Enrico Tiozzo Il poema di un’idea Sovversivismo e critica della società borghese nell’opera di Mario Mariani ARACNE Copyright © MMVII ARACNE editrice S.r.l. www.aracneeditrice.it [email protected] via Raffaele Garofalo, 133 a/b 00173 Roma (06) 93781065 fax (06) 72678427 ISBN 978–88–548–1183–6 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: giugno 2007 Indice 7 Prefazione 9 Capitolo I Il quadro critico 47 Capitolo II Il quadro storico–politico 67 Capitolo III Le opere interventiste sulla prima guerra mondiale La celebrazione del patriottismo 121 Capitolo IV Tra Grande guerra e fuga dall’Italia Il “poema di un’idea” e la rivoluzione contro la società borghese 323 Capitolo V Le opere del secondo dopoguerra Il ripudio del comunismo e della rivoluzione 373 Conclusioni 383 Bibliografia 387 Indice dei nomi 5 6 Capitolo I Prefazione Questa ricerca è la prima che indaghi l’intera produzione in volume di Mario Mariani sotto il duplice aspetto politico e narrativo. La monografia del 1980 di Emilio Falco (il lavoro piú ampio pubblicato in precedenza) si era infatti concentrata su importanti aspetti biografici e politici, relativi a Mariani, ma senza seguire il criterio di una sistematica analisi di tutte le opere dello scrittore. Lontani nel tempo erano poi tanto lo studio di Gerolamo Lazzeri quanto quello di Mario Isnenghi, dei quali tuttavia ― come per il lavoro di Falco ― mi sono ampiamente e, spero, fruttuosamente servito. Una difficoltà concreta, in un lavoro che aspirava a studiare tutte le opere di uno scrittore, come Mariani, scomparso dalle librerie, non piú ripubblicato e cancellato dalle storie letterarie del secondo Novecento, era quella di reperire i suoi libri. Un ringraziamento particolare va perciò rivolto a Graziella Pediconi, della Biblioteca Comunale di Solarolo (presso la quale esiste un Fondo Mariani) che mi ha assistito con cortesia e pazienza permettendomi di avere accesso alle opere non reperite altrove. L’opera di Mariani è interessante per diversi motivi. Concentrata in uno dei momenti piú drammatici della storia italiana del Novecento (dallo scontro tra interventisti e neutralisti prima della Grande guerra alla trasformazione del regime parlamentare in dittatura), ma 7 8 Prefazione prolungatasi poi fino agli anni Cinquanta, presenta un intreccio apparentemente inestricabile tra propaganda politica e narrativa sentimentale, nel solco di un incoercibile sovversivismo di fondo che, negli anni Venti, vede nella società capitalista borghese il concentrato di tutti i mali, ma che approda negli anni Quaranta ad un fiero anticomunismo e all’ammirazione per gli Stati Uniti d’America. I due aspetti che la mia ricerca ha voluto indagare sono: 1) come si configura la posizione politica dello scrittore attraverso tutte le opere pubblicate; 2) con quali risultati si combina l’aspetto politico con quello narrativo nella produzione dello scrittore. Il metodo che ho seguito è stato quello di non sottoscrivere affermazioni o giungere a conclusioni che non fossero supportate dai testi. Mariani è scrittore incoerente e ricco di contraddizioni, che va affrontato pagina per pagina ed idea per idea sulla base di quello che effettivamente si può leggere nei suoi libri e non di quello che altri hanno riferito su di lui. Ma anche nel caso di interventi critici canonici (da Prezzolini a De Felice, da Mola a Gentile) ho sempre preferito citare il passo sul quale ho inteso appoggiarmi. L’insieme delle note (in maggioranza riferite ai testi, peraltro di difficile reperibilità, di Mariani) può perciò apparire eccessivamente pesante a chi non si sia precedentemente familiarizzato con il mio modo di analizzare e di argomentare, ma ― per fortuna ― le note esistono anche per poter essere saltate da chi non sia interessato o da chi ritenga di conoscere già sufficientemente le opere che Mariani ci ha lasciato o quanto hanno scritto i critici e gli storici che ho citato. E.T. Göteborg, aprile 2007 Capitolo I Il quadro critico Nel panorama (che aspirava ad essere oggettivo come un rapporto ) della cultura italiana, tracciato, alla fine degli anni Venti, da Giuseppe Prezzolini, alla luce dei grandi cambiamenti introdotti nel Paese dall’esperienza della guerra2 e dall’avvento del fascismo, non può non sorprendere la ristrettezza della visuale con cui vengono giudicate la figura e l’opera di Mario Mariani3, inserite generica1 1 Cfr. Giuseppe Prezzolini, La cultura italiana, seconda edizione, Milano 1930, p. 8: “L’edizione che ho compilato è una constatazione. Se volete, un rapporto. E, se avessi avuto il tempo e i mezzi occorrenti a mia disposizione, ne avrei fatto addirittura una guida. Ho cercato di dimenticare, quanto mi era possibile, simpatie, polemiche, animosità, sgarbi, villanie, elogi, interessi di quegli anni. Ho cercato di capire coloro che non pensavano come me. Mi sono tenuto molto ai resultati. Non ho fatto critica letteraria. Ho notato correnti e influenze di coltura.” 2 Ibid., p. 467: “Quali sono stati gli effetti della guerra sulla coltura italiana? Immediatamente la confusione degli spiriti, l’amarezza per i sacrifici di fronte ai resultati, una general diffidenza per gli altri popoli, il timore per ogni idealismo, una maggior gravitazione verso gli interessi pratici, l’allontanamento dagli studi di carattere teorico, una certa pesantezza nei gusti e, insieme, un grande desiderio di rinnovamento, la credenza negli sforzi più straordinari, la richiesta di organizzazioni per migliorare le condizioni degli intellettuali. È il periodo che dura fino al fascismo.” 3 Ibid., p. 84: “Nomi tipici delle fortune insolenti di questo periodo bolscevico Mario Mariani e Pitigrilli: il primo, falso riformatore sociale, accompagnava di qualche lacrimetta sentimentale o di proteste umanitarie, i suoi racconti solleticanti e pruriginosi; l’altro, abi- 9 10 Capitolo I mente nel blocco indistinto della “letteratura milanese”, termine che allora serviva ad indicare la produzione che piú tardi sarebbe stata sempre piú spesso definita “di consumo” perché destinata ad un pubblico che si voleva fosse facilmente accontentabile e scarsamente critico4. Eppure l’analisi di Prezzolini (troppo nota per aver bisogno qui di una sintesi riassuntiva oltre a quanto già abbiamo indicato) teneva conto di molti altri elementi ben piú significativi e profondi (dalla tradizione al regionalismo, dalla cultura popolare allo stato economico degli scrittori, dalla filosofia idealistica alla religione), che sarebbero stati utili ― in piú di un’occasione ― per gettare luce sull’opera di Mariani, alla quale viene purtroppo riservato un giudizio tanto limitativo quanto sostanzialmente ingiusto. Nemmeno nel capitolo sulla “coltura politica”5 ― l’elemento, secondo noi, di gran lunga piú caratteristico in Mariani ― Prezzolini ritiene opportuno inserire qualche considerazione sullo scrittore oggetto di questo studio, mentre invece abbondano i riferimenti a personaggi come Enrico Corradini o Mario Missiroli, Gaetano Mosca o Vilfredo Pareto, dei quali viene addirittura sottolineato il machiavellismo, certo non secondario anche nell’opera di Mariani. Escluso sia dalle considerazioni prezzoliniane sull’anarchismo6 che da quelle sul solissimo giocoliere di equivoci e di salate ‘gauloiseries’, punteggiava con paradossi scintillanti le sue descrizioni erotiche. Ambedue scuotevano in aria catene spezzate da tempo, con aria di liberatori, e un pubblico di sartine, di commessi, di sottufficiali reduci dalla guerra, di dattilografe, di danzatrici, di spostati, di commercianti improvvisati, di rappresentanti senza fondi, di contadini inurbati, fatti operai per il tempo di guerra, li ascoltava tutto rapito e incantato.” 4 Ibid., pp. 84–85: “Per una parte entra nella penombra di questa zona anche l’opera del romanziere Guido da Verona, da non confondersi però con quella degli altri due, corruttore con stile più ricco e con sottili abilità d’arte da essi non conosciute. Milano ne albergava gli editori, e pareva più adatta a secondarli con il neo pubblico di gente nuova. Perciò fu chiamata, per antonomasia, ‘letteratura milanese’ la letteratura fabbricata in Milano con questi criteri, sebbene a Milano vi fossero altre ditte, altri autori, altro pubblico, che ne deploravano lo sconcio morale e materiale. Ci vuol altro che processi, come si è tentato di fare, rendendo un buon servizio all’autore! Il male dipende più dal pubblico che dall’autore. Se il pubblico non seguisse, l’autore non continuerebbe.” 5 Ibid., p. 147. 6 Ibid., p. 154: “È curioso come gli anarchici italiani, che in generale hanno avuto un maggior amore della coltura ed un rispetto della individualità più profondo dei socialisti, non lascino uno scrittore od un’opera che abbia valore universale come quella del Il quadro critico 11 cialismo7, Mariani non viene nominato nemmeno nell’ampio (e per molti versi ricco ed illuminante) capitolo sui rapporti tra la cultura italiana e quella straniera e segnatamente nelle parti che Prezzolini dedica alla cultura ed alla mentalità tedesche, di cui Mariani era profondo conoscitore. Prezzolini insomma ricacciava decisamente la produzione di Mariani e dei suoi compagni di strada nei confini angusti della letteratura amena e commerciale8, destinata ad un pubblico di ignoranti9, anticipando un criterio di giudizio che sarebbe poi stato ampiamente adottato da critica e storiografia del secondo dopoguerra ed ignorando completamente sia l’humus culturale, dal quale era nata la produzione saggistica e narrativa degli scrittori degradati, sia ― per quanto riguarda particolarmente Mariani ― il contesto politico nel quale dovevano necessariamente essere inquadrate le sue opere. Sarebbe poi troppo facile obiettarci, in difesa della posizione ad excludendum di Prezzolini, che il suo ampio e documentato saggio non poteva entrare nei dettagli della produzione di Kropotkine o del Reclus: la loro coltura politica è stata sempre enciclopedica e elementare, coltura da collezioni economiche e da università popolari: basta ricordare, per tutti, l’avv. Fabbri con la sua rivista l’Università Popolare e gli opuscoli del Malatesta che debbono al loro semplicismo d’essere stati tradotti in tutte le lingue, cinese compresa.” 7 Ibid., pp. 153–154: “Il Socialismo ebbe una larghissima ma poco seria letteratura politica, se ne togli i profondi ma poco letti libri di Antonio Labriola, nei quali il marxismo rivive in una interpretazione originale, con uno stile pieno di forza e di movimento. Tutta la produzione del Socialismo si è limitata a opuscoli e libretti di propaganda spicciola, rimasticatura di libri francesi.” 8 Ibid., p. 469: “Per quanto riguarda quella commerciale, passato il periodo del 1914 e del 1915 di spavento e di crisi, la guerra sembrò contraddire tutte le previsioni e creò un pubblico avido di letture, che in breve tempo sparecchiò tutti i magazzini degli editori e li costrinse, nonostante i crescenti prezzi della carta e degli aumenti delle tipografie, a gettare nuove edizioni sul mercato. Che cosa si può notare in questo desiderio nuovo del pubblico italiano? Anzitutto un più largo interesse, ma contemporaneamente una decadenza della coltura e del senso critico, un minor vigore intellettuale, un maggior bisogno di svago, un livello più basso di soddisfazione. La letteratura amena prende risolutamente il passo su tutte le altre.” 9 Ibid., pp. 469–470: “Si sente il sorgere di nuove classi che non hanno mai letto, che prendono in mano il libro come vestono di seta per la prima volta e per la prima volta vanno a teatro. Sono da una parte i pescicani grossi e piccini, le donne levate dal banco della modista e portate allo schermo del cinematografo, come dall’altra operai e operaie che hanno un buon salario e si permetton di comprarsi la cravatta all’ultima moda e il romanzo dalla copertina attraente.” Capitolo I 12 un singolo scrittore (in questo caso Mariani), dal momento che le caratterizzazioni ― sia pur brevi ma attente ― non mancano nel volume e soprattutto perché è difficile non tener conto dell’importanza degli elementi politici che prevalgono nell’opera dello scrittore che è al centro della nostra ricerca. Si può quindi affermare, senza tema di smentite, che uno dei piú acuti osservatori della cultura e della letteratura italiana degli anni Venti ignora (o vuole ignorare?) del tutto i risvolti politici presenti nella produzione di uno degli scrittori piú letti in Italia nei primi decenni del Novecento10 e preferisce invece, per motivi che rimangono da indagare, caratterizzare in blocco la “letteratura milanese” come una forma letteraria deteriore, cui pure ― curiosamente ― riconosce un valore (per noi tutt’altro che secondario) di documento storico–sociale, viziato però irrimediabilmente (ai suoi occhi) dalla smania di guadagno dei romanzieri implicati, dalla mancanza di una coscienza autocritica e da una scarsa credibilità dei personaggi, difetti non emendabili nonostante le abbondanti vendite e la sapiente pubblicità11. È interessante notare come Prezzo10 Cfr. Michele Giocondi, Lettori in camicia nera. Narrativa di successo nell’Italia fascista, Messina–Firenze 1978, pp. 72–73: “Il 1918 segnò la nascita, o la prepotente rinascita di questo genere, con le opere di Bruno Corra, Filippo Tommaso Marinetti, Alessandro Varaldo, Amalia Guglielminetti, Vittorio Guerriero, Carola Prosperi e in particolare Mario Mariani e Pitigrilli. Ricordiamo di Mario Mariani La casa dell’uomo del 1918, scritto sotto l’influenza dell’allora dilagante Notari, e divenuto rapidamente un buon successo; Lacrime di sangue, Le sorelline, L’adolescente [sic], Smorfie dell’anima del 1919; Le signore per bene, Purità, Cosí per ridere, Povero cristo del 1920; Ripugnanze e ribellioni del 1921. Questi libri raggiunsero in pochi anni tirature oscillanti fra le 30 e le 60 mila copie, che in seguito diminuirono sia per l’emigrazione di Mariani in America e la fine della sua attività letteraria nel 1921, sia per una certa opposizione del regime ai suoi libri, che venivano ritenuti, a torto più che a ragione, di autore anarchico, quale Mariani stesso amava definirsi.” Come ci è accaduto più volte nel corso di nostre precedenti ricerche, ci dissociamo dalle considerazioni di natura letteraria e politica del Giocondi che rimane tuttavia un’importante fonte per le cifre relative alle copie dei libri vendute in Italia nel primo Novecento. Citeremo di nuovo il giudizio di Giocondi nella nostra analisi di Povero Cristo. 