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Carbone
gennaio - febbraio 2013
la termotecnica
di Paolo Cardillo
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Il carbone
Dall’antichità alla rivoluzione industriale
Introduzione
Nessuno sa chi sia stato il primo a usare il carbone e neanche
dove sia stato usato per la prima volta. Depositi di carbone erano
presenti sulla superficie della Terra in molti luoghi e qualcuno deve
aver notato, magari casualmente, che questa roccia nera poteva
bruciare e fornire calore per il conforto o per cuocere i cibi. È molto
probabile che questa scoperta sia stata fatta indipendentemente, in
posti diversi, da più persone.
L’impiego del carbone come fonte di energia è quindi noto fin dai
tempi antichi, anche se ha rappresentato una risorsa minore, almeno
fino alla rivoluzione industriale. La prima menzione del carbone nella letteratura europea risale al IV secolo a.C. [1]; tuttavia, gli storici
sono certi che il carbone sia stato usato inizialmente in Cina almeno
1.000 anni a.C. [2], come riferito da Marco Polo nel XIII secolo.
IL CARBONE IN OCCIDENTE
I primi documenti sull’uso del carbone in Occidente sono attribuiti a
Plinio, Aristotele (Meteorologia) e al filosofo e naturalista Teofrasto,
suo discepolo (De Lapidus, Trattato sulle pietre) [1-3]. Teofrasto
ha descritto la combustione di una pietra nera (presente anche in
Liguria) che chiamò antrax (da cui è derivato il termine antracite)
che era talvolta utilizzata dai fabbri al posto del carbone di legna
(carbonella, charcoal) [3].
Sebbene i Greci e i Romani conoscessero il carbone già dal 400
a.C., non lo utilizzavano in grandi quantità, preferendo la legna,
molto più facilmente accessibile. Il carbone fu usato come combustibile in alcune parti dell’Impero Romano, particolarmente in
Britannia, ma sempre come contributo marginale [4]. Man mano
che i Romani invadevano le terre del nord, incontravano l’estrazione
e l’impiego del carbone nelle vicinanze di St. Etienne (Francia) e
in Britannia, dove sono state rinvenute ceneri di carbone in rovine
romane che indicano che il carbone era usato durante l’occupazione
tra il 50 e il 450 d.C. [5,6].
Nel Medio Evo il carbone fu riscoperto in Europa, soprattutto in
Inghilterra, Germania e Francia, rimanendo tuttavia una ristretta
risorsa locale.
Mentre i contadini probabilmente continuavano a utilizzare il carbone trovato in superficie per usi domestici, l’evidenza suggerisce
che almeno fino a circa il 1200 non vi erano usi industriali, quando
fu scoperto che il carbone era un ottimo combustibile per forgiare il
ferro e per altre operazioni metallurgiche, giacché bruciava lentamente come la carbonella ricavata dalla legna.
Liegi in Belgio, Lione in Francia e Newcastle in Inghilterra diventarono importanti centri minerari. Uno dei primi trattati medievali
sul carbone, Chronicle, si deve a Reinier, un monaco di Liegi che,
intorno al 1200, ha descritto una terra nera che si comportava come
la carbonella e che era utilizzata dai fabbri per alimentare le loro
fucine [7,8].
Il carbone al posto della legna
Inizialmente, il carbone era utilizzato in prossimità delle miniere in
quanto competitivo con la legna e la carbonella che non dovevano
essere trasportati. In seguito, man mano che la legna diventava scarsa, soprattutto nelle vicinanze delle città, il carbone cominciò a essere
trasportato via mare. Nell’antichità, la sostanza che ora chiamiamo
carbone era indicata con diversi nomi: earth cole, pit cole, stone cole,
peacoke, smithy cole che derivavano dal luogo dove era rinvenuto
e dal tipo di applicazione che se ne faceva. A metà del 1200, per
distinguere il carbone (coal o cole) dalla carbonella si introdusse il
termine sea-coal in quanto era trasportato via mare da Newcastle
e Durham a Londra. Anche in Francia e Germania, nell’antichità il
carbone era designato con diversi termini: charbon de terre, de roche,
de pierre, de forges; steinkhole, pechkohle, ecc. [8].
