito in seno alla Chiesa". Questa <Ricerca fondamentale> è ormai ineludibile! E lo è perché ineludibile (a mio avviso) è altresì il <Ri-pensare la Nuova Evangelizzazione>. Don Primo Mazzolari è stato un “Pioniere della Nuova Evangelizzazione”, intesa questa come l’aveva intesa lui, e non come è stata inquadrata nel dopo-Concilio; per cui “ri-scoprire il Mazzolari, vivo ed apostolo nella Chiesa” sarebbe un lavoro propedeutico importante ai fini di un “Riscoprire la Nuova Evangelizzazione” Non mi dilungo oltre, perché prevedo che questo mio parlare susciterà più perplessità che condivisione in chi mi ascolta. Spero che la mia comunicazione, pur contenendo alcune enfatizzazioni (inevitabili, nel tentativo di trasmettere il corretto significato), venga colta nella sua veridicità indicativa ed assertiva. Vorrei farle conoscere anche alcuni miei scritti degli anni passati; essi sono registrati in un dischetto (da computer). Se lei lo desidera, gli spedirò il dischetto; intanto le accludo il foglio di <presentazione> che lo accompagna. Questa lettera l’avevo già scritta nei giorni scorsi; l’averla sentita per telefono questa mattina mi ha fatto molto piacere. Mi auguro di leggere una sua risposta, quando può. La ringrazio di tutto. Distinti saluti. (Firmato: Vittorio Noè) Dott. Vittorio NOE' (Indirizzo ... ) dott. Gianni Borsa / 27-02-2004 (to: [email protected]) Padova 27 febbraio 2004 all'attenzione del nuovo Direttore della Rivista <Impegno> BOZZOLO (MN) Egr. dottor Gianni Borsa, L'avere appreso, anche se con diversi mesi di ritardo, che la Fondazione Mazzolari adesso ha un sito Internet è stato per me motivo di una certa gioia e di una sentita speranza. A questa novità se ne è associata un'altra: quella di un nuovo direttore della Rivista <Impegno> nella sua persona. Per quanto riguarda la direzione del periodico, sostanzialmente non dovrebbe essere cambiato nulla, in quanto connotata di una certa validità è stata quella del compianto Arturo Chiodi. Io (che ho 72 anni) conosco il Centro Mazzolari da parecchi anni, dagli anni in cui c'era ancora don Piero Piazza, intorno ai 15 anni fa...; e sono stato sempre (e lo resto tuttora) un estimatore di don Primo, di cui credo di aver potuto cogliere certi tratti della sua persona umana e cristiana insieme, attraverso letture dei suoi scritti, accompagnate anche da letture di testi (e discorsi ascoltati) da altri stilati su quel personaggio. Dacché ho conosciuto don Mazzolari è sorto in me un desiderio che ho sempre conservato (e sempre più ravvivato) di poter dialogare con altre persone che nutrono un certo apprezzamento dell'opera di quel sacerdote, unitamente ad un desiderio concreto di operare passi nuovi, che mettano meglio in luce ed attualizzino nel concreto reale dell'umano cristiano quello che fu lo spirito profetico ed apostolico di don Primo. La gioia e la speranza espressale nell'inizio di questa lettera è in gran parte legata a quei due eventi (novità) suddetti, e si sprigionano da questo mio desiderio che le ho manifestato. Cosa hanno significato per me le due novità? 1) La creazione di un sito consente un allargamento ad altri del contenuto complesso che è l'evento Mazzolari (ho trovato a me congeniale l'uso del termine “evento” per indicare l'intera presenza storica di Mazzolari nella Chiesa e nella società); il che porta ad allargare la cerchia degli ipotetici interlocutori in vista di quel dialogo che ho sempre auspicato. Il sito Internet poi permette l'uso della posta elettronica, che oggi è un valido strumento di comunicazione come avevo accennato a don Giuseppe Giussani in una lettera inviatagli poco più di un anno fa; ed offre anche un modo semplice per organizzare team di lavoro e di riflessione da parte di un gruppo di persone (abitualmente quasi impossibilitati ad incontri diretti) che si fossero accordati per quel progetto. 2) Il portarsi alla ribalta come direttore della rivista di un nuovo soggetto suscita in me nuova speranza che io possa trovare in questo nuovo soggetto quelle modalità di incontro e di ricerca conoscitiva che mi consentano di portare sul tavolo, per una conoscenza più allargata da parte di altri, quelle molteplici riflessioni che nel corso di tanti anni sono andato via via elaborando: sulla figura di don Mazzolari sulla sua opera sul suo pensiero. Il taglio della mia formazione mentale e spirituale, e così anche il mio stile di pensiero, sono piuttosto diversi da quelli che comunemente si incontrano, e questo è uno dei fattori di divergenza nella dialettica del discorso che potrebbe nascere fra me ed un ipotetico interlocutore; eppure, anche in ciò avverto una certa assonanza quando leggo scritti di don Mazzolari, così come avverto che di fatto quello scritto di Mazzolari (su cui ho posato la mia attenzione) risulta, nella comune prassi interpretativa svolta da altri lettori, non colto nella sua giusta luce e nelle sue reali implicazioni, che pure erano presenti nella persona del Mazzolari quando esprimeva parte di sé in quel suo manifestarsi (per iscritto o a voce). Non mi dilungo. Spero solo si possa aprire un fruttuoso dialogo almeno in vista di una più allargata conoscenza ed in vista anche di un ulteriore potenziamento della operatività del Centro Mazzolariano; potenziamento non tanto nel senso di moltiplicazione di procedure tecniche o di rafforzamenti delle piste su cui attualmente si procede, quanto piuttosto nel senso di una più profonda ed estesa incidenza nel modo di procedere, nel modo di ricercare piste nuove, nel modo di affrontare i problemi, nel modo di guardare ai possibili sviluppi e frutti conseguibili. Nella prospettiva sopraddetta, di un dialogo sincero tra coloro che sono interessati ad allargare il campo conoscitivo inerente alla figura del Mazzolari -- e conseguentemente (perché don Primo non era un pensatore speculativo, bensì un “animato operatore lungimirante") a promuovere iniziative che diano vita nel concreto dell'umano-cristiano a scambi di risorse umane e spirituali, per una reale “crescita cristiana", individuale e comunitaria, in seno alla Chiesa -- metto a disposizione di altri che lo desiderano la mia e-mail. La ringrazio dell'attenzione prestatami e la saluto distintamente. (Firmato: Vittorio Noè) NOE' dr. Vittorio Via Montorio, 108 int. 38 -- 37131 VERONA tel. 045-976530 E-mail: P.S. In questo periodo, e non so sino a quando, mi trovo a Padova, al seguente indirizzo: (Indirizzo ... ) Fine