Geografia delle scoperte nei fondi antichi della Biblioteca comunale “Renato Fucini” di Empoli
Cominciamo dal libro antico
Storia del libro a stampa
I supporti della scrittura
Le testimonianze fanno risalire a circa 3000 anni prima di Cristo l'esigenza dell'uomo di trasmettere il proprio
pensiero in maniera duratura. I primi segni grafici furono tracciati in epoca primitiva sulle pareti delle caverne
e sulle pietre. Gli antichi popoli del Mediterraneo usavano per la scrittura tavolette d'argilla che venivano
cotte dopo essere state incise. I greci e i latini usarono le tavolette di legno che potevano essere imbiancate
o cerate e sulle quali si scriveva a sgraffio. Su quelle cerate la scrittura poteva essere cancellata e le
tavolette potevano essere utilizzate di nuovo. Le tavolette cerate furono usate per molto tempo. Esse
venivano unite insieme a formare il codice detto dittico o trittico a seconda se era formato da due o tre
tavolette.
Le materie scrittorie più usate furono il papiro e la pergamena. Il papiro è tra i materiali vegetali quello più
idoneo a ricevere la scrittura. In Egitto dallo stelo del papiro si ricavavano strisce sottili che erano disposte
una accanto all'altra e essiccate al sole. I fogli ottenuti erano arrotolati intorno a un bastoncino di legno o
avorio detto umbiculus che aveva pomelli sporgenti e formavano il volumen. Il papiro fu usato dagli Egizi
fin dal III millennio a. C. e fu sostituito dalla pergamena.
Utilizzata nel Medioevo la pergamena è prodotta con la conciatura di pelli di animali (agnello, pecora e
capra), le quali venivano macerate nella calce, raschiate e fatte seccare. Ben levigate con pietra pomice
potevano essere usate su entrambe le facce. Alla pergamena veniva data la forma di codice (come il nostro
libro). I testi sulla pergamena erano copiati a mano sullo scriptorium. I monasteri e le istituzioni
ecclesiastiche che detenevano il monopolio della cultura si occuparono della compilazione e la copiatura dei
libri. Furono così trascritte e tramandate Bibbie, scritti dei padri della Chiesa, opere di matematica, di
medicina e astronomia.
I testi antichi manoscritti divennero un prodotto molto richiesto sia dai principi laici che dal clero.
La carta
Il problema di raffigurare su più esemplari gli stessi segni o le stesse immagini fu affrontato con l'uso delle
tavole in legno inchiostrate per stampare testi e disegni incisi. Questa tecnica che anticipò l'invenzione della
stampa fu favorita dall'introduzione della carta. La carta fu scoperta dai cinesi all'inizio del II secolo d.C.
Furono gli Arabi che nell'anno 751 la diffusero nelle regioni del Medio Oriente e da lì in Marocco, in Spagna
e nel XII secolo in Italia. Prima in Sicilia poi a Genova e a Venezia. La prima cartiera italiana è quella di
Fabriano nel 1276. I cartai italiani diventarono presto molto famosi e inventarono la filigrana come marchio
distintivo di fabbrica. La materia prima della carta erano gli stracci.
La coltivazione della canapa e del lino e la sostituzione della tela alla lana aumentò l'uso degli stracci che
venivano sminuzzati e lasciati macerare in acqua saponata dosata, in modo da ottenere un impasto denso.
La pasta veniva successivamente stesa su un telaio con fili metallici (filoni e vergelle) con disegnata al
centro la filigrana. Le forme erano lasciate ad asciugare separate da dei feltri che assorbivano l'acqua
residua e poi stese su degli stenditoi. I fogli venivano ricoperti da colla animale perché non assorbissero, una
volta asciugati, l'inchiostro e venivano lisciati con una selce. In Italia le cartiere si diffusero soprattutto in
Liguria e a Venezia. Con la diffusione e la produzione dei libri a stampa, la carta era sempre più richiesta e
gli stracci non bastavano a soddisfare il mercato. Già nel 1700 si cominciò a produrre la carta dal legno. La
carta ricavata dalla paglia, dalle ortiche e dai mughetti tenta di rimpiazzare quella ottenuta con gli stracci. Nel
XIX secolo la carta è costituita dalla cellulosa, una componente del legno. Oggi i tronchi d'albero sono
triturati e ridotti in poltiglia e lavorati da macchine che fabbricano la carta.
