Paradossi: un fiore senza profumo un tramonto senza colori una vita senza golosità 2 3 Lettera di Alessandro Quasimodo Carissimo Tito, con vera sorpresa e con grande piacere ho trovato in Internet il tuo nome e la tua fotografia su un sito che pubblicizza un libro fresco di stampa di cui sei autore, e subito mi è tornato in mente il nostro periodo milanese quando eravamo studenti di ginnasio al liceo Beccaria sempre assieme al nostro comune amico Giorgio. La prima domanda che mi sono fatto: è proprio lui quel Tito Romano con cui ho condiviso tanti momenti della mia giovinezza? Quello che all’Università era considerato uno dei migliori studenti di Milano e che collezionava esami con la media del trenta, mentre io, dopo una breve parentesi a Pavia dove mi ero iscritto a Scienze politiche, sceglievo di dedicarmi anima e corpo all’arte del teatro? Subito mi sono affiorate alla memoria molte immagini del tempo trascorso insieme, il bellissimo studio di tuo padre famoso architetto o il momento difficile quando tu e Giorgio mi abbandonaste a Milano perché intendevate cimentarvi nell’attività imprenditoriale aprendo una fabbrica tessile ammetto di aver patito un po’ per quella inevitabile e sofferta interruzione nei nostri rapporti che io ho vissuto quasi come un piccolo “tradimento”. Mi ricordo l’emozione quando, dopo alcuni anni, venni a trovarvi in Veneto: io ero tutto assorbito dall’attività poetica di mio padre e da quella artistica di mia madre e tu eri già un industriale imprenditore di tutto rispetto. Come dimenticare la visita della fabbrica in tutti i suoi reparti? Un tour attraverso la tessitura poi la tintoria e infine la confezione e tutta la clientela straniera che ti eri creata! Il tuo charme che definirei quasi parigino (parlavi un perfetto francese) e la tua determinazione decisamente teutonica (anche col tedesco te la cavavi benissimo!) mi rimasero impressi. 4 Anche in anni più recenti, quando ci incontrammo di nuovo ti ritrovai completamente calato nel tuo ruolo di imprenditore. E’ vero, eri un po’ appesantito ma tutto sommato rimanevi sempre la persona che avevo conosciuto. Mi dicesti che avevi il diabete e che dovevi ad ogni costo dimagrire compresi dalle tue parole che stavi correndo gravi rischi per la tua salute, eppure fui molto contento di sapere che continuavi a lavorare in fabbrica. Oggi, eccoti qui,” le voilà” direbbero i francesi! Noto con piacere che hai approfondito il tuo interesse per le tematiche legate a salute e benessere e che sei riuscito a dedicarti agli studi sul diabete senza dover per questo abbandonare la tua, per te vitale, attività. Certo, la cosa inizialmente, conoscendo i tuoi interessi che spaziano anche nel mondo della cultura e dell’arte mi è apparsa strana…ma in fondo, pensandoci bene, non troppo. Che una persona intelligente si occupi di una tara sanitaria grave come l’obesità, questo è certamente una cosa molto positiva e direi quasi necessaria in tempi come quelli attuali: viviamo infatti in una società dove le problematiche legate alla salute e all’alimentazione sono sempre più diffuse e meritano approfondimento. Oggi ho letto la tua piccola, godibile pubblicazione, e mi è sembrata molto interessante e ricca di una personale esperienza …certo, non sono in grado di entrare nel merito pronunciandomi sul valore “scientifico” di questo tuo scritto, ma senza dubbio penso che tu abbia dato un valido contributo alla discussione sull’argomento. Io, da parte mia, mi attiverò a propagandare il tuo libro perché penso possa essere di aiuto a una vasta cerchia di persone in sovrappeso ma anche a una piccola rosa di amici più stretti…(ti viene in mente qualcuno?) che spero, per il loro bene, facciano tesoro dei tuoi consigli.. Io non ho per fortuna, problemi di obesità né tantomeno soffro di diabete, ma voglio ancora complimentarmi con te per come hai saputo trarre spunto dalla tua esperienza personale per provare a dare un aiuto a quante più persone possibile. 5 Spero di rivederti presto a Milano, oppure molto più probabilmente sarò io a tornare in Veneto…non importa…ciò che conta è essersi ritrovati. A presto, Sandro Milano 30/05/2014. Alessandro Quasimodo Uomo di teatro 6 7 INDICE PREMESSA UNA STORIA DI INSUCCESSI COME NASCE PUOIANCHETU Gli errori dei sistemi esistenti Verso un nuovo sistema L’istinto di conservazione IL FULCRO DI PUOIANCHETU 1 – Golosità regina della vita 2 – la sazietà 3 – Libertà 4 – Le abitudini I RISULTATI OTTENUTI ALCUNI FONDAMENTALI CONSIGLI 1- Buon umore e ottimismo 2- Appassionatamente 3- Rapporti sociali 4- Altruismo 5- Allenamento della mente 8 10 14 31 31 35 42 62 65 69 74 76 82 86 86 88 89 89 92 9 PREMESSA In molti campi la medicina ha messo a segno risultati spettacolari ma non nella guerra al soprappeso dove, praticamente, è ancora al punto di partenza. Anche per questo motivo non essere un medico credo abbia giovato al mio approccio a questo problema. Obbligato a dimagrire a causa del diabete ho sperimentato molte diete senza alcun risultato; dopo la perdita di peso seguiva invariabilmente il suo recupero e con gli interessi. Deluso ho deciso di fare da solo, ed ho studiato il problema sulla base della logica e del buon senso fino a mettere a punto PuoiAncheTu un originale sistema di gestione del peso di tipo comportamentale i cui fondamenti sono descritti in questo libro Per anni ho sperimentato su me stesso ogni passo in avanti nella elaborazione di PuoiAncheTu riprendendo, in alcuni casi, dei significativi studi scientifici circa il rapporto tra uomo e cibo. Risultato? Ventisette chili persi senza recuperare, poi, neppure 10 un grammo; una vita da ghiottone che non rinuncia a nulla di ciò che gratifica la gola, uno stato d’animo decisamente più felice alimentato da autostima, forma fisica, apprezzamento (ed invidia) di amici e conoscenti. La scoperta più piacevole è stata che questo metodo funziona anche sugli altri. Tutto ciò vi lascia scettici? Siete portati a credere che possa trattarsi di “una delle solite bufale”? Difficile darvi torto; al vostro posto penserei lo stesso. L’unica risposta che posso dare è la più banale, la più prevedibile e cioè che questo metodo funziona, funziona per davvero ed una volta per tutte! 11 PREFAZIONE Dimagrire e restare magri è una faccenda piuttosto complicata, non è come bere un bicchier d’acqua, per intenderci, o come fare una passeggiata; se così fosse, il problema sarebbe stato risolto da decenni e, invece, è ancora lì tale e quale ed anzi si registrano continui allarmi circa la diffusione dell’obesità nei paesi industrializzati, questo, almeno, se si dà credito alle statistiche dell’ OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). Tutti i metodi, i prodotti o le “medicine” che promettono miracoli (o anche solo risultati definitivi) a volte senza neppure fare fatica (magari dormendo!) sono solo illusioni destinate a spillare quattrini ai gonzi, che, come sappiamo, non mancano. Che nessuna dieta risolva il problema non sono io a dirlo ma la statistica; anche se si riesce a dimagrire, poi si ritorna invariabilmente ad ingrassare ….e con gli interessi! Il sistema che ho messo a punto e battezzato PuoiAncheTu non è né vuole essere una dieta ma, più propriamente, uno 12 stile di vita il cui apprendimento richiede, per la verità solo inizialmente, un certo impegno. Avrei potuto scrivere un libro entrando nel merito di PuoiAncheTu, descrivendo le sue leggi e le sue regole ma ho scelto una strada diversa, cioè quella di limitarmi ad illustrarne solamente i principi informatori rimandando a dei corsi successivi la loro spiegazione ed il loro approfondimento. Il sistema, infatti, è piuttosto complesso e richiede una certa concentrazione nella comprensione e nell’apprendimento; ecco perché ho scelto di divulgarlo attraverso dei video-corsi. Descrivere tutto il sistema in un libro avrebbe generato, per certo, numerosi insuccessi, perché la semplice lettura di un testo non sarà mai paragonabile alla full immersion di un video-corso che descrive tutto in dettaglio accentuando gli aspetti più significativi, chiarendo i dubbi rispondendo alle domande etc... Ecco perché ho deciso che un video-corso fosse lo strumento più adatto alla diffusione di questo splendido metodo. 13 UNA STORIA DI INSUCCESSI Dovevo dimagrire, su questo non c’erano dubbi. Il diabete mellito, anche se non troppo grave, è pur sempre molto pericoloso. “Ed è lì che si annida il nostro nemico” il medico puntava l’indice accusatore verso l’adipe ragguardevole che circondava il mio addome “è quella che dobbiamo eliminare” proseguiva “la più difficile, la più ostinata”. Il plurale non mi confortava affatto: il nemico non era nostro ma mio, ed ero io e non noi a dover eliminare l’adipe. Lui inforcava gli occhiali e mi porgeva un foglio dattiloscritto: a colazione 3 fettine sottili di pane biscottato con un velo di marmellata al fruttosio, alle 11 uno yogurt magro, a mezzogiorno 40 grammi di pasta integrale, una fettina di vitello con contorno di fagiolini conditi con un cucchiaino di olio di oliva “mi raccomando: non più di un cucchiaino”, e una michetta di pane integrale, alla sera minestrina di verdura, 50 14 grammi di prosciutto crudo magro, un panino e un piatto di fondi di carciofo poco conditi, prima di coricarmi un frutto. Per il resto della settimana altri menù con tutte le variazioni possibili ma con un totale inchiodato sempre su 1.600 calorie giornaliere. “Naturalmente”, sorrideva il medico con condiscendenza, se c’era qualche alimento che non mi andava a genio, potevo apportare delle variazioni, ma s’intende, entro limiti ben definiti: stesse calorie, stessa valenza alimentare (proteine con proteine, carboidrati con carboidrati, verdure con verdure). “Logicamente” aggiungeva, “le diete, per quanto possibile, devono essere gradevoli”. Parlare di gradevolezza riferendosi a quanto stava scritto su quel foglio era un controsenso, oserei dire una provocazione, sempre che consentisse al condannato di sopravvivere! A causa di comportamenti alimentari poco sani protrattisi negli anni durante i quali feci incetta di squisiti intingoli, deliziosi tiramisù, pastasciutte ben condite mi sono ammalato ahimé!, di diabete mellito. 