Geografia delle scoperte nei fondi antichi della Biblioteca comunale “Renato Fucini” di Empoli Cominciamo dal libro antico Storia del libro a stampa I supporti della scrittura Le testimonianze fanno risalire a circa 3000 anni prima di Cristo l'esigenza dell'uomo di trasmettere il proprio pensiero in maniera duratura. I primi segni grafici furono tracciati in epoca primitiva sulle pareti delle caverne e sulle pietre. Gli antichi popoli del Mediterraneo usavano per la scrittura tavolette d'argilla che venivano cotte dopo essere state incise. I greci e i latini usarono le tavolette di legno che potevano essere imbiancate o cerate e sulle quali si scriveva a sgraffio. Su quelle cerate la scrittura poteva essere cancellata e le tavolette potevano essere utilizzate di nuovo. Le tavolette cerate furono usate per molto tempo. Esse venivano unite insieme a formare il codice detto dittico o trittico a seconda se era formato da due o tre tavolette. Le materie scrittorie più usate furono il papiro e la pergamena. Il papiro è tra i materiali vegetali quello più idoneo a ricevere la scrittura. In Egitto dallo stelo del papiro si ricavavano strisce sottili che erano disposte una accanto all'altra e essiccate al sole. I fogli ottenuti erano arrotolati intorno a un bastoncino di legno o avorio detto umbiculus che aveva pomelli sporgenti e formavano il volumen. Il papiro fu usato dagli Egizi fin dal III millennio a. C. e fu sostituito dalla pergamena. Utilizzata nel Medioevo la pergamena è prodotta con la conciatura di pelli di animali (agnello, pecora e capra), le quali venivano macerate nella calce, raschiate e fatte seccare. Ben levigate con pietra pomice potevano essere usate su entrambe le facce. Alla pergamena veniva data la forma di codice (come il nostro libro). I testi sulla pergamena erano copiati a mano sullo scriptorium. I monasteri e le istituzioni ecclesiastiche che detenevano il monopolio della cultura si occuparono della compilazione e la copiatura dei libri. Furono così trascritte e tramandate Bibbie, scritti dei padri della Chiesa, opere di matematica, di medicina e astronomia. I testi antichi manoscritti divennero un prodotto molto richiesto sia dai principi laici che dal clero. La carta Il problema di raffigurare su più esemplari gli stessi segni o le stesse immagini fu affrontato con l'uso delle tavole in legno inchiostrate per stampare testi e disegni incisi. Questa tecnica che anticipò l'invenzione della stampa fu favorita dall'introduzione della carta. La carta fu scoperta dai cinesi all'inizio del II secolo d.C. Furono gli Arabi che nell'anno 751 la diffusero nelle regioni del Medio Oriente e da lì in Marocco, in Spagna e nel XII secolo in Italia. Prima in Sicilia poi a Genova e a Venezia. La prima cartiera italiana è quella di Fabriano nel 1276. I cartai italiani diventarono presto molto famosi e inventarono la filigrana come marchio distintivo di fabbrica. La materia prima della carta erano gli stracci. La coltivazione della canapa e del lino e la sostituzione della tela alla lana aumentò l'uso degli stracci che venivano sminuzzati e lasciati macerare in acqua saponata dosata, in modo da ottenere un impasto denso. La pasta veniva successivamente stesa su un telaio con fili metallici (filoni e vergelle) con disegnata al centro la filigrana. Le forme erano lasciate ad asciugare separate da dei feltri che assorbivano l'acqua residua e poi stese su degli stenditoi. I fogli venivano ricoperti da colla animale perché non assorbissero, una volta asciugati, l'inchiostro e venivano lisciati con una selce. In Italia le cartiere si diffusero soprattutto in Liguria e a Venezia. Con la diffusione e la produzione dei libri a stampa, la carta era sempre più richiesta e gli stracci non bastavano a soddisfare il mercato. Già nel 1700 si cominciò a produrre la carta dal legno. La carta ricavata dalla paglia, dalle ortiche e dai