Un passo sul lato oscuro
Un passo
sul lato oscuro
La genesi di Dark Side
Intervallo
Londra, venerdì 18 maggio 1973. I Pink Floyd all’Earls Court.
La prima parte del concerto si era snodata tra vecchi classici proposti con la
disinvoltura tipica di chi li ha magistralmente suonati decine e decine di volte: Set
The Controls For The Heart Of The Sun con il gong che andava in fiamme, Careful
With That Axe, Eugene, durante il quale un astronauta si ergeva dietro Nick Mason penetrando con occhi luminosi la cortina di fumo bianco che fluttuava sul
palco, ed Echoes, conclusa nello sfavillìo dei raggi di luce riflessi ovunque dalle
numerose mirror balls sospese sopra il palco.
Le aspettative per questo concerto erano enormi. Per i fan londinesi si trattava
di un attesissimo ritorno, dato che l’ultima esibizione casalinga dei Floyd risaliva
all’ottobre 1972 a Wembley. Ma c’era un motivo d’interesse in più, e non era cosa
da poco: il nuovo album The Dark Side Of The Moon era stato pubblicato da
poche settimane, per cui assistere alla presentazione dell’opera che già stava avviando i Pink Floyd alla consacrazione mondiale era per ogni appassionato qualcosa di irrinunciabile. A testimoniare tutto ciò il sold out della
prima serata, con diciottomila presenze, e il conseguente annuncio di
un secondo concerto fissato per sabato 19 maggio, anch’esso andato esaurito. La doppia esibizione, del resto,
era già stata prevista con largo anticipo, visto che il programma (una bella
brochure di sedici pagine, piena di ritagli di giornale e foto degli eventi live
del gruppo) riportava in copertina
entrambe le date.
Per addetti ai lavori, organizzatori, manager e giornalisti, questo concerto era anche – o soprattutto – mo144
tivo di ansia e preoccupazione: solo una
settimana prima David Bowie, sempre
all’Earls Court, era stato protagonista di
un clamoroso fiasco (come scrisse la
stampa del settore “fu visto da pochi e
ascoltato da pochissimi”), cosicché, considerando la deprecabile acustica di
quella immensa sala, troppo grande per
un normale concerto, le premesse non
erano delle migliori. Né la prospettiva di
devolvere l’intero incasso a un’organizzazione meritoria come Shelter (un ente
benefico a sostegno dei senzatetto)
avrebbe reso più accettabile l’eventualità
che anche lo show dei Pink Floyd potesse soffrire degli stessi problemi.
Ma i Floyd avevano dimostrato, già nella prima parte del concerto, come in un’arena enorme quale l’Earls Court fosse possibile realizzare uno show perfetto, sfruttando al meglio le proprie risorse per
mettere a punto un impianto di amplificazione quadrifonico con un suono di assoluta purezza in grado di raggiungere ogni
angolo della sala; senza contare – com’era
lecito aspettarsi dalla band – luci ed effetti di grande impatto visivo (benché “Mr
Screen”, lo schermo circolare che sarebbe
divenuto il segno distintivo dei loro futuri
spettacoli, non esistesse ancora).
La seconda parte dello show era riservata a The Dark Side Of The Moon. Anche se fresca di uscita discografica, in realtà non si trattava di una novità assoluta,
almeno per chi era solito seguire le vicende live del gruppo: i Pink Floyd, infatti,
stavano portando l’album in tour da più di un anno. Questo fatto rappresentava
una piccola rivoluzione nel loro metodo di lavoro: di solito un nuovo pezzo veniva prima registrato e poi eseguito dal vivo; e succedeva anche che dopo averlo
suonato a lungo nei concerti i Floyd si accorgessero di qualcosa che non era stato
fatto a tempo debito in studio, oppure di errori non più rimediabili commessi in
fase di registrazione. Questa volta invece l’album era stato concepito con l’intenzione di portarlo dapprima on the road nella versione integrale per tutto il tempo
necessario a perfezionarlo e verificarne il potenziale, fino al momento in cui si
sarebbe definitivamente entrati nello studio di registrazione per inciderlo; ed era
la prima volta che veniva seguita questa strada.
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Alle origini del mito
Alla fine di novembre 1971, negli studi Decca di West Hampstead il gruppo
aveva iniziato a buttar giù delle idee e via via a svilupparle e provarle per una
dozzina di giorni; c’era la spinta di un Waters ipercreativo, autore di liriche ispirate al tema della follia, concept del nascente album incentrato sulle pressioni
negative che gravano sull’individuo e lo conducono all’alienazione mentale.
