Centro di Documentazione Falsi Abusi e Sottrazioni di Minori www.falsiabusi.it [email protected] Raccomandata Spett. le Presidenza della Repubblica Corte Costituzionale Consiglio Superiore della Magistratura Corte Suprema di Cassazione Corte Europea dei Diritti dell’Uomo Ministero della Giustizia Dipartimento Amministrazione Penitenziaria Presidente Tribunale di Torino Presidente Tribunale dei Minori di Torino Procura della Repubblica presso Tribunale di Torino Tribunale di Sorveglianza di Torino Ufficio di Sorveglianza di Cuneo Casa Circondariale di Saluzzo Organi di stampa Il valore probatorio della testimonianza de relato e il diniego di misure alternative alla detenzione Questo documento, estraneo agli atti del ricorso, è stato menzionato dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza della Sez. Penale I del 14-10-2011 n. 3215, divenendo di fatto orientamento. A tutti è noto che l’informazione e la critica di un evento non rappresentano un reato, bensì un diritto sancito dalla Costituzione del nostro paese1, purché consistano in un dissenso motivato, espresso in termini corretti e misurati e non assumano toni lesivi dell’altrui dignità morale e professionale e non trascendano nel campo dell’aggressione alla sfera morale del prossimo, penalmente protetta. Ed è proprio su questo fondamento che il firmatario della presente desidera manifestare il proprio dissenso, quale congiunto dell’ex condannato – Filiberto – (in merito a quanto sarebbe occorso presso la scuola materna Bovetti di La Loggia TO), sia per la condanna comminata su semplice dichiarazione de relato, sia per la mancata concessione dei benefici previsti dall’Ordinamento Penitenziario. È bene rammentare che il pilastro portante delle motivazioni di condanna dei due imputati si edifica sul de relato2 della madre (Bernarda) della bambina che a dire della sentenza di 2° grado3: “Sul piano 1 Art. 21 della Carta Costituzionale. Le dichiarazioni “de relato” non hanno forza probatoria, ma possono essere utilizzate quali “indizi”, senza assurgere al livello di “indizi gravi”, perché abbisognano della conferma di “riscontri estrinseci che concernano specificatamente il fatto che forma oggetto dell’accusa, essendo l’esistenza di un riscontro individualizzato postulato dal minor tasso di affidabilità di una dichiarazione resa su accadimenti non direttamente percepiti dal dichiarante” (Cass. Sez. I – n. 5046/97). Inoltre, per assurgere a livello di grave indizio, si deve rispettare alcuni parametri perché sia qualificato il nucleo essenziale dell’attendibilità del soggetto e delle sue propalazioni in modo intrinseco ed estrinseco e sostenute da riscontri che ne qualificano la gravità. L’attendibilità del dichiarante deve essere vagliata con riferimento alla sua personalità, alle condizioni socio-economiche, al suo passato, prescindendo dal contenuto delle dichiarazioni e alla convergenza con altri soggetti. 2 della credibilità soggettiva, unicamente ad altre considerazioni, si è fatto leva su un dato logico e psicologico fondamentale, e cioè sulla già sottolineata capacità del genitore o del familiare stretto di «leggere» nell’animo e nella mente del bambino e di capire perfettamente quando egli dica la verità o la menzogna e quando simuli o provi autenticamente una certa emozione”(pag.149). La Corte di Cassazione in merito alla denudazione della bambina avvenuta presso la Procura di Torino il 19.10.2001, scrive4: “…era comprensibilmente ansiosa di vederle confermate in sede istituzionale perché potessero essere vagliate nella loro attendibilità dagli esperti ed utilizzate dagli inquirenti nelle indagini per l'individuazione dei colpevoli, il che spiega il pressing costante ed invadente sulla figlia per indurla a riferire anche alla psicologa quanto già riferito a lei. La [Bernarda], che aveva avuto modo di constatare personalmente i comportamenti erotizzati della figlia e che era stata destinataria delle rivelazioni sulla partecipazione di adulti ai giochi, riteneva assolutamente incomprensibile quella sorta di "retromarcia” della bambina. Spiegabile era quindi l'atteggiamento tenuto nel corso dell'audizione protetta, finalizzato a convincere la bambina a riferire anche alla dr.ssa [F10] quanto in precedenza rivelato”(p. 26). 5 Scene dell’audizione avvenuta in Procura nell’ascolto della minore “per individuare dei colpevoli” Stante queste motivazioni si osserva che sia la sentenza della Corte d’Appello sia quella della Cassazione non menzionano il contenuto dell’audizione protetta in cui la bambina dichiara di non conoscere l’ex condannato (D. – Allora, ma chi è Filiberto? R. – No, tu me lo devi dire) e per di più che i racconti le erano stati fatti dall’intervistatrice (D. – Oltre a Filiberto-(I20), chi c’era a fare questo gioco? R. –Tu… tu… tu… tu me lo raccontavi). 6 Tenuto conto delle premesse, si evince, in assenza di prove irrefutabili7, come la Giustizia assuma a motivazione inferenze soggettive che meglio si addicono al proprio convincimento e alla propria 3 Sent. Corte d’Appello Torino Sez. III n. 189 del 17-01-2008 presidente dr. Marco Quaini. Cass. Sent. penale Sez. III del 1.10.2009 n. 1586 – 49432/09 presidente dr. Ernesto Lupo. 5 Per quanto concerne la pubblicazione delle immagini si rimanda al contenuto della sentenza irrevocabile emessa dal Tribunale della sezione staccata di Moncalieri (TO) n. 244 del 22 ottobre 2009, alle disposizioni del Garante per la protezione dei dati personali del 22 luglio 2010 e alla Carta di Treviso dell’Ordine dei giornalisti (Ved. www.falsiabusi.it alla voce “Diritto e Giurisprudenza”). 6 Gli infanti, sia nell’audizione protetta sia nell’incidente probatorio, non confermarono alcunché di quanto dichiarato dalla madre Bernarda durante la denudazione. Il loro silenzio fu giustificato dalla pseudo-rimozione del trauma “vissuto”. 7 Oggigiorno non esiste una sindrome specifica “da abuso” e nessuno dei cosiddetti indicatori è patognomonico, oltretutto sono tutti aspecifici. Anche il ricorso all’esame medico non rappresenta una regola sicura per individuare un illecito, tranne che non si sia in presenza di violente lacerazioni, radiografie, infezioni di origine virale e quant’altro che la scienza possa qualificare in modo incontestabile. Ovvero si è dinanzi a prove inconfutabili come una videoregistrazione, un’ammissione o testimonianza diretta, e da ultimo, un racconto libero della vittima condotto in conformità alle linee guida della Carta di Noto o meglio quelle inglesi. 2 C.d.f.a.s.m. 4 discrezionalità. Se è pur vero che un minore, con tutte le condizioni suggestive e le manipolazioni cui può essere soggetto, rappresenta la fonte primaria per la valutazione dei fatti, è altrettanto vero che le sue dichiarazioni durante un’audizione non debbono essere travisate. Per altro verso, non sono condivisibili le inferenze stereotipate secondo cui il minore che non professa alcunché manifesta una rimozione del presunto trauma vissuto o, ancor peggio, vi sia stata l’imposizione del segreto e il ricorso a minacce, elementi che costantemente aleggiano nelle sentenze, senza un preventivo riscontro. Perlopiù, la difficoltà di comprendere il significato che cos’è la suggestione e che cosa provochi quando è associata all’autorità, alla ripetizione, all’abitudine, all’obbedienza, all’associazione, all’imitazione e all’assenza di volontà o raziocinio di una persona che ascolta, quest’ultima viene portata a pensare che sia un verbo dell’intelletto, mediante una cauta insinuazione inferenziale. L’insinuazione ha la facoltà di introdurre qualche cosa nella mente altrui in modo delicato e graduale, instillando artificiosamente attraverso un cauto suggerimento, come possono essere dei gesti, segni, parole, linguaggi, sensazioni fisiche… William Atkinson (1946) ci dice che quando un’idea è posta nella mente di una persona per mezzo della suggestione vi è posta mediante l’imprimendo, l’inducendo e l’associazione. La materia è ormai svestita dell’alone mistico e valorizzata da un punto di vista scientifico, così come vi sono delle idee accettate dalla mente seguendo la via della logica, del ragionamento, della dimostrazione, delle prove…, e dall’altro quella delle impressioni prodotte o delle indotte nel cervello mediante altri metodi. Questo fa sì che si crei nella mente dell’uomo degli schemi culturali che favoriscono sistematicamente classi concettuali pregiudizievoli, condizionando il pensiero e allontanando qualsiasi forma logica razionale. Se ciò è quanto accade nella realtà, è ovvio che va messo in risalto il fatto che esiste una profonda distinzione cognitiva fra adulto e minore, di cui si deve prendere atto, in modo ineludibile. Il minore, infatti, fino a quando non raggiunge la soglia della maggiore età, è privo di quella attenzione critica che si frappone usualmente per opera della volontà vigilante, permettendo così all’idea di entrare nei suoi schemi mentali indifesi e stabilirvisi, influenzando in tal modo le idee nel futuro. Allora, se questa è la verità palese, come è possibile che la giurisprudenza consolidata dei sommi sacerdoti del diritto sostengano in una sentenza8 che: “L'art. 499 comma terzo c.p.p. prevede che “nell'esame condotto dalla parte che ha chiesto la citazione del testimone e da quella che ha un interesse comune sono vietate le domande che tendono a suggerire le risposte”. A tale riguardo, vanno svolti due ordini di considerazioni: 1) la violazione del disposto di cui all'art. 499 c.p.p., con riferimento alle caratteristiche delle domande che devono essere poste ai testimoni, non è sanzionata da nullità, con la conseguenza che, per il principio di tassatività vigente in materia di esame del teste condotto mediante la formulazione di domande non pertinenti o suggestive, la suddetta violazione non determina la nullità dell'esame e, tanto meno, la inutilizzabilità, riferendosi, tale sanzione, alle prove vietate dal codice e non certamente alla regolarità della assunzione di quelle consentite; 2) l'inutilizzabilità della testimonianza si verifica solo allorché essa venga assunta in presenza di un divieto legislativo. Ora, il legislatore, mentre ha vietato in modo assoluto la formulazione di domande nocive, ossia quelle che tendono a condizionare con ogni mezzo la libera determinazione del teste, anche se poste dal giudice, ha circoscritto il divieto delle domande suggestive a quelle formulate dalla parte che ha chiesto l'esame e da quella che ha un interesse comune. Il divieto non vale, dunque, per il giudice, tenuto alla ricerca della verità sostanziale, e neppure per l'ausiliario. In tale ultimo caso, l'eventuale vizio di acquisizione delle dichiarazioni effettuate dal minore non integra un problema di utilizzabilità, ma potrà formare oggetto di gravame sotto il profilo della attendibilità del risultato della prova a causa delle modalità della sua assunzione.”. In un’altra sentenza9 si sostiene che: “Quando si devono esaminare le dichiarazioni di un bambino in età prescolare (che ha scarse capacità cognitive e competenze a livello lessicale e semantico, difficoltà di memorizzare, sia a breve che a lungo termine, e di collocare gli eventi nel tempo e nello spazio) si pone, innanzi tutto, il problema del livello della credibilità, del suo racconto in rapporto alla sua naturale suggestionabilità. È noto come la formazione dei ricordi in soggetti di tale età può non corrispondere a fatti accaduti per meccanismi di diversa natura quali la confusione tra realtà ed immaginazione o processi di induzione, consapevoli o non, da parte degli intervistatori o per la tendenza ad incorporare nel suo patrimonio mnestico informazioni ricevute. Le persone che hanno raccolto le prime confidenze possono, anche involontariamente e con il fine di tutelare il bambino, alterare il processo di libera e genuina rievocazione del suo ricordo con domande mal poste ed inducenti, con il suggerire l’argomento o la riposta prima ancora che il piccolo parli, con lo 8 9 Cass. Sent. n. 9157 del 8-3-2010. Cass. Sent. Sez. pen. III n. 42406 del 17-11-2011. C.d.f.a.s.m. 3 squalificare le sue informazioni, con la richiesta di ripetizione del racconto, Se ciò avviene, le parole di un bambino possono essere il frutto di suggestioni interne o esterne che alterano il contenuto dei suoi racconti ed il significato che attribuisce alle sue esperienze; la probabilità che una tale interferenza si sia verificata diventa maggiore se il bambino è in tenerissima età e l’intervistatore è una figura primaria di attaccamento (come nel caso in esame). Di fondamentale importanza è verificare l’emersione della notizia di reato per accertare come il piccolo ha esposto la sua prima confidenza, quali sono state le reazioni e le domande degli adulti e come si è strutturato, consolidato o modificato nel tempo il racconto del giovane narratore; ciò al fine di evidenziare se vi siano stati interventi intrusivi