11 Cfr. Giuseppe Prezzolini, op. cit., pp. 83–84: “Milano, per le sue caratteristiche di città d’affari, piena di gente che lavora assai e che, quando prende un libro in mano o va a teatro, vuole ‘divertirsi’; Milano, città che ha già dato origine a un paio di movimenti librari e letterari, dove la pubblicità, il chiasso, avevano la massima importanza (il fenomeno Notari e quello futurista); Milano doveva essere la sede naturale di quella letteratura a base Il quadro critico 13 lini (già in evidente difficoltà negli anni Venti su questo punto cruciale, come poi sarebbe avvenuto alla critica ed alla storiografia italiane del secondo dopoguerra) una volta costretto ad indicare con esattezza quale fosse in definitiva la vera e buona letteratura nuova da opporre a quella “milanese”, deteriore e di consumo, non potesse fare altro che indicare ― come termini di paragone ― una serie di opere in realtà alquanto mediocri12 e destinate a lasciare, nella letteratura italiana del Novecento, un segno non di molto superiore a quello impressole dagli autori da lui cosí duramente criticati. Né manca, come unico riscontro oggettivo sulla validità della produzione letteraria italiana di quegli anni, il riferimento al successo riscosso all’estero da alcuni nostri scrittori o il consueto (e in realtà ingannevole e fallace13) richiamo al tribunale supremo del Nobel14. di erotismo sulla copertina (anche se non mantenuto nell’interno) e di un formidabile apparecchio di réclame, che può stordire un pubblico novellino e, come ho detto, da poco abituato a leggere e comprare il libro.” 12 Ibid., pp. 85–86: “Difatti, nel momento in cui scrivo, la reazione è in pieno, prima di tutto perché tutti quei ceti che guerra e dopoguerra avevano con facilità messo in alto, sono ora toccati dalla crisi economica dovuta alla saggezza rivalutatrice; e poi perché tutta questa produzione affrettata, acciabattata, raccolta alla meglio, dovunque e comunque, ha stancato. Il pubblico si è annoiato delle porcherie, perché non c’è genere più noioso di quello che per forza finisce sempre nello stesso modo; ed ha finito per aver simpatia per i romanzi semplici, le novelle decenti, i libri di coltura e di vita spirituale. […] I mutamenti di gusti e di condizioni economiche hanno dato un nuovo indirizzo alla vendita del libro. I migliori successi son stati ottenuti da libri religiosi, come la Storia di Cristo del Papini, da biografie come la Vita di Mussolini della Sarfatti, da racconti di imprese sportive come quella del De Pinedo. Sono piaciuti ― cito a caso ― la Stella mattutina di Ada Negri, deliziosa autobiografia di una infanzia campagnola piena di nostalgie romantiche, Ma che cos’è questo amore di Achille Campanile, infilata di quiproquo, di sciocchezze, di giochi di parole, di nonsensi, ma per diverse ragioni, sono stati molto letti i romanzi russi, pubblicati in testo completo.” 13 Cfr. Enrico Tiozzo, “A un passo dal premio. Il Nobel e i candidati italiani del primo Novecento”, Belfagor, nr. 351, anno LIX, 31 maggio 2004 e “Il Parnaso svedese”, Belfagor, nr. 354, 30 novembre 2004. 14 Cfr. Giuseppe Prezzolini, op. cit., p. 92: “I grandi successi letterari italiani all’estero negli anni dopo la guerra sono stati La Storia di Cristo del Papini e il Teatro del Pirandello, perché ambedue hanno posto problemi che colpiscono sentimenti e suscitano commozioni presso che universali. Eppure, dal punto di vista artistico, la Storia di Cristo non è la migliore opera del Papini, e il Teatro del Pirandello si ritrova quasi tutto nelle sue novelle che, scritte prima della guerra, valsero al suo una ben modesta rinomanza. Il premio Nobel a Grazia Deledda è pure dovuto a una simile, se pur più ristretta, concordanza del genere, 14 Capitolo I A distanza di mezzo secolo il giudizio monco ed ingeneroso di Prezzolini sull’opera di Mario Mariani viene ripreso, quasi negli stessi termini15, da Piero Lorenzoni in un’opera centrata sugli elementi erotici e pornografici nella letteratura italiana. Lorenzoni, che riferisce anche brani di un giudizio del Pellizzi, nomina solo di sfuggita le “idee anarcoidi” di Mariani e i suoi saggi “storico–sociali” per insistere invece sulle adolescenti, protagoniste pruriginose delle sue pagine16. Ci rendiamo naturalmente conto che la natura della ricerca del Lorenzoni (peraltro non di rado acuto nella valutazione dei testi, ma qui inesatto, fra le altre cose, anche a proposito dei motivi, dei luoghi e dei tempi del volontario esilio di Mariani) non poteva comprendere un’analisi del contenuto politico dell’opera marianiana, ma ciò non elimina il rammarico che proviamo nel conpoiché è avvenuto che i sentimenti semplici, religiosi, duri dei suoi Sardegnoli corrispondessero a certi principii ed aspetti della vita intima della Scandinavia.” 15 Cfr. Piero Lorenzoni, Erotismo e pornografia nella letteratura italiana, Milano 1976, p. 136: “Se il tribunale di Teramo assolse magnanimamente per inesistenza di reato il Manelli, quello di Milano condannò invece nel 1919 lo scrittore, poeta, saggista e giornalista Mario Mariani per Le adolescenti, e insieme a lui il pittore Renzo Ventura che aveva illustrato l’opera con disegni ritenuti troppo salaci (ebbero quindici giorni di reclusione ciascuno, il pagamento di una multa e delle spese processuali). Narratore lutulento a sfondo politico–sociale e polemico che ebbe inoltre notorietà diffusa e un poco malsana nell’ultimo dopoguerra, dice il Pellizzi di lui, il Mariani ― che per le sue idee anarcoidi con l’avvento del fascismo emigrò in Brasile rimanendovi fino alla morte ― oltre a saggi storico–sociali e libri di poesie, scrisse anche racconti e romanzi di natura erotica come Le sorelline, Purità, Le signore per bene e, appunto, Le adolescenti che è rimasta forse la sua raccolta di ritratti femminili più nota e apprezzata”. 16 Ibid., p. 136: “Le adolescenti di Mariani precorrono in un certo senso le Lolite di Nabokov, per la loro ancor tenera età e per la loro innata malizia; salvo che a concupirle e a possederle sono per lo più dei giovani di poco maggiori d’età e totalmente alieni da sofisticate manie o da perplessità freudiane. Abile nel caratterizzare l’ambiente e la società in cui vivono le sue conquiste giovanili, malgrado lo stile un po’ trasandato e irregolare e il tono spesso sentenzioso, Mariani racchiude per cosí dire l’anatomia e la psicologia delle sue appena puberi eroine in un modulo che è più o meno il medesimo nei vari racconti: monelle e spavalde, la bocca scarlatta, le gambette esili e perfette, le carni bianchissime, le sue adolescenti sono aggressive nei salotti e remissive nelle alcove, amorali più che immorali, acerbe nel corpo, mature nel sesso. Provviste di madri severe o compiacenti, di padri permissivi o intransigenti, esse attendono, comunque e con malcelata impazienza, di venir violate; ma più per curiosità che per amore, più per passione che per sentimento. Sono, in una parola, le ragazzine ingenuamente perverse dell’oggi e le donne ingannevoli del domani.” Il quadro critico 15 statare come ― ancora nel terzo millennio sulle orme dei giudizi di Prezzolini, di Lorenzoni e di altri ― l’opera di Mariani venga riproposta esclusivamente nel contesto della letteratura pornografica e oscena17. Le storie letterarie e le rassegne canoniche18 del resto, dagli anni Venti agli anni Settanta, riservano a Mariani uno spazio minuscolo. Le osservazioni di Pellizzi19 (in parte citate da Lorenzoni) risentivano certamente dell’anno e del clima politico in cui lo storiografo le aveva pubblicate, ma le azioni di Mariani non risalirono nemmeno quaranta anni dopo20, sotto tutt’altre bandiere, e lo scrittore venne spinto irrimediabilmente nell’oblio insieme con altri narra17 Cfr. Riccardo Reim, Il corpo della musa. Erotismo e pornografia nella letteratura italiana dal ‘200 al ‘900, Roma 2002, p. 452: “Mariani, Mario. Nacque a Roma nel 1883 e morí a San Paolo del Brasile nel 1953 [sic]. […] Negli anni seguenti videro la luce a ritmo serrato una serie di romanzi e novelle antiborghesi e di argomento erotico (La casa dell’uomo, Sorelline, Purità, Le signore per bene) tra cui la raccolta di racconti Le adolescenti (1920) [sic], giudicato a tal punto osceno e immorale (soprattutto la novella Maria Veraldi, espunta dalle edizioni successive) che Mariani dovette subire un processo per oltraggio al pudore, nel quale venne condannato a quindici giorni di reclusione e a una multa di cento lire.” 18 Cfr. Aa.Vv., Dizionario generale degli autori contemporanei, vol. II, Vallecchi, Firenze 1974, p. 783: “Mariani Mario. Nato a Roma nel 1884 [sic], morto in Brasile nel 1951; narratore, poeta, saggista e giornalista. Appena finiti gli studi tecnici, M. lasciò l’Italia per una serie di viaggi in America, in Francia e in Inghilterra. A partire dal 1909 fu corrispondente da Berlino del ‘Messaggero’ e del ‘Secolo’; rientrato in patria fondò e diresse per qualche tempo le riviste ‘Comoedia’ e ‘Novella’; all’avvento del fascismo decise di emigrare in America del Sud, dove rimase fino alla morte. Da un punto di vista letterario, M., scrittore di vena irregolare, anarcoide, erotizzante e, oggi diremmo, contestatrice, si ricorda per i suoi intenti polemici nei confronti della società a lui contemporanea, soprattutto in volumi come Sott’ la naja (1916) e La casa dell’uomo (1918).” Seguono un accurato elenco delle opere (com’è nelle caratteristiche del dizionario) e una bibliografia essenziale. 19 Cfr. Camillo Pellizzi, Le lettere italiane del nostro secolo, Milano 1929, p. 154: “Fra i più giovani incontriamo […] Mario Mariani, ch’ebbe notorietà diffusa e un poco malsana nell’immediato dopoguerra, e fu un narratore lutulento a sfondo politico–sociale e polemico; dotato di possibilità artistiche rivelantisi qua e là, nel tratteggiare una figura, nel dare il tono a un ambiente; privo però, quasi affatto, di quel senso letterario della misura, del limite, ossia poi della ‘forma estetica’, che solo il più corrotto e vuoto sovversivismo spirituale può considerare falsa esigenza.” 20 Cfr. Aa.Vv., Enciclopedia Garzanti della letteratura, Milano 1972, p. 459: “Mariani, Mario (Roma 1884–Brasile 1951), scrittore italiano. Giornalista (fondò e diresse i periodici ‘Novella’ e ‘Commedia’), fu autore di poesie, novelle, romanzi, saggi in cui volle colpire (ma senza rinunciare alla ricerca di un facile successo) certi aspetti della corruzione borghese: La casa dell’uomo (1919), Le adolescenti (1919).” Sono sette righe in tutto. Capitolo I 16 tori celebri dell’Italia del primo Novecento. In senso decisamente opposto andava invece il ritratto critico che di Mariani aveva tracciato nel 1919 il giovane Gerolamo Lazzeri21, amico dello scrittore22 e destinato poi anch’egli a pagare per il suo amore della libertà. Lo studio di Lazzeri si basa, com’è ovvio, su quanto Mariani aveva pubblicato fino al 191923 (anche se accenna all’ambizioso piano di lavoro dello scrittore24, poi largamente disatteso) e dedica particolare attenzione (oltre che ad alcune liriche di Antelucano) a Le smorfie dell’anima, La casa dell’uomo, Il ritorno di Machiavelli, I colloqui con la morte e Sott’ la naja. Quello che soprattutto colpisce è la u21 Sulla vita di Gerolamo Lazzeri è stata pubblicata nel 2006 la biografia Il mio nome dimenticato ― Vita di Gerolamo Lazzeri, Chiappini editore, Roma, di Annalisa Ferrari. La Ferrari ha ricostruito la vita di Lazzeri, nato nel 1894, intellettuale, amico di Mussolini , socialista e poi antifascista, attivo a Milano dal 1913, giornalista, saggista, traduttore, morto nel 1941. 22 Cfr. Gerolamo Lazzeri, Mario Mariani, Milano 1919, p. 45: “Tale è l’opera di Mario Mariani, che ho esaminata con franca amicizia e con quella severità che il lettore ha sempre diritto e dovere d’attendere dal critico.” Lo studio su Mariani fa parte della nota serie “Gli uomini del giorno” della casa editrice milanese “Modernissima”, che proponeva al pubblico “gli uomini… e le donne di cui maggiormente si parla o sparla ai dì nostri: letterati, uomini politici, attori, commediografi, musicisti, scienziati, industriali, artisti, giornalisti”, come recitava la pubblicità inserita all’interno di ogni volume. I personaggi dei primi 18 numeri erano in ordine di uscita: 1) Mussolini; 2) Guido da Verona; 3) Trilussa; 4) Dario Niccodemi; 5) Il Sen. Albertini; 6) Maria Melato; 7) Amalia Guglielminetti; 8) Arnaldo Fraccaroli; 9) L’on. Turati; 10) Gandusio; 11) Il Cardinal Ferrari; 12) Giolitti, 13) A. Guasti; 14) Arros; 15) Mario Mariani; 16) Peppino Garibaldi; 17) Fausto M. Martini 18) Gabriele D’Annunzio. Fra gli autori dei saggi si notavano Icilio Bianchi, Massimo Bontempelli e Pitigrilli. 