Evidentemente anche i Pink Floyd, avallando un’affermazione di Frank Zappa
(“Touring can make you crazy”, “Andare in tour può farti impazzire”), incominciavano a sentire il peso delle lunghe tournée, dei continui spostamenti e dei
soggiorni lontano da casa, ed erano sempre più soggetti – forse ancora inconsciamente – al progressivo effetto boomerang del notevole flusso di cassa. L’opera si discostava nettamente da
“epici poemi musicali” come Atom Heart Mother
ed Echoes, per usare la definizione di Waters in un’intervista pubblicata su Sounds. Waters aggiunse che i
Floyd “stavano ritornando sulla terra, un po’ meno
impegnati in voli della fantasia e un po’ di più nelle
cose che realmente coinvolgono la gente.” (“è più intellettuale […], siamo diventati intellettuali”, affermò
riferendosi al concept di The Dark Side).
Va detto che buona parte del materiale confluito nella nuova suite risaliva a sedute precedenti, anche molto
indietro nel tempo; non erano necessariamente interi
brani, in molti casi si trattava di pochi accordi, frammenti e idee mai concretizzate. Significativo, a questo
proposito, il concerto del 20 novembre 1971 a Cincinnati (ultima data del tour americano), dove, nel corso di
una lunga improvvisazione su The Embryo, i Floyd avevano toccato molti dei temi musicali che avrebbero sviluppato di lì a poco. Ma non si trattava certo di una
semplice operazione di recupero: merito del gruppo era
l’essere riuscito a fondere e plasmare quel materiale così eterogeneo in qualcosa di
organico e immediatamente fruibile, anche se suscettibile di miglioramenti.
L’opera era stata quindi completata nelle prime settimane del 1972, utilizzando
anche una sala prove di proprietà dei Rolling Stones a Bermondsey, un quartiere
di Londra. Come rivela Nick Mason nel suo libro Inside Out, la suite all’epoca era
già chiamata Dark Side Of The Moon, A Piece For Assorted Lunatics, quantunque
in certi momenti il titolo oscillasse tra quello ed Eclipse. La necessità di avere nuovo materiale pronto in tempi brevi era dovuta al fatto che un tour – ampiamente
anticipato dai giornali – era ormai alle porte, finalmente in terra inglese, dopo una
stagione autunnale spesa in una lunghissima tournée americana. Perciò occorreva
rinnovare il repertorio live: The Dark Side Of The Moon avrebbe dunque costituito parte integrante della nuova scaletta, occupando tutta la prima metà dello
show, mentre la seconda parte avrebbe visto la riproposizione di pezzi classici.
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Per il tour i Floyd avevano acquistato un nuovissimo impianto di amplificazione WEM con banco di mixaggio a 28 canali, che distribuiva il suono a un sistema
quadrifonico a 360° mai ascoltato prima. In un’intervista uscita sul New Musical
Express Rick Wright affermò al riguardo: “Siamo costantemente alla
ricerca di cose nuove […], abbiamo speso gli ultimi cinque
anni nel miglioramento dell’attrezzatura, non per il volume
ma per la qualità del suono”.
Un’altra innovazione importante riguardava il light
show: progettato da Arthur Max (che aveva già avuto
modo di apprezzare i Pink Floyd, essendo stato tecnico delle luci al Fillmore East di New York in occasione del loro concerto nel 1970), l’impianto aveva
l’indubbio vantaggio di essere trasportabile, il che
assicurava l’indipendenza dall’impianto luci delle
sale in cui di volta in volta si sarebbero esibiti, per
quanto valido potesse essere. Soprattutto, Max aveva
elaborato un light show coordinato e sincronizzato con la
musica, che nei concerti avrebbe comandato lui stesso, con
l’ausilio di due operatori (Arthur Max resterà al servizio della band fino alla fine del 1974).
Infine, furono registrati vari nastri con effetti sonori e vocali di accompagnamento alla musica. L’attrezzatura, che raggiungeva le nove tonnellate e richiedeva tre autocarri per il trasporto e sette
persone per il montaggio, era così imponente che
Wright, vedendola, ebbe a dire: “Cristo, ma io devo
solo suonare un organo!”.
