Un passo sul lato oscuro Un passo sul lato oscuro La genesi di Dark Side Intervallo Londra, venerdì 18 maggio 1973. I Pink Floyd all’Earls Court. La prima parte del concerto si era snodata tra vecchi classici proposti con la disinvoltura tipica di chi li ha magistralmente suonati decine e decine di volte: Set The Controls For The Heart Of The Sun con il gong che andava in fiamme, Careful With That Axe, Eugene, durante il quale un astronauta si ergeva dietro Nick Mason penetrando con occhi luminosi la cortina di fumo bianco che fluttuava sul palco, ed Echoes, conclusa nello sfavillìo dei raggi di luce riflessi ovunque dalle numerose mirror balls sospese sopra il palco. Le aspettative per questo concerto erano enormi. Per i fan londinesi si trattava di un attesissimo ritorno, dato che l’ultima esibizione casalinga dei Floyd risaliva all’ottobre 1972 a Wembley. Ma c’era un motivo d’interesse in più, e non era cosa da poco: il nuovo album The Dark Side Of The Moon era stato pubblicato da poche settimane, per cui assistere alla presentazione dell’opera che già stava avviando i Pink Floyd alla consacrazione mondiale era per ogni appassionato qualcosa di irrinunciabile. A testimoniare tutto ciò il sold out della prima serata, con diciottomila presenze, e il conseguente annuncio di un secondo concerto fissato per sabato 19 maggio, anch’esso andato esaurito. La doppia esibizione, del resto, era già stata prevista con largo anticipo, visto che il programma (una bella brochure di sedici pagine, piena di ritagli di giornale e foto degli eventi live del gruppo) riportava in copertina entrambe le date. Per addetti ai lavori, organizzatori, manager e giornalisti, questo concerto era anche – o soprattutto – mo144 tivo di ansia e preoccupazione: solo una settimana prima David Bowie, sempre all’Earls Court, era stato protagonista di un clamoroso fiasco (come scrisse la stampa del settore “fu visto da pochi e ascoltato da pochissimi”), cosicché, considerando la deprecabile acustica di quella immensa sala, troppo grande per un normale concerto, le premesse non erano delle migliori. Né la prospettiva di devolvere l’intero incasso a un’organizzazione meritoria come Shelter (un ente benefico a sostegno dei senzatetto) avrebbe reso più accettabile l’eventualità che anche lo show dei Pink Floyd potesse soffrire degli stessi problemi. Ma i Floyd avevano dimostrato, già nella prima parte del concerto, come in un’arena enorme quale l’Earls Court fosse possibile realizzare uno show perfetto, sfruttando al meglio le proprie risorse per mettere a punto un impianto di amplificazione quadrifonico con un suono di assoluta purezza in grado di raggiungere ogni angolo della sala; senza contare – com’era lecito aspettarsi dalla band – luci ed effetti di grande impatto visivo (benché “Mr Screen”, lo schermo circolare che sarebbe divenuto il segno distintivo dei loro futuri spettacoli, non esistesse ancora). La seconda parte dello show era riservata a The Dark Side Of The Moon. Anche se fresca di uscita discografica, in realtà non si trattava di una novità assoluta, almeno per chi era solito seguire le vicende live del gruppo: i Pink Floyd, infatti, stavano portando l’album in tour da più di un anno. Questo fatto rappresentava una piccola rivoluzione nel loro metodo di lavoro: di solito un nuovo pezzo veniva prima registrato e poi eseguito dal vivo; e succedeva anche che dopo averlo suonato a lungo nei concerti i Floyd si accorgessero di qualcosa che non era stato fatto a tempo debito in studio, oppure di errori non più rimediabili commessi in fase di registrazione. Questa volta invece l’album era stato concepito con l’intenzione di portarlo dapprima on the road nella versione integrale per tutto il tempo necessario a perfezionarlo e verificarne il potenziale, fino al momento in cui si sarebbe definitivamente entrati nello studio di registrazione per inciderlo; ed era la prima volta che veniva seguita questa strada. 