UE AH EU HA UE AH EU HA Nollo 1010 qui oopro re HonHin di Glctdanlo solta do un eorro lrrMto <fu. ronto un'fapezlone olio . _ ol fronte. N.llo feto o desini 11 gen. Ooyon oos..•o lo posizioni oglzl- sullo spo,lcfo occidentale del Canale di SU.. Cosa cerca la Russia nel Vicino Oriente La solitu Israele si rende conto che la sua situazione diplomatica e psicologica non fa che peggiorare. Se tendenza diffusa a giudicare severamente l'intransigenza di Israele su certe sue posizioni: gli '"r'"'.... ti con cui, aii'ONU, si reagisce a certe azioni israeliane o arabe : si direbbe che c'è una differenza se sun alleato: unica speranza gli Stati Uniti con le loro assicurazioni che non pemetterebbero uno 12 c:. - - - - · - - - HA EU AH UE HA EU AH UE - i·ne di Israele di PIETRO QUARONI fra gli occidentali, una certa cattiva coscienza nei suoi riguardi , la guerra che continua disturba; c'è una i che l'occidente ha o ritiene · di avere nel mondo arabo pesano. Lo si vede nei pesi e nelle misure differenme sono dei bambini arabi o dei bambini israeliani. Israele sa di essere solo, di a~ere pochi amici e nesmento grave dell'equilibrio locale a danno di Israele. Ma qual è il significato pratico di questo impegno? 13 Un elemento di debolezza EU AH Un altro elemento di debolezza è costituito dai palestinesi che, in numero di centomila ormai, si sono stabiliti nel pae. se. All'inizio, è stato il governo pell'Arabia Saudita che ba favorito questa installazione, preoccupato come era, e giustamente, della mancanza di elementi indigeni con capacità direttive moderne. Ed essi si sono infùtrati dappertutto, nell'amministrazione come nella vita economica del paese. Quando l'irredentismo palestinese non aveva assunto le proporzioni di oggi, la loro presenza è stata un vantaggio per la Saudia: ma oggi, da che parte sono loro, il governo che li ospita o Yasser Arafat? Un colpo di stato in Saudia provocherà una confrontazione di prima grandezza: glr americani non sono gli inglesi ed i loro interessi in Arabia Saudita hanno beo altra importanza che i loro interessi in Libia: ma è una eventualità alla quale dobbiamo prepararci. Sudan e Somalia inseguono. Questa sua avanzata politica la Russia l'ha fatta sfruttando, abilmente e senza scrupoli, prima il risentimento arabo contro l'insediamento in Palestina di un corpo estraneo, cacciato n dalla vt> lontà degli imperialisti Poi, dopo quella che impropriamente continu.iamo a chiamare la guerra dei sei giorni, il timore di essere travolti da que.s to Israele improvvisamente rivelatosi come la più forte potenza militare della regione. Teoricamente, dopo i sei giorni, la Russia aveva due alternative: accettare il liiasco della sua politica e consigliare ai suoi amici la pace, oppure dare loro i mezzi per una rivincita, vicina o lontana che essa possa essere. F.' difficile dire quale avrebbe potuto essere la reazione russa se, àopo la vittt> ria, Israele, approfittando di quel breve momento di resipiscenza che succede sempre ad una seria batosta sul campo di battaglia, avesse avanzato delle propost~ veràmente ragionevoli per la soluzione del conflitto. Israele non l'ha fatto, e no 1 mi risulta che nessuno dei suoi amici (?) occidentali glielo abbia consigliato: con la nostra mentalità in certe cose molto pri· mitiva eravamo tutti più o meno convinti che la vittoria militare fosse, in se stessa, elemento decisivo per una soluzione. Per la Russia sarebbe stato d!fficile · accettare cosi, passivamente, il fallimento di tutta una politica. La sua reazione è stata quella che ci si poteva as;>ettare; AH EU HA Relazioni un po' misteriose L'Iran continua a conservare la sua indipendenza: le relazioni · fra l'Iraq e la Russia restano un po' misteriose: comunque non si direbbe che ci sia un infeudamento di Bagdad alla Russia comparabile a quello del Cairo e di Damasco. L'Algeria · di Bumedien, dopo quafche tergiversazione, è riuscita a non lasciarsi prendere la mano dai russi. Se è esatto - ha tutta l'aria di esserlo, ~tlmeno in buona parte - quello che Kbadhafi avrebbe detto alla riunione tripartita di Khartum, che cioè egli non ha voluto liberare il suo paese