BALBUZIE E ASSERTIVITÀ: LA COSTRUZIONE DI UNO STILE COMUNICATIVO EFFICACE
Articolo pubblicato sulla rivista “I care” n. 28:2, pag. 62-69 anno 2003
Mario D’Ambrosio
Introduzione
Il percorso del balbuziente verso la fluenza verbale raramente evolve in modo lineare. Spesso appare discontinuo, con alternanza di rapidi
progressi, battute di arresto e, in diversi casi, recrudescenza sintomatologica. Con buona probabilità, interventi mirati a un gamma ridotta dei fattori
intervenienti nella balbuzie, sono destinati a cogliere il loro fallimento, pur registrando momentanei e sorprendenti successi. Risultati significativi e
duraturi richiedono modificazioni che vanno oltre la semplice capacità di controllare la fluenza nello studio del terapeuta con una tecnica ben
eseguita, cosa che d’altronde può accadere anche nel corso di una singola seduta. Fermarsi a questo primo livello, significherebbe muoversi in una
visione della comunicazione verbale ridotta all’esecuzione di un’abilità esercitata al di fuori di qualsiasi contesto emotivo e sociale, in una
condizione di funzionamento stabile.
Nella realtà, il linguaggio è una funzione che mette in relazione più individui ed implica una costellazione di fattori, i quali costituiscono
l’interconnessione più o meno articolata tra i partecipanti. In tal senso, intervengono tutti gli elementi in termini ideativi, emotivi e comportamentali
che li interfacciano. La qualità dell’evento comunicativo ne viene direttamente influenzata, determinando il grado di soddisfazione e l’efficacia
comunicativa, ma anche i costi in termini di sforzi e frustrazioni, sperimentati dai singoli. È un contesto nel quale il balbuziente corre una gara ad
handicap ed anche quando riesce a conquistare la fluenza in condizioni molto favorevoli, non può ritenere di aver completato il suo percorso se le
nuove abilità si affievoliscono in circostanze meno propizie. Per questo, la conquista della fluenza va disegnata attraverso itinerari che prestino
peculiare attenzione anche al funzionamento psicologico della persona disfluente.
In verità, non credo sia sostenibile l’idea che la balbuzie appartenga ad un particolare profilo di personalità. Da questo punto di vista, avendo testato
diversi balbuzienti e di varie età, non ho mai trovato conferme in questa direzione. Essi sono energici più o meno come gli altri, sono motivati a
intrattenere relazioni sociali positive più o meno come gli altri, sono coscienziosi e aperti mentalmente allo stesso modo delle altre persone e così
via. Probabilmente in media sono un po’ meno stabili emotivamente, ma non è stato ancora sciolto il nodo, e chissà quando lo sarà, se sia
l’instabilità emotiva a causare la disfluenza o viceversa, o ancora più probabilmente, se siano valide entrambe le condizioni con pesi differenziati dei
fattori per ogni singolo caso. Di certo, però, i balbuzienti sono più esposti a incorrere in un disagio nel corso della comunicazione verbale, e
indipendentemente dai rapporti di causalità, è una difficoltà che va considerata e curata. Quindi, nell’intervenire su questi aspetti, in certi casi
l’attenzione sarà orientata verso l’inabilità sociale del soggetto, la quale a volte si manifesta in modo molto evidente, in altri casi l’impegno mirerà
alla definizione del contesto emotivo più favorevole alla comunicazione fluente.
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In quest’ottica, anche le componenti covert del disturbo come la “pressione temporale” (Perkins, Kent & Curlee, 1991)1 o i “processi autoriparativi”
(Postma & Kolk, 1993)2, assumono ben altro rilievo se interpretati all’interno di un corso comunicativo con soggetti reciprocamente coinvolti, i
quali partecipano ad un evento molto complesso, regolando vicendevolmente l’atto verbale secondo le regole tipiche del dialogo. La partecipazione
a tale “gioco”, per essere riconosciuta come soddisfacente, richiede una opportuna conoscenza delle regole, la definizione di obiettivi personali, la
capacità di adeguare il proprio funzionamento al contesto e la conservazione di un buon controllo degli elementi che possono incidere direttamente
o indirettamente sugli eventi covert che vanno a determinare una comunicazione disfluente. Riferendoci prevalentemente al funzionamento
dell’adulto e dell’adolescente, ci occuperemo dell’assertività, un modo di porsi nei riguardi delle relazioni con forti implicazioni comunicative, il
quale offre un serio aiuto alla persona balbuziente nella realizzazione della condizione emotivo-comunicativa più favorevole alla fluenza.
