Fondato il 15 dicembre 1969 Settimanale Nuova serie - Anno XXXVII - N. 43 - 5 dicembre 2013 5 giorni di sciopero a Genova. La popolazione solidarizza con i lavoratori Rivolta dei lavoratori contro la Privatizzazione dei trasporti Duramente contestato il sindaco Doria. Cadono le illusioni sui sindaci arancioni. L’accordo non convince tutti i lavoratori, specie i più giovani La scintilla di un incendio che si propagherà in tutto il Paese PAG. 2 Genova, una delle combattive manifestazioni dei giorni scorsi contro le privatizzazioni A causa di un ciclone e della sciagurata politica del territorio degli enti locali e della latitanza del governo Tragedia in Sardegna 17 morti, 2.700 sfollati Mancato allarme PAG. 3 Su ordine di Napolitano Le “forze dell’ordine” caricano e manganellano I No Tav si battono a Roma contro lo scempio della Valsusa Ma Letta e Hollande tirano diritto sulla Torino-Lione. Attaccato il PD favorevole all’alta velocità Il PD grazia Cancellieri Raddoppiati i poveri PAG. 4 Lo certifica l’Istat La ministra della giustizia è una raccomandata del magnate Ligresti i giovani pd contestano la cancellieri PAG. 5 Dal 2007 a oggi sono passati da 2,4 a 4,8 milioni La metà sono al Sud PAG. 3 Per decisione del CC del partito revisionista e fascista cinese La Cina capitalista di Xi Jinping sposta ancora più a destra la politica economica sulla linea del rinnegato Deng lo “stadio primario del socialismo” è un inganno PAG. 14 Assemblea indetta dal “Comitato viva la costituzione” di Catania Schembri denuncia le illusioni costituzionali e invita al fronte unito contro il presidenzialismo La via maestra è il socialismo PAG. 12 PAG. 6 2 il bolscevico / rivolta di genova N. 43 - 5 dicembre 2013 5 giorni di sciopero a Genova. La popolazione solidarizza con i lavoratori Rivolta dei lavoratori contro la privatizzazione dei trasporti Duramente contestato il sindaco Doria. Cadono le illusioni sui sindaci arancioni. L’accordo non convince tutti i lavoratori, specie i più giovani La scintilla di un incendio che si propagherà in tutto il Paese Dopo 5 giorni di durissima lotta che hanno paralizzato Genova, il 23 novembre è stato sospeso lo sciopero ad oltranza dei lavoratori dei trasporti pubblici, ma solo attraverso un accordo a dir poco ambiguo e riduttivo tra Comune, Regione, Prefetto e dirigenti sindacali, che non ha convinto molti degli scioperanti, specialmente i più giovani, e che per di più è stato imposto con metodi autoritari e truffaldini all’assemblea dei lavoratori. Gli autoferrotranvieri genovesi erano scesi spontaneamente in sciopero il 19 novembre, alla notizia che la giunta comunale stava per approvare una delibera che per risanare il debito dell’Amt, l’azienda dei trasporti locale controllata al 100% dal Comune, apriva le porte agli investitori privati, gettando le basi per una sua parziale privatizzazione. Secondo il sindaco Marco Doria e la giunta formata da Pd, Sel, Psi, Idv e Fds da lui capeggiata, la sola alternativa offerta ai lavoratori per reperire gli 8,3 milioni di euro necessari a coprire il bilancio per il 2014 ed evitare il fallimento dell’azienda sarebbe stata quella di frugarsi in tasca e accettare di nuovo pesanti sacrifici in termini di riduzioni degli stipendi e aumento dei carichi di lavoro. Di nuovo, perché con un controverso accordo firmato il 7 maggio scorso coi sindacati, i 2.500 lavoratori dell’Amt avevano già dovuto accettare dure condizioni per coprire il bilancio 2013 per altri 8 milioni di euro, con la rinuncia ai contratti integrativi (mentre quello nazionale di settore è fermo da 6 anni) e ai premi di produttività, più i contratti di solidarietà per circa 600 lavoratori degli appalti. Per questo la delibera comunale che riproponeva pari pari gli stessi sacrifici e apriva ai privati era suonata come un tradimento e una beffa alle orecchie dei lavoratori, i quali ben ricordavano le promesse del sindaco arancione, vicino al partito di Vendola ed eletto nel maggio 2012 come candidato indipendente del “centro-sinistra”, che in campagna elettorale aveva spergiurato sulla difesa dei beni pubblici dall’assalto delle privatizzazioni. Ad esasperare i lavoratori, per questo tentativo di reintrodurre di sottobanco la privatizzazione del trasporto pubblico dietro il ricatto del dissesto economico dell’azienda, era anche l’amara esperienza fatta con la precedente, fallimentare privatizzazione dell’Amt, già tentata dalle giunte precedenti a partire dal 2005, quando l’azienda era stata svenduta per il 41% alla francese Transdev, che successivamente l’aveva rivenduta alla Ratp. Per essere poi ricomprata dal Comune a caro prezzo, dopo che i privati l’avevano spolpata ben bene e si erano ritirati. Inoltre i lavoratori avevano ben chiaro l’esempio del modello liberista già imposto da Renzi a Firenze con la privatizzazione dell’Ataf, svenduta a una società delle Ferrovie: privatizzazione che appena realizzata ha subito prodotto quasi 300 esuberi reclamati dall’acquirente BusItalia, la stessa società Un aspetto della contestazione contro la firma dell’accordo Genova, 15 novembre 2013. Lo spezzone dei lavoratori dei trasporti durante lo sciopero generale privata, per l’appunto, a cui guardava anche la delibera della giunta Doria per la vendita parziale di Amt. Contestato il neopodestà “arancione” È per tutti questi e altri cento motivi, compresi il rinvio continuo del piano regionale dei trasporti e del rinnovo del parco macchine ormai in sfacelo, i turni massacranti, il ricorso massiccio agli straordinari, i riposi saltati, gli stipendi bloccati da anni, che il 19 novembre, appena appresa la notizia che il Consiglio comunale si stava apprestando ad approvare la delibera senza aver neanche chiesto il loro parere, la rabbia degli autoferrotranvieri genovesi è esplosa spontanea e incontenibile. Subito i depositi sono stati bloccati, e non un solo autobus è uscito dalle rimesse. Centinaia di lavoratori si sono diretti verso palazzo Tursi, sede del Comune, invadendo l’Aula rossa del Consiglio comunale, dove il neopodestà Doria, che ha cercato di cavarsela menando il can per l’aia con discorsi opportunistici sulla necessità di far quadrare bilanci e servizi ai cittadini, è stato contestato al grido di “buffone, buffone” e “dimissioni, dimissioni”. Alla fine il neopodestà è dovuto uscire dall’aula scortato dalla polizia comunale, denunciando alla stampa il solito “attentato alla democrazia”, come fanno regolarmente tutti i politicanti della destra e della “sinistra” borghese quando vengono contestati dalle masse. La sua vergognosa parabola è la stessa di tutti i neopodestà e governatori, arancioni compresi, come Pisapia, De Magistris, Vendola e lui stesso, che hanno fatto man bassa di voti presentandosi come “diversi” e “indipendenti” dalle consorterie politiche. Ma in poco tempo si sono rivelati invece fatti della stessa, identica pasta, mentre le illusioni che hanno seminato tra le masse stanno ormai cadendo ad una ad una. A parole dicono di essere contrari alle privatizzazioni, lamentandosi che sono tra l’incudine e il martello, tra il governo che ta- glia sempre di più i finanziamenti e l’esigenza di assicurare i servizi pubblici alla cittadinanza; ma di fatto si fanno controparte dei lavoratori e delle masse popolari ed esecutori della politica liberista e di massacro sociale portata avanti dal governo sotto la supervisione della Ue. E infatti, dopo la contestazione in Comune, è scattata subito la ritorsione contro i lavoratori, col sindaco che annunciava il rifiuto di discutere con loro finché non avessero cessato lo stato di agitazione; nonché del prefetto di Genova, Giovanni Balsamo, che promulgava la precettazione dei dipendenti Amt e minacciava sanzioni con multe da 500 a 1.000 euro per violazione della legge antisciopero. Mentre a sua volta la procura di Genova apriva un fascicolo contro “ignoti” per il reato di interruzione di pubblico servizio. l’Atac di Roma, per coprire le multe comminate in base alla legge antisciopero. È stata insomma una lotta corale che, nonostante il terrorismo mediatico scatenato dalla grancassa dell’“informazione” di regime contro lo “sciopero selvaggio” e i “disagi intollerabili” per i cittadini di Genova, ha mobilitato per 5 giorni tutta la città, fortemente prostrata in questi anni dalla crisi industriale e dalla falcidie di aziende e di posti di lavoro, e perciò insorta a fianco dei tranvieri in un sussulto di ribellione antiliberista, una lotta per la sopravvivenza che qualcuno ha paragonato non impropriamente alle eroiche 4 giornate del luglio 1960 contro il governo fascista Tambroni: “Genova è la scintilla di un incendio che si propagherà a tutto il Paese”, era la parola d’ordine assurta infatti a simbolo di questa lotta corale. L’intera città al fianco degli scioperanti Un accordo pieno di punti oscuri Ciononostante i lavoratori non si sono fatti intimidire, e lo sciopero è proseguito e si è anzi intensificato anche nei giorni successivi, con cortei che hanno percorso più volte la città, bloccando i caselli autostradali, la sopraelevata e tutti i principali snodi viari della città. Uno sciopero ad oltranza sostenuto con simpatia e pazienza dalla popolazione di Genova, consapevole che la battaglia degli autoferrotranvieri era una battaglia in difesa dei servizi pubblici e quindi di tutti i cittadini. Ai lavoratori Amt in sciopero si sono anzi uniti anche i dipendenti di Aster e di Amiu, altre due aziende municipalizzate, rispettivamente delle manutenzioni stradali e della raccolta rifiuti, anch’essi a rischio privatizzazione. Perfino i tassisti sono scesi in piazza al fianco dei tranvieri. Solidarietà agli scioperanti è stata espressa anche dai lavoratori portuali e da delegazioni della Fiom e delle cooperative. Anche su Internet si sono spontaneamente aperti e moltiplicati i siti e i blog di solidarietà con gli scioperanti, ed è iniziata anche una raccolta di fondi pubblica, promossa anche in altre aziende di trasporto pubblico come II 23 novembre, al 5° giorno di sciopero, i sindacati annunciavano di aver raggiunto un accordo in prefettura con Amt, Comune e Regione, che a loro dire avrebbe consentito all’azienda di rimanere pubblica senza toccare le retribuzioni, l’orario di lavoro e i riposi dei dipendenti. In particolare i sindacati mettevano l’accento su un’agenzia regionale “che sarà pienamente operativa nella primavera del 2014”, l’“investimento nel parco mezzi” garantito dalla Regione con fondi europei e “nazionali” ( questi se pubblici o privati non è chiaro) per l’acquisto di 15 nuovi mezzi subito e altri 200 nel quadriennio 2014-17, e l’impegno del Comune a ricapitalizzare l’azienda per 4,3 milioni di euro. I restanti 4 milioni per coprire il deficit di bilancio – e qui viene la parte più oscura dell’accordo - sarebbero stati recuperati attraverso non meglio definite “riorganizzazioni aziendali”, che per 2 milioni si prevede di coprire con “l’esternalizzazione di quote di attività che verranno affidate in appalto” (affidamento in appalto della manutenzione e di alcune linee periferiche come le collinari, sembra di capire), da concordare tra le parti con una trattativa aziendale dopo la ratifica dell’accordo. E per altri 2 milioni attraverso “riorganizzazioni interne”, da individuare entro il prossimo 31 dicembre. È con questo accordo senza alcuna garanzia per il mantenimento del carattere pubblico del sistema di trasporto genovese, e poco chiaro anche riguardo al mantenimento delle attuali condizioni stipendiali, carichi di lavoro e livelli occupazionali del personale, che i dirigenti sindacali si sono presentati all’assemblea dei lavoratori convocata alla Sala chiamata del porto per ottenere, in mezzo a proteste, contestazioni e anche scontri fisici, una sbrigativa approvazione formale e dichiarare la fine dello sciopero. Perché questo era lo scopo vero di tanta fretta, altrimenti non avrebbero proceduto con questo metodo autoritario e antidemocratico, senza informare adeguatamente i lavoratori sul contenuto dell’accordo e senza passare dalle assemblee di deposito, come i lavoratori chiedevano. A dare man forte ai dirigenti sindacali capitolazionisti, a Doria e Burlando e al prefetto di Genova per spegnere l’incendio dello sciopero è arrivata anche l’immancabile provocazione “terroristica”, con la notizia in piena assemblea di una busta contenente frasi minacciose e un proiettile indirizzata al presidente di Amt, Livio Ravera. Continuare la lotta in difesa dei servizi pubblici “Questo voto non può essere valido – ha commentato un lavoratore uscendo sconvolto dalla Sala chiamate dopo il blitz dei dirigenti sindacali – ed è una presa in giro. All’interno della sala c’erano persone non di Amt. Inoltre, molti di quelli che dovevano votare erano fuori oppure a fumare. Tutto si è svolto velocemente, senza capirci granché. La votazione è avvenuta spostando all’interno della sala i favorevoli da una parte e i contrari dall’altra. Probabilmente i sì avrebbero vinto lo stesso ma con questo voto si sono spaccati i lavoratori dell’Amt”. Nel pomeriggio gli autobus ricominciavano ad uscire dai depositi, non senza vincere le resistenze e le proteste di molti lavoratori che volevano continuare lo sciopero; specie i più giovani, che sono anche i più preoccupati per il futuro dell’azienda. Anche la dichiarazione di Doria che “questo accordo si poteva raggiungere senza un giorno di sciopero” la dice lunga sulla svendita degli obiettivi dello sciopero stesso. Se poi aggiungiamo la beffa delle multe pazzesche che stanno arrivando agli scioperanti, nonostante che l’accordo avrebbe dovuto escluderle, e come se non bastasse le ben tre inchieste aperte dalla procura, tra cui quella a carico di un centinaio di autisti che hanno partecipato alla contestazione del sindaco, per il reato di “minaccia e oltraggio al corpo amministrativo e politico”, reato punibile con la reclusione da uno a sette anni, ce n’è più che abbastanza per respingerlo come un accordo truffa e riprendere la lotta sugli obiettivi per cui è cominciata e per far revocare immediatamente le multe e qualsiasi provvedimento giudiziario a carico dei lavoratori che scioperano. Ora si può toccare con mano l’immenso danno che è stato fatto ai lavoratori quando i vertici sindacali collaborazionisti hanno accettato e fatto passare l’infame legge antisciopero sui “servizi pubblici essenziali”! I lavoratori dell’Amt di Genova non vanno lasciati soli. Intanto va appoggiata la richiesta di tenere un regolare referendum interno sull’accordo, senza il quale non può avere nessuna validità effettiva. La loro lotta è la lotta di tutti i tranvieri e di tutti i lavoratori e le masse popolari italiane contro la privatizzazione dei beni e servizi pubblici, che proprio in questi giorni, con la legge di stabilità del governo Letta approvata dalla Ue, sta per varare una raffica impressionante di svendite e di privatizzazioni di beni e imprese pubbliche ai pescecani capitalisti. “Stiamo lottando anche per voi”, c’era scritto su uno striscione appeso davanti a un deposito dell’Amt. Lo sciopero nazionale di 4 ore nel Tpl (Trasporto pubblico locale) proclamato per il prossimo 6 dicembre dall’Unione sindacale di base (Usb) è da appoggiare, ma occorre che entrino subito in campo tutte le organizzazioni sindacali del trasporto locale, e se necessario anche le segreterie nazionali, fino a proclamare lo sciopero generale di tutte le categorie, per salvaguardare i servizi pubblici e bloccare la criminale ondata di dismissioni e privatizzazioni che si vuol far passare nel Paese. interni / il bolscevico 3 N. 43 - 5 dicembre 2013 A causa di un ciclone e della sciagurata politica del territorio degli enti locali e della latitanza del governo Tragedia in Sardegna Il ciclone che ha colpito la Sardegna nella giornata dello scorso 18 novembre ha provocato una vera e propria strage - 16 morti e un disperso (tra cui 4 bambini) dei quali la maggior parte a Olbia, 2700 sfollati e danni ingentissimi (10.000 edifici senza corrente, più di 500 km di strade provinciali colpite) - e successivamente la perturbazione si è spostata provocando danni sulla Calabria Jonica e sul Salento, dove c’è mancato davvero poco di dover contare ulteriori vittime. In Sardegna, oltre alla Gallura, le zone più colpite sono l’Ogliastra, l’Oristanese e il Medio Campidano, con danni ingenti anche alle aziende agricole, strade di campagna spazzate via dai torrenti in piena e strage di bestiame con centinaia di animali morti. Si sono registrate vittime a Uras (Oristano) e a Torpè (Nuoro), a Dorgali - nel Nuorese - dove è crollato un ponte, ed altre vittime si sono avute a Olbia e sulla Provinciale 38 Olbia-Tempio in località Monte Pino. Oltre alla Gallura, le zone più colpite sono l’Ogliastra, l’Oristanese e il Medio Campidano, con danni ingenti anche alle aziende agricole, strade di campagna spazzate via dai torrenti in piena e strage di bestiame con centinaia di animali morti. Eppure nonostante il pesante conto di vite umane, l’evento meteorologico è stato certamente eccezionale, ma per quantità di acqua in proporzione al territorio colpito non maggiore di altri che si sono verificati negli ultimi anni in Sardegna ed altre zone d’Italia, con punte di pioggia di oltre 400 mm, di poco maggiori rispetto a quella registrata sempre in Sardegna, a Capoterra, il 22 ottobre 2008 quando caddero ben 372 mm in sole 3 ore. Quindi il nubifragio da solo non può spiegare né l’elevato numero di morti né il disastro che ha colpito il territorio della Sardegna, come il vescovo di Olbia monsignor Sanguineti che durante la messa celebrata per i morti dell’alluvione ha detto chiaramente “la mano dell’uomo non è estra- nea a questa catastrofe”. E noi ci sentiamo di aggiungere che quella mano appartiene non all’uomo in generale ma alla borghesia rapace e devastatrice (e ai suoi partiti nelle istituzioni) che a nulla guarda se non al proprio tornaconto, al profitto realizzato devastando e cementificando il territorio e infischiandosene degli interessi e del benessere delle masse popolari. Infatti subito sono arrivate chiare parole di esperti e di tecnici a sostegno di questa accusa è mancato innanzitutto un tempestivo allarme della Protezione Civile, secondo Antonio Sanò - direttore del sito Ilmeteo.it - che punta il dito contro la mancata attenzione da parte dell’organizzazione di pubblico soccorso, alle previsioni meteo che il suo sito aveva ampiamente anticipato con parecchi giorni di anticipo e che aveva previsto che in Sardegna sarebbe accaduto un nubifragio di quella portata, ed anche i sindaci delle zone colpite lamentano di essere stati avvisati attraverso fax inviati solo 12 ore prima dell’inizio del nubifragio agli uffici comunali che domenica peraltro erano chiusi. In uno squallido clima di scaricabarile il capo della Protezione Civile Franco Gabrielli si scaglia a sua volta contro i sindaci dei Comuni, accusandoli di incompetenza e di incapacità di pianificazione. Sotto pesante accusa finisce anche il presidente della Regione Sardegna, il berlusconiano Ugo Cappellacci, accusato senza mezze parole da Legambiente di portare avanti una politica ambientale responsabile dello sfascio idrogeologico del territorio dell’isola, e che tale politica lo espone maggiormente ai rischi di alluvione. L’associazione ambientalista è dura con il governatore sardo e sostiene che il ciclone che ha sconvolto la Sardegna potrebbe ripetersi in futuro in forme ancora peggiori se non verrà fermato il disegno di revisione del piano paesaggistico regionale portato avanti dalla giunta regionale di destra. Infatti pochi giorni prima del disastro la giunta Cappellacci ha proceduto all’approvazione prov- 17 morti, 2.700 sfollati Mancato allarme Sardegna, 18-19 novembre 2013. Dall’alto si può vedere l’estensione e la gravità dei danni del diluvio che si è abbattuto sulla zona di Olbia e provincia visoria e preliminare dell’Aggiornamento e revisione del Piano paesaggistico regionale del 2006, un’iniziativa politica che di fatto apre la strada a nuove e massicce cementificazioni che, come al solito, sono graditi regali ad amici ed amichetti costruttori che muovono voti o magari anche altre utilità, a discapito ovviamente di un territorio che, lo dimostrano i recenti avvenimenti catastrofici, di tutto ha bisogno tranne che di cementificazioni. Anche il Fondo