Centro di Documentazione
Falsi Abusi e Sottrazioni di Minori
www.falsiabusi.it
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Raccomandata
Spett. le
Presidenza della Repubblica
Corte Costituzionale
Consiglio Superiore della Magistratura
Corte Suprema di Cassazione
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
Ministero della Giustizia
Dipartimento Amministrazione
Penitenziaria
Presidente Tribunale di Torino
Presidente Tribunale dei Minori di Torino
Procura della Repubblica presso
Tribunale di Torino
Tribunale di Sorveglianza di Torino
Ufficio di Sorveglianza di Cuneo
Casa Circondariale di Saluzzo
Organi di stampa
Il valore probatorio della testimonianza de relato
e il diniego di misure alternative alla detenzione
Questo documento, estraneo agli atti del ricorso, è stato menzionato
dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza della Sez. Penale I
del 14-10-2011 n. 3215, divenendo di fatto orientamento.
A tutti è noto che l’informazione e la critica di un evento non rappresentano un reato, bensì un diritto
sancito dalla Costituzione del nostro paese1, purché consistano in un dissenso motivato, espresso in
termini corretti e misurati e non assumano toni lesivi dell’altrui dignità morale e professionale e non
trascendano nel campo dell’aggressione alla sfera morale del prossimo, penalmente protetta.
Ed è proprio su questo fondamento che il firmatario della presente desidera manifestare il proprio
dissenso, quale congiunto dell’ex condannato – Filiberto – (in merito a quanto sarebbe occorso presso la
scuola materna Bovetti di La Loggia TO), sia per la condanna comminata su semplice dichiarazione de
relato, sia per la mancata concessione dei benefici previsti dall’Ordinamento Penitenziario.
È bene rammentare che il pilastro portante delle motivazioni di condanna dei due imputati si edifica
sul de relato2 della madre (Bernarda) della bambina che a dire della sentenza di 2° grado3: “Sul piano
1
Art. 21 della Carta Costituzionale.
Le dichiarazioni “de relato” non hanno forza probatoria, ma possono essere utilizzate quali “indizi”, senza assurgere al
livello di “indizi gravi”, perché abbisognano della conferma di “riscontri estrinseci che concernano specificatamente il fatto
che forma oggetto dell’accusa, essendo l’esistenza di un riscontro individualizzato postulato dal minor tasso di affidabilità di
una dichiarazione resa su accadimenti non direttamente percepiti dal dichiarante” (Cass. Sez. I – n. 5046/97). Inoltre, per
assurgere a livello di grave indizio, si deve rispettare alcuni parametri perché sia qualificato il nucleo essenziale
dell’attendibilità del soggetto e delle sue propalazioni in modo intrinseco ed estrinseco e sostenute da riscontri che ne
qualificano la gravità. L’attendibilità del dichiarante deve essere vagliata con riferimento alla sua personalità, alle
condizioni socio-economiche, al suo passato, prescindendo dal contenuto delle dichiarazioni e alla convergenza con altri
soggetti.
2
della credibilità soggettiva, unicamente ad altre considerazioni, si è fatto leva su un dato logico e
psicologico fondamentale, e cioè sulla già sottolineata capacità del genitore o del familiare stretto di
«leggere» nell’animo e nella mente del bambino e di capire perfettamente quando egli dica la verità o
la menzogna e quando simuli o provi autenticamente una certa emozione”(pag.149).
La Corte di Cassazione in merito alla denudazione della bambina avvenuta presso la Procura di Torino
il 19.10.2001, scrive4: “…era comprensibilmente ansiosa di vederle confermate in sede istituzionale
perché potessero essere vagliate nella loro attendibilità dagli esperti ed utilizzate dagli inquirenti nelle
indagini per l'individuazione dei colpevoli, il che spiega il pressing costante ed invadente sulla figlia
per indurla a riferire anche alla psicologa quanto già riferito a lei. La [Bernarda], che aveva avuto
modo di constatare personalmente i comportamenti erotizzati della figlia e che era stata destinataria
delle rivelazioni sulla partecipazione di adulti ai giochi, riteneva assolutamente incomprensibile quella
sorta di "retromarcia” della bambina. Spiegabile era quindi l'atteggiamento tenuto nel corso
dell'audizione protetta, finalizzato a convincere la bambina a riferire anche alla dr.ssa [F10] quanto in
precedenza rivelato”(p. 26).
5
Scene dell’audizione avvenuta in Procura nell’ascolto della minore “per individuare dei colpevoli”
Stante queste motivazioni si osserva che sia la sentenza della Corte d’Appello sia quella della
Cassazione non menzionano il contenuto dell’audizione protetta in cui la bambina dichiara di non
conoscere l’ex condannato (D. – Allora, ma chi è Filiberto? R. – No, tu me lo devi dire) e per di più che
i racconti le erano stati fatti dall’intervistatrice (D. – Oltre a Filiberto-(I20), chi c’era a fare questo
gioco? R. –Tu… tu… tu… tu me lo raccontavi).
6
Tenuto conto delle premesse, si evince, in assenza di prove irrefutabili7, come la Giustizia assuma a
motivazione inferenze soggettive che meglio si addicono al proprio convincimento e alla propria
3
Sent. Corte d’Appello Torino Sez. III n. 189 del 17-01-2008 presidente dr. Marco Quaini.
Cass. Sent. penale Sez. III del 1.10.2009 n. 1586 – 49432/09 presidente dr. Ernesto Lupo.
5
Per quanto concerne la pubblicazione delle immagini si rimanda al contenuto della sentenza irrevocabile emessa dal
Tribunale della sezione staccata di Moncalieri (TO) n. 244 del 22 ottobre 2009, alle disposizioni del Garante per la
protezione dei dati personali del 22 luglio 2010 e alla Carta di Treviso dell’Ordine dei giornalisti (Ved. www.falsiabusi.it
alla voce “Diritto e Giurisprudenza”).
6
Gli infanti, sia nell’audizione protetta sia nell’incidente probatorio, non confermarono alcunché di quanto dichiarato dalla
madre Bernarda durante la denudazione. Il loro silenzio fu giustificato dalla pseudo-rimozione del trauma “vissuto”.
7
Oggigiorno non esiste una sindrome specifica “da abuso” e nessuno dei cosiddetti indicatori è patognomonico, oltretutto
sono tutti aspecifici. Anche il ricorso all’esame medico non rappresenta una regola sicura per individuare un illecito, tranne
che non si sia in presenza di violente lacerazioni, radiografie, infezioni di origine virale e quant’altro che la scienza possa
qualificare in modo incontestabile. Ovvero si è dinanzi a prove inconfutabili come una videoregistrazione, un’ammissione o
testimonianza diretta, e da ultimo, un racconto libero della vittima condotto in conformità alle linee guida della Carta di Noto
o meglio quelle inglesi.
2
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discrezionalità. Se è pur vero che un minore, con tutte le condizioni suggestive e le manipolazioni cui
può essere soggetto, rappresenta la fonte primaria per la valutazione dei fatti, è altrettanto vero che le
sue dichiarazioni durante un’audizione non debbono essere travisate. Per altro verso, non sono
condivisibili le inferenze stereotipate secondo cui il minore che non professa alcunché manifesta una
rimozione del presunto trauma vissuto o, ancor peggio, vi sia stata l’imposizione del segreto e il ricorso
a minacce, elementi che costantemente aleggiano nelle sentenze, senza un preventivo riscontro.
Perlopiù, la difficoltà di comprendere il significato che cos’è la suggestione e che cosa provochi
quando è associata all’autorità, alla ripetizione, all’abitudine, all’obbedienza, all’associazione,
all’imitazione e all’assenza di volontà o raziocinio di una persona che ascolta, quest’ultima viene
portata a pensare che sia un verbo dell’intelletto, mediante una cauta insinuazione inferenziale.
L’insinuazione ha la facoltà di introdurre qualche cosa nella mente altrui in modo delicato e graduale,
instillando artificiosamente attraverso un cauto suggerimento, come possono essere dei gesti, segni,
parole, linguaggi, sensazioni fisiche… William Atkinson (1946) ci dice che quando un’idea è posta
nella mente di una persona per mezzo della suggestione vi è posta mediante l’imprimendo, l’inducendo
e l’associazione. La materia è ormai svestita dell’alone mistico e valorizzata da un punto di vista
scientifico, così come vi sono delle idee accettate dalla mente seguendo la via della logica, del
ragionamento, della dimostrazione, delle prove…, e dall’altro quella delle impressioni prodotte o delle
indotte nel cervello mediante altri metodi. Questo fa sì che si crei nella mente dell’uomo degli schemi
culturali che favoriscono sistematicamente classi concettuali pregiudizievoli, condizionando il pensiero
e allontanando qualsiasi forma logica razionale.
Se ciò è quanto accade nella realtà, è ovvio che va messo in risalto il fatto che esiste una profonda
distinzione cognitiva fra adulto e minore, di cui si deve prendere atto, in modo ineludibile. Il minore,
infatti, fino a quando non raggiunge la soglia della maggiore età, è privo di quella attenzione critica che
si frappone usualmente per opera della volontà vigilante, permettendo così all’idea di entrare nei suoi
schemi mentali indifesi e stabilirvisi, influenzando in tal modo le idee nel futuro.
Allora, se questa è la verità palese, come è possibile che la giurisprudenza consolidata dei sommi
sacerdoti del diritto sostengano in una sentenza8 che: “L'art. 499 comma terzo c.p.p. prevede che
“nell'esame condotto dalla parte che ha chiesto la citazione del testimone e da quella che ha un interesse comune
sono vietate le domande che tendono a suggerire le risposte”. A tale riguardo, vanno svolti due ordini di
considerazioni: 1) la violazione del disposto di cui all'art. 499 c.p.p., con riferimento alle caratteristiche delle
domande che devono essere poste ai testimoni, non è sanzionata da nullità, con la conseguenza che, per il principio
di tassatività vigente in materia di esame del teste condotto mediante la formulazione di domande non pertinenti o
suggestive, la suddetta violazione non determina la nullità dell'esame e, tanto meno, la inutilizzabilità, riferendosi,
tale sanzione, alle prove vietate dal codice e non certamente alla regolarità della assunzione di quelle consentite; 2)
l'inutilizzabilità della testimonianza si verifica solo allorché essa venga assunta in presenza di un divieto legislativo.
Ora, il legislatore, mentre ha vietato in modo assoluto la formulazione di domande nocive, ossia quelle che tendono a
condizionare con ogni mezzo la libera determinazione del teste, anche se poste dal giudice, ha circoscritto il divieto
delle domande suggestive a quelle formulate dalla parte che ha chiesto l'esame e da quella che ha un interesse
comune. Il divieto non vale, dunque, per il giudice, tenuto alla ricerca della verità sostanziale, e neppure per
l'ausiliario. In tale ultimo caso, l'eventuale vizio di acquisizione delle dichiarazioni effettuate dal minore non integra
un problema di utilizzabilità, ma potrà formare oggetto di gravame sotto il profilo della attendibilità del risultato
della prova a causa delle modalità della sua assunzione.”.
In un’altra sentenza9 si sostiene che: “Quando si devono esaminare le dichiarazioni di un bambino in età
prescolare (che ha scarse capacità cognitive e competenze a livello lessicale e semantico, difficoltà di memorizzare, sia a
breve che a lungo termine, e di collocare gli eventi nel tempo e nello spazio) si pone, innanzi tutto, il problema del livello
della credibilità, del suo racconto in rapporto alla sua naturale suggestionabilità. È noto come la formazione dei ricordi in
soggetti di tale età può non corrispondere a fatti accaduti per meccanismi di diversa natura quali la confusione tra realtà
ed immaginazione o processi di induzione, consapevoli o non, da parte degli intervistatori o per la tendenza ad incorporare
nel suo patrimonio mnestico informazioni ricevute. Le persone che hanno raccolto le prime confidenze possono, anche
involontariamente e con il fine di tutelare il bambino, alterare il processo di libera e genuina rievocazione del suo ricordo
con domande mal poste ed inducenti, con il suggerire l’argomento o la riposta prima ancora che il piccolo parli, con lo
8
9
Cass. Sent. n. 9157 del 8-3-2010.
Cass. Sent. Sez. pen. III n. 42406 del 17-11-2011.
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squalificare le sue informazioni, con la richiesta di ripetizione del racconto, Se ciò avviene, le parole di un bambino
possono essere il frutto di suggestioni interne o esterne che alterano il contenuto dei suoi racconti ed il significato che
attribuisce alle sue esperienze; la probabilità che una tale interferenza si sia verificata diventa maggiore se il bambino è in
tenerissima età e l’intervistatore è una figura primaria di attaccamento (come nel caso in esame). Di fondamentale
importanza è verificare l’emersione della notizia di reato per accertare come il piccolo ha esposto la sua prima confidenza,
quali sono state le reazioni e le domande degli adulti e come si è strutturato, consolidato o modificato nel tempo il racconto
del giovane narratore; ciò al fine di evidenziare se vi siano stati interventi intrusivi e manipolatori degli adulti nella genesi
della notizia di reato che possano avere creato falsi ricordi”.
Dall’esame delle due sentenze si evince che l’una conferma come l’atto della suggestione non è nullo
per l’assenza di un divieto legislativo, consentendo, perciò, al giudice di avvalersi dei risvolti negativi
della suggestionabilità, così come una vasta letteratura ha riconosciuto ripetibili e dimostrabili gli effetti
modificativi di una dichiarazione di qualsivoglia soggetto, e l’altra conferma quanto la scienza
psicologica sostiene che le confidenze di un minore ad una figura primaria di attaccamento possono
alterare il processo di libera e genuina rievocazione del suo ricordo, in particolare quando si è dinanzi
alla perpetua ripetizione e all’autorità rivestita dall’intervistatore.
