numero 45 | 14 novembre 2012 | 2,00 Poste italiane spa - spedizione in a. p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 1, NE/VR numero 45 | 14 novembre 2012 settimanale diretto da luigi amicone PARLA FORMIGONI L’ora della responsabilità Le mie ragioni, la Lega, Albertini, Alfano (e il Pd) EDITORIALI SCRIVE SERGIO SCALPELLI Milano ha le virtù e l’uomo giusto per fermare il declino. Ne approfittiamo? C poco di moda in tempi di rivolta antipolitica, ma efficace se pensiamo a ciò che accade in Lombardia e se proiettiamo il “Progetto Albertini” sul futuro della politica italiana. Ciò che conterà nei prossimi mesi è se e come si riorganizzerà l’area della riforma liberale. Se e come i cosiddetti moderati riusciranno a ritrovarsi in una casa comune o, almeno, in un patto federativo. Se il gruppo di giovani dirigenti che ambiscono a salvare, rinnovare e rilanciare il Pdl e se ciò che si sta raccogliendo intorno alle iniziative di Fermare il declino e di Italia Futura saranno effettivamente in grado di suscitare passioni e immettere energie fresche e competenti nella vita pubblica. E conterà molto anche capire se la Lega di Maroni proverà a rilanciare la questione settentrionale lungo l’asse federalismo-liberismo collegandosi alle componenti liberali europee invece di avvitarsi in una orgogliosa chiusura identitaria. In genere quando una organizzazione fa appello alla parte più scontata del proprio bagaglio di miti e simboli è alla vigilia dell’implosione. Sarebbe un peccato, perché le ragioni del Nord sono tutte lì, belle, chiare, in evidenza e chiedono di essere rappresentate da un progetto di governo. Ed ecco Albertini. È diventato sindaco di Milano nel 1997, nella fase migliore del primo governo Prodi. Il modello della rinascita ambrosiana è stato, insieme alle riforme in- Si può in Lombardia scommettere trodotte dal governo della Regione Lombarsu un progetto di buon governo che dia, la chiave di volta per ricostruire una credibile proposta di governo nazionale, una faccia emergere una nuova classe delle ragioni del successo del 2001. Alberti- dirigente e rilanci le riforme in tutta ni iniziò la propria sindacatura con una du- Italia? Basterebbe “usare” Albertini rissima vertenza con i vigili urbani. Allora due terzi dei ghisa milanesi svolgevano mansioni d’ufficio e solo un terzo andava per strada. Fu uno scontro duro, lungo (18 mesi), alla fine vinto. Una piccola operazione thatcheriana in salsa ambrosiana. Ma consentì a quel modello di governo imperniato su efficienza, trasparenza, ferrei princìpi di legalità, nemico delle rendite corporative e assertore della centralità dell’individuo, di affermarsi e di durare. Oggi si dovrebbe ripartire da lì. Dovremmo cercare di incardinare un’idea di libertà che attualizzi quella esperienza di governo, che sappia immergersi nella drammaticità della crisi e, come tante volte è successo, sappia fare delle virtù civili, dell’individualismo creativo e della cultura del fare dei lombardi la leva per fermare il declino. I gruppi dirigenti di partiti e movimenti che si muovono nella galassia liberaldemocratica dovrebbero fermarsi un momento e porsi questa domanda: possiamo in Lombardia scommettere su un progetto di modernità e di buon governo, che favorisca l’emergere di una rinnovata classe dirigente, che raccolga disponibilità e interesse della parte più dinamica e innovativa della società? E possiamo da qui rilanciare la speranza delle riforme liberali nel paese? Se la risposta fosse positiva ci sarebbe solo da “usare” la storia, l’esperienza e la reputazione di Gabriele Albertini e mettersi in cammino. Tutti insieme. Sergio Scalpelli C aro direttore, mi faccia fare un ragionamento politicista, ome ci piace questo “tutti insieme”, caro Scalpelli. Abbiamo avviato insieme questo giornale. Adesso, ci ritroviamo insieme nell’“appello dei Cento” per Albertini. È così. La candidatura ci sta. Gabriele Albertini è persona seria, indipendente, capace (capace anche di ironia e di autoironia). Da sindaco non volle farsi principe e non si inventò retoriche nuoviste. Fece “l’amministratore di condominio”. Punto. Non il primo cittadino vate. Fu uno di noi che si occupava di cose molto pratiche ed essenziali per la vita di tutti. Scuole, giardini, strade, elettricità. E così via. Aggiungiamo che la persona ci piace anche per la sua grazia, arguzia e schietta simpatia umana. Insomma, è l’uomo giusto per il Pirellone. C’è qui in Lombardia una eredità enorme da conservare e da incrementare. Possiamo segnare una strada di pace e di ricostruzione civile per tutto il paese. Non è per egemonia o per chissà quali programmi palingenetici che ci muoviamo per lui. Ci muoviamo per lui, come dici tu, Sergio, per provare a incardinare insieme un’idea di libertà al servizio di tutta la vita di tutta la gente. FOGLIETTO Altro che bavaglio. Per impedire l’abuso anticostituzionale delle intercettazioni ci vuole la supercensura «O ggi l’unico momento di visibilità del modo in cui viene realmente esercitato il potere sono rimaste le intercettazioni; solo le macchine (le microspie) ci consentono di ascoltare in diretta la vera e autentica voce del potere. Le intercettazioni sono rimaste l’ultimo tallone di Achille di un potere che nel tempo ha sempre più circondato di segreto il proprio operato». Se queste cose fossero state scritte a Pechino sarebbero cose comprensibili a tutti. Il fatto è che sono state scritte da un procuratore generale (Roberto Scarpinato) in Italia. E vengono quotidianamente applicate (come insegna il quotidiano di Antonio Padellaro che adesso pare diventato la fonte oltre che la foce delle procure) nel paese in cui l’articolo 15 della Costituzione proclama che «la libertà e la segretezza della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione sono inviolabili». Non solo non sta scritto da nessuna parte che c’è un diritto di informazione che prevale sulla Costituzione e che la funzione del magistrato (che è un funzionario di un certo e non poco potere) è quella di controllare gli altri poteri e sputtanarli sui giornali. Ma sta scritto che la funzione del magistrato è amministrare le leggi (Costituzione) e che l’articolo 15 può essere sospeso «con decreto motivato quando vi sono gravi indizi di reato e l’intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini della prosecuzione delle indagini» (art. 267 Cpp). Fuori di qui non ci vuole una “legge bavaglio”. Ci vuole di più. Ci vuole una legge alla spagnola che né Zapatero nè Rajoy si sono mai sognati di abolire. Una Ley de Enjuiciamiento Criminal, che sancisca la generale segretezza del fascicolo degli atti di indagine fino al momento del dibattimento. | | 14 novembre 2012 | 3 SOMMARIO COPERTINA I diktat dei tecnici. La repressione delle voci libere. La Costituzione logorata. L’antipolitica e gli errori dei partiti. Per il presidente della Lombardia non sono degenerate la società e le sue autonomie, «è lo Stato che è in crisi e va ricostruito. Pd, Lega e Pdl ne prendano atto» 8 LA SETTIMANA Non sono d’accordo Oscar Giannino.............................. 15 Boris Godunov numero 45 | 14 novembre 2012 | 2,00 settimanale diretto da luigi amicone Poste italiane spa - spedizione in a. p. d.l. 353/03 (conv. l. 46/04) art. 1 comma 1, ne/vr numero 45 | 14 novembre 2012 Renato Farina................................. 25 Le nuove lettere di Berlicche......................................................37 Mamma Oca Formigoni carta dei diritti PARLA FORMIGONI L’ora della responsabilità Le mie ragioni, la Lega, Albertini, Alfano (e il Pd) 8 Parla il governatore uscente della Regione Lombardia | 14 novembre 2012 | 9 Eleggere non è tifare. Eleggere è scegliere un partito e votarlo. Quale sarà l’offerta politica? Quale sarà il meccanismo che traduce i voti nell’urna in seggi in Parlamento? Io, e non perché sono entrato in politica con il maggioritario, sono convinto che l’uninominale, ancor più se a doppio turno, sia il meccanismo elettorale che meglio può assicurare rappresentatività e stabilità. E non capisco perché il Pd a parole dica di preferirlo, ma subito aggiunga che non si può fare. O meglio: capisco e non mi piace. Ma tornando a prima: come si forma l’offerta politica? Le regionali in Lombardia possono essere un segnale importante per la strutturazione dell’offerta politica alle elezioni generali, anche se bacino elettorale e sistema elettorale sono differenti. A un osservatore esterno la situazione ricorda quella del 1994: una sinistra che si presume vincitrice e un centrodestra nel caos. «Dando continuità a un modello che funziona contribuirà a chiarire la linea del centrodestra. Una bella sfida per questa sinistra che pensa di vincere con la solita geometria e senza idee». Lo strano “endorsement” di Franco Debenedetti Franco Debenedetti (foto a destra), dal 1994 al 2006 senatore per il Pds, l’Ulivo e il Pd, ha firmato la scorsa settimana l’Appello dei cento per la candidatura dell’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini a governatore della Lombardia di Ubaldo Casotto F DebeneDetti, classe 1933, ha fatto per trentacinque anni il manager e l’imprenditore, poi per dodici anni, dal 1994 al 2006, il senatore nelle file del centrosinistra, Pds, Ulivo, Pd. Da sei anni è tornato a occuparsi di imprese, scrive saggi e continua la sua attività pubblica come osservatore della politica con interventi sul Sole 24 Ore, il Corriere della Sera, il Foglio. La settimana scorsa ha firmato un appello di sostegno alla candidatura di Gabriele Albertini per la presidenza della Regione Lombardia. ranco Scusi senatore, vederla schierato per un uomo della destra come l’ex sindaco di Milano, eurodeputato del Popolo della libertà, sorprende. Che ci fa lei in questa compagnia? Io non mi sono schierato per Albertini, mi sono unito a persone che gli chiedono di candidarsi. Vedere con preoccupazione quello che sta succedendo Foto: AP/LaPresse Albertini farà bene anche al Pd Aldo Trento........................................ 60 Sport über alles Fred Perri................................................. 62 Cartolina dal Paradiso Pippo Corigliano........................ 63 Diario Lei, si pensa, dovrebbe tifare per la sinistra. | 14 novembre 2012 | | MEGLIO UN AVVERSARIO FORTE INTERNI A sinistra ci sono gli eredi della sinistra Dc, i nipoti invece dei figli di Berlinguer e Vendola al posto di Cossutta, ma lo schema è quello del ’94. Non verrà da lì quello che serve al paese 16 Post Apocalypto «Basta g iochetti, è l’ora della responsabilità» | L’intervista. Le ragioni di Formigoni Per il presidente della Lombardia è finito il tempo dei giochetti, è l’ora della responsabilità. «Lo Stato è in crisi verticale, va ricostruito. Pd, Lega e Pdl ne prendano atto» Lodovico Festa............................................................................................................................................................................................................................ 8 16 INTERNI | 14 novembre 2012 | Annalena Valenti..................... 55 nell’area di centrodestra con lo sfascio del Pdl non significa abbandonare il centrosinistra. Anzi: la competizione fa bene in generale, obbliga tutti a definire identità e programmi. Come si struttura l’offerta politica è questione che attiene al funzionamento della democrazia. Per chiunque, a destra o a sinistra, l’abbia a cuore, le cinquantatré persone su cento che non sono andate a votare, le diciotto che hanno votato Grillo, sono un campanello d’allarme. In effetti nel ’94 fu solo a campagna elettorale inoltrata che ci si rese conto che Berlusconi quel caos stava riuscendo a organizzarlo, e quel vuoto a riempirlo. Adesso l’immagine che la sinistra vuole dare di sé non è più quella, infausta, della “gioiosa macchina da guerra”. Oggi ci sono gli eredi della sinistra Dc, i nipoti al posto dei figli di Berlinguer, Vendola al posto di Cossutta: ma lo schema è quello collaudato, l’alleanza di tutti i riformismi, nessun nemico a sinistra e di fronte un nemico da demonizzare. La destra nella confusione, la sinistra sclerotizzata. Il caos da una parte consente all’altra di credere di poter vincere senza mettere in discussione la vecchia geometria. Renzi? Vuol farmi dire che lui sarebbe la geometria non euclidea? O “les demoiselles d’Avignon” al posto delle oleografie delle Sacre Famiglie? Non è cambiare per cambiare, dare uno scossone alle nomenclature. È dire che quello schema, quelle parole, quelle idee non sono quelle che servono a tirar fuori il paese da dove si trova. Si spieghi. Il Pd ripropone la vecchia “unione dei riformismi”, tenere insieme tutti, da Fassina a Letta, da Vendola a Ceccanti. E, se non bastano i numeri, a urne chiuse imbarcare anche Casini. E chi pensano si entusiasmi per questa solita minestra? Marina Corradi............................66 Entusiasmo è una parola grossa… Senta, io sono vecchio abbastanza da avere incominciato a lavorare quando ancora c’era la spinta del famoso miracolo. Sì, entusiasmo è una parola grossa, diciamo che c’era una prospettiva in cui si aveva fiducia. Il confronto politico era duro, le contrapposizioni fortissime, ma da una parte e dall’altra c’era gente che pensava di andare nella direzione tutto sommato giusta. Invece adesso io non ritengo che da questa alleanza che la sinistra propone verranno le cose di cui ha bisogno il paese, credo che lo pensino in tanti e che quindi non susciterà le volontà che è necessario mobilitare. Soprattutto se a destra c’è il caos. Franco Debenedetti. Albertini e il Pd L’uomo di sinistra sostiene l’ex sindaco di Milano Renzi quindi? Io non so se Renzi sia la risposta, so che non lo è Bersani. Su Renzi ho dei dubbi, su Bersani, sullo schema Bersani ho delle certezze. E vedo serpeggiare la tentazione di sostituire l’antirenzismo all’antiberlusconismo. Da qui ad Albertini il passo è lungo. Ubaldo Casotto.........................................................................................................................................................................................................16 Ed è bene che lo sia: non si tratta di accorciare, ma di cambiare il passo. Nell’area del centrodestra c’era poco meno del 50 per cento degli italiani. Dove sono finiti? Dove andranno a finire? Nell’astensione? A Grillo? Non è auspicabile, né a destra né a sinistra. Per evitarlo, è determinante l’organizzazione che si darà la destra: a livello nazionale e a livello locale. Si vota prima in Lombardia, ed è una partita molto interessante. Albertini è un europarlamentare del Pdl, è stato sindaco di Milano per il centrodestra lasciando un buon ricordo, è un politico ma non fa parte della gerarchia e dei suoi giochi. La sua candidatura potrebbe servire a organizzare, in modo chiaro e limpido, l’offerta politica a destra. La Lombardia manderebbe un segnale importante alla politica nazionale. Quali sono gli altri motivi di questa sua scelta? Le ripeto, non è una scelta, non sono io a scegliere. Io credo che anche la sini- | | | 14 novembre 2012 | 17 Genitori in guerra. Ridateci i nostri bambini Che cos’è lo Jugendamt, l’ufficio tedesco che toglie i figli ai genitori stranieri di coppie miste............................................................. 20 RUBRICHE L’Italia che lavora..................... 52 Per Piacere.............................................. 57 Mobilità 2000.................................. 59 Lettere al direttore................. 62 Taz&Bao..................................................... 64 26 ESTERI FOLLIA COMUNISTA Il grande balzo all’inferno Cinquant’anni fa l’epilogo dell’allucinante piano di Mao per l’impossibile boom cinese. Un disastro da decine di milioni di morti che la sinistra europea non volle vedere. Cronaca della più grande strage mai causata da un governo contro la propria gente i si può dimenticare di commemorare lo sterminio di 30-40 milioni di persone, prodotto della stupidità fanatica e dell’ideologia criminale di un regime? Sì, si può. È caduto quest’anno il cinquantesimo anniversario del più grande disastro economico e della più grande perdita di vite umane mai causata da un governo ai suoi stessi cittadini, ma la grande stampa italiana non se ne è accorta. Cinquant’anni fa veniva messa fine al “Grande balzo in avanti”, la campagna di modernizzazione comunista dell’economia della Cina imposta da Mao Zedong e attuata in un misto di entusiasmo e di paura da centinaia di milioni di cinesi. Per trent’anni il bilancio di morte di quell’esperienza è rimasto gelosamente custodito negli archivi del Partito comunista. Nel 1991, nelle pagine di Cigni selvatici, il capolavoro autobiografico di Jung Chang, scrittrice cinese emigrata in Europa, si potevano finalmente leggere brani del seguente tenore: «Incontrai un vecchio collega di mio padre, un uomo cortese e capace, poco propenso alle esagerazioni: mi raccontò con grande emozione ciò che aveva visto durante la carestia, in una comune. Era morto il trentacinque per cento dei contadini, e tutto ciò in una zona in cui la messe era stata buona, anche se si era raccolto ben poco: gli uomi- 26 | 14 novembre 2012 | LA CONTA La contabilità dei morti provocati dal “Grande balzo in avanti” imposto alla Cina da Mao Zedong è rimasta semisconosciuta per decenni. Nel 1991 ne parlò apertamente Jung Chang nel suo capolavoro autobiografico Cigni selvatici. Più recentemente hanno provato a tracciare un bilancio della tragedia lo storico olandese Frank Dikötter in Mao’s Great Famine (che ipotizza 45 milioni di morti) e il giornalista Yang Jisheng in Tombstone. The Great Chinese Famine 19581962 (36 milioni). ni erano stati impegnati nella produzione di acciaio, e la mensa comune aveva esaurito quasi tutto il rimanente. Un giorno un contadino aveva fatto irruzione nella stanza del funzionario e si era gettato sul pavimento, gridando che aveva commesso un crimine orribile e voleva essere punito. Alla fine era venuto fuori che aveva ucciso il figlio piccolo e lo aveva mangiato. Con le guance rigate di lacrime, il funzionario aveva fatto arrestare il contadino, che poi era stato fucilato per dare un monito agli assassini di bambini». Il funzionario era più turbato che scandalizzato perché perfettamente al corrente della situazione disperata di milioni di contadini. «Una stima generalmente accettata della mortalità nell’intero paese si aggira intorno ai trenta milioni», scriveva Jung Chang. Fame, malattie e repressione Nel 2010 è stato pubblicato il più autorevole e documentato studio scientifico sulla vicenda, opera dello storico olandese Frank Dikötter, Mao’s Great Famine, che attribuisce al presidente Mao la responsabilità per la morte di ben 45 milioni di persone, per lo più falcidiate dalla fame e dalla malattia, ma non solo: dai due ai tre milioni di cinesi sarebbero stati picchiati o torturati a morte, o sommariamente sottoposti alla pena capitale, per non aver Nei tre anni del “Grande balzo in avanti” non si moriva solo di stenti: dai due ai tre milioni di cinesi sarebbero stati torturati a morte o giustiziati per non aver raggiunto gli obiettivi di produzione raggiunto gli obiettivi di produzione fissati, per aver dichiarato pubblicamente che erano irraggiungibili, o per aver osato criticare la politica del governo. Quest’anno è apparsa la traduzione in inglese della prima ricerca opera di un autore cinese: Tombstone. The Great Chinese Famine 19581962 di Yang Jisheng, giornalista in pensio- Foto: Gettyimages; AP/LaPresse C ESTERI Qui sotto, Mao Zedong durante un’ispezione tra i campi della provincia di Henan, 1962 ne dell’agenzia di stampa Xinhua, nonché figlio di uno dei milioni di contadini che persero la vita per sfinimento. Per un trentennio Yang, che aveva assistito di persona alla morte per inedia del padre nel 1959, ha creduto alla versione ufficiale dei fatti secondo cui siccità, alluvioni e altri disastri naturali erano stati la causa di tante perdite umane ed economiche. Dopo i fatti di piazza Tiananmen (1989) la sua fiducia cieca nelle autorità è entrata in crisi e si è lanciato con tutte le forze nella ricerca della verità sugli anni della grande care- stia. Grazie alle sue conoscenze è riuscito ad accedere a documenti riservati e a stendere un testo di 1.200 pagine (l’edizione inglese è una “sintesi” di 629) che conferma tutte le peggiori ipotesi sull’accaduto. La sua stima finale sul numero delle vittime è di 36 milioni. Il libro è apparso a Hong Kong nel 2008 ma è ancora oggi vietato nel resto della Cina. Come è potuta accadere una cosa del genere e rimanere segreta per tanto tempo? Come ha potuto il mito del maoismo restare di moda in Europa per altri vent’anni dopo quella catastrofe? Mao era un genio del male. La sua «Quando non c’è abbastanza da mangiare, la conoscenza delle debolezze dell’animo umano (lo spirigente muore di fame. Allora è meglio lasciar to gregario, la propensione morire metà della gente così che l’altra metà a sottomettersi a un capo, la cedevolezza ai ricatti, possa nutrirsi a sufficienza» (Mao Zedong) | | | 14 novembre 2012 | 27 Anniversari. La strage di Mao Cinquant’anni fa si concludeva l’allucinante piano del grande timoniere per l’impossibile boom cinese. Ecco come si svolse la più grande strage mai perpetrata da un governo contro il proprio popolo Rodolfo Casadei.................................................................................................................................................................................................... 26 30 ROSSOPORPORA ROSSOPORPORA Quello che il mondo non afferra La secolarizzazione che avanza e divide i fedeli. Le ambiguità delle sette che seducono i cattolici latinoamericani. La malizia dei media che fingono di non capire. Dopo il Sinodo, i cardinali spiegano qual è la nuova impresa missionaria della Chiesa 24 novembre sarà un giorno di gran festa per la Chiesa universale. Festa di colori, festa di suoni, festa della diversità culturale nell’unità della fede. Quel giorno Benedetto XVI creerà sei nuovi cardinali, provenienti quasi tutti da Chiese particolari di frontiera, impegnate concretamente a testimoniare sul terreno la loro fede. Perciò nel concistoro pubblico assumerà un significato ancora più intenso del solito quel passo, «usque ad sanguinis effusionem… pro libertate et diffusione Sanctae Romanae Ecclesiae», che sarà pronunciato dal Santo Padre prima dell’imposizione della berretta cardinalizia. Chi sono i sei nuovi porporati? Lo statunitense James Michael Harvey (1949, fin qui prefetto della Casa pontificia, nominato arciprete di San Paolo fuori le Mura), il libanese Béchara Raï (1940, patriarca della Chiesa maronita, grande difensore della presenza cristiana nell’area mediorientale), l’indiano Baselios Cleemis Thottunkal (1959, nativo del Kerala, capo della Chiesa siro-malankarese), il nigeriano John Olorunfemi Onaiyekan (1944, arcivescovo di Abuja), il colombiano Rubén Salazar Gómez (1942, arcivescovo di Bogotá), il filippino Luis Antonio Tagle (1957, 30 abato | 14 novembre 2012 | arcivescovo di Manila). Con la creazione dei sei nuovi cardinali il Collegio cardinalizio dal prossimo 24 novembre avrà di nuovo 120 elettori, non uno di più. Se con tale atto il Papa ha voluto evidenziare principalmente che la Chiesa universale è qualcosa di diverso e più entusiasmante rispetto alle note e travagliate vicende curiali di questi mesi, forse ha anche voluto segnalare che il conseguimento della dignità cardinalizia non dev’essere più legato strettamente a consuetudini che a volte sanno di carrierismo. EVANGELIZZAZIONE. Dal 7 al 28 ottobre si è svolto il XIII Sinodo dei vescovi sul tema della “nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. I 262 padri sinodali hanno portato la loro testimonianza e i loro suggerimenti attraverso interventi in aula (252 da parte di 237 padri), scritti (13), interventi liberi (un centinaio), interventi nei “circoli minori” linguistici. Papa Benedetto XVI ha parlato in cinque occasioni. 49 gli uditori (45 gli interventi, molti i laici), 45 gli esperti, 3 gli invitati speciali (tra cui il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Werner Arber), 15 i “delegati fraterni” (anche il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I e il primate della Comunione anglicana Rowan Williams). Tra gli argo- Qui sopra, la Messa conclusiva del Sinodo, celebrata dal Papa il 28 ottobre scorso in San Pietro. A sinistra, il cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn, eletto dall’assemblea nel Consiglio della segreteria generale del Sinodo te al Papa – che ha del resto seguito personalmente buona parte degli interventi in Aula Nervi – gli saranno utili per l’elaborazione della tradizionale esortazione apostolica post-sinodale. FERMENTI D’AUSTRIA. Tra gli eletti Foto: AP/LaPresse di Giuseppe Rusconi S menti emersi, oltre alla definizione, ai modi, ai contenuti della nuova evangelizzazione, quelli della formazione degli evangelizzatori, della famiglia, della parrocchia, del ruolo dei laici, del dialogo ecumenico e interreligioso, della situazione (spesso precaria) dei cristiani nel mondo. Sono state elaborate 58 proposizioni finali (originariamente 326): presenta- | dall’assemblea nell’importante Consiglio della segreteria generale del Sinodo (tre per continente) c’è il cardinale Christoph Schönborn. Incontrandolo, ci dice subito che «la situazione dell’Austria cattolica è meno grave di quanto non dicano i massmedia». Ottimo spunto, per l’ avvio l’intervista. Rileva l’arcivescovo di Vienna: «La stampa ha l’abitudine di eviden- ziare un aspetto particolare di un problema, presentandolo nell’ottica di una lotta senza esclusione di colpi. Certo per i massmedia una situazione conflittuale è benvenuta, così che la si possa trasformare in un “caso” e riempire pagine sotto titoli a caratteri di scatola». Eminenza, si sa che in Austria preti e laici “del dissenso” non sono pochi (dalla “Pfarrer Initiative” a “Wir sind Kirche”) e sono anche ben organizzati. «Molti massmedia estremizzano le loro proposte e proteste, dando loro un’importanza sproporzionata rispetto a ciò che succede». I problemi sollevati sono però reali. «Sì, sono problemi veri. Devo dire che noi vescovi condivi| | 14 novembre 2012 | 31 Dopo il Sinodo. La sfida della Chiesa Al termine del raduno con il Papa, i cardinali spiegano quali saranno i banchi di prova di domani. Dalla secolarizzazione che divide i fedeli alle ambiguità delle sètte che illudono i cattolici latinoamericani Giuseppe Rusconi.............................................................................................................................................................................................. 