Nell’affrontare quest’argomento, vedremo anche quali possono essere alcune delle condizioni, e i relativi presupposti, che facilitano l’emergere di
emozioni spiacevoli nel corso dell’eloquio e che possono influenzare negativamente la fluenza, anche limitatamente ad un singolo episodio
comunicativo. Come già anticipato, le osservazioni che seguiranno, non definiscono una particolare personalità del balbuziente, né sottendono una
visione monofattoriale dell’eziologia del disturbo. Anzi, sono sempre più convinto, data la complessità del fenomeno, che anche per quanto riguarda
i soli aspetti interni al funzionamento mentale è opportuna una lettura prevalentemente in chiave individuale, nella quale ogni soggetto va
considerato e valutato singolarmente nelle sue caratteristiche psicologiche o psicopatologiche. Perciò, non ci soffermeremo su questi aspetti, ma
daremo maggiore attenzione alle difficoltà comunicative nelle quali più frequentemente il balbuziente può incorrere, e per le quali è utile che il
soggetto migliori le proprie abilità sociali e la visione stessa dell’evento comunicativo, al di là del grado di controllo della fluenza che riesce a
sviluppare nel corso del trattamento. In particolare evidenzieremo come interpretando la comunicazione verbale quale “situazione pericolosa”, il
balbuziente assuma una visione delle cose che non solo lo espone ad un incremento del disagio psicologico a breve e a lungo termine, ma che
interferisce anche con l’esercizio delle sue abilità di autoregolazione e con la sua efficacia nella conduzione dell’interazione sociale.
Secondo Le Dux (1996), di fronte ad una percezione di pericolo, tendiamo a mettere in atto comportamenti che sotto la spinta emotiva si
organizzano in strategie di difesa, similmente a molti altri animali sociali. Marks (1987) individua quattro strategie principali alle quali è possibile
ricondurre tutti gli schemi di difesa: ritirata, immobilità, aggressione difensiva, sottomissione. Interpretandole in contesti comunicativi, sono
riferibili ad esse molti comportamenti tipici del repertorio dei balbuzienti. La ritirata si espleta nell’evitamento delle situazioni sociali, l’immobilità
nel mutismo e nella bassa iniziativa comunicativa, l’aggressione difensiva e la sottomissione, per versi differenti, nella difficoltà a presentare
correttamente il proprio punto di vista. Nella tabella n.1 sono evidenziate le relazioni tra la visione della comunicazione come esperienza pericolosa,
il tipo di strategie implicate, i comportamenti che ne conseguono, gli effetti sul soggetto. Tutto ciò può essere ricondotto ad atteggiamenti
anassertivi.
1
Perkins, Kent e Curlee, propongono una teoria basata sull’assunto che il linguaggio comprende componenti linguistiche e paralinguistiche, ciascuna delle quali è elaborata da
differenti sistemi neurali che convergono su un comune sistema di produzione. L’eloquio fluente richiede che queste due componenti siano integrate in sincronia. Quando esse
sono desincronizzate, il risultato può essere sia una disfluenza che un episodio di balbuzie, che dipende dal bisogno del soggetto di iniziare, continuare, o accelerare
un’espressione. La balbuzie emerge quando il soggetto emette disfluenze sotto pressione temporale ed è relativamente inconsapevole della causa della desincronizzazione.
2
La teoria proposta da Postma e Kolk considera gli episodi di eloquio disfluente nei balbuzienti e non balbuzienti, conseguenze di processi di riparazione linguistica.
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Nei paragrafi che seguono illustrerò le caratteristiche dei principali stili comunicativi individuati dai teorici dell’assertività e le loro conseguenze per
i soggetti affetti da balbuzie. Successivamente saranno indicati i percorsi utili per sviluppare migliori capacità di relazionarsi assertivamente.
La comunicazione aggressiva
É uno stile comunicativo orientato ad assoggettare l’altro nel quale prevale la regola del “io vinco, tu perdi”. La comunicazione si sviluppa in un
contesto dove sono espressi sentimenti di rabbia associati alla percezione di stati di tensione. I discorsi sono farciti di un numero eccessivo di
affermazioni che iniziano con il pronome io; le opinioni sono spacciate per fatti; sono presentate frequentemente domande o frasi minatorie; le
richieste sono avanzate come “doveri”; frequente è l’uso di frasi sarcastiche.
Nel complesso lo stile aggressivo richiede eloquio rapido e la gestione di tempi stretti. L’obiettivo principale è farsi ascoltare, e pertanto non si pone
attenzione alle ragioni e agli argomenti presentati dall’interlocutore. In una comunicazione a senso unico non bisogna lasciare all’altro lo spazio per
inserirsi nel discorso, pertanto sono evitate le pause, magari con sequenze di interiezioni e ripetizioni. La respirazione oltre ad essere condizionata
dall’attivazione emotiva è ulteriormente influenzata dalle particolari condizioni comunicative sfavorevoli, come ad esempio il bisogno di sostenere
un volume eccessivamente alto o di proseguire l’eloquio malgrado l’incombente fame d’aria.
