Avv. Massimo Burghignoli I Paradisi fiscali – La lista nera dei paesi a fiscalità privilegiata Sviluppo Cina Milano, 5 luglio 2011 “Concorrenza fiscale” • La concorrenza fiscale fra Stati egualmente sovrani, ma di differente grado di sviluppo, fa sì che alcuni di essi tentino di rendere più accattivante la propria economia con un basso livello di tassazione, generale o settoriale. • I Paesi più sviluppati reagiscono con le “liste nere”, ossia elenchi di Paesi ritenuti “concorrenti fiscalmente sleali”. Le attività di propri cittadini presso quei Paesi vengono considerate con sospetto ed ostacolate in vari modi. • L’OCSE ha regolamentato questa materia dettando delle linee guida. Le norme O.C.S.E. •Nel 1998 L'O.C.S.E., l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Ec onomico, ha individuato i seguenti criteri di definizione di un “paradiso fiscale”: ‐ mancanza o carenza di tassazione o tassazione nominale; ‐ limitazione dello scambio di informazioni con altri stati; ‐ difetto di trasparenza; ‐ assenza di effettivo esercizio di attività economiche sul territorio. •A seguito di queste linee di definizione, sono state emanate delle "black list” dei paesi off‐shore o paradisi fiscali, aperte e suscettibili di variazioni, in presenza di modifiche degli aspetti incriminati da parte dei territori inclusi. Le norme O.C.S.E. • 26 giugno 2000: report O.C.S.E. "Progress in identifying and eliminating harmful tax practices” • individuazione di 35 paradisi fiscali: Andorra, Anguilla, Antigu a e Barbuda, Aruba, Bahamas, Bahrein, Barbados, Belize, isole Vergini britanniche, Guernesey, isole Cook, Domin ica, Gibilterra, Grenada, l'isola di Man, Jersey, Liberia, Liechtens tein, Maldive, isole Marshall, Monaco, Montserra, Nauru, Antill e olandesi, Niue, Panama, Saint‐Kitts e Nevis, Sainte Lucie, Saint Vincent e Grenadine, Samoa occidentali, Seychelles, Tonga, isol e Turk e Caicos, isole Vergini americane, Vanuatu. Le norme O.C.S.E. • 18 aprile 2002: comunicato O.C.S.E. riduzione dei paradisi fiscali da 35 a 7: Andorra, Liberia, Liechtenstein, isole Marshall, Monaco, Nauru e Vanuatu. • Nel 1998 e nel 2000 erano considerati “paradisi fiscali” i Paesi a nullo o irrilevante livello di imposizione o non collaborativi (no scambio di informazioni e trasparenza nell’applicazione delle norme fiscal i - “secret rulings”). • Nel 2002 viene eliminato il requisito del livello di tassazione, e resta solo quello del grado di cooperazione dello Stato e del grado di trasparenza circa il proprio regime fiscale. Le norme O.C.S.E. • i principi di inclusione nelle black list sono contenuti in due “Raccomandazioni” : la “Recommendation of the Council on Counteracting Harmful Tax Competition del 9 Ap rile 1998” e la ”Recommendation of the Council on Implementing the Proposals contained i n the 1998 Report on Harmful Tax Competition del 16 Giugno 2000”. • le "raccomandazioni" di cui all'art. 5(a) della Convenzione istitutiva dell'Ocse, firmata a Parigi il 14 dicembre 1960, a differenza delle "decisioni” non sono vincolanti per gli Stati membri: Art. 5. En vue d'atteindre ses objectifs, l'Organisation peut: a ) prendre des décisions qui, sauf disposition différente, lient tous les Membres; b ) faire des recommandations aux Membres; c ) conclure des accords avec ses Membres, des Etats non membres et des organisations internationales. Il G-20 del 2009: todos caballeros? • L’Ocse, a richiesta del G-20 del 2009, ha modificato la precedente “lista nera”, suddividendola in tre liste: nera, grigia e bianca. Nella lista nera sono rimasti solo in quattro: Costa Rica, Uruguay, Filippine, e l’isola di Labuan. “Lista Grigia”. • • • • • • • • • • Quei Paesi che non stanno rispettando le nuove norme, ma si sono impegnati a farlo: 38 in tutto. 22 ex Impero Britannico o Territori Britannici d’Oltremare: Anguilla, Cayman, Isole Vergini Britanniche, Montserrat e Tuks e Caicos nei Caraibi; le Bermuda nell’Atlantico; Gibilterra in Europa. 7 stati indipendenti del Commonwealth con ancora la regina Elisabetta II come capo dello Stato: Antigua e Barbuda, Grenada, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia e Saint Vincent e Grenadine nei Caraibi; Bahamas nell’Atlantico e Belize in America centrale. Cook e Niue, Oceania, sono stati liberamente associati alla Nuova Zelanda, che ha pure la Regina Elisabetta come capo dello Stato. Brunei e Singapore in Asia come Nauru, Samoa e Vanuatu in Oceania sono pure membri del Commonwealth. E c’è il Bahrein, nel Golfo Persico, che è ex-protettorato britannico pur senza far parte del Commonwealth. 