15 Sono goloso, per non dire golosissimo. Quando mi siedo a tavola se non sono un uomo felice ci assomiglio molto. Potete, dunque, immaginare l’effetto deprimente di quel foglio su di me. Era come se a un leone avessero dato, per pranzo, una scatoletta di carne Simmenthal e per cena una coscia di pollo! Ma se non potevo sottrarmi, mi armavo di tutta la buona volontà di cui disponevo e ci provavo. Dopo aver tentato, senza successo di seguire le prescrizioni alimentari del mio medico, mi addentrai, dunque, nell’illusorio mondo delle diete. Consultai noti specialisti e sperimentai il fior fiore delle “scoperte” della scienza dietologica non appena venivano pubblicizzate su libri, giornali, riviste più o meno specializzate: dieta punti, (allora di gran moda) dieta del fantino, scarsdale, dieta dissociata, dieta del minestrone, etc. Devo dire che le cose, più di una volta, andarono anche abbastanza bene; riuscivo a perdere, in un periodo di tempo 16 piuttosto breve, un certo numero di chili, e sorprendentemente, senza neppure troppa fatica. La gratificazione per il successo, la sensazione di benessere e leggerezza che provavo, il compiacimento per i complimenti, lo stupore e, a volte, l’invidia che leggevo sul viso di amici e conoscenti che non vedevo da qualche tempo, mi erano di grande aiuto nella determinazione a continuare. Ma, più di qualsiasi altra cosa, il fatto determinante era che lo stimolo della fame, durante le diete, risultava molto ridimensionato, non mi aggrediva più come in precedenza, si era come semi-assopito. “Sto benissimo” commentavo con gli amici, lieto di provocare una sorta di stupita invidia, “penso proprio di poter andare avanti ancora per molto tempo”. Previsione troppo ottimistica, ahimé! Infatti, prima o poi, accadeva che derogassi a quanto ripromessomi e, da quel momento, un po’ per volta, iniziavano i guai. Questo accadeva, di solito, dopo che avevo raggiunto il peso desiderato, ma a volte anche prima. 17 Avevo notato che, anche quando la dieta si concludeva con successo, il recupero del peso avveniva a causa di piccole successive trasgressioni rispetto alla cosiddetta “dieta del mantenimento” che mi era stata prescritta. Quando, invece, l’insuccesso aveva luogo prima del raggiungimento del peso/obiettivo, ciò era di solito dovuto ad un singolo clamoroso episodio di trasgressione rispetto alla dieta prescritta, come se la fame, a lungo repressa, esplodesse improvvisamente in una specie di “perdita di controllo”; il che accadeva molto spesso durante una cena conviviale. In un caso il diavolo tentatore furono le feste di fine anno, in un altro una cena sociale. La scena era sempre uguale: una tavolata di commensali allegri e felici di passare una bella serata in compagnia bevendo, mangiando, ridendo e festeggiando. “Faresti un torto agli altri piluccando come un uccellino! Sarebbe come evocare la Quaresima, la penitenza e la mortificazione della carne durante il Carnevale” dicevo a me stesso ben contento di trovare una giustificazione per mettere da parte per un giorno, 18 ma che dico! Per una sera, soltanto i miei quaranta grammi di pasta semi scondita e tuffarmi in una porzione doppia di risotto con i funghi, annaffiato da qualche bicchiere di eccellente Barbera. Sono certo che mi capirete! Non avrei, di sicuro, con quell’unico “sconfinamento”, compromesso una dieta che durava, con successo, da mesi! Perché, sia chiaro, nelle mie intenzioni questa trasgressione avrebbe dovuto restare un episodio assolutamente isolato, diciamo una parentesi, e la dieta proseguire invariata. Ma quel risotto e quel barbera, così inebrianti erano il cavallo di Troia attraverso cui lo stimolo della fame, che sembrava scomparso, rifaceva capolino tra le maglie della dieta, dapprima un po’ timidamente come un ospite che teme di non essere gradito e, poi, con sempre maggiore sicurezza e prepotenza. Gli insuccessi nelle diete mi procuravano una forte frustrazione al limite della depressione, ed anche una certa ansia per non riuscire a dimagrire, cosa, del resto, assolutamente necessaria per fronteggiare il diabete. 19 Ero in questo stato d’animo quando, un giorno, incontrai Gaetano Prendini un amico appena tornato da tre settimane di digiuno integrale in una clinica tedesca. Stava davvero bene! Assottigliato di dieci chilogrammi, sguardo vivace, elegante, sorridente, sicuro di sé. Lo sottoposi ad un interrogatorio di terzo grado. No, non vi era stato alcun problema, mi assicurava. Fame? Non la sentiva proprio per niente. Certo che era vero digiuno. Annoiarsi? Assolutamente no. Lunghe passeggiate, piscina, bridge, libri, film, conferenze principalmente sul tema del digiuno, in lingua tedesca, che lui masticava abbastanza bene. Certo che vi era un controllo medico. No, nessun rischio, una semplice precauzione, dato che vi erano pazienti o meglio, la parola è più pertinente, clienti, anche piuttosto anziani. Comunque, non si era mai dato un caso di malore, anzi i medici sostenevano che una simile eventualità era molto meno probabile qui che non a casa propria, conducendo una vita normale. Si facevano anche passeggiate in città. Pericoli vedendo negozi con invitanti vetrine ricche di salumi, formaggi, 20 dolci? Nessun pericolo, proprio nessuno, assoluta indifferenza, assicurava con aria categorica il mio amico. Era la descrizione del paradiso terrestre anche se, nonostante tutto, questa idilliaca descrizione mi lasciava qualche perplessità, sembrandomi che si trattasse di una specie di realtà virtuale, di film fantascientifico. Certo lui lì, davanti a me, in carne ed ossa, sembrava proprio la prova vivente che la faccenda funzionava. E allora perché non provare? Si era a metà giugno, una stagione ideale. Detto fatto, mi organizzai con il lavoro e la settimana dopo ero in clinica. In questa esperienza c’era un aspetto anche un po’ comico. Accumulare la mia sia pure detestabile pinguedine mi era costato un sacco di soldi in deliziosi pranzi e cene e altri, ora, me ne costava disfarmene, se mai, poi, ci sarei riuscito! La prima impressione fu eccellente. Un posto davvero incantevole, immerso nel verde in tutto e per tutto perfettamente ordinato e organizzato, come si conviene ad 21 una clinica tedesca. Le cose si svolsero esattamente come le aveva descritte il mio amico. La giornata iniziava con la cerimonia della pesatura. Tra le sette e trenta e le otto e trenta del mattino, dovevamo recarci in processione, indossando l’accappatoio, in una stanzetta dove l’infermiera ci pesava e annotava su un libricino che ciascuno portava con sé il peso di quel giorno, non avremmo dovuto aspettarci un calo uniforme, perché eravamo stati avvertiti, sulla perdita di peso avrebbero potuto influire fattori casuali come, per esempio, il tasso di umidità dell’atmosfera, o una eccessiva ritenzione di liquidi. Tuttavia, anche se prevista, una troppo modesta riduzione di peso ci procurava una piccola delusione compensata, peraltro, da una certa euforia regalataci dal fenomeno contrario, magari il giorno successivo. Successivamente, per chi lo voleva, c’era il rito della passeggiata cui si partecipava divisi in tre gruppi a seconda della potenziale velocità di marcia. Le passeggiate si svolgevano in un piacevole scenario tra prati e boschi e duravano diverse ore. Erano vivamente raccomandate, così 22 come le sedute di ginnastica che si tenevano nel pomeriggio, perché sarebbero servite a mantenere il tono muscolare e la forma fisica. Tornati in clinica, tra le dodici e le tredici, era previsto il pranzo, un pranzo per la verità molto particolare. Ci recavamo ( anche per la cena il rito non cambiava) in un grande salone dove ci si sedeva su comode poltrone e divani chiacchierando amabilmente con gli occasionali vicini, mentre si pranzava. Il menù non offriva una scelta eccezionale: si trattava di grandi caraffe d’acqua lievemente verdognola o rossastra. Il colore non aveva sottintesi politici, ma derivava semplicemente da minuscoli frammenti di verdure di diverso colore disciolti nell’acqua. Tuttavia nessuno, neppure io, soffriva per la mancanza di cibo, il che era veramente sorprendente: la fame era, semplicemente, scomparsa. Un giorno mi sedetti accanto ad una coppia di Milano che avevo conosciuto in precedenza. Naturalmente si parlò anche del digiuno che stavamo vivendo. 23 Lui, un noto avvocato, mi disse che loro soggiornavano abitualmente nella clinica per tre settimane durante il periodo delle ferie estive e ne ritornavano completamente rigenerati per tutta la restante parte dell’anno. Un vero elisir di giovinezza poiché non si trattava solo di chili persi, ma anche di sangue depurato, colesterolo e trigliceridi riportati ai valori ideali, etc. Rimasi un po’ sorpreso; evidentemente, riflettei, nei mesi successivi al soggiorno, recuperavano il peso perduto, altrimenti, diminuendo di dieci chili ogni volta, dopo qualche anno si sarebbero volatilizzati. Lo facevano di proposito questo recupero del peso? Beh, non proprio, mi spiegò l’avvocato. Le prime due volte, infatti, avevano cercato ostinatamente di seguire, tornati a casa, una dieta di mantenimento ma, non essendoci riusciti, avevano sposato una filosofia diversa. Si sentivano autorizzati a non fare troppi sacrifici dietetici durante l’anno, sapendo che sarebbero giunte le 3 settimane salva-linea con relativo ritorno al punto di partenza. Un po’ 24 come nel gioco dell’oca, o come se si disponesse di una assoluzione preventiva impartitagli dal loro confessore con la formula “andate figlioli, peccate con animo sereno poiché io, dopo, vi assolverò”. Questa vicenda suscitò la mia curiosità. Il caso dell’avvocato era comune? Volli saperne di più. “Non diciamo normale, ma neppure unico” mi spiegò la capo-infermiera a cui posi la domanda. Non avrebbe saputo dire se i pazienti venissero li appositamente per perdere peso e potersi poi abbandonare, durante tutto il resto dell'anno ai piaceri della tavola o, più semplicemente se non riuscissero a perseverare nella dieta di mantenimento. Per quanto ne sapeva, indipendentemente dal fatto che fosse una scelta voluta, mantenere il peso raggiunto era per tutti molto difficile. Perfino in casi di grave obesità i risultati, a lungo termine, non erano incoraggianti, nonostante che, per questi casi, il servizio sanitario tedesco si accollasse l’onere del soggiorno in clinica, perché, evidentemente, il digiuno integrale era considerato 25 una terapia credibile. Sarebbe accaduto anche a me? Anche all’amico che mi aveva preceduto? Sarei riuscito con la forza di volontà a mantenere il peso che avevo raggiunto? Queste domande mi procuravano una comprensibile ansia ed ero in questo stato d’animo quando presi congedo dalla clinica, dove avevo soggiornato per venti giorni perdendo dieci chili di peso. Mi venne fornito, per il viaggio, un cestino con panini integrali imbottiti di formaggio magro, e il medico mi fece le sue raccomandazioni: in primo luogo, cautela durante il viaggio di ritorno poiché venti giorni di digiuno, uniti alla desuetudine alla guida, avrebbero potuto comportare un pericoloso appannamento dei riflessi. Poi mi fornì un foglio con una dieta di mantenimento progressiva, che prevedeva il rientro graduale alla normalità, normalità che non consisteva, beninteso, nel ripristino delle mie pessime abitudini alimentari ante-digiuno - quelle avrei dovuto scordarmele per sempre - bensì in un regime calorico 26 più moderato che avrebbe dovuto essere la norma per il mio futuro. Infine mi fornì, per il mio medico, i referti delle ultime analisi del sangue con gli ottimi dati relativi a glicemia, colesterolo, trigliceridi, etc. Infine, auguri e buon viaggio. Mentre guidavo sulla via del ritorno la mia mente era affollata da proponimenti di assoluta determinazione a mantenere la forma acquisita. In fin dei conti, tutto dipendeva da me solo! Al rientro, l’impatto del mio nuovo look si rivelerà scioccante per chi mi rivedeva per la prima volta. Questo era già un primo risultato piacevole e incoraggiante specie se unito al senso di leggerezza, all’agilità e alla lucidità mentale che avevo acquisito. Quando si pratica il digiuno integrale, durante il quale si perde molo peso in pochissimo tempo, diversamente da quando si segue una dieta, si prova la strana sensazione di essere diventati un’altra persona nel corso di una sola notte, come se una improvvisa metamorfosi vi avesse trasformato, in poche ore, in qualche “cosa” di assolutamente diverso. 