GALLERIALUIGIGHIRRI
F O T O G R A F I C A _ C A L T A G I R O N E _ C T
C O M U N I C A T O S T A M P A
SPAZIO ESPOSITIVO: Via Duomo 11 c/o Corte Capitaniale, 95041 CALTAGIRONE CT
SICILIAN
WAYS AND DAYS
22 febbraio 23 marzo 2014
Fotografie di
Louise CAICO HAMILTON
Louise CAICO, Lina Caico
E la bella Trinacria, che caliga
tra Pachino e Peloro, sopra ‘l golfo
che riceve da Euro maggior briga
non per Tifeo, ma per nascente solfo …
Dante ALIGHIERI, Paradiso, Canto VIII, XIV sec.
ABSTRACT DI PRESENTAZIONE: nelle foto di Louise HAMILTON in CAICO, eclettica irlandese sposa di un siciliano di
Montedoro, la Sicilia e il Continente in trentasette piccole immagini originali; un “Grand Tour” intimo e famigliare con gli
occhi e la curiosità di una donna cosmopolita, colta e raffinata, fotografa per passione e "antropologa" per destino.
SPAZIO ESPOSITIVO: via Duomo 11 c/o Corte Capitaniale (95041) Caltagirone CT,
info + 39 334 3358978 + 39 333 2419089 [email protected]
TITOLO DELL’EVENTO: SICILIAN WAYS AND DAYS
AUTORE: Louise CAICO HAMILTON.
DATA DEL VERNISSAGE: sabato 22 febbraio, h 18.30.
DATA DI CHIUSURA: domenica 23 marzo.
ORARI D’APERTURA: lun./dom. 9.00 -12.30, 16.00 -19.00.
INGRESSO: libero.
PATROCINIO: Comune di Caltagirone CL.
INTERVENTI: Nicolò BONANNO, Sindaco di Caltagirone, Bruno RAMPULLA Ass.re alla Cultura di Caltagirone,
Calogero MESSANA, Raccolta civica di Montedoro, e lo scrittore Piero CARBONE.
CURATORI: Sebastiano FAVITTA e Attilio GERBINO.
APPARATO CRITICO: Marina BENEDETTO, Piero CARBONE, Giovanni CHIARAMONTE, Angelo CUTAIA,
Calogero MESSANA, Federico MESSANA e Pippo PAPPALARDO.
VOLUME: Vicende e costumi siciliani (traduzione italiana di Sicilian ways and days) disponibile in Galleria.
COLLABORAZIONE: Raccolta Civica di Montedoro, CL.
COMUNICATO STAMPA: Attilio GERBINO, [email protected].
RINGRAZIAMENTI: Ass.to alle Politiche Culturali Comune di Caltagirone CT, Giuseppina RICOTTA di Montedoro,
Calogero MESSANA della Raccolta Civica di Montedoro CL, la casa editrice LUSSOGRAFICA di Caltanissetta
e Sergio VINCI – di Riesi –, senza la cui disponibilità ultima sarebbe arduo dar seguito alle mostre della GHIRRI.
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È facile essere felici in Sicilia,
ma è un'operazione che richiede un adattamento biologico oltre che culturale:
bisogna imparare a vivere il tempo alla maniera siciliana.
Francine PROSE, scrittrice statunitense (1947 – vivente)
La Galleria Fotografica Luigi Ghirri di Caltagirone CT,
con la riscoperta della singolare e straordinaria figura di una donna, fotografa per passione e antropologa
per destino – l’irlandese Louise HAMILTON, di cultura eclettica e cosmopolita che nel 1880 sposa un
siciliano di Montedoro, il borgo del Vallone nisseno dove si trasferisce nel 1897 –, avvia un ciclo di mostre,
brani di un testo ben più ampio – la Rassegna Fotografica Luce dal Sud_Lungo la soglia dell’Occidente –
scritto a doppie mani, tra Milano e Caltagirone, da Giovanni CHIARAMONTE e dalla stessa GHIRRI.
L’approdo di questo ridotto, quanto eterogeneo corpus di foto della CAICO-HAMILTON per questa preziosa
mostra in Galleria ha del serendipico: dal suo fortunoso salvataggio ad opera di una sensibile signora
estranea al mondo della fotografia – dalla soffitta dimenticata di un rudere destinato alla demolizione –,
all’oblio ultradecennale prima della traduzione italiana di Sicilian Ways And Days – il bel volume illustrato,
edito, in origine nel 1910, per i tipi di John Long a Londra e di D. Appleton and Company a New York –, alla
riscoperta e al progressivo interesse, più vernacolare che scientifico, degli abitanti di Montedoro – l’Arcadia
primordiale dove Louise trascorse ben sedici anni prima di approdare a Palermo nel 1913 – per giungere,
senza compiersi, all’attenzione e agli studi appassionati – e tuttora in progress – dei fratelli MESSANA,
Calogero e Federico, creatori della Raccolta civica di Casa Messana a Montedoro.
Ma, al di là dell’indiscutibile rilevanza documentaria (per gli aspetti etno-antropologici, colti fotograficamente
da Louise che li registra con una scrittura assai prossima ai diari del Grand Tour europeo) in questa sede
preme sottolineare quanto l’opera della CAICO sia ancora in larga parte misconosciuta, non essendo stata
scientificamente indagata come, in realtà, meriterebbe. La sua stessa narrazione peraltro, sia pur poco
incline all’accettazione di questa Sicilia arcaica, maschilista e così agli antipodi del suo background d'origine,
e certamente intrisa di quel sottile e arguto humor anglosassone, immancabilmente tradisce l’interesse e la
curiosità per gli usi, i costumi, gli abitanti e, sopra ogni cosa, per quei cieli illuminati da una luce abbacinante
che da sola riesce a riscattare, agli occhi della stessa fotografa, questo cuore arido e sulfureo di Sicilia.
Da tempo ormai, gli impulsi elettrici del digitale hanno soppiantato le sostanze fotosensibili che la stessa
Louise manipolava empiricamente, approntando il laboratorio fotografico nella stanza della frutta di casa
CAICO, e tuttavia, oggi come allora, uno sguardo continua a osservare e traguardare ancora il paesaggio e
le vicende umane attraverso l’occhio di un mirino fotografico mentre la luce al Sud rimane abbacinante e la
Sicilia intorno – sempre sintesi e paradigma della civiltà Occidentale – continua a offrire nuove occasioni per
chi, nella fotografia, cerca riscatto o trova diletto.
Sebastiano FAVITTA e Attilio GERBINO
Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
Caltagirone, ottobre 2013
Qualunque cosa possa accadere ai Siciliani,
essi lo commenteranno con una battuta di spirito.
Marco Tullio CICERONE, filosofo e oratore romano (106 a.C. – 43 a.C.)