Il tour esordì il 20 gennaio 1972 a Brighton. Il debutto di The Dark Side Of The Moon non fu dei più
felici: un corto circuito dell’impianto di amplificazione
bloccò l’utilizzo delle basi registrate proprio all’inizio di
Money, il che si tradusse in un forte ronzio che rese impossibile proseguire, costringendo la band a ritornare dopo
poco, con brani del vecchio repertorio. Un blackout
elettrico, invece, fu il motivo della sospensione del
concerto di Manchester, l’11 febbraio. Il tour fu comunque acclamato sia dal pubblico sia dalla critica
In alto, la prima edizione inglese SHVL 804
con prisma a colore pieno.
Al centro, la seconda versione inglese SHVL 804.
In basso, il prisma rovesciato dell’edizione
sudafricana SHVLJ(D) 804.
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(fino ad allora mai generosa nei giudizi sui Pink
Floyd), raggiungendo l’apice del consenso in quattro serate al Rainbow Theatre di Londra, dal 17 al
20 febbraio, in cui l’album fu presentato ufficialmente alla stampa mondiale. Fu giudicata la loro
miglior esibizione di sempre, in particolare per lo
sbalorditivo stage act, la superba qualità del suono, gli strabilianti effetti scenici e pirotecnici.
Il programma del Rainbow, un libretto di dodici
pagine distribuito gratuitamente per l’occasione
(oggi ambitissimo dai collezionisti), conteneva i
testi delle canzoni, tutte senza titolo, oltre ad alcune foto del gruppo ripreso in studio all’epoca di
Meddle, nonché un articolo che illustrava le tematiche di The
Dark Side Of The Moon e lo stato dell’arte dello spettacolo dei Floyd. Un opuscolo arancione con i testi, intitolato The Dark Side Of The Moon – A Piece For
Assorted Lunatics by the Pink Floyd, era stato inoltre distribuito come guida per
una miglior comprensione dell’album; anche in questo caso i brani non avevano
titolo, ma erano soltanto numerati.
Circolava anche uno “show souvenir” non ufficiale di poche pagine,
contenente una breve biografia del
gruppo e le date del tour: in pratica,
un espediente dei bootleggers per
monetizzare l’occasione.
Dal punto di vista musicale la suite, nella sua forma originaria, era piuttosto ruvida e scostante: i brani erano
già nella sequenza definitiva ma apparivano slegati tra loro, alcuni mancavano di un finale, le parti di organo
arrivavano improvvise (e non come
continuazione del tema); le esecuzioni live, poi, non erano così pulite
come ci si poteva aspettare, come nel
caso della Mortality Sequence (futura
The Great Gig In The Sky), dove i nastri preregistrati con preghiere dal Libro degli Efesini, discorsi biblici, citazioni e sproloqui del discusso
personaggio radiofonico Malcolm
Muggeridge finivano col sopraffare la
musica. Del resto, era proprio l’esistenza di parti deboli e difetti “di gio148
ventù” a giustificare la scelta di sviluppare i
necessari aggiustamenti e le inevitabili modifiche attraverso innumerevoli esecuzioni
live, traendone di volta in volta utili indicazioni oltre a un immediato feedback del
pubblico. Già a Bristol – poche tappe dall’inizio del tour – fu possibile ascoltare la finale Eclipse (che fino ad allora era stata, in
pratica, soltanto la coda di Brain Damage:
una breve escursione del sintetizzatore che
chiudeva la suite con l’urlo di una sirena che
si spegneva lentamente) in una forma estesa
e completa delle liriche che Waters aveva
appena scritto, dopo essersi reso conto che
il pezzo risultava alquanto “zoppo”: un
esempio della validità del metodo di lavoro
adottato. Seguì dunque un lungo test sul
Versione “orzata” del disco,
campo che, tra marzo e aprile, portò l’al- con copertina ritagliata (round-cut
bum prima in Giappone e poi negli USA, cover) di provenienza francese, che lascia
dove veniva suonato sempre nella prima vedere il disco che contiene.
parte di ogni concerto.
Lo show abortito a Manchester fu recuperato con due serate alla fine di marzo;
lo stesso avvenne per l’incidente di Brighton, rimpiazzato con due concerti il 28
e 29 giugno (quest’ultimo fu filmato da Peter Clifton, che lo incluse in parte nel
suo documentario Sound Of The City 1964-1973). La performance di Brighton
parve un po’ sottotono, tanto che la critica musicale, riferendosi al nuovo album,
ne rimarcò l’assenza di slanci e una generale disunione tra le diverse parti.
