Paradossi:
un fiore senza profumo
un tramonto senza colori
una vita senza golosità
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Lettera di Alessandro Quasimodo
Carissimo Tito,
con vera sorpresa e con grande piacere ho trovato in
Internet il tuo nome e la tua fotografia su un sito che
pubblicizza un libro fresco di stampa di cui sei autore, e subito
mi è tornato in mente il nostro periodo milanese quando
eravamo studenti di ginnasio al liceo Beccaria sempre
assieme al nostro comune amico Giorgio.
La prima domanda che mi sono fatto: è proprio lui quel Tito
Romano con cui ho condiviso tanti momenti della mia
giovinezza? Quello che all’Università era considerato uno dei
migliori studenti di Milano e che collezionava esami con la
media del trenta, mentre io, dopo una breve parentesi a Pavia
dove mi ero iscritto a Scienze politiche, sceglievo di dedicarmi
anima e corpo all’arte del teatro?
Subito mi sono affiorate alla memoria molte immagini del
tempo trascorso insieme, il bellissimo studio di tuo padre
famoso architetto o il momento difficile quando tu e Giorgio mi
abbandonaste a Milano perché intendevate cimentarvi
nell’attività imprenditoriale aprendo una fabbrica tessile
ammetto di aver patito un po’ per quella inevitabile e sofferta
interruzione nei nostri rapporti che io ho vissuto quasi come un
piccolo “tradimento”.
Mi ricordo l’emozione quando, dopo alcuni anni, venni a
trovarvi in Veneto: io ero tutto assorbito dall’attività poetica di
mio padre e da quella artistica di mia madre e tu eri già un
industriale imprenditore di tutto rispetto. Come dimenticare la
visita della fabbrica in tutti i suoi reparti? Un tour attraverso la
tessitura poi la tintoria e infine la confezione e tutta la clientela
straniera che ti eri creata! Il tuo charme che definirei quasi
parigino (parlavi un perfetto francese) e la tua determinazione
decisamente teutonica (anche col tedesco te la cavavi
benissimo!) mi rimasero impressi.
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Anche in anni più recenti, quando ci incontrammo di nuovo ti
ritrovai completamente calato nel tuo ruolo di imprenditore. E’
vero, eri un po’ appesantito ma tutto sommato rimanevi
sempre la persona che avevo conosciuto. Mi dicesti che avevi
il diabete e che dovevi ad ogni costo dimagrire compresi dalle
tue parole che stavi correndo gravi rischi per la tua salute,
eppure fui molto contento di sapere che continuavi a lavorare
in fabbrica.
Oggi, eccoti qui,” le voilà” direbbero i francesi! Noto con
piacere che hai approfondito il tuo interesse per le tematiche
legate a salute e benessere e che sei riuscito a dedicarti agli
studi sul diabete senza dover per questo abbandonare la tua,
per te vitale, attività. Certo, la cosa inizialmente, conoscendo i
tuoi interessi che spaziano anche nel mondo della cultura e
dell’arte mi è apparsa strana…ma in fondo, pensandoci bene,
non troppo.
Che una persona intelligente si occupi di una tara sanitaria
grave come l’obesità, questo è certamente una cosa molto
positiva e direi quasi necessaria in tempi come quelli attuali:
viviamo infatti in una società dove le problematiche legate alla
salute e all’alimentazione sono sempre più diffuse e meritano
approfondimento.
Oggi ho letto la tua piccola, godibile pubblicazione, e mi è
sembrata molto interessante e ricca di una personale
esperienza …certo, non sono in grado di entrare nel merito
pronunciandomi sul valore “scientifico” di questo tuo scritto,
ma senza dubbio penso che tu abbia dato un valido contributo
alla discussione sull’argomento. Io, da parte mia, mi attiverò a
propagandare il tuo libro perché penso possa essere di aiuto a
una vasta cerchia di persone in sovrappeso ma anche a una
piccola rosa di amici più stretti…(ti viene in mente qualcuno?)
che spero, per il loro bene, facciano tesoro dei tuoi consigli..
Io non ho per fortuna, problemi di obesità né tantomeno soffro
di diabete, ma voglio ancora complimentarmi con te per come
hai saputo trarre spunto dalla tua esperienza personale per
provare a dare un aiuto a quante più persone possibile.
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Spero di rivederti presto a Milano, oppure molto più
probabilmente sarò io a tornare in Veneto…non importa…ciò
che conta è essersi ritrovati.
A presto,
Sandro
Milano 30/05/2014.
Alessandro Quasimodo
Uomo di teatro
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INDICE
PREMESSA
UNA STORIA DI INSUCCESSI
COME NASCE PUOIANCHETU
Gli errori dei sistemi esistenti
Verso un nuovo sistema
L’istinto di conservazione
IL FULCRO DI PUOIANCHETU
1 – Golosità regina della vita
2 – la sazietà
3 – Libertà
4 – Le abitudini
I RISULTATI OTTENUTI
ALCUNI FONDAMENTALI CONSIGLI
1- Buon umore e ottimismo
2- Appassionatamente
3- Rapporti sociali
4- Altruismo
5- Allenamento della mente
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89
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PREMESSA
In molti campi la medicina ha messo a segno risultati
spettacolari ma non nella guerra al soprappeso dove,
praticamente, è ancora al punto di partenza.
Anche per questo motivo non essere un medico credo abbia
giovato al mio approccio a questo problema.
Obbligato a dimagrire a causa del diabete ho sperimentato
molte diete senza alcun risultato; dopo la perdita di peso
seguiva invariabilmente il suo recupero e con gli interessi.
Deluso ho deciso di fare da solo, ed ho studiato il problema
sulla base della logica e del buon senso fino a mettere a punto
PuoiAncheTu un originale sistema di gestione del peso di tipo
comportamentale i cui fondamenti sono descritti in questo libro
Per anni ho sperimentato su me stesso ogni passo in avanti
nella elaborazione di PuoiAncheTu riprendendo, in alcuni casi,
dei significativi studi scientifici circa il rapporto tra uomo e cibo.
Risultato? Ventisette chili persi senza recuperare, poi, neppure
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un grammo; una vita da ghiottone che non rinuncia a nulla di
ciò che gratifica la gola, uno stato d’animo decisamente più
felice alimentato da autostima, forma fisica, apprezzamento
(ed invidia) di amici e conoscenti.
La scoperta più piacevole è stata che questo metodo funziona
anche sugli altri.
Tutto ciò vi lascia scettici? Siete portati a credere che possa
trattarsi di “una delle solite bufale”? Difficile darvi torto; al
vostro posto penserei lo stesso.
L’unica risposta che posso dare è la più banale, la più
prevedibile e cioè che questo metodo funziona, funziona per
davvero ed una volta per tutte!
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PREFAZIONE
Dimagrire
e
restare
magri
è
una
faccenda
piuttosto
complicata, non è come bere un bicchier d’acqua, per
intenderci, o come fare una passeggiata; se così fosse, il
problema sarebbe stato risolto da decenni e, invece, è ancora
lì tale e quale ed anzi si registrano continui allarmi circa la
diffusione dell’obesità nei paesi industrializzati, questo,
almeno,
se
si
dà
credito
alle
statistiche
dell’
OMS
(Organizzazione Mondiale della Sanità).
Tutti i metodi, i prodotti o le “medicine” che promettono
miracoli (o anche solo risultati definitivi) a volte senza neppure
fare fatica (magari dormendo!) sono solo illusioni destinate a
spillare quattrini ai gonzi, che, come sappiamo, non mancano.
Che nessuna dieta risolva il problema non sono io a dirlo ma
la statistica; anche se si riesce a dimagrire, poi si ritorna
invariabilmente ad ingrassare ….e con gli interessi!
Il sistema che ho messo a punto e battezzato PuoiAncheTu
non è né vuole essere una dieta ma, più propriamente, uno
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stile di vita il cui apprendimento richiede, per la verità solo
inizialmente, un certo impegno.
Avrei potuto scrivere un libro entrando nel merito di
PuoiAncheTu, descrivendo le sue leggi e le sue regole ma ho
scelto una strada diversa, cioè quella di limitarmi ad illustrarne
solamente i principi informatori rimandando a dei corsi
successivi la loro spiegazione ed il loro approfondimento.
Il sistema, infatti, è piuttosto complesso e richiede una certa
concentrazione nella comprensione e nell’apprendimento;
ecco perché ho scelto di divulgarlo attraverso dei video-corsi.
Descrivere tutto il sistema in un libro avrebbe generato, per
certo, numerosi insuccessi, perché la semplice lettura di un
testo non sarà mai paragonabile alla full immersion di un
video-corso che descrive tutto in dettaglio accentuando gli
aspetti più significativi, chiarendo i dubbi rispondendo alle
domande etc...
Ecco perché ho deciso che un video-corso fosse lo strumento
più adatto alla diffusione di questo splendido metodo.
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UNA STORIA DI INSUCCESSI
Dovevo dimagrire, su questo non c’erano dubbi.
Il diabete mellito, anche se non troppo grave, è pur sempre
molto pericoloso.
“Ed è lì che si annida il nostro nemico” il medico puntava
l’indice accusatore verso l’adipe ragguardevole che circondava
il mio addome “è quella che dobbiamo eliminare” proseguiva
“la più difficile, la più ostinata”.
Il plurale non mi confortava affatto: il nemico non era nostro
ma mio, ed ero io e non noi a dover eliminare l’adipe.
Lui inforcava gli occhiali e mi porgeva un foglio dattiloscritto:
a colazione 3 fettine sottili di pane biscottato con un velo di
marmellata al fruttosio, alle 11 uno yogurt magro, a
mezzogiorno 40 grammi di pasta integrale, una fettina di vitello
con contorno di fagiolini conditi con un cucchiaino di olio di
oliva “mi raccomando: non più di un cucchiaino”, e una
michetta di pane integrale, alla sera minestrina di verdura, 50
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grammi di prosciutto crudo magro, un panino e un piatto di
fondi di carciofo poco conditi, prima di coricarmi un frutto.
Per il resto della settimana altri menù con tutte le variazioni
possibili ma con un totale inchiodato sempre su 1.600 calorie
giornaliere.
“Naturalmente”, sorrideva il medico con condiscendenza, se
c’era qualche alimento che non mi andava a genio, potevo
apportare delle variazioni, ma s’intende, entro limiti ben
definiti: stesse calorie, stessa valenza alimentare (proteine con
proteine, carboidrati con carboidrati, verdure con verdure).
“Logicamente” aggiungeva, “le diete, per quanto possibile,
devono essere gradevoli”.
Parlare di gradevolezza riferendosi a quanto stava scritto su
quel foglio era un controsenso, oserei dire una provocazione,
sempre che consentisse al condannato di sopravvivere!
A causa di comportamenti alimentari poco sani protrattisi negli
anni durante i quali feci incetta di squisiti intingoli, deliziosi
tiramisù, pastasciutte ben condite mi sono ammalato ahimé!,
di diabete mellito.
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Sono goloso, per non dire golosissimo.
Quando mi siedo a tavola se non sono un uomo felice ci
assomiglio
molto.
Potete,
dunque,
immaginare
l’effetto
deprimente di quel foglio su di me. Era come se a un leone
avessero dato, per pranzo, una scatoletta di carne Simmenthal
e per cena una coscia di pollo!
Ma se non potevo sottrarmi, mi armavo di tutta la buona
volontà di cui disponevo e ci provavo.