3 stati dell’Unione Europea: Austria, Belgio e Lussemburgo. 2 territori autonomi di un altro stato Ue, i Paesi Bassi: Aruba e Antille Olandesi. 3 staterelli europei a vario titolo infilati nella compagine dell’Ue al punto da aver adottato l’euro: Andorra, Monaco e San Marino. La Svizzera più un quarto microstato con essa in unione doganale, il Liechtenstein. 4 Paesi latino-americani: Guatemala, Panama, Repubblica Dominicana e Panama. Liberia in Africa e le Marshall in Oceania. “Lista bianca” Ossia: Paesi che hanno già adeguato la propria legislazione: su 40 ben 18 sono membri dell’Unione Europea: l’Italia, Cipro, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Slovacchia, Spagna, Svezia e Ungheria. Tre Dipendenze della Corona Britannica: l’isola di Man nel Mare d’Irlanda e Guernsey e Jersey nella Manica. Più Stati Uniti, Giappone, Canada e Russia, a completare la lista del G8. Più Cina, Corea del Sud, Australia, Nuova Zelanda, Argentina Messico, Barbados, Isole Vergini Usa, Islanda, Norvegia, Turchia, Emirati Arabi Uniti, Maurizio, Seychelles, Sudafrica. La disciplina italiana: art. 127 bis DPR 917/1986 (pers. fisiche) • l'art. 127-bis, comma 4, del DPR 22 dicembre 1986, n. 917, introdotto con l'art. 1, comma 1, lettera a), della legge 21 novembre 2000, n. 342, prevede che con decreti del Ministro dell'economia e delle finanze vengano individuati gli Stati o i territori aventi un regime fiscale privilegiato; • A tal fine devono essere considerati privilegiati i regimi fiscali di Stati o territori in ragione: • del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia, • della mancanza di un adeguato scambio di informazioni • ovvero di altri criteri equivalenti; • A questi fini, e’ stata presa in considerazione la categoria dei redditi da impresa, inclusa l'imposta sul reddito delle persone giuridiche e l'imposta regionale sulle attivita' produttive. La disciplina italiana: art. 110 comma 11 del D.P.R. 917/1986 (disciplina “costi”) . • Non sono ammessi in deduzione le spese e gli altri componenti negativi derivanti da operazioni intercorse con imprese residenti ovvero localizzate in Stati o territori diversi da quelli individuati nella lista di cui al decreto ministeriale emanato ai sensi dell’articolo 168-bis. • i soggetti residenti possono procedere alla normale deduzione dei costi (sopportati in Paesi “black list”) se forniscono la prova: • - che i soggetti esteri svolgano prevalentemente un'attività commerciale effettiva; • - che le operazioni poste in essere rispondano ad un effettivo interesse economico ed abbiano avuto concreta attuazione. La disciplina Italiana: artt. 167 e 168 TUIR (“CFC”: controlled foreign companies) • Se un soggetto residente in Italia detiene, direttamente o indirettamente, anche tramite società fiduciarie o per interposta persona, il controllo di una impresa, di una società o di altro ente, residente o localizzato in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis, i redditi conseguiti dal soggetto estero partecipato sono imputati, a decorrere dalla chiusura dell'esercizio o periodo di gestione del soggetto estero partecipato, ai soggetti residenti in proporzione alle partecipazioni da essi detenute. (c.d. “tassazione per trasparenza”) “CFC” - segue • Le disposizioni del comma 1 non si applicano se il soggetto residente dimostra, alternativamente, che: • a) la societa' o altro ente non residente svolga un'effettiva attivita' industriale o commerciale, come sua principale attivita', nel mercato dello stato o territorio di insediamento; per le attivita' bancarie, finanziarie e assicurative quest'ultima condizione si ritiene soddisfatta quando la maggior parte delle fonti, degli impieghi o dei ricavi originano nello Stato o territorio di insediamento; • b) dalle partecipazioni non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori diversi da quelli di cui al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze emanato ai sensi dell’articolo 168-bis. Le Black list italiane: • D. Min. Fin. 4/05/1999 (pers. fisiche) • D. Min. Econ. 21/11/ 2001 (C.F.C. e costi) • D. Min. Economia 23 gennaio 2002 (costi) Correzioni • D. Min. Economia 27 luglio 2010 (Cipro, Malta e Lettonia in lista bianca) Dalle liste nere alle liste bianche: L. 24 Dicembre 2007, n. 244 - Finanziaria 2008 • • • Viene adottato il criterio dell' “effettivo scambio di informazioni” per l'individuazione di Stati o territori da includersi in una nuova «white list», in sostituzione del precedente criterio di esclusione del “livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia” Nuovo testo dell’articolo 168-bis del T.U. : Con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze verranno individuati gli stati o territori che consentono un effettivo scambio di informazioni con l’Italia E’ però previsto un periodo transitorio di cinque anni, atto soprattutto a “stimolare la stipula di nuove convenzioni, la modifica di quelle esistenti o, infine, a dare impulso all'adesione di nuovi Stati alla convenzione sull'assistenza reciproca in materia fiscale”; durante la fase transitoria viene però mantenuta la disciplina “black list”. La prassi: Risoluzione n. 388/E del 19 dicembre 2002 dell’Agenzia delle Entrate • Lo schema della holding pura in HK è stato ritenuto da subito come “elusivo” giacchè la mera partecipazione azionaria non costituisce “attività commerciale”. La prassi: Risoluzione n. 191/2007 dell’Agenzia delle Entrate • Holding “pura” in Hong Kong, partecipante a società cinese operativa: • L’Agenzia ha ritenuto che l’effetto elusivo non sussistesse, dato che la Cina non è nella “lista nera” e con essa intercorre un accordo contro le doppie imposizioni secondo il modello OCSE (Accordo contro le doppie imposizioni siglato a Pechino il 31 ottobre 1986, ratificato con Legge 31.10.89, n. 376 in G.U. s.o. n. 274 del 23.11.89, dove si contempla lo scambio di informazioni - art. 26; ma questo accordo non si applica alla Regione Amministrativa Speciale di Hong Kong, ne' al territorio di Macao). La prassi: Circolare n. 51/E dell’Agenzia delle Entrate • Il par. 3 della circolare 51/E del 2010 definisce l’ambito geografico del radicamento necessario per la disapplicazione della disciplina CFC in modo slegato dal territorio geografico: “In ultimo, si fa presente che il “…mercato dello stato o territorio di insediamento” non coincide necessariamente con i confini geografici del Paese o territorio in cui la partecipata ha sede: in determinate fattispecie, infatti, la valutazione del “mercato” rilevante della CFC va necessariamente estesa all’area geografica circostante, legata allo Stato di insediamento da particolari nessi economici, politici, geografici o strategici (c.d. area di influenza della CFC)”. Le norme sovraordinate: U.E. La Corte di giustizia CE ha emesso due celebri pronunzie significative in tema di elusione fiscale: Dapprima la sentenza del 17 luglio 1997, C-28/95 (Leur Bloem), affermandovi, però in modo incidentale, che la nozione di “valida ragione economica” - ai sensi della Direttiva 90/434/CEE, art. 11 - deve essere interpretata nel senso che essa trascende la mera ricerca di una agevolazione puramente fiscale. Successivamente, con la sentenza 12 settembre 2006, procedimento C‐196/04, (Cadbu ry Schweppes) si è detto, più specificamente, che: “Gli artt. 43 CE e 48 CE devono essere interpretati nel senso che ostano all’inclusione, nella base imponibile di una società residente in uno Stato membro, degli utili realizzati da una società estera controllata stabilita in un altro Stato allorchè tali utili sono ivi soggetti ad un livello impositivo inferiore a quello applicabile nel primo Stato, a meno che tale inclusione non riguardi costruzioni di puro artificio destinate ad eludere l’imposta nazionale normalmente dovuta. L’applicazione di una misura impositiva siffatta deve perciò essere esclusa ove da elementi oggettivi e verificabili da parte di terzi risulti che, pur in presenza di motivazioni di natura fiscale, la controllata è realmente impiantata nello Stato di stabilimento e ivi esercita attività economiche effettive”. Le speranze della sentenza Cadbury Schweppes Nel 2008 l’Associazione Italiana Dottori Commercialisti ha segnalato alla Commissione Europea (DG fiscalità e unione doganale) possibili violazioni della normativa europea sotto l’aspetto della “proporzionalità” delle modalità probatorie, richiamandosi alla sentenza “Cadbury Schweppes”, secondo la quale la prova di “non artificiosità” di un