P. Giordano Renzi
FSMI
GIUSEPPE FRASSINETTI
Ristampa della terza edizione
Siena 2004
Nihil obstat quominus imprimatur
Aloisius Fain Binda
Superior Generalis
Roma 25 Marzo 1992, festa
dell‘Annunciazione
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PRESENTAZIONE
La Congregazione per le Cause dei Santi in data 14 maggio 1991 ha riconosciuto la eroicità delle virtú del
Servo di Dio Giuseppe Frassinetti.
In occasione del Decreto, la Congregazione dei Figli di Santa Maria Immacolata pubblica la biografia del
suo Fondatore curata dal P. Giordano Renzi che fino alla sua prematura dipartita era stato un preparato e
impegnato Postulatore della Causa di Beatificazione.
Il P. Renzi conosceva molto bene la vita e le opere del Frassinetti perché l‘aveva studiate a fondo e
l‗aveva altresí illustrate con gli scritti e con le conferenze. Aveva curato I‗edizione storico—critica delle opere
ascetiche e aveva riproposto il catalogo generale di tutti gli scritti del Servo di Dio, pubblicati a cura della
Postulazione Generale1.
L‘impegno di Postulatore non gli ha impedito di preparare una breve biografia del Frassinetti adatta a
tutti, perché tutti potessero conoscere. apprezzare e seguirne gli insegnamenti.
La pubblicazione della biografia vuol essere anche un omaggio alla memoria del P. Renzi e un segno
tangibile di riconoscenza per quanto egli ha fatto per la Causa di Beatificazione del Fondatore dei Figli di S.
Maria Immacolata.
Chi si attarda nella lettura della biografia a considerare eventuali lacune nell‘impostazione organica del
lavoro, ricordi che il P. Renzi non ha potuto rivedere i suoi appunti che vengono pubblicati cosí, come li ha stesi,
perché si desidera rispettarne l‘autenticità e I‗immediatezza e la sua espressione, che non cerca effetti, resta viva,
agile, efficace.
Emerge dalla breve, ma sostanziosa biografia del Frassinetti, ricca di numerose citazioni, il volto di un
sacerdote secondo il cuore di Dio: zelante, coerente, lungimirante; il volto di un pastore d‗anime dalle antiche
radici, ma con intuizioni profetiche.
Abbreviazioni
A.F. = Archivio Frassinettiano. Sotto questo titolo in 2 volumi sono raccolte copie dattiloscritte di scritti
riguardanti il Frassinetti. i cui originali sono conservati in archivi diversi.
A.P. = Archivio della Postulazione Generale esistente presso la Casa Generalizia della Congregazione dei
Figli di S. Maria Immacolata, via del Mascherone 55. Roma.
O.A. = Opere ascetiche, in 2 volumi, Postulazione Generale F.S.M.l., Roma 1978.
O.O. = Opere edite e inedite del Servo di Dio Giuseppe Frassinetti, in 13 volumi. Tipografia PoIiglotta
Vaticana Roma 1906 — 1912 e Scuola Tipografica Editrice. Alba 1923.
Summ. = ―Summarium‖ — Raccolta delle testimonianze rese ai Processi per la Causa. di Beatificazione.
(Ex schola tip. ‗Pio X‖. Roma 1934). Il volume contiene l‘‘lnformatio‖ e i ―Documenta‖ citati nelle note del
presente volume.
Avvertenza
Nelle citazioni del ―Summarium‖, dell‘―Informatio‖ e dei ―Documenta‖, il primo numero indica la
pagina, il secondo il paragrafo.
1 Il catalogo di tutte le opere del Frassinetti e frutto dell‘attenta e paziente ricerca del Sac. Giuseppe Capurro, ex allievo dei Figli
di Maria e per lungo tempo Vice Postulatore della Causa di Beatificazione del Priore di S. Sabina.
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Parte Prima
LA SUA FAMIGLIA
Era ormai noto a tutti che il Priore di S. Sabina, uomo dal cuore grande come il suo mare, non
rimandava indietro nessuno senza averlo ascoltato e, se del caso, aiutato.
«Signor Priore, mi aiuti, non ho proprio nulla» gli gridò un giorno dalla strada una povera donna, che
aveva bussato al la porta del la canonica con tanta fiducia. Era infatti veramente in angoscia per quel la sua
bimba, a letto inferma, e lei senza un centesimo.
Il Priore frugò subito nel borsellino: vuoto! Cacciò le mani nelle lunghe tasche della veste talare: nulla di
nulla! Neppure era in casa la perpetua a cui chiedere qualche cosa.
«Nulla, non ho proprio nulla, buona donna», le gridò il Priore dalla finestra con tanto disappunto e
dolore nella voce e nel cuore. Poi, quasi subito, come per un pensiero sopraggiunto: «No. ecco aspettate, figliola».
E si ritirò dalla finestra. Poco dopo la poveretta udí scendere frettolosamente le scale: «Ecco la pentola. Attenta a
non scottarvi. L‗ho appena tolta dal fornello. Qualche cosa però deve pur esserci dentro. Ecco. Andate. Che il
buon Dio vi accompagni». E la donna si allontanò frettolosa.
Furono alquanto risentite le osservazioni della domestica, la quale, al ritorno, vide che non c‘era piú la
pentola che aveva preparato per il pranzo. «Se quella donna rispose il Priore — avesse chiesto in credito la carne,
il macellaio gliel‗avrebbe negata: a noi invece la darà».
Dunque non c‘era problema, si poteva ugualmente provvedere al pranzo2.
Chi si fosse fermato ad osservare quel prete con la pentola in mano, avrebbe notato un sacerdote scarno
e quasi scavato nel volto un poco allungato da asceta. Di altezza media, con i capelli ricadenti sulle magre spalle
di un corpo, protetto da una veste talare nera che mostrava lembi lucidi alquanto consunti
Nell‘insieme però proprietà, pulizia e una certa signorilità incutevano rispetto e quasi avrebbero stabilito
un certo distacco, se i suoi modi tanto amabili non avessero messo subito l‘interlocutore dinanzi a un sacerdote
che apriva il suo cuore a una rispettosa confidenza.
Abbiamo voluto introdurre questi brevi cenni biografici del priore Giuseppe Frassinetti con un aneddoto
che ci è parso caratterizzare tutta la sua vita apostolica di sacerdote che amò Dio sempre, sapendo che
l‘attuazione pratica del precetto della carità sta nell‘amore del fratello: la carità era una virtú della famiglia
Frassinetti. La sorella S. Paola insegnerà alle sue suore: «È meglio che noi difettiamo un po‘ del necessario
anziché i poveri abbiano a soffrire la fame»3.
«Volete essere benedetti da Dio in vita? — predicava dal pulpito il priore Giuseppe — Volete essere
consolati in morte? Volete davvero essere salvi nell‘eternità? Ebbene, abbiate sempre in petto un cuore tenero,
efficacemente compassionevole verso i miseri: siate caritatevoli, misericordiosi sempre e con tutti»4.
Giuseppe Frassinetti era nato in Genova il 15 dicembre 1804, primo frutto del matrimonio felice di
Giovanni Battista, modesto commerciante, con Angela Viale.
Due genitori di solide virtú umane e cristiane. Dio dette visibilmente prova della fiducia che riponeva in
loro, donando ad essi figli e figlie che fiorirono numerosi, come germogli a primavera.
Alcuni li volle quasi subito con sé in cielo dei cinque sopravvissuti, ornò quattro della stola sacerdotale
ed elesse l‘unica figlia, Paola, ad essere la forte e soave fondatrice dell‘Istituto di Santa Dorotea. Fu proclamata
Santa della Chiesa universale da Giovanni Paolo Il l‘11 marzo 1984.
Se è vero che l‘accendersi di una vocazione sacerdotale o religiosa in una famiglia è prova di grande
benevolenza divina, si deve affermare che la famiglia Frassinetti fu una prediletta del cuore di Dio.
Una vocazione nasce oppure muore nel la famiglia.
Quella del Frassinetti non solo seppe comprendere che la chiamata divina era stata rivolta a tutti e cinque
i figli, ma volle anche circondarla e coltivarla con delicatissimo amore.
«I genitori — esorta il Concilio Vaticano Il — curando l‘educazione cristiana dei figli coltivino e
custodiscano nei loro cuori la vocazione religiosa»5
Summ. p. 207, 78.
G. LUBICH – P. LAZZARINI, Paola Frassinetti una donna, Città Nuova, Roma 1980, p. 180.
4 G. FRASSINETTI, Istruzioni catechistiche, O.O., Tip. Poliglotta Vaticana, Roma 1907. vol. II, p. 83.
5 CONC. ECUM. VAT. II, Decreto sul rinnovamento della vita religiosa “Perfectae Caritatis”, 24.
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La serenità e l‘amore di quella famiglia risplendettero in tutto il vicinato. Se ne ebbe una prova ed un
riconoscimento corale da parte di coloro che furono interrogati nei processi di canonizzazione di Giuseppe e
Paola: «Erano di vita buona, religiosa e morigerata» 6 . «Avevano celebrato il loro matrimonio con spirito
veramente cristiano»7; «Erano impegnatissimi per I‗educazione morale e religiosa dei figli»8; «Mettevano ogni cura
perché I‗educazione dei figli riuscisse sana e religiosa»9.
E si potrebbe continuare nella citazione di altri eguali apprezzamenti che in genere, nei vicinati,
sappiamo per esperienza comune che non si è tanto facili a far correre voci lusinghiere.
Non è forse però il migliore elogio quello espresso dal figlio Don Giuseppe, quando, ormai parroco
apprezzatissimo, affermò: «Se faccio qualche cosa di bene, dopo Dio, ne sono debitore a mio padre»10.
Alla morte, tra le sue carte, fu trovata una piccola immagine sacra, evidentemente custodita con amorosa
gelosia, nel cui retro si legge, scritto da lui: «il primo dono del padre». Quanta venerazione trema in quel soave
ricordo custodito con gelosa cura! La madre Angela «molto devota di Maria Santissima»11, fu severa e dolcissima.
Benché avesse cinque figli, di cui quattro maschi, da accudire, trovava sempre il tempo per vigilarli ed educarli e
per essere con loro dal la preghiera del mattino, detta tutti insieme, a quella della sera, a cui si univa anche il
babbo Giovanni. Poi li metteva tutti a letto, e, dopo il bacio, spenta la candela sul comodino, in punta di piedi,
lasciava la stanzetta del loro riposo.
Quando poi da ciascuno di essi era raggiunta l‘età dei sei o sette anni, saliva con tutti, il papà in testa ai
figli, sull‘altura di Carbonara, da cui si apre la vista luminosa di Genova davanti all‘immenso specchio azzurro del
suo bel mare, al Santuario detto della Madonnetta, per consacrare la nuova creatura alla gran Madre di Dio.
Secondo infatti i una tradizione, tanto cara alle buone famiglie genovesi, nella vigilia della festa della
Madonna Assunta, si andava a quel Santuario.
I bambini e le bambine offrivano a Maria un cuore d‘argento, simbolo del loro cuore, mentre le mamme
esprimevano I‗offerta del prezioso frutto del loro amore alla Vergine Maria.
Don Giuseppe, ormai avanzato in età, ebbe una volta l‘occasione di rivolgere lui il discorsetto ai fanciulli
raccolti davanti all‗altare mariano. Noi abbiamo quel discorso: si rivede piccolo, accompagnato dalla madre: «Io
non avevo ancora sei anni ed in questa medesima sera, in un drappello di fanciulli, come voi siete, quivi, davanti a
questo altare, ho fatto l‘offerta del mio cuore a Maria, come voi fate. Lo ricordo tuttavia, e ricordandolo dopo
tanti anni, mi sento crescere la confidenza nella Madonna SS. e ne sono consolato»12.
I bambini fotografano tutto nella loro memoria, e fatti grandi, sanno fare intelligente lettura di ogni
fotogramma.
La mamma gli morí presto, quando era ancora su i quattordici anni e già tutto teso verso il suo grande
ideale: farsi sacerdote.
Fu quella una perdita grande per il papà e i figli. Giuseppe si sforzò di lenire il dolore del padre con i
forti pensieri della fede e con tanto affetto.
Accanto al papà si era stretta anche la figlia prediletta, Paola, di nove anni, ma molto piú grande per il
senno. Con amore delicato attendeva ai fratelli un piú piccoli cosí ignari della gravità del lutto da cui erano stati
colpiti.
Giuseppe e Paola furono veramente le luci consolatrici di quella casa in pianto.
SACERDOTE
Dopo una severa preparazione spirituale ed intellettuale, condotta per vari anni con sacrifici non comuni,
sorretti dalla forza amabile di Paola, che aveva seguito il fratello verso la vetta con la trepidazione e la tenerezza
di una mamma, Giuseppe fu consacrato sacerdote nella Cattedrale di Savona il 22 settembre 1827.
Il padre si chinò riverente a baciare le mani profumate di crisma del figlio, piangendo di gioia per la
soave ebbrezza di cui il buon Dio gli andava inondando il cuore.
Mamma Angela guardava e sorrideva dal cielo.
Summ, p. 32, 2.
Ivi, p. 38, 36.
8 Ivi, p. 36, 24.
9 Ivi, p. 38, 37.
10 Summ, p. 45, 80.
11 Ivi, p. 45. 73.
12 G. FRASSINETTI, L„offerta del cuore a Maria SS., O.A. vol. II, p. 466.
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Giuseppe nel fiore dei suoi ventitre anni, con nel cuore il gaudio che prova chi ha coronato i lunghi
sogni e gli ardenti desideri della giovinezza, porse fidente la sua mano a Dio e con Lui iniziò la divina avventura
del la vita consacrata.
Accanto gli camminava Paola, arditamente, sognando la realizzazione del Regno.
Iniziò tra i fanciulli nella parrocchia di S. Stefano in Genova, dove era stato inviato dall‘Autorità
ecclesiastica.
A lui era ben nota, perché l‘aveva frequentata da bambino, quando il papà e la mamma ve lo
conducevano a Messa ogni giorno festivo. Il papà Giovanni guidava lui tutta la famiglia alla chiesa: era infatti
quello il primo pensiero della domenica.
La gente si fermava talvolta per via per osservare quei figlioli andare in fila, a due a due, alla chiesa col
papà e la mamma, la quale teneva per mano la piccola Paola che le trotterellava accanto.
«Beato l‘uomo che teme il Signore e cammina nelle sue vie - canta il salmista — la tua sposa come vite
feconda nell‗intimità della tua casa: i tuoi figli come virgulti di ulivo intorno alla tua mensa»13.
La gioia e l‘intimità del focolare domestico, delicatamente rievocate nel salmo, rimangono certo le
immagini piú suggestive di quella felicità che Dio riversa in abbondanza a i suo i figli.
In parrocchia si dovette occupare primieramente della catechesi ai fanciulli. Una missione, questa, che
sentiva sua, con prepotenza di amore, da quando, ancora piccolo ragazzo, si premurava di raccogliere in casa sua
dei fanciulli, per parlare loro delle cose di Dio14.
Cominciò in S. Stefano con una quarantina di simpaticissimi e vivacissimi giovanotti. Poi, dopo che con
l‘amico, il chierico Sturla, aveva impiantato l‘Opera di S. Raffaele e S. Dorotea per l‘insegnamento della Dottrina
ai ragazzi, i fanciulli erano saliti subito a ben settecento. Convenne trasferirli nel vicino Oratorio di S. Maria della
pietà.
Il Prevosto di S. Stefano ne godeva, incantato da tutto quel nuovo fremito di vita che scuoteva la
parrocchia. Sentí il bisogno di comunicare la sua gioia alla Curia, scrivendo che il giovane sacerdote «era ardente
di zelo ed eccelleva in modo esimio nella sollecita cura dei giovanotti»15.
Aveva dato il suo nome ai «Missionari di S. Carlo», per cui poteva entrare anche nelle carceri di S.
Andrea.
Nel 1828 le carceri erano veramente cosa dura. Tanto l‘ergastolo civile quanto quello militare avevano,
purtroppo, un discreto numero di detenuti, ai quali spesso neppure i familiari davano o potevano dare sollievo e
conforto.
Egli vi si recò la prima volta mentre predicava la missione nella chiesa della Consolazione. Lasciamo
parlare di ciò un suo contemporaneo: «Si aggira tra catene e forzati, tra le grida rabbiose della disperazione, del
furore, del delitto. Egli intanto con modi suoi peculiarissimi s‗insinua dolcemente nel cuore di quei miseri ... Quei
luoghi d‘orrore offrono tosto esempi non dubbi di rassegnazione alla pena, di confessioni sincere, di pentimento
non falso»16.
Il giovane sacerdote vi si recava anche due volte al giorno: quei detenuti vollero tutti far pace con Dio. Li
confessò tutti ad uno ad uno.
Anche in chiesa lo attendevano uomini di ogni condizione sociale. Don Giuseppe entrava nel
confessionale molto per tempo; e, la maggior parte delle volte, ne usciva un‘ora dopo mezzogiorno.
Unica pausa: il gaudio della Messa.
Quella missione rimase memoranda.
Don Giuseppe era allora sui ventiquattro anni: una vera alba radiosa per il giovane sacerdote.
PARROCO A QUINTO
Quinto era un ridente paesello affacciato sull‘azzurro del Mar Ligure a cinque chilometri da Genova.
Contava nel 1831 poco piú di duemila anime.
Gli abitanti della parte alta della collina, su cui si inerpicavano i modesti fabbricati, strappavano alla terra
il poco da vivere; ed erano fedeli anche alle tradizioni religiose.
Sal 128 (127) 1,3.
Summ, p. 40,46.
15 C. OLIVARI, Delta vita e delle opere del Servo di Dio Sac. Giuseppe Frassinetti, Tip. Poliglotta Vaticana, Roma 1928, p. 33.
