IL CAMPANILE L’ALMANACCO MENSILE DI SAN GIORGIO MARTIRE ...che non c’è! GENNAIO 2013 N° 82 Parrocchia di San Giorgio Martire-Via Spallanzani, 7- 10134 Torino- Tel: 0113181460. www.sangiorgiomartire.eu ANNO DELLA FEDE - SUPPLEMENTO SPECIALE N°3 PADRE NOSTRO ….. ( 3° parte) POMPEI, UNA LUNGA MARCIA Più di trenta chilometri di strada in otto ore, pregando e cantando. A piedi da Napoli a Pompei, uomini, donne di tutte le età, bambini, ammalati percorrono tradizionalmente ogni anno (l’ultimo sabato del mese mariano) decine e decine di chilometri per raggiungere la meta di speranza e fede. La forza per andare avanti, nella lunga e faticosa “maratona” religiosa, la trovano proprio nella fede e nella devozione alla Beata Vergine del Santo Rosario di Pompei. È straordinario vedere come, fin dalle prime ore del mattino, migliaia e migliaia di persone di ogni età, provenienza e ceto sociale, si mettano ordinatamente in fila ed attendano, anche diverse ore e, talvolta, in situazioni climatiche veramente difficili, per stare più vicini alla Madonna ed esprimerle con affetto i loro sentimenti più intimi. Il pellegrinaggio a piedi a Pompei è nato negli anni Sessanta ad opera della Gioventù Azione Cattolica di Napoli, ed è divenuto oggi un evento ecclesiale che coinvolge non meno di 30.000 persone provenienti dalla diocesi di Napoli e da altre diocesi campane accompagnati nel loro “viaggio” dall’icona della Beata Vergine del Santo Rosario di Pompei, la Madonna in trono con Gesù in braccio e, ai suoi piedi, san Domenico e santa Caterina da Siena. Il pellegrinaggio si configura, dunque, come un “cammino di conversione”: camminando verso il santuario, il pellegrino compie un percorso che va dalla presa di coscienza del proprio peccato e dei legami che lo vincolano a cose effimere e inutili al raggiungimento della libertà interiore e alla comprensione del significato profondo della vita. Inoltre, la gioia del pellegrinaggio cristiano è prolungamento della letizia del pio pellegrino di Israele; è sollievo per la rottura della monotonia quotidiana nella prospettiva di un momento diverso; è alleggerimento del peso della vita, che per molti, soprattutto per i poveri e gli ammalati, è fardello pesante; è occasione per esprimere la fraternità cristiana, per dare spazio a momenti di convivenza e di amicizia. Questo è l’anno della Fede; il pellegrinaggio a Pompei, antica tradizione rinnovata ogni anno, è l’occasione per mettersi al cospetto della Beata Vergine, che, scegliendo con la sua vita di rispondere in modo docile e convinto alla chiamata del Signore, è per noi esempio di fedeltà a Dio e all’uomo. Emiliana ROMANO “Il Padre Nostro inizia con una grande consolazione; noi possiamo dire Padre. In questa sola parola è racchiusa l’intera storia della redenzione. Possiamo dire Padre, perché il Figlio era nostro fratello e ci ha rivelato il Padre; perché per opera di Cristo siamo tornati ad essere figli di Dio” (R. Schneider) L’uomo di oggi, però, spesso non avverte immediatamente la grande consolazione della parola PADRE. Dobbiamo pertanto tornare a imparare da Gesù che cosa essa significhi. Nei discorsi di Gesù il Padre appare come la fonte di ogni bene e il criterio di misura di ogni realtà. Gesù ci chiede, ad es., di amare anche i nemici per essere figli del Padre celeste che fa sorgere il sole sui malvagi e sui buoni (Mt 5,44); afferma: “se voi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano” (Mt 7,9ss.) Se vogliamo scoprire il volto del Padre dobbiamo trovarlo specchiato nella persona di Gesù. Quando l’apostolo Filippo, sorpreso della assoluta dedizione di Gesù al Padre e della centralità del Padre nei suoi discorsi, chiede finalmente: “Signore mostraci il Padre”, Gesù risponde “Chi ha visto me, ha visto il Padre” (Gv 14,9). La prima indicazione che ci viene dal Padre Nostro, dunque, riguarda l’attenzione a non proiettare su Dio un’immagine umana distorta, a non pregare un Dio che ha il volto delle nostre proiezioni e delle nostre paure, un Dio che emerge da un inconscio disturbato e ferito …. La questione decisiva della nostra vita è proprio lasciarci mostrare da Gesù il volto paterno di Dio e sentire di poterci abbandonare teneramente e con totale confidenza nelle mani buone e forti di Colui che ci ha creati e ci ama: il Padre celeste. [segue ….] A cura di Cristina CASALEGNO TESTIMONIANZE DELLA FEDE SAN GIOVANNI BOSCO Il testimone della fede di questo mese è Giovanni Bosco, un santo piemontese del diciannovesimo secolo. Nacque nel 1815 in una famiglia poverissima e rimase orfano di padre a due anni, ma tutta la sua vita fu molto ricca dell’amore di sua madre Margherita. Ella fu anche la sua prima testimone di vita cristiana, che gli insegnò a vedere Dio in tutto il creato ma anche nel prossimo, soprattutto nei più poveri. Giovanni evidenziò fin dall’infanzia un carattere forte e anticonformista. I racconti dei testimoni e le sue stesse memorie sottolineano la presenza e la fiducia nella Provvidenza nella sua vita; a seguito di un sogno profetico avvenuto all’età di nove anni decise di impegnarsi ad essere “umile, forte e robusto” per conquistare all’amicizia con Dio i ragazzi poverissimi e sbandati che aveva visto litigare tra loro nel suo sogno, prima di radunarli pacificamente attorno a sè. E’ intelligente e brillante, anche giocoso e da studente fonda la “Società dell’Allegria”. Matura a vent’anni la sua vocazione sacerdotale e diventa “Don Bosco” nel 1841. Svolge la sua attività nella Torino in piena rivoluzione industriale, nella quale incontra i ragazzi di strada, una realtà durissima nella quale torna a vedere i protagonisti del suo sogno profetico. Comincia così, con questa dolorosa consapevolezza delle difficoltà dei giovani, la sua ricerca di una strada per strappare al carcere e ad un mercato senza scrupoli le braccia di questi fanciulli, per realizzare il suo programma di vita “Dac mihi animas, coetera tolle” (dammi le anime, prendi tutto il resto). Avvicina i giovani con risposte concrete al loro bisogno di mangiare e di lavorare, ma anche di giocare e vivere la loro giovinezza; trova loro lavoro e si preoccupa che non vengano sfruttati: nell’archivio della Congregazione Salesiana si conservano i primi contratti di apprendistato (il primo risale al 1851), firmati da datore di lavoro, apprendista e don Bosco, che si preoccupa che l’apprendista sia impiegato solo per il suo mestiere e non quale servitore, che siano garantite correzioni solo verbali e non punizioni fisiche, che siano salvaguardate la salute del lavoratore, il riposo settimanale e le ferie annuali. Sono tempi durissimi, lo diventeranno ancor più negli anni seguenti, caratterizzati da una profonda crisi economica e da un numero sempre più grande di ragazzi che necessitano di essere accolti, soprattutto orfani che, a titolo gratuito, frequentano le scuole di don Bosco e vivono nelle sue case di accoglienza. La lotta contro l’assenza di soldi è estenuante, la vita di don Bosco una fatica immane, un sacrificio senza tregua. Dedica tutto se stesso ai ragazzi, i suoi “birichini” e il poco tempo libero alla scrittura di opuscoli per l’istruzione cristiana della gente. Ne abbiamo prova tangibile attraverso la molteplicità dei suoi scritti (notturni?). Non cessa la fede, né viene a mancare la Provvidenza e don Bosco realizza grandi cose (scuole, laboratori all’avanguardia, tipografie, oratori, officine, il santuario dedicato a Maria Ausiliatrice). Soprattutto, don Bosco inaugura uno stile educativo innovativo, basato su tre pilastri: ragione, religione, amorevolezza, stile che definisce “preventivo”, che si avvale della presenza costante e amorevole dell’educatore tra i ragazzi. L’educazione, diceva, è cosa del cuore e Dio solo ne è il padrone e non potremo riuscire a niente se Dio non ci dà in mano la chiave di questi cuori. Le chiavi messe in mano a don Bosco sono tante, a cominciare dal suo tempo e continuando fino ad oggi: i salesiani di don Bosco oggi sono 15500 (dati dicembre 2012), in 132 paesi del mondo. Affidiamo i nostri giovani alla sua intercessione: egli li ha amati incondizionatamente. E offriamo ai nostri giovani l’amorevole carezza del suo messaggio: PADRE NOSTRO ….. ( 3° parte) [….segue] Secondo il messaggio di Gesù, in Dio l’essere Padre ha per noi due dimensioni: - Dio è nostro Padre perché ci ha creati. Noi gli apparteniamo. Il nostro essere viene da Lui; egli ci ha creati singolarmente e noi portiamo nel più intimo della nostra identità la sua immagine. - Dio è nostro Padre in un senso ancora più profondo e decisivo, che solo progressivamente scopriamo nella nostra vita. Per coglierlo dobbiamo pensare che Gesù è il Figlio per eccellenza, il Figlio unigenito, che condivide pienamente con il Padre la vita divina. Ebbene Dio Padre ci ha creati proprio perché ciascuno di noi possa essere partecipe del mistero del suo Figlio unigenito, e in Lui e grazie a Lui essere “divinizzato”. Dobbiamo ancora riflettere sulla parola “nostro”. Essa ci ricorda che solo nel “noi” dei discepoli possiamo dire “Padre” a Dio. Così questa parola “nostro” è decisamente impegnativa: ci chiede di uscire dal recinto chiuso del nostro “io” e di entrare nella comunione con gli altri figli di Dio. Ci chiede di accogliere gli altri. Così il Padre nostro è una preghiera molto personale e anche pienamente ecclesiale. Essa fa di noi una famiglia al di là di ogni confine. A cura di Cristina CASALEGNO __________________________________________________________________________________________________________________________ “Io ero una persona come te. Ho voluto dare un senso pieno alla mia vita. Con l’aiuto di Dio ho rinunciato ad avere una famiglia mia per diventare papà, fratello, amico di chi non aveva papà, fratelli, amici. Se vuoi essere come me, andremo insieme a spendere la vita in una favela sudamericana, tra i lebbrosi dell'India, o nella periferia di una città italiana, dove troveremo tanti poveri, anche se nascosti: poveri di affetto, di senso della vita, poveri che hanno bisogno di Dio e di te per vivere. Ma se anche non ti senti di rischiare la vita com'io l'ho rischiata, ti ricordo una verità importantissima: la vita, questo grande dono che Dio ci ha dato, bisogna spenderla, e spenderla bene. La spenderai bene non chiudendoti nell'egoismo, ma aprendoti all'amore, all'impegno per chi è più povero di te”(Don G. Bosco). ________________________________________________________________________________________________________________________________ La redazione vi invita a collaborare! A cura di Donatella GIACOSA Pro manuscripto