30 38 COSE DA OCCIDENTALI MISURE CONTRO LA VITA I termini di un inganno planetario Si scrive salute riproduttiva femminile e tutela della maternità. Si legge contraccezione e ricorso più ampio possibile all’interruzione di gravidanza. Ecco come l’Onu prova a far passare l’aborto come diritto umano inviolabile I ha avuto grande risonanza la risoluzione adottata il 21 settembre 2012 dal Consiglio dei Diritti dell’uomo presso le Nazioni Unite, titolata “mortalità e morbilità materna prevenibile e i diritti umani”, mediante la quale avrebbe trovato ingresso a livello internazionale un nuovo “diritto all’aborto”, seppure con modalità subdole. Un diritto del genere è ovviamente fortemente contrastato a livello internazionale, specie dai paesi islamici e da quelli tradizionalmente cattolici, oltre che dalla Santa Sede, che presso le Nazioni Unite ha un osservatore permanente nel nunzio apostolico Silvano Maria Tomasi. Il suo riconoscimento come “diritto umano” è invece prepotentemente voluto da una intensa attività di lobbying, ad esempio da parte dell’International Humanist and Ethical Union (Iheu) – di cui fa parte, per capirci, l’Uaar (Unione Atei e Agnostici Razionalisti) – la cui presidente Sonia Eggerickx ha rivendicato il contributo dato dall’organizzazione all’odierna risoluzione. Ma vediamo di capire di cosa si tratti esattamente e quali effetti possa produrre. Il Consiglio dei Diritti dell’uomo è un organo intergovernativo ope- 38 n questi giorni | 14 novembre 2012 | | rante nell’ambito dell’Onu, ed è composto da 47 membri che hanno il compito di promuovere e rafforzare la protezione dei diritti umani nel mondo. Del Consiglio fa parte, dal 2011, anche l’Italia, che dunque è corresponsabile della risoluzione incriminata, allineandosi alla scelta fatta dagli altri paesi dell’Unione Europea. La risoluzione ha per obiettivo la riduzione del tasso mondiale di mortalità e di morbilità delle donne, nel corso della maternità. A dire il vero, essa non contiene un solo accenno espresso all’aborto, ma richiama più e più volte «la salute sessuale e riproduttiva» e «i diritti legati alla procreazione» delle donne. In particolare, si legge nel testo, «il Consiglio accoglie con soddisfazione l’elaborazione, da parte dell’alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, di una Gui- Navi Pillay, alto commissario Onu per i diritti umani da Tecnica, diramata in luglio, riguardante il perseguimento dell’obiet- i diritti alla salute sessuale e riproduttitivo di ridurre la mortalità e la morbili- va», affinché in ogni piano nazionale sia tà materne, mediante un approccio fon- «realmente assicurato l’accesso univerdato sui diritti dell’uomo». Detta Guida sale» a «interventi essenziali per miglioinclude espressamente, tra le buone pra- rare la salute materna», come «servizi di tiche conformi agli obblighi scaturen- pianificazione familiare», «gestione delle ti dai diritti umani, quelle di «garantire gravidanze inattese, includendo l’acces- so a servizi di aborto sicuro, dov’è legale, e cura post-aborto». L’approccio alla salute materna basato sui diritti umani impone precise «responsabilità agli Stati per assicurare servizi disponibili, accessibili, accettabili e di qualità». Si sottolinea quindi che «se le leggi sull’aborto sono eccessivamente restrittive, le risposte da parte dei fornitori di servizi, polizia e altri attori possono scoraggiare chi cerca aiuto» (in tal caso, l’aiuto sarebbe quello da offrire alla donna che abortisce). Foto: AP/LaPresse di Stefano Spinelli* cose da occidentali tire; scelta che deve trovare, nei vari paesi, un servizio sanitario adeguato che lo soddisfi (così il tema si lega anche a quello dell’obiezione di coscienza, che non deve comunque arrivare a pregiudicare l’esercizio dell’aborto). Ciò precisato, si leggano questi passi della risoluzione adottata il 21 settembre 2012, nel corso della ventunesima sessione del consiglio Onu per i diritti umani: «È necessario rafforzare con urgenza la volontà e l’impegno politico, la cooperazione e l’assistenza tecnica a tutti i livelli, al fine di ridurre il tasso mondiale di mortalità e di morbilità materne evitabili, che è inaccettabile»; «l’utilizzo di un approccio fondato sui diritti dell’uomo può contribuire positivamente alla realizzazione dell’obiettivo, che è di fare abbassare quel tasso». Procreazione consapevole? In sostanza, viene affermato l’obbligo per gli Stati di dotarsi di normative che favoriscano l’accesso delle donne che lo chiedano all’aborto. Risulta quindi chiaro cosa intendano, le Nazioni Unite e i documenti che vi fanno riferimento, per diritto alla salute sessuale e riproduttiva: ossia Onu. L’inganno planetario L’escamotage con cui alle Nazioni Unite si rischia di trasformare l’aborto in un diritto umano. E la folle corsa della modernità a rendere infecondo l’eros Autodeterminazione a senso unico Di conseguenza il Consiglio «invita gli Stati a rinnovare l’impegno politico e a raddoppiare gli sforzi per garantire, pienamente ed efficacemente, il rispetto degli obblighi in tema di diritti umani (…), ivi compresi gl’impegni relativi alla salute sessuale e riproduttiva ed ai diritti legati alla procreazione (…), in particolare gli obiettivi concernenti il miglioramento della salute materna, la promozione dell’uguaglianza dei sessi e l’autodeterminazione della donna, specialmente prevedendo, nel budget nazionale, delle risorse sufficienti ai sistemi di salute, fornendo l’informazione e i servizi necessari in materia di salute sessuale e riproduttiva delle donne e delle giovani»; invita tutti i soggetti interessati (governi, organizzazioni regionali e internazionali) «a diffondere e Ricondurre l’aborto alla categoria dei diritti ad utilizzare la Guida Tecumani significa dare ad esso l’imprinting nica», e l’alto commissario internazionale, così da avere nei singoli per i diritti umani «a elaboordinamenti locali più potere di moral suasion rare un rapporto sui modi in cui la Guida Tecnica è diritto a una procreazione consapevole e attuata dagli Stati e dagli altri soggetti responsabile, mediante uso di contraccet- interessati, che sarà presentato al Consitivi e soprattutto mediante il ricorso, il glio» alle prossime sessioni. Come si vede, l’oggetto del documenpiù esteso e facilitato possibile, all’aborto to internazionale lega l’ipotesi di partencosiddetto sicuro. Nessuna attenzione è dedicata, in det- za, riguardante la riduzione delle probleta nozione, all’aborto in quanto tale, che matiche di salute materna, alla necessità – pur nell’assoluto tacere degl’illumina- che i paesi prevedano normative e strutti umanisti internazionali – continua ture idonee a consentire l’aborto, insia essere la soppressione di una nascen- nuando che i cosiddetti aborti illegali – e te vita umana. Una grande importan- la mancanza di quelli “sicuri” – siano la za, invece, viene assegnata all’idea di causa dei problemi alla salute materna. In sostanza, il problema della salu“responsabilità” della procreazione, che include anche quella di autodetermina- te materna – invece di essere individuazione della donna nello scegliere di abor- to nelle malattie legate alla gravidanza | | 14 novembre 2012 | 39 Stefano Spinelli, Roberto Volpi......................................................................................................................................38 Reg. del Trib. di Milano n. 332 dell’11/6/1994 settimanale di cronaca, giudizio, libera circolazione di idee Anno 18 – N. 45 dall’8 al 14 novembre 2012 IN COPERTINA Foto: Milestone DIRETTORE RESPONSABILE: LUIGI AMICONE REDAZIONE: Emanuele Boffi, Laura Borselli, Mariapia Bruno, Rodolfo Casadei (inviato speciale), Benedetta Frigerio, Massimo Giardina, Caterina Giojelli, Daniele Guarneri, Elisabetta Longo, Pietro Piccinini, Chiara Rizzo, Chiara Sirianni SEGRETERIA DI REDAZIONE: Elisabetta Iuliano DIRETTORE EDITORIALE: Samuele Sanvito PROGETTO GRAFICO: Enrico Bagnoli, Francesco Camagna UFFICIO GRAFICO: Matteo Cattaneo (Art Director), Davide Viganò FOTOLITO E STAMPA: Roto2000 S.p.A., Via L. da Vinci, 18/20, Casarile (MI) DISTRIBUZIONE a cura della Press Di Srl GESTIONE ABBONAMENTI: Tempi, Corso Sempione 4 • 20154 Milano, dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 13 tel. 02/31923730, fax 02/34538074 [email protected] EDITORE: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione 4, Milano La testata fruisce dei contributi statali diretti di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 250 SEDE REDAZIONE: Corso Sempione 4, Milano, tel. 02/31923727, fax 02/34538074, [email protected], www.tempi.it CONCESSIONARIA PER LA PUBBLICITà: Editoriale Tempi Duri Srl tel. 02/3192371, fax 02/31923799 GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI: L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a: Tempi Società Cooperativa, Corso Sempione, 4 20154 Milano. Le informazioni custodite nell’archivio elettronico di Tempi Società Cooperativa verranno utilizzate al solo scopo di inviare agli abbonati la testata e gli allegati, anche pubblicitari, di interesse pubblico (D.LEG. 196/2003 tutela dati personali). I diktat dei tecnici. La repressione delle voci libere. La Costituzione logorata. L’antipolitica e gli errori dei partiti. Per il presidente della Lombardia non sono degenerate la società e le sue autonomie, «è lo Stato che è in crisi e va ricostruito. Pd, Lega e Pdl ne prendano atto» «Basta g io 8 | 14 novembre 2012 | | COPERTINA Formigoni g iochetti, è l’ora della responsabilità» | | 14 novembre 2012 | 9 I Roberto Formigoni negli splendidi locali del nuovo Palazzo Lombardia che ha dotato tra l’altro Milano della più grande piazza coperta d’Europa: si vede nell’edificio il segno di Ieoh Ming Pei, uno dei più grandi architetti di questi tempi. Se dalle nostre parti la stampa non fosse quello che è (e non avesse quasi nascosto la notizia) si saprebbe anche che questo progetto fortemente voluto dalla Regione è stato premiato dal prestigioso Council of Tall Buildings and Urban Habitat di Chicago come il più bel grattacielo del Vecchio Continente nel 2012. Il presidente “uscente” mi sembra insieme sereno e combattivo. Se non corressi il rischio di cadere nella retori- 10 ncontro | 14 novembre 2012 | | ca mi verrebbe da cogliere in lui la quiete dell’uomo che ha fatto il suo dovere. Come si sta, usciti a stento dal tritacarne?, gli chiedo. «Fossi stato solo io nel tritacarne, sarei oggi molto più tranquillo. È l’Italia che mi sembra ancora in una terribile difficoltà. A una verticale crisi dello Stato mi paiono corrispondere sintomi gravi di degenerazione morale e di disgregazione della società». caso era rimasto il principale legame tra il cittadino e lo Stato. Ma non se l’è meritata un po’ di sfiducia questo sistema delle autonomie così ricco di sprechi e malefatte? Innanzitutto una buona parte della degenerazione di certe “autonomie” è determinata dalla crisi più generale: si sono cambiati i sistemi elettorali ma non si è fatta alcuna riforma sistemica della governance degli enti locali, si sono fatte Crisi verticale? Sì, è finito sotto attacco anche quel diverse proposte – alcune anche di ordine sistema di autonomie, dai comuni alle costituzionale poi approvate – di federaliprovince alle regioni, che in più di un smo ma senza alcuna razionale sistemazione dei poteri. Si fanno tagli e soppressioni senza «Si taglia e si sopprime senza ponderazione riflessione e ponderazioriformatrice. La legge di stabilità ha colpito ne riformatrice. Gli ultii comuni più virtuosi, quelli che avevano mi provvedimenti per la stabilità hanno colpito i risparmiato grazie all’impegno dei cittadini» Foto: AP/LaPresse; Flickr Roberto Formigoni © di Lodovico Festa COPERTINA PRIMALINEA VERSO LE URNE UNA FINE LAMPO Tempi rapidi per le dimissioni Dopo lo strappo della Lega Nord seguito all’arresto dell’assessore Domenico Zambetti, accusato di aver comprato voti dalla ’ndrangheta, la crisi di governo della Lombardia si è risolta rapidamente. Un paio di settimane per nominare una giunta di transizione che traghetterà la regione al voto, varare una nuova legge elettorale (senza il famigerato listino bloccato) e sciogliere il Consiglio. DATE UTILI Election day il 27 gennaio? L’intenzione del presidente uscente Roberto Formigoni era di andare al voto anticipato già il 16 dicembre, ma il ministro dell’Interno Anna Maria Cancellieri ha annunciato che «sicuramente» le elezioni in Lombardia, Lazio e Molise saranno accorpate in un election day. Prima data utile: 27 gennaio. comuni più virtuosi, quelli che avevano risparmiato grazie all’impegno dei loro cittadini e ora si vedono inibiti gli investimenti necessari. Foto: AP/LaPresse; Flickr Roberto Formigoni © Beh, almeno sul taglio delle province sarà da apprezzare il decisionismo del governo. Comprendo lo stato d’emergenza ma sono veramente spaventato dall’approssimazione di certe scelte e dalla volontà di diminuire radicalmente gli spazi della democrazia: decisioni che hanno anche implicazioni costituzionali vengono frettolosamente prese in poco meditate riunioni. Per parlare di cose che conosco, ho partecipato al dibattito sulla semplificazione di alcune province: Lodi ad esempio voleva unificarsi con la vicina Pavia, una volta appurato di non poter restare autonoma. Invece in una riunione convulsa a Palazzo Chigi, non dico senza la necessaria riflessione ma senza neanche una vera spiegazione, è stata accorpata a Cremona e Mantova. L’idea che l’Italia sia fatta da una storia millenaria, con relazioni e culture cresciute nei secoli, non pare sfiorare non solo il governo dei tecnici ma neanche la stampa che dovrebbe rappresentare l’opinione pubblica. Si è costruito un mito dell’efficienza in sé senza storia e cultura foriero di grandi sventure. meglio colonizzati che sottoposti alla “casta”. Dalle nostre parti c’è una forte vena mercantile, e un certo atteggiamento iperpragmatico non ha difficoltà ad affermarsi. Quando però Ludovico il Moro si appoggiò ai francesi contro romani e veneziani, ne venne qualche secolo di non brillante dominazione spagnola, come ci racconta il Manzoni. Senza dimenticarsi poi che uno spera nel teresiano riformista conte Firmian e poi si trova il maresciallo Radetzky tutto tasse e repressione. E la storia rischia di ripetersi. Ma lasciamo le metafore storiche e concentriamoci sui fatti: la baraonda mediatico-giudiziaria ha prodotto il risultato non solo di giustificare il taglio al bilancio dei comuni virtuosi, ma anche di mescolare regioni fallimentari con regioni (a partire da Lombardia, Veneto, EmiliaRomagna) che hanno fatto il loro dovere e hanno modelli di comportamento più efficienti di quelli dello Stato. Ecco perché quel che è avvenuto e sta avvenendo non si giustifica senza una spiegazione più C’è già oggi chi in Lombardia sostiene ampia. A un certo punto in vari ambiencome sia meglio la Merkel di Fiorito, ti internazionali statuali ed economici si è consi«In ambienti internazionali si è pensato che la derato necessario semplinostra democrazia andasse limitata. Inevitabile? ficare la governance itaForse. Di sicuro pericoloso: l’altra faccia della liana e si è spinto con semplificazione dei tecnici è il successo di Grillo» decisione in questo sen| | 14 novembre 2012 | 11 Un processo inevitabile? Sarà forse inevitabile, sicuramente è pericoloso: l’altra faccia della semplificazione dei tecnici è il successo crescente di Beppe Grillo. Pensare di governare una delle prime economie del pianeta, una società ricca e complessa come quella italiana con qualche diktat dei tecnici più la repressione contro “i nemici” (cioè chi crede ancora nella democrazia dal basso) compiuta dai pm indirizzati politicamente, significa prepararsi un avvenire di disastri. Ma il centrodestra non ha la sua fetta di responsabilità nella determinazione di questa situazione? Quando cedo alla vena della nostalgia, sento fortemente la mancanza di partiti strutturati che consentivano la formazione e selezione di un ceto politico di qualità. Poi però non manco di riflettere sul lato storico delle nostre vicende e allora cerco spiegazioni più razionali: la Pri12 | 14 novembre 2012 | | ma Repubblica nasce da partiti che si formano in una grande esperienza, la Resistenza (da qui anche un certo carattere militare di quelle formazioni), e poi grazie ad Alcide De Gasperi (ma anche a Palmiro Togliatti) definiscono una Costituzione che sarà la casa comune degli italiani finché esaurirà parte della sua funzione (determinata dai compromessi indotti dalla Guerra fredda) nel 1992. La Seconda Repubblica nasce sotto il segno di indagini giudiziarie e di malmessi governi tecnici, senza alcuna razionale modificazione dello Stato, con le residue forze costituenti (ex Pci e dossettiani, più i rinati azionisti sotto l’usbergo scalfarian-debenedettiano) che non solo non volevano cambiare lo Stato ma facevano della difesa di istituzioni logorate lo strumento per proteggere il proprio particolare. Costoro sono i veri conservatori: il vecchio che c’è nella società italiana si deve alla loro azione, all’idolatria di una Costituzione che ha 65 anni, ma viene spacciata come la migliore del mondo, per mantenere il loro diritto di veto su ogni cambiamento. E, sotto, la società fa fatica e muore; ora, cercando di ammazzarne i leader, le si vuole anche impedire di parlare. Certo, il centrodestra ha le sue gravi colpe, ma l’atto di omissione fondamentale è di che aveva la cultura e la forza per iniziare o accettare il cambiamento e ha voluto a tutti i costi conservare. Però quando si vedono i pasticci anche recentemente combinati da Roberto Maroni in Lombardia, è difficile considerare solo oggettive le responsabilità del centrodestra. In effetti lo sbandamento della Lega mi ha sconcertato: il giovedì 11 ottobre sera si decide – Maroni, Angelino Alfano e io – di fare una nuova giunta e di governare per i prossimi due anni, e 24 ore dopo si ribalta la decisione lanciando la candidatura di un leghista per la Lombardia: non sono mancati i trucchetti dei leghisti in questi venti anni ma questo mi è sembrato uno dei più stravaganti e alla fine autolesionista. Fossero stati capaci i leghisti di aspettare il 2015, «Il vecchio che c’è nella società italiana si deve avrebbero avuto il prossimo presidente di Lomall’idolatria di una Costituzione che ha 65 anni bardia. Chissà se il solito ma è spacciata come la migliore al mondo, per apparato mediatico-giudimantenere diritti di veto su ogni cambiamento» ziario che con tanta soler- Foto: AP/LaPresse so. Non si è badato molto a distinguere tra il virtuoso e il vizioso: era la democrazia che andava ridimensionata! E si è trovato nell’opera dei settori politicizzati della magistratura (ben coperta da una stampa essenzialmente scandalistica o scandalistico-affaristica come la Repubblica) lo strumento più adatto a questo scopo. COPERTINA PRIMALINEA Formigoni si dice «sconcertato» dallo «sbandamento della Lega» in Lombardia: «Giovedì 11 ottobre sera si decide – Maroni, Alfano e io – di fare una nuova giunta e governare per i prossimi due anni, 24 ore dopo si ribalta la decisione lanciando la candidatura di un leghista per la Lombardia: non sono mancati i trucchetti dei leghisti in questi anni ma questo mi è sembrato uno dei più autolesionisti» nale e regionale, avrebbe esasperato i lombardi (come per esempio ha esasperato i siciliani). Ho fatto una giunta nuova in cinque giorni, abbiamo fatto una legge elettorale in altri cinque, eliminando quella iattura del “listino” che avevo da subito osteggiato, abbiamo dato la possibilità al governo di fissare le elezioni in Lombardia già dal 16 dicembre (anche se poi hanno scelto il 27 gennaio), tutto questo ha significato invertire una certa corrente di opinione costruita con manipolazioni come quella contro la mia persona e da degenerazioni reali come quelle connesse al caso Zambetti e a diversi altri sia pur meno gravi. Ma adesso che messaggio si manda ai leghisti? Mi pare che lo spazio dei giochetti si sia esaurito, molti loro esponenti mi cercano per non disperdere quel tanto di buono che si «Molti leghisti mi cercano è fatto in questi anni. Forse per non disperdere il buon anche in via Bellerio si inilavoro fatto. Può riprendere zierà a capire come sia staun cammino comune, to sbagliato sprecare l’occasione che avevo costruito ma solo con un’adeguata coscienza della realtà di cui per riflettere su una Macroregione del Nord che desse fa parte l’obbligatorietà di più efficienza e unitarietà certe scelte. Tra queste c’è alle nostre politiche. Spazi la candidatura Albertini» per riprendere un cammino comune ve ne sono ma zia ha perseguitato anche me, ci ha mes- solo a partire da un’adeguata coscienza della realtà drammatica in cui viviamo so lo zampino. e di cui fa parte anche l’obbligatorietà di In effetti in quella giornata in cui era certe scelte. E tra queste pongo la candistato raggiunto l’accordo sulla Lomdatura Albertini. bardia, ho visto – in parte allibito ma Foto: AP/LaPresse soprattutto inorridito – apparire su alcune agenzie e siti internet la notizia di nuovi indizi sui rapporti corruttivi tra Finmeccanica e Lega: un ulteriore segno del modo in cui si svolge la lotta politica in Italia. Comunque la sua reazione è stata molto dura: chi butta giù una giunta poi non può pretendere di presiedere la prossima. E con anche un’assoluta determinazione nei tempi: nessuna pausa per decantare le “offese”. È bene chiarire che in me non ha agito il risentimento bensì la consapevolezza della gravità della situazione: la sfiducia dei cittadini nella politica è ampia. Credo, come abbiamo detto, che in parte essenziale derivi dalla crisi dello Stato, ma ciò non cambia la realtà. Certe forme di politica (giochetti di partito, trabocchetti, manovrette) che potevano funzionare quando la società civile dava una delega ampia ai leghisti (ma anche a Forza Italia/ Pdl) non solo non servono più ma producono ulteriore degradazione. Lasciar marcire le cose, traccheggiare sui ricattini, giochicchiare con scambi tra quadro nazio- Obbligatoria? Sì, è una vera fortuna che vi sia una personalità come la sua di sindaco amato di Milano (leale collaboratore anche dei leghisti nel secondo mandato), di europarlamentare del Pdl (e del Ppe), di già stimatissimo presidente di Federmeccanica: un uomo che può riunire una società civile dove abbondano leader lombardi del mondo delle imprese come Squinzi, Bombassei, Sangalli e tanti altri, a diverse anime che si richiamano al Partito popolare europeo. Il suo impegno a mobilitare in grande autonomia la società civile non si scontra con l’esigenza di continuare (innovandola dove è necessario) la mia esperienza amministrativa la cui bontà è confermata dagli incarichi di assessore che hanno accettato alcuni lombardi di qualità, impegnati civilmente nella mia giunta tecnica che pure ha orizzonti limitati a qualche mese. Insomma, se prenderanno atto della realtà, i leghisti saranno perdonati. Nessuno deve perdonare nessuno. Tutti devono prendere atto di una realtà par- ticolarmente difficile che non consente più certi giochetti. Anche Alfano? Ho il massimo rispetto per il segretario del Pdl che si è assunto un compito così difficile come traghettare il centrodestra in un quadro politico drammatico. È e sarà un lavoro immane: si tratta di rimettere in piedi una vera dialettica politica centrodestra verso centrosinistra senza la quale Grillo arriverà ben oltre il 20 per cento dei voti. Di stare in Europa (e nel Ppe) con la schiena diritta, tenendo conto che ha ragione – pur nell’esasperazione di certi toni – Silvio Berlusconi ad avvertire che non si può accettare l’attuale egemonismo tedesco. Si tratta con le persone di buona volontà, innanzitutto del Pd, di impostare anche quella riforma e ricostruzione di uno Stato senza la quale non si va da nessuna parte. E di essere aperti agli improvvisi sviluppi che anche il quadro internazionale può determinare nel centrodestra (penso ad esempio alle elezioni negli Stati Uniti e alla scelta del nuovo capo della Cina). Un lavoraccio per cui c’è bisogno di una guida autorevole: è indispensabile che si tengano in questo senso le primarie per la premiership nel Pdl, e che siano partecipate e condotte con un vero confronto sui programmi. Senza questo, il centrodestra non potrà che sbandare. E Formigoni dove si collocherà in queste primarie? Non c’è un problema Formigoni, ci sono i problemi dei valori del centrodestra; e con alcuni amici (Quagliariello, Sacconi, Gelmini, Gasparri) ho sottoscritto un manifesto di princìpi. Sono valori largamente condivisi ma su cui si deve dare una vera battaglia culturale. Poi ci sono i problemi del Nord su cui approntare precise piattaforme politiche: occorre un Pdl che si faccia esplicitamente carico della questione settentrionale. Poi c’è il problema di costruire un sistema democratico di organizzazione del partito di cui le primarie sono un passo decisivo, ma solo il primo. Infine c’è la questione di una solida elaborazione culturale come base delle scelte politiche. Conto di poter condividere in maniera esplicita, chiara e pubblica queste istanze con Alfano, e a quel punto di collaborare per una sua leadership che risolva in positivo le più urgenti questioni attuali. Come ho detto più volte sono e sarò comunque in campo: per la Lombardia, per un nuovo Pdl (anche il nome andrebbe urgentemente cambiato), per un nuovo centrodestra. E mi assumerò tutte le responsabilità che saranno necessarie. n | | 14 novembre 2012 | 13 L’OBIETTORE GUAI SERI IN VISTA Fiat tra le battutacce dei nemici e la gara impossibile coi concorrenti di Oscar Giannino N Fiat, purtroppo è sempre più difficile ragionare in maniera ordinata. Io, NON SONO per esempio, tendo a distinguere D’ACCORDO molto accuratamente i giudizi sulle prospettive strategiche e sui piani industriali da quelli sulle tumultuose relazioni industriali tra azienda e sindacati. Ma in vasti settori dell’opinione pubblica si è radicata l’idea proposta dalla Fiom che l’attitudine muscolare delle relazioni industriali sia una finta per sviare l’attenzione dai piani industriali che non reggono, o comunque una forzatura che lede diritti. Questa sovrapposizione di giudizi mi porta a una prima osservazione. Non posso fare a meno di rilevare che la Fiat con le sue levate di capo mostra di non comprendere che si ficca sempre più in un cul de sac. Non credo sia una strategia pianificata. Semplicemente, Sergio Marchionne è un non italiano (il suo vero asso nella manica, altrimenti col cavolo che Obama gli dava Chrysler: l’ha data a lui, non alla Fiat). Di conseguenza, nei pochi secondi nei quali avrà dato l’ordine di reagire alla decisione del giudice di reintegrare i 19 a Pomigliano, accetto scommesse ma secondo me è prevalsa la linea “tosti come sempre”. Senza mettere in conto che a questo punto il termometro dei sindacati che hanno messo faccia e firma sul piano Fabbrica Italia, esponendosi ai durissimi attacchi della Fiom e vincendo sul campo, segna febbre alta. Perché quel progetto oggi non esiste più, e ce n’è un altro che appare ancor più immaginifico rispetto alla dura realtà. È ovvio che la battuta di Carlo De Benedetti sulla decimazione alla tedesca è una freddura, e che Susanna Camusso che parla di una Fiat peggiore ambasciatrice d’Italia all’estero è smentita da Obama in persona. In linea di principio ha ragione Fiat: non può essere un giudice a stabilire che in un impianto in cassa integrazione devono lavorare più addetti di quel che l’azienda pianifica. Ma reagire allontanandone altrettanti mette la Fiat in condizione di beccarsi l’allineamento con la Fiom di Cisl, Uil e Ugl, unite nel no all’allontanamento. E sarebbe il colmo dei colmi se ora i 19 da mandar fuori al posto dei sindacalizzati fossero scelti tra coloro che non sono iscritti a nessun sindacato: la discriminazione sarebbe non antisindaella vicenda Freddure di Carlo De Benedetti a parte, in linea di principio Marchionne ha ragione su Pomigliano. Ma che te ne fai della ragione se ti fa perdere gli unici alleati che hai sulla conduzione del lavoro? cale ma anticostituzionale. Direbbe Marchionne: questi sono bizantinismi italiani, nel resto del mondo se ho ragione la esercito, è a furia di non farlo che alla fine i veri padroni delle relazioni industriali in Italia