La stampa
La stampa, cioè la riproduzione di un testo o figura eseguita con mezzi meccanici si affermò in Europa verso
la metà del XV secolo.
Nel 1440 Johann Gutenberg, un orafo di Magonza, con la stessa tecnica usata per incidere i metalli, inventò
la stampa a caratteri mobili. I caratteri combinati tra loro formavano le parole, le frasi e le pagine intere.
Gutenberg adatta alla sua invenzione il torchio da vino. Stringendo una vite con una barra di legno una
tavola scendeva comprimendo il foglio di carta contro i caratteri. Per ottenere il formato desiderato per il
libro, il foglio di forma ottenuto era piegato più volte: per il formato in folio, usato generalmente per i libri di
studio il foglio era piegato una sola volta ed aveva quattro pagine stampate, per il formato in quarto (4°),
due volte e otto pagine stampate, per il formato in ottavo (8°) tre volte e sedici pagine stampate fino a quelli
più piccoli in 12°, 16°, 32° e così via.
Il carattere
I primi libri a stampa, ancora per molti anni, mantennero l'impostazione caratteristica del testo a due colonne,
sul modello degli antichi codici manoscritti. Anche il disegno del carattere e l'impostazione del testo sul foglio
doveva essere molto simile a quello usato dagli amanuensi. All'inizio del testo veniva lasciato lo spazio per
poter incidere o decorare il capolettera.
Le lettere da stampare erano fatte a mano e i primi stampatori cercavano di ottenere, più che la chiarezza e
leggibilità, la regolarità delle singole lettere. Verso il 1480 si cominciò ad apprezzare la superiorità dei libri
stampati. Le lettere erano conservate dagli stampatori nelle casse che contenevano i caratteri tipografici
divisi per lettera dell'alfabeto. I caratteri vengono allineati lungo il compositoio in modo da formare la riga da
stampare. I segni contenuti nelle casse dei compositori diminuirono: dai 300 posseduti da Gutenberg agli 80
usati dai tipografi alla fine del 1500.
Dopo circa cinquant'anni dalla morte di Gutenberg, avvenuta nel 1468 i principali tipi di carattere erano la
littera antiqua tonda o corsiva e quella gotica. In Italia si diffuse maggiormente l'uso della littera antiqua
grazie a Aldo Manuzio che nel 1501 per i suoi libri "tascabili" adottò un carattere, disegnato da un incisore e
tipografo bolognese Francesco Griffo, che fu denominato corsivo o italico. Questo tipo di carattere ebbe
molto successo e fu presto imitato da numerosi stampatori sia in Italia che all'estero. Solo la Germania
continuò ad adottare, dopo la morte di Aldo Manuzio, il carattere gotico.
Il predominio nei paesi tedeschi e in quelli scandinavi della lettera gotica era dovuto all'influenza degli scritti
di argomento teologico piuttosto che umanistico sostenuti dagli insegnamenti tomistici all'università di
Colonia e di teologia luterana a quella di Wittemberg, due città che erano anche centri attivi della stampa.
Il fascicolo
Il foglio ottenuto dalla lavorazione della carta veniva impresso dallo stampatore non pagina per pagina ma su
grandi fogli che venivano poi piegati in modo da formare un fascicolo con un certo numero di pagine "foglio
di forma": ogni foglio era segnato sulla prima pagina con una lettera così che tutti i fogli erano ordinati in
ordine alfabetico.
L'alfabeto era composto da 23 segni posti sempre nello stesso ordine. Ogni carta della prima metà del
fascicolo riportava sul recto la segnatura corrispondente. La collocazione esatta delle pagine all'interno del
fascicolo era determinata da un'operazione chiamata imposizione, mentre l'ordine dei fascicoli e dei fogli
all'interno di ciascun fascicolo dal sistema della segnatura. Il riepilogo delle segnature era riportato alla fine
del testo, nel registro, e permetteva al legatore di rilegare correttamente il libro una volta stampato.