Questo rivela come la giurisprudenza consolidata manifesti potenziali orientamenti verso il libero
arbitrio e la tendenza al sistema inquisitorio, nonché alla incostituzionalità delle motivazioni del potere
giudiziario nel reprimere la libertà individuale, quando si è in assenza di prove concrete e irrefutabili di
un presunto abuso sessuale nei confronti di un minore.
Perciò si può avanzare l’ipotesi di: Giudice che trovi sentenza che avrai
Oltre al fattore suggestione esiste anche una scienza del linguaggio non verbale, la quale non viene
minimamente considerata dagli operatori del diritto, che prediligono il verbale trascritto, sia per
l’assenza nei corsi di studio sia in quelli di formazione nell’apprendere le conoscenze della
comunicatività del linguaggio del corpo. Sin dal 1969 i pionieri Ekman, Friesen, Kenvin e Borg hanno
dimostrato che la comunicazione fra gli esseri umani non avviene solo attraverso la parola e l’ascolto,
ma anche mediante il corpo, assumendo posture e compiendo gesti che manifestano un forte significato
emotivo. Questo, perché le interazioni personali del mittente e del ricevente non si esprimono solo
attraverso le parole, che più delle volte non corrispondono a ciò che si pensa e si prova realmente. I
corpi degli interlocutori, inconsapevolmente o intenzionalmente, inviano “atti informativi” o “atti
comunicativi”, che il ricevente cercherà di codificare in messaggi specifici con l’ausilio della
percezione.
Tuttavia, il corpo e la mente sono una cosa sola, e la lettura del linguaggio non verbale non è
infallibile, ma comunque la comunicazione ci fornisce gli indizi più preziosi per risalire alle vere
emozioni delle persone, considerando complessi di informazioni che possono confermare o smentire la
nostra valutazione.
Dopo tutto chi cerca di nascondere i suoi veri sentimenti deve attuare un grande sforzo per controllare
i segnali non verbali del corpo. È molto più difficile che controllare la produzione verbale, bensì, anche
se questa può fare trapelare elementi più profondi mediante i tratti paralinguistici.
Questi ultimi rappresentano l’insieme del tono della voce e le variazioni che la caratterizzano, come
volume, velocità, timbro, flessione, acuti…, per migliorare la comunicazione. Le variazioni naturali di
questi tratti paralinguistici mutano il significato delle nostre affermazioni.
I ricercatori Mehrabian e Birdwhistell, così come confermato da molti altri, rivelarono in sostanza che,
nel trasferimento di un messaggio, il linguaggio visivo (non verbale) influisce per il 55%, il linguaggio
vocale (voce) per il 38% e il linguaggio verbale (le parole effettivamente pronunciate) la restante parte.
Non v’è dubbio che per garantire l’efficacia delle comunicazioni interpersonali nella vita privata e nel
lavoro è indispensabile prestar la massima attenzione (empatia) ai messaggi non verbali e quelli verbali.
Emozioni e sentimenti si manifestano principalmente attraverso i messaggi non verbali, e la ricerca ha
confermato che esistono alcune espressioni facciali che la specie umana riconosce come universali,
come ad esempio la tristezza, la sorpresa, il disgusto, la rabbia, la gioia, la paura, il disappunto.
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Nel linguaggio non verbale, pur in presenza di un sorriso, si codificano i gesti, l’aspetto fisico e la
prossemica. Tutti avvengono attraverso il contatto visivo, che solo la video registrazione e la
scomposizione delle fermo immagini (FI) possono avvalorare significativamente l’attualizzazione e
valorizzazione del contenuto delle parole, in quanto all’occhio umano per avere il senso del movimento
necessita lo scorrimento di almeno 24 fotogrammi al secondo.
La ricerca in campo psicologico ha tuttavia dimostrato che i gesti svolgono anche altre funzioni come
quelli simbolici o emblematici, illustratori, regolatori, di adattamento, autoadattitivi, centrato sull’altro o
sull’oggetto. E non da ultimo l’aspetto fisico delle braccia incrociate e la posizione che le persone
assumono quando sono sedute, ci offrono informazioni interessanti sul loro stato d’animo. Anche la
prossemica è una fonte persuasiva che interagisce con lo spazio, organizzato da confini, dalla
disposizione degli oggetti e l’informalità.
Perciò, considerando che la trascrizione dell’incidente probatorio ha un valore intrinseco del solo 7%,
mentre la restante parte è contenuta nel linguaggio non verbale e nel paralinguaggio della
videoregistrazione, si evince come da un lato il sistema giustizia risulta carente circa le conoscenze sul
comportamento umano dell’adulto e dall’altro sia incline a banali errori di valutazione nel considerare il
de relato come indizio grave e concordante, non considerando il valore della scomposizione di un
qualsiasi video e non in fermo immagini di un’audizione protetta, incidente probatorio o testimonianza,
così come realizzati dal Centro Falsi Abusi, che rappresenta il 93% delle reali informazioni. Se tutto ciò
fosse stato esaminato con particolare dovizia dalla Corte Suprema di Cassazione, e non solo il contenuto
degli atti (compreso la scomposizione del video in fermo immagini), si sarebbe potuto rilevare che le
dichiarazioni della madre non erano veritiere (così come confermato successivamente dalla medesima),
e come la bambina ha sostenuto di non conoscere l’ex condannato.
In un mondo in cui l’informazione incontra sempre nuove barriere, la capacità di gettare un ponte per
la comprensione reciproca rappresenta un compito di crescente importanza e difficoltà nel cosmo della
Giustizia; perché non ci si avvale di tali ricerche? La vera comunicazione richiede fiducia, integrità ed
empatia, perché la Giustizia deve resistere con i suoi proseliti, senza aprire le porte alla scientificità?
Il grande scopo dell’istruzione non è la conoscenza, bensì l’azione - Herbert Spencer.
Se davvero c’è un segreto del successo, sta nella capacità di cogliere il punto di vista degli altri e
vedere le cose dalla loro angolazione come anche dalla propria - Henry Ford.
Il libero convincimento rappresenta l’alternativa ai dati di fatto, poiché implica il rifiuto delle regole
che vincolano la dimostrazione pratica dell’evento. Nell’ottica processuale, invece, significa il rifiuto
delle regole normative che vincolano il giudice nella valutazione del dato probatorio. In entrambi i
casi si è dinanzi a una presa di posizione soggettiva che lede gli interessi dell’individuo, quando non ci
si avvale di prove o la facoltà di dimostrare concretamente la ripetibilità di un assioma.
Il fatto è una posizione oggettiva dell’accertamento probatorio e prerogativa dei contendenti e alla
prova si giunge, tuttavia, attraverso una rigorosa attività procedimentale, che si avvia con
l’individuazione del tema probatorio ricostruito dalle parti. Pertanto alle parti grava l’onere di
indicare i fatti e l’ammissione dei mezzi di prova di cui intendono avvalersi (art. 493 c.p.p.).
Al giudice viene assegnata la cognizione fattuale, che, peraltro, rimane condizionata dalle iniziative
delle parti, avvalendosi degli spazi di intervento previsti dal sistema, estendendo l’oggetto dell’attività
istruttoria nel rispetto dei limiti fissati dal legislatore (art. 188 e 189 c.p.p.), attraverso gli strumenti
suppletivi ad integrare i dati cognitivi ritenuti necessari per una compiuta ricostruzione dei fatti su cui
verte il giudizio (art. 507 c.p.p.). Ciò consente la formulazione di un giudizio positivo o negativo sulla
sussistenza del fatto da accertare, che il giudice pronuncia sulla base degli elementi conoscitivi
ricavati da fonti di prova oggettive, compulsate in dibattimento attraverso gli strumenti normativi
previsti a tal fine dal codice. Il fatto negativo di una asserzione motivazionale fattuale è che il giudice
ha sempre la possibilità di credere oppure no ad una fonte di prova rispetto ad un’altra, senza il
condizionamento di effetti normativi prefissati o di leggi scientifiche ripetibili. Questo, in altre parole,
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significa evidenziare, in sostanza, che il libero convincimento non rappresenta un “criterio positivo di
decisione”, capace, cioè, di orientare il giudizio sulla quaestio facti, ma equivale semplicemente al
rifiuto del sistema delle prove legali.
Un modello accettabile di libero convincimento lo è, allorquando il conoscere giudiziale gli
conferisce una forte impronta di garanzia di una scelta fra due prospettazioni in contesa degli
argomenti che la sorreggono sia delle ragioni che suggeriscono il rigetto della tesi contrapposta,
all’esito di un giudizio ispirato ai canoni dell’oralità, dell’immediatezza e del confronto dialettico tra
le parti.
Quando, invece, il convincimento sottosta alla logica inquisitoria e non alla verità del contraddittorio
di due avversari e/o alla verifica delle prove scientifiche dimostrabili, ma è generata dalla mente del
giudice, il principio assume tutt’altra valenza, divenendo espressione di un potere che tende sovrastare
i diritti individuali, perché finalizzato alla prioritaria tutela delle istanze di difesa sociale. Un classico
esempio possono essere le fattispecie dei casi di presunte violenze sessuali di minori, in cui l’organo
giudicante non si attiva nella ricerca dell’esistenza di prove irrefutabili, ma, bensì, si rifà alle teorie
psicologiche indimostrabili come possono essere il trauma, lo stress, le rimozioni o il de relato.
Questo perché il giudice, spesso e sovente, colma le inevitabili lacune dell’ordinamento, talvolta,
facendo ricorso a valutazioni di carattere etico-politico o mitopsicologiche a impronta arbitraria, anche
se in realtà non dovrebbe, per evitare il condizionamento dell’esercizio della funzione giurisdizionale.
Tuttavia la discrezionalità sottesa all’applicazione delle norme giuridiche non deve ingenerare
equivoci sulla natura di tale attività, che non può essere assorbita al libero giudizio dei dati probatori.
In altri termini, la discrezionalità del giudice resta confinata nell’alveo dell’ordinamento giuridico,
costituito dalle norme legislative, mentre il libero convincimento deve solo orientare il giudicante
nella ricostruzione di fenomeni empirici, attraverso regole per lo più ricavate dall’osservazione
dell’esperienza concreta e non da inferenze psico-giuridiche provenienti da sensazioni trasformate in
pregiudizi.
Purtroppo, si evince, dalle sentenze dei casi di presunta violenza sessuale su minori che la realtà è
tutt’altra, in cui l’aspetto argomentativo considera e orienta il libero convincimento verso un modo
unidirezionale, considerando solo alcune epistemologie e non altre, allineandosi, nella quasi totalità, ai
principi della Suprema Corte di Cassazione che affermano in modo non equivocabile principi di
comportamenti umani del tutto discutibili e antiscientifici. Questo accade tutte le volte che si esclude
il metodo argomentativo delle parti (anche solo una di esse) o dei criteri scientifici reiterativi,
preferendo le proposte ideologiche che veicolano messaggi giuridici fuorvianti.
Nel caso di specie si assiste a due liberi convincimenti opposti, in cui trova riscontro la lungimiranza
della sentenza di primo grado, sconfessando i due successivi giudizi, senza che l’ordinamento abbia
dato seguito alle dichiarazioni non veritiere dell’accusa e discolpato l’ex condannato.
Si rammenta, altresì, che le opinioni nell’ambito delle discipline psicologiche e psichiatriche sono
totalmente divergenti da rendere impossibile per il giudice pervenire a conclusioni univoche, con il
pericolo che – in una situazione di indeterminatezza – la decisione sia presa sulla base del maggiore o
minore grado di popolarità e di accettabilità delle idee diffuse sul presunto abuso10. Per esistere ragione,
l’abuso dovrebbe avere un’autonoma esistenza psicologica, e dare risultati “indipendentemente da
eventuali soggettività o manipolazioni esercitate sull’abusato”.
Così come la testimonianza de relato non riferisce fatti noti, bensì per sentito dire, qualificando un
sapere privo del necessario riscontro e sostanziando attraverso la verifica dibattimentale della fonte
originaria un valore probatorio non previsto dalla legge.
Perlopiù, la prova testimoniale costituisce sì un momento essenziale nella ricostruzione del fatto
processuale, purché non sia deformata dalle inevitabili distorsioni dei meccanismi percettivi, dalle
10
Identica analogia fu espressa dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 96 del’8 giugno 1981 dichiarando illegittimo
l’articolo 603 c.p. (plagium)
6
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interferenze dei processi mnestici, dai pregiudizi, dagli stereotipi, da ombre sfocate inattendibili e dalle
pseudo teorie psicologiche che credono – attraverso una letteratura soggettiva – di poter individuare un
abuso dai disagi, dai comportamenti sessualizzati, dal basso rendimento scolastico, dagli stati emotivi,
dagli incubi notturni..., in quanto trattasi di fattori “neutri”.
Dopo tutto sostenere, per quanto esposto, che la “compatibilità” e l’”attendibilità” siano giustificativi
di prova a restrizione della libertà individuale, significa, a modesto parere, ammettere indirettamente, da
un lato il venir meno di un senso di responsabilità sostanziato dall’assenza di riscontri concreti del fatto,
dall’altro valorizzare un pensiero soggettivo psicologico dei luoghi comuni della mito psicologia
popolare, di un assioma interiore mancante di evidenza logica, razionale e critica verso il sentito dire o
la schematizzazione di un pettegolezzo. Oltretutto, i professionisti della salute mentale11 non sono
giustificati nell’eludere le ricerche scientifiche in campo psicologico, come gli effetti della suggestione,
del linguaggio del corpo, del paralinguaggio e quant’altro esposto, offrendo, eventualmente, a terzi
conclusioni soggettive da assurgere a fonte motivazionale alla limitazione della libertà altrui.