Ambiente Italiano e Wwf Italia si uniscono nel durissimo attacco alla forsennata politica di Cappellacci denunciando in un comunicato congiunto che “la recente revisione del piano paesaggistico regionale, adottata dalla Giunta Cappellacci, smantellando il complesso sistema di tutele del territorio, soprattutto dell’area costiera e dei corsi d’acqua già ampiamente interessati dall’alluvione, aumenterà la fragilità dell’isola” lamentando anche l’inerzia del governo centrale e soprattutto del ministero dei Beni e delle attività culturali e del turismo che non convoca l’Osservatorio nazionale per la Qualità del Paesaggio dal 2008, lasciando quindi con la sua negligenza mano libera a spudorati governatori regionali come Cappellacci. A Olbia in modo particolare sono sotto pesante accusa i ventuno condoni deliberati dal Comune in meno di 40 anni per motivi essenzialmente elettorali e soprattutto per non disturbare il giro di affari che sta dietro alla sistematica cementificazione della Costa Smeralda: il risultato è che sono state condonate e regolarizzate abitazioni costruite a 15 metri dai canali, sopra i letti dei fiumi, in punti dove sono secoli che tracimano i torrenti. A tal proposito anche la magistratura vuole chiarire parecchie cose, con due inchieste giudiziarie già avviate, una della procura di Tempio Pausania per disastro colposo: i magistrati vogliono vederci chiaro sui piani di risanamento che si sono susseguiti negli anni e sulla mancata attuazione di misure concrete connesse all’allerta meteo, vogliono capire se siano state eseguite tutte le opere relative al sistema fognario, a quello delle acque reflue e a quello della ma- Due immagini che rendono parzialmente l’entità dei danni subiti dalla popolazione nelle zone alluvionate nutenzione dei canali. Le indagini di Nuoro invece sono relative all’ipotesi di omicidio colposo per i morti di Tempio Pausania, di Arzachena, di Olbia, del ponte Oloè crollato provocando un morto, e di Torpè. Il governo Letta, corresponsabile insieme alle amministrazioni regionale e locali del disastro che ha funestato la Sardegna, non deve lasciare soli gli alluvionati ma deve immediatamente stanziare un piano straordinario di aiuti economici che facciano fronte alle emergenze provocate dall’alluvione e mettano in grado le popolazioni vittime di tornare rapidamente a condizioni soddisfacenti di vita e di lavoro. Lo certifica l’Istat Raddoppiati i poveri Dal 2007 a oggi sono passati da 2,4 a 4,8 milioni La metà sono al Sud L’Istat ha diffuso attraverso il suo presidente Antonio Golini dati drammatici sull’aumento della povertà provocato dalla crisi economica capitalista che ha fatto sì che dal 2007 al 2012 il numero di individui in povertà assoluta raddoppiasse in Italia da 2,4 a 4,8 milioni. Golini è stato ascoltato in audizione al Senato sulla legge di stabilità ed ha spiegato come, specie nell’ultimo anno, l’aumento si sia esteso anche a strati sociali della piccola borghesia che tradizionalmente presentano una diffusione del fenomeno molto contenuta grazie al tipo di lavoro svolto e anche spesso grazie al secondo reddito del coniuge. Ciò che è costantemente peggiorato negli ultimi anni, secondo Golini, è l’indicatore di grave deprivazione materiale che aveva mostrato un deterioramento già nel 2011 e che è raddoppiato nell’arco di due anni: quasi la metà dei poveri assoluti (2.347.000) risiede nel Mezzogiorno (erano 1.828.000 nel 2011), di questi oltre un milione (1.058.000) sono minori (erano 723.000 nel 2011) con un’incidenza salita in un anno dal 7 al 10,3 per cento. L’Istat delinea un quadro drammatico anche per l’occupazione, in modo particolare nelle grandi imprese con almeno 500 dipendenti, che segna ancora una discesa su base annua, con l’aumento ad agosto dell’1,5% del tasso di disoccupazione sia al lordo sia al netto dei dipendenti in cassa integrazione. Rispetto a luglio l’indice destagionalizzato dell’occupazione nelle grandi imprese diminuisce rispettivamente dello 0,1% al lordo dei dipendenti in cassa integrazione guadagni e dello 0,4% al netto di quelli in cassa integrazione. Sempre ad agosto, fa sapere l’Istat per bocca del suo presidente, il numero di ore lavorate per dipendente (al netto di quelli in cassa integrazione) diminuisce, rispetto ad agosto 2012, dell’1,3%. L’incidenza delle ore di cassa integrazione guadagni utilizzate è pari a 44,6 ore ogni mille ore lavorate, in aumento di 0,7 ore ogni mille rispetto ad agosto 2012. Rispetto ad agosto 2012 il cosiddetto “costo del lavoro” per dipendente (al netto di quelli in cassa integrazione) registra un aumento dello 0,8%. La crescita dell’incidenza della povertà assoluta - spiega il presidente dell’istituto di statistica - va dagli oltre 8 punti percentuali, quando il capofamiglia è in cerca di lavoro (dal 15,5 al 23,6 per cento), ai 5,8 punti tra le coppie con tre o più figli (dal 10,4 al 16,2 per cento, con un incremento di oltre 6 punti se i figli sono minori), ai quasi 5 punti percentuali (dal 12,3 al 17,2 per cento) per le famiglie con cinque o più Sono sempre di più le persone che sono costrette a recuperare gli scarti alimentari dei mercati e dei supermercati componenti. L’incremento scende a 3 punti percentuali per le famiglie con quattro componenti (dal 5,2 all’8,3 per cento ed a quasi 2 punti (dal 4,7 al 6,6 per cento) per quelle con tre componenti. Altro dato drammatico dato dall’Istat è quello relativo al calo dei consumi: nel primo semestre 2013 il 17% delle famiglie (1,6 punti percentuali in più rispetto allo stesso periodo del 2012 e 4,9 punti percentuali in più dei primi sei mesi del 2011) ha diminuito la quantità di generi alimentari acquistati e, contemporaneamente, ha scelto prodotti di qualità inferiore. 4 il bolscevico / interni N. 43 - 5 dicembre 2013 Le “forze dell’ordine” caricano e manganellano I No TAV si battono a Roma contro lo scempio della Valsusa Ma Letta e Hollande tirano diritto sulla Torino-Lione. Attaccato il PD favorevole all’alta velocità Hanno sostenuto una battaglia politica lunga un’intera giornata proprio nella Capitale occupata abusivamente dai rappresentanti delle lobby governative italiane e francesi; hanno vinto contro la repressione poliziesca che voleva impedire il corteo; hanno raggiunto l’obbiettivo: assedio del vertice Letta – Hollande. Viva i No TAV, i movimenti per la casa e i movimenti dei migranti che hanno dato l’ennesima dura lezione al governo Letta-Alfano! La giornata di lotta Sono oltre 5mila, sono determinati a conquistare lo spazio per la protesta nel centro storico di Roma. Il concentramento a Campo De Fiori, nei pressi dell’ambasciata francese, sin dalle sue prime battute, è particolarmente combattivo. La giornata di lotta era iniziata in mattinata con l’incontro degli studenti No Tav al liceo Mamiani in occupazione. Nel pomeriggio, un corteo non autorizzato, scandendo la parola d’ordine “se ci bloccano il futuro, noi blocchiamo la città”, ha aggirato l’imponente e soffocante schieramento di “forze dell’ordine”, schierato intorno al parlamento ed ha vittoriosamente raggiunto il concentramento. Altri manifestanti intanto avevano improvvisato un presidio sotto il CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica), organo governativo che stanzia concretamente i fondi per le grandi opere. Altri manifestanti intanto avevano raggiunto e circondato la sede nazionale del PD per denunciare la posizione pro TAV del partito di Epifani. Sul sito dei No TAV, Paolo Di Vetta, attivista dei Blocchi Precari Metropolitani di Roma, così spiegherà la scelta della manifestazione di attaccare il PD: “Al primo posto nelle attenzioni di questo partito non ci sono i senza casa, gli sfrattati, i pignorati, i precari, gli studenti, i migranti, gli abitanti aquilani alle prese con una difficile ricostruzione della propria città e della propria dignità. Sono le lobby del mattone, gli imprenditori come Ligresti, la Lega delle cooperative, i profitti legati alla rendita e al consumo di suolo, invece, i fari di riferimento sui quali puntare e sui quali investire. Una vergogna da difendere anche con l’inasprimento degli apparati di controllo sia a livello locale che nazionale. Ecco perché il PD è stato un obiettivo praticato dalla mobilitazione promossa in occasione del vertice Italia-Francia...” Le “forze dell’ordine” con una gestione della piazza estremamente pericolosa e repressiva hanno tentato di impedire ai manifestanti che urlavano “Corteo! Corteo!” di defluire dalla piazza. In via Giubbonari l’imponente schieramento si è fronteggiato col corteo bloccato. Partono le prime proditorie e violente cariche. È a questo punto che la rabbia compressa dei manifestanti si è scagliata anche contro la sede del PD di via Giubbonari, che ha subito l’imbrattamento della targhetta e della porta e la contestazione “fascisti”! Il corteo e il cordone di “forze dell’ordine” si fronteggiano fino a sera, quando i manifestanti hanno la meglio, l’assedio militare vie- Roma, 20 novembre 2013. Le masse in lotta denunciano gli astronomici costi della TAV: “1 km di Tav = 1.000 case popolari”. Con mezzo chilometro di Tav lo Stato potrebbe costruire un ospedale da 1.200 posti o 226 ambulatori o 38 sale operatorie ne tolto. Inizia la marcia “scortata” da un imponente schieramento militare. La manifestazione si conclude al Circo Massimo. Nonostante le cariche e la repressione arrivano a concludere il corteo diverse migliaia di manifestanti. Le masse devono controllare e dire l’ultima parola sui finanziamenti pubblici! Obbedendo al direttore dell’orchestra antipopolare, il nuovo Vittorio Emanuele III, Napolitano, che esprime “la più netta condanna di questi atti di violenza”, le veline governative ancora una volta si sono scatenate contro i No TAV e i movimenti, bollando la mani- Arrestati 9 dirigenti per peculato, corruzione, abuso d’ufficio, falsità e turbativa d’asta Appalti truccati nell’Azienda comunale di Verona Un sistema di corruzione ben collaudato nel feudo leghista. Secondo l’accusatore “Tosi sapeva” La mattina del 24 ottobre la guardia di finanza ha arrestato nove tra dirigenti e dipendenti della società municipalizzata veronese Agec che gestisce nel comune scaligero guidato dal leghista Flavio Tosi gli alloggi pubblici, i servizi cimiteriali, le mense scolastiche e le farmacie comunali. Le accuse formulate dal sostituto procuratore della Repubblica di Verona Gennaro Ottaviano sono pesantissime: peculato, corruzione, abuso d’ufficio, falsità in atti e turbata libertà in procedure d’appalto, e proprio gli appalti sono finiti sotto la lente d’ingrandimento dei magistrati, soprattutto quelli relativi all’erogazione di servizi per le mense scolastiche delle mense dal 2010 al 2013 e quelli relativi alla realizzazione degli alloggi residenziali pubblici realizzati nella zona di Fondo Frugose. In carcere sono finiti il diret- tore generale Sandro Tartaglia, il direttore per i servizi istituzionali Stefano Campedelli, la dirigente Francesca Tagliaferro e l’imprenditore altoatesino Martin Klapfer mentre per le dirigenti Alessia Confente e Luisa Fasoli e per i dipendenti Giovanni Bianchi, Davide Dusi, Giorgia Cona sono stati disposti gli arresti domiciliari. Le indagini della guardia di finanza sono partite da una denuncia presentata il 25 ottobre 2012 dall’ex presidente della società municipalizzata Michele Croce, che era stato rimosso dall’incarico da Tosi in persona quando aveva iniziato a mettere in discussione la regolarità contabile della municipalizzata Croce è chiarissimo: “Tosi sapeva”, del resto non si può spiegare in modo diverso dalla più becera malafede la reazione del neopodestà leghista che, anziché ascolta- re le legittime denunce dell’allora presidente e prendere opportuni provvedimenti, lo caccia via. E che il cerchio si stringa attorno al caporione leghista lo dimostra quanto accaduto quattro giorni dopo, il 28 ottobre, quando la polizia ha effettuato - nell’ambito della stessa inchiesta - una serie di perquisizioni e di sequestri di documentazione nell’ufficio del vicesindaco Vito Giacino oltre che nella sua abitazione ed anche nel suo studio legale alla ricerca di carte relative alla sua competenza di assessore alla pianificazione urbanistica, edilizia privata ed edilizia economica popolare. Vito Giacino, amico personale e fedelissimo di Tosi, è stato eletto in una lista civica che ha appoggiato in modo determinante il sindaco alle ultime elezioni comunali veronesi. festazione come un semplice susseguirsi di violenze. Nessuno si pone il problema che l’aver rinchiuso il corteo e l’averlo manganellato è una violentissima azione repressiva a fronte della quale è ben poca cosa un assedio e una targhetta imbrattata. La questione inoltre è politica. Il PD è stato attaccato perché si è schierato a favore del TAV. Ma vanno dette anche altre cose per chiarezza. La violenza maggiore è stata quella di Letta che nel summit con Hollande ha chiacchierato di miliardi da destinare alle lobby del cemento per devastare il territorio. Parlavano di devastare la Val di Susa proprio mentre in Sardegna, nell’ennesima tragedia annunciata e provocata, si muore sotto il fango e le alluvioni. Questa è violenza reazionaria! Si parla di regalare miliardi mentre in tutta Italia gli operai e i lavoratori vengono licenziati a decine di migliaia, i giovani non hanno futuro, le famiglie sono costrette a vivere Roma, 20 novembre 2013. L’imponente schieramento di polizia ha bloccato per diverse ore il corteo dei manifestanti per strada, si tagliano servizi e si aumentano le tasse. Questa è violenza reazionaria! Ecco, per quanto la propaganda antipopolare si possa scatenare, la protesta contro il TAV, il PD e il governo Letta è destinata a crescere, poiché tra le masse si sta diffondendo una coscienza sempre più chiara delle dimensioni del disastro economico e sociale orchestrato da Napolitano e Letta-Alfano. In piazza c’era lo striscione “1 km di TAV = 1000 case popolari”. E su dei cartelli era scritto: “500 metri di Tav = 1 ospedale da 1200 posti letto = 226 ambulatori = 38 sale operatorie”. Cosa si potrebbe fare con quei 27 miliardi di euro destinati al TAV? Cosa si potrebbe fare con quelle decine di milioni di euro all’anno che il governo spende per mantenere il calcagno di ferro della militarizzazione sulle popolazioni della Val di Susa in rivolta? Dare lavoro ai giovani, costruire decine di scuole, ospedali, finanziare la cassa integrazione, risanare il territorio che frana addosso agli italiani. Non farlo è un atto di profondissima arroganza e violenza nei confronti delle masse. Ma non c’è verso che il rinnegato Napolitano e il suo protetto Letta che, insieme al suo compare Hollande, retrocedano da un progetto ancora una volta definito “prioritario”. Evviva, allora, la coscienza che sta tornando a prendere piede tra le masse che non esiste nulla di ineluttabile, che esse devono e possono mettere in campo una dura lotta per imporre il proprio volere su ogni euro di spesa pubblica da stanziare. Noi chiediamo a questi combattenti, in primo luogo le operaie e gli operai, le studentesse e gli studenti, di confrontarsi anche con la questione principale: la loro lotta è inseparabile dalla lotta contro il capitalismo e per la conquista del socialismo. Solo il socialismo fermerà definitivamente lo scempio, destinerà i fondi nell’interesse delle masse e potrà imporre una politica di rispetto e cura delle risorse naturali, del territorio, della salute delle masse popolari italiane. Regione Abruzzo Arrestato per tangenti l’assessore De Fanis (Pdl) Lo scorso 12 novembre sono stati posti agli arresti domiciliari l’assessore alla cultura della Regione Abruzzo Luigi De Fanis insieme alla sua segretaria Lucia Zingariello, mentre nei confronti della responsabile dell’Agenzia per la Promozione Culturale della Regione Abruzzo Rosa Giammanco e del rappresentante legale dell’associazione ‘Abruzzo Antico’ Ermanno Falone è stato disposto l’obbligo di dimora nell’ambito dell’operazione di polizia denominata ‘Il Vate’. Lo ha disposto il GIP del Tribunale di Pescara Mariacarla Sacco per i reati di concussione, truffa aggravata e peculato che il procuratore capo della Procura della Repubblica di Pescara, Federico De Siervo ed il sostituto procuratore Giuseppe Bellelli contestano ai quattro per gravissime irregolarità riscontrate sulle modalità di erogazione dei contributi regionali in base alla legge abruzzese n. 43/1973 che disciplina l’organizzazione, l’adesione, e la partecipazione a convegni ed altre manifestazioni culturali. Le indagini hanno preso il via da una denuncia di un imprenditore che si è rivolto al corpo forestale dello Stato perché veniva sistematicamente e spudoratamente fatto oggetto di richieste di denaro da parte di De Fanis in cambio della erogazione di fondi per l’organizzazione di manifestazioni culturali. In particolare le indagini hanno evidenziato uno squallido giro di soldi percepiti dal quartetto che approfittava dell’erogazione di fondi regionali utilizzati quest’an- no per l’organizzazione degli eventi celebrativi del 150° anniversario della nascita del poeta abruzzese Gabriele D’Annunzio, ma sono emerse anche a carico soprattutto di De Fanis gravissime ipotesi di peculato d’uso di beni e risorse della Regione Abruzzo per interessi privati: dalle intercettazioni delle telefonate intercorse tra De Fanis e la sua segretaria emerge uno squallido giro di spudorato favoritismo nei confronti dei loro amici personali ai quali assegnare consulenze o anche lavori precari nell’ambito di varie manifestazioni, ma anche un disinibito uso del denaro pubblico per l’acquisto di beni strettamente personali tra cui soggiorni in alberghi, bottiglie di costosissimo champagne ed altre spese che sono attualmente al vaglio degli inquirenti. interni / il bolscevico 5 N. 43 - 5 dicembre 2013 Su ordine di Napolitano IL PD GRAZIA CANCELLIERI Con soli 154 voti a favore, 405 contrari, e tre astenuti, il 20 novembre la Camera ha respinto la mozione di sfiducia individuale presentata dal M5S nei confronti del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri al centro di uno scandalo che si fa ogni giorno più grave: quello di essersi messa a disposizione, in una telefonata intercettata dai magistrati inquirenti, della famiglia del magnate Salvatore Ligresti, colpita nel luglio scorso da provvedimenti di custodia cautelare per gravi reati finanziari, e di essere intervenuta poi in prima persona per far concedere gli arresti domiciliari a una delle figlie incarcerate, Giulia Ligresti. A favore della mozione hanno votato il M55, Lega, Sel e Fdi. Contrari PD, FI, Ncd, Scelta civica e Cd. Deputati assenti 67. Tra i favorevoli alla sfiducia anche l’ex Scelta civica Edorardo Nesi e gli ex pentastellati Adriano Zaccagnini e Vincenza Labriola, tutti e tre approdati nel gruppo Misto. Ma a salvare la Cancellieri è stato soprattutto il PD che, nonostante lo sdegno della base e i mal di pancia interni dei renziani che avevano preparato anche un ordine del giorno a firma Paolo Gentiloni per chiedere al partito di votare la sfiducia a Cancellieri, alla fine si è letteralmente calato le brache e “per disciplina di partito” e “responsabilità politica” renziani e cuperliani si sono tutti allineati e nascosti dietro il diktat di Napolitano recapitato da Letta alla riunione del gruppo dei deputati PD ossia: trasformare il voto sulla Cancellieri in una questione di fiducia al governo, salvare le “larghe intese” e rabbonire Berlusconi assicurando il “prosieguo dell’azione di governo avviata dal ministro Cancellieri” con alla testa il provvedimento di amnistia per il La ministra della giustizia è una raccomandata del magnate Ligresti i giovani pd contestano la cancellieri neoduce già da tempo sulla scrivania del Guardasigilli. “So che la pensiamo diversamente, ma vi chiedo responsabilità: l’unità del PD è l’unico punto di tenuta del sistema italiano. Rifiutate una mozione di sfiducia che è frutto di una campagna aggressiva molto forte e slegata dal merito. Vi chiedo di considerarla per quello che è: un attacco politico al governo. E la risposta deve essere un atto politico: un rifiuto”, ha minacciato Letta, subito spalleggiato da Gianni Cuperlo che ha aggiunto: “Il ministro ha dichiarato di non aver violato alcuna norma. Ma la mia opinione è che per motivi di opportunità dovrebbe