CULTURA GIORNALE DI BRESCIA DOMENICA 19 FEBBRAIO 2012 57 ELZEVIRO Tanti volti dietro le maschere del Carnevale di Egidio Bonomi Q Nella fotografia qui sopra: due segni dello Zodiaco tratti da un prezioso manoscritto di epoca medievale Tra le preziose carte dell’astrologia Pubblicata la più completa bibliografia delle edizioni a stampa del genere dal 1468 al 1930, grazie alla passione di Leandro Cantamessa I l motivo per cui, chi si occupi oggi di edizioni astrologiche del Rinascimento, debba varcare la soglia della Biblioteca Colombina di Siviglia, è presto detto. Ferdinando Colombo, al secolo Hernan Colón (1487-1539), figlio del più celebre navigatore, ne fu un accanito collezionista, raccogliendo durante i suoi spostamenti una messe di opuscoli e plaquettes di poche carte, spesso illustrate, che sopravvivono oggi presso la biblioteca a lui intitolata. Annotava al risguardo o alle prime carte data e luogo dell’acquisto, spesso anche la cifra sborsata. Non risulta invece che avesse intenzione di compilarne un’accurata bibliografia. A distanza di cinque secoli un’identica passione sembra accomunare il noto avvocato milanese Leandro Cantamessa allo storico e bibliofilo spagnolo. Con l’aggravante che Cantamessa, oltre a radunare una raffinatissima collezione di argomento astrologico, è venuto a capo dell’impresa di redigerne una monumentale bibliografia. Non solo, ma ha scelto di vestire i panni del bibliografo per la seconda volta in pochi anni: una prima versione della bibliografia apparve infatti nel 2007 per l’editore Olschki. Non soddisfatto, alle prese con nuove scoperte bibliografiche, a distanza di pochi anni Leandro Cantamessa, anziché per un volume di errata e addenda, ha optato per uno strumento nuovo, consapevole che, se le bibliografie non fanno Uno dei volumi che fanno parte della collezione di Leandro Cantamessa Molti dei volumi archiviati contengono preziose illustrazioni «parte della razza dei libri di amena lettura», si deve però pretendere che siano almeno strumenti facili da maneggiare. I numeri incutono rispetto: dai due volumi del 2007 si è passati a quattro, compreso uno di indispensabili indici, autentica bussola per addentrarsi nelle circa 9000 schede, ordinate per autore, che offrono la più completa bibliografia delle edizioni a stampa astrologiche dal 1468 al 1930 («Astrologia. Ins & Outs opere a stampa 1468-1930», Milano, Otto/Novecento editore, 2011, pp. 3.313). Fin dagli albori dell’arte tipografica pronostici e libretti astrologici sono stati un buon investimento per i tipografi: si trattava infatti di opuscoli di poche carte che non richiedevano un particolare impegno economico e tecnico a fronte di un rapido smercio. Il destino di tali libretti non era però l’attenta conservazione, quanto piuttosto un rapido e convulso consumo: letti da pochi, ascoltati dai più, passavano di mano in mano, fino a un inevitabile deperimento. Una simile fruizione dà ragione dell’assoluta esiguità degli esemplari conservati e della scomparsa senza lasciare traccia di molte altre edizioni, il che complica terribilmente il lavoro del bibliografo, sempre in ansia per l’improvvisa scoperta dell’unicum di un’edizione ancora sconosciuta. Diffusissimo, e facilmente smerciabile, era il pronostico astrologico annuo, genere in cui primeggiò Luca Gaurico (1475-1558), che riuscì persino a raggiungere un’ambitissima prebenda episcopale (Cantamessa vi dedica le schede 2941-2973). Il tutto a colpi di profezie più o meno veraci, che gli crearono anche qualche grattacapo, come quando nel 1506 aveva malauguratamente previsto la prossima cacciata dei Bentivoglio da Bologna, ottenendo in cambio quattro tratti di corda e qualche giorno di carcere. Fece in tempo a mettere voce nel capitolo densissimo e intricato del nuovo diluvio universale previsto per il 20 febbraio 1524. La questione fu occasione per una miriade di opuscoli e pubblicazioni a tema su cui ora soccorre un’efficace tavola allestita da Cantamessa (p. 3031). L’aveva previsto per primo, sullo scorcio del Quattrocento, il tedesco Johann Stoeffler nell’«Almanach nova plurimis annis venturis inservientia» stampato a Ulma nel 1499 (scheda 7711). I lettori furono presi dall’angoscia, come lascia intravedere persino un esemplare dell’edizione Venezia 1507 conservato nella Biblioteca Queriniana di Brescia. Un anonimo lettore è sorpreso prendere nota nel mese di febbraio delle condizioni climatiche giornaliere («fuit serena... nubilosa... ventosa... tota serena»). Nessuna postilla confessa, però, se la mattina del 21 febbraio, guardando dalla finestra, abbia tirato un bel sospiro. Giancarlo Petrella uando nasce il carnevale? Eh, le radici sono lontanissime, ma così com’è giunto