Orbene, si richiama l’attenzione degli operatori della Giustizia nel considerare che la madre della
bambina – querelando l’autore di un opuscolo contenente l’audizione protetta che la Corte d’Appello ha
posto come base per dare credito in sentenza al de relato (p. 68-69) – ha dichiarato: “Come falso tutto
ciò che era scritto su quel documento…” 12
L’atto di contraddire “Come falso…13”il contenuto delle immagini e dei dialoghi dell’audizione
protetta, che si allega14, non fu un episodio isolato, bensì l’inizio di un prosieguo di dichiarazioni
estrinseche ed intrinseche testimoniali illogiche contro l’autore del documento, utilizzabili da sole per
dimostrare come il propalante si imponga come fonte non affidabile, sia a sostegno dell’atto di
diffamazione sia per essere divenuto pilastro portante di responsabilità del presunto reato attribuito al
congiunto, perlopiù sconfessate durante il dibattimento. Anche il teste15 citato da Bernarda ricusò le
ammissioni che la stessa espose in querela. Da ciò si evince, in modo inequivocabile, come la mamma
della bambina possa essere ritenuta non attendibile. Oltretutto, se a dire di Bernarda (sotto giuramento)
i fotogrammi e i dialoghi erano falsi, tutto ciò potrebbe significare per rigore, coerenza e affinità di idee
che lo fossero anche prima e non per l’atto della pubblicazione. Fatto è che la sentenza di assoluzione in
1° grado dell’autore del libretto divenne irrevocabile. Ed è la lettura di questa sentenza irrevocabile ad
offuscare la descrizione ideologizzante della genitrice esposta in sentenza di condanna di Filiberto di
2°grado al punto 10 dal titolo: “Sintesi conclusiva in punto di responsabilità”.
La non sincerità delle dichiarazioni, evincibili dagli atti dell’interrogatorio dinanzi al Giudice
monocratico di Moncalieri, giustifica la lungimiranza delle motivazioni della sentenza di 1° grado16 –
che assolse gli imputati perché i fatti non sussistono – quando affermò: “Va in primo luogo però
osservato che in realtà le prime dichiarazioni dei piccoli sono conosciute al processo solo nella forma
de relato delle dichiarazioni a loro volta rese dai genitori. Dichiarazioni quindi a cui, rispetto al tema
di prova, non può certo attribuirsi il valore probatorio della testimonianza diretta vera e propria, ma
solo una efficacia indiziante, anche se intensa, siccome riconosciuto dalla giurisprudenza prevalente.
Rispetto a tali fonti orali, il problema della genuinità delle dichiarazioni dei minori si confonde e si
11
Psicologi e neuropsichiatri dei servizi sociali, nonché Giudici onorari come nella fattispecie.
L’autore dell’opuscolo si è avvalso del legittimo diritto di critica, riconosciuto a chiunque, nel manifestare il proprio
dissenso verso un procedimento dell’Autorità Giudiziaria, che non condivide in particolare per quanto concerne la
denudazione della bambina (ritenuta un atto di buonafede). Perciò non può essere attribuito in alcun modo un processo di
integrazione analogica per sostenere che la genitrice sia stata indotta a professare che la pubblicazione e il contenuto del
libretto fosse “Come falso…”.
13
Il Giudice monocratico di Moncalieri scrive in sentenza: “I fotogrammi e i dialoghi che vi sono riprodotti sono tratti
effettivamente dall’audizione della minore [Geltrude], disposta dalla Procura di Torino nell’ambito del procedimento
penale…”.
14
Divulgativo dal titolo “Osare la sfida della procura per difendere i bambini”.
15
Per teste ci si riferisce ad un edicolante del paese.
16
Sent. del 31 marzo 2004 GUP dr.Bevilacqua
7
C.d.f.a.s.m.
12
sovrappone con quello della genuinità della fonte che ha ricevuto le dichiarazioni, nonché con il
modo con cui sono state assunte ed ottenute le rivelazioni dei piccoli17 (pag. 24) – Circostanza che
non permette certo di affermare con sicurezza una reale autonomia delle due fonti, sicché l’una possa
essere considerata conferma dell’altra, in una situazione in cui possa essere valutata la reale
convergenza di due diversi narrati” (p 27).
Non v’è dubbio che i consanguinei e l’ex condannato non potranno che ribadire con maggiore
determinazione l’errore giudiziario, stante quanto avvenuto dopo la sentenza della Corte d’Appello,
sostanziando che la condanna si fonda esclusivamente su una pseudo-verità processuale e non sulla
verità del fatto storicamente non verificatosi, per l’assenza di idoneità delle “prove” raccolte a
contribuire alla validità della prova d’accusa.
Ecco che allora il contenuto del dispositivo di diniego di benefici penitenziari, che fonda la
motivazione sul fatto che l’ex condannato non ha rivisitato il presunto reato commesso, trova sostanza
in quanto esposto. In particolare si osserva che se le motivazioni di una sentenza sono supportate da
inferenze psico-giuridiche, non si vede come la legge, che richiede la prova oltre ogni ragionevole
dubbio, non debba essere abrogata e il tutto rimesso alla soggettività dell’operatore della giustizia.
Perlopiù, il fatto stesso di fondare una condanna sul de relato di un parente stretto di cui non si
possono riscontrare elementi concreti a supporto dell’accusa (come ad esempio il luogo, il periodo, i
testimoni…) e non da ultimo trascurare le dichiarazioni della minore che non conosceva l’imputato, che
i racconti di ciò che avrebbe dovuto professare erano stati resi dall’intervistatrice e a maggior ragione a
distanza di un anno dalla condanna della Corte d’Appello assistere a un’antitesi di un’audizione protetta
– fa evincere che la dichiarazione de relato non solo non rappresenta un “grave indizio” ma è in
aggiunta una fonte incostituzionale. Oltretutto, la dichiarazione indiretta crea un disallineamento con i
principi della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).
Allora risulta evidente come un innocente e i suoi congiunti – dinanzi a fatti in cui la fonte primaria di
accusa rettifica sotto giuramento ciò che prima era divenuto l’origine per eccellenza su cui fondare la
restrizione della libertà di un individuo – non possano che rimarcare con forza la propria estraneità agli
addebiti contestati e di essere stati vittime di un sistema giustizia incline alle ricostruzioni filosofiche –
psicologiche - giuridiche (come il de relato), piuttosto che alla ricerca della verità attraverso prove e
riscontri, per fugare ogni ragionevole dubbio.
Pensare di collaborare con la giustizia per ammettere un reato non commesso e per di più disdetto da
chi avrebbe raccolto le prime dichiarazioni della minore, non solo viola la Carta Costituzionale ma è
privo di qualsiasi elemento positivo. Perciò, leggere l’inammissibilità di una richiesta di benefici
previsti dall’O.P. per non aver: “collaborato con la giustizia, professarsi innocenti, ritenersi vittima di
un errore giudiziario, la mancanza di una revisione critica del reato per accedere ai benefici
penitenziari e da ultimo zone d’ombra relative ai diversi episodi di violenza sessuale18”, induce
chiunque a evidenziare altri profili. Fra le tante osservazioni critiche che si possono fare sulla c.d.
“confessione postuma”, dinanzi a condanne su de relato e/o inferenze psico-giuridiche prive di
concretezza probatoria, giova ricordare come sia anomalo, in primo luogo, avallare l’operato della
giustizia confermando le illogicità delle motivazioni che reggono la pena inflitta non oltre ogni
ragionevole dubbio, in secondo luogo, prospettare al colpevole l’interesse a sottostare in maniera
compiacente all’offerta di benefici penitenziari, giustificando, nel frattempo, verso l’esterno la funzione
rieducativa del carcere e il recupero del recluso. Se il professarsi innocenti sostanzia la preclusione dei
benefici della semilibertà dell’affidamento in prova al servizio sociale, tutto ciò, da un lato, risulta una
17
Capoverso concettualmente analogo a quello espresso dalla sentenza di Cassazione a pag. 4 (42406/11), con la sola
variante temporale (7 anni dopo). Questo che cosa sostanzia: arbitrarietà, inquisizione o incostituzionalità?
18
Disposizioni contenute nell’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Torino del l’8 febbraio 2011 – Presidente dr. G.
Cocilovo, giudice estensore M. R. Falcone.
8
C.d.f.a.s.m.
violazione dei diritti costituzionali, dall’altro sottolinea come le istituzioni non abbiano assolto al loro
compito nella ricerca della verità.
Purtroppo, ancora una volta, si deve prendere atto che le motivazioni di una sentenza o di un diniego
di benefici sono interpretate dalla giustizia e dalla giurisprudenza come parametro soggettivo circa
l’applicabilità o meno, a fattispecie concrete, delle norme del diritto positivo.
A sostanziare la soggettività della giustizia e l’incostituzionalità degli atti, merita richiamare il fatto
che la coimputata già dal mese di dicembre 2010 aveva ottenuto il beneficio previsto dalla legge19,
mentre per Filiberto il Collegio giustificò il proprio operato ritenendo che il precedente non avesse
preso in esame la questione di inammissibilità, come invece autonomamente nel caso di specie è stato
fatto dall’Ufficio di sorveglianza di Cuneo, che sulla base di ciò non aveva già concesso permessi
premio. Rimanendo in tema, merita citare il contenuto della relazione di sintesi redatta dagli operatori
dell’Istituto penitenziario, che hanno seguito per un intero anno il detenuto, “esprimendo parere
favorevole all’ammissione a misure alternative, adducendo il fatto che il soggetto si è sempre
proclamato innocente ed estraneo al reato e dal punto di vista disciplinare ha mantenuto un
comportamento estremamente corretto e conforme alle regole interne”.
Tutto ciò premesso, si evince un’illegalità (stante gli atti) nei confronti del recluso e dei congiunti, sia
per l’ostinazione d’innocenza in merito ai fatti addebitati, sia per la divulgazione sul territorio nazionale
dell’inefficienza del sistema giustizia sui presunti abusi. Per di più, gli operatori del diritto rifiutano la
ricostruzione giuridica definitiva di una sentenza, a tal punto che il magistrato di sorveglianza di Cuneo
ha omesso20 di concedere i benefici di legge dell’art. 54 dell’O. P., costringendo il ristretto a rimanere in
carcere oltre i termini previsti dalla norma citata, con un’ordinanza di diniego e una motivazione priva
di una valutazione di merito. L’illogicità del sistema Giustizia vuole, poi, che il giudice estensore di
questa pronuncia (omissione) fosse il presidente del collegio che ha negato la semilibertà, il cui
estensore (semilibertà) era il magistrato di sorveglianza che ha omesso i benefici.
Oltretutto, il ricorso per Cassazione per i mancati benefici previsti dall’O.P. ha dato ragione al
ricorrente. La Suprema Corte 21 ha annullato il provvedimento del Tribunale di Sorveglianza di Torino,
sostenendo la mancanza di motivazione circa il fatto che nella sentenza della Corte d’Appello
sussistessero delle lacune ed incertezze dei fatti, da divenire ostative alla concessione dei benefici, così
come non si poteva invocare l’ipotesi dell’assenza di collaborazione (per rigetto della condanna), perché
il legislatore non ha inserito alcun riferimento limitativo.
Allora, quale fine si cela dietro a questo comportamento di non responsabilità? Forse anche questi
sono atti di buonafede? Non sarebbe, forse, opportuno per una maggiore trasparenza e positività del
sistema “Giustizia”, che stante il resoconto, ci fosse una pubblica giustificazione da parte di quanti si
occuparono del caso di Filiberto? Queste sono solo alcune delle domande che meritano una risposta,
perché non possono essere agiti giustificabili “In nome del Popolo Italiano”.
La letteratura di merito ci conforta nel dire che la tipica procedura inferenziale giuridica passa
necessariamente attraverso il trasformarsi della sensazione in percezione, che congiunta con i propri
schemi mentali muta in un giudizio. Se a ciò si aggiunge il fatto che la suggestione di qualsiasi essere
umano transita attraverso le emozioni e i sentimenti, che a loro volta diventano delle abitudini, facendo
nascere in tal modo l’idea, si arriva a capire come quest’ultima consenta alla mente di raffigurare il
mondo. In sostanza John Locke sostenne che la verità è assenso, cioè non dimostrazione logica, ma
concordanza tra le idee della mente.
19
L’istanza al Tribunale di sorveglianza per i benefici previsti dall’O.P. è stata presentata allo scadere dell’anno di
osservazione da entrambi i reclusi, fissando per una la camera di consiglio e l’affidamento in prova al servizio sociale già a
dicembre 2010, mentre per il detenuto di Saluzzo a febbraio dell’anno successivo precludendogli ogni misura alternativa.
20
Così si è espresso il Tribunale di sorveglianza di Torino, dopo che il recluso ha subito giorni di inutile carcerazione,
nell’accogliere il ricorso del ristretto dopo la sua libertà naturale, alla pari di una vittoria di Pirro
21
Cass. Sez. Penale I - Sent. n. 3215 del 14-10-2011 - Rev. 39139/11 Pres. U. Giordano, estensore Capozzi.
9
C.d.f.a.s.m.