Dopo aver tentato, senza successo di seguire le prescrizioni
alimentari del mio medico, mi addentrai, dunque, nell’illusorio
mondo delle diete.
Consultai noti specialisti e sperimentai il fior fiore delle
“scoperte” della scienza dietologica non appena venivano
pubblicizzate su libri, giornali, riviste più o meno specializzate:
dieta punti, (allora di gran moda) dieta del fantino, scarsdale,
dieta dissociata, dieta del minestrone, etc.
Devo dire che le cose, più di una volta, andarono anche
abbastanza bene; riuscivo a perdere, in un periodo di tempo
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piuttosto breve, un certo numero di chili, e sorprendentemente,
senza neppure troppa fatica.
La gratificazione per il successo, la sensazione di benessere e
leggerezza che provavo, il compiacimento per i complimenti, lo
stupore e, a volte, l’invidia che leggevo sul viso di amici e
conoscenti che non vedevo da qualche tempo, mi erano di
grande aiuto nella determinazione a continuare.
Ma, più di qualsiasi altra cosa, il fatto determinante era che lo
stimolo
della
fame,
durante
le
diete,
risultava
molto
ridimensionato, non mi aggrediva più come in precedenza, si
era come semi-assopito.
“Sto benissimo” commentavo con gli amici, lieto di provocare
una sorta di stupita invidia, “penso proprio di poter andare
avanti ancora per molto tempo”.
Previsione troppo ottimistica, ahimé!
Infatti, prima o poi, accadeva che derogassi a quanto
ripromessomi e, da quel momento, un po’ per volta, iniziavano
i guai. Questo accadeva, di solito, dopo che avevo raggiunto il
peso desiderato, ma a volte anche prima.
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Avevo notato che, anche quando la dieta si concludeva con
successo, il recupero del peso avveniva a causa di piccole
successive trasgressioni rispetto alla cosiddetta “dieta del
mantenimento” che mi era stata prescritta.
Quando,
invece,
l’insuccesso
aveva
luogo
prima
del
raggiungimento del peso/obiettivo, ciò era di solito dovuto ad
un singolo clamoroso episodio di trasgressione rispetto alla
dieta prescritta, come se la fame, a lungo repressa,
esplodesse improvvisamente in una specie di “perdita di
controllo”; il che accadeva molto spesso durante una cena
conviviale. In un caso il diavolo tentatore furono le feste di fine
anno, in un altro una cena sociale.
La scena era sempre uguale: una tavolata di commensali
allegri e felici di passare una bella serata in compagnia
bevendo, mangiando, ridendo e festeggiando. “Faresti un torto
agli altri piluccando come un uccellino! Sarebbe come evocare
la Quaresima, la penitenza e la mortificazione della carne
durante il Carnevale” dicevo a me stesso ben contento di
trovare una giustificazione per mettere da parte per un giorno,
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ma che dico! Per una sera, soltanto i miei quaranta grammi di
pasta semi scondita e tuffarmi in una porzione doppia di risotto
con i funghi, annaffiato da qualche bicchiere di eccellente
Barbera. Sono certo che mi capirete!
Non avrei, di sicuro, con quell’unico “sconfinamento”,
compromesso una dieta che durava, con successo, da mesi!
Perché, sia chiaro, nelle mie intenzioni questa trasgressione
avrebbe dovuto restare un episodio assolutamente isolato,
diciamo una parentesi, e la dieta proseguire invariata.
Ma quel risotto e quel barbera, così inebrianti erano il cavallo
di Troia attraverso cui lo stimolo della fame, che sembrava
scomparso, rifaceva capolino tra le maglie della dieta,
dapprima un po’ timidamente come un ospite che teme di non
essere gradito e, poi, con sempre maggiore sicurezza e
prepotenza.
Gli
insuccessi
nelle
diete
mi
procuravano
una
forte
frustrazione al limite della depressione, ed anche una certa
ansia per non riuscire a dimagrire, cosa, del resto,
assolutamente necessaria per fronteggiare il diabete.
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Ero in questo stato d’animo quando, un giorno, incontrai
Gaetano Prendini un amico appena tornato da tre settimane di
digiuno integrale in una clinica tedesca.
Stava davvero bene! Assottigliato di dieci chilogrammi,
sguardo vivace, elegante, sorridente, sicuro di sé.
Lo sottoposi ad un interrogatorio di terzo grado. No, non vi era
stato alcun problema, mi assicurava. Fame? Non la sentiva
proprio per niente. Certo che era vero digiuno. Annoiarsi?
Assolutamente no. Lunghe passeggiate, piscina, bridge, libri,
film, conferenze principalmente sul tema del digiuno, in lingua
tedesca, che lui masticava abbastanza bene.
Certo che vi era un controllo medico. No, nessun rischio, una
semplice precauzione, dato che vi erano pazienti o meglio, la
parola è più pertinente, clienti, anche piuttosto anziani.
Comunque, non si era mai dato un caso di malore, anzi i
medici sostenevano che una simile eventualità era molto
meno probabile qui che non a casa propria, conducendo una
vita normale. Si facevano anche passeggiate in città. Pericoli
vedendo negozi con invitanti vetrine ricche di salumi, formaggi,
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dolci? Nessun pericolo, proprio nessuno, assoluta indifferenza,
assicurava con aria categorica il mio amico. Era la descrizione
del paradiso terrestre anche se, nonostante tutto, questa
idilliaca
descrizione
mi
lasciava
qualche
perplessità,
sembrandomi che si trattasse di una specie di realtà virtuale,
di film fantascientifico. Certo lui lì, davanti a me, in carne ed
ossa, sembrava proprio la prova vivente che la faccenda
funzionava.
E allora perché non provare? Si era a metà giugno, una
stagione ideale. Detto fatto, mi organizzai con il lavoro e la
settimana dopo ero in clinica.
In questa esperienza c’era un aspetto anche un po’ comico.
Accumulare la mia sia pure detestabile pinguedine mi era
costato un sacco di soldi in deliziosi pranzi e cene e altri, ora,
me ne costava disfarmene, se mai, poi, ci sarei riuscito!
La prima impressione fu eccellente. Un posto davvero
incantevole,
immerso nel
verde
in
tutto e
per
tutto
perfettamente ordinato e organizzato, come si conviene ad
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una clinica tedesca. Le cose si svolsero esattamente come le
aveva descritte il mio amico.
La giornata iniziava con la cerimonia della pesatura. Tra le
sette e trenta e le otto e trenta del mattino, dovevamo recarci
in processione, indossando l’accappatoio, in una stanzetta
dove l’infermiera ci pesava e annotava su un libricino che
ciascuno portava con sé il peso di quel giorno, non avremmo
dovuto aspettarci un calo uniforme, perché eravamo stati
avvertiti, sulla perdita di peso avrebbero potuto influire fattori
casuali come, per esempio, il tasso di umidità dell’atmosfera, o
una eccessiva ritenzione di liquidi.
Tuttavia, anche se prevista, una troppo modesta riduzione di
peso ci procurava una piccola delusione compensata, peraltro,
da una certa euforia regalataci dal fenomeno contrario, magari
il giorno successivo. Successivamente, per chi lo voleva, c’era
il rito della passeggiata cui si partecipava divisi in tre gruppi a
seconda della potenziale velocità di marcia. Le passeggiate si
svolgevano in un piacevole scenario tra prati e boschi e
duravano diverse ore. Erano vivamente raccomandate, così
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come le sedute di ginnastica che si tenevano nel pomeriggio,
perché sarebbero servite a mantenere il tono muscolare e la
forma fisica.
Tornati in clinica, tra le dodici e le tredici, era previsto il
pranzo, un pranzo per la verità molto particolare. Ci recavamo
( anche per la cena il rito non cambiava) in un grande salone
dove ci si sedeva su comode poltrone e divani chiacchierando
amabilmente con gli occasionali vicini, mentre si pranzava. Il
menù non offriva una scelta eccezionale: si trattava di grandi
caraffe d’acqua lievemente verdognola o rossastra. Il colore
non aveva sottintesi politici, ma derivava semplicemente da
minuscoli frammenti di verdure di diverso colore disciolti
nell’acqua. Tuttavia nessuno, neppure io, soffriva per la
mancanza di cibo, il che era veramente sorprendente: la fame
era, semplicemente, scomparsa.
Un giorno mi sedetti accanto ad una coppia di Milano che
avevo conosciuto in precedenza.
Naturalmente si parlò anche del digiuno che stavamo vivendo.
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Lui, un noto avvocato, mi disse che loro soggiornavano
abitualmente nella clinica per tre settimane durante il periodo
delle ferie estive e ne ritornavano completamente rigenerati
per tutta la restante parte dell’anno. Un vero elisir di
giovinezza poiché non si trattava solo di chili persi, ma anche
di sangue depurato, colesterolo e trigliceridi riportati ai valori
ideali, etc.
Rimasi un po’ sorpreso; evidentemente, riflettei, nei mesi
successivi al soggiorno, recuperavano il peso perduto,
altrimenti, diminuendo di dieci chili ogni volta, dopo qualche
anno si sarebbero volatilizzati. Lo facevano di proposito
questo recupero del peso?
Beh, non proprio, mi spiegò l’avvocato. Le prime due volte,
infatti, avevano cercato ostinatamente di seguire, tornati a
casa, una dieta di mantenimento ma, non essendoci riusciti,
avevano sposato una filosofia diversa.
Si sentivano autorizzati a non fare troppi sacrifici dietetici
durante l’anno, sapendo che sarebbero giunte le 3 settimane
salva-linea con relativo ritorno al punto di partenza. Un po’
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come nel gioco dell’oca, o come se si disponesse di una
assoluzione preventiva impartitagli dal loro confessore con la
formula “andate figlioli, peccate con animo sereno poiché io,
dopo, vi assolverò”.
Questa vicenda suscitò la mia curiosità. Il caso dell’avvocato
era comune? Volli saperne di più. “Non diciamo normale, ma
neppure unico” mi spiegò la capo-infermiera a cui posi la
domanda. Non avrebbe saputo dire se i pazienti venissero li
appositamente per perdere peso e potersi poi abbandonare,
durante tutto il resto dell'anno ai piaceri della tavola o, più
semplicemente se non riuscissero a perseverare nella dieta di
mantenimento.
Per quanto ne sapeva, indipendentemente dal fatto che fosse
una scelta voluta, mantenere il peso raggiunto era per tutti
molto difficile.
Perfino in casi di grave obesità i risultati, a lungo termine, non
erano incoraggianti, nonostante che, per questi casi, il servizio
sanitario tedesco si accollasse l’onere del soggiorno in clinica,
perché, evidentemente, il digiuno integrale era considerato
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una terapia credibile. Sarebbe accaduto anche a me? Anche
all’amico che mi aveva preceduto? Sarei riuscito con la forza
di volontà a mantenere il peso che avevo raggiunto?
Queste domande mi procuravano una comprensibile ansia ed
ero in questo stato d’animo quando presi congedo dalla
clinica, dove avevo soggiornato per venti giorni perdendo dieci
chili di peso.
Mi venne fornito, per il viaggio, un cestino con panini integrali
imbottiti di formaggio magro, e il medico mi fece le sue
raccomandazioni: in primo luogo, cautela durante il viaggio di
ritorno poiché venti giorni di digiuno, uniti alla desuetudine alla
guida,
avrebbero
potuto
comportare
un
pericoloso
appannamento dei riflessi.