mughetti tenta di rimpiazzare quella ottenuta con gli stracci. Nel XIX secolo la carta è costituita dalla cellulosa, una componente del legno. Oggi i tronchi d'albero sono triturati e ridotti in poltiglia e lavorati da macchine che fabbricano la carta. La stampa La stampa, cioè la riproduzione di un testo o figura eseguita con mezzi meccanici si affermò in Europa verso la metà del XV secolo. Nel 1440 Johann Gutenberg, un orafo di Magonza, con la stessa tecnica usata per incidere i metalli, inventò la stampa a caratteri mobili. I caratteri combinati tra loro formavano le parole, le frasi e le pagine intere. Gutenberg adatta alla sua invenzione il torchio da vino. Stringendo una vite con una barra di legno una tavola scendeva comprimendo il foglio di carta contro i caratteri. Per ottenere il formato desiderato per il libro, il foglio di forma ottenuto era piegato più volte: per il formato in folio, usato generalmente per i libri di studio il foglio era piegato una sola volta ed aveva quattro pagine stampate, per il formato in quarto (4°), due volte e otto pagine stampate, per il formato in ottavo (8°) tre volte e sedici pagine stampate fino a quelli più piccoli in 12°, 16°, 32° e così via. Il carattere I primi libri a stampa, ancora per molti anni, mantennero l'impostazione caratteristica del testo a due colonne, sul modello degli antichi codici manoscritti. Anche il disegno del carattere e l'impostazione del testo sul foglio doveva essere molto simile a quello usato dagli amanuensi. All'inizio del testo veniva lasciato lo spazio per poter incidere o decorare il capolettera. Le lettere da stampare erano fatte a mano e i primi stampatori cercavano di ottenere, più che la chiarezza e leggibilità, la regolarità delle singole lettere. Verso il 1480 si cominciò ad apprezzare la superiorità dei libri stampati. Le lettere erano conservate dagli stampatori nelle casse che contenevano i caratteri tipografici divisi per lettera dell'alfabeto. I caratteri vengono allineati lungo il compositoio in modo da formare la riga da stampare. I segni contenuti nelle casse dei compositori diminuirono: dai 300 posseduti da Gutenberg agli 80 usati dai tipografi alla fine del 1500. Dopo circa cinquant'anni dalla morte di Gutenberg, avvenuta nel 1468 i principali tipi di carattere erano la littera antiqua tonda o corsiva e quella gotica. In Italia si diffuse maggiormente l'uso della littera antiqua grazie a Aldo Manuzio che nel 1501 per i suoi libri "tascabili" adottò un carattere, disegnato da un incisore e tipografo bolognese Francesco Griffo, che fu denominato corsivo o italico. Questo tipo di carattere ebbe molto successo e fu presto imitato da numerosi stampatori sia in Italia che all'estero. Solo la Germania continuò ad adottare, dopo la morte di Aldo Manuzio, il carattere gotico. Il predominio nei paesi tedeschi e in quelli scandinavi della lettera gotica era dovuto all'influenza degli scritti di argomento teologico piuttosto che umanistico sostenuti dagli insegnamenti tomistici all'università di Colonia e di teologia luterana a quella di Wittemberg, due città che erano anche centri attivi della stampa. Il fascicolo Il foglio ottenuto dalla lavorazione della carta veniva impresso dallo stampatore non pagina per pagina ma su grandi fogli che venivano poi piegati in modo da formare un fascicolo con un certo numero di pagine "foglio di forma": ogni foglio era segnato sulla prima pagina con una lettera così che tutti i fogli erano ordinati in ordine alfabetico. L'alfabeto era composto da 23 segni posti sempre nello stesso ordine. Ogni carta della prima metà del fascicolo riportava sul recto la segnatura corrispondente. La collocazione esatta delle pagine all'interno del fascicolo era determinata da un'operazione chiamata imposizione, mentre l'ordine dei fascicoli e dei fogli all'interno di ciascun fascicolo dal sistema della segnatura. Il riepilogo