La scelta di questo stile può essere determinata da caratteristiche di personalità, atteggiamenti relativi alla comunicazione verbale, contingenze
emergenti in rapporto al singolo evento. Il condizionamento della fluenza è massimo, tanto che anche persone non balbuzienti, nel corso di un
eloquio così caratterizzato tendono ad aumentare la frequenza delle disfluenze. In effetti, cresce la pressione temporale (necessità di dire più cose
nella stessa unità di tempo), mentre si riducono le risorse attentive nelle disponibilità dei processi di pianificazione e nel controllo dell’eloquio, con
il relativo incremento di autoriparazioni disfunzionali.
Questo stile, pur offrendo qualche volta dei vantaggi immediati, relativi alla facoltà di imporre la propria volontà, nonché la sensazione di controllo
della situazione, nel lungo periodo comporta l’emergenza di inimicizie, la perdita dell’autocontrollo, rapporti basati sul timore o sull’odio e sensi di
colpa. Un esempio di comunicazione aggressiva potrebbe essere il dialogo che segue.
Situazione n.1: l’insegnante A muove delle critiche al collega D per il ritardo alla riunione .
A: “Come al solito c’è sempre qualcuno che ritarda e gli altri devono aspettare”.
D: (irritato per la critica generalizzata del collega e per il tempo perso involontariamente nel traffico) “Parli come se fosse stata mia intenzione
ritardare. C’era un ingorgo e ci sono capitato proprio io”.
A: “Dovevi uscire prima. Io sono arrivato puntuale ed anche gli altri. Non è giusto che tutti noi abbiamo dovuto aspettarti”.
D: (sempre più irritato) “Se avevate tanta fretta iniziavate senza di me! In fondo..”(non riuscendo a proseguire per l’intervento di A).
A: “Ah, sì, adesso la colpa è nostra!”
La discussione potrebbe continuare su questo tono per molto tempo, fino a quando uno dei partecipanti non decida di ritirarsi sconfitto leccandosi le
ferite.
Immaginate cosa potrebbe accadere a D, in un simile episodio, se dovesse trattarsi di un balbuziente.
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La comunicazione passiva
Nella visione che nella relazione tra due persone c’è sempre un vincente ed un perdente, chi utilizza uno stile passivo tende ad assumere più
frequentemente il ruolo di perdente. Il messaggio verbale è ricco di affermazioni lunghe e ripetitive; sono presenti frequenti giustificazioni,
affermazioni autocommiserative e relative ai propri doveri; sono poche invece le affermazioni con il pronome “io”; frequente è l’uso di frasi che
minimizzano i propri bisogni.
Il comunicare passivamente sottende l’azione di sentimenti di timore correlati all’evento comunicativo e la messa in atto di strategie di protezione
derivanti da essi. Lo stile passivo, oltre a produrre l’effetto immediato, gradito a molti balbuzienti, di coinvolgere il soggetto per un tempo minore
nella comunicazione verbale, permette l’evitamento dei conflitti nel breve periodo. In alcuni casi, suscita l’approvazione e la simpatia altrui e
occasionalmente favorisce il controllo degli altri attraverso messaggi manipolatori e colpevolizzanti. Ma, come ogni medaglia, presenta un rovescio,
e in questo caso i costi si pagano nel lungo periodo con i dovuti interessi. In primo luogo i conflitti interindividuali tendono a permanere irrisolti con
aggravamento del problema. Inoltre, anche quando sembrano presentarsi dei vantaggi in alcune relazioni, è impossibile raggiungere sempre e con
tutti gli stessi risultati, con conseguente frustrazione. Sono favoriti nuovi conflitti e, peggio ancora, il cedere frequentemente il passo agli altri,
produce perdita di autostima. Anche nello stile passivo, si finisce col comunicare su uno sfondo emotivamente spiacevole, comporta una maggiore
probabilità di parlare con basso controllo della fluenza.
Presentiamo un esempio in cui la protagonista perde immediatamente il controllo della situazione.
Situazione n. 2 : A, zio indiscreto, vuole a tutti costi discutere di matrimonio con la nipote D.
A: “Ieri sono stato al matrimonio della figlia di Mario. Più volte ti ho immaginata col vestito bianco al suo posto”.
D: “Ah, davvero?”
A: “Beh sì. Sai, quel ragazzo che hai lasciato, Giorgio, era davvero a modo. Credo proprio che tu abbia commesso un grave errore a lasciartelo
scappare”.
D: (chiaramente imbarazzata) “Non dovevo? Non andavamo d’accordo”.
A: “Ne ho avuto notizie e pensavo che potessero interessarti”.
D: (sempre più imbarazzata) “Ho capito…”.
A: “È stato promosso sottufficiale e credo che tra non molto sarà trasferito da queste parti”.
D: “Ah…….”(lungo silenzio).
A: “Ora è qui in licenza e domani verrà a casa mia a cena, per il compleanno di tuo cugino. Credo proprio che devi venire anche tu”.
D: (molto esitante) “Non saprei”
A: “Non puoi rifiutare. Ti aspetto domani alle venti”.