16 F. POGGI, Della vita e degli scritti di G. Frassinetti, Tip. G. Caorsi, Genova 1868, p. 10 s.
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Gli altri, le cui abitazioni digradavano al mare, erano in maggior numero pescatori e navigatori, rudi ed
avvezzi alla vita che il mare mutevole imponeva loro. Gentili d‘animo per l‘usato richiamo dell‘intimità familiare,
che il pericolo sui marosi rendeva talvolta prepotente, o la tranquillità delle onde cullava quasi sognate; erano tutti
di carattere riservato e, si sarebbe detto, quasi diffidente.
La bella chiesa parrocchiale, ricca di stucchi dorati, era dedicata all‘apostolo pescatore, San Pietro.
Don Giuseppe vi andò parroco a ventotto anni, nel 1831. Chi lo vide salire alla pieve, lo notò taciturno e
pensoso. Non aveva voluto alcuna solennità per il suo ingresso ufficiale.
Sentiva che sarebbe cominciato un lavoro carico di responsabilità. Sarebbe stato all‘altezza del compito?
D‘altra parte — lo rifletteva tra sé e sé — non era stata forse chiara la volontà di Dio, manifestatasi
attraverso i superiori? Dunque bisognava mettersi al lavoro con piena fiducia in Dio e rimettersi con docilità
grande alla sua volontà.
Poiché era persuaso che da solo sarebbe stato impari al grave compito, cercò ed ottenne la
collaborazione di due altri sacerdoti zelanti e molto disponibili: Don Pietro Boccalandro e Don Carlo Figari.
Insieme, dopo un esame della situazione parrocchiale, concertarono un piano di lavoro che resero
effettivo con tutto l‘impegno da cui ciascuno d‘essi si sentiva animato.
Dal canto suo Don Giuseppe procurò di ravvivare la vita cristiana alquanto sfiorita nella parrocchia,
compromessa ed ostacolata da idee anticristiane e da abusi che si erano introdotti.
Con amarezza constatò che i fedeli non sapevano piú dare un senso cristiano alla vita, poiché pareva loro
che il cristianesimo non lo indicasse abbastanza, riducendolo ad un insieme di norme morali da rispettare, di gesti
e pratiche religiose da compiere, ma senza coinvolgere i grandi settori della vita personale ed ancor di piú della
vita associata.
Don Giuseppe si sforzò di far comprendere che Gesú è luce capace di rischiarare tutte le strade del
vivere umano, che Egli è Vita che anima tutta la vita e che anzi è l‘unica che può dare un senso valido ad ogni
altra vita e quindi alla stessa storia degli uomini.
Cominciava cosí a constatare nel suo ministero gli effetti nefasti del razionalismo, della propaganda
ateistica che cercava di penetrare in ogni dove e del susseguente materialismo che riduceva ogni realtà nell‘ambito
intramondano.
Limitò dapprima il suo ministero a quello sacramentale ed a quello dell‘annuncio del la Parola, cercando
di strappare le anime al mondo del male e riportarle alla pace con Dio, premessa necessaria per un fruttuoso
ascolto della Parola che egli annunciava in ogni circostanza della vita ecclesiale.
HA ACCANTO LA SORELLA PAOLA
Per provvedere all‘educazione e formazione umana e cristiana della gioventú femminile, che viveva del
tutto abbandonata a se stessa, decise di chiamare in aiuto la sorella Paola.
Dovette vincere le forti resistenze paterne. Paola aveva orma i ventidue anni ed era rimasta l‘unico
angelo di casa, al papà cara come la pupilla degli occhi suoi. Gli altri tre figli maschi erano anch‘essi sulla strada
del santuario ed il padre, il quale avrebbe gradito che almeno uno di essi rimanesse in famiglia per continuare il
suo negozio di stoffe, ora non si sentiva proprio di separarsi dalla sua Paolina. Anche perché capiva benissimo
che lei, accanto al fratello, avrebbe finito per condividerne definitivamente I‘ideale di donazione totale di sé a
Dio.
Paola, parlando, non ne aveva fatto mistero al papà. Egli per altro lo aveva facilmente intuito dal modo
con cui Paola, ancora fanciulla, ascoltava avida il fratello Giuseppe, quando parlava a tavola con lui su problemi o
argomenti di carattere religioso o ecclesiale. Era evidente che la sorella si sentiva molto unita al fratello
spiritualmente e idealmente. Tutti i fratelli volevano un gran bene alla sorella che, dopo la morte della mamma,
anche se aveva solo nove anni, li aveva tirati su, specialmente i due piú piccoli: Giovanni e Raffaele.
Ma con Giuseppe e, anche se in minore misura, con Francesco c‘era intima comunione d‘animo.
Per Giuseppe poi aveva avuto sempre attenzioni veramente materne. Quando lo vedeva chino su i libri
fino a notte tarda, ad un certo moment o era lei che lo persuadeva ad andare a dormire tranquillo, perché
avrebbe pensato lei a svegliarlo presto l‘indomani mattina. Giuseppe, benché piú grande di Paolina, la trattava un
po‘ come una mamma: piú volte, mentre lei attendeva alle cose di casa, le confidava la sua volontà di farsi
sacerdote: le parlava di quanto fosse bello, anche per una ragazza, lavorare per conquistare anime a Gesú, che gli
erano costate sangue; quanto fosse urgente per la Chiesa la necessità di anime generose che assumessero
l‘impegno di annunciare il Vangelo in un mondo cosí dissacrato. Paola ascoltava tutto e si lasciava con gioia
6
penetrare da quelle parole. Gli confidava a sua volta la volontà di consacrarsi tutta al Signore, ma comprendeva
che il papà non avrebbe potuto mai mettere insieme una dote per farla accogliere in un convento. Al lungo
sospiro di Paola, Giuseppe commentava: «Lasciamo fare al Signore: Egli ci penserà».
Comunque, per l‘andata a Quinto, ebbe ragion vinta la cagionevole salute di Paola.
«Ma non sente, papà, come tossisce?» osservava rispettosamente al padre Don Giuseppe, durante le sue
visite in famiglia da Quinto. «A Quinto c‘è l‘aria buona, c‘è sole. Paolina si rimetterà bene e presto», insisteva
cauto.
Ed il papà, alla fine: «Si, vedo anch‘io. Un po‘ di aria buona e un po‘ di sole ci vogliono proprio, ma per
poco, capito? Il tempo sufficiente per farla star bene».
E Paola partí per Quinto. Era ormai sulla strada dei disegni di Dio.
Don Giuseppe le affidò subito la gioventú femminile. «Come è dolce la sorella del Parroco». «Quanto è
gentile!». «Ma quanto è bella, quando prega in chiesa».
Erano i commenti piú comuni e frequenti di quelle ragazze che andavano pian piano stringendosi
intorno a Paola. E ben presto le colline di Quinto, di Monte Moro, soprattutto la bella chiesa parrocchiale
risuonarono dei loro canti.
Paola insegnava loro a ricamare, a rammendare, a tessere, a cantare.
Chi avrebbe detto che da quella scuoletta gratuita parrocchiale e da tante sofferenze, che fioriscono
sempre sul cammino delle opere di Dio, avrebbe avuto esaltante inizio la congregazione religiosa delle Suore di S.
Dorotea? Che quella benedetta ragazza, Paola, sarebbe diventata il segno radioso dell‘amore di Dio? Che le sue
figlie spirituali, avrebbero raggiunto tante parti del mondo, e sempre da tutti benedette? Paola e Don Giuseppe
avevano saputo se scrutare i disegni di Dio. Quanto avevano pregato insieme, quanto ne avevano ragionato.
Paola non avrebbe piú dimenticato quella notte, quando lui, su, nel coretto della chiesa, scriveva la prima
Regola della nuova comunità e lei, Paola, giú nella navata tenuamente illuminata dalla sola lampada, che
tremava con il suo cuore accanto al Tabernacolo, pregava con intensità d‘amore il suo Gesú perché illuminasse il
fratello.
O momenti ignorati dal mondo, ma che trovano una risonanza nei secoli!
I due, fratello e sorella, andranno poi per le loro strade; ma i loro cuori saranno sempre uniti e di quei
giorni rimarranno i ricordi dolcissimi.
«Sovvieniti, scriverà il 30 luglio 1842 a Don Giuseppe la sorella trasferitasi a Roma da poco — quanti
ostacoli da sormontare ci hai, in certo modo, predetti nell‘Oratorio di S. Pantaleo, a Quinto?»17
Quei colloqui a S. Pantaleo, quelli piú intimi alla sera, anche durante la cena, quando ormai era declinato
il giorno, e poi in quella sia stanzuccia che dava suIl‘interno della Chiesa, inginocchiati l‘uno accanto all‘altra,
mentre la lampada mandava al Tabernacolo i guizzi dell‘amore di quelle due ferventi anime oranti, quei ricordi ci
quanto torneranno soavi nei cuore di entrambi. Non altrimenti dovettero pulsare d‘amore e di trepidazione le
anime di Benedetto e Scolastica.
Anche papà Giovanni finí coll‘adorare la volontà di Dio e comprese che Quinto doveva essere per quei
due suoi figli amatissimi non un punto d‘arrivo, ma solo una pista di lancio.
Il radioso mattino dell‘11 Marzo 1984 lo squillo poderoso delle campane di S. Pietro annunciò al mondo
cattolico che la soave e forte Paola Frassinetti era stata dal papa Giovanni Paolo II insignita dell‘ aureola dei
Santi.
Oltre quell‘azzurro cielo, in Paradiso, mamma Angela e papà Giovanni con in mezzo Paola raggiante di
gloria, ed ai lati, rapiti di gaudio, i quattro fratelli Giuseppe, Francesco, Giovanni e Raffaele.
Come era vera la parola di Gesú: «Non c‘è nessuno che abbia lasciato casa, fratelli, sorelle, padre o
madre... per me e per il Vangelo che non riceva il centuplo fin d ‗ora, in questo tempo, e nel secolo futuro la vita
eterna»18
Giuseppe non poté conoscere che un breve tratto del lungo camminare nel mondo di Paola. Ma gli fu
certo sufficiente per conoscere come sono preziose le vie del Signore e come sono grandi i suoi disegni.
A QUINTO C’È SEMPRE LA MISSIONE
La popolazione di Quinto lentamente sí, ma stava cambiando. La chiesa, nei giorni festivi, si affollava
non piú di sole donne, ma anche di ragazzi e di quegli uomini rugosi e asciutti, che non sostavano piú sul sagrato.
17
18
P. FRASSINETTI, Lettere, Roma 1985, p. 15.
Mc 10,29—30.
7
Don Giuseppe aveva giocato loro un bel tiro: prima di dare inizio alla funzione vespertina, per alcune
volte, intonò ben forte un Pater Noster ed un‘ Ave Maria «per coloro che restavano fuori a oziare sul sagrato». E
quelli dopo un po‘di volte, uno dopo l‘altro, quatti quatti, si introducevano in chiesa.
Il giovane Prevosto sorrideva divertito nell‘osservarli mentre entravano tutti guardinghi.
D‘altra parte era un piacere ascoltarlo. Non lo si poteva negare. Si capiva subito che era un teologo,
fresco di studi, ma già molto abile. Ed il suo linguaggio familiare, semplice, ora pacato, ora fiammeggiante,
insegnava con chiarezza e convinzione le verità della fede.
Sembrava non predicasse a tutti, ma parlasse a ciascuno degli ascoltatori e a lui solo. Ti frugava
nell‘anima, senza neppure guardarti in viso.
Il padre, quando veniva da Genova a Quinto, si metteva in chiesa, seduto su una panca. Quando poi il
figliolo Prevosto compariva per la preghiera e il catechismo, si poneva tutto attento e interessato.
Accadde una domenica però, una cosa che gli rincrebbe assai.
Il Priore, dal pulpito, durante la predica, rimproverò severamente quei genitori che non concedono ai
figli la libertà di scegliersi il loro stato di vita quando la scelta riguarda lo stato di vita sacerdotale o religiosa.
Di ritorno in canonica, con Paola che gli camminava accanto, si mostrò tutto i imbronciato e non disse
parola.
A tavola si vedeva chiaro che papà Giovanni, scuro in volto, doveva avere qualche cosa, poiché non
riusciva a mandare giú un boccone ed era chiuso in un mutismo insolito.
«Ma che cosa hai, papà?» gli chiese ad un certo momento Paola un po‘ preoccupata.
Egli non rispose subito, poi, tutt‘ad un tratto, come vincendo se stesso, rivolto al Prevosto: «S‘e avevi
qualche osservazione da farmi – sbottò – me la potevi fare in privato e non in quel modo, in pubblico, mettermi
alla berlina»19.
«Veramente osserva Paola che ricorda l‘episodio — mio fratello non aveva avuto alcuna intenzione di
alludere a lui (che si era mostrato contrario alla vocazione della figlia). Suppongo che non pensasse che il genitore
fosse presente»20.
Ma le sue prediche erano cosí. Non sembravano mai scendere anonime, perché o l‘uno o l‘altro degli
uditori se la sentiva calare nell‘anima, come fossero dirette a lui ed a lui solo.
Nel confessionale poi era un padre premuroso, tenero, preoccupato, ma forte e sicuro. Non lasciava
andare il penitente se non l‘aveva penetrato nell‘anima con l‘intima, inenarrabile gioia che sola scaturisce
dall‘amore misericordioso di Dio incontrato nel suo perdono e che solo induce al fermo proposito di un
rinnovamento della propria vita.
«Sei mai stato a confessarti dal Prevosto? Prova e sentirai»
Gli uomini se lo dicevano l‘un l‘altro. Ed il confessionale era sempre occupato.
«A Quinto c‘è sempre la Missione»21 commentava la gente.
IL COLERA DEL 1835
Nel 1835 il colera scoppiò anche a Genova e portò distruzione e morte nella città.
Anche Quinto non fu risparmiata dall‘epidemia: duecento furono i colpiti dal morbo dal 24 agosto 1835
al 19 settembre I 837. Novanta le vittime22.
Don Giuseppe non si risparmiò in alcun modo.
La ―Gazzetta di Genova‖ scrisse allora: «Soprattutto sarà memoranda per Genova la condotta dei
sacerdoti di ogni grado, dei religiosi di ogni ordine, che in quei giorni tanto luttuosi si dimostrarono cosí penetrati
della loro vocazione»23.
Si poteva chiamare Don Giuseppe giorno e notte. Anzi lo si doveva chiamare. L‘ordine era perentorio.
Non si curava affatto del pericolo. Tanta era stata la forza d‘animo con cui aveva saputo vincere la
grande ripugnanza che istintivamente provava nell‘avvicinare i colerosi.
L‘avevano notato con ammirazione anche i suoi fratelli.
E. FALDI, Il Priore di S. Sabina, Scuola Grafica Don Bosco, Genova Sampierdarena 1963, p. 20.
Dalle biografie.
21 Summ, p. 88, 101.
22 Dall‟Archivio Comunale di Quinto.
23 Dalla «Gazzetta di Genova», 20.10.1835.
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8
Dovunque gemesse un infermo correva e non solo pronunciava le parole confortatrici ed elevanti della
fede, ma, quando si avvedeva di essersi imbattuto in un coleroso in povertà, era largo di soccorso fino a privarsi
dei suoi stessi abiti.
Dei cento colerosi che in quei due funestissimi anni morirono, non ce ne fu uno a cui fosse venuta meno
l‘assistenza religiosa.
Don Giuseppe, perché non fosse mancato né di giorno né di notte l‘aiuto e il conforto della carità e della
fede, aveva mobilitato non solo i suoi collaboratori e le buone suore Dorotee, ma anche i Cappuccini di Quarto.
Questi si prodigarono senza risparmio, tanto da meritare un pubblico elogio del Prevosto per l‘ammirevole
spirito di sacrificio con cui si erano prodigati, in ogni momento, a vantaggio dei poveri colerosi.
Il suo mandato di parroco a Quinto ebbe termine nel 1839, quando cioè fu nominato Priore della
parrocchia di S. Sabina in Genova. Nove anni di lavoro pastorale si erano chiusi dietro di lui ed in modo del tutto
positivo: aveva bene impostato il suo lavoro e molto illuminato era stato il suo metodo pastorale. I suoi colloqui
in proposito con la sorella Paola e con i due fratelli Raffaele e Giovanni, che lo avevano raggiunto, fatti sacerdoti,
avevano formulato un programma concreto e valido.
Come primo impegno — si era proposto — bisognava gettare basi robuste, il resto sarebbe stato piú
facile costruirlo bene. E l‘impegno fu pregare, istruire e far pregare.
Istruire i fedeli perché conoscessero la loro fede e la morale che doveva tradurla nel la vita pratica di ogni
giorno.
E poiché un tale apprendimento, per essere efficace, occorreva fosse graduale e costante, egli non aveva
mai omesso la predicazione e i catechismi nei giorni festivi, anzi, ogni sera, dopo il rosario, aveva dato lettura di
una breve meditazione o l‘aveva lui stesso dettata. L‗esame di coscienza poi, con il quale era stato solito chiudere
la preghiera comune della sera, gli aveva offerto spunti di riflessione per l‘approfondimento dell‘essenza della vita
cristiana e di verifica del proprio comportamento.
Pregare. Lo insegnò a tutti con grande unzione: «È cosa di somma importanza — diceva — che i
cristiani comincino e chiudano la giornata con la preghiera»24.
Con la dolcissima anima della sorella Paola aveva dato un esempio efficace di preghiera: nell‘osservarli,
quando, inginocchiati, erano in preghiera, la gente era rapita dalla stessa compostezza adorante della loro persona
e dal fervore che traduceva dai loro volti. Quella immobilità poi quasi statuaria dei loro esili corpi avvertiva che le
due anime erano naufragate nell‘amore e nella contemplazione di Dio.
Vero: come era edificante e quanta gioia dava il solo veder pregare.
UN OPUSCOLO ESPLOSIVO
Ormai si era fatta però necessaria la sua stabilità in Genova, specialmente per lo sviluppo che andava
prendendo la Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio da lui fondata insieme ad un sacerdote
zelantissimo, Don Luigi Sturla, con il quale comunicava e viveva i medesimi ideali.