delle segnature era riportato alla fine del testo, nel registro, e permetteva al legatore di rilegare correttamente il libro una volta stampato. Altro elemento caratteristico nella struttura del libro antico è il richiamo. Apparso in Italia e Francia nella metà dell'XI secolo consisteva nello scrivere alla fine di ogni pagina le prime sillabe della successiva per facilitare lo stampatore nell'imposizione, dato che le pagine non erano sempre numerate. Il frontespizio Il frontespizio è la prima pagina di un libro che contiene gli elementi identificativi dell'opera: autore, titolo, casa editrice. Nei libri antichi manoscritti il frontespizio manca e il titolo è generalmente scritto nell'incipit, cioè la prima o le prime parole del testo. Alla fine del Quattrocento quasi tutti i libri hanno un frontespizio che però non ha ancora l'aspetto attuale. All'inizio del XVI secolo ne troviamo, infatti, alcuni incompleti se si confrontano con i libri moderni. Molto spesso le indicazioni riguardanti l'edizione si ritrovano nel colophon, una sottoscrizione alla fine del testo che riporta il nome dello stampatore, la data e il luogo di stampa. Il frontespizio si afferma come elemento essenziale del libro solo nel 1500, o meglio fu Erhard Ratdolt, tedesco trapiantato a Venezia, che nel 1476 pubblicò il primo libro con un frontespizio. Nel corso del 1500 fu usato da tutti i tipografi e subì molti cambiamenti. La sua fortuna è da attribuire ad una serie di fattori: la crescente affermazione di individuare la paternità del libro, la funzione pubblicitaria affidatagli da editori e tipografi ma anche la necessità di distinguere, in un periodo di aumento della produzione, un libro dall'altro. Inizialmente molto ridotto, il titolo, nel corso del XVI secolo, si allunga oltre misura: gli editori con la preoccupazione di riempire tutta la pagina vi aggiungono anche le indicazioni sul contenuto dell'opera, le dediche a principi e molto spesso anche gli indirizzi delle tipografie. Nella seconda metà del 1500 la preoccupazione dei tipografi è quella di decorare il frontespizio. Si diffonde la moda delle cornici incise affidate ad artisti incisori veri e propri. Le cornici sono molto varie: spesso sono molto semplici e racchiudono una iscrizione che riempie la pagina oppure sono intorno a poche parole e sono molto decorative. I motivi sono anch'essi vari: stele con cornici di differenti forme e ornamentazione, portali affiancati da colonne e statue, cornici istoriate. Alla fine del XVI secolo il frontespizio è sempre più di frequente inciso e appaiono sempre più iniziali ornate e istoriate. Anche il ritratto dell'autore diventa insieme alla marca tipografica un elemento decorativo del frontespizio. La marca tipografica Tipica dei libri stampati nel 1500 l'insegna tipografica incisa, oltre ad essere un decoro ornamentale, ha anche un valore funzionale di salvaguardia dalle contraffazioni. Si presenta come una raffigurazione simbolica accompagnata alla maniera di un'impresa araldica e da un motto. In origine era un "marchio di fabbrica" come quello di tante altre imprese ed era posta di solito nell'ultima pagina bianca del libro. All'inizio del XV secolo passò dalla fine del volume anche, o soltanto, sul frontespizio. Essa diventa trascrizione figurata del cognome del tipografo: il grifone per Giovanni Griffio e per i francesi Gryphius, un guerriero che cavalca un lupo per i Cavalcalupo, il drago per Vincenzo Busdraghi oppure rappresentazione con significato allegorico come la fenice dei Giolito che rappresenta immortalità, la cometa della stamperia di Francesco e Giordano Ziletti che rappresenta "chiarezza di fama, virtù e potenza eterna". Le insegne tipografiche talvolta raffigurano il simbolo della città in cui le imprese lavorano: il giglio di Firenze, ad esempio, adottato per concessione di Luigi XI dai fiorentini come stemma della loro città, è