insediamento in paradisi fiscali deve essere possibile e non irragionevolmente difficoltosa Le delusioni della sentenza Cadbury Schweppes La Commissione ha però respinto la segnalazione con nota del 13-12009 ritenendo che “i nostri servizi, allo stato attuale, non sono in grado di identificare una violazione del diritto comunitario per quanto riguarda la procedura dell’interpello preventivo”: inoltre, la Commissione ha sospeso ogni altro approfondimento in attesa della implementazione del nuovo art. 168 bis, introdotto dalla Legge Finanziaria 2008, che sostituisce al criterio del “livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicato in Italia” quello dell' “effettivo scambio di informazioni” per l'individuazione di Stati o territori che entreranno a far parte di una nuova «white list», in sostituzione del precedente criterio della “black list”. La prova “possibile e non irragionevolmente difficoltosa”: ovvero, l’interpello • l’articolo 21 della legge n. 413 del 1991 è stato tacitamente abrogato con la soppressione del comitato consultivo per l’applicazione delle norme antielusive; soppressa l’efficacia dei relativi pareri, nonché il silenzio-assenso generato dall’eventuale inerzia del comitato stesso per oltre 120 giorni, • È ritenuto tuttora in vigore, invece, il comma 9 dell’ articolo 21 della legge n. 413, che prevede la possibilità per il contribuente di acquisire il parere dell’Agenzia delle entrate in ordine all’applicazione ai casi concreti delle disposizioni antielusive, ma con effetto opposto rispetto alla cessata disciplina relativa al Comitato consultivo: l’inerzia dell’Agenzia per oltre 60 giorni determina infatti il rigetto dell’istanza, mentre in precedenza l’inerzia del Comitato oltre 120 giorni ne determinava l’accoglimento. Interpello • Come provare l’esistenza reale della società estera con riguardo all’attività svolta? - Statuto sociale - Iscrizione al locale “registro delle imprese” - Regolamenti e delibere disciplinanti gli organi sociali, nomine e poteri - Relazione descrittiva dell’attività svolta - Bilanci pubblicati - Numero dei dipendenti - Disponibilità di locali ad uso civile o industriale - Stipulazione di contratti e utenze Interpello • Come provare l’effettivo interesse economico? - Qualità del prodotto Tempi di consegna Prezzo Termini e condizioni di pagamento Costi di trasporto • Come provare la concreta esecuzione dell’operazione? - Documentazione doganale Movimentazione di magazzino Fatture Contabilità Interpello “negativo”: rimedi? • Cfr.: Commissione Tributaria Prov. Milano sez.XIX 26.11.2004 n.242: Il parere reso dall'amministrazione finanziaria in risposta all'interpello previsto dall'art. 11 della legge 27 luglio 2000 n.212, è vincolante nei soli confronti dell'amministrazione, mentre il contribuente è comunque libero di adeguarsi a detto parere od opporsi a ogni eventuale provvedimento adottato dalla medesima amministrazione finanziaria in conformità a detto parere. Attesa la natura interpretativa del parere medesimo, esso non rientra tra gli atti impugnabili avanti al giudice tributario ai sensi dell'art.19 D.Lgs 546/92. • T.A.R. Emilia Romagna Sez.I 17.1.2005 n.47: “Non è ammissibile il ricorso alla Commissione Tributaria diretto contro un atto di interpello, rientrando tale atto in un'attività amministrativa anteriore all'instaurarsi di un rapporto tributario, il cui carattere vincolante è solo nei confronti dell'amministrazione tributaria e non nei confronti del soggetto interpellante”. Interpello “negativo”: rimedi? • Consiglio di Stato, decisione 26 gennaio 2009, n. 414: la disciplina vigente, che non contempla le risposte all’interpello tra gli atti impugnabili dinanzi al giudice tributario, “in nulla pregiudica il diritto” del contribuente “di impugnare, tempestivamente ed a tempo debito, gli eventuali atti rientranti nella previsione dell’art. 19 del D. Lgs. n. 546/92 nei quali dovesse farsi applicazione delle disposizioni antielusive il cui esonero è stato negato” • Circolare Agenzia delle Entrate n. 7/E del 2009: la risposta resa in sede di interpello non è un atto impugnabile in quanto, stante la natura di parere, al quale il contribuente può non adeguarsi, non è in alcun modo lesivo della posizione del contribuente. L’interpello è evitabile? • La prova dell’esimente può essere fornita per la prima volta anche in sede di verifica o contenziosa (v. circolare 14 giugno 2010, n. 32/E) • la mancata presentazione dell’interpello CFC soggiace alla sola sanzione per violazione formale, prevista dall’art. 11, comma 1, lettera a) del D. Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471 (omissione di ogni comunicazione prescritta dall’Amministrazione finanziaria), cioè sanzione amministrativa da euro 258 ad euro 2065. D.L. n. 40/2010 (contrasto alle frodi fiscali c. d. «caroselli» e «cartiere») • • • • • • • Con il dl 40/2010 (c.d. “Decreto incentivi”) è stato introdotto l’obbligo, per tutti i soggetti passivi IVA, di comunicare all’Agenzia delle Entrate, in via telematica, le cessioni e gli acquisti di beni e le prestazioni di servizi rese o ricevute nei confronti di operatori residenti in Paesi c.d. “black list” di cui al decreto del Ministro delle finanze in data 4 maggio 1999 ed al decreto del Ministro dell’economia e delle finanze 21 novembre 2001 La comunicazione va presentata, a decorrere dalle operazioni effettuate dall’1.7.2010, con periodicità mensile o trimestrale a seconda del volume degli scambi. L’obbligo riguarda tutti i soggetti IVA (imprese e professionisti) che effettuano operazioni con soggetti passivi che hanno sede, domicilio o residenza in uno dei Paesi c.d. “black list” individuati dai DDMM 4.5.99 e 21.11.2001. Con Decreto del 5 agosto 2010 - Min. Economia e Finanze si sono escluse: le operazioni con Cipro, Malta e Corea del Sud; le attivita' con le quali si realizzano operazioni esenti ai fini IVA, se il contribuente si avvale della dispensa dagli adempimenti di cui all'art. 36-bis del DPR n. 633/1972. Si e' esteso l’obbligo di comunicazione alle prestazioni di servizi che non si considerano effettuate nel territorio dello Stato agli effetti IVA e che sono rese o ricevute nei confronti di operatori economici aventi sede, residenza o domicilio nei Paesi black list di cui al decreto del Ministro delle finanze 4 maggio 1999 e al decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 21 novembre 2001, diversi da quelli esclusi ai sensi dell'art. 1. Si è prorogato il termine di invio dei modelli di comunicazione relativi ai periodi mensili di luglio ed agosto 2010 al 2 novembre 2010. Inconvenienti: Audizione dei tributaristi di grandi imprese Roma, Commissione Consultiva sulla Imposizione Fiscale delle Soc ietà, 19 Ottobre 2006 Con l’attuale disciplina (art. 110, commi 10 e 11 del DPR n. 917/1986) la società residente, al fine di poter dedurre i costi relativi ad operazioni intercorse con società residenti in Paesi black‐list, deve adempiere ad obblighi di natura dichiarativa e probatoria, in quanto d eve: • indicare separatamente tali costi in dichiarazione dei redditi; • fornire, su richiesta dell’Amministrazione finanziaria, la prova che l’impresa estera svolge un’ attività economica effettiva o, in alternativa, della concreta esecuzione delle operazioni e dell’i nteresse economico alle stesse L’efficacia di tale norma al fine di contrastare la localizzazione di imprese in paradisi fiscali è, q uanto meno, dubbia atteso che essa colpisce un soggetto diverso da quello estero e col quale non sus sistono rapporti di controllo. Inconvenienti: Audizione dei tributaristi di grandi imprese Roma, Commissione Consultiva sulla Imposizione Fiscale delle Soc ietà, 19 Ottobre 2006 In merito si rileva che: • quanto alla effettiva attività commerciale, sussistono difficoltà dell’impresa residente, non av ente alcun legame partecipativo con il fornitore estero, ad ottenere la documentazione necessari a; difficoltà che diventa impossibilità qualora l’impresa residente non si trovi in una posizione di forza rispetto al fornitore estero; • quanto alla prova della concreta esecuzione delle operaz ioni e dell’interesse economico alle stesse, si segnala che, sul punto, non sussiste ad oggi un orientamento univoco del Comitato consultivo per l’applicazione delle norme antiel usive. Le conseguenze negative derivanti dall’applicazione della normativa in commento pos sono essere particolarmente penalizzanti, soprattutto se confrontate col panorama normativo in ternazionale .... Le interpretazioni del – cessato - Comitato Consultivo per l’applicazione delle norme antielusive -ai fini della formazione del convincimento del Comitato, non è sufficiente a dimostrare l’effettivo interesse