Che dire. La passività di D la mette con le spalle al muro. Può scegliere tra “l’allegra serata” prospettata dallo zio e l’alternativa, sotto la pressione
delle emozioni, di abbandonare lo stile passivo per saltare a piè pari nella comunicazione aggressiva. Quando è troppo è troppo! Se poi dovesse
trattarsi di una ragazza balbuziente, figurarsi le conseguenze.
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La comunicazione assertiva
Questo terzo stile affonda le sue radici in una visione di vita decisamente positiva. Nella comunicazione assertiva si offre attenzione agli argomenti
e al modo di essere dell’altro, ma è riservato eguale valore al diritto di esprimere il proprio punto di vista. Questi semplici elementi rappresentano le
premesse per affrontare la conflittualità in spazi negoziali.
Sia lo stile aggressivo che quello passivo alla fine portano la comunicazione a chiudersi con gradi di insoddisfazione per almeno una delle parti.
Nella comunicazione assertiva, invece, si afferma la regola “io vinco, tu vinci” attraverso il confronto, la trattativa, il riconoscimento dei diritti dei
partecipanti e le richieste esplicite relative ai loro comportamenti.
Secondo Meazzini (2000) il messaggio assertivo è ricco di affermazioni concise, chiare ed adeguate al contenuto; nel messaggio la richiesta
dell’emittente è riconoscibile quale sua volontà e desiderio; sono ben distinti i fatti dalle opinioni; i suggerimenti sono posti in modo non costrittivo
e nemmeno colpevolizzante; le critiche sono formulate in modo costruttivo; le domande sono volte a comprendere i pensieri e sentimenti dell’altro;
sono presentati suggerimenti e proposte per risolvere i problemi nel reciproco interesse. Le caratteristiche del messaggio non verbale sono in chiaro
accordo con quanto espresso verbalmente. La voce è ferma ed espressiva, prevalgono i toni chiari e caldi. L’eloquio è meno influenzato da
esitazioni e da cambiamenti repentini del ritmo. L’espressione delle emozioni è presente ed è coerente col contesto; il contatto visivo è fermo ma
non dominante. I movimenti delle mani sono aperti e invitanti. Nei confronti dell’interlocutore è mantenuta una distanza adeguata alla natura del
rapporto.
La descrizione appena rappresentata è più il risultato di un modo di porsi nelle relazioni che una somma di comportamenti orientati alla costruzione
di un immagine gradevole. Gli elementi costituenti sono sicuramente più interni al funzionamento mentale e riconducono alla definizione di alcune
idee che originano l’atteggiamento assertivo. Esse possono essere rappresentate come diritti che il soggetto deve riconoscere a se stesso, per poterli
esercitare e, conseguentemente, perseguire la propria affermazione. Secondo Back & Back (1991), la persona ha diritto di:
a) esprimere le proprie opinioni ed il proprio punto di vista;
b) far sì che le proprie idee e le proprie opinioni siano ascoltate dagli altri;
c) provare bisogni, sensazioni e sentimenti che possono differire da quelli degli altri;
d) chiedere agli altri di rispondere ai propri bisogni e richieste;
e) rispondere negativamente ad una richiesta formulata da altri senza sentirsi in colpa;
f) commettere occasionalmente errori;
g) vivere ed esprimere emozioni nel rispetto dei sentimenti e dei diritti dell’altro;
h) all’occorrenza decidere di non essere assertivo;
i) essere se stesso e non come gli altri vorrebbero che fosse;
j) far sì che gli altri rispettino i suoi diritti.
Per quanto riguarda i balbuzienti possiamo definire ulteriori diritti specifici, utili al sostegno della loro affermatività. In particolare, per le persone
che balbettano è opportuno riconoscersi il diritto di:
k) balbettare;
l) usare tempi di comunicazione adeguati alle caratteristiche del proprio eloquio;
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m) utilizzare anche pubblicamente facilitazioni adeguate;
n) usare modalità comunicative complementari al linguaggio.
A corredo di tali idee possono essere sviluppate, con opportuni training, abilità comportamentali utili a migliorare le competenze comunicative del
soggetto.
Alberti e Dinetto (1988) individuano due classi principali di abilità assertive: le abilità di conversazione e le abilità di difesa.
Le abilità di conversazione includono i comportamenti attuati per interagire con uno o più interlocutori, allo scopo di sostenere relazioni positive nel
proprio ambiente sociale. Una buona padronanza nella gestione dell’autoapertura, la misura nell’inserimento in conversazione, la fluidità nell’offrire
e richiedere informazioni, la capacità di gestire il silenzio, di porre domande e risposte riflesse, di cambiare argomento quando lo si desidera o la
situazione lo richiede e, in ultimo, di chiudere correttamente la conversazione, sollevano l’individuo dalle più sentite difficoltà nell’instaurare,
sostenere o cessare un contatto interpersonale.