La Congregazione si proponeva l‘elevazione morale, spirituale e culturale del giovane clero. Vi si erano
iscritti chierici e sacerdoti in buon numero e frequentavano con impegno le lezioni, prendendo viva parte alle
attività collaterali che man mano andavano nascendo nella Congregazione e piú nell‘Accademia di studi che il
Frassinetti aveva fondato nel suo seno. V‘insegnavano uomini di grande cultura ed autorità morale, che la fecero
assurgere ad Accademia di studi di tutto rispetto, destando ed alimentando un movimento di clero e di cultura
che non si sarebbe certo neppur sperato di poter suscitare.
Inoltre il nome del Frassinetti era ormai sulla bocca di tutti, amici e nemici della Chiesa, a causa
dell‘opuscolo ―Riflessioni proposte agli Ecclesiastici‖, che aveva edito nel 1837, quand‘era ancora parroco a S.
Pietro in Quinto.
Un opuscolo di poche pagine, tutto fuoco.
Individuava in esse, con incisiva chiarezza, i mali del tempo; denunciava, senza mezzi termini, i
comportamenti e le tattiche di lotta dei tanti nemici interni ed esterni della Chiesa e di Dio; esortava con ardore il
clero ad accettare le sfide che gli erano lanciate; indicava i mezzi e i modi per affrontarle e superarle. In quelle
poche paginette si sentiva fremere la sua rivolta irriducibile. Non si poteva né si doveva assistere inerti o tiepidi
all‘empietà che si faceva valanga compatta e che avanzava minacciosa, disponendo di una stragrande dovizia di
mezzi.
24
G. FRASSINETTI, La Devozione illuminata, O.A., vol. II, p. 190.
9
«I figli della luce — lamentava — si presentano invece ‗‗deboli ―, ‗‗disuniti‘‘, ‗‗isolati‘‘, ―tutti discordi‖,
‗‗miseri ‗‗. I lupi — avvertiva con De Maistre — sanno riunirsi, ma il cane di guardia è sempre solo»25.
Di fronte ad una realtà cosí preoccupante il Frassinetti non si perde a teorizzare, ma propone subito un
piano vivace di azione. A idea contrappone idea. A prassi, prassi. A metodo, metodo. A mezzo, mezzo. Ma
niente indugi o esitazioni frapposte: «Quando l‘avversario trova viva resistenza in ogni assalto e da ogni lato ove
percuote è ripercosso, si può dire già vinto»26.
«I nemici di santa Chiesa ,si può dire che siano tutti scostumati …(ivi). Noi, fratelli, dobbiamo al
contrario serbarci cosí integerrimi ed irreprensibili, che nemmeno il livore e l‘invidia trovino di che
rimproverarci»27.
Essi sono animati da doppiezza e da frode? Si muovono per sentieri tenebrosi? E noi «facciamo
conoscere a tutto il mondo che amiamo il bene, che ci sta a cuore … la salute delle anime redente dal sangue di
Gesú Cristo»28.
Via la pusillanimità, via i riguardi umani. Loro fan cadere un diluvio di libri pornografici? e noi vinciamo
con un diluvio di libri buoni.
Ed insisteva: «Quanto piú si moltiplicano i nemici della santa Chiesa, quanto piú imperversano nei loro
furori, altrettanto noi dobbiamo accendere il nostro zelo per la sua difesa, altrettanto dobbiamo per essa
fortemente combattere, animati da sicura fiducia che, essendo questo il tempo delle maggiori battaglie sarà pure
quello delle piú splendide vittorie»29.
Quell‘opuscolo fu esplosivo per la drasticità dell‘intervento (chi se lo aspettava in quell‘appiattimento
infingardo che ristagnava?), per la forza persuasiva che prorompeva da ogni riflessione e per lo zelo bruciante che
l‘incendiava tutto.
Naturalmente le reazioni furono forti e contrastanti: i cristiani veri accolsero quelle paginette come un
salutare squillo di trombe per scuotersi da ogni torpore e rimboccarsi le maniche; i nemici della Chiesa dettero
subito addosso. La madre di Mazzini osò scrivere al figlio: «Certo Parroco Frassinetti di campagna mesi fa faceva
una stampa che era proprio una sciocchezza, in ogni guisa...» e lo irrideva dicendolo «sciocco» che scrive ora «con
un maggiore pasticcio dell‘altro»30.
Ci fu tra il clero chi osò spedire l‘opuscolo a Roma, sollecitando una condanna ufficiale e decisiva; chi ne
fece una questione di prestigio (chi credeva di essere quel parroco?) da far andare molti del clero dall‘Arcivescovo
per una protesta formalizzata. Inutilmente; anzi, tutto risultò a lode dell‘Autore.
Oggi, leggendo quelle pagine che denunciavano il malcostume, l‘empietà di dottrine, la corruzione della
gioventù ... ci si meraviglia di siffatta reazione.
Occorre però riflettere che quello era un tempo uscito dal travaglio della Rivoluzione francese e della
vicenda napoleonica, dalla piú o meno conseguente non pacifica evoluzione delle classi sociali e che era pervaso
da correnti di pensiero razionaliste, positiviste e materialiste dissacranti.
Anche lo stesso modo con cui queste correnti si erano tumultuosamente introdotte nel tessuto socio—
culturale dell‘epoca, aveva scosso e turbato molto il clero, l‘aveva trasformato e diviso, e, purtroppo, in qualche
parte conquistato, cosí che era molto decaduta la disciplina, la cultura e la stessa spiritualità ecclesiastica.
Di conseguenza era notevole il guasto nel Popolo di Dio. Ed era proprio questo che il Frassinetti non
sopportava: «Chi viene scandalizzato ed io non ne arda?»31 sembrava gridare con l‘impeto di S. Paolo. Godette
nel suo animo di aver scatenato un tanto tumulto ed aver cosí messo in crisi tante coscienze.
Riconosceva che farsi sentire dagli ecclesiastici, lui giovane, non aveva alcun diritto, «ma avviene talvolta
nelle famiglie che il minimo dei fratelli e il meno capace levi esso pure la voce, quando si tratti di promuovere
gI‘interessi comuni della casa... essendo il minimo nella gran famiglia dello stato ecclesiastico, avrei dovuto starmi
in silenzio; ma amore è che mi fe‘ parlare, amore per gli interessi della casa di Dio; e all‘amore qualche tratto di
libertà si suol sempre perdonare»32.
Il lettore avrà certo compreso che tempra di apostolo fosse quel giovane pretino, magro, con un pallore soffuso
nel volto, che copriva in una talare pulitissima, ma un poco lisa, un metro e sessanta circa di forme somatiche, e
che due occhi castani penetranti e lucidissimi animavano con una notevole carica di simpatia tanto disarmante. Se
tu fissavi quegli occhi, non potevi non leggervi quel proposito: «Provenisse da buono o cattivo spirito (lascio che
Citazione fatta dallo stesso Frassinetti nella nota 4 di « Riflessioni proposte agli ecclesiastici», O.A. vol, II, p. 530.
G. FRASSINETTI, Riflessioni proposte agli ecclesiastici, O.A. vol II, p. 524.
27 Riflessioni proposte…, op. cit. O.A. vol. II, p. 524.
28 Riflessioni proposte…, op. cit. O.A. vol. II, p. 525.
29 Riflessioni proposte…, op. cit. O.A. vol. II, p. 524.
30 A. LUZIO, La Madre di Giuseppe Mazzini. Carteggio inedito dal 1834 aI 1839, Fratelli Bocca Edilori, Torino 1919, p. 21.
31 2 Cor 11,29.
32 Riflessioni proposte, op. cit., O.A. vol. II, p. 519.
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altri giudichi) appena fui ordinato sacerdote s‘impossessò del mio cuore una brama forte di giovare, per quanto
potessi nella mia nullità, e confidando unicamente nel divino aiuto, al giovane clero»33.
Tutto questo dunque richiedeva una sua dimora stabile in Genova. Il venire spesso da Quinto non era
allora cosa agevole.
D‘altra parte i migliori sacerdoti insistevano perché si decidesse in tal senso e godesse in tal modo di una
maggiore possibilità per allargare e potenziare il suo zelo.
Il Frassinetti si lasciò persuadere. Partecipò al concorso indetto per la parrocchia di S. Sabina. Lo vinse
con facilità e lasciò Quinto con tanta pena nel suo cuore ed in quello dei suoi fedeli, consapevoli di quale padre e
sacerdote rimanevano privi.
33
G. FRASSINETTI, Rischiarimenti sul mio passato, in ―Istituti e documenti». AF, p. 2.
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Parte Seconda
PARROCO A SANTA SABINA
La chiesa, poverissima, non aveva piú alcunché di appariscente e dell‘antica dignità non conservava piú
che misere tracce. Era in uno stato di vero abbandono. La canonica poi era pressoché una stalla, per usare
l‘espressione di chi ne ebbe visione diretta. Non poteva essere altrimenti, essendo stata adibita per vari anni ad
uso di magazzino e solo dal 1815 restituita al culto.
Vi fece il suo ingresso il 31 Maggio 1839. Diventava cosí ―il Priore di S. Sabina‖ e con tale appellativo
passerà alla storia. Volle subito che la chiesa fosse una decorosa casa del Signore. La sordidezza e lo squallore di
una chiesa - diceva — sono «inconvenienti che offendono la pietà del popolo cristiano e ne fanno illanguidire la
fede»34.
S‗adoprò in molti i modi per reperire i fondi. Non esitò a chiedere l‘elemosina.
E il buon Dio non gli fece mancare benefattori che rispondessero generosamente ai suoi appelli.
Vedendo infatti il suo disinteresse per sé (non chiedeva mai a suo vantaggio o per rendere piú ospitale la
sua canonica), non gli fecero mancare il loro aiuto.
Si sa che i Genovesi, prima di donare del denaro vogliono sapere e vedere come lo si impiega. Poi non
esitano a donare, anzi si rendono veramente splendidi.
Opere gigantesche come ospedali, ricoveri di mendicità, istituti per vecchi, orfanotrofi, chiese
parrocchiali e santuari che occhieggiano con il loro bianco splendore tra il verde pallido degli uliveti dell‘arco
dell‘Appennino Ligure, documentano la grandezza della fede generosa della gente ligure di ogni tempo. Il
Frassinetti incontrò persone generose ed ebbe nel patriziato genovese uomini, come il marchese Serra, di grande
munificenza, che gli ponevano in mano cospicue somme o direttamente dotavano S. Sabina di preziosi arredi
sacri.
Una volta, vigilia di una solennità, era proprio a corto di denaro. Recitò la consueta coroncina del
Cottolengo in onore della Divina Provvidenza, poi uscí tranquillo per la sua solita passeggiata pomeridiana.
In Via Balbi, prossima a S. Sabina, fu fermato da due signori, un uomo e una donna. Gli chiesero:
«Reverendo, è lei il Priore di S. Sabina?».
Alla sua risposta affermativa, gli diedero una forte somma di denaro per i suoi poveri e per la sua chiesa.
Il Priore non continuò il suo consueto itinerario, ma entrò nella vicina chiesa dei SS. Vittore e Carlo a dir
grazie al Signore. E cosí, nel giro di pochi anni, la chiesa ebbe il suo aspetto decoroso: «La sua chiesa e gli altari
brillavano per massimo decoro e pulizia degli arredi e delle tovaglie» attesta nelle sue memorie un chierico della
parrocchia35.
Ma ciò che era preminente nei suoi pensieri, e formava l‘assillo della sua anima di pastore, era il
risanamento morale e spirituale dei fedeli che Dio gli aveva affidato.
Chiamò accanto a sé i fratelli Don Raffaele e Don Giovanni, perché attendessero in modo particolare ai
fanciulli. Specialmente Don Raffaele, che era ardente di zelo per essi. «Io sono tutto affetto per voi... mi sono
sempre occupato di voi; e finché avrò vita mi occuperò piú di voi che degli altri», cosí egli dichiarava nella
prefazione del «Vangelo spiegato ai giovinetti» da lui dato alle stampe36.
Il Priore volle ancora con sé il vecchio padre. Questi vi andò, rompendo cosí la solitudine della vecchia
casa, avendo tutti i suoi figli accolto la chiamata di Dio.
Anche suor Paola, della cui assenza il padre maggiormente soffri va, godette della dimensione che
avevano preso le cose e si sentí sollevata da preoccupazione ed angoscia per il vecchio padre, il qua le si era
arreso alla fine di buon animo alla volontà di Dio e dava, come e quanto poteva, tutto se stesso alla causa del
Signore.
G. FRASSINETTI, Gesú Cristo regola del sacerdote, O.A., vol. II, p 571.
D. FASSIOLO, Memorie storiche intorno alla vita del sac. Giuseppe Frassinetti, Genova 1879, Tipografia della gioventú, pag. 111.
36 R. FRASSINETTI, Il Vangelo spiegato ai giovinetti, Genova 1862, p 111, dove cita quanto aveva già a affermato in un‘altra sua
operetta: Giardino di devozione per giovinetti, Oneglia 1854. p. 3s.
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12
DONAVA ANCHE IL SUO LETTO
Il fatto che balzò subito agli occhi dei Priore fu la grande povertà in cui versavano molti suoi figliuoli e
non pochi di quelli che, giornalmente, battevano alla sua porta. Gente senza un lavoro e, spesso, anche senza
fissa dimora, s‘aggirava nelle vicinanze del porto di Genova, in cui era sita S. Sabina, con la speranza di rimediare
un pezzo di pane.
Gente abituata a trascinare la sua esistenza come se Dio non ci fosse e, quando se lo rendeva presente,
era solo per incolparlo della propria infelicità e miseria. La bestemmia ed il turpiloquio erano diventati purtroppo
nefasta abitudine.
Il Priore sentiva di essere padre non solo delle anime della sua parrocchia, ma di ogni anima che si
presentasse al la casa del Signore. Chiunque infatti fosse stato in necessità spirituale o materiale, aveva diritto ad
una parte del suo cuore.
«Vedi come io ho amate le anime — sembrava dirgli Gesú che egli aveva preso a modello del suo
sacerdozio — per amore delle medesime ho sacrificato la mia vita divina... Tu ugualmente, per amore delle
anime, non risparmiare nulla, neanche la tua vita, che d‘altra parte è cosí miserabile... Non dire: A me non spetta
pensare a quelle anime»…«credi pure che, se mi ami, ti spetta pensare alle anime di tutto il mondo‗‗»37. Cosí
scrive nel libretto ‗‗Gesú Cristo regola del sacerdote‖.
Sapeva benissimo che la situazione economica della parrocchia non gli permetteva affatto molte
elemosine. E questa realtà lo sollecitava a condurre una vita senza agiatezze, anzi mortificatissima.
Paola, che aveva fatto con lui questa esperienza di vita a Quinto, poteva testimoniare: «In casa voleva si
usasse la piú scrupolosa economia,solendo spesso ripetere: ai poveri manca il pane con che sfamarsi, non
adoperiamo per noi che il puro necessario»38.
Non era avarizia o grettezza d‘animo che gli faceva continuare, anche in S. Sabina, lo stesso tenore di
vita. «L‘amore di Dio - rifletteva con S. Agostino — è sí il primo nell‘ordine del precetto, ma l‘amore del
prossimo è il primo nell‘ordine dell‘azione»39.
«La sua canonica era al di sotto di ogni piú povera canonica di campagna»40 affermò Don Chiola, che
conobbe personalmente il Priore ed aveva sentito dire che avesse dato tutto il suo in elemosina41.
Difatti egli morí, lasciando solo 17 soldi42.
Sono certo commoventi, pur nella loro espressione burocratica, certe affermazioni dei testimoni nel
processo per la sua santificazione: «Donava frequentemente il suo letto e donava tutto quanto al letto appartiene,
riducendosi nel frattempo a dormire su un tavolato, e ciò faceva soprattutto quando si trattava di impedire
qualche peccato»43.
Quando c‘era d i mezzo il pericolo d‘offendere Dio la sua carità non conosceva remore.
Pagò il fitto d‘un appartamento e si preoccupò di trovarne un altro, per dar modo ad una madre di
andarsene con le sue bambine da una casa di sospetta moralità44.
Il problema del pagamento del fitto della casa angustiava seriamente molte famiglie.
«Va dal Priore e digli che ci aiuti, per carità».
E la bimba corse in parrocchia.
«Senti, piccola, tranquillizzati, va a pregare S. Raffaele, vedrai che il buon Dio ti aiuterà».
Ella obbedí con tanta fiducia in cuore. Uscita di chiesa s‘imbatté in uno sconosciuto che le mise in mano
una busta chiusa da consegnare al parroco.
La fanciulla corse trafelata dal Priore. Egli, senza aprirla, le disse: «Va. Portala pure a mamma»45. La busta
conteneva piú denaro che non occorresse.
Ma non poche volte il buon Dio si alleava col Priore.
«Non ho di che pagare il fitto» — gemeva desolata un‘altra donna. «Di quanto avete bisogno?» domandò
il Priore. «Di venti lire» continuava piangendo quella povera mamma con l‘incubo dello sfratto. — «Non
Gesú Cristo regola del sacerdote, op cit., O.A. vol, II, p. 563.
Summ., p. 354, 10.
39 Cf S. AGOSTINO, Trattato su Giovanni, 17.7-9; CCL 36; 174-175.
40 Summ., p. 186, 9.
41 Summ., p. 184, 3.
42 Informatio, p. 22.
43 Summ., p. 203, 63.
44 Summ., 206, 65.
45 Summ., pp. 277-278,3.
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piangete. Ecco le venti lire» — le disse prendendo i soldi da una tasca — «Me le ha date or ora un signore che
non conosco, perché me ne servissi in opere di carità. Vedete? Sono venti lire, giuste, giuste»46.
La domestica, dovendo fare la spesa per il pranzo e non avendo denaro, si rivolse a papà Giovanni
Frassinetti. Egli portò subito le mani al portafoglio. Ma, con sua sorpresa e meraviglia, non ci trovò proprio
nulla.