e manipolatori degli adulti nella genesi della notizia di reato che possano avere creato falsi ricordi”. Dall’esame delle due sentenze si evince che l’una conferma come l’atto della suggestione non è nullo per l’assenza di un divieto legislativo, consentendo, perciò, al giudice di avvalersi dei risvolti negativi della suggestionabilità, così come una vasta letteratura ha riconosciuto ripetibili e dimostrabili gli effetti modificativi di una dichiarazione di qualsivoglia soggetto, e l’altra conferma quanto la scienza psicologica sostiene che le confidenze di un minore ad una figura primaria di attaccamento possono alterare il processo di libera e genuina rievocazione del suo ricordo, in particolare quando si è dinanzi alla perpetua ripetizione e all’autorità rivestita dall’intervistatore. Questo rivela come la giurisprudenza consolidata manifesti potenziali orientamenti verso il libero arbitrio e la tendenza al sistema inquisitorio, nonché alla incostituzionalità delle motivazioni del potere giudiziario nel reprimere la libertà individuale, quando si è in assenza di prove concrete e irrefutabili di un presunto abuso sessuale nei confronti di un minore. Perciò si può avanzare l’ipotesi di: Giudice che trovi sentenza che avrai Oltre al fattore suggestione esiste anche una scienza del linguaggio non verbale, la quale non viene minimamente considerata dagli operatori del diritto, che prediligono il verbale trascritto, sia per l’assenza nei corsi di studio sia in quelli di formazione nell’apprendere le conoscenze della comunicatività del linguaggio del corpo. Sin dal 1969 i pionieri Ekman, Friesen, Kenvin e Borg hanno dimostrato che la comunicazione fra gli esseri umani non avviene solo attraverso la parola e l’ascolto, ma anche mediante il corpo, assumendo posture e compiendo gesti che manifestano un forte significato emotivo. Questo, perché le interazioni personali del mittente e del ricevente non si esprimono solo attraverso le parole, che più delle volte non corrispondono a ciò che si pensa e si prova realmente. I corpi degli interlocutori, inconsapevolmente o intenzionalmente, inviano “atti informativi” o “atti comunicativi”, che il ricevente cercherà di codificare in messaggi specifici con l’ausilio della percezione. Tuttavia, il corpo e la mente sono una cosa sola, e la lettura del linguaggio non verbale non è infallibile, ma comunque la comunicazione ci fornisce gli indizi più preziosi per risalire alle vere emozioni delle persone, considerando complessi di informazioni che possono confermare o smentire la nostra valutazione. Dopo tutto chi cerca di nascondere i suoi veri sentimenti deve attuare un grande sforzo per controllare i segnali non verbali del corpo. È molto più difficile che controllare la produzione verbale, bensì, anche se questa può fare trapelare elementi più profondi mediante i tratti paralinguistici. Questi ultimi rappresentano l’insieme del tono della voce e le variazioni che la caratterizzano, come volume, velocità, timbro, flessione, acuti…, per migliorare la comunicazione. Le variazioni naturali di questi tratti paralinguistici mutano il significato delle nostre affermazioni. I ricercatori Mehrabian e Birdwhistell, così come confermato da molti altri, rivelarono in sostanza che, nel trasferimento di un messaggio, il linguaggio visivo (non verbale) influisce per il 55%, il linguaggio vocale (voce) per il 38% e il linguaggio verbale (le parole effettivamente pronunciate) la restante parte. Non v’è dubbio che per garantire l’efficacia delle comunicazioni interpersonali nella vita privata e nel lavoro è indispensabile prestar la massima attenzione (empatia) ai messaggi non verbali e quelli verbali. Emozioni e sentimenti si manifestano principalmente attraverso i messaggi non verbali, e la ricerca ha confermato che esistono alcune espressioni facciali che la specie umana riconosce come universali, come ad esempio la tristezza, la sorpresa, il disgusto, la rabbia, la gioia, la paura, il disappunto. C.d.f.a.s.m. 4 Nel linguaggio non verbale, pur in presenza di un sorriso, si codificano i gesti, l’aspetto fisico e la prossemica. Tutti avvengono attraverso il contatto visivo, che solo la video registrazione e la scomposizione delle fermo immagini (FI) possono avvalorare significativamente l’attualizzazione e valorizzazione del contenuto delle parole, in quanto all’occhio umano per avere il senso del movimento necessita lo scorrimento di almeno 24 fotogrammi al secondo. La ricerca in campo psicologico ha tuttavia dimostrato che i gesti svolgono anche altre funzioni come quelli simbolici o emblematici, illustratori, regolatori, di adattamento, autoadattitivi, centrato sull’altro o sull’oggetto. E non da ultimo l’aspetto fisico delle braccia incrociate e la posizione che le persone assumono quando sono sedute, ci offrono informazioni interessanti sul loro stato d’animo. Anche la prossemica è una fonte persuasiva che interagisce con lo spazio, organizzato da confini, dalla disposizione degli oggetti e l’informalità. Perciò, considerando che la trascrizione dell’incidente probatorio ha un valore intrinseco del solo 7%, mentre la restante parte è contenuta nel linguaggio non verbale e nel paralinguaggio della videoregistrazione, si evince come da un lato il sistema giustizia risulta carente circa le conoscenze sul comportamento umano dell’adulto e dall’altro sia incline a banali errori di valutazione nel considerare il de relato come indizio grave e concordante, non considerando il valore della scomposizione di un qualsiasi video e non in fermo immagini di un’audizione protetta, incidente probatorio o testimonianza, così come realizzati dal Centro Falsi Abusi, che rappresenta il 93% delle reali informazioni. Se tutto ciò fosse stato esaminato con particolare dovizia dalla Corte Suprema di Cassazione, e non solo il contenuto degli atti (compreso la scomposizione del video in fermo immagini), si sarebbe potuto rilevare che le dichiarazioni della madre non erano veritiere (così come confermato successivamente dalla medesima), e come la bambina ha sostenuto di non conoscere l’ex condannato. In un mondo in cui l’informazione incontra sempre nuove barriere, la capacità di gettare un ponte per la comprensione reciproca rappresenta un compito di crescente importanza e difficoltà nel cosmo della Giustizia; perché non ci si avvale di tali ricerche? La vera comunicazione richiede fiducia, integrità ed empatia, perché la Giustizia deve resistere con i suoi proseliti, senza aprire le porte alla scientificità? Il grande scopo dell’istruzione non è la conoscenza, bensì l’azione - Herbert Spencer. Se davvero c’è un segreto del successo, sta nella capacità di cogliere il punto di vista degli altri e vedere le cose dalla loro angolazione come anche dalla propria - Henry Ford. Il libero convincimento rappresenta l’alternativa ai dati di fatto, poiché implica il rifiuto delle regole che vincolano la dimostrazione pratica dell’evento. Nell’ottica processuale, invece, significa il rifiuto delle regole normative che vincolano il giudice nella valutazione del dato probatorio. In entrambi i casi si è dinanzi a una presa di posizione soggettiva che lede gli interessi dell’individuo, quando non ci si avvale di prove o la facoltà di dimostrare concretamente la ripetibilità di un assioma. Il fatto è una posizione oggettiva dell’accertamento probatorio e prerogativa dei contendenti e alla prova si giunge, tuttavia, attraverso una rigorosa attività procedimentale, che si avvia con l’individuazione del tema probatorio ricostruito dalle parti. Pertanto alle parti grava l’onere di indicare i fatti e l’ammissione dei mezzi di prova di cui intendono avvalersi (art. 493 c.p.p.). Al giudice viene assegnata la cognizione fattuale, che, peraltro, rimane condizionata dalle iniziative delle parti, avvalendosi degli spazi di intervento previsti dal sistema, estendendo l’oggetto dell’attività istruttoria nel rispetto dei limiti fissati dal legislatore (art. 188 e 189 c.p.p.), attraverso gli strumenti suppletivi ad integrare i dati cognitivi ritenuti necessari per una compiuta ricostruzione dei fatti su cui verte il giudizio (art. 507 c.p.p.). Ciò consente la formulazione di un giudizio positivo o negativo sulla sussistenza del fatto da accertare, che il giudice pronuncia sulla base degli elementi conoscitivi ricavati da fonti di prova oggettive, compulsate in dibattimento attraverso gli strumenti normativi previsti a tal fine dal codice. Il fatto negativo di una asserzione motivazionale fattuale è che il giudice ha sempre la possibilità di credere oppure no ad una fonte di prova rispetto ad un’altra, senza il condizionamento di effetti normativi prefissati o di leggi scientifiche ripetibili. Questo, in altre parole, C.d.f.a.s.m. 5 significa evidenziare, in sostanza, che il libero convincimento non rappresenta un “criterio positivo di decisione”, capace, cioè, di orientare il giudizio sulla quaestio facti, ma equivale semplicemente al rifiuto del sistema delle prove legali. Un modello accettabile di libero convincimento lo è, allorquando il conoscere giudiziale gli conferisce una forte impronta di garanzia di una scelta fra due prospettazioni in contesa degli argomenti che la sorreggono sia delle ragioni che suggeriscono il rigetto della tesi contrapposta, all’esito di un giudizio ispirato ai canoni dell’oralità, dell’immediatezza e del confronto dialettico tra le parti. Quando, invece, il convincimento sottosta alla logica inquisitoria e non alla verità del contraddittorio di due avversari e/o alla verifica delle prove scientifiche dimostrabili, ma è generata dalla mente del giudice, il principio assume tutt’altra valenza, divenendo espressione di un potere che tende sovrastare i diritti individuali, perché finalizzato alla prioritaria tutela delle istanze di difesa sociale. Un classico esempio possono essere le fattispecie dei casi di presunte violenze sessuali di minori, in cui l’organo giudicante non si attiva nella ricerca dell’esistenza di prove irrefutabili, ma, bensì, si rifà alle teorie psicologiche indimostrabili come possono essere il trauma, lo stress, le rimozioni o il de relato. Questo perché il giudice, spesso e sovente, colma le inevitabili lacune dell’ordinamento, talvolta, facendo ricorso a valutazioni di carattere etico-politico o mitopsicologiche a impronta arbitraria, anche se in realtà non dovrebbe, per evitare il condizionamento dell’esercizio della funzione giurisdizionale. Tuttavia la discrezionalità sottesa all’applicazione delle norme giuridiche non deve ingenerare equivoci sulla natura di tale attività, che non può essere assorbita al libero giudizio dei dati probatori. In altri termini, la discrezionalità del giudice resta confinata nell’alveo dell’ordinamento giuridico, costituito dalle norme legislative, mentre il libero convincimento deve solo orientare il giudicante nella ricostruzione di fenomeni empirici, attraverso regole per lo più ricavate dall’osservazione dell’esperienza concreta e non da inferenze psico-giuridiche provenienti da sensazioni trasformate in pregiudizi. Purtroppo, si evince, dalle sentenze dei casi di presunta violenza sessuale su minori che la realtà è tutt’altra, in cui l’aspetto argomentativo considera e orienta il libero convincimento verso un modo unidirezionale, considerando solo alcune epistemologie e non altre, allineandosi, nella quasi totalità, ai principi della Suprema Corte di Cassazione che affermano in modo non equivocabile principi di comportamenti umani del tutto discutibili e antiscientifici. Questo accade tutte le volte che si esclude il metodo argomentativo delle parti (anche solo una di esse) o dei criteri scientifici reiterativi, preferendo le proposte ideologiche che veicolano messaggi giuridici fuorvianti. Nel caso di specie si assiste a due liberi convincimenti opposti, in cui trova riscontro la lungimiranza della sentenza di primo grado, sconfessando i due successivi giudizi, senza che l’ordinamento abbia dato seguito alle dichiarazioni non veritiere dell’accusa e discolpato l’ex condannato. Si rammenta, altresì, che le opinioni nell’ambito delle discipline psicologiche e psichiatriche sono totalmente divergenti da rendere impossibile per il giudice pervenire a conclusioni univoche, con il pericolo che – in una situazione di indeterminatezza – la decisione sia presa sulla base del maggiore o minore grado di popolarità e di accettabilità delle idee diffuse sul presunto abuso10. Per esistere ragione, l’abuso dovrebbe avere un’autonoma esistenza psicologica, e dare risultati “indipendentemente da eventuali soggettività o manipolazioni esercitate sull’abusato”. Così come la testimonianza de relato non riferisce fatti noti, bensì per sentito dire, qualificando un sapere privo del necessario riscontro e sostanziando attraverso la verifica dibattimentale della fonte originaria un valore probatorio non previsto dalla