145 Un passo sul lato oscuro Un passo sul lato oscuro Alle origini del mito Alla fine di novembre 1971, negli studi Decca di West Hampstead il gruppo aveva iniziato a buttar giù delle idee e via via a svilupparle e provarle per una dozzina di giorni; c’era la spinta di un Waters ipercreativo, autore di liriche ispirate al tema della follia, concept del nascente album incentrato sulle pressioni negative che gravano sull’individuo e lo conducono all’alienazione mentale. Evidentemente anche i Pink Floyd, avallando un’affermazione di Frank Zappa (“Touring can make you crazy”, “Andare in tour può farti impazzire”), incominciavano a sentire il peso delle lunghe tournée, dei continui spostamenti e dei soggiorni lontano da casa, ed erano sempre più soggetti – forse ancora inconsciamente – al progressivo effetto boomerang del notevole flusso di cassa. L’opera si discostava nettamente da “epici poemi musicali” come Atom Heart Mother ed Echoes, per usare la definizione di Waters in un’intervista pubblicata su Sounds. Waters aggiunse che i Floyd “stavano ritornando sulla terra, un po’ meno impegnati in voli della fantasia e un po’ di più nelle cose che realmente coinvolgono la gente.” (“è più intellettuale […], siamo diventati intellettuali”, affermò riferendosi al concept di The Dark Side). Va detto che buona parte del materiale confluito nella nuova suite risaliva a sedute precedenti, anche molto indietro nel tempo; non erano necessariamente interi brani, in molti casi si trattava di pochi accordi, frammenti e idee mai concretizzate. Significativo, a questo proposito, il concerto del 20 novembre 1971 a Cincinnati (ultima data del tour americano), dove, nel corso di una lunga improvvisazione su The Embryo, i Floyd avevano toccato molti dei temi musicali che avrebbero sviluppato di lì a poco. Ma non si trattava certo di una semplice operazione di recupero: merito del gruppo era l’essere riuscito a fondere e plasmare quel materiale così eterogeneo in qualcosa di organico e immediatamente fruibile, anche se suscettibile di miglioramenti. L’opera era stata quindi completata nelle prime settimane del 1972, utilizzando anche una sala prove di proprietà dei Rolling Stones a Bermondsey, un quartiere di Londra. Come rivela Nick Mason nel suo libro Inside Out, la suite all’epoca era già chiamata Dark Side Of The Moon, A Piece For Assorted Lunatics, quantunque in certi momenti il titolo oscillasse tra quello ed Eclipse. La necessità di avere nuovo materiale pronto in tempi brevi era dovuta al fatto che un tour – ampiamente anticipato dai giornali – era ormai alle porte, finalmente in terra inglese, dopo una stagione autunnale spesa in una lunghissima tournée americana. Perciò occorreva rinnovare il repertorio live: The Dark Side Of The Moon avrebbe dunque costituito parte integrante della nuova scaletta, occupando tutta la prima metà dello show, mentre la seconda parte avrebbe visto la riproposizione di pezzi classici. 146 Per il tour i Floyd avevano acquistato un nuovissimo impianto di amplificazione WEM con banco di mixaggio a 28 canali, che distribuiva il suono a un sistema quadrifonico a 360° mai ascoltato prima. In un’intervista uscita sul New Musical Express Rick Wright affermò al riguardo: “Siamo costantemente alla ricerca di cose nuove […], abbiamo speso gli ultimi cinque anni nel miglioramento dell’attrezzatura, non per il volume ma per la qualità del suono”. Un’altra innovazione importante riguardava il light show: progettato da Arthur Max (che aveva già avuto modo di apprezzare i Pink Floyd, essendo stato tecnico delle luci al Fillmore East di New York in occasione del loro concerto nel 1970), l’impianto aveva l’indubbio vantaggio di essere trasportabile, il che assicurava l’indipendenza dall’impianto luci delle sale in cui di volta in volta si sarebbero esibiti, per quanto valido potesse essere. Soprattutto, Max aveva elaborato un light show coordinato e sincronizzato con la musica, che nei concerti avrebbe comandato lui stesso, con l’ausilio di due operatori (Arthur Max resterà al servizio della band fino alla fine del 1974). Infine, furono registrati vari nastri con effetti sonori e vocali di accompagnamento alla musica. L’attrezzatura, che raggiungeva le nove tonnellate e richiedeva tre autocarri per il trasporto e sette persone per il montaggio, era così imponente che Wright, vedendola, ebbe a dire: “Cristo, ma io devo solo suonare un organo!”