Poi mi fornì un foglio con una dieta di mantenimento
progressiva, che prevedeva il rientro graduale alla normalità,
normalità che non consisteva, beninteso, nel ripristino delle
mie pessime abitudini alimentari ante-digiuno - quelle avrei
dovuto scordarmele per sempre - bensì in un regime calorico
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più moderato che avrebbe dovuto essere la norma per il mio
futuro.
Infine mi fornì, per il mio medico, i referti delle ultime analisi
del sangue con gli ottimi dati relativi a glicemia, colesterolo,
trigliceridi, etc. Infine, auguri e buon viaggio.
Mentre guidavo sulla via del ritorno la mia mente era affollata
da proponimenti di assoluta determinazione a mantenere la
forma acquisita. In fin dei conti, tutto dipendeva da me solo!
Al rientro, l’impatto del mio nuovo look si rivelerà scioccante
per chi mi rivedeva per la prima volta. Questo era già un primo
risultato piacevole e incoraggiante specie se unito al senso di
leggerezza, all’agilità e alla lucidità mentale che avevo
acquisito.
Quando si pratica il digiuno integrale, durante il quale si perde
molo peso in pochissimo tempo, diversamente da quando si
segue una dieta, si prova la strana sensazione di essere
diventati un’altra persona nel corso di una sola notte, come se
una improvvisa metamorfosi vi avesse trasformato, in poche
ore, in qualche “cosa” di assolutamente diverso.
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Ero ben deciso a conservare la mia nuova forma fisica e con
questa determinazione ritornai alla vita normale.
Durante le prime settimane le cose andarono abbastanza
bene.
Dopo un modesto e, peraltro, previsto recupero di peso, pur
non seguendo alla lettera la dieta prescritta, mi comportavo
piuttosto bene, e anche se ogni tanto mi concedevo qualche
piccolo e, secondo me, veniale sconfinamento, nella sostanza
la seguivo con sufficiente scrupolo.
Poi,
con
il
passare
del
tempo,
gli
sconfinamenti
si
moltiplicarono sfidando con successo la mia determinazione e
la mia buona volontà. Non riuscivo ad oppormi e constatavo
con ansia che il mio peso aveva ricominciato a lievitare.
Stavo rivivendo, tale e quale, l’esperienza del dopo-dieta, con
la differenza che ora ero preda di una fame ancor più
aggressiva e incontenibile. Pur rendendomi conto che stavo
gradualmente
annullando
gli
effetti
(anche
economici,
perbacco!) del digiuno, non potevo farci niente, ero del tutto
impotente!
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Lo stimolo della fame associato all’immagine vivida e quanto
mai seducente ora di quel piatto, ora di quell’altro, si
presentava continuamente alla mia mente e se non esaudivo
prontamente il mio desiderio le immagini si riproponevano
insistentemente. Una specie di ossessione!
Quando, poi, mi sedevo a tavola, non mi alzavo se non
completamente sazio, e tuttavia, dopo un po’, avevo di nuovo
fame.
Mi veniva alla mente la lupa che nella Divina Commedia
impedisce il cammino a Dante e che “dopo il pasto ha più
fame che pria.” (Inferno, I canto).
Avrete già capito come andò a finire: in capo a otto/nove mesi
mi ritrovai con il peso ante-digiuno, anzi, ero aumentato di
qualche chilo rispetto a prima, e per di più ero anche
parecchio frustrato e depresso.
Dieta o digiuno era sempre la stessa storia: ero stato in grado
di perdere peso, ma poi lo recuperavo, così come accadeva
quasi a tutti (compreso, guarda caso, anche all’amico che mi
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aveva fatto da battistrada nella clinica del digiuno), chi prima
chi dopo. Rare le eccezioni, a quanto mi risultava…
Una sera assistei ad una intervista televisiva all’attore Paolo
Villaggio il quale raccontava della sua guerra di una vita contro
la bilancia, magnificamente coronata dal più totale insuccesso.
Mi domandavo, con una certa angoscia, se veramente non
esistesse qualche rimedio, se non esistesse, cioè, un modo
per dimagrire e restare magro, senza rinunciare alla golosità,
ancorché fosse proprio la golosità, con tutta evidenza, che mi
impediva di restare magro.
Possibile che il più innocente dei piaceri, il più semplice da
soddisfare, che oltre a tutto non reca danno a nessuno,
possibile, mi dicevo, che debba essere abbandonato solo
perché incompatibile con la conservazione di un peso
accettabile?
In effetti, questo era il punto, io non potevo neppure
immaginare una vita senza peccati di gola e, d’altra parte,
dovevo anche dimagrire; si trattava di far convivere il diavolo e
l’acqua santa.
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COME NASCE PUOIANCHETU
Gli errori dei sistemi esistenti
Mi ero ormai convinto che nel “sistema diete dimagranti” - che
d’ora in poi chiamerò SDD - ed anche nello stesso digiuno
integrale
dovesse
esserci
qualcosa
di
profondamente
sbagliato, qualche caratteristica intrinseca che conduceva
invariabilmente all’insuccesso.
Sulla base della mia esperienza e delle riflessioni che ne
erano seguite arrivai alla conclusione che, in effetti, l’SDD
conteneva una quantità di errori e di manchevolezze
veramente stupefacenti considerando il numero di “addetti ai
lavori” che se ne erano occupati e che tuttora se ne occupano.
Ma quali erano gli errori di fondo commessi, a mio giudizio,
dall’SDD?
1. SDD lascia intendere che il sovrappeso sia da imputare
alla nostra golosità. Errore: la golosità, non c’entra per nulla.
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Casomai c’entra, come vedremo, la cattiva gestione che ne
facciamo. L’amore per la buona tavola, in sé, lungi dall’essere
colpevole di qualcosa è una meravigliosa risorsa per chi ha la
fortuna di possederla!
2. SDD lascia intendere che, una volta dimagriti, il più è fatto.
Errore: basta guardarsi in giro, per capire subito che il più, anzi
il molto di più, vale a dire il mantenimento del peso raggiunto,
deve ancora essere fatto ed è, come vedremo, la parte di gran
lunga più difficile.
3. SDD, se falliamo durante la dieta oppure se, dopo averla
portata a termine con successo, recuperiamo il peso perduto,
ci colpevolizza attribuendone la responsabilità alla nostra
mancanza di forza di volontà. Errore: se non abbiamo
successo, la nostra forza di volontà, non c’entra affatto.
L’accusa di esserne privi ottiene l’unico risultato di far
precipitare la nostra autostima sotto la suola delle scarpe. Che
la mancanza di forza di volontà non c’entri lo si può dedurre
facilmente dal fatto che persone le quali dimostrano, nel loro
lavoro e in altre attività, di esserne dotate, falliscono
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unicamente quando praticano una dieta; il fallimento, infatti, si
verifica puntualmente o nella fase del dimagrimento o, più
sovente, in quella del mantenimento.
4. SDD considera il sovrappeso una malattia e la dieta la sua
appropriata medicina; e allora poco importa se la medicina
non è di nostro gradimento, l’importante è che ottenga la
guarigione. Errore: è evidente che, se non si rispettano le
abitudini alimentari, che sono ovviamente le più gradite, si
accumula nel proprio intimo un desiderio insoddisfatto,
paragonabile ad una mina vagante che, prima o poi,
esploderà, facendoci recuperare il peso perduto. A parte
questo, che vita sarebbe quella nella quale si dovesse
rinunciare proprio a ciò che maggiormente ci piace?
5. SDD si occupa esclusivamente del nostro sovrappeso, con
l’obbiettivo di eliminarlo. Errore: non si può dimagrire
stabilmente se non si può contemporaneamente continuare a
vivere assecondando la nostra golosità, decidendo, in
autonomia, cosa, quando e quanto mangiare. In poche parole
33
non si può dimagrire stabilmente se non si può dare libero
sfogo ai piaceri della gola, liberi e felici di poterlo fare.
6. SDD si disinteressa completamente del concetto di sazietà
come fosse un fattore secondario a fini del successo nella
perdita di peso. Errore: solo se il sistema messo in piedi per
perdere peso è in grado di placare la fame, di saziare
completamente al termine del pasto, solo così si può pensare
di ottenere successo a lungo termine.
7. SDD lascia intendere che il ruolo di pensare, di creare le
ricette “giuste” appartenga esclusivamente allo specialista,
cioè al dietologo o nutrizionista che dir si voglia, il quale si
dedica a questo lavoro a tempo pieno. Solo lui avrebbe la
competenza e le conoscenze necessarie. A chi segue la dieta
non resta che obbedire docilmente, senza porsi problemi,
affidandosi con fiducia al proprio mentore.
Errore, errore madornale: senza la nostra attiva partecipazione
mentale,
senza
l’apporto
delle
nostre
idee,
senza
consapevolezza, senza l’impiego della nostra attenzione e di
una parte del nostro tempo non raggiungeremo mai alcun
34
risultato stabile. I protagonisti della soluzione del nostro
problema siamo noi e solo noi.
8. SDD non ci spiega perché anche quando riusciamo a
terminare con successo una dieta (se ci riusciamo!),
recuperiamo invariabilmente il peso perduto. Errore: senza
consapevolezza, senza sapere cioè perché accadono gli
eventi, non si va da nessuna parte.
9. Mille volte ci sono state mostrate foto molto convincenti di
persone riprese “prima” e “dopo” la cura. Nessuno ci ha mai,
però, detto quanto tempo dopo sono state scattate.
Verso un nuovo sistema
L’individuazione
di
questi
evidenti
limiti
e
di
queste
manchevolezze nell’SDD aveva iniziato ad instillarmi un
dubbio. Certo, noi dobbiamo essere infinitamente grati alla
scienza per gli spettacolari successi che ha conseguito,
successi che sono alla base del nostro attuale livello di vita,
tanto superiore a quello di molti anni fa. Dati gli apparenti
insuccessi della stessa medicina nell’affrontare una faccenda
35
che sempre più spesso si trasforma in patologia pensai che la
questione, forse, doveva essere affrontata da una nuova
prospettiva.
Mi
accinsi,
così
a
ragionare
su
questa
problematica indagandone i principi profondi, le cause prime,
le ragioni ultime; pensai, cioè, di affidarmi ad un’analisi di tipo
logico-filosofico.
Mi rendevo perfettamente conto di quanto l’avvicinarmi alla
materia in questi termini potesse apparire inusuale. Tuttavia,
più procedevo nelle mie riflessioni più si rinsaldava in me la
convinzione che si trattasse dell’approccio giusto (si deve
anche tenere presente che qualche anno fa c’era nell’aria una
“rivalutazione” della filosofia, rivalutazione che oggi si è
trasformata in una specie di fiume in piena: mai viste sale così
affollate a conferenze su temi filosofici i più disparati). Nel
frattempo, il mio interesse per l’argomento aveva cessato di
essere confinato negli angusti limiti del mio caso personale,
ma stimolando la mia curiosità mi faceva intravedere il
percorso di una affascinante avventura intellettuale in un
terreno inesplorato e sconosciuto.
36
A spingermi in questa direzione fu anche la mia passione per
quella straordinaria macchina che è la mente. Reazioni,
meccanismi, processi, tutto questo mi aveva da sempre molto
affascinato ma ora il mio interesse diventata più che mai
concreto.
Sapevo bene che la mente possiede delle risorse grandissime,
che è capace di sorprendere in modo inimmaginabile, le mie
letture di PNL ma non solo e la mia pratica di meditazione me
lo avevano insegnato molto bene.
C’era bisogno, qui, però, di trovarvi un’applicazione specifica;
avevo di fronte un problema molto preciso e la domanda a cui
bisognava rispondere era se la mente potesse qualcosa nel
gestire il rapporto con il cibo, la fame, il sovrappeso.