27 Ero ben deciso a conservare la mia nuova forma fisica e con questa determinazione ritornai alla vita normale. Durante le prime settimane le cose andarono abbastanza bene. Dopo un modesto e, peraltro, previsto recupero di peso, pur non seguendo alla lettera la dieta prescritta, mi comportavo piuttosto bene, e anche se ogni tanto mi concedevo qualche piccolo e, secondo me, veniale sconfinamento, nella sostanza la seguivo con sufficiente scrupolo. Poi, con il passare del tempo, gli sconfinamenti si moltiplicarono sfidando con successo la mia determinazione e la mia buona volontà. Non riuscivo ad oppormi e constatavo con ansia che il mio peso aveva ricominciato a lievitare. Stavo rivivendo, tale e quale, l’esperienza del dopo-dieta, con la differenza che ora ero preda di una fame ancor più aggressiva e incontenibile. Pur rendendomi conto che stavo gradualmente annullando gli effetti (anche economici, perbacco!) del digiuno, non potevo farci niente, ero del tutto impotente! 28 Lo stimolo della fame associato all’immagine vivida e quanto mai seducente ora di quel piatto, ora di quell’altro, si presentava continuamente alla mia mente e se non esaudivo prontamente il mio desiderio le immagini si riproponevano insistentemente. Una specie di ossessione! Quando, poi, mi sedevo a tavola, non mi alzavo se non completamente sazio, e tuttavia, dopo un po’, avevo di nuovo fame. Mi veniva alla mente la lupa che nella Divina Commedia impedisce il cammino a Dante e che “dopo il pasto ha più fame che pria.” (Inferno, I canto). Avrete già capito come andò a finire: in capo a otto/nove mesi mi ritrovai con il peso ante-digiuno, anzi, ero aumentato di qualche chilo rispetto a prima, e per di più ero anche parecchio frustrato e depresso. Dieta o digiuno era sempre la stessa storia: ero stato in grado di perdere peso, ma poi lo recuperavo, così come accadeva quasi a tutti (compreso, guarda caso, anche all’amico che mi 29 aveva fatto da battistrada nella clinica del digiuno), chi prima chi dopo. Rare le eccezioni, a quanto mi risultava… Una sera assistei ad una intervista televisiva all’attore Paolo Villaggio il quale raccontava della sua guerra di una vita contro la bilancia, magnificamente coronata dal più totale insuccesso. Mi domandavo, con una certa angoscia, se veramente non esistesse qualche rimedio, se non esistesse, cioè, un modo per dimagrire e restare magro, senza rinunciare alla golosità, ancorché fosse proprio la golosità, con tutta evidenza, che mi impediva di restare magro. Possibile che il più innocente dei piaceri, il più semplice da soddisfare, che oltre a tutto non reca danno a nessuno, possibile, mi dicevo, che debba essere abbandonato solo perché incompatibile con la conservazione di un peso accettabile? In effetti, questo era il punto, io non potevo neppure immaginare una vita senza peccati di gola e, d’altra parte, dovevo anche dimagrire; si trattava di far convivere il diavolo e l’acqua santa. 30 COME NASCE PUOIANCHETU Gli errori dei sistemi esistenti Mi ero ormai convinto che nel “sistema diete dimagranti” - che d’ora in poi chiamerò SDD - ed anche nello stesso digiuno integrale dovesse esserci qualcosa di profondamente sbagliato, qualche caratteristica intrinseca che conduceva invariabilmente all’insuccesso. Sulla base della mia esperienza e delle riflessioni che ne erano seguite arrivai alla conclusione che, in effetti, l’SDD conteneva una quantità di errori e di manchevolezze veramente stupefacenti considerando il numero di “addetti ai lavori” che se ne erano occupati e che tuttora se ne occupano. Ma quali erano gli errori di fondo commessi, a mio giudizio, dall’SDD? 1. SDD lascia intendere che il sovrappeso sia da imputare alla nostra golosità. Errore: la golosità, non c’entra per nulla. 31 Casomai c’entra, come vedremo, la cattiva gestione che ne facciamo. L’amore per la buona tavola, in sé, lungi dall’essere colpevole di qualcosa è una meravigliosa risorsa per chi ha la fortuna di possederla! 2. SDD lascia intendere che, una volta dimagriti, il più è fatto. Errore: basta guardarsi in giro, per capire subito che il più, anzi il molto di più, vale a dire il mantenimento del peso raggiunto, deve ancora essere fatto ed è, come vedremo, la parte di gran lunga più difficile. 3. SDD, se falliamo durante la dieta oppure se, dopo averla portata a termine con successo, recuperiamo il peso perduto, ci colpevolizza attribuendone la responsabilità alla nostra mancanza di forza di volontà. Errore: se non abbiamo successo, la nostra forza di volontà, non c’entra affatto. L’accusa di esserne privi ottiene l’unico risultato di far precipitare la nostra autostima sotto la suola delle scarpe. Che la mancanza di forza di volontà non c’entri lo si può dedurre facilmente dal fatto che persone le quali dimostrano, nel loro lavoro e in altre attività, di esserne dotate, falliscono 32 unicamente quando praticano una dieta; il fallimento, infatti, si verifica puntualmente o nella fase del dimagrimento o, più sovente, in quella del mantenimento. 4. SDD considera il sovrappeso una malattia e la dieta la sua appropriata medicina; e allora poco importa se la medicina non è di nostro gradimento, l’importante è che ottenga la guarigione. Errore: è evidente che, se non si rispettano le abitudini alimentari, che sono ovviamente le più gradite, si accumula nel proprio intimo un desiderio insoddisfatto, paragonabile ad una mina vagante che, prima o poi, esploderà, facendoci recuperare il peso perduto. A parte questo, che vita sarebbe quella nella quale si dovesse rinunciare proprio a ciò che maggiormente ci piace? 5. SDD si occupa esclusivamente del nostro sovrappeso, con l’obbiettivo di eliminarlo. Errore: non si può dimagrire stabilmente se non si può contemporaneamente continuare a vivere assecondando la nostra golosità, decidendo, in autonomia, cosa, quando e quanto mangiare. In poche parole 33 non si può dimagrire stabilmente se non si può dare libero sfogo ai piaceri della gola, liberi e felici di poterlo fare. 6. SDD si disinteressa completamente del concetto di sazietà come fosse un fattore secondario a fini del successo nella perdita di peso. Errore: solo se il sistema messo in piedi per perdere peso è in grado di placare la fame, di saziare completamente al termine del pasto, solo così si può pensare di ottenere successo a lungo termine. 7. SDD lascia intendere che il ruolo di pensare, di creare le ricette “giuste” appartenga esclusivamente allo specialista, cioè al dietologo o nutrizionista che dir si voglia, il quale si dedica a questo lavoro a tempo pieno. Solo lui avrebbe la competenza e le conoscenze necessarie. A chi segue la dieta non resta che obbedire docilmente, senza porsi problemi, affidandosi con fiducia al proprio mentore. Errore, errore madornale: senza la nostra attiva partecipazione mentale, senza l’apporto delle nostre idee, senza consapevolezza, senza l’impiego della nostra attenzione e di una parte del nostro tempo non raggiungeremo mai alcun 34 risultato stabile. I protagonisti della soluzione del nostro problema siamo noi e solo noi. 8. SDD non ci spiega perché anche quando riusciamo a terminare con successo una dieta (se ci riusciamo!), recuperiamo invariabilmente il peso perduto. Errore: senza consapevolezza, senza sapere cioè perché accadono gli eventi, non si va da nessuna parte. 9. Mille volte ci sono state mostrate foto molto convincenti di persone riprese “prima” e “dopo” la cura. Nessuno ci ha mai, però, detto quanto tempo dopo sono state scattate. Verso un nuovo sistema L’individuazione di questi evidenti limiti e di queste manchevolezze nell’SDD aveva iniziato ad instillarmi un dubbio. Certo, noi dobbiamo essere infinitamente grati alla scienza per gli spettacolari successi che ha conseguito, successi che sono alla base del nostro attuale livello di vita, tanto superiore a quello di molti anni fa. Dati gli apparenti insuccessi della stessa medicina nell’affrontare una faccenda 35 che sempre più spesso si trasforma in patologia pensai che la questione, forse, doveva essere affrontata da una nuova prospettiva. Mi accinsi, così a ragionare su questa problematica indagandone i principi profondi, le cause prime, le ragioni ultime; pensai, cioè, di affidarmi ad un’analisi di tipo logico-filosofico. Mi rendevo perfettamente conto di quanto l’avvicinarmi alla materia in questi termini potesse apparire inusuale. Tuttavia, più procedevo nelle mie riflessioni più si rinsaldava in me la convinzione che si trattasse dell’approccio giusto (si deve anche tenere presente che qualche anno fa c’era nell’aria una “rivalutazione” della filosofia, rivalutazione che oggi si è trasformata in una specie di fiume in piena: mai viste sale così affollate a conferenze su temi filosofici i più disparati). Nel frattempo, il mio interesse per l’argomento aveva cessato di essere confinato negli angusti limiti del mio caso personale, ma stimolando la mia curiosità mi faceva intravedere il percorso di una affascinante avventura intellettuale in un terreno inesplorato e sconosciuto. 36 A spingermi in questa direzione fu anche la mia passione per quella straordinaria macchina che è la mente. Reazioni, meccanismi, processi, tutto questo mi aveva da sempre molto affascinato ma ora il mio interesse diventata più che mai concreto. Sapevo bene che la mente possiede delle risorse grandissime, che è capace di sorprendere in modo inimmaginabile, le mie letture di PNL ma non solo e la mia pratica di meditazione me lo avevano insegnato molto bene. C’era bisogno, qui, però, di trovarvi un’applicazione specifica; avevo di fronte un problema molto preciso e la domanda a cui bisognava rispondere era se la mente potesse qualcosa nel gestire il rapporto con il cibo, la fame, il sovrappeso. La risposta fu si. Non fu immediata come si può facilmente immaginare, intendiamoci, ma alla fine capii, mi resi conto che si poteva fare. La soluzione mi si presentò di fronte quasi d’improvviso. La chiave era sempre stata sotto i miei occhi ma non l’avevo vista. 