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Louise CAICO HAMILTON
Louise HAMILTON nacque a Nizza l'8 febbraio 1861 da Federico HAMILTON e da Pilatte ZULMÀ. Il padre
discendeva dal ramo irlandese del casato degli HAMILTON; ancora giovane lasciò il Regno Unito, per
divergenze con i rami scozzese ed inglese del casato, e non volle più mettere piede in patria per tutto il resto
della sua vita, rifiutando anche di parlarne la lingua. Scelse la Francia come sua patria elettiva e fissò la sua
residenza a Nizza, dove sposò la giovane Pilatte appartenente ad una famiglia di mercanti marsigliesi.
Dal matrimonio nacquero sei figli, di cui ultima Louise nel 1861. Quando questa aveva appena due anni, nel
1863, il padre decise di trasferire la famiglia a Firenze essendo suo intendimento dare ai figli una cultura
artistica ed umanitaria di alto livello d'impronta italiana. Fissò la sua dimora nei dintorni della città e
precisamente in una villa chiamata "La Canovaia".
Fu in quello stesso anno che Eugenio CAICO, allora dodicenne ed appartenete alla più cospicua famiglia di
Montedoro, da quel piccolo comune della provincia di Caltanissetta fu mandato dalla famiglia a Firenze per
compiervi i suoi studi medio superiori. Alla ricerca di una sistemazione abitativa e per circostanze che ci
sfuggono, Eugenio si trovò ad essere ospitato nella villa degli HAMILTON. Tale convivenza durò fino al 1870
quando il giovane CAICO, non dimenticando le radici laiche della sua famiglia, preso dall'entusiasmo per la
caduta di Roma in mano alle truppe piemontesi, decise di recarsi in carrozza con un gruppo di amici nella
nuova capitale d'Italia. La scappatella non fu gradita dalla famiglia, la quale richiamò Eugenio in Sicilia
facendogli troncare gli studi ed avviandolo all'amministrazione dei notevoli beni di famiglia.
Fino al 1880 per il giovane Eugenio fu un decennio di espiazione durante il quale non gli fu consentito di
lasciare il paese di Montedoro. In quell'anno finalmente gli fu accordato di fare un lungo viaggio in giro per
l'Europa e così, passando per Firenze, pensò d'andare a salutare gli HAMILTON, con i quali non aveva più
avuto neppure rapporti epistolari. Recatosi alla villa "La Canovaia" trovò nuovi inquilini dai quali apprese che
la famiglia da lui cercata da alcuni anni si era trasferita a Bordighera, dove viveva in una villa di proprietà.
Eugenio, senza frapporre indugi, vi si recò e qui, lui ormai ventottenne, trovò Louise divenuta una bella
ragazza nel fiore dei suoi diciannove anni.
Fu il classico colpo di fulmine tra il giovane signorotto di campagna e la leggiadra fanciulla che frattanto,
oltre alle scuole italiane, aveva frequentato le migliori scuole francesi e londinesi. Si fidanzarono e decisero
di sposarsi in tempi brevi. La famiglia di Eugenio però oppose un reciso rifiuto al matrimonio, soprattutto per
l'opposizione del fratello Cesare, il quale in quella unione con una straniera vedeva il pericolo di una
dispersione del patrimonio familiare. Eugenio non volle sentire ragioni ed in quello stesso anno (era il 1880)
sposò la bella Louise, accettando la pesante penalità dell'assoluto divieto di rimettere piede a Montedoro,
anche se la sorella Giulia, di nascosto a Cesare, non gli fece mai venire meno le rimesse di denaro. I giovani
sposi rimasero a convivere con gli altri membri della famiglia HAMILTON e fu lì infatti, nella villa di
Bordighera, che nacquero tutti i figli di Louise ed Eugenio; il primo fu Franco (morto in fasce nel 1881), a cui
fecero seguito Lina, Giulia, Federico e Letizia nel 1892. Frattanto il rigore dell'esilio si era attenuato e gli
venne consentito il rientro a Montedoro, ma da solo.
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Fu così che Eugenio nel 1894 trovò il coraggio di imbarcare moglie e figli a Genova per raggiungere la
Sicilia: giunto a Palermo, al momento dello sbarco, gli venne incontro un messo che gli notificò l'ordine
perentorio della famiglia di non presentarsi a Montedoro. A quel punto non poté fare altro che prendere in
affitto un appartamento in Palermo e qui, in Via Mazzini, sistemarvi la famiglia.
Passarono tre anni, prima che venisse meno l'opposizione del fratello Cesare, colpito da malattia che presto
lo portò a morte; così finalmente, nell'anno 1897, Eugenio poté per la prima volta portare la sua famiglia a
Montedoro. Era quello il periodo di massimo splendore della famiglia CAICO: era titolare di vasti
possedimenti terrieri, di molte ed altamente produttive miniere di zolfo, di parecchi fabbricati ed aree urbane.
Deteneva altresì il potere politico nel paese e vantava potenti amicizie anche a livello nazionale.
Louise HAMILTON, ormai divenuta Luisa CAICO, venne a trovarsi in questa realtà, nel cui contesto visse
dal 1897 al 1913, anche se frequenti erano le sue partenze per soggiorni più o meno lunghi a Palermo, a
Bordighera o a Londra. I sedici anni di vita montedorese furono per la CAICO-HAMILTON una esperienza
esaltante e ricca di interessi; usi, costumi, tradizioni, folklore fecero rivivere nella sua memoria ricordi
ancestrali di una civiltà classica scomparsa, che aveva imparato a conoscere ed amare sui libri, ma di cui
non aveva ancora avuto occasione di verifica o possibilità di scoperta delle radici.
Fu questo il periodo in cui maturarono nella scrittrice tutte quelle esperienze che lei felicemente tradusse nel
libro: "Sicilian ways and days". Quest'opera, forse senza che l'autrice lo volesse, è risultata un quadro
pregevole di umanità; in essa però non troviamo nulla che ci aiuti a capire l'autrice nel suo contesto di vita
familiare. Il soggiorno della CAICO-HAMILTON a Montedoro fu infatti ricco di interessi, ma non felice; i
rapporti col marito si andavano sempre più deteriorando anche perché in quella realtà ambientale si
evidenziava al massimo la diversa estrazione socio-culturale dei due coniugi, i quali finirono col vivere in un
vuoto familiare ancor più aggravato dall'assenza dei figli, i quali, prima andati all'estero per i loro studi,
avevano poi preferito inserirsi nell'ambiente palermitano in un momento felice della sua esistenza, quando
nella città fiorivano i Florio ed il Liberty.
Fu così che la CAICO-HAMILTON decise di togliere definitivamente le tende da Montedoro nel 1923 per
trasferirsi a Palermo per convivere con i figli. Mise casa in Via Isidoro Carini al civico n. 60; qui visse per
tutto il resto della sua vita, inserita nei migliori ambienti della cultura palermitana. Spesso la stampa si
interessò ai suoi scritti ed alla sua persona; in occasione della pubblicazione del libro "Sicilian ways and
days" il Giornale di Sicilia del 19 novembre 1911 pubblicò un'ampia recensione che occupava quasi
un'intera pagina del quotidiano.