dagli inglesi e dagli americani per darlo in mano ai russi, si direbbe che anche la Libia sfugge alla stretta sovietica. La partita più importante la si gioca nell'Arabia Saudita. Praticamente, se si eccettuano i piccoli emirati ael Golfo Persico la cui sorte, dopo il ritiro della protezione inglese, diventa per lo meno pro. blematica, Feysal è rimasto adesso il solo 14 fornire agli arabi, a tempo record, il materiale necessario per ricostituire lr loro forze sfracellate dall'offensiva israeliana e metterli in grado di difendersi contro ulteriori attacchi. Oggi, di questa impostazione difensiva della politica russa non si può più parlare: le oifre sono eloquenti. Prima dei sei giorni gli egiziani avevano 300 tanks ed i siriani 350: oggi, grazie agli aiuti soviotici, l'Egitto ne ha 1.600 e la Siria 1.000. Al posto dei 400 pezzi di artiglieria pesante degli egiziani e dei 200 della Siria oggi ce ne sono rispetivamentè 1.600 e 1.000. L'aviazione egiziana è passata dai suoi 100 aeroplani del 1967 ai 600 di oggi; la Siria dai 55 ai 260. Queste cifre non includono i 100 MIG 21, del modello più perf~ zionato, in dotazione ai piloti sovietici. Le cifre che bo citato possono essere non rigorosamente esatte, come accade quando si tratta di estimazione dei servizi di informazione, ma l'ordine di grandezza resta. E' chiaro quindi che la Russia non ha voluto limitarsi a dare ai suoi amici la possibilità di difendersi: essa ha voluto dare loro anche la possibilità di attaccare. Nel '67 la Russia ba visto il suo materiale cadere nelle mani degli israeliani o, per l'aviazione, essere distrutto al suolo. Per questo ha provveduto anche alla riorganizzazione delle forze armate egiziane, mediante una fitta rete di consiglieri le cui funzioni sono, di fatto, quelle di quadrare le truppe egiziane. Il compito dei consiglieri presso un eser· cito straniero non è mai facile; i russi, fra le loro qualità, non banno certo la adattabilità: il progresso però, per quello che riguarda le forze egiziane, è indiscutibile. Incoraggiato da questi aiuti e, probabilmente, anche per considerazioni di politi· ca interna sua e della sua politica araba in generale - egli non ha certo rinunciato ad essere il leader di tutta la nazione araba - nella primavera dell'anno so Nasser dichiarava non più valido il "cessate il fuoco" e proclamava la "guerra di attrito". Con le sue truppe speciali, e la sua superiorità in artiglieria ha ottenuto anche qualche successo. Israele ha contrattac· cato e l'estate ha segnato un disastro per gli egiziani: i tanks di Dayan si spingono fino ad un centinaio di chilometri dal Cairo; l'aviazione · israeliana domina incontrastata il cielo dell'Egitto. UE sovrano feudale in mezzo ad un oceano progressista. Quanto durerà? Nasser, per cui Feisal è il nemico numero uno, sta facendo il possibile per provocare in Arabia Saudita qualche cosa di simile a quello che è accaduto in Libia. Già l'anno scorso c'è stato un complotto di ufficiali che, a quanto sembra, è stato sventato proprio all'ultimo momento. Feysal è certo tutt'altro tipo di sovrano che ldriss: ha nelle sue mani una forza sicura, le cosiddette "bande bianche", composte di beduini del deserto, fedelissimi a lui ed alla sua concezione religiosa dell'lslam; se ne è già servito più di una volta per ristabilire l'ordine, con mezzi spicciativi, nell'interno del paese; mai fino ad ora, contro le città. Ma fino a che punto si può fi. dare del suo esercito? Gli ufficiali, in tutti i paesi in via di sviluppo, per una specie di evoluzione 11iscerale, finiscono per ra~ presentare l'elemento più progressista. UE fuori questione che, al momento attuale, è l'Unione Sovietica che tiene nelle sue mani le sorti del· la guerra nel Vicino Oriente o, per essere più corretti, della sua escalation. Se essa detenga anche le chiavi della pace è meno sicuro; essa rappresenta comunque l'ostacolo principale sulla via di una pace possibile. Questo è dovuto anche al fatto che, di tutte le potenze interessate, in primo od in secondo rango, ai problemi del Vicino Oriente, la Russia è la sola la quale sa~ pia quello che vuole. Le altre, tutte, più