Eclipse: avrebbe potuto essere questo il
nuovo titolo dell’album. La pubblicazione
di un disco dei Medicine Head intitolato
D ark S ide O f T he M oon spinse infatti i
Pink Floyd a cambiare nome al loro album,
onde evitare equivoci: lo presentarono
dunque come Eclipse (il titolo che originariamente era già stato in ballottaggio con
Dark Side) in vista del tour americano che
stavano per intraprendere verso la metà di
aprile del 1972. Il cambio di nome era ufficiale, come testimonia il programma pubblicato dalla Capitol (la casa discografica
dei Pink Floyd negli USA) in occasione del
tour, che recava, appunto, il titolo “Eclipse
(A Piece For Assorted Lunatics) By Pink
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Floyd”; anche questo opuscolo conteneva i testi dell’album con la semplice
numerazione dei diversi brani. Gilmour dichiarò di essere contrario a quella
scelta, poiché il titolo originale era stato pensato prima ancora che i Medicine
Head pubblicassero il loro disco, e a quel titolo i Floyd non volevano rinunciare.
Finalmente, visto e considerato che il disco dei Medicine Head era passato quasi inosservato, alla fine dell’estate l’album riprese ad essere chiamato, una volta
per tutte, The Dark Side Of The Moon.
Il secondo tour in Nordamerica, svoltosi tra Stati Uniti e Canada nel mese di
settembre, aveva portato con successo Eclipse/ The Dark Side Of The Moon
davanti alle platee più vaste che i Pink Floyd avessero mai affrontato. Particolar150
mente spettacolare fu il concerto tenuto
il 22 settembre all’Hollywood Bowl, tra
le colline a ridosso di Los Angeles, dove
otto potenti proiettori sferzarono il cielo
con i loro fasci luminosi e, alla fine, brillarono sull’anfiteatro scenografici fuochi
artificiali multicolori.
Lo stage show stava raggiungendo
livelli di altissima qualità. L’esibizione
del 21 ottobre all’Empire Pool di Wembley (un concerto benefico in favore
della War On Want, un’organizzazione
a sostegno dei poveri) fu memorabile
per il perfetto mix tra la performance
musicale di T he D ark S ide O f T he
M oon e gli straordinari effetti visivi:
imponenti torri illuminavano costantemente la band con luci colorate soffiandovi sopra, a intervalli, del fumo che si
aggiungeva alla nebbia formatasi dal
ghiaccio secco, il che produceva un’atmosfera surreale.
L’evoluzione della suite, nel frattempo, non aveva presentato cambiamenti
di rilievo. Il fatto maggiormente degno
di nota fu il graduale passaggio della
Mortality Sequence verso una struttura
musicale più vicina a The Great Gig In The Sky, pezzo in cui si sarebbe poi radicalmente trasformata; già a Wembley era evidente un utilizzo più discreto dei
nastri preregistrati e dell’organo, meno importante rispetto ai primi concerti, in
favore delle nuove parti di piano scritte da Wright.
Il percorso di sviluppo on the road di The Dark Side Of The Moon si concluse con una serie di concerti tenuti tra novembre e dicembre in giro per l’Europa, in cui l’abbandono della deprimente Mortality Sequence fu pressoché
definitivo: a Zurigo, ad esempio, il 9 dicembre si poté ascoltare una bella performance di The Great Gig In The Sky – documentata da un’ottima registrazione
amatoriale – già nella nuova versione, ancorché senza voci femminili, ma con un
pregevole lavoro di Wright al piano.
L’ultima esibizione del 1972, avvenuta il 10 dicembre al Palais des Sports di
Lione, fu anche l’ultima occasione per ascoltare The Travel Sequence, la versione
originaria della futura On The Run: essenzialmente era un’improvvisazione di
tastiere e chitarra, un po’ piatta per la verità, che terminava in maniera molto
semplice, in pratica sfumando sul tic-tac che introduceva Time, invece della ben
nota esplosione.