Aveva una perfetta padronanza del francese, dell'italiano e dell'inglese, scriveva indifferentemente nelle tre
lingue e mise a frutto queste sue capacità facendo parecchie traduzioni come "Il tempo sepolto" di Maurice
Maeterlink, "Come essere felici sebbene sposati" di Hardy, entrambi dall'inglese. Pubblicò una sua
traduzione in francese di alcune liriche di Leopardi. Nel 1906, per i tipi di Sciarrino, venne pubblicato in
Palermo un suo interessantissimo opuscolo intitolato "Per un nuovo costume della donna in Sicilia". Il
Giornale di Sicilia pubblicò molte sue corrispondenze di viaggi.
La morte la colse all'età di 66 anni nella sua casa il 7 marzo 1927; la sua salma riposa nella tomba di
famiglia nel cimitero di Sant'Orsola di Palermo. Con essa riposano il marito ed i figli Lina, Letizia. Il Giornale
di Sicilia dell'8 marzo 1927, annunziandone la morte, così scriveva: "Si è spenta improvvisamente la nota
scrittrice Luisa Caico-Hamilton. Viene a mancare con Essa una delle figure più simpatiche e più interessanti
del nostro mondo letterario …"
Alfonso ALFANO
Palermo, 1992
Sai che cos’è la nostra vita, la tua e la mia?
Un sogno fatto in Sicilia. Forse siamo ancora lì …
Leonardo SCIASCIA, Candido, ovvero un sogno fatto in Sicilia, 1977
Scrittore e saggista siciliano (1921 – 1989)
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Il laboratorio fotografico
“La stanza della frutta,tuttavia, è piuttosto interessante, e abbastanza pulita, sebbene il pavimento il tetto e i
muri siano molto grezzi; per quanto riguarda le porte e le finestre, meglio non parlarne. Dico soltanto che
hanno i difetti comuni a tutte le finestre e porte della sorprendente casa: le finestre rifiutano di aprirsi e le
porte rifiutano fermamente di chiudersi. Una lotta, perciò, segue sempre il mio ingresso nella stanza: la
prima cosa che generalmente faccio è aprire le finestre e chiudere le porte, quest’ultimo non solo perché
non mi piacciono le correnti d’aria, ma per impedire che i colombi, che hanno i posatoi vicino a questa porta,
entrino nella stanza, dove li ho sorpresi a bere nel bagno di fissaggio e saltellare sulle foto umide.
Questa stanza è proprio in cima alla casa. Contiene molte grandi ceste di legno posati su trespoli, dove la
frutta dei nostri frutteti (pere, arance e melograni) è distesa. Corde sono stese attraverso la stanza ad una
certa altezza per appendervi i grappoli. Dall’altro lato vi sono una serie di casse di legno quadrate con
coperchio, dove è tenuta la nostra riserva di farina. Ogni mattina Annidda vi si reca, con una misura di legno,
per prendere la giusta quantità di farina per fare il nostro pane.
Può colpire il lettore il fatto che una stanza dove la frutta e farina vengono conservate non sia esattamente
la più pratica, per un fotografo dilettante, per la preparazione dei bagni di fissaggio e di viraggio, e fissare e
asciugare le stampe. C’è qualcosa di vero in ciò, ma la stanza è spaziosa, alta e arieggiata; ha una bella
vista dalla finestra che domina dall’alto tutto il paese e i suoi gruppi di case basse e grigie; e quindi vicina ad
essa la mia piccola camera oscura, dove tengo tutte le mie bottiglie. E quindi, ancora, questa stanza
essendo isolata in cima alla casa, non mi fa correre alcun rischio di essere interrotta o disturbata durante il
mio lavoro. Le casse della farina hanno circa l’altezza di un tavolo, e sono molto utili per fare le operazioni di
fissaggio, viraggio e lavaggio.
Cosa succederebbe se qualche goccia del liquido di fissaggio cadesse nella cassa e sporcasse la farina?
Ancora, cosa succederebbe se, quando agito le stampe fuori dal bagno di fissaggio, qualche goccia
raggiungesse i grappoli appesi sopra, o sulle pere nelle ceste? Sono abbastanza felice quassù, e
indisturbata, che è la cosa più importante.
Adesso che ho descritto la stanza della frutta, aggiungo che, quando Annidda venne zoppicando con le
giare dell’acqua raccolta nei vari stanzini della casa,mi misi a lavorare, e lavorai indisturbata tutta la
mattinata. Allora lasciai le mie stampe ad asciugare su un lungo asse, posato da un lato nel vassoio dei peri
e dall’altro nella cesta dei melograni, infine discesi nei piani bassi della casa.”
Louise CAICO
Traduzione di Calogero MESSANA
brano tratto da Un giorno d’estate a Montedoro
in Sicilian Ways And Days, 1910
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Louise Caico Hamilton: una storia proto-femminista
Ề un biglietto per le stelle
quello lì davanti a te,
cambierai la pelle,
ma resta speciale,
non ti buttare via.
In questo inferno
di ombre piatte,
in questo vecchio luna park,
resta ribelle, non ti buttare via.
NEGRITA, La tua canzone, 2013
Gruppo musicale rock, italiano
Curioso effetto aggirarsi fra questa selezione di fotografie di Louise HAMILTON CAICO.
Mi pervade un sentimento familiare, quello di sfogliare un vecchio album dimenticato in soffitta, le mie nonne
che incollavano immagini in rigoroso bianco e nero su pagine grigie di album con la copertina in pelle
decorata, eterogenea mescolanza di anniversari, panorami vacanzieri, cugini americani e antenati nel giorno
delle nozze: momenti e ricordi preziosi solo per il valore della memoria ad esse legati.
Ề solo l’apparente eterogeneità degli scatti di Louise HAMILTON proposti qui in Galleria Luigi GHIRRI
evocativa di questa suggestione da vecchio album in soffitta: ad una analisi più attenta non sfugge il talento
della fotografa nel tagliare le inquadrature, il suo occhio raffinato nell’individuare soggetti e panorami, in cui
affiorano gli anni di formazione artistica e umanistica, di cui la giovane HAMILTON poté fruire nel suo
apprendistato giovanile.
Da donna che “legge” le fotografie di un’altra donna, la tentazione è quella di indugiare sulla sua biografia il
cui ricordo mi accompagna nel percorso ideale fra queste immagini: diverte e stupisce pensarla sul dorso di
un quadrupede, scortata da un campiere, a zonzo per l’assolata campagna siciliana in caccia di emozioni
visive. Eppoi immaginarla alle prese con acidi e reagenti per sviluppare le sue immagini, indifferente allo
stridente contrasto con l’ingessato mondo siciliano femminile che le stava attorno, amica di poeti e letterati,
ribelle, indomita, contro-corrente sempre.