. Il tour esordì il 20 gennaio 1972 a Brighton. Il debutto di The Dark Side Of The Moon non fu dei più felici: un corto circuito dell’impianto di amplificazione bloccò l’utilizzo delle basi registrate proprio all’inizio di Money, il che si tradusse in un forte ronzio che rese impossibile proseguire, costringendo la band a ritornare dopo poco, con brani del vecchio repertorio. Un blackout elettrico, invece, fu il motivo della sospensione del concerto di Manchester, l’11 febbraio. Il tour fu comunque acclamato sia dal pubblico sia dalla critica In alto, la prima edizione inglese SHVL 804 con prisma a colore pieno. Al centro, la seconda versione inglese SHVL 804. In basso, il prisma rovesciato dell’edizione sudafricana SHVLJ(D) 804. 147 Un passo sul lato oscuro Un passo sul lato oscuro (fino ad allora mai generosa nei giudizi sui Pink Floyd), raggiungendo l’apice del consenso in quattro serate al Rainbow Theatre di Londra, dal 17 al 20 febbraio, in cui l’album fu presentato ufficialmente alla stampa mondiale. Fu giudicata la loro miglior esibizione di sempre, in particolare per lo sbalorditivo stage act, la superba qualità del suono, gli strabilianti effetti scenici e pirotecnici. Il programma del Rainbow, un libretto di dodici pagine distribuito gratuitamente per l’occasione (oggi ambitissimo dai collezionisti), conteneva i testi delle canzoni, tutte senza titolo, oltre ad alcune foto del gruppo ripreso in studio all’epoca di Meddle, nonché un articolo che illustrava le tematiche di The Dark Side Of The Moon e lo stato dell’arte dello spettacolo dei Floyd. Un opuscolo arancione con i testi, intitolato The Dark Side Of The Moon – A Piece For Assorted Lunatics by the Pink Floyd, era stato inoltre distribuito come guida per una miglior comprensione dell’album; anche in questo caso i brani non avevano titolo, ma erano soltanto numerati. Circolava anche uno “show souvenir” non ufficiale di poche pagine, contenente una breve biografia del gruppo e le date del tour: in pratica, un espediente dei bootleggers per monetizzare l’occasione. Dal punto di vista musicale la suite, nella sua forma originaria, era piuttosto ruvida e scostante: i brani erano già nella sequenza definitiva ma apparivano slegati tra loro, alcuni mancavano di un finale, le parti di organo arrivavano improvvise (e non come continuazione del tema); le esecuzioni live, poi, non erano così pulite come ci si poteva aspettare, come nel caso della Mortality Sequence (futura The Great Gig In The Sky), dove i nastri preregistrati con preghiere dal Libro degli Efesini, discorsi biblici, citazioni e sproloqui del discusso personaggio radiofonico Malcolm Muggeridge finivano col sopraffare la musica. Del resto, era proprio l’esistenza di parti deboli e difetti “di gio148 ventù” a giustificare la scelta di sviluppare i necessari aggiustamenti e le inevitabili modifiche attraverso innumerevoli esecuzioni live, traendone di volta in volta utili indicazioni oltre a un immediato feedback del pubblico. Già a Bristol – poche tappe dall’inizio del tour – fu possibile ascoltare la finale Eclipse (che fino ad allora era stata, in pratica, soltanto la coda di Brain Damage: una breve escursione del sintetizzatore che chiudeva la suite con l’urlo di una sirena che si spegneva lentamente) in una forma estesa e completa delle liriche che Waters aveva appena scritto, dopo essersi reso conto che il pezzo risultava alquanto “zoppo”: un esempio della validità del metodo di lavoro adottato. Seguì dunque un lungo test sul Versione “orzata” del disco, campo che, tra marzo e aprile, portò l’al- con copertina ritagliata (round-cut bum prima in Giappone e poi negli USA, cover) di provenienza francese, che lascia dove veniva suonato sempre nella prima vedere il disco che contiene. parte di ogni concerto. Lo show abortito a Manchester fu recuperato con due serate