o meno, esitano fra un desiderio generico di pace, un senso di responsabilità verso Israele e la sua sorte, ed un vago filone serpeggiante di filoarabismo, il quale non è che un aspetto di quel complesso semi· freudiano che ci prende tutti, noi occidentali, . nei riguardi dei paesi in via di sviluppo. Cosa cerca la Russia nel Vicino Oriente? Il primo obiettivo è stato probabilmente solo quello di scardinare il fianco sud della NATO: siccome, però, l'appetito viene mangiando, a questo si è aggiunto il desiderio di prendere piede, politicamente, in tutto il Vicino Oriente, procurarsi laggiù dei punti d'appoggio sicuri per la flotta nel Mediterraneo, e, come massimo delJe sue ambizioni, arrivare ad una alta mano politica su tutti i paesi arabi produttori di petrolio, per potersene servire come mezzo di pressione politica sul mondo occidentale, in primo luogo l'Europa, la quale, imprudentemente forse, ha tro~ po concentrato il suo approvvigionamento in petrolio nel Medio Oriente. Un errore di cui ci stiamo accorgendo oggi e che, malgrado le 5peranze che possono suscita· re i grandi giacimenti dell'Alaska e quelli possibili del Mar del Nord, di recente scoperta, difficilmente può ripararsi in un giorno. Le tappe uno e due di questo programma sovietico sono senza dubbio riuscite: la terza e la più ambiziosa è per lo meno dubbio se possa riuscire in pieno. I paesi più strettamente sotto' controllo sovietico, l'Egitto e la Siria, non sono decisivi dal punto di vista petrolifero: anche se la Siria, senza dubbio per suggerimento st> vietico, si rifiuta adesso di consentire alla riparazione della cosiddetta pipeline, che permette lo sbocco nel Mediterraneo di parte del petrolio dell'Arabia Saudita. HA ' E Viaggio segreto in Russia Il viaggio segreto di Nasser in Russia nel mese di gennaio, ba per scopo, dopo !'<insuccesso, per lui, della conferenza di Rabat, ad opera soprattutto di Bumedien. di ottenere l'interessamento attivo dei rus· si alla difesa dell'Egitto. La risposta dei russi è immediata: un ponte aereo colossale trasporta, in brevt tempo, migliaia di soldati russi e il materiale richiesto: missili SAM 3, nldar, can· noni antiaerei ultramoderni, l'ultimo model· io dei MIG 21. Ma i russi non si fidano che fino M un certo punto degli egiziani, come capacità militare almeno: i missili e le instal· lazioni antiaeree debbono essere servite da personale sovietico. Una ventina di basi di missili antiaerei sono installate intorno ad Alessandria, Il Cairo ed Assuan e lungo i'asse di penetrazione verso questi obiettivi. Queste basi sono protette qa squadriglie di MIG 21 pilotate da militàri sovietici - da parte russa si lasciano HA UE con Nasser ha provocato deUe contesta· zioni: ma il loro risultato è stato semmai solo di far perdere terreno ai partigiani del "Grande Israele", che ci sono. Proprio in questi giorni, Eban, attaccato da tutte le parti come una colomba, ha esposto le condizioni minime di Israele: la vecchia città di G~rusalemme, la striscia di Gaza, le alture d1 Golam, un corridoio in direzi~ ne di Sharm-El-Sheilru. Anche se i quattro riuscissero, cosa che non è stata loro possibile fino ad ora, a mettersi d'accordo su una interpretazione comune della fa. mosa risoluzione del Consiglio di si~ za, queste richieste, anche se minime di fronte alle pretese massime dei falchi di Israele, sono difficilmente conciliabili con la pretesa, ripetuta, degli arabi, di evacuazione completa dei territori occupati come preliminare a qualsiasi ulteriore trattativa. Israele si sente solo, ma questo non cambia il suo atteggiamento: durante tutta la sua storia il popolo ebraico è stato sempre solo, è stato incapace di essere altro che solo. Sa di battersi perché è in giuoco la sua stessa sopravvivenza fisica. Tipica della mentalità israeliana è stata la risposta di Dayan alla domanda che un po' tutti si pongono, anche in Israele: • C~ me finirà tutto questo? •. • Non temere niente, Giacobbe mio servitore • · Come dubitare quando si sa di avere un Dio, tutto per sè, dalla propria parte? AH EU EU AH Già il mese di aprile, Dayan, di sua iniziativa, ha proposto, indirettamente,- ai