La mina vagante se n'è andata. Così mi chiamavate, pensando che non vi sentissi.
Ma le mine vaganti servono a portare il disordine, a prendere le cose e a metterle in posti
dove nessuno voleva farcele stare, a scombinare tutto, a cambiare piani.
Ferzan ÖZPETEK, Mine vaganti, 2010
Regista e sceneggiatore turco naturalizzato italiano (1959 – vivente)
Louise HAMILTON entra a pieno titolo nel novero delle molte che con coraggio elevarono la condizione
femminile, combattendo in un mondo di esclusione: Virginia WOOLF, Simon de BEAUVOIR, Sibilla
ALERAMO, Marina CVETAEVA, tanti nomi noti e meno che lottarono per sconfiggere pregiudizi e chiusure,
costruendo una società meno oppressiva per le donne di oggi. Mi piace ricordare il passo che chiude il
Discorso sulla felicità di Madame du CHÂTELET, epigrafe che dedico a Louise con la convinzione che lo
avrebbe apprezzato.
Cerchiamo di star bene in salute, di non avere pregiudizi, di provare delle passioni e di ricavarne felicità, di
sostituire le passioni con le inclinazioni. Di conservare le nostre illusioni, di essere virtuosi, e di non pentirci
mai, di allontanare le idee tristi e di non permettere mai al nostro cuore di conservare una sola scintilla di
piacere per qualcuno il cui piacere diminuisce e che ha smesso di amarci. Dovremo pur lasciarlo, un giorno,
questo amore, anche se non saremo già vecchi, e questo giorno sia quello in cui esso cessa di renderci felici.
Coltiviamo seriamente l’amore per lo studio, amore dal quale traiamo per noi stessi la felicità. Non lasciamo
che l’ambizione ci seduca, ma sforziamoci di saper bene quello che vogliamo essere: decidiamo la strada che
vogliamo seguire per trascorrere la nostra vita, e cerchiamo di cospargerla di fiori.
Madame Émilie du CHÂTELET, Discorso sulla felicità, 1779
Matematica, fisica e scrittrice francese (1706 – 1749)
Marina BENEDETTO
Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
Savona, febbraio 2014
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Da Montedoro a Caltagirone passando per il Castelluccio.
Appunti per un viaggio futuro.
A Racalmuto i fotografi, la grande fotografia, sono stati sempre di casa, ve li trainava SCIASCIA con la sua
forza e il suo carisma. Ma con la scomparsa degli uomini, si sa, a volte si dileguano anche le strade da loro
additate. E può accadere che casualmente, o miracolosamente, si possano riprendere antichi percorsi
virtuosi. Ề accaduto con la riscoperta delle foto di Louise HAMILTON CAICO, questa “inglesina” di lingua e
di cultura che tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento, al seguito del marito Eugenio CAICO, piomba
da Bordighera a Montedoro, minuscolo paesino dell’entroterra siciliano popolato o per meglio dire animato
come un presepio da poveri e poverissimi minatori, contadini, artigiani.
Louise HAMILTON (1861 – 1927), di madre francese e padre irlandese imparentato con i regnanti inglesi,
nata a Nizza e trasferitasi a Bordighera dopo avere studiato in Inghilterra, nel contrasto di “civiltà”, reagisce
in qualche modo per non soccombere: non scappa come la signora snob, di cui parla VERGA in Fantasticheria, ma resta incantata dal mondo “primitivo”, “esotico”, in cui viene a trovarsi e che osserva con
grande curiosità. Con sapiente umorismo, anche se, come scrive Federico MESSANA, riassumendo la
singolare vicenda biografica e intellettuale di questa femminista ante litteram: “Resta esterrefatta dalle
abitudini da medio evo dei paesani”. I compaesani la reputano “strana”, ma da questa stranezza, da questa
diversità, scaturirà un frutto che possiamo assaporare ancora oggi. “Il contesto siciliano di Montedoro, scrive MESSANA, - in cui "precipita" la nizzarda Louise, e l'impatto dirompente che ne consegue, generano
la sua più bella opera Sicilian Ways And Days, (Londra 1910, John Long) e tradotta in Vicende e costumi
siciliani (Palermo 1983, l’Epos)."
Dopo il rifiuto sciasciano, la prefazione è stata scritta dal professore universitario di Storia moderna Massimo
GANCI per il quale il libro “è una fausta riscoperta letteraria. […] Un libro che cerca di difendere, in chiave
moderata, intenzionalmente femminista e sostanzialmente antifemminista, i diritti della donna in un’epoca in
cui lo stesso suffragismo, antesignano del femminismo vero e proprio, era appena agli inizi.” L’allegato
corredo fotografico ha il valore di una poetica oltre che di una testimonianza: mentre Giovanni VERGA in
sintonia con il Naturalismo francese documentava usi e costumi della povera gente di mare della Sicilia
orientale, Louise HAMILTON CAICO, di tutt’altra formazione, produceva analogamente una corrispettiva
documentazione fotografica degli usi e costumi della povera gente dei feudi e delle miniere della Sicilia
occidentale.
Eravamo fermi alla conoscenza di questo singolare libro, degna integrazione delle ricerche del PITRÉ e del
Salomone MARINO, quando da Milano Federico MESSANA segnala, sul finire del 2012, la mostra di
fotografie di Louise HAMILTON a Montedoro, curata amorevolmente dal fratello Calogero. Alcune delle foto
esposte, con soggetti esclusivamente siciliani, erano state già pubblicate nel libro citato seppure in piccole
dimensioni (cm 7,5 x 9,5), ma la stampa ed esposizione recente di altre foto, provenienti da un baule che ne
contiene oltre 600 e gelosamente custodito dalla signorina Giuseppina RICOTTA, era una notizia nella
notizia. La mostra, tenutasi a Montedoro durante le festività natalizie del 2012, ospitata in una casa privata
di proprietà dello stesso curatore della mostra Calogero MESSANA, risulta una sorpresa, un ritorno alle
origini, una scoperta, un incanto: l’incanto del tempo fermato a un secolo fa. Come direbbe BUFALINO, “il
tempo in posa”. Grazie ad una delle prime Kodak armeggiata dalla lady inglese con sguardo da
etnoantropologa.
La curiosità di questa fotografa mitteleuropea, che nelle campagne siciliane viaggiava a cavallo scortata da
due campieri, ha fissato tra le altre alcune immagini di Racalmuto e dell’ambiente del Castelluccio: e proprio
qui, in questo palazzo fortezza del XIII secolo e dalla cui sommità si possono ammirare ben quaranta paesi
a giro d’orizzonte, negli stessi luoghi fotografati un secolo prima, è trasferita la mostra nel giugno del 2013,
nell’ambito di un pomeriggio culturale organizzato con Angelo CUTAIA.