economico il fatto che i corrispettivi praticati all’estero siano sensibilmente inferiori rispetto a quelli nazionali, atteso che il contribuente deve comprovare la differenza tra i prezzi di vendita praticati dal fornitore estero e quelli reperibili su altri mercati tenendo in considerazione tutti i costi intermedi di cui si ricaricano progressivamente gli originari prezzi richiesti all’estero (ad esempio, il trasporto, il deposito e l’assicurazione) (Parere n. 55 del 15 dicembre 2005; Parere n. 4 del 7 marzo 2006); - ai fini della formazione del convincimento del Comitato, non è sufficiente fornire la documentazione che la controparte contrattuale, residente in paese a fiscalità privilegiata, è rappresentata da un’impresa operativa e radicata nel territorio ove è costituta, ma è necessario sottoporre dettagliatamente ad esame i contenuti economici e giuridici dell’operazione che si intende porre in essere (Pareri nn. 54 e 56 del 15 dicembre 2005); Le interpretazioni del – cessato - Comitato Consultivo per l’applicazione delle norme antielusive - ogni documento prodotto davanti al Comitato, se redatto in lingua straniera, deve essere corredato da una traduzione in lingua italiana (Parere n. 56 del 15 dicembre 2005); -costituiscono documentazione idonea a provare non soltanto il collegamento fisico della struttura del fornitore estero con il territorio dello Stato avente regime fiscale privilegiato, ma anche l’esercizio effettivo di una attività imprenditoriale nell’ambito del territorio (elvetico): - i bilanci; - la copia degli estratti catastali dai quali risulta la proprietà di locali commerciali; - il fatturato di esercizio 2003; - le fatture di acquisto e di rivendita dei beni a clienti svizzeri; - la bozza del contratto di distribuzione; - l’ elenco del personale impiegato; - le fatture passive per servizi telefonici; le fatture per servizi di fornitura di energia elettrica (Parere n. 3 del 7 marzo 2006); Le interpretazioni del – cessato - Comitato Consultivo per l’applicazione delle norme antielusive -lo svolgimento prevalente di un’attività commerciale effettiva da parte della società estera può essere comprovato da un report di informazioni commerciali fornito da un sito internet; -la rispondenza delle operazioni ad un effettivo interesse economico dell’impresa italiana può trovare consistenza nella convenienza dei prezzi praticati dalla società estera, rispetto a quelli di altri canali commerciali o ai costi che la istante dovrebbe sostenere per costruire in proprio i macchinari in questione; - la concreta esecuzione delle attività commerciali può dimostrata dalle dichiarazioni doganali, e dalle fatture (Parere n. 14 del 22 marzo 2007). Sentenza n. 194/06/08 del 22 gennaio 2008 della Commissione tributaria provinciale di Firenze "Secondo il ricorrente l'interesse economico discende dall'entità dei ricavi. Ma questo è solo un aspetto, che, come richiede la norma, va adeguatamente provato laddove nel caso di specie tale prova ha riguardato solo 3 degli 800 articoli commercializzati. Ed invero, se vi è un generale divieto di intrattenere rapporti commerciali con paesi a legislazione fiscale privilegiata l'onere probatorio, per essere esaustivo, deve riguardare anche gli altri elementi contrattuali, quali la qualità del prodotto, il prezzo praticato, le condizioni e termini di consegna. Inoltre e soprattutto, se vi è un generale divieto di rapporti commerciali con paesi denominati paradisi fiscali, cui fa riscontro una implicita liceità di rapporti con paesi a regime non privilegiato, la prova richiesta dalla legge deve riguardare la comparazione con prezzi e condizioni praticati da questi Paesi, ad esempio la Cina, che, come noto, presentano particolari condizioni di convenienza economica …". Il caso di Hong Kong Hong Kong è una risorsa per le imprese che hanno rapporti con la Cina, perché: - le restrizioni poste dalla legislazione cinese agli investimenti diretti in Cina da parte di soggetti esteri non si applicano alle società costituite secondo il diritto di Hong Kong; si possono quindi creare liberamente società controllate in Cina; - la cultura e l’operatività di imprese e professionisti di Hong Kong rende più rapida ed efficiente la conduzione degli affari. Trattati bilaterali conclusi da Hong Kong: il 7-4-2010, Mr. Chu Yam-yuen, Ministro finanziario di