dimettersi prima del voto. Ma se il premier ci chiede un atto di responsabilità politica, dobbiamo essere tutti responsabili”. Mentre la richiesta irrevocabile di dimissioni agitata da Renzi e Civati si è letteralmente squagliata come neve al sole con Gentiloni che laconicamente ha annunciato il ritiro dell’ordine del giorno pro dimissioni, perché, ha chiarito: “Prendiamo atto con rammarico ma rimane l’obiettivo di ottenere, dopo avere respinto l’attacco politico, un gesto di responsabilità del ministro”. Alla fine anche Civati si è allineato rimangiandosi tutti gli attacchi alla Cancellieri degli ultimi giorni: “Non mi ritrovo nelle riflessioni che si fanno qui ma ne prendo atto con la responsabilità che ci viene chiesta. La mozione M5S non si può ovviamente votare e prendo atto dell’opinione della maggioranza”. Insomma tutti d’accordo perché tutti sapevano, come ha con- Letta solidarizza affabilmente con la ministra Cancellieri assicurandole il sostegno e la protezione del governo fessato lo stesso capogruppo di Montecitorio Roberto Speranza ad alcuni parlamentari, che: “Se il gruppo PD si pronuncia a maggioranza per le dimissioni, non si arriva neanche al voto di sfiducia dell’Aula, visto che più di mezzo Parlamento è nostro”. Per questo Letta e il segretario del PD Epifani non si sono limitati a “mettere la faccia” come chiedeva strumentalmente Renzi per difendere la Guardasigilli, ma hanno praticamente costretto tutto il partito a obbedire compatto al diktat di Napolitano pur di salvare ministro e governo. Le motivazioni poste alla base del salvataggio della ministra non hanno convinto del tutto la base del partito; il 23 novembre infatti la Cancellieri è stata sonoramente contesta dai giovani PD durante un convegno sulla situazione carceraria italiana promosso dalla Sesta Opera San Fedele a Milano. Travestiti da omini del Monopo- li i giovani PD hanno scandito un elenco delle persone morte in carcere e esposto cartelli con la scritta “Imprevisti: esci gratis di prigione”. “Le probabilità, per un detenuto italiano di ricevere il medesimo trattamento della Ligresti sono 1 su 65mila - ha spiegato il segretario cittadino dei giovani PD - Contestiamo la Cancellieri per aver piegato ai suoi personali interessi l’apparato giudiziario e carcerario. Denunciamo lo scandalo di questa raccomandazione e ci chiediamo se il ministro si sia speso nello stesso modo per ognuna delle 26 persone morte suicide in carcere durante il suo mandato... Un ministro responsabile avrebbe rassegnato immediatamente le dimissioni”. Ciononostante e malgrado la sua posizione si sia fatta ormai insostenibile, Napolitano, Letta e il PD continuano a blindare la Cancellieri che, come testimoniano gli ultimi risvolti giudiziari, da servitore dello Stato appare sempre più al servizio della famiglia di Paternò dedita alla delinquenza finanziaria e alla corruzione. Altro che “Caso chiuso” e “governo più forte” come sostiene Letta! Pochi minuti dopo il vergognoso voto assolutorio della Camera, proprio mentre la ministra in Parlamento scandisce per l’ennesima volta: “Non ho contratto debiti di riconoscenza verso nessuno”, dalla Procura di Milano arrivano altri verbali a dir poco imbarazzanti sul conto della Cancellieri. Fra tutti spicca il resoconto degli interrogatori di Salvatore Ligresti che il 15 dicembre del 2012, parlando con i magistrati titolari dell’inchiesta milanese su Fonsai, dichiara testualmente: “Mi feci latore, presso Silvio Berlusconi, del desiderio dell’allora Prefetto Cancellieri che era in scadenza a Parma e preferiva rimanere in quella sede anziché cambiare destinazione... L’attuale ministro Cancellieri - si legge ancora nel verbale - è persona che conosco da moltissimi anni e ciò spiega che mi si sia rivolta e io abbia trasmesso la sua esigenza al presidente Berlusconi. In quel caso la segnalazione ebbe successo perché la Cancellieri rimase a Parma”. Parole che confermano in pieno l’intreccio di rapporti di amicizia tra Cancellieri e i Ligresti, entrambi i fratelli e non solo Nino come ribadito in più occasioni dal ministro e finanche nel suo intervento alla Camera. Insomma è chiaro che la ministra della Giustizia è una raccomandata del magnate Ligresti e il quadro d’insieme che emerge dalle indagini è a dir poco inquietante. Non si capisce ad esempio come mai la procura di Torino (che ha aperto un fascicolo contro ignoti sulla fuga di notizie inerenti i tabulati telefonici tra il ministro della giustizia e Antonino Ligresti) proprio alla vigilia del voto sulla sfiducia, diffonde un comunicato a firma del procuratore Giancarlo Caselli e del sostituto Maddalena, per annunciare che “il ministro Cancellieri non è indagato”. Ma, al tempo stesso invia gli atti alla Procura di Roma, competente per territorio a indagare sui reati afferenti a un ministro della Repubblica, affinché vengano effettuati “i necessari, ulteriori approfondimenti”. Delle due l’una: se non ci sono profili penali da chiarire, nella posizione del Guardasigilli, l’inchiesta va archiviata. Se invece ci sono, allora non si spiega come mai la Cancellieri non è ancora finita nel registro degli indagati. I magistrati torinesi, sorprendentemente, non hanno fatto né l’una né l’altra scelta. Una circostanza che ripropone interrogativi inquietanti sui torbidi rapporti e lo scambio di favori tra la famiglia Cancellieri e i Ligresti. In questa losca vicenda tutto, a cominciare dalla vicenda del figlio del Guardasigilli: Piergiorgio Peluso, assunto e poi fuggito da Fonsai (con la liquidazione d’oro per un solo anno di 3,6 milioni) per dopo averne scoperchiato il buco da 1 miliardo, conferma l’esistenza di una qualche “obbligazione” che lega le due famiglie, e che il ministro si sente in dovere di “saldare”. Altro che “persona libera”, che non ha “contratto debiti di riconoscenza verso nessuno” come continua a sostenere spudoratamente la Cancellieri. VeDrò finanziata dai magnati capitalisti come Enel, Eni, Google e Bombardier Letta costretto a chiudere la sua fondazione per “conflitto di interessi” 7 membri del governo su 23 sono affiliati a Vedrò Che Enrico Letta sia intrallazzato con ampi settori del mondo capitalista è cosa nota ma ora esce confermato dalle recenti indagini giudiziarie che hanno dato un colpo durissimo alla credibilità del progetto Mose di Venezia e nell’ambito delle quali i magistrati hanno inviato la Guardia di finanza a perquisire la sede di VeDrò, ossia la fondazione politica fondata da Letta e Alfano nel 2005 e frequentata da manager, imprenditori, politici, artisti, magistrati, sportivi e molto altro ancora. Questa risulta finanziata da enti pubblici, semipubblici e privati ed i contributi annui che vanno alla fondazione ammontano a circa 800.000 euro annui da parte di Enel, Eni, Autostrade per l’Italia, Lottomatica, Sisal, Hbg, Vodafone, Sky, Telecom Italia, Nestlè, Google e Bombardier, e si fanno solo i nomi più importanti. Si tratta in alcuni casi di aziende privatizzate che derivano da monopoli pubblici come Enel, Eni, Autostrade per l’Italia, Lottomatica e Telecom Italia che hanno un rapporto ancora stretto con la politica e che finanziano con cifre ridotte sia la destra che la sinistra borghese per ragioni di evidente tornaconto politico, ovvero per condizionare le scelte di governo agli interessi privati, e non è certo una novità nel sistema capitalista: d’altra parte questi gruppi economici, dopo avere fatto ottimi affari negli anni ’90 quando lo Stato letteralmente svendette la maggior parte degli enti pubblici economici, sono ancora interessati ad ulteriori privatizzazioni, ed in questo trovano terreno fertile in Enrico Letta il quale ha ripetutamente dichiarato anche prima di salire al governo che è indispensabile ampliare ulteriormente le privatizzazioni con altri pezzi di Eni, Enel e Finmeccanica, ossia riducendo ulteriormente la presenza di azionariato pubblico in tali aziende. Anche altre grosse imprese capitalistiche poi come Vodafone, Alfano e Letta, già fondatori dell’Associazione VeDrò, continuano il loro sodalizio sui banchi del governo Sky, Nestlè, Google e Bombardier non disdegnano certo i favori che il governo Letta potrà assicurare loro finanziando la sua fondazione. Certo più imbarazzante per Letta è il finanziamento che a VeDrò hanno concesso a piene mani a partire dal 2010 multinazionali del gioco d’azzardo come Lot- tomatica e Sisal oltre che grandi aziende come Hbg che stanno diffondendo sempre di più la cultura del gioco tra le sempre più disperate masse popolari italiane, tanto che la ludopatia e la dipendenza dai giochi è ormai ampliamente riconosciuta dagli psicologi come una vera e propria forma di intossicazione psicologica fa- vorita dalle più recenti normative che hanno dato campo libero anche alle aziende private concessionarie: è certo il finanziamento di 15.000 euro a VeDrò da parte di Hbg come è certo il versamento di 20.000 euro da parte di Sisal, a conferma del fatto che la persona ed il governo di Enrico Letta, come tutti i politicanti borghesi ed i relativi governi, è interamente nelle mani dei più potenti e spregiudicati gruppi capitalistici compresi quelli che con tutta evidenza - come quelli legati al gioco d’azzardo - fanno fortuna approfittando della disperazione che la crisi economica getta nel proletariato italiano e non solo. Di fronte alla scandalosa notizia inerente la sede della fondazione che a luglio è stata perquisita dalla Guardia di Finanza per verificare la correttezza di alcuni finanziamenti ricevuti, Letta e Alfano hanno subito annunciato la chiusura della fondazione “per evitare situazioni di conflitto di in- teressi”. In realtà la fondazione, che rappresenta una vera e propria lobby politica, si può dire che ormai ha raggiunto i suoi massimi obiettivi dal momento che oltre a Letta e Alfano ben altri 5 membri di VeDrò, in tutto 7 membri su 23, fanno parte dell’Esecutivo con alla testa i ministri Nunzia De Girolamo, Beatrice Lorenzin, Andrea Orlando, Josefa Idem e Filippo Patroni Griffi. Ma anche Monica Nardi, responsabile media di VeDrò e oggi responsabile comunicazione del premier e Matteo Renzi che fino a poco tempo era assiduo frequentatore di VeDrò. Altro che “rete di scambio di conoscenza formata da più di 4.000 persone: professori universitari, imprenditori, scienziati, liberi professionisti, politici, artisti, giornalisti, scrittori, registi, esponenti dell’associazionismo” come si legge nel sito web! Questo è lobbismo politico della peggior specie. 6 il bolscevico / PMLI N. 43 - 5 dicembre 2013 Articoli de “Il Bolscevico” sulla linea giovanile e studentesca del PMLI (dal gennaio 2010 all’ottobre 2013) ✔ Scuderi, Conquistiamo al Partito le studentesse e gli studenti più avanzati e combattività - “Il Bolscevico” n. 46/2012 ✔ Commissione giovani del CC del PMLI, “Giovani, date le ali al vostro futuro” - “Il Bolscevico” n. 36/2013 ✔ Il ruolo dei giovani marxistileninisti - “Il Bolscevico” n. 47/2012 ✔ I tre elementi per il successo del lavoro giovanile e studentesco del PMLI ✔ I marxisti-leninisti e l’uso dei social network - estratti dal Documento del CC del PMLI del 3/4/2011 ✔ Branzanti, Ispiriamoci a Lenin per conquistare i giovani alla causa dell’Italia unita, rossa e socialista e per liberarci dal go- verno Monti - “Il Bolscevico” n. 2/2012 ✔ Picerni, Radichiamoci nelle scuole e nelle università - “Il Bolscevico” 9/11/2011 ✔ Picerni, Battiamoci per l’assemblea generale delle studentesse e degli studenti - “Il Bolscevico” 30/11/2011 ✔ Picerni, Studentesse e studenti marxisti-leninisti, lavorate per ✔ ✔ ✔ ✔ ✔ Intervistate i lavoratori e gli studenti in lotta Per conoscere direttamente dai lavoratori e dagli studenti quali sono i loro problemi, le loro rivendicazioni, il loro parere sulla situazione politica, il loro stato d’animo, non c’è modo migliore di intervistarli durante le manifestazioni e le occupazioni. Naturalmente bisogna prepararsi bene prima dell’intervista avendo in mente le domande da porre in linea di massima e avendo con sé un registratore (o almeno un taccuino) e una macchina fotografica. Abbiamo già due modelli cui ispirarsi. Le interviste fatte dalla compagna Giovanna Vitrano e dal compagno Federico Picerni pubblicate rispettivamente su “Il Bolscevico n. 38/13 e n. 21/13. Si possono fare delle interviste anche durante i banchini. Le interviste sono utili pure per attirare l’attenzione sul PMLI e il suo organo . Coraggio, intervistate i lavoratori e gli studenti in lotta! Chi saranno i prossimi compagni a farle? Milano, 4 ottobre 2013. Un nostro compagno si intrattiene con dei manifestanti discutendo in merito alle tematiche del testo dell’Appello del PMLI ai giovani come: la crisi del capitalismo, il governo Letta, il neoduce Berlusconi, il ruolo dei falsi comunisti per mantenere basso il livello di coscienza politica dei giovani, la cultura del proletariato e la via maestra del socialismo (foto Il Bolscevico) diventare leader del movimento studentesco - “Il Bolscevico” n. 45/2012 ✔ Picerni, Per diventare leader studenteschi, le studentesse e gli studenti marxisti-leninisti devono studiare e applicare le sette indicazioni di Scuderi per il lavoro studentesco - “Il Bolscevico” n. 2/2013 ✔ Applichiamo gli insegnamenti di Marx, Lenin e Mao e la linea del PMLI sull’istruzione - “Il Bolscevico” n. 4/2013 ✔ Commissione giovani del CC del PMLI, Applichiamo le indicazioni di Pasca sulla propaganda e il lavoro giornalistico al settore giovanile - “Il Bolscevico” n. 40/2013 ✔ Circolare del Responsabile Giovani del CC del PMLI, “Mi- ✔ ✔ ✔ ✔ ✔ gliorare, approfondire e sviluppare il lavoro studentesco dei marxisti-leninisti”, 9 settembre 2012 Circolare 1/2013 della Commissioni giovani del CC del PMLI Giovani, prendete in mano il vostro futuro: astenetevi e lottate contro il capitalismo, per il socialismo - “Il Bolscevico” n. 4/2013 Astieniti per delegittimare gli attuali organi di governi dell’università. Lotta per l’università governata dalle studentesse e dagli studenti - “Il Bolscevico” 30/3/2011 Affossiamo il CNSU con l’astensionismo - “Il Bolscevico” n. 19/2013 Necco, Manifestazione storica che mette in luce i caratteri positivi e i limiti del movimento degli “indignados” - “Il Bolscevico” ottobre 2011 I marxisti-leninisti e l’altrariforma dell’università - “Il Bolscevico” n. 1/2011 No all’abolizione del valore legale della laurea - “Il Bolscevico” 1/2/2012 Si possono “liberare i saperi” senza rompere la gabbia del capitalismo? - “Il Bolscevico” 14/11/2012 Cambiare il mondo come Steve Jobs? - “Il Bolscevico” ottobre 2012 Se hai vent’anni lotta per cambiare davvero l’Italia - “Il Bolscevico” n. 18/2013 Migliaia di lavoratori aderiscono all’appello contro la legge di stabilità e le politiche del governo Letta SCIOPERO GENERALE DI QUATTRO ORE A CATANIA INDETTO DA CGIL E UIL Distribuite decine di copie de”Il Bolscevico” e centinaia di copie del volantino “Nel Sud si emigra come nel dopo guerra”. Comizi volanti tra i manifestanti. Autoprodotto un cartello manifesto Dal corrispondente della Cellula “Stalin” della provincia di Catania Nel capoluogo etneo sono stati circa cinquemila i lavoratori, studenti, giovani, disoccupati, pensionati, che hanno risposto all’appello dei sindacati, riunendosi in mattinata davanti Villa Bellini. Percorrendo le strade del centro città, dalla centralissima via Etnea, il corteo ha attraversato via di San Giuliano, per poi concludersi in Piazza Manganelli, dove gli organizzatori ed i rappresentanti di categoria hanno preso la parola. Si è trattato di un corteo com- battivo e pieno di rabbia nei confronti del governo, in risposta alla profonda crisi che colpisce il mondo del lavoro catanese. A sfilare sono i lavoratori della Fillea CGIL di Catania, città in cui il settore edile subisce ogni giorno di più gli effetti di una crisi senza precedenti; innalzando a livelli elevatissimi il record di disoccupati; i dipendenti dell’ente di formazione ANFE Catania, presenti all’iniziativa con striscioni quali: “formazione, gli stipendi lavorati vanno pagati” e “formazione riforma sì, licenziamenti no”. Questi ultimi fanno riferimento all’ente di formazione ANFE Ca- Sciopero generale Cgil, Cisl e Uil del 15 novembre IL PMLI PRESENTE ALLA MANIFESTAZIONE DI RIMINI Dal corrispondente della Cellula “Stalin” di Rimini del PMLI La Cellula “Stalin” di Rimini del PMLI ha partecipato alla manifestazione indetta dai tre sindacati confederali per lo sciopero generale di quattro ore il 15 novembre. La giornata è stata molto piovosa limitando la partecipazione dei lavoratori, vi erano però le rappresentanze delle fabbriche locali. Durante i comizi dei tre rappresentanti sindacali Cgil, Cisl e Uil i militanti del PMLI hanno tenuto ben alta la bandiera del Partito nonostante la pioggia torrenziale che ha peraltro costretto a concludere prima del previsto la manifestazione. tania, finito qualche settimana fa sotto la lente della magistratura con l’accusa di aver distratto i fondi europei destinati alla formazione per destinarli, tra gli altri, a parenti dell’ex-governatore siciliano, Raffaele Lombardo, MPA. I lavoratori del settore formazione hanno ribadito come la pulizia dei settori “marci”, non può avvenire a danno dei lavoratori che ormai da venti mesi attendono lo stipendio pregresso. La figlia di un lavoratore senza stipendio, che aveva tentato il suicidio ma era stato fermato dai colleghi di lavoro, ha lanciato un appello chiedendo di intervenire al più presto data la drammatica situazione economica. Hanno sfilato al corteo anche i lavoratori dei Beni Culturali, tra i quali i lavoratori del Teatro Massimo Bellini, a causa dei continui ritardi nell’erogazione degli stipendi. Presenti molti rappresentanti di diverse categorie produttive, quali i metalmeccanici che stanno subendo pesantemente gli effetti della crisi economica e finanziaria capitalistica. Questo è il caso della “Mantello” di Granmichele, l’unica impresa artigiana nel territorio siciliano che si occupa di progettazione e costruzione di macchinari per il taglio e la lavorazione del marmo e che rischia di chiudere a causa del blocco totale delle commesse; nel settore non esistono ammortizzatori sociali adeguati e la CIGS in deroga viene messa in discussione, lasciando i lavoratori senza alcuna prospettiva dopo il mese di dicembre. Per quanto riguarda gli studenti della scuola media superiore, essi hanno dato vita ad una manifestazione parallela. Senza dubbio un’occasione persa nell’ottica della creazione di un corteo unitario, che avrebbe dato forza al movimento di massa contro il governo Letta. Durante il comizio finale, i sindacati hanno rivendicato, per bocca dei segretari generali di CGIL e UIL di Catania, Angelo Villari e Angelo Mattone, una forte modifica della legge di stabilità, in quanto essa non basterebbe a fare uscire il paese dal declino. È stato sottolineato che nessun provvedimento è stato preso né per l’agricoltura né per l’industria, mentre nulla è stato fatto per diminuire le tasse a lavoratori e pensionati o per rivalutare le pensioni. Per quanto concerne la pubblica amministrazione, i rappresentanti dei sindacati hanno sottolineato che i provvedimenti presi dal governo Letta sono in continuità con quelli effettuati dai governi Berlusconi e Monti, penalizzando pesantemente gli impiegati pubblici. I sindacalisti hanno affermato che “se non riparte Catania non riparte l’intera Sicilia orientale”, e lanciato la promessa di non fermarsi a questa iniziativa. Mah, vedremo. Lo sciopero aprirebbe, infatti, una nuova stagione di lotta per i sa- Catania, 15 novembre 2013. La combattiva partecipazione dei marxisti-leninisti della provincia etnea al corteo per lo sciopero generale (foto Il Bolscevico) lari, il lavoro, la detassazione e per lo sviluppo. A conclusione del comizio è stato ribadito che per i sindacati, in qualità di “sensori del territorio” c’è in gioco la loro stessa rappresentatività. La Cellula “Stalin” della provincia di Catania ha partecipato attivamente al corteo con militanti, simpatizzanti e amici, distribuendo centinaia di copie del volantino “Nel Sud si emigra come nel dopo guerra”, che è stato ben accolto dai partecipanti alla manifestazione. Sono state, inoltre, distribuite una decina di copie de “Il Bolscevico” (N. 40/41). Le compagne e i compagni presenti all’iniziativa, hanno lanciato slogan con il