Allora, se consideriamo debitamente quanto poc’anzi espresso, è evidente una congiunzione di
pensiero nel rilevare che dai magistrati d’Appello a quelli del Tribunale di sorveglianza vi sia stato un
giudizio cortocircuitato con la realtà dei fatti, giustificato dal fatto che la Giustizia è un sistema di
pensiero, a cui non è possibile attribuire errori.
Di fatto, se osserviamo il caso di merito, si denota quanto segue:
1. La condanna è avvenuta su dichiarazioni della madre (de relato) che avrebbe raccolto le prime
dichiarazioni della figlia dei giochi sessuali, che avvenivano nei bagni del cortile della scuola
materna, durante l’intervallo del dopo pranzo e con la vigilanza di tutte le insegnanti
dell’istituto, attribuendoli in realtà a soli due imputati in luoghi diversi;
2. La madre ha la capacità di distinguere quando una figlia racconta la verità o la menzogna;
3. La denudazione, in Procura, della bambina avviene per dimostrare agli esperti l’accaduto,
ancor prima del contraddittorio, anche se la minore afferma di non conoscere l’imputato e i
racconti erano professati dall’intervistatrice;
4. La madre della bambina, dopo la pubblicazione in profilo critico delle presunte dichiarazioni
della minore alla genitrice, ritenute fonte di condanna per il sistema Giustizia, arriva ad
asserire “Come falso tutto ciò che era scritto su quel documento…”
5. Il magistrato di sorveglianza di Cuneo, relatore della Camera di consiglio scrive il suo giudizio
sul recluso sostenendo che: “…professarsi innocenti, ritenersi vittima di un errore giudiziario,
la mancanza di una revisione critica del reato per accedere ai benefici penitenziari e da
ultimo zone d’ombra relative ai diversi episodi di violenza sessuale”, non concesse la
semilibertà;
6. Il magistrato di sorveglianza omette di concedere la libertà anticipata, pur essendovene i
presupposti di legge, con un’ordinanza di diniego e un rimando di motivazione priva di una
valutazione di merito.
A giustificazione di quanto esposto circa il disconoscimento dei fatti condanna sul de relato si allega il
fascicolo dal titolo “Osare la sfida della Procura per difendere i bambini”, con la scomposizione delle
immagini22 dell’audizione protetta e le affermazioni salienti della non attendibilità della madre,
pronunciate in tutta libertà dinanzi al Giudice di Moncalieri e inserite nella trascrizione
dell’interrogatorio. Perlopiù, se è stata data sostanzialità alla deposizione di Bernarda dinanzi al collegio
della Corte d’Appello che ha comminato la condanna, altrettanto rilievo deve avere la sua smentita,
quale testimonianza atipica nella ricostruzione del fatto processuale per confermare la postuma
estraneità del recluso.
Per ulteriori riflessioni sulla non condivisibilità dei metodi adottati per condurre un’investigazione in
caso di presunto abuso sessuale di minori si può far riferimento alla Carta di Noto e alle linee guida
inglesi23 e da ultimo gli approfondimenti del Consiglio Superiore della Magistratura24,.che
testimoniano, nel caso di specie, di come sia venuta meno la buona fede.
In conclusione si evince dall’esame degli atti del procedimento riguardante l’evento come la
valutazione di un fatto sia estremamente connessa al convincimento e alla discrezionalità dell’operatore
della giustizia, indipendentemente che vi siano fatti tangibili, e come un’affermazione indiretta (de
relato) sia fonte di prova irrefutabile per giustificare la restrizione della libertà individuale di qualsiasi
essere umano. Quello che fa specie nei casi di presunto abuso, in assenza di prove irrefutabili, è che una
22
La scomposizione dell’audizione protetta in fermo immagini rivela quanto esposto circa suggestionabilità, il linguaggio
non verbale, il paralinguaggio e il libero arbitrio del giudicante, anziché il libero convincimento afferente al tema probatorio
ricostruito dalle parti.
23
Memorandum of Good Practice on Video Recorded. Interviews with Child Witnesses for Criminal Proceedings, 1992
(vedi www.falsiabusi.it ).
24
Approfondimenti o linee guida del C.S.M.dal titolo “L’ascolto dei minori in ambito giudiziario” (vedi www.falsiabusi.it).
10
C.d.f.a.s.m.
sentenza possa essere motivata in mille modi diversi, assolvendo o condannando. Questo sarà uno degli
impegni che ci si prefigge nel dimostrare come gli stessi atti possano essere valutati e considerati nella
più ampia formula del ragionevole dubbio, e come una perizia psicologica che esprima compatibilità
verso un evento sia foriera e pregiudizievole.
Per di più, da un attento esame degli atti processuali, sia del recluso sia del congiunto circa
l’operatività degli organi della giustizia, si evince un’indisponibilità al dialogo verso coloro che hanno
l’ardire di contrastare, pubblicare e criticare azioni non condivisibili delle Istituzioni (come ad esempio
la denudazione della bambina, la suggestione del minore da parte degli inquirenti, l’assenza di una
garanzia nella conduzione dell’intervista a livello nazionale...), vedendosi respinte denuncie e istanze in
difesa dell’infanzia e dei diritti dell’uomo. Ovvero essere rinviati a giudizio (e anche condannati) per
l’assenza di indagini o per l’estromissione di una locuzione da una proposizione, per dare un senso
diverso alla restante parte, sovvertendo il legittimo diritto di critica riconosciuto a chiunque.
Se da un lato è doveroso difendere i minori da qualsiasi aggressione fisica, psicologica e sessuale da
quanti hanno tendenze violente o perverse, dall’altro non è condivisibile che in alcune Procure
avvengano atti giustificati come azioni di buonafede o rappresentazioni, in sede istituzionale, di agiti di
bambini affinché gli “esperti” e gli inquirenti possano vagliarne il contenuto in simbiosi agli script o
schemi culturali esclusivi, che se commessi da un qualsiasi cittadino risulterebbero perseguibili con
pene fino a quindici anni.
Per questi motivi si rigetta la turpe condanna del consanguineo, sostenendo con vigore la sua
innocenza, combattendo gli errori giudiziari che possono emergere in situazioni analoghe e che si
palesano giustificati da agiti assurdi per il rispetto della giustizia, allontanando da chiunque l’ipotesi che
si voglia difendere i sex offender o reputarsi dei martiri.
La speranza - ultima - di questa missiva è che il suo contenuto, come da più parti prospettato, venga
valutato con saggezza e non sia fonte di giudizio e/o inferenza nel perseverare nella limitazione della
libertà.
Addì, 11 aprile 2011 – rev. 23 gennaio 2012
N.B.
Per ricondurre i “fatti” attribuiti all’ex condannato con la sentenza irrevocabile del congiunto si precisa che i nomi sono di
fantasia e giustificati nel seguente modo: Madre della bambina – Bernarda o A69; Imputato Filiberto o I20; Coimputata –
Vanessa o I10; Bambina – Geltrude o A10; Psicologa – F10.
Allegato: Osare la sfida della Procura per difendere i bambini
C.d.f.a.s.m.
11
*** Allegato ***
CENTRO DI DOCUMENTAZIONE
FALSI ABUSI E SOTTRAZIONI
DI MINORI
www.falsiabusi.it
[email protected]
Osare la sfida della Procura
per difendere i bambini
L’irrevocabilità della sentenza di assoluzione di primo grado (perché i fatti non sussistono),
avente ad oggetto la critica mossa alle modalità di intervista di una bambina durante un’audizione
protetta presso la Procura di Torino (inerente il caso della scuola materna G. Bovetti di La Loggia (TO)
e per denuncia della madre), consente di formulare diverse considerazioni. Una di queste è la presa di
posizione contro l’autore dell’opuscolo “Atti e fatti accaduti in Tribunale nell’ascolto del minore – Per
condannare degli innocenti”, che ha osato criticare (aspramente) il comportamento degli attori
nell’ascolto della minore, che viene indotta a denudarsi, affinché gli esperti e gli inquirenti potessero
valutare quanto presumibilmente fosse accaduto, facendo fede alle sole dichiarazioni della madre.
Perlopiù, l’informativa, contenente dialoghi e scene dell’avvenuto ascolto, è stata divulgata a ridosso
del dispositivo di condanna degli imputati, e successivamente oggetto di sequestro.
Questo caso è, forse, il primo a scagliarsi con una tale veemenza sul minore da porre in secondo piano
quello dell’asilo Mc Martin (noto in tutto il mondo); anche se non è il solo, in quanto esistono altri casi,
come, ad esempio, quello in cui il consulente si è fatto palpeggiare l’organo genitale da una bambina di
soli quattro anni nell’ufficio del Pubblico Ministero o quello in cui i genitori videoregistrano i figli in
posizioni osé... (Rignano Flaminio)
Se da un lato è doveroso difendere i minori da qualsiasi aggressione fisica, psicologica e sessuale da
quanti hanno tendenze violente o perverse, dall’altro non è condivisibile che in alcune Procure
avvengano atti giustificati come azioni di buonafede o rappresentazioni, in sede istituzionale, di
giochi sessualizzati perché gli esperti e gli inquirenti ne possano vagliare il contenuto, che se commessi
da un qualsiasi cittadino risultano perseguibili con pene fino a quindici anni.
L’autore della pubblicazione era certamente consapevole che prima o poi sarebbe stato perseguito
qualora avesse diffuso quanto accaduto in Procura, pur nel rispetto della norma, ma due sono le cose
inverosimili, come riportato in calce alla sentenza, una è l’interpretazione di una norma penale in senso
sfavorevole e come tale vietata dall’ordinamento positivo, la seconda l’estrapolare da un capoverso,
eludendo la locuzione che la precedeva, una frase che di per sé potrebbe essere diffamatoria se
racchiusa fra virgolette (“ ”).
C.d.f.a.s.m.
12
Altro aspetto non meno significativo risiede nel contenuto dell’art 13 del Codice deontologico dei
magistrati, in merito alla condotta del pubblico ministero nella parte che recita:
Il pubblico ministero si comporta con imparzialità nello svolgimento del suo ruolo.
Indirizza la sua indagine alla ricerca della verità acquisendo anche gli elementi di
prova a favore dell’indagato e non tace al giudice l’esistenza di fatti a vantaggio
dell’indagato o dell’imputato.
Omissis,
mentre la sentenza in calce afferma:
Sul punto, è mancato qualsiasi indagine, non essendo stato compiuto alcun accertamento
sull'identità di colui (o coloro) che ha (o hanno) creato il sito in esame, che lo gestisce e
che è autorizzato ad inserire scritti,…
Nella fattispecie, invece, si ha la sensazione che il rigore imposto dal Codice deontologico, che
caratterizza l’operato del P.M. nello svolgimento delle proprie funzioni, sia stato assorbito e consolidato
in prassi che non si rispecchiano nei principi canonici.
Anche il confronto delle dichiarazioni querelante–imputato (Allegato B), così come esposto nelle
tabelle in calce alla sentenza, pone in risalto tutta una serie di contraddizioni che vanno ben oltre la
verità, le quali non possono essere giustificate da uno stato ansioso, emotivo… conseguente alla
pubblicazione delle immagini e dei dialoghi dell’audizione protetta.
Quello che fa specie è che mentre la sentenza della Cassazione che ha confermato la condanna degli
imputati della Bovetti, così come esposto al punto 6.2:
“Risulta altresì dalla motivazione della sentenza che Bernarda, pur allarmata e
preoccupata per quanto aveva accertato e verificato personalmente e per le sollecitazioni
ricevute dalla figlia di non parlare e, comunque, dell'esistenza di una sorta di segreto intorno
a quelle pratiche, attinenti la sfera sessuale, tenne un comportamento estremamente
prudente”
in questo contesto il comportamento è tutt’altro che prudente a tal punto che la querelante viene
smentita non solo dall’imputato ma anche dal suo teste principale (Edicolante)25, oltre ad altre e
significative contraddizioni emerse durante l’interrogatorio, come ad esempio la divulgazione del nome
e dell’immagine di Geltrude, prima sostenuta e poi smentita.
E’ difficile che un soggetto manifesti, in contesti diversi, una doppia personalità, perché ciò
significherebbe possedere il dono dell’ambiguità, che non riflette certamente il nostro caso. Tutto ciò
induce a formulare il ragionevole dubbio che quanto scritto e affermato dalla Cassazione non trova
conferma nella realtà, soprattutto quando con decisione e determinatezza di tono la querelante
afferma: “Come falso tutto ciò che era scritto su quel documento…”(Opuscolo), smentendosi, a
distanza di tempo, su quanto dichiarato in audizione protetta del 19/10/2001, così come non è
sostenibile e tanto meno percorribile la strada della “favola” di uno stato traumatico o confusionale
conseguente la rivisitazione di quelle immagini.
Si evince, pertanto, che la querelante (Bernarda), sottoposta alla formula di rito dell’art. 497 c.p.p., ha
minato la sua stessa credibilità e sincerità – per essere stata smentita più volte dai testi; in
conseguenza di ciò, è ragionevole pensare che anche le dichiarazioni pronunciate dinanzi alla Corte
d’Appello (i fatti dell’opuscolo) assumono le stesse sfumature; dichiarazioni, queste, che hanno
contribuito alla condanna di due innocenti.
Inoltre, considerando che la Corte d’Appello di Torino prima e la Cassazione poi (Sen. Sez. 3 n.
49432709), hanno fondato il proprio convincimento o discrezionalità sulla capacità di una madre di
leggere nella mente della propria figlia e di distinguere la verità dalla menzogna; non si comprende, per
esempio, come in un interrogatorio sia possibile affermare: “posso rispondere come penso”, dinanzi a
25
Si rammenta che stante il fatto della scelta del rito abbreviato nel procedimento penale a carico degli imputati della scuola
materna G. Bovetti, qui si è scelto il rito ordinario, cioè interrogando la Bernarda.