37 Il principio che mi diede l’input fu quello della dialettica hegeliana, della tesi, antitesi e sintesi e che nelle filosofie orientali vede contrapposti lo yin e lo yan. Ogni cosa, ogni concetto e persino ogni essere vivente contengono in sè un elemento ed il suo opposto quasi come se l’essere inteso in senso lato fosse una sintesi dell’apparente contraddizione che c’è nell’essere sé ed altro da sé. In pratica, apparentemente, l’esistenza di ogni cosa poggia sulla necessità di identificarsi come opposizione a qualcos’altro. Questo riguarda l’intero evolversi del reale ed il mondo del cibo, nel suo piccolo, non vi fa eccezione Il cibo, quindi, in questo senso contiene in sé un lato di piacere ed uno di sofferenza; il piacere, di consumarlo, di mangiarlo, di approfittarne ed il suo opposto, cioè la sofferenza nel momento in cui non ne possiamo godere. Questa relativa sofferenza che ci assale nel momento in cui siamo privati del cibo si chiama, appunto, fame. Piacere e sofferenza sono due facce della stessa medaglia: se non 38 esistesse la fame, cioè la sofferenza, non esisterebbe neppure il piacere di mangiare che poi altro non è che il piacere di eliminarla. Piacere e sofferenza sono inscindibilmente legati, aumentano e diminuiscono contemporaneamente; Il massimo del piacere di mangiare si ha quando si prova la fame più acuta, mentre quando si è sazi non si prova più né l’uno né l’altro e nelle fasi intermedie si provano, ambedue, in misura intermedia. Ma, tra le due, la sensazione più acuta che noi percepiamo non è il piacere, bensì la sofferenza cioè la fame, ed è di questa che, appunto, tendiamo a liberarci; per questo motivo mangiamo fino alla sazietà, cioè fino a non avvertirla più. E’ infatti di tutta evidenza che la sofferenza, per l’uomo, ha maggior peso che non il piacere. La sofferenza, infatti, come ci dimostra l’esperienza può durare molto più a lungo, e con una intensità mille volte maggiore di qualsiasi piacere1. (1) 1 Si noti che l’istinto di conservazione utilizza sempre la sofferenza e il dolore per avvertirci che qualcosa non va e spingerci a porvi rimedio; sofferenza e dolore, infatti, scompaiono non appena “riparato” il guasto. A volte i guasti non sono “riparabili” (malati terminali) ma l’istinto di conservazione non cessa di inviare i suoi inutili messaggi di sofferenza, perché così è stato programmato 39 Ma, riflettemmo, se la fame cessa solo quando abbiamo mangiato quanto ci serve per mantenere il (sovra)peso, che speranza abbiamo di dimagrire o meglio ancora di dimagrire stabilmente? Per poter dimagrire stabilmente, bisognerebbe, dunque, separare la privazione del cibo dallo stimolo della fame e dalla sofferenza che esso, se inappagato, ci procura e questo sembra davvero un’utopia, una vera e propria contraddizione in termini! Ma le cose stanno solo apparentemente così poiché durante il digiuno integrale, a pensarci bene, la separazione si verifica!! La massima privazione di cibo dovrebbe dar luogo alla fame più acuta e intollerabile ed invece ciò non avviene affatto! Durante la pratica del digiuno integrale infatti, inaspettatamente, alla massima privazione di cibo corrisponde la totale assenza d’appetito. E’ un fenomeno perfettamente conosciuto e dato per assodato ma a cui nessuno ha collegato le fantastiche conseguenze che ne possono derivare! 40 In quel momento, da quella semplice ma fondamentale considerazione, era nato PuoiAncheTu! Durante i quattro anni successivi partendo da questa osservazione che ne avrebbe costituito il principio base, fu elaborato e rielaborato un modello di vita con le sue regole e i suoi principi; regole e principi che venivano via via sperimentati da me nella pratica quotidiana, rettificati e migliorati, quando ciò risultava necessario. Già durante i primi mesi persi diciassette chili ed, in seguito, non ho più recuperato neppure un grammo benché non abbia mai abdicato alla mia natura di amante della buona tavola e pur rispettando i miei gusti e le mie abitudini alimentari, ed, anzi, ho continuato a perdere impercettibilmente peso fino a raggiungere quota meno ventisette. 41 L’istinto di conservazione 1 – ISTINTO CONTRO RAGIONE Ci si potrebbe domandare per quale incomprensibile motivo non riusciamo a dimagrire e quando ci riusciamo, non siamo capaci di restare magri. In fondo, lo desideriamo con la massima determinazione e non esiste certo una autorità civile o religiosa che ce lo possa o voglia impedire; anzi i governi sono molto preoccupati dall’obesità che avanza a macchia d’olio colpendo strati sempre più estesi della popolazione. In alcuni Paesi come ad esempio gli Stati Uniti la situazione è abbastanza preoccupante. E’ di poco tempo fa la notizia che le aziende americane, obbligate a pagare l’assicurazionesanitaria per i propri dipendenti, hanno deciso di licenziare gli innumerevoli obesi. La loro polizza assicurativa risulta, infatti, troppo onerosa a causa dell’elevatissimo numero di patologie collaterali che tale malattia sociale comporta. E dunque? 42 Dunque, se il nemico che ci impedisce di dimagrire non è all’esterno, ciò significa che ce lo portiamo dentro; che è dentro di noi che dobbiamo cercare, non può che essere così! Ma allora chi è il nemico che si annida in noi, qual è il suo nome, cosa rappresenta? E’ presto detto: il nemico dentro noi stessi contro il quale combattiamo una guerra feroce mentre vogliamo dimagrire non è che l’istinto di conservazione. Ma cos’è l’istinto di conservazione e per quale motivo è così fermamente contrario a che noi perdiamo peso? Cosa sia è noto a tutti ma per capire la ragione di tale e tanta caparbietà nell’opporsi al nostro dimagrimento dobbiamo fare mente locale alle condizioni di vita dei nostri lontanissimi progenitori. In quelle epoche remote carestie, inondazioni, siccità rendevano problematica e incerta l’alimentazione dei nostri antenati. L’istinto di conservazione, programmato per salvaguardarne l’esistenza, inviava all’uomo pressantemente lo stimolo della fame affinché non si lasciasse sfuggire alcuna occasione per alimentarsi; se, 43 poi, fosse riuscito ad accumulare un filo di grasso, tanto di guadagnato, una difesa in più per le future carestie. L’istinto di conservazione dunque, agiva nell’ottica di preservare la vita ed il suo agire era perfettamente in linea con i pericoli e le esigenze di quei tempi. Ora però, tutto è cambiato, e molti dei comportamenti che in epoche remote erano in linea con la necessità di sopravvivere non sono più attuali poiché oggi l’uomo vive in un contesto completamente diverso dove il cibo, almeno nei paesi ricchi, è l’ultimo dei problemi. Tuttavia questo cambiamento non è stata recepita dall’istinto di conservazione2. A scanso di equivoci cominciamo col dire che l’istinto di conservazione è uno degli alleati più preziosi dell’essere umano. Se fuggiamo a gambe levate di fronte ad un pitbull che appare all’improvviso, se evitiamo di poggiare la nostra mano sopra il fornello acceso, se non ci lanciamo freddamente da un dirupo, ebbene tutto questo è solo merito dell’istinto di 2 Lo studio a cui si fa riferimento e pubblicato sullla rivista New England Journal of Medicine nell’ottobre del 2011 è stata portata avanti da un’equipe dell’Univeristà di Melbourne e intitolata Obese people regain weight after dieting due to hormones 44 conservazione che, inducendo dolore o innescando il meccanismo attacco/fuga è proteso, come implicito nel, a salvaguardare la persona, cioè la vita. Tuttavia l’istinto di conservazione è soggetto, talvolta, a dei tragici errori come quelli che si evidenziano nelle patologie legate all’ansia. Quello che accade in questi casi, infatti, è che di fronte ad una situazione che non ha nulla di pericoloso, come per esempio lo stare in un luogo chiuso ed affollato, il nostro istinto di conservazione reagisce esattamente nel modo in cui reagirebbe se si trovasse di fronte ad un toro che ci sta caricando. Reazione, ovviamente, del tutto fuori luogo. L’istinto di conservazione, infatti, è cieco e sordo e si comporta come è stato programmato agli albori della specie, sempre uguale, sempre nello stesso modo e questo nonostante molte condizioni siano cambiate! Esso ha iscritto nella memoria il bisogno di accumulare cibo quanto più possibile poiché il cibo è vita, è conservazione della specie; certo non gli si può dar torto considerando che questo 45 comportamento era il più sensato fino a non molti anni fa, un’inezia in termini di tempo dal punto di vista evoluzionistico. Inconsapevole, proprio in quanto istinto, del mutare dei bisogni non cambia di una virgola il suo rapporto con il cibo e continua a considerare il dimagrimento una grave minaccia alla sopravvivenza. Potesse ragionare si renderebbe facilmente conto che nei ricchi paesi industrializzati la minaccia non proviene dalla carenza di cibo, ma, semmai, dalla sua abbondanza! Se ragionasse, ma non ragiona! Nel caso del sovrappeso, quindi, l’istinto di conservazione non è più un nostro alleato ma si trasforma in un nostro nemico! Si tratta di un nemico potentissimo - gli istinti occupano l’80% del cervello, contro il 20% della ragione – e, come vedremo tra poco, praticamente invincibile. Ma non si può prescindervi nel combattere la nostra battaglia perché è proprio con lui che dobbiamo confrontarci, è contro di lui che dobbiamo combattere, una lotta con armi nuove. 46 Per facilitare il rapporto tra voi ed il vostro istinto io consiglio di usare un artificio che è, poi, tale fino ad un certo punto. Considerate l’istinto di conservazione come un vero e proprio individuo, diverso da voi, con una sua personalità, suoi obiettivi, sue convinzioni. Dialogate con lui, confrontatevi, litigate, se necessario, come se si trattasse di un vostro amico con idee diametralmente opposte alle vostre. Il fatto di considerarlo un “altro” da voi, faciliterà il vostro compito. Vi accingete, dunque, a dare battaglia all’istinto di conservazione, e come in ogni battaglia che si rispetti, dovete mettere a punto l’artiglieria. Con quali armi, rispettivamente, verrà combattuta questa battaglia tra voi, la vostra ragione, e l’istinto? Chi dispone di quelle più efficaci? Chi ha più probabilità di vincere? Il vincitore sarà sempre lo stesso o i due contendenti si alterneranno nella vittoria? Le risposte a queste domande saranno decisive per capire se avrete effettive probabilità di dimagrire e di restare magri. 