sono i sindacati e i giudici. Ma la ragione di principio te la friggi in padella, se nella realtà ti porta a perdere gli unici alleati di una conduzione del lavoro non esasperata dal conflitto. Seri dubbi sulla linea di attacco ai tedeschi Seconda osservazione, per me distinta dalla prima, sul riposizionamento strategico annunciato al Corriere della Sera. Non metto in dubbio pregiudizialmente l’idea che Fiat lanci la sfida al settore premium europeo in cui dominano i tedeschi. Semplicemente, chiunque segua l’auto non crede alla possibilità che Maserati e Alfa Romeo siano in condizione di farlo. Nella grande crisi dell’auto europea, i produttori forti nel mercato premium hanno guadagnato enormemente, in termini sia di margini sia di posizioni. Dieci anni fa solo Mercedes era tra i primi dieci marchi europei. Oggi tutti e tre i produttori tedeschi sono in graduatoria, e il segmento premium è passato dal 15,8 per cento del mercato europeo al 20,8. Sarebbe stato impensabile, nel 1992, che Audi vendesse più di Fiat e Citroën. Perché è successo? Perché Audi, Bmw e Mercedes hanno esteso la loro gamma fino a sovvertire la vecchia idea del ristretto segmento premium. Audi dieci anni fa proponeva 18 modelli, oggi sono 41, e vanno dalla supercar R8 ai Suv, fino alla A1 che è una familiare supercompatta. Il punto è se Marchionne abbia ragione nel ritenere che l’esplorazione di nuove nicchie del mercato da parte delle case premium germaniche resti capace di remunerare investimenti che da due anni a questa parte sono superiori ai margini che si realizzano nei segmenti in cui hanno esteso la propria presenza. In realtà in un mercato sottoposto a fortissime costrizioni di volumi la strategia alla lunga può essere sostenibile solo per chi, come Volkswagen, ottimizzando 11 brand diversi a livello planetario, è capace di offrire all’occasione non solo contenimento ma anche taglio dei costi di vendita sui diversi mercati nazionali. Per i produttori più esposti alla crisi, cioè con più sovracapacità, meno forza planetaria e debolezza nel segmento premium, come Citroën, Opel e Fiat, la sfida nel prossimo biennio resterà impari, pensa Marchionne, se non proveranno ad alzare la sfida verso l’alto. Diventa una gara di pura sopravvivenza, dove vince chi i profitti veri li fa fuori dall’Europa. Sino alla settimana scorsa, la strategia Fiat che tanto faceva arrabbiare l’Italia era aspettare che si esaurisse il ciclo tedesco di espansione verso il basso, come mostra Mercedes. Ora invece Marchionne dice di puntare all’attacco sui tedeschi. Ho il dovere di dire che non credo abbia i denari e i modelli. Il sindacato lo sa benissimo, anche chi ha firmato per Progetto Italia. Ergo la Fiat si espone a nuovi guai seri. Mentre brucia cassa al ritmo di 15 milioni al giorno. | | 14 novembre 2012 | 15 MEGLIO UN AVVERSARIO FORTE Albertini farà bene anche al Pd «Dando continuità a un modello che funziona contribuirà a chiarire la linea del centrodestra. Una bella sfida per questa sinistra che pensa di vincere con la solita geometria e senza idee». Lo strano “endorsement” di Franco Debenedetti 16 | 14 novembre 2012 | | di Ubaldo Casotto F Debenedetti, classe 1933, ha fatto per trentacinque anni il manager e l’imprenditore, poi per dodici anni, dal 1994 al 2006, il senatore nelle file del centrosinistra, Pds, Ulivo, Pd. Da sei anni è tornato a occuparsi di imprese, scrive saggi e continua la sua attività pubblica come osservatore della politica con interventi sul Sole 24 Ore, il Corriere della Sera, il Foglio. La settimana scorsa ha firmato un appello di sostegno alla candidatura di Gabriele Albertini per la presidenza della Regione Lombardia. ranco Scusi senatore, vederla schierato per un uomo della destra come l’ex sindaco di Milano, eurodeputato del Popolo della libertà, sorprende. Che ci fa lei in questa compagnia? Io non mi sono schierato per Albertini, mi sono unito a persone che gli chiedono di candidarsi. Vedere con preoccupazione quello che sta succedendo Foto: AP/LaPresse INTERNI A sinistra ci sono gli eredi della sinistra Dc, i nipoti invece dei figli di Berlinguer e Vendola al posto di Cossutta, ma lo schema è quello del ’94. Non verrà da lì quello che serve al paese Lei, si pensa, dovrebbe tifare per la sinistra. Eleggere non è tifare. Eleggere è scegliere un partito e votarlo. Quale sarà l’offerta politica? Quale sarà il meccanismo che traduce i voti nell’urna in seggi in Parlamento? Io, e non perché sono entrato in politica con il maggioritario, sono convinto che l’uninominale, ancor più se a doppio turno, sia il meccanismo elettorale che meglio può assicurare rappresentatività e stabilità. E non capisco perché il Pd a parole dica di preferirlo, ma subito aggiunga che non si può fare. O meglio: capisco e non mi piace. Ma tornando a prima: come si forma l’offerta politica? Le regionali in Lombardia possono essere un segnale importante per la strutturazione dell’offerta politica alle elezioni generali, anche se bacino elettorale e sistema elettorale sono differenti. A un osservatore esterno la situazione ricorda quella del 1994: una sinistra che si presume vincitrice e un centrodestra nel caos. Foto: AP/LaPresse Franco Debenedetti (foto a destra), dal 1994 al 2006 senatore per il Pds, l’Ulivo e il Pd, ha firmato la scorsa settimana l’Appello dei cento per la candidatura dell’ex sindaco di Milano Gabriele Albertini a governatore della Lombardia nell’area di centrodestra con lo sfascio del Pdl non significa abbandonare il centrosinistra. Anzi: la competizione fa bene in generale, obbliga tutti a definire identità e programmi. Come si struttura l’offerta politica è questione che attiene al funzionamento della democrazia. Per chiunque, a destra o a sinistra, l’abbia a cuore, le cinquantatré persone su cento che non sono andate a votare, le diciotto che hanno votato Grillo, sono un campanello d’allarme. In effetti nel ’94 fu solo a campagna elettorale inoltrata che ci si rese conto che Berlusconi quel caos stava riuscendo a organizzarlo, e quel vuoto a riempirlo. Adesso l’immagine che la sinistra vuole dare di sé non è più quella, infausta, della “gioiosa macchina da guerra”. Oggi ci sono gli eredi della sinistra Dc, i nipoti al posto dei figli di Berlinguer, Vendola al posto di Cossutta: ma lo schema è quello collaudato, l’alleanza di tutti i riformismi, nessun nemico a sinistra e di fronte un nemico da demonizzare. La destra nella confusione, la sinistra sclerotizzata. Il caos da una parte consente all’altra di credere di poter vincere senza mettere in discussione la vecchia geometria. Renzi? Vuol farmi dire che lui sarebbe la geometria non euclidea? O “les demoiselles d’Avignon” al posto delle oleografie delle Sacre Famiglie? Non è cambiare per cambiare, dare uno scossone alle nomenclature. È dire che quello schema, quelle parole, quelle idee non sono quelle che servono a tirar fuori il paese da dove si trova. Si spieghi. Il Pd ripropone la vecchia “unione dei riformismi”, tenere insieme tutti, da Fassina a Letta, da Vendola a Ceccanti. E, se non bastano i numeri, a urne chiuse imbarcare anche Casini. E chi pensano si entusiasmi per questa solita minestra? Entusiasmo è una parola grossa… Senta, io sono vecchio abbastanza da avere incominciato a lavorare quando ancora c’era la spinta del famoso miracolo. Sì, entusiasmo è una parola grossa, diciamo che c’era una prospettiva in cui si aveva fiducia. Il confronto politico era duro, le contrapposizioni fortissime, ma da una parte e dall’altra c’era gente che pensava di andare nella direzione tutto sommato giusta. Invece adesso io non ritengo che da questa alleanza che la sinistra propone verranno le cose di cui ha bisogno il paese, credo che lo pensino in tanti e che quindi non susciterà le volontà che è necessario mobilitare. Soprattutto se a destra c’è il caos. Renzi quindi? Io non so se Renzi sia la risposta, so che non lo è Bersani. Su Renzi ho dei dubbi, su Bersani, sullo schema Bersani ho delle certezze. E vedo serpeggiare la tentazione di sostituire l’antirenzismo all’antiberlusconismo. Da qui ad Albertini il passo è lungo. Ed è bene che lo sia: non si tratta di accorciare, ma di cambiare il passo. Nell’area del centrodestra c’era poco meno del 50 per cento degli italiani. Dove sono finiti? Dove andranno a finire? Nell’astensione? A Grillo? Non è auspicabile, né a destra né a sinistra. Per evitarlo, è determinante l’organizzazione che si darà la destra: a livello nazionale e a livello locale. Si vota prima in Lombardia, ed è una partita molto interessante. Albertini è un europarlamentare del Pdl, è stato sindaco di Milano per il centrodestra lasciando un buon ricordo, è un politico ma non fa parte della gerarchia e dei suoi giochi. La sua candidatura potrebbe servire a organizzare, in modo chiaro e limpido, l’offerta politica a destra. La Lombardia manderebbe un segnale importante alla politica nazionale. Quali sono gli altri motivi di questa sua scelta? Le ripeto, non è una scelta, non sono io a scegliere. Io credo che anche la sini| | 14 novembre 2012 | 17 INTERNI MEGLIO UN AVVERSARIO FORTE stra, che in Lombardia non ha elevate probabilità di vincere, ha interesse a che emergano proposte nette e sfidanti. Io credo che giovi a tutti che il centrodestra trovi un’identità, e che così si accresca il tasso di fiducia che circola nel paese. E tu chiamalo, se vuoi, entusiasmo. Scusi, ma a sentirla lei sembra preoccupato dell’ipotesi che la Lombardia abbia un governatore di sinistra. Sarò molto esplicito. Amministrare la sanità è il compito più rilevante delle Regioni. La Lombardia è quella dove la sanità funziona meglio, come servizio erogato e come costo sopportato. Non è certo la privatizzazione, la concorrenza tra offerte private che vorrei io, ma è un sistema misto in cui il servizio è erogato anche dai privati. Bene, una sinistra che si installa nel nuovo Pirellone cosa farebbe di tutto questo? Quanto realizzato in Lombardia è l’esempio di un tratto di strada fatto nella direzione che tutti dovrebbero imboccare. Chi viene dopo Formigoni è uno che su questa strada vuole tornare indietro o è uno che vuole andare avanti? La mia preoccupazione, per usare la sua espressione, è questa. Albertini è molto probabile che voglia andare avanti. Di sicuro è improbabile che voglia andare indietro. A sinistra non so. Nessuno lo sa, forse neanche loro. E quindi il mio dubbio, ne converrà, è legittimo. Andare avanti che cosa vuol dire? Bisogna mettere i privati in concorrenza tra loro. Arrivare ad avere le assicurazioni in concorrenza tra loro. E gli scandali? Al di là della formula di rito, sono scivoloni gravi, qualcuno potrebbe approfittarne per tornare indietro. Mentre invece questi fatti non inficiano la validità del sistema. Al contrario: gli scandali (Maugeri e Fondazione San Raffaele Monte Tabor) vengono dall’area limacciosa del privato no profit, dovrebbero essere la dimostrazione della necessità di avere concorrenza paritaria fra pubblico e privato, ma col pubblico e il parapubblico (privato no profit) che giochino con le stesse regole del privato. Tanto per cominciare, facendo almeno i bilanci. Albertini dovrebbe offrire garanzie di oculata correttezza. Il quadro del centrodestra che lei descrive sembra quello della sinistra di anni fa, che non poteva candidare un IL COLPO DI MANO DI ZEDDA Quella nomina al Teatro di Cagliari che mette Vendola contro i lavoratori Trasparenza, competenze, partecipazione. Sono queste le parole d’ordine che hanno portato il giovane vendoliano Massimo Zedda alla conquista del Comune di Cagliari. Era il 30 maggio 2011, e oggi, un anno e mezzo dopo, quegli slogan sembrano parole al vento (del rinnovamento). Tra le prime urgenze che il sindaco si è trovato ad affrontare, infatti, c’è il risanamento delle casse della Fondazione Teatro lirico di Cagliari, svuotate da anni di mala gestione e di cui, per legge, il sindaco è presidente. Zedda si è messo subito al lavoro e come prima cosa ha decurtato di circa il 20 per cento gli stipendi dei lavoratori. Poi ha licenziato il vecchio sovrintendente con annessa buonuscita faraonica, promettendo un bando internazionale per individuare il successore. Ma dopo mesi di attesa, il 4 giugno scorso il Cda del Teatro ha ripiegato su una manifestazione d’interesse: solo candidati di «comprovata esperienza nel settore dell’organizzazione musicale e della gestione di enti consimili», si legge sul sito del Comune e del Teatro, astenersi perditempo e somari. Termine per la consegna delle domande: 22 giugno. Ma, superata ampiamente tale data, il Cda ha lasciato morire la procedura e il 1° ottobre ha nominato, su proposta del sindaco, Marcella Crivellenti, che nemmeno aveva aderito alla manifestazione d’interesse. Un comportamento quanto meno singolare visto che il Cda aveva altre due possibilità: revocare la manifestazione d’interesse o congelare la nomina. Il “colpo di mano” non è piaciuto ai lavoratori del Teatro: secondo le rappresentanze sindacali unitarie la Crivellenti non ha i requisiti richiesti dallo Statuto e la nomina va revocata. Con loro si schiera anche il presidente della Regione Ugo Cappellacci che invoca il rispetto delle regole, mentre il ministro dei Beni culturali Lorenzo Ornaghi chiede a Zedda di chiarire perché il curriculum della Crivellenti è stato ritenuto valido. Zedda è riuscito nell’impresa di mettere d’accordo perfino il diavolo e l’acqua santa: sono contrari alla scelta azzardata del sindaco sia Confindustria sia il segretario regionale della Cgil Enzo Costa. E se gli alleati del Pd prendono atto della nomina nonostante «non siamo convinti del profilo prescelto per un ruolo così importante e delicato», il leader di Sel Nichi Vendola, durante una visita in Sardegna, dichiara invece di fidarsi delle decisioni del suo pupillo. Da parte sua, Zedda ha attaccato pesantemente i sindacati e rilanciato: con lui e la Crivellenti, ha promesso, il Teatro di Cagliari diventerà un «contenitore aperto alle altre arti». E magari nella prossima stagione lirica – hanno ironizzato i lavoratori con un cartellone satirico – andrà in scena il Don Giovanotti, il Vasco Rossignol o Fidelio e le storie tese. [dg] uomo del principale partito dello schieramento… E scelse Prodi. Non credo che sia un paragone che aiuti a capire. Io penso che Albertini sia la persona giusta per la destra in Lombardia, e Albertini non è nell’organigramma del partito. Non dico che il centrodestra, o se per questo il centrosinistra, debbano affidarsi a una personalità che non sia espressione di un partito. Noto solo che in Lombardia non vedo un Alfano e che Formigoni non si può ricandidare. Anche a livello nazionale, dove la destra deve trovare leader credibili e programmi convincenti, non mi sem- Quanto realizzato nella sanità lombarda va nella direzione che tutti dovrebbero imboccare. La sinistra cosa ne farebbe? 18 | 14 novembre 2012 | | bra si intravveda un papa straniero. Qualcuno pensava che potesse essere Luca di Montezemolo, ma lui ha detto di no e la cosa è finita lì. Parliamo di Alfano. Il suo problema si chiama Silvio Berlusconi. Un problema non psicologico, non una freudiana uccisione del padre: è il problema di trovare un’autonomia di posizione politica. Il timore di perdere i voti in fuga può essere paralizzante. Le ultime uscite umorali del Cavaliere dovrebbero servire a fare chiarezza: i comportamenti reattivi sono perdenti, un uomo di governo non se li può permettere. Giova rendersi conto che, come dice Stefano Folli, non c’è un asse ereditario nel Pdl: solo la chiarezza può evitare la fuga degli elettori. Ecco, io credo che dalla Lombardia possa venire un segnale che va in questa direzione. n INTERNI L’INGIUSTIZIA DI CUI NON SI PARLA Ridateci i nostri bambini La guerra di Marinella e di tanti altri contro lo Jugendamt, l’ufficio tedesco che toglie i figli ai genitori stranieri di coppie miste. E che ormai è diventato un caso internazionale. «A Strasburgo arrivano centinaia di denunce» 20 | 14 novembre 2012 | | di garantire il Kindeswohl, letteralmente “bene del bambino”, che per i tedeschi non è il bene superiore dei figli – come previsto da tutte le convenzioni internazionali – ma è il bene del bambino secondo la comunità tedesca. In poche parole: lo Jugendamt tende ad anteporre l’essere tedesco dei bambini al loro vero bene, facendo in modo che nessun minore lasci la Germania, che l’affido esclusivo non Marinella Colombo (sotto) ha venga mai dato al genitore straniero, e due figli. Dopo il divorzio con il interrompendo o rendendo difficile i suoi marito tedesco, lo Jugendamt contatti col figlio. Come? Ad ogni costo, ha fatto di tutto per portarle con qualsiasi mezzo, spesso anche con via i figli. E ci è riuscito misure penali. E gli esiti possono essere devastanti. «L’essere tedesco dei bambini viene prima Quante vite rovinate Così è successo a Marinella Colombo, e non è il solo caso italiano. Ha da poco terminato di scrivere un libro per raccontare la sua storia dove niente è come ci si aspetterebbe che fosse. Nel 2006, quando si separa dal marito tedesco, Marinella ottiene l’affidamento dei suoi due figli, Leonardo e Nicolò. Da subito però lo Jugendamt si insinua nella cau- del loro bene. Il minore non deve lasciare la Germania, e non va affidato al genitore straniero. Come? A qualsiasi costo» Foto: AP/LaPresse U n silenzioso dramma si cela nella civilissima Europa. Nessun campo di sterminio o uccisioni di massa, ma quello che da molto tempo denunciano alcuni europarlamentari è altrettanto pazzesco e doloroso. Soprattutto perché si parla di violazione dei diritti dei minori, calpestati senza nessuno scrupolo in nome del bene di uno Stato. Sono tutte le vicende legate allo Jugendamt, ai più sconosciute, ma solo perché la maggior parte delle volte rimangono chiuse nella disperazione di qualche casa. E invece sono più diffuse di quanto si possa immaginare. Lo Jugendamt è un ente statale tedesco, qualcosa di più che un ufficio di assistenza giovanile, come invece si pensa. L’organizzazione, che svolge anche un’encomiabile opera a difesa dei giovani sottoposti a violenza, ha la funzione di sostegno attivo ai tribunali e di difesa degli interessi della Germania. Il codice sociale tedesco prevede per legge che lo Jugendamt intervenga sempre quando ci sono della cause di divorzio tra genitori che hanno figli minori, soprattutto quando a separarsi sono coppie binazionali. In tribunale, al momento della separazione, sono presenti la mamma, il papà e come parte in causa lo Jugendamt (il terzo genitore). Il suo compito è quello Il mandato d’arresto europeo utilizzato dalla Germania nel caso della Colombo è stato creato dopo gli attentati dell’11 settembre per combattere il terrorismo internazionale. Qui lo usano contro genitori Foto: AP/LaPresse enormi difficoltà. L’Unione Europea, la commissione Libertà e giustizia e anche la commissione per le Petizioni, sono sollecitate molto frequentemente, a dimostrazione che esistono tantissime situazioni di questo tipo in tutto il continente. In Europa ci sono 27 legislazioni nazionali diverse e solo con una stretta collaborazione si potrà riuscire a far capire allo Jugendamt che la sua posizione non rientra nel rispetto dei diritti dell’infanzia e del diritto alla vita familiare». sa di separazione. Nel 2008, per non perdere il proprio lavoro, Marinella è costretta a tornare in Italia. Pur essendoci un accordo tra lei e il marito, una mattina, a sua insaputa, i figli vengono prelevati da scuola dalle forze dell’ordine e riportati a Monaco di Baviera. Marinella scoprirà anche che sulla sua testa pende un mandato di cattura internazionale per sottrazione di minori, emesso già mesi prima, mentre i bambini, però, erano in vacanza con il marito. Oggi i bambini sono in Germania, il giudice tedesco scrive che manca loro moltissimo la mamma, ma respinge ugualmente ogni richiesta avanzata da Marinella per non essere cancellata dalla vita dei suoi figli. Ma le irregolarità non si fermano qui: la sua drammatica vicenda che dura ormai da oltre 6 anni e che l’ha fatta finire in carcere e poi agli arresti domiciliari per ben tre volte, porta alla luce le pratiche anomale e discriminanti dello Jugendamt nei confronti dei coniugi stranieri di coppie miste, testimoniate dalle cause pendenti presso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Come a Marinella, è accaduto ad altre centinaia e centinaia di coppie in cui uno dei genitore non è tedesco. Polacchi, francesi, olandesi, spagnoli, americani, inglesi, brasiliani. I casi sono davvero tantissimi. Il polacco Marcin Libicki, ex presidente del comitato per le petizioni del Parlamento europeo, da tempo denuncia lo Jugendamt come organizzazione unica in Europa finalizzata a difendere gli interessi della Germania contro quelli dei cittadini di ogni altro paese. E non è il solo a farlo. Anche l’eurodeputato Nathalie Griesbeck (Alde) della commissione Libertà e giustizia sta cercando di portare alla luce questi casi: «Si tratta di situazioni estremamente gravi e dolorose. Ci sono tantissime coppie binazionali che incontrano Le violazioni del Regolamento Ci sono addirittura casi in cui il meccanismo dello Jugendamt entra in moto anche quando una famiglia decide di andare a vivere fuori dalla Germania. È successo a una coppia il cui padre è francese. Lo Jugendamt ha prelevato i figli da scuola e li ha affidati a un’altra famiglia. È uno speciale del telegiornale di France3 a portarlo alla luce. «Sono migliaia le famiglie vittime della politica nazionalista dello Jugendamt secondo cui un bambino nato in Germania deve crescere lì», dice la conduttrice. «L’organizzazione è in grado di influenzare il giudice tedesco determinandone la decisione». Nel caso riportato da France3, agenti dello Jugendamt hanno detto alle bambine che i genitori erano pazzi, e per ordinare alla polizia di prelevarle da scuola hanno utilizzato un referto psichiatrico il quale sosteneva che i genitori non erano in grado di fare crescere i figli. Per fortuna la famiglia è riuscita a scappare all’estero dove i medici li hanno dichiarati sani e in grado di far crescere i loro figli. L’articolo 11 del regolamento Bru| | 14 novembre 2012 | 21 INTERNI L’INGIUSTIZIA DI CUI NON SI PARLA La vicenda di Lionel Gilberti Un altro caso è quello di Lionel Gilberti, francese, padre di famiglia, divorziato dalla moglie tedesca che vive in Germania. A 42 anni questo padre, di professione cuoco, viene arrestato e incarcerato. Il motivo è semplice: Gilberti, che non vede i figli e non ha loro notizie da qualche anno, da 18 mesi ha smesso di pagare gli alimenti per richiamare l’attenzione mediatica sul suo caso. La Germania ha emesso un mandato d’arresto europeo (Mae) chiedendone l’estradizione. Questa situazione può sembrare surreale, in ogni caso sproporzionata: il mandato d’arresto europeo utilizzato dalla Germania in questo caso, come in quello della Colombo, è stato creato in seguito agli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 per combattere il crimine organizzato internazionale. Qui invece se ne servono contro un padre di famiglia, come è possibile? «È esagerato emettere un ordine di arresto europeo per una causa familiare che si sarebbe potuta risolvere sul piano civile, cercando semplicemente di incassare gli importi dovuti», afferma Héléne Nicolas, avvocato francese specializzato in diritto di famiglia. L’eurodeputata Cristiana Muscardini (ex Ppe, oggi nel gruppo Conservatori social riformatori) e la collega Nathalie Griesbeck, il 30 giugno 2011 hanno interpellato la Commissione europea: «È normale, ammissibile, legittimo, l’uso del mandato d’arresto europeo contro genitori colpevoli soltanto di amare i propri figli sopra ogni altra cosa?». La risposta data da 22 | 14 novembre 2012 | | IL LIBRO CHE HA ACCESO I RIFLETTORI «Mi hanno portato via Leonardo e Nicolò e l’Italia non fa nulla» Una madre colpevole di amare i propri figli sopra ogni altra cosa. Nella storia di Marinella Colombo niente è come ci si aspetterebbe. Una vicenda drammatica di una madre a cui hanno strappato i figli, Leonardo e Nicolò, e della sua lotta contro la giustizia tedesca e italiana per poterli riabbracciare. Oggi, a battaglia ancora in corso, tutto questo è diventato un libro con un titolo che non lascia spazio a fraintendimenti: Non vi lascerò soli. In lotta con la giustizia che mi ha tolto i figli. Marinella ha scritto il libro chiusa in casa, agli arresti domiciliari. A lei era anche vietata ogni tipo di comunicazione con l’esterno, ma questo non ha impedito di realizzare questo libro denuncia che riguarda il suo caso ma anche quello di centinaia di persone che come lei hanno divorziato da un tedesco e da quel momento hanno avuto a che fare con lo Jugendamt, l’istituzione che in Germania ufficialmente tutela i minori. E che più comunemente è chiamato il terzo genitore, quello che spesso ha più poteri di quelli naturali. Marinella era stata arrestata su disposizione del procuratore aggiunto Pietro Forno e del pm Luca Gaglio, perché – secondo l’accusa – si preparava a fuggire in Libano con i figli. Il tribunale dei Minori di Milano ha deciso di rimpatriare i bambini «in base a una documentazione falsificata, si è basato su una traduzione falsa», ha più volte detto la Colombo. Marinella non vede i figli da quasi due anni, ma le irregolarità non si fermano qui: la sua vicenda porta alla luce le pratiche anomale e discriminanti dello Jugendamt nei confronti dei coniugi stranieri di coppie miste. Il giudice tedesco scrive che ai bambini manca moltissimo la mamma, ma respinge NON VI ogni richiesta avanzata da Marinella per LASCERò SOLI non essere cancellata dalla loro vita. Ma lei M. Colombo Rizzoli non si è arresa e continua a lottare contro 18 euro tutto e contro tutti. [dg] Viviane Reding a nome della Commissione è chiara: «Gli Stati membri hanno convenuto, a livello di Consiglio, che l’autorità giudiziaria emittente il Mae debba eseguire un controllo della proporzionalità, valutando la gravità del reato commesso, la durata della condanna e i costi e i benefici che l’esecuzione di un mandato d’arresto comporta». Spetta quindi alla Germania valutare le circostanze particolari di ogni singolo caso. Certo che se è lo Jugendamt a richiedere il Mae, difficilmente la Germania si opporrà. Héléne Nicolas afferma anche che «spesso lo Jugendamt arriva rapidamente al sospetto, non sempre legittimo, di un rapimento che intenderebbe attuare il genitore non tedesco. In questo modo si può limitare il diritto di visita del genitore straniero. Se poi i sospetti sono forti lo Jugendamt apre dei procedimenti penali che impediscono di vedere il figlio e arri- vano fino all’emissione del Mae». Così è stato per Gilberti e Colombo. «Francia e Germania hanno una visione diversa delle cose. In Francia si ritiene, conformemente alla Convenzione internazionale dei diritti del bambino, che l’interesse del minore sia di conservare il legame con entrambi i genitori. In Germania, invece, si ritiene più importante per il bambino rimanere nel luogo in cui ha socializzato, anche se ha solo pochi anni, in alcuni casi pochi mesi, e anche se questo significa perdere un genitore». Chi decide sull’educazione L’onorevole Cristiana Muscardini nel suo ruolo di europarlamentare è molto attiva per cercare di fermare questo meccanismo perverso e contrario a una serie di princìpi giuridici sanciti dall’Unione Europea. Il suo nome compare in tante interrogazioni scritte alla Commissio- Foto: AP/LaPresse