Sebbene, nel Medio Evo il carbone sia diventato il combustibile per
eccellenza, soprattutto per i fabbri, il suo uso era limitato come fonte
di calore domestico per i suoi fumi; tuttavia, man mano che la legna
scarseggiava e il carbone diventava meno costoso, il suo impiego
cominciò ad aumentare.
I primi problemi di inquinamento
I camini, rari anche nei castelli dei signorotti, erano del tutto sconosciuti nelle case comuni, che - oltretutto - avevano le pareti di
legno. Il focolare consisteva in una buca al centro del pavimento o
addirittura in prossimità di una parete che era coperta quando il
Prof. Dott. Paolo Cardillo, già direttore della Stazione Sperimentale per i combustibili - Milano
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fuoco era spento. In quel periodo, era obbligatorio a una data ora
della sera, segnalata dal suono di una campana, spegnere il fuoco
per evitare incendi. Da quest’usanza è nato il termine “coprifuoco”
(curfew, couvre feu)[5].
Il fumo che pervadeva l’intera stanza al massimo fuoriusciva da un
foro sul soffitto. Pertanto, in queste condizioni l’impiego del carbone
era quasi inammissibile. Anche la combustione della legna produceva fumo, che però era più tollerato in quanto non considerato pericoloso. Una delle prime persone di un rango elevato a soffrire degli
effetti dell’inquinamento da carbone fu Eleonora di Castiglia, moglie
del re Edoardo I che, si racconta, nel 1257 dovette abbandonare il
castello di Nottingham a causa dei fumi emessi dalla combustione
del carbone in varie stanze [5,9].
Londra e lo smog
Nel 1283 e nel 1288, i londinesi si lamentarono della qualità
dell’aria a causa dell’utilizzo del carbone nei forni a calce, pertanto
Londra vanta il triste primato di essere stata la prima città a subire
un grave inquinamento. Eppure i londinesi erano abituati alla puzza
permanente delle loro strade causata dallo sterco di animali, dalle
fogne a cielo aperto e da immondizie varie.
L’inquinamento da carbone ha creato seri problemi nella città di
Londra anche in tempi successivi, tanto da far coniare la parola
smog come associazione di smoke (fumo) e fog (nebbia).
Le persone erano soprattutto disturbate dall’odore di zolfo, rilevabile nei fumi, poiché associavano lo zolfo all’atmosfera demoniaca
dell’oltretomba.
Nel 1307, un proclama reale di Enrico III proibì, senza molto successo, l’uso del carbone in queste operazioni [10]. Non si deve però
trascurare che, generalmente, il carbone era raccolto in superficie
ed era quindi di scadente qualità.
Se il divieto di Enrico III fosse rimasto esecutivo anche nei secoli
seguenti, la storia dell’umanità sarebbe stata completamente differente!
L’era del carbone è cominciata nella metà del XVII secolo per il
verificarsi contemporaneo di vari eventi. Le attività minerarie, artigianali e industriali, fino al 1600, usavano appunto la legna come
principale fonte di energia e come materiale da costruzione. Dalla
metà del 1600 crebbe rapidamente la domanda di legna sia per la
costruzione di abitazioni, navi e ponti, sia come combustibile e per
la produzione della carbonella, materiale utilizzato da sempre per
la trasformazione dei minerali di ferro in ferro metallico, richiesto
anch’esso in quantità crescenti per la fabbricazione di macchine e
di armi. L’eccessivo sfruttamento dei boschi portò ben presto, in molti
paesi europei, alla progressiva distruzione delle foreste e la legna
cominciò a scarseggiare.
All’aumentare del costo della legna, divenne sempre più vantaggioso trasportare il carbone a distanze sempre maggiori. Nel XVII
secolo si verificò per l’Inghilterra il grave dilemma di conservare
il patrimonio forestale, per cui già nel 1615, il governo inglese
incoraggiava la sostituzione della legna con il carbone [7]. Per un
certo periodo venne anche ostacolata, pur se non del tutto proibita,
l’esportazione del carbone in Francia nel timore che scarseggiassero
le risorse interne. Alcuni notabili riuscirono a ottenere particolari
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licenze per l’esportazione, accumulando così, in clima di monopolio, immense fortune [11,12].