13
C.d.f.a.s.m.
una precisa domanda chiusa (Sì o No), per poi ritenere la risposta fonte di prova. In futuro non
mancheranno certamente occasioni per approfondire il contenuto dibattimentale di questa sentenza
con quelle della Corte d’Appello e della Cassazione.
In tema di tutela all’infanzia, fa specie che nei tre gradi di giudizio, i cui imputati, prima assolti e poi
condannati, nessun giudice abbia preso posizione contro le modalità di ascolto della minore nella
forma documentata dalle immagini, confermando a priori e in modo indiretto, l’operato della Procura
di Torino.
Non v’è dubbio che d’ora in poi simili comportamenti, non condivisibili, potranno essere
perpetrati e giustificati in altre sedi del territorio nazionale.
A parere di scrive, si ritiene che una siffatta pronuncia non consideri il contenuto dell’art. 188 c.p.p.
nella parte che recita: Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona
interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la
capacità di ricordare e di valutare i fatti. Si tratta, infatti, di una disposizione-cardine nell’ambito
della disciplina delle prove, che si colloca nel solco della salvaguardia dei diritti inviolabili della persona
e che impone all’investigatore l’adozione di consoni protocolli operativi atti a difendere la dignità del
dichiarante.
Orbene, per quanto esposto, non v’è dubbio che l’operato e l’attenzione in difesa dei minori debba
essere rivolto, non solo nei confronti di qualsiasi cittadino, ma anche verso gli operatori delle
Istituzioni, e si invita chiunque ad unirsi per far fronte comune contro tali eventi, segnalando e
inviando al Centro falsi abusi altri casi sui generis26, commessi da organi preposti a difendere i
bambini, affinché questo sistema, così poco ortodosso nella tutela dell’infanzia, possa essere ricondotto
sulla prova provata, allontanando le teorie messianiche di alcuni professionisti della salute mentale e
degli operatori del diritto.
Li, 13 maggio 2010
26
Il materiale idoneo a valutare correttamente l’operato degli attori, utilizzando la scomposizione della testimonianza delle
audizioni protette e dell’incidente probatorio, sono i video e la loro trascrizione, congiuntamente a s.i.t. e perizie.
14
C.d.f.a.s.m.
Tribunale Ordinario di Torino
Sezione Distaccata di Moncalieri
Sentenza n. 244/2009 del 22/10/09
Estratto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Giudice monocratico, dr.ssa Silvana Podda, all'esito dell'udienza pubblica in data 22/10/09 ha
pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente
SENTENZA
ai sensi dell'art.530 CPP
nella causa penale contro
PANTERA;
difeso di fiducia avv. Stefano Lojacono del Foro di Brescia;
IMPUTATO
1) del reato di cui agli artt.81 cpv, 734 bis CP perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno
criminoso, pubblicava, senza il suo consenso, sul sito denominato www.falsiabusi.it e sull'opuscolo
intitolato "Atti e fatti accaduti in Tribunale nell'ascolto del minore per condannare degli innocenti",
allegato alla pubblicazione "Le correnti del pensiero psicologico e psichiatrico sui veri e falsi abusi",
l'immagine della minore Geltrude, parte offesa del reato di cui agli artt.609 bis, 609 ter CP nel
procedimento n. xxxx/01 RG NR Procura Torino;
2) del reato di cui agli artt.81 cpv, 595 CP, 13 L 47/48 perché offendeva l'onore e il decoro di Bernarda,
madre della minore Geltrude, affermando nell'articolo di presentazione di un filmato relativo
all'audizione protetta della minore cui aveva partecipato anche la Bernarda, pubblicato sul sito
denominato www.falsiabusi.it e sull'opuscolo intitolato "Atti e fatti accaduti in Tribunale nell'ascolto
del minore per condannare degli innocenti", allegato alla pubblicazione "Le correnti del pensiero
psicologico e psichiatrico sui veri e falsi abusi", che si esprimeva "preoccupazione e solidarietà" verso
"quei bambini che si vogliono fare credere abusati a tutti i costi e che sulla minore erano stati
commessi reati durante l'audizione ed ancora che "ogni genitore è autorizzato ad impiegare qualsiasi
metodo per far parlare l'infante, perché le sue dichiarazioni vengano considerate attendibili e credibili,
C.d.f.a.s.m.
15
anche se sono sostenute da metodi induttivi e coercitivi, con le aggravanti dell'attribuzione di un fatto
determinato e, con riferimento alla pubblicazione dell'opuscolo, di avere commesso il fatto a mezzo
stampa. Reati commessi in La Loggia e Moncalieri dal gennaio 2008 ad oggi
Con l'intervento del PUBBLICO MINISTERO in persona del VPO dr.ssa Fioccardo in sostituzione
della dr.ssa Caputo.
CONCLUSIONI DELLE PARTI
P.M.: affermarsi la penale responsabilità dell'imputato per tutti i reati ascritti, unificati sotto il vincolo
della continuazione, e condannarsi alla pena di anni 1 di reclusione ed € 400,00 di mu1ta.
DIFESA PARTE CIVILE (Bernanrda in proprio e quale esercente la potestà qenitoriale verso la minore
Geltrude): affermarsi la penale responsabilità dell'imputato e condannarsi alle pene di legge, nonché al
risarcimento dei danni cagionati alla parte civile da liquidarsi in separato giudizio con la concessione di
una provvisionale immediatamente esecutiva di complessive € 15.000,00 nonché alla rifusione delle
spese processuali sostenute dalla parte civile, come da nota scritta [Avv. Rosalba Cannone € 6.927,49].
DIFESA PARTE CIVILE (Spinello in proprio e quale esercente la potestà qenitoriale verso la minore
Geltrude): affermarsi la penale responsabilità dell'imputato e condannarsi alle pene di legge, nonchè al
risarcimento dei danni cagionati alla parte civile da liquidarsi in separato giudizio con la concessione di
una provvisionale immediatamente esecutiva di complessive € 13.000,00 nonché alla rifusione delle
spese processuali sostenute dalla parte civile, come da nota scritta [Avv.Giuseppe Del Sorbo €
8.392,82].
DIFESA: assolversi l'imputato da tutti i reati ascritti;
MOTIVI DELLA DECISIONE
All'odierna udienza dibattimentale, fissata a seguito del decreto che dispone il giudizio emesso dal GIP
presso il Tribunale di Torino, si svolgeva la discussione, al termine della quale le parti assumevano le
conclusioni riportate in epigrafe.
I fatti materiali che costituiscono l'oggetto di questo processo devono ritenersi pacificamente accertati e
sono stati ammessi dallo stesso imputato, che - come si vedrà meglio più avanti - ha negato soltanto di
aver pubblicato sul sito internet denominato www.falsiabusi.it i fotogrammi tratti dall'audizione della
minore Geltrude e di avere scritto l'articolo, apparso sul medesimo sito, nel quale si leggono le prime
due frasi contestate al capo 2).
Con riferimento al reato contestato sub 1), all'udienza 1/6/09 l'imputato, rispondendo alla domanda del
Pubblico Ministero che chiedeva per quale motivo avesse pubblicato non solo i dialoghi dell'audizione
ma anche le immagini, ha testualmente dichiarato:
"le immagini, dopo averle oscurate naturalmente, dopo avere letto cosa mi imponeva l'articolo di
non fare, le ho pubblicate semplicemente per dare forza, …cosa avviene oggi quando si
ascolta un minore"
ed ha precisato di non averle pubblicate sul sito internet, trattandosi di sito non creato da lui e di cui non
aveva la disponibilità né l'autorizzazione ad operare:
"del sito internet non posso rispondere.. non compete a me il sito internet. Non sono io del sito
internet.. non l'ho creato io il sito.. non è stato creato su mia richiesta" (cfr. pag.14 e ss. della
trascrizione).
C.d.f.a.s.m.
16
L'opuscolo in questione, intitolato "Atti e fatti accaduti in Tribunale nell'ascolto del minore - Per
condannare degli innocenti? - a cura del Pantera ", è allegato al libretto "Le correnti del pensiero
psicologico e psichiatrico sui veri e falsi abusi" ed è stato acquisito al fascicolo del dibattimento.
I fotogrammi e i dialoghi che vi sono riprodotti sono tratti effettivamente dall'audizione della
minore Geltrude, disposta dalla Procura di Torino nell'ambito del procedimento penale a
carico di Filiberto e di Vanessa per il reato di cui agli artt.81 cpv, 110, 609 bis, 609 ter c.1 e U.C., 609
octies CP, commessi in La Loggia nel corso del 2001 e comunque non oltre l'ottobre del 2001. [Vedere
allegato A]
L'audizione della minore è condotta principalmente dalla psicologa dr.ssa M. G. ed avviene alla
presenza della madre della bambina, l'odierna parte civile Bernarda.
Tranne quello della psicologa, i nomi della minore e della madre sono di fantasia, atteso che la minore è
chiamata "Geltrude" e la madre "Bernarda".
Dall'esame dell'opuscolo si evince inequivocabilmente che:
-le riprese sono effettuate dall'alto e mancano del tutto immagini ravvicinate e primi piani delle
persone presenti nella stanza;
-le immagini della bambina, della madre e della psicologa sono interamente oscurate nel volto, il
quale è celato da una macchia nera che impedisce perfino il riconoscimento del taglio e del colore
dei capelli;
-sono oscurate totalmente le parti intime della bambina.
Da tutto ciò si evince che il volto della minore non è stato affatto pubblicato, in quanto
la minore è del tutto irriconoscibile, e nessuna immagine della stessa è stata quindi
divulgata.
Così ricostruito il contesto di fatto, occorre ricordare che l'art.734 bis CP (introdotto dall'art.12 della L
15/2/96 n.66, che ha aggiunto il Titolo II bis al Libro Terzo del codice penale) tutela l'anonimato della
persona offesa e risponde al diffuso bisogno di particolare protezione della vittima dei reati di violenza
sessuale.
Il bene protetto da questa norma è, perciò, chiaramente la riservatezza dell'individuo, il suo diritto
all'anonimato.
Invero, la fattispecie incriminatrice è così costruita:
"chiunque, nei casi di delitto previsti dagli articoli... divulghi, anche attraverso mezzi di
comunicazione di massa, le generalità o l'immagine della persona offesa senza il suo
consenso, è punito".
Nel caso di specie, non vi è stata alcuna divulgazione né delle generalità né dell'immagine della persona
offesa, in quanto le generalità mancano totalmente (l'unico dato rientrante nel concetto di generalità è il
nome, che è di fantasia) e le immagini sono state oscurate a tal punto da renderle completamente
irriconoscibili.
La violazione dell'art.734 bis CP è stata, pertanto, ravvisata dal Pubblico Ministero e dalle parti civili
nella pubblicazione di dati, evidentemente esterni alle persone offese, tali da poter condurre il lettore
all'identificazione del caso concreto: numero di procedimento penale, nome della psicologa, nome del
Pubblico Ministero e del Giudice per le indagini preliminari procedenti.
La pubblicazione di tali dati, non consentita ai sensi dell'art.114 c.6 CPP (rubricato come "Divieto di
pubblicazione di atti e di immagini") e dell'art.13 DPR 22/9/88 n.448 ("Divieto di pubblicazione e di
divulgazione"), sarebbe punita anche ai sensi dell'art.734 bis CP, in quanto idonea a compromettere
l'anonimato della persona offesa coinvolta nel processo per i reati previsti dalla norma in commento.
L'operazione ermeneutica proposta dalle parti tuttavia non è legittimamente consentita.
C.d.f.a.s.m.
17
È appena il caso di ricordare, infatti, che il principio di tassatività o sufficiente determinatezza della
fattispecie penale, principale corollario del principio di legalità, impedisce di ricomprendere nella
fattispecie incriminatrice condotte diverse da quelle descritte come tipiche e di sanzionare penalmente
comportamenti non rientranti nella previsione normativa,
La norma in esame punisce la divulgazione di "generalità" e "immagini" e non prevede, come invece
fanno le norme richiamate dai rappresentanti dell'accusa pubblica e privata, "la pubblicazione di
elementi che anche indirettamente possano comunque portare all'identificazione" dei minorenni
testimoni, persone offese o danneggiati dal reato (art.114 CPP).
Né può essere attribuita rilevanza penale a tali elementi in base ad un processo di integrazione analogica
dell'art.734 bis CP, che si tradurrebbe in un'analogia in malam partem, relativa cioè all'interpretazione di
una norma penale sfavorevole, come tale vietata dall'ordinamento positivo.
A ciò si aggiunga, ma solo come corollario, che la tutela dell'anonimato della persona offesa è garantita
dall'art.734 bis CP su tutto il territorio nazionale e non soltanto in ambito locale ovvero nell'ambito
ristretto in cui la persona offesa vive e/o svolge la propria attività, ove è plausibile e comprensibile che
anche la comunicazione di pochi dati, sebbene esterni alla stessa persona offesa, possano condurre la
collettività locale a identificarla.
Nel caso di specie, la notizia era di dominio pubblico da molto tempo e ben prima che Pantera
diffondesse l'opuscolo, come i testimoni sentiti nell'istruttoria dibattimentale hanno
unanimemente confermato, cosicché sotto questo profilo la condotta del Pantera appare del tutto
ininfluente.
In ogni caso, la condotta posta in essere dall'imputato non integra la fattispecie incriminatrice ascritta
sub, 1), di cui difetta un elemento costitutivo (l'elemento materiale), cosicché dev'essere pronunciata
sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste.