xelles II bis prevede che il bambino possa essere ascoltato durante il procedimento di rimpatrio o di affidamento ad altre famiglie se ciò non appaia inopportuno in ragione della sua età o del suo grado di maturità. Questo non accade pressoché mai, facendo supporre che il diritto tedesco non sia in accordo con quello europeo. Invece lo è, ma nessuno ferma lo Jugendamt. «Già varie volte le istanze giuridiche europee hanno sottolineato queste violazioni: da una parte la Corte di giustizia dell’Unione Europea con una sentenza del luglio 2010 e dall’altra anche la Corte europea dei diritti dell’uomo», dice ancora Nathalie Griesbeck. «Lo Jugendamt non rispetta i regolamenti e le convenzioni europee. L’Europa non può intervenire con la forza, ma in ottemperanza di queste sentenze lo Jugendamt dovrà uscire dalla sua concezione restrittiva e che oltraggia, come riconosciuto dalla giurisprudenza, il diritto di vivere in famiglia e il benessere dei bambini». i loro comodi al di là di quelle che sono le normative», continua l’onorevole Muscardini. «Lo Jugendamt ha più poteri delle stesse famiglie, ha il diritto di intervenire sull’educazione dei bambini anche a prescindere dall’accordo tra i genitori. Sollecita il genitore tedesco a intervenire legalmente contro quello straniero. Non arriveremo mai a fondare gli Stati Uniti d’Europa a meno che non si acconsenta ad avere una Germania superiore agli altri popoli. Ma è una cosa che è già successa a metà Novecento e abbiamo visto come è andata a finire». A questo si aggiunge il fatto che i giudici italiani non mettono mai in dubbio le sentenze o ordinanze tedesche, anzi, pare che si prodighino, come nel caso di Marinella Colombo, a collaborare di buon grado per adempiere alle loro disposizioni. «Questo avviene anche perché le sentenze arrivano in tedesco e non vengono tradotte in modo conforme, ma si applicano senza troppi scrupoli. È successo per la Colombo, ma non è l’unico caso in Italia. Il Tribunale dei Minori va urgentemente riformato, lo afferma anche il garante dei minori, non possiamo perdere altro tempo». Foto: AP/LaPresse Le parlamentari europee Nathalie Griesbeck (a lato) e Cristiana Muscardini (a destra) hanno denunciato lo Jugendamt e il suo meccanismo perverso e contrario ad alcuni princìpi garantiti dall’Ue ne europea e in petizioni popolari; ha firmato una lettera aperta al presidente della Commissione Manuel Barroso, al commissario europeo per la Giustizia Viviane Reding; ha scritto al presidente Giorgio Napolitano, a politici italiani, da Gianni Letta a Franco Frattini, all’ex ministro della Giustizia Angelino Alfano e all’attuale Paola Saverino. Lo ha fatto sempre per denunciare come i «genitori stranieri perseguiti rimangono spiazzati perché non possono beneficiare dei principi giuridici europei del Regolamento di Bruxelles II bis, mentre ne subiscono tutte le conseguenze negative, comprese quelle penali. Bisogna eliminare questo squilibrio giuridico e morale, che coinvolge anche gli aspetti politici di questa situazione malsana. Se l’Unione Europea pretende di essere la patria dei diritti umani non può continuare ad accettare una situazione simile nel settore della tutela Conta più la tutela dell’ambiente Come sia possibile che un paese come la Germania che oggi in Europa ha un ruolo chiave nel destino di tanti paesi, sia anche uno tra i primi a disattendere i regolamenti dell’Aja è davvero difficile da credere. «Molte cose in Germania funzionano a meraviglia. Penso alle procedure per aprire nuove attività, al sistema fiscale. Tutte cose che bisognerebbe esportare. Poi però ci sono sistemi come lo Jugendei minori e della genitorialità. Bisogna damt che praticano delle ingiustizie paleintervenire prima che si arrivi a una deri- si contro i minori e i genitori stranieri e va nazionalistica insopportabile e incon- nessuno Stato ha il coraggio di affrontacepibile nell’Europa unita», dice a Tempi. re il problema e di andare contro la GerIl regolamento in questione è obbli- mania». E se nemmeno il governo del tuo gatorio in tutti i suoi elementi e diret- paese è in grado di proteggerti allora si tamente applicabile negli Stati membri capisce come questi genitori siano davvedal 1° marzo 2005. La Commissione sa ro abbandonati a loro stessi. «La cosa più che lo Jugendamt non applica il regola- grave è che ci sono regolamenti e normamento ma il diritto di famiglia tedesco. tive sulla tutela dei minori, ma se non Tuttavia, l’Unione Europea non dispone vengono rispettati non sono previste sandi competenze di controllo in tal senso. zioni. Pensi l’assurdità. Se uno Stato non Ribadisce, però, che va prestata la massi- rispetta le leggi sullo smaltimento dei ma attenzione all’interesse del fanciullo rifiuti, l’inquinamento, se non rispetta le in tutte le azioni relative ai minori. «Pur- regole delle imprese, le normative di sicutroppo, però, ci sono dei paesi che fanno rezza nei luoghi di lavoro, allora fioccano multe altissime. Cosa vuol dire questo? Che evidente«Se uno Stato non rispetta le leggi sullo mente la tutela dei minori smaltimento dei rifiuti fioccano multe molto è meno importante di quesalate. Se non rispetta certi regolamenti ste altre materie». sulla tutela dei minori non accade nulla» | Daniele Guarneri | 14 novembre 2012 | 23 IL NOSTRO UOMO A PALAZZO FARINA OSSERVATORE EUROPEO ALLE ELEZIONI UCRAINE A Kiev comanda un semidittatore grazie alla legge elettorale del Pd di Renato Farina H o partecipato come osservatore del Consiglio d’Europa alle elezioni legislative in Ucraina. Prima a Kiev e poi a Odessa. Boris Godunov, memore del battesimo della Rus’ celebrato a Kiev circa 1000 e 30 anni fa, si è immerso nelle acBORIS GODUNOV que materne. Qui alcuni appunti. (La politica in senso stretto, in fondo). A Kiev i comizi finali sono a base di spettacoli con i cantanti. I militanti dei partiti arrivano inquadrati e imbandierati. È in lizza Shevchenko, per il partito (ma va?) Forza Ucraina! Non sarà eletto. Odessa. I primi seggi che siamo andati a controllare stavano in due carceri. Ci avevano avvertiti: faranno storie. Alle sei del mattino eravamo lì a esibire documenti e sorrisi. Dopo molte telefonate e decine di porte e corridoi e rumore di chiavi e sibili di metal detector, entriamo in una biblioteca polverosa. Alle otto del mattino, in tuta, ecco i prigionieri, quasi tutti giovani. In Ucraina tutti i detenuti votano, anche i condannati. In questo carcere fu ristretto Trot- Nel carcere femminile di Odessa il skij. Il direttore ci dice che il cuore della prigione è la fabbrica di 90 per cento delle schede valide va macchine agricole, il lavoro è di 40 ore settimanali. Il salario dipenal partito di Yanukovich. Deve aver de dalla produttività. Se si sta sotto alla “norma”, non becchi niente. Si arriva però in media a circa 600-800 grivna al mese, tra i 55 e i promesso un’amnistia, o almeno è 75 euro. (Il salario delle guardie è di 3.000 grivna). Metà paga è trat- stata sparsa questa voce crudele tenuta dallo Stato, il resto va su un conto bancario. Secondo seggio. Carcere femminile. Sono ragazze, c’è una crosta di desolazione sul volto che non va via, nessuna ride, solo silenzio. Sono 787, e di esse voteranno 783. Nel teatro, che ha l’odore dei disinfettanti, stanno sedute in divisa blu, un foulard bianco a raccogliere i capelli. I fiori sono finti. Tutto è tetro, poi improvvisamente, dietro l’angolo, un piccolo giardino, e fioriscono ancora le rose coltivate dalle detenute. Torniamo a sera per lo scrutinio. Su 783 schede il 15 per cento bianche. Di quelle valide il 90 per cento va al partito del semidittatore Viktor Yanukovich, l’uomo che ha spedito in carcere Yulia Tymoshenko, con accuse a cui non crede nessuno. Dal risultato del carcere femminile capiamo chi vincerà le elezioni: lui. Nelle carceri si ha fiuto. Deve aver promesso un’amnistia, Yanukovich, o almeno è stata sparsa questa voce crudele. Odessa è la città sul Mar Nero dove ci fu la rivolta dei marinai della “Corrazzata Potëmkin” (e c’è la scalinata famosissima ormai irrimediabilmente fantozziana). Odessa fu cosmopolita, genovese, ebrea, greca. I nazisti rumeni la invasero nel 1941 Viktor Yanukovich ha ottenuto la maggioranza dei seggi con poco e assassinarono decine di migliaia di ebrei. E sotto la cipria dei bei negozi italiani e lo più del 30 per cento dei voti zucchero della splendida architettura liberty si sente che la terra è ferita e rimbomba ancora il grido delle madri. Nella chiesa cattolica di San Pietro due preti polacchi celebrano Messa in inglese-francese-latino con canti bantu per la comunità di africani, indiani, filippini. Le lingue sono diverse ma si capisce che la solitudine è rotta, c’è una febbre di vita nuova. Le studentesse arrivano dal Congo Brazzaville. Ultimo appunto. Con l’opposizione in galera, Yanukovich è riuscito ad avere la maggioranza dei seggi pur avendo poco più del 30 per cento. Come ha fatto? La legge elettorale prevede una parte proporzionale con liste bloccate, e il maggioritario uninominale per collegi. Tale e quale la proposta del Pd. La stabilità è garantita, coTwitter: @RenatoFarina me no?, un po’ meno la democrazia. | | 14 novembre 2012 | 25 ESTERI FOLLIA COMUNISTA Il grande balzo all’inferno Cinquant’anni fa l’epilogo dell’allucinante piano di Mao per l’impossibile boom cinese. Un disastro da decine di milioni di morti che la sinistra europea non volle vedere. Cronaca della più grande strage mai causata da un governo contro la propria gente 26 | 14 novembre 2012 | | ni erano stati impegnati nella produzione di acciaio, e la mensa comune aveva esaurito quasi tutto il rimanente. Un giorno un contadino aveva fatto irruzione nella stanza del funzionario e si era gettato sul pavimento, gridando che aveva commesso un crimine orribile e voleva essere punito. Alla fine era venuto fuori che aveva ucciso il figlio piccolo e lo aveva mangiato. Con le guance rigate di lacrime, il funzionario aveva fatto arrestare il contadino, che poi era stato fucilato per dare un monito agli assassini di bambini». Il funzionario era più turbato che scandalizzato perché perfettamente al corrente della situazione disperata di milioni di contadini. «Una stima generalmente accettata della mortalità nell’intero paese si aggira intorno ai trenta milioni», scriveva Jung Chang. Fame, malattie e repressione Nel 2010 è stato pubblicato il più autorevole e documentato studio scientifico sulla vicenda, opera dello storico olandese Frank Dikötter, Mao’s Great Famine, che attribuisce al presidente Mao la responsabilità per la morte di ben 45 milioni di persone, per lo più falcidiate dalla fame e dalla malattia, ma non solo: dai due ai tre milioni di cinesi sarebbero stati picchiati o torturati a morte, o sommariamente sottoposti alla pena capitale, per non aver Nei tre anni del “Grande balzo in avanti” non si moriva solo di stenti: dai due ai tre milioni di cinesi sarebbero stati torturati a morte o giustiziati per non aver raggiunto gli obiettivi di produzione raggiunto gli obiettivi di produzione fissati, per aver dichiarato pubblicamente che erano irraggiungibili, o per aver osato criticare la politica del governo. Quest’anno è apparsa la traduzione in inglese della prima ricerca opera di un autore cinese: Tombstone. The Great Chinese Famine 19581962 di Yang Jisheng, giornalista in pensio- Foto: Gettyimages; AP/LaPresse C i si può dimenticare di commemorare lo sterminio di 30-40 milioni di persone, prodotto della stupidità fanatica e dell’ideologia criminale di un regime? Sì, si può. È caduto quest’anno il cinquantesimo anniversario del più grande disastro economico e della più grande perdita di vite umane mai causata da un governo ai suoi stessi cittadini, ma la grande stampa italiana non se ne è accorta. Cinquant’anni fa veniva messa fine al “Grande balzo in avanti”, la campagna di modernizzazione comunista dell’economia della Cina imposta da Mao Zedong e attuata in un misto di entusiasmo e di paura da centinaia di milioni di cinesi. Per trent’anni il bilancio di morte di quell’esperienza è rimasto gelosamente custodito negli archivi del Partito comunista. Nel 1991, nelle pagine di Cigni selvatici, il capolavoro autobiografico di Jung Chang, scrittrice cinese emigrata in Europa, si potevano finalmente leggere brani del seguente tenore: «Incontrai un vecchio collega di mio padre, un uomo cortese e capace, poco propenso alle esagerazioni: mi raccontò con grande emozione ciò che aveva visto durante la carestia, in una comune. Era morto il trentacinque per cento dei contadini, e tutto ciò in una zona in cui la messe era stata buona, anche se si era raccolto ben poco: gli uomi- Qui sotto, Mao Zedong durante un’ispezione tra i campi della provincia di Henan, 1962 LA CONTA Foto: Gettyimages; AP/LaPresse La contabilità dei morti provocati dal “Grande balzo in avanti” imposto alla Cina da Mao Zedong è rimasta semisconosciuta per decenni. Nel 1991 ne parlò apertamente Jung Chang nel suo capolavoro autobiografico Cigni selvatici. Più recentemente hanno provato a tracciare un bilancio della tragedia lo storico olandese Frank Dikötter in Mao’s Great Famine (che ipotizza 45 milioni di morti) e il giornalista Yang Jisheng in Tombstone. The Great Chinese Famine 19581962 (36 milioni). ne dell’agenzia di stampa Xinhua, nonché figlio di uno dei milioni di contadini che persero la vita per sfinimento. Per un trentennio Yang, che aveva assistito di persona alla morte per inedia del padre nel 1959, ha creduto alla versione ufficiale dei fatti secondo cui siccità, alluvioni e altri disastri naturali erano stati la causa di tante perdite umane ed economiche. Dopo i fatti di piazza Tiananmen (1989) la sua fiducia cieca nelle autorità è entrata in crisi e si è lanciato con tutte le forze nella ricerca della verità sugli anni della grande care- Hong Kong nel 2008 ma è ancora oggi vietato nel resto della Cina. Come è potuta accadere una cosa del genere e rimanere segreta per tanto tempo? Come ha potuto il mito del maoismo restare di moda in Europa per altri vent’anni dopo quella catastrofe? Mao era un genio del male. La sua «Quando non c’è abbastanza da mangiare, la conoscenza delle debolezze dell’animo umano (lo spirigente muore di fame. Allora è meglio lasciar to gregario, la propensione morire metà della gente così che l’altra metà a sottomettersi a un capo, la cedevolezza ai ricatti, possa nutrirsi a sufficienza» (Mao Zedong) stia. Grazie alle sue conoscenze è riuscito ad accedere a documenti riservati e a stendere un testo di 1.200 pagine (l’edizione inglese è una “sintesi” di 629) che conferma tutte le peggiori ipotesi sull’accaduto. La sua stima finale sul numero delle vittime è di 36 milioni. Il libro è apparso a | | 14 novembre 2012 | 27 ESTERI FOLLIA COMUNISTA Come si organizza una tragedia Tutto comincia alla fine del 1957, quando Mao torna dal vertice mondiale dei partiti comunisti a Mosca (il primo dopo la denuncia dello stalinismo) e lancia la sua sfida all’Unione Sovietica di Kruscev per la leadership del comunismo nel mondo. Il leader russo aveva affermato che nel giro di quindici anni l’Urss avrebbe superato gli Stati Uniti sia nella produzione industriale che in quella agricola, Mao proclama che l’industria pesante e l’agricoltura della Cina avrebbero superato quelle della Gran Bretagna nello stesso arco di tempo. A questo scopo ordina di raddoppiare in un anno la produzione cinese di acciaio, di rivoluzionare le tecniche delle colture e dell’allevamento (sulla base delle teorie dello pseudo-scienziato sovietico Trofim Lysenko) e di riorganizzare il mondo rurale in comuni popolari dove la proprietà privata sarebbe stata integralmente abolita: tutta la produzione andava consegnata a un’autorità centrale e persino le cucine familia- Piante coltivate così densamente da soffocarsi ri andavano smantellate e a vicenda, semi interrati all’assurda profondità sostituite con mense popodi due metri, villaggi abbattuti per far posto a lari che avrebbero provveimmense porcilaie che non funzioneranno mai duto ai pasti dei contadini. In ogni cortile vengono costruite fornaci, alimentate da ogni bili delle comuni dichiarano alle autorità tipo di legname, comprese porte e fine- di avere centrato e superato gli obiettivi di stre delle case, e da ogni tipo di metallo produzione: «In molte località, quelli che destinato alla produzione di acciaio, com- si rifiutavano di vantare grandi incremenprese padelle e utensili da cucina in fer- ti di produzione venivano percossi finché ro e in ghisa. Cento milioni di contadini non cedevano. A Yibin, alcuni responsabisono obbligati a dedicarsi alla costruzione li di una unità di produzione furono legati e all’alimentazione delle fornaci, trascu- e appesi con le mani dietro la schiena nelrando il lavoro dei campi. Le piante vengo- la piazza del paese, mentre i militanti li no coltivate così densamente da soffocarsi bersagliavano di domande: “Quanto grano l’una con l’altra e i semi interrati all’assur- siete in grado di produrre per ogni mu?”. da profondità di due metri; villaggi sono “Quattrocento jin”. Poi dopo aver picchiaabbattuti per fare posto a immense porci- to il malcapitato ripetevano: “Quanto gralaie che non entrano nemmeno in funzio- no siete in grado di produrre per ogni ne. In mancanza di personale specializzato mu?”. “Ottocento jin”. Ma neanche quella dalle fornaci esce un materiale inutilizza- cifra impossibile era sufficiente. Il poveretbile, mentre la produzione agricola crolla to veniva picchiato ancora, o semplicemene milioni di persone si ritrovano senza un te lasciato appeso, finché alla fine rispontetto. Per paura di rappresaglie, i responsa- deva: “Diecimila jin”. A volte l’uomo veni28 | 14 novembre 2012 | | va lasciato morire perché si rifiutava di aumentare la cifra, o semplicemente prima che riuscisse ad aumentarla abbastanza» (Cigni selvatici, pagina 284). In breve la fantasia prende il posto della realtà, e i pochissimi che obiettano vengono eliminati: «Di tanto in tanto davanti al nostro complesso si fermava un camion carico di contadini con sorrisi da un orecchio all’altro, venuti a riferirci di qualche fantastico record. Un giorno era un cetriolo prodigio, lungo quanto mezzo camion, un’altra volta era un pomodoro che due bambini riuscivano a trasportare a fatica. In un’altra occasione si trattava di un maiale gigantesco che a stento si era riusciti a caricare su un camion (…). L’intera nazione finì per parlare in un modo e comportarsi in un altro: le parole divorziarono dalla realtà, dalla responsabilità e dai reali pensieri della gente» (Cigni selvatici, pagina 285). Il grande successo totalitario del maoismo sta nell’aver convinto un popolo intero a dubitare dell’evidenza: «Coloro che non riuscivano a eguagliare i risultati Foto: AP/LaPresse il bisogno di approvazione) gli hanno permesso di realizzare il capolavoro del totalitarismo, quello che Hannah Arendt descrive nel suo Le origini del totalitarismo: «L’efficacia della propaganda totalitaria mette in luce una delle principali caratteristiche delle masse moderne. Esse non credono nella realtà del mondo visibile, della propria esperienza, non si fidano dei loro occhi e orecchi, ma soltanto della loro immaginazione, che può essere colpita da ciò che è apparentemente universale e in sé coerente». Durante la carestia provocata da Mao la fantasia prese il posto della realtà. «Di tanto in tanto davanti al nostro complesso si fermava un camion carico di contadini con sorrisi da un orecchio all’altro, venuti a riferirci di qualche fantastico record», racconta Jung Chang in Cigni selvatici. «Un giorno era un cetriolo prodigio, lungo quanto mezzo camion (…). In un’altra occasione si trattava di un maiale gigantesco che a stento si era riusciti a caricare su un camion» Foto: AP/LaPresse fantastici vantati dagli altri cominciarono a dubitare di se stessi e a sentirsi in colpa. Sotto una dittatura come quella di Mao, in cui le informazioni erano tenute nascoste e manipolate o fabbricate di sana pianta, era molto difficile per la gente comune avere fiducia nella propria esperienza e competenza (…). Era facile cominciare a ignorare la realtà e riporre semplicemente la propria fede in Mao» (pagina 283). essere «opportunisti di destra», lo esonera dal suo incarico e lo pone agli arresti domiciliari, scatena in tutto il paese la campagna contro gli «opportunisti di destra»: a ogni provincia vengono assegnate «quote di arresti» da compiere come se si trattasse di quote di produzione. Seguono tre anni di fame e mortalità crescente in tutto il paese, ma Mao non si commuove: «Quando non c’è abbastanza da mangiare, la gente muore di fame. Allora è meglio lasciar morire metà della gente così che l’altra metà possa nutrirsi a sufficienza», dichiara senza vergogna. Nel 1962 finalmente viene messo in minoranza: alla Conferenza dei settemila quadri afferma che la carestia ha cause naturali per il 70 per cento e umane per il 30 per cento, ma il presidente Liu Shaoqi ribatte Maledetti «opportunisti di destra» Le mense collettive consumano le riserve fino a quando non rimane più nulla, il governo continua ad esportare all’estero i presunti surplus, e la carestia s’installa. All’ottavo plenum del Comitato centrale del partito comunista a Lushan, nel giugno 1959, il ministro della Difesa Peng Duhai critica i risultati negativi del Grande Dichiararono che non c’era carestia in Cina balzo in avanti e chiede un dopo missioni sul posto il sinologo britannico approccio più pragmatico Joseph Needham, il futuro presidente francese all’economia: Mao accusa François Mitterrand e il generale Montgomery lui e i suoi sostenitori di che è il contrario, cioè che le cause sono umane al 70 per cento. Lui e Deng Xiaoping (allora segretario generale del partito) riescono a imporre una svolta pragmatica che, con l’abolizione delle comuni e delle mense collettive e il ripristino dei piccoli lotti privati, permette di tornare ad accrescere la produzione alimentare. Mao si vendicherà quattro anni dopo, scatenando la Rivoluzione culturale che emarginerà Deng e causerà la morte di Liu. E Dario Fo vide «l’uomo nuovo» Fra i successi storici della propaganda maoista c’è quello di non aver permesso per lungo tempo che filtrassero in Occidente gli orrori prima del Grande balzo in avanti (1958-62) e poi della Rivoluzione culturale (1966-76). La chiave del successo, in entrambi i casi, consistette nell’invitare in Cina per visite sotto stretto controllo grandi personalità scientifiche e politiche della sinistra occidentale che, con rare eccezioni, tornarono tutte a casa entusiaste di quello che avevano visto. Dichiararono che non c’era alcuna carestia in Cina dopo missioni sul posto il famoso sinologo britannico Joseph Needham, il giornalista americano Felix Greene, il futuro presidente francese François Mitterrand e il generale Montgomery. In Italia espressero giudizi positivi sulla Rivoluzione culturale dopo aver visitato la Cina personaggi come Alberto Moravia, Dacia Maraini, Dario Fo, Mario Capanna, eccetera. Moravia scrisse che la Rivoluzione culturale gli infondeva «sollievo» perché rappresentava un’«utopia realizzata»; Dario Fo scrisse: «Qui da noi l’uomo è una cosa, una merce (…). Da noi c’è una divisione netta fra concetti come bene, moralità e rapporti di produzione. In Cina invece il mangiare, il bere, il vestirsi, i princìpi morali sono un tutt’uno. C’è una concezione profonda della vita che determina tutto quanto. C’è l’uomo nuovo perché c’è una filosofia nuova». Rodolfo Casadei | | 14 novembre 2012 | 29 ROSSOPORPORA Quello che il mondo non afferra La secolarizzazione che avanza e divide i fedeli. Le ambiguità delle sette che seducono i cattolici latinoamericani. La malizia dei media che fingono di non capire. Dopo il Sinodo, i cardinali spiegano qual è la nuova impresa missionaria della Chiesa di Giuseppe Rusconi S 24 novembre sarà un giorno di gran festa per la Chiesa universale. Festa di colori, festa di suoni, festa della diversità culturale nell’unità della fede. Quel giorno Benedetto XVI creerà sei nuovi cardinali, provenienti quasi tutti da Chiese particolari di frontiera, impegnate concretamente a testimoniare sul terreno la loro fede. Perciò nel concistoro pubblico assumerà un significato ancora più intenso del solito quel passo, «usque ad sanguinis effusionem… pro libertate et diffusione Sanctae Romanae Ecclesiae», che sarà pronunciato dal Santo Padre prima dell’imposizione della berretta cardinalizia. Chi sono i sei nuovi porporati? Lo statunitense James Michael Harvey (1949, fin qui prefetto della Casa pontificia, nominato arciprete di San Paolo fuori le Mura), il libanese Béchara Raï (1940, patriarca della Chiesa maronita, grande difensore della presenza cristiana nell’area mediorientale), l’indiano Baselios Cleemis Thottunkal (1959, nativo del Kerala, capo della Chiesa siro-malankarese), il nigeriano John Olorunfemi Onaiyekan (1944, arcivescovo di Abuja), il colombiano Rubén Salazar Gómez (1942, arcivescovo di Bogotá), il filippino Luis Antonio Tagle (1957, 30 abato | 14 novembre 2012 | | arcivescovo di Manila). Con la creazione dei sei nuovi cardinali il Collegio cardinalizio dal prossimo 24 novembre avrà di nuovo 120 elettori, non uno di più. Se con tale atto il Papa ha voluto evidenziare principalmente che la Chiesa universale è qualcosa di diverso e più entusiasmante rispetto alle note e travagliate vicende curiali di questi mesi, forse ha anche voluto segnalare che il conseguimento della dignità cardinalizia non dev’essere più legato strettamente a consuetudini che a volte sanno di carrierismo. EVANGELIZZAZIONE. Dal 7 al 28 otto- bre si è svolto il XIII Sinodo dei vescovi sul tema della “nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana”. I 262 padri sinodali hanno portato la loro testimonianza e i loro suggerimenti attraverso interventi in aula (252 da parte di 237 padri), scritti (13), interventi liberi (un centinaio), interventi nei “circoli minori” linguistici. Papa Benedetto XVI ha parlato in cinque occasioni. 