alla fine di marzo; lo stesso avvenne per l’incidente di Brighton, rimpiazzato con due concerti il 28 e 29 giugno (quest’ultimo fu filmato da Peter Clifton, che lo incluse in parte nel suo documentario Sound Of The City 1964-1973). La performance di Brighton parve un po’ sottotono, tanto che la critica musicale, riferendosi al nuovo album, ne rimarcò l’assenza di slanci e una generale disunione tra le diverse parti. Eclipse: avrebbe potuto essere questo il nuovo titolo dell’album. La pubblicazione di un disco dei Medicine Head intitolato D ark S ide O f T he M oon spinse infatti i Pink Floyd a cambiare nome al loro album, onde evitare equivoci: lo presentarono dunque come Eclipse (il titolo che originariamente era già stato in ballottaggio con Dark Side) in vista del tour americano che stavano per intraprendere verso la metà di aprile del 1972. Il cambio di nome era ufficiale, come testimonia il programma pubblicato dalla Capitol (la casa discografica dei Pink Floyd negli USA) in occasione del tour, che recava, appunto, il titolo “Eclipse (A Piece For Assorted Lunatics) By Pink 149 Un passo sul lato oscuro Un passo sul lato oscuro Floyd”; anche questo opuscolo conteneva i testi dell’album con la semplice numerazione dei diversi brani. Gilmour dichiarò di essere contrario a quella scelta, poiché il titolo originale era stato pensato prima ancora che i Medicine Head pubblicassero il loro disco, e a quel titolo i Floyd non volevano rinunciare. Finalmente, visto e considerato che il disco dei Medicine Head era passato quasi inosservato, alla fine dell’estate l’album riprese ad essere chiamato, una volta per tutte, The Dark Side Of The Moon. Il secondo tour in Nordamerica, svoltosi tra Stati Uniti e Canada nel mese di settembre, aveva portato con successo Eclipse/ The Dark Side Of The Moon davanti alle platee più vaste che i Pink Floyd avessero mai affrontato. Particolar150 mente spettacolare fu il concerto tenuto il 22 settembre all’Hollywood Bowl, tra le colline a ridosso di Los Angeles, dove otto potenti proiettori sferzarono il cielo con i loro fasci luminosi e, alla fine, brillarono sull’anfiteatro scenografici fuochi artificiali multicolori. Lo stage show stava raggiungendo livelli di altissima qualità. L’esibizione del 21 ottobre all’Empire Pool di Wembley (un concerto benefico in favore della War On Want, un’organizzazione a sostegno dei poveri) fu memorabile per il perfetto mix tra la performance musicale di T he D ark S ide O f T he M oon e gli straordinari effetti visivi: imponenti torri illuminavano costantemente la band con luci colorate soffiandovi sopra, a intervalli, del fumo che si aggiungeva alla nebbia formatasi dal ghiaccio secco, il che produceva un’atmosfera surreale. L’evoluzione della suite, nel frattempo, non aveva presentato cambiamenti di rilievo. Il fatto maggiormente degno di nota fu il graduale passaggio della Mortality Sequence verso una struttura musicale più vicina a The Great Gig In The Sky, pezzo in cui si sarebbe poi radicalmente trasformata; già a Wembley era evidente un utilizzo più discreto dei nastri preregistrati e dell’organo, meno importante rispetto ai primi concerti, in favore delle nuove parti di piano scritte da Wright. Il percorso di sviluppo on the road di The Dark Side Of The Moon si concluse con una serie di concerti tenuti tra novembre e dicembre in giro per l’Europa, in cui l’abbandono della deprimente Mortality Sequence fu pressoché definitivo: a Zurigo, ad esempio, il 9 dicembre si poté ascoltare una bella performance di The Great Gig In The Sky – documentata da un’ottima registrazione amatoriale – già nella nuova versione, ancorché senza voci femminili, ma con un pregevole lavoro di Wright al piano. L’ultima esibizione del 1972, avvenuta il 10 dicembre al Palais des Sports di Lione, fu anche l’ultima occasione per ascoltare The Travel Sequence, la versione originaria della futura On The Run: essenzialmente era un’improvvisazione di tastiere e chitarra, un po’ piatta per la verità, che terminava in maniera molto semplice, in pratica sfumando sul tic-tac che introduceva Time, invece della ben nota esplosione. 