Altro elemento caratteristico nella struttura del libro antico è il richiamo. Apparso in Italia e Francia nella
metà dell'XI secolo consisteva nello scrivere alla fine di ogni pagina le prime sillabe della successiva per
facilitare lo stampatore nell'imposizione, dato che le pagine non erano sempre numerate.
Il frontespizio
Il frontespizio è la prima pagina di un libro che contiene gli elementi identificativi dell'opera: autore, titolo,
casa editrice. Nei libri antichi manoscritti il frontespizio manca e il titolo è generalmente scritto nell'incipit,
cioè la prima o le prime parole del testo. Alla fine del Quattrocento quasi tutti i libri hanno un frontespizio che
però non ha ancora l'aspetto attuale.
All'inizio del XVI secolo ne troviamo, infatti, alcuni incompleti se si confrontano con i libri moderni. Molto
spesso le indicazioni riguardanti l'edizione si ritrovano nel colophon, una sottoscrizione alla fine del testo
che riporta il nome dello stampatore, la data e il luogo di stampa.
Il frontespizio si afferma come elemento essenziale del libro solo nel 1500, o meglio fu Erhard Ratdolt,
tedesco trapiantato a Venezia, che nel 1476 pubblicò il primo libro con un frontespizio. Nel corso del 1500 fu
usato da tutti i tipografi e subì molti cambiamenti. La sua fortuna è da attribuire ad una serie di fattori: la
crescente affermazione di individuare la paternità del libro, la funzione pubblicitaria affidatagli da editori e
tipografi ma anche la necessità di distinguere, in un periodo di aumento della produzione, un libro dall'altro.
Inizialmente molto ridotto, il titolo, nel corso del XVI secolo, si allunga oltre misura: gli editori con la
preoccupazione di riempire tutta la pagina vi aggiungono anche le indicazioni sul contenuto dell'opera, le
dediche a principi e molto spesso anche gli indirizzi delle tipografie.
Nella seconda metà del 1500 la preoccupazione dei tipografi è quella di decorare il frontespizio. Si diffonde
la moda delle cornici incise affidate ad artisti incisori veri e propri. Le cornici sono molto varie: spesso sono
molto semplici e racchiudono una iscrizione che riempie la pagina oppure sono intorno a poche parole e
sono molto decorative.
I motivi sono anch'essi vari: stele con cornici di differenti forme e ornamentazione, portali affiancati da
colonne e statue, cornici istoriate. Alla fine del XVI secolo il frontespizio è sempre più di frequente inciso e
appaiono sempre più iniziali ornate e istoriate. Anche il ritratto dell'autore diventa insieme alla marca
tipografica un elemento decorativo del frontespizio.
La marca tipografica
Tipica dei libri stampati nel 1500 l'insegna tipografica incisa, oltre ad essere un decoro ornamentale, ha
anche un valore funzionale di salvaguardia dalle contraffazioni. Si presenta come una raffigurazione
simbolica accompagnata alla maniera di un'impresa araldica e da un motto. In origine era un "marchio di
fabbrica" come quello di tante altre imprese ed era posta di solito nell'ultima pagina bianca del libro. All'inizio
del XV secolo passò dalla fine del volume anche, o soltanto, sul frontespizio. Essa diventa trascrizione
figurata del cognome del tipografo: il grifone per Giovanni Griffio e per i francesi Gryphius, un guerriero che
cavalca un lupo per i Cavalcalupo, il drago per Vincenzo Busdraghi oppure rappresentazione con significato
allegorico come la fenice dei Giolito che rappresenta immortalità, la cometa della stamperia di Francesco e
Giordano Ziletti che rappresenta "chiarezza di fama, virtù e potenza eterna".
Le insegne tipografiche talvolta raffigurano il simbolo della città in cui le imprese lavorano: il giglio di Firenze,
ad esempio, adottato per concessione di Luigi XI dai fiorentini come stemma della loro città, è da sempre la
celebre marca dei Giunta.
Anche gli stemmi araldici di alcune famiglie nobili sono usati come marche tipografiche: lo stemma mediceo
usato da Lorenzo Torrentino che fu stampatore ducale e lo stemma dei Farnese di Set e Erasmo Viotti che
furono anch'essi stampatori ducali a Parma.