da sempre la celebre marca dei Giunta. Anche gli stemmi araldici di alcune famiglie nobili sono usati come marche tipografiche: lo stemma mediceo usato da Lorenzo Torrentino che fu stampatore ducale e lo stemma dei Farnese di Set e Erasmo Viotti che furono anch'essi stampatori ducali a Parma. La più famosa marca tipografica del mondo è quella di Aldo Manuzio e dei suoi successori che comparve per la prima volta nel 1502 in un'edizione di poeti cristiani antichi. Della marca, raffigurante l'ancora con un delfino esistono varie versioni riconducibili all'ancora secca e a quella grassa. La secca, ottenuta con il solo contorno, è propria dei tempi di Aldo. La seconda rappresentata in modo plastico come arrotondata è stata usata dagli eredi. I simboli usati nell'insegna, il delfino e l'ancora rappresentano rispettivamente la celerità della intuizione insieme alla ponderatezza nel lavoro. La legatura Le caratteristiche tipologiche del libro antico non derivano solo dal processo produttivo legato alla tipografia ma anche e soprattutto dalla storia vissuta dai libri. La maggior parte delle legature dei libri antichi sono il risultato del suo consumo piuttosto che della sua produzione. Sono molto importanti per ricostruire la storia del singolo libro antico in rapporto a quella di altri con cui ha condiviso le stesse vicende. Le legature di ciascun fondo librario sono caratterizzate da particolari elementi che spesso permettono di stabilire l'appartenenza del libro ad una determinata famiglia, biblioteca o istituzione. Le legature dei libri antichi sono molto resistenti e di qualità superiore alle legature moderne. I primi libri sono legati da artigiani che ricoprono il dorso e i piatti, fatti di solidi e massicci assi di legno, con stoffe preziose soprattutto quando si tratta di libri di lusso che appartengono a personaggi illustri. In altri casi i libri sono rivestiti con le pelli di animale: marocchino o pergamena. I piatti sono decorati con fregi raffiguranti motivi floreali, stemmi di casate che sono impressi a secco o in oro con piccoli ferri e ripetuti più volte. Le legature più antiche presentano sui piatti fermagli metallici e borchie per proteggere la legatura stessa e molto spesso sono eseguite dai frati nei conventi in cui il libro veniva usato. Il titolo dell'opera può anche essere scritto sui tagli perché i libri erano conservati orizzontalmente uno sull'altro. La produzione delle opere classiche in formati economici, ideata da Aldo Manuzio, influenza anche l'aspetto fisico del libro: anche le legature diventano più semplici e meno pregiate. Agli assi di legno si sostituiscono quelli in cartone ricoperti o da pelle, pergamena o da carta decorata. I libri stampati non erano legati dall'editore ma i fascicoli che venivano venduti sciolti erano ricoperti successivamente e secondo il gusto dell'acquirente. I fascicoli venivano cuciti con un filo che veniva fermato sul capitello, quasi sempre di due colori ed era anch'esso un elemento decorativo dell'esemplare. I tagli erano spesso decorati con uno o più colori e nei libri più preziosi erano in oro. Il titolo dell'opera e il nome dell'autore erano scritti a mano sul dorso oppure impressi a inchiostro o in oro su una etichetta applicata successivamente sul dorso. Come è nata la Biblioteca comunale: La storia della biblioteca di Empoli prende avvio nei primi anni dell'Ottocento, quando Monsignor Giovanni Marchetti (empolese diventato vescovo di Ancira, l'attuale Ankara) operò il lascito della sua preziosa libreria per consentirne l'uso pubblico. Dopo una prima fase in cui non fu chiaro di chi fosse la proprietà e la responsabilità della gestione delle collezioni, tra la Comunità e il Capitolo, il fondo librario fu acquistato a cura del proposto di Empoli, Bonistalli, dagli eredi Marchetti e donato alla Comunità, con la clausola di garantirne l'uso pubblico e di mantenere a