Quanto al reato sub 2), è stato documentalmente provato - sulla base della stampa dello scritto apparso
sul sito internet www.falsiabusi.it acquisita al fascicolo del dibattimento) - che le seguenti frasi
contestate come diffamatorie, cioè che si esprimeva "preoccupazione e solidarietà" verso "quei bambini
che si vogliono fare credere abusati a tutti i costi" e che sulla minore erano stati commessi reati durante
l'audizione, non compaiono nel testo dell'opuscolo intitolato "Atti e fatti accaduti in tribunale
nell'ascolto del minore per condannare degli innocenti?", allegato al libretto "Le correnti del pensiero
psicologico e psichiatrico sui veri e falsi abusi", che l'imputato ha riconosciuto di avere scritto e diffuso
nel formato cartaceo.
Compaiono invece nei due periodi che precedono il testo dell'opuscolo "a cura di Pantera ", ma non è
stato accertato da chi siano state scritte, mentre l'odierno imputato ne ha respinto la paternità, ribadendo
più volte di non avere creato il sito internet, di non averne avuto la disponibilità, di non avere scritto
quelle frasi:
"del sito internet non posso rispondere.. non compete a me il sito internet. Non sono io del sito
internet" non l'ho creato io il sito.. non è stato creato su mia richiesta" (cfr. pag.14, 15 della
trascrizione).
Ed ancora, rispondendo alle domande dell'avv. Del Sorbo, difensore di parte civile Spinello, e del
Giudice ha dichiarato:
"Avvocato (A): .. in merito alla pubblicazione di questi suoi scritti all'interno del sito.. chi ha
inserito materialmente la pubblicazione all'interno del sito?
Imputato (I): non sono in grado di rispondere chi l'ha inserito.. non sono in grado di rispondere
perché non lo so .. io ho consegnato l'opuscolo, il cartaceo .. il mio scopo era semplicemente..
dare informativo come ho dato a tutti gli altri. Solo questo.
…omissis
C.d.f.a.s.m.
18
Sul punto, è mancato qualsiasi indagine, non essendo stato compiuto alcun accertamento
sull'identità di colui (o coloro) che ha (o hanno) creato il sito in esame, che lo gestisce e che è
autorizzato ad inserire scritti, fotografie, commenti propri e/o di altri, cosicché la dichiarazione difensiva
del Pantera non può essere smentita e, in assenza di prove di segno contrario, dev'essere ritenuta
attendibile con la conseguente pronuncia di sentenza di assoluzione -in relazione alle frasi sopra
riportate - per non aver commesso il fatto.
Nell'opuscolo scritto e pubblicato dal Pantera, invece, si legge sicuramente la frase "ogni genitore è
autorizzato ad impiegare qualsiasi metodo per far parlare /'infante, perché le sue dichiarazioni vengano
considerate attendibili e credibili, anche se sono sostenute da metodi induttivi e coercitivi”, ma - come
bene rilevato dalla difesa - tale frase è stata estrapolata da un contesto molto più ampio,
che vale la pena di ricordare, dovendosene valutare la reale portata diffamatoria nei confronti delle parti
civili:
"quanto proposto altro non sono che delle fermo immagini, tratte da un'audizione protetta di ascolto
di una bambina di soli quattro anni, avvenuta su disposizione verbale del Pubblico Ministero M. B. in
data 19 ottobre 2001, costretta a denudarsi integralmente e subire l'imposizione di assumere posizioni
scabrose e sessualizzate, non per visita medica, affinché gli inquirenti potessero sostenere il
presunto abuso.
Contro un simile e ignobile gesto di ascolto è stata fatta denuncia.. citando il PM menzionato, la
psicologa M. G. dell'ASL 8 di Moncalieri TO, la madre e il Giudice per le indagini preliminari P. G..
L'esito della denuncia ha avuto come risultato la richiesta di archiviazione proposta dal PM G. F. e
condivisa dal GIP S. P. in data 20 agosto 2007 con la seguente motivazione:
«non sussistono ipotesi di reato, in quanto difetta del tutto l'elemento soggettivo del dolo, che
necessariamente deve sussistere nelle fattispecie di reato astrattamente ipotizzabili e indicate
dall'esponente (abuso d'ufficio, falsa perizia, istigazione a delinquere, violenza privata circonvenzione
di persona incapace, calunnia, frode processuale ..), poiché è evidente la BUONA FEDE delle
persone che reputarono sincere ed allarmanti le dichiarazioni rese dai bambini e di conseguenza
sollecitarono gli stessi a ripetere il racconto [se mai vi è stato] del fatto di abuso di sessuale [che mai è
avvenuto], oggetto del processo conclusosi con sentenza di assoluzione perché i fatti non sussistono».
Questo sostanzia a priori un precedente giurisprudenziale in assoluto, che oltre a confermare
l'orientamento della magistratura di considerare comunque e sempre, nei modi e nei tempi, veritiera
qualsiasi denuncia che sia prodotta all'Autorità Giudiziaria, gli inquirenti possono disporre come
meglio credono del minore.
Per di più si evince che ogni genitore è autorizzato ad impiegare qualsiasi metodo che
consenta di far parlare l'infante, perché le sue dichiarazioni vengano considerate
attendibili e credibili, anche se sono sostenute da metodi suggestivi, induttivi e
coercitivi. La violazione della libera autodeterminazione sessuale non ha rilevanza dinanzi la
suprema tutela del minore, anche se successivamente si determinano traumatizzazioni da abusi ad
opera degli inquirenti.
Purtroppo i principi costituzionali che prescrivono di difendere i diritti del più debole senza
danneggiare una persona innocente in molti casi non trovano più riscontro nella pratica, in quanto:
1. la denuncia, indipendentemente dal contesto di provenienza, è sempre ritenuta fondata, secondo
l'insano pregiudizio che chiunque si rivolga per primo all'Autorità giudiziaria è al di sopra di ogni
sospetto;
2. le indagini si ispirano al metodo verificazionista e cioè alla ricerca di inferenze che confermino
l'accusa;
3. la perizia psicologica sulla presunta vittima è pienamente ammessa e di fatto risulta un elemento
probante;
4. l'esigenza di una preparazione professionale adeguata da parte di tutti coloro che si occupano a
vario titolo della realtà familiare (comprendente alcune fondamentali cognizioni in materia
psicologica e soprattutto una corretta metodologia della "verità") è auspicata, nelle aule del Tribunale,
proprio da chi si dichiara fautore delle discipline umanistiche e quindi sostenitore delle
pseudoscienze;
5. il parere dell"'esperto" sulle sedute con il minore sotto il profilo terapeutico è trasformato in una
testimonianza per eccellenza ed è cristallizzato come prova epidittica del presunto abuso subito
C.d.f.a.s.m.
19
dall'infante, anche quando quest'ultimo sia stato in grado di affrontare più audizioni e mai abbia
riferito i racconti a lui attribuiti.
Stante a quanto premesso e documentato non si può che addivenire alla conclusione che i minori
possono essere strumentalizzati pur di sostenere un presunto abuso, proprio da chi li dovrebbe
difendere, ma nel contempo non solo si crede a qualsiasi dichiarazione indiretta (de relato) pur di
condannare un innocente, ma ci si ritrova nella situazione di una caccia al pedofilo.
Se tutto ciò non è allarmante e destabilizzante si lascia a Voi il giudizio di commentare l'accaduto, i
dialoghi e le immagini di un'audizione protetta autorizzata dal tribunale di Torino.
Lì, 10 gennaio 2008
Pantera"
La lettura integrale del contenuto dell'opuscolo evidenzia chiaramente due aspetti:
1) in primo luogo, la frase contestata come diffamatoria (che è stata sopra riprodotta con carattere in
neretto al solo fine di evidenziarla, mentre nel testo originario è priva di qualsiasi marcatura) è
estrapolata da un contesto discorsivo più ampio, nel quale Pantera esprime il suo dissenso verso un
provvedimento dell'Autorità Giudiziaria (il decreto di archiviazione emesso dal GIP presso il Tribunale
di Torino), che non condivide.
Il suo obiettivo è reso manifesto dal testo stesso e ribadito dall'imputato nel corso dell'esame
dibattimentale, allorché ha spiegato di avere pubblicato anche altri opuscoli finalizzati al medesimo
risultato ed ha in proposito dichiarato:
"il primo opuscolo che io ho fatto è datato 19/6/03 .. si intitola <Abusi su minori. Sarà poi vero?> ..
lo scopo principale era quello di frenare i continui attacchi che provenivano dai giornali e quindi
definirmi come <il padre del pedofilo>.. e mettere in evidenza quali sono le modalità scorrette nei
confronti dei minori che vengono ascoltati. Questo era il mio intento e lo è tuttora.. è sempre stato
questo ed è tuttora il mio interesse, un aspetto sociale, informare di un aspetto sociale di cosa sta
avvenendo...
il successivo è stato <Vivere nella verità. Falsi abusi alla scuola materna>, era un opuscoletto .. è
stato redatto il 31/ 10/04 .. nel 2005 ho fatto un altro opuscolo <Storia della colonna infame> e l'ho
mandato.. all'interno delle buche delle poste della comunità di La Loggia …”
L'imputato ha precisato che in nessuno degli scritti di cui ha rivendicato la paternità erano contenuti
attacchi o frasi offensive nei confronti dei genitori dei minori coinvolti come persone offese nel
processo e d'altra parte gli opuscoli sono stati prodotti dalla difesa ed acquisiti al fascicolo processuale
ed il contenuto è facilmente verificabile.
Per quanto riguarda l'opuscolo da cui sono tratte le frasi contestate come diffamatorie, Pantera ha
ammesso di averlo scritto e stampato personalmente, con i propri mezzi, utilizzando atti processuali
consegnatigli da Filiberto:
"il testo è stato scritto nel mio computer personale. Io ho un portatile e quindi me li sono scritti lì .. me
li sono stampati io personalmente con la mia stampante .. verso la metà di dicembre del 2007".
Pantera ha precisato che anche in tal caso non aveva alcun intento diffamatorio nei confronti dei genitori
dei minori, e in particolare della sig.ra Bernarda, e perseguiva invece il seguente diverso scopo:
"lo scopo principale era semplicemente uno: se questi sono atti di buona fede, vuol dire che in tutto il
territorio nazionale quando si ascolta un minore possono essere autorizzati e saranno presi in
qui
non tuteliamo più i minori con questo modo di ascolto,
assolutamente!" (pag.39).
considerazione. Questo era il mio scopo.. la mia preoccupazione era semplicemente di dire:
C.d.f.a.s.m.
20
2) In secondo luogo, la frase riportata nell'imputazione è preceduta dalla locuzione "si evince", che
rimanda chiaramente alla motivazione del decreto di archiviazione dalla quale sembra evincersi,
appunto, la legittimità di un metodo che Pantera non condivide e contesta.
Deve pertanto ritenersi che l'imputato abbia legittimamente esercitato il diritto di critica,
riconosciuto a chiunque, verso un provvedimento giudiziario, che si concretizza nell'espressione di
un giudizio o, più genericamente, di un'opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente
obiettiva, posto che la critica, per sua natura, non può che essere fondata su una interpretazione,
necessariamente soggettiva, di fatti e comportamenti.
È chiara infatti l'opinione espressa in proposito dalla Suprema Corte, la quale proprio in tema di
diffamazione puntualizza:
«il diritto di critica consiste necessariamente nell'espressione di giudizi, di opinioni, di valutazioni,
compiute secondo criteri, solo in parte, condivisi dalla totalità (o dalla maggioranza) del corpo sociale,
ma anche in realtà largamente riconducibili alla matrice politica, ideologica, estetica, filosofica,
scientifica cui il <criticante>, più o meno esplicitamente e consapevolmente aderisce.
Esercitando tale diritto egli dunque non informa, ma appunto giudica ed espone ai fruitori del suo
messaggio il proprio punto di vista» (Cass. 22/2/02 n.5174).
Non vi è dubbio che i provvedimenti giudiziari possano essere oggetto di critica, anche aspra, in ragione
dell'opinabilità degli argomenti che li sorreggono, ma il diritto di critica, benché caratterizzato da una
maggiore libertà dialettica proprio per il suo carattere di dissenso motivato e di contrapposizione di idee,
incontra pur sempre il limite della continenza espressiva, il cui significato specifico è tutto nella felice
sintesi della Corte di Cassazione, secondo la quale
"il diritto di critica deve consistere in un dissenso motivato, espresso in termini corretti e misurati e
non deve assumere toni gravemente lesivi dell'altrui dignità morale e professionale. Il limite
all'esercizio di tale diritto deve intendersi superato quando l'agente trascenda in attacchi personali
diretti a colpire, su un piano individuale, senza alcuna finalità di pubblico interesse, la figura morale
del soggetto criticato, giacché in tal caso l'esercizio del diritto, lungi dal rimanere nell'ambito di una
critica misurata ed obiettiva, trascende nel campo dell'aggressione alla sfera morale altrui, penalmente
protetta" (Cass. 11/3/98 n.5772).
Parimenti, la dottrina conclude nel senso di dire che:
"la critica deve concretizzarsi da un lato in un dissenso motivato e dall'altro in valutazioni corrette e
misurate e non lesive dell'altrui dignità morale e professionale. Al contrario, e conseguentemente, il
limite per l'esercizio di tale diritto deve considerarsi travalicato quando l'agente trascenda in attacchi
personali diretti a colpire, su di un piano esclusivamente personale, senza alcuna finalità di pubblico
interesse, la figura morale del soggetto criticato".