La più famosa marca tipografica del mondo è quella di Aldo Manuzio e dei suoi successori che comparve
per la prima volta nel 1502 in un'edizione di poeti cristiani antichi. Della marca, raffigurante l'ancora con un
delfino esistono varie versioni riconducibili all'ancora secca e a quella grassa. La secca, ottenuta con il solo
contorno, è propria dei tempi di Aldo. La seconda rappresentata in modo plastico come arrotondata è stata
usata dagli eredi. I simboli usati nell'insegna, il delfino e l'ancora rappresentano rispettivamente la celerità
della intuizione insieme alla ponderatezza nel lavoro.
La legatura
Le caratteristiche tipologiche del libro antico non derivano solo dal processo produttivo legato alla tipografia
ma anche e soprattutto dalla storia vissuta dai libri. La maggior parte delle legature dei libri antichi sono il
risultato del suo consumo piuttosto che della sua produzione. Sono molto importanti per ricostruire la storia
del singolo libro antico in rapporto a quella di altri con cui ha condiviso le stesse vicende. Le legature di
ciascun fondo librario sono caratterizzate da particolari elementi che spesso permettono di stabilire
l'appartenenza del libro ad una determinata famiglia, biblioteca o istituzione.
Le legature dei libri antichi sono molto resistenti e di qualità superiore alle legature moderne. I primi libri sono
legati da artigiani che ricoprono il dorso e i piatti, fatti di solidi e massicci assi di legno, con stoffe preziose
soprattutto quando si tratta di libri di lusso che appartengono a personaggi illustri. In altri casi i libri sono
rivestiti con le pelli di animale: marocchino o pergamena.
I piatti sono decorati con fregi raffiguranti motivi floreali, stemmi di casate che sono impressi a secco o in oro
con piccoli ferri e ripetuti più volte. Le legature più antiche presentano sui piatti fermagli metallici e borchie
per proteggere la legatura stessa e molto spesso sono eseguite dai frati nei conventi in cui il libro veniva
usato. Il titolo dell'opera può anche essere scritto sui tagli perché i libri erano conservati orizzontalmente uno
sull'altro.
La produzione delle opere classiche in formati economici, ideata da Aldo Manuzio, influenza anche l'aspetto
fisico del libro: anche le legature diventano più semplici e meno pregiate. Agli assi di legno si sostituiscono
quelli in cartone ricoperti o da pelle, pergamena o da carta decorata. I libri stampati non erano legati
dall'editore ma i fascicoli che venivano venduti sciolti erano ricoperti successivamente e secondo il gusto
dell'acquirente. I fascicoli venivano cuciti con un filo che veniva fermato sul capitello, quasi sempre di due
colori ed era anch'esso un elemento decorativo dell'esemplare. I tagli erano spesso decorati con uno o più
colori e nei libri più preziosi erano in oro. Il titolo dell'opera e il nome dell'autore erano scritti a mano sul
dorso oppure impressi a inchiostro o in oro su una etichetta applicata successivamente sul dorso.
Come è nata la Biblioteca comunale:
La storia della biblioteca di Empoli prende avvio nei primi anni dell'Ottocento, quando Monsignor Giovanni
Marchetti (empolese diventato vescovo di Ancira, l'attuale Ankara) operò il lascito della sua preziosa libreria
per consentirne l'uso pubblico.
Dopo una prima fase in cui non fu chiaro di chi fosse la proprietà e la responsabilità della gestione delle
collezioni, tra la Comunità e il Capitolo, il fondo librario fu acquistato a cura del proposto di Empoli, Bonistalli,
dagli eredi Marchetti e donato alla Comunità, con la clausola di garantirne l'uso pubblico e di mantenere a
cura della autorità ecclesiastica il diritto di nominare il bibliotecario.
Il 15 marzo 1833 è la data ufficiale della nascita della biblioteca comunale, che venne annessa formalmente
alle pubbliche scuole, istituite nel 1820. L'anno successivo, dopo la ristrutturazione dei locali, la biblioteca
divenne effettivamente pubblica.
Alla morte del proposto Bonistalli, il Comune stabilì che la nomina del bibliotecario avvenisse per pubblico
concorso, aperto ai cittadini con la Fede di specchietto, in grado di leggere e scrivere e provvisti di tutte le
garanzie morali e civili.