Allora andò a prendere il salvadanaio, dove era sicurissimo di avere del denaro. Vuoto! Tutto il denaro,
che vi aveva riposto, sparito!
Sgomento e sorpreso, ne chiese al figlio Prevosto. Questi, con tutto candore, confessò al padre di aver
preso lui tutto il denaro per soccorrere un povero in grave necessità.
Il padre non gradí affatto la cosa e si mostrò seccato con il figlio e glielo disse chiaro e tondo: «Lo dovevi
chiedere a me». Il Priore non si scompose: «Ha ragione, babbo: ma vedrai che la divina Provvidenza, penserà a
rimediare a tutto». E nessuno aggiunse parola47.
Non esitava poi il Priore a spogliarsi di qualunque cosa, pur di soccorrere chi egli sapeva nel bisogno.
Il sig. Pedemonte Michele, uno dei suoi Figli di Maria fu presente al seguente episodio.
Era una mattina di gennaio. Il freddo rigidissimo. Dopo la Messa si presentò un povero vecchio, tutto
intirizzito dal freddo. Implorò un aiuto piú con lo sguardo che con le parole. A quella vista il Priore pianse. Non
disse nulla. Si ritirò in una stanza vicina, si spogliò dei suoi indumenti personali intimi e, fattone un fagotto alla
meglio, li porse a quei vecchio: «Prendete questa biancheria — disse — vi riparerà un poco dal freddo»48
Forse a qualcuno, nel leggere questo fioretto di sapore francescano compiuto dal Priore, verrà da
sorridere. Ma i Santi, avrà certo riflettuto il sig. Pedernonte, che lo ha narrato davanti ai giudici del tribunale
ecclesiastico, non esitano a compiere qualunque cosa, pur di lenire le sofferenze d‘un fratello.
«Alcune anime esercitano le opere della misericordia con fede sí viva — scrisse il Priore nel suo
trattatello ―Il Pater noster di S. Teresa di Gesú‖ —... (che) fanno per i loro fratelli ciò che farebbero per Gesú
stesso. E poiché se vedessero affamato Gesú Cristo, si torrebbero tosto il pane di bocca per darlo a Lui, e dalla
propria mensa vorrebbero che avesse i migliori bocconi,si assoggettano a soffrir essi la fame per i loro prossimi e
procedono sempre con i poveri con certa grandezza di animo e munificenza e sempre danno piú che possono ed
il meglio che possono»49.
Sono parole che suonano ancor oggi ammonitrici. Oh! se aprissimo cristianamente il cuore dinanzi a
tanti spettacoli inauditi di miserie in questo nostro mondo sconvolto da guerre, da lotte fratricide, da devastazioni
e calamità di ogni sorta. Il grido implorante di milioni di nostri fratelli sale quotidianamente fino a noi.
Un giorno vide passare un uomo già un po‘ avanti negli anni, che portava un sacco di cemento sulle
spalle. Non gliela faceva piú. «Dove dovete portare questo sacco, buon uomo?», chiese il Priore. E quegli indicò
il luogo non molto distante dalla chiesa parrocchiale. Allora il Priore si prese il sacco in spalla e lo portò fino al
luogo indicato50.
Lo chiamavano il padre dei poveri
Come suole avvenire nelle cose umane, non tutti avevano parole di gratitudine e di ammirazione per lui.
Ma questa non era cosa che lo turbasse o lo trattenesse dal fare la carità.
Un giorno, proprio sulla porta della canonica, dove era solito distribuire I‘elemosina, una donna,
nell‘attesa, stava proferendo parole offensive contro di lui. Quando il Priore comparve sulla soglia per distribuire
i soliti soccorsi: «Non avete detto tanto male che basti», le disse. E mise in mano a lei, alquanto turbata,
un‘elemosina piú abbondante che alle altre.
Voleva conoscere di persona i poveri della sua parrocchia e spesso portava personalmente i soccorsi,
anche per evitare che venissero conosciute situazioni che potessero tornare in qualche misura ad umiliazione.
Solo dopo la sua morte si seppe che una famiglia di alto censo, dall‘agiatezza caduta nella piú squallida
miseria, era riuscita a risollevarsi per la carità del Priore, che si era molto occupato per ottenere un posto di
lavoro al capo famiglia51.
Nel visitare gl‘infermi aveva delicatezze particolari, quando c‘era da sovvenire alla povertà in cui si
avvedeva che essi versavano. Un‘offerta, posta sotto il guanciale o compiegata in qualche libretto di pietà, era
lasciata in dono sul comodino52.
Summ., p. 202, 59.
L‘episodio è riportato nella biografia del Servo di Dio del Faldi, Op. cit. nelle pagg. 193-194.
48 Summ., pag. 202, 60.
49 G. FRASSINETTI, Pater noster di S. Teresa di Gesú, O.A., vol. I, pag. 283s.
50 Il gustoso episodio è descritto da una testimone oculare ed è riferito dal Faldi op. cit., p. 115.
51 Summ., p. 267, 17.
52 Ivi, p. 204, 68.
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Una signora, ogni anno, si provvedeva di un modesto abito nuovo per la festa della Madonna del
Soccorso. Ma, in quell‘anno, i mezzi non le permettevano affatto un tale lusso. Se ne addolorava tanto. Come
celebrare la festa della Madonna, senza avere l‘abito nuovo? Il Priore seppe, sorrise e provvide53.
Non possiamo chiudere questo bel capitolo della vita del Frassinetti, senza riferire queste espressioni del
suo primo biografo, testimone oculare di tanta parte della sua vita:
«Voleva egli stesso amministrare le limosine; procurava di ben conoscere i poveri della sua parrocchia;
conosciuti per tali, non cessava mai dal soccorrerli e, insieme ai soccorsi, aggiungeva con bel modo qualche buon
sentimento da eccitarli al bene; e coloro che perciò imprendevano a cambiare vita e costumi non erano pochi. In
tal modo provvedeva al duplice bisogno dell‘uomo, spirituale e corporale, nel che consiste la vera carità
comandata da Gesú Cristo»54.
Giustamente il Fassiolo scrisse: «L‗encomio piú bello dell‘uomo, il panegirico piú veritiero delle sue virtú
altro non sono che le lacrime e le preghiere dei poveri. Il Priore ebbe questo tributo di lode dai figlioli della
miseria, i quali furono pure i figli suoi prediletti. Deplorarono inconsolabili la sua perdita»55.
AL CONFESSIONALE CON AMORE E DISCERNIMENTO
Era però molto piú triste tra quella sua nuova gente, un‘altra povertà, anzi una vera miseria, che faceva
soffrire piú penosamente il suo cuore: quella dell‘anima.
La fama di alcune vie della zona parrocchiale non era certo lusinghiera, se famiglie di altre parrocchie
vietavano alle loro domestiche persino di andarvi a fare la spesa.
Del resto s‘era avvertito subito dall‘abbandono in cui era lasciato il Signore nel tabernacolo. Giusto nel
primo mattino, qualche pio cristiano assisteva alla Messa. Poi niente!
Il Priore constatava gli effetti della laicizzazione della vita: infatti gli obbiettivi temporali erano pressoché
gli unici a cui si mirava.
Non è a dire che egli si scoraggiasse; ne traeva anzi motivo per intensificare l‘azione pastorale.
Intanto egli stesso si faceva lampada viva e ardente presso il tabernacolo. Chi fosse entrato in S. Sabina
scorgeva l‘esile figura del Parroco in adorazione davanti al suo Gesú e pregare con tanto raccoglimento da
sentirsi attratto ad inginocchiarsi e sostare un po‘. Il solo vederlo pregare, piegava l‘animo a pregare. La fama di
pietà sacerdotale che l‘aveva preceduto da Quinto corrispondeva alla verità dei fatti. Se lo andavano dicendo i
parrocchiani l‘uno all‘altro.
Ed a poco a poco cominciarono anche ad avvicinarsi al confessionale anime che sentivano il bisogno che
Dio irrompesse nella loro vita.
Il Priore si trovava presso il confessionale al mattino, molto per tempo. S‘inginocchiava là accanto, quasi
a voler significare al penitente: «Vedi! son giú qui per te. Ti aspettavo »56.
Ben presto il confessionale divenne fonte di gran pace per tante, tante anime. Egli «accoglieva tutti e a
tutte le ore e s‘intratteneva con loro con una pazienza veramente eroica» affermò un testimone oculare57.
Trascorreva in confessionale quasi sempre tutte le ore del mattino, tranne il tempo dedicato alla
celebrazione della Messa. Questo tempo era per lui ristoro e riposo, fonte di pietà illuminante.
Dal suo intimo colloquio con Dio attingeva infatti tutta quella misericordia con la quale accoglieva poi
anche i peccatori piú incalliti nel male, quella luce con cui penetrava nel segreto delle anime, sia di quelle restie a
schiudersi all‘alba della grazia e sia di quelle anelanti a perfezione sempre piú elevata. Quanta luce emanava allora
dalla sua anima sulle coscienze, quanta volontà di redimersi e di ascendere si accendeva al suo fuoco di santità e
d‘amore.
Non era certo un confessore di manica larga, ma uno che faceva proprio lo stato del penitente, con il
quale soffriva e gemeva o cantava le meraviglie esaltanti della croce redentrice di Gesú Cristo.
In tal modo quel mobile barocco di vecchio legno che è il confessionale diventò il luogo provvidenziale
del rinnovamento della sua parrocchia e della spiritualità di Genova.
A lui infatti ricorrevano anche prelati e sacerdoti, i quali — afferma un sacerdote di allora — «lo
ritenevano come uno dei primi, se non forse il primo dei confessori della Città»58.
Ivi, p. 197, 43.
Memorie, op. cit. p. 128.
55 Ivi, p. 190.
56 Summ., p. 172, 8.
57 Cf Ivi, p. 200, 52.
58 Summ., p. 78, 67.
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Al confessionale imparò a conoscere il cuore dell‘uomo, a sapere, per esperienza d‘anime, di quanto bene
e di quanto male sia capace e di conseguenza quale debba essere il cammino da tracciare a ciascun‘anima per la
sua santificazione, essendo ogni anima misteriosa e peculiarissima.
Tale sua esperienza era inoltre arricchita dalla direzione spirituale propriamente detta di quanti andavano
da lui, di ogni ceto e condizione sociale, per chiarire dubbi, chiedere consigli ed avere sostegno e conforto
spirituale.
Si andava egli imponendo con la fama della sua santità, con la vastità e sicurezza di dottrina di cui era
ornato.
APOSTOLO DELLA PAROLA
Come era già accaduto a Quinto, la chiesa di S. Sabina si affollava per ascoltare il Priore parlare delle
cose di Dio.
La sua eloquenza era, per dirlo con le sue parole, senza «alcuna lisciatura, senza ornamenti letterari, come
era nell‘uso dell‘oratoria sacra del tempo.
Ma semplice, chiara, immediata cosí che anche il piú umile e indotto uditore poteva capire bene la parola
di Dio. «Tutti — scriveva — hanno il diritto ed il bisogno d‘intendere quando loro s‘annuncia la parola di Dio»59.
Parlava da padre, parlava da fratello, parlava da amico60. Non si creda però che la sua fosse un‘oratoria dolciastra;
quando occorreva anzi sapeva farsi ―spada‖ che taglia netto.
Mirava inoltre all‘essenziale: voleva stimolare e muovere all‘azione. Era insomma la parola di un ardente
sacerdote di Dio che vuol persuadere e che, a tutti i costi, vuol riuscire a portare a salvezza le anime.
Quali idee accendevano la sua anima e quindi erano sostanza dei suoi discorsi al popolo? Le stesse che
costituivano il segreto della sua personalità.
— La santità è per tutti.
Questa idea in lui vibrava di singolare potenza e se ne intuisce il perché. Il giansenismo del suo tempo la
relegava nell‘olimpo, meta per poche creature.
Ma la santità — è insegnamento costante del Frassinetti — non è privilegio di poche anime, ma è di
tutti, qualunque sia lo stato o condizione di vita.
Essa infatti consiste nell‘amare Dio. E si ama Dio adempiendo la sua volontà fermamente, umilmente,
unicamente.
Sottolineava infine che Dio ottiene il maggior onore dalle sue creature non dalla grandezza delle opere
che compiono, ma dalla conformità che esse hanno con il suo volere.
— Guardate la Croce.
Il cristiano deve guardare con intensità d‘amore Gesú sofferente. Il Gesú del Getsemani, della Croce, il
Gesú «dal cuore squarciato» è quello che persuade ad abbracciare la volontà del Padre con lutto l‘abbandono che
è proprio dell‘amore; che spinge a rimanere fedeli a qualunque prezzo e che rende pronti e generosi,
specialmente quando le sofferenze del corpo o le angosce dell‘anima permettono di dare le prove piú pregiate
dell‘amore.
«Guardatelo sulla croce» 61 esortava con ardore dal pulpito. «Se saremo costanti contemplatori delle
sacratissime piaghe del Salvatore, non commetteremo peccati. Esse gioveranno a mantenerci e a farci crescere
nell‘amore di Dio»62.
S. Paola, nel concludere una sua lettera al fratello Giuseppe, apre uno squarcio di cielo: «Addio, ti lascio
ai piedi della Croce a confortare la nostra cara madre Maria»63.
L‘amore alla Croce — secondo il Frassinetti — è la nota distintiva della santità vera «l‘amore della croce
è il piú sicuro distintivo delle anime che vogliono essere tutte di Gesú»64.
«Gesú che vi ama, non vi lascerà priva di cosa a sé tanto cara quale è la Croce» scriveva ne «La monaca in
casa»65.
— Gesú deve essere conosciuto.
G. FRASSINETTI, Il Parroco novello, Alba 1963, Edizioni Paoline, a cura di G. Pistoni XII edizione, p. 143.
Cf Gesú Cristo regola del sacerdote, op. cit., O.A., vol. II., p. 573.
61 G. FRASSINETTI, Spiegazioni del Vangelo al popolo, O.O., Alba 1923, Scuola Tip. Editrice, vol. VI p. 29.
62 Spiegazioni del Vangelo, O.O., vol. V, op. cit., p. 14.
63 Lettere, op. cit., p. 15.
64 G. FRASSINETTI, Ricordi per una figlia che vuole essere tutta di Gesú, O.A., vol. I, p. 645.
65 G. FRASSINETTI, La monaca in casa, O.A. vol. II, p. 51.
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Era questo l‘assillo del suo cuore: far conoscere il Signore per farlo amare. «L‘unica cosa importante e
quella che sopra ogni altra dobbiamo cercare (è) conoscere il buon Pastore, per amarlo con tutto il
cuore»66.
Come doveva essere vibrante questo suo squillo d‘amore, fatto risuonare in un secolo tanto dissacratore.
Non era infatti quello il tempo che gemeva sotto le raffiche furiose del crescente naturalismo di Semler,
del razionalismo di Paulus, di Schhleiermacher, di Strauss, di Renan, che il Frassinetti non vuole neppure
nominare, indicandolo semplicemente quell‘empio che ha scritto adesso un libro contro Gesú?67
Il Priore indicava quali erano i mezzi per conoscere Gesú: la sua divina parola «che sta nelle divine
Scritture» e la divina Eucaristia.
«Questa Parola è tutta sostanza di sapienza celeste, nutre lo spirito, lo accalora, lo impingua: anzi essa
stessa è spirito e vita»68. Non altrimenti il Vaticano Il affermerà che la Parola di Dio «è potenza divina per la
salvezza di chiunque crede»69.
LA SS. EUCARISTIA
«Ma il piú dolce e salutare, il piú mirabile, il piú stupendo di tutti i pascoli è quello della SS. Eucarestia …
(Gesú) è il buon Pastore che pasce, coi pascoli piú prelibati, le sue pecorelle: lo confessi il cielo e la terra, e il
Signore abbia eterna lode per tanta bontà»70.
Par di vederlo questo sacerdote di Dio accendersi in volto, rapito da un sacro trasporto d‘amore e tutto
impegnato ad accendere le anime: «Accostatevi piú spesso che potete alla santa Mensa... frequentate quanto piú
potete, anche quotidianamente, la santa Comunione»71.
Erano parole che, in quel tempo, a moltissimi suonavano, a dir poco, audaci. Non era infatti del tutto
spento lo spirito giansenista ed era tuttora molto severa la dottrina dei teologi, che quasi concordemente
esigevano tali disposizioni spirituali per ricevere la Comunione, che a pochi poteva essere concesso di accedere
all‘ Eucaristia.
Il Frassinetti era convinto che Gesú eucaristico ha la potenza di un incendio e che I‘uomo è come una
pagliuzza, che, quando gli si avvicina, è tutta incendiata72.
L‘ultima sua fatica editoriale, che doveva pure essere il suo testamento, fu ―Il Convito del Divino
Amore‖. Uscí postumo. Era «un frutto veramente prezioso, maturato al sole del Divino Amore», ha scritto di
esso una rivista teologica di lingua tedesca73.
Appartiene ormai alla storia della Chiesa il fatto che il Frassinetti sia stato uno dei maggiori apostoli della
comunione frequente ed un precursore del noto Decreto del 16 dicembre 1905 con cui S. Pio X schiuse le
porticine dei tabernacoli anche ai fanciulli.
Quella sua affermazione: «A me pare che, come nel SS. Sacramento si trova tutto il bene col quale Iddio
può attestare all‘uomo il suo amore; cosí si trovi nella frequenza del SS. Sacramento tutto il bene che l‘uomo può
fare per onorare Iddio: e ciò in due modi: onorandolo direttamente colla SS. Comunione, e indirettamente cogli
effetti che dalla frequenza d‘essa Comunione sono prodotti»74 trova la sua conferma nella santità che in ogni
tempo è fiorita dall‘Eucaristia come da una prima sorgente della perfezione dell‘anima e come il mezzo piú
efficace per alimentarla e sublimarla. Essa è la vita e la suprema ineffabile bellezza e ricchezza della Chiesa.
Scrive il Fassiolo nelle sue memorie storiche intorno al Frassinetti, che «il Priore era uomo di fede...