Per quanto riguarda la difesa, appare maggiormente utile una buona conoscenza di tecniche corrette proprio quando l’anassertività tende ad
emergere in circostanze di conflittualità interpersonale. Incontri con soggetti collerici ed aggressivi, interlocutori invadenti, manipolatori o
indiscreti, richiedono abilità adeguate per non essere invischiati in battibecchi e discussioni tese, che possono spingere il balbuziente nella trappola
della disfluenza.
Le tecniche di difesa che presentiamo variano, nella loro utilità, in rapporto ai bisogni e agli obiettivi che l’individuo vuole affermare all’interno
della relazione, la quale, in alcuni casi resta un terreno fertile per coltivare un’esperienza gradevole e produttiva, mentre in altri, si rivela un vero e
proprio campo minato, dove bisogna muoversi con cautela puntando ad uscirne con il minor danno possibile.
Asserzione negativa - È la risposta più produttiva in presenza di critiche e attacchi eccessivi, ma alquanto motivati. In genere, di fronte ad una serena
ammissione dei propri limiti, insieme all’evidente volontà di utilizzare le critiche mosse per evitare il perpetrarsi dell’errore, l’autore della critica è
indotto a placare il risentimento evitando attacchi diretti all’autostima o di tipo manipolativo. Nell’esempio che segue, e nei successivi, i personaggi
A e D assumeranno rispettivamente i ruoli dell’attaccante, cioè colui che avanza critiche distruttive, e del difensore assertivo, cioè colui che opera
per mantenere i toni della discussione entro limiti accettabili per tutti.
Ritorniamo ora alla situazione n. 1 osservandone la possibile evoluzione se il difensore mette in atto l’asserzione negativa.
A: “Come al solito c’è sempre qualcuno che ritarda e gli altri devono aspettare”.
D: “Sono dispiaciuto per avervi fatto attendere, ma sono restato bloccato in un ingorgo. Vedo con piacere che voi siete riusciti ad evitarlo. Bene, per
quanto mi riguarda possiamo iniziare subito la riunione, recuperando parte del tempo perso”.
È ben difficile replicare ad una difesa così ben fatta e l’attenzione dei presenti viene indirizzata rapidamente verso comportamenti più costruttivi
(recuperare il tempo perduto).
Inchiesta negativa - Se l’attacco è evidentemente manipolativo o immotivato diventa utile rispondere in modo dubitativo, accettando la possibilità di
aver commesso errori, ma resistendo ad all’imposizione del torto. In tal caso, il mostrare interesse per l’approfondimento della critica, spostando
l’attenzione dalla propria persona ai comportamenti messi in atto e, soprattutto, verso azioni utili per migliorare la situazione, può trasformare lo
scontro in un confronto nel quale la critica diventa accettabile. Di contro, se le critiche mosse non sono argomentate correttamente, sono più
facilmente confutabili.
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L’esempio proposto è ambientato in un gruppo di adolescenti.
Situazione n.3: la ragazza A critica sarcasticamente D per il suo abbigliamento.
A: “Che brutti gusti che hai! Ma come ti sei vestita?”
D: “Vedo che qualcosa del mio abbigliamento non è di tuo gusto. Puoi dirmi cosa non ti piace?”
A: “La maglietta blu col pantalone verde. Non è di moda!”
D: “Ah, sì lo so. Solo che è un accostamento che a me piace”.
L’inchiesta di D ha permesso di ridurre un attacco generalizzato di A ad una semplice critica verso l’accostamento dei colori. Inoltre, avendola
ritenuta non utile per sé ha scelto di affermare semplicemente i propri gusti.
Disco rotto - È una tecnica estremamente difensiva che consiste nel reiterare più volte il proprio punto di vista, senza modificare né le parole né la
qualità dell’eloquio, proprio come accadeva ai vecchi dischi in vinile rigati dall’uso. Proprio per la vocazione difensiva della tecnica la sua scelta
deve essere commisurata alla qualità della relazione e agli obiettivi posti nei riguardi dell’interlocutore. Infatti raramente la relazione può evolvere
positivamente con essa, così come invece accade per l’asserzione negativa quando è ben utilizzata, ma almeno si evitano escalation pericolose,
garantendo un contesto emotivo meno sfavorevole, mentre il controllo degli ambiti di conversazione è più rigoroso. Inoltre, la ripetizione della
stessa frase garantisce al balbuziente una maggior fluenza a causa del minor impegno elaborativo richiesto. Un esempio.
Situazione n. 4: il passante D viene intercettato per strada da un individuo A che vuole illustrare le magnificenze della propria professione religiosa
e per la quale D non nutre alcun interesse. Bene, se D dovesse essere un balbuziente anassertivo preferirebbe a questa esperienza, la caduta di una
tegola sulla testa qualche isolato prima. Vediamo come è possibile gestire la situazione senza urtare la sensibilità dell’interlocutore e senza
impelagarsi in una relazione per la quale il protagonista non prevede alcuna evoluzione soddisfacente.