Il concorso venne bandito nel 1852, segnando il definitivo distacco dalla chiesa: da allora il bibliotecario
divenne un impiegato comunale a tutti gli effetti, con le funzioni di segretario delle scuole.
Accanto alla figura del bibliotecario, c'era anche la figura del bibliotecario-onorario (carica assegnata a
insegnanti delle pubbliche scuole o a personalità del mondo della cultura empolese, ma senza compenso).
Il comune da allora stanziò fondi specifici per gli acquisti librari, fornendo alla biblioteca crescente autonomia
rispetto alla scuola.
Sempre nel 1852 l'Ufficio Tecnico Comunale realizzò il progetto per l'illuminazione della biblioteca, in modo
tale da poterla aprire anche di pomeriggio.
Nel corso degli anni la biblioteca ha contato sulla crescita del proprio patrimonio documentario a partire da
una intensa stratificazione di donazioni.
Tra i fondi librari più cospicui, si segnalano:
il lascito Marchetti (di circa 4000 volumi)
il fondo dei Frati Minori Osservanti
il fondo dei Padri Cappuccini
il Fondo Tassinari (di circa 12.000 volumi e più di 2500 opuscoli)
il Fondo Salvagnoli Marchetti
il Fondo Ridolfi,
che vanno attualmente a costituire, accanto ad altri fondi minori, quello che attualmente viene chiamato il
Fondo antico della biblioteca.
I libri antichi della Biblioteca comunale.
Come la maggior parte dei libri antichi sia giunta in biblioteca per donazione (legato Tassinari).
Giuseppe Tassinari
Giuseppe Tassinari nacque a Firenze il 3 settembre 1802. Trascorse la sua infanzia nei seminari, prima a
Prato poi a Firenze dove viene educato allo studio delle lettere e ad amare la poesia. A diciotto anni si
iscrive alla sezione giuridica dell'università di Siena anche se era profondamente attratto dalla letteratura:
Foscolo, Shelley, Byron influenzarono notevolmente la sua giovinezza. Si trasferì all'università di Pisa e si
laureò nel 1824. Viaggiò molto in Italia. Tornato in Toscana si ritirò nella villa di Poggio Ubertini e si dedicò
allo studio scientifico e pratico della scienza agricola allo stesso modo di altri studiosi toscani, Cosimo Ridolfi
e Antonio Salvagnoli Marchetti.
I LIBRI DI TASSINARI
Il fondo Tassinari è costituito da 9001 opere ripartite in 11.779 volumi e 1633 opuscoli e si caratterizza per
una eterogeneità di composizione. Il suo amore per gli studi umanistici è testimoniato dalla numerosa
presenza di opere di autori classici greci, latini, italiani e stranieri. Il suo amore per i viaggi è documentato dai
libri di viaggio dell'Ottocento e da numerosi atlanti. La ricchezza e varietà di questo fondo librario
rispecchiano le sue tendenze bibliofile documentata da numerosi repertori bibliografici e dizionari setteottocenteschi e da pregevoli annali tipografici di Aldo Manuzio (Firenze, Molini, 1873) agli Annali della
Tipografia di Lorenzo Torrentino (Firenze, presso Niccolò Carli, 1809) e quello della tipografia Volpi
Cominiana (Padova 1809).
Il fondo è conservato in una sala della Biblioteca così come furono le sue volontà lasciate nel testamento: "in
una monumentale scaffalatura lignea". Al fondo Tassinari appartengono anche le opere di altri studiosi:
Giuseppe Montani che a causa di dissesti finanziari dovette vendere la sua biblioteca composta di duecento
libri allo stesso Tassinari e Antonio Pagni, prelato fiorentino.
IL MONDO E I VIAGGI
Il mondo come è fatto
Questa è una mappa della terra così come oggi la conosciamo.
Il mondo come era visto
Qui di seguito sono riportate delle mappe del mondo, i Planisferi, disegnate sa partire dal 14. secolo
sino alla scoperta delle Americhe.