La risposta fu si. Non fu immediata come si può facilmente
immaginare, intendiamoci, ma alla fine capii, mi resi conto che
si poteva fare.
La soluzione mi si presentò di fronte quasi d’improvviso.
La chiave era sempre stata sotto i miei occhi ma non l’avevo
vista.
37
Il principio che mi diede l’input fu quello della dialettica
hegeliana, della tesi, antitesi e sintesi e che nelle filosofie
orientali vede contrapposti lo yin e lo yan.
Ogni cosa, ogni concetto e persino ogni essere vivente
contengono in sè un elemento ed il suo opposto quasi come
se
l’essere
inteso
in
senso
lato
fosse
una
sintesi
dell’apparente contraddizione che c’è nell’essere sé ed altro
da sé. In pratica, apparentemente, l’esistenza di ogni cosa
poggia sulla necessità di identificarsi come opposizione a
qualcos’altro.
Questo riguarda l’intero evolversi del reale ed il mondo del
cibo, nel suo piccolo, non vi fa eccezione
Il cibo, quindi, in questo senso contiene in sé un lato di piacere
ed uno di sofferenza; il piacere, di consumarlo, di mangiarlo, di
approfittarne ed il suo opposto, cioè la sofferenza nel
momento in cui non ne possiamo godere.
Questa relativa sofferenza che ci assale nel momento in cui
siamo privati del cibo si chiama, appunto, fame. Piacere e
sofferenza sono due facce della stessa medaglia: se non
38
esistesse la fame, cioè la sofferenza, non esisterebbe neppure
il piacere di mangiare che poi altro non è che il piacere di
eliminarla.
Piacere e sofferenza sono inscindibilmente legati, aumentano
e diminuiscono contemporaneamente; Il massimo del piacere
di mangiare si ha quando si prova la fame più acuta, mentre
quando si è sazi non si prova più né l’uno né l’altro e nelle fasi
intermedie si provano, ambedue, in misura intermedia.
Ma, tra le due, la sensazione più acuta che noi percepiamo
non è il piacere, bensì la sofferenza cioè la fame, ed è di
questa che, appunto, tendiamo a liberarci; per questo motivo
mangiamo fino alla sazietà, cioè fino a non avvertirla più. E’
infatti di tutta evidenza che la sofferenza, per l’uomo, ha
maggior peso che non il piacere. La sofferenza, infatti, come ci
dimostra l’esperienza può durare molto più a lungo, e con una
intensità mille volte maggiore di qualsiasi piacere1. (1)
1
Si noti che l’istinto di conservazione utilizza sempre la sofferenza e il dolore per
avvertirci che qualcosa non va e spingerci a porvi rimedio; sofferenza e dolore, infatti, scompaiono
non appena “riparato” il guasto.
A volte i guasti non sono “riparabili” (malati terminali) ma l’istinto di conservazione non
cessa di inviare i suoi inutili messaggi di sofferenza, perché così è stato programmato
39
Ma, riflettemmo, se la fame cessa solo quando abbiamo
mangiato quanto ci serve per mantenere il (sovra)peso, che
speranza abbiamo di dimagrire o meglio ancora di dimagrire
stabilmente?
Per poter dimagrire stabilmente, bisognerebbe, dunque,
separare la privazione del cibo dallo stimolo della fame e dalla
sofferenza che esso, se inappagato, ci procura e questo
sembra davvero un’utopia, una vera e propria contraddizione
in termini!
Ma le cose stanno solo apparentemente così poiché durante il
digiuno integrale, a pensarci bene, la separazione si verifica!!
La massima privazione di cibo dovrebbe dar luogo alla fame
più acuta e intollerabile ed invece ciò non avviene affatto!
Durante
la
pratica
del
digiuno
integrale
infatti,
inaspettatamente, alla massima privazione di cibo corrisponde
la totale assenza d’appetito.
E’ un fenomeno perfettamente conosciuto e dato per assodato
ma a cui nessuno ha collegato le fantastiche conseguenze che
ne possono derivare!
40
In quel momento, da quella semplice ma fondamentale
considerazione, era nato PuoiAncheTu!
Durante i quattro anni successivi partendo da questa
osservazione che ne avrebbe costituito il principio base, fu
elaborato e rielaborato un modello di vita con le sue regole e i
suoi principi; regole e principi che venivano via via
sperimentati da me nella pratica quotidiana, rettificati e
migliorati, quando ciò risultava necessario.
Già durante i primi mesi persi diciassette chili ed, in seguito,
non ho più recuperato neppure un grammo benché non abbia
mai abdicato alla mia natura di amante della buona tavola e
pur rispettando i miei gusti e le mie abitudini alimentari, ed,
anzi, ho continuato a perdere impercettibilmente peso fino a
raggiungere quota meno ventisette.
41
L’istinto di conservazione
1 – ISTINTO CONTRO RAGIONE
Ci si potrebbe domandare per quale incomprensibile motivo
non riusciamo a dimagrire e quando ci riusciamo, non siamo
capaci di restare magri.
In fondo, lo desideriamo con la massima determinazione e non
esiste certo una autorità civile o religiosa che ce lo possa o
voglia impedire; anzi i governi sono molto preoccupati
dall’obesità che avanza a macchia d’olio colpendo strati
sempre più estesi della popolazione.
In alcuni Paesi come ad esempio gli Stati Uniti la situazione è
abbastanza preoccupante. E’ di poco tempo fa la notizia che le
aziende americane, obbligate a pagare l’assicurazionesanitaria per i propri dipendenti, hanno deciso di licenziare gli
innumerevoli obesi. La loro polizza assicurativa risulta, infatti,
troppo onerosa a causa dell’elevatissimo numero di patologie
collaterali che tale malattia sociale comporta.
E dunque?
42
Dunque, se il nemico che ci impedisce di dimagrire non è
all’esterno, ciò significa che ce lo portiamo dentro; che è
dentro di noi che dobbiamo cercare, non può che essere così!
Ma allora chi è il nemico che si annida in noi, qual è il suo
nome, cosa rappresenta?
E’ presto detto: il nemico dentro noi stessi contro il quale
combattiamo una guerra feroce mentre vogliamo dimagrire
non è che l’istinto di conservazione.
Ma cos’è l’istinto di conservazione e per quale motivo è così
fermamente contrario a che noi perdiamo peso?
Cosa sia è noto a tutti ma per capire la ragione di tale e tanta
caparbietà nell’opporsi al nostro dimagrimento dobbiamo fare
mente locale alle condizioni di vita dei nostri lontanissimi
progenitori. In quelle epoche remote carestie, inondazioni,
siccità rendevano problematica e incerta l’alimentazione dei
nostri antenati. L’istinto di conservazione, programmato per
salvaguardarne l’esistenza, inviava all’uomo pressantemente
lo stimolo della fame affinché non si lasciasse sfuggire alcuna
occasione
per
alimentarsi;
se,
43
poi,
fosse
riuscito
ad
accumulare un filo di grasso, tanto di guadagnato, una difesa
in più per le future carestie.
L’istinto
di
conservazione
dunque,
agiva
nell’ottica
di
preservare la vita ed il suo agire era perfettamente in linea con
i pericoli e le esigenze di quei tempi.
Ora però, tutto è cambiato, e molti dei comportamenti che in
epoche remote erano in linea con la necessità di sopravvivere
non sono più attuali poiché oggi l’uomo vive in un contesto
completamente diverso dove il cibo, almeno nei paesi ricchi, è
l’ultimo dei problemi. Tuttavia questo cambiamento non è stata
recepita dall’istinto di conservazione2.
A scanso di equivoci cominciamo col dire che l’istinto di
conservazione è uno degli alleati più preziosi dell’essere
umano. Se fuggiamo a gambe levate di fronte ad un pitbull che
appare all’improvviso, se evitiamo di poggiare la nostra mano
sopra il fornello acceso, se non ci lanciamo freddamente da un
dirupo, ebbene tutto questo è solo merito dell’istinto di
2
Lo studio a cui si fa riferimento e pubblicato sullla rivista New England Journal of Medicine
nell’ottobre del 2011 è stata portata avanti da un’equipe dell’Univeristà di Melbourne e intitolata
Obese people regain weight after dieting due to hormones
44
conservazione che, inducendo dolore o innescando il
meccanismo attacco/fuga è proteso, come implicito nel, a
salvaguardare la persona, cioè la vita.
Tuttavia l’istinto di conservazione è soggetto, talvolta, a dei
tragici errori come quelli che si evidenziano nelle patologie
legate all’ansia.
Quello che accade in questi casi, infatti, è che di fronte ad una
situazione che non ha nulla di pericoloso, come per esempio
lo stare in un luogo chiuso ed affollato, il nostro istinto di
conservazione
reagisce
esattamente
nel
modo
in
cui
reagirebbe se si trovasse di fronte ad un toro che ci sta
caricando. Reazione, ovviamente, del tutto fuori luogo.
L’istinto di conservazione, infatti, è cieco e sordo e si comporta
come è stato programmato agli albori della specie, sempre
uguale, sempre nello stesso modo e questo nonostante molte
condizioni siano cambiate!
Esso ha iscritto nella memoria il bisogno di accumulare cibo
quanto più possibile poiché il cibo è vita, è conservazione della
specie; certo non gli si può dar torto considerando che questo
45
comportamento era il più sensato fino a non molti anni fa,
un’inezia in termini di tempo dal punto di vista evoluzionistico.
Inconsapevole, proprio in quanto istinto, del mutare dei bisogni
non cambia di una virgola il suo rapporto con il cibo e continua
a considerare il dimagrimento una grave minaccia alla
sopravvivenza.
Potesse ragionare si renderebbe facilmente conto che nei
ricchi paesi industrializzati la minaccia non proviene dalla
carenza di cibo, ma, semmai, dalla sua abbondanza!
Se ragionasse, ma non ragiona!
Nel caso del sovrappeso, quindi, l’istinto di conservazione non
è più un nostro alleato ma si trasforma in un nostro nemico!
Si tratta di un nemico potentissimo - gli istinti occupano l’80%
del cervello, contro il 20% della ragione – e, come vedremo tra
poco, praticamente invincibile.
Ma non si può prescindervi nel combattere la nostra battaglia
perché è proprio con lui che dobbiamo confrontarci, è contro di
lui che dobbiamo combattere, una lotta con armi nuove.
46
Per facilitare il rapporto tra voi ed il vostro istinto io consiglio di
usare un artificio che è, poi, tale fino ad un certo punto.
Considerate l’istinto di conservazione come un vero e proprio
individuo, diverso da voi, con una sua personalità, suoi
obiettivi, sue convinzioni.
Dialogate con lui, confrontatevi, litigate, se necessario, come
se si trattasse di un vostro amico con idee diametralmente
opposte alle vostre. Il fatto di considerarlo un “altro” da voi,
faciliterà il vostro compito.
Vi
accingete,
dunque,
a
dare
battaglia
all’istinto
di
conservazione, e come in ogni battaglia che si rispetti, dovete
mettere a punto l’artiglieria.
Con quali armi, rispettivamente, verrà combattuta questa
battaglia tra voi, la vostra ragione, e l’istinto? Chi dispone di
quelle più efficaci? Chi ha più probabilità di vincere? Il vincitore
sarà sempre lo stesso o i due contendenti si alterneranno nella
vittoria?
Le risposte a queste domande saranno decisive per capire se
avrete effettive probabilità di dimagrire e di restare magri.