Questa fede in lui cosí viva unita a uno spirito di grande pietà e devozione lo portava con fervore a quel
Sacramento che è detto per eccellenza il Mistero di fede... Ne impiantò il culto a Quinto... quando fu in città
cooperò allo stabilimento in S. Torpete, chiesa gentilizia, dell‘adorazione notturna... quando era il suo turno, non
mancava mai... quando egli morí era Presidente della Commissione per questa opera di Fede che zelava con
Spiegazioni del Vangelo, O.O., op. cit., vol. V, p. 33.
G. FRASSINETTI, Amiamo Gesú, O.A., vol. I, p. 431.
68 Spiegazioni del Vangelo, O.O., op. cit., vol. V, p. 22.
69 CONC. ECUM. VAT. II, Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione “Dei Verbum”, 17.
70 Spiegazioni del Vangelo, O.O., op. cit., vol. V, p. 23s.
71 G. FRASSINETTI,Il religioso al secolo, O.A., vol. II, p. 67.
72 G. FRASSINETTI, Amiamo Maria, O.A., vol, II, p. 348.
73 Theologisch-praktische Liwter Quartalschrift, fasc. II, 1909, p. 368.
74 G. FRASSINETTI, Convito del divino Amore, O.A., vol I, p. 393. 62.
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grande impegno perché aumentasse di membri e perché non mancasse il Cappellano per la Messa e la
Benedizione»75.
RINNOVATORE
AI vederlo nel suo comportamento tanto mite ed umile, non lo si sarebbe qualificato ―uomo
focosissimo‖. S. Paola, che lo conosceva bene, l‘aveva definito cosí76. È vero che l‘aveva affermato di lui ancor
giovanissimo negli anni, ma si sa che il carattere permane; il crescere dell‘età lo può governare, dominare,
correggere ma non cambiare.
In lui, consacrato sacerdote, quel carattere rimase.
Al momento giusto si manifestava. Egli non sopportava che la causa di Dio fosse compromessa,
ostacolata, insidiata dai suoi nemici e non tollerava affatto che il successo di tanta guerra fosse dovuto alla
indifferenza tranquilla di troppi cristiani.
Era dunque necessario creare convinzioni religiose profonde e salde; forgiare caratteri robusti; educare
gli uomini ai forti ideali del Vangelo.
A questo lavoro di rinnovamento di mentalità e di azione nessun cristiano, e tanto meno un sacerdote,
può sottrarsi. Il sacerdote — scriveva — è stato «scelto di mezzo al popolo di Dio affinché con la sua autorità
ammaestri le anime redente dal suo Sangue, le sciolga dai peccati, le santifichi e le ricolmi delle sue celesti
benedizioni»77.
Per coinvolgere piú intensamente i sacerdoti nell‘ardore della causa, aveva fattivamente cooperato alla
fondazione della Congregazione del Beato Leonardo da Porto Maurizio e nel suo seno aveva istituito
l‘Accademia di Studi Ecclesiastici, sulla cui cattedra si successero i nomi piú prestigiosi, per dottrina e per
grandezza di vita, del clero genovese
Con queste due istituzioni si mirava a rendere il giovane clero piú fervido e piú profondo nella ricchezza
della vita interiore, piú compatto, illuminato e zelante nell‘azione pastorale.
«Promoviamo tutti i mezzi d‘unione nel clero... il nostro centro sarà Cristo. Ma poiché Egli è Capo,
Condottiero e Maestro invisibile, e noi abbiamo bisogno di un Capo, Condottiero e Maestro visibile, questo ce lo
ha lasciato nel suo Rappresentante e Vicario il Romano Pontefice, questi pure sarà il centro della desiderata
unione»78.
Era però un programma non facile ad essere realizzato, dati i tempi che andavano facendosi tempestosi,
in cui, specialmente in Liguria, molto clero viveva frastornato da correnti innovatrici politicamente ma di tinta
non cristiana.
Correnti varie di pensiero filosofico infatti, con eruzioni areligiose o antireligiose violente; i moti
dell‘incipiente Risorgimento italiano non bene chiariti ed equivoci soprattutto sul piano religioso; gli ultimi
affannati respiri del giansenismo, avevano creato un clima di confusione e di dissenso dalla fede e dalla pratica
della vita cristiana anche in molti del clero.
Il Frassinetti, e con lui la parte migliore dei sacerdoti, vedeva con chiarezza ed angoscia quanto un tale
frastornamento del clero influisse negativamente sul popo1o che andava allontanandosi dal senso cristiano della
vita e dalla pratica di vita ecclesiale. Male poi sopportava l‘atteggiamento di quelli che, anche tra il clero rimasto
fedele alla propria vocazione, si limitavano a dire ―vediamo‖, ―attendiamo che le cose si chiariscano‖, ―faremo‖.
Chiamava tali atteggiamenti falsamente prudenziali: «l‘ascetismo dell‘infingardaggine»79.
Intrepido continuò, intensificandolo, il lavoro a vantaggio del clero con scritti, non certo privi di
coraggio e chiarezza; con la creazione d‘istituzioni e sodalizi con cui fece vigoreggiare riprese spirituali, destando
nuovi impulsi e fermenti di zelo. Mosse poi arditamente contro il Gioberti. Fu un confronto—scontro sul piano
delle idee. Smontò le sue menzogne, rilevò le sue contraddizioni, rese evidente il vero intendimento della sua acre
azione contro i gesuiti ed i «gesuitanti»80.
Il suo atteggiamento polemico non fu senza frutto: molti aprirono gli occhi ed attenuarono i loro
entusiasmi verso un uomo tanto equivoco come fu il Gioberti.
Memorie, op. cit., p. 107ss.
Informatio, p. 6.
77 Cf Gesú Cristo regola del sacerdote, O.A., op. cit., vol. II, p. 551.
78 G. FRASSINETTI, Brevi parole ai sacerdoti fratelli, O.A. voI. II, p. 611.
79 Brevi parole ai sacerdoti, O.A, op. cit., vol. II, p. 604.
80 Summ. p. 61,18: Ivi, p. 130, 20. Della vita e delle opere del Servo di Dio, op. cit., p. 110.
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Ci volle del tempo, è vero, ma il tramonto dell‘uomo non si annunciò piú cosí lontano come sarebbe
potuto sembrare qualche tempo prima. E questo fu grande cosa.
Il Frassinetti non scese mai, né si lasciò ma i trascinare sul piano politico; si attenne sempre su quel lo
religioso, lottando da forte e da impavido.
Ci fu per lui l‘esilio, è vero, dovette infatti, come altri personaggi rimasti fedeli al loro sacerdozio, lasciare
contemporaneamente la parrocchia, che affidò ai due fratelli Raffaele e Giovanni. Ma quando, dopo poco piú di
un anno, vi rientrò, riprese le sue attività pastorali con fede piú robusta, con ardore piú vivo; fu piú amato dai
buoni e rispettato dagli avversari.
COINVOLGE IL LAICATO NEL LAVORO PASTORALE
I problemi che gli si presentarono nello svolgimento del ministero furono molti e impegnativi. Egli
assecondò la sua naturale propensione all‘associazionismo, già in gran parte sperimentato validamente a Quinto.
A S. Sabina si era fatta piú forte in lui la convinzione che un sacerdote in cura di anime non avrebbe piú
potuto far fronte da solo a tutti i lavori che una parrocchia vitale avrebbe dovuto suscitare e sviluppare.
Occorreva perciò fare appello al laicato, perché, affiancandosi al parroco, gli prestasse le sue braccia, gli
offrisse le sue idee operatrici, lo assecondasse nelle iniziative per farle arrivare dove non sarebbero mai arrivate.
Oggi queste idee non ci sorprendono e, dopo il Decreto conciliare ―Apostolicam actuositatem‖ le
sentiamo come ovvie e doverose81. Allora suonavano certamente nuove ed innovatrici.
A S. Sabina si trovò a dover risolvere il grave problema della formazione della gioventú femminile; piú
grave che a Quinto, data l‘immediata vicinanza del porto e l‘essere essa pressoché ignara dei valori religiosi a cui
ispirarsi.
A Quinto aveva avuto, impareggiabile collaboratrice, la sorella Paola che mostrò con lo splendore,
l‘intensità e la letizia della sua vita quanto fosse stupendo vivere secondo il Vangelo. E fu subito trascinatrice di
tante ragazze di cui si rese madre e maestra.
Ma a S. Sabina?
Non mancavano certo ragazze moralmente sane ed evangelicamente generose. Occorreva però
raccoglierle in un piccolo drappello, formarle, animarle. Occorreva accendere in loro la volontà di farsi apostole
nei settori femminili della parrocchia, cosí che operassero anche là dove sarebbe stata problematica l‘opera diretta
d‘un sacerdote.
Pensò di suscitare in S. Sabina lo stesso movimento femminile (la Pia Unione delle Figlie di S. Maria
Immacolata) nato in Mornese attorno ad una giovane Angela Maccagno. Questa giovane donna, diretta da Don
Domenico Pestarino, uno che aveva fatto parte per un buon numero di anni del «Circolo» del Frassinetti, si era
consacrata a Dio, e, pur rimanendo in famiglia, si dedicava con ardore alla cura della gioventú femminile.
Intorno a lei si erano strette altre ragazze, tra cui Maria Mazzarello, che diventerà la fondatrice delle
Suore salesiane di Don Bosco82. Ad esse il Frassinetti donò un regolamento di vita e si recava a visitarle per
seguirle nella loro spiritualità83.
L‗Unione fu aperta anche in S. Sabina. Gradualmente vi aderirono alcune brave ragazze che
s‘impegnarono generosamente sia a vivere da ardenti cristiane con la professione dei voti propri della vita
consacrata, sia dedicandosi ad un fervido apostolato tra la gioventú femminile specialmente tra quella piú
abbandonata a se stessa.
In tal modo il Priore in breve tempo si procurò un nuovo strumento di penetrazione in vari strati sociali,
che valse a sanare situazioni morali e familiari scabrose, a dare un‘onesta occupazione ad un numero notevole di
ragazze, ad insegnar loro lavori domestici, di cucito e di ricamo.
Tutta questa animazione parrocchiale rientrava in un quadro pastorale che ebbe i caratteri di un vero
pionierismo nell‘apostolato con felici sviluppi nel la vita della Chiesa non solo genovese.
Qui basti ricordare ancora la Serva di Dio, Rosa Gattorno, che ebbe parte illuminata anche nella stesura
definitiva della Regola della Pia Unione. Fu proprio in occasione di tale suo compito che la Gattorno ebbe da
Dio l‘illuminazione di fondare la Congregazione religiosa delle Figlie di S. Anna, molto fiorente in Italia ed
CONC. ECUM. VAT. II, Decreto sull‟apostolato dei laici “Apostolicam actuositatem”, 17.
G. RENZI, Profilo biografico del Servo di Dio, O.A., vol. I, p. XXIs.
83 M. E. POSADA, Giuseppe Frassinetti e Maria Domenica Mazzarello rapporto storico-spirituale, LAS, Roma 1986.
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all‘estero. La Gattorno fu direttrice venerata ed amata dalla Pia Unione e valida collaboratrice del Frassinetti
anche in altre Unioni da lui fondate.
DIFENDIAMO LA NOSTRA FEDE
La propaganda protestante andava diffondendosi a Genova, fatta astiosa contro la fede cattolica e resa
ardita per la ricchezza dei mezzi di cui poteva disporre a sostegno delle sue associazioni e delle sue scuole. Si era
fatto molto insidioso l‘adescamento dei poveri con le offerte di somme di denaro; piú intensa la diffusione della
stampa, fatta in larga misura, anche passando nelle case di porta in porta.
A quasi nulla erano valse le proteste anche ufficiali rivolte dal Vicario capitolare al Ministro di Grazia e
Giustizia.
Il Frassinetti preferí passare all‘azione, chiamando a raccolta tutti i buoni, perché, organizzati ed animati
da vero zelo per gli interessi della fede, che sono, come egli diceva, quelli di Dio e della salvezza delle anime,
promovessero la diffusione della buona stampa, incrementassero il culto al SS. Sacramento, la santificazione delle
feste e tutte quelle opere di pietà e di carità efficaci per ricondurre sulla strada retta le anime che si fossero
traviate.
Il suo campo di azione, come si rileva, si allargava ad affrontare ogni forma di empietà e di deviazione.
Poiché l‘arma della stampa era formidabile in mano ai nemici della fede, il Frassinetti s‘adoprò con tutte
le sue energie a neutralizzarne gli effetti, valendosi della loro stessa arma. Non scese sul piano della polemica
sterile né dell‘apologetica puntigliosa o enfatica. Stette sul piano e nel campo dottrinale e religioso. Dio solo sa di
quante anime abbia protetto l‘integrità della fede quel suo Compendio della Teologia Dogmatica, chiamato poi
dalla seconda edizione, con nome piú modesto, ‗‗Catechismo Dogmatico‖, che egli divulgò in migliaia di
esemplari e di cui non pochi vescovi si affrettavano a prenotare le copie84.
Uscirono dalla sua penna infaticata ancora libretti, opuscoli, fogli e foglietti. Venivano diffusi senza
risparmio. Dalla Francia, dalla Germania, da molte città dell‘Italia gli scrivevano per avere licenza di tradurre o
dare alle stampe tali scritti che piacevano per la semplicità di stile con cui erano redatti, per l‘afflato spirituale che
da essi emanava, per la sicurezza della dottrina che li sostanziava.
Don Bosco, che seguiva con molto interesse la sua attività di scrittore, lo andò a visitare a Genova e lo
fece prezioso collaboratore della sua rivista ―Letture Cattoliche‖.
84
Fu tradotto in spagnolo, tedesco e inglese. Quest‘ultima traduzione porta una presentazione del Card. Manning.
20
Parte Terza
LA SOCIETÀ OPERATA DI MUTUO SOCCORSO
È la prima sorta in Italia. Fu fondata nel 1854. Si volle provvedere con essa al mondo operaio,
promuovendo l‘elevazione della sua spiritualità ed insieme procurandone la promozione sociale ed umana.
La società — recitava il regolamento - si propone di rendere i soci «buoni, morigerati, solleciti
nell‘adempimento dei propri doveri verso Dio e verso gli uomini».
Intende allontanare gli operai da ciò che causa il loro degradamento: l‘ubriachezza, il gioco d azzardo, la
bestemmia, il turpiloquio, che erano manifestazioni purtroppo frequenti della loro vita associata. Allontanarli
dalle compagnie e dalla frequenza di certi i luoghi di vizio, che li inducevano a disordini spesso molto gravi.
La società doveva inoltre assistere I‘operaio economicamente e socialmente, battendosi perché gli fosse
riconosciuta la dignità che gli derivava dall‘essere lavoratore.
L‘operaio non si sentí piú solo. Accanto sapeva di avere la parrocchia. Leone XIII in seguito esporrà alle
classi lavoratrici, ai datori di lavoro, ai responsabili di governo la dottrina della Chiesa sui problemi
sociali e familiari propri del mondo del lavoro.
Il Frassinetti nella «provvida istituzione» — come l‘aveva definita l‘arcivescovo Mons. Charvaz — aveva
avuto collaboratore il canonico Salvatore Magnasco il quale, specialmente dopo la morte del Priore, la porterà
avanti in qualità di amato ed apprezzato animatore e direttore spirituale85.
Il P. Teodosio da Voltri nella sua biografia del Frassinetti ―Un prete rinnovatore‖ (Genova, l968) a pag.
76 ss. Scrive: «In un primo tempo, dai soci si venne in aiuto alle famiglie povere, poi i fondatori radunarono i soci
due volte al mese nella chiesa di S. Torpete per redigere ed esporre il regolamento della Società, il cui scopo
mirava soprattutto all‘elevazione morale degli umili, all‘assistenza degli operai, alla difesa dei loro diritti ed anche
a dar una chiara coscienza dei propri doveri sociali…
Gli aderenti alla Società non furono molti, ma in numero sufficiente per eleggere il Presidente e i
Consiglieri.
Scoppiata l‘epidemia del 1854 la Società di Mutuo Soccorso si sciolse per ricomporsi in seguito,
riprendendo con piú efficacia il suo cammino».
QUEL FEBBRAIO 1853!
La serenità e l‘intensità di tanto lavoro fu turbata da un grande dolore: ai primi di febbraio del 1853 si
spense il papà Giovanni Battista. Accanto al suo letto i quattro figli sacerdoti Giuseppe, Francesco, Raffaele e
Giovanni gli facevano preziosissima ed invidiabile corona.
Paola era a Roma. «Mio caro fratello — ella scrisse a Giuseppe — le tue lettere dolorose mi capitarono
assieme, e la prima che aprii fu quella che portava la nuova della morte accaduta del nostro caro Padre. Il colpo
che mi fece fu grande assai…sentii vivissimamente una tal perdita. Sento anche vivamente la vostra solitudine e
sempre vi ho presenti oppressi dal gran dolore... Tengo per certo che Gesú abbia già ricevuto il nostro buon
genitore nella sua gloria... Mi ha consolato la morte tranquilla che ha fatto. Ti assicuro che sentivo un non so che
in me che mi assicurava che non ne (di suffragi) avesse bisogno, e mi pareva di vederlo in Paradiso assieme ai
Beati cantare le divine misericordie e pregare per noi; il che mi ha dato tanta consolazione...»86.
Uguale certezza consolatrice doveva regnare nel cuore dei quattro fratelli sacerdoti. Come, del resto,
avrebbe potuto Gesú non accogliere in cielo colui che Gli aveva fatto dono dei suoi cinque figli? E tra questi il
dono che a lui era costato tanto sacrificio, della figlia Paola, la piú cara al suo cuore? Dovette certo essere per lui
un grandissimo sacrificio ed una pena amara il non averla accanto a sé nell‘ora suprema.
Il Signore gli aveva forse chiesto questa pena per purificarlo di quella sua resistenza ad offrirgli la figlia?
Beato un papà, beata una mamma se sono fatti degni che Dio elegga un fiore del loro amore per
riempire del suo profumo il mondo.