A: “Vorrei offrirle questo opuscolo, sa vi sono scritte molte cose interessanti. Se lei mi da un po’ della sua attenzione le posso illustrare verso quali
pericoli stiamo andando”.
D: “La ringrazio per il suo impegno, ma in questo momento non sono interessato a discutere di questi argomenti”.
A: “Capisco, è un argomento davvero impegnativo. Però si renderà conto di come le cose stanno andando male nel mondo e prima o poi certe cose
bisogna affrontarle”.
D: “Può darsi, ma in questo momento non sono interessato a discutere di questi argomenti”.
A: “Non crede che chiudendo le porte all’ascolto si nega la possibilità di capire quello che sta accadendo?”
D: “Sa, è che in questo momento non sono interessato a discutere di questi argomenti”.
A: “Se vuole ne possiamo parlare in un altro momento, nel frattempo legga l’opuscolo”.
D: “Non sono interessato”.
A: “Lo legga prima e le sarà più facile capire se davvero non è interessato”.
D: “Non sono interessato”.
È da notare che D oltre ad affermare ripetutamente lo stesso concetto, riduce progressivamente anche il numero di parole per esprimerlo. Insomma,
è un modo per evidenziare l’essenza del messaggio che si vuole esprimere e l’indisponibilità a dare ulteriori informazioni o spunti che permettano
ad A di rilanciare la conversazione.
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Fogging – orientarsi in auto nella nebbia è sicuramente difficile. È opportuno rallentare, in alcuni casi addirittura fermarsi. Di fronte ad un attacco
orientato a smuovere le difese per meglio scardinarle, è buona pratica alzare una cortina fumogena. L’attaccante sarà costretto a rallentare l’azione,
mentre il difensore può prendere tempo senza esporre ancora le proprie intenzioni e organizzando meglio le difese. La “nebbia” può essere il
semplice parafrasare quanto viene esposto dall’attaccante senza assumere alcuna attività, oppure disseminare sul percorso dell’attacco una serie di
ostacoli e distrattori.
Nell’esempio che segue, rivedremo la situazione n. 2, ma con D che finalmente organizza la propria difesa con il fogging.
A: “Ieri sono stato al matrimonio della figlia di Mario. Più volte ti ho immaginata col vestito bianco al suo posto”.
D: (prendendo tempo) “Ah, mi hai pensato”.
A: “Beh sì. Sai, quel ragazzo che hai lasciato, Giorgio, era davvero a modo. Credo proprio che tu abbia commesso un grave errore a lasciartelo
scappare”.
D: “In questo momento preferirei parlare d’altro… Come sta la zia?”
A: “Sta bene, grazie… È che ne ho avuto notizie e pensavo che potessero interessarti”.
D: “Siete più andati a quel ristorante in riva al mare?”
A: “Ci manchiamo da molto… Giorgio è stato promosso sottufficiale e credo che tra non molto sarà trasferito da queste parti”.
D: “Ho comprato un vestito nuovo, se ti trattieni ancora te lo faccio vedere”.
A: “Proprio non capisco perché con te non si può parlare di certi argomenti”.
D: “Hai incontrato difficoltà nel venire qui? La viabilità è peggiorata molto da quando sono iniziati i lavori in piazza Dante Alighieri.”.
A: “No, sono venuto in metrò”.
Che dire? D ha evitato di dare risposte scortesi, quantunque meritate, mantenendo nello stesso tempo il suo riserbo. In fondo il suo messaggio è stato
di una chiarezza estrema: possiamo parlare di tutto, tranne che di Giorgio.
Nel fogging i depistaggi proseguono fino a diventare plateali e, se la situazione lo permette, ironici, proponendo argomenti di conversazione tra i più
disparati, ma che stiano bene ad entrambi gli interlocutori. Molto meglio di una parolaccia.
Alcune considerazioni
Uno sguardo alla tabella n. 2 chiarirà maggiormente l’opportunità di sostenere le abilità sociali dei balbuzienti con il training di assertività. Il poter
accedere all’esperienza comunicativa con una visione di sicurezza della stessa, attiva strategie e comportamenti che regolano positivamente la
conversazione. L’esperienza è generalmente piacevole, e anche quando assume una valenza negativa, l’attivazione emotiva è sempre meglio
arginata dalle tecniche di difesa. La riduzione dello stato d’allarme libera risorse attentive, le quali possono essere proficuamente investite nel
controllo della fluenza. Il singolo episodio di disfluenza, inoltre, è valutato come meno minaccioso poiché aumentano le possibilità di recupero. I
benefici per la fluenza oltre ad essere immediati sono anche distribuiti nel tempo. Nel lungo periodo, infatti, cresce il senso di autoefficacia nel
controllo della fluenza, le aspettative per le esperienze successive complessivamente migliorano, così pure l’autostima e la qualità delle relazioni
interpersonali.