russi una formula di coesistenza, traccian· do una "linea rossa", ad una trentina di chilometri dalla riva occidentale del canale. Fin qui i russi l'hanno rispettata; ma cosa intendono essi fare per l'awenire? E' stata avanzata l'ipotesi che i russi mirino a riaprire il canale di Suez mediante una occupazione della sponda orientale del canale, effettuata da truppe egiziane sotto la protezione di un'aviazione pilotata da russi. Che per i russi la cruusura del canale sia un fastidio grave per la loro penetrazione nel Mar Rosso e nel Golfo Persico, e, non meno, per i rifornimenti che la guerra di Indocina rende sempre più imperativi è indiscutibile. Che il piano sia realizzabile se.nza il rischio di reazioni im· prevedibili da parte americana è un'altra questione. I russi, in vista della loro errata estima· zione dialettica della situazione interna americana, potrebbero essere indotti a ritenere che il governo americano sia così paraliz.. zato dalle sue difficoltà interne da non avere una seria possibilità di reagire nel Vicino Oriente. La decisione di Nixon di intervenire in Cambogia avrebbe dovuto essere per loro un serio avvertimento che, nonostante tutto, il Presidente degli Stati Uniti ha la possibilità e volontà di agire. Da aggiungere che l'opinione pubblica americana reagisce differentemente di fronte al problema di Israele. Lo stesso senato che sta discutendo come meglio taglill· re al presidente i !Dadi in Cambogia, a grande maggioranza si è dichiarato in favore della fornitura ad Israele dei famosi "Phantom". Ma i russi, come . tutti i regimi totalitari, sono male informati su quello che ac· cade nei paesi democratici; di qui le. possibilità eH errori gravi. . Le tappe possibili di una futura escalation russa nel Vicino Oriente sono più o meno due. L'intervento dei Mig pilotati dai ·russi per la difesa delle posizioni egi· ziane sul canale e l'installazione di batterie di SAM 3 sulla linea di fuoco, per accrescere le perdite dell 'aviazione israeliana al di là del limite tollerabile. U bombardamento· di obiettivi militari e civili all'interno del territorio israeliano. HA Una formula di coesistenza La seconda, allo stato attuale delle cose, sembra la meno probabile, in quanto difficilmente potrebbe passare senza reazione americana. La prima è più probabile. . Tutto questo crea una situazione diffi. cile per Israele. I guerriglieri. non costituiscono, per ora almeno, un pericolo vero: ma anche loro causano perdite in vite umane abbastanza considerevoli: per quanto tempo Israele, con le sue risorse umane limitate, in rapporto alla massa umana de. gli arabi, può sopportarle? Israele si rende conto che la sua situa· zione diplomatica e psicologica non fa che! peggiorare. Se permane, fra gli occidentali, una certa cattiva coscienza nei suoi ri· guardi, la guerra che continua disturba; c'è una tendenza diffusa a giudicare severamente l'intransigenza di Israele su certe sue posizioni: gli interessi poi che l'occi· dente ha o ritiene .di avere nel mondo ara· bo pesano. Lo si vede nei pesi e nelle misu. re differenti con cui, alle Nazioni Unite, si reagisce a certe azioni israeliani o arabe. si direbbe che c'è una differenza se le vit· time sono dei bambini arabi o dei bambini israeliani. Israele sa di essere solo, di avere pochi amici e nessun alleato: uni· ca speranza gli Stati Uniti con le loro ripetute assicurazioni che non permetterebbero uno spostamento grave dell'equilibrio locale a danno di Israele. Ma qual è il significato pratico di questo impegno? Gli Stati Uniti, ed iJ mondo occidentale in genere, sono impegnati in una serie di trattative con Mosca: i negoziati SALT di Vieooa, le conversazioni a quattro su Berlino, i negoziati di Bonn con Mosca, Varsa· via e Berlino Est; infine questa conferenza per la sicurezza europea che come speran. za e come incubo grava su tutti noi. Il mondo occidentale è in pieno periodo di illusioni ottimistiche sulla possibilità di una distensione con i russi: Nixoo, forse, ci crede meno degli altri, è però obbligato a far almeno finta di crederci, in quanto questo gli serve per la lotta che sta conducendo per smontare