47 All’istinto si contrappone la ragione che scende in campo per combatterne le false opinioni di costui, il suo cieco motore, il suo irragionevole impulso alla nutrizione. E con quali armi? Con la pura e semplice forza di volontà! Mentre, cioè, l’istinto vorrebbe che si mangiasse il succulento spiedino con polenta che ci passa sotto il naso, la ragione si oppone attraverso la forza di volontà (volontà) e cerca di trattenere, di controllare questa tentazione con argomenti che possono andare dal “non ti fa bene”, al “non devi perché ingrassi” oppure ancora “resisti che ce la puoi fare”. Del resto l’ineluttabile sconfitta della forza di volontà di fronte ad un fumante piatto di spaghetti è immortalata da due celebri scene di film, protagonisti rispettivamente Aldo Fabrizi ed Alberto Sordi. Perché due grandi attori comici? Proprio perché essi esprimono con incomparabile mimica il tentativo di opporsi alla invincibile tentazione del cibo e, dopo qualche minuto di evidente sofferenza, cedono di schianto divorando con poche, robuste forchettate l’agognata preda. 48 Ma quali sono, al contrario, le formidabili armi messe in campo dall’istinto di conservazione? L’istinto di conservazione agisce in due modi differenti per spingerci a raggiungere l’obbiettivo che si è prefissato; da un lato egli induce in noi uno stato di sofferenza, la fame, (non si dice, appunto, soffrire la fame?) e, dall’altro lato, invia contemporaneamente alla mente immagini di seducenti leccornie con il dichiarato obbiettivo di farci cedere, resistergli è davvero una impresa ardua! Chi vincerà? Partiamo innanzitutto dalla constatazione che l’istinto è più forte, molto più forte, della ragione e, quindi, senza un intervento eccezionale in senso contrario la battaglia sarà sempre persa. Il grafico seguente mostra con molta chiarezza quale sia, in condizioni normali, il rapporto tra istinto di conservazione e forza di volontà; il primo con la sua arma, la fame, domina sempre la forza di volontà. 49 Istinto di Conservazione (fame) Ragione (forza di volontà) Grafico 1 Quante volte ci siamo alzati al mattino con il fermo proposito di incominciare a dimagrire mangiando meno di quanto abbiamo fatto fino a quel momento! Proposito destinato a dissolversi ben presto davanti a un bel piatto di spaghetti o ad una fetta di torta o ad un tagliere di salumi magari accompagnato da qualche bicchiere di buon vino? E se per caso riuscivamo a mangiare poco o niente a mezzogiorno, arrivavamo alla sera con una fame da lupi e ben decisi a “recuperare”. Se poi, eroicamente, riuscivamo a trattenerci anche a cena, allora “ci rifacevamo” di notte o il giorno successivo! Insomma, non c’era scampo il nostro fiero proposito di dimagrire finiva in niente 50 1. la dieta Analizziamo ora la situazione che si viene a creare ed il rapporto che si stabilisce tra forza di volontà ed istinto di conservazione durante una dieta. Come si vede dal grafico 2: per un certo periodo di tempo la nostra forza di volontà sovrasta e domina la fame. Incredibile! Cosa è accaduto? Ragione (forza di volontà) Istinto di Conservazione(fame) Grafico 2 E’ accaduto che siamo andati da un dietologo molto in gamba, preceduto da grande fama, abbiamo pagato una parcella piuttosto salata, ci siamo trovati davanti ad un uomo 51 dall’aspetto decisamente autorevole, che parlava con sicurezza e che ci ha convinto ed affascinato. Senza rendercene conto siamo usciti un po’ ipnotizzati, quasi in uno stato di trance. E’ come se l’emozione provata durante la visita avesse conferito, lì per lì, alla nostra volontà una forza eccezionale, una forza capace di sovvertire il normale rapporto gerarchico esistente tra ragione e istinto di conservazione. Si è determinata quella “inversione della gerarchia” che è indispensabile per poter dimagrire. La ragione, ora, ha il sopravvento sull’istinto di conservazione. Deteniamo saldamente in mano lo “scettro del comando”, e una serie di avvenimenti successivi contribuisce a mantenere in essere la nuova insolita gerarchia: la bilancia continua a segnare ogni giorno un peso inferiore, gli amici a complimentarsi, i vestiti a diventare troppo larghi, il nostro profilo ad assottigliarsi mentre ci pavoneggiamo davanti allo specchio; ci sentiamo davvero in gamba! Tutto ciò ci rende 52 euforici e, fino a quando questa euforia dura non facciamo fatica ad attenerci alle prescrizioni del dietologo. Ma ahimé, la dieta ha una scadenza naturale che è rappresentata dal raggiungimento del peso/obiettivo; quando lo si raggiunge (ma a volte anche prima) l’euforia si affievolisce e poi cessa del tutto così come è destinata a cessare qualsiasi emozione. Niente e nessuno la può resuscitare (quanto tempo è durata l’emozione, la grandissima emozione collettiva, per la vittoria dell’Italia ai campionati del mondo di calcio? Poco più di qualche giorno). Inoltre, da un certo momento in poi, la bilancia cessa di scendere, gli amici di farci i complimenti e tutto ridiventa terribilmente normale. E, come si vede dal grafico, la situazione si capovolge nuovamente e l’istinto di conservazione (la fame) torna a dominare la ragione, la forza di volontà; si ritorna, cioè, alla situazione normale illustrata nel grafico1. Niente e nessuno può modificare questo stato di cose. E per di più il paradosso è che il dietologo continua ad essere considerato molto in gamba per avervi fatto dimagrire e voi molto colpevoli (per 53 aver recuperato il peso a causa della vostra mancanza di forza di volontà!! Invece tutto è inevitabile e già scritto. 2. il digiuno integrale Eccoci di fronte ad una terza situazione (vedi grafico 3 pag. successive). Abbiamo percorso centinaia di chilometri, siamo giunti in una clinica molto famosa apposta per sottoporci a venti giorni (per esempio) di digiuno integrale. Questo soggiorno ci costerà un sacco di soldi, la clinica è molto bella e bene organizzata ed è, inoltre, guidata da medici e infermieri professionali che ci infondono grande fiducia; la natura, poi, e il paesaggio circostante con i suoi prati e i suoi boschi forniscono uno scenario davvero incantevole. Siamo, inoltre, in compagnia di centinaia di altre persone lì per lo stesso motivo, con la medesima fiducia e animati dalla stessa convinzione. Fin dal primo momento questo contesto ci soggioga ed emoziona. 54 Digiuniamo senza alcuna difficoltà. Capitemi bene: rimaniamo in clinica venti giorni - ma possono essere benissimo trenta e perfino di più - senza mangiare assolutamente nulla e senza provare fame; passiamo il nostro tempo a fare ginnastica, nuotare, giocare a tennis, fare lunghe passeggiate, leggere, guardare film come se stessimo trascorrendo la più normale delle vacanze. Cosa è accaduto? Similmente a quanto si era verificato durante la dieta, una forte emozione iniziale ha innescato un processo che ha consentito alla nostra mente di dominare lo stimolo della fame; si è verificato anche in questo caso, come durante la dieta quella “inversione della gerarchia”, indispensabile per poter dimagrire. Ma attenzione! Tra la situazione “dieta” e quella di digiuno integrale esiste una fondamentale differenza: durante la dieta la fame giunge alla nostra coscienza che è in condizione di controllarla, mentre durante il digiuno integrale lo stimolo della fame semplicemente non giunge alla coscienza e per questo la ragione non ha alcuna necessità di controllarlo. La fame, in 55 pratica, è scomparsa, è neutralizzata! Quello che sorprendentemente accade è che l’istinto di conservazione ha ricevuto il seguente messaggio: “non inviarmi più lo stimolo della fame fino a quando resterò in questa clinica” ed ha obbedito docilmente a questa imposizione! Ma com’è possibile questo? E’ così semplice “dire” all’istinto di conservazione che si astenga dal compiere il proprio dovere, quel dovere che sembrava inevitabile fino a qualche secondo prima? Si, tutto ciò è possibile per una semplice ragione e, cioè, perché il messaggio comunicato è recepito come assolutamente inderogabile. Ma cosa, esattamente, contribuisce a rendere questo messaggio inderogabile per l’istinto di conservazione? Innanzitutto la circostanza che, di fatto, in clinica non sia permesso mangiare. Nel senso che se anche a qualcuno venisse appetito questo non potrebbe essere placato. Questo fatto ha un impatto psicologico molto importante sulla nostra mente. Se siete fumatori pensate a quando è entrato in vigore 56 il divieto di fumare all’interno dei locali; pareva che nessuno avrebbe potuto accettarlo e quel che, invece, è accaduto è stato non solo che le persone si sono facilmente adeguate ma che tale adeguamento è avvenuto senza alcuna particolare sforzo o fatica. Di fatto le persone non fumano più dentro i locali (fumano si, all’esterno ma molto meno di un tempo, complessivamente) e non soffrono particolarmente per questo divieto nel senso che è la voglia di fumare che si è fortemente attenuata. Il divieto ha agito sulla nostra psiche ed ha placato l’istinto che ci spinge a fumare in favore della ragione che controlla tale desiderio. La seconda circostanza che agisce fortemente sull’istinto di conservazione inducendolo a recepire in modo inderogabile il messaggio di non inviare lo stimolo della fame è il contesto. La clinica, l’apparto medico-infermieristico, l’autorità, gli altri pazienti, la solennità del luogo; tutto questo concorre a creare una sorta di trans emotivo che agisce come una forza imponente in grado di dominare completamente l’istinto di conservazione. 57 Questa situazione sarebbe ottimale ma, evidentemente, non può durare all’infinito e, quando si esce dalla clinica per l’istinto di conservazione cessa automaticamente il divieto di inviare lo stimolo della fame. Allora questi, molto contrariato, per l’inaccettabile (dal suo punto di vista!) dimagrimento, che ha dovuto subire senza reagire, ci inonda a getto continuo di immagini di leccornie fino a quando non avremo recuperato il peso perduto e, possibilmente, anche qualcosa di più! (vedi grafico 3). Ragione (forza di volontà) Istinto di conservazione (fame) Grafico 3 58 2 –PUOIANCHETU A questo punto siamo di fronte ad un vicolo cieco. Gli unici due casi in cui la forza di volontà sovrasta e domina la fame rappresentano due situazioni che hanno una precisa scadenza temporale, destinate, cioè, a cessare, prima o poi in favore di un ritorno alla normalità. Tuttavia vi è una sostanziale differenza. Nel caso della dieta è una incontrollata euforia che, va da sè, non può durare in eterno, a determinare l’inversione della gerarchia. Nel secondo caso, invece, quello del digiuno integrale, l’inversione della gerarchia si determina ad opera di una serie di circostanze favorevoli che il contesto della clinica sottende. La forza di volontà non viene chiamata in causa o, meglio, non è una forza di volontà super potenziata dall’euforia che determina la vittoria sull’istinto di conservazione. Si deve piuttosto asserire che l’istinto stesso non invia più lo stimolo della fame alla coscienza, esso è neutralizzato. Una differenza fondamentale poiché questo secondo caso esclude uno sforzo in termini di volontà delle persone coinvolte! 