legge. Perlopiù, la prova testimoniale costituisce sì un momento essenziale nella ricostruzione del fatto processuale, purché non sia deformata dalle inevitabili distorsioni dei meccanismi percettivi, dalle 10 Identica analogia fu espressa dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 96 del’8 giugno 1981 dichiarando illegittimo l’articolo 603 c.p. (plagium) 6 C.d.f.a.s.m. interferenze dei processi mnestici, dai pregiudizi, dagli stereotipi, da ombre sfocate inattendibili e dalle pseudo teorie psicologiche che credono – attraverso una letteratura soggettiva – di poter individuare un abuso dai disagi, dai comportamenti sessualizzati, dal basso rendimento scolastico, dagli stati emotivi, dagli incubi notturni..., in quanto trattasi di fattori “neutri”. Dopo tutto sostenere, per quanto esposto, che la “compatibilità” e l’”attendibilità” siano giustificativi di prova a restrizione della libertà individuale, significa, a modesto parere, ammettere indirettamente, da un lato il venir meno di un senso di responsabilità sostanziato dall’assenza di riscontri concreti del fatto, dall’altro valorizzare un pensiero soggettivo psicologico dei luoghi comuni della mito psicologia popolare, di un assioma interiore mancante di evidenza logica, razionale e critica verso il sentito dire o la schematizzazione di un pettegolezzo. Oltretutto, i professionisti della salute mentale11 non sono giustificati nell’eludere le ricerche scientifiche in campo psicologico, come gli effetti della suggestione, del linguaggio del corpo, del paralinguaggio e quant’altro esposto, offrendo, eventualmente, a terzi conclusioni soggettive da assurgere a fonte motivazionale alla limitazione della libertà altrui. Orbene, si richiama l’attenzione degli operatori della Giustizia nel considerare che la madre della bambina – querelando l’autore di un opuscolo contenente l’audizione protetta che la Corte d’Appello ha posto come base per dare credito in sentenza al de relato (p. 68-69) – ha dichiarato: “Come falso tutto ciò che era scritto su quel documento…” 12 L’atto di contraddire “Come falso…13”il contenuto delle immagini e dei dialoghi dell’audizione protetta, che si allega14, non fu un episodio isolato, bensì l’inizio di un prosieguo di dichiarazioni estrinseche ed intrinseche testimoniali illogiche contro l’autore del documento, utilizzabili da sole per dimostrare come il propalante si imponga come fonte non affidabile, sia a sostegno dell’atto di diffamazione sia per essere divenuto pilastro portante di responsabilità del presunto reato attribuito al congiunto, perlopiù sconfessate durante il dibattimento. Anche il teste15 citato da Bernarda ricusò le ammissioni che la stessa espose in querela. Da ciò si evince, in modo inequivocabile, come la mamma della bambina possa essere ritenuta non attendibile. Oltretutto, se a dire di Bernarda (sotto giuramento) i fotogrammi e i dialoghi erano falsi, tutto ciò potrebbe significare per rigore, coerenza e affinità di idee che lo fossero anche prima e non per l’atto della pubblicazione. Fatto è che la sentenza di assoluzione in 1° grado dell’autore del libretto divenne irrevocabile. Ed è la lettura di questa sentenza irrevocabile ad offuscare la descrizione ideologizzante della genitrice esposta in sentenza di condanna di Filiberto di 2°grado al punto 10 dal titolo: “Sintesi conclusiva in punto di responsabilità”. La non sincerità delle dichiarazioni, evincibili dagli atti dell’interrogatorio dinanzi al Giudice monocratico di Moncalieri, giustifica la lungimiranza delle motivazioni della sentenza di 1° grado16 – che assolse gli imputati perché i fatti non sussistono – quando affermò: “Va in primo luogo però osservato che in realtà le prime dichiarazioni dei piccoli sono conosciute al processo solo nella forma de relato delle dichiarazioni a loro volta rese dai genitori. Dichiarazioni quindi a cui, rispetto al tema di prova, non può certo attribuirsi il valore probatorio della testimonianza diretta vera e propria, ma solo una efficacia indiziante, anche se intensa, siccome riconosciuto dalla giurisprudenza prevalente. Rispetto a tali fonti orali, il problema della genuinità delle dichiarazioni dei minori si confonde e si 11 Psicologi e neuropsichiatri dei servizi sociali, nonché Giudici onorari come nella fattispecie. L’autore dell’opuscolo si è avvalso del legittimo diritto di critica, riconosciuto a chiunque, nel manifestare il proprio dissenso verso un procedimento dell’Autorità Giudiziaria, che non condivide in particolare per quanto concerne la denudazione della bambina (ritenuta un atto di buonafede). Perciò non può essere attribuito in alcun modo un processo di integrazione analogica per sostenere che la genitrice sia stata indotta a professare che la pubblicazione e il contenuto del libretto fosse “Come falso…”. 13 Il Giudice monocratico di Moncalieri scrive in sentenza: “I fotogrammi e i dialoghi che vi sono riprodotti sono tratti effettivamente dall’audizione della minore [Geltrude], disposta dalla Procura di Torino nell’ambito del procedimento penale…”. 14 Divulgativo dal titolo “Osare la sfida della procura per difendere i bambini”. 15 Per teste ci si riferisce ad un edicolante del paese. 16 Sent. del 31 marzo 2004 GUP dr.Bevilacqua 7 C.d.f.a.s.m. 12 sovrappone con quello della genuinità della fonte che ha ricevuto le dichiarazioni, nonché con il modo con cui sono state assunte ed ottenute le rivelazioni dei piccoli17 (pag. 24) – Circostanza che non permette certo di affermare con sicurezza una reale autonomia delle due fonti, sicché l’una possa essere considerata conferma dell’altra, in una situazione in cui possa essere valutata la reale convergenza di due diversi narrati” (p 27). Non v’è dubbio che i consanguinei e l’ex condannato non potranno che ribadire con maggiore determinazione l’errore giudiziario, stante quanto avvenuto dopo la sentenza della Corte d’Appello, sostanziando che la condanna si fonda esclusivamente su una pseudo-verità processuale e non sulla verità del fatto storicamente non verificatosi, per l’assenza di idoneità delle “prove” raccolte a contribuire alla validità della prova d’accusa. Ecco che allora il contenuto del dispositivo di diniego di benefici penitenziari, che fonda la motivazione sul fatto che l’ex condannato non ha rivisitato il presunto reato commesso, trova sostanza in quanto esposto. In particolare si osserva che se le motivazioni di una sentenza sono supportate da inferenze psico-giuridiche, non si vede come la legge, che richiede la prova oltre ogni ragionevole dubbio, non debba essere abrogata e il tutto rimesso alla soggettività dell’operatore della giustizia. Perlopiù, il fatto stesso di fondare una condanna sul de relato di un parente stretto di cui non si possono riscontrare elementi concreti a supporto dell’accusa (come ad esempio il luogo, il periodo, i testimoni…) e non da ultimo trascurare le dichiarazioni della minore che non conosceva l’imputato, che i racconti di ciò che avrebbe dovuto professare erano stati resi dall’intervistatrice e a maggior ragione a distanza di un anno dalla condanna della Corte d’Appello assistere a un’antitesi di un’audizione protetta – fa evincere che la dichiarazione de relato non solo non rappresenta un “grave indizio” ma è in aggiunta una fonte incostituzionale. Oltretutto, la dichiarazione indiretta crea un disallineamento con i principi della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). Allora risulta evidente come un innocente e i suoi congiunti – dinanzi a fatti in cui la fonte primaria di accusa rettifica sotto giuramento ciò che prima era divenuto l’origine per eccellenza su cui fondare la restrizione della libertà di un individuo – non possano che rimarcare con forza la propria estraneità agli addebiti contestati e di essere stati vittime di un sistema giustizia incline alle ricostruzioni filosofiche – psicologiche - giuridiche (come il de relato), piuttosto che alla ricerca della verità attraverso prove e riscontri, per fugare ogni ragionevole dubbio. Pensare di collaborare con la giustizia per ammettere un reato non commesso e per di più disdetto da chi avrebbe raccolto le prime dichiarazioni della minore, non solo viola la Carta Costituzionale ma è privo di qualsiasi elemento positivo. Perciò, leggere l’inammissibilità di una richiesta di benefici previsti dall’O.P. per non aver: “collaborato con la giustizia, professarsi innocenti, ritenersi vittima di un errore giudiziario, la mancanza di una revisione critica del reato per accedere ai benefici penitenziari e da ultimo zone d’ombra relative ai diversi episodi di violenza sessuale18”, induce chiunque a evidenziare altri profili. Fra le tante osservazioni critiche che si possono fare sulla c.d. “confessione postuma”, dinanzi a condanne su de relato e/o inferenze psico-giuridiche prive di concretezza probatoria, giova ricordare come sia anomalo, in primo luogo, avallare l’operato della giustizia confermando le illogicità delle motivazioni che reggono la pena inflitta non oltre ogni ragionevole dubbio, in secondo luogo, prospettare al colpevole l’interesse a sottostare in maniera compiacente all’offerta di benefici penitenziari, giustificando, nel frattempo, verso l’esterno la funzione rieducativa del carcere e il recupero del recluso. Se il professarsi innocenti sostanzia la preclusione dei benefici della semilibertà dell’affidamento in prova al servizio sociale, tutto ciò, da un lato, risulta una 17 Capoverso concettualmente analogo a quello espresso dalla sentenza di Cassazione a pag. 4 (42406/11), con la sola variante temporale (7 anni dopo). Questo che cosa sostanzia: arbitrarietà, inquisizione o incostituzionalità? 18 Disposizioni contenute nell’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Torino del l’8 febbraio 2011 – Presidente dr. G. Cocilovo, giudice estensore M. R. Falcone. 8 C.d.f.a.s.m. violazione dei diritti costituzionali, dall’altro sottolinea come le istituzioni non abbiano assolto al loro compito nella ricerca della verità. Purtroppo, ancora una volta, si deve prendere atto che le motivazioni di una sentenza o di un diniego di benefici sono interpretate dalla giustizia e dalla giurisprudenza come parametro soggettivo circa l’applicabilità o meno, a fattispecie concrete, delle norme del diritto positivo. A sostanziare la soggettività della giustizia e l’incostituzionalità degli atti, merita richiamare il fatto che la coimputata già dal mese di dicembre 2010 aveva ottenuto il beneficio previsto dalla legge19, mentre per Filiberto il Collegio giustificò il proprio operato ritenendo che il precedente non avesse preso in esame la questione di inammissibilità, come invece autonomamente nel caso di specie è stato fatto dall’Ufficio di sorveglianza di Cuneo, che sulla base di ciò non aveva già concesso permessi premio. Rimanendo in tema, merita citare il contenuto della relazione di sintesi redatta dagli operatori dell’Istituto penitenziario, che hanno seguito per un intero anno il detenuto, “esprimendo parere favorevole all’ammissione a misure alternative, adducendo il fatto che il soggetto si è sempre proclamato innocente ed estraneo al reato e dal punto di vista disciplinare ha mantenuto un comportamento estremamente corretto e conforme alle regole interne”. Tutto ciò premesso, si evince un’illegalità (stante gli atti) nei confronti del recluso e dei congiunti, sia per l’ostinazione d’innocenza in merito ai fatti addebitati, sia per la divulgazione sul territorio nazionale dell’inefficienza del sistema giustizia sui presunti abusi. Per di più, gli operatori del diritto rifiutano la ricostruzione giuridica definitiva di una sentenza, a tal punto che il magistrato di sorveglianza di Cuneo ha omesso20 di concedere i benefici di legge dell’art. 54 dell’O. P., costringendo il ristretto a rimanere in carcere oltre i termini previsti dalla norma citata, con un’ordinanza di diniego e una motivazione priva di una valutazione di merito. L’illogicità del sistema Giustizia vuole, poi, che il giudice estensore di questa pronuncia (omissione) fosse il presidente del collegio che ha negato la semilibertà, il cui estensore (semilibertà) era il magistrato di sorveglianza che ha omesso i benefici. Oltretutto, il ricorso per Cassazione per i mancati benefici previsti dall’O.P. ha dato ragione al ricorrente. La Suprema Corte 21 ha annullato il provvedimento del Tribunale di Sorveglianza di Torino, sostenendo la mancanza di motivazione circa il fatto che nella sentenza della Corte d’Appello sussistessero delle lacune ed incertezze dei fatti, da divenire ostative alla concessione dei benefici, così come non si poteva invocare l’ipotesi dell’assenza di collaborazione (per rigetto della condanna), perché il legislatore non ha inserito alcun riferimento limitativo. Allora, quale fine si cela dietro a questo comportamento di non responsabilità? Forse anche questi sono atti di buonafede? Non sarebbe, forse, opportuno per una maggiore trasparenza e positività del sistema “Giustizia”, che stante il resoconto, ci fosse una pubblica giustificazione da parte di quanti si occuparono del caso di Filiberto? Queste sono solo alcune delle domande che meritano una risposta, perché non possono essere agiti giustificabili “In nome del Popolo Italiano”. La letteratura di merito ci conforta nel dire che la tipica procedura inferenziale giuridica passa necessariamente attraverso il trasformarsi della sensazione in percezione, che congiunta con i propri schemi mentali muta in un giudizio. Se a ciò si aggiunge il fatto che la suggestione di qualsiasi essere umano transita attraverso le emozioni e i sentimenti, che a loro volta diventano delle abitudini, facendo nascere in tal modo l’idea, si arriva a capire come quest’ultima consenta alla mente di raffigurare il mondo. In sostanza John Locke sostenne che la verità è assenso, cioè non dimostrazione logica, ma concordanza tra le idee della mente. 