megafono contro il governo Letta ed il patto di stabilità. Mentre un compagno ha effettuato comizi volanti, tratti dal comunicato stampa del PMLI “la colpa della disoccupazione è del capitalismo e dei suoi governi” e dal volantino “nel sud si emigra come nel dopo guerra”, raccogliendo consensi tra i manifestanti. Il compagno che lanciava slogan al megafono è stato ripreso da una TV locale. I compagni hanno prodotto per l’occasione un manifesto 50x70, dal titolo “lottare contro il capitalismo e i suoi governi è lottare per il socialismo. Questa è l’unica alternativa in grado di dare le ali ad un futuro libero da povertà, disoccupazione e sfruttamento”. Nella seconda facciata è stata esposta la copertina de “Il Bolscevico” (n.41) “contro la barbarie del capitalismo, la via maestra è il socialismo e il potere del proletariato”. Si è trattato di un’altra giornata di lotta e di visibilità per il Partito fra le masse popolari catanesi che guardano quest’ultimo con rispetto e ammirazione, grazie alla presenza storica maturata dal PMLI alle manifestazioni e nel vivo del dibattito politico. N. 43 - 5 dicembre 2013 PMLI / il bolscevico 7 8 il bolscevico / tesi universitaria di Federico Picerni N. 43 - 5 dicembre 2013 SULLE CENERI DELLA TRADIZIONE Critica letteraria, filosofica e storica durante il Pi Lin Pi Kong (campagna di critica a Lin Biao e Confucio) - 2ª parte Mao diede la propria approvazione affinché il documento fosse diffuso su scala nazionale. Ciò avvenne tramite una circolare del Comitato centrale del PCC diramata il 18 gennaio, preceduta da una introduzione: «[Lin Biao] appartiene alla stessa categoria dei reazionari sull’orlo dell’estinzione. È uno di quelli che venerano Confucio e combattono il legismo, attacca Qin Shi Huang, fa degli insegnamenti di Confucio e Mencio l’arma ideologica reazionaria alla base del suo vano complotto per usurpare il potere nel Partito e restaurare il capitalismo. Questo materiale raccolto dall’Università di Pechino e dall’Università Qinghua sarà di grande aiuto per continuare e approfondire la critica a Lin, criticare l’essenza ultradestra della linea di Lin Biao, continuare a sviluppare la critica dell’idea di venerare Confucio e combattere il legismo, rafforzare l’educazione ideologica e sul piano della linea politica»8. L’accostamento di Lin Biao a Confucio fu favorito dal rinvenimento di notevoli quantità di libri, opere di calligrafia, citazioni riguardanti Confucio e Mencio nell’abitazione dell’ex maresciallo a Pechino, prove materiali della venerazione di Lin per il confucianesimo che andavano ad aggiungersi alle già abbondanti prove teoriche individuate dai teorici cinesi. Il 2 febbraio, l’editoriale del Renmin Ribao, significativamente intitolato Portiamo fino in fondo la lotta per criticare Lin Biao e Confucio, diede inizio alla campagna Pi Lin Pi Kong. Nel corso della campagna, che investì tutta la Cina, si assistette ad una enorme diffusione dello studio della storia, della filosofia e della cultura a livello di massa. Venne promosso lo studio dei classici del marxismo-leninismo e degli scritti di Mao; significativamente, nel 1972 era stata pubblicata l’edizione cinese delle Opere scelte di Marx ed Engels. Un elenco sterminato di contributi originali, approfonditi e documentati, riguardanti una miriade di questioni e campi di indagine, venne prodotto da gruppi teorici, gruppi di critica, gruppi di scrittura organizzati all’interno delle fabbriche, delle comuni, delle scuole, delle università, degli uffici, dei comitati del Partito e delle compagnie dell’Esercito popolare di Liberazione. I giornali traboccavano di articoli che incoraggiavano la campagna a proseguire la lotta contro il revisionismo e la “rivoluzione nella sovrastruttura”, rifiutando radicalmente concetti e costumi entrati nella mentalità e nella quotidianità del popolo cinese. Il mondo letterario e artistico fu investito in pieno e sollecitato a produrre opere che respingessero i valori tradizionali e promuovessero quelli rivoluzionari. Sul piano della ricerca storica, ebbe grande risalto e diffusione lo studio della lotta fra la scuola confuciana e quella legista, le due scuole di pensiero più antitetiche della storia cinese, ribaltando verdetti storici dati per certi, come quello su Qin Shi Huang. Grande popolarizzazione ebbero le opere di Lu Xun, considerato il precursore della Rivoluzione culturale. È particolarmente interessante notare che, se nel corso dei secoli i valori confuciani vennero assorbiti passivamente dalla stragrande maggioranza illetterata della popolazione cinese, soprattutto attraverso quella «forza dell’abitudine» denunciata da Lenin, durante il Pi Lin Pi Kong quegli stessi valori vennero ripudiati attivamente dalle masse popolari, molto spesso criticando direttamente i testi antichi e il loro significato contemporaneo. Alla critica verso l’arroganza degli intellettuali e le tendenze burocratiche fecero seguito rinnovati appelli rivolti ai quadri affinché prestassero ascolto alle masse popolari. Vennero attaccati i «confuciani dei giorni nostri», anche nelle persone di dirigenti del PCC e dei Comitati rivoluzionari (i nuovi organi di governo sorti durante la Rivoluzione culturale). All’inizio del 1974 si sviluppò con particolare vigore un movimento contro chi aveva sfruttato la propria posizione altolocata per far ammettere i figli all’università o evitare che fossero inviati a rieducarsi nelle campagne. «Caratteristica significativa del movimento», nota Han Suyin, «è stata la partecipazione rilevante delle donne. […] Già nel corso della rivoluzione culturale le masse femminili si erano risvegliate, partecipando in prima persona all’attività politica; questa campagna le ha ulteriormente mobilitate, concentrandosi sulle pressioni culturali e psicologiche, sulla secolare oppressione a cui sono state sottoposte le donne». Numerosi articoli sull’emancipazione femminile apparvero sui giornali, casi di donne comuniste modello che osavano «andare controcorrente» vennero pubblicizzati su scala nazionale e venne ripreso il controllo delle nascite. È importante notare che la campagna cominciò con una forte spinta dal basso ed ebbe una larga partecipazione di massa, sempre comunque sotto la direzione politica del Partito9. La sua straordinarietà sta nel fatto che temi considerati accademici ed elitari vennero discussi e criticati dalle vaste masse popolari, ribaltando completamente le gerarchie sociali di stampo confuciano. A riguardo è molto interessante quanto ha scritto Han Dongping nell’ambito della sua indagine sullo svolgimento della Rivoluzione culturale in un villaggio cinese: «Per molti appartenenti all’élite istruita, la campagna anti-Lin Biao e antiConfucio sembrava vaga e astratta. Ma aveva un significato specifico per la gente ordinaria. Il tema principale della campagna era criticare la mentalità elitaria presente nella cultura cinese. […] Agli occhi dell’élite cinese, il lavoro agricolo era un’occupazione di basso rango. Il movimento incoraggiò la gente delle campagne a rialzare la testa e l’aiutò a riconoscere il proprio valore. In questo senso, la campagna aiutò i comuni abitanti dei villaggi cinesi a scoprire la propria dignità». Non è facile identificare una data di conclusione del Pi Lin Pi Kong, anche perché in effetti non venne mai emanato alcun editto ufficiale dichiarandone la fine. Nel rapporto sulla revisione della Costituzione della Repubblica po- “Condurre con cura la lotta popolare di critica a Lin Biao e Confucio” (1975) polare presentato alla IV Assemblea popolare nazionale nel gennaio 1975, Zhang Chunqiao disse: «Dobbiamo allargare, approfondire e continuare il movimento in corso per criticare Lin e Confucio e occupare tutti i fronti con il marxismo». Nei mesi successivi l’enfasi si spostò sulle successive e più urgenti campagne, ma i temi sollevati dal Pi Lin Pi Kong avrebbero continuato a occupare l’ambiente politico e culturale cinese fino alla morte di Mao. 4.1. La scintilla: la questione del genio Nella prima fase della Rivoluzione culturale, l’apparato propagandistico nelle mani di Tao Zhu prima e di Chen Boda dopo esaltò Mao al massimo livello, presentandolo come un condottiero infallibile e un teorico impareggiabile il cui pensiero aveva superato addirittura il marxismo-leninismo. Mao non era entusiasta del culto costruito attorno alla sua figura e in più occasioni intervenne in via diretta per attenuarlo. In realtà, questi espedienti propagandistici erano probabilmente rivolti più a consolidare l’immagine dello «stretto compagno d’armi» Lin Biao all’ombra del «maestro» Mao, nonché a rappresentare quest’ultimo come un nuovo imperatore lontano e inaccessibile dal popolo, contrariamente alla sua abitudine di scendere fra le masse e stare a contatto con loro. Questa idea sembra supportata da Han Suyin, la quale scrive: «Per assicurarsi la successione, Lin Biao aveva utilizzato una tradizione molto più antica del marxismo, quella del capo confuciano, superuomo, genio, rappresentante della volontà del cielo, fedele ai “riti” e alla tradizione». La questione esplose nel 1970, nell’ambito del dibattito sulla nuova Costituzione, quando Lin e il suo gruppo cercarono di aggiudicarsi la presidenza della Repubblica popolare. Naturalmente, ciò non poteva essere fatto per via diretta: era necessario che fosse Mao ad accettare la carica, e Lin ne sarebbe stato il naturale vice. L’esplicito rifiuto di Mao a ricoprire nuovamente il ruolo di capo di Stato, già svolto dal 1954 al 1959, e la sua espressa contrarietà a reinserire la carica di presidente nella nuova Costituzione non bastarono a calmare le acque nella commissione incaricata della revisione costituzionale, dove gli uomini di Lin e Chen si scontrarono ripetutamente con Kang Sheng e Zhang Chunqiao. La II Sessione plenaria del IX Comitato centrale del PCC si tenne fra l’agosto e il settembre dello stesso anno proprio per approvare il progetto di Costituzione. Inaspettatamente, Chen Boda presentò un documento per dimostrare che Mao era un «genio» e che tale formulazione non era in contraddizione con il marxismo; anzi, affermare il contrario avrebbe significato opporsi a Mao. L’obiettivo celato era però rafforzare ulteriormente l’autorità di Lin, il quale, in quanto successore di Mao, sarebbe stato a sua volta presentato come il capo geniale rivestito di un’aura di sacralità. «Ignorando l’ordine del giorno prestabilito e il lavoro dei gruppi di lavoro del Comitato centrale nei quattro mesi precedenti durante i quali Mao Zedong aveva ottenuto la maggioranza sulla questione di non ricostituire la presidenza, Lin Biao, nascondendosi dietro le lodi a Mao, parlò abbondantemente della questione del genio, affermando: “Sarà vantaggioso confermare in via legale la posizione del grande dirigente il presidente Mao come capo della nazione e comandante supremo”». Mao replicò con un contro-documento nel quale definì «chiacchiere e sofisterie» le parole di Chen, «che si spaccia per conoscitore del marxismo ma all’atto pratico fondamentalmente non ne sa nulla», e ribadì: «Quello che ho inteso dire principalmente è che è grazie alla pratica sociale degli uomini, e non grazie al genio degli uomini, che il mondo fa progressi»10. La successiva campagna contro l’idealismo e l’apriorismo ideologico venne diretta contro Chen, ma Mao era consapevole che il vero beneficiario della questione del genio sarebbe stato Lin, come palesò successivamente: «Io e il compagno Lin Biao abbiamo parlato», dichiarò durante un viaggio di ispezione, «ma alcune cose che ha detto non sono molto appropriate. Ad esempio ha detto che una volta ogni centinaia di anni nel mondo e ogni migliaia di anni in Cina compare un genio. Vi pare che questo corrisponda ai fatti? Marx ed Engels erano contemporanei e fra loro e Lenin e Stalin non sono passati neanche cento anni, quindi come si può dire che un genio compare una volta ogni centinaia di anni? In Cina abbiamo avuto Chen Sheng e Wu Guang, poi Hong Xiuquan e Sun Yat-sen, quindi come si può dire che un genio compare una volta ogni migliaia di anni? E poi c’è tutto il vociare sui “picchi” raggiunti e sul fatto che “una frase ne vale diecimila”. Non vi pare un po’ esagerato? Una frase resta pur sempre una frase, quando mai potrebbe valere quanto diecimila altre frasi?». Nemmeno quella del genio era un’idea originale di Lin Biao, ma affondava le sue radici nel pensiero confuciano. La sua critica, ripartendo dalla campagna anti-idealista del 1970-1971, trovò largo spazio nel Pi Lin Pi Kong, dal momento che il concetto di “genio” è in netto contrasto con il principio maoista secondo cui «il popolo e solo il popolo è la forza motrice che crea la storia del mondo»11. Se è vero che Confucio diede sempre grande importanza all’educazione per migliorare le proprie qualità morali, è altrettanto vero che credeva nell’esistenza del genio innato, come dimostrato da un brano fondamentale dei Dialoghi, che così recita: «Coloro che sin dalla nascita sono dotati di sapienza sono uomini superiori; seguono quelli che acquistano la sapienza con lo studio, poi quelli che pur versando nelle difficoltà si sono applicati allo studio e infine, ultimi tra gli uomini, coloro che, versando nelle difficoltà, non sono riusciti ad applicarvisi». Secondo un’interessante edizione critica dei Dialoghi pubblicata nel 1974 dall’Università di Pechino, il passaggio finale andrebbe reso in questo modo: «Imbattendosi nelle difficoltà e non potendo studiare, la gente comune appartiene a questa categoria di uomini inferiori». Questo, secondo gli autori, rende ancora più esplicito quanto è già implicito nella versione classica: le prime due categorie sono individuabili negli elementi della classe schiavistica dominante sotto la dinastia Zhou e soppiantata dal feudalesimo in epoca Qin, mentre le ultime due categorie corrispondono agli schiavi ed ai lavoratori, in una «svergognata adulazione di Confucio verso i proprietari di schiavi». Secondo questo schema, applicabile a tutte le classi sfruttatrici succedutesi, la plebe e i lavoratori vengono considerati di rango inferiore, «perciò il loro sfruttamento e la loro oppressione sono giustificati, ma la ribellione del popolo lavoratore e la rivoluzione sono sbagliate. Anche l’arrivista borghese Lin Biao, nel tentativo di giustificare il suo complotto controrivoluzionario per restaurare il capitalismo, si è appoggiato a questa assurdità reazionaria». Pare inoltre che Lin abbia affermato in una occasione che le capacità intellettuali e materiali degli individui dipendono per metà da caratteristiche innate e per metà dall’istruzione, rispecchiando il pensiero di Confucio. Un altro articolo del Renmin Ribao conteneva un esplicito ribaltamento dell’idea di genio. Esaltando i successi del socialismo cinese, esso affermava: «Abbiamo ottenuto tutto questo grazie al duro lavoro dei nostri operai e sulla saggezza collettiva. Colui che Confucio definisce “saggio” in realtà non è che un parassita ignorante distaccato dal lavoro manuale, distaccato dalle masse e distaccato dalla pratica concreta, che non muove mai un dito e non sa distinguere i cinque cereali». Quindi, se il genio non è l’individuo dotato di capacità innate fuori dal comune, ma la saggezza collettiva della classe rivoluzionaria e del popolo stesso, la cui «pratica sociale» consente al mondo di progredire, è evidente come questa idea sia da una parte profondamente anti-elitaria, e dall’altra combaci con l’obiettivo di Mao di creare «milioni di successori alla causa rivoluzionaria del proletariato». 4.2. «Autocontrollo e ritorno ai riti»: un piano di restaurazione Come si è già visto nei capitoli precedenti, Confucio era considerato dalla storiografia comunista il rappresentante ideologico per eccellenza della classe dominante schiavista in declino che rimpiangeva i fasti del passato, di fronte all’ascesa della classe che si sarebbe definitivamente imposta con l’unificazione della Cina ad opera di Qin Shi Huang. Questa lettura è validata dall’esplicita ammirazione del grande pensatore cinese per la passata epoca Zhou, durante la quale la scrupolosa osservanza delle norme rituali avrebbe garantito l’esistenza della società ideale. Rifarsi alla formula «Autocontrollo e ritorno ai riti» avrebbe garantito, secondo Confucio, di poter agire secondo ren (senso dell’umanità, benevolenza). Il Pi Lin Pi Kong capovolse il significato del ritorno ai riti: non più una positiva riscoperta della rettitudine in un tempo di sconvolgimenti, bensì restaurazione dell’ordine sociale preesistente. Questa interpretazione è chiara SEGUE IN 9ª E 10ª tesi universitaria di Federico Picerni / il bolscevico 9 N. 43 - 5 dicembre 2013 nella già citata edizione critica dei Dialoghi, dove il suddetto brano viene così commentato: «È chiaro che per “ritorno ai riti” si intende restaurazione, e che “autocontrollo e ritorno ai riti” rappresenta il piano reazionario di Confucio per proteggere e restaurare la società schiavista. Successivamente, tutte le classi dominanti reazionarie della storia avrebbero fatto ricorso alla parola d’ordine reazionaria di “autocontrollo e ritorno ai riti” per soffocare sul piano ideologico le aspirazioni rivoluzionarie delle masse popolari». Negli stessi termini si era espresso, già nel 1973, anche Yang Rongguo, professore dell’Università Zhongshan di Guangzhou, in un articolo che è corretto definire «pionieristico» ai fini del Pi Lin Pi Kong: Confucio, un pensatore che sostenne testardamente il sistema schiavistico (Renmin Ribao, 7 luglio 1973). Allo stesso principio confuciano si sarebbe rifatto lo stesso Lin Biao, il quale, fra la fine del 1969 e l’inizio del 1970, tratteggiò più volte la medesima opera calligrafica: «In ogni tempo, di tutte le cose, l’unica veramente importante è esercitare autocontrollo e tornare ai riti». Non occorre precisare il palese collegamento fra queste parole, che vennero ritenute la quintessenza della linea reazionaria di Lin Biao, e l’insegnamento dell’antico Maestro, a sua volta fulcro del confucianesimo. L’editoriale del Renmin Ribao del 20 febbraio 1974 inquadrò il precetto confuciano di restaurazione dei riti come arma ideologica dell’intera cospirazione di Lin Biao: «Il piano politico di Lin Biao per “restaurare i riti” consisteva nella ricostituzione della carica di presidente della Repubblica. […] Il piano teorico di Lin Biao per “restaurare i riti” consisteva nella “teoria del genio”. […] Il contenuto di classe della “restaurazione dei riti” di Lin Biao è riportare alla ribalta la borghesia feudale e istituire la dinastia fascista Lin». Da quel momento, la critica contro questo fondamentale principio confuciano abbondò sui giornali e sulle riviste di critica, sviluppandosi principalmente su due fronti: da una parte, proseguirono gli articoli volti a dimostrare la natura reazionaria del concetto di «ritorno ai riti», che in ultima analisi significava tornare ai valori tradizionali contro i quali la Rivoluzione culturale si stava scagliando con tanta veemenza. Dall’altra, fu approfondita la critica del «piano reazionario» di Lin Biao basato su tale concetto. Il Wen Hui Bao di Shanghai, ad esempio, sottolineò come la restaurazione dei riti fosse un espediente ideologico a disposizione di tutte le classi dominanti in declino o delle classi rovesciate per mantenere o restaurare il proprio potere a discapito della nuova classe sociale in ascesa: «Le epiche lotte condotte per migliaia di anni dal popolo cinese contro le classi sfruttatrici reazionarie sono state tutte rivolte a rompere le catene dei “riti” e rovesciare il potere dei reazionari. Al contrario, le lotte all’ultimo sangue condotte dalla classe dei proprietari di schiavi, dalla classe feudale e dalla borghesia sono state tutte rivolte a salvaguardare questi “riti”. Persino dopo il loro rovesciamento sperano di poter restaurare questi “riti”». Particolarmente interessante l’uso dell’espressione «catene dei “riti”» poiché, in effetti, Confucio individuava nell’osservanza delle norme rituali il metodo per fissare l’ordinamento gerarchico della società. Tutto il discorso inoltre si inserisce perfettamente nel contesto della Rivoluzione culturale e nel suo dichiara- to obiettivo di impedire il ritorno al potere della borghesia attraverso una restaurazione del capitalismo per subdole vie pacifiche e culturali. Una ulteriore analogia quasi testuale a supporto dell’immagine di Lin come devoto discepolo di Confucio in materia di restaurazione fu possibile interpretando uno degli ultimi brani dei Dialoghi, nel quale viene lodato il governo benevolo della dinastia Zhou: «Restaurò i regni distrutti, assicurò discendenza alle stirpi interrotte, promosse i talenti perduti». È chiaro che, nell’interpretazione del Pi Lin Pi Kong, questo brano di chiara lode per un governo rispettoso delle norme del passato, ribadisce l’intenzione di Confucio di riportare in auge il sistema schiavistico con un esplicito appello alla restaurazione dell’aristocrazia schiavistica. Impossibile non scorgere una certa affinità con quanto Lin Biao e i suoi congiurati enunciavano in uno dei punti nello Schema di Progetto 571 (si ricordi che B-52 era il nome in codice per indicare Mao): «Concessione dell’emancipazione politica a tutti coloro che sono stati perseguitati da B-52 in passato in base ad accuse infondate». La critica del Pi Lin Pi Kong investì anche un altro fondamentale precetto confuciano strettamente legato ai riti: quello della rettifica dei nomi. Secondo Confucio, è necessario chiamare ogni figura istituzionale o familiare con il proprio nome affinché possa espletare appieno il suo ruolo e posizionarsi correttamente nella gerarchia sociale in base ai principi di pietà filiale e lealtà al sovrano. Anche la rettifica dei nomi venne messa in discussione, vista non come principio di riordino, bensì come gerarchizzazione della società per giustificare il dominio della classe dominante sfruttatrice. Su questa base i polemisti del Pi Lin Pi Kong si scagliarono contro i richiami di Lin Biao all’ordine e alla disciplina, e nel concreto contro il suo tentativo di ricostituire la carica di presidente della Repubblica: «[Lin] parlò della necessità di avere un “capo” dello Stato e, basandosi sulla “rettifica dei nomi” utilizzata da Confucio per “restaurare i riti”, farfugliò che, senza un “capo” dello Stato, “i nomi non sarebbero rettificati e le parole non avrebbero peso”». Insomma, nonostante le epoche storiche differenti separate da un abisso di duemila anni, il ruolo del «ritorno ai riti» significa invariabilmente invertire la storia e bloccare lo sviluppo della lotta di classe, che nella dottrina marxista rappresenta il vero motore del progresso storico. «Il “ritorno ai riti” di Lin Biao e il “ritorno ai riti” di Confucio, malgrado siano diverse le epoche e il sistema di sfruttamento che intendono restaurare, in sostanza sono la stessa cosa. La loro linea politica consiste nella restaurazione della vecchia società sfruttatrice marcia e decaduta, nell’opporsi al progresso ed alla rivoluzione e nel vano tentativo di invertire le ruote della storia». 