cura della autorità ecclesiastica il diritto di nominare il bibliotecario. Il 15 marzo 1833 è la data ufficiale della nascita della biblioteca comunale, che venne annessa formalmente alle pubbliche scuole, istituite nel 1820. L'anno successivo, dopo la ristrutturazione dei locali, la biblioteca divenne effettivamente pubblica. Alla morte del proposto Bonistalli, il Comune stabilì che la nomina del bibliotecario avvenisse per pubblico concorso, aperto ai cittadini con la Fede di specchietto, in grado di leggere e scrivere e provvisti di tutte le garanzie morali e civili. Il concorso venne bandito nel 1852, segnando il definitivo distacco dalla chiesa: da allora il bibliotecario divenne un impiegato comunale a tutti gli effetti, con le funzioni di segretario delle scuole. Accanto alla figura del bibliotecario, c'era anche la figura del bibliotecario-onorario (carica assegnata a insegnanti delle pubbliche scuole o a personalità del mondo della cultura empolese, ma senza compenso). Il comune da allora stanziò fondi specifici per gli acquisti librari, fornendo alla biblioteca crescente autonomia rispetto alla scuola. Sempre nel 1852 l'Ufficio Tecnico Comunale realizzò il progetto per l'illuminazione della biblioteca, in modo tale da poterla aprire anche di pomeriggio. Nel corso degli anni la biblioteca ha contato sulla crescita del proprio patrimonio documentario a partire da una intensa stratificazione di donazioni. Tra i fondi librari più cospicui, si segnalano: il lascito Marchetti (di circa 4000 volumi) il fondo dei Frati Minori Osservanti il fondo dei Padri Cappuccini il Fondo Tassinari (di circa 12.000 volumi e più di 2500 opuscoli) il Fondo Salvagnoli Marchetti il Fondo Ridolfi, che vanno attualmente a costituire, accanto ad altri fondi minori, quello che attualmente viene chiamato il Fondo antico della biblioteca. I libri antichi della Biblioteca comunale. Come la maggior parte dei libri antichi sia giunta in biblioteca per donazione (legato Tassinari). Giuseppe Tassinari Giuseppe Tassinari nacque a Firenze il 3 settembre 1802. Trascorse la sua infanzia nei seminari, prima a Prato poi a Firenze dove viene educato allo studio delle lettere e ad amare la poesia. A diciotto anni si iscrive alla sezione giuridica dell'università di Siena anche se era profondamente attratto dalla letteratura: Foscolo, Shelley, Byron influenzarono notevolmente la sua giovinezza. Si trasferì all'università di Pisa e si laureò nel 1824. Viaggiò molto in Italia. Tornato in Toscana si ritirò nella villa di Poggio Ubertini e si dedicò allo studio scientifico e pratico della scienza agricola allo stesso modo di altri studiosi toscani, Cosimo Ridolfi e Antonio Salvagnoli Marchetti. I LIBRI DI TASSINARI Il fondo Tassinari è costituito da 9001 opere ripartite in 11.779 volumi e 1633 opuscoli e si caratterizza per una eterogeneità di composizione. Il suo amore per gli studi umanistici è testimoniato dalla numerosa presenza di opere di autori classici greci, latini, italiani e stranieri. Il suo amore per i viaggi è documentato dai libri di viaggio dell'Ottocento e da numerosi atlanti. La ricchezza e varietà di questo fondo librario rispecchiano le sue tendenze bibliofile documentata da numerosi repertori bibliografici e dizionari setteottocenteschi e da pregevoli annali tipografici di Aldo Manuzio (Firenze, Molini, 1873) agli Annali della Tipografia di Lorenzo Torrentino (Firenze, presso Niccolò Carli, 1809) e quello della tipografia Volpi Cominiana (Padova 1809). Il fondo è conservato in una sala della Biblioteca così come furono le sue volontà lasciate nel testamento: "in una monumentale scaffalatura lignea". Al fondo Tassinari appartengono anche le opere di altri studiosi: Giuseppe Montani che a causa di dissesti finanziari dovette vendere la sua biblioteca composta di duecento libri allo stesso Tassinari e Antonio Pagni, prelato fiorentino. IL MONDO