47
All’istinto si contrappone la ragione che scende in campo per
combatterne le false opinioni di costui, il suo cieco motore, il
suo irragionevole impulso alla nutrizione. E con quali armi?
Con la pura e semplice forza di volontà!
Mentre, cioè, l’istinto vorrebbe che si mangiasse il succulento
spiedino con polenta che ci passa sotto il naso, la ragione si
oppone attraverso la forza di volontà (volontà) e cerca di
trattenere, di controllare questa tentazione con argomenti che
possono andare dal “non ti fa bene”, al “non devi perché
ingrassi” oppure ancora “resisti che ce la puoi fare”.
Del resto l’ineluttabile sconfitta della forza di volontà di fronte
ad un fumante piatto di spaghetti è immortalata da due celebri
scene di film, protagonisti rispettivamente Aldo Fabrizi ed
Alberto Sordi. Perché due grandi attori comici? Proprio perché
essi esprimono con incomparabile mimica il tentativo di
opporsi alla invincibile tentazione del cibo e, dopo qualche
minuto di evidente sofferenza, cedono di schianto divorando
con poche, robuste forchettate l’agognata preda.
48
Ma quali sono, al contrario, le formidabili armi messe in campo
dall’istinto di conservazione?
L’istinto di conservazione agisce in due modi differenti per
spingerci a raggiungere l’obbiettivo che si è prefissato; da un
lato egli induce in noi uno stato di sofferenza, la fame, (non si
dice, appunto, soffrire la fame?) e, dall’altro lato, invia
contemporaneamente alla mente immagini di seducenti
leccornie con il dichiarato obbiettivo di farci cedere, resistergli
è davvero una impresa ardua!
Chi vincerà?
Partiamo innanzitutto dalla constatazione che l’istinto è più
forte, molto più forte, della ragione e, quindi, senza un
intervento eccezionale in senso contrario la battaglia sarà
sempre persa.
Il grafico seguente mostra con molta chiarezza quale sia, in
condizioni normali, il rapporto tra istinto di conservazione e
forza di volontà; il primo con la sua arma, la fame, domina
sempre la forza di volontà.
49
Istinto di Conservazione (fame)
Ragione (forza di volontà)
Grafico 1
Quante volte ci siamo alzati al mattino con il fermo proposito di
incominciare a dimagrire mangiando meno di quanto abbiamo
fatto fino a quel momento! Proposito destinato a dissolversi
ben presto davanti a un bel piatto di spaghetti o ad una fetta di
torta o ad un tagliere di salumi magari accompagnato da
qualche bicchiere di buon vino?
E se per caso riuscivamo a mangiare poco o niente a
mezzogiorno, arrivavamo alla sera con una fame da lupi e ben
decisi a “recuperare”. Se poi, eroicamente, riuscivamo a
trattenerci anche a cena, allora “ci rifacevamo” di notte o il
giorno successivo!
Insomma, non c’era scampo il nostro fiero proposito di
dimagrire finiva in niente
50
1. la dieta
Analizziamo ora la situazione che si viene a creare ed il
rapporto che si stabilisce tra forza di volontà ed istinto di
conservazione durante una dieta.
Come si vede dal grafico 2: per un certo periodo di tempo la
nostra forza di volontà sovrasta e domina la fame. Incredibile!
Cosa è accaduto?
Ragione (forza di volontà)
Istinto di Conservazione(fame)
Grafico 2
E’ accaduto che siamo andati da un dietologo molto in gamba,
preceduto da grande fama, abbiamo pagato una parcella
piuttosto salata, ci siamo trovati davanti ad un uomo
51
dall’aspetto
decisamente
autorevole,
che
parlava
con
sicurezza e che ci ha convinto ed affascinato. Senza
rendercene conto siamo usciti un po’ ipnotizzati, quasi in uno
stato di trance.
E’ come se l’emozione provata durante la visita avesse
conferito, lì per lì, alla nostra volontà una forza eccezionale,
una forza capace di sovvertire il normale rapporto gerarchico
esistente tra ragione e istinto di conservazione.
Si è determinata quella “inversione della gerarchia” che è
indispensabile per poter dimagrire.
La ragione, ora, ha il sopravvento sull’istinto di conservazione.
Deteniamo saldamente in mano lo “scettro del comando”, e
una serie di avvenimenti successivi contribuisce a mantenere
in essere la nuova insolita gerarchia: la bilancia continua a
segnare
ogni
giorno
un
peso
inferiore,
gli
amici
a
complimentarsi, i vestiti a diventare troppo larghi, il nostro
profilo ad assottigliarsi mentre ci pavoneggiamo davanti allo
specchio; ci sentiamo davvero in gamba! Tutto ciò ci rende
52
euforici e, fino a quando questa euforia dura non facciamo
fatica ad attenerci alle prescrizioni del dietologo.
Ma ahimé, la dieta ha una scadenza naturale che è
rappresentata dal raggiungimento del peso/obiettivo; quando
lo si raggiunge (ma a volte anche prima) l’euforia si
affievolisce e poi cessa del tutto così come è destinata a
cessare qualsiasi emozione. Niente e nessuno la può
resuscitare (quanto tempo è durata l’emozione, la grandissima
emozione collettiva, per la vittoria dell’Italia ai campionati del
mondo di calcio? Poco più di qualche giorno). Inoltre, da un
certo momento in poi, la bilancia cessa di scendere, gli amici
di farci i complimenti e tutto ridiventa terribilmente normale. E,
come si vede dal grafico, la situazione si capovolge
nuovamente e l’istinto di conservazione (la fame) torna a
dominare la ragione, la forza di volontà; si ritorna, cioè, alla
situazione normale illustrata nel grafico1. Niente e nessuno
può modificare questo stato di cose. E per di più il paradosso
è che il dietologo continua ad essere considerato molto in
gamba per avervi fatto dimagrire e voi molto colpevoli (per
53
aver recuperato il peso a causa della vostra mancanza di forza
di volontà!! Invece tutto è inevitabile e già scritto.
2. il digiuno integrale
Eccoci di fronte ad una terza situazione (vedi grafico 3 pag.
successive).
Abbiamo percorso centinaia di chilometri, siamo giunti in una
clinica molto famosa apposta per sottoporci a venti giorni (per
esempio) di digiuno integrale. Questo soggiorno ci costerà un
sacco di soldi, la clinica è molto bella e bene organizzata ed è,
inoltre, guidata da medici e infermieri professionali che ci
infondono grande fiducia; la natura, poi, e il paesaggio
circostante con i suoi prati e i suoi boschi forniscono uno
scenario davvero incantevole. Siamo, inoltre, in compagnia di
centinaia di altre persone lì per lo stesso motivo, con la
medesima fiducia e animati dalla stessa convinzione.
Fin dal primo momento questo contesto ci soggioga ed
emoziona.
54
Digiuniamo senza alcuna difficoltà.
Capitemi bene: rimaniamo in clinica venti giorni - ma possono
essere benissimo trenta e perfino di più - senza mangiare
assolutamente nulla e senza provare fame; passiamo il nostro
tempo a fare ginnastica, nuotare, giocare a tennis, fare lunghe
passeggiate, leggere, guardare film come se stessimo
trascorrendo la più normale delle vacanze.
Cosa è accaduto? Similmente a quanto si era verificato
durante la dieta, una forte emozione iniziale ha innescato un
processo che ha consentito alla nostra mente di dominare lo
stimolo della fame; si è verificato anche in questo caso, come
durante
la
dieta
quella
“inversione
della
gerarchia”,
indispensabile per poter dimagrire. Ma attenzione! Tra la
situazione “dieta” e quella di digiuno integrale esiste una
fondamentale differenza: durante la dieta la fame giunge alla
nostra coscienza che è in condizione di controllarla, mentre
durante
il
digiuno
integrale
lo
stimolo
della
fame
semplicemente non giunge alla coscienza e per questo la
ragione non ha alcuna necessità di controllarlo. La fame, in
55
pratica,
è
scomparsa,
è
neutralizzata!
Quello
che
sorprendentemente accade è che l’istinto di conservazione ha
ricevuto il seguente messaggio: “non inviarmi più lo stimolo
della fame fino a quando resterò in questa clinica” ed ha
obbedito docilmente a questa imposizione!
Ma com’è possibile questo? E’ così semplice “dire” all’istinto di
conservazione che si astenga dal compiere il proprio dovere,
quel dovere che sembrava inevitabile fino a qualche secondo
prima?
Si, tutto ciò è possibile per una semplice ragione e, cioè,
perché
il
messaggio
comunicato
è
recepito
come
assolutamente inderogabile.
Ma cosa, esattamente, contribuisce a rendere questo
messaggio inderogabile per l’istinto di conservazione?
Innanzitutto la circostanza che, di fatto, in clinica non sia
permesso mangiare. Nel senso che se anche a qualcuno
venisse appetito questo non potrebbe essere placato. Questo
fatto ha un impatto psicologico molto importante sulla nostra
mente. Se siete fumatori pensate a quando è entrato in vigore
56
il divieto di fumare all’interno dei locali; pareva che nessuno
avrebbe potuto accettarlo e quel che, invece, è accaduto è
stato non solo che le persone si sono facilmente adeguate ma
che tale adeguamento è avvenuto senza alcuna particolare
sforzo o fatica. Di fatto le persone non fumano più dentro i
locali (fumano si, all’esterno ma molto meno di un tempo,
complessivamente) e non soffrono particolarmente per questo
divieto nel senso che è la voglia di fumare che si è fortemente
attenuata. Il divieto ha agito sulla nostra psiche ed ha placato
l’istinto che ci spinge a fumare in favore della ragione che
controlla tale desiderio.
La seconda circostanza che agisce fortemente sull’istinto di
conservazione inducendolo a recepire in modo inderogabile il
messaggio di non inviare lo stimolo della fame è il contesto.
La clinica, l’apparto medico-infermieristico, l’autorità, gli altri
pazienti, la solennità del luogo; tutto questo concorre a creare
una sorta di trans emotivo che agisce come una forza
imponente in grado di dominare completamente l’istinto di
conservazione.
57
Questa situazione sarebbe ottimale ma, evidentemente, non
può durare all’infinito e, quando si esce dalla clinica per
l’istinto di conservazione cessa automaticamente il divieto di
inviare lo stimolo della fame. Allora questi, molto contrariato,
per l’inaccettabile (dal suo punto di vista!) dimagrimento, che
ha dovuto subire senza reagire, ci inonda a getto continuo di
immagini di leccornie fino a quando non avremo recuperato il
peso perduto e, possibilmente, anche qualcosa di più! (vedi
grafico 3).
Ragione (forza di volontà)
Istinto di conservazione (fame)
Grafico 3
58
2 –PUOIANCHETU
A questo punto siamo di fronte ad un vicolo cieco. Gli unici
due casi in cui la forza di volontà sovrasta e domina la fame
rappresentano due situazioni che hanno una precisa scadenza
temporale, destinate, cioè, a cessare, prima o poi in favore di
un ritorno alla normalità. Tuttavia vi è una sostanziale
differenza. Nel caso della dieta è una incontrollata euforia che,
va da sè, non può durare in eterno, a determinare l’inversione
della gerarchia. Nel secondo caso, invece, quello del digiuno
integrale, l’inversione della gerarchia si determina ad opera di
una serie di circostanze favorevoli che il contesto della clinica
sottende. La forza di volontà non viene chiamata in causa o,
meglio, non è una forza di volontà super potenziata dall’euforia
che determina la vittoria sull’istinto di conservazione. Si deve
piuttosto asserire che l’istinto stesso non invia più lo stimolo
della fame alla coscienza, esso è neutralizzato. Una differenza
fondamentale poiché questo secondo caso esclude uno sforzo
in termini di volontà delle persone coinvolte!