49 gli uditori (45 gli interventi, molti i laici), 45 gli esperti, 3 gli invitati speciali (tra cui il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze Werner Arber), 15 i “delegati fraterni” (anche il patriarca di Costantinopoli Bartolomeo I e il primate della Comunione anglicana Rowan Williams). Tra gli argo- Foto: AP/LaPresse Qui sopra, la Messa conclusiva del Sinodo, celebrata dal Papa il 28 ottobre scorso in San Pietro. A sinistra, il cardinale arcivescovo di Vienna Christoph Schönborn, eletto dall’assemblea nel Consiglio della segreteria generale del Sinodo menti emersi, oltre alla definizione, ai modi, ai contenuti della nuova evangelizzazione, quelli della formazione degli evangelizzatori, della famiglia, della parrocchia, del ruolo dei laici, del dialogo ecumenico e interreligioso, della situazione (spesso precaria) dei cristiani nel mondo. Sono state elaborate 58 proposizioni finali (originariamente 326): presenta- te al Papa – che ha del resto seguito personalmente buona parte degli interventi in Aula Nervi – gli saranno utili per l’elaborazione della tradizionale esortazione apostolica post-sinodale. FERMENTI D’AUSTRIA. Tra gli eletti dall’assemblea nell’importante Consiglio della segreteria generale del Sinodo (tre per continente) c’è il cardinale Christoph Schönborn. Incontrandolo, ci dice subito che «la situazione dell’Austria cattolica è meno grave di quanto non dicano i massmedia». Ottimo spunto, per l’ avvio l’intervista. Rileva l’arcivescovo di Vienna: «La stampa ha l’abitudine di eviden- ziare un aspetto particolare di un problema, presentandolo nell’ottica di una lotta senza esclusione di colpi. Certo per i massmedia una situazione conflittuale è benvenuta, così che la si possa trasformare in un “caso” e riempire pagine sotto titoli a caratteri di scatola». Eminenza, si sa che in Austria preti e laici “del dissenso” non sono pochi (dalla “Pfarrer Initiative” a “Wir sind Kirche”) e sono anche ben organizzati. «Molti massmedia estremizzano le loro proposte e proteste, dando loro un’importanza sproporzionata rispetto a ciò che succede». I problemi sollevati sono però reali. «Sì, sono problemi veri. Devo dire che noi vescovi condivi| | 14 novembre 2012 | 31 QUELLO CHE IL MONDO NON AFFERRA ROSSOPORPORA Foto: AP/LaPresse Qui accanto, Benedetto XVI ad Aparecida nel 2007. Sotto, a sinistra, il cardinale Odilo Pedro Scherer, arcivescovo di San Paolo del Brasile e, a destra, una manifestazione pro aborto in Uruguay diamo le loro preoccupazioni; però non siamo d’accordo con le soluzioni indicate dai sacerdoti protestatari. Ad esempio la diminuzione del numero dei sacerdoti è un grande problema, che deriva anche dalla denatalità della popolazione (escluso qualche movimento particolarmente aperto alla vita): per noi il rimedio a tale situazione è un nuovo slancio missionario della Chiesa intera. Questa è la nostra proposta, che viene ignorata dai massmedia… non è interessante per loro, non prospetta lacrime e sangue, forse non riescono a capirla perché non vivono quotidianamente la vita della Chiesa». A Vienna, la Sua diocesi, la Chiesa è già missionaria? «Da tempo, ad esempio a Vienna e a Salisburgo, siamo impegnati in un nuovo cammino di evangelizzazione. Constatiamo che tale nuovo slancio porta dei frutti, forse non così da prima pagina come lo sarebbe l’abolizione del celibato obbligatorio… che però è una questione su cui è la Chiesa universale, non quella austriaca, che deve decidere». Eminenza, tra le rivendicazioni non manca quella dell’ordinazione sacerdotale delle donne. «Il beato papa Giovanni Paolo II ha detto chiaramente che per la Chiesa l’accesso delle donne al sacerdozio è esclu- so. Non vale la pena di discutere su questo; parliamo invece di ciò che è possibile fare». Cioè? «Ad esempio a Vienna troviamo già molte più donne in funzioni di responsabilità ecclesiale rispetto a tante altre diocesi. Siamo infatti convinti che alla Chiesa le donne possano apportare un grande plusvalore, assumendo incarichi non legati al ministero sacerdotale». Eminenza, lei ha già incontrato personalmente rappresentanti dei preti del dissenso? Ad esempio monsignor Helmut Schüller, iniziatore della Pfarrer Initiative, si è lamentato anche recentemente che non sia stato fissato nessun “incontro di dialogo” con la Conferenza episcopale austriaca. «Monsignor Schüller può dire quello che vuole. La realtà è che lui è membro del Consiglio presbiterale dell’arcidiocesi di Vienna. Di tali proposte abbiamo parlato ampiamente nell’ultima seduta e anche nella penultima. Però come vescovi abbiamo dovuto fissare dei paletti. Se ad esempio qualcuno ha dichiarato esplici- tamente di disobbedire alla Chiesa, come è per i firmatari dell’Appello alla disobbedienza del giugno 2011, non potrà assumere incarichi di rilievo all’interno delle nostre strutture». Passiamo a un altro argomento delicato. Cento anni fa, nel 1912, l’islam veniva legalmente riconosciuto nell’Impero austro-ungarico. Tra le iniziative in corso spicca quella del suo incaricato diocesano per il dialogo interreligioso che ha promosso uno scambio di prediche. «Penso che questo parroco, che parla perfettamente il turco, sia molto efficiente. Prima ha invitato un imam per una predica in parrocchia, poi è stato invitato in moschea per la predica del venerdì. Veramente un fatto positivo». Eminenza, si tratta di un’occasione unica? «No. L’iniziativa si inserisce nel quadro di una serie di incontri regolari tra sacerdoti e imam, in cui si discute dei problemi, delle preoccupazioni della gente e si condivide il lavoro pastorale grazie a uno scambio di esperienze. C’è anche altro…». Altro? Il sessantasettenne cardinale Schönborn sorride compiaciuto: «Sono state create due squadre di calcio, quella degli imam e quella dei preti. Hanno già giocato alcune partite. E i preti hanno vinto!». CERTEZZE SUDAMERICANE. Un altro tra i cardinali eletti (è una conferma) dall’assemblea nel Consiglio sinodale è il sessantatreenne Odilo Pedro Scherer, arcivescovo di San Paolo del Brasile. Lo incontriamo in una pausa dei lavori del Sinodo per aprire una parentesi sul continente con il maggior numero di cattolici. Eminenza, la secolarizzazione legislativa dilaga anche nell’America latina. In Uruguay, dove il 17 ottobre il Senato ha confermato il voto della Camera, è stato legalizzato l’aborto. Nel suo paese, il Brasile, la bozza di riforma del codice penale prevede pure la stessa legalizzazione. È una deriva questa che si può ancora bloccare oppure sembra inarrestabile? «La tendenza è inarrestabile, nel senso che ormai emerge dappertutto, grazie al gran lavoro delle lobby Scherer: «Le lobby abortiste argomentano che ovunque cercano di far che bisogna adeguarsi al progresso dei paesi avanzare le proprie idee, sviluppati. Ma perché sarebbero migliori da noi non diversamente i paesi che adottano leggi contro la vita?» che da voi in Europa. Che | | 14 novembre 2012 | 33 ROSSOPORPORA QUELLO CHE IL MONDO NON AFFERRA poi tale tendenza riesca a imporsi subi- «Questi gruppi evangelici attirano i nostri to nelle legislazioni nazionali è ancora da cattolici con metodi che non sono nostri, vedere. C’è un argomento utilizzato dal- ispirati al consumismo, alla logica del le lobby che purtroppo fa molta presa, mercato, a una religiosità che punta molquello secondo il quale bisogna adeguar- to sul soggetto con i suoi bisogni materiasi al progresso dei paesi sviluppati: non si li e le sue emozioni. Noi non possiamo deve restare indietro! Ma perché dovreb- utilizzare tali metodi, poiché al centro bero essere migliori, più sviluppati i paesi dell’annuncio troviamo Dio, Gesù Cristo, che adottano leggi contro la vita, facendo il Vangelo, la persona umana». Ma al Sinostrame della dignità umana?». Alla seco- do si è parlato dell’America latina? «Guarlarizzazione legislativa si accompagnano di, il nome Aparecida è stato pronunciato cifre nazionali che preoccupano: in Brasi- molte volte anche in questo Sinodo, perle, secondo il censimento del 2010, i catto- ché ciò che si è detto e deciso ad Aparecilici sarebbero scesi in quarant’anni dal 90 da nel 2007 si riflette sulla Chiesa intera». al 65 per cento della popolazione. «È vero La conferenza latino-americana svoltasi che ormai parecchi cattolici non si rico- nel celebre santuario mariano ha dunque noscono più nella Chiesa. Abbiamo però lasciato tracce concrete? «Certo, in Braanche qualche dubbio sui risultati dell’ul- sile e in tutta l’America latina. Vediamo timo censimento». Per quale motivo? «Il ad esempio il discorso sul rinnovamenmetodo utilizzato per le domande è stato to missionario, che è stato al centro del poco trasparente, ambiguo. Detto questo, Sinodo: la Chiesa o è missionaria o non è devo comunque riconoscere che le per- la Chiesa di Cristo. La Chiesa deve porre centuali altissime del passato non corri- sempre in primo piano la testimonianza spondevano a un’uguale pratica religiosa. di Gesù Cristo nel mondo». Forse oggi con più onestà quelli che già non frequentavano le chiese riconosco- INNI SACRI E GARIBALDINI. Lasciamo no chiaramente di non essere più cattoli- per un momento l’attualità spesso dramci. È chiaro che questi dati ci preoccupa- matica e occupiamoci di una piacevole no molto». Quali le ragioni principali del iniziativa promossa dentro le mura leocalo? «La svolta culturale in atto incen- nine. Martedì 25 settembre è stato pretrata sull’esplodere del soggettivismo, sentato un cd singolare, il primo di una l’avanzata della secolarizzazione. Non a nuova collana frutto della collaboraziocaso il gruppo che cresce di più negli ulti- ne tra Edizioni Musei vaticani e la casa mi anni è quello dei “non religiosi”, che discografica Carosello Records: sono 36 raggiungono ormai l’8 per cento della popolazione». Scherer: «I gruppi evangelici attirano i nostri Che dire della crescita delcattolici con una religiosità che punta alle le comunità evangeliche, emozioni. Al centro del nostro annuncio invece che in trent’anni sono passate dal 6 al 23 per cento? c’è Dio, Cristo, il Vangelo, la persona umana» 34 | 14 novembre 2012 | | minuti di melodie famose e care, legate in particolare al Risorgimento italiano (c’è anche l’Inno di Garibaldi) e alla Prima Guerra mondiale ed eseguite dalla Banda della Gendarmeria (cento professionisti diretti dal maestro Giuseppe Cimini), costituita nel 2007 dal comandante Domenico Giani con il favore dell’allora presidente del Governatorato cardinale Giovanni Lajolo. Che incontriamo alla presentazione. Eminenza, è solo un caso che questo cd, inteso come un omaggio all’unità d’Italia, venga presentato in prossimità dell’anniversario della presa di Roma da parte dei piemontesi? «È un caso – sorride il porporato – ma spesso Cristo, che è Signore anche della storia, fa in modo che essa contenga risvolti provvidenziali». Perché un omaggio in musica? «La musica è connaturale al popolo italiano, che purtroppo è assai poco stimolato in questa sua dote, già a partire dalla scuola». Continua il presule settantasettenne: «La musica è un formidabile elemento fondamentale dello spirito umano. Si fa comprendere da tutti, non solo si ascolta ma permane; grazie alle buone emozioni suscitate, come nel nostro caso, costituisce uno stimolo per l’unità dei cuori. Chi può dimenticare le melodie, da La leggenda del Piave a Quel mazzolin di fiori che abbiamo imparato fin da piccoli?». Nel cd c’è molto Verdi: La Vergine degli angeli, Va’ pensiero e altri brani… «Giusto così, poiché Verdi è la voce più alta e più nobile del Risorgimento musicale». Eminenza, si può connotare in qualche modo il cd come sacro? «Direi di sì, poiché sacra è la musica e sacra è l’Italia. Purtroppo – rileva il diplomatico di carriera – constato che all’unità d’Italia non si dà la giusta attenzione da parte di tante forze politiche, sociali, culturali. L’unità d’Italia è sacra così come lo è la Costituzione italiana, un documento laico, ma di una laicità indubbiamente connotata anch’essa dal sacro». n Foto: AP/LaPresse Il cardinale Giovanni Lajolo da presidente del Governatorato vaticano nel 2007 “benedisse” la nascita della Banda della Gendarmeria, orchestra di cento professionisti che lo scorso 25 settembre ha presentato – presente lo stesso Lajolo – un cd con 36 brani musicali molti dei quali legati al Risorgimento italiano NEL DETTAGLIO REALTÀ VIRTUALE E REALTÀ REALE Li avevamo presi tutti nella Rete ma neanche a Grillo basta il clic M Malacoda, ci siamo infilati in una situazione paradossale. Fatti che dovrebbero farci gioire per la loro efferatezza si rivoltano invece contro di noi per il semplice fatto di essere fatti. Non ti perdere nel gioco di parole, torna sempre ai basilari: la realtà ci è nemica, la materialità dell’esistenza non coincide con il materialismo. Un uomo che dice “le cose ci sono” è avviato su una strada pericolosa, il riconoscimento di chi le fa essere: «In principio Dio creò il cielo e la terra». Il nostro principale nemico non è lo spiritualista, ma il realista, perché in virtù del suo realismo è obbligato a riconoscere l’esistenza dello spirito. Secoli di materialismo non ci sono bastati per sfuggire a questa inesorabile dinamica. Ci siamo allora inventati la realtà virtuale. Devo ammettere, un colpo di genio. Non essere così rozzo da confonderla con la fantasia: la fantasia è un’arma potente con cui conoscere il mondo, la realtà virtuale è una via di fuga. Il colpo ci è riuscito alla grande, complice più che le nuove tecnologie della comunicazione la filosofia che viene loro appiccicata addosso. Una recente indagine demoscopica inglese attesta che il 47 per cento dei ragazzi ammette di sentirsi e presentarsi molto diPossiamo convincerli a vivere nell’astrattezza verso online e di trovare più facili le relazioni virtuali rispetto a quelle reali. Si finché non accade loro un fatto inaspettato: incontrano in Rete e si chiamano “amiun innamoramento. Per noi diavoli ha questo ci”. Il problema è che la Rete mostra tutdi negativo, l’innamoramento: oltre al cuore ta la sua inadeguatezza, come la realtà, ma fermandosi un gradino prima. Se la trascina gli occhi, la bocca, le mani, tutto realtà ha bisogno di “altro” per essere affermata come tale, la rete mostra tutta la sua virtualità ed evanescenza nel disperato bisogno di realtà che afferma. Beppe Grillo non si è accontentato dei milioni di contatti sul web, che pur lo rendono ricco, è andato personalmente nelle piazze siciliane a guardare in faccia la gente e a raccogliere in una scatola di cartone quella cosa così materiale nel suo simbolismo che è una croce su un foglio di carta. Ma l’aggettivo “disperato” ha riscontri più evidenti nell’impossibilità di consumare una vita online. Latina: sorprende il convivente collegato su Facebook e, colta da gelosia, lo ferisce al petto con un coltello da cucina. Rivoli: un uomo ha scoperto il suo rivale in amore tramite Facebook e lo ha aggredito dal vivo, ferendolo a coltellate. Singolare che il cronista sottolinei “dal vivo”. Non bastava una mail, un tweet, un omicidio virtuale su Second life? Quelle coltellate, che dovrebbero farci piacere, sono invece la condanna a morte delle nostre illusioni. Possiamo convincere un uomo o una donna a vivere nell’astrattezza, a impigliarsi in una Rete, finché non succede loro un fatto inaspettato (anzi molto aspettato ma non calcolabile): un innamoramento. L’innamoramento ha questo di negativo per noi diavoli: oltre al cuore trascina gli occhi, la bocca, le mani, tutto. Chi uccide per amore si dice lo faccia in preda a un cieco furore, ma l’accecamento viene dopo la visione, l’accecamento è una perversione della visione. È l’ultima arma che ci resta, ma è il sigillo sulla nostra sconfitta. In fondo, anche il mondo virtuale non sfugge al giudizio di uno dei nostri principali nemici del secolo scorso, Thomas S. Eliot: «Sognano sistemi talmente perfetti da rendere inutile all’uomo essere buono». Caro nipote, ritentiamoci (nel senso della tentazione, non del tentativo). Tuo affezionatissimo zio Berlicche io caro | LE NUOVE LETTERE DI BERLICCHE | 14 novembre 2012 | 37 COSE DA OCCIDENTALI MISURE CONTRO LA VITA I termini di un inganno planetario di Stefano Spinelli* I ha avuto grande risonanza la risoluzione adottata il 21 settembre 2012 dal Consiglio dei Diritti dell’uomo presso le Nazioni Unite, titolata “mortalità e morbilità materna prevenibile e i diritti umani”, mediante la quale avrebbe trovato ingresso a livello internazionale un nuovo “diritto all’aborto”, seppure con modalità subdole. Un diritto del genere è ovviamente fortemente contrastato a livello internazionale, specie dai paesi islamici e da quelli tradizionalmente cattolici, oltre che dalla Santa Sede, che presso le Nazioni Unite ha un osservatore permanente nel nunzio apostolico Silvano Maria Tomasi. Il suo riconoscimento come “diritto umano” è invece prepotentemente voluto da una intensa attività di lobbying, ad esempio da parte dell’International Humanist and Ethical Union (Iheu) – di cui fa parte, per capirci, l’Uaar (Unione Atei e Agnostici Razionalisti) – la cui presidente Sonia Eggerickx ha rivendicato il contributo dato dall’organizzazione all’odierna risoluzione. Ma vediamo di capire di cosa si tratti esattamente e quali effetti possa produrre. Il Consiglio dei Diritti dell’uomo è un organo intergovernativo ope- 38 n questi giorni | 14 novembre 2012 | | rante nell’ambito dell’Onu, ed è composto da 47 membri che hanno il compito di promuovere e rafforzare la protezione dei diritti umani nel mondo. Del Consiglio fa parte, dal 2011, anche l’Italia, che dunque è corresponsabile della risoluzione incriminata, allineandosi alla scelta fatta dagli altri paesi dell’Unione Europea. La risoluzione ha per obiettivo la riduzione del tasso mondiale di mortalità e di morbilità delle donne, nel corso della maternità. A dire il vero, essa non contiene un solo accenno espresso all’aborto, ma richiama più e più volte «la salute sessuale e riproduttiva» e «i diritti legati alla procreazione» delle donne. In particolare, si legge nel testo, «il Consiglio accoglie con soddisfazione l’elaborazione, da parte dell’alto commissario Onu per i diritti umani, Navi Pillay, di una Gui- Navi Pillay, alto commissario Onu per i diritti umani da Tecnica, diramata in luglio, riguardante il perseguimento dell’obiet- i diritti alla salute sessuale e riproduttitivo di ridurre la mortalità e la morbili- va», affinché in ogni piano nazionale sia tà materne, mediante un approccio fon- «realmente assicurato l’accesso univerdato sui diritti dell’uomo». Detta Guida sale» a «interventi essenziali per miglioinclude espressamente, tra le buone pra- rare la salute materna», come «servizi di tiche conformi agli obblighi scaturen- pianificazione familiare», «gestione delle ti dai diritti umani, quelle di «garantire gravidanze inattese, includendo l’acces- Foto: AP/LaPresse Si scrive salute riproduttiva femminile e tutela della maternità. Si legge contraccezione e ricorso più ampio possibile all’interruzione di gravidanza. Ecco come l’Onu prova a far passare l’aborto come diritto umano inviolabile tire; scelta che deve trovare, nei vari paesi, un servizio sanitario adeguato che lo soddisfi (così il tema si lega anche a quello dell’obiezione di coscienza, che non deve comunque arrivare a pregiudicare l’esercizio dell’aborto). Ciò precisato, si leggano questi passi della risoluzione adottata il 21 settembre 2012, nel corso della ventunesima sessione del consiglio Onu per i diritti umani: «È necessario rafforzare con urgenza la volontà e l’impegno politico, la cooperazione e l’assistenza tecnica a tutti i livelli, al fine di ridurre il tasso mondiale di mortalità e di morbilità materne evitabili, che è inaccettabile»; «l’utilizzo di un approccio fondato sui diritti dell’uomo può contribuire positivamente alla realizzazione dell’obiettivo, che è di fare abbassare quel tasso». Foto: AP/LaPresse so a servizi di aborto sicuro, dov’è legale, e cura post-aborto». L’approccio alla salute materna basato sui diritti umani impone precise «responsabilità agli Stati per assicurare servizi disponibili, accessibili, accettabili e di qualità». Si sottolinea quindi che «se le leggi sull’aborto sono eccessivamente restrittive, le risposte da parte dei fornitori di servizi, polizia e altri attori possono scoraggiare chi cerca aiuto» (in tal caso, l’aiuto sarebbe quello da offrire alla donna che abortisce). Procreazione consapevole? In sostanza, viene affermato l’obbligo per gli Stati di dotarsi di normative che favoriscano l’accesso delle donne che lo chiedano all’aborto. Risulta quindi chiaro cosa intendano, le Nazioni Unite e i documenti che vi fanno riferimento, per diritto alla salute sessuale e riproduttiva: ossia Autodeterminazione a senso unico Di conseguenza il Consiglio «invita gli Stati a rinnovare l’impegno politico e a raddoppiare gli sforzi per garantire, pienamente ed efficacemente, il rispetto degli obblighi in tema di diritti umani (…), ivi compresi gl’impegni relativi alla salute sessuale e riproduttiva ed ai diritti legati alla procreazione (…), in particolare gli obiettivi concernenti il miglioramento della salute materna, la promozione dell’uguaglianza dei sessi e l’autodeterminazione della donna, specialmente prevedendo, nel budget nazionale, delle risorse sufficienti ai sistemi di salute, fornendo l’informazione e i servizi necessari in materia di salute sessuale e riproduttiva delle donne e delle giovani»; invita tutti i soggetti interessati (governi, organizzazioni regionali e internazionali) «a diffondere e Ricondurre l’aborto alla categoria dei diritti ad utilizzare la Guida Tecumani significa dare ad esso l’imprinting nica», e l’Alto commissario internazionale, così da avere nei singoli per i diritti umani «a elaboordinamenti locali più potere di moral suasion rare un rapporto sui modi in cui la Guida Tecnica è diritto a una procreazione consapevole e attuata dagli Stati e dagli altri soggetti responsabile, mediante uso di contraccet- interessati, che sarà presentato al Consitivi e soprattutto mediante il ricorso, il glio» alle prossime sessioni. Come si vede, l’oggetto del documenpiù esteso e facilitato possibile, all’aborto to internazionale lega l’ipotesi di partencosiddetto sicuro. Nessuna attenzione è dedicata, in det- za, riguardante la riduzione delle probleta nozione, all’aborto in quanto tale, che matiche di salute materna, alla necessità – pur nell’assoluto tacere degl’illumina- che i paesi prevedano normative e strutti umanisti internazionali – continua ture idonee a consentire l’aborto, insia essere la soppressione di una nascen- nuando che i cosiddetti aborti illegali – e te vita umana. Una grande importan- la mancanza di quelli “sicuri” – siano la za, invece, viene assegnata all’idea di causa dei problemi alla salute materna. In sostanza, il problema della salu“responsabilità” della procreazione, che include anche quella di autodetermina- te materna – invece di essere individuazione della donna nello scegliere di abor- to nelle malattie legate alla gravidanza | | 14 novembre 2012 | 39 COSE DA OCCIDENTALI MISURE CONTRO LA VITA La Santa Sede contro le lobby della “cultura della morte” Il nunzio apostolico Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’Onu «La Santa Sede non approva alcun tipo di strumento legislativo che dia riconoscimento giuridico all’aborto. Molti Stati all’Onu sono stati influenzati dalla prevalente “cultura della morte” che vede il valore della vita umana dalla prospettiva della sua utilità o del suo contributo al funzionamento economico della società». Nei giorni in cui il consiglio Onu per i Diritti umani varava una risoluzione che dietro l’apparente nobile obiettivo di combattere la “mortalità e morbilità materna” celava un’apertura all’inserimento dell’aborto tra i diritti umani, il nunzio apostolico Silvano Maria Tomasi ribadiva a tempi.it la posizione della Santa Sede. L’arcivescovo Tomasi, che è osservatore a Ginevra dal 2003, ha detto che «a nessun tentativo volto a legalizzare l’aborto si può accordare una “legittimità morale”» e che «ci sono due culture a confronto: una che parte dalla natura e le sue leggi e l’altra emersa dalla rivoluzione sessuale del Sessantotto e incentrata sulla soddisfazione dell’individuo senza che assuma la responsabilità delle conseguenze delle scelte che opera». «La giusta rivendicazione dei diritti della donna – ha detto ancora l’alto prelato – entra nel dibattito culturale condizionata però da un’interpretazione che sostenga la nuova cultura. La radice della difficoltà mi pare stia qui, nella visione diversa della persona umana e della sua vera dignità. Ricordo che quando partecipai alla Conferenza del Cairo su popolazione e sviluppo nel 1994, molti governi, organismi multilaterali, compresi alcuni all’interno del sistema delle Nazioni Unite, come anche organizzazioni non governative, hanno sistematicamente cercato di modificare il termine “salute sessuale e riproduttiva” e hanno poi inserito “salute e diritti sessuali e riproduttivi” in diversi documenti delle Nazioni Unite e di organizzazioni internazionali. Ad oggi, comunque, nessun strumento giuridico vincolante delle Nazioni Unite ha riconosciuto tale diritto». Anche se resta forte l’influenza della lobby che sponsorizza questi diritti e che «gode di un buon appoggio finanziario e mediatico». La realtà capovolta Ma le stesse stime sono inattendibili, come dice il nunzio apostolico Tomasi: «Una relazione del 2010 dell’Oms dimostra che, nel corso del 2008, tre paesi che hanno permesso l’aborto “legale”, cioè, Guyana, Etiopia e Nepal, avevano un numero significativamente più elevato di Quella assunta dal consiglio dei Diritti mortalità materna per 100 mila nati, di tre paesi, del- Onu pare essere la stessa dinamica che le loro rispettive regioni, ha portato all’introduzione dell’aborto in che non hanno permesso Italia, al grido di “mai più aborti illegali” l’aborto, cioè, Cile, Mauritius e Sri Lanka». A questa palese distor- troduzione dell’aborto in Italia, al grisione della realtà si aggiungono consi- do di “mai più aborti illegali”, indipenderazioni legate genericamente ai dirit- dentemente dal fatto che ciò comporti, ti delle donne e di scelta “responsabi- come effetto collaterale, la soppressione le” della maternità; nonché all’esigenza del frutto del concepimento. Solo che ora di riduzione dell’esplosione demografi- queste considerazioni vengono affermate ca, attuata mediante la regolamentazio- a livello di diritti umani, con la forza prone delle nascite, anche di quelle non volu- pria di detto riconoscimento, capace di te ed anche mediante il ricorso agli abor- imporsi, nel tempo e nello spazio, a tutti ti cosiddetti terapeutici (che non curano i paesi e alle culture mondiali. nulla, ma sopprimono una futura vita L’utilizzo della locuzione «salute sesportatrice di handicap). suale e riproduttiva», dunque, non serÈ una sorta di déjà-vu. Quella assunta ve ad altro che a sdoganare, nell’uso del dal Consiglio dei Diritti Onu pare essere linguaggio internazionale e nell’operala stessa dinamica che ha portato all’in- tività concreta degli organismi interna40 | 14 novembre 2012 | | zionali, la pratica della contraccezione e dell’aborto come diritti umani, alla pari dei diritti contenuti nelle carte internazionali dei diritti, come il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della persona, come l’eliminazione della pena di morte o della schiavitù, come il riconoscimento della libertà religiosa, come il divieto a trattamenti disumani, come il diritto di eguaglianza, quello di cittadinanza, come il diritto di fondare una famiglia, e così via. Insomma, una contraddizione in termini. Quali sarebbero gli effetti Vediamo quali effetti comporta un riconoscimento internazionale del diritto all’aborto come diritto umano. La risoluzione in oggetto attribuisce agli obiettivi di salute sessuale e riproduttiva, nei termini visti, le classiche metodiche garan- Foto: AP/LaPresse (tra le quali non può certo essere ricompresa la gravidanza stessa, neppure quella non voluta, come sembrerebbe ascoltando alcune lobbies pro aborto), e nella «fragilità delle infrastrutture sanitarie, assenza di personale preparato, ambiente medico insano, mancanza o insufficienza di servizi e attrezzature per l’emergenza medica e chirurgica», che sono le cause principali individuate dall’Organizzazione mondiale della sanità; invece di essere orientato a salvare la vita della madre e del figlio – viene ricondotto, alla fine, all’obiettivo di garantire il più possibile l’accesso all’aborto. Esistono stime che circolano a livello internazionale, come quelle diffuse dalla rivista medica The Lancet, secondo le quali circa 350 mila donne muoiono ogni anno per complicazioni dopo il parto o per aborti in condizioni non sicure, accomunando di fatto il parto all’aborto, come se fossero ipotesi del tutto analoghe da trattare allo stesso modo, e rivendicandosi