4.3. Umanità e mansuetudine: miùlùn reazionarie Come si era già accennato nel capitolo “3. Confucio. Padre della tradizione”, nel vocabolario confuciano esiste un termine importantissimo, che Anne Cheng definisce «una parola in grado di guidare la condotta di tutta una vita»: shu, la mansuetudine. È solo attraverso l’esercizio della mansuetudine che è possibile attivare ren, il senso dell’umanità, la benevolenza che è al centro di tutta la dottrina confuciana. Così infatti raccomanda il Maestro ai suoi discepoli: «Mansuetudine non è forse la parola chiave? Ciò che non vuoi sia fatto a te, non farlo agli altri». In un altro passaggio, i discepoli riprendono la parola e riflettono sugli insegnamenti a loro impartiti (non va infatti dimenticato che i Dialoghi non sono un lavoro diretto di Confucio, bensì un’opera posteriore considerata la raccolta delle sue citazioni ad opera dei discepoli), giungendo a questa conclusione: «La Via del Maestro consiste nell’agire secondo mansuetudine e lealtà». È interessante menzionare che Anne Cheng, ripresa in italiano da Lamparelli (1989), rende zhōng con «lealtà verso se stessi»; al contrario, Lippiello (2006) si limita ad una traduzione più letterale: «massima lealtà». Si tratterebbe insomma di un’idea di benevola reciprocità e di fratellanza estesa a tutte le persone («Fra i quattro mari tutti gli uomini sono fratelli», recita l’adagio confuciano). Del tutto diversa è l’interpretazione degli attivisti del Pi Lin Pi Kong. In premessa occorre precisare che questi ultimi, nella loro lotta per «innalzare la bandiera rossa su tutti i regni della sovrastruttura», si rifacevano ad un importante insegnamento di Mao secondo cui: «Nella società divisa in classi, ogni individuo vive come membro di una determinata classe»12. L’utopia della fratellanza universale si scontra così con l’esistenza di classi sociali in lotta fra di loro che dividono la società (e la stessa umanità) in campi antagonisti: «Quanto al cosiddetto “amore per l’umanità”, da quando l’umanità è divisa in classi non è mai esistito un amore come questo, un amore che abbraccia tutto e tutti. Alle varie classi dominanti del passato piaceva predicare un tale amore, e molti saggi hanno fatto altrettanto, ma nessuno l’ha messo realmente in pratica, perché nella società divisa in classi questo amore è impossibile»13. In queste parole di Mao, sarebbe difficile non scorgere il ren nel «cosiddetto “amore per l’umanità”» e Confucio stesso fra i «molti saggi» che l’hanno teorizzato. Il Pi Lin Pi Kong respinse quindi la «lealtà» interpretandola come fedeltà «ai potenti» da par- Le guardie rosse spazzano via il vecchio mondo in una immagine diffusa durante la Grande Rivoluzione Culturale Proletaria te dei sudditi, «al sovrano» da parte dei funzionari e «all’imperatore Zhou» da parte dei vassalli, allo scopo di non turbare l’ordine schiavistico. In altre parole, quella predicata da Confucio sarebbe una «lealtà» che lega i sottomessi ai propri superiori, ma soprattutto gli sfruttati ai loro sfruttatori. Al fine di comprendere il senso attribuito dai contingenti di critica del Pi Lin Pi Kong al fondamentale concetto di mansuetudine confuciana, è molto interessante citare integralmente il commento realizzato dalla succitata edizione critica dei Dialoghi apparsa nel 1974: «La cosiddetta “mansuetudine” di Confucio consiste nel principio da lui diffuso a destra e a manca: “Ciò che non vuoi sia fatto a te, non farlo agli altri”. In altre parole, all’interno della classe dei proprietari di schiavi tutti devono agire secondo le norme dei riti Zhou e conformarsi alla propria posizione, applicando reciprocamente il principio di “trattare gli altri come tratteresti te stesso”, allo scopo di salvaguardare l’unità controrivoluzionaria dell’aristocrazia schiavistica e soffocare la lotta rivoluzionaria fra i proprietari di schiavi e le nuove forze feudali in ascesa; al contrario, nei confronti degli schiavi e dei fautori del progresso, la via della “mansuetudine” di Confucio si trasforma in una crudele repressione: “Ciò che non vuoi sia fatto a te, fallo agli altri”». Un’analisi molto simile doveva investire un altro elemento fondamentale del percorso confuciano verso la condizione virtuosa ideale: zhōng yōng, la dottrina del mezzo, resa anche come giusto mezzo o come «Mezzo giusto e costante» (Anne Cheng), definita da Confucio l’«esigenza suprema» di ciascuno, un’operazione spirituale interna per soddisfare una «esigenza di equilibrio, d’equità e di misura» che conduce alla mansuetudine e, attraverso quest’ultima, come si è già visto, al ren, alla propria realizzazione come «uomo di valore». I contingenti critici cinesi individuarono immediatamente il contrasto fra la dottrina del mezzo e la teoria della violenza rivoluzionaria come «levatrice di ogni vecchia società, gravida di una nuova società» (Marx). Secondo la loro lettura, la dottrina del mezzo dice che «non bisogna esagerare, non bisogna oltrepassare il limite, in ogni cosa bisogna tenere un atteggiamento neutrale e al di sopra delle parti. Pertanto, tutto ciò che si poteva fare verso la classe schiavistica marcia e decadente, era proteggerla, non distruggerla». Non è secondario che praticamente tutti gli articoli dedicati alla critica della dottrina del mezzo mettessero il mezzo confuciano in relazione alle critiche rivolte da Liu Shaoqi e Lin Biao a quelli che ritenevano essere gli eccessi del socialismo cinese, come il Grande balzo in avanti, che i maoisti consideravano invece grandi successi. Fu scritto, in particolare, che Lin giudicava la dottrina del mezzo «una delle grandi virtù della nostra nazione». Secondo questa impostazione critica, tutto il concetto di ren perde completamente di significato a livello teorico, mentre diventa un’arma ideologica e culturale di oppressione e regresso a livello pratico. In definitiva quindi il ren non sarebbe altro che una miùlùn, termine molto usato durante la Rivoluzione culturale che sta ad indicare un argomento assurdo, o ancora una falsità, una vera e propria fallacia. 4.4. La storia rivista: ribaltare i verdetti confuciani Uno dei filoni di maggior successo e importanza del Pi Lin Pi Kong, estremamente interessante per chiunque si occupi di storia e cultura cinesi, è costituito dalla critica storica che si sviluppò durante la campagna. Una gigantesca mole di articoli e saggi venne 10 il bolscevico / tesi universitaria di Federico Picerni prodotta nel periodo per rivalutare la millenaria storia cinese dal punto di vista del marxismo, con particolare riferimento, naturalmente, alle epoche degli Stati Combattenti e delle Primavere e Autunni, quando visse Confucio. Un primo tentativo di analisi di questo tipo era già stato compiuto dopo la fondazione della Repubblica popolare da storici cinesi, fra cui Guo Moruo, ma in ambito strettamente accademico e con un taglio meno netto rispetto a quello dei critici formatisi nella Rivoluzione culturale. Particolarmente esemplificativo e sintetico dell’enorme produzione del Pi Lin Pi Kong in merito, è il seguente scritto del già menzionato Yang Rongguo, una delle principali menti teoriche della campagna: «Confucio e successivamente i seguaci della scuola confuciana come Zi Si e Mencio erano i rappresentanti dell’ideologia della classe dei proprietari di schiavi in declino di allora, mentre i rappresentanti dell’ideologia della nuova classe feudale in ascesa erano personaggi come Shang Yang e Han Fei della scuola legista. […] Dalla lotta ideologica fra i confuciani e i legisti possiamo vedere i cambiamenti epocali della società di allora. Promuovere lo sviluppo del nuovo sistema o cercare di preservare quello vecchio; rispondere ai bisogni della classe in ascesa in base allo sviluppo storico, o cercare di invertire la storia seguendo l’esempio degli antichi “re saggi”; promuovere la “legge” appropriata per lo sviluppo della nuova epoca, o cercare ostinatamente di mantenere i cosiddetti “riti” del vecchio sistema; risolvere i problemi contemporanei tenendo ben presente la lotta contemporanea concreta, o usare concetti soggettivi per definire la realtà oggettiva in evoluzione: tutto questo doveva trovare espressione nella lotta fra la classe progressista e la classe reazionaria dell’epoca». Il carattere progressista del legismo, insomma, stava nella sua enfasi sulla superiorità e l’efficacia dell’azione della legge, qui interpretata come veicolo per l’ascesa della classe feudale a classe dominante, diametralmente opposta al richiamo confuciano ai riti tradizionali, alla consuetudine e al passato. La dinastia Qin e la successiva dinastia Han, cioè la classe feudale eretta a dominio, si sarebbero servite del legismo per consolidare il proprio potere, per poi adottare il confucianesimo al fine di mantenerlo. In effetti il legismo, propugnando la superiorità della legge rispetto all’appartenenza ad una classe sociale o ad un ceto politico, con l’unica eccezione dell’imperatore, si adattava ad una fase di avvicendamento del potere politico e favoriva la delegittimazione del vecchio regime, mentre l’osservanza confuciana delle tradizioni, della consuetudine e dell’ordine prestabilito incarnata dai riti favoriva la reazione. Se i legisti erano i rappresentanti ideologici della classe feudale, il primo imperatore e unificatore della Cina, Qin Shi Huang, ne «era il principale rappresentante». Questo punto è degno di nota principalmente per due motivi. In primo luogo, Lin Biao nello Schema di Progetto 571 aveva definito Mao «il Qin Shi Huang di oggi»; una formulazione che non dispiaceva affatto al diretto interessato, il quale aveva espresso la sua ammirazione verso il Primo Imperatore in più occasioni. In secondo luogo, benché generalmente popolare fra i cinesi in quanto artefice dell’unificazione della Cina, Qin Shi Huang è considerato un tiranno sanguinario, accusato di ave- N. 43 - 5 dicembre 2013 pubblicò circa duecento articoli fino all’ottobre del 1976. Fervente fu l’attività in siti operai come i cantieri navali Bandiera rossa di Dalian. Intere fabbriche, comuni, scuole e università divennero insomma delle piccole case editrici. Molti di questi articoli venivano raccolti in volumetti, spesso tematici, talvolta addirittura su argomenti inaspettati, come Raccolta di articoli di critica a Lin e Confucio. La lotta fra confucianesimo e legismo e lo sviluppo della scienza e della tecnica mediche in Cina, tanto era penetrante ed estesa la critica del Pi Lin Pi Kong. Vennero stampate perfino lianhuanhua, storie illustrate, su episodi della Cina antica riguardanti prevalentemente la storia del legismo. 5. Considerazioni conclusive Un gruppo di operai compila dei dazebao (giornali murali a grandi caratteri) di critica contro coloro che si oppongono alla linea rivoluzionaria della Grande Rivoluzione Culturale Proletaria re sepolto vivi i saggi confuciani e bruciato i loro testi. Durante il Pi Lin Pi Kong questa immagine fu completamente capovolta e lo stesso rogo dei libri fu inquadrato storicamente nel contesto della lotta anticonfuciana e antireazionaria. Vediamo quindi una fedele applicazione del principio marxista per cui «Tutta la storia di ogni società sinora esistita è storia di lotta di classe»: il progresso storico è determinato dall’avvicendamento delle classi al potere, che si verifica quando la nuova classe in ascesa, rappresentata dalle forze produttive avanzate, adegua le relazioni di produzione arretrate sostituendosi per via rivoluzionaria alla classe dominante. Al contempo, la lotta storica fra legismo e confucianesimo dimostrava l’esistenza di due linee contrapposte nel corso di tutta la storia cinese: una progressista, l’altra reazionaria. Secondo Mao, la lotta fra le due linee è il riflesso ideologico della lotta di classe: ciascuna linea rappresenta l’ideologia della classe dominante o della classe in lotta. Era perciò necessario che i comunisti restassero sulla linea proletaria e rivoluzionaria, mentre Liu Shaoqi e Lin Biao erano stati accusati di seguire la linea borghese e controrivoluzionaria pur facendo parte del Partito comunista. Lo studio del legismo e del suo scontro con il confucianesimo era perciò funzionale alla lotta contro il revisionismo, nella misura in cui dimostrava l’effettiva esistenza della lotta fra le due linee. In quest’ottica vennero pubblicate edizioni critiche e annotate di scritti di contemporanei di Confucio o autori della Cina antica e pre-imperiale ritenuti progressisti. Più in generale, la Rivoluzione culturale in tutto il suo corso prestò grande importanza allo studio della storia. Non va tralasciato che la stessa causa scatenante della Rivoluzione culturale fu proprio una questione storica: l’opera teatrale La destituzione di Hai Rui di Wu Han, che allegoricamente, attraverso la storia dell’onesto ministro Hai Rui che osa contestare l’avido imperatore a costo della sua carriera, voleva attaccare Mao sul caso Peng Dehuai. Centrale durante tutta la Rivoluzione culturale fu proprio la lotta fra la concezione materialista e idealista della storia: due concezioni opposte fondate, la prima, sulle leggi oggettive della lotta di classe, e, la seconda, sull’esaltazione del ruolo degli eroi e dei grandi personaggi. «I piccoli personaggi possono fare grandi cose», si sarebbe detto durante il Pi Lin Pi Kong. Non è esatta l’affermazione di Anne Cheng secondo cui l’analisi storica della Rivoluzione culturale, e quindi del Pi Lin Pi Kong, ridusse «il dibattito fra tutte le correnti di pensiero degli Stati Combattenti alla “lotta fra la linea confuciana e legista”»: in effetti, pur focalizzandosi sul suddetto aspetto, non certo marginale, la campagna non mancò di interessarsi anche ad altre correnti ed epoche della storia cinese. È interessante notare che, mentre in riferimento al confucianesimo la critica era netta e decisa e i vari articoli si occupavano di approfondirla in relazione a vari aspetti, nella trattazione di questi ultimi casi trovarono spazio opinioni anche molto diverse, o comunque in evoluzione. Una rivista nata nel 1973 a Shanghai, Xuexi yu pipan (Studio e critica), ospitò sulle sue pagine molti di questi saggi, accostandosi al già esistente Lishi yanju (Ricerca storica), un periodico specializzato voluto da Mao già nel 1954. Il taoismo, ad esempio, venne considerato da più autori come una copertura del legismo, usata dalla dinastia Han per nascondere la sostanziale continuità con i metodi dei Qin attraverso dettami docili e accettabili, dove per esempio il «non agire» taoista è un invito a non mettere in discussione le leggi. Yan Feng sostenne che il fondamentale testo legista Han Feizi era in ultima analisi lo sviluppo in senso materialista del Laozi. Un ulteriore esempio interessante è la valutazione di un altro personaggio storico poco avvezzo all’insegnamento confuciano e al quale la tradizione successiva imputò crudeli nefandezze: Cao Cao. Questi, protagonista della fase iniziale del periodo dei Tre Regni (220-280), nei libri di testo di Beida del 1973 era visto in una luce assai negativa per il suo ruolo nel reprimere le rivolte contadine dell’epoca, ma i medesimi testi nell’edizione del 1975 rividero il giudizio, identificando in lui un rappresentante dei piccoli proprietari terrieri progressisti. Nel 1974 Lishi yanju riportava contemporaneamente entrambe le posizioni. 