23 Ibid., p. 45: “A trentacinque anni, in poco più d’un quinquennio di lavoro, egli ha già al suo attivo dieci volumi, ed ha in corso di stampa un nuovo romanzo, nel mentre è imminente la pubblicazione di due volumi di novelle: Lagrime di sangue e Le sorelline.” 24 Ibid., p. 45: “Né basta: ha già popolata la fantasia delle imagini di nuovi lavori; ha, anzi, già steso il piano di un altro quinquennio d’operosità. Ci darà presto un volume di versi: Le girandole del sentimento, e alla Casa dell’uomo, primo dei ‘Romanzi del piccone’, seguirà Povero Cristo, già in corso di stampa, e Bandiere nere. Con un romanzo satirico: Il mio romanzo romantico, segnerà un intermezzo tra i ‘Romanzi del piccone’ e i ‘Romanzi della Risurrezione’, nuovo ciclo che sarà composto di tre volumi: I figli della guerra, La Razza e Primavera del mondo. A tutti questi volumi altri ne seguiranno di novelle, di polemiche, di discussione e di teoria. Una mole enorme di lavoro, dunque, col quale si propone di propagare le sue idee e di portare il romanzo a diventare ‘il poema dell’idea dimostrata per mezzo di personaggi’.” Il quadro critico 17 nivocità della tesi di Lazzeri (mutuata dallo stesso Mariani) che vede nell’opera dello scrittore la forte impronta di un pensiero che si serve della narrativa soltanto come di uno strumento25 per diffondere idee di sovversivismo politico e sociale26. Questo concetto della letteratura come strumento di lotta politica è di notevole importanza per la nostra ricerca perché ci consente di vagliare sia il modo in cui lo scrittore è riuscito o meno a realizzarlo nella sua opera, sia quanto ed in che modo esso abbia potuto influenzare gli aspetti narrativi (e non solo polemico–propagandistici) della sua produzione. È inevitabile che un saggio critico scritto da un venticinquenne come Lazzeri possa contenere anche qualche superflua ingenuità (come le dichiarazioni iniziali sull’“arte per l’arte” da valutare indipendentemente dal contenuto27) e qualche semplificazione eccessiva, ma rimangono comunque d’indubbio interesse sia le considerazioni dello studioso sull’impatto portato dalla guerra nel clima letterario italiano28 (ma non fino al punto ― come sosteneva anche Croce29 ― di 25 Ibid., pp. 34–35: “Di qui egli giunge ad un capovolgimento totale delle consuete teorie artistiche, negando ogni efficacia e ritenendo anzi dannosa la consuetudinaria prosa relativa. Sostiene che non si dovrebbe poter scrivere né meno una novella, senza l’intenzione chiara e precisa di dimostrare una propria verità. La trama e la favola, perciò, non diventano fine, ma sono mezzo: prima bisogna ricercare la verità da dimostrarsi, poi le trame e le favole che servano alla dimostrazione.” 26 Ibid., pp. 26–27: “Le sue idee rivoluzionarie non sono ancora organate in un vero e proprio sistema; ma si sono concretate nella critica spietata dell’odierna società borghese, alla quale dovrebbe succedere il comunismo […]. Ma il comunismo di Mariani è leninista soltanto in apparenza: sostanzialmente è una cosa tutta sua, personale, ragionata. Egli concepisce il comunismo come il solo sistema politico capace a distruggere la società borghese; ma per lui il comunismo è un principio che deve essere praticamente applicato cum grano salis.” 27 Ibid., p. 8: “Orbene, i profeti della letteratura di domani, e tutti coloro che hanno sostenuto e sostengono, come Mario Mariani, che la guerra abbia rivoluzionato la letteratura, hanno confuso l’arte con il contenuto, l’espressione con la materia, giungendo ad affermare una vera e propria bestialità critica.” 28 Ibid., p. 10: “È accaduto, così, che da cinque anni in qua non abbiamo avuto che libri di guerra: novelle, romanzi, liriche di guerra. La guerra, cioè, diventò l’argomento letterario di moda, e gli scrittori ― chi per necessità spirituali sentite, chi per non essere a meno degli altri ― non seppero e non poterono nella gran maggioranza sottrarvisi.” 29 Cfr. Benedetto Croce, L’Italia dal 1914 al 1918. Pagine sulla guerra, Bari (1919) 1950, p. 52: “Nemmeno potemmo adagiarci, come altri di quei divaganti, nell’aspettazione che, dopo la guerra, sarebbe sorta una nuova arte, un nuovo stile, una nuova scienza, una 18 Capitolo I modificarne profondamente le caratteristiche30), sia il ritratto dell’indomita personalità di Mariani (senza un’indulgenza eccessiva sui dettagli biografici31) formatasi prima attraverso le esperienze dell’infanzia e dell’adolescenza e poi di quelle della guerra, sia soprattutto l’analisi del suo pensiero sovversivo, influenzato da Nietzsche e teso alla distruzione della famiglia e dell’odiata società borghese per l’avvento del comunismo32. La lettura in chiave politica della produzione narrativa e poetica di Mariani, proposta da Lazzeri (ed alla quale ritorneremo nel corso della nostra ricerca), passa attraverso alcuni snodi obbligati, come la polemica, cara allo scrittore, nuova filosofia, una nuova storiografia; non potemmo, perché sapevamo che cotesti non sono doni che caschino dal cielo, o meccaniche conseguenze di vittorie militari e di rivolgimenti politici, ma opere del pensiero, che prosegue indefesso il suo lavoro dominando i nuovi avvenimenti; e che, perciò, chi non aveva la capacità e il metodo del lavorare e del pensare prima della guerra, non sarebbe per acquistarli dopo la guerra, quasi semplice effetto di questa.” 30 Cfr. Gerolamo Lazzeri, op. cit., p. 9: “La letteratura, dunque, considerata come arte, non è stata per niente rivoluzionata dalla guerra, né ha potuto subirne influenza, nel senso formale. L’arte non è progredita o, per lo meno, se ha fatto progressi, li ha fatti indipendentemente dalla guerra, seguitando a batter la via che ante bellum già percorreva, per opera di avanguardisti o di solitari.” 31 Ibid., p. 18: “Il biografo, per quanto gli sia amico, per quanto abbia cercato di conoscere il più possibile, nulla di più ha potuto sapere, e deve accontentarsi d’augurare che il Mariani stesso si decida a narrare la sua vita zingaresca, a porgerne tutti i particolari.” 32 Ibid., p. 27: “La società comunistica per poter affermarsi concretamente ha bisogno di livellare il punto di partenza, con l’abolizione del principio d’eredità e di ogni privilegio di casta. La corsa della vita ha da essere iniziata in condizioni eguali; ma non dovrà e non potrà procedere eguale. Se si vuole che la produzione non isterilisca e non si spenga, bisogna ammettere totalmente il concetto della differenziazione, concetto che terrebbe vivo lo spirito d’emulazione. Ne deriva che le caste sarebbero abolite; ma ogni uomo di valore potrebbe sempre salire, sovrastando per la forza della sua intellettualità, della sua attività la mandria anonima dei mediocri. Nella critica della presente società borghese il Mariani si serve di elementi non marxistici, ma nietzchettiani. La morale della società borghese è ancora morale cristiana, e perciò morale di schiavi. Le norme della convivenza sociale di domani, invece, debbono essere basate sopra il massimo possibile di libertà individuale, perché solo in tal modo l’uomo, che non è cattivo, e la donna, che pur non è cattiva, ― ma sono ora dalla morale cristiana, che è morale di constrizione, educati alla menzogna e, perciò, alla ipocrisia e alla cattiveria, ― potranno manifestare compiutamente il loro istinto di bontà. E per arrivare al rapido crollo della società contemporanea, la prima istruzione borghese che si deve combattere è la famiglia. Per questo i socialisti, che per anni ed anni hanno lasciato cadere nel dimenticatoio il postulato del libero amore e del figlio di Stato, hanno tradito la causa della rivoluzione.” Il quadro critico 19 sui diritti della donna, sul libero amore, sull’educazione dei figli, ecc., per approdare ad alcune considerazioni, tutt’altro che trascurabili, sull’incisività dello stile marianiano33, sul suo rapporto ― secondo Lazzeri eccessivamente privilegiato34 ― con il pubblico e sulle ascendenze letterarie (da Maupassant a Dostoevskij, da Strind berg a Wedekind) che avrebbero contribuito a formare la sua pagina. Nella parte conclusiva del suo lavoro, Lazzeri contrappone l’opera di Mariani, per il suo contenuto politico, a quella degli scrittori dediti alle trame sentimentali ed agli sgraditi eccessi di psicologismo35, con un’approssimazione che si può giustificare solo in parte, dal momento che l’autore de La casa dell’uomo aveva già dimostrato uno spiccato interesse per gli intrighi sentimentali e gli adulterî, giu33 Ibid., p. 40: “Oggi ancora, quando il Mariani non pensa alla tesi, non è ossessionata dal suo pensiero rivoluzionario, non sente, ogni pie’ sospinto, la necessità di sciorinare un’affermazione di fede, sa raggiungere un equilibrio artistico di scrittore di razza.” 34 Ibid., p. 36: “Così come nulla ha da fare con la critica il troppo comodo postulato del Mariani, in base al quale il giudizio su d’un’opera letteraria deve essere dato soltanto dal pubblico, e uno scrittore deve essere giudicato non dal punto di vista dell’opera d’arte; ma dal punto di vista della tiratura dei suoi volumi. Non solo codesto balordo e idiota postulato non ha nulla da fare con la critica: esso è anche enormemente dannoso, in quanto incoraggia l’artista non già a perseguire l’arte, bensì ad obbedire supino ai più volgari e bestiali istinti della folla.” 35 Ibid., p. 48: “Rallegriamoci intanto che il Mariani abbia saputo, sia pure attraverso immancabili errori, portare un soffio nuovo, uno spirito nuovo nella morta gora della nostra letteratura di mezzi uomini. L’adulterio nel romanzo, nella novella e nel teatro; la solita stupidissima sentimentalità, tra il casto e l’impudico, che animava tutta la nostra letteratura di fantasia e ancora continua ad animarla, cominciava da tempo a seccarci non poco, e ci moveva ormai allo schifo, tanto più che alla vacuità della solita trama corrispondeva la mancanza assoluta dell’opera d’arte. Per questo, se anche Mariani non riescisse a saperci dare un’opera d’arte perfetta, se anche negli anni che verranno e coi suoi nuovi lavori non mantenesse le stupende promesse che ha date, non raggiungesse più d’una volta sola gli attimi di felicità artistica che già ha raggiunto, e di lui non ci dovessero restare che i due volumi di guerra, che l’indimenticabilmente umana figura di Nanna e le vive pagine degli altri volumi, che dianzi ho segnalate, il merito suo nella storia delle lettere nostre sarebbe e resterebbe grande, per aver aperto nuove vie alla letteratura, per aver coraggiosamente saputo iniziare un nuovo cammino, guardando tenacemente alla meta, incurante delle idiozie della critica idiota, dell’invidia dei mezzi uomini e delle femminucce travestite da uomini per delizia della patria letteratura. E, sopra tutto, per avere avuto il coraggio d’esser padrone di sé stesso, di possedere per sé e per gli altri la sincerità più spietata, per avere tenuto fede alle proprie idee, anche quando i rivoluzionari di ieri diventavano i carabinieri della borghesia d’oggi, gettando ardentemente nell’arte tutto l’impeto della sua virilità.” È la pagina conclusiva del lavoro, cui seguono luogo e data: “Belgirate, sul Lago Maggiore, Mezz’agosto 1919.” Capitolo I 20 dicati temi sciocchissimi ed esecrabili da Lazzeri quasi a volerne sottolineare l’assenza nell’opera dello scrittore al centro del suo studio. A distanza di cinquant’anni esatti dal lavoro di Lazzeri (che sorprendentemente dichiara di non essere riuscito a reperire36), Mario Isnenghi si concentra proprio sugli aspetti politici (e non su quelli estetico–letterari37) dell’opera di Mariani, fornendo un quadro d’insieme di cui condividiamo, senza riserve, molti giudizi, appannati tuttavia talora da alcune distrazioni che non possiamo fare a meno di rilevare. Nell’esordio perentorio, infatti, in cui Isnenghi definisce la produzione di Mariani come “‘la letteratura di consumo’ del piccolo borghese sovversivo”38 e ne sottolinea giustamente gli aspetti rivoluzionari, eclettici, ribellistici e protestatari, lo studioso non sa esimersi dal ripetere la consueta litania39 ― comune in sostanza a tutta la storiografia critica del secondo Novecento in Italia ― della “letteratura di consumo” (Mariani, da Verona, ecc.) d’imitazione dannunziana e destinata per ciò stesso ad un vasto pubblico piccolo– borghese incapace (senza che mai nessuno spieghi i motivi di questa presunta incapacità d’intendere e di volere) di leggere direttamente le opere di d’Annunzio o quelle di Nietzsche, ma bisognosa invece, 36 Cfr. Mario Isnenghi, “Ritratti critici di contemporanei. Mario Mariani”, Belfagor, nr. 133, anno XXIV, 31 gennaio 1969, p. 53: “Sul Mariani, Russo segnala un profilo critico che non ho purtroppo finora potuto vedere: Girolamo Lazzeri, Mario Mariani, Milano, La Modernissima, 1919.” 37 Ibid., p. 46: “Vorrei solo contribuire a rimettere in circolazione Mariani, con criterio non certo estetico, ma sociologico e ideologico.” 38 Ibid., p. 45. 