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La concretezza dei benefici può a questo punto mantenere fermo l’impegno nel proseguire sulla strada dell’assertività che non sempre è scorrevole.
Infatti, l’acquisizione di uno stile assertivo nella completezza del suo repertorio, può risultare naturale per alcune persone e molto difficile per altre.
Inoltre, lo stesso stile può essere letto differentemente in rapporto alle caratteristiche socioculturali degli astanti, pertanto un comportamento, una
stessa frase, avrà valenza aggressiva, assertiva o passiva in rapporto al contesto, alla cultura e alle caratteristiche sociali dei partecipanti. Una
padronanza completa richiede una buona conoscenza dell’ambito in cui si attiva la relazione, adattando ad esso l’agire personale. Inoltre, su i tempi
di acquisizione di tali competenze, può incidere la maggiore o minore consistenza delle abilità presupposte. Ad esempio, a monte della capacità di
esprimere efficacemente una propria emozione, è richiesta la consapevolezza della sua presenza, del livello di attivazione, dell’adeguatezza emotiva
alla situazione e tant’altro; in queste abilità differiamo notevolmente. Se ciò ha valore per l’adulto e l’adolescente, lo ha in misura maggiore per i
bambini, dove a volte bisogna partire dall’acquisizione di abilità elementari come la semplice capacità di denominazione delle emozioni. In questa
direzione appare davvero interessante l’impegno nel trasferire parte di queste problematiche nel contesto dell’istruzione scolastica dove
l’educazione emotiva può diventare un serio presidio nella prevenzione del disagio psicologico (Di Pietro, 1992).
Un’ultima fonte di difficoltà, nella strutturazione dell’assertività del balbuziente, sono le caratteristiche stesse del suo disturbo. Ad esempio, un
balbuziente quando parla, impegna tempi che possono differire anche di molto rispetto a quelli abituali. Ciò comporta incertezze nel rispetto dei
turni dialogici. Per alcuni, l’eloquio è fermato da blocchi tonici che a volte li paralizzano in posture imbarazzanti per l’interlocutore, quali possono
essere i contatti oculari eccessivamente prolungati. In aggiunta, i blocchi e le pause diventano stimoli che inducono l’altro a prender parola anche
quando colui che sta parlando non ha ancora intenzione di cedere il turno. Questi ostacoli però, sono essi stessi una ragione per la quale il
balbuziente deve rafforzare la propria assertività. In questa direzione è vantaggioso studiare, assieme al soggetto, quali possono essere le
modificazioni opportune, anche in ambito non verbale, che lo possono favorire. A volte è sufficiente un gesto molto semplice per migliorare la
situazione, come il dare l’alt con la mano per lasciar intendere di voler prendere la parola, la quale, alleggerita della competizione nella gestione dei
tempi, potrà essere più fluente. È chiaro, quindi, che nell’interazione verbale i bisogni del balbuziente sono alquanto differenti da quelli degli altri.
Presentandoli in modo adeguato alle circostanze, e soprattutto, avendo la consapevolezza di tali abilità, la persona disfluente ha maggiori probabilità
di regolare il dialogo in modo a lui favorevole, di avvicinarsi all’esperienza con maggior sicurezza, di poter intervenire positivamente sul contesto
emotivo, di poter evitare in tal modo le manifestazioni del disturbo o almeno quelle più intense.
Infine, è da considerare che il balbuziente si trova anche a scontrarsi con pregiudizi che comportano ulteriore danno nell’interazione sociale, e per
quanto gli studi sullo stereotipo della persona disfluente nella società italiana, riportino una visione comune meno penalizzante rispetto ad altri paesi
(Carnevale & Sidoti, 2000), si rileva comunque che tali pregiudizi comportano una barriera consistente nella costruzione di relazioni sociali
positive. Chiaramente, questi ostacoli sono più facilmente superati se gli interessati riescono a sostenere con buona affermatività i propri diritti e ad
evidenziare abilità in contrasto con le caratteristiche dello stereotipo stesso.
In quest’ottica, possiamo concludere che, lo stile assertivo, è l’atteggiamento comunicativo nel quale è più agevole mantenere un contesto emotivo
favorevole alla fluenza. Quest’ultima, a sua volta, non deriverà solo da tale atteggiamento, ma anche dal buon uso delle facilitazioni impiegate e
dalla qualità dell’intervento svolto nell’intento di modificare positivamente tutti gli altri fattori psicologici coinvolti. Quindi, è una proposta che va
letta limitatamente a tale scopo e, più in generale, come un modo di porsi per innalzare la qualità delle proprie comunicazioni.
Dott.Mario D’Ambrosio
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Bibliografia
Alberti L. & Dinetto: Manuale di addestramento affermativo. Bulzoni, Roma. 1988.
Back K. & Back K.: Assertiveness at work. McGraw-Hill, New York. 1991.