4.5. I protagonisti e le forme: le masse popolari e i gruppi di critica Leggendo gli articoli e i saggi pubblicati durante il Pi Lin Pi Kong, un aspetto molto interessante da rilevare è l’assenza di singoli autori preminenti. Certamente vi furono articoli firmati individualmente e figure maggiormente rappresentative, come Yang Rongguo, ma anche in questi casi si trattava spesso di quadri di basso livello, come segretari di cellula del PCC, o addirittura singoli operai. Si assistette invece alla costituzione e diffusione di un gran numero di gruppi teorici, gruppi di discussione e gruppi di critica a livello di base, i quali si accollarono il compito di proseguire e approfondire la critica del Pi Lin Pi Kong. Molti di questi gruppi vennero costituiti nelle fabbriche e negli altri luoghi di lavoro, esprimendo la necessità di legare lo studio della teoria e della storia al lavoro produttivo, e sarebbero stati molti attivi anche nelle successive campagne teoriche lanciate da Mao dopo il 1974. L’esperienza di queste forme autoorganizzate, che si estinsero rapidamente dopo il 1976, assume ancora maggiore importanza se si pensa che l’elaborazione ideologica e culturale nella Cina odierna è saldamente tenuta dal PCC e dagli organi accademici, ad esso legati. L’edizione critica dei Dialoghi che si è citata più volte nelle pagine precedenti, ad esempio, era pubblicata dagli «studenti operai, contadini e soldati della Facoltà di Filosofia dell’Università di Pechino». Possono inoltre essere citati a titolo esemplificativo, senza alcuna pretesa di esaustività, il gruppo operaio di discussione della fabbrica di pneumatici di Tianjin, il gruppo operaio di studio teorico dell’officina n. 2 dell’acciaieria n. 5 di Shanghai, il gruppo di critica di massa dell’Università di Pechino e dell’Università Qinghua; quest’ultimo in particolare A seguito della morte di Mao e della conseguente chiusura della Rivoluzione culturale, mentre il gruppo diretto da Deng Xiaoping consolidava (e, in certi casi, recuperava) il proprio controllo sul Partito comunista, il Pi Lin Pi Kong fu uno dei primi aspetti ad essere presi di mira in anticipazione della negazione totale della Rivoluzione culturale, che si sarebbe avuta nel 1981, in ciò preceduto soltanto dalla riforma dell’istruzione, sconfessata già nel settembre 1977. Il Renmin Ribao del 18 luglio 1978, ad esempio, si scagliava contro la «assurdità antistorica di rompere nettamente con ogni retaggio storico e ripudiare completamente Confucio». Man mano che l’economia cinese passava dalla pianificazione al mercato, durante la politica di Gaige Kaifang (riforma e apertura), il confucianesimo riacquistò sempre più popolarità. Nel 1989 Jiang Zemin, appena nominato segretario generale del PCC, partecipò alle celebrazioni per il 2540° anniversario della nascita di Confucio e ne promosse ufficialmente il recupero, che prosegue tuttora non senza contraddizioni, come il caso della statua di Confucio in piazza Tian’anmen richiamato nell’introduzione. Le motivazioni di questo recupero sono probabilmente molteplici. Da un lato, la dirigenza cinese avverte l’utilità dei principi gerarchici del confucianesimo e del recupero delle tradizioni nazionali per la realizzazione dell’armonia sociale e del «sogno cinese». Dall’altro, contestualmente alla riscoperta del taoismo e del buddhismo, costituisce un rifugio spirituale dai nuovi problemi morali generati dall’avanzata dirompente dell’economia di mercato e dallo smantellamento delle strutture collettive di epoca socialista. Con l’evidente abbandono della critica sviluppatasi durante il Pi Lin Pi Kong, gli studi occidentali contemporanei sul periodo sembrano tendere a sottovalutare questa esperienza, a differenza di diverse analisi compiute mentre la campagna era ancora nel pieno del suo corso, complice il fascino che la Cina di Mao esercitava su molti intellettuali di sinistra, diversi dei quali avrebbero successivamente cambiato opinione. Ciò può essere dovuto ad una ripresa pressoché acritica del giudizio cinese attuaNOTE (8) Circolare su Lin Biao e i precetti di Confucio e Mencio (prima raccolta), documento del Comitato centrale n. 1/1974. Mia traduzione. (9) La Circolare del CC del PCC su alcune questioni riguardanti il movimento Pi Lin Pi Kong (20 febbraio 1974) specificava che «il movimento Pi Lin Pi Kong si svolge sotto la direzione unificata dei comitati del Partito». (10) Mao Zedong, Il mio punto di vista, 31 le, rigido e inossidabile al punto da essere ripetuto quasi parola per parola in varie pubblicazioni sul tema, e del tutto concentrato sui giochi di potere della banda dei quattro. Secondo questo giudizio, Mao, incapace di negare sul piano ideologico la Rivoluzione culturale che lui stesso aveva ideato, volle evitare che la campagna contro Lin Biao andasse proprio in questa direzione. Per questo la accostò alla campagna anticonfuciana, favorendo inconsapevolmente Jiang Qing (sua moglie, dalla quale però viveva separato) e la cosiddetta banda dei quattro nei suoi presunti attacchi contro Zhou Enlai in vista del post-Mao. Certamente la banda dei quattro in quel periodo aveva un ruolo di primo piano: oltre a Chiang Qing, che peraltro si occupava di un settore, quello letterario e artistico, fondamentale durante il Pi Lin Pi Kong, Wang Hongwen era vicepresidente del Comitato centrale e incaricato, insieme a Zhou Enlai, del lavoro esecutivo; Zhang Chunqiao era membro del Comitato permanente dell’Ufficio politico e segretario municipale di Shanghai; Yao Wenyuan infine era responsabile della propaganda. È altrettanto vero che in questo periodo Mao criticò Zhou Enlai per questioni di politica estera. Tuttavia è nel medesimo periodo che Mao rivolse dure critiche alla stessa Jiang Qing. La nomina di Hua Guofeng a primo ministro e primo vicepresidente del Comitato centrale, nell’aprile del 1976, su iniziativa di Mao, precluse le due posizioni rispettivamente a Zhang e Wang. Tuttavia, sarebbe estremamente riduttivo e non corretto restringere l’intera esperienza del Pi Lin Pi Kong alle vicende al vertice del Partito comunista. Una tale visione, infatti, risulta restrittiva o addirittura superficiale alla luce dell’importanza storica, dell’estensione e della profondità del movimento. Occorre anche notare che la critica dell’epoca ebbe effettivamente una notevole vivacità, in quanto realizzata attraverso discussioni e contributi dalla base stessa, a volte, come è stato detto, addirittura producendo giudizi contrastanti. Uno stile che può apparire a prima vista stereotipato, ad esempio per via dell’utilizzo delle stesse citazioni di Confucio e Lin Biao e di formule praticamente analoghe negli articoli in cui si criticava l’«autocontrollo e ritorno ai riti», andrebbe visto in relazione alla necessità di insistere sui concetti per scardinare in pochi anni una mentalità radicatasi da millenni. Gli stessi richiami critici al “duca Zhou”, considerati attacchi allegorici contro Zhou Enlai, risultano piuttosto secondari. Bisogna comunque tenere presente che l’allora primo ministro cinese condivideva il cognome, Zhou, con il nome della dinastia decantata dai confuciani, forse suo malgrado. Tale interpretazione cinese contemporanea, quindi, non può essere condivisa dalla lettura proposta da questa tesi, soprattutto perché, indipendentemente dalla loro fonte ideologica, ignora gli elementi di fortissima originalità offerti dalla critica del periodo. [2 - Fine] agosto 1970. (11) Mao Zedong, Sul governo di coalizione, 25 aprile 1945, in Opere scelte, Edizioni in lingue estere, Pechino 1971, vol. III, p. 213. (12) Mao Zedong, Sulla pratica, luglio 1937, in Opere scelte, Casa editrice in lingue estere, Pechino 1969, vol. I, p. 314. (13) Mao Zedong, Discorsi alla conferenza di Yan’an sulla letteratura e l’arte, 23 maggio 1942, in op. cit., 1973, vol. III, p. 90. N. 43 - 5 dicembre 2013 PMLI / il bolscevico 11 Il 7 Novembre abbiamo traslocato nella nuova Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico”, più grande e più moderna rispetto alla precedente. Si tratta di un grosso impegno finanziario che non possono sostenere da soli i militanti del PMLI. Pertanto lanciamo un appello urgente a tutte le simpatizzanti e i simpatizzanti, a tutte le amiche e gli amici del Partito per aiutarci a sostenere le spese iniziali e l’affitto mensile, entrambi piuttosto rilevanti. Le donazioni possono essere consegnate di persona oppure attraverso il conto corrente postale numero 85842383 intestato a PMLI – via Gioberti 101 – 50121 Firenze. Presto cambieremo l’indirizzo. Nella causale scrivere: Donazione per la nuova Sede centrale. Grazie di cuore per tutto quello che potete fare. Anche un euro ci è utile. Che la nuova Sede centrale del PMLI e de “Il Bolscevico” porti idealmente impresso il nome di tantissimi donatori. 12 il bolscevico / cronache locali I compagni romagnoli stampano “Il Bolscevico” ad uso interno Dal nostro corrispondente dell’Emilia-Romagna Sono passati 2 mesi da quando, con un decisione dolorosissima, l’Ufficio Politico del PMLI ha decretato la sospensione della pubblicazione cartacea de “Il Bolscevico”, un provvedimento dettato dalla povertà economica del Partito e che costituisce il principale ostacolo allo sviluppo del PMLI e che ci ha privato di portare il nostro glorioso organo di stampa nelle piazze, nelle fabbriche, nelle scuole e nelle università. Per sopperire alla mancanza de “Il Bolscevico” cartaceo almeno per i militanti e per i simpatizzanti, soprattutto per coloro che non posseggono o che non hanno dimestichezza con internet, ma anche per coloro che vogliono leggerlo in carta, i compagni di Forlì, Rimini e Ravenna hanno trovato dei “punti d’appoggio” dove poter stampare “Il Bolscevico” nel suo classico formato A3, in questo modo i compagni romagnoli hanno a disposizione il giornale del Partito esattamente come prima, da poter far circolare tra i militanti e i simpatizzanti, anzi, facendo un passo in avanti in quanto “Il Bolscevico” viene stampato il giorno dopo la pubblicazione sul sito del Partito, evitando quindi le lunghe attese determinate dai pesanti ritardi postali. I compagni poi si aiutano tra loro provvedendo alla stampa anche per altri compagni e poi incontrandosi per la consegna del giornale a chi non ha possibilità di farselo stampare vicino a casa. Naturalmente la distribuzione è gratuita perché il PMLI non è abilitato al commercio. Certo, non è tutto come prima, ma in attesa di poter diffondere nuovamente “Il Bolscevico” tra le masse, è comunque un modo per non farlo mancare a chi non usa internet e non può fare a meno di averlo in carta. Una iniziativa analoga è stata presa dalla Cellula “Stalin” della provincia di Catania. N. 43 - 5 dicembre 2013 Assemblea indetta dal “Comitato viva la costituzione” di Catania Schembri denuncia le illusioni costituzionali e invita al fronte unito contro il presidenzialismo La via maestra è il socialismo Dal corrispondente della Cellula “Stalin” della provincia di Catania Nel pomeriggio dell’8 novembre ha avuto luogo l’assemblea indetta dal “Comitato Viva la Costituzione” di Catania. I compagni della Cellula “Stalin” sono stati invitati per l’occasione dal presidente dell’ANPI di Catania, Santina Sconza. All’iniziativa hanno partecipato una trentina di rappresentanti di partiti (PRC, PDCI, Catania bene comune), associazioni e gruppi (movimento studentesco catanese) e sindacati (CGIL). Gli interventi effettuati dai presenti hanno fatto riferimento alla difesa dell’articolo 138, mentre è risultata ambivalente la posizione sul presidenzialismo. Infatti, contro quest’ultimo sono state avanzate critiche ma anche tesi in suo supporto. In generale, l’assemblea è stata caratterizzata da interventi che di- fendevano apertamente e a spada tratta la costituzione, idealizzandola. Vi è stato qualche intervento parzialmente critico nei confronti della Costituzione. Sono state, inoltre, mosse critiche al sindacato per non aver indetto lo sciopero di otto ore, spingendolo a muoversi in autonomia e a non essere un mero appendice dei partiti. Una rappresentante della CGIL ha preso la parola, invitando i presenti alla mobilitazione per lo sciopero del 15 novembre. In seguito, il Segretario della Cellula “Stalin” della provincia di Catania, Sesto Schembri, ha preso la parola. Durante l’intervento, nato dalla riflessione e sintesi effettuata dal compagno sulla base dell’editoriale “cinquantamila in difesa della Costituzione, ma la via maestra è il socialismo e il potere del proletariato”, i presenti sono rimasti silenziosi ad ascoltare e non hanno mosso critiche o commenti. Il compagno ha sottolinea- Bufera nel comune di Adro (Brescia) ARRESTATO PER TURBATIVA D’ASTA IL NEOPODESTA’ LANcINI (Lega) Anni fa tolse la mensa ai bambini immigrati e fece tappezzare la scuola con simboli leghisti Dal nostro corrispondente della Lombardia Il neopodestà nazi-leghista e razzista di Adro (Brescia), Oscar Danilo Lancini, lo stesso che tre anni fa con un infame e ignobile provvedimento escluse dalla mensa scolastica i figli di genitori immigrati che non erano in grado di pagare puntualmente la retta e che inaugurò in pompa magna un polo scolastico intitolandolo all’ideologo della Lega Nord Gianfranco Miglio (morto nel 2001) tappezzandolo di simboli leghisti, è stato arrestato con l’accusa di “turbata libertà di scelta del contraente, falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici”. Assieme a Lancini, che si è rifiutato di rispondere alle domande del giudice per le indagini preliminari Cesare Bonamartini il quale lo accusa di una gestione della cosa pubblica caratterizzata dal “totale disprezzo di garanzia di imparzialità imposte dalla legge”, sono finiti ai domiciliari, su richiesta del pm Silvia Bonardi, l’assessore ai lavori pubblici, Giovanna Frusca, il segretario reggente del Comune, Carmelo Bagalà, il responsabile dell’area tecnica, Leonardo Rossi e due imprenditori edili, Alessandro Cadei e Emanuele Casale. Il neopodestà, che tra l’altro acquisì anche la fama di “sceriffo” per avere messo una taglia di 500 euro su ogni “clandestino” arrestato dai vigili urbani, avrebbe favorito aziende a lui vicine, evitando loro la gara d’appalto, per la realizzazione di opere pubbliche come l’area feste di via Indipendenza, costata oltre un milione di euro. Lancini avrebbe dichiarato falsamente la gratuità ed urgenza della realizzazione dell’opera e, dopo la richiesta di esibizione delle delibere del cantiere da par- Ha ragione Scuderi: il proletariato deve divenire una classe per sé Ho letto con molto interesse l’opuscolo del compagno Scuderi “Applichiamo gli insegnamenti di Mao sulle classi e il Fronte Unito”. La descrizione delle classi in Italia è molto precisa e rispecchia perfettamente la società. Oggi per me le classi esistono ancora e ci dobbiamo battere per sotterrare la classe borghese regnante al momento sulla nostra società con tutte le forze e, appunto, con il Fronte Unito. Mao ha detto una cosa fondamentale “Il proletariato deve divenire una classe per sé” ed è grazie agli insegnamenti marxistileninisti che il proletariato ha conoscenza dello sfruttamento della società capitalista. Per questo, come si legge nell’opuscolo, nel costruire il Fronte Unito dobbiamo entrare in tutto quello che ci permette di essere a contatto con le masse quindi sindacati, scuole, università, ecc., e non rinchiuderci in noi stessi, dobbiamo farlo anche nei nostri luoghi di lavoro, di studio e di vita. Sono convinto che gli insegnamenti dei cinque Grandi Maestri siano l’unica alternativa per co- struire un mondo migliore e che le loro idee siano ancora molto attuali; chi ci chiama retrogradi e antichi sbaglia tantissimo perché l’unica soluzione è la rivoluzione proletaria sotto gli insegnamenti del marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Saluto e ringrazio tutti i compagni/e, andiamo avanti con la lotta e facciamo risorgere il Sole Rosso! Viva il Proletariato! Con i Maestri e con il PMLI vinceremo! Antonio - Modena te dei carabinieri, le avrebbe “fabbricate” in fretta e furia lo stesso giorno. Si è dichiarato “sorpreso” il governatore della Lombardia, il caporione leghista Roberto Maroni, che lo ha vergognosamente difeso definendolo “un bravo sindaco, una persona onesta”, esprimendogli la sua “solidarietà”. Il neopodestà Lancini, che è anche imprenditore, ha una “carriera” di padrone costellata di molti punti oscuri, a cominciare dall’inquinamento di Adro dove la sua ditta di smaltimento di rifiuti tossici, la Elg, fallita nel 2007, è stata coinvolta in tre processi per inquinamento e traffico di rifiuti, ma ne è uscita indenne grazie alla prescrizione. L’impianto fu ceduto nel 2009 ad una società il cui responsabile tecnico è il fratello Luca, la ValleSabbiaServizi, che lo ha riaperto nel 2012 ed è stata subito oggetto di denunce per miasmi e intossicazioni nocive per la salute. Da alcune indagini sembrerebbe che non si riescano a trovare né la concessione edilizia del capannone di proprietà dei Lancini risalente al 1991 (su cui si basa anche la nuova autorizzazione della ValleSabbiaServizi), né il certificato di agibilità dei locali e di prevenzione incendi rilasciato da Vigili del Fuoco per il capannone dove viene svolta l’attività di smaltimento di rifiuti tossici. Ciò significherebbe che da oltre vent’anni vengono trattati micidiali rifiuti liquidi e fanghi industriali in locali senza agibilità e senza che, nonostante le denunce, vi sia mai stato alcun intervento da parte delle autorità preposte per fermarli. to come il PMLI abbia aderito all’iniziativa nello spirito di fronte unito contro il presidenzialismo e la controriforma costituzionale, sebbene il Partito non condivida i contenuti ideologici e politici dell’appello, né le posizioni sul valore ed il ruolo attuale e storico della Costituzione borghese esaltati, invece, da Rodotà, Landini, Ciotti, Zagrebelsky. Il compagno ha poi chiesto ai presenti qualora sia possibile affermare, dopo le controriforme neofasciste ed il presidenzialismo di Napolitano, che la Carta entrata in vigore nel ’48 esista ancora. Aggiungendo che, anche se il “Manifesto” revisionista contribuisca ad incrementare il falso ideologico che si tratterebbe di una Costituzione “sana e robusta”, è pericoloso farlo credere gli antifascisti. Il compagno ha poi continuato affermando che, piuttosto, sarebbe necessario ed urgente appellarsi all’innalzamento della combattività della piazza contro il presidenzialismo e il pateracchio democristiano del governo Letta-Alfano. Il compagno ha affermato che, stando alla storia e all’attualità politica italiana, la Costituzione è la “via maestra” che hanno percorso Craxi e Berlusconi, per scalare i vertici delle istituzioni, quella che percorrono i padroni per tagliare i diritti agli operai ed imporre lo sfruttamento selvaggio nelle fabbriche, con turni massacranti. La “via mae- stra” degli omicidi bianchi, del pareggio di bilancio, che impone il taglio dei servizi sociali; delle guerre di aggressione imperialiste, dell’acquisto degli F35, delle servitù militari (vedi il MUOS e Sigonella), della Bossi-Fini e del massacro dei migranti nel Mediterraneo. Il compagno ha continuato ribadendo che, qualora la Costituzione fosse spostata a “sinistra”, si rimarrebbe comunque nell’ambito del dominio di classe della borghesia, di cui la costituzione è la principale espressione. La via maestra è il socialismo ed il potere del proletariato ed i marxisti-leninisti continueranno ad unirsi con tutte le forze politiche, sindacali, sociali, culturali, religiose, contrarie alla “riforma” da destra della Costituzione. Al contempo, essi non verranno mai meno al dovere rivoluzionario e marxista-leninista di denunciare ogni tentativo di spingere le masse anticapitaliste, antifasciste e antipiduiste nel pantano della costituzione borghese, capitalista e anticomunista e di propagandare che, per la classe operaia, per tutti gli sfruttati e gli oppressi, per i giovani, la via maestra è il socialismo e il potere politico del proletariato. L’intervento del compagno Sesto si è concluso con la frase di sintesi: “Uniti contro il presidenzialismo, divisi sulla strategia”. Renzi a Firenze vuole privatizzare la Mukki latte quotandola in borsa Redazione di Firenze Il neopodestà fiorentino Matteo Renzi (PD) vuole quotare in borsa la Mukki latte, la centrale del latte nata a Firenze negli anni Sessanta per assicurare il latte fresco alla popolazione e in particolare ai bambini indigenti; attualmente è una società partecipata, di cui il Comune di Firenze possiede il 42,858%. “L’idea della quotazione nasce dalla volontà di dismettere la partecipazione pubblica dando vita a un’operazione puramente industriale”, secondo quanto ha dichiarato alla stampa il presidente di Mukki, Lorenzo Marchionni, un avvocato di diritto agrario renziano della prima ora, arrivato come presidente a Mukki latte da aprile 2010. Quella che Renzi e Marchionni vogliono cedere ai privati è un’azienda florida che si avvia a chiudere il 2013 con un utile di circa mezzo milione di euro su ricavi totali per circa 95 milioni. Attualmente la Mukki conta 177 dipendenti, una filiera di 80 aziende agricole che impiegano oltre 500 persone e conferiscono per intero la sua produzione (pari a circa 35 milioni di latte l’anno); tanti piccoli produttori che contano sulla centrale del latte per mantenere in vita la propria attività. Invece di mantenere questa attività al servizio dell’ambito locale, il duo Renzi Marchionni punta addirittura a sviluppare un rapporto commerciale con la Cina per arrivare a un fatturato di circa 2 milioni l’anno e rendere così appetibile la Mukki per i privati. cronache locali / il bolscevico 13 N. 43 - 5 dicembre 2013 Dopo i fatti del 30 ottobre 2009 a catania Parte il processo contro 8 attivisti che tentarono di difendere il cpo Experia Solidarietà del PMLI Dal corrispondente della Cellula “Stalin” della provincia di Catania Esattamente 4 anni dopo lo sgombero del Centro Popolare Occupato (CPO) Experia di Catania, lo scorso 30 ottobre ha avuto luogo la prima udienza contro 8 militanti e simpatizzanti del centro sociale che all’alba di quel 30 ottobre 2009, insieme a tanti altri, provarono a difendere un importante punto di riferimento per il quartiere Antico Corso e per tutta la città. Gli imputati sono accusati di resistenza e oltraggio a pubblico ufficiale, istigazione a delinquere, travisamento. Accuse infamanti nate appositamente per coprire la violenza inaudita che usarono le “forze dell’ordine” quella mattina nei confronti della gran parte dei giovani, ma