fino a noi è un’istituzione della Chiesa cattolica che poi, ad un certo momento, lo aveva condannato perché contrario al rigore del momento quaresimale destinato alla riflessione e alla riconciliazione con Dio. Poi, alla fine, il carnevale... prevale. Il vocabolo deriva dall’allocuzione latina «ad carnes levare» riferita all’ultima domenica precedente la Quaresima in cui era proibito il consumo di carne; quindi carnelevare, che diviene poi carnevale. Le prime testimonianze sull’uso del vocabolo, che faceva anche «carnevalo», risalgono alla fine del 1200 e si trovano nei testi del giullare Matazone da Calignano. E tuttavia le radici sono molto antiche, dal tempo delle feste dionisiache dei Greci, ai Saturnali dei Romani durante i quali ci si mascherava, si cambiava d’identità col travisamento e tra i Romani avveniva il temporaneo scioglimento degli obblighi sociali e delle gerarchie tanto che, sia pure per un solo giorno, i servi la facevano da padroni e viceversa. La Chiesa, come in altre occasioni (l’Epifania, ad esempio) ha fatto sue, trasformandole, antiche usanze e, riguardo al carnevale, liberava una settimana segnata da una sorta di caos rispetto all’ordine costituito che poi riemergeva garantito per un altro anno. Il carnevale era detto anche tempo di Settuagesima, com’era chiamata la prima delle nove settimane che precedono la Settimana santa nella quale si celebravano anche le Sante Quarant’ore, dette a loro volta «Carnevale sacro». Ma è soprattutto nel secolo XIII che la ricorrenza mascherata si diffonde in tutto il mondo cattolico col nome - anche - di «festum fatuorum», ossia festa degli sciocchi nella quale si incorona l’«episcopus puerorum» (letteralmente, il vescovo dei ragazzi) o l’«abbas (abate) puerorum o iuvenum» (dei ragazzi o dei giovani). Nel ’200 uomini e donne si scrollavano di dosso gli affanni quotidiani per assumere maschere, vesti e atteggiamenti diversi. Uscivano per le strade cantando, ballando, giocando scherzi, spesso volgari. Si lanciavano uova, castagne, vino, acqua, confetti, mandorle, ma anche sassi, e non mancavano veri e propri abbordaggi. Talvolta qualcuno approfittava della confusione generale per consumare impunemente vendette personali. A Roma, poi a Venezia e infine in altre città occidentali, il carnevale ad un certo punto viene organizzato dallo stesso clero. I cortei erano allestiti al di fuori delle chiese al seguito del sagrestano coronato di fiori e ornato di lunghe corna, il quale teneva in pugno, agitandolo comicamente, un bastone dotato di campanelli. Carnevale pazzo d’un tempo ampiamente andato, carnevale d’oggi forse senza molta capacità di folleggiare. Sul traballante carro della crisi. Le vigne di Bellavista diventano «Giardino» Scelte da un prestigioso network culturale come luogo pregiato da visitare L Il vigneto di Bellavista fotografato sotto la neve e vigne di Bellavista a Erbusco, Corte Franca e al Montorfano di Rovato, incantevoli anche in questa stagione con uno spruzzo candido di neve, le viti amorevolmente potate in un ordine fitto che fugge in lontananza, certo frutto della mano dell’uomo, ma anche tanto rispettose del terreno disegnato dalla natura, possono essere lette e visitate come un giardino. Da mercoledì scorso l’incanto delle viti di Franciacorta è ufficialmente l’83˚ «Grande giardino» che va ad alimentare un prorompente turismo ortoculturale accanto alla Reggia di Caserta, la Reggia di Venaria, Villa d’Este, il giardino di Boboli. È la prima volta (e per ora unica) che il prestigioso network culturale sceglie un vigneto. Un segnale da non sottovalutare di nuova concezione del paesaggio. Così d’ora in poi i 7,5 milioni di visitatori (tanti quelli del 2011) attesi anche per quest’anno si riverseranno anche qui sbirciando la fioritura, poi l’invaiatura ed infine la prorompente maturazione dei grappoli, proprio come si va «devotamente» al cospetto di un raro ibrido di rosa. Bellavista è azienda del gruppo Terra Moretti, 190 ettari di cui 107 a vite. Nel circuito è entrata anche una delle ultime creature di Vittorio Moretti, cioè la tenuta di Petra, 100 ettari a vite nella Maremma toscana. Altro paesaggio, afrori di mare, ma identica attenzione alla natura. Esulta del nuovo ingresso Francesca Moretti, responsabile del settore vino del gruppo, ma esulta anche il network che vede nell’evoluzione di questo turismo culturale («horticultural tourism» nella dizione internazionale) una valorizzazione di alto livello dell’impareggiabile paesaggio italiano. La nostra provincia è già ben rappresentata nel gruppo con il Vittoriale degli Italiani e il giardino botanico André Heller di Gardone Riviera, e l’Isola di Garda di San Felice del Benaco. Gianmichele Portieri