19 L’istanza al Tribunale di sorveglianza per i benefici previsti dall’O.P. è stata presentata allo scadere dell’anno di osservazione da entrambi i reclusi, fissando per una la camera di consiglio e l’affidamento in prova al servizio sociale già a dicembre 2010, mentre per il detenuto di Saluzzo a febbraio dell’anno successivo precludendogli ogni misura alternativa. 20 Così si è espresso il Tribunale di sorveglianza di Torino, dopo che il recluso ha subito giorni di inutile carcerazione, nell’accogliere il ricorso del ristretto dopo la sua libertà naturale, alla pari di una vittoria di Pirro 21 Cass. Sez. Penale I - Sent. n. 3215 del 14-10-2011 - Rev. 39139/11 Pres. U. Giordano, estensore Capozzi. 9 C.d.f.a.s.m. Allora, se consideriamo debitamente quanto poc’anzi espresso, è evidente una congiunzione di pensiero nel rilevare che dai magistrati d’Appello a quelli del Tribunale di sorveglianza vi sia stato un giudizio cortocircuitato con la realtà dei fatti, giustificato dal fatto che la Giustizia è un sistema di pensiero, a cui non è possibile attribuire errori. Di fatto, se osserviamo il caso di merito, si denota quanto segue: 1. La condanna è avvenuta su dichiarazioni della madre (de relato) che avrebbe raccolto le prime dichiarazioni della figlia dei giochi sessuali, che avvenivano nei bagni del cortile della scuola materna, durante l’intervallo del dopo pranzo e con la vigilanza di tutte le insegnanti dell’istituto, attribuendoli in realtà a soli due imputati in luoghi diversi; 2. La madre ha la capacità di distinguere quando una figlia racconta la verità o la menzogna; 3. La denudazione, in Procura, della bambina avviene per dimostrare agli esperti l’accaduto, ancor prima del contraddittorio, anche se la minore afferma di non conoscere l’imputato e i racconti erano professati dall’intervistatrice; 4. La madre della bambina, dopo la pubblicazione in profilo critico delle presunte dichiarazioni della minore alla genitrice, ritenute fonte di condanna per il sistema Giustizia, arriva ad asserire “Come falso tutto ciò che era scritto su quel documento…” 5. Il magistrato di sorveglianza di Cuneo, relatore della Camera di consiglio scrive il suo giudizio sul recluso sostenendo che: “…professarsi innocenti, ritenersi vittima di un errore giudiziario, la mancanza di una revisione critica del reato per accedere ai benefici penitenziari e da ultimo zone d’ombra relative ai diversi episodi di violenza sessuale”, non concesse la semilibertà; 6. Il magistrato di sorveglianza omette di concedere la libertà anticipata, pur essendovene i presupposti di legge, con un’ordinanza di diniego e un rimando di motivazione priva di una valutazione di merito. A giustificazione di quanto esposto circa il disconoscimento dei fatti condanna sul de relato si allega il fascicolo dal titolo “Osare la sfida della Procura per difendere i bambini”, con la scomposizione delle immagini22 dell’audizione protetta e le affermazioni salienti della non attendibilità della madre, pronunciate in tutta libertà dinanzi al Giudice di Moncalieri e inserite nella trascrizione dell’interrogatorio. Perlopiù, se è stata data sostanzialità alla deposizione di Bernarda dinanzi al collegio della Corte d’Appello che ha comminato la condanna, altrettanto rilievo deve avere la sua smentita, quale testimonianza atipica nella ricostruzione del fatto processuale per confermare la postuma estraneità del recluso. Per ulteriori riflessioni sulla non condivisibilità dei metodi adottati per condurre un’investigazione in caso di presunto abuso sessuale di minori si può far riferimento alla Carta di Noto e alle linee guida inglesi23 e da ultimo gli approfondimenti del Consiglio Superiore della Magistratura24,.che testimoniano, nel caso di specie, di come sia venuta meno la buona fede. In conclusione si evince dall’esame degli atti del procedimento riguardante l’evento come la valutazione di un fatto sia estremamente connessa al convincimento e alla discrezionalità dell’operatore della giustizia, indipendentemente che vi siano fatti tangibili, e come un’affermazione indiretta (de relato) sia fonte di prova irrefutabile per giustificare la restrizione della libertà individuale di qualsiasi essere umano. Quello che fa specie nei casi di presunto abuso, in assenza di prove irrefutabili, è che una 22 La scomposizione dell’audizione protetta in fermo immagini rivela quanto esposto circa suggestionabilità, il linguaggio non verbale, il paralinguaggio e il libero arbitrio del giudicante, anziché il libero convincimento afferente al tema probatorio ricostruito dalle parti. 23 Memorandum of Good Practice on Video Recorded. Interviews with Child Witnesses for Criminal Proceedings, 1992 (vedi www.falsiabusi.it ). 24 Approfondimenti o linee guida del C.S.M.dal titolo “L’ascolto dei minori in ambito giudiziario” (vedi www.falsiabusi.it). 10 C.d.f.a.s.m. sentenza possa essere motivata in mille modi diversi, assolvendo o condannando. Questo sarà uno degli impegni che ci si prefigge nel dimostrare come gli stessi atti possano essere valutati e considerati nella più ampia formula del ragionevole dubbio, e come una perizia psicologica che esprima compatibilità verso un evento sia foriera e pregiudizievole. Per di più, da un attento esame degli atti processuali, sia del recluso sia del congiunto circa l’operatività degli organi della giustizia, si evince un’indisponibilità al dialogo verso coloro che hanno l’ardire di contrastare, pubblicare e criticare azioni non condivisibili delle Istituzioni (come ad esempio la denudazione della bambina, la suggestione del minore da parte degli inquirenti, l’assenza di una garanzia nella conduzione dell’intervista a livello nazionale...), vedendosi respinte denuncie e istanze in difesa dell’infanzia e dei diritti dell’uomo. Ovvero essere rinviati a giudizio (e anche condannati) per l’assenza di indagini o per l’estromissione di una locuzione da una proposizione, per dare un senso diverso alla restante parte, sovvertendo il legittimo diritto di critica riconosciuto a chiunque. Se da un lato è doveroso difendere i minori da qualsiasi aggressione fisica, psicologica e sessuale da quanti hanno tendenze violente o perverse, dall’altro non è condivisibile che in alcune Procure avvengano atti giustificati come azioni di buonafede o rappresentazioni, in sede istituzionale, di agiti di bambini affinché gli “esperti” e gli inquirenti possano vagliarne il contenuto in simbiosi agli script o schemi culturali esclusivi, che se commessi da un qualsiasi cittadino risulterebbero perseguibili con pene fino a quindici anni. Per questi motivi si rigetta la turpe condanna del consanguineo, sostenendo con vigore la sua innocenza, combattendo gli errori giudiziari che possono emergere in situazioni analoghe e che si palesano giustificati da agiti assurdi per il rispetto della giustizia, allontanando da chiunque l’ipotesi che si voglia difendere i sex offender o reputarsi dei martiri. La speranza - ultima - di questa missiva è che il suo contenuto, come da più parti prospettato, venga valutato con saggezza e non sia fonte di giudizio e/o inferenza nel perseverare nella limitazione della libertà. Addì, 11 aprile 2011 – rev. 23 gennaio 2012 N.B. Per ricondurre i “fatti” attribuiti all’ex condannato con la sentenza irrevocabile del congiunto si precisa che i nomi sono di fantasia e giustificati nel seguente modo: Madre della bambina – Bernarda o A69; Imputato Filiberto o I20; Coimputata – Vanessa o I10; Bambina – Geltrude o A10; Psicologa – F10. Allegato: Osare la sfida della Procura per difendere i bambini C.d.f.a.s.m. 11 *** Allegato *** CENTRO DI DOCUMENTAZIONE FALSI ABUSI E SOTTRAZIONI DI MINORI www.falsiabusi.it [email protected] Osare la sfida della Procura per difendere i bambini L’irrevocabilità della sentenza di assoluzione di primo grado (perché i fatti non sussistono), avente ad oggetto la critica mossa alle modalità di intervista di una bambina durante un’audizione protetta presso la Procura di Torino (inerente il caso della scuola materna G. Bovetti di La Loggia (TO) e per denuncia della madre), consente di formulare diverse considerazioni. Una di queste è la presa di posizione contro l’autore dell’opuscolo “Atti e fatti accaduti in Tribunale nell’ascolto del minore – Per condannare degli innocenti”, che ha osato criticare (aspramente) il comportamento degli attori nell’ascolto della minore, che viene indotta a denudarsi, affinché gli esperti e gli inquirenti potessero valutare quanto presumibilmente fosse accaduto, facendo fede alle sole dichiarazioni della madre. Perlopiù, l’informativa, contenente dialoghi e scene dell’avvenuto ascolto, è stata divulgata a ridosso del dispositivo di condanna degli imputati, e successivamente oggetto di sequestro. Questo caso è, forse, il primo a scagliarsi con una tale veemenza sul minore da porre in secondo piano quello dell’asilo Mc Martin (noto in tutto il mondo); anche se non è il solo, in quanto esistono altri casi, come, ad esempio, quello in cui il consulente si è fatto palpeggiare l’organo genitale da una bambina di soli quattro anni nell’ufficio del Pubblico Ministero o quello in cui i genitori videoregistrano i figli in posizioni osé... (Rignano Flaminio) Se da un lato è doveroso difendere i minori da qualsiasi aggressione fisica, psicologica e sessuale da quanti hanno tendenze violente o perverse, dall’altro non è condivisibile che in alcune Procure avvengano atti giustificati come azioni di buonafede o rappresentazioni, in sede istituzionale, di giochi sessualizzati perché gli esperti e gli inquirenti ne possano vagliare il contenuto, che se commessi da un qualsiasi cittadino risultano perseguibili con pene fino a quindici anni. L’autore della pubblicazione era certamente consapevole che prima o poi sarebbe stato perseguito qualora avesse diffuso quanto accaduto in Procura, pur nel rispetto della norma, ma due sono le cose inverosimili, come riportato in calce alla sentenza, una è l’interpretazione di una norma penale in senso sfavorevole e come tale vietata dall’ordinamento positivo, la seconda l’estrapolare da un capoverso, eludendo la locuzione che la precedeva, una frase che di per sé potrebbe essere diffamatoria se racchiusa fra virgolette (“ ”). C.d.f.a.s.m. 12 Altro aspetto non meno significativo risiede nel contenuto dell’art 13 del Codice deontologico dei magistrati, in merito alla condotta del pubblico ministero nella parte che recita: Il pubblico ministero si comporta con imparzialità nello svolgimento del suo ruolo. Indirizza la sua indagine alla ricerca della verità acquisendo anche gli elementi di prova a favore dell’indagato e non tace al giudice l’esistenza di fatti a vantaggio dell’indagato o dell’imputato. Omissis, mentre la sentenza in calce afferma: Sul punto, è mancato qualsiasi indagine, non essendo stato compiuto alcun accertamento sull'identità di colui (o coloro) che ha (o hanno) creato il sito in esame, che lo gestisce e che è autorizzato ad inserire scritti,… Nella fattispecie, invece, si ha la sensazione che il rigore imposto dal Codice deontologico, che caratterizza l’operato del P.M. nello svolgimento delle proprie funzioni, sia stato assorbito e consolidato in prassi che non si rispecchiano nei principi canonici. Anche il confronto delle dichiarazioni querelante–imputato (Allegato B), così come esposto nelle tabelle in calce alla sentenza, pone in risalto tutta una serie di contraddizioni che vanno ben oltre la verità, le quali non possono essere giustificate da uno stato ansioso, emotivo… conseguente alla pubblicazione delle immagini e dei dialoghi dell’audizione protetta. Quello che fa specie è che mentre la sentenza della Cassazione che ha confermato la condanna degli imputati della Bovetti, così come esposto al punto 6.2: “Risulta altresì dalla motivazione della sentenza che Bernarda, pur allarmata e preoccupata per quanto aveva accertato e