Sfera di G.Dati ( sec.XV)
Richard of Haldingham
Hereford Mappa Mundi
XIV secolo
Enrico Martello Planisfero XV secolo
Anonimo - Inizio XVI secolo
Carta da Navigar per le isole novamente trovate in la India,
detta Carta Cantino
Abraham Ortelius
Americae Sive Novi Orbis Nova Descriptio
XVI secolo
Come viaggiamo adesso
Oggi siamo abituati ad usare delle macchine (automobili, treni, navi a
motore, aerei, biciclette) per viaggiare.
Questi mezzi di trasporto fanno si che gli uomini possano spostarsi in
pochissimo tempo da una parte all’altra della terra.
Qualcuno a detto che il mondo contemporaneo è diventato più piccolo.
Come viaggiavano nel passato
Le macchine che ci permettono di viaggiare rapidamente sono state inventate a partire dalla fine del
1700.
In precedenza i viaggi erano fatti a piedi o con mezzi o veicoli molto lenti.
1) Le scoperte geografiche
CRONOLOGIA
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1340 scoperta delle Canarie
1431 scoperta delle Azzorre
1434 Gil Eanes doppia il capo di Bojador : si supera il capo delle Sabbie
1479 C. Colombo si stabilisce in Portogallo e comincia a progettare il raggiungimento dell' Oriente
navigando verso Occidente
1485 Diego Cao arriva fino a capo Cross
1487 il primo grande viaggio è quello di B.Diaz che circumnaviga l' Africa, doppiando il capo di
Buona Speranza
3/ VIII/ 1492 Colombo parte da Palos con tre caravelle
12/ X/ 1492 Colombo scopre San Salvador- Cuba- Haiti
1493 Colombo riparte con 17 navi per esplorare le Antille
1497/ 1498 Vasco De Gama traversando l'Oceano Indiano fino a Calicut
1498 Colombo parte per la terza volta verso l'America
1500/ 1502 Cabral tocca le coste del Brasile
1507 Amerigo Vespucci esplorando le coste del Brasile capisce che la terra scoperta da Colombo è
un nuovo continente: l'America
1519/1520 Magellano sbarca nelle Filippine: circumnavigazione della terra
1522 El Cano approda in Spagna
1524 Verazzano completa il rilevamento delle coste dell'America Settentrionale
Perché andare nelle Indie?
"TIPOLOGIA DEGLI IMPERI PORTOGHESE E SPAGNOLO"
Il Portogallo, sin dalla prima metà del '400, quando in Spagna vi furono i primi segni che avrebbero portato
alla riunificazione, intuì che per poter restare indipendente avrebbe dovuto precedere la Spagna nella
conquista del mare.
Quindi nacque la politica del'Infante del Portogallo Enrico il Navigatore, che potenziò le costruzioni navali e
istituì una scuola specializzata per piloti e navigatori.
Si devono ricordare inoltre anche queste altre cause:
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Il desiderio di nuove terre da parte della nobiltà;
La volontà dei ceti borghesi di espandersi sul mare per fronteggiare la Spagna, in sintonia con le
scelte di Enrico il Navigatore.
Il Portogallo per creare un grande impero coloniale s'impadronì di punti strategici per il commercio dal
momento che non poteva realizzare una conquista territoriale come quella spagnola, perché era un paese
povero e piccolo.
Un'ulteriore conferma della sua povertà è costituita dal ruolo di intermediario svolto da banche straniere,
della Germania e delle Fiandre, nella gestione del denaro e delle merci provenienti dalle colonie portoghesi.
Riuscì nel suo intento grazie alla perfezione tecnica delle sue navi (la Caravella era un tipo di nave in grado
di affrontare l'Atlantico), all'audacia dei suoi equipaggi e all'opera di Francisco de Almeida e Alfonso de
Albuquerque, che sconfissero gli Arabi d'Egitto nella battaglia di Diu (1509).
Dopo le imprese di Bartolomeo Diaz e di Vasco de Gama il Portogallo ebbe una nuova strada per le Indie,
strada che permise di stroncare la resistenza dei sovrani musulmani (Battaglia di Diu 1509) e di avere un
Impero coloniale nell'Oceano Indiano i cui centri economicamente più importanti furono Macao e Calicut.
La Spagna tra il 1550 e il 1650 divenne una tra le massime potenze d'Europa.