39 Ibid., pp. 45–46: “Tanto più in quanto si tratta di una letteratura dichiaratamente tesa, tramite l’enfasi politica e lo scandalismo provocatorio, a un’opera di mediazione ideologico–politica nell’ambito del grande pubblico, ostentatamente sovversiva, a grande tiratura e diffusione (per i tempi) di massa: tesa per un verso a tradurre a un livello diverso, alla maniera di Guido da Verona, l’erotismo e il ‘superomismo’ dannunziano, per un pubblico borghese–popolare di bocca buona (basso–borghese, invece di alto–borghese); aggiungendovi per un altro verso, rispetto all’autore di Mimì Bluette e allo stesso poeta politico dell’impresa fiumana, una esplicita intenzionalità politica ribellistica e protestataria; traducendo per cosí dire Nietzsche a un livello di massa, proponendolo come bandiera dell’insubordinazione, accennandone una saldatura con criteri marxisti ed atteggiamenti anarco–sindacalisti e insomma portando il ‘superuomo’ in piazza contro il blocco delle oligarchie.” Il quadro critico 21 per qualche misterioso motivo, di leggerne il rifacimento (che, secondo noi, rifacimento non era) fattone appunto dagli epigoni come da Verona o Mariani. Non riteniamo necessario tornare qui ad una dettagliata confutazione di questo assioma (che riteniamo non solo infondato ma anche offensivo nei confronti di un vasto e colto strato sociale dell’Italia del primo Novecento), del quale ci siamo già ampiamente occupati in altra occasione40, ma non possiamo fare a meno di suggerire ― anche solo a livello epidermico ― come la lettura dei romanzi di d’Annunzio non risultasse allora (né risulti oggi) piú difficoltosa, per un lettore della piccola o media borghesia italiana, di quella delle opere di Zuccoli, da Verona, d’Ambra, Pitigrilli o Mariani. L’altra affermazione di Isnenghi, sulla quale non possiamo trovarci d’accordo (soprattutto tenendo conto del fatto che il suo studio appare nel gennaio del 1969 e dunque non solo nel momento piú caldo della contestazione studentesca41 in Italia, ma proprio nei giorni delle bombe di Milano e Roma42) è quella secondo cui l’opera politicamente aggressiva e rivoluzionaria di Mariani sarebbe stata ormai priva d’interesse43 a causa dei mutamenti verificatisi nella so40 Cfr. Enrico Tiozzo, Il romanzo blu. Temi, tempi e maestri della narrativa sentimentale italiana del primo Novecento, voll. 1–5, Roma 2004–2006. 41 Cfr. Giordano Bruno Guerri, Antistoria degli italiani, Milano (1997) 1999, p. 385: “Così, un movimento fortemente antifascista, che si poneva a sinistra del PCI e gli era fortemente alternativo, condivideva criteri vicinissimi al fascismo originario. Nessun migliore esempio della violenza, che per gli attivisti del ’68 era essenziale, inevitabile e dunque giustificata perché rivoluzionaria e ‘antiviolenta’, valore fondante al quale si doveva ricorrere per creare la nuova società. Molti storici hanno minimizzato questo aspetto e sottolineato invece che per la prima volta in Italia buona parte dei ceti medi, da cui proveniva la maggioranza degli studenti, si spostava a sinistra, mentre nel fascismo gli studenti erano spostati a destra. In realtà, studenti e attivisti dei primi anni del secolo erano in bilico tra destra e sinistra, ossessionati dalle medesime necessità di quelli del 1968: come loro volevano cambiare a qualunque costo, compresa la violenza, un sistema parlamentare ipocrita e inefficace.” 42 Ibid., p. 389: “Il 12 dicembre 1969 esplosero tre bombe, una a Milano e due a Roma, che provocarono nel complesso sedici morti e centosei feriti. L’esplosione più distruttiva avvenne nella banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana, a Milano.” 43 Cfr. Mario Isnenghi, “Ritratti critici di contemporanei. Mario Mariani”, op. cit., p. 47: “Il tentativo dell’editore Sonzogno di ricuperare e riproporre Mariani in questo secondo dopoguerra ― pubblicandone le opere a partire dal 1947 ― non ha ricreato un caso Mariani e i suoi libri giacciono oggi sugli scaffali dei rigattieri. Probabilmente perché 22 Capitolo I cietà italiana. Isnenghi riteneva dunque che l’opera di Mariani fosse legata “al permanere di [...] tensioni sovversive nella società”44 e che fosse perciò ormai “fuori gioco nella fase in cui il sistema ebbe ritrovato una sua coesione e un suo rinnovato equilibrio interno tra le componenti settoriali”45. Ci domandiamo naturalmente quale possa essere stato il motivo di questa particolare lettura, da parte di Isnenghi, di quanto stava avvenendo in Italia al termine degli anni Sessanta in un quadro politico in realtà molto consono al messaggio rivoluzionario lanciato da Mariani mezzo secolo prima e dunque, in potenza, particolarmente adatto a recepire le idee dello scrittore oggetto del suo studio. È ipotizzabile che lo studioso si sentisse già vincolato alla sua tesi (incline ad estromettere in ogni caso il pensiero di Mariani da una possibile interazione con la società italiana dell’ultima parte del Novecento) e che egli abbia quindi ritenuto di poter ignorare quanto stava avvenendo ― anche a livello di lotta politica ― nell’Italia di quegli anni46. Spiace dunque, a proposito del lavoro di Isnenghi, che la sua analisi ― accuratamente impostata sugli aspetti esplicitamente sovversivi dell’opera di Mariani ― leghi però questa attenta lettura alla condizione “piccolo borghese” l’analogia storica tra i due dopoguerra era più apparente che reale e i margini del sovversivismo piccolo–borghese ― nel quadro di una situazione dominata e bloccata dalla presa politico–organizzativa dei partiti di massa ― di molto più ristretti. Del resto quanto ancora sopravviveva di tale sovversivismo era andato a ingrossare le file del fronte popolare o a coprirle culturalmente, tramite la mediazione degli ex–fascisti di sinistra e dei vari ‘compagni di strada’.” 44 Ibid., p. 47. 45 Ibid., p. 47. 46 Cfr. Giorgio Bocca, Il terrorismo italiano 1970–1980, Milano (1978) 1981, pp. 13–14: “Prima Franceschini poi mano a mano tutti gli altri vanno in Lombardia fra il 1969 e il 1970, anni convulsi e tetri di crisi politica e di interventi terroristici diretti dai servizi segreti. Il centrosinistra, il governo di coalizione fra democristiani e socialisti è fallito; la grande contestazione operaia e studentesca è già in crisi ma va colpita, spezzata. I servizi segreti italiani con ogni probabilità collegati con quelli americani della NATO pensano che possa funzionare la ricetta greca: bombe, terrore, svolta moderata, se occorre un piccolo colpo di stato o un colpo di stato strisciante. Sono cose che vanno ricordate se si vuole capire che il terrorismo rosso non è patologia e neppure figlio di nessuno; ma effetto estremo di una crisi che è stata di tutti, risposta estrema a una paura che è stata di molti.” Il quadro critico 23 della quale lo scrittore si sarebbe fatto ambivalente interprete47. Del resto Isnenghi non pretende di dare conto ― nel suo saggio ― dell’intera produzione dello scrittore da lui studiato (giudicata, forse con una certa esagerazione, amplissima48) ma sottolinea come le opere sovversive di Mariani contengano contraddizioni ed incongruenze sul piano ideologico comunque interessanti perché testimoni di uno scontro (interno alla classe piccolo borghese) di fronte al fenomeno del fascismo49, che spiegherebbero anche l’esaurirsi della spinta rivoluzionaria delle stesse opere nel momento del consolidarsi dello Stato voluto dalla dittatura50. Si delinea cosí il profilo di un Mariani prima “fascista di sinistra” e poi antifascista ma, nello stes47 Cfr. Mario Isnenghi, “Ritratti critici di contemporanei. Mario Mariani”, op. cit., p. 44: “Mario Mariani, ovvero la letteratura di consumo del piccolo borghese sovversivo. Uno studio dell’ambivalenza oggettiva del sovversivismo piccolo–borghese ― colto attraverso la mediazione letteraria, nel periodo tra la prima guerra mondiale e il fascismo, in Italia ― non può trascurare la vasta, tracotante, eclettica opera di diarista, novelliere, divulgatore di temi politici e filosofici di Mario Mariani.” 48 Ibid., p. 45: “Far ordine tra questo diluviare di romanzi, novelle in prosa e versi, dialoghi drammatizzati, disquisizioni ideologiche, attacchi e polemiche difese, dichiarazioni estetiche, filosofiche e politiche, il tutto uscito in svariate migliaia e numerose edizioni ― per lo più non datate, secondo l’uso di questo tipo di produzione uscita dall’editore Sonzogno a Milano ― e accentrato in una serie ristretta di anni, dieci anni circa, da La casa dell’uomo (1915) a L’equilibrio degli egoismi (1924), è impresa di non poco impegno, che qui non si intende tentare […].” 49 Ibid., pp. 46–47: “In realtà Mariani aveva interpretato ― a livello d’una letteratura non solo d’intrattenimento, ma ideologico–politica, secondo il taglio, il livello, il linguaggio, il pubblico che s’era scelto, di cui recepiva le interne tensioni storiche e per cui tentava delle risposte ― una fase aperta, pugnace e sia pure contraddittoria, ambivalente e reversibile della piccola borghesia italiana: quella dell’insubordinazione, della ricerca, tra l’interventismo e il fascismo, della rottura del blocco oligarchico tradizionale e d’un proprio rinnovato ruolo sociale. Quanto più è eclettica ed anche confusa l’opera di Mariani, tanto più diventa significativa e rappresentativa come luogo d’incontro di tutte le ipotesi sovversive, le contestazioni del tempo: dallo spontaneismo e anarco–sindacalismo all’interventismo rivoluzionario, dalla critica di classe alla guerra, al comunismo, all’anarchismo, da temi comuni al fascismo, arditismo, fiumanesimo, futurismo del Diciannove, all’antifascismo e a un Aventino non rinunciatario.” 50 Ibid., p. 47: “L’epoca della letteratura sovversiva di Mariani si chiude con il chiudersi del sovversivismo piccolo–borghese, la sconfitta del massimalismo, del comunismo, del fascismo ‘di sinistra’, la svolta reazionaria del mussolinismo e quindi la rinuncia degli ex–sovversivi alla contestazione, il ritorno all’ordine, l’integrazione subordinata nello stato nazional–corporativo.” 24 Capitolo I so tempo, s’intravvede anche implicitamente ― nell’analisi d’Isnenghi ― una sorta di divisione tra le opere sovversive del primo periodo e quelle invece non sovversive del periodo posteriore, una distinzione che lo studioso lascia nel vago e che, rimanendo irrisolta, non ci convince del tutto soprattutto perché Isnenghi se ne serve per spiegare inopinatamente la perdita di popolarità dello scrittore al termine di una determinata fase storico–sociale51. Isnenghi sottolinea infatti come Mariani, già interventista prima della guerra, si fosse messo in urto, con le sue tesi estremiste ed avventuriste, con i rappresentanti del socialismo italiano del primo dopoguerra52, polemizzando sia con gli ex neutralisti che con gli ex interventisti perché né gli uni né gli altri potevano condividere la sua aspra critica del conflitto, condannato, secondo l’interpretazione di Mariani, in quanto non era stato in grado di portare la rivoluzione in Italia “con esplicito riferimento al dirompente ottobre sovietico”53. L’incoercibile sovversivismo di Mariani si configura soprattutto, secondo il punto di vista di Isnenghi, come attacco alla piccola borghesia e alla burocrazia operaia, incapaci, in Italia, di capire, interpretare e gestire la spinta rivoluzionaria delle masse operaie e destinate perciò a fare il gioco dell’oligarchia capitalista54. Torneremo 51 Ibid., p. 47: “Il carattere stesso di adesione immediata, di interpretazione e presa dei libri di Mariani su un certo pubblico di una certa circoscritta fase sociale in cui particolarmente attive erano le tensioni centrifughe e i sommovimenti interni ed esterni al sistema, ne circoscriveva il successo alla esistenza di un ‘mercato’, d’una ‘domanda’, intesi in senso ideologico–politico prima che commerciale, cioè al permanere di queste tensioni sovversive nella società; li metteva invece fuori gioco nella fase in cui il sistema ebbe ritrovato una sua coesione e un suo rinnovato equilibrio interno tra le componenti settoriali.” 52 Ibid., p. 48: “Nelle pagine di Mariani corre spesso quel sapore di jacquerie che un esponente tipico della tradizione socialista italiana, Filippo Turati, coglieva con disgusto e terrore nelle agitazioni proletarie, p. es. quelle antibelliche del 1917, l’estate che precede (e prepara) Caporetto.” 53 Ibid., p. 49. 54 Ibid., pp. 49–50: “L’aggressivo sovversivismo di Mariani si esprime in un preventivo attacco complementare alla piccola borghesia, asservita ai ‘duecentomila’ sfruttatori che dominano e saccheggiano il paese, e alle burocrazie operaie che gestiscono, ingabbiandolo, il movimento delle masse. Il dominio dell’oligarchia capitalista si realizza proprio attraverso una doppia forma di controllo e integrazione, che è prevalentemente ideologica nei confronti della piccola borghesia, istituzionale e organizzativa nei confronti del pro- Il quadro critico 25 (nel corso della nostra analisi delle opere di Mariani) agli argomenti qui portati da Isnenghi a sostegno del suo discorso, ma siamo a grandi linee d’accordo con quanto lo studioso scrive a proposito della corrosiva critica e del violento attacco di Mariani contro quei valori tradizionali piccolo–borghesi55 che, nella sua ottica, avevano esercitato una funzione repressiva. Vengono cosí messi in evidenza la matrice essenzialmente politica e lo scopo rivoluzionario sottesi ai temi che Mariani svolge nella sua produzione narrativa, peraltro ― come Isnenghi non manca di ricordare ― presenti anche in altri scrittori europei molto amati56 dall’autore de La casa dell’uomo. Appare però, a questo punto, evidente anche ad Isnenghi (soprattutto per il periodo storico in cui vengono a collocarsi queste prese di posizione ideologiche di Mariani) come gli attacchi dello scrittore romano alle strutture di base della società borghese nell’Italia del primo dopoguerra si vengano a confondere sia con alcune istanze dello stesso fascismo come movimento rivoluzionario, sia con il fuletariato. Chi intende frantumare lo stato oligarchico deve dunque interrompere il circuito di dipendenza che incatena la maggioranza ― nelle sue due componenti settoriali, fin qui non a caso storicamente giustapposte e disgiunte ― alla minoranza dominatrice. La rivoluzione potrà scaturire, in un paese come l’Italia, solo come il risultato ultimo di questa pregiudiziale operazione distruttiva e quindi dall’alleanza del proletariato e della piccola borghesia, cioè della grande maggioranza del popolo italiano. I libri di Mariani, specialmente nel primo dopoguerra, sono consapevolmente rivolti a questo programma ‘rivoluzionario’.” 