l'offensiva pacifista ad ogni costo. E Washington, come gli altri, esita a compromettere le possibilità di questi negoziati con dei gesti decisi a favore di Israele; la Russia approfitta di queste esitazioni. UE commettere tutte le indiscreziOni possibili perché Israele non abbia dubbi sulla presenza di piloti russi -; le basi, a loro volta, sono protette da una rete antiaerea modernissima, pure servita da equipaggi russi. Per Israele il colpo è grave: come artiglieria esso è largamente surclassato: come pure per quello che riguarda la massa delle truppe di terra: la sua unica superi~ rità è quella aerea, non per il numero ciegli aeroplani, ma per la difficoltà di insegnare agli arabi a servirsi di appareccru cosi delicati. E' dubbio se i rajd in profondità nel territorio egiziano avrebbero potuto contribuire a portare l'Egitto al tavolo della pace: oggi essi non sono più possibili. Israele non può mettere a rischio il materiale aereo che esso ha e che, io attesa di una decisione di Washington, non ha la possibiJità di sostituire. Può poi Israele rischiare uno scontro aereo con i piloti ~ vietici? Come ha detto qualcuno è una colossale partita di poker ingaggiata fra un nano e un colosso. Un incontro gonfiato ad arte L'incontro russ~francese di Parigi è sta· to gonfiato ad arte: i francesi ci tenevano a mostrare che, nonostante le conversazi~ ni rus~tedesche, essi restano, in Europa, l'interlocutore privilegiato dell'Unione ~ vietica: ì russi erano interessati a dar loro corda, in quanto la Francia può ancora servire nel loro gioco complesso con l'Eu· ropa. Mà sulla questione del Vicino Oriente, a parte un omaggio formale a queste conversazioni a quattro a cui la Francia tiene tanto, la Russia non ha fatto iJ minimo accenno ad una sua disposizione reale a fare qualche cosa di concreto per facilitare un accordo. · Questo è stato, del resto, sempre lo stile dei negoziati occidentali con l'Unione ~ vietica: la Russia è disposta a coprire di lodi il paese od i paesi i quali mostrino la loro "volontà di pace" accettando quello che la Russia chiede: ma quanto a fare anche lei delle concessioni sull'altare di una auspicata distensione, questo è tutt'altro affare. Israele è solo e si sente solo. L'atteggiamento del governo di Gerusalemme di fronte al progetto di Goldman di incontrarsi Una tradizione di irrazionalità Contro questa mentalità che si riattacca ad una · tradizione di irrazionalità che è alla base dello stato di Israele e del suo successo non c'è niente da fare. La dipl~ mazia, sia essa individuale che collettiva ))UÒ svolgere una sua azione utile quand~ può operare nel campo del razionale. Il compromesso, ed al di fuori del comp~ messo non c'è diplomazia, è sempre un appello alla ragione, mai un appello al $eotimento, all'irrazionale. Ora, purtroppo, in tutto questo affare nel Vicino Oriente, noi ci troviamo di fron. te al cozzo di tre irrazionali: irrazionale russa, irrazionale israeliana ed irrazionale araba. Gli ~rabi si rifiutano di accettare la presenza m una terra che è considerata storicamente araba - in base ai precedenti storici si può sempre dimostrare tutto ed il suo contrario - di un elemento etnico il quale vi si è sistemato estromettendo la popolazione araba. Questa irrazionalità generale del mondo arabo, da cui non sono esenti nemmeno i paesi de.l campo detto non progressista, è aggravata dall'entratà in scena, attraverso i differenti gruppi di guerriglieri, del popolo palestinese. E' difficile dire fino a che punto questo milione e mezzo di veccru profughi, quelli del 1947, a cui si è aggiunto un al· tro mezzo milione almeno di profughl del 1967, condivida tutto l'estremismo dei guer· rìglieri: il fatto che quelli che combattono veramente non sono che poche migliaia potrebbe far nascere qualche dubbio. Ma la loro influenza politica ~ governi arabi detti regolari si fa sentire .e' molto. E non solo politi~ recentemente a Kuwait uno dei capi di Al Fatah ha detto: c Qual: siasi governante arabo il quale sottoscriva un accordo con Israele, firmerebbe al tem· po stesso la sua sentenza di morte •. E non è certo una minacCia a vuoto. ~ra il programma