Puntò al controllo del territorio del Sud America e per raggiungere il suo fine s'insediò in nuove terre e
v'impiantò un'amministrazione.
Riuscì rapidamente a conquistare i regni americani grazie alla sua notevole superiorità nel campo militare e
alla presenza di leggende che annunciavano la fatale e irresistibile venuta dell'uomo bianco, alle divisioni
interne nell'impero azteco.
Nelle terre conquistate furono nominati i governatori, poi i viceré e successivamente si ebbe la costituzione
di due vicereami: nel 1535, quello della Nuova Spagna e nel 1543, quello del Perù.
Un passaggio a ovest per le indie
Colombo non si accorge di essere arrivato in un nuovo continente
Amerigo Vespucci e i suoi 4 viaggi nel nuovo mondo
Amerigo nasce il 9 Marzo 1454 e viene battezzato il 18 Marzo dello stesso anno: "Amerigo et Matteo di Ser
Nastagio di Ser Amerigo Vespucci, populi Sante Lucie d'Ognissanti". Così è registrato nel Registro
Battezzati, Archivio Opera del Duomo, Firenze.
Nel 1478 Amerigo si reca in Francia con lo zio ambasciatore Guido Antonio. Tornato a Firenze, riparte per
Siviglia verso la fine del 1490 come agente del banco Berardi. Nonostante la nomina dell'amico Pier Soderini
a Gonfaloniere a vita della Repubblica fiorentina, Amerigo non tornerà più a Firenze.
Amerigo, dopo l'esperienza presso il banco Berardi, passa alla direzione della Compagnia delle Indie
ristrutturata dallo stesso Amerigo in Casa della Contractation, istituzione preposta alla tutela di tutte le
traversate oceaniche. il 6 agosto 1508 Amerigo viene nominato Piloto Mayor. Muore a Siviglia il 22 febbraio
1522. Sul testamento, scritto il 9 aprile 1511, fra i pochi ricordi della sua città natale si legge: "desir una misa
de requiem cantada e treinta e tres misas rezadas por mi ánima en la iglesia de Todos Santos, de la dicta
cibdad, (Firenze)". Traduzione di Consuelo Varela.
Amerigo, dopo le prime esperienze presso il Banco Berardi di Siviglia, dove si gestivano anche i cantieri reali
delle caravelle oceaniche, passa alla direzione della Compagnia delle Indie, istituzione preposte al controllo
e relative tassazioni delle traversate oceaniche. Di formazione umanistica e con grandi cognizioni
scientifiche riguardo la navigazione strumentale, sotto la bandiera spagnola decide la sua avventura verso il
Nuovo Mondo.
Il primo viaggio
Il 10 maggio 1498 parte dal porto di Cadice, Amerigo sarà il primo occidentale che metterà piede sul nuovo
continente.
Il 28 luglio 1500 Amerigo relazionava con la lettera a Lorenzo di Pier Francesco dei Medici il suo primo
viaggio, dal quale evidenziamo qualche curiosità.
"Fummo a terra in un Porto dove trovammo una popolazione fondata sopra l'acqua come Venezia; erano
circa quarantacinque case grande ad uso di capanne, fondate sopra grossissimi pali e tenvano le loro porte
o entrate di case ad uso di ponti levatoi che gittavano di casa in casa".
Da questa similitudine con la città di Venezia, piccola Venezia o Veneziola è derivata l'attuale
denominazione di Venzuela.
Più oltre, osservando il cielo, commenta:
"Mi ricordai di un detto del nostro poeta Dante, del quale fa menzione nel primo capitolo del Purgatorio
quando finge di salire di questo emisperio e trovasi nell'altro, che volendo descrivere il polo antartico dice:
Io mi volsi a man destra e posi mente
All'altro polo, e vidi quattro stelle
Non viste mai, fuor che alla prima gente
Goder pareva il Ciel di lor fiammelle;
O settentrional vedovo sito,
Perché privato sei di mirar quelle.
Che secondo me, mi pare che il Poeta in questi versi voglia descrivere per le quattro stelle, il polo dell'altro
Firmamento, e non mi diffido fino a qui che quello che dice, non sia la verità, perché io notai quattro stelle
figurate come una mandorla".
Sul rientro da questo primo viaggio ci sono molte discordanze, è tuttavia ipotizzata la data 15 ottobre 1498.