Hong Kong, comunicava: “Una normativa entrata in vigore nello scorso marzo permette ad Hong Kong di stipulare accordi contro le doppie imposizioni secondo gli ultimi standard dell’OCSE”. CTDAs (“comprehensive double taxation agreement”) sottoscritti prima del marzo 2010: Belgium (2003) Thailand (2005) Mainland China (2006) Luxembourg (2007) Vietnam (2008) CDTAs sottoscritti dopo il marzo 2010: Brunei The Netherlands Indonesia Hungary Kuwait Austria The United Kingdom Ireland Liechtenstein France Japan New Zealand Switzerland CDTAs conclusi ma da sottoscrivere: Czech Republic Malta Mexico Portugal Spain United Arab Emirate Quindi Hong Kong è ... ... nella “white list” dei Paesi cooperativi secondo l’O.C.S.E., avendo sottoscritto più di 12 Trattati (ad oggi 18, fra poco 24) contro le doppie imposizioni e scambio di informazioni secondo il modello O.C.S.E. (CTDAs: “comprehensive double taxation agreement”); ... ancora nella “black list” italiana in forza dell’articolo 168-bis del T.U.I.I.R.R., perché, ad onta dell’inquadramento dell’O.C.S.E. e della sua sussunzione (solo in linea di principio) in Italia, non è stato emesso alcun decreto del Ministero dell’economia con la “white list” degli “stati o territori che consentono un effettivo scambio di informazioni con l’Italia”. Ancora sulle norme sovraordinate: la Carta di San Francisco del 26 giugno 1945 Art. 38: 1. La Corte, cui è affidata la missione di regolare conformemente al diritto internazionale le divergenze che le sono sottoposte, applica: a. le convenzioni internazionali, generali o speciali, che istituiscono delle regole espressamente riconosciute dagli Stati in lite; b. la consuetudine internazionale che attesta una pratica generale accettata come diritto; c. i principi generali di diritto riconosciuti dalle nazioni civili; d. con riserva della disposizione dell’articolo 59, le decisioni giudiziarie e la dottrina degli autori più autorevoli delle varie nazioni, come mezzi ausiliari per determinare le norme giuridiche. 2. La presente disposizione non pregiudica la facoltà della Corte di statuire ex aequo et bono se le parti vi consentono. Segue Carta di San Francisco del 26 giugno 1945 I “principi generali di diritto riconosciuti”, detti anche soft laws, non costituiscono formalmente fonti del diritto internazionale, né fonti del diritto impositivo interno ma tuttavia acquisiscono a vario titolo e in varie modalità effetti giuridici. Le norme OCSE sono alle volte convenzioni in senso stretto, in quanto espressamente riconosciute dagli ordinamenti nazionali (es: concetto di “stabile organizzazione”); altre volte soft laws, in quanto enunciati di mero principio quindi senza contenuto dispositivo, ovvero comunque non espressamente adottati con atti formali di diritto nazionale. Le “tax practices” appartengono a questo secondo gruppo di soft laws. Le fonti del diritto internazionale secondo la Corte Costituzionale Corte costituzionale 24 ottobre 2007 n. 348: “Quanto detto sinora non significa che le norme della CEDU, quali interpretate dalla Corte di Strasburgo, acquistano la forza delle norme costituzionali e sono perciò immuni dal controllo di legittimità costituzionale di questa Corte. Proprio perché si tratta di norme che integrano il parametro costituzionale, ma rimangono pur sempre ad un livello sub-costituzionale, è necessario che esse siano conformi a Costituzione. La particolare natura delle stesse norme, diverse sia da quelle comunitarie sia da quelle concordatarie, fa sì che lo scrutinio di costituzionalità non possa limitarsi alla possibile lesione dei principi e dei diritti fondamentali (ex plurimis, sentenze n. 183 del 1973, n. 170 del 1984, n. 168 del 1991, n. 73 del 2001, n. 454 del 2006) o dei principi supremi (ex plurimis, sentenze n. 30 e n. 31 del 1971, n. 12 e n. 195 del 1972, n. 175 del 1973, n. 1 del 1977, n. 16 del 1978, n. 16 e n. 18 del 1982, n. 203 del 1989), ma debba estendersi ad ogni profilo di contrasto tra le "norme interposte" e quelle costituzionali”. (vedi anche, nello stesso senso, Cass. SS.UU nn. 26972/3/4/5 dell’11-112008). Le fonti del diritto internazionale secondo la Corte Costituzionale la Corte Costituzionale italiana è dunque, da un lato, restia a riconoscere come fonte di diritto di “durezza” costituzionale ex artt. 10 e 117 Cost. alcune convenzioni internazionali, ad esempio