55 Ibid., p. 50: “Si tratta, per Mariani, da una parte di indicare l’uso sociale e il significato politicamente repressivo dell’ideologia tradizionale (religione cristiana, morale ‘cristiano–borghese’) e degli istituti, costumi e valori connessi (chiesa, matrimonio, famiglia, inferiorità sociale della donna, sessuofobia, educazione familiare, delitto d’onore, mito della verginità ecc.); dall’altra, di demistificare il principio della delega operaia a rappresentanti che tradiscono la classe nel momento stesso in cui ne ricevono l’investitura.” 56 Ibid., p. 50: “Nell’autopresentazione, Mariani è esplicito nel farsi rappresentante d’una letteratura di idee, funzionale ad una battaglia politica in corso; e dichiara di non voler ‘cantare’ ma ‘pensare’. Si tratta, dice, d’un nuovo indirizzo europeo, che letterariamente ha le sue origini nella stanchezza del verismo psicologico e dell’edonismo decadente, più latamente in tutta la crisi mondiale di cui è effetto e causa la guerra: non a caso, continua, nel 1915 vengono scritti questi tre libri: Il suddito di Heinrich Mann in Germania, L’Enfer di Barbusse in Francia, La casa dell’uomo di Mariani in Italia: tre manifesti antiborghesi, che illuminano i tempi.” Capitolo I 26 turismo, sia con un indistinto qualunquismo57 dai risvolti non sempre precisabili. Piú interessante ci appare allora la spiegazione che Isnenghi propone a proposito della convivenza, in Mariani, di una disperata ideologia rivoluzionaria antiborghese con una produzione narrativa pedissequamente legata ai piú vieti dettami della letteratura di consumo cara alla piccola borghesia58. Secondo Isnenghi, Mariani si sarebbe dunque servito consapevolmente di moduli letterari che gli erano sgraditi (o che comunque non amava e non condivideva nel profondo) al solo scopo di poter manipolare, per loro tramite, quel vasto pubblico piccolo–borghese al quale intendeva far recepire ― in modo piú o meno subdolo ― il suo dirompente messaggio sovversivo antiborghese59. Mariani avrebbe cosí travestito la sua 57 Ibid., pp. 50–51: “[…] Mariani ha pagine violente, sprezzanti, in cui non è sempre facile stabilire un taglio netto tra un fondo di qualunquismo antipartitico e suggestioni ideologiche e giudizi storico–politici di varia origine: Mariani raccoglie comunque la critica alla degenerazione parlamentaristica e riformista del movimento operaio che era da anni nell’aria in Italia ― e specialmente a Milano dove lavorava Mariani ― , dai soreliani a Corridoni, a De Ambris, allo stesso Mussolini, al massimalismo e alla gioventú del partito ecc.; si spinge anzi fino ad intendere il carattere funzionale delle burocrazie operaie nell’istituzionalizzazione e integrazione della conflittualità sociale.” 58 Ibid., pp. 51–52: “Effettivamente, qui l’intenzione sovversiva si saldava alle sue esigenze di produttore letterario di novelle erotiche e di romanzi ‘rosa’; ma se quest’ultima dimensione ‘consumistica’ è quasi sempre presente nella torrenziale produzione di Mariani, molto spesso essa agisce da veicolo di un discorso tutt’altro che d’evasione, anzi di ambiziose implicazioni; e da provocatoria e captante chiave d’accesso presso un certo pubblico ― il quale, data la diffusione degli Scrittori moderni italiani e stranieri e la politica editoriale della casa Sonzogno, poteva avere una notevole ampiezza e pluralità sociale ― d’una problematica socio–politica di impronta nettamente, anche se ecletticamente, sovversiva. Il sesso come mediazione di un certo sovversivismo, d’altronde, non è prerogativa dei libri di Mariani, spazia ai livelli più varî da Wilhelm Reich fino ad ‘ABC’; ne rappresenta, direi, una costante storica e ne ripete, tra aggressione ed evasione, la fondamentale ambivalenza.” 59 Ibid., p. 52: “Può corrispondere, soggettivamente, alla razionalizzazione d’un ‘genere’ richiesto dal mercato, all’orecchiamento, spesso, di mode e avvenimenti della cronaca o di letture non rigorose; resta il fatto che, oggettivamente, l’apertura e la commistione del genere ‘rosa’ a una sia pur torbida e convulsa problematica contemporanea, la politicizzazione della letteratura di intrattenimento, il suo inquadramento nella dimensione spazio– temporale d’una Milano europea, bellica e post–bellica, inquieta e fermentante, sono anch’essi segno dei tempi. Sia quel che si sia il valore estetico di questi libri: il successo indubitabile di questo agitatore letterario ― tale da ridimensionare, sul piano d’un immediato rispecchiamento dei tempi, anche testi ben altrimenti durevoli ― prova ch’essi, vio- Il quadro critico 27 produzione politica facendole assumere l’aspetto esteriore di una narrativa sentimentale di consumo. Quest’ultimo punto ci appare di un certo interesse dal momento che Isnenghi cerca di stabilire un legame tra la produzione narrativa di Mariani (etichettata comunque da lui senza ulteriori approfondimenti come letteratura di consumo di un immoralista) ed il fine politico dello scrittore di “minare la società borghese nelle sue stesse basi morali”60. È però una tesi poco plausibile oltre che alquanto generica in quanto altri scrittori italiani attivi nello stesso periodo e considerati, a torto o a ragione, di consumo o di qualità (da Zuccoli a Svevo, da d’Ambra a Pirandello) tracciavano con quei moduli letterari nelle loro opere un quadro altrettanto squallido di decadenza morale, senza per questo politicizzarlo nella maniera che, in Mariani, piú ha colpito Isnenghi. Molti di questi scrittori erano (al contrario del Mariani dipinto da Isnenghi) fautori e difensori della società borghese cui sentivano di appartenere con indiscussa fierezza anche se, nelle loro opere, ne mettevano a nudo i vizi e l’immoralità. Lo stesso ragionamento vale, in sostanza, anche per quanto Isnenghi osserva a proposito dei violenti attacchi di Mariani contro la religione cristiana61, una posizione provocatoria ed iconoclasta presente in molti dei romanzieri italiani suoi contemporanei senza contenere però un altrettanto preciso aggancio politico o rivoluzionario. Si profila cosí, in modo quasi paradossale ma deciso, la figura palesemente contraddittoria di un “immoralista”, che in realtà vorrebbe vedere rispettati i valori morali62 e dunque, sostanzialmenlentemente compromessi con l’ora, tentavano una risposta a esigenze e tensioni effettive. Una risposta politica.” 60 Ibid., p. 53. 61 Ibid., p. 54: “Per Mariani la morale ufficiale è funzione della religione cristiana e questa è funzione ideologica della società costituita. […] Per Mariani la via della rivoluzione è in effetti innanzitutto la via della disinibizione, della liberazione degli istinti naturali; e la società che, anche tramite la guerra, si va sfaldando e s’avvia verso il crollo, è una vera e propria società repressiva, sistematicamente organizzata ― con tutto il suo apparato di leggi civili e religiose, scritte e non scritte, esterne o introiettate ― a contenere, deviare, reprimere. […] Questa operazione ideologica è un’operazione politica.” 62 Ibid., p. 55: “L’immoralista Mariani, collezionatore di scandali mondani, trascinato in giudizio per offesa al pudore e al buon costume, si candida quindi a vero moralista ri- 28 Capitolo I te, di un intellettuale in conflitto insanabile con la società in cui era calato e della quale sapeva vedere solo gli insopportabili difetti e le stridenti contraddizioni messe a nudo dalla Grande guerra63, vista da lui anche come “occasione scissionistica rispetto al blocco oligarchico giolittiano”64. Isnenghi coglie con sicurezza gli elementi contraddittorî e confusi nelle posizioni, comunque sempre aggressive e provocatorie, di Mariani cosí come esse si profilano nella produzione amplissima del primo dopoguerra, alla luce dell’avvento del fascismo in Italia e dell’eco lontana della rivoluzione russa, nella speranza del “disgregarsi universale e profondo verso cui la società cristiano–borghese ineludibilmente precipita”65, in un possibile sovvertimento di tutti i valori riecheggiante i toni aggressivi e rivoluzionari del futurismo e del “fascismo delle origini”66. Isnenghi può cosí sviluppare il suo ragionamento sul sovversivismo ambivalente di Mariani67, interpretabile tanto in chiave fascista quanto in chiave comunista ma, in realtà, sintomo di una scontentezza e di un’aggressività (come ci sembra) non del tutto classificabili in termini strettamente politici ma ascrivibili piuttosto ad un’insofferenza e ad un’amarezza piú vaste, in cui i tratti psicologici si confondono spetto ad una società bigottamente ipocrita, ma in realtà marcia fin nelle ossa e per la quale la guerra mondiale ha funzionato da specchio della verità.” 63 Ibid., p. 55: “Nella guerra la mistificazione dei valori costituiti a tutti i livelli ― da quello patriottico a quello sessuale, dalla morale sociale a quella privata e familiare ― ha trovato il tracollo, dopo aver celebrato con enfasi un estremo tentativo di inveramento. Delle speranze come del tracollo rovinoso, Mariani, interventista e scrittore di guerra, è stato testimone e partecipe, bilicandosi nell’area delle visioni palingenetiche della guerra […].” 64 Ibid., p. 55. 65 Ibid., p. 56. 66 Ibid., p. 56. 67 Ibid., p. 57: “Risalta chiaramente da questo rifiuto dell’ideologismo giustificante l’ambivalenza di Mariani, corrispondente di guerra del ‘Secolo’ interventista democratico, da una parte, eversore irridente della guerra giustificata in nome dei Valori, simbolo d’una continuità progressiva tra pace e guerra, dall’altra. È proprio su questa tabula rasa dei valori e criteri direttivi che potranno accamparsi il sovversivismo ambivalente del dopoguerra e, volta a volta, le due linee di fuga dalla democrazia liberale verso soluzioni comunistiche e verso soluzioni fascistiche.” Il quadro critico 29 con quelli ideologici68. Feroce critico del capitalismo e cantore di Lenin (pur nell’affastellarsi delle ambiguità e delle contraddizioni) il Mariani del primo dopoguerra, cosí come ci appare nel ritratto di Isnenghi, sogna “una disgregazione e scomposizione a tutti i livelli, anarchicheggiante, della macchina della società e dello stato”69 e si profila come un fiero assertore della scissione avvenuta in seno al blocco interventista dopo la fine della guerra, oltre che come un severo critico dell’azione mussoliniana70. In definitiva tuttavia ― e cosí Isnenghi si avvia a concludere il suo studio ― l’aggressività e l’ambivalenza di Mariani hanno contribuito a creare intorno allo scrittore un clima di avversione a tutti i livelli e tale da inimicargli fascisti e comunisti, proletari e borghesi71. Su questo sfondo di generale condanna perderebbe cosí forza quel vagheggiamento, da parte di Mariani, di un’alleanza tra la piccola borghesia e il proletariato contro l’oligarchia dirigente72, speranza che rimane però, per 68 Ibid., p. 58: “Si può anche notare l’uso politico di categorie generalmente psicologiche, in quell’insistito richiamo ad uccidere i padri, i depositari delle antiche saggezze miseramente decomposte e crollate, i mistificatori falliti, staccandosi e sovrapponendosi ai quali solo si realizza la libera maturità dell’uomo e del mondo nuovo.” 69 Ibid., pp. 59–60. 70 Ibid., p. 60: “E ― come nella guerra Mariani era stato pronto ad avvertire i germi d’insofferenza e tensione scissionista, frutto d’una integrazione irrealizzata, passando quindi apertamente nell’immediato dopoguerra tra i detrattori e critici della guerra ― andato al potere Mussolini, Mariani, che lo aveva avversato dalla formazione dei Fasci, non si riconoscerà in questo tipo di avviata integrazione subalterna del proletariato e della piccola borghesia, dalla cui alleanza aveva sperato nel dopoguerra l’unica rivoluzione a suo giudizio possibile in Italia; ma resterà a difendere le ragioni della scissione, semmai accettando, dopo il delitto Matteotti, da aventiniano battagliero e non rinunciatario, il fronte tattico delle opposizioni.” 71 Ibid., p. 63: “È un quadro incompleto e tuttavia indicativo sia del sovversivismo che delle ragioni politiche ― a parte quelle estetiche, che probabilmente non sarebbero valse da sole, come non sono valse per altri ― della pressoché totale eliminazione dell’opera di Mariani da quella circolazione viva e di massa, in un ambito contestativo, a cui nel quadro politico della guerra e del dopoguerra aveva saputo candidarsi e giungere. Non solo lo stato nazional–corporativo, ma anche le burocrazie della delega operaia non potevano perdonare il sovversivismo borghese e la corrosiva carica spontaneista, estremista e rivoltosa di questo agitatore letterario, di cui altrimenti avrebbero potuto ben apprezzare, se non altro, il lungo antifascismo.” 