I gas di miniera e i pericoli dei minatori
Nel XIV secolo, in Inghilterra, si stabilirono i primi contratti legali per
lo sfruttamento delle miniere e il carbone cominciò a essere estratto
direttamente da queste con gallerie orizzontali non molto profonde
per impedire l’accumulo di acqua e favorire la ventilazione. In
alcuni distretti, tuttavia, il carbone era estratto anche in profondità con l’acqua che era drenata mediante rudimentali macchinari
(pompe) azionate da cavalli. Cominciarono a verificarsi anche i
primi incendi sotterranei che talvolta duravano anni; a causa della
profondità e dell’estensione delle gallerie, la ventilazione naturale
si dimostrò insufficiente evidenziando nuovi problemi legati alla
presenza dei gas di miniera (choke damp - CO2, white damp - CO
e fire damp o grisou - CH4). In mancanza di conoscenze scientifiche,
tali gas erano considerati, con superstizione, come metamorfosi di
spiriti sotterranei. Sono innumerevoli le descrizioni in letteratura dei
metodi primitivi utilizzati dai minatori per proteggersi contro tali
gas: dai canarini ai cani per accertare la presenza della CO2 (più
pesante dell’aria) ai fireman per il metano (più leggero dell’aria).
A questo proposito citiamo un passo tratto dal Bel Paese (1876) di
Antonio Stoppani:
“In ogni miniera vi ha un operajo, il quale ha lo speciale incarico,
sempre un pochino arrischiato, di dare fuoco al gas; quell’uomo va
distinto col titolo glorioso e feroce di fireman, od uomo del fuoco […].
Che faceva dunque il povero fireman? Coperto di abiti bagnati,
nascosto il viso sotto una maschera con gli occhi di vetro, con una
verga in pugno che terminava in una candela accesa, il fireman penetrava nella galleria. Quivi, gettatosi boccone, si avanzava come
un rettile col ventre a terra, spingendo innanzi la canna, colla candela, sicché il gas scoppiando nelle regioni elevate, possibilmente
non lo offendesse. In alcuni luoghi bisognava ripetere l’operazione
ogni giorno, e in altri fin due o tre volte al giorno.
Ma avvenne pur troppo, e più volte, che il gas si fosse soverchiamente ingrossato nella galleria, e il povero fireman rimanesse vittima
del suo dovere […]”
È difficile immaginare un luogo di lavoro più lugubre e pericoloso
La piaga delle esplosioni nelle miniere
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di una miniera di carbone del 1600 [5,6]. Le miniere erano buie,
umide, gelate; le volte potevano crollare da un momento all’altro;
l’aria era soffocante, spesso velenosa o esplosiva; una piena d’acqua
poteva intrappolare e trascinare via i minatori. In pratica, i minatori
correvano il serio rischio di morire a causa dei classici quattro
elementi di Aristotele: terra, aria, fuoco e acqua. Probabilmente si
trattava del mestiere più pericoloso in un periodo già pericoloso.
Ancora qualche lamentela per l’inquinamento
L’uso del carbone per il riscaldamento domestico è diventato frequente dal 1600 grazie all’adozione dei camini, come li intendiamo oggi (nascono così gli spazzacamini), anche se non mancano
testimonianze di lamentele contro l’inquinamento provocato [5,13].
Quando i londinesi cominciarono a bruciare sempre più il carbone
durante il 1600, con la città in continua espansione, la qualità
dell’aria continuò a deteriorarsi. Il problema è descritto con vividi
dettagli nell’opuscolo di 70 pagine di J. Evelyn che definisce l’aria
(aer) di Londra come la peggiore tra tutte le città d’Europa: “The
city of London resembles the face rather of Mount Aetna, the Court
of Vulcan, Stromboli, or the Suburbs of Hell, than an Assembly of
Rational Creatures[…]” [14].