151 Un passo sul lato oscuro Un passo sul lato oscuro Nel mese di gennaio del 1973 furono portate a termine le sedute di registrazione dell’album, in parte già avviate nel giugno ’72. Si concretizzarono così tutte le indicazioni fornite da quel rodaggio durato oltre un anno, ovviamente con ulteriori ritocchi, nuovi effetti e quant’altro consentiva la moderna tecnologia di studio: i Pink Floyd avevano un approccio meticoloso verso ogni aspetto della registrazione e sapevano fare uso dello studio come se fosse esso stesso uno strumento integrale. On The Run fu completamente rielaborata con l’impiego del nuovo sintetizzatore EMS (dotato di tastiera, a differenza del predecessore VCS3), e molto altro fu fatto negli studi di Abbey Road, grazie anche all’abile supporto di Alan Parsons, già addetto all’acquisizione di effetti sonori su nastro per la EMI e ora ingegnere del suono per il nuovo lavoro; fu opera sua, tra l’altro, la sequenza sincronizzata degli orologi di Time. Per The Great Gig In The Sky la cantante Clare Torry fornì una performance di straordinaria caratura: nata quasi per caso durante una delle tante sedute, finì per diventare la caratteristica peculiare del brano. The Dark Side Of The Moon esordì nella nuova e definitiva veste in un tour nordamericano che partì ai primi di marzo. L’album fu pubblicato il 23 marzo in Inghilterra; negli Stati Uniti, approfittando del fatto che la band si trovava in tour nel Paese, l’uscita fu anticipata al 10 marzo. Il secondo tempo a Earls Court Un battito cardiaco pulsante, sempre più forte, investe gli spettatori che stanno ancora riprendendo i loro posti all’interno dell’Earls Court. L’enorme pallone appeso al soffitto si accende, a rappresentare la Luna, mentre una voce irrompe dal nulla: “I’ve been mad for fucking years”. I riflettori inquadrano i Pink Floyd già sistemati sul palco, pronti per celebrare la prima europea del loro album capolavoro. L’ormai leggendario light show entra in azione, batterie di luci colorate fanno risplendere la scena, tra specchi, riflettori e nuvole di ghiaccio secco che ne enfatizzano l’effetto; lampi di luce stroboscopica escono dalla batteria di Mason. Una novità dello show è il grande modello di aereo, simile a un enorme dardo lungo oltre quattro metri, di colore argento e rosso, che all’apice del climax di On The Run sorvola il pubblico andando a schiantarsi dietro al palco in una palla di fuoco. 152 La performance dei Floyd è superlativa; il pathos aumenta quando al gruppo si uniscono “Mr Sax” Dick Parry e le coriste Nawasa Crowder, Mary Ann Lindsey e Phyllis Lindsey in The Great Gig In The Sky e nelle successive Money e Us And Them; l’impasto sonoro è coinvolgente e la musica fluisce senza sbavature. C’è soltanto un piccolo incidente, durante Us And Them, quando Wright intona la terza strofa mentre Gilmour sta cantando la seconda… Wright allora si ferma aspettando che il compagno finisca, per ritornare in sincronia subito dopo l’intermezzo del sax. Schegge di luce, riflesse da un grande disco posto in alto sul palco, rimbalzano sul pubblico durante l’eclisse solare di Eclipse; si sentono i rintocchi di una campana, mentre alcuni razzi partono dal palco diretti verso la sommità della sala: è il finale di The Dark Side Of The Moon, ed è un trionfo. Il tempo di un bis, One Of These Days, e il pubblico entusiasta lascia la hall, accecato dai fasci luminosi dei potenti riflettori militari che investono la facciata dell’Earls Court e scandagliano il cielo. I giornali di settore avranno tutti parole d’elogio per questo concerto, ma c’è chi sa dire tutto semplicemente così: “DEAR Earls Court, Thanks God for Pink Floyd” (Jonathan N., London). 