Ma il viaggio delle foto della HAMILTON, che ha preso l’abbrivo da Montedoro, ormai sembra destinato a
proseguire ancor più dopo l’importante tappa caltagironese voluta da Attilio GERBINO e Sebastiano
FAVITTA, collocata, vogliamo credere, non soltanto per ragioni cronologiche, all’inizio della Rassegna
Fotografica denominata significativamente Luce dal Sud_Lungo la soglia dell’Occidente.
Diciamo che questo viaggio fotografico da Montedoro a Caltagirone, passando per il Castelluccio di
Racalmuto, sia scaturito da se stesso ovvero dalla fotografia, da un ritratto realizzato da Arturo PATTEN e
inserito, nelle dimensioni poco più grandi di un francobollo, nel risvolto di copertina di un mio libro:
scopertolo autonomamente in libreria, fu per Attilio un indizio sufficiente a stabilire un’intesa.
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Ero, in quel frangente assessore alla cultura del mio paese. Ci incontrammo, ci intendemmo: nel comune
riconoscimento della necessità del fare, al di là di cariche e ruoli assolutamente accidentali e transeunti. Una
necessità etica, ancor prima che estetica, per un voler essere siciliani che vogliono vivere il loro tempo, nel
milieu ovvero nell’ambiente e nelle circostanze che sappiamo, non esimendosi dal dare il proprio fattivo
contributo. Le mostre alla Galleria GHIRRI, dei ritratti siciliani di Arturo PATTEN e delle foto appartenenti alla
Fondazione SCIASCIA di Racalmuto, ne saranno un naturale corollario, impreziosito, cammin facendo, dalla
collaborazione del fotografo Angelo PITRONE.
Questa mostra pertanto, voluta e realizzata con ogni tenacia dai due raffinati fotografi militanti Sebastiano
FAVITTA e Attilio GERBINO, anche per i tempi di crisi prossima in cui viviamo e di atavica difficoltà di
praticabilità dell’arte in Sicilia, assume, credo, il valore di una testimonianza. Ma, al di là delle valenze
contingenti, per la fotografa Louise HAMILTON CAICO, questa mostra segna o, valga come auspicio,
potrebbe segnare l’inizio di un viaggio che la porterà lontano, financo ad arrivare a quei paesi e a quella
dimensione europea dai quali, un secolo fa, è scesa in Sicilia.
Un buon viatico, dunque.
Piero CARBONE
per la Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
Palermo, febbraio 2014
Sicilian Ways and days,
edizione americana, D. Appleton and Company, 1910
Vicende e costumi siciliani,
edizione italiana, Epos, 1983
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Louise Caico fotografa-etnografa
Per cogliere le peculiarità della cultura di una comunità bisogna esserne estranei o estraniati.
Louise HAMILTON, si trova a Montedoro a cavallo del Novecento, per aver sposato un CAICO, esponente
della famiglia principale del paese. Qui vive immersa in una civiltà ben differente da quella dell’Italia
settentrionale, dove aveva vissuto col marito o di quella inglese d’origine. Per questo inizia a studiare il
modo di vivere e le peculiarità antropologiche del posto ove l’onda del destino l’aveva depositata. Per
documentare, per comunicare gli aspetti che lei reputava più caratteristici si fa scrittrice, si fa fotografa.
Segue dunque il filone dei ricercatori etnografici del tempo.
Con il suo stile epistolare, sembra infatti che scriva alle amiche inglesi, annota quel che pochi montedoresi
di allora potevano cogliere: la vita di un popolo saldamente legato alle proprie tradizioni; un microcosmo
compiuto in sé e, allora, ritenuto immutabile. Più che la scrittura, l’immagine istantanea trasmette
informazioni oggettive, immortalando per sempre un attimo del divenire infinito. Ed ecco allora che ella
fotografa, cristallizza, sezioni temporali della vita di persone, di animali, di luoghi, di un paese dell’entroterra
siciliano ai primi del secolo XX. Ogni sfaccettatura della realtà viene fotografata, annotata, commentata,
archiviata a futura memoria. Il tutto trasfigurato dalla personale visione poetica. Louise fu tra le prime
intellettuali ad interessarsi sociologicamente della cultura delle classi subalterne. Nelle foto dei contadini e
zolfatai traspare il messaggio che non solo dai ceti elevati proviene la cultura, e la storia, di un popolo.
Popolo studiato fin nei minimi dettagli con attenzione etnografica e apertura sentimentale di donna colta.
Probabilmente è stata la prima ad immortalare le capre girgentane dalle eleganti corna elicoidali; e
particolarmente efficace è la foto del vivace gregge che incontrò a Racalmuto; fondamentale documento
storico, tanto più che oggi esse sono sparite da anni e le pecore stanno seguendo il loro triste destino.
Diede volto, e con gli scritti parola, a chi non aveva mai avuto volto e parola: artigiani, servitori, villani,
zolfatai, borgesi, campieri e le loro donne: casalinghe, tessitrici, ricamatrici, cameriere, lavandaie, ecc.,
compresi i bambini dalle bellissime fallette unisex. Non si accontenta di conoscere l’ambiente urbano;
compie escursioni nei paesi limitrofi, alle masserie, alle zolfare, scortata sempre da due fidi campieri di
famiglia. Un giorno viene a Racalmuto. Qui, come riportato nel suo libro Sicilian ways end days, intervista
sulla storia del paese un “anziano prete molto pittoresco”, che scopre poi essere stato in gioventù “intimo
amico e compagno di briganti”. Involontariamente la nostra scrittrice ci tratteggia la figura di un prete che ha
partecipato alla resistenza antisavoiarda – liquidata come brigantaggio – all’indomani dell’annessione della
Sicilia al Piemonte, spacciata per Unificazione italiana. Ci lascia dunque documenti etnografici unici. Chi
conoscerebbe la conformazione a schiena d’asino del ponte del Catalano, oggi crollato e di cui non si
trovano neanche i resti? Chi la forma tronco piramidale delle balate di zolfo? La foto del prospetto della
cappella del Castelluccio, a distanza di un secolo, è stata utile per progettarne il restauro. E le fontane? e la
vita che vi si svolgeva? Ed altro ancora.
Tutta l’atmosfera dell’epoca si ammira nelle oltre seicento fotografie che Calogero MESSANA ha raccolto,
con certosina pazienza e dedizione, mettendole gratuitamente a disposizione degli studiosi, degli
appassionati di fotografia e dei curiosi, in un suo locale a Montedoro. Nel giugno 2013 una sua selezione di
foto è stata mostrata al Castelluccio (Gibillina) di Racalmuto. Oggi, con sicuro intuito di artisti, Attilio
GERBINO e Sebastiano FAVITTA, affettuosamente sostenuti dal pigmalione Piero CARBONE, ne curano la
mostra a Caltagirone, nella sede prestigiosa della Corte Capitaniale, presso la Galleria Fotografica Luigi
GHIRRI, nell’ambito della Rassegna Fotografica 2014 Luce del Sud_Lungo la soglia dell’Occidente.