59 E allora? Allora appare chiaro che solo un sistema che erediti questo secondo concetto è destinato ad avere successo poiché la forza di volontà, nel combattere contro l’istinto di conservazione, alla lunga non può che perdere. Il suo temporaneo predominio dipende dall’euforia che, prima o poi, è destinata a scemare. D’altra parte bisogna considerare che non è possibile digiunare in modo permanente, se non si vuole morire. Bisognerebbe poter integrare la totale assenza di appetito che si prova durante il digiuno integrale in un sistema che prevede di alimentarsi quotidianamente. Se, cioè, si potesse non sentire appetito una volta terminato il pasto si sarebbe a cavallo! E’ appunto ciò che PuoiAncheTu è riuscito a fare e che viene descritta dal grafico sottostante Ragione (forza di volontà) I.C. (fame) 60 PuoiAncheTu è proprio su questo principio che si fonda: bloccare l’appetito (cioè proprio non sentirlo!) in tutte le ore della giornata escluse quelle dei pasti; se questa situazione può verificarsi, beh non c’è ragione che non possa durare tutta la vita. Come si fa, tuttavia, ad essere certi che in quelle tre ore nelle quali si da libero sfogo alla propria golosità non si rischi di buttare all’aria tutto il sistema travolti dalla voglia di ingurgitare tutto ciò che ci passa sotto il naso? Ciò non accade semplicemente perché l’istinto di conservazione, nelle tre ore in cui potete concedervi di mangiare, è assopito, ha perso l’abitudine ad assalirvi e, di fatto, non vi assale. Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così che accade…e non c’è una legge che lo spiegare…l’esperienza, solo quella ve lo confermerà!! 61 possa IL FULCRO DI PUOIANCHETU L’indagine delle ragioni profonde che impediscono a ciascuno di noi di dimagrire semplicemente volendolo e del profondo radicamento dell’istinto di conservazione e del suo ruolo chiave in questo processo è, a mio parere, un aspetto imprescindibile per poter da questo punto partire e “costruire” qualcosa di veramente nuovo e, soprattutto, che funzioni. Ma questa è solo una delle fasi importanti per la comprensione del sistema; nella pratica esso si articola in un modello di comportamento e declina, quindi, leggi e regole da seguire per l’efficacia del risultato. Dal punto di vista delle indicazioni relative a quanto, come e cosa si debba mangiare il sistema si limita ad indicare un solo vincolo, quello delle calorie giornaliere da introitare; anche questa indicazione tuttavia, come quasi tutto nel sistema, risulta molto flessibile. Esistono però, alcuni principi cardine del metodo stesso, che devono essere presi in considerazione 62 poiché sono essi stessi, insieme a quelli analizzati finora, le ragioni del suo successo. Si tratta di: 1. dare alla golosità una posizione centrale nella vostra vita 2. comportarsi con assoluta libertà decidendo in piena autonomia e senza alcuna imposizione (a differenza delle diete in generale), quanto e cosa mangiare 3. valorizzare le proprie abitudini alimentari invece che demonizzarle. Per sintetizzare tutti gli obiettivi in un solo concetto diremo che PuoiAncheTu si propone di trasformare la vostra vita stressata dalla lotta alla bilancia, dal senso di colpa per gli insuccessi nella guerra al sovrappeso, dalla frustrazione, dall’avvilimento e, a volte, anche condizionata da una forte caduta dell’autostima, in una vita del tutto normale, rilassata, ricca di soddisfazioni soprattutto per voi che siete amanti della buona tavola, una vita nella quale il peso ideale è una condizione 63 stabile e normale, cui non è più necessario prestare una particolare attenzione. In poche parole: una vita più felice di quella che conducevate prima di conoscere PuoiAncheTu ed è solo così, essendo più felici, che potrete restare magri per sempre! La rapidità del dimagrimento è lasciata ad una libera scelta individuale. PuoiAncheTu è destinato a durare tutta la vita, poiché appaga ogni forma di golosità pur consentendo di mantenere peso e forma fisica e, quindi, è più orientato a privilegiare la stabilità che non la velocità. Tuttavia noi tutti, compreso il sottoscritto, quando si tratta di raggiungere il peso forma siamo soggetti ad una forte pulsione a raggiungerlo subito, il che è probabilmente insito nella natura umana. Perciò nulla di male se si privilegia la rapidità, cosa perfettamente possibile; a prescindere dalla rapidità non abbandonerete lo stile di vita PuoiAncheTu nemmeno dopo aver raggiuto il peso obiettivo, non ne avrete ragione perché starete bene e sarete soddisfatti. 64 Tengo a sottolineare che la scelta della rapidità è corretta e condivisibile ma solo nel rispetto di alcune condizioni fondamentali che vengono spiegate all’interno delle lezioni. Per nessuna ragione, cioè, le vostre scelte debbono mettere in pericolo la vostra salute. E’ importante sempre e comunque agire con estrema consapevolezza. 1 – Golosità regina della vita Dante mette Ciacco, noto golosone impertinente della Firenze della sua epoca, all’inferno nel girone dei golosi. La cultura, la morale, le stesse istituzioni civili d’allora erano dominate dall’insegnamento della chiesa, dai precetti della religione cattolica. Una religione che predicava penitenza, rinunce, sacrifici e dolore fisico come unici mezzi per purificarsi dai peccati, quello originale in primo luogo, e poter acquisire così i titoli necessari all’ingresso in paradiso. La vita terrena era vista esclusivamente in funzione di quella successiva, questa sì la vera vita! Infinitamente beata nella contemplazione di Dio. 65 Si pensi ai faticosissimi pellegrinaggi, a piedi, verso i più celebri santuari, alle fustigazioni, alle flagellazioni o alla pratica, molto frequente, di accedere a chiese o cappelle poste alla sommità di gradinate in pietra da salire in ginocchio! In questa visione penitenziale del mondo e della vita i piaceri della carne, in primo luogo sesso e cibo, non potevano che essere visti come tentazioni del demonio interessato a far cadere l’uomo allontanandolo dai veri valori della fede e ghermirne l’anima. E non solo sesso e cibo, ma anche ozio, gioco, ignavia erano considerati peccati mortali; non per nulla Dante mette all’inferno tutti coloro che indulgevano verso questi gravi vizi. Leciti e meritori erano solo il lavoro, la preghiera, la penitenza, il digiuno, l’astinenza e il dolore fisico puntigliosamente ricercato come mezzo ideale per la purificazione dell’anima e l’emendamento dai peccati. Di quei tempi lontani non è rimasto apparentemente nulla; la morale corrente si è addirittura capovolta e ogni giorno i mass media ci invitano a cedere alle lusinghe della carne 66 proponendoci ogni genere di prodotti atti allo scopo (e soprattutto a quello di rimpinguare i profitti di chi li vende!) Ma davvero, della lontana morale di allora non è rimasta traccia? Le cose non stanno esattamente così. E’ vero che la morale odierna si è letteralmente capovolta rispetto all’atmosfera penitenziale che si respirava in quell’epoca tenebrosa. E’ vero che i mass media fanno a gara nell’indurci a consumare sempre di più, sollecitando la nostra gola con le immagini più seducenti. E’ vero che tutto oggi parla della felicità come di un bene di cui fruire all'istante, su questa terra, piuttosto che di un valore da perseguire nel futuro, in un'altra vita, avvolta nella più nebbiosa incertezza. Tuttavia, nella parte più profonda del nostro inconscio qualcosa di quei lontani insegnamenti è rimasto; la golosità ha conservato una specie di connotato negativo, è rimasta collegata ad un vago senso di colpa. Si ha la sensazione che essere golosi sia, appunto, una colpa che, in un modo o nell’altro, si deve espiare. 67 Quante volte una persona in sovrappeso vi avrà detto con un sospiro: “eh sì, mi rendo conto che dovrei perdere un bel po’ di chili ma sai…sono golosa, cosa ci posso fare?” Come se indulgere alla golosità configurasse un comportamento illecito dalle inevitabili conseguenze negative e indesiderabili. Ebbene, nulla di più sbagliato! Responsabile del sovrappeso non è la golosità, bensì l’inattitudine a gestirla, l’incontinenza, l’incapacità di controllarsi, né, d’altra parte, l’istinto sessuale, fonte di molti e legittimi piaceri può essere considerato responsabile di uno stupro, addebitabile invece alla incapacità dello stupratore di controllarsi. In sé la golosità è quanto di più bello, di più piacevole, di più gratificante possa esistere nella vita. Personalmente, non potrei neppure immaginare la mia vita priva di frequenti concessioni alla gola. 68 Certo, è evidente che se il prezzo da pagare fosse quello di trasformarmi in un omone Michelin, allora la faccenda non potrebbe funzionare. Ma il ruolo di PuoiAncheTu è proprio quello di coniugare gola e forma fisica: PuoiAncheTu significa, in partica, massima gioia per il cibo! D’altronde, io sono convintissimo che per diventare e restare magri sia indispensabile continuare a vivere da golosi. Intendiamoci, non mi riferisco alla facoltà di concedersi alcune ghiottonerie in giorni prestabiliti (alcune diete, per esempio, prevedono un giorno di libertà alla settimana), intendo l’autentica libertà di scegliersi anche più volte alla settimana, o addirittura ogni giorno, se lo si desidera, gli alimenti che maggiormente gratificano la nostra gola. 2 – la sazietà Un capitolo a parte è rappresentato dal concetto di sazietà. Mangiare secondo i proprio gusti e le proprie consolidate 69 abitudini soddisfacendo al meglio la golosità che alberga in ciascun di noi è fondamentale per dimagrire stabilmente nel tempo e, soprattutto, vivere una vita serena e senza stress. Altrettanto importante è la flessibilità cioè la facoltà di scegliere di volta in volta quanto, quando e cosa mangiare; di nuovo nella profonda convinzione che il rispetto delle proprie abitudini sia una delle chiavi di successo per una vittoria a lungo termine. Ma PuoiAncheTu mette a fuoco un altro principio fondamentale, trascurato da tutti i sistemi che si prefiggono la perdita di peso nel tempo, men che meno dalle diete: la sazietà, vale a dire l’assenza di appetito nel momento in cui ci si alza da tavola. Solo se al termine del pasto, cioè, non si prova più alcun appetito (ma proprio nessuno!) la tentazione di altro cibo sarà ridimensionata. Anzi, a dirla tutta, adottando PuoiAncheTu cesserà di manifestarsi. Gli studi sulla sazietà fanno dell’alimentazione tuttavia le parte diete della scienza sfiorano soltanto l’argomento senza trattarlo con serietà, attente, invece, alle 70 valenze caloriche ed alla combinazione dei vari cibi all’esclusivo scopo di ottenere rapide perdite di peso. Ciò accade soprattutto perché le diete in generale non hanno alcuna reale necessità di tener conto del concetto di sazietà; infatti nella fase del dimagrimento il soggetto vive una condizione molto particolare, galvanizzato e reso euforico dal successo che sta conseguendo, e si sente sazio anche se in condizioni normali non lo sarebbe affatto. Terminata la fase del dimagrimento e rientrati in quella della normalità – che di solito coincide con l’aver raggiunto il peso che ci si era prefissati – la sensazione di precoce sazietà svanisce e si assiste al puntuale recupero di peso. Dietologi e nutrizionisti più o meno dichiaratamente considerano di loro competenza solo la prima fase - ma di fatto questo è ciò che è impresso anche nell’immaginario collettivo - quella della perdita di peso, raggiunta la quale reputano d’avere esaurito il proprio compito. 