E I VIAGGI Il mondo come è fatto Questa è una mappa della terra così come oggi la conosciamo. Il mondo come era visto Qui di seguito sono riportate delle mappe del mondo, i Planisferi, disegnate sa partire dal 14. secolo sino alla scoperta delle Americhe. Sfera di G.Dati ( sec.XV) Richard of Haldingham Hereford Mappa Mundi XIV secolo Enrico Martello Planisfero XV secolo Anonimo - Inizio XVI secolo Carta da Navigar per le isole novamente trovate in la India, detta Carta Cantino Abraham Ortelius Americae Sive Novi Orbis Nova Descriptio XVI secolo Come viaggiamo adesso Oggi siamo abituati ad usare delle macchine (automobili, treni, navi a motore, aerei, biciclette) per viaggiare. Questi mezzi di trasporto fanno si che gli uomini possano spostarsi in pochissimo tempo da una parte all’altra della terra. Qualcuno a detto che il mondo contemporaneo è diventato più piccolo. Come viaggiavano nel passato Le macchine che ci permettono di viaggiare rapidamente sono state inventate a partire dalla fine del 1700. In precedenza i viaggi erano fatti a piedi o con mezzi o veicoli molto lenti. 1) Le scoperte geografiche CRONOLOGIA • • • • • • • • • • • • • • • • 1340 scoperta delle Canarie 1431 scoperta delle Azzorre 1434 Gil Eanes doppia il capo di Bojador : si supera il capo delle Sabbie 1479 C. Colombo si stabilisce in Portogallo e comincia a progettare il raggiungimento dell' Oriente navigando verso Occidente 1485 Diego Cao arriva fino a capo Cross 1487 il primo grande viaggio è quello di B.Diaz che circumnaviga l' Africa, doppiando il capo di Buona Speranza 3/ VIII/ 1492 Colombo parte da Palos con tre caravelle 12/ X/ 1492 Colombo scopre San Salvador- Cuba- Haiti 1493 Colombo riparte con 17 navi per esplorare le Antille 1497/ 1498 Vasco De Gama traversando l'Oceano Indiano fino a Calicut 1498 Colombo parte per la terza volta verso l'America 1500/ 1502 Cabral tocca le coste del Brasile 1507 Amerigo Vespucci esplorando le coste del Brasile capisce che la terra scoperta da Colombo è un nuovo continente: l'America 1519/1520 Magellano sbarca nelle Filippine: circumnavigazione della terra 1522 El Cano approda in Spagna 1524 Verazzano completa il rilevamento delle coste dell'America Settentrionale Perché andare nelle Indie? "TIPOLOGIA DEGLI IMPERI PORTOGHESE E SPAGNOLO" Il Portogallo, sin dalla prima metà del '400, quando in Spagna vi furono i primi segni che avrebbero portato alla riunificazione, intuì che per poter restare indipendente avrebbe dovuto precedere la Spagna nella conquista del mare. Quindi nacque la politica del'Infante del Portogallo Enrico il Navigatore, che potenziò le costruzioni navali e istituì una scuola specializzata per piloti e navigatori. Si devono ricordare inoltre anche queste altre cause: • • Il desiderio di nuove terre da parte della nobiltà; La volontà dei ceti borghesi di espandersi sul mare per fronteggiare la Spagna, in sintonia con le scelte di Enrico il Navigatore. Il Portogallo per creare un grande impero coloniale s'impadronì di punti strategici per il commercio dal momento che non poteva realizzare una conquista territoriale come quella spagnola, perché era un paese povero e piccolo. Un'ulteriore conferma della sua povertà è costituita dal ruolo di intermediario svolto da banche straniere, della Germania e delle Fiandre, nella gestione del denaro e delle merci provenienti dalle colonie portoghesi. Riuscì nel suo intento grazie alla perfezione tecnica delle sue navi (la Caravella era un tipo di nave in grado di affrontare l'Atlantico), all'audacia dei suoi equipaggi e all'opera di Francisco de Almeida e Alfonso de Albuquerque, che sconfissero gli Arabi d'Egitto nella battaglia di Diu (1509). Dopo le imprese di Bartolomeo Diaz e di Vasco de Gama il Portogallo ebbe una nuova strada per le Indie, strada che permise di stroncare la resistenza dei sovrani musulmani (Battaglia di Diu 1509) e di avere un