anche contro semplici abitanti del quartiere che in 17 anni di vita del CPO Experia, avevano imparato ad apprezzare l’impegno degli attivisti nella la lotta contro la mafia, per la riqualificazione dei beni pubblici, contro la speculazione edilizia e servizi come la palestra popolare, il doposcuola, il calcetto, i concerti serali e le iniziative culturali. È chiaro a tutti che lo sgombero era mirato a spezzare quanto di positivo il CPO Experia stava facendo per le masse popolari catanesi e non, come ufficialmente dichiararono i mandanti, per “recuperare la struttura per la città”. Basta vedere in che stato verte ora. La prossima udienza si terrà il prossimo gennaio. La Cellula “Stalin” della provincia di Catania del PMLI è vicina e solidale con i militanti e i simpatizzanti del CPO (ora collettivo politico) Experia. “Diciamo NO MUOS anche per te” Apertura della nuova sede del comitato No MUOS a Ragusa Lunedì 18 novembre si è tenuto a Ragusa l’evento “DICIAMO NO MUOS ANCHE PER TE”, una serata No Muos allo scopo di divulgare e di mostrare alla gente il lavoro fatto da tutti gli attivisti durante questo anno di lotta intensificato dalla presenza fondamentale del presidio permanente in contrada Ulmo a Niscemi. È stato proiettato il documentario “Come il fuoco sotto la brace” di Giuseppe Firrincieli, attivista ragusano. Nel documentario sono inseriti i principali momenti della lotta contro il MUOS-TRO, ossia le manifestazioni più importanti e i blocchi in contrada Ulmo di camion e gru scortati dalla polizia e le testimonianze di alcuni attivisti e degli avvocati che si occupano della questione MUOS. Ad introdurre la serata è stato Pippo Gurrieri, che nel suo discorso ha ribadito l’importanza della lotta contro il MUOS in tutte le sue sfaccettature, ha ricordato che la nostra è una lotta contro la militarizzazione nel Mediterraneo ed in Sicilia. “Questa lotta sarà dura ed anche le prossime generazioni saranno coinvolte: la militarizzazione è per la Sicilia un enorme muro da abbattere, da sempre la Sicilia per la sua posizione “strategica” è lo scopo di ogni potenza di ogni epoca”. Ha ricordato tutto ciò che è stato fatto quest’anno, tutto l’impegno degli attivisti che arrampicandosi sulle antenne hanno sacrificato la propria libertà essendo soggetti a continue denunce ed accuse: una vera e propria persecuzione da parte dello Stato. Dopo Pippo Gurrieri, la parola è passata ad Elvira Cusa, attivista niscemese. Ha continuato il discorso iniziato da Pippo raccontando la sua esperienza. Lei lotta contro il MUOS già da 5 anni e all’inizio credeva che questa lotta fosse destinata a durare poco, Niscemi (Caltanissetta), 9 agosto 2013. Manifestazione nazionale contro il MUOS. Le bandiere del PMLI sventolano sotto le antenne radio installate nella base Usa occupata dai manifestanti (foto Il Bolscevico) Un momento dell’ampia diffusione del volantino del PMLI contro il MUOS. Nella foto la compagna Giovanna Vitrano, Responsabile del PMLI per la Sicilia, che ha diretto la delegazione del partito (foto Il Bolscvico) che non arrivava mai. Non sono invece non è stato così. “Fino a le manifestazioni a risolvere tutto, qualche anno fa nessuno sapebisogna cambiare il sistema che va cosa ci fosse all’interno della ci ha portati a questo. Abbiamo base e a cosa servisse. Oggi lo invaso la base perché il poposappiamo, dato che tutto è parlo deve capire che quel terreno tito da semplice controinformaè il nostro e possiamo farne ciò zione e dobbiamo fare sì che il che vogliamo. Ormai noi attivisti popolo venga spinto a riapprosiamo abituati alla repressione priarsi di quel territorio che gli è da parte delle forze dell’ordine, stato sottratto. La lotta contro il io sono stata denunciata per ‘inMUOS ha risvegliato il popolo di terruzione di pubblico servizio’, Niscemi, che non si era mai ribelcome se una base militare fosse lato prima, nemmeno per l’acqua pubblica!” Dopo Elvira hanno preso la parola Paola Ottaviano ed Alfonso Di Stefano, che stanno seguendo dal punto di vista giudiziario la questione MUOS. “Conosciamo la posizione del nostro governo rispetto al MUOS, ci dicono che è utile all’Italia perché è una base della NATO e passerà in possesso all’Italia. Niente di più falso, quella di contrada Ulmo è una base esclusivamente statunitense. Dicembre 2013 è il periodo di fine della costruzione e questa è una fase importante perché i lavori andranno avanti velocemente e legalmente (non siamo nemmeno coperti dalla revoca che rendeva la costruzione fuorilegge). La costruzione del MUOS è anticostituzionale perché con esso l’Italia è coinvolta in qualsiasi conflitto e ciò va contro l’articolo 11 della costituzione”. Queste le parole di Paola Ottaviano. Di Stefano, invece ha ricordato la presenza della base di Sigonella, diventata capitale dei droni, ha ammesso che dopo la manifestazione del 9 agosto c’è stata una pausa nella lotta, ma che questa deve riprendere aumentando la sua forza anche per dire NO alla militarizzazione e alle operazioni di pattugliamento nel Mediterraneo per rimandare a casa gli emigranti o per aumentare il numero di naufragi nei nostri mari. Durante tutta la serata c’è stata la possibilità di partecipare ad una mostra di quadri (attinenti alla lotta) di una mamma niscemese e di fotografie che ritraevano i momenti principali della lotta e delle manifestazioni. Ricordiamo l’apertura della sede del comitato NO MUOS a Niscemi per cui si sta ancora lavorando e il compleanno del presidio permanente che verrà festeggiato il 23 e il 24 Novembre. Aurora – Caltagirone (Catania) Mare “Mostrum”, la guerra non dichiarata ai migranti nel Mediterraneo di Antonio Mazzeo Nel Mediterraneo l’Italia fa la guerra ai migranti. Non dichiarata, certo, ma di guerra indubbiamente si tratta. Perché le strategie, gli attori, gli strumenti, le alleanze e le modalità d’intervento sono quelli di tutte le guerre. E causano morti, tanti morti. Qualcuno ha storto il muso per il nome, Operazione Mare Nostrum. Si è detto che c’era una caduta di stile, un voler scimmiottare i fausti dell’impero romano. In verità esso risponde perfettamente al senso e agli obiettivi della messinscena ipermuscolare delle forze armate italiane. Il Mediterraneo, per la Fortezza Europa, non è né deve essere un mare di mezzo. Non è il luogo dei contatti, delle contaminazioni, delle solidarietà, delle trasformazioni. Né un ponte di intercultura e pace. È invece il lago-frontiera, noi qua, loro là, un muro d’acqua invalicabile, dove vige la regola del più forte e del più armato. Un’area marittima di conflitti, stragi, naufragi causati, respingimenti, riconsegne e deportazioni manu militari. A chi scampa ai marosi e ai mitragliamenti delle unità navali nordafricane (pagate con i soldi italiani) spetta l’umiliazione delle schedature, delle foto segnalazioni e degli interrogatori a bordo di frega- Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHI Indirizzo postale: Il Bolscevico - C.P. 477 - 50100 Firenze e-mail [email protected] sito Internet http://www.pmli.it Abbonamento annuo: Redazione centrale: via del Pollaiolo, 172a - 50142 Firenze Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze Editore: PMLI Iscrizione al Roc n. 8292 chiuso il 27/11/2013 ISSN: 0392-3886 ore 16,00 Associato all’USPI Unione Stampa te lanciamissili e navi anfibie e da sbarco. Poi i trasbordi, le soste interminabili su una banchina di un porto siciliano, il tragitto su bus e pulmini super scortati da poliziotti e carabinieri sino alla detenzione illimitata in un centrodiprimaccoglienza-CIE-CARA, un non luogo per non persone, dove annientare identità, memoria, speranze. L’Operazione Mare Nostrum fu annunciata dal ministro Mario Mauro dopo la strage del 3 ottobre, quando a poche miglia da Lampedusa annegarono 364 tra donne, uomini e bambini provenienti dal continente africano e dal Medio oriente. Anche stavolta però l’incidente fu un mero casus belli. La nuova crociata contro chi fugge dalle ingiustizie, lo sfruttamento, gli ecocidi, era stata preparata infatti da mesi in tutti i suoi dettagli. Governo e Stato maggiore hanno rispolverato ad hoc l’armamentario linguistico delle ultime decadi: operazione militare e umanitaria, l’hanno ipocritamente definita, perché le guerre non devono mai essere chiamate con il loro nome per non turbare l’opinione pubblica e la Costituzione. “Si prevede il rafforzamento del dispositivo italiano di sorveglianza e soccorso in alto mare già presente, finalizza- to ad incrementare il livello di sicurezza della vita umana e il controllo dei flussi migratori”, recita il comunicato ufficiale di Letta & ministri bipartisan. Un contorto giro di parole per mescolare intenti solidaristici a logiche sicuritarie e repressive, dove volutamente restano vaghi i compiti e le istruzioni date ai militari. Niente regole d’ingaggio, perché si possa di volta in volta sperimentare in mare se e come intervenire, se e come soccorrere, se e come allontanare, respingere o scortare a quei “porti sicuri” che il ministro Alfano ritiene esistano pure nella Libia dilaniata dalla guerra civile. Mare “Mostrum” è la migliore vetrina del complesso militareindustriale-finanziario di casa nostra: aerei, elicotteri, missili, unità navali, sommergibili, cannoni che aspiriamo a vendere ai paesi Nato e ai regimi partner della sponda sud mediterranea. Sistemi d’arma che nulla hanno a che fare con quello che in linguaggio militare si chiama “SAR – Search and Rescue”, ricerca e soccorso in mare, ma che invece delineano un modello di proiezione avanzata, aggressiva, di vera e propria penetrazione sino a dentro i confini degli stati nordafricani. Se si vogliono “arrestare i flussi migratori”, come spiegano generali, ammiragli, politici di governo e opinion maker embedded, bisogna impedire infatti a profughi e migranti di raggiungere le coste e le città portuali. Bloccarli nel deserto, detenerli nei lager del deserto e far fare il gioco sporco alle nuove polizie di frontiera che i Carabinieri armano e addestrano in Libia e nelle caserme in Veneto, Lazio, Toscana. Per intercettare e inseguire i rifugiati e i migranti in transito nel Sahara abbiamo attivato i famigerati “Predator”, aerei senza pilota in grado di volare per decine di ore in qualsiasi condizione meteorologica. Come tutte le guerre, quella ai migranti dilapida ingenti risorse finanziarie. Fonti di stampa filogovernative hanno previsto per l’Operazione Mare Nostrum-Mostrum un onere finanziario di circa 4 milioni di euro al mese ma, conti alla mano, la spesa potrebbe essere più che doppia. Il Sole 24 Ore ha preso a riferimento le “tabelle di onerosità” sul costo orario delle missioni delle unità navali, degli aerei e degli elicotteri impegnati nel Canale di Sicilia. Aggiungendo le indennità d’imbarco dei circa 800 marinai delle unità navali coinvolte (il personale mi- litare destinato al “contenimento” delle migrazioni è però di 1.500 uomini), il quotidiano di Confindustria ha calcolato una spesa media giornaliera di 300 mila euro, cioè 9 milioni al mese a cui vanno aggiunti 1,5 milioni di euro per le unità costiere già in azione da tempo: totale 10,5 milioni. La rivista specializzata Analisi Difesa ritiene invece che la spesa complessiva sfiorerà i 12 milioni al mese. Dato che il governo non ha previsto stanziamenti aggiuntivi sul capitolo “difesa”, è presumibile che il denaro per alimentare la macchina militare anti-migranti sarà prelevato dal fondo straordinario di 190 milioni di euro messo a disposizione per far fronte alla nuova emergenza immigrazione. Come dire che da qui alla fine dell’anno bruceremo in gasolio e pattugliamenti aeronavali il 20% di quanto è stato destinato per “sostenere”, “soccorrere” e “accogliere”. In perfetto stile shock economy, dopo le armi e le guerre arriva la ricostruzione: lager e tendopoli dove stipare corpi a cui abbiamo rubato l’anima, la cui malagestione è affidata alla misericordia di cooperative, Onlus e associazioni del privato sociale. A loro va l’altra metà del business migranti: un affaire di milioni e milioni di euro dove la dignità dell’uomo vale meno di nulla. 14 il bolscevico / rinnegati del comunismo N. 43 - 5 dicembre 2013 Per decisione del CC del partito revisionista e fascista cinese La Cina capitalista di Xi Jinping sposta ancora più a destra la politica economica sulla linea del rinnegato Deng Lo Stato esce quasi interamente dalla finanza e dall’economia dando più spazio ai capitalisti privati. Urbanizzazione spinta e vendita della terra. Creato un comitato per la sicurezza interna per rafforzare la dittatura fascista borghese lo “stadio primario del socialismo” è un inganno Dal 9 al 12 novembre si è svolta a Pechino la terza sessione plenaria del Comitato centrale eletto un anno fa dal 18° Congresso del Partito comunista cinese, in realtà oggi un partito revisionista e fascista. Salutata con toni trionfalistici dalla stampa cinese (ma anche estera), basti pensare che il Quotidiano del popolo l’ha definita “nuovo punto di partenza storico” per la riforma economica, si è significativamente tenuta alla vigilia del 35° anniversario dell’avvio della restaurazione del capitalismo in Cina ad opera del rinnegato Deng Xiaoping nel dicembre del 1978. E infatti non si è minimamente discostato dalla politica economica di Deng, salvo per spostarla ancora più a destra. Il mercato proclamato “forza decisiva” del capitalismo cinese Le decisioni prese al plenum, in particolare la “risoluzione sull’approfondimento complessivo delle riforme”, costituiscono un nuovo tassello della restaurazione totale del capitalismo, ormai anche a parole oltre che nei fatti: al mercato (e quindi al settore privato) sarò riconosciuto d’ora in avanti il ruolo trainante nell’allocazione delle risorse, mentre lo Stato dovrà limitarsi a garantire servizi. Non solo: il governo si impegna anche a rinunciare a ingenti percentuali di azioni nelle imprese statali per favorire l’ingresso di investitori privati esteri. Verrà addirittura liberalizzato il sistema bancario consentendo la nascita di banche private “piccole e medie” (per ora). L’obiettivo ufficiale è lo smantellamento dei monopoli statali, ma in realtà verrà cancellato ogni residuo di pianificazione economica attraverso la privatizzazione piena dell’economia e della finanza, persino in settori nevralgici considerati di esclusiva proprietà dello Stato come l’energia, le telecomunicazioni e il già citato sistema bancario. E di certo liquidare i magnati monopolisti capitalistici di Stato non restituirà al popolo quanto gli è stato rubato, ma andrà a vantaggio della rapace “mano invisibile” del “libero mercato”. Ciò arriva peraltro a pochi mesi dalla creazione della “zona a libero scambio” di Shanghai, un’area sperimentale con varie ghiotterie per i capitalisti privati, fra cui la possibilità di stabilire i tassi d’interesse, che sarà presto estesa anche alla città costiera di Tianjin, ma che sembra proprio essere il trampolino di ulteriori riforme capitalistiche. Non è tutto: ai contadini sarà concesso di vendere privatamente le terre, che fino ad oggi sono state di proprietà dello Stato (e gestite dai burocrati di villaggio dopo lo smantellamento delle comuni popolari), mentre ora saranno i contadini ricchi ed i nuovi proprietari terrieri ad arricchirsi a scapito dei contadini poveri, mentre la campagna cinese già da tempo vive inquietanti ritorni a pratiche feudali. È stato anche annunciato un piano che ha tutte le sembianze di una nuova spinta all’urbanizzazione selvaggia, che si stima dovrà arrivare al 70%. Insomma l’obiettivo della cricca revisionista e fascista di Pechino capeggiata da Xi Jinping è eliminare ogni minimo rimasuglio di economia socialista o finanche pubblica per favorire e allargare i profitti della grande borghesia cinese, far venire l’acquolina in bocca ai capitalisti stranieri e rilanciare la superpotenza imperialista cinese alla conquista dei mercati internazionali. Nel comunicato della sessione si dice addirittura che: “È necessario accelerare la nascita di un sistema moderno di mercato che favorisca l’imprenditoria indipendente, la concorrenza leale, l’indipendenza dei consumatori, il consumo libero, la libera circolazione dei beni e degli elementi primari e lo scambio equo” e “lavorare alacremente per eliminare ogni barriera che ostacoli il mercato” (sic!). Una foga liberista di cui Reagan e la Thatcher andrebbero fieri. Infatti il Centro di ricerca sulle riforme ha accolto rapidamente il via libera del plenum elaborando uno schema di provvedimenti che recepisce il piano “Cina 2030”, redatto insieme alla Banca mondiale, “un ammasso di menzogne e inganni” il cui scopo “è la distruzione totale delle imprese statali cinesi e la conseguente disgregazione, smembramento e distruzione della Cina”, come denunciato dai “1644 compagni marxisti-leninisti-maoisti” cinesi in una lettera aperta del luglio 2012 pubblicata in parte da “Il Bolscevico”. Sul piano sociale, sono emerse solo parole tutte da verificare sulla riforma del certificato di residenza (hukou) introdotto dal governo popolare di Mao per garantire alle masse servizi sociali (istruzione, sanità...) gratuiti e di qualità erogati dalle unità di lavoro urbane e dalle comuni agricole. Con la liquidazione di queste strutture socialiste, l’hukou è diventato strumento di oppressione per i migranti interni che si spostano dalle campagne alle città dove, senza residenza e quindi privi dei diritti, vengono trattati alla stregua di schiavi. Sono quei lavoratori che formano la colonna portante, ad esempio, della famigerata Foxconn (produttrice degli iPhone della Apple), giunta alle cronache per i suicidi e le condizioni miserevoli in cui gli operai sono costretti a vivere. Rafforzato il ruolo di Xi a capo della cricca di Pechino Il plenum ha infine annunciato la costituzione di una commissione per l’indirizzo delle riforme, ma soprattutto di un Comitato per la sicurezza dello Stato allo scopo di concentrare il potere in Xi Jinping, prepararsi a reprimere le rivolte e i sommovimenti sociali che presumibilmente saranno esacerbati da questa nuova ondata di riforme capitalistiche e, presumibilmente, per serrare la stretta su Internet: si pensi che nel 2012 sono stati oscurati parecchi siti della sinistra cinese. Tutto questo sfata peraltro certi abbagli dei media imperialisti e occidentali che hanno visto in Xi addirittura il “nuovo Mao” per via delle campagne contro la corruzione e gli sprechi dei funzionari che solo vagamente e all’apparenza ricordano quelle condotte da Mao (che tra l’altro non erano intrighi di palazzo ma movimenti di massa), e furbescamente cercano di accattivarsi le simpatie del popolo, ma che sono servite in realtà a regolare i conti fra le fazioni del mandarinato revisionista di Pechino. Lo “stadio primario del socialismo” non è socialismo Il plenum ha ribadito che la Cina si trova “nello stadio primario del socialismo e vi rimarrà a lungo”. Durante questa prima fase al “socialismo” è consentito accumulare risorse anche attraverso il mercato, ma non è dato sapere né come né quando potrà passare alla fase successiva. Ciò non ha niente a che vedere con il marxismo-leninismo-pensiero di Mao e con l’autentico sviluppo della società socialista ben illustrato da Marx: “Tra la società capitalistica e la società comunista vi è il periodo della trasformazione rivoluzionaria dell’una nell’altra. Ad esso corrisponde anche un periodo politico di transizione, il cui Stato non può essere altro che la dit- tatura rivoluzionaria del proletariato”. Come aggiunge Lenin, nel socialismo “non sarà più possibile lo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo, poiché non sarà più possibile impadronirsi, a titolo di proprietà privata, dei mezzi di produzione, fabbriche, macchine, terreni, ecc.”