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Nel mese di gennaio del 1973 furono portate a termine le sedute di registrazione dell’album, in parte già avviate nel giugno
’72. Si concretizzarono così tutte le indicazioni fornite da quel
rodaggio durato oltre un anno, ovviamente con ulteriori ritocchi,
nuovi effetti e quant’altro consentiva la moderna tecnologia di
studio: i Pink Floyd avevano un approccio meticoloso verso
ogni aspetto della registrazione e sapevano fare uso dello studio
come se fosse esso stesso uno strumento integrale. On The Run
fu completamente rielaborata con l’impiego del nuovo sintetizzatore EMS (dotato di tastiera, a differenza del predecessore VCS3), e molto altro fu
fatto negli studi di Abbey Road, grazie anche all’abile supporto di Alan Parsons, già
addetto all’acquisizione di effetti sonori su nastro per la EMI e ora ingegnere del
suono per il nuovo lavoro; fu opera sua, tra l’altro, la sequenza sincronizzata degli
orologi di Time. Per The Great Gig In The Sky la cantante Clare Torry fornì una
performance di straordinaria caratura: nata quasi per caso durante una delle tante
sedute, finì per diventare la caratteristica peculiare del brano.
The Dark Side Of The Moon esordì nella nuova e definitiva veste in un tour
nordamericano che partì ai primi di marzo. L’album fu pubblicato il 23 marzo
in Inghilterra; negli Stati Uniti, approfittando del fatto che la band si trovava in
tour nel Paese, l’uscita fu anticipata al 10 marzo.
Il secondo tempo a Earls Court
Un battito cardiaco pulsante, sempre più forte, investe gli spettatori che stanno ancora riprendendo i loro posti all’interno dell’Earls Court. L’enorme pallone appeso al soffitto si accende, a rappresentare la Luna, mentre una voce irrompe dal nulla: “I’ve been mad for fucking years”. I riflettori inquadrano i Pink
Floyd già sistemati sul palco, pronti per celebrare la prima europea del loro album capolavoro. L’ormai leggendario light show entra in azione, batterie di luci
colorate fanno risplendere la scena, tra specchi, riflettori e nuvole di ghiaccio
secco che ne enfatizzano l’effetto; lampi di luce stroboscopica escono dalla batteria di Mason. Una novità dello show è il grande modello di aereo, simile a un
enorme dardo lungo oltre quattro metri, di colore argento e rosso, che all’apice
del climax di On The Run sorvola il pubblico andando a schiantarsi dietro al
palco in una palla di fuoco.
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La performance dei Floyd è superlativa; il pathos aumenta quando al gruppo si uniscono “Mr Sax” Dick Parry e le coriste Nawasa Crowder, Mary Ann
Lindsey e Phyllis Lindsey in The Great Gig In The Sky e nelle successive Money
e Us And Them; l’impasto sonoro è coinvolgente e la musica fluisce senza sbavature. C’è soltanto un piccolo incidente, durante Us And Them, quando Wright
intona la terza strofa mentre Gilmour sta cantando la seconda… Wright allora
si ferma aspettando che il compagno finisca, per ritornare in sincronia subito
dopo l’intermezzo del sax.
Schegge di luce, riflesse da un grande disco posto in alto sul palco, rimbalzano sul
pubblico durante l’eclisse solare di Eclipse; si sentono i rintocchi di una campana,
mentre alcuni razzi partono dal palco diretti
verso la sommità della sala: è il finale di The
Dark Side Of The Moon, ed è un trionfo.
Il tempo di un bis, One Of These Days, e il
pubblico entusiasta lascia la hall, accecato dai
fasci luminosi dei potenti riflettori militari che
investono la facciata dell’Earls Court e scandagliano il cielo. I giornali di settore avranno tutti parole d’elogio per questo concerto, ma c’è
chi sa dire tutto semplicemente così: “DEAR
Earls Court, Thanks God for Pink Floyd” (Jonathan N., London).
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Le radici di The Dark Side Of The Moon
The Dark Side Of The Moon / Eclipse (A Piece For Assorted Lunatics)
La suite che i Pink Floyd realizzarono alla fine del 1971 fu composta dalla band come un vero e
proprio collage di temi musicali che non avevano utilizzato negli anni precedenti. Alcuni di questi
furono sviluppati durante il tour americano di fine anno: la prima esecuzione pubblica conosciuta
avvenne a Cincinnati il 20 novembre 1971 all’interno di The Embryo, che, grazie anche all’inserimento di questo tema inedito in forma di jam strumentale, nell’occasione toccò la durata di ben 28
minuti (contro i 10 canonici).