Sicuramente questo evento prelude, per la qualificata attività di promozione della fotografia siciliana dei
nostri due artisti fotografi GERBINO e FAVITTA, per la indefessa ricerca di Calogero MESSANA e per la
sagacia organizzatrice di Piero CARBONE, ad una maggiore diffusione e valorizzazione dell’opera della
CAICO, che, anche per loro merito, a distanza di un secolo viene riconosciuta nei suoi valori scientifici ed
artistici e conquista la ribalta nazionale, e domani, ne sono certo, internazionale. A partire da questa mostra,
la documentazione fotografica della CAICO non è più patrimonio culturale esclusivo di Montedoro, ma entra
finalmente a pieno titolo in quello della Sicilia.
Angelo CUTAIA
per la Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
Racalmuto, febbraio 2014
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Le foto di Luisa Caico.
La famiglia CAICO è stata una delle più facoltose di Montedoro. Proprietari terrieri e appaltatori di Feudi e
Miniere fin dal Settecento. Nel Novecento le cose incominciano ad andare male al punto da dovere
svendere le tante proprietà ed essere costretti a trasferirsi a Palermo e vivere di espedienti: Luisa scriveva
per i giornale e faceva traduzioni, la figlia Lina insegnava saltuariamente lingua Inglese nei Licei, Federico si
dice facesse la guida turistica e Letizia, suonatrice di violino, continuava a gestire la piccola proprietà
rimasta in paese.
Si dice che nella casa di famiglia vi fossero 500 casse di documenti: subito dopo l’ultima guerra le carte di
famiglia venivano vendute “a peso” ai commercianti insieme alle casse che le contenevano. Per strane
vicende alcune di esse sono arrivate persino in Svizzera. In queste casse pare che siano state ritrovate
molte fotografie della Luisa che finite in tante mani sono ormai disperse.
Nell’ultima abitazione di Letizia, assieme alle poche suppellettili, per fortuna, sono rimasti un certo numero di
album con le raccolte di circa seicento scatti.
Per caso nel 1968, Giuseppina RICOTTA, la nuova proprietaria dell’immobile, ha avuto lo spirito di salvarle
dalla spazzatura in cui erano stati abbandonati dai venditori, gente che ne era venuta in possesso, ma
estranea alla famiglia CAICO. Molte foto erano state rovinate dallo stato di abbandono in mezzo a scarti
vari, e alcune bruciacchiate per incuria, e infatti si racconta che Letizia leggeva e studiava a lume di candela.
Dopo il ritrovamento sono rimaste, fino allo scorso anno (2012), conservate gelosamente dalla nuova
proprietaria finché non l’ho convinta che era importante farle conoscere. Adesso abbiamo la fortuna di
ammirarle, anche se solo in parte, poiché da una mia stima ritengo dovessero essere tre volte tante.
Calogero MESSANA
Montedoro, 2013
Montedoro, CL,
La casa del ritrovamento prima della demolizione
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LOUISE HAMILTON CAICO (1861 - 1927)
Nel panorama letterario, e non solo, della provincia di Caltanissetta, a cavallo del Novecento, emerge la
figura di Louise HAMILTON CAICO. Benché di padre irlandese e di madre francese, nata a Nizza nel 1861,
si è guadagnata a pieno titolo la cittadinanza siciliana, per la sua vita ricca di interessi intellettuali e per le
tante complicazioni esistenziali. Non per nulla nel contesto in cui si trovò a vivere ed operare venne definita
dai compaesani "donna strana", attributo giustificato dai suoi interessi ideologici come il femminismo.
Costretta per un decennio suo malgrado, a vivere, ma non a sopportare, la vita del piccolo paese di Montedoro, matura le sue idee di liberazione delle donne dal conformismo e maschilismo cui erano costrette a
soggiacere, private di ogni diritto più elementare. Mentre i ragazzi potevano facilmente emanciparsi da ogni
vincolo familiare, le ragazze, fino ad età da marito, erano costrette ad un ferreo cerimoniale che, a suo dire,
ne impediva ogni crescita intellettuale, ed obbligate a vivere sotto stretta tutela. Come le regole del
passeggio, secondo cui la ragazza poteva uscire solo in compagnia di persona più adulta e dello stesso
sesso, e del modo di comportarsi nei salotti.
Le sue idee e convinzioni progressiste collimano con quelle espresse nel libro di E. J. HARDY, "Come
essere felici pur essendo maritate", che traduce dall'inglese e che fa pubblicare da un editore di Palermo.
Dal contenuto prettamente didascalico, tratto da un sermone di un predicatore inglese, cerca di difendere i
diritti della donna: e lei ne trae forza e conforto soprattutto in quei momenti di violento impatto con la realtà
siciliana del marito. La personalità di Louise era permeata da una forte tendenza teosofica, quell'insieme di
verità che formano la base di tutte le religioni e che non possono da nessuna essere arrogate come
proprietà esclusiva. Presenta una filosofia che rende intelligibile la vita e dimostra che giustizia ed amore ne
dirigono l'evoluzione; l'uomo, essendo divino, può conoscere la divinità della cui vita è partecipe.
Il padre di Louise, Federico, era "scappato" dal regno Unito e s'era trasferito a Nizza, dove sposò la giovane
Pilatte appartenente ad una famiglia di mercanti marsigliesi. Federico apparteneva al ramo irlandese del
casato degli HAMILTON, imparentato con sua maestà la regina madre (nella corrispondenza usavano il
timbro del carteggio reale), ma per divergenze con i rami scozzesi ed irlandesi lasciò il Regno Unito e non
volle più mettere piede in patria per tutto il resto della sua vita, rifiutando persino di parlarne la lingua.
Nel 1863, quando Louise, ultima di sei figli, aveva appena due anni, decise di trasferire la famiglia a Firenze,
essendo suo intendimento dare loro una cultura artistica ed umanitaria di alto livello d'impronta italiana.
Eugenio CAICO, ancora dodicenne, era stato mandato a frequentare gli studi superiori, ed aveva trovato
ospitalità, per alcuni anni e fino al 1870, presso la sua famiglia come pensionato. Quando Eugenio nel 1880
torna a Firenze, apprende che gli HAMILTON s'erano trasferiti a Bordighera. Incontra Louise, s'innamora e
la sposa nonostante i "divieti" dei CAICO di Montedoro che temono la dispersione del patrimonio familiare.
Lì nascono i sei figli (di cui due morti in tenera età), prima di trasferirsi in Sicilia e prendere contatto con la
quasi "irreale" realtà locale.