Nello scritto in questione non sono stati affatto superati i limiti del diritto di critica, cosicché anche per
questo episodio l'imputato dev'essere assolto con la formula più ampia.
In considerazione della complessità della vicenda e del rilevante e non prevedibile carico di lavoro
dell'ufficio, si ritiene opportuno fissare un termine di giorni 90 per il deposito della motivazione della
presente sentenza.
P.Q.M.
Visto l'art.530 CPP,
assolve Pantera dal reato di cui al capo 1) perché il fatto non sussiste.
Assolve l'imputato dal reato di cui al capo 2) per non avere commesso il fatto, quanto alle
affermazioni relative a "preoccupazione e solidarietà verso quei bambini che si vogliono fare credere
abusati a tutti i costi" ed al fatto che sulla minore erano stati commessi dei reati durante l'audizione, e
perché il fatto non sussiste, quanto alle residue affermazioni contestate.
Visto l'art.544 CPP,
C.d.f.a.s.m.
21
indica in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione della presente sentenza.
Così deciso in camera di consiglio in Moncalieri il xx/xx/09
Il Giudice
Dr.ssa Silvana Podda
Sentenza divenuta irrevocabile il 26 aprile 2010 (Successivo al periodo)
Moncalieri, li 13/05/2010
Il Cancelliere
Vito Cantore
C.d.f.a.s.m.
22
Allegato A
[
Nota: La sentenza non riporta i fotogrammi e i dialoghi, i quali sono stati inseriti per dovizia di informazione così
come riportati nell’opuscolo, per di più, allora, oggetto di sequestro.
Queste NON vogliono essere immagini pedo-pornografiche, bensì una testimonianza documentale di ciò che è accaduto al
Tribunale di Torino e che per emulazione potrebbe avvenire anche in altri luoghi della giustizia, che non ammette i falsi
abusi, ma potrebbe perpetrare gli abusi legalizzati.
*****
Legenda:
Dr. Psicologa Asl e Giudice Onorario (Camicia a quadretti)
G. Bambina (Geltrude)
M. Madre (Bernarda - Golf a righe orizzontali)
Indagati: Filiberto e Vanessa
(Tutti i nomi sono di fantasia)
Dr. Senti, ma questi giochi chi te li ha
insegnati?
G. Non lo so. Non lo voglio dire
(A)
Dr. Ma è proprio una danza questa
G. Si [Canticchia e balla] Ta-ra-ra, tata,
Dr. E poi
G. Aspetta, eh [sistema le scarpe]
Dr. Si
G. Yo soy Candela na-na-na
[Canticchia]
(B)
C.d.f.a.s.m.
23
*****
Dr. Ballimo ancora?
G. Facciamo quella là cosi: ta-ra-ra-ra-ta
[balla e canta]
Dr. [Balla e canta] Poi questo ballo
bisogna tirarsi su la gonna?
G. Si
*****
Dr. Ci raccontiamo la cosa
G. Eh, dai! Chi ti ha raccontato…
Dr. Eh!
Dr. Uh! Allora, ma chi è Filiberto?
G. No, tu me lo devi dire
Dr. Ah! Ma io non lo conosco Filiberto.
Il pisello di Filiberto…, ma tu l’hai
visto il pisello di Filiberto?
G. No, no, no, no.
(C)
*****
Dr. Dormiamo.
Io però ho bisogno di sapere questo
gioco com’è
G. Dormiamo come…, dormiamo così
Dr. Me lo racconti mentre dormiamo?
Oltre a Filiberto, chi c’era a fare
questo gioco?
Tu… tu… tu… tu me lo
raccontavi
G.
(D)
La bambina dichiara di NON
conoscere FILIBERTO
*****
M. Mi ascolti un attimo mamma, eh?
Mi ascolti solo un secondo prima
che arriva quella signora?
G. Eh!
M. Ascoltami, devo parlarti prima che
arriva la signora, poi... non ti posso
chiedere queste cose davanti a lei,
no? [abbraccia G.]
G. No no. [si ritrae]
M. Ascoltami, non aver paura, ascolta!
G. Vengo con te, non prendere.
M. Mamma ti vuole solo chiedere una
cosa, ascolta.
G. Senza prendermi.
M. Senza prenderti, va bene.
C.d.f.a.s.m.
24
(E)
(F)
*****
G. Adesso basta!
M. Si
G. Basta! Basta
M. Mi… mi dici solo per quale motivo
no li hai più detto niente? Lei non
c’è, non ci sente.
G. No
M. a me lo puoi dire. Perché non gli hai
detto…
G. Mi fai passare, io deve metto il
colore?!
M. Allora mamma non si merita di
sapere perché mi hai fatto venire fino
a qua e non vuoi dire niente alla
signora?
G. Uh, no, no.
M. Geltrude, ti sto parlando, tesoro:
perché mi hai fatto venire fino a qua,
se poi non le hai voluto dire niente
alla signora, eh? Hai paura di
qualcosa, Geltrude? Guarda che la
signora è brava, eh!
M. La signora non glielo racconta a
nessuno se tu gli spieghi, sai?
M. Mamma ti ha già detto che lei lo
vuole sapere perché deve impararlo
ad altri bimbi.
(G)
*****
Dr. Sono qua. Senta, Bernarda, sa cosa
pensavo?
M. Mi dica, si.
Dr. Ha voglia di raccontarlo
lei che cosa le ha… le ha
detto… Geltrude?
M.
Certo.
(H)
C.d.f.a.s.m.
25
*****
Dr. Tu
stai solo zitta ad
ascoltare e non dire niente.
(I)
*****
Dr. Zitta
zitta zitta.
M. Allora, Geltrude è venuta a casa e mi
ha fatto vedere un bel gioco.
Dr. Uh
M. Eh... eh... si è abba... si è abbassata
le mutandine e mi ha detto che
G. No [Ride] eh, no…
(L)
*****
*****
M. Vanessa e Filiberto le mettevano il
ditino nel culetto e nella patatina.
Dr. Uh
M. E poi mi ha raccontato che ha visto
il... il pisello di Filiberto ehm… e
che Vanessa gli faceva le care.
M. Faglielo vedere, faglielo vedere
mamma, faglielo vedere.
(M)
(N)
C.d.f.a.s.m.
26
*****
M. E dove glielo ha messo il pistolino
Filiberto, dove glielo ha messo?
Faglielo vedere
M. E cosa faceva?
(O)
*****
M. Di la verità a mamma, diglielo.
G. Nooo!
M. Ma ormai I segreti li sa tutti!
G. No [si siede ed allarga le
gambe]
M. Come ti hanno fatto? Fagli vedere
come ti hanno fatto alla tua patatina.
Faglielo vedere.
G. Eh…
*****
G. Erano spogliati tutti e due. [Ride e si
guarda allo specchio]
(P)
*****
M. Fagli vedere cosa ti ha fatto...
G. Anche tu togli le calze, solo…
M. solo le calze…
Dr. Solo che io non posso proprio
togliermi le calze perché ho i
collant.
M. Se le toglie mamma?Se le toglie
mamma le calze?Eh?
Dr. Ah… eh…
M. Solo le calze però, eh. Mamma.
Dr. Bernarda, tolga le calze.
M. Mi tolgo le calze, va bene. Mi tolgo
le calze e ti ti-ti. Ci ho tutti i peli
da fare, che vergogna
G. [è seduta per terra vicino alla
mamma]
M. La signora mi vede con i peli. E
ti-ti-ti-ti-ti ti. [gli fa vedere le
calze che si è sfilata]
C.d.f.a.s.m.
27
(Q)
*****
M. E si che te le puoi provare, certo che
te le puoi provare.
G. Ih [si infila le calze] Cosi e storta?
(S)
*****
G. [si sistema l’altra calza]
M. Come ti toccava la patatina Vanessa?
Dai, faglielo vedere alla dottoressa,
amore.
Dr. [richiama la mamma toccandole un
braccio]
(R)
*****
G. [si infila la calza] Così
M. Sì! Fagli vedere alla dottoressa una
cosa. Geltrude: fagli vedere alla
dottoressa come ti mettono quando
ti vogliono guardare la patatina a
mamma, faglielo vedere, questo
gioco! Io non sapevo, sa dottoressa,
che ci fossero dei giochi così belli.
Non lo sapevo proprio
(T)
*****
M. Oh. Madonna, mamma si sente male.
G. E’ al contrario, è al contrario [ha in
mano le sue calze]
Dr. Così va bene.
C.d.f.a.s.m.
28
(U)
(V)
*****
M. Tata, vieni dalla mamma, vieni qua.
Dr. [richiama l’attenzione della mamma
con la mano] Va bene, ma adesso ho
capito un po’ come è questo gioco,
eh!
*****
Dr. [richiama l’attenzione della mamma
con la mano]
(Z)
(X)
*****
M. Se tu mi fai vedere…
Dr. No signora, tranquilla, tanto questo
gioco lo abbiamo un po’ capito.
Quello che ho capito è che hai
pianto; se hai pianto è perché ti ha
fatto un po’ di male a fare quello?
(Y)
*****
*****
Dr. Senti, chi fa più paura, Filiberto o
Vanessa
G. Tu.
Dr. Io? Uh!
(A1)
*****
Dr. E’ questa la promessa
G.
Prometti che non dirà, con te
C.d.f.a.s.m.
29
fatto, a casa.
Dr. Uh!
Dr. Okay. Allora, Geltrude, andiamo?
(B1)
]
C.d.f.a.s.m.
30
Allegato B
Confronto tabellare tra le dichiarazioni del querelante e imputato
nelle udienze del 7 aprile e 1 giugno 2009
Le dichiarazioni della querelante (Bernarda) sono state rese dopo aver pronunciato la formula di rito dell’art. 497 c.p.p
…”Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la
verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza”…
Estratto
Querelante - Bernarda
La sentenza
D -Senta, cos’è che in questa querela lei ritiene, cioè
qual'é il fatto che l’ha colpita come falso e
offensivo.
R -Come falso tutto ciò che era scritto su quel
documento, che era pubblicato appunto su
questo sito Internet, quindi visibile a tutto
il mondo. Offensivo…
I fotogrammi e i dialoghi che vi sono riprodotti sono
tratti effettivamente dall'audizione della minore
Geltrude, disposta dalla Procura di Torino
nell'ambito del procedimento penale a carico di
Filiberto e di Vanessa per il reato di cui agli artt.81
cpv, 110, 609 bis, 609 ter c.1 e U.C., 609 octies CP,
commessi in La Loggia nel corso del 2001 e
comunque non oltre l'ottobre del 2001.
Querelante - Bernarda
Difesa - Domande alla querelante
D. -Senta, lei come è venuta a conoscenza sia
dell’esistenza e della pubblicazione su Internet,
sia dell’opuscolo che è stato diffuso.
R.- A noi regolarmente, alla Loggia, visto e
considerato l’incertezza dei fatti, che il signor
Pantera ha tenuto un atteggiamento nel paese a
partire dall’inizio di questo processo, quindi
divulgando il nome e cognome di chi aveva
dato inizio a questo processo.
D. -In questi opuscoli si è mai fatto riferimento al
nome e al cognome di sua figlia? La domanda è
molto precisa. In questi scritti c’era il nome
Geltrude Bernarda o Spinello?
R. -Sì, poi mancava soltanto che glieli sparava alla
bambina. No, non c’era.
G. -La risposta è?
R. -Non c’era.
D. -Si vede che la prima era un po’ indiretta. In
questi opuscoli, a cui lei ha fatto riferimento,
c’era mai l’immagine di sua figlia?
R. -Posso rispondere come penso?
G. -Deve rispondere come si risponde a questa
domanda.
R. -No.
G. -Sì o no.
R. -No.
Querelante - Bernarda
Imputato
D.
D. -Invece era la prima volta signora in cui Pantera
faceva pubblicare notizie circa l’imputazione.
R. -No, assolutamente no.
D. -In altre occasioni?
R. -No, il signor Pantera addirittura ha fatto un
necrologio e l’ha appeso per La Loggia, cioè
ha fatto delle cose senza senso, cioè si è messo
a fare dei necrologi e li ha messi... ai santi, li
ha messi esposti per tutto il paese.
G. -Un necrologio di che, di che genere.
R. -Guardi io quel giorno mi sono sentita male, mia
madre mi ha dovuto...
G. -Ma che cos’era.
R. -Era una necrologio alla ricorrenza dei falsi
abusi contro le accuse formulate contro il
figlio, volantini a tutto andare, imprecazioni
contro... addirittura negozianti stanchi,
esausti, che mi dicevano Bernarda, ma quando
finisce, cioè ha additato la mia bambina che
era l’unica veramente che doveva rimanere
protetta da questa storia, cioè non ha più pace
mia figlia.
-Abbiamo parlato in questa istruzione
dibattimentale - perché sembrava che lei non
facesse altro che distribuire ed appendere
documenti a La Loggia - di un documento che
mi pare abbia prodotto la Parte Civile, seno lo
produciamo noi, di un necrologio, quindi ad un
certo punto a La Loggia…
G. -Non è prodotto, ma ne hanno parlato.
D. -Allora lo produciamo noi. Si dice, o meglio
qualche testimone ha detto, ad un certo punto: "
Pantera attaccava i necrologi a La Loggia". Io le
faccio vedere questo documento, di cui poi
chiedo l'acquisizione, che si intitola "Pasqua
.2008”, è fatto nella forma di necrologio, si dice
"Perché non c'è nulla di più devastante dal
sentirsi traditi, dal vedersi beffati, dal
riconoscersi ingannati. Non c'è nulla di più
doloroso del dovere ammettere che a nulla sono
valsi i gesti di bontà e generosità ... ", poi sotto
c'è scritto “Alla maestra Vanessa ed al
volontario Filiberto - che sono i due imputati
del processo - vittima dì una assurda infamia".