È veramente incomparabile il dono di una vocazione.
85
86
Summ., p. 363s. Documenta.
Lettere, op. cit., p. 100.
21
I genitori del Servo di Dio — come abbiamo già letto — erano due cristiani esemplari. Abitavano un
modesto appartamento nel territorio della parrocchia delle Vigne. Giovanni Battista Frassinetti esercitava la sua
modesta professione di merciaio onesto a tutta prova: era un uomo serio, positivo, amante dell‘ordine e della
disciplina. La mamma, Angela Viale, era una signora buona, affabile, dedita all‘educazione dei figli che seppe
instillare in essi la devozione alla Madonna di cui era devotissima.
FONDA I FIGLI DI S. MARIA IMMACOLATA
La scarsità delle vocazioni affliggeva in modo grave la vita della Chiesa italiana e della Chiesa genovese in
particolare.
Il Frassinetti sentí il problema vocazionale come ―il supremo bisogno del giorno‖, dichiarandolo uno dei
piú vitali interessi della Chiesa.
Si occupò del problema in vari scritti, analizzandolo nelle sue cause ed indicandone le soluzioni con linee
programmatiche di lavoro.
Capí che il problema vocazionale è ―problema della Chiesa‖ e quindi da doversi risolvere come tale con
una vasta e concordata azione pastorale, sostanziata da preghiera, in cui venisse coinvolto tutto il Popolo di Dio:
vescovi, sacerdoti e fedeli. Disse che occorreva un‘associazione delle vocazioni di carattere nazionale, di cui
fossero promotori ed animatori i vescovi.
Indicò criteri di scelta per le vocazioni dei fanciulli, alla cui attenta e vigilante cura non si stancava di
esortare i parroci, suggerí i metodi per la formazione e per la perseveranza dei chiamati al sacerdozio,
specialmente se adulti.
A riguardo di quest‘ultimi scrisse pagine di esortazione ai pastori d‘anime, perché ne avessero particolare
cura. E ne dette l‘esempio.
Nicolò d‘Aste era un falegname, già stilla quarantina, che aveva un grande desiderio di diventare
sacerdote. Arduo era davvero il cammino che avrebbe dovuto percorrere. C‘era di mezzo infatti anche lo studio
del latino.
―Coraggio‘‘ lo esortava il Frassinetti che lo aiutò fino a vederlo sacerdote.
D‘Aste diventò poi non solo un ottimo sacerdote, ma fondò pure la Casa della Divina Provvidenza per
le orfanelle. E Sampierdarena ne volle ricordare il nome in una sua via a perpetuo segno di riconoscenza87.
«Anche un solo prete - affermava alto il Frassinetti - può fare un bene grandissimo». Anche un solo prete
è «un bene notevole» per la Chiesa. Il procurarlo pertanto è un bene cosí grande che merita qualunque sacrificio.
Non solo gridava tutto questo, ma organizzava riunioni, fondava associazioni, programmava tempi di
preghiera privata e pubblica, diffondeva fogli ed opuscoli, che ne facessero conoscere l‘importanza e l‘urgente
necessità a quanti piú fedeli possibile. Intanto egli ospitava coloro che aspiravano ad abbracciare il sacerdozio fin
nel campanile della chiesa, quando aveva esaurito ogni altra possibilità di alloggio nel la sua povera canonica. E
sacrificava tutto il tempo libero dal sacro ministero per far loro scuola di latino, filosofia..., per poterli presentare
al seminario.
Per essi aveva inoltre istituito la ―Pia Unione dei Figli di Maria‖.
Questi, vivendo in mezzo al mondo esercitandovi le loro arti o mestieri o professioni, dovevano
attendere alla pratica di quelle virtú che sono proprie della vita religiosa e adoprarsi a promuovere il bene delle
anime.
Vi aveva dato vita il 14 novembre 1860 con soli quattro giovani. Il Priore ne aveva cura con grande
impegno.
In seguito tre di loro presero, anche su proposta del Priore, a fare vita comune in ciò che poteva essere
compatibile con l‘esercizio della loro professione, e furono alloggiai i in locali attigui alla canonica. La domenica
seconda che segue la festa dell‘Epifania, giorno in cui i genovesi celebravano la Festa della Madonna della
Provvidenza, i tre salirono, di buon mattino, al santuario della Madonnetta per mettere sotto la protezione della
Vergine l‘inizio del la loro vita comunitaria.
Era il 14 gennaio 1866.
I tre generosi si chiamavano: Pietro Olivari, Emanuele Pedemonte, Pietro Ghiglione.
87
Cf Summ., p. 97, 125
22
Aveva inizio in tal modo la ―Pia Unione dei Figli di Maria viventi in comune‖, dalla quale poi nacque
―L‘Opera dei Figli di S. Maria Immacolata ‗‗ i cui membri avevano deciso di mettere in comune il frutto del loro
lavoro quotidiano per sostenere nella vita e negli studi i ragazzi poveri che desideravano diventare sacerdoti.
«Una creazione spiritualmente meravigliosa», disse di essa il Cardinal Lercaro, la quale si sarebbe presto
rivelata feconda di tanto bene per la vita della Chiesa88.
Questa l‘occasione che dette inizio all‘Opera dei Figli di S. Maria Immacolata: il Priore vedeva da qualche
tempo un ragazzetto assiduo alla messa del mattino presto che si tratteneva poi a pregare tutto solo.
Un mattino lo volle avvicinare.
«Che vorrai fare da grande?» gli chiese.
«Vorrei farmi prete, ma non ho i mezzi per entrare in seminario».
«Oh, non ti preoccupare. A questo penserà il Signore».
Ne parlò a quei tre Figli di Maria. Essi si offrirono subito a mantenerlo con i loro risparmi. Il Priore
doveva iniziarlo ai primi studi89.
Dopo di lui diversi altri furono accolti in canonica e quando non ci stavano piú si cercavano altri alloggi
nei dintorni. Quando crebbero ancor piú di numero si crearono dei collegi sotto la guida generosa e patema del
giovane sacerdote Antonio Piccardo, successo al Frassinetti nella guida dell‘Opera, quando questi
prematuramente ed inopinatamente fu chiamato dal Signore.
Nell‘arco di 50 anni furono dati alla Chiesa 420 sacerdoti, tra i quali alcuni furono insigniti dell‘ordine
episcopale ed altri (oltre 20) raggiunsero l‘America, l‘India, la Cina per portarvi l‘annuncio del Vangelo.
«Parva favilla gran fiamma seconda» avrebbe commentato Dante.
Quell ‗opera è divenuta in seguito una Congregazione di diritto pontificio che, cominciando da Roma, ha
aperto le sue case in varie parti del la nostra Italia, in Argentina, in Cile, nelle Filippine, in Polonia, nel Messico.
Quel primo fanciullo, Nicolò Ferretti, andò poi missionario negli Stati Uniti.
Accanto all‘Opera dei Figli di S. Maria Immacolata continuò a vivere quell‘unione di laici che
professavano i consigli evangelici restando nel mondo quali ―Religiosi al secolo‖, per usare l‘espressione dei
Frassinetti. In loro viene spontaneo ravvisare i precursori dei movimenti laicali tanto considerati e promossi dal
Concilio Vaticano Il.
Per ben comprendere quale fosse l‘intento del Frassinetti, occorre leggere l‘operetta uscita dal suo cuore
di apostolo ―Il religioso al secolo‖, e l‘altra, dal titolo per noi moderni poco congeniale. ―La monaca in casa‖, che
ha ispirato a sua volta movimenti femminili.
Fu certamente una provvidenziale intuizione e una grande ispirazione quella di aprire l‘apostolato ai laici,
fatti fraterni collaboratori dei sacerdoti. Pregare, certo, ma unendo alla preghiera il molto operare secondo
quanto richiedessero i tempi, anche se ciò non era approvato da coloro che si chiudevano in una mal concepita
prudenza e censuravano «tutto ciò che cent‘anni or sotto non era in uso».
Era ormai l‘ora d passare ad azione nuova per tempi nuovi. Ma con criterio e discernimento, senza
smanie e imponderatezze. Non sempre infatti — avvertiva il Frassinetti — ciò che è nuovo è anche valido.
Il Cardinal Mercier proponeva questa saggezza ―dell‘italiano Frassinetti‖ ai suoi preti del Belgio, perché
sapessero discernere quando la novità significhi veramente progresso nella Chiesa e quando no90.
LO SCRITTORE INSONNE
Chi ci ha seguito fin qui non può non aver ammirato in questo Servo di Dio la fiamma divorante di zelo,
che lo bruciava dentro e che lo sospingeva ad un‘attività veramente sorprendente e multiforme.
La necessità di dover scrivere solo un breve cenno della sua vita ci ha fatto omettere la menzione di altre
istituzioni, pie unioni e congregazioni, cui dette vita secondo I‘opportunità o le esigenze che si andavano
creando.
Non abbiamo parlato poi di tutta l‘attività di scrittore che abbraccia una produzione che va da foglietti a
opere di grande respiro, quali la ―Teologia morale‖, che lo fece assurgere, nella scia di S. Alfonso Maria de‘
G. LERCARO, Priore Giuseppe Frassinetti, discorso commemorativo, Postulazione Generale F.S.M.I., Roma 1968, p. 5.
Cf Summ., p. 118. 189.
90 CARD. MERCIER, La vita interiore, vol. II, trad. ital., Vita e Pensiero, Milano 1921, p. 45.
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Liguori, tra i piú equilibrati moralisti dell‘Ottocento italiano91; quali ―Il manuale del parroco novello‖, che fu
celebratissimo, e tradotto, come la Morale, nelle principali lingue europee, e salutato come volume ―eccellente‖,
―un vero beneficio per il clero‖, perché tutto vi è trattato ―con pienezza di sapienza e prudenza‖, sostenuto da
una soavissima carità, da dottrina solida, convalidato da una diuturna esperienza pastorale, da grandissima ed
intelligente discrezione. Per questa opera egli fu annoverato tra i migliori autori di teologia pastorale92.
Ma di queste due opere parleremo un poco piú avanti.
E come non ricordare ancora e celebrare l‘altra sua eccellente opera ―Il Pater Noster di S. Teresa di
Gesú‖? Con essa volle, per quanto fosse a lui possibile, persuadere che «l‘orazione è la via regia per andare al
cielo» e tentò gettare il suo secolo nelle braccia di Dio, insegnandogli e dicendogli dell‘indicibile gioia del parlare a
Dio e con Dio. Con la scorta illuminante della Santa del Carmelo e, spesso ripetendo le sue stesse parole,
persuade le anime sulla necessità, sulla facilità, sul modo stesso di pregare, commentando la piú alta tra le
preghiere, quella che Gesú stesso ha insegnato agli uomini: il Pater Noster.
Con tale lavoro il Frassinetti ha cercato di condurre l‘anima con mirabile discrezione e passo passo,
senza scoraggiare i deboli, ma provocando i forti, fin dove «la terra si cangia in cielo».
Già con un‘altra opera ―Il conforto dell‘anima devota‖ aveva dato un indirizzo deciso e sicuro per
giungere alla santità, a cui — disse — tutti sono stati chiamati da Dio e perciò è da tutti conseguibile se ci si lascia
affascinare dalla sua bellezza e ci si convince della sua necessità.
Questo libretto fu come una ventata di gioia che investí il suo secolo intristito dal rigorismo giansenista e
che sempre investe l‘anima che brama la presenza in sé di Dio e si lascia rapire dal suo fascino. È un grande dono
di gioia e di pace. Già vivente l‘autore, ne furono fatte undici ristampe. Ed ancor oggi comunica la gioia del
vivere secondo Dio.
IN COMUNIONE CON DIO
Forse si potrebbe pensare che il Priore, impegnato in tante attività pastorali e dottrinali, abbia poco
potuto attendere ad una intensa vita spirituale.
Ma non fu cosí.
Viveva intensamente la sua vita di preghiera e di unione con Dio. Se si andava a S. Sabina, o lo si trovava
in confessionale o in adorazione al SS. Sacramento, presso il quale trascorreva ore anche notturne, specialmente
quando doveva intraprendere cose fortemente impegnative.
Ed era presso il tabernacolo che attendeva i suoi fedeli anche per la preghiera della sera. Si recitava
insieme il rosario, egli poi leggeva o diceva un pensiero spirituale ed aggiungeva la preghiera che chiudeva la
giornata.
Era un apostolo che viveva tutto per il suo Dio. E quanto operava o scriveva era per Lui. Lo voleva
prima in sé e poi che regnasse in ogni cuore e in ogni famiglia.
Lo si capiva quando lo si osservava celebrare la messa. Si trasformava in volto, specialmente nel
momento della santa comunione, in cui rimaneva intensamente assorto per alcun tempo. Era il momento in cui
si svolgeva il suo colloquio intimo con Gesú Eucarestia tanto atteso e bramato: era adorazione, era amore.
«Era suo costume — scrive il Fassiolo — fare il ringraziamento della messa presso l‘altare maggiore e
bene spesso si udia trarre dal cuore accesi sospiri, e si vedea pregare con tale raccoglimento che rapiva il solo
riguardarlo»93.
Il Fassiolo era ancora chierico; ci par di vederlo questo giovane contemplare il suo maestro e padre in
quei momenti in cui si raccoglieva tutto solo col suo Signore. Quanti pensieri e sentimenti soavi gli si
accendevano nell‘anima e gli rendevano quell‘immagine paterna tanto venerata.
Con il chiudersi della porta della chiesa, non si chiudeva la sua giornata di carità apostolica.
Spesso lo si vedeva uscire tutto solo, con un fagotto sotto il braccio. L‘attendeva Gesú nei suoi poveri.
Il suo andare nella notte non era sempre privo di sgradite sorprese. E lui lo sapeva. Erano tempi in cui,
purtroppo, l‘anticlericalismo era vivace ed insolente.
Una sera si imbatté in un giovinastro a cui non parve vero avere un‘occasione tanto propizia per sfogare
impunemente il suo odio contro un sacerdote. E dagli insulti passò subito alle percosse. Non per questo però il
Cf Appendice, O.A., voI. II, p. 683s.
Cf Ivi, O.A., vol. II, p. 680s.
93 Memoria storiche, op. cit. p. 89.
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Priore si ritraeva dal compiere il suo dovere, quando era necessario compierlo. Del resto soffrire ingiuria per il
Signore non era dargli prova di grande amore? Avrebbe potuto ripetere le parole di S. Maria Maddalena de‘
Pazzi, riportate nella Vita che di lei ha scritto V. Puccini: «Quando io sono in contemplazione è Dio che mi aiuta;
ma quando vado in soccorso del mio prossimo, sono io che aiuto Dio».
Un‘altra volta, avvertito che era scoppiata una rissa nella vicina piazza dell‘Annunziata e che un uomo
giaceva a terra, lasciò ogni cosa e corse ad inginocchiarsi accanto al poveretto.
Nonostante che gli fosse intimato di andarsene, condusse a termine la sua opera di bene94.
AMIAMO MARIA
Mentre agonizzava cercò con la mano già fredda la medaglia della Madonna, che teneva appesa al collo
per mezzo di un ruvido spago, e la baciò con santo trasporto95.
Nel nome di Maria aveva iniziato la sua vita, nel nome di Maria la chiuse. Amava la Vergine di un
tenerissimo amore; non si stancava di parlare di lei, di cantare le bellezze incantevoli della sua anima, di esaltare la
sua straordinaria potenza sul cuore di Dio. La devozione alla Madonna fu da lui assunta quale mezzo qualificante
del suo sacerdozio ministeriale e quale strumento validissimo del suo apostolato.
―Amiamo Maria‖ è il titolo squillante di una delle sue diciassette opere che trattano esclusivamente di
Lei. La scrisse nel decennale della proclamazione del dogma dell‘immacolato concepimento di Maria. La terminò
nel primo giorno di maggio.
Intese indubbiamente il suo inno di amore e di ammirazione alla Vergine a quello che si levava corale,
nel bel mese da tutti i cuori: «che in tutto il mondo cattolico si disfogheranno lodandovi, benedicendovi,
amandovi e chiedendovi grazie»96.
Da tanta contemplazione il devoto di Maria scende sulla terra, per aiutare i fratelli, affinché amino in
modo vero e concreto la Vergine pura e da Lei e per mezzo di Lei corrano a Gesú Eucarestia, dove i cuori
ardenti esulteranno. Questa è la grande gioia dell‘uomo e per l‘uomo.
Infine una preghiera chiude il libretto dove la sua umiltà dà ali al suo amore. Anche se la brevità di
questo volumetto sul Frassinetti non ci permette di parlare della sua Mariologia con quell‘ampiezza
corrispondente un poco al merito ed alla risonanza che ebbe, non possiamo però non mettere in rilievo qualche
suo aspetto che la caratterizza.
— Il cuore di Maria è il cuore che piú ama i peccatori, dopo Gesú, perché è il suo cuore di madre che
ama Dio piú di tutte le creature messe insieme.
In ragione poi dell‘amore sgorga in Lei la compassione verso i peccatori e nasce la brama della loro
conversione. Non sono essi costati sangue al suo Figlio? E conclude: «Perché non dovremmo confidare in
Lei?»97.
La confidenza in Maria fu l‘anima del suo apostolato. Quando parlava specialmente ai bambini, voleva
che s‘imprimesse bene nel cuore l‘avere fiducia e confidenza illimitata nella dolcissima Madre.
«Felici — predicava — quei giovinetti e quelle giovinette, che si danno a Maria, perché faccia loro da
madre»98.
— Due erano i titoli sotto cui sostanziava la propria devozione a Maria: Addolorata e Immacolata.
La piú grande prova d‘amore che si possa dare — insegnava — è patire per l‘amato. Or non è narrabile il
dolore che Maria ha sofferto nel suo Figlio per noi. E come potremmo contemplare Maria ai piedi della croce,
senza vedere sulla croce Gesú, che muore per noi?
L‘Addolorata ci attrae potentemente a Gesú.