dei pal~tinesi, "a cu1 Mosca ha dato il suo appoggio", va (continua a pag. 47) 15 Breznev gioca d'azzardo Se le notizie sulla presenza in Egitto di perfezionati missili antiaerei manovrati da personale sovietico e sulle missioni effettuate nel cielo della RAU da piloti sovietici sono esatte, i capi del Cremlino sono impegnati nella più audace mossa politica dai tempi della crisi del missili a Cuba di Enzo Martino SIZIOne di fronte all' "escalation" militare sovietica nella RAU. Le dichiarazioni della signora Golda Meir e di Abba Eban sono probabilmente dirette ad influire sull'opinione pubblica americana ed banno seguito, si può supporlo, delle iniziative diplomatiche più riservate. Nell'intervista della signora Golda Meir all'AP è apparsa la parola "contenimento" che richiama alla memoria un periodo di rapporti internazionali e della dialettica tra le due massime potenze, che si è chiuso (o sembra essersi chiuso), appunto nei mesi successivi alla crisi del 22-29 ottobre 1962 per l'installazione dei missili a Cuba. Il quadro mondiale del 1970 è tuttavia molto diverso da quello del .1962. Otto anni fa, le relazioni americano-sovietiche, dopo l'illusoria parentesi delle conferenze tra i Grandi, del viaggio oltre Atlantico di Krusciov e dei colloqui di Camp David, erano giunte al punto di maggiore tensione dall'epoca della guerra coreana e del blocco di Berlino; l'invio dei missili a Cuba era una sfida aperta agli Stati Uniti oltre che una minaccia diretta alla loro sicurezza, ~a prima violazione della dottrina di Monroe dopo l'avventura messicana di Napoleone III. EU Un ;iov- it-llono tpe;M un principio di Incendio un klbbutz dopo un ~c~o~Mmo dolio lltl;llorlo In siri- HA A più di tre anni dalla conclusione della guerra dei sei giorni, israeliani ed arabi rimangono schierati lungo quelle che avrebbero dovuto essere delle linee di armistizio, mentre la situazione politico-militare del Medio Oriente ha subito negli ultimi mesi un cambiamento della più grande importanza. Un cambiamento di maggiore significato per la politica mondiale degli spostamenti nei rapporti di forza locali, dei problemi territoriali e delle trasformazioni all'interno del mondo arabo, che sono stati la conseguenza diretta dei combattimenti tra il 5 ed il 10 giugno 1967. Se le notizie sulla presenza di missili antiaerei del tipo più perfezionato, manovrati da personale sovietico, e sulle missioni effettuate nel ci& lo egiziano da piloti sovietici, sono esatte, scriveva di recente un autorevole settima· nale di New York, il Cremlino è impegnato nella più audace mossa di un gioco d'azzardo geopolitico dal tempo in cui Krusciov tentò di installare a Cuba un sistema rnissilistico. I governanti israeliani hanno ricordato agli Stati Uniti la necessità di prendere po- 16 ~el La difesa cielo egiziano AH UE HA EU AH Oggi, anche se non si può certo dire che si sia avverato l'auspicio espresso da Nixon nel discorso di assunzione di poteri, che dall'era del confronto si passi all'era del negoziato, si sta trattando a Vienna per la limitazione degli armamenti nuclearimissilistici e nell'insieme Washington e Mosca si comportano sulla base dell'insegnamento uscito dalla crisi del 1962, che le massime potenze devono evitare il confronto diretto e che, nel caso di adozione di una linea intransigente da parte di una a di· fesa di un interesse considerato assolutamente vitale, àll'altra deve essere lasciata aperta una non disagevole via di disimpegno. Sotto l'ombrello di Mosca terebbe un netto distacco dalla precedente ed il passaggio ad una zione completamente nuova. La decisione di Mosca sarebbe all'offensiva aerea in profondità, quale nei primi mesi di quest'anno liani hanno reagito alla guerra di o di usura lungo il canale di Suez. E' sibile che il governo di Gerusalemme si proponesse solo di costringere gli ni al rispetto dell'armistizio del di provocare la caduta del regime no, facendo crescere il sentimento strazione delle sue forze armate ed ticolare dei giovani ufficiali. gani di stampa hanno scritto che ton avrebbe vivamente sconsigliato israeliani questa offensiva aerea e che l'interno del governo