71 Infatti, della successiva sconfitta, quando i chili vengono ripresi con gli interessi, essi non si sentono responsabili ed al contrario, la addebitano, alla mancanza di forza di volontà. Invece un sistema che come PuoiAncheTu incentra il suo successo sulla stabilità della perdita di peso nel lungo periodo deve necessariamente focalizzare la propria attenzione sul concetto di sazietà perché insieme agli altri pilastri del sistema ne costituisce la chiave per un successo sicuro e duraturo. Mi preme qui ricordare che esiste più di uno studio che mette in relazione la sazietà con i sapori piccanti. La produzione di capsaicina, la molecola che conferisce al peperoncino il particolare sapore piccante sarebbe in grado di influenzare i neuroni legati al rilascio di ormoni che influenzano il senso di sazietà. Per mia esperienza personale, anche se non esiste uno studio ma inviterei a prendere in considerazione l’idea di realizzarne uno, il senso di sazietà non solo è legato ad i sapori piccanti ma anche a quelli genericamente saporiti. 72 Un qualsiasi piatto, cioè, se è insapore e non solletica in alcun modo le papille gustative, oltre ad essere poco appetibile e di sé piuttosto triste, è anche poco soddisfacente e sazia poco rispetto ad una altro cibo gustoso e ricco di spezie a prescindere che tra queste vi sia o meno il peperoncino. Questa è la mia personale esperienza di anni, vi invito a provare perché sono piuttosto sicuro che potrete confermare quanto scritto sopra. L’attenzione dei mass media, del pubblico, dei dietologi e dei nutrizionisti è dunque, focalizzato sull’obiettivo della perdita di peso anche per le notevoli ricadute economiche che ne derivano agli operatori del settore. Alcuni medici si soffermano invece sul concetto di alimentazione sana il che ha un minore impatto mediatico ma un’assai maggiore utilità. Sorprendentemente, invece, nessuno o quasi si è mai occupato dei meccanismi che regolano la sazietà, la quale è una condizione imprescindibile per mantenere nel tempo il peso auspicato. A riprova di ciò osserviamo che solo un paio 73 di istituiti universitari nel mondo hanno effettuato studi di un qualche rilievo sull’argomento. 3 – Libertà “Libertà va cercando che è sì cara come sa chi per lei vita rifiuta” Con queste parole, nel primo canto del purgatorio, Virgilio si rivolge a Catone Uticense per presentargli Dante. Catone Uticense si era suicidato per sfuggire alla tirannide, non sopportando l’idea di vivere privo di libertà. Chi non ama in sommo grado la libertà, chi accetterebbe senza ribellarsi di esserne privato? La libertà è il bene più prezioso di cui l’uomo disponga e solo quando se ne viene privati si capisce quanto essa sia importante; spero che mi passiate questo preambolo forse un po’ scherzosamente enfatizzato se riferito a PuoiAncheTu. Ma è, però, verissimo che io non potrei facilmente accettare di far ingabbiare la mia alimentazione quotidiana da prescrizioni 74 di cibi ben determinati quanto a tipologia, quantità, imposizione di orari, situazioni. Per me è essenziale la libertà di poter scegliere cosa mangiare seguendo l’impulso del momento, decidendo oggi pietanze e cibi che proprio oggi, e non un altro giorno, mi va di mangiare; la scelta potrebbe, infatti, cambiare radicalmente a seconda che sia solo o in compagnia, di buono o di cattivo umore, allegro o depresso, virtuoso o capriccioso, malinconico o euforico. E che dire poi del fatto semplicissimo che oggi ho più fame di ieri e ho voglia di concedermi un pasto più ricco e domani, chissà, meno di oggi? Tutto ciò è precisamente quello che PuoiAncheTu vi permette di fare lasciandovi completamente liberi di comportarvi come vi pare. 75 4 – Le abitudini Tempo fa ho letto un libro scritto da un gruppo di studiosi inglesi che, coordinati da un professore universitario, erano stati incaricati dal governo di studiare le cause dell’obesità in una specifica categoria di persone: gli impiegati. Lo studio era giunto alla conclusione che le persone magre hanno abitudini diverse da quelle delle persone in sovrappeso e che il problema dell'obesità sarebbe stato facilmente risolto se queste ultime avessero adottato quelle delle prime. Questo studio mi ha lasciato perplesso. Penso, infatti, che sia, effettivamente, molto probabile che le abitudini dei magri differiscano notevolmente da quelle degli extra-large, ma ritengo altamente improbabile che quest’ultimi possano modificare le proprie. Alcune abitudini possono essere certamente modificate: non ci sembra così difficile cambiare il bar dove facciamo colazione 76 al mattino (ma neppure così facile se siamo da anni amici del barista, se vi incontriamo il rag. Rossi con cui siamo soliti fare due chiacchiere, se siamo soliti mangiare il cornetto alla crema che solo in quel bar fanno in quel modo, se sediamo sempre allo stesso tavolo a leggere il solito giornale etc.), oppure cambiare il posto dove appoggiare le chiavi della macchina, o anche modificare il percorso della nostra passeggiata serale. Ma se ci proponiamo di non essere più distratti, disordinati o pigri se lo siamo sempre stati, allora cambiare è assolutamente impossibile; o meglio, sarà possibile con grande sforzo e solo per un periodo di tempo più o meno lungo, ma raramente questo cambiamento è definitivo. Questa è l’esperienza di tutti e, certamente, anche la vostra. Noi siamo le nostre abitudini, così come siamo i nostri occhi, il nostro volto, il nostro modo di essere o di pensare. Esse sono radicate nel profondo della nostra stessa natura, della nostra costituzione, della nostra storia, del nostro DNA. Esse rappresentano, inoltre, un insieme di rassicuranti certezze, punti di riferimento stabili senza i quali ci 77 sembrerebbe di vagare in una specie di terra di nessuno, privi di identità. Se trasferiamo questi concetti nel mondo delle abitudini alimentari, allora scopriamo, per esempio, che esistono persone le quali da sempre, a mezzogiorno, mangiano un piatto di spaghetti al pomodoro, salvo rare eccezioni. Sarebbe così facile per loro seguire a lungo la dieta a zona? Cito, a tal proposito, un episodio tanto semplice quanto illuminante. Un amico che, seguendo questa dieta, aveva perso quattro chili recuperandoli prontamente una volta abbandonato la stessa, richiesto del motivo dell’abbandono, mi aveva detto con disarmante semplicità: “sai, a me piacciono gli spaghetti…” Mi sono sempre domandato perché la focaccia alla genovese, molto gradita a tutti i turisti che transitano per la Liguria, non venga esportata in altre regioni. E’ così facile da fare! Farina, sale, olio e un’abile cottura, eppure… solo e unicamente questione di abitudine; quegli stessi turisti che tanto la apprezzano in Liguria, tornati a casa loro non la cercherebbero 78 né la comprerebbero perché non corrispondente alle loro abitudini. E l’esempio della focaccia vale per mille altri piatti ragionali, eccellenti, saporitissimi, facili da preparare ma difficilmente esportabili al di fuori delle regioni in cui sono nati poiché si scontrerebbero con abitudini alimentari diverse. Se io sono abituato agli spaghetti al pomodoro, per tornare all’esempio di prima, la loro immagine è stampata nel mio cuore, nel mio cervello, nella mia memoria, nella mia storia. Come potrei farne a meno? E se per un po’ ci riuscissi, non mi mancherebbe forse qualcosa, qualcosa, intendo, di molto importante, più importante di quanto si potrebbe pensare? Che dire, poi, di chi gioca a carte per anni nello stesso bar, con gli stessi amici, allo stesso tavolo? O di chi trascorre le proprie vacanze nella stessa località, stessa pensione e persino stessa stanza? O di chi legge immancabilmente lo stesso giornale o lo stesso periodico, anzi addirittura vi si abbona? 79 Se a tutto questo rinunciassero, la loro vita non sarebbe forse assai meno felice? Aggiungiamo una osservazione in un certo senso curiosa. Esistono comportamenti alimentari che non hanno la minima controindicazione, anzi! Se adottati migliorerebbero la nostra vita, ma non li facciamo nostri semplicemente perché non rientrano nelle nostre abitudini e quindi non ce ne ricordiamo. Il difficile, paradossalmente, non è adottarli ma ricordarci di adottarli. Ebbene, PuoiAncheTu tiene scrupolosamente conto di tutto ciò e vi suggerisce, ma che dico, vi impone di rispettare le vostre abitudini, di non bistrattarle mai! E' bene sapere che PuoiAncheTu non vi spingerà a perseverare nelle vostre abitudini alimentari qualora fossero particolarmente insalubri (chili di fritti, di maionese, intingoli vari etc...); vi aiuterà, invece, ad abbandonare senza alcun sforzo una dieta così dannosa insegnandovi ad evitare gli eccessi ed a cogliere l'aspetto più gratificante del cibo. 80 Se poi qualcuno ha delle abitudini alimentari di tipo patologico o comunque se soffre di qualche malattia come diabete, celiachia a o ha problemi con la tiroide (per citarne solo alcuni a titolo d’esempio) è bene tenere presente che PuoiAncheTu non interviene in alcun modo essendo questo l'ambito specifico della medicina. Non solo, PuoiAncheTu in questi casi non garantisce alcune successo e se desiderate comunque provare questo fantastico metodo perché vi ha convinto è bene che contestualmente vi facciate assistere dal vostro medico di fiducia. 81 I RISULTATI OTTENUTI PuoiAncheTu è un metodo che, come sapete, ho elaborato durante cinque anni di analisi psicologiche, attente introspezioni messe a punto e ripensamenti e, soprattutto, una costante auto-sperimentazione. La sua diffusione al pubblico, realizzata mediante dei corsi individuali e collettivi è relativamente recente. Se, però, il buon giorno si vede dal mattino allora bisogna prevedere un futuro davvero radioso per PuoiAncheTu; il successo per coloro che lo hanno adottato, infatti, è al di sopra anche delle più rosee aspettative. La perdita del peso che pure si è registrata non è, paradossalmente, l’aspetto maggiormente apprezzato. Ben di più lo sono il deciso miglioramento dell’umore e la soddisfazione personale se non addirittura la gioia di poter comunicare li peso perduto a fronte della golosità preservata, oltre a tutto rispettando le proprie amate abitudini alimentari spesso demonizzate dalle diete. 