Poi produco anche una fotografia del luogo
dove vi sono le affissioni a La Loggia in cui
risulta affisso questo documento. Prima.
domanda: Questo documento, come ha detto
qualche testimone in questo processo lo ha
scritto ed affisso lei?
I. -No,
assolutamente.
D. -Chi lo ha affisso? .
I. -Una signora che si chiama Alda Taccarà o
qualcosa del genere.
D. -Alda Taccarà?
I. -Taccarà
sì. Alda Taccarà in Baccarà che
abita in Via Belli.
D. -Questa signora si chiama Alda Taccarà in
Baccarà, cioè il marito si chiama Baccarà?
I. -Sì.
D. -Abita a La Loggia?
I. -Sì, in Via Belli numero 12.
D. -Questa signora ha di sua iniziativa scritto ed
affisso questo documento o glielo ha chiesto lei
di farlo?
I. -No, di sua iniziativa, io l'ho saputo una settimana
dopo, perché mi hanno telefonato.
G. -Quindi lo ha anche scritto questa signora?
I. - Certo.
G. -Lei non lo ha nemmeno scritto questo?
I. - No, assolutamente.
G. -Non solo non lo ha affisso, ma non lo sapevo
nemmeno.
G. -Tanto è vero, se ho capito bene. lei lo ha saputo
una settimana dopo che era stato affisso?
C.d.f.a.s.m.
32
I. -Esattamente. Questo è un particolare, mi ha
telefonato il giornalista Massimiliano Peggio,
che abita a La Loggia, de La Stampa,
chiedendomi dopo una decina di giorni, chi
l'avesse scritto. io gli ho detto: "io sono venuto
a saperlo chi l'ha scritto e chi l'ha affisso
direttamente, però chiederò autorizzazione a
questa signora". Questa signora mi ha detto di
dirle pure l'autorizzazione, quindi è disposta a
venire qui a testimoniare chi ha fatto
quest'atto. Dico ancora di più, che quello che
ha scritto è una preghiera, appartiene ad una
preghiera.
D. -È estratto da una preghiera?
I. –Esattamente.
G. -Che ha scritto sempre la signora?
I. -No, l'ha scritta un Prete, direttamente.
C.d.f.a.s.m.
33
Querelante - Bernarda
Edicolante – Teste dell’accusa
D. -Allora, lei ha detto che dopo avere ricevuto
questa notizia dall’edicolante è andata in ufficio
ed ha diciamo acceduto al sito Internet.
D. -Lei si ricorda di avere anche conosciuto e
parlato con la signora Bernarda?
T. -Sì.
D. - La conosce?
T. - Sì.
D. -Veniva anche lei ad acquistare giornali presso
la sua edicola?
T. -Sì.
D. -Si ricorda di avere avuto un colloquio con la
signora Bernarda nel quale lei riferiva appunto,
sostanzialmente, di andare a visionare questo
sito internet?
R. -Sì, perché l’edicolante non mi ha spiegato cosa
c’era sopra, diceva soltanto che il signor
Pantera chiedeva che venisse visto, questo sito.
D. -Quello che preme a me è, lei prima mi ha detto
che il colloquio con l’edicolante è avvenuto...
R. -È
avvenuto un sabato mattina.
G. -Quindi in epoca precedente alla sentenza della
corte.
T. - No.
D. - Non le disse nulla lei alla signora Bernarda in
merito alla bambina, che sarebbe stata
pubblicata la sua immagine da qualche parte?
T. -La signora Bernarda a me?
G. -No, lei alla signora Bernarda.
T. -No.
D. -Non se lo ricorda?
io ho sempre T. -No. Proprio non mi sembra di averlo
visionato tutte le sue cattiverie, però non
detto. Io alla signora Bernarda.
R. -Io visionato tutto, certo,
ho mai fatto nulla.
D. -Lei ha suggerito alla signora Bernarda di
andare a visionare il sito internet?
T. -No. Lo
sapeva, penso, già meglio di
me che c’era questo sito, la signora
Bernarda.
C.d.f.a.s.m.
34
Querelante - Bernarda
Imputato
D. -Vorrei che mi facesse, lei ha parlato come di un paese esasperato
dalla signor Pantera, se mi fa tre nomi di persone che le hanno
detto di essere esasperate da Pantera. Ed è l’ultima domanda.
G. -O minacciate.
R. -La Lupi è una di quelle, la Giovinale pure, li tortura anche...
G. -Scusi non ho capito.
R. -La signora Lupi da quello che so io, lei e tutte le istituzioni,
Don Dante, la magistratura, la Giovinale.
G. -I negozianti vari, non li conosce di nome, capito, i negozianti.
R. -Sì.
G. -Poi? Abbiamo finito il paese quasi.
G. -Questa circostanza lei è stata riferita precisamente dalla signora
Lupi?
R. -No,
questo circostanza mi è stata riferita dal paese,
praticamente mi trovavano e mi dicevano, lo sai...
G. -Perché non possiamo dire che il paese diceva che Pantera
minacciava e chi minacciava, tutti, perché poi quando andiamo a
vedere il paese da chi si compone, vediamo che non si compone
di nessuno, e minacciava chi, non sappiamo chi. Quindi se lei
riesce a focalizzare i suoi ricordi con maggiore precisione e
quindi mi sa dire chi le ha detto che Pantera, a prescindere dal
fatto che nonostante di questa storia, eccetera, che è un altro
discorso, ma chi le ha detto che Pantera andava in giro ad
insultare, torturare, minacciare le persone, che sono già termini
con un certo significato, quindi da chi lo ha saputo e chi andava a
minacciare. Poi io aggiungerei a questo un’altra domanda, poiché
questo processo si inserisce in una indubbia vicenda di cui io non
sono ancora a conoscenza appieno, leggerò le sentenze prodotte
oggi, eccetera, però capisco che ha avuto una certa risonanza nel
paese e quindi ovviamente tutto il paese tra virgolette, negozianti,
asili, il parroco, il comune e quant’altro ne hanno avuto
abbondantemente conoscenza per molto tempo, presumo prima di
questa vicenda della diffamazione di cui oggi stiamo
rispondendo, vorrei capire se queste voci, queste lamentele che
lei ha avuto, ricevuto dalle persone del paese, sull’attività di
Pantera, riguardavano l’attività di Pantera e quindi la
divulgazione di notizie relative al precedente processo, immagini,
non immagini, eccetera, eccetera, commenti sull’attività, o
riguardavano in generale la vicenda relativa all’abuso sui minori
dell’asilo, eccetera, di cui il paese era abbondantemente a
conoscenza da tempo. Ha capito la differenza?
R. -Certo.
G. -Vorrei che lei mi precisasse questa circostanza.
R. -Signor Giudice, l’ha fatto entrambi, l’ha fatte entrambi le
situazioni.
G. -Benissimo, lei mi risponda precisando per bene.
R. -Allora, l’istituzione scolastica dell’asilo Bovetti c’è la signora
Lilli, c’è la maestra Santa, io tutti i nomi...
G. -Ecco, lei con queste maestre ha parlato? Cioè loro le hanno
riferito qualcosa.
R. -Io non ho più parlato con queste maestre.
G. -Le signore maestre che lei ha appena nominato, le hanno anche
riferito di essere state minacciate dal signor Pantera.
C.d.f.a.s.m.
D. –[…]. A questo punto veniamo
invece alla storia di uno di quelli
che aveva affisso o distribuito
lei, cioè vorrei sapere se lei è
stato costretto a presentare una
denuncia per il fatto che uno di
quei
documenti,
ed
in
particolare quello in cui
risultava l'assoluzione di suo
figlio per questi fatti, veniva
stracciato, da lei affisso, veniva
strappato dal luogo in cui era
legittimamente affisso. Lei ha
fatto questa denuncia?
I. -Sì, esattamente, diciamo che
sono stati strappati, la prima
volta, tutti, totalmente, dal Paese
di La Loggia.
D. -Quindi lei ha affisso questo
documento che dava conto dell'
assoluzione di suo figlio, se ho
capito bene, e cosa è successo?
Lo
racconti
al
Giudice.
Qualcuno le ha detto qualcosa?
G. -Prego.
I. -Vorrei non essere impreciso
sulle cose. Io ho presentato
denuncia presso la Caserma dei
Carabinieri di Vinovo.
D. -In che data?
I. -La data deve essere stata verso il
9 di aprile.
G. -Di che anno?
I. -Del 2004.
D. -Quindi dopo la sentenza di
assoluzione di Filiberto?
I. -Sì, dopo la sentenza di
assoluzione.
D. -Che cosa diceva in questa
denuncia ?
I. -In data 2 aprile 2004 ho
consegnato
all'Ufficio
Affissione del Comune di La
Logga, sito in Via Bistolfi, 31,
presso
Cartoleria
Manca,
numero 20 fogli di dimensioni
70 x 1000, contenenti al centro
fotocopia della sentenza del
Tribunale di Torino. Che dopo
aver effettuato il pagamento ed
ottenuta regolare ricevuta per la
loro pubblicazione, mi venne
comunicato che sarebbero stati
affissi lunedì 5 aprile”.
D. -Non li ha affissi lei, li ha dati
da affigere?
35
R. -No, minacciate, io quando intendo, forse mi esprimo male e di
questo me ne scuso, quando io dico minaccia, almeno quella che
ha fatto a noi, che è andato in piazza dicendo che in una maniera
o nell’altra lui questo processo l’avrebbe risolto. Però lasciamo
perdere, ha inviato contro di noi...
G. -Rimaniamo alle maestre.
R. -Parliamo delle maestre, allora, io per minacciato non intendo
minaccia di morte, cioè non a quei livelli, me ne scuso se non
sono correttamente...
G. -Allora mi spieghi bene che cosa lei intende quando dice, sono stati
minacciati.
R. -Può darsi che io esprima male il mio...
G. -Me lo esprima bene.
R. -Allora, Pantera ha esasperato queste persone, continuamente,
consegnando foglietti, anche sentendosi dire che non ne volevano
sapere, cioè sono arrivati al punto di dirle, basta, quando ci sarà la
sentenza potrai parlare, non possiamo più. Queste cose sono state
dette al signor Pantera, però da me veniva la signora Caio e mi
diceva, ma sai cos’è successo ieri, a me mi si fermava
addirittura al Gigante.
G. -Signora, non salti di palo in frasca, le ho già detto prima
che deve rispondere alle domande che le vengono fatte,
non sto parlando di Busciardu, sto parlando di lei, sto parlando
delle notizie che lei ha riferito da queste persone, cercando di
dare a queste notizie vox populi, va bene, una veste, un nome, un
tempo, un luogo e contenuto di quello che è avvenuto. Quindi
Busciardu è stato minacciato, è fuori argomento in questo
momento.
R. -Okay.
G. -Per cui la prego di rispondere con precisione alle domande che le
sono state fatte, senza che lo debba ripetere per la terza
volta. Allora, quando lei prima si è espressa dicendo, minacciata,
torturata, sono state minacciate le persone, torturate, insultate da
Pantera, intende concentrare in questi termini questa attività di
esasperazione, che adesso ha descritto meglio.
R. -Esatto.
G. -Benissimo. Senta questa attività a cui ha fatto riferimento e cioè di
questa lettera di diffida del comune.
R. -Sì.
G. -Lei ne è venuta a conoscenza perché gliel’ha detto chi, se si
ricorda.
R. -Con precisione se non sbaglio la signora Lupi, mi ha detto che
avevano...
G. -La signora Lupi.
R. -Sì.
G. -Lei sa essere più precisa sul contenuto della notizia che le è stata
riferita dalla signora Lupi?
R. -No, signor Giudice no.
C.d.f.a.s.m.
I. -Non posso io. Lunedi 5 aprile
2005, alle 10.30, mi trovavo
presso mia moglie, ho ricevuto
una telefonata dal signor Bella
Giovanni, che è domiciliato in
via Bistolfi, e addetto alle
pubbliche
affissioni.
Mi
comunicava che la signora
Bernarda strappava il manifesto
che lui stesso aveva appena
affisso.
D. -Lui affiggeva e la signora
Bernarda strappava? __
I. -Sì. Era arrivata in macchina
velocemente, era scesa, insieme
alla sorella più giovane - cosi mi
aveva ferito - ed aveva strappato
questo. Mi riferì di presentarmi
immediatamente
presso
il
Comando dei Vigili urbani di La
Loggia per esporre le mie
dimostranze nei confronti della
signora Bernarda. Il signor
Giovanni Bella mi ha reso
edotto del fatto che la stessa
signora, Bernarda si era recato il
foglio strappato dalla zona di
affissione presso il Sindaco che
in quel momento era n riunione
con la Giunta. Dopo aver fatto
l'esposto al comando dei Vigili,
mi informarono che la signora
Bernarda continuò per il paese a
strappare tutti gli altri cartelli
che erano stati affissi nei dovuti
luoghi.
D. -Era sostanzialmente la sentenza
di assoluzione di Filiberto?
I. -Esatto. Alle ore 13.20
pomeridiane mi telefonò il
signor Elios, domiciliato in Via
Caranzano, e sorprendeva la
signora Bernarda a strappare
ulteriori
fogli
applicati
dall'addetto dell'ufficio.
D. -Lei, dopo aver esposto questi
fatti, presentò una denuncia ai
Carabinieri rispetto ai fatti come
li ha descritti adesso. È corretto?
I. -Esattamente.
36
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Il valore probatorio della testimonianza de relato e il