153 Un passo sul lato oscuro Le radici di The Dark Side Of The Moon The Dark Side Of The Moon / Eclipse (A Piece For Assorted Lunatics) La suite che i Pink Floyd realizzarono alla fine del 1971 fu composta dalla band come un vero e proprio collage di temi musicali che non avevano utilizzato negli anni precedenti. Alcuni di questi furono sviluppati durante il tour americano di fine anno: la prima esecuzione pubblica conosciuta avvenne a Cincinnati il 20 novembre 1971 all’interno di The Embryo, che, grazie anche all’inserimento di questo tema inedito in forma di jam strumentale, nell’occasione toccò la durata di ben 28 minuti (contro i 10 canonici). Tra parentesi, dopo il titolo del brano, compare il nome di lavoro utilizzato durante le registrazioni in studio ad Abbey Road tra il giugno 1972 e il gennaio 1973. Speak To Me (Intro) Il battito pulsante deriva da Heart Beat, Pig Meat (dalla colonna sonora di Zabriskie Point, 1969). Registrata come Heartbeat Intro nelle sedute per l’aggiunta delle sequenze in studio di Live At Pompeii (Parigi, Studio Europa-Sonor, dicembre 1971). Breathe (Breathe) Nasce da un’improvvisazione eseguita durante il concerto di Cincinnati del 20 novembre 1971. Il titolo e le prime parole sono ispirati a Breathe (da Music From The Body, 1970); in quasi tutte le edizioni in vinile di The Dark Side Of The Moon il titolo sull’etichetta era stranamente riportato come Breathe In The Air (pur restando Breathe nella scaletta della copertina). Wright fu influenzato da All Blues di Miles Davis (da Kind Of Blue, 1959). Sviluppata nelle sedute del dicembre ’71 - gennaio ’72. On The Run (Travel) Originariamente era una lunga jam di chitarra chiamata The Travel Sequence, nata dalle sedute del dicembre ’71 - gennaio ’72. Completamente rielaborata in studio nelle sedute di registrazione del gennaio 1973. Time / Breathe Reprise (Time / Home Again) È presente in un demo di Waters del 1971; si può ascoltare in audio, per voce e chitarra acustica, nel DVD The Making Of The Dark Side Of The Moon. Sviluppata nelle sedute del dicembre ’71 - gennaio ’72. The Great Gig In The Sky (Religion) Originariamente era un assolo di organo chiamato The Mortality Sequence, nato dalle sedute del dicembre ’71 - gennaio ’72. Completamente rielaborata in studio nelle sedute di registrazione del gennaio 1973. Money (Money) La linea di basso della parte centrale deriva da Moonhead, brano strumentale registrato per il documentario della BBC della serie “Omnibus” del 20 luglio 1969. Una versione quasi blues can154 tata da Waters realizzata a fine 1971 per voce e chitarra fu trasmessa per la prima volta durante un’intervista a Gilmour in un programma radio della BBC il 28 luglio 1992. Sviluppata nelle sedute del dicembre ’71 - gennaio ’72. Us And Them (Us & Them) Nasce come pezzo strumentale di solo piano scritto da Wright per la colonna sonora di Zabriskie Point (1969), chiamato Riot Scene. Riguardava la scena delle manifestazioni studentesche con uccisione di uno studente e un poliziotto, ma fu scartato da Antonioni, che preferì lasciare la scena solo con voci e rumori ambientali. Eseguito come parte di The Violent Sequence durante il tour del 1970 (la prima volta a Croydon, il 18 gennaio 1970). La prima registrazione in studio avviene nel giugno 1972. Any Colour You Like (Scat) Nelle esecuzioni live del 1972 questo strumentale si basava su alcune improvvisazioni in stile scat abilmente eseguite da David Gilmour. La versione in studio era diversa, in quanto nella prima parte fu utilizzato il sintetizzatore al posto della chitarra. Brain Damage (Lunatic) Scritta al termine delle sedute finali di Meddle, influenzata da Unknown Song (outtake dalla colonna sonora di Zabriskie Point, 1969). Trae ispirazione da Dear Prudence dei Beatles (da “White Album”, 1968). La prima registrazione in studio avviene nel giugno 1972. Eclipse (End - All That You) Nasce nel corso del tour inglese del 1972. Il debutto avviene probabilmente a Bristol, il 5 febbraio. Tre versioni colorate ufficiali di The Dark Side Of The Moon: bianco tedesco (EMI-HARVEST RECORDS, 1C 064-05 249, edizione limitata del 1977), rosa salmone australiano (EMI-HARVEST RECORDS, Q4 SHVLA.804, edizione limitata del 1988 stampata in occasione del tour in Australia), blu francese (EMI-HARVEST RECORDS DC 13, edizione limitata del 1978). Sono dischi appetibili e ricercati, ma occhio ai falsi! 155