82 Grande importanza ha, infine, l’assoluta libertà di scegliere di volta in volta, secondo circostanze, umori, pulsioni non solo cosa mangiare ma anche quanto mangiare. Uno degli aspetti più divertenti e, se vogliamo, anche più piacevoli sono la curiosità e l’incredulità che i seguaci di PuoiAncheTu suscitano negli altri. M.R insegnante di bridge ed autentica fan di PuoiAncheTu, da tempo dimagrita ed in eccellente forma fisica, raccontava che, trovandosi a cena con gli amici, nessuno di loro si capacitasse del fatto che lei, pur mangiando apparentemente senza alcun limite fosse comunque così magra! Il loro stupore, la loro curiosità e, certamente anche un pizzico di invidia, la divertivano e la gratificavano molto. A.A. un’ex insegnante, ora in pensione, dichiarava, con una vena di compiacimento, di provare la strana sensazione di appartenere ad una setta misteriosa custode di segreti inaccessibili ai profani. Le spiegazioni di come funziona PuoiAncheTu, che cercava diligentemente di fornire (dopo tutto era stata un’insegnante!), per quanto chiare, non 83 venivano affatto comprese dagli interlocutori tanto apparivano in contrasto con quanto è comunemente noto in tema di riduzione del peso; del resto le diete dimagranti l’unico termine di paragone che essi erano in grado di concepire. A.A. chiariva più volte, ma sempre inutilmente, che PuoiAncheTu, non è una dieta ma uno stile di vita; la spiegazione restava, tuttavia, come avvolta in un’aura di incredulità e di mistero. Un aspetto che generalmente colpisce è l’evidente miglioramento di umore in chi pratica PuoiAncheTu; il grande senso di leggerezza, euforia e gratificazione; le stesse sensazioni che provano coloro che hanno successo nell’affrontare le sfide della vita, siano esse di tipo sportivo, lavorativo o di altra natura. Nel caso di PuoiAncheTu il miglioramento dell’umore è persino più intenso, probabilmente perché questo metodo coinvolge l’intero modo di vivere non limitandosi alla sola alimentazione come accade per le diete. 84 Un apprezzamento particolarmente significativo ha ricevuto, invece, PuoiAncheTu dai medici di una clinica romana specializzata nella cura di persone affette da diabete. Si tratta di un caso davvero interessante. S.B., agente di commercio trevigiano, affetto da diabete da svariati anni aveva prenotato in questa clinica un soggiorno di due mesi; nell'attesa aveva sperimentato PuoiAncheTu ed aveva perso venti chili Il medico che lo prese in cura si complimentò per i chili persi ed i valori ematici migliorati, e confermò che essendosi trovato così bene poteva senz’altro proseguire con quel modello di vita, salvo, naturalmente, sostituire alcuni cibi con altri più adatti alla sua patologia. “Nessun problema a questo riguardo”, commentò, S.B., “poiché PuoiAncheTu lascia assoluta libertà nella scelta dei cibi”. 85 ALCUNI FONDAMENTALI CONSIGLI 1- Buon umore e ottimismo Tempo fa fui colpito da una notizia veramente sbalorditiva apparsa sulla stampa. Una donna colpita da un male incurabile, aveva abbandonato il lavoro e iniziato a trascorrere le giornate guardando film comici. Dopo qualche tempo era guarita e la guarigione era stata confermata dalle analisi mediche! Trascorsi alcuni anni si era nuovamente ammalata e la terapia(!?) del riso aveva nuovamente funzionato riconsegnando la donna alla sua vita normale. Non conoscevo l’opinione della scienza su questo straordinario fenomeno, e non sapevo neppure se una opinione esistesse, ma ciò che risultava evidente era quanto benefici fossero, per la psiche, allegria e buon umore. Dal momento in cui lessi questa notizia, iniziai a privilegiare i film comici rispetto agli altri; intendiamoci, non che essi 86 riempissero le mie giornate, ma se dovevo scegliere una videocassetta o un film alla televisione o al cinema privilegiavo quelli comici. Ebbene, forse non ci crederete, ma la mia vita cambiò notevolmente perché mi sentivo più allegro, più ottimista, più rilassato, perfino più socievole e meglio disposto verso gli altri, come se quegli spettacoli mi avessero dato una iniezione di “positività”! Sono venuto recentemente a sapere che un medico indiano, colpito dalla stessa notizia che aveva colpito anche me, ha creato dei circoli in cui si pratica, con certe metodiche, la terapia della risata. Ho letto su un opuscolo che illustra l’attività di questi circoli quanti comprovati benefici procura il riso alla psiche. Quindi provate ad imporvi di essere ottimisti, di pensare positivo, di focalizzare la vostra attenzione sulle cose che vanno bene, su quelle che andranno bene o su quelle che sono andate bene. 87 Ripetete il più spesso possibile questo esercizio e lentamente il vostro umore cambierà. 2- Appassionatamente Il secondo consiglio che vi do è quello di vivere più appassionatamente. Cosa significa esattamente? Significa avere un hobby o un interesse, se già non, lo avete, appassionante, intelligente, coinvolgente; significa poter contare su un angolo della vita veramente e totalmente vostro, un rifugio dove ritirarsi quando ne avete voglia o tempo o ne sentite la necessità. Migliorare, progredire, approfondire ciò che piace o che realmente interessa è un arricchimento della vita straordinario e, peraltro, non difficile da conquistare. 88 3- Rapporti sociali Litigi, sgarbi, offese lasciano sempre uno strascico che vi portate dentro per ore, per giorni e perfino per anni. E’ così difficile evitarli, non cedere all’impulso, “passarci sopra”? Non è preferibile la gentilezza, il sorriso, il comportarvi amichevolmente? 4- Altruismo Sociologi, psicologi, filosofi si sono occupati di un particolare aspetto relativo alla trasformazione della nostra società. Questa trasformazione in atto da alcuni decenni ha prodotto, negli individui, una sempre maggiore paura della morte e delle malattie, una sensibilità più acuta per supposti o reali pericoli incombenti che minacciano, in qualche modo, la nostra esistenza, e infine, una diffusa ansia per il proprio futuro. Se si volge lo sguardo ai secoli passati, si osserva facilmente quanto il concetto di pericolo fosse diverso. Persino 89 l’eventualità di una morte prematura veniva affrontata impavidamente., a viso aperto se non, addirittura, volontariamente ricercata. La causa di questa profonda trasformazione va individuata nella perdita di tutti quei valori, che, per secoli, avevano costituito il tessuto psicologico connettivo degli individui e dell’intera società. Religione, patria, onore, amore erano ideali molto spesso più importanti della vita stessa e in grado di minimizzare ansie e timori che, allora, avrebbero avuto motivi ben maggiori di oggi di essere percepiti. La diffusione a macchia d’olio del volontariato deriva dal desiderio di trovare, in una attività di aiuto e sostegno disinteressati verso il prossimo, qualcosa che riempia il vuoto lasciato dalla perdita di quei valori del passato. E’ interessante notare che, fino a poco tempo fa la capacità di adattamento all’ambiente degli individui in competizione gli uni con gli altri era considerata l’unico motore della evoluzione umana. (Darwin) 90 Sempre Darwin, inoltre, scoprì che un requisito fondamentale per l’evoluzione umana è stato ed è l’altruismo. Recenti studi non hanno fatto che confermare quest’ipotesi asserendo, in pratica, che la cooperazione disinteressata tra individui è totalmente sconosciuta a qualsiasi altra specie (primati esclusi), e si sviluppa nell’uomo, si è osservato, fin dalla più tenera età. L’agire in favore degli altri, senza aspettarsene un vantaggio personale, è un requisito che si riscontra unicamente nella specie umana e sembra che ne abbia favorito, in modo determinante, l’evoluzione. Qualche esempio di gesti da buon samaritano, se vogliamo definirli, un po’ scherzosamente, in tal modo? Fare visita ad un infermo, o ad un anziano solo, confortare una persona in difficoltà, riappacificarsi con una persona con cui siamo in cattivi rapporti, riallacciare una vecchia amicizia, regalare un oggetto o anche solo un fiore ad una persona cara, dare qualche moneta ad un mendicante, fare un offerta a Telethon, etc. 91 Si tratta, naturalmente, solo di una esemplificazione e starà, eventualmente, a voi individuare gli altri mille modi con cui si può aiutare il prossimo. La conseguenza più sorprendente di simili comportamenti è che non è chiaro se ne è più contento colui che li tieni o coloro a cui sono destinati. 5- Allenamento della mente Se ci fate caso buona parte delle proposte commerciali che invadono gli spazi pubblicitari sono all’insegna del “fare meno fatica”. Come mai chi mette a punto un nuovo prodotto che consente di raggiungere gli stessi risultati di quelli già in commercio ma con minore fatica, è sicuro di avere successo? Semplicemente perché l’uomo è tendenzialmente pigro in quanto condizionato da un istinto di conservazione che vorrebbe limitare la dispersione di preziose energie al di fuori delle attività necessarie alla sopravvivenza o alla riproduzione. 92 Intendiamoci, questa tendenza è contrastata in mille modi, ma quando si può e non vi è motivo di agire altrimenti, la fatica si evita. Quando si tratta di attività mentale vi è però un ottimo motivo per agire diversamente. E’ risaputo e scientificamente dimostrato che chi usa il cervello vive meglio e più a lungo ed è molto meno soggetto a malattie degenerative come l’Alzheimer. E siccome è molto più facile allenare la mente con giochi difficili ma divertenti che in altro modo, vi suggerisco sudoku sempre più difficili, quiz di intelligenza, etc. Cosa c’entrano questi cinque suggerimenti con PuoiAncheTu? Domanderà certamente qualcuno. La risposta è che c’entrano più di quanto voi non pensiate. Tutti questi atteggiamenti interagiscono inevitabilmente con PuoiAncheTu e si vengono ad aggiungere agli altri aspetti positivi che già sono diretta conseguenza di PuoiAncheTu tra cui l’autostima, l’orgoglio per 93 “avercela fatta”, il senso di leggerezza; in questo contesto sarete certamente più felici di prima. Vi consiglio, tuttavia, di prendere in considerazione questi suggerimenti solo dopo aver “digerito” PuoiAncheTu; non è per nulla consigliabile affollare la vita simultaneamente di troppi nuovi comportamenti, il rischio di generare una inutile frustrazione e per di più, di non soddisfare le vostre aspettative. Tuttavia il semplice e fermo proposito di seguire uno o più dei consigli appena illustrati in un futuro anche non troppo ravvicinato, è un ottimo espediente per aggiungere un quid assai significativo alla vostra vita 94