59
E allora? Allora appare chiaro che solo un sistema che erediti
questo secondo concetto è destinato ad avere successo
poiché la forza di volontà, nel combattere contro l’istinto di
conservazione, alla lunga non può che perdere. Il suo
temporaneo predominio dipende dall’euforia che, prima o poi,
è destinata a scemare.
D’altra parte bisogna considerare che non è possibile
digiunare in modo permanente, se non si vuole morire.
Bisognerebbe poter integrare la totale assenza di appetito che
si prova durante il digiuno integrale in un sistema che prevede
di alimentarsi quotidianamente. Se, cioè, si potesse non
sentire appetito una volta terminato il pasto si sarebbe a
cavallo!
E’ appunto ciò che PuoiAncheTu è riuscito a fare e che viene
descritta dal grafico sottostante
Ragione (forza di volontà)
I.C. (fame)
60
PuoiAncheTu è proprio su questo principio che si fonda:
bloccare l’appetito (cioè proprio non sentirlo!) in tutte le ore
della giornata escluse quelle dei pasti; se questa situazione
può verificarsi, beh non c’è ragione che non possa durare tutta
la vita.
Come si fa, tuttavia, ad essere certi che in quelle tre ore nelle
quali si da libero sfogo alla propria golosità non si rischi di
buttare all’aria tutto il sistema travolti dalla voglia di ingurgitare
tutto ciò che ci passa sotto il naso?
Ciò
non
accade
semplicemente
perché
l’istinto
di
conservazione, nelle tre ore in cui potete concedervi di
mangiare, è assopito, ha perso l’abitudine ad assalirvi e, di
fatto, non vi assale.
Per quanto incredibile possa sembrare è proprio così che
accade…e
non
c’è
una
legge
che
lo
spiegare…l’esperienza, solo quella ve lo confermerà!!
61
possa
IL FULCRO DI PUOIANCHETU
L’indagine delle ragioni profonde che impediscono a ciascuno
di noi di dimagrire semplicemente volendolo e del profondo
radicamento dell’istinto di conservazione e del suo ruolo
chiave in questo processo è, a mio parere, un aspetto
imprescindibile per poter da questo punto partire e “costruire”
qualcosa di veramente nuovo e, soprattutto, che funzioni.
Ma questa è solo una delle fasi importanti per la comprensione
del sistema; nella pratica esso si articola in un modello di
comportamento e declina, quindi, leggi e regole da seguire per
l’efficacia del risultato.
Dal punto di vista delle indicazioni relative a quanto, come e
cosa si debba mangiare il sistema si limita ad indicare un solo
vincolo, quello delle calorie giornaliere da introitare; anche
questa indicazione tuttavia, come quasi tutto nel sistema,
risulta molto flessibile. Esistono però, alcuni principi cardine
del metodo stesso, che devono essere presi in considerazione
62
poiché sono essi stessi, insieme a quelli analizzati finora, le
ragioni del suo successo. Si tratta di:
1. dare alla golosità una posizione centrale nella vostra
vita
2. comportarsi con assoluta libertà decidendo in piena
autonomia e senza alcuna imposizione (a differenza
delle diete in generale), quanto e cosa mangiare
3. valorizzare le proprie abitudini alimentari invece che
demonizzarle.
Per sintetizzare tutti gli obiettivi in un solo concetto diremo che
PuoiAncheTu si propone di trasformare la vostra vita stressata
dalla lotta alla bilancia, dal senso di colpa per gli insuccessi
nella guerra al sovrappeso, dalla frustrazione, dall’avvilimento
e, a volte, anche condizionata da una forte caduta
dell’autostima, in una vita del tutto normale, rilassata, ricca di
soddisfazioni soprattutto per voi che siete amanti della buona
tavola, una vita nella quale il peso ideale è una condizione
63
stabile e normale, cui non è più necessario prestare una
particolare attenzione.
In poche parole: una vita più felice di quella che conducevate
prima di conoscere PuoiAncheTu ed è solo così, essendo più
felici, che potrete restare magri per sempre!
La rapidità del dimagrimento è lasciata ad una libera scelta
individuale. PuoiAncheTu è destinato a durare tutta la vita,
poiché appaga ogni forma di golosità pur consentendo di
mantenere peso e forma fisica e, quindi, è più orientato a
privilegiare la stabilità che non la velocità.
Tuttavia noi tutti, compreso il sottoscritto, quando si tratta di
raggiungere il peso forma siamo soggetti ad una forte pulsione
a raggiungerlo subito, il che è probabilmente insito nella natura
umana.
Perciò nulla di male se si privilegia la rapidità, cosa
perfettamente possibile; a prescindere dalla rapidità non
abbandonerete lo stile di vita PuoiAncheTu nemmeno dopo
aver raggiuto il peso obiettivo, non ne avrete ragione perché
starete bene e sarete soddisfatti.
64
Tengo a sottolineare che la scelta della rapidità è corretta e
condivisibile ma solo nel rispetto di alcune condizioni
fondamentali che vengono spiegate all’interno delle lezioni.
Per nessuna ragione, cioè, le vostre scelte debbono mettere in
pericolo la vostra salute. E’ importante sempre e comunque
agire con estrema consapevolezza.
1 – Golosità regina della vita
Dante mette Ciacco, noto golosone impertinente della Firenze
della sua epoca, all’inferno nel girone dei golosi.
La cultura, la morale, le stesse istituzioni civili d’allora erano
dominate dall’insegnamento della chiesa, dai precetti della
religione cattolica.
Una religione che predicava penitenza, rinunce, sacrifici e
dolore fisico come unici mezzi per purificarsi dai peccati,
quello originale in primo luogo, e poter acquisire così i titoli
necessari all’ingresso in paradiso. La vita terrena era vista
esclusivamente in funzione di quella successiva, questa sì la
vera vita! Infinitamente beata nella contemplazione di Dio.
65
Si pensi ai faticosissimi pellegrinaggi, a piedi, verso i più
celebri santuari, alle fustigazioni, alle flagellazioni o alla
pratica, molto frequente, di accedere a chiese o cappelle poste
alla sommità di gradinate in pietra da salire in ginocchio!
In questa visione penitenziale del mondo e della vita i piaceri
della carne, in primo luogo sesso e cibo, non potevano che
essere visti come tentazioni del demonio interessato a far
cadere l’uomo allontanandolo dai veri valori della fede e
ghermirne l’anima.
E non solo sesso e cibo, ma anche ozio, gioco, ignavia erano
considerati peccati mortali; non per nulla Dante mette
all’inferno tutti coloro che indulgevano verso questi gravi vizi.
Leciti e meritori erano solo il lavoro, la preghiera, la penitenza,
il digiuno, l’astinenza e il dolore fisico puntigliosamente
ricercato come mezzo ideale per la purificazione dell’anima e
l’emendamento dai peccati.
Di quei tempi lontani non è rimasto apparentemente nulla; la
morale corrente si è addirittura capovolta e ogni giorno i mass
media ci invitano a cedere alle lusinghe della carne
66
proponendoci ogni genere di prodotti atti allo scopo (e
soprattutto a quello di rimpinguare i profitti di chi li vende!)
Ma davvero, della lontana morale di allora non è rimasta
traccia?
Le cose non stanno esattamente così.
E’ vero che la morale odierna si è letteralmente capovolta
rispetto
all’atmosfera
penitenziale
che
si
respirava
in
quell’epoca tenebrosa. E’ vero che i mass media fanno a gara
nell’indurci a consumare sempre di più, sollecitando la nostra
gola con le immagini più seducenti.
E’ vero che tutto oggi parla della felicità come di un bene di cui
fruire all'istante, su questa terra, piuttosto che di un valore da
perseguire nel futuro, in un'altra vita, avvolta nella più
nebbiosa incertezza. Tuttavia, nella parte più profonda del
nostro inconscio qualcosa di quei lontani insegnamenti è
rimasto; la golosità ha conservato una specie di connotato
negativo, è rimasta collegata ad un vago senso di colpa. Si ha
la sensazione che essere golosi sia, appunto, una colpa che,
in un modo o nell’altro, si deve espiare.
67
Quante volte una persona in sovrappeso vi avrà detto con un
sospiro: “eh sì, mi rendo conto che dovrei perdere un bel po’ di
chili ma sai…sono golosa, cosa ci posso fare?”
Come
se
indulgere
alla
golosità
configurasse
un
comportamento illecito dalle inevitabili conseguenze negative
e indesiderabili.
Ebbene, nulla di più sbagliato!
Responsabile del sovrappeso non è la golosità, bensì
l’inattitudine
a
gestirla,
l’incontinenza,
l’incapacità
di
controllarsi, né, d’altra parte, l’istinto sessuale, fonte di molti e
legittimi piaceri può essere considerato responsabile di uno
stupro, addebitabile invece alla incapacità dello stupratore di
controllarsi.
In sé la golosità è quanto di più bello, di più piacevole, di più
gratificante possa esistere nella vita.
Personalmente, non potrei neppure immaginare la mia vita
priva di frequenti concessioni alla gola.
68
Certo, è evidente che se il prezzo da pagare fosse quello di
trasformarmi in un omone Michelin, allora la faccenda non
potrebbe funzionare.
Ma il ruolo di PuoiAncheTu è proprio quello di coniugare gola
e forma fisica: PuoiAncheTu significa, in partica, massima
gioia per il cibo!
D’altronde, io sono convintissimo che per diventare e restare
magri sia indispensabile continuare a vivere da golosi.
Intendiamoci, non mi riferisco alla facoltà di concedersi alcune
ghiottonerie in giorni prestabiliti (alcune diete, per esempio,
prevedono un giorno di libertà alla settimana), intendo
l’autentica libertà di scegliersi anche più volte alla settimana, o
addirittura ogni giorno, se lo si desidera, gli alimenti che
maggiormente gratificano la nostra gola.
2 – la sazietà
Un capitolo a parte è rappresentato dal concetto di sazietà.
Mangiare secondo i proprio gusti e le proprie consolidate
69
abitudini soddisfacendo al meglio la golosità che alberga in
ciascun di noi è fondamentale per dimagrire stabilmente nel
tempo e, soprattutto, vivere una vita serena e senza stress.
Altrettanto importante è la flessibilità cioè la facoltà di scegliere
di volta in volta quanto, quando e cosa mangiare; di nuovo
nella profonda convinzione che il rispetto delle proprie
abitudini sia una delle chiavi di successo per una vittoria a
lungo termine.
Ma
PuoiAncheTu
mette
a
fuoco
un
altro
principio
fondamentale, trascurato da tutti i sistemi che si prefiggono la
perdita di peso nel tempo, men che meno dalle diete: la
sazietà, vale a dire l’assenza di appetito nel momento in cui ci
si alza da tavola. Solo se al termine del pasto, cioè, non si
prova più alcun appetito (ma proprio nessuno!) la tentazione di
altro cibo sarà ridimensionata. Anzi, a dirla tutta, adottando
PuoiAncheTu cesserà di manifestarsi.
Gli
studi
sulla
sazietà
fanno
dell’alimentazione
tuttavia
le
parte
diete
della
scienza
sfiorano
soltanto
l’argomento senza trattarlo con serietà, attente, invece, alle
70
valenze
caloriche
ed
alla
combinazione
dei
vari
cibi
all’esclusivo scopo di ottenere rapide perdite di peso.