Il secondo viaggio
Partenza da Cadice il 18 maggio 1499
Rientro: 8 settembre 1500
Dalla lettera a Pier Soderini:
"vedemmo in una valle cinque delle lor capanne che ci parevon dispopolate, e fummo ad esse e trovammo
solo cinque donne, due vecchie e tre fanciulle, di tanto alta statura che per meraviglia le guardavamo; e
come ci viddono entrò loro tanta paura, che non ebbono animo a fuggire; le due vecchie ci cominciarono cn
parole a convitare, traendoci molte cose da mangiare, e messonci in una capanna: ed erano di statura
maggiori che uno grande huomo, che ben sarebbe grande di corpo come fu Francesco degli Albizi ma di
miglior proporzione; dimodoché stavamo tutti in proposito di torne le tre fanciulle per forza, e per cosa
meravigliosa trarle a Castiglia. E stando in questi ragionamenti cominciarono a entrare per la porta della
capanna ben 36 uomini molto maggiori che le donne: uomini tanto ben fatti che era cosa famosa a vedergli; i
quali ci missono in tanta turbazione, che più tosto saremmo voluti essere alle navi che trovarci con tal
gente".
Il terzo viaggio
Partenza il 13 maggio 1501 da Lisbona per il re del Portogallo.
Rientro: 7 settembre 1502.
Scrive Vespucci nella lettera a Lorenzo di Pier Francesco dei Medici.
"Vidi anche una certa città nella quale io dimorai forse ventisette giorni, dove le carni umane avendole
salate, erano appiccate alle travi, siccome noi alle travi di cucina appicchiamo le carni di cinghiale, secche al
sole o al fumo, e massimamente salsicce a altri simil cose; anzi si meravigliavano grandemente, che noi non
mangiassimo delle carni de' nemici, le quali dicono muovere appetito ed essere i meraviglioso sapore, e le
lodano come cibi soavi e delicati."
Il quarto viaggio
Partenza il 10 maggio 1503 da Lisbona per il re del Portogallo
Rientro: 18 giugno 1504
Questa ultima lettera fu inviata a Pier Soderini ma il tramando storico documenta un quinto viaggio di
Amerigo, effettuato nel 1506. La cosa è possibile in quanto Amerigo come direttore della Casa della
Contractacio poteva disporre liberamente dei mezzi. Di questo quinto viaggio si trova notizia in una lettera di
Girolamo Vianello, veneziano che dalla Spagna scrive alla Signoria di Venezia:
"Sono giunte qui dall'India due navi, spedite dal re mio signore, venute a discoprire al comando di Zuan
biscaglino (Juan de la Cosa) e di Amerigo fiorentino"
(da Germán Arciniegas. Amerigo Vespucci, Milano 1960).
L’esposizione – Guida didattica
Le carte geografiche antiche della biblioteca sono state fotografate e disposte su pannelli.
I pannelli devono essere letti in senso orario cioè partendo dal pannello di sinistra.
Pannello 1 – Mappa-mondo e Planisferi antichi
Pannello 2 – Mappa-mondo e Planisferi antichi
Si notano in queste carte le zone bianche non definite che corrispondono ai territori non
ancora esplorati.
Pannello 3 – Carte dell’America del Nord
Vengono evidenziate con il confronto con la carta contemporanea fornita in fotocopia le
differenze tra questa e la cartografia antica.
Pannello 4 – America del sud
Ci si chiede perché le carte antiche dell’America del sud siano meglio definite di quelle
dell’America del Nord.
Pannello 5 – America del sud – particolari
Pannello 6 – America del sud – particolari
Si mettono in evidenza gli spazi non descritti, le proporzioni tra le carte moderne e quelle antiche,
si fa notare come la California sia disegnata come un’isola, come lo Stretto di Magellano sia quasi
attaccato ad un Antartide non definita.
Vetrine.
Vengono spiegate complessivamente in Sala Tassinari (perché certi libri sono stati scelti, perché 9i
viaggiatori producevano opere illustrate…) e poi sono spiegate una ad una ai ragazzi facendo loro
notare alcuni particolari specifici dei libri più interessanti.
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Cominciamo dal libro antico