per entrambe l’esigenza di un miglioramento dell’offerta sanitaria, senza porsi soverchi problemi sul fatto che con l’aborto non si fa nascere qualcuno, ma lo si sopprime; come se il futuro bambino non fosse – a sua volta – titolare di medesimi diritti a livello internazionale volti alla riduzione della mortalità e morbilità infantili. Foto: AP/LaPresse tistiche dei diritti umani, al fine di raggiungere con maggior efficacia gli scopi individuati. La teorica dei diritti umani rappresenta il più alto livello e la più alta espressione del tentativo umano di perseguire il bene stesso dell’uomo, di tutelare ciò che per lui è essenziale, al punto tale da dover essere riconosciuto e affermato come inviolabile, anche contro i diritti vigenti e scritti dei singoli ordinamenti particolari, presenti o futuri. Detta teorica nasce infatti dopo gli orrori delle due guerre mondiali (in particolare con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino e con le singole carte costituzionali del Novecento), quando ci si è resi conto che i singoli ordinamenti positivi non erano di per sé garanzia di giustizia, occorrendo affermare, a livello sovranazionale, un numero minimo di diritti fondamentali appartenenti all’uomo in quanto tale, generalmente condivisi e comunque affermati come indispensabili per far sviluppare libertà e giustizia; un nucleo di tutele da perseguirsi indistintamente in tutti i paesi, anche in quelli ove i medesimi diritti umani siano in vario modo disconosciuti. Quando si parla di diritti umani, insomma, il riferimento è a un orizzonte che sta oltre il mero diritto stabilito dai singoli Stati. Il riconoscimento dei diritti umani si propone di guidare ciascun ordinamento giuridico e il relativo diritto, così come tutti i singoli ordinamenti particolari ed i loro diritti, verso binari corrispondenti al contenuto di un diritto affermato come superiore, verso una giustizia che né il diritto attuale, né quel- della pretesa come diritto umano diventa facilmente il mezzo per far introdurre nei singoli paesi nuovi diritti calati dall’alto che probabilmente non troverebbero riscontro diversamente. Vi è poi un’altra, più incisiva conseguenza. Riconoscere un diritto all’aborto come diritto umano significa assolutizzarne la garanzia e la tutela. Quasi tutti gli ordinamenti dei paesi hanno ormai depenalizzato l’aborto e ne regolamentano – chi più, chi meno – l’esercizio, in presenza di date condizioni. In particolare, in Italia, la legge 194 è stata il frutto del tentativo (malriuscito) di bilanciare i diritti che spettano anche al nascituro con quelli inviolabili della madre. Purtroppo, di fatto, l’esperienza concreta dimostra spesso il contrario, per l’evanescenza dei motivi di salute della donna che possono legittimarlo, ivi compresi i motivi psichici e quelli legati a mere circostanze economiche. Ma ciascun paese ben può decidere di non rendeSi rovesciano i termini del problema. re legittimo l’aborto e ha L’aborto non è un male da evitare ed comunque discrezionalieventualmente da consentire solo a date tà in ordine alle condiziocondizioni, ma un bene da incentivare ni di legittimazione, che possono essere anche mollo futuro, né il diritto di nessun paese, to restrittive. Invece, l’affermazione di oggi o domani, potrebbe disconoscere. Si un diritto all’aborto come diritto umano pensi quale grado di ingiustizia compor- significherebbe qualificarlo come preteterebbe il fatto di assumere erroneamen- sa garantita che ogni singolo paese deve te, a livello di diritti umani, diritti contro riconoscere, tanto che – se non lo facesl’uomo e il suo bene. Il massimo tentativo se – sarebbe disumano, e significherebdi giustizia per l’uomo si trasformerebbe be pretenderne la fruibilità in termini nella più incredibile esperienza di ingiu- più ampi possibili, assicurando le struttustizia che l’uomo possa mai conoscere: re pubbliche e i servizi che ne permettasummus jus, summa iniuria. no l’esercizio. Non si potrebbe ritenere l’aborto L’obiettivo di influenzare gli Stati una pratica da evitare e da sottoporre a Ciò accadrebbe qualora un diritto cogenti limiti di esercizio (di tempo e di all’aborto venisse espressamente affer- situazioni), oppure prevedendo per esso mato come diritto umano. Per il momen- varie restrizioni, perché ciò violerebbe to, la risoluzione e la maggior parte dei l’affermato diritto umano (il documento documenti dell’Onu non sono giuridica- internazionale approvato lo lascia intenmente vincolanti per gli Stati, a meno dere chiaramente, quando afferma che che gli accordi non siano negoziati come «se le leggi sull’aborto sono eccessivatali per gli stati che li ratificano. Così non mente restrittive, le risposte da parte dei è per la risoluzione, che è qualificabile fornitori di servizi, possono scoraggiare come documento di monito o richiamo chi cerca aiuto»). Si rovesciano i termini per gli Stati. Ma è evidente che l’assunzio- del problema. L’aborto non è un male da ne di un tale diritto in documenti ufficia- evitare ed eventualmente da consentire li dà il via a procedure che favoriscono e solo a date condizioni, bensì un bene da incoraggiano progressivamente l’allinea- perseguire e da incentivare, sì da renderlo facilmente accessibile a chi lo voglia. mento dei vari paesi. In sostanza, ricondurre un diritto Da facoltà concessa in termini di bilanall’aborto alla categoria dei diritti umani ciamento di diritti, diventerebbe diritto significa dare ad esso l’imprinting inter- assoluto da garantire in ogni paese. Con nazionale, così da avere, nei singoli ordi- effetti devastanti. n namenti locali, una più penetrante capa *avvocato, autore di I diritti umani cità di moral suasion. La qualificazione capovolti (Fede & Cultura) | | 14 novembre 2012 | 41 COSE DA OCCIDENTALI MISURE CONTRO L’AMORE Il sesso senza sesso Prima l’abbiamo svuotato inseguendo la sua vacua “liberazione”. Poi ci siamo dovuti difendere con il lattice e con la chimica dalla sua pericolosa banalizzazione. Così la nostra civiltà sta neutralizzando la fecondità dell’eros Pubblichiamo un brano tratto da Il sesso spuntato. Il crepuscolo della riproduzione sessuale in Occidente (Lindau) di Roberto Volpi, statistico esperto di demografia e temi socio-sanitari, già autore per il Foglio di un’inchiesta sull’argomento. Il volume è disponibile nelle migliori librerie. di Roberto Volpi I ntendiamoci, la riproduzione sessuale a livello individuale non ha mai avuto né mai potrà avere come obiettivo le prospettive demografiche degli Stati, la tenuta della popolazione e cose così. La riproduzione sessuale è dei singoli individui e i singoli, le coppie, guardano a se stessi e ai loro piuttosto immediati dintorni, se posso esprimermi così. Com’è del tutto logico e naturale, del resto. (…) Ma se l’espressione della sessualità dei singoli, il tipo e la frequenza dei loro rapporti sessuali sono tutte cose che riguardano gli individui e solo loro l’insieme, in una comunità, in una popolazione, di queste espressioni, di queste tipologie e di questi rapporti non è più una faccenda che possa riguardare solo e soltanto i singoli individui. Anzi, non è più una faccenda che tocchi principalmente loro. Il paradosso del momento storico che stiamo attraversando (…) è che gli Stati non 42 | 14 novembre 2012 | | hanno fatto altro che mettere in campo siderate. Né del resto potevano esimersi mezzi di protezione dei rapporti sessuali, dal varare leggi che rendessero a un temsegnatamente per evitare concepimenti e po lecito e facile l’uso dei contraccettivi nascite, che stanno dando i loro più tena- e, in presenza di certe, in verità alquanci frutti, in termini di depressione del- to vaghe, condizioni, lo stesso ricorso la fecondità, proprio quando più sarebbe all’interruzione volontaria di gravidanza. necessario riportarla in efficienza, ren- E tuttavia gli Stati più che soggetti sono dendo molto più difficile riuscire in un stati interpreti di movimenti e processi tale intento. Gli effetti demoche hanno investito le società grafici dei mezzi contraccettivi, occidentali in modo particolaIL SAGGIO che poi sono quelli che più conre a partire dagli anni ’60 per tano per le varie realtà naziol’eguaglianza femminile, per i nali, sono stati a tal punto condiritti civili e per quelli di parsistenti che si è dovuto da più ticolari minoranze, come i gay, parti intervenire quasi a rotappunto, e che, anche come ta di collo per evitare una cataconseguenza della diffusione strofe demografica anzitempo, del benessere e dell’istruzione, giacché quegli effetti una volta hanno posto espressamente il bene avviati si trascinano quagrande tema della piena libertà si per inerzia e le politiche per sessuale, della più ampia e libecontrastarli sono di lunga lena IL SESSO ra espressione della sessualità. SPUNTATO e di non sicuro effetto. E il tema della libertà sessuaHo detto degli Stati, ma non R. Volpi le non poteva a sua volta afferLindau so se il soggetto sia davvero 16 euro marsi se non congiuntamente azzeccato. Certo gli Stati non a quello di un’altrettanto piehanno fatto da spettatori nell’avanzata na protezione contraccettiva dei rapporincalzante di una tendenza culturale, di ti sessuali che evitasse il rischio di graquella moderna mentalità che ha mirato vidanze e figli non voluti. Di tutto quee mira a rendere sicuri i rapporti sessua- sto complesso intreccio di questioni si è a li e responsabile la scelta dei figli e insie- lungo indugiato (ecco semmai la responme a scongiurare in ogni modo possibi- sabilità degli Stati, intesi come governi e le concepimenti inaccorti e nascite inde- istituzioni) a cogliere soltanto gli aspet- ti più nobili e positivi, senza però riuscire a scorgere a quali altre conseguenze, meno nobili e positive, e oltretutto meno innocue, essi potevano, a certe condizioni, portare. Di quei processi e movimenti si è raccolta la sfida sul piano della liberazione sessuale, nei termini soprattutto della contraccezione, e della conseguente protezione prima di tutto dei rapporti a rischio, e lì normalmente ci si è fermati, senza riuscire a ipotizzare che cosa, su altri piani, quella liberazione sessuale per un verso e quella protezione dei rapporti sessuali per l’altro implicavano o potevano implicare. Stiamo ancora assistendo, pressoché inerti, alla formidabile caduta di senso della sessualità e dei rapporti sessuali, alla banalizzazione dell’una e degli altri, senza neppure renderci conto, ancora, di quel che è avvenuto e sta avvenendo in tutto l’Occidente sotto questo aspetto e della sua prorompente portata. E, anzi, opponendo a questa caduta, a questa banalizzazione, la medicina tutta tecnica, sapienziale e fredda, ma nient’affatto sentimentale e valoriale, della cosiddetta educazione sessuale (…). Evitare il concepimento, ma anche evitare le malattie che si trasmettono sessualmente. Ecco il duplice scopo dei mezzi di protezione dei rapporti sessuali ed ecco altresì, a rimorchio, il duplice sco- po dell’educazione sessuale: insegnare a evitare il concepimento, insegnare a evitare le malattie collegate al sesso, proteggendosi con qualcuno dei tanti mezzi che sono oggi disponibili, a cominciare dalla pillola e dal preservativo: anzi, meglio, accoppiando pillola e preservativo a protezione di ogni rapporto sessuale tra maschio e femmina. Al massimo della banalizzazione dei rapporti sessuali non poteva non corrispondere la ricerca del massimo della protezione. Perché non sfugge ad alcuno, credo, che più il sesso è banalizzato, praticato in modo estemporaneo e occasionale, e più può essere pericoloso, cosicché la protezione dei rapporti sessuali ha da essere ancora più ferrea. a letto la sera stessa, non ha con sé, cosicché si rivestono (anche lei, per solidarietà) e corrono con l’auto al primo distributore, ma è guasto, alla prima farmacia, ma la trovano chiusa, idem per quanto riguarda il primo drugstore, cosicché la corsa non è quel vado e torno che pensavano ma una roba che quando si conclude ha letteralmente svuotato entrambi del desiderio iniziale; tant’è che decidono di rimandare ad altra occasione. La donna era protetta dalla pillola, sul versante riproduttivo, ma senza il preservativo dell’uomo non si sentiva evidentemente protetta sotto il profilo delle possibili infezioni. Né si sentiva protetto l’uomo, che infatti non prova neppure a obiettare, ma si precipita, con la donna al seguiUna scenetta ammazza-desiderio to, alla ricerca del preservativo. AttenzioMi è capitato di vedere un film america- ne, perché di queste paure non v’è traccia no, del quale non ricordo il titolo, in cui nella scena, non ci sono frasi che anche un uomo e una donna sui trent’anni fini- soltanto vi alludano di sfuggita: la manscono a letto dopo aver cenato ed essere canza del preservativo spiega tutto e tutto anche un po’ su di giri, quand’ecco che giustifica, tutto di quel che segue è assosul più bello lei domanda del preservati- lutamente implicito in questa mancanza: vo, che lui, forse non pensando di finire semplicemente non si può fare sesso senza preservativo, anche se i due, pur se di fresca conoAssistiamo alla caduta di senso dei rapporti scenza, scommetterebbero senza rendercene conto. Anzi, opponendole la l’uno sull’altra. Ma tant’è, medicina fredda, nient’affatto sentimentale e vanno in bianco, preferiscovaloriale, della cosiddetta educazione sessuale no andare in bianco che | | 14 novembre 2012 | 43 MISURE CONTRO L’AMORE COSE DA OCCIDENTALI rinunciare alla doppia protezione dei rapporti sessuali: riproduttiva, che c’è, ed epidemiologica, che invece non c’è. (…) Per quel che mi preme sottolineare la scena che ho raccontato basta e avanza, anche se siamo in America e non in Italia, e anche se forse in Italia i due trentenni avrebbero dato una risposta diversa alla mancanza del preservativo. La necessità della protezione nei rapporti sessuali tra uomo e donna non è, come si lascia volentieri intendere, indipendente da come questi rapporti sono intesi, sentiti e praticati, in un determinato momento storico e in una determinata società. Non c’è la necessità di una protezione assoluta, sempre e comunque del cento per cento, indipendentemente da tutto il resto: ambiente, situa- È la protezione ad avere un senso prima e più zioni, soggetti. Anche se è che i rapporti sessuali stessi. Se hai rapporti questo ciò che si insegna espressamente proprio sessuali banali ma protetti, il valore della con l’educazione sessuale: protezione riscatta il disvalore della banalità la protezione “über alles”. La realtà è che il rischio riproduttivo ed in più sedi, di ridare spessore e valore al epidemiologico connesso ai rapporti ses- sesso e ai rapporti sessuali, ma insistono suali è tanto più alto quanto più sono a pressoché unicamente sulla necessità delrischio quei rapporti, ovvero quanto più la protezione in quanto tale, sulla necesquei rapporti sono occasionali, estempo- sità di una forte, diffusa, efficace proteranei, privi di ogni pulsione anche vaga- zione che ha finito così non soltanto per mente sentimentale. Non c’è la necessi- acquisire un valore in sé e per sé, indità di una protezione assoluta, almeno per pendente da ogni altra considerazione, quel che riguarda il versante epidemiolo- ma anche un senso che è andato addiritgico, se non all’interno di una banalizza- tura oltre quello del sesso e dei rapporti zione assai spinta dei rapporti sessuali nel sessuali. È la protezione dei rapporti sesloro complesso in un dato momento stori- suali oggi ad avere un valore e un senso, co e in una determinata società. E sicco- prima e più che non il sesso e i rapporti me, se proprio non siamo nel pieno della sessuali in quanto tali. I rapporti sessuabanalizzazione del sesso ci siamo perico- li, anzi, sono riscattati e nobilitati dalla losamente vicini un po’ in tutto l’Occiden- protezione contraccettiva. Se hai rapporte, ecco che l’educazione sessuale diventa ti sessuali banali ma protetti non c’è prosempre più estesa e istituzionalizzata (e blema perché il valore della protezione non è così necessario che per esser tale si riscatta il disvalore della banalità, cosictraduca in un qualche insegnamento sco- ché la banalità dei rapporti sessuali è un lastico pienamente riconosciuto), mentre disvalore solo e soltanto in mancanza delsui mezzi di comunicazione di massa si la protezione dei rapporti sessuali, non in passa da una campagna di sensibilizzazio- sé, non di per sé. ne alla contraccezione all’altra (…). Si guardi, per capirci, ai tanti opuscoli di educazione sessuale della Sigo, la Quegli opuscoli per le ragazzine Società italiana di ginecologi e ostetrici Ora, vorrei che si considerasse che questa che si rivolgono soprattutto a un pubblieducazione, queste campagne di sensibi- co femminile e di giovane, se non addilizzazione, così come gli stessi richiami rittura giovanissima, età. Basta andare più diversificati e diffusi che al riguardo sul sito e aprirne uno a caso per rendersi s’incontrano a ogni angolo, non partono, subito conto che tutta l’educazione concome pure dovrebbe essere, dall’esigenza siste unicamente nella protezione, non di mettere in guardia dai rapporti sessua- c’è alcun altro centro, oggetto, aspetto li banali, dal sesso banalizzato che inevi- problematico, nessun’altra avvertenza. tabilmente fa lievitare il rischio di incon- Sei molto giovane? È la prima volta? A tri pericolosi su entrambi i piani, ripro- maggior ragione devi pensare a protegduttivo ed epidemiologico, non partono gere la tua sessualità, a maggior ragiocioè dal tentativo culturale, variamen- ne i tuoi rapporti sessuali debbono essete articolato e declinato da più soggetti, re responsabili nel senso esclusivo di ben protetti, vuoi forse giocarti la vita restando incinta (è infatti rivolto molto più alla donna, alla ragazza, alla giovane, assai più blandamente ai loro corrispondenti maschili che guardano questi e simili opuscoli) o prendendoti una brutta malattia che si trasmette attraverso il sesso? Si tratta di opuscoli nei quali, non certo per caso, la parola amore non appare neppure per sbaglio, assente da argomentazioni ed esemplificazioni pedagogiche dominate dalla parola sesso e dalle correlate espressioni: lo scadimento di senso del sesso viene riscattato, nella concezione che si ricava dall’insieme di questa pubblicistica tanto più povera dal punto di vista culturale ed emotivo quanto più tecnica e specializzata, dalla pienezza di senso della protezione. A chi la responsabilità Sento già l’obiezione, che si traduce nella domanda se debbano essere ostetrici e ginecologi e più in generale medici e personale sanitario a farsi carico di un diverso, e più completo e difficile, orientamento dell’educazione sessuale e sentimentale degli adolescenti e dei giovani. Non dovrebbero forse essere le famiglie, e semmai la scuola, a fornire un’educazione di maggior spessore, umanità, densità psicologica? L’obiezione non è certo di quelle peregrine. Il fatto è che al grande disorientamento che percorre tutta questa problematica, e che si riversa sui giovani e gli adolescenti attraverso consigli e ammonimenti incapaci di riempire il vuoto di umanità, sensibilità e calore con quel poco di biologia e fisiologia che contengono, peraltro accompagnato da un nozionismo tecnico contraccettivo freddo e distante che svilisce ogni slancio sentimentale e perfino sessuale, a questo grande disorientamento, dicevo, la medicina ha aggiunto del suo. n | | 14 novembre 2012 | 45 CULTURA IL TEMPO DELLA CREATIVITà Investire in bellezza Dalle aste milionarie alle fiere “low cost”, il mondo dell’arte offre sempre più alternative a chi è in cerca di un dividendo. Economico ed estetico. I consigli per orientarsi in un mercato che oggi più di ieri punta sulla qualità I l quadro che fa il suo ingresso, la base d’asta dichiarata come un dettaglio che presto verrà spazzato via, il martelletto del battitore pronto a consacrare le offerte spesso avanzate da anonimi milionari collegati via telefono. Il copione andato in scena qualche settimana fa da Sotheby’s a Londra ricalcava quello con cui tanti capolavori sono assegnati in passato a personaggi dal portafoglio agile e dal gusto deciso. Lo stesso copione con cui, nel maggio scorso, la casa d’aste ha assegnato l’Urlo di Munch (una delle quattro versioni esistenti) per 120 milioni di dollari. Bruscolini se paragonati ai 250 milioni di dollari che la famiglia reale del Qatar ha sborsato per una versione dei Giocatori di carte di Paul Cezanne in una transazione privata resa nota solo mesi dopo. All’inizio del 2011 gli sceicchi polverizzarono il record di prezzo più alto mai pagato per un’opera d’arte, fino ad allora detenuto da Numero 5 di Jackson Pollock venduto per 140 milioni di dollari nel 2006. Il 12 ottobre scorso è stata la volta di un altro record: la cifra più alta mai pagata in un’asta per il quadro di un artista vivente. Per 21,3 milioni di sterline (pari a 34,2 milioni di dollari) è stato infatti assegnato a un anonimo milionario (il gossip artistico parla di un collezionista russo) il dipinto Abstraktes Bild (809-4), opera del pitto- 46 | 14 novembre 2012 | | re tedesco Gerhard Richter e appartenuto a Eric Clapton. Il musicista pagò quella tela poco più di tre milioni di dollari nel 2001. Nel frattempo Richter è diventato uno dei pittori più apprezzati dal mercato e le retrospettive dedicategli dalla Tate Modern e dal Centre Pompidou l’hanno reso noto anche al grande pubblico. Risul- tato: uno dei dipinti astratti che il maestro tedesco affianca alla altrettanto florida produzione figurativa, viene pagato una cifra enorme, grandiosa, tale da uscire dai giornali di settore e sfondare le pagine dei quotidiani generalisti, come una meteora che arrivi a rivelare la presenza di un mondo bizzarro, sconosciuto e apparentemente del tutto impermeabile alla crisi. C’è ancora qualcuno che di soldi ne ha. E parecchi, osserva l’uomo della strada. Ma davvero basta un capolavoro venduto per un sacco di soldi a dire che il mercato dell’arte non sente la crisi? Oppure ci sono confini ed equilibri che si stanno ridisegnando in un universo che, come è evidente, non è fatto solo di collezionisti sceicchi, ma anche di appassionati di medio livello o semplicemente di risparmiatori che cominciano a pensare a nuovi modi per investire qualche gruzzoletto? «Di certo quello dell’arte si è rivelato un mercato anticiclico», osserva a Tempi Claudio Borghi, economista ed editorialista del Giornale e docente di Economia degli intermediari finanziari ed Economia e mercato dell’arte presso la Cattolica di Milano. «Nel 2008 c’è stato un accenno di calo dei prezzi, ma si è trattato più che altro di una pulizia del mercato. Tanti nomi che andavano bene grazie a un’euforia generalizzata sono venuti meno ed è cominciata una selezione sulla qualità. L’ingres- Foto: Sotheby’s; AP/LaPresse Sopra, Abstraktes Bild (809-4) di Gerhard Richter, battuto all’asta per 21 milioni di sterline da Sotheby’s. A lato, l’edizione romana di Affordable Art Fair. Nell’altra pagina, visitatori di fronte a La Damme du Chien, opera degli anni Venti di K. Van Dongen so dei cosiddetti nuovi ricchi, provenienti dall’Est Europa o dai paesi arabi ha anzi alzato ancora di più l’asticella, tanto per gli artisti internazionali quanto per gli italiani». Negli stessi giorni in cui si batteva il già citato Richter, infatti, l’asta di 20th Century Italian Art faceva registrare un top price per Piero Manzoni (Achrome, 1959), acquistato per 4 milioni di sterline da Stefan Ratibor di Gagosian. «Quella dell’arte – spiega Giovanni Bonelli, giovane direttore dell’omonima galleria d’arte contemporanea con sede a Mantova – è una galassia in cui ci sono diversi pianeti. Ci sono fasce di collezioni diverse, progetti culturali diversi e potenziali clienti diversi. In questo momento ci sono certo in atto dei ridimensionamenti, ma anche delle opportunità. Quella ad esempio per una galleria d’arte di rivedere i propri progetti, di ricalibrarli, magari ridurre le spese a favore di un progetto più preciso. La crisi serve a selezionare». I pianeti diversi hanno anche pubblici e fini diversi. Perciò non ci sono solo le aste “stellari”, ma anche fiere o manifestazioni che fanno dell’accessibilità economica il proprio punto di forza. È il caso di Affordable Art Fair, la fiera di arte contemporanea nata una decina di anni fa e ora diffusa in 17 città del mondo proprio con l’intento di proporre arte “low cost”, con pezzi che non superano i cinquemila euro. Limite di spesa a parte, è l’approccio stesso a presentarsi come accessibile, nel senso di semplice, immediato. Il sito di AAF, la cui prima edizione romana si è conclusa a fine ottobre (10 mila visitatori e circa 500 mila euro di opere vendute), è espressamente rivolto a chi vuole avvicinarsi al mondo dell’arte, con tanto di istruzioni su cosa scegliere | | 14 novembre 2012 | 47 il tempo della creatività cultura di acquistare e come farlo. «Manifestazioni come Affordable Art Fair – riprende Borghi – possono essere utili per selezionare i gusti di un certo pubblico e, per i galleristi, per capire su quali artisti puntare. Spesso in quelle occasioni si trovano più che altro dei complementi d’arredo. Però a volte si trovano giovani interessanti. Io stesso ho acquistato all’AAF di Milano un’opera molto bella di Isabella Maria Vergani, un’artista molto promettente. C’è posto per tutti». Come scegliere? C’è posto anche perché cresce l’interesse intorno all’arte, in special modo quella contemporanea. E questo accade, secondo il professor Borghi, perché si è verificato un cambiamento che ha rivoluzionato il settore, allargandone ei confini e modificandone le regole. È il cambiamento tecnologico, ed è da lì che bisogna partire per capire cosa si è mosso nel mercato dell’arte nell’ultimo decennio, come Borghi argomenta nel libro che uscirà a gennaio per l’editore Sperling & Kupfer. «La banda larga di internet ha consentito il trasferimento di immagini di altissima qualità. Così si è aperta a tutti la visione del mercato. Sembra una banalità ma non lo è. Prima era l’esperto d’arte che doveva andare nella casa d’asta, confrontare il prezzo con quello trovato in galleria, andare alle fiere. Per sapere i costi e confrontarli doveva andare fisicamente nei posti giusti. Adesso gran parte di questa trafila si può saltare grazie alle nuove tecnologie. Anche il signor Rossi ormai può sapere facilmente che un quadro di un certo tipo in asta non è impossibile da trovare a 100 e questo gli dà un potere contrattuale diverso quando si trova di fronte a un mercante che gli chiede 300.». Così l’arte assume sempre di più le caratteristiche di un investimento. «Se di un bene posso conoscere e confrontare i prezzi – puntualizza Borghi – non sto spendendo ma sto investendo. Oltretutto col vantaggio che stiamo parlando di un bene reale: un quadro può conoscere oscillazioni di prezzo ma non fallisce, né si svaluta con l’inflazione». Come scegliere allora? Le fiere, anche le più piccole, possono essere un buon modo per iniziare. Oppure si può affidarsi ad un art advisor, una sorta di consulente che prende per mano sia il collezionista alle prime armi o che quello più maturo aiutandolo ad orientarsi nel mercato. «Ma prima di tutto – osserva Borghi – bisogna informarsi, studiare e poi aprire bene gli occhi e il gusto, perché non si può scegliere se non ciò che ci conquista. Il quadro ha un dividendo estetico. Non è saggio acquistare un’opera solo perché si pensa Alcune opere esposte alla Affordable