Per Louise la permanenza a Bordighera da sposata fu un periodo travagliato per i dissapori col padre, dovuti
a motivi economici a cui Eugenio non poteva far fronte; nel frattempo, infatti, la famiglia CAICO aveva subito
un fallimento e non versava nelle condizioni di floridezza del precedente decennio. Ma fu anche una
parentesi importante per la conoscenza e frequentazione di Ezra POUND, e la quasi casuale scoperta di un
autore di poesie, il conte torinese Angelo DE GUBERNATIS, un impegnato professore e letterato di fama
che insegnava sanscrito e glottologia a Firenze. Curiosamente ammaliata dalla personalità di tanto autore,
gli indirizzò una lettera di stima alla quale seguì una fitta corrispondenza tra i due. Complice indiretto lo
stesso marito, da corrispondenza di circostanza divenne amichevole, quindi familiare, finché sfociò in una
divagazione sentimentale: non sappiamo fino a che punto rimasta tale. Divagazione alla quale Eugenio, da
tragico attore siciliano e come in una tragedia greca, pone fine facendo un falò di tutte le lettere in suo
possesso e trasferendo la famiglia in Sicilia.
Per Louise fu un'esperienza sicuramente importante, anche dal punto di vista letterario, e solo il suo
coraggio e forza d'animo impedì che entrasse a fare parte di una rete culturale europea molto importante sì
ma, assieme a questa, com'era vezzo dei personaggi dell'epoca, di un bel numero di amori, amanti e
seduzioni. Di certo leggeva il celeberrimo periodico femminile "Cordelia", fondato da DE GUBERNATIS, e
che si collega alle "Lucciole", la rivista itinerante scritta a mano fondata da Lina CAICO, figlia di Louise:
anello di una catena importantissima per capire l'ambiente culturale entro il quale si muovevano queste
giovani, intrepide donne. Il contesto siciliano di Montedoro, in cui "precipita" la nizzarda Louise, e l'impatto
dirompente che ne consegue, generano la sua più bella opera Sicilian ways and days, (Londra 1910, John
LONG) e tradotta in "Vicende e costumi siciliani" (1983).
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La scrive in inglese perché, come spiega in una lettera alla figlia ed all'editore, "… è stato scritto per lettori
inglesi, e tradotto in italiano non interesserebbe tale pubblico, e meno ancora il grosso pubblico siciliano".
Ne viene fuori un diario pervaso di costante umorismo che, da attenta osservatrice, coglie il grottesco di
quanto cade sotto i suoi occhi indagatori, in ogni istante della giornata. Dagli usi di casa CAICO, agli attrezzi
di cucina, alle abitudini delle serve, alle ragazze del paese chiuse in casa come in un serraglio. Mentre lei, a
dorso di un destriero, gira per le campagne, tra la meraviglia e l'incredulità della gente, ed una prodigiosa
quanto miracolosa macchina fotografica immortala luoghi ed avvenimenti. Resta esterrefatta dalle abitudini
da medio evo dei paesani di portare in giro per il paese i morti di rango, legati ad una sedia, quasi fossero
un trofeo di caccia, dal "consu" e dal lutto stretto che ne consegue, alle feste per il raccolto a quelle di S.
Giuseppe o di S.ta Lucia. Per non parlare delle insopportabili "tammurinate" fatte sotto casa, all'alba del dì di
festa, in onore del cognato sindaco, e che la fanno letteralmente sobbalzare dal letto, o dei tremendi botti dei
fuochi in onore del Santo. Menzioni a parte meritano la sua guardia del corpo, il campiere AUGELLO, gli
intrighi di casa CAICO e, finale tragico carico di tensione, l'arrivo delle guardie che annunciano l'arresto del
sindaco, sospettato di omicidio di un barone!
Ciò nonostante l'Isola resta nel suo cuore, si trasferisce a Palermo con la famiglia e lì muore nel 1927.
Federico MESSANA
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“Furasteri”
Proponendo la testimonianza letteraria e fotografica di Louise HAMILTON CAICO, la Galleria Fotografica
Luigi GHIRRI di Caltagirone continua a fornire alla cittadinanza tutta, e agli studiosi in particolare, un reperto
assai intrigante quanto suggestivo per comprendere il paesaggio ambientale, culturale e antropologico della
nostra terra.
In questa circostanza non abbiamo dinanzi gli epigoni del Grand Tour i quali armati di taccuino e di
apparecchiatura fotografica coglievano le orme superstiti di un classicismo greco e latino che i popoli del
Nord Europa avevano cancellato: stavolta lo sguardo, e conseguente l’analisi, è più penetrante e acuta
poiché, mescolando insieme lo strumento fotografico e la riflessione diaristica e letteraria, l’autrice intende
raccogliere le proprie impressioni, su un territorio privo d’importanza storica e monumentale, filtrandole con
la cultura del mondo anglosassone e, soprattutto, con le idee e le novità che quel mondo andava postulando
sull’onda della rivoluzione industriale e sull’eco del successo dell’economia capitalista.
La nostra autrice, pur imbevuta di quel mondo dove una donna era stata imperatrice del pianeta e dove le
suffragette pagavano, in termini di lotta, il riconoscimento dei loro diritti civili, recupera lo strumento narrativo
che ha già fatto grandi tante esponenti femminili della letteratura inglese, e in lingua inglese traccia le sue
considerazioni, impressioni, riflessioni e meditazioni. Ogni movimento del suo pensiero porta con sé un
carico di sincero stupore e di carezzevole ironia: alla base di questa benevolenza sta un atteggiamento di
accettazione delle culture altrui anche quanto quest’ultime appaiono lontane dalla propria educazione ed
anche quanto possano apparire assurde e inutili.
Da quest’atteggiamento traspaiono le ragioni che hanno fatto degli Inglesi il popolo, dopo i Romani, più
capace di incontrare e dominare il mondo. Eppure le fotografie fanno da contraltare a questo perspicace
racconto: vien fuori l’irredimibilità del paesaggio gattopardiano e quell’unità nazionale non ancora raggiunta
e già intuita dal VERGA, con tutte le conseguenze ancora visibili nelle regole che devono assumere le pose,
gli abiti, le precedenze, i riti, l’importanza dei gesti e dei comportamenti.
Montedoro è il territorio in cui la nostra autrice vive i suoi giorni di giovane sposa. Una terra di miniere
giovane e intraprendente; una terra di grano e pastorizia stanca e rassegnata. C’è tanta luce, troppa direbbe
qualcuno: in quella luce si stagliano figure di uomini e di cose per cui, quel giorno fu utile, allegro,
diversificante fare una fotografia.
Verranno su quel territorio altre indagini, altri rilievi più moderni, più penetranti; ma non scalfiranno quella
tenace resistenza alle idee del popolo siciliano, ben analizzata da SCIASCIA. E contro cui, con rispetto e
affetto, muove giornalisticamente la nostra Louise HAMILTON.