72 Ibid., p. 64: “Da questa operazione scissionistica la piccola borghesia non ha da perdere che le proprie catene, ha da guadagnarci la direzione politica del blocco alternativo che essa stessa può e deve formare, poiché le condizioni storiche lo consentono, con il proletariato.” Capitolo I 30 noi, sostanzialmente difficile da capire73, alla luce della fiera avversione dello scrittore nei confronti della classe da cui egli stesso proveniva, e che finisce per prendere sempre piú i contorni di un’utopia in cui Mariani stesso molto probabilmente già nei primi anni Quaranta aveva finito di credere. La ricostruzione piú impegnativa del complesso e contraddittorio itinerario politico ed umano di Mariani è però certamente ― anche per le dimensioni ― quella di Emilio Falco, autore dello studio piú ampio e documentato finora pubblicato sull’argomento. Falco, la cui formazione come storico74 appare già dai suoi ringraziamenti a Renzo De Felice, sceglie nelle sue 199 pagine la strada cronologica, che si apre con la nascita dello scrittore75 e si conclude con la sua morte76. Sarebbe tuttavia ingiustamente riduttivo considerare il lavoro di Falco come una biografia, sia pure assai attenta, documentata e corredata da un amplissimo apparato di note, dal momento che lo studioso in realtà dedica poco spazio alle vicende della vita dello scrittore (che spesso addirittura gli sfuggono77 o sulle quali sorvola78) per concentrare invece la sua attenzione sull’attività politica di Mariani, che risulta cosí senz’altro come il tema centrale dello studio, a scapito (ma ciò avviene certo consapevolmente) dell’indagine letteraria che, nonostante il titolo ― per cosí dire ― “equidistante” della ricerca, non viene sostanzialmente mai affrontata da Falco. Se 73 Ibid., p. 65: “A questo punto, la critica alle burocrazie operaie integrate–integratrici mostra chiara la funzione che oggettivamente le va congiunta: candidare la piccola–borghesia a nuova avanguardia dirigente di uno scissionismo proletario ancora una volta eteronomo.” 74 Emilio Falco, nato nel 1952, è docente presso la facoltà di scienze politiche dell’Università La Sapienza a Roma. 75 Cfr. Emilio Falco, Mario Mariani tra letteratura e politica, Roma 1980, p. 11: “Lo scrittore nacque a Roma da Domenico ed Angelina Mondroni.” 76 Ibid., p. 117: “Ritornato a San Paolo con la famiglia collaborò per alcuni mesi al ‘Fanfulla’ fino al giorno della sua morte il 14 novembre 1951. Colpito da un infarto si accasciò sul suo tavolo da lavoro […].” 77 Ibid., p. 14: “Non siamo riusciti a reperire notizie relative alla sua attività politica e letteraria fino al 1907.” 78 Ibid., p. 126: “Non conosciamo con precisione le date di questi viaggi perché lo scrittore, pur parlandone spesso nei suoi libri, forse per accrescere di fronte ai lettori il suo fascino di ‘zingaro errante’ non rivelò mai quando essi avvennero.” Il quadro critico 31 piú di una riflessione viene dedicata di volta in volta alle opere d’impianto politico, viene invece totalmente a mancare l’analisi dei romanzi, dei racconti e delle liriche di Mariani, del tutto estranei alla sfera d’indagine dello studioso di dottrine politiche. Ci riserviamo quindi di citare qui Falco ampiamente per quanto riguarda il suo approccio al Mariani politico e riteniamo anche utile indicare subito quanto ci è apparso significativo nello studio in generale. Fin dalla prima pagina della sua ricerca Falco ritiene opportuno sottolineare tout court l’antifascismo79 di Mariani, nel segno di un’interpretazione politica che non ci appare pienamente condivisibile a meno che non si sottolineino contemporaneamente sia la contraddittorietà degli atteggiamenti politici dello scrittore, sia il suo vitalismo aggressivo, a lungo guerrafondaio e sostanzialmente antidemocratico, che ben si accordava con quanto il fascismo andava predicando negli anni della Grande guerra, sia ― infine ― il suo spietato anticomunismo del secondo dopoguerra. La chiave di lettura scelta da Falco viene confermata dal rilievo che lo studioso dà alle frequentazioni “di estrema sinistra”80 del padre dello scrittore, Domenico Mariani, di cui si ricorda anche l’appartenenza alla massoneria, pur se questi elementi paterni (potenzialmente “educativi” per la formazione del giovane Mariani) mal si accordano con il dichiarato odio dello scrittore nei confronti del genitore, che del resto non viene taciuto da Falco81. Abbozzato cosí il ritratto di un giovane interessato precocemente alla questione sociale, fieramente avverso alla Chiesa e alla religione, desideroso di provocare e di fare scandalo attaccando la borghesia e difendendo il proletariato, Falco sorvola sugli esordi 79 Ibid., p. 11: “I pochi studiosi che si sono occupati di lui si sono soffermati quasi esclusivamente sugli aspetti letterari della sua attività, trascurando invece la sua posizione politica e la sua costante opposizione al fascismo in Italia e all’estero.” 80 Ibid., p. 13. 81 Ibid., pp. 11–12: “Il padre, agiato possidente di Solarolo, […] aveva conosciuto ad Imola Angelina Mondroni, […] che non aveva voluto sposare, nonostante la nascita del figlio Mariano, perché la considerava di condizione sociale troppo umile rispetto alla sua […]. Lo scrittore fu però riconosciuto dal padre, ma la sua ‘origine illegittima’ fu sempre motivo di ribellione nei confronti della società che lo disprezzava e di odio verso i genitori.” 32 Capitolo I poetici dello scrittore ed è molto evasivo anche per quanto riguarda i viaggi all’estero82 che Mariani avrebbe compiuto tra il 1904 e il 1907 e dei quali noi (non essendovi su di essi altre testimonianze che quelle ― spesso inattendibili o romanzate ― dello scrittore) non siamo del tutto certi. Assai piú esaurienti sono invece le pagine che Falco dedica all’attività di Mariani come corrispondente da Berlino de “Il Secolo”, giornale radicale milanese, con ampie citazioni tratte dagli articoli relativi ad un arco di tempo tanto lungo (dal 1907 al 1915) quanto interessante per gli avvenimenti che precedettero in Germania lo scoppio della grande guerra. Falco sottolinea come Mariani, andando contro il socialismo83, fosse interventista e come egli contemporaneamente esprimesse “nell’ambito della letteratura interventista [...] una posizione originale ed isolata”84, perché il suo individualismo lo spingeva ad “esaltare la ‘Patria’ ed i valori nazionali”85. Se ne ricava quasi l’impressione ― come abbiamo accennato in precedenza ― che Falco faccia di tutto perché la posizione politica di Mariani, in quegli anni drammatici, non appaia come quella di un nazionalista86, con il risultato di proporre al lettore un’interpretazione che non può non apparire contraddittoria87 quando si leggono le pagine (che analizzeremo) scritte dal fronte e traboccanti di eroismo, di aggressività e di fierezza. Altrettanto imprecisa ci appare anche l’affermazione (con la quale Falco s’inserisce brevemente nel campo della letteratura) secondo cui Mariani dal 1914 al 1924 sarebbe stato “forse lo scrittore 82 Ibid., p. 15: “Tra il 1904 e il 1907 Mariani, insofferente dell’autorità paterna e spinto dal desiderio di ‘guadagnarsi da vivere’, fece vari viaggi a Parigi, a Londra e nell’America del Nord, esercitando spesso i mestieri più umili e formandosi nel contempo una cultura autodidatta e un po’ cosmopolita.” 83 Ibid., p. 36: “Nonostante tutto questo Mariani però non rinnegò mai il suo passato di interventista, rifiutando così la posizione politica del partito socialista ufficiale […].” 84 Ibid., p. 20. 85 Ibid., p. 20. 86 Ibid., p. 20: “Non sarebbe tuttavia esatto definirlo un nazionalista, perché non affermò mai di essere favorevole ad una politica di imperialismo territoriale od economico.” 87 Ibid., p. 20: “Per lui la guerra era una necessità inevitabile, ma l’intervento non suscitava in lui alcuna esitazione e neppure avversione nei confronti del popolo verso cui si sentiva debitore della sua formazione culturale e politica.” Il quadro critico 33 più letto in Italia”88 dal momento che “ogni suo libro veniva venduto in più di diecimila copie”89. Rimandiamo alle opere canoniche sull’argomento90, dalle quali risulta ― com’è del resto noto ― che altri erano in quegli anni gli scrittori piú letti dagli italiani. Né possiamo essere del tutto d’accordo con Falco sulla definizione che egli dà del superomismo di Mariani91 quale apparirebbe dalla lettura di un’opera come La casa dell’uomo e sul quale ci soffermeremo piú a lungo nella nostra analisi del libro in questione. Dopo aver parlato delle attività di Mariani nel 1916 come cronista di guerra per “Il Secolo” oltre che come soldato, Falco dedica la giusta attenzione all’analisi de Il ritorno di Machiavelli, definito “il primo libro in cui (Mariani) tentava di dare una elaborazione sistematica al proprio pensiero politico”92, e a Sott’la Naja considerato “forse, per le sue qualità letterarie [...] il suo libro più riuscito”93. È costante comunque, in Falco, la volontà di mettere in risalto nelle opere di Mariani “un confuso anelito verso una migliore giustizia sociale”94 che ― nel caso specifico ― viene riscontrato nell’interesse dimostrato dallo scrittore per le condizioni dei soldati italiani al fronte e nonostante la confusione del non saper distinguere tra le aspirazioni dei soldati contadini e quelle 88 Ibid., p. 22. Ibid., p. 22. 90 Cfr. Michele Giocondi, op. cit., p. 11: “Se la tiratura minima per un best–seller è fissata in 20.000 copie, e quindi molto più bassa di quella odierna, quella massima in molti casi fu tale da sembrare ancor oggi difficilmente raggiungibile. Il libro più venduto negli anni 1918–1943 fu Mussolini di Giorgio Pini, che oltrepassò le 400.000 copie in poco più di 15 anni di vendite. I libri che superarono le 300 mila copie furono una decina, quelli che si collocarono fra le 200 e le 300 mila furono 8, quelli da 100 a 200 mila 29, quelli da 50 a 100 mila una novantina, e quelli da 20 a 50 mila circa 190. L’autore più letto fu Guido da Verona, che intascò i diritti d’autore di oltre 2 milioni e mezzo di copie, seguito da Pitigrilli con oltre due milioni, da Gotta e da Brocchi con 1 milione e mezzo, da Milanesi e da D’Ambra con 1 200 000.” 91 Cfr. Emilio Falco, op. cit., p. 23: “Interessante è il suo ‘superomismo’, che univa e sintetizzava D’Annunzio, Marx e Nietzsche attraverso un pessimismo volto al suicidio ed espresso in una forma aspra, così come esigeva il contenuto che lo ispirava.” 92 Ibid., p. 27. 93 Ibid., p. 32. 94 Ibid., p. 33. 89 Capitolo I 34 dei soldati operai95. Ci riserviamo di tornare su queste considerazioni nel corso della nostra analisi delle opere di Mariani sulla Grande guerra e sulla vita militare in generale. Per quanto riguarda le attività dello scrittore nel primo dopoguerra, Falco si sofferma brevemente sulle traduzioni e sulle pubblicazioni di carattere letterario per mettere invece a fuoco l’interesse di Mariani per la rivoluzione russa, vista come “un fenomeno europeo inarrestabile”96, combinato qui ― secondo lo studioso ― con una visione dell’attività dello scrittore come “il Superuomo nicciano”97. Ci sfugge il nesso tra queste due posizioni non facilmente conciliabili tra di loro, che pure Falco mette l’una accanto all’altra per caratterizzare la posizione ideologica di Mariani durante questi anni. Né il quadro d’insieme diviene piú chiaro attraverso l’accenno di allargamento della valutazione di Falco alla produzione narrativa dello scrittore, giudicata scandalosa per quei tempi98, al pari della sua vita privata ricca di duelli e di relazioni ad alto contenuto erotico. Se ne ricava insomma la conclusione che ― com’è avvenuto anche per da Verona, Pitigrilli ed altri scrittori popolari in quegli anni ― il “Superomismo nicciano” sia dato per scontato piú sulla base di una condotta di vita spregiudicata che su quella della pagina scritta. D’indubbio interesse è invece l’accento che Falco (nell’ambito di un discorso piú vasto sugli attacchi contro la piccola borghesia99 contenuti nelle opere letterarie di Mariani) pone sulla feroce avversione dello scrittore nei confronti della famiglia (nucleo sociale da distruggere 95 Ibid., p. 34: “Non comprende soprattutto che le aspirazioni dei soldati contadini che costituivano la maggioranza della fanteria erano diverse da quelle degli operai e che gli uni e gli altri avevano interessi contrapposti o addirittura contrari.” 96 Ibid., p. 39. 97 Ibid., p. 39. 98 Ibid., p. 40: “Del resto l’amore era l’argomento dominante nella maggior parte delle opere di Mariani, amore che in quei tempi veniva considerato erotismo scandaloso e che come tale favorì il successo dello scrittore presso il pubblico anche se non presso la critica, che fu invece poco benevola nei suoi confronti.” 