Impero coloniale nell'Oceano Indiano i cui centri economicamente più importanti furono Macao e Calicut. La Spagna tra il 1550 e il 1650 divenne una tra le massime potenze d'Europa. Puntò al controllo del territorio del Sud America e per raggiungere il suo fine s'insediò in nuove terre e v'impiantò un'amministrazione. Riuscì rapidamente a conquistare i regni americani grazie alla sua notevole superiorità nel campo militare e alla presenza di leggende che annunciavano la fatale e irresistibile venuta dell'uomo bianco, alle divisioni interne nell'impero azteco. Nelle terre conquistate furono nominati i governatori, poi i viceré e successivamente si ebbe la costituzione di due vicereami: nel 1535, quello della Nuova Spagna e nel 1543, quello del Perù. Un passaggio a ovest per le indie Colombo non si accorge di essere arrivato in un nuovo continente Amerigo Vespucci e i suoi 4 viaggi nel nuovo mondo Amerigo nasce il 9 Marzo 1454 e viene battezzato il 18 Marzo dello stesso anno: "Amerigo et Matteo di Ser Nastagio di Ser Amerigo Vespucci, populi Sante Lucie d'Ognissanti". Così è registrato nel Registro Battezzati, Archivio Opera del Duomo, Firenze. Nel 1478 Amerigo si reca in Francia con lo zio ambasciatore Guido Antonio. Tornato a Firenze, riparte per Siviglia verso la fine del 1490 come agente del banco Berardi. Nonostante la nomina dell'amico Pier Soderini a Gonfaloniere a vita della Repubblica fiorentina, Amerigo non tornerà più a Firenze. Amerigo, dopo l'esperienza presso il banco Berardi, passa alla direzione della Compagnia delle Indie ristrutturata dallo stesso Amerigo in Casa della Contractation, istituzione preposta alla tutela di tutte le traversate oceaniche. il 6 agosto 1508 Amerigo viene nominato Piloto Mayor. Muore a Siviglia il 22 febbraio 1522. Sul testamento, scritto il 9 aprile 1511, fra i pochi ricordi della sua città natale si legge: "desir una misa de requiem cantada e treinta e tres misas rezadas por mi ánima en la iglesia de Todos Santos, de la dicta cibdad, (Firenze)". Traduzione di Consuelo Varela. Amerigo, dopo le prime esperienze presso il Banco Berardi di Siviglia, dove si gestivano anche i cantieri reali delle caravelle oceaniche, passa alla direzione della Compagnia delle Indie, istituzione preposte al controllo e relative tassazioni delle traversate oceaniche. Di formazione umanistica e con grandi cognizioni scientifiche riguardo la navigazione strumentale, sotto la bandiera spagnola decide la sua avventura verso il Nuovo Mondo. Il primo viaggio Il 10 maggio 1498 parte dal porto di Cadice, Amerigo sarà il primo occidentale che metterà piede sul nuovo continente. Il 28 luglio 1500 Amerigo relazionava con la lettera a Lorenzo di Pier Francesco dei Medici il suo primo viaggio, dal quale evidenziamo qualche curiosità. "Fummo a terra in un Porto dove trovammo una popolazione fondata sopra l'acqua come Venezia; erano circa quarantacinque case grande ad uso di capanne, fondate sopra grossissimi pali e tenvano le loro porte o entrate di case ad uso di ponti levatoi che gittavano di casa in casa". Da questa similitudine con la città di Venezia, piccola Venezia o Veneziola è derivata l'attuale denominazione di Venzuela. Più oltre, osservando il cielo, commenta: "Mi ricordai di un detto del nostro poeta Dante, del quale fa menzione nel primo capitolo del Purgatorio quando finge di salire di questo emisperio e trovasi nell'altro, che volendo descrivere il polo antartico dice: Io mi volsi a man destra e posi mente All'altro polo, e vidi quattro stelle Non viste mai, fuor che alla prima gente Goder pareva il Ciel di lor fiammelle; O settentrional vedovo sito, Perché privato sei di mirar quelle. Che secondo me, mi pare che il Poeta in questi versi voglia descrivere per le quattro stelle, il polo dell'altro Firmamento, e non mi diffido fino a qui che quello che dice, non sia la verità, perché io notai quattro stelle