. Sembra parlare ai revisionisti cinesi di oggi, Mao quando afferma: “Il nostro programma futuro, o programma massimo, ha come scopo di portare la Cina ad uno stadio superiore, allo stadio del socialismo e del comunismo”. L’esatto contrario di Deng Xiaoping, Jiang Zemin, Hu Jintao e Xi Jinping che hanno invertito le ruote della storia e dimostrato che “la salita del revisionismo al potere è la salita della borghesia al potere”. La realtà quindi è che il cosiddetto “socialismo con caratteristiche cinesi” non è che l’inganno ideologico dietro cui i revisionisti cinesi mascherano il capitalismo sfrenato agli occhi delle masse popolari. E che il “sogno cinese” sbandierato da Xi per soffocare la lotta di classe e favorire l’“armonia sociale” è un sogno solo per la borghesia, ma è un incubo per la classe operaia e le masse lavo- ratrici cinesi supersfruttate per saziare la sete di profitto del capitale cinese e straniero. Mao nel 1956 indica chiaramente la strada da seguire in Cina con queste parole: “Lo scopo della rivoluzione socialista è liberare le forze produttive. La trasformazione della proprietà individuale in proprietà collettiva socialista nel campo dell’agricoltura e dell’artigianato e della proprietà capitalista in proprietà socialista nell’industria e nel commercio privati porterà necessariamente a una materiale liberazione delle forze produttive. Saranno così create le condizioni sociali per un enorme sviluppo della produzione industriale e agricola”. Nell’anno successivo ha sottolineato che il sistema sociale socialista deve essere consolidato e che “per raggiungere il suo consolidamento definitivo, è necessario non solo realizzare l’industrializzazione socialista del paese e perseverare nella rivoluzione socialista sul fronte economico, ma è anche necessario sui fronti politico e ideologico condurre costanti e ardue lotte rivoluzionarie socialiste e perseverare nell’educazione socialista”. Maduro come Chàvez, un borghese riformista gramsciano di Eugen Galasso In occasione della visita in Itallia di Nicolàs Maduro, attuale presidente della Repubblica “bolivariana” del Venezuela, nel giugno scorso, “Il Bolscevico” aveva ricordato un intervento ben precedente (novembre 2008, 5° Congresso del PMLI) quanto illuminante del Segretario generale del PMLI, Giovanni Scuderi, quando aveva messo in guardia eventuali “fans” ricordando che “Spuntano nuovi riformisti, che con le loro teorie del ‘nuovo socialismo’, ‘socialismo dei cittadini’ (formula che, mi sia permesso di ricordarlo, ricorda pericolosamente quanto significativamente il “Citizen Party”, infelice tentativo politico dell’ecologista ipercapitalista Barry Commomer negli USA, verso la fine degli anni Settanta del 1900, oltre a qualche formula di qualche filosofo post-revisionista italiano nda), ‘socialismo del 21° secolo’, ingannano e illudono le masse fautrici del cambiamento sociale... Il socialismo del XXI° secolo, il cui maggiore esponente è il socialdemocratico dichiarato Chàvez, è un impasto di gramscismo, riformismo, guevarismo, trotzkismo, movimentismo...”. Peccato non poter continuare nella citazione di questo testo, illuminante quanto tutto quel che scrive Scuderi. Nella piena continuità, Maduro erede di Chàvez (slogan elettorale: “Con Chàvez y Maduro ahora es el futuro”) parla di “socialismo democratico, humanista y cristiano”, non certo di “socialismo scientifico”, come invece nella teoria di Marx ed Engels, continuata, sviluppata, ampliata e adeguata ai nuovi contesti storici da Lenin, Stalin, Mao e oggi, nella linea tracciata dai Maestri, dal PMLI. Ancora, Maduro, i cui maestri oltre a Chàvez e Cristo, sono Simòn Bolìvar, “libertador”, certo dal potere regio spagnolo ma non dalle borghesie ormai latinoamericane né del tutto immune da un certo razzismo nei confronti degli ex-schiavi di origini africane, Gramsci - fatto significativo, rileva giustamente l’articolo de “Il Bolscevico” di quasi mezzo anno fa, Fidel Castro e “Che” Guevara (come noto “Che” è un nomignolo appioppato al dottor Ernesto Guevara, medico, motociclista e “ribelle” più che rivoluzionario, dai Cubani, per burlarsi amichevolmente del suo accento argentino, nda)”. A Marx pochi accenni, di Lenin quasi nulla (a parte citazioni sporadiche; personalmente, in un numero rilevante di discorsi ascoltati e letti, ne ho riscontrata una sola) e comunque sempre “ad usum delphini”, cioè meramente strumentale. Idem in Chavez, peraltro. Stalin e Mao? Neppure per idea. Ma che cos’altro aspettarsi da chi parla sempre solo di “paz y convivencia”, mai di “lotta di classe” e di “dittatura del proletariato”? Non a caso “El Che es una lecciòn vivente”, insomma una sorta di “via, verità e vita”, per citare i Vangeli nella loro espressione più marcata, dove Cristo dichiara la sua divinità... Tanto per riprendere la leggenda di Guevara “nuovo Cristo”, così suggestiva in Latinoamerica... Poi, certo, le grandi campagne contro gli aumenti ingiustificati dei prezzi in Venezuela, contro la “burgesia parasitaria y depredadora”: ma ci voleva proprio la coppia Chàvez-Maduro per dircelo? Bastava il ricordo (ancora di matrice argentina, Che docet) di tale Juan Domingo Peròn... Il tutto sa di demagogia, con un sapiente uso di revisionismo di destra (sempre) e di “sinistra” (meno frequente, ma non assente). Se poi si pensa alle corrotte oligarchie (neppure borghesi, di scadente aristocrazia latifondista, dominanti in Colombia dove si sono riciclate senza problemi in politica e nella gestione del narcotraffico, fino a poco tempo fa anche in Venezuela) di tutta l’America Latina, la tentazione di individuare un “miglioramento” in Chàvez-Maduro è (sembra essere, anzi) forte, ma da respingere con altrettanta forza, in quanto illusione riformista revisionista. Con Lenin potremmo parlare di un “rinnegato Maduro” (meglio Chàvez, che è per l’attuale presidente “maestro e autore”, per dirla dantescamente), anche se francamente un raffronto tra Kautsky e Maduro non sarebbe possibile, per motivi storici ma anche culturali... Oltre a tutto, anche le emittenti TV filo-governative venezuelane, con un curioso personaggio come Walter Martinez, propongono un rituale di tipo personalistico, con punte anche magico-esoteriche, che catturano sensibilità mai sopite in Latinoamerica, dove una borghesia “illuminata” non c’è mai stata, men che meno un illuminismo demistificante le religioni storiche (ora vi proliferano culti salvifici, nuovi “oppio del popolo”, a tutto spiano) e nella quale brujeria (stregoneria) e magia non sono mai state sradicate. esteri / il bolscevico 15 N. 43 - 5 dicembre 2013 Oltre meta’ dell’elettorato cileno diserta le urne La “sinistra” borghese batte la destra. I leader studenteschi, tra cui la eletta revisionista Vallejo, afflitti dal cretinismo parlamentare portano acqua al mulino della socialdemocratica Bachelet La socialdemocratica Michelle Bachelet, la candidata della coalizione di centrosinistra, ha vinto il primo turno delle elezioni presidenziali che si sono svolte il 17 novembre col 46,67% dei voti. La coalizione Nueva Mayoria, capitanata dalla Bachelet, è composta da 8 formazioni che vanno dal Partito comunista a quello socialista, dalla Sinistra cittadina alla Democrazia cristiana. Non ha comunque superato il 50% più uno e per l’elezione sarà necessario il passaggio al secondo turno in programma il prossimo 15 dicembre dove l’attende la sfida con la seconda classificata, la rappresentante della destra, Evelyn Matthei, l’ex ministra del lavoro nel governo in scadenza di Sebastian Piñera, che ha raggiunto il 25% dei voti. La Bachelet ha già incamerato l’appoggio del terzo candidato del primo turno, il leader del Partito progressista, Marco EnriquezOminami che ha sfiorato l’11% dei voti. Un appoggio che dovrebbe consentire alla “sinistra” borghese di battere la destra, vincere il ballottaggio e mettere la Bachelet sulla stessa poltrona presidenziale che ha già occupato nel suo primo mandato tra il 2006 e il 2010. Il vincitore delle elezioni, che hanno interessato anche il rinnovo dei due rami del parlamento e alcune amministrazioni locali, è stata comunque la diserzione del voto che ha superato oltre la metà dei 13,5 milioni degli elettori, avvicinandosi alle percentuali record del 60% registrate nelle ultime elezioni comunali. Il popolo cileno ha già sperimentato gli effetti del governo della “sinistra” borghese durante il primo mandato della Bachelet e non ha abboccato alle sue promesse di cambiamento. I precedenti governi di centrosinistra tra l’altro si erano ben guardati dallo smantellare il mostro istituzionale e economico neoliberista messo in piedi sotto la dittatura di Pinochet e messo al centro della discussione solo a partire dal 2011 quan- do centinaia di migliaia di giovani studenti invasero le piazze per rivendicare il diritto allo studio e dell’Università pubblica. Non a caso la Bachelet, tornata in Cile dopo quattro anni trascorsi all’agenzia dell’Onu per le donne, ha messo in piedi la coalizione Nueva Mayoria con un programma di “sinistra” appoggiato da diversi leader delle passate lotte studentesche. E che ha come temi principali la riforma costituzionale, che dovrebbe cancellare l’ancora vigente costituzione di Pinochet, la riforma tributaria per alzare le tasse alle imprese dal 20% al 25% e la riforma dell’istruzione in senso pubblico. Fra i parlamentari eletti il 17 novembre ci sono diversi dei leader studenteschi che avevano guidato la protesta degli ultimi due anni nelle università, da Camila Vallejo e Karol Cariola, militanti del Partito comunista, agli indipendenti Giorgio Jackson e Gabriel Boric. Afflitti dal cretinismo parlamentare hanno portato acqua al mulino della socialdemocratica Bachelet. Appena eletta, Camila Vallejo, ha dichiarato che “faremo approvare nuove leggi sui temi per i quali abbiamo lottato: il diritto all’istruzione pubblica, gratuita e di qualità. Una nuova costituzione per il Cile che si lasci definitivamente alle spalle la disastrosa eredità politica, culturale, economica e sociale di Augusto Pinochet. Una nuova legge del lavoro che assicuri i diritti dei lavoratori. Una sanità decente che non sia basata sulla speculazione e il lucro. Un sistema pensionistico giusto e ugualitario. Un insieme di trasformazioni che la società cilena sta domandando da molti anni”. Punti importanti del programma della Bachelet che la Vallejo accredita alla “presenza dei comunisti nell’alleanza Nueva Mayoria” che lo avrebbe “spostato molto più verso i diritti del popolo, verso l’approfondimento della democrazia”. Tornata coi piedi per terra dal volo pindarico dei buoni propositi affermava che “ora si tratterà di far in modo che questi cambiamenti non rimangano sulla carta”. Appunto. Da parte sua la Bachelet, attraverso i suoi portavoce, ha assicu- rato che non è attirata dalle posizioni che girano in una parte del continente latinoamericano e si ispirano al cosiddetto socialismo del XXI secolo di Maduro e Morales ma guarderà soprattutto al modello brasiliano. Che quanto a promesse di cambiamento in favo- re del popolo non mantenute non è certo secondo a nessuno. E fra i primi complimenti ha ricevuto quelli dell’ex presidente brasilia- Cambogia. Le fabbriche producono per le multinazionali imperialiste La polizia spara sugli operai in sciopero per il salario La Cambogia è uno nel gruppo dei paesi asiatici che continuano a avere una crescita economica sostenuta che secondo l’Asian Development Bank nel 2012 è stata del 7,2% grazie in particolare all’aumento del 75% degli investimenti concentrati nella produzione tessile e in quella agricola. Capitali attratti per la vicinanza della Cambogia a mercati importanti come quello cinese e da un basso “costo del lavoro”. Dai dati elaborati dalla Banca mondiale risulta che il reddito pro capite nel 2012 è stato di 946 dollari; il basso “costo del lavoro” in altre parole vuol dire bassi salari e supersfrutamento dei lavoratori. Che come in altri paesi, dalla Cina al Bangladesh, scioperano e rivendicano aumenti salariali, si ribellano nonostante la repressione del regime di Phnom Penh che lo scorso 13 novembre ha inviato la polizia a sparare sui lavoratori in lotta della SL Garment Processing Ltd, una fabbrica tessile con proprietari di Singapore, che si trova nella capitale e produce per marchi stranieri. La denuncia della repressione poliziesca era contenuta in un video messo in rete da una organizzazione non governativa cambogiana che denunciava l’aggressione e il pestaggio degli agenti contro i lavoratori in sciopero per aumenti salariali. Negli scontri è morta una donna che con il suo banchetto vendeva riso per strada vicino alla fabbrica. La protesta dei lavoratori della fabbrica durava dallo scorso agosto e il 13 novembre decidevano di marciare verso la casa del primo ministro Hun Sen e affrontavano la polizia che tentava di bloccare il corteo col lancio di lacrimogeni e sparando proiettili di gomma. I manifestanti, fra i quali anche passanti e monaci, rispondevano lanciando pietre ma erano costretti a disperdersi e a cercare rifugio in una vicina pagoda. Gli agenti li inseguivano e sparavano proiettili veri con mitra e pistole. Il bilancio degli scontri è stato di centinaia di feriti e trentasette arresti, oltre alla donna uccisa. Per nulla intimoriti dalla repressione scatenata dal regime di Hun Sen altri lavoratori di fabbriche nella capitale sono scesi in lotta; fra le altre in una dove lavorano oltre 300 addetti, tutti giovani e molte donne, bloccavano la produzione e occupavano le strade. L’industria tessile in Cambogia rappresenta ben l’85% dell’export nazionale ed è la terza fonte di entrata del paese, dopo il turismo e l’agricoltura. Il valore della merce spedita nei mercati americani ed europei dalle fabbriche cambogiane ha un valore di oltre 4 miliardi di dollari all’anno. Una ricchezza che finisce in mano alle multinazionali straniere, proprietarie del- le aziende, che sono soprattutto ci- lavorano per marche straniere tra nesi, taiwanesi e di Hong Kong. E le quali H&M, Zara e Gap Inc. Cambogia. Un momento della combattiva protesta degli operai in lotta per il salario Un lavoratore ferito durante la protesta viene ulteriormente inseguito e picchiato dalla polizia Oltre il 75% dell’elettorato di New York diserta le urne Il neosindaco De Blasio (democratico) eletto solo dal 16% dell’elettorato Secondo i dati ufficiali il candidato del Partito democratico Bill De Blasio ha vinto le elezioni del 5 novembre per la carica di sindaco di New York con 752.604 preferenze, pari al 73,3% dei voti validi, distanziando di ben oltre le previsioni il candidato del Partito repubblicano Joseph Lhota che ha ottenuto 249.121 preferenze, pari al 24,3% dei voti validi. Tutti gli altri candidati assieme hanno avuto poco meno di 25 mila voti, corrispondenti al 2,4% dei voti validi. La vittoria del neosindaco De Blasio ha messo fine all’era dei sindaci repubblicani, iniziata con Rudolph Giuliani nel 1994 e fino al 2001, seguito negli ultimi dodici anni dal collega di partito Michael Bloomberg. “È una delle vittorie più schiaccianti in un’elezione a sindaco e consegna a De Blasio un inequivocabile mandato a mettere in pratica la sua agenda progressista”, è stato il commento entusiasta degli esponenti del partito democratico americani. Ma se misuriamo il consenso ottenuto da De Blasio rispetto al corpo elettorale, come è corretto fare, constatiamo che ha raccolto favore di poco più del 16% dei 4,3 milioni di elettori registrati. Non è dato sapere quanti siano le persone che non si sono neanche registrate negli elenchi elettorali, quindi il peso effettivo della “vittoria” democratica è ancora inferiore al già misero 16%. Più che una “vittoria schiacciante” è una delegittimazione inequivocabile segnata quantomeno dai 3,3 milioni di elettori, pari a oltre il 75%, che pur iscritti alle liste hanno disertato il voto. Nelle stime del Partito democratico, gli elettori attesi alle urne erano sperabilmente tra il 25 e il 30% grazie alla imponente macchina elettorale messa in moto dai due maggiori partiti che hanno chiuso la campagna elettorale con i porta a porta e centinaia di appuntamenti pubblici mirati a convincere le persone a partecipare al voto. De Blasio non lesinava promesse di ridurre le disugua- glianze sociali in una città tra le più ricche del mondo ma con un 45% della popolazione ancora sotto la soglia della povertà. In campagna elettorale strizzava strumentalmente l’occhio al movimento Occupy Wall Street affermando che sarebbe stato il sindaco del 99% per cento della popolazione e non solo di quell’uno per cento rappresentato dai ricchissimi e dai privilegiati. Ma due angoli di strada dopo si copriva a destra affrettandosi a precisare che “Wall Street è la principale industria della nostra città”. Prometteva di sconfiggere disuguaglianze e divisioni come quelle segnate dalle frontiere invisibili che vedono i benestanti bianchi concentrati nell’Upper East Side, gli afroamericani nei ghetti di Harlem e i latinos in quelli di di Washington Heights. Ma non è stato ritenuto credibile dalla stragrande maggioranza degli elettori, quelli attivi registrati nelle liste e quelli che neanche si iscrivono. l i e r a i d u St o m s i x r ma o m s i n i len o r e i s n e p o a di M Comprovato in tutte le situazioni nei cinque continenti e verificato in mille e più battaglie, il marxismo-leninismo-pensiero di Mao è una potente arma, ma se non lo si studia e non lo si applica è un’arma scarica, da museo. Tutti i rivoluzionari italiani, specie i marxisti-leninisti, hanno perciò il dovere di studiarlo e applicarlo. Più a fondo andranno in questo studio, più contributi apporteranno alla nobile causa del socialismo. Non bisogna mai stancarsi di studiarlo e ritenere di conoscerlo a sufficienza. C’è sempre qualcosa di nuovo da scoprire e poi c’è bisogno di tenerlo fresco nella memoria. Non potremo mai avere una concezione proletaria del mondo se non studiamo e applichiamo il marxismo-leninismo-pensiero di Mao. Anche se fossimo dei bravi organizzatori, oratori, trascinatori, scrittori ma non studiamo e applichiamo il marxismo-leninismo-pensiero di Mao non faremo nemmeno il solletico alla borghesia e ai falsi amici del proletariato e delle masse. Gli operai coscienti, avanzati e combattivi, in primo luogo, devono studiarlo perché essi devono essere la testa e la colonna vertebrale del Partito, coloro che devono dirigere anche la lotta ideologica all’interno e all’esterno del Partito. Studiare costa tempo, fatica e rinunce, specie agli operai e ai lavoratori che concludono la giornata spremuti come limoni dai capitalisti. Eppure bisogna studiare, costi quel che costi per essere sempre in prima linea nella lotta di classe e con posizione d’avanguardia marxiste-leniniste. Le opere dei nostri maestri riempiono decine e decine di volumi, 44 soltanto per Lenin, è quindi molto difficile riuscire a leggerle tutte. Il nostro Partito ne ha selezionate cinque, ritenendole fondamentali per trasformare il mondo e se stessi. Esse sono: Marx ed Engels “Il manifesto del Partito comunista”, Lenin “Stato e rivoluzione”, Stalin “Principi del leninismo” e “Questioni del leninismo”, Mao “Sulla giusta soluzione delle contraddizioni in seno al popolo”. Queste opere sono state ristampate dal PMLI. Tutti i rivoluzionari, cominciando dai massimi dirigenti del PMLI, dovrebbero tenere bene a mente questa esortazione di Mao: “Dobbiamo scuoterci e studiare facendo duri sforzi. Prendete nota di queste tre parole: ‘fare’, ‘duri’, ‘sforzi’. Bisogna assolutamente scuoterci e fare duri sforzi. Adesso alcuni compagni non ne fanno e alcuni impiegano le energie che restano loro dopo il lavoro soprattutto per giocare a carte o a mahiong e per ballare: questa, secondo me, non è una buona cosa. Le energie che restano dopo il lavoro dovrebbero essere impiegate soprattutto nello studio, facendo in modo che diventi un’abitudine. Che cosa studiare? Il marxismo e il leninismo, la tecnologia, le scienze naturali. Poi c’è la letteratura, soprattutto le teorie artistico-letterarie: i quadri dirigenti devono intendersene un po’. C’è il giornalismo, la pedagogia, discipline, anche queste, di cui bisogna intendersi un po’. Per farla breve, le discipline sono molte e bisogna almeno farsene un’idea in generale. Dobbiamo dirigere queste faccende, no!? Gente come noi in che cosa è specialista? In politica. Come possono andare bene le cose se non capiamo niente di queste faccende e non ci mettiamo a dirigerle? (Mao, Essere elementi di stimolo per la rivoluzione, [9 ottobre 1957], in Rivoluzione e costruzione, Giulio Einaudi Editore, p. 680). Giovanni Scuderi, “Mao e le due culture” discorso pronunciato il 16 settembre 2001 a Firenze per il XXV Anniversario della morte del grande maestro del proletariato internazionale, in Giovanni Scuderi Opuscolo n. 9, pagg. 67-69, www.pmli.it/scuderimaoeledueculture.htm