verificato personalmente e per le sollecitazioni ricevute dalla figlia di non parlare e, comunque, dell'esistenza di una sorta di segreto intorno a quelle pratiche, attinenti la sfera sessuale, tenne un comportamento estremamente prudente” in questo contesto il comportamento è tutt’altro che prudente a tal punto che la querelante viene smentita non solo dall’imputato ma anche dal suo teste principale (Edicolante)25, oltre ad altre e significative contraddizioni emerse durante l’interrogatorio, come ad esempio la divulgazione del nome e dell’immagine di Geltrude, prima sostenuta e poi smentita. E’ difficile che un soggetto manifesti, in contesti diversi, una doppia personalità, perché ciò significherebbe possedere il dono dell’ambiguità, che non riflette certamente il nostro caso. Tutto ciò induce a formulare il ragionevole dubbio che quanto scritto e affermato dalla Cassazione non trova conferma nella realtà, soprattutto quando con decisione e determinatezza di tono la querelante afferma: “Come falso tutto ciò che era scritto su quel documento…”(Opuscolo), smentendosi, a distanza di tempo, su quanto dichiarato in audizione protetta del 19/10/2001, così come non è sostenibile e tanto meno percorribile la strada della “favola” di uno stato traumatico o confusionale conseguente la rivisitazione di quelle immagini. Si evince, pertanto, che la querelante (Bernarda), sottoposta alla formula di rito dell’art. 497 c.p.p., ha minato la sua stessa credibilità e sincerità – per essere stata smentita più volte dai testi; in conseguenza di ciò, è ragionevole pensare che anche le dichiarazioni pronunciate dinanzi alla Corte d’Appello (i fatti dell’opuscolo) assumono le stesse sfumature; dichiarazioni, queste, che hanno contribuito alla condanna di due innocenti. Inoltre, considerando che la Corte d’Appello di Torino prima e la Cassazione poi (Sen. Sez. 3 n. 49432709), hanno fondato il proprio convincimento o discrezionalità sulla capacità di una madre di leggere nella mente della propria figlia e di distinguere la verità dalla menzogna; non si comprende, per esempio, come in un interrogatorio sia possibile affermare: “posso rispondere come penso”, dinanzi a 25 Si rammenta che stante il fatto della scelta del rito abbreviato nel procedimento penale a carico degli imputati della scuola materna G. Bovetti, qui si è scelto il rito ordinario, cioè interrogando la Bernarda. 13 C.d.f.a.s.m. una precisa domanda chiusa (Sì o No), per poi ritenere la risposta fonte di prova. In futuro non mancheranno certamente occasioni per approfondire il contenuto dibattimentale di questa sentenza con quelle della Corte d’Appello e della Cassazione. In tema di tutela all’infanzia, fa specie che nei tre gradi di giudizio, i cui imputati, prima assolti e poi condannati, nessun giudice abbia preso posizione contro le modalità di ascolto della minore nella forma documentata dalle immagini, confermando a priori e in modo indiretto, l’operato della Procura di Torino. Non v’è dubbio che d’ora in poi simili comportamenti, non condivisibili, potranno essere perpetrati e giustificati in altre sedi del territorio nazionale. A parere di scrive, si ritiene che una siffatta pronuncia non consideri il contenuto dell’art. 188 c.p.p. nella parte che recita: Non possono essere utilizzati, neppure con il consenso della persona interessata, metodi o tecniche idonei a influire sulla libertà di autodeterminazione o ad alterare la capacità di ricordare e di valutare i fatti. Si tratta, infatti, di una disposizione-cardine nell’ambito della disciplina delle prove, che si colloca nel solco della salvaguardia dei diritti inviolabili della persona e che impone all’investigatore l’adozione di consoni protocolli operativi atti a difendere la dignità del dichiarante. Orbene, per quanto esposto, non v’è dubbio che l’operato e l’attenzione in difesa dei minori debba essere rivolto, non solo nei confronti di qualsiasi cittadino, ma anche verso gli operatori delle Istituzioni, e si invita chiunque ad unirsi per far fronte comune contro tali eventi, segnalando e inviando al Centro falsi abusi altri casi sui generis26, commessi da organi preposti a difendere i bambini, affinché questo sistema, così poco ortodosso nella tutela dell’infanzia, possa essere ricondotto sulla prova provata, allontanando le teorie messianiche di alcuni professionisti della salute mentale e degli operatori del diritto. Li, 13 maggio 2010 26 Il materiale idoneo a valutare correttamente l’operato degli attori, utilizzando la scomposizione della testimonianza delle audizioni protette e dell’incidente probatorio, sono i video e la loro trascrizione, congiuntamente a s.i.t. e perizie. 14 C.d.f.a.s.m. Tribunale Ordinario di Torino Sezione Distaccata di Moncalieri Sentenza n. 244/2009 del 22/10/09 Estratto REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Giudice monocratico, dr.ssa Silvana Podda, all'esito dell'udienza pubblica in data 22/10/09 ha pronunciato e pubblicato mediante lettura del dispositivo la seguente SENTENZA ai sensi dell'art.530 CPP nella causa penale contro PANTERA; difeso di fiducia avv. Stefano Lojacono del Foro di Brescia; IMPUTATO 1) del reato di cui agli artt.81 cpv, 734 bis CP perché, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, pubblicava, senza il suo consenso, sul sito denominato www.falsiabusi.it e sull'opuscolo intitolato "Atti e fatti accaduti in Tribunale nell'ascolto del minore per condannare degli innocenti", allegato alla pubblicazione "Le correnti del pensiero psicologico e psichiatrico sui veri e falsi abusi", l'immagine della minore Geltrude, parte offesa del reato di cui agli artt.609 bis, 609 ter CP nel procedimento n. xxxx/01 RG NR Procura Torino; 2) del reato di cui agli artt.81 cpv, 595 CP, 13 L 47/48 perché offendeva l'onore e il decoro di Bernarda, madre della minore Geltrude, affermando nell'articolo di presentazione di un filmato relativo all'audizione protetta della minore cui aveva partecipato anche la Bernarda, pubblicato sul sito denominato www.falsiabusi.it e sull'opuscolo intitolato "Atti e fatti accaduti in Tribunale nell'ascolto del minore per condannare degli innocenti", allegato alla pubblicazione "Le correnti del pensiero psicologico e psichiatrico sui veri e falsi abusi", che si esprimeva "preoccupazione e solidarietà" verso "quei bambini che si vogliono fare credere abusati a tutti i costi e che sulla minore erano stati commessi reati durante l'audizione ed ancora che "ogni genitore è autorizzato ad impiegare qualsiasi metodo per far parlare l'infante, perché le sue dichiarazioni vengano considerate attendibili e credibili, C.d.f.a.s.m. 15 anche se sono sostenute da metodi induttivi e coercitivi, con le aggravanti dell'attribuzione di un fatto determinato e, con riferimento alla pubblicazione dell'opuscolo, di avere commesso il fatto a mezzo stampa. Reati commessi in La Loggia e Moncalieri dal gennaio 2008 ad oggi Con l'intervento del PUBBLICO MINISTERO in persona del VPO dr.ssa Fioccardo in sostituzione della dr.ssa Caputo. CONCLUSIONI DELLE PARTI P.M.: affermarsi la penale responsabilità dell'imputato per tutti i reati ascritti, unificati sotto il vincolo della continuazione, e condannarsi alla pena di anni 1 di reclusione ed € 400,00 di mu1ta. DIFESA PARTE CIVILE (Bernanrda in proprio e quale esercente la potestà qenitoriale verso la minore Geltrude): affermarsi la penale responsabilità dell'imputato e condannarsi alle pene di legge, nonché al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile da liquidarsi in separato giudizio con la concessione di una provvisionale immediatamente esecutiva di complessive € 15.000,00 nonché alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile, come da nota scritta [Avv. Rosalba Cannone € 6.927,49]. DIFESA PARTE CIVILE (Spinello in proprio e quale esercente la potestà qenitoriale verso la minore Geltrude): affermarsi la penale responsabilità dell'imputato e condannarsi alle pene di legge, nonchè al risarcimento dei danni cagionati alla parte civile da liquidarsi in separato giudizio con la concessione di una provvisionale immediatamente esecutiva di complessive € 13.000,00 nonché alla rifusione delle spese processuali sostenute dalla parte civile, come da nota scritta [Avv.Giuseppe Del Sorbo € 8.392,82]. DIFESA: assolversi l'imputato da tutti i reati ascritti; MOTIVI DELLA DECISIONE All'odierna udienza dibattimentale, fissata a seguito del decreto che dispone il giudizio emesso dal GIP presso il Tribunale di Torino, si svolgeva la discussione, al termine della quale le parti assumevano le conclusioni riportate in epigrafe. I fatti materiali che costituiscono l'oggetto di questo processo devono ritenersi pacificamente accertati e sono stati ammessi dallo stesso imputato, che - come si vedrà meglio più avanti - ha negato soltanto di aver pubblicato sul sito internet denominato www.falsiabusi.it i fotogrammi tratti dall'audizione della minore Geltrude e di avere scritto l'articolo, apparso sul medesimo sito, nel quale si leggono le prime due frasi contestate al capo 2). Con riferimento al reato contestato sub 1), all'udienza 1/6/09 l'imputato, rispondendo alla domanda del Pubblico Ministero che chiedeva per quale motivo avesse pubblicato non solo i dialoghi dell'audizione ma anche le immagini, ha testualmente dichiarato: "le immagini, dopo averle oscurate naturalmente, dopo avere letto cosa mi imponeva l'articolo di non fare, le ho pubblicate semplicemente per dare forza, …cosa avviene oggi quando si ascolta un minore" ed ha precisato di non averle pubblicate sul sito internet, trattandosi di sito non creato da lui e di cui non aveva la disponibilità né l'autorizzazione ad operare: "del sito internet non posso rispondere.. non compete a me il sito internet. Non sono io del sito internet.. non l'ho creato io il sito.. non è stato creato su mia richiesta" (cfr. pag.14 e ss. della trascrizione). C.d.f.a.s.m. 16 L'opuscolo in questione, intitolato "Atti e fatti accaduti in Tribunale nell'ascolto del minore - Per condannare degli innocenti? - a cura del Pantera ", è allegato al libretto "Le correnti del pensiero psicologico e psichiatrico sui veri e falsi abusi" ed è stato acquisito al fascicolo del dibattimento. I fotogrammi e i dialoghi che vi sono riprodotti sono tratti effettivamente dall'audizione della minore Geltrude, disposta dalla Procura di Torino nell'ambito del procedimento penale a carico di Filiberto e di Vanessa per il reato di cui agli artt.81 cpv, 110, 609 bis, 609 ter c.1 e U.C., 609 octies CP, commessi in La Loggia nel corso del 2001 e comunque non oltre l'ottobre del 2001. [Vedere allegato A] L'audizione della minore è condotta principalmente dalla psicologa dr.ssa M. G. ed avviene alla presenza della madre della bambina, l'odierna parte civile Bernarda. Tranne quello della psicologa, i nomi della minore e della madre sono di fantasia, atteso che la minore è chiamata "Geltrude" e la madre "Bernarda". Dall'esame dell'opuscolo si evince inequivocabilmente che: -le riprese sono effettuate dall'alto e mancano del tutto immagini ravvicinate e primi piani delle persone presenti nella stanza; -le immagini della bambina, della madre e della psicologa sono interamente oscurate nel volto, il quale è celato da una macchia nera che impedisce perfino il riconoscimento del taglio e del colore dei capelli; -sono oscurate totalmente le parti intime della bambina. Da tutto ciò si evince che il volto della minore non è stato affatto pubblicato, in quanto la minore è del tutto irriconoscibile, e nessuna immagine della stessa è stata quindi divulgata. Così ricostruito il contesto di fatto, occorre ricordare che l'art.734 bis CP (introdotto dall'art.12 della L 15/2/96 n.66, che ha aggiunto il Titolo II bis al Libro Terzo del codice penale) tutela l'anonimato della persona offesa e risponde al diffuso bisogno di particolare protezione della vittima dei reati di violenza sessuale. Il bene protetto da questa norma è, perciò, chiaramente la riservatezza dell'individuo, il suo diritto all'anonimato. Invero, la fattispecie incriminatrice è così costruita: "chiunque, nei casi di delitto previsti dagli articoli... divulghi, anche attraverso mezzi di comunicazione di massa, le generalità o l'immagine della persona offesa senza il suo consenso, è punito". Nel caso di specie, non vi è stata alcuna divulgazione né delle generalità né dell'immagine della persona offesa, in quanto le generalità mancano totalmente (l'unico dato rientrante nel concetto di generalità è il nome, che è di fantasia) e le immagini sono state oscurate a tal punto da renderle completamente irriconoscibili. La violazione dell'art.734 bis CP è stata, pertanto, ravvisata dal Pubblico Ministero e dalle parti civili nella pubblicazione di dati, evidentemente esterni alle persone offese, tali da poter condurre il lettore all'identificazione del caso concreto: numero di procedimento penale, nome