Pippo PAPPALARDO
per la Galleria Fotografica Luigi GHIRRI
Catania, febbraio 2014
Non invidio a Dio il Paradiso
perché sono ben soddisfatto di vivere in Sicilia.
Federico II HOHENSTAUFEN (1194 – 1250),
Re di Sicilia, Imperatore del Sacro Romano Impero
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Montedoro
A quattro miglia da Serradifalco, Municipio sulla strada a ruota che da Caltanissetta conduce a Girgenti, fra
una cerchia di monti che si chiudono ad anfiteatro, sorge il vago ed industrioso Comune appellato
Montedoro da' fiori di color croco dorato, messi da una pianticella selvatica onde i clivi circostanti si veggiono
a primavera abbondevolmente ammantati.
Poche ed umili case di agricoltori o di minatori, soverchiate a quando a quando da altre case ad un piano
solo, compongono quella borgata che ti renderebbe immagine delle terricciuole della Svizzera, se non vi si
scorgessero i segni dell'abbandono e del mal governo passato.
Qui sorriso di cielo ed aria lieve e salutare, qui la poetica vista del lontano digradare delle montagne, qui
ricche le viscere della terra di zolfo purissimo, di sali sulfurei utili alla industria, di metalli di varie ragioni. Ma
quando il viaggiatore che avrà scorto da lungi il gaio paesetto vorrà indicata una via che il vi conduca, ci
sarà costretto per giungervi a calarsi per una scoscesa, a valicare un torrente, ad inerpicarsi fra i dirupi di un
monte, franato in parte, ed affatto impraticabile di inverno! E quando ei vi sarà giunto, cercherà invano una
sorgente d'acqua per cui rinfreschi la sua arsura, imperciocchè sarà ridotto a dissetarsi con acque amare e
disgustose, contenenti in soluzione sali solforosi di nocumento grandissimo alla salute. Né ciò è fatto di
natura, dappoichè non mancano nei dintorni di Montedoro le acque potabili; e se il patrimonio comunale,
malversato e stremato sotto l'incubo delle leggi passate, fosse stato liberamente amministrato, non
sarebbero gli abitanti ridotti alla misera condizione di avvelenarsi lentamente, per l'uso delle loro acque.
Il Comune fu fondato nella metà prima del secolo XVII (1635) in una vasta possessione feudale degli
Aragona Tagliavia Duchi di Terranova i quali, s'egli e' vero quanto narrano le cronache de' tempi, tennero la
terra a titolo di baronato, vi esercitarono diritti di vita e morte, sedettero, come Baroni di Montedoro, a Pari
temporali ed ereditari nel siciliano Parlamento, ove occuparono il dodicesimo seggio. E strettisi poi in vincoli
di parentela agli Aragona i Pignatelli passarono ne' secondi i diritti de' primi, sicché verso la metà del XVIII
secolo Fabrizio Pignatelli Duca di Monteleone esercitava signoria su Montedoro. Né fra il mutar di padrone
la nascente borgata mancava d'ingrossarsi, e laddove nel censo del 1652 non contava che 78 case appena,
e 280 abitatori, nel 1713 ne contava diggià 1031, e poi 1589 nel 1798; 1641 nel 1831, e finalmente 1904
nell'anno 1852.
Nell'antica circoscrizione territoriale della Sicilia, Montedoro era un Municipio del Val di Mazara nella Diocesi
di Girgenti: oggi è Comune della Provincia di Caltanissetta, Circondario Caltanissetta mandamento
Serradifalco, Diocesi Caltanissetta; e di conseguenza vi ha sede un cappellano curato nell'ordine religioso, e
nel giudiziario un giudice supplente comunale, il quale ha potestà d'istruire per tutti i reati commessi nel
territorio del Comune, e di pronunciare nella stessa giurisdizione per le cause correzionali tutte, e fino alla
somma di onze 60 (L.n.765) nelle controversie civili.
Niun uomo illustre è nato nel Comune, niun monumento è a notarvisi, niun fatto ne ha vendicato alla storia il
nome, se ne togli la febbre petecchiale del 1835, che spense un buon terzo degli abitanti, e che passo' quasi
inosservata nell'Isola. Nondimeno questa piccolo Municipio, questa borgata di non più di duemille abitanti
chiude in sé grandi elementi di vita, e potrebbe in altre condizioni incamminarsi a divenire uno de' più ricchi
paesi produttori d'Italia, ché grandi cave di zolfo ne traversano il territorio, e formano quasi l'industria unica,
e l'unico commercio degli abitanti.
Il Comune produce frumenti in qualche copia, poco vino, pochi agrumi, poche mandorle, pochissimi caci:
lasciando da parte le ultime produzioni, i frumenti ascendono alla quantità approssimativa di salme 2000
(ettari 3493) annuali. Le antiche descrizioni parlano delle greggi e della caccia di Montedoro,
magnificandone l'amenità dei boschetti, e l'abbondanza delle pasture; non dicono dell'agricoltura misera
sempre nel Comune, miserrima oggi per una necessità inevitabile. Imperciocché i metodi inesatti adoperati
nella fusione de' zolfi. (…). Le strade avvicinano, gli uomini trasportano le derrate, le macchine, le idee,
migliorano lo stato economico, l'intellettuale ed il morale di un popolo, e rendono possibili le utili industrie ed
i progressi d'ogni ragione. Chi può sperare l'educazione d'un numero d'uomini costretto a starsene chiuso,
isolato, costretto ad arrampicarsi pe' monti onde vedere altri uomini cui possa a fatica vendere le sue
produzioni ricche quanto esse siano? Le scuole popolari, gl'istituti del viver civile vengono dall'avvicendarsi
delle idee, e l'importanza delle vie è suprema ad ottenere l'intento.
Tale è lo stato di Montedoro; il suo Sindaco è il signor Cesare CAICO, il suo Segretario comunale il signor
Giuseppe Li Calsi, i quali colgono questa occasione per raccomandare il loro Comune all'umanità del
Governo del Re ed alla sua giustizia.
FONTE: Annuario Officiale del Regno d’Italia
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L’arrivo a Montedoro
“Un piacevole viaggio in piroscafo da Genova a Palermo, tre giorni a Palermo per fare commissioni, e poi
sei ore di treno, in quello che viene subdolamente chiamato “il treno diretto”, attraverso le più solitarie regioni
dell’interno della Sicilia, fino alla remota stazioncina di Serradifalco, in provincia di Caltanisetta, l’unica
provincia siciliana non bagnata dal mare.”
Louise CAICO
in Sicilian Ways And Days, 1910
tradotto in Vicende e costumi siciliani, 1983
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RASSEGNA FOTOGRAFICA 2014
LUNGO LA SOGLIA DELL’OCCIDENTE
STAMPA www.tipografia vinci.com_20 II 2014
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Note - Comune di Caltagirone