Ciò accade soprattutto perché le diete in generale non hanno
alcuna reale necessità di tener conto del concetto di sazietà;
infatti nella fase del dimagrimento il soggetto vive una
condizione molto particolare, galvanizzato e reso euforico dal
successo che sta conseguendo, e si sente sazio anche se in
condizioni normali non lo sarebbe affatto.
Terminata la fase del dimagrimento e rientrati in quella della
normalità – che di solito coincide con l’aver raggiunto il peso
che ci si era prefissati – la sensazione di precoce sazietà
svanisce e si assiste al puntuale recupero di peso.
Dietologi
e
nutrizionisti
più
o
meno
dichiaratamente
considerano di loro competenza solo la prima fase - ma di
fatto questo è ciò che è impresso anche nell’immaginario
collettivo - quella della perdita di peso, raggiunta la quale
reputano d’avere esaurito il proprio compito.
71
Infatti, della successiva sconfitta, quando i chili vengono ripresi
con gli interessi, essi non si sentono responsabili ed al
contrario, la addebitano, alla mancanza di forza di volontà.
Invece un sistema che come PuoiAncheTu incentra il suo
successo sulla stabilità della perdita di peso nel lungo periodo
deve necessariamente focalizzare la propria attenzione sul
concetto di sazietà perché insieme agli altri pilastri del sistema
ne costituisce la chiave per un successo sicuro e duraturo.
Mi preme qui ricordare che esiste più di uno studio che mette
in relazione la sazietà con i sapori piccanti. La produzione di
capsaicina, la molecola che conferisce al peperoncino il
particolare sapore piccante sarebbe in grado di influenzare i
neuroni legati al rilascio di ormoni che influenzano il senso di
sazietà.
Per mia esperienza personale, anche se non esiste uno studio
ma inviterei a prendere in considerazione l’idea di realizzarne
uno, il senso di sazietà non solo è legato ad i sapori piccanti
ma anche a quelli genericamente saporiti.
72
Un qualsiasi piatto, cioè, se è insapore e non solletica in alcun
modo le papille gustative, oltre ad essere poco appetibile e di
sé piuttosto triste, è anche poco soddisfacente e sazia poco
rispetto ad una altro cibo gustoso e ricco di spezie a
prescindere che tra queste vi sia o meno il peperoncino.
Questa è la mia personale esperienza di anni, vi invito a
provare perché sono piuttosto sicuro che potrete confermare
quanto scritto sopra.
L’attenzione dei mass media, del pubblico, dei dietologi e dei
nutrizionisti è dunque, focalizzato sull’obiettivo della perdita di
peso anche per le notevoli ricadute economiche che ne
derivano agli operatori del settore. Alcuni medici si soffermano
invece sul concetto di alimentazione sana il che ha un minore
impatto mediatico ma un’assai maggiore utilità.
Sorprendentemente, invece, nessuno o quasi si è mai
occupato dei meccanismi che regolano la sazietà, la quale è
una condizione imprescindibile per mantenere nel tempo il
peso auspicato. A riprova di ciò osserviamo che solo un paio
73
di istituiti universitari nel mondo hanno effettuato studi di un
qualche rilievo sull’argomento.
3 – Libertà
“Libertà va cercando che è sì cara come sa chi per lei vita
rifiuta”
Con queste parole, nel primo canto del purgatorio, Virgilio si
rivolge a Catone Uticense per presentargli Dante.
Catone Uticense si era suicidato per sfuggire alla tirannide,
non sopportando l’idea di vivere privo di libertà.
Chi non ama in sommo grado la libertà, chi accetterebbe
senza ribellarsi di esserne privato?
La libertà è il bene più prezioso di cui l’uomo disponga e solo
quando se ne viene privati si capisce quanto essa sia
importante; spero che mi passiate questo preambolo forse un
po’ scherzosamente enfatizzato se riferito a PuoiAncheTu.
Ma è, però, verissimo che io non potrei facilmente accettare di
far ingabbiare la mia alimentazione quotidiana da prescrizioni
74
di
cibi
ben
determinati
quanto
a
tipologia,
quantità,
imposizione di orari, situazioni.
Per me è essenziale la libertà di poter scegliere cosa
mangiare seguendo l’impulso del momento, decidendo oggi
pietanze e cibi che proprio oggi, e non un altro giorno, mi va di
mangiare; la scelta potrebbe, infatti, cambiare radicalmente a
seconda che sia solo o in compagnia, di buono o di cattivo
umore, allegro o depresso, virtuoso o capriccioso, malinconico
o euforico.
E che dire poi del fatto semplicissimo che oggi ho più fame di
ieri e ho voglia di concedermi un pasto più ricco e domani,
chissà, meno di oggi?
Tutto ciò è precisamente quello che PuoiAncheTu vi permette
di fare lasciandovi completamente liberi di comportarvi come vi
pare.
75
4 – Le abitudini
Tempo fa ho letto un libro scritto da un gruppo di studiosi
inglesi che, coordinati da un professore universitario, erano
stati incaricati dal governo di studiare le cause dell’obesità in
una specifica categoria di persone: gli impiegati.
Lo studio era giunto alla conclusione che le persone magre
hanno abitudini diverse da quelle delle persone in sovrappeso
e che il problema dell'obesità sarebbe stato facilmente risolto
se queste ultime avessero adottato quelle delle prime.
Questo studio mi ha lasciato perplesso. Penso, infatti, che sia,
effettivamente, molto probabile che le abitudini dei magri
differiscano notevolmente da quelle degli extra-large, ma
ritengo altamente improbabile che quest’ultimi possano
modificare le proprie.
Alcune abitudini possono essere certamente modificate: non ci
sembra così difficile cambiare il bar dove facciamo colazione
76
al mattino (ma neppure così facile se siamo da anni amici del
barista, se vi incontriamo il rag. Rossi con cui siamo soliti fare
due chiacchiere, se siamo soliti mangiare il cornetto alla crema
che solo in quel bar fanno in quel modo, se sediamo sempre
allo stesso tavolo a leggere il solito giornale etc.), oppure
cambiare il posto dove appoggiare le chiavi della macchina, o
anche modificare il percorso della nostra passeggiata serale.
Ma se ci proponiamo di non essere più distratti, disordinati o
pigri
se
lo
siamo
sempre
stati,
allora
cambiare
è
assolutamente impossibile; o meglio, sarà possibile con
grande sforzo e solo per un periodo di tempo più o meno
lungo, ma raramente questo cambiamento è definitivo. Questa
è l’esperienza di tutti e, certamente, anche la vostra.
Noi siamo le nostre abitudini, così come siamo i nostri occhi, il
nostro volto, il nostro modo di essere o di pensare.
Esse sono radicate nel profondo della nostra stessa natura,
della nostra costituzione, della nostra storia, del nostro DNA.
Esse rappresentano, inoltre, un insieme di rassicuranti
certezze, punti di riferimento stabili senza i quali ci
77
sembrerebbe di vagare in una specie di terra di nessuno, privi
di identità.
Se trasferiamo questi concetti nel mondo delle abitudini
alimentari, allora scopriamo, per esempio, che esistono
persone le quali da sempre, a mezzogiorno, mangiano un
piatto di spaghetti al pomodoro, salvo rare eccezioni.
Sarebbe così facile per loro seguire a lungo la dieta a zona?
Cito, a tal proposito, un episodio tanto semplice quanto
illuminante. Un amico che, seguendo questa dieta, aveva
perso quattro chili recuperandoli prontamente una volta
abbandonato la stessa, richiesto del motivo dell’abbandono,
mi aveva detto con disarmante semplicità: “sai, a me piacciono
gli spaghetti…”
Mi sono sempre domandato perché la focaccia alla genovese,
molto gradita a tutti i turisti che transitano per la Liguria, non
venga esportata in altre regioni. E’ così facile da fare! Farina,
sale, olio e un’abile cottura, eppure… solo e unicamente
questione di abitudine; quegli stessi turisti che tanto la
apprezzano in Liguria, tornati a casa loro non la cercherebbero
78
né la comprerebbero perché non corrispondente alle loro
abitudini.
E l’esempio della focaccia vale per mille altri piatti ragionali,
eccellenti, saporitissimi, facili da preparare ma difficilmente
esportabili al di fuori delle regioni in cui sono nati poiché si
scontrerebbero con abitudini alimentari diverse.
Se io sono abituato agli spaghetti al pomodoro, per tornare
all’esempio di prima, la loro immagine è stampata nel mio
cuore, nel mio cervello, nella mia memoria, nella mia storia.
Come potrei farne a meno? E se per un po’ ci riuscissi, non mi
mancherebbe forse qualcosa, qualcosa, intendo, di molto
importante, più importante di quanto si potrebbe pensare?
Che dire, poi, di chi gioca a carte per anni nello stesso bar,
con gli stessi amici, allo stesso tavolo? O di chi trascorre le
proprie vacanze nella stessa località, stessa pensione e
persino stessa stanza?
O di chi legge immancabilmente lo stesso giornale o lo stesso
periodico, anzi addirittura vi si abbona?
79
Se a tutto questo rinunciassero, la loro vita non sarebbe forse
assai meno felice?
Aggiungiamo una osservazione in un certo senso curiosa.
Esistono comportamenti alimentari che non hanno la minima
controindicazione, anzi! Se adottati migliorerebbero la nostra
vita, ma non li facciamo nostri semplicemente perché non
rientrano nelle nostre abitudini e quindi non ce ne ricordiamo.
Il difficile, paradossalmente, non è adottarli ma ricordarci di
adottarli.
Ebbene, PuoiAncheTu tiene scrupolosamente conto di tutto
ciò e vi suggerisce, ma che dico, vi impone di rispettare le
vostre abitudini, di non bistrattarle mai!
E' bene sapere che PuoiAncheTu non vi spingerà a
perseverare nelle vostre abitudini alimentari qualora fossero
particolarmente insalubri (chili di fritti, di maionese, intingoli
vari etc...); vi aiuterà, invece, ad abbandonare senza alcun
sforzo una dieta così dannosa insegnandovi ad evitare gli
eccessi ed a cogliere l'aspetto più gratificante del cibo.
80
Se poi qualcuno ha delle abitudini alimentari di tipo patologico
o comunque se soffre di qualche malattia come diabete,
celiachia a o ha problemi con la tiroide (per citarne solo alcuni
a titolo d’esempio) è bene tenere presente che PuoiAncheTu
non interviene in alcun modo essendo questo l'ambito
specifico della medicina. Non solo, PuoiAncheTu in questi casi
non garantisce alcune successo e se desiderate comunque
provare questo fantastico metodo perché vi ha convinto è
bene che contestualmente vi facciate assistere dal vostro
medico di fiducia.
81
I RISULTATI OTTENUTI
PuoiAncheTu è un metodo che, come sapete, ho elaborato
durante
cinque
anni
di
analisi
psicologiche,
attente
introspezioni messe a punto e ripensamenti e, soprattutto, una
costante auto-sperimentazione.
La sua diffusione al pubblico, realizzata mediante dei corsi
individuali e collettivi è relativamente recente.
Se, però, il buon giorno si vede dal mattino allora bisogna
prevedere un futuro davvero radioso per PuoiAncheTu; il
successo per coloro che lo hanno adottato, infatti, è al di sopra
anche delle più rosee aspettative.