figurate come una mandorla". Sul rientro da questo primo viaggio ci sono molte discordanze, è tuttavia ipotizzata la data 15 ottobre 1498. Il secondo viaggio Partenza da Cadice il 18 maggio 1499 Rientro: 8 settembre 1500 Dalla lettera a Pier Soderini: "vedemmo in una valle cinque delle lor capanne che ci parevon dispopolate, e fummo ad esse e trovammo solo cinque donne, due vecchie e tre fanciulle, di tanto alta statura che per meraviglia le guardavamo; e come ci viddono entrò loro tanta paura, che non ebbono animo a fuggire; le due vecchie ci cominciarono cn parole a convitare, traendoci molte cose da mangiare, e messonci in una capanna: ed erano di statura maggiori che uno grande huomo, che ben sarebbe grande di corpo come fu Francesco degli Albizi ma di miglior proporzione; dimodoché stavamo tutti in proposito di torne le tre fanciulle per forza, e per cosa meravigliosa trarle a Castiglia. E stando in questi ragionamenti cominciarono a entrare per la porta della capanna ben 36 uomini molto maggiori che le donne: uomini tanto ben fatti che era cosa famosa a vedergli; i quali ci missono in tanta turbazione, che più tosto saremmo voluti essere alle navi che trovarci con tal gente". Il terzo viaggio Partenza il 13 maggio 1501 da Lisbona per il re del Portogallo. Rientro: 7 settembre 1502. Scrive Vespucci nella lettera a Lorenzo di Pier Francesco dei Medici. "Vidi anche una certa città nella quale io dimorai forse ventisette giorni, dove le carni umane avendole salate, erano appiccate alle travi, siccome noi alle travi di cucina appicchiamo le carni di cinghiale, secche al sole o al fumo, e massimamente salsicce a altri simil cose; anzi si meravigliavano grandemente, che noi non mangiassimo delle carni de' nemici, le quali dicono muovere appetito ed essere i meraviglioso sapore, e le lodano come cibi soavi e delicati." Il quarto viaggio Partenza il 10 maggio 1503 da Lisbona per il re del Portogallo Rientro: 18 giugno 1504 Questa ultima lettera fu inviata a Pier Soderini ma il tramando storico documenta un quinto viaggio di Amerigo, effettuato nel 1506. La cosa è possibile in quanto Amerigo come direttore della Casa della Contractacio poteva disporre liberamente dei mezzi. Di questo quinto viaggio si trova notizia in una lettera di Girolamo Vianello, veneziano che dalla Spagna scrive alla Signoria di Venezia: "Sono giunte qui dall'India due navi, spedite dal re mio signore, venute a discoprire al comando di Zuan biscaglino (Juan de la Cosa) e di Amerigo fiorentino" (da Germán Arciniegas. Amerigo Vespucci, Milano 1960). L’esposizione – Guida didattica Le carte geografiche antiche della biblioteca sono state fotografate e disposte su pannelli. I pannelli devono essere letti in senso orario cioè partendo dal pannello di sinistra. Pannello 1 – Mappa-mondo e Planisferi antichi Pannello 2 – Mappa-mondo e Planisferi antichi Si notano in queste carte le zone bianche non definite che corrispondono ai territori non ancora esplorati. Pannello 3 – Carte dell’America del Nord Vengono evidenziate con il confronto con la carta contemporanea fornita in fotocopia le differenze tra questa e la cartografia antica. Pannello 4 – America del sud Ci si chiede perché le carte antiche dell’America del sud siano meglio definite di quelle dell’America del Nord. Pannello 5 – America del sud – particolari Pannello 6 – America del sud – particolari Si mettono in evidenza gli spazi non descritti, le proporzioni tra le carte moderne e quelle antiche, si fa notare come la California sia disegnata come un’isola, come lo Stretto di Magellano sia quasi attaccato ad un Antartide non definita. Vetrine. Vengono spiegate complessivamente in Sala Tassinari (perché certi libri sono stati scelti, perché 9i viaggiatori producevano opere illustrate…) e poi sono spiegate una ad una ai ragazzi facendo loro notare alcuni particolari specifici dei libri più interessanti.