Carnevale R. & Sidoti C.: Una ricerca sullo stereotipo di balbuziente. I Care. Vol. 25:4, 131-136. 2000.
Di Pietro M.: L’educazione razionale-emotiva. Erickson, Trento. 1992.
LeDux J.: Il cervello emotivo. Alle origini delle emozioni. Baldini & Castoldi, Milano.1998.
Marks I.: Fears, Phobias and Rituals: Panic, Anxiety and Their Disorders. Oxford University Press, New York. 1987.
Meazzini P.: L’insegnante di qualità: alle radici psicologiche dell’insegnamento di successo. Giunti, Firenze. 2000.
Perkins W.H., Kent R.D. & Curlee R.F.: A Theory of Neuropycholinguistic Function in Stuttering. “Journal of Speech and Hearing Research”, 34,
734-752. 1991.
Postma A. & Kolk H.: The covert repair hypothesis: Prearticulatory repair processes in normal and stuttered disfluencies. Journal of Speech and
Hearing Research, 36, 472-487. 1993.
Stein M.B., Baird A. & Walker, J.R.: Social phobia in adult with stuttering. “American Journal of Psychiatry”. Vol. 153:2, 278-280. 1996.
Dott.Mario D’Ambrosio
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TABELLA N. 1
VISIONE
DELL’ESPERIENZA
COMUNICATIVA
STRATEGIA
1) RITIRATA
2) IMMOBILITÀ
3) SOTTOMISSIONE
PERICOLO
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COMPORTAMENTI
1) allontanamento o
assenza
2) mutismo
3) accettazione
incondizionata delle
manifestazioni
dell’altro
CONSEGUENZE
- Aumento delle disfluenze
- Aumento delle probabilità di balbettare nel corso delle comunicazioni
successive
- Riduzione della comunicazione
- Riduzione dell’ansia a breve termine
- Aumento dell’ansia a lungo termine
- Consolidamento delle risposte di tensione
- Consolidamento della valutazione di pericolo
- Consolidamento delle risposte di evitamento, mutismo e sottomissione
- Riduzione del senso di autoefficacia nella gestione delle relazioni e nel
controllo della fluenza
- Riduzione dell’autostima e dell’umore
- Relazioni insoddisfacenti
ATTEGGIAMENTO
ANASSERTIVO
PASSIVO
4) AGGRESSIONE
DIFENSIVA
4) autoaffermazione
ai danni
dell’interlocutore
- Riduzione aggressiva della tensione
- Aumento della percezione di pericolo (dispone l’interlocutore verso
atteggiamenti aggressivi)
- Riduzione della comunicazione
- Aumento dell’ansia e dell’aggressività a lungo termine
- Consolidamento delle risposte di tensione
- Riduzione del senso di autoefficacia nella gestione delle relazioni e nel
controllo della fluenza
- Relazioni insoddisfacenti
- Aumento delle disfluenze
- Aumento delle probabilità di balbettare nel corso delle comunicazioni
successive
ANASSERTIVO
AGGRESSIVO
TABELLA N. 2
VISIONE
DELL’ESPERIENZA
COMUNICATIVA
STRATEGIA
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COMPORTAMENTI
CONSEGUENZE
ATTEGGIAMENTO
1) autoapertura
2) inserimento nella
conversazione
3) uso della libere
informazioni
4) uso delle
informazioni
personali
5) capacità di porre
1) ABILITÀ DI
domande
CONVERSAZIONE 6) abilità nel
cambiare argomento
e nel concludere la
conversazione
7) abilità nella
gestione del silenzio
- Maggiore fluenza
- Riduzione delle probabilità di balbettare nel corso delle comunicazioni
successive
- Rilancio della comunicazione
- Riduzione dell’ansia a breve termine
- Riduzione dell’ansia a lungo termine
- Consolidamento delle risposte di benessere
- Consolidamento della valutazione di sicurezza
- Consolidamento del senso di autoefficacia nella gestione delle
relazioni e nel controllo della fluenza
- Incremento dell’autostima e dell’umore
- Relazioni più soddisfacenti
ASSERTIVO
SICUREZZA
2) DIFESA
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8) asserzione negativa - Maggiore fluenza
9) inchiesta negativa
- Riduzione delle probabilità di balbettare nel corso delle comunicazioni
10) disco rotto
successive
11) fogging
- Riduzione dell’aggressività dell’interlocutore
- Modellamento degli attacchi verso modalità gestibili favorevolmente
- Contenimento dell’ansia a breve termine
- Riduzione dell’ansia a lungo termine
- Contenimento dei sentimenti di rabbia
- Controllo del comportamento aggressivo
- Consolidamento della valutazione di sicurezza
- Consolidamento del senso di autoefficacia nella gestione delle
relazioni e nel controllo della fluenza
- Incremento dell’autostima e dell’umore
- Relazioni più soddisfacenti
ASSERTIVO
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