della psicologa, nome del Pubblico Ministero e del Giudice per le indagini preliminari procedenti. La pubblicazione di tali dati, non consentita ai sensi dell'art.114 c.6 CPP (rubricato come "Divieto di pubblicazione di atti e di immagini") e dell'art.13 DPR 22/9/88 n.448 ("Divieto di pubblicazione e di divulgazione"), sarebbe punita anche ai sensi dell'art.734 bis CP, in quanto idonea a compromettere l'anonimato della persona offesa coinvolta nel processo per i reati previsti dalla norma in commento. L'operazione ermeneutica proposta dalle parti tuttavia non è legittimamente consentita. C.d.f.a.s.m. 17 È appena il caso di ricordare, infatti, che il principio di tassatività o sufficiente determinatezza della fattispecie penale, principale corollario del principio di legalità, impedisce di ricomprendere nella fattispecie incriminatrice condotte diverse da quelle descritte come tipiche e di sanzionare penalmente comportamenti non rientranti nella previsione normativa, La norma in esame punisce la divulgazione di "generalità" e "immagini" e non prevede, come invece fanno le norme richiamate dai rappresentanti dell'accusa pubblica e privata, "la pubblicazione di elementi che anche indirettamente possano comunque portare all'identificazione" dei minorenni testimoni, persone offese o danneggiati dal reato (art.114 CPP). Né può essere attribuita rilevanza penale a tali elementi in base ad un processo di integrazione analogica dell'art.734 bis CP, che si tradurrebbe in un'analogia in malam partem, relativa cioè all'interpretazione di una norma penale sfavorevole, come tale vietata dall'ordinamento positivo. A ciò si aggiunga, ma solo come corollario, che la tutela dell'anonimato della persona offesa è garantita dall'art.734 bis CP su tutto il territorio nazionale e non soltanto in ambito locale ovvero nell'ambito ristretto in cui la persona offesa vive e/o svolge la propria attività, ove è plausibile e comprensibile che anche la comunicazione di pochi dati, sebbene esterni alla stessa persona offesa, possano condurre la collettività locale a identificarla. Nel caso di specie, la notizia era di dominio pubblico da molto tempo e ben prima che Pantera diffondesse l'opuscolo, come i testimoni sentiti nell'istruttoria dibattimentale hanno unanimemente confermato, cosicché sotto questo profilo la condotta del Pantera appare del tutto ininfluente. In ogni caso, la condotta posta in essere dall'imputato non integra la fattispecie incriminatrice ascritta sub, 1), di cui difetta un elemento costitutivo (l'elemento materiale), cosicché dev'essere pronunciata sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste. Quanto al reato sub 2), è stato documentalmente provato - sulla base della stampa dello scritto apparso sul sito internet www.falsiabusi.it acquisita al fascicolo del dibattimento) - che le seguenti frasi contestate come diffamatorie, cioè che si esprimeva "preoccupazione e solidarietà" verso "quei bambini che si vogliono fare credere abusati a tutti i costi" e che sulla minore erano stati commessi reati durante l'audizione, non compaiono nel testo dell'opuscolo intitolato "Atti e fatti accaduti in tribunale nell'ascolto del minore per condannare degli innocenti?", allegato al libretto "Le correnti del pensiero psicologico e psichiatrico sui veri e falsi abusi", che l'imputato ha riconosciuto di avere scritto e diffuso nel formato cartaceo. Compaiono invece nei due periodi che precedono il testo dell'opuscolo "a cura di Pantera ", ma non è stato accertato da chi siano state scritte, mentre l'odierno imputato ne ha respinto la paternità, ribadendo più volte di non avere creato il sito internet, di non averne avuto la disponibilità, di non avere scritto quelle frasi: "del sito internet non posso rispondere.. non compete a me il sito internet. Non sono io del sito internet" non l'ho creato io il sito.. non è stato creato su mia richiesta" (cfr. pag.14, 15 della trascrizione). Ed ancora, rispondendo alle domande dell'avv. Del Sorbo, difensore di parte civile Spinello, e del Giudice ha dichiarato: "Avvocato (A): .. in merito alla pubblicazione di questi suoi scritti all'interno del sito.. chi ha inserito materialmente la pubblicazione all'interno del sito? Imputato (I): non sono in grado di rispondere chi l'ha inserito.. non sono in grado di rispondere perché non lo so .. io ho consegnato l'opuscolo, il cartaceo .. il mio scopo era semplicemente.. dare informativo come ho dato a tutti gli altri. Solo questo. …omissis C.d.f.a.s.m. 18 Sul punto, è mancato qualsiasi indagine, non essendo stato compiuto alcun accertamento sull'identità di colui (o coloro) che ha (o hanno) creato il sito in esame, che lo gestisce e che è autorizzato ad inserire scritti, fotografie, commenti propri e/o di altri, cosicché la dichiarazione difensiva del Pantera non può essere smentita e, in assenza di prove di segno contrario, dev'essere ritenuta attendibile con la conseguente pronuncia di sentenza di assoluzione -in relazione alle frasi sopra riportate - per non aver commesso il fatto. Nell'opuscolo scritto e pubblicato dal Pantera, invece, si legge sicuramente la frase "ogni genitore è autorizzato ad impiegare qualsiasi metodo per far parlare /'infante, perché le sue dichiarazioni vengano considerate attendibili e credibili, anche se sono sostenute da metodi induttivi e coercitivi”, ma - come bene rilevato dalla difesa - tale frase è stata estrapolata da un contesto molto più ampio, che vale la pena di ricordare, dovendosene valutare la reale portata diffamatoria nei confronti delle parti civili: "quanto proposto altro non sono che delle fermo immagini, tratte da un'audizione protetta di ascolto di una bambina di soli quattro anni, avvenuta su disposizione verbale del Pubblico Ministero M. B. in data 19 ottobre 2001, costretta a denudarsi integralmente e subire l'imposizione di assumere posizioni scabrose e sessualizzate, non per visita medica, affinché gli inquirenti potessero sostenere il presunto abuso. Contro un simile e ignobile gesto di ascolto è stata fatta denuncia.. citando il PM menzionato, la psicologa M. G. dell'ASL 8 di Moncalieri TO, la madre e il Giudice per le indagini preliminari P. G.. L'esito della denuncia ha avuto come risultato la richiesta di archiviazione proposta dal PM G. F. e condivisa dal GIP S. P. in data 20 agosto 2007 con la seguente motivazione: «non sussistono ipotesi di reato, in quanto difetta del tutto l'elemento soggettivo del dolo, che necessariamente deve sussistere nelle fattispecie di reato astrattamente ipotizzabili e indicate dall'esponente (abuso d'ufficio, falsa perizia, istigazione a delinquere, violenza privata circonvenzione di persona incapace, calunnia, frode processuale ..), poiché è evidente la BUONA FEDE delle persone che reputarono sincere ed allarmanti le dichiarazioni rese dai bambini e di conseguenza sollecitarono gli stessi a ripetere il racconto [se mai vi è stato] del fatto di abuso di sessuale [che mai è avvenuto], oggetto del processo conclusosi con sentenza di assoluzione perché i fatti non sussistono». Questo sostanzia a priori un precedente giurisprudenziale in assoluto, che oltre a confermare l'orientamento della magistratura di considerare comunque e sempre, nei modi e nei tempi, veritiera qualsiasi denuncia che sia prodotta all'Autorità Giudiziaria, gli inquirenti possono disporre come meglio credono del minore. Per di più si evince che ogni genitore è autorizzato ad impiegare qualsiasi metodo che consenta di far parlare l'infante, perché le sue dichiarazioni vengano considerate attendibili e credibili, anche se sono sostenute da metodi suggestivi, induttivi e coercitivi. La violazione della libera autodeterminazione sessuale non ha rilevanza dinanzi la suprema tutela del minore, anche se successivamente si determinano traumatizzazioni da abusi ad opera degli inquirenti. Purtroppo i principi costituzionali che prescrivono di difendere i diritti del più debole senza danneggiare una persona innocente in molti casi non trovano più riscontro nella pratica, in quanto: 1. la denuncia, indipendentemente dal contesto di provenienza, è sempre ritenuta fondata, secondo l'insano pregiudizio che chiunque si rivolga per primo all'Autorità giudiziaria è al di sopra di ogni sospetto; 2. le indagini si ispirano al metodo verificazionista e cioè alla ricerca di inferenze che confermino l'accusa; 3. la perizia psicologica sulla presunta vittima è pienamente ammessa e di fatto risulta un elemento probante; 4. l'esigenza di una preparazione professionale adeguata da parte di tutti coloro che si occupano a vario titolo della realtà familiare (comprendente alcune fondamentali cognizioni in materia psicologica e soprattutto una corretta metodologia della "verità") è auspicata, nelle aule del Tribunale, proprio da chi si dichiara fautore delle discipline umanistiche e quindi sostenitore delle pseudoscienze; 5. il parere dell"'esperto" sulle sedute con il minore sotto il profilo terapeutico è trasformato in una testimonianza per eccellenza ed è cristallizzato come prova epidittica del presunto abuso subito C.d.f.a.s.m. 19 dall'infante, anche quando quest'ultimo sia stato in grado di affrontare più audizioni e mai abbia riferito i racconti a lui attribuiti. Stante a quanto premesso e documentato non si può che addivenire alla conclusione che i minori possono essere strumentalizzati pur di sostenere un presunto abuso, proprio da chi li dovrebbe difendere, ma nel contempo non solo si crede a qualsiasi dichiarazione indiretta (de relato) pur di condannare un innocente, ma ci si ritrova nella situazione di una caccia al pedofilo. Se tutto ciò non è allarmante e destabilizzante si lascia a Voi il giudizio di commentare l'accaduto, i dialoghi e le immagini di un'audizione protetta autorizzata dal tribunale di Torino. Lì, 10 gennaio 2008 Pantera" La lettura integrale del contenuto dell'opuscolo evidenzia chiaramente due aspetti: 1) in primo luogo, la frase contestata come diffamatoria (che è stata sopra riprodotta con carattere in neretto al solo fine di evidenziarla, mentre nel testo originario è priva di qualsiasi marcatura) è estrapolata da un contesto discorsivo più ampio, nel quale Pantera esprime il suo dissenso verso un provvedimento dell'Autorità Giudiziaria (il decreto di archiviazione emesso dal GIP presso il Tribunale di Torino), che non condivide. Il suo obiettivo è reso manifesto dal testo stesso e ribadito dall'imputato nel corso dell'esame dibattimentale, allorché ha spiegato di avere pubblicato anche altri opuscoli finalizzati al medesimo risultato ed ha in proposito dichiarato: "il primo opuscolo che io ho fatto è datato 19/6/03 .. si intitola <Abusi su minori. Sarà poi vero?> .. lo scopo principale era quello di frenare i continui attacchi che provenivano dai giornali e quindi definirmi come <il padre del pedofilo>.. e mettere in evidenza quali sono le modalità scorrette nei confronti dei minori che vengono ascoltati. Questo era il mio intento e lo è tuttora.. è sempre stato questo ed è tuttora il mio interesse, un aspetto sociale, informare di un aspetto sociale di cosa sta avvenendo... il successivo è stato <Vivere nella verità. Falsi abusi alla scuola materna>, era un opuscoletto .. è stato redatto il 31/ 10/04 .. nel 2005 ho fatto un altro opuscolo <Storia della colonna infame> e l'ho mandato.. all'interno delle buche delle poste della comunità di La Loggia …” L'imputato ha precisato che in nessuno degli scritti di cui ha rivendicato la paternità erano contenuti attacchi o frasi offensive nei confronti dei genitori dei minori coinvolti come persone offese nel processo e d'altra parte gli opuscoli sono stati prodotti dalla difesa ed acquisiti al fascicolo processuale ed il contenuto è facilmente verificabile. Per quanto riguarda l'opuscolo da cui sono tratte le frasi contestate come diffamatorie, Pantera ha ammesso di averlo scritto e stampato personalmente, con i propri mezzi, utilizzando atti processuali consegnatigli da Filiberto: "il testo è stato scritto nel mio computer personale. Io ho un portatile e quindi me li sono scritti lì .. me li sono stampati io personalmente con la mia stampante .. verso la metà di dicembre del 2007". Pantera ha precisato che anche in tal caso non aveva alcun intento diffamatorio nei confronti dei genitori dei minori, e in particolare della sig.ra Bernarda, e perseguiva invece il seguente diverso scopo: "lo scopo principale era semplicemente uno: se questi sono atti di buona fede, vuol dire che in tutto il territorio nazionale quando si ascolta un minore possono essere autorizzati e saranno presi in qui non tuteliamo più i minori con questo modo di ascolto, assolutamente!" (pag.39). considerazione. Questo era il mio scopo.. la mia preoccupazione era semplicemente di dire: C.d.f.a.s.m. 20 2) In secondo luogo, la frase riportata nell'imputazione è preceduta dalla locuzione "si evince", che rimanda