Art Fair, la fiera di arte che propone opere sotto i cinquemila euro. Dall’alto, Willy Rojas, Sunny Side Up; Christina Thwaites, Cousins; Franca Giovanrosa, cittàltra #35; Prat Pons, Sugar free dopo dieci anni uno si esibisce ai matrimoni degli amici e l’altro vende dischi in tutto il mondo è legittimo porsi delle domande. E la domanda è: chi ha incontrato questo artista? Che progetti ha portato avanti?». Ed è qui che Bonelli osserva con amarezza quanto il mercato italiano sia ingessato quando si tratta di scoprire e far crescere nuovi talenti. «I musei sono pochi e gli investimenti sull’arte contemporanea bassissimi. In più, in un momento in cui ci sono sempre meno soldi dalle istituzioni, i privati che fanno qualcosa non vengono valorizzati. Basti pensare che negli Stati Uniti un’azienda che voglia donare un’opera a un museo ha degli importanti sgravi fiscali e da noi niente». che salirà di prezzo. Il quadro ci farà compagnia per un bel po’ di anni». Tanto dalla parte di chi compra, quanto da quella di chi vende il discorso della qualità ritorna centrale. «In un momento non semplice – rilancia Bonelli –, dove comunque la passione di un collezionista medio deve confrontarsi con ristrettezze economiche che prima non c’erano, fiere come AAF possono essere interessanti, ma serve una selezione. Sono convinto che ci sono dei giovani che costano poco e sono di grande qualità, però se dopo un certo periodo di tempo costano ancora poco vuol dire che c’è qualcosa che non funziona. Se ci sono due amici che cantano, entrambi bravi, ma Un bene di lusso o culturale? Come accade in tanti altri campi i momenti difficili impongono chiarezza su quale idea si abbia del paese e dei suoi talenti. «Consideriamo l’arte un bene di lusso o un bene culturale? Le accademie che ogni anno fanno diplomare centinaia di ragazzi cosa le teniamo a fare se non siamo in grado di proporre un mercato in cui i giovani artisti che valgono possano trovare spazio?». Per Giovanni Bonelli la provocazione apre alla sfida da raccogliere in prima persona. Per questo il 29 novembre aprirà una piccola succursale della propria galleria mantovana a Milano, quartiere Isola, in via Porro Lambertenghi 6, nello spazio che fu di un tempio dell’underground come Binario Zero. Si parte con una mostra sull’architettura radicale degli anni Settanta quando professionisti lungimiranti cominciavano a ragionare sulla città sostenibile. «Ci buttiamo nella mischia, convinti che in un momento così si debba rischiare su progetti coraggiosi». A proposito di nuovi progetti: a Milano ha appena aperto Cantiere del Novecento, nella storica sede della Banca Commerciale Italiana in piazza della Scala sono esposte 189 opere provenienti dalla collezione di Banca Intesa San Paolo. «Sotto – osserva Borghi – nel caveau dove un tempo c’erano i soldi, adesso ci sono i quadri. Direi che è una immagine significativa». Laura Borselli | | 14 novembre 2012 | 49 cultura il tempo della creatività sky lancia arte hd A tu per tu coi maestri C E poi: cosa è arte e cosa non lo è? C’è da corrugare la fronte, scomodare letture critiche e magari libri del liceo. Oppure si può iniziare a guardare e a godersela, l’arte. Consumando le scarpe tra mostre e musei oppure prendendo in mano il telecomando. Perché la risposta a quelle pur sacrosante domande non può che venire da un’esperienza e oggi i modi perché quell’esperienza diventi realtà in grado di coinvolgere sono sempre nuovi. A cominciare dalla televisione. È in fondo con questi presupposti e con l’idea che l’arte possa essere proposta in maniera popolare e fruibile che è nato Sky Arte HD, il primo canale televisivo italiano dedicato all’arte in tutte le sue declinazioni, visibile dal primo novembre a tutti gli abbonati Sky (che dispongono dell’HD nel proprio abbonamento) nei canali 130 e 400. L’esordio del nuovo canale, nei giorni in cui cade il cinquecentesimo anniversario della conclusione della Cappella Sistina, ha visto come protagonista proprio Michelangelo, interpretato da Rutger Hauer nella docufiction Il cuore e la pietra. Quella dedicata al maestro è una delle produzioni originali del canale, che volutamente abbracciano una varietà di campi e di pubblici. C’è spazio per l’arte contemporanea, con Potevo farlo anch’io, con il critico Francesco Bonami e il conduttore Alessandro Cattelan insieme in un viaggio nelle diverse esperienze sensoriali che l’ar- 50 os’è l’arte? | 14 novembre 2012 | | Roberto Pisoni, direttore di Sky Arte HD – è un grande impegno perché raccontare l’arte in televisione, in tutte le sue sfaccettature e in maniera nuova e originale, è una grande scommessa. Ma l’Arte, nelle sue molteplici espressioni, sia antiche che contemporanee, sia colte che popolari, è un’esperienza che migliora la te contemporanea suggerisce, provoca e vita e offre un serbatoio infinito di storie stimola tra capolavori spesso incomprensi- appassionanti che siamo fieri di offrire al bili, kitsch, folli o di una semplicità disar- nostro pubblico». mante. C’è il teatro con attori affermati, Sky Arte HD si avvarrà del contribuemergenti o in erba che nella produzione to di Enel, main sponsor del canale e dei Atto Unico, hanno l’occasione di mettere suoi programmi di punta, come è accaduto per Michelangelo. Il cuore e la pietra, in scena il monologo della loro vita. e che parteciperà attivamente alla realizA ciascuno il suo programma zazione di produzioni ad hoc come Corti E ancora la fotografia dei grandi italiani, di luce e gli speciali dedicati a Enel Condai fotoreporter ai paparazzi; e poi street temporanea, il progetto di arte contemart, musica, architettura design. L’obiet- poranea promosso dall’azienda. Sky Arte tivo è di riunire in un unico palinsesto ha stretto delle partnership con festival, molteplici espressioni artistiche per rivol- mostre e fiere, per raccontare i principagersi tanto agli appassionati quanto ai li eventi culturali italiani, quali il Festicuriosi che potranno avvicinarsi all’arte valetteratura di Mantova, Roma Euroin un modo nuovo attraverso le grandi pa Festival e Artissima. In base a un’inproduzioni internazionali (Sky Arts, BBC, dagine di mercato, la corazzata austraChannel 4, Arte, PBS, Sundance Channel) liana stima che Sky Arte HD possa risule, appunto, quelle originali del canale. tare interessante per l’8 per cento circa «Quello che ci prendiamo – ha spiegato della popolazione italiana (60 per cento donne e 40 per cento uomini). 4.200.000 persone con «Quello che ci prendiamo – ha spiegato 14 anni o più, un pubblico Roberto Pisoni, direttore di Sky Arte HD – è trasversale per età e risorse un grande impegno perché raccontare l’arte economiche, e con alto titoin tv in maniera originale è una scommessa» lo di studio. Sopra, a sinistra, una scena della docufiction Michelangelo. Il cuore e la pietra; a destra, Marina Abrahmovic; a lato, Jim Morrison l’italia che lavora Un’idea grande per i piccoli Due amiche, anni di lavoro dipendente e poi un giorno il coraggio di aprire un’attività nuova, più adatta per tempi e contenuti alla famiglia che cresce. Storia di Titti, Daria e uno spazio per mamme e papà moderni. Come una volta C i sono certe idee che accarezzi per un sacco di tempo, magari insieme all’amica che condivide con te l’intuizione che anima le chiacchiere del sabato mattina tra donne. E poi ci pensano le circostanze, o semplicemente una vita che cambia, a incastrare i pezzi di un puzzle sempre lasciato incompleto. Per Daria Polledri e Titti Orlandi è andata più o meno così. Amiche, mamme e imprenditrici. Esattamente in quest’ordine di tempo. Per Titti una laurea in Giurisprudenza e l’impegno costante (che va avanti ancora oggi) nell’azienda di famiglia attiva nel settore agricolo. Per Daria la professione di pubblicitaria dopo gli studi in Econo- 52 | 14 novembre 2012 | | mia e commercio. In mezzo, per entrambe, molti viaggi all’estero ma con la bussola sempre ben orientata su Milano. Nel passato di Daria c’è stata pure una partecipazione a Donnavventura, il format televisivo di viaggio al femminile in giro per il mondo. Daria vi partecipò nel 2006. Destinazione: Africa. Ma la vera avventura l’aspettava una volta tornata a casa. Perché, dopo otto anni a testa bassa nel campo della pubblicità, arriva un bambino e in quel momento a Daria succede quello che succede a molte donne nella stessa situazione: «Ho capito che non potevo né volevo più mantenere i ritmi di prima. Così ho iniziato a cercare un lavoro più adatto a me, come tempi e come conte- nuti». A quel punto si passano al setaccio le passioni, le forze e soprattutto le amiche. Daria e Titti hanno in comune il fatto di avere dei bambini (oggi sono a quota due a testa) e nutrire uno spiccato interesse per l’ambiente. Milano, da diversi anni a questa parte, è terra fertile per tutto ciò che è biologico, sostenibile, filiera corta e “verde” in senso lato. «Però secondo noi mancava – spiega Daria a Tempi – uno spazio in cui tutto questo mondo fosse declinato rispetto alle esigenze di bambini e genitori. E fosse fatto in maniera divertente e bella». Titti e Daria, infatti, non ci stanno all’idea che rispettare l’ambiente significhi costringere i figlioli a sollazzarsi con tristi giocattoli o scialbi vestiti organici, con un’attenzione che se mette a posto le coscienze dei grandi mortifica il divertimento dei piccoli. Così si impegnano a immaginare un posto in cui vendere oggetti attenti all’ambiente (dal cibo ai giocattoli, passando per i vestiti) e contemporaneamente organizzare momenti educativi e di gioco per genitori e bambi- Daria Polledri (sopra), insieme all’amica Titti Orlandi ha fondato l’anno scorso Parents Eco Shop a Milano in via Molino delle Armi, 41. Uno spazio in cui si svolgono incontri e corsi per bambini e genitori e si vendono prodotti per l’infanzia con un occhio attento all’ambiente ni. Perché una cosa è la moda del “verde”, che potrà anche smorzarsi tra un po’ di anni, un’altra cosa è l’educazione a uno stile di vita sano. È questa l’idea di fondo di Parents Eco Shop, negozio e mini club milanese con uno slogan che vale più di mille descrizioni: genitori moderni, come una volta. «Abbiamo aperto nel settembre 2011, quando abbiamo trovato lo spazio in via Molino delle Armi, 41». A due passi dalle colonne di San Lorenzo e dal Parco delle Basiliche, il luogo è ideale per le mamme che vogliono fare una sosta. C’è chi si ferma incuriosito dal design accattivante delle vetrine che danno sulla strada. C’è chi viene apposta per frequentare alcuni dei corsi che anche quest’anno hanno fatto registrare il tutto esaurito. Come lo yoga in gravidanza e quello per mamme e bambini, il massaggio neonatale, le conferenze dei professionisti su temi legati alle problematiche infantili. E ancora: laboratori di teatro e di cucina, in libreria dizionario A scuola di bambinese, la lingua che non si finisce mai di imparare «Mamma vai al Batman?». «Io sono famoso». «Vorrei dei porn corn». «Dai, vediamo Harry Potter e la pietra filosofare». La prima frase è il tentativo di mostrare che sanno che stai andando al Bancomat. La seconda è una locuzione per “affamato”. La terza non è una richiesta a luci rosse ma un’improvvisa voglia di pop corn. E l’ultima una pressante richiesta di non perdersi la prossima puntata del maghetto più famoso del mondo. Quel che i bambini dicono solo le mamme capiscono, almeno nei primi tempi. Sono loro, spesso, a decifrare e annotare le acrobazie linguistiche dei propri figli per fornirne traduzione al resto della famiglia. È quello che ha fatto Daria Polledri insieme a Francesca Del Rosso. Da questo lavoro e dalla messa in rete di queste conoscenze con quelle di altre mamme è nato il primo Dizionario bilingue italiano-bambinese, bambinese-italiano (Mondadori, 190 pagine, 12,90 euro), una lettura esilarante e istruttiva, grazie ai consigli della logopedista per capire tutto quello che c’è da capire sulla lingua dei piccoli. Da completare con le acrobazie linguistiche dei propri piccini. Perché il bambinese è una lingua che non si finisce mai di imparare. [lb] Italianobambinese D. Polledri, F. Del Rosso Mondadori 12,90 euro corsi di percussioni, di riciclaggio creativo, corsi-gioco in inglese, spagnolo e cinese. Una girandola di attività che interessa bambini da 0 a 8 anni, che qui possono anche venire a festeggiare il compleanno, colonizzando allegramente questo edificio settecentesco con soffitti a cassettoni e cortiletto d’epoca. Un’avventura che è anche una lotta «Alla fine finisce che si lavora più di prima», osserva Daria. «Titti ha appena avuto il secondo figlio e ora abbiamo anche una nuova compagna di viaggio, Rita Costa». Di cose da fare ce ne sono parecchie. Dalla contabilità, di cui si occupa principalmente Titti, allo scovare le novità commerciali più interessanti per clienti sempre più esigenti. E poi selezionare i professionisti che animino gli incontri e i laboratori. A poco più di un anno di distanza dal grande salto da lavoratrici dipendenti a imprenditrici, un bilancio è d’obbligo. «I corsi sono tutti pieni, il riscontro dei clienti è ottimo, ma non è tutto così semplice». Tanto per Titti quanto per Daria, e ora anche per Rita, il sostegno di mariti e compagni è fondamentale. «Sono con noi sia negli investimenti che nello “spirito”, perché questa avventura è anche una lotta». L’entusiasmo della passione deve infatti confrontarsi con una realtà in cui le contraddizioni non mancano, anche per chi ha oggettivamente avuto coraggio a mettersi in proprio in un momento tanto deludente per il mercato e in cui, sono i dati diffusi dall’Istat la settimana scorsa, per il 2012 si prevede un ulteriore calo dei consumi (-3,2 per cento) e un parallelo aumento della disoccupazione, che dovrebbe arrivare al 10,6 per cento nel 2012 e all’11,4 per cento nel 2013. «Il mercato ci apprezza e diamo lavoro a tante persone che gravitano intorno a questo posto, eppure le tasse e gli adempimenti burocratici a volte ti fanno venire voglia di mollare tutto. Quest’ultimo aumento dell’Iva, per esempio, è proprio la ciliegina sulla torta che non ci voleva». Laura Borselli | | 14 novembre 2012 | 53 GREEN ESTATE CINEMA TRATTORIA ARLATI, MILANO Un’esperienza affascinante Red Lights, di Rodrigo Cortés Thriller semplice e ben diretto di Tommaso Farina M etti una sera a cena, a sgranocchiare un risotto al salto in una saletta alla De Chirico. E magari la possibilità di ascoltare buona musica. Leopoldo Arlati detto Leo IN BOCCA si diverte un sacco a continuare il mestiere che era di suo paALL’ESPERTO dre Mario e, prima ancora, dei nonni Luigi (Luisin) e Modesta: mandare avanti un ristorante-trattoria di cucina tradizionale alla Bicocca, quartiere periferico di Milano, un tempo industriale e oggi residenziale. Proprio nel 1936 nacque la Trattoria Arlati: Luigi e Modesta decisero di smettere di lavorare alla vicina Pirelli, per iniziare a dar da mangiare ai loro ex colleghi risotti, ossibuchi e salame. Col tempo il quartiere cambiò, arrivò il figlio Mario che nel seminterrato aprì una saletta in cui si faceva anche musica (tra gli ospiti, un ancor poco conosciuto Lucio Battisti), e poi il figlio Leo e il resto della famiglia, che hanno mantenuto intatta l’impronta delle origini. Arlati oggi è un ambiente fascinoso, pieno di opere di arte contemporanea e di delizioso “bric à brac” da osteria. Leo e il suo staff vi assisteranno cordialmente in cravatta, porgendovi una carta che non rinnega l’imprinting milanese di cucina. Partite col grande antipasto misto, comprendente salame e coppa, qualche ricciolo del buonissimo paté di fegatini della casa, poi i nervetti e i sottaceti. Di primo, riso al salto, oppure risotto con l’ossobuco, o ancora la zuppa d’orzo o altri piatti “di inventiva”. Qui però si deve fare una sosta per gli imperdibili gnocchi al sugo rosso, forse i migliori della città, morbidi come una nuvola, conditi con una salsa “cipollosa” che ha il fascino di quella della nonna. Continuate con gli ossibuchi (anche senza risotto); con la salsiccia in umido con funghi chiodini; con la costoletta alla milanese. Di dolce, meringata al cioccolato, e crema catalana. Cantina ricca di rossi di spessore, serviti anche a calice, e alcuni imbottigliati appositamente da una buona azienda del Monferrato astigiano. Conto di 45 euro. Esperienza affascinante. Per informazioni Trattoria Arlati www.trattoriaarlati.it Via Alberto Nota, 47 – Milano Tel. 026433327 Chiuso la domenica e sabato a pranzo tare direttamente tra la gente una filosofia di vita “a impatto zero”. Il periodo pre-natalizio è certamente l’occasione giusta per visitare il mercatino “green” che sbarcherà a Milano nei giorni 14-15-16 dicembre, presso il suggestivo sito di archeologia industriale della Fonderia Napoleonica Eugenia, nel cuore del vecchio quartiere Isola. A passeggio tra gli stand nella fabbrica ottocentesca sarà difficile non farsi conquistare dalle diverse proposte eco-fashion adatte a tutte le tasche: abiti e accessori selezionati col cri- HUMUS IN FABULA A MILANO Un eco-mercatino per grandi e piccini Arriva Green Christmas, originale mercatino all’insegna di uno stile di vita “naturale” a 360 gradi. Tre giorni per curiosare tra capi d’abbigliamento eco-fashion, oggetti di design bio-ecologico e prodotti bio-cosmetici. Ma anche tante occasioni culturali, con workshop e conferenze che intendono por- 54 | 14 novembre 2012 | | Due investigatori dell’occulto cercano di smascherare un santone. Thriller paranormale interessante, almeno per certi versi. La storia è semplice: Sigourney Weaver e Cillian Murphy giocano a fare Dylan Dog. Sono scettici e un po’ rigidoni (ma la Weaver spacca sempre e a 63 anni suonati ha ancora carisma da vendere). Inseguono finti fantasmi e nonna Sigourney sembra essere tornata dalle parti del mitico Ghostbusters. Poi entra in scena De Niro nei panni di HOME VIDEO I tre marmittoni, di Peter e Bobby Farrelly Una dose di noia Tre fratelli goffi e un po’ fessi cercano di salvare l’orfanotrofio in cui sono cresciuti che sta per chiudere. Film omaggio dedicato al terzetto protagonista delle comiche degli anni Trenta. Dirigono i fratelli Farrelly che si impegnano a non cadere nella volgarità loro solita e a rispettare invece il candore di quelle comiche irripetibili. Il risultato è un film lineare, ripetitivo, candido e naif ma che purtroppo non fa mai ridere e trasmette una certa dose di noia. terio della sostenibilità e per gli standard di qualità, stile, creatività e attenzione alla filiera produttiva, con riutilizzo di materiali di recupero o valorizzazione di tecniche artigianali. Fibre organiche, tinture vegetali, creazioni che esplorano l’anima green della moda per una scelta più consapevole e più rispettosa nei confronti della natura. Visitando Green Christmas scoprirete che anche la cura del corpo passa per il rispetto dell’ambiente grazie alle linee cosmetiche bio, composte da selezionati ingredienti naturali. In questo modo capelli, viso e corpo sono più belli, con un sentito ringraziamento da parte della natura. Non mancheranno oggetti e piccoli complementi d’arredo domestico a zero impatto ambientale. Per completare il quadro anche occasioni di approfondimento culturale per imparare e divertirsi sui temi del vivere “green” a 360 gradi. I visitatori avranno inoltre la possibilità di vedere lo spazio museale realizzato negli antichi ambienti di lavoro della fabbrica, dove sono conservati documenti, fotografie, strumenti e attrezzature legati all’attività fusoria. Ingresso e visita guidata gratuiti. STILI DI VITA CELEBRAZIONI un santone cieco e i fantasmi, almeno quelli del passato, sembrano esserci per davvero. Lo spagnolo Cortés, che oltre a dirigere scrive e produce, ha una discreta mano nel thriller. Ha alle spalle un tentativo interessante anche se irrisolto come Buried e maneggia sufficientemente bene colpi di scena e attori. Tutti bra- vi compreso De Niro che dimostra mestiere e bravura in una parte piuttosto simile al Luis Cyphre di Angel Heart grazie a cui ci fa dimenticare le sue inguardabili interpretazioni degli anni Duemila. visti da Simone Fortunato SPORTELLO INPS In collaborazione con Tutto quello che bisogna sapere I requisiti previsti nel 2013 per la pensione di vecchiaia sono 66 Il regista Rodrigo Cortés di Annalena Valenti Q uest’anno si celebra il bicentenario della pubblicazione della prima raccolta di MAMMA OCA fiabe dei fratelli Grimm. Che per l’occasione sono state ripubblicate in tutto il mondo. In versioni più modernamente accattivanti, immagini raffinate e patinate, nude look, matite che dipingono i fatti come se non esistesse il senso delle cose: difficile pensare che siano destinate ai bambini. In lingua inglese è uscito, nella sua terza edizione, rinnovata, soprattutto nell’immagine di copertina, da paragonare alla versione 1988, The complete fairy tales, che raccoglie tutte le fiabe, 279, tradotte da Jack Zipes, professore di germanistica e profondo conoscitore dei fratelli Grimm. La Donzelli ne traduce e pubblica una selezione: La principessa Pel di Topo e altre 41 fiabe da scoprire, scelte tra quelle meno note. La selezione fatta, in versione illustrata a scapito delle oltre 1.000 pagine del libro di Zipes, poco illustrato ma completo, alcune fiabe note associate ad altre tra le più inquietanti e macabre, e le illustrazioni di F. Negrin, ne fanno un libro che pare più per i grandi, una volta veri destinatari delle fiabe. Anche Philip Pullman traduce e riscrive cinquanta delle fiabe dei fratelli Grimm, le sue preferite, nel libro Grimm tales for young and old, che verrà tradotto da Salani nel 2013. mammaoca.wordpress.com DOMANDA & RISPOSTA Il calcolo della pensione Ad agosto 2013 compirò 66 anni con 36 anni di contributi. Quando posso andare in pensione? Esiste una tabella da consultare che non sia complicata da analizzare? Pasquale M. Le raccolte dei fratelli Grimm invia il tuo quesito a [email protected] anni e 3 mesi e almeno 20 anni di contribuzione. Lei potrà quindi senz’altro andare in pensione dal 1° dicembre e potrà trovare conferma di questo sul sito www. inps.it, nell’area dedicata alla Riforma delle pensioni, in cui troverà una tabella riassuntiva dei requisiti anno per anno, di semplicissima lettura. Ho fatto domanda di disoccupazione dopo aver pagato contributi per 21 anni, e assisto un fratello disabile: il patronato non ha inoltrato la domanda nei tempi prestabiliti. Dopo 68 giorni l’Inps mi ha convocato dicendo che la do- Sono un lavoratore del pubblico impiego, sono nato nel gennaio 1958, lavoro ininterrottamente da oramai 20 anni. Anche se ancora giovane, vorrei sapere quando potrò andare in pensione e se subirò una penalizzazione. Grazie. Francesco L. manda era respinta per scadenza dei tempi. Il ricorso all’Inps è stato respinto e il patronato si nega e non risponde. Cosa devo fare? Cinzia T. In caso in cui da un errore o un’omissione di qualunque soggetto abilitato che curi gli interessi di un cittadino, derivi un danno all’interessato, la responsabilità è di chi ha commesso l’errore, su cui la persona danneggiata deve rivalersi. Purtroppo nel suo caso, non essendo stata presentata nei termini previsti, la domanda di disoccupazione non può essere accolta. Come lei stesso riconosce, è ancora molto presto per parlare di pensione. Se le norme attuali rimarranno invariate per il prossimo futuro, lei riuscirà a ottenere la prestazione pensionistica dopo aver raggiunto 43 anni e due mesi di contribuzione, senza alcuna penalizzazione. | | 14 novembre 2012 | 55 PER PIACERE DALLA SREGOLATEZZA ALLA CONVERSIONE La vita spericolata di Camilla Bravi testimone dell’amore infinito di Dio AMICI MIEI di Germano Di Michele «È MUSICA Ecco, l’ultimo disco di Niccolò Fabi Ci sono dischi che scalano le vette delle classifiche ma che si spengono come fuochi d’artificio lanciati nel cielo di una calda notte d’estate. Ce ne sono altri che fanno meno clamore ma il cui fascino cresce man mano che si ascoltano: quella musica e quelle parole diventano le tue parole, l’espressione più compiuta di quello che non si sarebbe potuto dire in maniera migliore. Chi comprerà Ecco (Universal Music Group), l’ultimo disco di Niccolò Fabi realizzato in tre settimane in Salento, nello studio di Roy Paci, potrà sicuramente vivere questa esperienza. Undici tracce suonate con gli amici (musicisti) storici, ballate stile anni Settanta con forti influenze folk. Ma lo splendore è tutto nelle parole del cantautore romano, capace di offrire un quadro chiaro e mai cinico dei nostri tempi e di guardare tutto con «occhi che ancora ringraziano di essere qui». Mario Leone Twitter: @maetroleone TURISMO PATRIMONIO NAZIONALE Perché non sappiamo vendere la nostra storia all’estero? Cultura e turismo. Un rapporto complesso in Italia. Chi vende il prodotto turistico Italia all’estero afferma con insistenza che il nostro paese non sa vendere il suo patrimonio. Programmazione e organizzazione sono le parole chiave per il turismo culturale il 15 maggio 1925 quando Camilla Bravi apre la finestra e sale sul davanzale con il chiaro intento di lanciarsi nel vuoto; rimasta in bilico dice a se stessa: “Fatti coraggio, Milla, un ultimo sforzo…”, ma a quel punto sente chiaramente “Qualcuno” che per tre volte le tocca la spalla. Si gira di scatto… non c’è nessuno. Si butta allora sul letto implorando: “Madonnina mia, salvami tu!”