Dello stesso avviso è un altro scrittore dell’epoca, T. Nourse [15]
preoccupato, oltre che per la salute dei cittadini, anche per il deterioramento dei palazzi e dei monumenti.
Problematici erano i giorni di pioggia, quando il nerofumo e la
cenere venivano dilavati lasciando macchie nere ovunque (non è
quindi sorprendente che i londinesi abbiano iniziato a difendersi
con...ombrelli, rigorosamente neri!) [9].
Si racconta ancora [5,16] che le signore londinesi siano state
molto riluttanti ad accettare il cambio di combustibile al punto di
non entrare nelle case o nelle stanze dove si bruciava il carbone
e di non mangiare volentieri il cibo arrostito con fuoco a carbone.
Nonostante queste opposizioni, tuttavia, il carbone è diventato il
combustibile delle città.
Il carbone e la rivoluzione industriale
Diversi sviluppi nel XVIII secolo hanno portato a un impiego sempre
più esteso del carbone in Inghilterra, culminato con la rivoluzione
industriale, che si è verificata tra il 1750 e il 1850. Questi sviluppi
includono la rivoluzione nei trasporti e la rivoluzione dell’industria
metallurgica, specialmente del ferro [17]. Nell’Inghilterra del 1700,
come combustibile era disponibile solo il carbone poiché la legna
era diventata una risorsa estremamente scarsa nelle aree molto
popolate. C’era quindi una domanda sempre crescente di carbone
come combustibile per le necessità domestiche e per le prime
industrie di quel periodo (panifici, fucine, concerie, zuccherifici e
fabbriche di birra) [17].
La conversione della legna al carbone come sorgente predominante
di energia ha portato a importanti risultati. Esauriti i giacimenti
superficiali, man mano che le miniere diventavano sempre più profonde, si rendeva necessaria una fonte di energia per azionare le
pompe che dovevano drenare l’acqua che si accumulava sul fondo
e che sovente costituiva una minaccia per gli stessi minatori. La
prima e più semplice soluzione per eliminare l’acqua (già nel 1300)
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consisteva nello sfruttare la gravità (dato che molte miniere erano
in posizione sopraelevata): i minatori scavavano lunghi e stretti
tunnel (denominati watergates), spesso lunghi diverse miglia, che
incanalavano l’acqua verso le valli. Nel 1600 esistevano migliaia
di tali tunnel.
Talvolta, i minatori dovevano trasportare l’acqua in secchi legati sulle loro schiene, oppure utilizzavano lunghe catene di secchi (chain
of buckets) tirate da cavalli notte e giorno. Alcune grandi miniere
utilizzavano fino a cinquanta-sessanta cavalli, con costi molto alti
(per il foraggio e per il personale che doveva accudirli) [5].
L’incessante battaglia per il drenaggio dell’acqua ha sicuramente
contribuito a cambiare l’attività mineraria (e dell’industria in
generale) accelerando la tendenza verso miniere sempre più grandi
con conseguente incremento della forza lavoro. Per recuperare i
loro notevoli investimenti, gli operatori dovevano produrre sempre
più carbone; però, man mano che le miniere si ingrandivano,
aumentava il problema dell’acqua che, di conseguenza, richiedeva
nuovi investimenti.
Nonostante numerosi tentativi, per lo più infruttuosi da parte di
molti “inventori”, il problema dell’acqua nelle miniere è rimasto a
lungo uno dei più pressanti, fino all’invenzione dello steam engine.
Il drenaggio dell’acqua delle miniere (stampa del 1556) [18]
Il motore a vapore
In linea di massima, le scoperte scientifiche, grandi o piccole, non
sono quasi mai apporti originali di un solo uomo. Anche le teorie
più rivoluzionarie sono il risultato di una lunga e lenta evoluzione.