99 Ibid., p. 43: “Naturalmente lo scrittore non poté trascurare la realtà, per lui meschina, del piccolo borghese e perciò in Povero Cristo descrisse con crudo verismo il fallimento della vita e della famiglia di un membro della piccola borghesia.” Il quadro critico 35 per favorire l’avvento della rivoluzione100) che per lo studioso va vista come “la base della concezione etico–politica dello scrittore”101, anche se a Falco qui sembra sfuggire la contraddizione insita nell’autobiografismo (da lui stesso sottolineato102) di Povero Cristo, storia di un piccolo borghese fallito e disperato, e il tanto decantato “Superomismo nicciano” di cui Mariani si sarebbe fatto interprete contemporaneamente nelle sue opere. Si tratta, in ogni caso, di posizioni (l’odio per la famiglia) non del tutto originali, di cui si era fatto già interprete a livello europeo August Strindberg (che Mariani certamente aveva letto in traduzione tedesca o italiana) e che, negli stessi anni e con la stessa intensità, venivano espresse da altri romanzieri italiani di grande successo come da Verona, Pitigrilli e d’Ambra, senza però che, da parte di questi scrittori, venissero pronunciati inviti alla rivoluzione o fosse celebrato quanto era avvenuto in Russia. Falco non è del tutto alieno dal cogliere una contraddizione (ma di altro genere103) nell’atteggiamento di Mariani e non tenta un confronto con da Verona o Pitigrilli (peraltro intimi amici dello scrittore oggetto del suo studio), preferendo rifugiarsi piú comodamente nel consueto stereotipo dello scrittore “di consumo”, amato dal grande pubblico e per ciò stesso manipolatore nei confronti di gruppi sociali sprovveduti e sempre pronti a farsi plagiare104. Si tratta di uno snodo molto significativo nello studio di 100 Ibid. p. 44: “La distruzione della famiglia non era per Mariani soltanto una necessità sociale e politica (essa avrebbe provocato nelle intenzioni dell’autore il crollo della civiltà borghese fondata sui privilegi di nascita), ma anche ‘etica’ perché avrebbe permesso un amore nato da affinità ‘naturali’ e non da esigenze o necessità di carattere puramente economico.” 101 Ibid., p. 44. 102 Ibid., p. 43: “Il libro, chiaramente autobiografico, rivelava i difetti di un ceto che Mariani riteneva ignobile per il suo egoismo ma che, solo, poteva per lo scrittore realizzare la rivoluzione in Italia.” 103 Ibid., p. 46: “[…] la contraddizione della produzione letteraria di Mariani; il contenuto rivoluzionario delle sue opere veniva infatti espresso attraverso libri i cui protagonisti erano quasi sempre giovani tenenti, nobili decaduti, fanciulle della borghesia e della nobiltà, il cui solo scopo apparente sembrava quello di ‘amare’ il più possibile.” 104 Ibid., pp. 46–47: “Possiamo però osservare che, nel dopoguerra, la borghesia alla quale si rivolgeva Mariani e che leggeva i suoi libri era essenzialmente piccola borghesia che s’identificava con i protagonisti dei suoi romanzi dei quali ammirava il ‘superomismo’ 36 Capitolo I Falco, nel quale confluiscono vari elementi, ciascuno dei quali meriterebbe un’analisi particolareggiata: 1) il rapporto tra Mariani e il suo pubblico; 2) la volontà da parte dello scrittore di trasmettere al suo pubblico un particolare messaggio politico attraverso le sue opere di narrativa, 3) la ricettività della classe media italiana e la sua capacità di assorbire, attraverso opere di narrativa nel primo dopoguerra, un messaggio politico rivoluzionario. Sulla scontentezza di questa classe nei confronti del governo e sulla generale insoddisfazione degli italiani per le proprie condizioni di vita e per il poco che era stato ottenuto dal Paese dopo le sofferenze e le perdite della prima guerra mondiale, non possono sussistere eccessivi dubbi e non ci sembra opportuno appesantire questa ricerca con un eccesso di riferimenti alle ben note opere canoniche sull’argomento105. Falco sottolinea comunque energicamente (nel quadro dello scontento generale) quello particolare della piccola borghesia106 ed insiste poi sulla critica di Mariani agli errori dei socialisti italiani incapaci, a suo giudizio, soprattutto di capire che impiegati e piccoli professionisti erano gruppi talmente scontenti, a causa delle loro condizioni economiche, da poter essere reclutati per la rivoluzione al pari, o addirittura mee condivideva con lo scrittore ‘l’aspirazione ad una rivoluzione sociale e politica in cui poter svolgere un ruolo e direttive’ ma nella quale poter conservare il proprio ‘individualismo’ (lo scrittore mostrò sempre il più grande disprezzo per i pescecani arricchitisi sfruttando senza scrupoli il lavoro di operai e l’eroismo dei soldati attraverso gli appalti di guerra).” 105 Cfr. Renzo De Felice, Mussolini il rivoluzionario 1883–1920, Torino 1965, p. 458: “Ma il punto più basso della china non era ancora raggiunto. Nei mesi successivi sia la situazione economica (in maggio e in giugno il costo della vita ebbe un brusco aumento, con conseguente intensificarsi degli scioperi e delle agitazioni, in luglio in numerose città maggiori e minori si ebbero assalti ai negozi e ai magazzini, tanto da indurre le autorità a imporre una forzata riduzione del 50 per cento dei prezzi), sia quella internazionale peggiorarono ulteriormente e trascinarono con loro quella politica. La crisi del governo Orlando e la costituzione di quello Nitti (23 giugno) non portarono a nessun effettivo miglioramento. Sul piano politico, anzi, peggiorarono la situazione, data l’ostilità della destra per il nuovo presidente del Consiglio.” 106 Cfr. Emilio Falco, op. cit., p. 47: “La piccola borghesia era la classe sociale che più di ogni altra aveva risentito delle conseguenze della guerra, in quanto i contratti di affitto dei fondi e degli immobili erano stati bloccati dal governo e gli stipendi degli impiegati statali, che appartenevano al ceto piccolo borghese, erano aumentati in misura notevolmente inferiore rispetto ai salari degli operai.” Il quadro critico 37 glio, della classe operaia e comunque piú facilmente dei contadini (arricchiti e conservatori). La posizione critica di Mariani nei confronti della politica socialista (indecisa tra riformismo e massimalismo e vittima di una dirigenza troppo burocratizzata) è un elemento qui diligentemente messo a fuoco da Falco perché evidenzia la sostanziale insofferenza di Mariani verso ogni tipo di politica ― anche se estremista e non violenta ― che fa di lui una figura contraddittoria e a tratti particolarmente aggressiva, sempre desiderosa di una rivoluzione di qualunque segno, bolscevica o fascista107. Quella che invece ci appare meno chiara ― nell’analisi di Falco ― è la sottolineatura di come quell’atteggiamento spiacesse espressamente a Mussolini e al fascismo108, mentre contemporaneamente lo studioso sorvola su quanto la posizione di Mariani piacesse o spiacesse invece alla sinistra italiana di quegli anni. Il quadro si fa cosí alquanto ambiguo anche perché Falco insiste sul fascino esercitato su Mariani dalla figura del superuomo, di cui si servivano i fascisti109 (dunque nel segno di un’ammirazione dello scrittore per quanto erano stati in grado di fare Mussolini e i suoi), ma ― nello stesso tempo ― continua a battere sul tasto dell’antifascismo marianiano110. Ci rendiamo naturalmente conto del fatto che l’ambiguità e la contraddizione sono di Mariani e non di Falco, ma ci sembra tuttavia che Falco eviti accuratamente di prendere posizione sul reale atteggiamento politico di 107 Ibid., p. 49: “Per lo scrittore nessuno purtroppo era disposto a fare la rivoluzione o era in grado di farla e questa amara constatazione rappresentava il crollo delle sue illusioni e delle sue speranze.” 108 Ibid., p. 49: “Diventava quindi sempre più pericolosa per il fascismo l’azione politica di Mariani e perciò Mussolini, dopo la conquista del potere, ordinò la perquisizione dell’abitazione dello scrittore.” 109 Ibid., p. 51: “Il successo del fascismo, anche se non desiderato da Mariani, fu per lui una dimostrazione del valore storico–politico delle élites e degli ‘uomini superiori’, i soli individui capaci di conquistare e mantenere il potere.” 110 Ibid., pp. 51–52: “Comunque di fronte all’affermarsi del fascismo, Mariani fu colto da un profondo senso di scoramento perché pensava che i socialisti, che erano fautori della rivoluzione, lo denigrassero non ritenendolo un vero rivoluzionario. Riteneva inoltre che i fascisti, che detestavano la rivoluzione ma ‘la facevano’, lo odiassero perché lo consideravano un rivoluzionario. Sapeva anche che coloro che l’aggredivano non rischiavano alcuna condanna per la connivenza con la magistratura.” Capitolo I 38 Mariani e, sorvolando sulle inevitabili conclusioni di quanto è venuto esponendo, cerchi di rendere credibile l’immagine di un Mariani aggressivo, rivoluzionario, avverso a contadini e operai, fautore dell’avvento del superuomo nietzschiano, ma ― nello stesso tempo ― campione dell’antifascismo. Meglio avrebbe forse fatto a mettere decisamente e contemporaneamente sullo stesso piano gli aspetti peggiori delle due dittature che Mariani criticò (la fascista e la comunista), anziché toccare solo di sfuggita questo tasto evidentemente poco piacevole. Dopo una disamina delle idee di Mariani sul matrimonio, la scuola, la famiglia ecc. (prese da L’equilibrio degli egoismi), Falco preferisce scegliere di nuovo la strada della biografia e riferisce prima delle aggressioni subite dallo scrittore da parte dei fascisti tra il 1926 e il 1927 e poi della fuga di Mariani in Svizzera. Al periodo successivo della vita dello scrittore, Falco dedica un intero capitolo (“Il Volontismo”), incentrato sulla creazione da parte di Mariani dell’omonimo partito politico, che si proponeva di abbattere il fascismo con un’insurrezione armata. La genesi di questo partito, il suo programma111, la sua capacità di attrarre proseliti112, i rapporti con gli altri movimenti antifascisti, rientrano nella sfera di maggior interesse per lo studioso di dottrine politiche Falco, che aggiunge all’analisi politica anche una quantità d’informazioni sulla vita irregolare, dissipata e scandalosa di Mariani a Parigi. La conclusione a cui giunge Falco è che il partito volontista, in quanto privo di forti personalità politiche al suo vertice (con l’eccezione dello stesso Mariani) ed in quanto incapace di collaborare efficacemente 111 Ibid., p. 66: “Il movimento aveva anche una sua ideologia che era stata definita nel Programma di Roma, un opuscolo che Mariani affermava di aver scritto nel ’26, che era il riassunto della parte teorica de L’equilibrio degli egoismi, accettato anche dagli altri fondatori del partito in Italia.” 112 Ibid., p. 66: “La propaganda volontista ebbe infatti successo tra i giovani e gli operai e, sia pur lentamente, soprattutto a Parigi aumentò il numero degli aderenti e simpatizzanti al partito, anche se non siamo in grado di indicare quanti fossero gli iscritti e in quale città esso si sviluppasse, a causa della scarsa attendibilità delle fonti. Il Volontismo avrebbe potuto diventare un serio movimento antifascista poiché molti esuli avevano perduto ogni fiducia nei partiti aventiniani che consideravano responsabili di resa nei confronti di Mussolini e incapaci di una efficace azione insurrezionale a causa dei loro scrupoli legalitari.” Il quadro critico 39 con gli altri antifascisti (in particolare gli anarchici) non divenne mai veramente un partito moderno ed importante e si configurò invece come “un’organizzazione semi–clandestina di tipo massonico o [...] carbonaro con lo scopo di organizzare squadre di azione che avrebbero dovuto compiere attentati in Italia”113, peraltro mai realizzati. Privo dei fondi sufficienti per sopravvivere, dilaniato da discordie interne fra i suoi dirigenti e infiltrato da numerosi informatori fascisti, il Volontismo ― ad onta dei tentativi di Mariani di usare il pugno di ferro ― dovette registrare, nell’estate del 1927, l’espulsione di Mariani, accusato di illeciti economici dagli altri capi volontisti, e la successiva creazione di un secondo partito con lo stesso nome ed un nuovo comitato direttivo privo di Mariani. Quello che tuttavia manca ― nell’attenta ricostruzione che pure Falco fa del Volontismo ― è una critica delle idee stesse del movimento che, in quanto coincidenti con ciò che Mariani aveva espresso ne L’equilibrio degli egoismi, rasentano spesso la pura follia e non sono in grado di costruire nulla. Espulso anche dalla Francia nel 1927 ― continua il racconto di Falco, tratto di sana pianta da quanto Mariani stesso racconta in Vent’anni dopo ― Mariani si trasferí in Belgio, con frequenti puntate in Germania dove aveva in animo di creare un altro partito volontista, fino alla sua decisione di partire per l’America latina all’inizio del 1929. Sul periodo trascorso in Sudamerica, Falco fornisce una quantità di informazioni (per lo piú riprese ancora da quanto Mariani stesso ha riferito in Vent’anni dopo) che vanno dalle attività degli antifascisti in Brasile ai tentativi “di crearsi una nuova cerchia di lettori”114 scrivendo sui giornali di San Paolo. Qui è interessante notare come Falco metta in rilievo l’atteggiamento positivo di Mariani, appoggiato dalla massoneria, nei confronti della borghesia capitalistica115, affrettandosi però subito a giustificarlo affinché non si pensi ad un tradimento della classe 113 Ibid., p. 71. Ibid., p. 79. 115 Ibid., p. 79: “Sul giornale furono pubblicati alcuni articoli dello scrittore che sembravano quasi esaltare la borghesia capitalistica nei quali egli tratteggiava con acutezza il sorgere di alcune delle dinastie plutocratiche più importanti.” 