. Il mattino dopo Camilla si ritrova inginocchiata in mezzo alla stanza, le mani giunte in preghiera. Una profonda pace abita ora il suo cuore». Il mio destino è amore (Ancora, 240 pagine, 18 euro), l’ultimo racconto di Ambrogio Amati, rielabora in forma narrativa i testi originali di Camilla Bravi, l’autobiografia e il diario. È la storia di una donna normale che percorrendo le strade del peccato raggiunge, attraverso un lungo cammino di conversione del cuore, le vette della mistica cristiana. Dopo una breve infanzia felice, Camilla perde il padre che è ancora bambina, poi si sposa, ma il matrimonio si rivela sbagliato fin da subito: sarà la Grande Guerra a separare i coniugi. Camilla, donna appariscente e attraente, cerca fortuna nel teatro. E da quel momento inizierà una vita fatta di vizi, droghe, amanti. Camilla conduce una vita sregolata, difficile, ma che la soddisfa, almeno per quanto riguarda il suo lavoro di attrice: arriverà a lavorare, infatti, anche al fianco di Greta Garbo. Una soddisfazione che alla lunga si trasforma in un peso che la schiaccia e la porta per due volte al tentato suicidio. La prima volta verrà salvata e internata in manicomio. Ristabilitasi, a causa della sua fragilità, ricadrà ancora una volta nella rete della “bella vita”. Fino a quel 15 maggio 1925, il giorno della sua conversione. Camilla morirà nel 1971, dopo avere vissuto l’ultimo periodo quasi sempre allettata ma cercando fino all’ultimo di «trasmettere un barlume di luce all’oscurità delle coscienze» poiché «Dio è l’Amore e la misericordia infiniti. Egli non nega mai l’illimitata ricchezza del suo perdono all’anima contrita che glielo chiede». La vicenda attualissima di Camilla Bravi «si fa allora faro nel buio del male dicendoci che per tutti, in ogni condizione di vita e di peccato, c’è una Speranza». italiano, necessarie per riuscire a “vendere” la penisola all’estero. Quando si parla di cultura e turismo anche i buyer sottolineano lo schiacciante predominio dell’Italia rispetto alle altre mete concorrenti. L’Italia è la più ricca destinazione al mondo sotto diversi aspetti: dalla cultura all’arte, dalla storia al lifestyle, dalla cucina al folklore. Alvaro Pisoni, presidente di Spirit of the place (Stati Uniti), afferma che «se un altro paese avesse uno solo dei siti culturali che ha l’Italia lo renderebbe l’attrazione più conosciuta al mondo; IL LIBRO invece spesso succede che in Italia il patrimonio sia chiuso, abbandonato e addirittura in rovina. Il problema dell’Italia dice Vince di Calogero, titolare di Italierond reizen (Olanda) è che paradossalmente ci sono tantissime proposte, troppa scelta. I numeri gli danno ragione: 3.440 musei, 46.025 beni architettonici vincolati, 12.375 biblioteche, 34.000 luoghi di spettacolo e 47 siti Unesco secondo gli ultimi dati di Federcultura. A fronte di un gigantesco patrimonio culturale, l’errore è – secondo i buyer interna- zionali – quello di continuare a ragionare seguendo un mix tra nanismo e localismo che crea un insormontabile ostacolo alla vendita. Così la promozione sui mercati più lontani risulta debole e la commercializzazione mondiale viene studiata male o addirittura non viene effettuata, nonostante le potenzialità infinite. Da parte nostra non finiremo mai di urlare alle piccole orecchie di chi ci governa che se dobbiamo crescere in economia il turismo va considerato con maggiore serietà e capacità. Walter Abbondanti | | 14 novembre 2012 | 57 DI NESTORE MOROSINI MOBILITÀ 2000 COMPATTA SUZUKI DI 3 METRI E MEZZO Alto, tre cilindri per la “cittadina” S uzuki desiderava un’autentica cittadina. Ed ecco in listino una versione nuova della Alto: quella con motore 1.0 Vvt, tre cilindri con doppio variatore di fase (Variable Valve Timing), per migliorare l’erogazione e i consumi. È sotto il cofano, infatti, che troviamo la novità più importante di questa piccola e scattante vettura di appena 3 metri e mezzo di lunghezza. Il propulsore mantiene la potenza e la coppia della versione precedente (68 cavalli per 90 Nm) ma, grazie al variatore, c’è un miglioramento nella risposta ai comandi dell’acceleratore, per una maggiore facilità di guida nel traffico cittadino. A giovarsene sono soprattutto consumi ed emissioni. Secondo quanto dichiarato dalla Suzuki, infatti, il consumo nel ciclo urbano passa da 5,5 a 5,2 litri per 100 chilometri, mentre in quello combinato scende da 4,4 a 4,3. Le emissioni medie di Co2 calano invece da 103 a 99 grammi/chilometro. In più, per chi lo vo- Vista anteriore e posteriore della Suzuki Alto. Nella foto centrale la plancia con strumentazione. Sul mercato a partire da 7.995 euro lesse, è disponibile anche la versione con Start&Stop con una media di 4,1 litri per 100 chilometri e 94 grammi/chilometro di Co2. Alto 1.0 Vvt è proposta in quattro allestimenti (L, Gl, Glx e Start&Stop), con cambio manuale o automatico a scelta. Otto le tinte disponibili per la carrozzeria e nuovi dettagli per gli interni, arricchiti da una nuova plancia, da moderni rivestimenti per i sedili e da numerosi portaoggetti. Tutte le versioni si avvalgono di diverse tecnologie per la sicurezza, tra cui 6 airbag, Abs e controllo di stabilità. Il controllo di trazione è per la sola Glx. | | 14 novembre 2012 | 59 UN ALTRO MONDO è POSSIBILE al capezzale di un diciottenne La croce di César gli ha restituito la capacità di amare di Aldo Trento E ro in Italia quando un pomeriggio suor Sonia, l’angelo della Clinica San Riccardo Pampuri, mi ha telefonato e con voce piena di commozione mi ha detto che César, un ragazzo di 18 anni, malato di cancro, era morto. Non potevo credere alle sue parole perché i miei malati terminali di solito mi aspettano per morire. Ma come ho sperimentato più volte nella mia vita, il Mistero agisce attraverso l’imprevisto. Per questo motivo ogni giorno, o meglio ogni istante esige dalla mia libertà un’attenzione grande nel vivere le circostanze che Lui stesso mette sulla mia strada. «Signore sia fatta la Tua volontà» è stata la mia unica risposta a suor Sonia prima di chiudere la comunicazione. La stessa risposta che ha dato la mamma di César quando dopo otto mesi di ricovero suo figlio morì. Non si allontanò mai dal letto nel quale César è cambiato, giorno dopo giorno, passando dal rifiuto della madre che vedeva come colpevole della sua malattia all’accettazione amorosa di lei. César è nato nella città di Arroyos y Esteros, dipartimento di Cordillera. È vissuto lì, fino ai tredici anni, nella casa del suo patrigno, con sua mamma e i suoi fratelli, più tardi è andato a vivere in casa di alcuni parenti a San Lorenzo. Frequentava l’ottavo grado della scuola primaria quando decise di smettere di studiare e cercarsi un lavoro. Ha dovuto lavorare fin da molto giovane perché la sua famiglia ha scarse risorse economiche. Lavorava trasportando sulla schiena grandi pezzi di carne bovina. Un giorno si è accorto che incominciava a crescere una tumefazione sulla spalla sinistra, ha pensato che fosse a causa dell’enorme peso che caricava tutti i giorni e decise di schiacciarla pensando che sarebbe sparita, ma invece è cresciuta ancora di più, fino a raggiungere il volume della sua stessa testa. La sua famiglia e i suoi amici organizzarono iniziative come lotterie e tornei di calcio per sostenere economicamente il trattamento di cui César aveva bisogno. Risultò essere un cancro piuttosto aggressivo con un quadro molto serio. In una delle visite il medico che lo seguiva gli suggerì di operarsi e gli chiese: «Preferisci morire o rimanere senza un braccio e vivere un po’ di più?». 60 | 14 novembre 2012 | | POST APOCALYPTO Leon Rupnik, La deposizione (particolare) 2006, Madrid, Cattedrale di S. Maria Reale dell’Almudena César rispose: «Vorrei vivere, mi tagli il braccio». Questa decisione non fu per niente facile, in molte occasioni ci diceva che non avrebbe voluto perdere il braccio, ma se questa era la condizione per continuare a vivere accettava l’umiliazione di rimanere senza. Ha dovuto percorrere una lunga strada per accettare questa menomazione. Quando entrò nella clinica voleva togliersi la vita, era stufo di tanto dolore del quale non capiva il senso. Tuttavia pian piano, grazie all’affetto che tutti gli hanno dimostrato è maturato fino a tornare ad amare la vita, così come il Mistero gli si stava manifestando. È stata una strada molto lunga di conversione non soltanto per lui ma per tutti, perché una persona davanti a tanto dolore non poteva non sentirsi provocata chiedendosi: su che cosa si fonda la nostra consistenza? Qual è la ragione per la quale viviamo? Quale il senso del cancro che porta César alla morte a soli 18 anni di età? Sono domande che la realtà nella quale vivo mi pone continuamente, costringendomi a gridare “Tu o Cristo mio” o come diceva san Gregorio Nazianzeno: «Se non fossi tuo, Cristo mio, mi sentirei creatura finita». La morte di César è stata per me una grande sfida. Una vol- ta ancora ho sperimentato che l’unica cosa che compete alla mia libertà è quella di dire sì al Mistero che si manifesta con la sua povertà in tutte le circostanze. Vicino a César quel giorno c’erano suor Sonia e l’architetto della Sagrada Familia di Barcellona Jordi Faulí i Oller, venuto per verificare come concludere la nuova clinica, progetto che sta portando a termine in compagnia dello scultore, anche lui della Sagrada Familia, Etsuro Sotoo. Suor Sonia e Jordi ci hanno lasciato una testimonianza che desidero condividere con i lettori. [email protected] «T i voglio bene mamma». Sono state le ultime parole che César ha pronunciato prima di partire verso il Paradiso. Noi che abbiamo convissuto con lui abbiamo toccato con mano la presenza dell’Altissimo, abbiamo visto la gloria del Signore che manifesta la Sua grazia, siamo stati testimoni della grandezza di un miracolo che aumenta la nostra fede e ci sommerge nella certezza abbracciata da sant’Agostino: «Ci hai fatto per te, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te» (Confessioni I, 1,1). Il cuore di César viveva inquieto. Fin dal suo I primi tempi della malattia César non lasciava avvicinare sua madre. Durante gli ultimi giorni della sua vita la perseveranza della sua mamma ha cominciato a manifestare i suoi frutti. Lui la chiamava in ogni momento, fino a che un giorno l’ha sorpresa dicendole con la tenerezza di un figlio grato: «Ti voglio bene mamma» arrivo alla nostra Casa Divina Provvidenza, lo abbiamo visto combattere una lotta affannosa per trovare risposte ai suoi urgenti punti interrogativi: «Perché a me? Perché il mio braccio? Perché mia mamma? Perché mio papà?». Non è facile parlare di César, per questo motivo prima di farlo mi sono inginocchiata implorando al Signore e a César la grazia di poter condividere quello che, guardando lui, mi ha aiutato e mi aiuta a innamorarmi sempre più di Cristo. Carrón ci ripete spesso: «Non aspettiamoci un miracolo ma un cammino», e sia César sia sua mamma ci hanno testimoniato un cammino, un cammino che se seguito con fedeltà, essendo seri con l’inquietudine costitutiva del cuore, nel tempo offre i suoi frutti, frutti abbondanti, semi di vita eterna per molti. César portava dentro di sé una ferita che lo allontanava da sua madre, non la voleva vicina perché non riusciva a perdonarla. I primi tempi non la lasciava nemmeno sedersi al suo fianco, lei doveva passare ore fuori dalla stanza pregando, creando braccialetti, portachiavi o aiutando a cucire vestiti per i pazienti, ma le mandava sempre messaggi attraverso il cellulare chiedendole dov’era. Sono stati otto mesi di lotta durante i quali César si rifiutava di ac- cettare la realtà che gli toccava vivere, mentre sua madre stava lì, giorno e notte, soffrendo dolori morali, spirituali e fisici. Lei stava sempre lì, assistendolo in tutte le sue necessità, aiutandolo nei compiti della scuola, partecipando alle catechesi dei parenti, la preghiera del Rosario, la Santa Messa, le processioni e i momenti di adorazione del Santissimo, confessandosi e imparando che Cristo è una presenza che si riconosce e si ama nei dettagli della vita. Sua madre ha fatto un cammino verso la fede che la aiutava a rimanere in piedi vicino alla croce di suo figlio. Una settimana prima di morire César mi ha detto: «Qui io ho conosciuto Dio, prima non sapevo molto di Lui. Grazie a Lui io sono venuto qui, per un qualche motivo mi sono ammalato ed è successo quello che mi è successo, Dio sa quello che fa». Per me è stato come se in quel momento scorgesse con chiarezza la risposta a tutti i suoi “perché.” I sacramenti, senza dubbio, sono stati un’arma adeguata per raggiungere questa certezza nel tramonto della sua vita. Il primo maggio, giorno dell’anniversario della Clinica, insieme a Gabriel, di 19 anni, aveva ricevuto il sacramento della Cresima. Riceveva la comunione tutti i giorni. Spesso leggeva la Bibbia e recitava il rosario, ma aveva anche al suo fianco una compagnia di amici che condivideva con lui le sue gioie e le sue tristezze. César sorrideva e scherzava con tutti ma a volte, nella solitudine della sua stanza, lo trovavo che piangeva dicendomi che non voleva più continuare a soffrire, che voleva guarire. Chi di noi poteva spiegare il suo dramma? Ricordo una sera che sono salita in clinica e l’ho visto con la testa china seduto sulla sedia della portineria, quando mi sono accorta che stava piangendo gli ho chiesto perché e mi ha detto in un torrente di lacrime: «Non voglio morire, non voglio morire ancora, io voglio che Dio mi conceda un miracolo come ha fatto con Celeste, io voglio vivere ancora, voglio studiare, lavorare, non voglio morire». Siamo rimasti abbracciati a lungo, in silenzio, poi l’ho invitato a mangiare una pizza e siamo scesi in pizzeria. Ho percepito che di fronte ad un dramma così grande che svegliava tutta la mia impotenza ed elevava il mio sguardo verso l’Infi- nito, l’unica cosa che potevo fare era offrirgli un’amicizia che potesse sostenere il suo grido. Quella sera durante la cena ci confidò tutta la sua storia, un racconto che mi ha spinta a domandarmi piena di commozione: «Chi è lui? Chi sono io? Chi è Cristo per me?». Alla fine, durante gli ultimi giorni della sua vita la perseveranza della sua mamma ha cominciato a manifestare i suoi frutti, lui la chiamava in ogni momento perché si sedesse al suo fianco, lo accarezzasse così da poter dormire, non voleva che si allontanasse neanche per un minuto. César mi ha chiesto di fargli una foto con lei per metterla sul suo tavolino, fino a che un giorno l’ha sorpresa dicendole con la tenerezza di un figlio grato: «Ti voglio bene mamma». Queste parole tanto semplici hanno la Sua potenza nel miracolo di un cammino di conversione che ha permesso a César di perdonare e di amare fino all’eternità, e a sua madre di credere nella ricompensa dei figli di Dio che dà con abbondanza a quelli che rimangono in Lui. Grazie César, grazie Raquel, perché guardandoli, il mio amore a Cristo vuole essere più profondo e più reale, e il mio cuore inquieto desidera ancora una volta affermare col salmista: «O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora io ti cerco, ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne in terra arida, assetata, senz’acqua». suor Sonia César dà generosamente la mano. I suoi occhi, Il suo ampio viso, esprimono dolcezza, sono dolcezza, vogliono e donano affetto, dal cuore, hanno Dio. Sono amore, vogliono e donano amore Respirano, aiutano. Sono, esistono, per tutti, per sempre, Vivono! Un nido di passeri appare stamattina alla finestrella del bagno, mangiano e volano, volano, come lui. Jordi | | 14 novembre 2012 | 61 LETTERE AL DIRETTORE Se lo Stato finanzia la scuola libera fa del bene a se stesso (Einaudi) L’ articolo di Chiara Sirianni intitolato “Monti contestato dalle famiglie numerose: ‘Le spese per gli animali sono detraibili, quelle per i figli no’” pubblicato su tempi.it è pieno di errori. Vi comunico che: 1) le spese per il mantenimento degli animali da compagnia NON sono detraibili; 2) sul cibo e gli altri prodotti per animali l’aliquota Iva è al massimo, come per i beni di lusso; 3) gli animali da compagnia NON ricevono nessuna prestazione dal Servizio sanitario nazionale e tutte le cure mediche veterinarie sono a totale pagamento; 4) una piccola parte delle spese mediche veterinarie è detraibile, nell’ottica di un controllo della salute pubblica; 5) noi i gatti li castriamo, per evitare la sovrappopolazione. E non siamo specisti. Anna Mannucci via internet Chiara ha risposto in questo modo: Gentile Anna, come avrà notato la frase sulle spese detraibili è virgolettata, sia nel titolo che nel testo dell’articolo. Ragion per cui, qualora fosse interessata a intavolare una discussione sul tema castrazione o altro, la rimando a Mario Sberna, presidente di Anfn, di cui ho riportato la posizione. Amicone: Hai un bel coraggio a dare filo all’animalista “non specista” per cui cani, gatti ed esseri umani pari sono. Anche solo un cent di spese veterinarie dovrebbe essere vietato detrarre e, anzi, per ogni animale che hai ti tocca la “tassa Paola Bonzi”. Famo un forfait: hai un cane, un gatto, un pappagallo? Paghi l’Im- posta minima animale per far venire al mondo un povero cristo di cui la povera crista immigrata sarebbe costretta a disfarsi. Ps. Il direttore sdoppiato non ha nulla da aggiungere, eccetto questo: gli introiti Ima (imposta minima animale) andranno versati ai Centri di aiuto alla vita. 2 Leggo sbalordito il virgolettato a pagina 21 del numero 43, dove Foschi indica come beffa l’offerta dei 15 giorni di ferie in più per gli insegnanti a fine anno scolastico: ha ragione perché quei giorni sono già di ferie! Provi ad andare a giugno o a luglio in una qualsiasi scuola elementare, media o superiore (ops, primaria o secondaria o come vuole il prossimo ministro) e veda le presenze dei docenti. Se come dicono alcuni insegnanti, le ore effettive di lavoro sono addirittura più di 40, facciamo in modo che le stesse vengano effettuate a scuola, e non a casa, ottenendo il doppio risultato di evitare continui viaggi scuola-casa-scuola e creando almeno 500 mila nuovi posti di lavoro impedendo loro di effettuare il secondo lavoro. Andrea Baldazzi via internet Ha un bel coraggio a mettersi contro un comparto di un milione di addetti. Sono bei voti. Ma effettivamente, pur senza generalizzare (per esempio sul doppio lavoro), c’è del sano nello sbalordimento di Baldazzi. li pubblicati su Tempi online. Però da quando avete – giustamente – ammodernato il sito sono andati persi tutti i link che mi ero salvato e ora sono non solo inutilizzabili, ma non so come o dove recuperare i vari articoli di padre Aldo Trento, di Marina Corradi e altri ancora. Vi chiedo pertanto di ripristinare gli archivi di Tempi prima dell’upgrade, per lo meno per noi abbonati, se non è possibile od opportuno per tutti. Mario Grossi via internet È tutto online, usi il campo di “ricerca” e troverà quel che vuole. Compreso i blog di Trento e Corradi con l’opera omnia di entrambi. 2 Non posso tacere all’ennesima sparata (da pirla) contro Cl. Mi riferisco a quanto evidenziato dal sito di Tempi sull’ultima trasmissione del giornalista Lerner. Sopportiamo l’ennesima congiura. Tra l’altro adesso sparano anche contro don Giussani. Certo dentro e fuori la Chiesa sta sui cosiddetti la sua causa di beatificazione. Comunque mai paura, continueremo nella testimonianza, non tanto per difenderci quanto perché per noi è essenziale alla nostra fede, speranza e carità, proponendo a chiunque la bellezza di ciò che abbiamo incontrato e viviamo, nonostante la nostra debolezza della carne, perché pare che gli altri siano tutti santi e non peccatori. Scusate lo sfogo. Stefano Ferrandi via internet 2 Tutti santi, soprattutto sua santità Gad, prossimo apostolo delle genti. Ho sempre potuto gustare e condividere, con amici e conoscenti, i vari artico- 2 VITTORIA SULLA JUVE NONOSTANTE I TORTI ARBITRALI Il colpaccio dell’Inter conferma il supremo assioma pallonaro O Non metafore, non richiami, non paragoni, non agganci con la politica o la società. Calcio vero. Sabato sera l’Inter ha battuto la Juventus, con pieno merito. Chapeau. Bravo l’allenatore tatticamente: pochi hanno notato che, sulle rimesse dal fondo, laddove parte l’azione bianconera, i tre attaccanti dell’Inter andavano in pres- 62 | 14 novembre 2012 | ggi parlerò di calcio. | sing sui difensori costringendo il portiere al rinvio lungo. Bravi i giocatori mentalmente. L’Inter ha subìto un gol in fuorigioco e la mancata espulsione di Lichtsteiner (per la Juve sarebbe stato meglio, qui lo dico), eppure non si è strappata i capelli, non ha cominciato a pensare, come il suo presidente, “siamo alle solite”. Ha fatto quello che deve fare una squadra Foto: AP/LaPresse SPORT ÜBER ALLES di Fred Perri [email protected] Leggo sul numero di Tempi 44 un editoriale e la rubrica di Oscar Giannino in cui si sostiene la candidatura di Gabriele Albertini a presidente della Regione Lombarda. Lo confondo con un’altra persona, o Albertini, in passato, ha fatto dichiarazioni su temi come aborto, eutanasia e famiglia non proprio in sintonia con i princìpi non negoziabili? Giulio Dante Guerra via internet Lo rimetteremo in sintonìa. 2 Foto: AP/LaPresse Ho avuto l’opportunità di recuperare la pagina delle lettere del Sole 24 Ore del 9 settembre 1975 (trentasette anni fa), in cui venne pubblicata una dettagliata lettera dell’assessore al Comune di Milano, Giuseppino Bossi, dedicata a “Scuole statali e private”. Bossi sosteneva a spada tratta il riconoscimento pubblico delle scuole private. Ci sono voluti altri 25 anni perché una legge dell’anno 2000 dell’allora ministro Berlinguer riconoscesse la qualifica di scuole pubbliche non statali alle “private”, definite da quel momento “paritarie”. Sono passati altri 12 anni, ma alle scuole paritarie lo Stato conferisce finanziamenti ridottissimi, che per giunta taglia di anno in anno. Il rapporto è di sette miliardi di spese scolastiche risparmiate dallo Stato per il mancato servizio di istruzione a centomila studenti delle “paritarie”, contro finanziamenti conferiti alle stesse scuole per poche centinaia di milioni. Nella suddetta lettera l’assessore Bossi argomentava fin da allora che «siamo l’unico paese della comunità europea che non finan- LA LEZIONE DI UN MUSULMANO Se sapeste cos’è la Messa ci andreste tutti i giorni di Pippo Corigliano CARTOLINA DAL PARADISO U n musulmano chiede a un cristiano di spiegargli la Messa. Il cristiano gliela spiega e il musulmano dice: «Non capisco». «Certo – risponde il cristiano – sono concetti nuovi per te». «No – dice il musulmano – ho capito bene. Quello che non capisco è che voi cristiani avete la Messa e non ci andate ogni giorno». Quest’apologo, sentito anni fa, conserva la sua attualità. Molti cristiani ignorano il significato della Messa. «Non vado a Messa perché la predica è noiosa», mi disse una nobildonna e l’ho sentito ripetere. Ma ci vogliamo rendere conto che la Messa è la ripetizione dell’ultima cena di Gesù, la rinnovazione del sacrificio sul Calvario, il ringraziamento per il dono di Dio stesso che si fa nostro alimento? Un Dio della vita, un Dio che si fa uomo, un Dio che ci indica la via per la vita eterna. I bambini, dopo la prima Comunione, si meravigliano di sentirsi come prima. Credevano che prodigiosamente sarebbero diventati buoni. Basta dir loro che quando mangiano non si sentono cambiati, che superPippo che mangia le superarachidi e combina superguai esiste solo nei fumetti. Così è per il cibo spirituale: occorre desiderarlo come sostegno della nostra fragilità per trasformare con calma la poca cosa che siamo in un altro Gesù. Ma è una crescita lenta. «Tu sì na cosa grande pe’ me» diceva Modugno, come santa Caterina che desiderava tanto l’ostia sacra che essa miracolosamente arrivò a lei. Desiderare la Comunione come i santi: ecco un’altra cosa che si può fare nell’Anno della fede. zia le scuole “private”» (ora paritarie), e aggiungeva che questo è ingiusto e antidemocratico. È ingiusto, scriveva, come affermava il presidente Einaudi nelle Prediche inutili, perché costringe la famiglia che sceglie per l’educazione dei figli una scuola non statale, a pagare due volte il servizio scolastico: una prima volta tramite le tasse a cui tutti sono tenuti, una seconda con la contribuzione dovuta alla scuola pa- ritaria per il suo sostentamento. Ed è anche antidemocratico perché impedisce quel pluralismo scolastico che Benedetto Croce giudicava indispensabile quando affermava: «Ho ferma e profonda convinzione che solo la valida concorrenza della scuola privata possa risanare e rendere robusta ed efficace la scuola di Stato» (Idea nazionale, aprile 1920). Bruno Mardegan Milano con più di un’ora ancora da giocare. Ha giocato. E ha vinto. Più che sulle moviole, sugli arbitri, sulle solite frescacce che voi e i vostri mediocri guru di riferimento continuate a ripetere, è necessario ragionare su questo. L’Inter ha subìto due torti, eppure ha tirato dritto, come se niente fosse. Non ci fosse riuscita sarebbe qui a piangere e a strillare. Ma ha preferito la prima opzione e ci ha guadagnato (tre punti e una vittoria storica). La morale, compagni e amici, è sempre la stessa: il pallone è una filosofia gnostica e alla fine, chi se lo merita, torti o non torti, vince. Pensateci. Meditate. E forse qualcosa, nel nostro mediocre campionato, cambierà. | | 14 novembre 2012 | 63 taz&bao L’apparenza Ingroia Sono convinto che il mio ruolo di pubblico ministero antimafia sarebbe monco ed effimero se si limitasse agli atti giudiziari. Di fronte a un fenomeno sistemico come la criminalità mafiosa che ha sempre contaminato la società e la politica, penso che sia giusto e persino necessario svolgere un ruolo di attore sociale e anche politico. Antonio Ingroia procuratore aggiunto a Palermo, pm dell’inchiesta sulla presunta trattativa Stato-mafia, intervistato da Giovanni Bianconi, Corriere della Sera, 5 novembre 2012 Il giudice deve essere ed apparire imparziale nell’esercizio della sua attività giurisdizionale. Statuto universale del giudice articolo 5 64 | 14 novembre 2012 | | Foto: AP/LaPresse GLI ULTIMI SARANNO I PRIMI UNA DOMENICA A MARSIGLIA L’incontro che non ti aspetti di Marina Corradi M arsiglia, 4 novembre. La rue Canabière sale dal Vieux Port e taglia il cuore della città. Ti aspetti, anche in una domenica grigia, un’atmosfera mediterranea, gaia. Ma appena fuori dall’area battuta dai turisti, nelle vie laterali, il quartiere si fa dimesso; i negozi sono colmi di merce cinese, e, ancora in centro, qualche palazzo è abbandonato, le finestre sbarrate. Attorno a rue des Capucines sembra di essere a Istanbul, nella calca di massaie islamiche in chador che esitano davanti ai prezzi delle bancarelle di pesce e di frutta. Le strade sporche dei quartieri arabizzati sembrano quasi materializzare il fantasma di un Occidente decaduto, dimentico, dove nuovi popoli e una nuova fede avanzano, e di ciò che era resta ben poco. In questa Eurabia della Canabière i francesi la domenica passeggiano senza grande allegria. A place De Gaulle una giostra con i cavalli di legno gira in una musica di carillon, carica di bambini biondi o neri; ma a sera, presto, spegne le luci; e la piazza è subito vuota e buia. Restano aperti i fast food e i kebab, e ai tavolini di piccoli caffè angusti rimangono i nordafricani – solo gli uoI vecchi in coda per ricevere Cristo mini, immobili davanti a un bicchiere vuoto. E, quanti poveri: francesi e arabi, ma quasi hanno un altro sguardo: non perduto, tutti vecchi, spesso malfermi, zoppicanti, esinon di relitto che caracolla verso tanti agli incroci come bambini che nessuno il nulla, ma di chi va verso ciò che prende per mano. I francesi soprattutto colpiscono per un loro decoro: un dignitoso cappotlo attende, verso il suo destino to d’altri tempi, un cappello fuori moda, e nelle donne, comunque, i capelli bianchi ben ravviati. Ma la povertà è stampata nelle scarpe scalcagnate, nelle borse della spesa semivuote, e nelle facce. Uomini soli. Nessuno che in questa giornata di festa li accompagni. Dove sono, ti domandi, i figli, i nipoti? Sulla Canabière i mendicanti sono molti, clochard, e zingari. Questi vecchi invece non domandano niente: chine a terra le loro facce da rugosi, sperduti bambini. Ma, ti ha suggerito qualcuno, «vada a vedere, la domenica mattina, a Saint Vincent de Paul, all’angolo con rue Franklin Roosevelt». Entri: le navate, nella Francia delle chiese semivuote, sono gremite. Il sacerdote intona un canto con una bella voce; la gente lo segue, e pure canta, e il canto colma la grande chiesa. Ma è la fila di fedeli che attendono di ricevere l’ostia consacrata, fila lunghissima, interminabile, che lascia senza fiato. Quanti. E in mezzo alle facce qui e là incroci gli occhi di qualcuno di quegli uomini di prima, canuti, con il cappotto liso, di quelle donne curve, rimpicciolite, ossa di passero sotto a ottant’anni di ricordi. I vecchi in coda per ricevere Cristo hanno un altro sguardo: non perduto, non di relitto che caracolla verso il nulla, ma di chi va verso ciò che lo attende da sempre, verso il suo destino – che è infinito, e buono. Poi, all’uscita, la stessa folla s’accalca attorno al sacerdote: per averne un saluto, per sentirsi, in quello sguardo, ancora figli, e amati. Nel grigio di una domenica a Marsiglia, ciò che non ti aspetti. Può bastare un prete che ama profondamente la sua gente: una domanda antica, che credevi cancellata, ritorna sulle facce. 66 | 14 novembre 2012 | | DIARIO IN COLLABORAZIONE CON CONDIVIDERE I BISOGNI, PER CONDIVIDERE IL SENSO DELLA VITA www.bancoalimentare.it