quelle della CEDU, che si ritengono sì valevoli, ma assoggettate a scrutinio di costituzionalità esattamente come le leggi nazionali ordinarie. La strada giuridica della applicazione dei criteri OCSE al caso delle liste nere passa dunque attraverso lo stretto sentiero della “ragionevolezza” ex art. 2 Cost. Eppure, secondo altre pronunzie.... - Corte giustizia CE sez. IV 15 maggio 2008 n. 414: “Tale configurazione della stabile organizzazione quale soggetto d'imposta autonomo è conforme alla prassi giuridica internazionale come delineata nel modello di convenzione fiscale elaborato dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), in particolare agli artt. 5 e 7 dello stesso. Orbene, la Corte ha già avuto occasione di constatare che, ai fini della ripartizione della competenza fiscale, non è irragionevole che gli Stati membri si ispirino alla prassi internazionale e, in particolare, ai modelli di convenzione elaborati dall'OCSE (v. sentenze 12 maggio 1998, causa C-336/96, Gilly, Racc. pag. I-2793, punto 31, e 23 febbraio 2006, causa C-513/03, van Hilten-van der Heijden, Racc. pag. I-1957, punto 48)”. - Cassazione civile sez. trib. 17 ottobre 2008 n. 25374 (“ABUSO DEL DIRITTO”) “5.3. Pur tenendo presente il valore non vincolante - sul piano normativo - del Commentario al modello OCSE di convenzione contro le doppie imposizioni, sembra assai significativo l'art. 9.5 di tale testo: "E' importante notare, comunque, che non dovrebbe essere facilmente ammesso che un contribuente diventi parte di transazioni abusive ... Un principio guida è che i benefici di una convenzione in materia di doppia imposizione non debbano essere accordati quando scopo principale per concludere determinati transazioni o affari sia quello di assicurare un regime di tassazione più favorevole e di ottenere che, in tali circostanze, questo trattamento più favorevole debba essere contrario all'oggetto e alla finalità delle disposizioni rilevanti". Prospettive? Il 10-2-2010 è stata approvata la “Risoluzione del Parlamento europeo del 10 febbraio 2010 sulla promozione della buona governance in materia fiscale (2009/2174(INI)” (scaturita dalla Relazione del deputato PD Leonardo Domenici), dove si afferma che “Singapore, Hong Kong, Macao e ad altre giurisdizioni, come Dubai, la Nuova Zelanda, il Ghana, nonché ad alcuni stati degli Stati Uniti, che non sono vincolati dalla direttiva 2003/48/CE e sono quindi un luogo privilegiato per gli evasori fiscali". La Risoluzione – benchè non vincolante - contempla, come condizione per uscire dalla black list, lo "scambio automatico di informazioni multilaterale". Prospettive? Neppure due mesi dopo, il 7-4-2010, Mr. Chu Yam-yuen, Ministro finanziario di Hong Kong, comunicava che “Una normativa entrata in vigore nello scorso marzo permette ad Hong Kong di stipulare accordi contro le doppie imposizioni secondo gli ultimi standard dell’OCSE”. Peccato che lo stesso Mr. Chu Yam-yuen poco oltre precisasse che l' “Inland Revenue (Amendment) Ordinance 2010 ... set out the information a treaty partner must provide to ensure the information requests are justified, specific and relevant". Ossia: niente “scambio automatico”, ma richieste di informazioni specifiche e motivate caso per caso. Prospettive? Il 10-11-2010 l’Associazione Italia – Hong Kong e, ed il 6-122010 Sviluppo Cina hanno inviato due lettere di protesta al Presidente del Consiglio, al Ministro dell’Economia, al Ministro degli Esteri, ed al Ministro per lo Sviluppo Economico, lamentando il serio ostacolo alla competitività delle nostre imprese nell’intercambio commerciale con Cina ed Hong Kong, a causa dell’inclusione di quest’ultima nella “Lista nera”. Il 6 aprile 2011 il Ministro dell’Economia annunzia il progetto di una fiscalità di vantaggio per l’area milanese. Diverremo un paradiso fiscale? Conclusioni Benchè i principi di inclusione nelle black list non siano da ritenersi vincolanti per gli Stati aderenti, la normativa italiana li ha assunti espressamente come proprio parametro di riferimento, ma non li ha implementati. Nelle more, costringere l’impresa italiana ad ottenere dettagliate informazioni sui propri fornitori, che non sono giuridicamente tenuti a fornirle, per evitare una presunzione di elusione, non appare rispettoso né del principio di ragionevolezza, né di quello di proporzionalità. GRAZIE!