Tra parentesi, dopo il titolo del brano, compare il nome di lavoro utilizzato durante le registrazioni
in studio ad Abbey Road tra il giugno 1972 e il gennaio 1973.
Speak To Me (Intro)
Il battito pulsante deriva da Heart Beat, Pig Meat (dalla colonna sonora di Zabriskie Point, 1969).
Registrata come Heartbeat Intro nelle sedute per l’aggiunta delle sequenze in studio di Live At
Pompeii (Parigi, Studio Europa-Sonor, dicembre 1971).
Breathe (Breathe)
Nasce da un’improvvisazione eseguita durante il concerto di Cincinnati del 20 novembre 1971.
Il titolo e le prime parole sono ispirati a Breathe (da Music From The Body, 1970); in quasi
tutte le edizioni in vinile di The Dark Side Of The Moon il titolo sull’etichetta era stranamente
riportato come Breathe In The Air (pur restando Breathe nella scaletta della copertina). Wright fu
influenzato da All Blues di Miles Davis (da Kind Of Blue, 1959).
Sviluppata nelle sedute del dicembre ’71 - gennaio ’72.
On The Run (Travel)
Originariamente era una lunga jam di chitarra chiamata The Travel Sequence, nata dalle sedute
del dicembre ’71 - gennaio ’72.
Completamente rielaborata in studio nelle sedute di registrazione del gennaio 1973.
Time / Breathe Reprise (Time / Home Again)
È presente in un demo di Waters del 1971; si può ascoltare in audio, per voce e chitarra acustica,
nel DVD The Making Of The Dark Side Of The Moon.
Sviluppata nelle sedute del dicembre ’71 - gennaio ’72.
The Great Gig In The Sky (Religion)
Originariamente era un assolo di organo chiamato The Mortality Sequence, nato dalle sedute del
dicembre ’71 - gennaio ’72.
Completamente rielaborata in studio nelle sedute di registrazione del gennaio 1973.
Money (Money)
La linea di basso della parte centrale deriva da Moonhead, brano strumentale registrato per il
documentario della BBC della serie “Omnibus” del 20 luglio 1969. Una versione quasi blues can154
tata da Waters realizzata a fine 1971 per voce e chitarra fu trasmessa per la prima volta durante
un’intervista a Gilmour in un programma radio della BBC il 28 luglio 1992.
Sviluppata nelle sedute del dicembre ’71 - gennaio ’72.
Us And Them (Us & Them)
Nasce come pezzo strumentale di solo piano scritto da Wright per la colonna sonora di Zabriskie
Point (1969), chiamato Riot Scene. Riguardava la scena delle manifestazioni studentesche con uccisione di uno studente e un poliziotto, ma fu scartato da Antonioni, che preferì lasciare la scena solo con
voci e rumori ambientali. Eseguito come parte di The Violent Sequence durante il tour del 1970 (la
prima volta a Croydon, il 18 gennaio 1970).
La prima registrazione in studio avviene nel giugno 1972.
Any Colour You Like (Scat)
Nelle esecuzioni live del 1972 questo strumentale si basava su alcune improvvisazioni in stile scat
abilmente eseguite da David Gilmour. La versione in studio era diversa, in quanto nella prima
parte fu utilizzato il sintetizzatore al posto della chitarra.
Brain Damage (Lunatic)
Scritta al termine delle sedute finali di Meddle, influenzata da Unknown Song (outtake dalla
colonna sonora di Zabriskie Point, 1969). Trae ispirazione da Dear Prudence dei Beatles (da “White Album”, 1968).
La prima registrazione in studio avviene nel giugno 1972.
Eclipse (End - All That You)
Nasce nel corso del tour inglese del 1972. Il debutto
avviene probabilmente a Bristol, il 5 febbraio.
Tre versioni colorate ufficiali
di The Dark Side Of The Moon:
bianco tedesco (EMI-HARVEST
RECORDS, 1C 064-05 249,
edizione limitata del 1977),
rosa salmone australiano
(EMI-HARVEST RECORDS,
Q4 SHVLA.804, edizione limitata
del 1988 stampata in occasione
del tour in Australia), blu francese
(EMI-HARVEST RECORDS DC 13,
edizione limitata del 1978).
Sono dischi appetibili e ricercati,
ma occhio ai falsi!
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Queste pagine sono tratte, per gentile concessione dell