chiaramente alla motivazione del decreto di archiviazione dalla quale sembra evincersi, appunto, la legittimità di un metodo che Pantera non condivide e contesta. Deve pertanto ritenersi che l'imputato abbia legittimamente esercitato il diritto di critica, riconosciuto a chiunque, verso un provvedimento giudiziario, che si concretizza nell'espressione di un giudizio o, più genericamente, di un'opinione che, come tale, non può pretendersi rigorosamente obiettiva, posto che la critica, per sua natura, non può che essere fondata su una interpretazione, necessariamente soggettiva, di fatti e comportamenti. È chiara infatti l'opinione espressa in proposito dalla Suprema Corte, la quale proprio in tema di diffamazione puntualizza: «il diritto di critica consiste necessariamente nell'espressione di giudizi, di opinioni, di valutazioni, compiute secondo criteri, solo in parte, condivisi dalla totalità (o dalla maggioranza) del corpo sociale, ma anche in realtà largamente riconducibili alla matrice politica, ideologica, estetica, filosofica, scientifica cui il <criticante>, più o meno esplicitamente e consapevolmente aderisce. Esercitando tale diritto egli dunque non informa, ma appunto giudica ed espone ai fruitori del suo messaggio il proprio punto di vista» (Cass. 22/2/02 n.5174). Non vi è dubbio che i provvedimenti giudiziari possano essere oggetto di critica, anche aspra, in ragione dell'opinabilità degli argomenti che li sorreggono, ma il diritto di critica, benché caratterizzato da una maggiore libertà dialettica proprio per il suo carattere di dissenso motivato e di contrapposizione di idee, incontra pur sempre il limite della continenza espressiva, il cui significato specifico è tutto nella felice sintesi della Corte di Cassazione, secondo la quale "il diritto di critica deve consistere in un dissenso motivato, espresso in termini corretti e misurati e non deve assumere toni gravemente lesivi dell'altrui dignità morale e professionale. Il limite all'esercizio di tale diritto deve intendersi superato quando l'agente trascenda in attacchi personali diretti a colpire, su un piano individuale, senza alcuna finalità di pubblico interesse, la figura morale del soggetto criticato, giacché in tal caso l'esercizio del diritto, lungi dal rimanere nell'ambito di una critica misurata ed obiettiva, trascende nel campo dell'aggressione alla sfera morale altrui, penalmente protetta" (Cass. 11/3/98 n.5772). Parimenti, la dottrina conclude nel senso di dire che: "la critica deve concretizzarsi da un lato in un dissenso motivato e dall'altro in valutazioni corrette e misurate e non lesive dell'altrui dignità morale e professionale. Al contrario, e conseguentemente, il limite per l'esercizio di tale diritto deve considerarsi travalicato quando l'agente trascenda in attacchi personali diretti a colpire, su di un piano esclusivamente personale, senza alcuna finalità di pubblico interesse, la figura morale del soggetto criticato". Nello scritto in questione non sono stati affatto superati i limiti del diritto di critica, cosicché anche per questo episodio l'imputato dev'essere assolto con la formula più ampia. In considerazione della complessità della vicenda e del rilevante e non prevedibile carico di lavoro dell'ufficio, si ritiene opportuno fissare un termine di giorni 90 per il deposito della motivazione della presente sentenza. P.Q.M. Visto l'art.530 CPP, assolve Pantera dal reato di cui al capo 1) perché il fatto non sussiste. Assolve l'imputato dal reato di cui al capo 2) per non avere commesso il fatto, quanto alle affermazioni relative a "preoccupazione e solidarietà verso quei bambini che si vogliono fare credere abusati a tutti i costi" ed al fatto che sulla minore erano stati commessi dei reati durante l'audizione, e perché il fatto non sussiste, quanto alle residue affermazioni contestate. Visto l'art.544 CPP, C.d.f.a.s.m. 21 indica in giorni 90 il termine per il deposito della motivazione della presente sentenza. Così deciso in camera di consiglio in Moncalieri il xx/xx/09 Il Giudice Dr.ssa Silvana Podda Sentenza divenuta irrevocabile il 26 aprile 2010 (Successivo al periodo) Moncalieri, li 13/05/2010 Il Cancelliere Vito Cantore C.d.f.a.s.m. 22 Allegato A [ Nota: La sentenza non riporta i fotogrammi e i dialoghi, i quali sono stati inseriti per dovizia di informazione così come riportati nell’opuscolo, per di più, allora, oggetto di sequestro. Queste NON vogliono essere immagini pedo-pornografiche, bensì una testimonianza documentale di ciò che è accaduto al Tribunale di Torino e che per emulazione potrebbe avvenire anche in altri luoghi della giustizia, che non ammette i falsi abusi, ma potrebbe perpetrare gli abusi legalizzati. ***** Legenda: Dr. Psicologa Asl e Giudice Onorario (Camicia a quadretti) G. Bambina (Geltrude) M. Madre (Bernarda - Golf a righe orizzontali) Indagati: Filiberto e Vanessa (Tutti i nomi sono di fantasia) Dr. Senti, ma questi giochi chi te li ha insegnati? G. Non lo so. Non lo voglio dire (A) Dr. Ma è proprio una danza questa G. Si [Canticchia e balla] Ta-ra-ra, tata, Dr. E poi G. Aspetta, eh [sistema le scarpe] Dr. Si G. Yo soy Candela na-na-na [Canticchia] (B) C.d.f.a.s.m. 23 ***** Dr. Ballimo ancora? G. Facciamo quella là cosi: ta-ra-ra-ra-ta [balla e canta] Dr. [Balla e canta] Poi questo ballo bisogna tirarsi su la gonna? G. Si ***** Dr. Ci raccontiamo la cosa G. Eh, dai! Chi ti ha raccontato… Dr. Eh! Dr. Uh! Allora, ma chi è Filiberto? G. No, tu me lo devi dire Dr. Ah! Ma io non lo conosco Filiberto. Il pisello di Filiberto…, ma tu l’hai visto il pisello di Filiberto? G. No, no, no, no. (C) ***** Dr. Dormiamo. Io però ho bisogno di sapere questo gioco com’è G. Dormiamo come…, dormiamo così Dr. Me lo racconti mentre dormiamo? Oltre a Filiberto, chi c’era a fare questo gioco? Tu… tu… tu… tu me lo raccontavi G. (D) La bambina dichiara di NON conoscere FILIBERTO ***** M. Mi ascolti un attimo mamma, eh? Mi ascolti solo un secondo prima che arriva quella signora? G. Eh! M. Ascoltami, devo parlarti prima che arriva la signora, poi... non ti posso chiedere queste cose davanti a lei, no? [abbraccia G.] G. No no. [si ritrae] M. Ascoltami, non aver paura, ascolta! G. Vengo con te, non prendere. M. Mamma ti vuole solo chiedere una cosa, ascolta. G. Senza prendermi. M. Senza prenderti, va bene. C.d.f.a.s.m. 24 (E) (F) ***** G. Adesso basta! M. Si G. Basta! Basta M. Mi… mi dici solo per quale motivo no li hai più detto niente? Lei non c’è, non ci sente. G. No M. a me lo puoi dire. Perché non gli hai detto… G. Mi fai passare, io deve metto il colore?! M. Allora mamma non si merita di sapere perché mi hai fatto venire fino a qua e non vuoi dire niente alla signora? G. Uh, no, no. M. Geltrude, ti sto parlando, tesoro: perché mi hai fatto venire fino a qua, se poi non le hai voluto dire niente alla signora, eh? Hai paura di qualcosa, Geltrude? Guarda che la signora è brava, eh! M. La signora non glielo racconta a nessuno se tu gli spieghi, sai? M. Mamma ti ha già detto che lei lo vuole sapere perché deve impararlo ad altri bimbi. (G) ***** Dr. Sono qua. Senta, Bernarda, sa cosa pensavo? M. Mi dica, si. Dr. Ha voglia di raccontarlo lei che cosa le ha… le ha detto… Geltrude? M. Certo. (H) C.d.f.a.s.m. 25 ***** Dr. Tu stai solo zitta ad ascoltare e non dire niente. (I) ***** Dr. Zitta zitta zitta. M. Allora, Geltrude è venuta a casa e mi ha fatto vedere un bel gioco. Dr. Uh M. Eh... eh... si è abba... si è abbassata le mutandine e mi ha detto che G. No [Ride] eh, no… (L) ***** ***** M. Vanessa e Filiberto le mettevano il ditino nel culetto e nella patatina. Dr. Uh M. E poi mi ha raccontato che ha visto il... il pisello di Filiberto ehm… e che Vanessa gli faceva le care. M. Faglielo vedere, faglielo vedere mamma, faglielo vedere. (M) (N) C.d.f.a.s.m. 26 ***** M. E dove glielo ha messo il pistolino Filiberto, dove glielo ha messo? Faglielo vedere M. E cosa faceva? (O) ***** M. Di la verità a mamma, diglielo. G. Nooo! M. Ma ormai I segreti li sa tutti! G. No [si siede ed allarga le gambe] M. Come ti hanno fatto? Fagli vedere come ti hanno fatto alla tua patatina. Faglielo vedere. G. Eh… ***** G. Erano spogliati tutti e due. [Ride e si guarda allo specchio] (P) ***** M. Fagli vedere cosa ti ha fatto... G. Anche tu togli le calze, solo… M. solo le calze… Dr. Solo che io non posso proprio togliermi le calze perché ho i collant. M. Se le toglie mamma?Se le toglie mamma le calze?Eh? Dr. Ah… eh… M. Solo le calze però, eh. Mamma. Dr. Bernarda, tolga le calze. M. Mi tolgo le calze, va bene. Mi tolgo le calze e ti ti-ti. Ci ho tutti i peli da fare, che vergogna G. [è seduta per terra vicino alla mamma] M. La signora mi vede con i peli. E ti-ti-ti-ti-ti ti. [gli fa vedere le calze che si è sfilata] C.d.f.a.s.m. 27 (Q) ***** M. E si che te le puoi provare, certo che te le puoi provare. G. Ih [si infila le calze] Cosi e storta? (S) ***** G. [si sistema l’altra calza] M. Come ti toccava la patatina Vanessa? Dai, faglielo vedere alla dottoressa, amore. Dr. [richiama la mamma toccandole un braccio] (R) ***** G. [si infila la calza] Così M. Sì! Fagli vedere alla dottoressa una cosa. Geltrude: fagli vedere alla dottoressa come ti mettono quando ti vogliono guardare la patatina a mamma, faglielo vedere, questo gioco! Io non sapevo, sa dottoressa, che ci fossero dei giochi così belli. Non lo sapevo proprio (T) ***** M. Oh. Madonna, mamma si sente male. G. E’ al contrario, è al contrario [ha in mano le sue calze] Dr. Così va bene. C.d.f.a.s.m. 28 (U) (V) ***** M. Tata, vieni dalla mamma, vieni qua. Dr. [richiama l’attenzione della mamma con la mano] Va bene, ma adesso ho capito un po’ come è questo gioco, eh! ***** Dr. [richiama l’attenzione della mamma con la mano] (Z) (X) ***** M. Se tu mi fai vedere… Dr. No signora, tranquilla, tanto questo gioco lo abbiamo un po’ capito. Quello che ho capito è che hai pianto; se hai pianto è perché ti ha fatto un po’ di male a fare quello? (Y) ***** ***** Dr. Senti, chi fa più paura, Filiberto o Vanessa G. Tu. Dr. Io? Uh! (A1) ***** Dr. E’ questa la promessa G. Prometti che non dirà, con te C.d.f.a.s.m. 29 fatto, a casa. Dr. Uh! Dr. Okay. Allora, Geltrude, andiamo? (B1) ] C.d.f.a.s.m. 30 Allegato B Confronto tabellare tra le dichiarazioni del querelante e imputato nelle udienze del 7 aprile e 1 giugno 2009 Le dichiarazioni della querelante (Bernarda) sono state rese dopo aver pronunciato la formula di rito dell’art. 497 c.p.p …”Consapevole della responsabilità morale e giuridica che assumo con la mia deposizione, mi impegno a dire tutta la verità e a non nascondere nulla di quanto è a mia conoscenza”… Estratto Querelante - Bernarda La sentenza D -Senta, cos’è che in questa querela lei ritiene, cioè qual'é il fatto che l’ha colpita come falso e offensivo. R -Come falso tutto ciò che era scritto su quel documento, che era pubblicato appunto su questo sito Internet, quindi visibile a tutto il mondo. Offensivo… I fotogrammi e i dialoghi che vi sono riprodotti sono tratti effettivamente dall'audizione della minore Geltrude, disposta dalla Procura di Torino nell'ambito del procedimento penale a carico di Filiberto e di Vanessa per il reato di cui agli artt.81 cpv, 110, 609 bis, 609 ter c.1 e U.C., 609 octies CP, commessi in La Loggia nel corso del 2001 e comunque non oltre l'ottobre del 2001. Querelante - Bernarda Difesa - Domande alla querelante D. -Senta, lei come è venuta a conoscenza sia dell’esistenza e della pubblicazione su Internet, sia dell’opuscolo che è stato diffuso. R.