Una sera stava parlando di Maria ai piedi della croce da cui pendeva il Figlio. Nel rammentare quale
dovette essere il suo dolore, non poté trattenere la viva commozione che provava, destando anche quella dei
fedeli che erano in ascolto.
Con uguale fervore additava ai fedeli Maria Immacolata perché ne imitassero l‘innocenza e la castità:
Summ. p. 247,7.
Summ., p. 294,37. - Ivi, p. 295,41
96 Amiamo Maria, O.A. op. cit., vol, II, p. 350.
97 G. FRASSINETTI, Saggio di alcuni discorsi al popolo, O.O. Vol. VIII, Tip. Poliglotta Vaticana, Roma 1912, p. 201
98 G. FRASSINETTI, Esercizi spirituali, O.O. vol. VIII, Tip. Poliglotta Vaticana, Roma 1912, p. 60.
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«Sebbene — egli osserva — siano molte le belle vesti che la Madonna regala ai suoi figliuoli, ve ne ha
una che è la piú bella, la quale è piú bianca della neve, della quale quando gli Angeli ne vedono vestita un‘anima
ne restano innamorati e come ammirati... È la veste della santa castità.. Voi non vi potete immaginare quanto sia
vaga e risplendente»99.
Avvertiamo in queste parole l‘entusiasmo con cui celebra la virtú della purezza. Ne vorrebbe innamorare
specialmente le anime giovanili, perché, cosí ornate, attraggono gli occhi di Dio. Ed è tra i puri di cuore che Dio
sceglie per sé le anime. Dalla purezza nascono, come fiori splendidi, le vocazioni. Grande è il bisogno di
sacerdoti, di missionari, di suore. Parrocchie, terre di missione, scuole, educandati, lebbrosari hanno bisogno di
persone consacrate totalmente a Dio. Dunque bisogna farsi apostoli della santa verginità e del celibato. I ministri
della Parola dovrebbero discoprirne al popolo il pregio ed il merito, perché non resti virtú quasi occulta ed
ignorata dalla gioventú.
Non altrimenti Giovanni Paolo II nel maggio 1986, raccomandava ai vescovi della Regione Umbra in
ordine alle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata: «Il rinnovato interesse verso S. Maria Goretti deve
essere motivo per una catechesi ai giovani circa la virtú e l‘ideale della purezza giovanile e della castità e quindi
dei mezzi di perseveranza e di santificazione»100.
Il Priore non perdeva occasione, particolarmente nelle feste liturgiche, per esaltare quella virtú «che se
non è la piú grande è certamente la piú bella di tutte quante le virtú che possano adornare le anime nostre»101.
Fondò varie associazioni perché tale virtú fosse conosciuta, amata, vissuta e propagandata. Tra queste ne
vogliamo ricordare una: la ―Pia Unione del Santo e immacolato Cuore di Maria,formata per i fanciulli‖
Si diffuse con straordinaria rapidità e destò un gran movimento di preghiera e di virtú, offerto da migliaia
di fanciulli che vi si erano iscritti. Che stupenda spettacolo s‘aprí al cielo. Diffuse senza risparmio sette operette
che ne parlavano espressamente e ne ingemmava le altre, quando potevano offrirgli l‘occasione per un discorso o
magari per un solo accenno.
In varie occasioni inoltre, prima di esaltare tale virtú, implorava pubblicamente la Vergine Santa, perché
gli ponesse sul labbro le parole adatte per infiammare di ammirazione e d‘amore specialmente le anime dei
giovani verso la virtú amata d‘un amore ―stupendissimo‖ dalla Vergine102.
Esercizi spirituali, O.O. vol. VIII, op. cit., p. 59s.
Osservatore Romano, 17.5.1986, p. 4.
101 G. FRASSINETTI, Alcuni discorsi intorno alle principali virtú di Maria, O.O. vol. VII, Tip. Poliglotta Vaticana, Roma 1911, p. 214.
102 Alcuni discorsi intorno alle principali virtú di Maria, O.O. vol. VII, op. cit., p. 217
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Parte Quarta
PENITENZA
La penitenza circondò i suoi fianchi, ma piú il suo cuore e la sua volontà. Un proposito fermo e
mirabilmente costante: non fare cosa alcuna che non fosse conforme alla volontà di Dio.
Lo stesso suo tenore di vita era penitenza.
Aveva una coscienza altissima dell‘essere parroco, cioè di essere stato eletto e deputato da Dio alla
salvezza dei fratelli.
Sapeva che egli avrebbe potuto essere salvezza, se, ad imitazione di Gesú, non si fosse appartenuto piú,
se si fosse donato tutto ai fratelli che Gesú gli affidava.
Se doveva parlare di argomenti particolarmente vivi e che toccavano l‘essenza della vita cristiana, non
soltanto premetteva una lunga preghiera davanti al Crocifisso ma si cingeva anche di cilicio i fianchi.
Chi può dire quante volte nelle migliaia e migliaia di colloqui che ebbe con persone nel vigore delle loro
forze o in punto di morte abbia fatto voti a Dio, quante volte «mette il cilicio per salire il pulpito e flagella il
proprio corpo per mansuefare l‘anima altrui»?103.
Degli agi, delle comodità della vita era assolutamente incurante. Del cibo frugalissimo.
«Dormiva — ci fa sapere la sorella Paola — assai poco, e dallo stare tante ore nell‘inverno a tavolino a
studiare soffriva molto freddo e gli si coprivano le mani e i piedi di geloni talmente che gli facevano piaga, con
tutto ciò non volle mai adoperare fuoco, né in altro modo coprirsi onde diminuire o liberarsi da quel dolore
incomodo. Non solo non mangiava mai fuori di pasto, ma neanche si sarebbe messo in bocca la piú piccola cosa,
come sarebbe un acino d‘uva, un confettino o simili.
Crescendo negli anni, cresceva in lui lo spirito di mortificazione e cominciò ad usare disciplina e
catenelle. I suoi discorsi in famiglia erano sempre diretti ad infondere nel cuore il disprezzo e l‘aborrimento a
tutto ciò che è vanità e che è amato dal mondo, e stima e amore per la virtú anche piú sublime.
Fatto parroco a Quinto, si dette piú che mai all‘esercizio delle virtú. Per tormentare il suo corpo si fece
fare una certa camicia che indossava particolarmente quando predicava, ed era tale che certo lo infastidiva e
tormentava quanto un cilicio. Non voleva gli si rifacesse il letto, affinché nessuno venisse a conoscere che cosa
adoperasse per tormentare i suoi sonni. Alla sua mensa da parroco non voleva che la minestra e una piccola cosa.
In casa voleva si usasse la piú scrupolosa economia, solendo spesso ripetere: «Ai poveri manca il pane per
sfamarsi, non adoperiamo per noi che il puro necessario»104.
La lettura di questa preziosa testimonianza della sorella, che tante volte, a notte fonda, lo sollecitava ad
andare a letto rassicurandolo che al mattino avrebbe pensato lei a destarlo per essere pronto ai sacri ministeri,
stupisce un po‘ noi moderni, resi piú deboli nella resistenza alla vita penitente dall‘agiatezza della quale non
sappiamo privarci o dalla maggiore fragilità della nostra complessione fisica.
AI suo risveglio, il cuore libero si apriva a Dio ripetendogli il ―Pactum Pacis‖: «Signore, perdona i miei
peccati... Insegnami a fare la tua volontà. Dammi lo spirito buono. Ponimi accanto a te e non permettere che da
te io mi separi … senza di te sono polvere e cenere e capace a far nulla ... con l‘aiuto della tua grazia altro non
riservo per me se non il gioioso adempimento della tua legge e l‘abbraccio della tua santa croce, e nient‘altro ho
da chiederti per me, né per le mie cose, né per la mia vita, né per la mia morte e cosí sia pace tra la tua e la mia
volontà col tuo aiuto ...»105.
SONO SERVO INUTILE
«Senza di te sono polvere e cenere e capace a far nulla», affermava nel suo ―Patto di pace‖. Di sé, come
scrittore, diceva: «Io sono tale che non so scrivere, se non per le persone di facile accontentatura»106. I suoi scritti,
però, venivano tradotti in molte lingue.
L. TRAVERSO, G. Frassinetti. Discorso commemorativo, Scuola tip. Derelitti, Genova 1918. p. 34.
Summ., p. 354,8,9,10.
105 G. FRASSINETTI, Pactum pacis, O.A. vol. II, p. 597 (in latino).
106 G. FRASSINETTI, Industrie spirituali, O.A. vol. I, p. 98.
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Era convinto che l‘umiltà è il fondamento della vita spirituale perché fonda la fiducia in Dio, datore di
ogni grazia: «Non posso, mio Dio — pregava — io non posso niente, non valgo a nulla… Ma posso tutto in
Gesú Cristo; con un solo aiuto della sua grazia posso tutto»107.
Sentiva molto umilmente di sé al punto di confessare che egli è buono a dire, ma non a fare. E, spesso,
chiedeva il favore di un‘Ave Maria per essere ripagato delle sue fatiche.
Attingendo i suoi sentimenti dalla contemplazione di Gesú coronato di spine108, non meraviglia che fosse
indifferente agli onori, alle lodi, ai biasimi; che fosse tanto pronto a chiedere consiglio agli altri prima di
intraprendere un qualche lavoro pastorale che uscisse dall‘ordinarietà.
Il basso concetto che aveva di sé l‘accendeva di fiducia in Dio e l‘armava di un coraggio intrepido.
Ebbe grandi personaggi suoi amici e devoti ammiratori sia nel clero che nel mondo secolare. Ma non ne
trasse mai vanto per sé o vantaggi personali bensí per gli altri, specialmente per i suoi grandi amici, i poveri.
IL CONSIGLIERE E L’AMICO
S. Sabina s‘era trasformata in un centro vivace di anime buone, desiderose di perfezione. Dalla nobile
signora Centurione Bracelli a persone povere ed umili del popolo, facevano capo in molte in quella chiesa. Il
Padre Santo, il cappuccino che girava per la questua in ogni luogo di Genova andava ripetendo «che egli era
molto umile e zelante per la cura parrocchiale»109.
Ed era la verità. Il Priore trascorreva ore ed ore ad ascoltare chiunque si rivolgesse a lui. E per tutti aveva
la parola giusta, anche se talora bruciante e profetica.
Il biografo di D. Bosco, a lui contemporaneo, Lemoyne scrive che per essere accolto nella famiglia
salesiana, il Santo aveva posto come condizione che il Frassinetti gli avesse dato il suo parere positivo.
Molte erano le persone che ricorrevano a lui, perché le illuminasse sulla loro vocazione di vita.
«ln Genova — scrive il Maccono — molti sacerdoti di buono spirito facevano capo a D. Frassinetti per
istruzioni e consigli sul modo di regolarsi nella predicazione, nella soluzione dei casi di coscienza, sul modo
d‘infervorare il popolo nella devozione a Gesú Sacramentato, a Maria SS., a S. Giuseppe, sui mezzi per coltivare
la pietà nei giovani»110.
Conferma di quanto asserisce il Maccono si ha nella dichiarazione di un parrocchiano che in S. Sabina si
vedevano molti sacerdoti avvicinare il Priore e appartarsi in colloquio con lui.
Era il consigliere illuminato e prudente che sapeva restituire la pace agli spiriti in pena, ai dubbiosi, agli
scrupolosi ed avviarli alla ricerca di una dimensione spirituale equilibrata. Sospinse molte anime ad una vita
rinnovata nella fede cristiana. Le associazioni che andava creando includevano quasi sempre finalità caritative e
sempre esigevano una condotta di vita esemplarmente evangelica. Negli ordinamenti che dovevano reggerle, non
scendeva mai, per la vita spirituale, a compromessi; a base di ogni regolamento poneva l‘impegno di non
deflettere dalla volontà di evitare qualunque peccato, anche leggero, pienamente avvertito. Il Frassinetti nelle sue
Congregazioni, Unioni, Associazioni sempre mirò in alto.
Perpetuò quest‘azione fecondatrice di pace interiore con i suoi scritti, che, nel turbamento
dell‘Ottocento, lo resero uomo apportatore di serena tranquillità.
Nella vita del Toniolo, scritta da Eleonora da Persico, si legge che l‘illustre sociologo, agitato spesso da
scrupoli, trovava sollievo nel Frassinetti. «Anzi nell‘estrema infermità essa si acuí al punto che sua moglie per
quietarlo doveva leggergli i libri del santo sacerdote Frassinetti, che gli giovavano»111.
Il Frassinetti conosceva quanto turbamento nascesse frequentemente nei confessori nell‘amministrazione
del sacramento del perdono, a causa di teologi moralisti che non definivano in modo univoco certe situazioni
G. FRASSINETTI, Avvisi e pratiche. A.O., vol. I. p. 135.
Avvisi e pratiche, O.A. vol. I, op. cit., p 137.
109 Summ., p. 27, 116.
110 Giuseppe Frassinetti e Maria D. Mazzarello, op. cit., p. 58.
111 Ci piace ricordare anche che Mons. Salvatore Fedele integrò la formazione religiosa del fratello Pietro - noto per
l‘Enciclopedia UTET, conosciuta con il suo nome – leggendogli gli opuscoli ascetici frassinettiani, dai quali, come egli asserí, tutti e due ne
avevano tratto un grande giovamento. (Cf E.DA PERICO, Vita di G.Toniolo, 2a ed. Milano 1939). Tra le anime che attinsero serenità e pace
dagli scritti del Frassinetti fu Lady Georgiana Chatterton. Dopo la conversione dall‘anglicanesimo al cattolicesimo, la scrittrice non fu mai
libera da dubbi e angosce di spirito, tanto da credere d‘essere tornata alla Chiesa Anglicana. La sua tranquillità di spirito fu pienamente
raggiunta, quando lesse il Conforto dell‘anima divota, che ella volle tradurre in inglese (Da un manoscritto g.c. del P. Manfredo Falasca
FSMI sui traduttori del Frassinetti in lingua inglese).
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spirituali dei penitenti; v‘era quello piú rigoroso, v‘era quello piú benigno. Vari sacerdoti finivano per evitare il
confessionale.
li Frassinetti soffriva molto per tale situazione anomala. Si accinse quindi a scrivere quello che sarà il
celebre ―Compendio di Teologia Morale‖, seguendo le orme di S. Alfonso Maria de‘ Liguori. Lo scrisse
pregando, meditando, confessando.
Dall‘Austria il teologo Hundegger gli scriveva in data 13/6/1867: «Anche la ―Morale‖ di V. S. R.ma
adesso è conosciuta dal clero della Germania; la ho letta indicata — e con lode — sul foglio bibliografico,forse il
migliore che abbiamo in tutta la Germania ... jam dilatavit cor (ha già slargato il cuore) a piú di un sacerdote
confessore. Tutti la benedicono»112.
Eguali lodi e ringraziamenti gli pervennero in gran copia dall‘Italia. Fu salutata come opera di un grande
moralista e tradotta in varie lingue europee.
Non volle inoltre che fosse lasciato senza una guida illuminata il giovane sacerdote che doveva affrontare
il difficilissimo compito di parroco.
Scrisse per questo il ―Manuale del Parroco novello‖. L‘opera era frutto principalmente della sua santità e
della profonda e vasta esperienza acquisita in trent‘anni di vita pastorale e parrocchiale.
Il traduttore dell‘opera in lingua francese ne esaltò i pregi che le derivavano dall‘essere frutto della
originalità propria dei santi e come tale esercita il suo fascino.
Queste due opere, nutrite di singolare dottrina e conoscenza pratica della vita, animate da ardente
volontà di servizio, ebbero un loro coronamento ideale in un‘altra opera ―Gesú Cristo, regola del sacerdote‖. Il
Frassinetti vi si manifesta come un‘anima che contempla Gesú, sommo modello di ogni sacerdote.
Da Gesú il Priore attinge norma e luce di comportamento per il sacerdote, che si deve muovere tra gli
uomini come un altro Gesú. Nell‘opera che fu coralmente celebrata come ―aurea‖, ―una seconda imitazione di
Cristo‖, si palesa l‘intima spiritualità sacerdotale del Frassinetti.
DEVOZIONE AL VICARIO DI CRISTO
«Io credo nella Chiesa una, santa, cattolica, apostolica, romana» è una delle espressioni di fede piú
ricorrenti nei suoi scritti. Tale atto di fede gli sgorga limpido per la chiarezza intellettuale con cui ne vede la
ragione che lo fonda, e, perché limpido, investe tutta la sua anima e l‘accende d‘amore.
Il suo credo perciò è sempre anche una professione d‘amore.
La Chiesa — egli dice — è in Cristo e Cristo è nella Chiesa.
«Gesú è lo Sposo della Chiesa, fattosi una cosa sola con Essa. Amata perciò da Gesú ineffabilmente...
Sarebbe cosa evidentemente impossibile amare Gesú, senza amare la Chiesa, sua dilettissima Sposa»113.
L‘amore alla Chiesa è per lui un atto d‘amore a Cristo Signore. Ed affinché fosse chiaro, nella confusione
d‘idee sulla Chiesa generata dalla passionalità politica del suo tempo, di quale Chiesa egli intendesse parlare,
precisava: «Per questa Chiesa poi non si deve intendere una chiesa finta, immaginaria ... si parla della vera Chiesa
di Gesú Cristo, fondata da Lui sopra Pietro, che ha per Capo visibile il successore di Pietro, il Ronzano
Pontefice»114.
Per questa ragione il suo amore al Papa fu schietto e senza riserve.
Forse, avendo conosciuto l‘austerità di carattere del Servo di Dio, il suo contenuto e controllato riserbo
potremmo rimanere meravigliati di tanto trasporto.