I concetti fondamentali hanno origine in luoghi differenti, poi
gradualmente sono collegati, modificati, integrati e, infine, resi
noti sotto forma di concetto nuovo, il quale, a sua volta, influenza e
modifica l’indirizzo delle teorie successive. È evidente che la storia
di tali evoluzioni del pensiero, nel suo insieme, non coinvolge
solamente le personalità e le capacità degli scienziati stessi, ma
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anche le condizioni economiche e sociali del contesto in cui essi
sono inseriti e le teorie filosofiche predominanti in quel momento. Un
uomo di genio apre un periodo fecondo per una scienza, e subito
dopo, quasi inspiegabilmente, sull’abbrivo, molti altri uomini di
gran valore completano e arricchiscono il suo lavoro. Ciò si spiega
solo ammettendo che, a un certo punto, lo stato delle conoscenze
sia così avanzato, i mezzi a disposizione siano così perfezionati che
manca solo un uomo dotato di grande intuito, di elevata capacità di
sintesi, per coordinare il tutto in una teoria o in una legge naturale.
Il livello eccezionale di quest’uomo permette di anticipare ciò che
inevitabilmente altri uomini, di poco inferiori, potrebbero realizzare
negli anni immediatamente seguenti.
La storia dell’invenzione dello steam engine è…una lunga storia
[19], iniziata già nel primo secolo a.C. con la “Oelopila” di Erone
il Vecchio, la “Fontana” di Solomon de Caus (1615), la “Machine”
di Giovanni Branca (1629), “l’Atmospheric Steam” di Denis Papin
(1690) [20], i dispositivi di Thomas Savery (1702) [21] e di Thomas
Newcomen [22] fino a James Watt [23], che ne hanno consentito
l’utilizzo anche in altri settori, al di fuori delle miniere.
Le nuove macchine permettevano, quindi, di estrarre il carbone a
costi minori, facendone aumentare vertiginosamente la richiesta.
Contemporaneamente aumentò la produzione di ferro e acciaio.
La necessità di utilizzare il carbone soprattutto in metallurgia per la
fusione del ferro, ha costituito un importante fattore per il decollo
della rivoluzione industriale.
Inizialmente, ci furono però problemi con l’uso diretto del carbone
a causa delle sue impurezze (soprattutto per la presenza di zolfo),
che contaminavano il ferro [24].
Abraham Darby aveva avuto successo nella fusione del ferro con
il coke già nel 1709 (il ferro poteva così essere prodotto a basso
prezzo, di migliore qualità, adatto per la fabbricazione di macchine
a vapore più grandi e potenti capaci di bruciare crescenti quantità
di carbone) e questa innovazione tecnologica è diventata molto
importante intorno al 1750, quando il prezzo della carbonella era
alto e quello del carbone in diminuzione [13].
In pochissimi decenni la richiesta di carbone aumentò in modo
incredibile, così come, in una reazione a catena, aumentò la
produzione di ferro e acciaio, il numero delle macchine a vapore,
il numero delle macchine tessili, la produzione di tessuti di cotone.
Dapprima i settori interessati dalla rivoluzione tecnologica furono
quello tessile e siderurgico, ma ben presto le nuove tecniche interessarono anche altri settori produttivi.
La rivoluzione industriale iniziò in Inghilterra, ma si propagò
rapidamente nel resto d’Europa, soprattutto in Francia, Germania,
Belgio e anche negli Stati Uniti. Questi paesi beneficiarono degli
enormi sviluppi apportati dalla nuova Era in quanto possedevano
ampie risorse di carbone: aumentò la disponibilità di merci a basso
prezzo e la domanda di mano d’opera, aumentò la ricchezza dei
proprietari delle fabbriche e delle miniere. I salari delle fabbriche,
pur molto bassi, erano più elevati di quelli ricavabili nelle campagne
e milioni di persone migrarono nelle città industriali. Fu una
rivoluzione nei costumi, nel modo di vivere, nella struttura delle città.
Verso la fine del 1700 l’umanità ha tratto un altro vantaggio dal
carbone: la luce artificiale. I gas che si formavano, oltre al coke,
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dalla pirolisi del carbone, bruciavano con una fiamma luminosa.
Tali gas potevano essere distribuiti, mediante opportune tubazioni,
nelle strade e nelle case.
Alla fine del secolo, i processi di distillazione furono anche all’origine della prima fase di ascesa dell’industria chimica per la produzione di esplosivi e coloranti.
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