- A noi regolarmente, alla Loggia, visto e considerato l’incertezza dei fatti, che il signor Pantera ha tenuto un atteggiamento nel paese a partire dall’inizio di questo processo, quindi divulgando il nome e cognome di chi aveva dato inizio a questo processo. D. -In questi opuscoli si è mai fatto riferimento al nome e al cognome di sua figlia? La domanda è molto precisa. In questi scritti c’era il nome Geltrude Bernarda o Spinello? R. -Sì, poi mancava soltanto che glieli sparava alla bambina. No, non c’era. G. -La risposta è? R. -Non c’era. D. -Si vede che la prima era un po’ indiretta. In questi opuscoli, a cui lei ha fatto riferimento, c’era mai l’immagine di sua figlia? R. -Posso rispondere come penso? G. -Deve rispondere come si risponde a questa domanda. R. -No. G. -Sì o no. R. -No. Querelante - Bernarda Imputato D. D. -Invece era la prima volta signora in cui Pantera faceva pubblicare notizie circa l’imputazione. R. -No, assolutamente no. D. -In altre occasioni? R. -No, il signor Pantera addirittura ha fatto un necrologio e l’ha appeso per La Loggia, cioè ha fatto delle cose senza senso, cioè si è messo a fare dei necrologi e li ha messi... ai santi, li ha messi esposti per tutto il paese. G. -Un necrologio di che, di che genere. R. -Guardi io quel giorno mi sono sentita male, mia madre mi ha dovuto... G. -Ma che cos’era. R. -Era una necrologio alla ricorrenza dei falsi abusi contro le accuse formulate contro il figlio, volantini a tutto andare, imprecazioni contro... addirittura negozianti stanchi, esausti, che mi dicevano Bernarda, ma quando finisce, cioè ha additato la mia bambina che era l’unica veramente che doveva rimanere protetta da questa storia, cioè non ha più pace mia figlia. -Abbiamo parlato in questa istruzione dibattimentale - perché sembrava che lei non facesse altro che distribuire ed appendere documenti a La Loggia - di un documento che mi pare abbia prodotto la Parte Civile, seno lo produciamo noi, di un necrologio, quindi ad un certo punto a La Loggia… G. -Non è prodotto, ma ne hanno parlato. D. -Allora lo produciamo noi. Si dice, o meglio qualche testimone ha detto, ad un certo punto: " Pantera attaccava i necrologi a La Loggia". Io le faccio vedere questo documento, di cui poi chiedo l'acquisizione, che si intitola "Pasqua .2008”, è fatto nella forma di necrologio, si dice "Perché non c'è nulla di più devastante dal sentirsi traditi, dal vedersi beffati, dal riconoscersi ingannati. Non c'è nulla di più doloroso del dovere ammettere che a nulla sono valsi i gesti di bontà e generosità ... ", poi sotto c'è scritto “Alla maestra Vanessa ed al volontario Filiberto - che sono i due imputati del processo - vittima dì una assurda infamia". Poi produco anche una fotografia del luogo dove vi sono le affissioni a La Loggia in cui risulta affisso questo documento. Prima. domanda: Questo documento, come ha detto qualche testimone in questo processo lo ha scritto ed affisso lei? I. -No, assolutamente. D. -Chi lo ha affisso? . I. -Una signora che si chiama Alda Taccarà o qualcosa del genere. D. -Alda Taccarà? I. -Taccarà sì. Alda Taccarà in Baccarà che abita in Via Belli. D. -Questa signora si chiama Alda Taccarà in Baccarà, cioè il marito si chiama Baccarà? I. -Sì. D. -Abita a La Loggia? I. -Sì, in Via Belli numero 12. D. -Questa signora ha di sua iniziativa scritto ed affisso questo documento o glielo ha chiesto lei di farlo? I. -No, di sua iniziativa, io l'ho saputo una settimana dopo, perché mi hanno telefonato. G. -Quindi lo ha anche scritto questa signora? I. - Certo. G. -Lei non lo ha nemmeno scritto questo? I. - No, assolutamente. G. -Non solo non lo ha affisso, ma non lo sapevo nemmeno. G. -Tanto è vero, se ho capito bene. lei lo ha saputo una settimana dopo che era stato affisso? C.d.f.a.s.m. 32 I. -Esattamente. Questo è un particolare, mi ha telefonato il giornalista Massimiliano Peggio, che abita a La Loggia, de La Stampa, chiedendomi dopo una decina di giorni, chi l'avesse scritto. io gli ho detto: "io sono venuto a saperlo chi l'ha scritto e chi l'ha affisso direttamente, però chiederò autorizzazione a questa signora". Questa signora mi ha detto di dirle pure l'autorizzazione, quindi è disposta a venire qui a testimoniare chi ha fatto quest'atto. Dico ancora di più, che quello che ha scritto è una preghiera, appartiene ad una preghiera. D. -È estratto da una preghiera? I. –Esattamente. G. -Che ha scritto sempre la signora? I. -No, l'ha scritta un Prete, direttamente. C.d.f.a.s.m. 33 Querelante - Bernarda Edicolante – Teste dell’accusa D. -Allora, lei ha detto che dopo avere ricevuto questa notizia dall’edicolante è andata in ufficio ed ha diciamo acceduto al sito Internet. D. -Lei si ricorda di avere anche conosciuto e parlato con la signora Bernarda? T. -Sì. D. - La conosce? T. - Sì. D. -Veniva anche lei ad acquistare giornali presso la sua edicola? T. -Sì. D. -Si ricorda di avere avuto un colloquio con la signora Bernarda nel quale lei riferiva appunto, sostanzialmente, di andare a visionare questo sito internet? R. -Sì, perché l’edicolante non mi ha spiegato cosa c’era sopra, diceva soltanto che il signor Pantera chiedeva che venisse visto, questo sito. D. -Quello che preme a me è, lei prima mi ha detto che il colloquio con l’edicolante è avvenuto... R. -È avvenuto un sabato mattina. G. -Quindi in epoca precedente alla sentenza della corte. T. - No. D. - Non le disse nulla lei alla signora Bernarda in merito alla bambina, che sarebbe stata pubblicata la sua immagine da qualche parte? T. -La signora Bernarda a me? G. -No, lei alla signora Bernarda. T. -No. D. -Non se lo ricorda? io ho sempre T. -No. Proprio non mi sembra di averlo visionato tutte le sue cattiverie, però non detto. Io alla signora Bernarda. R. -Io visionato tutto, certo, ho mai fatto nulla. D. -Lei ha suggerito alla signora Bernarda di andare a visionare il sito internet? T. -No. Lo sapeva, penso, già meglio di me che c’era questo sito, la signora Bernarda. C.d.f.a.s.m. 34 Querelante - Bernarda Imputato D. -Vorrei che mi facesse, lei ha parlato come di un paese esasperato dalla signor Pantera, se mi fa tre nomi di persone che le hanno detto di essere esasperate da Pantera. Ed è l’ultima domanda. G. -O minacciate. R. -La Lupi è una di quelle, la Giovinale pure, li tortura anche... G. -Scusi non ho capito. R. -La signora Lupi da quello che so io, lei e tutte le istituzioni, Don Dante, la magistratura, la Giovinale. G. -I negozianti vari, non li conosce di nome, capito, i negozianti. R. -Sì. G. -Poi? Abbiamo finito il paese quasi. G. -Questa circostanza lei è stata riferita precisamente dalla signora Lupi? R. -No, questo circostanza mi è stata riferita dal paese, praticamente mi trovavano e mi dicevano, lo sai... G. -Perché non possiamo dire che il paese diceva che Pantera minacciava e chi minacciava, tutti, perché poi quando andiamo a vedere il paese da chi si compone, vediamo che non si compone di nessuno, e minacciava chi, non sappiamo chi. Quindi se lei riesce a focalizzare i suoi ricordi con maggiore precisione e quindi mi sa dire chi le ha detto che Pantera, a prescindere dal fatto che nonostante di questa storia, eccetera, che è un altro discorso, ma chi le ha detto che Pantera andava in giro ad insultare, torturare, minacciare le persone, che sono già termini con un certo significato, quindi da chi lo ha saputo e chi andava a minacciare. Poi io aggiungerei a questo un’altra domanda, poiché questo processo si inserisce in una indubbia vicenda di cui io non sono ancora a conoscenza appieno, leggerò le sentenze prodotte oggi, eccetera, però capisco che ha avuto una certa risonanza nel paese e quindi ovviamente tutto il paese tra virgolette, negozianti, asili, il parroco, il comune e quant’altro ne hanno avuto abbondantemente conoscenza per molto tempo, presumo prima di questa vicenda della diffamazione di cui oggi stiamo rispondendo, vorrei capire se queste voci, queste lamentele che lei ha avuto, ricevuto dalle persone del paese, sull’attività di Pantera, riguardavano l’attività di Pantera e quindi la divulgazione di notizie relative al precedente processo, immagini, non immagini, eccetera, eccetera, commenti sull’attività, o riguardavano in generale la vicenda relativa all’abuso sui minori dell’asilo, eccetera, di cui il paese era abbondantemente a conoscenza da tempo. Ha capito la differenza? R. -Certo. G. -Vorrei che lei mi precisasse questa circostanza. R. -Signor Giudice, l’ha fatto entrambi, l’ha fatte entrambi le situazioni. G. -Benissimo, lei mi risponda precisando per bene. R. -Allora, l’istituzione scolastica dell’asilo Bovetti c’è la signora Lilli, c’è la maestra Santa, io tutti i nomi... G. -Ecco, lei con queste maestre ha parlato? Cioè loro le hanno riferito qualcosa. R. -Io non ho più parlato con queste maestre. G. -Le signore maestre che lei ha appena nominato, le hanno anche riferito di essere state minacciate dal signor Pantera. C.d.f.a.s.m. D. –[…]. A questo punto veniamo invece alla storia di uno di quelli che aveva affisso o distribuito lei, cioè vorrei sapere se lei è stato costretto a presentare una denuncia per il fatto che uno di quei documenti, ed in particolare quello in cui risultava l'assoluzione di suo figlio per questi fatti, veniva stracciato, da lei affisso, veniva strappato dal luogo in cui era legittimamente affisso. Lei ha fatto questa denuncia? I. -Sì, esattamente, diciamo che sono stati strappati, la prima volta, tutti, totalmente, dal Paese di La Loggia. D. -Quindi lei ha affisso questo documento che dava conto dell' assoluzione di suo figlio, se ho capito bene, e cosa è successo? Lo racconti al Giudice. Qualcuno le ha detto qualcosa? G. -Prego. I. -Vorrei non essere impreciso sulle cose. Io ho presentato denuncia presso la Caserma dei Carabinieri di Vinovo. D. -In che data? I. -La data deve essere stata verso il 9 di aprile. G. -Di che anno? I. -Del 2004. D. -Quindi dopo la sentenza di assoluzione di Filiberto? I. -Sì, dopo la sentenza di assoluzione. D. -Che cosa diceva in questa denuncia ? I. -In data 2 aprile 2004 ho consegnato all'Ufficio Affissione del Comune di La Logga, sito in Via Bistolfi, 31, presso Cartoleria Manca, numero 20 fogli di dimensioni 70 x 1000, contenenti al centro fotocopia della sentenza del Tribunale di Torino. Che dopo aver effettuato il pagamento ed ottenuta regolare ricevuta per la loro pubblicazione, mi venne comunicato che sarebbero stati affissi lunedì 5 aprile”. D. -Non li ha affissi lei, li ha dati da affigere? 35 R. -No, minacciate, io quando intendo, forse mi esprimo male e di questo me ne scuso, quando io dico minaccia, almeno quella che ha fatto a noi, che è andato in piazza dicendo che in una maniera o nell’altra lui questo processo l’avrebbe risolto. Però lasciamo perdere, ha inviato contro di noi... G. -Rimaniamo alle maestre. R. -Parliamo delle maestre, allora, io per minacciato non intendo minaccia di morte, cioè non a quei livelli, me ne scuso se non sono correttamente... G. -Allora mi spieghi bene che cosa lei intende quando dice, sono stati minacciati. R. -Può darsi che io esprima male il mio... G. -Me lo esprima bene. R. -Allora, Pantera ha esasperato queste persone, continuamente, consegnando foglietti, anche sentendosi dire che non ne volevano sapere, cioè sono arrivati al punto di dirle, basta, quando ci sarà la sentenza potrai parlare, non possiamo più. Queste cose sono state dette al signor Pantera, però da me veniva la signora Caio e mi diceva, ma sai cos’è successo ieri, a me mi si fermava addirittura al Gigante. G. -Signora, non salti di palo in frasca, le ho già detto prima che deve rispondere alle domande che le vengono fatte, non sto parlando di Busciardu, sto parlando di lei, sto parlando delle notizie che lei ha riferito da queste persone, cercando di dare a queste notizie vox populi, va bene, una veste, un nome, un tempo, un luogo e contenuto di quello che è avvenuto. Quindi Busciardu è stato minacciato, è fuori argomento in questo momento. R. -Okay. G. -Per cui la prego di rispondere con precisione alle domande che le sono state fatte, senza che lo debba ripetere per la terza volta. Allora, quando lei prima si è espressa dicendo, minacciata, torturata, sono state minacciate le persone, torturate, insultate da Pantera, intende concentrare in questi termini questa attività di esasperazione, che adesso ha descritto meglio. R. -Esatto. G. -Benissimo. Senta questa attività a cui ha fatto riferimento e cioè di questa lettera di diffida del comune. R. -Sì. G. -Lei ne è venuta a conoscenza perché gliel’ha detto chi, se si ricorda. R. -Con precisione se non sbaglio la signora Lupi, mi ha detto che avevano... G. -La signora Lupi. R. -Sì. G. -Lei sa essere più precisa sul contenuto della notizia che le è stata riferita dalla signora Lupi? R. -No, signor Giudice no. C.d.f.a.s.m. I. -Non posso io. Lunedi 5 aprile 2005, alle 10.30, mi trovavo presso mia moglie, ho ricevuto una telefonata dal signor Bella Giovanni, che è domiciliato in via Bistolfi, e addetto alle pubbliche affissioni. Mi comunicava che la signora Bernarda strappava il manifesto che lui stesso aveva appena affisso. D. -Lui affiggeva e la signora Bernarda strappava? __ I. -Sì. Era arrivata in macchina velocemente, era scesa, insieme alla sorella più giovane - cosi mi aveva ferito - ed aveva strappato questo. Mi riferì di presentarmi immediatamente presso il Comando dei Vigili urbani di La Loggia per esporre le mie dimostranze nei confronti della signora Bernarda. Il signor Giovanni Bella mi ha reso edotto del fatto che la stessa signora, Bernarda si era recato il foglio strappato dalla zona di affissione presso il Sindaco che in quel momento era n riunione con la Giunta. Dopo aver fatto l'esposto al comando dei Vigili, mi informarono che la signora Bernarda continuò per il paese a strappare tutti gli altri cartelli che erano stati affissi nei dovuti luoghi. D. -Era sostanzialmente la sentenza di assoluzione di Filiberto? I. -Esatto. Alle ore 13.20 pomeridiane mi telefonò il signor Elios, domiciliato in Via Caranzano, e sorprendeva la signora Bernarda a strappare ulteriori fogli applicati dall'addetto dell'ufficio. D. -Lei, dopo aver esposto questi fatti, presentò una denuncia ai Carabinieri rispetto ai fatti come li ha descritti adesso. È corretto? I. -Esattamente. 36