114 Capitolo I 40 operaia116. Rimaniamo molto perplessi di fronte a questa argomentazione di Falco, anche perché la lettura delle opere di Mariani ― dopo la lunga pausa sudamericana ― rivelerà (come vedremo nella nostra analisi) una decisissima presa di posizione dello scrittore a favore del piú avanzato capitalismo nordamericano. Ci sfugge del tutto quindi il motivo di un’argomentazione capziosa che cerchi di dimostrare che Mariani era e rimaneva anticapitalista pur ammirando fortemente Ford e Rotschild e ci chiediamo se Falco si sia reso pienamente conto di quanto affermava. Ribadiamo di conseguenza ancora una volta il nostro dissenso dalla chiave di lettura politica scelta da Falco che ― avendo postulato la totale solidarietà di Mariani con la classe operaia ― si trova in evidente difficoltà quando deve confrontarsi con le posizioni individualistiche e filocapitaliste dello scrittore. Falco riferisce poi fedelmente gli scontri di Mariani a San Paolo con gli altri esponenti dell’antifascismo (ed in particolare con Francesco Frola), che costrinsero lo scrittore a trasferirsi a Montevideo per poi ritornare in Brasile in un momento particolare della storia di quel Paese agitato da un’insurrezione contro la dittatura. Piú che sugli altri avvenimenti della vita di Mariani in Brasile (fra cui il matrimonio nel 1933) Falco ferma la sua attenzione sui retroscena del passaporto richiesto dallo scrittore all’Ambasciata d’Italia per recarsi in Argentina e concessogli ― come sembra ― grazie all’appoggio di Mussolini117. Falco non può fare a meno d’ipotizzare qui una sorta di ricatto da parte di Mussolini, che avrebbe costretto Mariani a promettere di rinunciare alla sua attività politica in cambio del documento, ma questa ipotesi (che in realtà non sembra nemmeno a lui suffragata da prove) è smentita da quan116 Ibid., p. 79: “Tali articoli non devono essere considerati un tradimento nei confronti della classe operaia, ma un’analisi dell’individualismo borghese e un riconoscimento all’abilità e al coraggio di pochi (i Krupp, i Ford, i Rotschild) che dal nulla, con il loro lavoro e la loro intelligenza avevano saputo elevarsi al di sopra dei comuni mortali.” 117 Ibid., pp. 88–89: “Certamente inspiegabile è la condiscendenza di Mussolini che concesse il passaporto a Mariani, pure conoscendone il passato di antifascista, in cambio di una semplice promessa verbale dello scrittore di por termine alla sua attività politica. Non esiste infatti nelle carte del Casellario Politico alcuna dichiarazione scritta che confermi tale proposito ed anzi sembra invece che Mussolini rinunciasse a richiederla.” Il quadro critico 41 to Mariani stesso ammette in Vent’anni dopo, dove narra (come vedremo) che Mussolini nel 1927 gli fece offrire, con una certa generosità, di continuare pure a fare propaganda socialista sui giornali purché non offendesse il fascismo ed il suo capo. In Argentina del resto Mariani continuò imperterrito (come Falco riferisce) ad attaccare duramente Mussolini ed il fascismo in piú di un articolo, gettando l’allarme sul pericolo di un’espansione europea del fenomeno fascista e ponendosi al centro del movimento antifascista in Argentina, da dove assistette alle tragiche vicende del secondo conflitto mondiale. Nel quinto ed ultimo capitolo del suo studio, Falco segue il ritorno in Italia di Mariani nel 1947 a Milano, dove lo scrittore ormai sessantaquattrenne pensava di riprendere la sua attività giornalistica e letteraria ma soprattutto intendeva svolgere un ruolo politico importante nella rinata democrazia italiana grazie alle sue credenziali di antifascista. Qui ci troviamo di fronte ad uno snodo di notevole importanza per una valutazione, da parte di Falco, dell’operato politico di Mariani e della posizione nella quale egli tendeva a collocarsi nel momento della ripresa democratica in Italia. Le prospettive di successo dello scrittore erano senz’altro le migliori, anche per la sua lunga e forzata assenza dall’Italia che poteva agevolmente farne ― agli occhi degli antifascisti ― un tipico rappresentante delle vittime del regime ed un eroe dell’antifascismo. Nello stesso tempo il suo ritorno in Italia nel 1947 si presentava come un efficace banco di prova per valutare le sue scelte, le sue alleanze ed i suoi programmi sul fronte politico118. Falco, a sorpresa e nel momento di maggior interesse politico, introduce però di colpo una valutazione strettamente letteraria119 in chiave del tutto negati118 Ibid., p. 103: “Come sempre nella sua vita, lo spingevano la certezza, potremmo quasi dire fede, di ‘aver ragione’, e la volontà di ricercare non il suo utile personale, ma l’interesse della nazione.” 119 Ibid., p. 104: “Riteneva inoltre di poter ‘propagandare’ le sue idee politiche tramite la sua attività letteraria, così come aveva fatto nel primo dopoguerra e s’illudeva di poter tornar ad essere nuovamente uno degli scrittori più letti. I suoi libri furono ristampati dalla Casa Editrice Sonzogno che pubblicò anche le opere scritte dopo il ritorno in Italia ma, contrariamente alle sue speranze, i suoi libri rimasero invenduti nei depositi.” 42 Capitolo I va120, presentando inopinatamente Mariani come un sopravvissuto, incapace di esprimere pagine narrative (e dunque anche idee politiche!) di qualche interesse121 ed adducendo argomenti insostenibili (ai limiti del paradosso) come quello secondo cui l’Italia del secondo dopoguerra sarebbe stata troppo povera per capire i romanzi di Mariani, che invece avevano avuto tanto successo nell’Italia del primo dopoguerra (come se l’Italia del primo dopoguerra non fosse stata ancora piú povera di quella del secondo dopoguerra) o falsi (che ne fosse o no consapevole) come quello secondo cui un romanzo come Un uomo tutto per me (che a noi è apparso come il migliore di tutta la produzione di Mariani) fosse estraneo al pubblico italiano del secondo dopoguerra perché parlava di un ex ufficiale truffaldino ed arrivista. È la premessa non obiettiva a quanto verrà poi detto da Falco a proposito del parallelo fallimento di Mariani come politico, nel segno di una quasi innata incapacità da parte dello scrittore di riuscire a costruire qualcosa di concreto. Falco, servendosi ampiamente di citazioni tratte da Vent’anni dopo, recupera i giudizi fortemente negativi di Mariani sulla classe media, sul governo, sul parlamento ed anche sul comunismo122, del quale Mariani 120 Ibid., p. 104: “In realtà Mariani non era capace di comprendere i nuovi interessi del pubblico e lo stile e i temi dei suoi romanzi erano rimasti quelli di ‘Vent’anni prima’: per esempio Nino Soranzi, il protagonista del romanzo Un uomo tutto per me, era un ex ufficiale che viveva sfruttando il gioco e le donne in una cornice di nobili dissipati, borghesi lascivi e fanciulle impudiche, per i quali l’amore sensuale era non solo ragione di vita ma possiamo dire ‘filosofia’ cui era necessario dedicarsi con costanza per raggiungere la ‘perfezione’.” 121 Ibid., p. 104: “Tali ‘ideali’ nell’Italia del secondo dopoguerra non erano più capaci di suscitare interesse presso i lettori che vivevano, dopo il conflitto, nella miseria e nell’indigenza e per i quali la ‘società’ descritta nei romanzi di Mariani non era reale. Tuttavia insieme all’idealizzazione dell’erotismo nei suoi libri era sempre presente, come nel primo dopoguerra, una ‘feroce critica’ della società del suo tempo, anche se non più sorretta da illusioni o speranze, ma piuttosto legata ad un’intima convinzione che la sua azione non avrebbe mutato la situazione politica italiana.” 122 Ibid., p. 106: “La sua critica al comunismo era ancora più amara, perché confessava di essere stato comunista a vent’anni e di aver creduto nella rivoluzione russa e per questo, costretto a vedere quanto era stato capace di fare il comunismo là dove aveva potuto realizzarsi, gli veniva voglia di ‘sputare’ su tutta la sua giovinezza. In Russia non si era realizzato il socialismo, ma un regime terroristico in cui il popolo aveva perso ogni diritto e ogni oppositore veniva ucciso o scompariva misteriosamente, Il quadro critico 43 denunciava senza mezzi termini i risultati catastrofici, accomunandolo ― nella sua condanna ― al fascismo. Per qualche suo particolare motivo ideologico, Falco però ― anziché sottolineare con energia questa notevole conclusione alla quale era giunto Mariani ― mette invece in luce adesso, improvvisamente, la mancanza di obiettività e (melius abundare quando si tratta di difendere il comunismo) anche la volgarità dello scrittore123, contro il cui dogmatismo e la cui acriticità egli sente un impellente bisogno di mettere in guardia il lettore. È a dir poco curioso dunque come il Mariani di Falco fosse ritenuto critico ed obiettivo quando accusava il fascismo ma divenga di colpo acritico e dogmatico quando critica il comunismo. Nello stesso modo ambiguo viene liquidato il programma socialista di Mariani, giudicato “utopistico ed ingenuo”124, prima che Falco si soffermi sull’infatuazione dello scrittore per gli Stati Uniti, della quale però cerca di sottolineare soprattutto le caratteristiche negative legate al consueto discorso sul superomismo di Mariani125. La conclusione di Falco è dunque quella di un “singolare socialismo”126, come cifra politica riassuntiva dell’ultimo Mariani, vale a dire della proposta di un movimento politico in cui il potere venga gestito dai lavoratori senza l’intervento dello Stato, nel segno dunque dell’utopia, mentre viene ribadito il clima di disinteresse e d’indifferenza, nel quale ― anche per motivi politici (ma non nel perciò non poteva più accettare il silenzio di coloro che continuavano con ostinazione a negare tali crimini (il riferimento ai partiti operai italiani era palese).” 123 Ibid., pp. 107–108: “Certamente in questa analisi Mariani non si mostrava sempre obiettivo in quanto non riusciva a giudicare gli avvenimenti con distacco, come rivelava la sua prosa sempre irruente e talvolta volgare, esponeva le sue idee senza accettare critiche e rivelava ‘la sua verità’ considerata un dogma che i suoi lettori avrebbero dovuto accettare quasi fossero dei discepoli.” 124 Ibid., p. 108. 125 Ibid., p. 109: “Egli ammirava soprattutto la razionalità dell’economia americana in cui ogni individuo veniva impiegato secondo le reali capacità, senza essere sfruttato dallo stato e dal datore di lavoro perché la sua opera veniva giustamente retribuita. La società americana era per lui la realizzazione pratica di quel darwinismo storico in cui aveva sempre creduto: era una ‘lotta per la vita’ in cui solo ‘il più forte’ (il Superuomo possiamo aggiungere), raggiungeva il successo, ma dove tutti avevano la libertà di conquistare il potere politico ed economico.” 126 Ibid., p. 116. Capitolo I 44 senso attribuito ad essi da Falco127) ― era caduta ormai l’opera dello scrittore spentosi nel 1951. In realtà i motivi politici in gioco (che, a nostro giudizio, determinarono la malinconica uscita di scena di Mariani) non erano certo da ricercarsi, come accenna Falco, nelle utopie proposte nei romanzi e nei racconti pubblicati dallo scrittore a partire dal 1947, ma risiedevano invece nell’evidente scomodità politica di uno scrittore che attaccava a spron battuto socialisti, comunisti e democristiani, vale a dire quei partiti che già monopolizzavano (e che avrebbero continuato a monopolizzare) il potere in Italia dopo la caduta del fascismo. Chi poteva avere interesse ad appoggiare e a favorire a livello politico nell’Italia del 1947 un personaggio come Mariani? Ma Falco evita questo scoglio e, costretto a prendere infine posizione ― una volta per tutte ― sull’appartenenza politica di Mariani (fascista o comunista?), sospende il giudizio per tornare a ribadire ― dopo aver riferito alcuni giudizi critici sull’opera letteraria di Mariani ― soltanto l’antifascismo dello scrittore quasi a voler consegnare al lettore, con le sue ultime parole (in cui tornano tre volte i termini antifascismo/antifascisti ma non appare mai il termine anticomunismo!), questo particolare sigillo politico128. La nostra analisi ha messo in evidenza come Falco abbia palesemente privilegiato (per motivi che riteniamo ideologici e forse di parte) un lato (quello antifascista) del pensiero politico di Mariani ed abbia, nello stesso tempo, cercato di attenuare il piú possibile il lato (altrettanto ferocemente polemico) anticomunista presente nelle opere dello scrittore a partire da quando egli si rese conto di quanto era avvenuto in 127 Ibid., pp. 117–118: “Certamente possiamo ribadire che nel secondo dopoguerra i suoi libri furono dimenticati perché non rispondevano più agli interessi dei lettori ma riteniamo di essere nel giusto se consideriamo tale disinteresse causato anche dalle sue utopistiche ed irrealizzabili concezioni politiche.” 128 Ibid., p. 119: “[…] seppe difendere i suoi ideali politici ed il suo coerente antifascismo al punto da affrontare le aggressioni fasciste e l’esilio. Tale atteggiamento rende meschine le accuse d’immoralità che gli sono state rivolte. Il suo antifascismo fu alieno da riconoscimenti ed elogi, che del resto non gli furono mai attribuiti dall’‘antifascismo ufficiale’, ma come la sua produzione letteraria fu ‘trascurata’ dai critici e non da molti lettori del ‘popolo’, così gli antifascisti ‘più umili’ che lo hanno conosciuto, pur se talvolta non ne hanno condiviso le idee politiche, lo ricordano con rispetto e stima come abbiamo notato in diversi colloqui avuti con alcuni di loro.” Sono le parole finali del saggio. Il quadro critico 45 Russia con l’applicazione pratica di quei principi sui quali egli si era illuso, come tanti altri, nel primo dopoguerra. Falco è anche alquanto restrittivo nel citare e sottolineare l’acceso patriottismo, l’aggressività ed i toni nazionalistici del Mariani interventista e combattente. La conseguenza è che il ritratto politico e letterario di Mariani (nello studio piú ampio finora pubblicato sullo scrittore) non ci appare esaustivo né soddisfacente. 46 Capitolo I