Non è cosí. Ce ne convinceranno queste parole che egli scriveva per i confratelli nel sacerdozio, quasi
una sua professione aperta di devozione e di incondizionato attaccamento al Vicario di Cristo: «O Vaticano, a te
mi prostro e bacio, adorandoti, le sante tue falde; io non allontanerò mai i miei occhi da te; tu sei quel monte da
cui mi aspetto ogni aiuto; tu mi dai luce, tu mi dai Iena e speranza; avrò salute per te. A che varrebbero senza dite
il Calvario e il Tabor? Questo mi accenderebbe il cuore di viva brama per un‘eterna beatitudine che non potrei
sperare; quello mi mostrerebbe il prezzo di mia salute che non potrei ottenere. Vaticano, o monte santo, ti
riconoscano una volta per tutte le nazioni della terra e siano salve per te»115.
Lettera al Frassinetti, AF cart. A/23.
Amiamo Gesú, op. cit. O.A. vol. I, p. 436.
114 Amiamo Gesú, op. cit. O.A. vol. I, p. 437.
115 Riflessioni proposte agli ecclesiastici, O.A. vol. II, op. cit., p. 534.
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Ed aggiungeva: «O miei fratelli, quanto è grande l‘odio dei nostri nemici contro Roma, altrettanto sia
grande il nostro amore per lei. Essa è il cuore del cristianesimo; noi, suoi membri, non possiamo vivere che del
suo sangue; apprezziamo, difendiamo il nostro cuore»116.
E riteneva un tale amore sua grande gloria.
«Se a qualcheduno — scriveva — sarò forse sembrato troppo romano, desidero che si sappia, che io me
ne glorio, non temendo di essere troppo romano piú di quello ch‘io tema di essere troppo cattolico»117.
Anche l‘esortazione che in proposito rivolgeva ai suoi parrocchiani era tenerissima e misticamente
appassionata: «Se intendessimo l‘amore che si merita la santa Chiesa: se l‘intendessimo, ciascuno di noi direbbe
con S. Giovanni Crisostomo: Io l‘amo, io l‘amo, io ne sozzo pazzo»118.
«Vedete — concludeva allora — nella Chiesa con il Papa si fa tutto, perché Egli ha da Gesú Cristo ogni
autorità e per ciò stesso, senza il Papa si fa nulla». «Per la qual cosa, cristiani miei, caldamente vi raccomando di
starvene sempre uniti al Papa, sottomessi al Papa. Se siete col Papa, siete nella vera Chiesa, siete con Cristo.
Lasciate dire, lasciate fare; vada il mondo sottosopra, voi state col Papa... Sia il Papa nella gloria del Tabor con
Cristo, sia con Lui crocifisso sul calvario, voi state col Papa»119.
Era profondamente convinto che l‘origine e il centro dell‘unità della Chiesa è il romano Pontefice. A lui
spetta il primato di onore, di giurisdizione e di autorità sopra tutte le Chiese sparse per il mondo: solo in lui e con
lui formano un‘unica Chiesa. Tolto questo centro d‘unità, non c‘è piú un‘unica Chiesa.
Indubbiamente queste sue convinzioni, che si sprofondano nell‘intimo dell‘anima, diventandone
sostanza, ci spiegano anche l‘irriducibilità dei suoi atteggiamenti in ordine alle vicende religioso-politiche, che
travagliarono gli anni sessanta dell‘Ottocento italiano.
Egli li guardava, li giudicava e quindi li viveva nel riflesso anti-chiesa che essi di fatto assumevano,
antichiesa in senso dogmatico.
Li vedeva confusi, per non dire congiunti, con altre componenti antireligiose, che allora attentavano alla
vita dottrinale della Chiesa e che si proponevano di eliminarne la presenza.
La grande eresia del secolo — insegnava il Frassinetti — è quella di voler umanizzare il divino,
naturalizzare il soprannaturale e fare una cosa sola del cielo e della terra, del tempo e dell‘eternità, col reo intento
di distruggere tutto ciò che non si vede con gli occhi, che non si tocca con le mani e non si comprende colla
ragione; noi dobbiamo guardarci cautamente dal volere armonizzare col secolo in materia di religione. La
vagheggiata fusione della fede colla ragione e degli interessi eterni coi temporali è un errore che, quale sta, non
sarà accolto giammai dai sacerdoti cattolici.
Da Roma solo parte l‘insegnamento di Cristo, come la vita del nostro corpo procede dal cuore. Essa è la
sola maestra. L‘unica interprete autorizzata, suprema e infallibile della parola detta da Dio agli uomini.
Con immagine, che doveva tornare plastica e cara ai suoi fedeli genovesi, affermava che l‘insegnamento
di Roma è il faro che addita il porto. Vi sono tante navi in alto mare in notte totalmente tenebrosa, che aspirano
ad entrare nel nostro porto. Esse, diceva, mirano tutte allo splendore abbagliante del faro della «nostra altissima
Lanterna». A quello splendore dirigono le prore, verso quello splendore avanzano sicure, guidate da quello
splendore eccole in salvo. Cosí se le anime mireranno all‘insegnamento di Roma, entreranno nel porto.
Gli piacque chiudere quel giorno la sua spiegazione catechistica con queste parole: «Unica guida e
indirizzo per esse (navi), è la stella che risplende sul Vaticano, è il Papa. Se noi non guardiamo a quella stella, è
impossibile che abbiamo felice navigazione che ci conduce al porto dell‘eterna salvezza»120.
Non l‘intimidirono mai le minacce dei politici né gl‘insulti che gli inviavano dai loro fogli. Anzi
l‘accendevano di maggior ardimento e coraggio: «No, la Chiesa non può essere vinta; ma Dio ha scelto noi per
opporci ai nemici di Lei e nelle nostre mani ha posto le armi invincibili che la fanno sicura»121.
La sua certezza e la sua fiducia erano incrollabili. Il tempo delle maggiori battaglie è pure quello delle
maggiori vittorie.
Concludiamo queste brevi annotazioni sull‘amore per la Chiesa con queste sue infiammate parole: «O
santa Chiesa, o bella Madre dei figliuoli di Dio, o arca di salute per la perduta generazione dell‘uomo, o paradiso
anticipato dell‘anime elette, o Sposa adorabile del Salvatore, sono grandi le pene e gli affanni che devi adesso
soffrire in questo mondo nemico; noi siamo qui per te; non ricuseremo di profondere a tua difesa i nostri sudori,
Riflessioni proposte agli ecclesiastici, O.A. vol. II, op. cit., p. 532.
Riflessioni proposte agli ecclesiastici, O.A. vol. II, op. cit., p. 548.
118 Amiamo Gesú, op. cit. O.A. vol. I, p. 437.
119 G. FRASSINETTI, Istruzioni catechistiche al popolo, O.O. Tip. Poliglotta Vaticana, Roma 1906, vol. I, p. 217.
120 Istruzioni catechistiche, O.O. vol. I, op. cit., p. 217.
121 Riflessioni proposte agli ecclesiastici, O.A. vol. II, op. cit., p. 524.
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il nostro sangue; per noi, che abbiamo la sorte di contemplare cosí da vicino la tua bellezza, sei la gioia del nostro
cuore, e direi, l‘estasi dell‘anima nostra»122.
LA SUA SANTA MORTE
Il Priore era giunto a 63 anni di età. La fibra era ancora robusta; il suo tenore di vita ordinatissimo.
Intorno a lui si era fatta una certa tranquillità e quiete, poiché le vicende politiche in Genova s‘erano andate
pacificando. Da parte del clero non solo godeva di simpatia e rispetto, ma anche, come abbiamo visto, di stima
profonda e venerazione grande.
I suoi scritti, inoltre, lo avevano reso noto ed apprezzato non solo in Italia, ma anche in Europa.
Si sarebbe perciò potuto dire che poteva finalmente dedicare tutta la sua giornata al lavoro pastorale con
tranquilla operosità ed attendere a scrivere ancora secondo le necessità che il suo acuto senso della Chiesa gli
faceva avvertire per il popolo di Dio.
Insomma si preannunciava una vecchiaia tranquilla anche se operosa come era nel suo stile di apostolo.
Invece i disegni di Dio erano altri.
La domenica ultima del 1867 lo colse un certo malessere che gli sembrò tanto poco preoccupante da non
badarvi affatto. Attese ai suo consueto lavoro parrocchiale. Alla sera quel malessere si acutizzò: la recita del
breviario lo affaticò assai e la notte non gli fu benigna apportatrice di alcun sollievo e riposo, ma fu agitata e
insonne.
Fuori era freddo intenso e tutto lasciava prevedere una forte nevicata. Tuttavia il mattino si pose in
confessionale e celebrò la messa, ma con tanta fatica. Continuò ad attendere alle mansioni di ogni giorno,
sostenuto da una grande forza di volontà e gli ci volle veramente tutta, perché il male non si lasciava vincere.
Il mattino dopo tentò di alzarsi come sempre, ma lo dovettero aiutare a rimettersi a letto. I medici
diagnosticarono: polmonite fulminante.
Volle subito i sacramenti: «Ho sempre predicato che subito dopo il Viatico si può ricevere questo
Sacramento. Voglio fare quanto ho insegnato»123.
Li ricevette con un‘edificante pietà che commosse profondamente tutti gli astanti intorno al suo letto.
A mezzogiorno recitò l‘Angelus. Portò alle labbra la medaglia della Madonna, che teneva al collo con
uno spago. Le dette un bacio. Fu il suo ultimo bacio e fu per Maria. La mano gli ricadde stanca ed entrò in
agonia.
Nella sua camera vi erano i due fratelli, don Giacinto Bianchi, che ne raccolse tra le braccia l‘ultimo
respiro, e altri sacerdoti.
Intanto nella stanza accanto, e lungo la scala si andavano accalcando i parrocchiani accorsi fin dalle
prime voci allarmanti. Verso le quindici di quel gelido pomeriggio del 2 gennaio 1868 le corali implorazioni per
l‘infermo si mutarono in generale compianto, tributo di amore e riconoscenza al santo Priore.
Si era addormentato serenamente in Dio, nel quale aveva fervidamente creduto e che aveva
intensamente servito ed amato.
Fu un gran tutto per la Chiesa genovese. Tutti piangendo domandavano una memoria di lui; altri si
diedero a tagliuzzare il suo letto di legno e la veste talare.
Tutta quella sera e la notte appresso i Figli di Maria vegliarono in preghiera. Molti fedeli, sacerdoti,
estimatori si associarono a loro.
I funerali furono solennissimi ed era visibile sul volto dei piú una grande commozione.
Una gran folla a piedi, preceduta da una lunga teoria di parroci e sacerdoti, accompagnò compatta ed
orante la salma portata a spalla dai giovani della parrocchia.
Fu da tutti osservato, con ammirazione e commozione, il dolore che il gran numero dei poveri, stretti
intorno al feretro, mostrava in modo tanto aperto. Lasciavano chiaramente intendere che il loro lutto era
veramente grande: avevano perduto un grande benefattore e un grande amico. Tale dimostrazione fu certo
l‘elogio piú ammirato e commosso.
Nonostante l‘inclemenza della gelida giornata e la difficoltà di procedere sulla neve, qua e là ghiacciata, i
piú vollero accompagnarlo fino al lontano cimitero di Staglieno e si allontanarono solo al calar della sera,
pregando, piangendo e raccomandandosi a lui.
122
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Riflessioni proposte agli ecclesiastici, O.A. vol. II, op. cit., p. 536.
Summ., p. 302, 70.
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La sorella Paola non poté essere con i fratelli accanto a Giuseppe. Avuta la notizia della morte, scriveva
alla Bozzano: «In quanto al mio fratello defunto sto quieta ed anzi sento una certa fiducia in me che sia in
Paradiso che alle volte sono quasi costretta a raccomandargli le cose mie; ciò a vostra tranquillità»124.
La sua vita, è stato scritto, fu una serie ininterrotta di fatiche e di sudori sparsi per il bene del suo gregge
e della Chiesa; non si curò mai degli onori, della fama popolare; disprezzò il mondo con le sue vanità. L‘unico
suo amore era Gesú crocifisso e la salvezza delle anime; la sua gloria piú bella era servire la Chiesa del suo Gesú;
il suo desiderio era quello di ottenere da Dio il dono di salvarsi.
Aveva dunque chiuso la sua giornata terrena l‘apostolo dell‘Eucaristia e del sacerdozio, della pietà
mariana, della vocazione di tutti gli uomini alla santità. Aveva speso tutte le sue energie, perché la Chiesa fosse
presente nel mondo con lo splendore della dottrina, della carità, del servizio materno a tutti gli uomini per
portare a tutti la salvezza. Aveva spinto gli uomini a vedere nella cattedra di Pietro una sovrana e sicura fonte
della Parola del Redentore.
Il padre Ballerini, prendendo a prestito le parole dalla penna di S. Bernardo, di lui parlò cosí: «Apparve in
terra, affinché fosse di esempio; fu innalzato al cielo, affinché sia di patrocinio»125.
Pio IX l‘aveva definito, ancor egli vivente: «un sacerdote di provata virtú e di singolare dottrina»126.
Leone XIII l‘aveva detto «Ragguardevolissimo sacerdote non meno illustre per pietà e dottrina»127.
Pio X «Sacerdote di sublime pietà e di singolare dottrina»128.
Pio XI «il cui nome per sé è una raccomandazione»129.
Pio XII «sacerdote chiaro per santità e dottrina, la cui memoria è rimasta davvero una benedizione»130.
Il card. Siri lo scolpí con queste parole: «Non volle sbalordire nessuno e fu parroco perfetto...
Venerando, umile, esemplarissimo teologo, parroco che seppe decorare il ministero di parroco con una saggezza
di imperituro insegnamento»131.
I Figli di S. Maria Immacolata il 16 Aprile 1934 ne traslarono le spoglie nella cappella dell‘Istituto
Piccardo in Genova, ove lo custodiscono con gelosa pietà, nell‘attesa che, conclusasi felicemente la Causa di
Canonizzazione, possano venerarlo sugli onori dell‘altare.
Lo storico gesuita P. Giacomo Martina in un‘intervista fatta in preparazione al Sinodo sulla formazione
sacerdotale, svoltosi a Roma nell‘ottobre 1990, facendo una velocissima storia del sacerdozio; a proposito
dell‘Ottocento si esprime cosí: «Per essere concreti, dobbiamo dire che nell‘800 diminuisce il numero dei
sacerdoti... Questa diminuzione numerica, che è vista come un danno, in realtà è una crisi accompagnata da un
grande miglioramento. Viene meno, proprio nell‘800, la distinzione tra preti da messa e preti da confessione cioè
tra preti che si prefiggono come loro ideale la pratica pastorale (confessione) e preti che vedono nel sacerdozio
un mezzo per vivere (messa). Gradualmente migliora la formazione del sacerdote, sia dal punto di vista culturale
che da quello pastorale... Scompaiono i sacerdoti precettori, i sacerdoti domestici e abbiamo sacerdoti che si
preoccupano della loro missione, si accentua la polemica tra due tipi di sacerdozio. Il primo è occupato
dall‘attività pastorale: messa, confessioni, prediche, catechismo, assistenza ai malati, ecc... potremmo riassumere
con un nome: il Frassinetti»132.
E proprio le conclusioni del Sinodo sulla formazione del clero rendono attuale la figura del Frassinetti
che all‘esercizio della missione sacerdotale e all‘educazione dei sacerdoti dedicò totalmente la sua vita. Anzi va
sottolineato che, per il sacerdote duemila, il Frassinetti può dare alcune precise indicazioni:
o L‘esperienza di vita e di opera apostolica comune del clero;
o Non cedere alla moda del potere politico imperante;
o Andare a bussare di porta in porta per annunziare la Parola di Dio;
o Comunicare incessantemente l‘invito a entrare nella salvezza di Cristo diventando santi;
o Creare associazioni coinvolgendo i cristiani di ogni condizione e stato affinché anche i laici piú impegnati
o non si sentano e non agiscano da isolati bensí uniti nella carità di Cristo;
o Dare, nel nostro mondo consumistico, la testimonianza della povertà che apre la porta del Regno dei
cieli.
Lettere, op. cit., p. 432.
Summ. Documenta, p. 370, 30. (testo in latino)
126 Summ., p. 331, 80.
127 Summ., p. 331, 80.
128 Motu proprio di Pio X. 23.7.1906. (Cf Archivio della Congregazione F.S.M.I. Roma).
129 Cf G. VACCARI, Il Servo di Dio Giuseppe Frassinetti nel 75° del suo passaggio all‟eternità, Roma 17.1.1943.
130 SEGRETERIA DI STATO, Lettera a P. Giacomo Bruzzone Superiore Generale F.S.M.I, 10.12.1941. (Cf Archivio della Congregazione
F.S.M.I. Roma).
131 G. SIRI, Priore Giuseppe Frassinetti. Discorso commemorativo, Postulazione Generale FSMI., Roma l968.
132 Vita Pastorale, 12.12.1989.
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INDICE
Presentazione
La sua famiglia
Sacerdote
Parroco a Quinto
Ha accanto la sorella Paola
A Quinto c‘è sempre la Missione
Il colera del 1835
Un opuscolo esplosivo
pag. 2
PARTE PRIMA
PARTE SECONDA
Parroco a S. Sabina
Donava anche il suo letto
Al confessionale con amore e discernimento
Apostolo della Parola
La SS. Eucarestia
Rinnovatore
Coinvolge il laicato nei lavoro pastorale
Difendiamo la nostra fede
La società operaia di mutuo soccorso
Quei febbraio del 1853
Fonda i Figli di S. Maria Immacolata
Lo scrittore insonne
In comunione con Dio
Amiamo Maria
Penitenza
Sono servo inutile
Il consigliere e l‘amico
Devozione al Vicario di Cristo
La sua santa morte
Indice
PARTE TERZA
PARTE QUARTA
pag. 3
pag. 4
pag. 5
pag. 6
pag. 7
pag. 8
pag. 9
pag. 12
pag. 13
pag. 15
pag. 16
pag. 17
pag. 18
pag. 19
pag. 20
pag. 21
pag. 21
pag. 22
pag. 23
pag. 24
pag. 25
pag. 27
pag. 27
pag. 28
pag. 29
pag. 31
pag. 33
33
Scarica

giuseppe frassinetti - Movimento Giovanile