La perdita del peso che pure si è registrata non è,
paradossalmente, l’aspetto maggiormente apprezzato.
Ben di più lo sono il deciso miglioramento dell’umore e la
soddisfazione personale se non addirittura la gioia di poter
comunicare li peso perduto a fronte della golosità preservata,
oltre a tutto rispettando le proprie amate abitudini alimentari
spesso demonizzate dalle diete.
82
Grande importanza ha, infine, l’assoluta libertà di scegliere di
volta in volta, secondo circostanze, umori, pulsioni non solo
cosa mangiare ma anche quanto mangiare.
Uno degli aspetti più divertenti e, se vogliamo, anche più
piacevoli sono la curiosità e l’incredulità che i seguaci di
PuoiAncheTu suscitano negli altri.
M.R insegnante di bridge ed autentica fan di PuoiAncheTu, da
tempo dimagrita ed in eccellente forma fisica, raccontava che,
trovandosi a cena con gli amici, nessuno di loro si capacitasse
del fatto che lei, pur mangiando apparentemente senza alcun
limite fosse comunque così magra! Il loro stupore, la loro
curiosità e, certamente anche un pizzico di invidia, la
divertivano e la gratificavano molto.
A.A. un’ex insegnante, ora in pensione, dichiarava, con una
vena di compiacimento, di provare la strana sensazione di
appartenere ad una setta misteriosa custode di segreti
inaccessibili ai profani. Le spiegazioni di come funziona
PuoiAncheTu, che cercava diligentemente di fornire (dopo
tutto era stata un’insegnante!), per quanto chiare, non
83
venivano affatto comprese dagli interlocutori tanto apparivano
in contrasto con quanto è comunemente noto in tema di
riduzione del peso; del resto le diete dimagranti l’unico termine
di paragone che essi erano in grado di concepire.
A.A.
chiariva
più
volte,
ma
sempre
inutilmente,
che
PuoiAncheTu, non è una dieta ma uno stile di vita; la
spiegazione restava, tuttavia, come avvolta in un’aura di
incredulità e di mistero.
Un
aspetto
che
generalmente
colpisce
è
l’evidente
miglioramento di umore in chi pratica PuoiAncheTu; il grande
senso di leggerezza, euforia e gratificazione; le stesse
sensazioni
che
provano
coloro
che
hanno
successo
nell’affrontare le sfide della vita, siano esse di tipo sportivo,
lavorativo o di altra natura.
Nel caso di PuoiAncheTu il miglioramento dell’umore è persino
più intenso, probabilmente perché questo metodo coinvolge
l’intero modo di vivere non limitandosi alla sola alimentazione
come accade per le diete.
84
Un apprezzamento particolarmente significativo ha ricevuto,
invece, PuoiAncheTu dai medici di una clinica romana
specializzata nella cura di persone affette da diabete. Si tratta
di un caso davvero interessante.
S.B., agente di commercio trevigiano, affetto da diabete da
svariati anni aveva prenotato in questa clinica un soggiorno di
due mesi; nell'attesa aveva sperimentato PuoiAncheTu ed
aveva perso venti chili
Il medico che lo prese in cura si complimentò per i chili persi
ed i valori ematici migliorati, e confermò che essendosi trovato
così bene poteva senz’altro proseguire con quel modello di
vita, salvo, naturalmente, sostituire alcuni cibi con altri più
adatti alla sua patologia.
“Nessun problema a questo riguardo”, commentò, S.B.,
“poiché PuoiAncheTu lascia assoluta libertà nella scelta dei
cibi”.
85
ALCUNI FONDAMENTALI CONSIGLI
1- Buon umore e ottimismo
Tempo fa fui colpito da una notizia veramente sbalorditiva
apparsa sulla stampa.
Una donna colpita da un male incurabile, aveva abbandonato
il lavoro e iniziato a trascorrere le giornate guardando film
comici.
Dopo qualche tempo era guarita e la guarigione era stata
confermata dalle analisi mediche!
Trascorsi alcuni anni si era nuovamente ammalata e la
terapia(!?)
del
riso
aveva
nuovamente
funzionato
riconsegnando la donna alla sua vita normale.
Non
conoscevo
l’opinione
della
scienza
su
questo
straordinario fenomeno, e non sapevo neppure se una
opinione esistesse, ma ciò che risultava evidente era quanto
benefici fossero, per la psiche, allegria e buon umore.
Dal momento in cui lessi questa notizia, iniziai a privilegiare i
film comici rispetto agli altri; intendiamoci, non che essi
86
riempissero le mie giornate, ma se dovevo scegliere una
videocassetta o un film alla televisione o al cinema privilegiavo
quelli comici.
Ebbene, forse non ci crederete, ma la mia vita cambiò
notevolmente perché mi sentivo più allegro, più ottimista, più
rilassato, perfino più socievole e meglio disposto verso gli altri,
come se quegli spettacoli mi avessero dato una iniezione di
“positività”!
Sono venuto recentemente a sapere che un medico indiano,
colpito dalla stessa notizia che aveva colpito anche me, ha
creato dei circoli in cui si pratica, con certe metodiche, la
terapia della risata.
Ho letto su un opuscolo che illustra l’attività di questi circoli
quanti comprovati benefici procura il riso alla psiche.
Quindi provate ad imporvi di essere ottimisti, di pensare
positivo, di focalizzare la vostra attenzione sulle cose che
vanno bene, su quelle che andranno bene o su quelle che
sono andate bene.
87
Ripetete il più spesso possibile questo esercizio e lentamente
il vostro umore cambierà.
2- Appassionatamente
Il secondo consiglio che vi do è quello di vivere più
appassionatamente. Cosa significa esattamente?
Significa avere un hobby o un interesse, se già non, lo avete,
appassionante,
intelligente,
coinvolgente;
significa
poter
contare su un angolo della vita veramente e totalmente vostro,
un rifugio dove ritirarsi quando ne avete voglia o tempo o ne
sentite la necessità.
Migliorare, progredire, approfondire ciò che piace o che
realmente interessa è un arricchimento della vita straordinario
e, peraltro, non difficile da conquistare.
88
3- Rapporti sociali
Litigi, sgarbi, offese lasciano sempre uno strascico che vi
portate dentro per ore, per giorni e perfino per anni.
E’ così difficile evitarli, non cedere all’impulso, “passarci
sopra”?
Non è preferibile la gentilezza, il sorriso, il comportarvi
amichevolmente?
4- Altruismo
Sociologi, psicologi, filosofi si sono occupati di un particolare
aspetto relativo alla trasformazione della nostra società.
Questa trasformazione in atto da alcuni decenni ha prodotto,
negli individui, una sempre maggiore paura della morte e delle
malattie, una sensibilità più acuta per supposti o reali pericoli
incombenti che minacciano, in qualche modo, la nostra
esistenza, e infine, una diffusa ansia per il proprio futuro.
Se si volge lo sguardo ai secoli passati, si osserva facilmente
quanto il concetto di pericolo fosse diverso. Persino
89
l’eventualità di una morte prematura veniva affrontata
impavidamente.,
a
viso
aperto
se
non,
addirittura,
volontariamente ricercata.
La causa di questa profonda trasformazione va individuata
nella perdita di tutti quei valori, che, per secoli, avevano
costituito il tessuto psicologico connettivo degli individui e
dell’intera società.
Religione, patria, onore, amore erano ideali molto spesso più
importanti della vita stessa e in grado di minimizzare ansie e
timori che, allora, avrebbero avuto motivi ben maggiori di oggi
di essere percepiti.
La diffusione a macchia d’olio del volontariato deriva dal
desiderio di trovare, in una attività di aiuto e sostegno
disinteressati verso il prossimo, qualcosa che riempia il vuoto
lasciato dalla perdita di quei valori del passato.
E’ interessante notare che, fino a poco tempo fa la capacità di
adattamento all’ambiente degli individui in competizione gli uni
con gli altri era considerata l’unico motore della evoluzione
umana. (Darwin)
90
Sempre Darwin, inoltre, scoprì che un requisito fondamentale
per l’evoluzione umana è stato ed è l’altruismo. Recenti studi
non hanno fatto che confermare quest’ipotesi asserendo, in
pratica, che la cooperazione disinteressata tra individui è
totalmente sconosciuta a qualsiasi altra specie (primati
esclusi), e si sviluppa nell’uomo, si è osservato, fin dalla più
tenera età.
L’agire in favore degli altri, senza aspettarsene un vantaggio
personale, è un requisito che si riscontra unicamente nella
specie umana e sembra che ne abbia favorito, in modo
determinante, l’evoluzione.
Qualche esempio di gesti da buon samaritano, se vogliamo
definirli, un po’ scherzosamente, in tal modo?
Fare visita ad un infermo, o ad un anziano solo, confortare una
persona in difficoltà, riappacificarsi con una persona con cui
siamo in cattivi rapporti, riallacciare una vecchia amicizia,
regalare un oggetto o anche solo un fiore ad una persona
cara, dare qualche moneta ad un mendicante, fare un offerta a
Telethon, etc.
91
Si tratta, naturalmente, solo di una esemplificazione e starà,
eventualmente, a voi individuare gli altri mille modi con cui si
può aiutare il prossimo.
La conseguenza più sorprendente di simili comportamenti è
che non è chiaro se ne è più contento colui che li tieni o coloro
a cui sono destinati.
5- Allenamento della mente
Se ci fate caso buona parte delle proposte commerciali che
invadono gli spazi pubblicitari sono all’insegna del “fare meno
fatica”.
Come mai chi mette a punto un nuovo prodotto che consente
di raggiungere gli stessi risultati di quelli già in commercio ma
con minore fatica, è sicuro di avere successo?
Semplicemente perché l’uomo è tendenzialmente pigro in
quanto condizionato da un istinto di conservazione che
vorrebbe limitare la dispersione di preziose energie al di fuori
delle attività necessarie alla sopravvivenza o alla riproduzione.
92
Intendiamoci, questa tendenza è contrastata in mille modi, ma
quando si può e non vi è motivo di agire altrimenti, la fatica si
evita.
Quando si tratta di attività mentale vi è però un ottimo motivo
per agire diversamente.
E’ risaputo e scientificamente dimostrato che chi usa il cervello
vive meglio e più a lungo ed è molto meno soggetto a malattie
degenerative come l’Alzheimer.
E siccome è molto più facile allenare la mente con giochi
difficili ma divertenti che in altro modo, vi suggerisco sudoku
sempre più difficili, quiz di intelligenza, etc.
Cosa c’entrano questi cinque suggerimenti con PuoiAncheTu?
Domanderà certamente qualcuno. La risposta è che c’entrano
più di quanto voi non pensiate. Tutti questi atteggiamenti
interagiscono inevitabilmente con PuoiAncheTu e si vengono
ad aggiungere agli altri aspetti positivi che già sono diretta
conseguenza di PuoiAncheTu tra cui l’autostima, l’orgoglio per
93
“avercela fatta”, il senso di leggerezza; in questo contesto
sarete certamente più felici di prima.
Vi consiglio, tuttavia, di prendere in considerazione questi
suggerimenti solo dopo aver “digerito” PuoiAncheTu; non è
per nulla consigliabile affollare la vita simultaneamente di
troppi nuovi comportamenti, il rischio di generare una inutile
frustrazione e per di più, di non soddisfare le vostre
aspettative.
Tuttavia il semplice e fermo proposito di seguire uno o più dei
consigli appena illustrati in un futuro anche non troppo
ravvicinato, è un ottimo espediente per aggiungere un quid
assai significativo alla vostra vita
94
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