presieduto dalla gnora Golda Meir il ministro degli Abba Eban avesse espresso delle non sulla legittimità sulla opportunità politica delle Il Cremlino, garantendo la sicurezza spazio aereo sopra la valle del Nilo, be assicurato la continuità del seriano, chiave di volta della sua araba ed avrebbe fatto fare a questa tica un grande balzo in avanti. UE Medio Oriente La difesa del cielo egiziano, ad eccezione della zona nei pressi del canale di Suez e c!i6è della zona del fronte, ad opera di reparti missilistici e di aviatori russi, che la stampa mondiale considera ormai come un fatto riconosciuto, rappresenta un passo sulla strada aperta quindici anni fa con la missione Shepilov al Cairo e con le prime forniture di armi e lungo la quale tre diversi governi sovietici (la direzione collettiva post-staliniana, il governo persona· listico di Krusciov e quello in associazione con Kossighin e Podgorni di Breznev) hanno proceduto con continuità e gradualità indiscutibili, e costituisce anche un'iniziativa che determina una svolta nel conflitto arabo-israeliano, forse la più grave dall'iDi· zio di questo conflitto, una svolta nella politica mediorientale e crea un fatto nuovo nella politica mondiale. I sovietici erano già presenti nella RAU con grosse missioni di tecnici e di militari, che curavano la manutenzione del materiale bellico favorito agli egiziani e l'addestramento delle forze di Nasser all'im· piego di questo materiale, e con il soggiorno della ·loro flotta del Mediterraneo ad Alessandria ed in altri porti per visite, che non erano di sola cortesia (il soggiorno delle navi sovietiçhe creava di fatto una apertura di certelzone marittime), ma l'impegno diretto di unità missilistiche ed aeree, anche a fini difensivi, senza la mascberatura dei reparti di "volontari" rappresen- E' una politica nella quale la co1mpom:111 te degli interessi nazionali, intesi più classico, predomina sulla com~.onen11d ideologica a tal punto da camente invisibile, anche se, alla crescimento della potenza sovietica riflettersi sui regimi della regione e se spostamento negli equilibri mondiali, la natura dello stato sovietico, non essere considerato al di fuori della tica tra le contrastantì concezioni cietà. Gli sviluppi della crisi rn••"''"r''""''"l"' sono stati preceduti da un della presenza navale russa nel M t•mrf'rr.t-• neo. Si direbbe quasi che i governanti Cremlino abbiano fatto loro la frase Palmerston, c la flotta vada avanti, la mazia seguirà nella scia"· Nella Giordania continua il " miracolo" della sopravvivenza dell'ultima monarchia haschemita, grazie alla fedeltà del suo piccolo e combattivo esercito, ma le organizzazioni palestinesi, per quanto divise da trasti di tendenze, hanno mantenuto e consolid<>to la loro presa su quella che costi· Uno ;lov- ltrMIIono In Otpedalo, gravlttlma dopo un bombordlm<onto clolle ortlgllorl• orebo Il delicato equilibrio UE AH EU AH Il delicato equilibrio, stabilito tra Tel Aviv ed Amman (gli israeliani non nascondevano che avrebbero considerato l'integrazione militare della Giordania con gli stati arabi "rivoluzionari" una minaccia mortale alla loro sicurezza) si ruppe quando il pronipote dello Sceriffo della Mecca volò al Cairo per stringere un'alleanza con Nasser ed .accettò nel proprio territorio le truppe di quel regime rivoluzionario irakeno, che aveva distrutto il ramo più importante della sua famiglia. L'acquisizione di un'autonoma personalità da parte delle organizzazioni palestinesi renderebbe molto difricile il ritiro ad occidente del Giordano di un effettivo potere bachemita, già così precario ad oriente anche se una sovranità formale potrebbe essere accettata temporaneamente per ragioni di opportunità politica. EU Nel corso degli ultimi tre anni i due regimi banno mantenuto le teste al di sopra di ondate, che apparivano più minacciose di quelle del 1958, ma si può dubitare che uno sgombero dei territori occupati porti in Giordania ad un ristabilimento dello statu quo antecedente alla guerra dei sei giOrt)i. La "piccola coalizione, e le elezioni nei tre 'laender' HA Il risultato della guerra del 1948 e degli armistizi di Rodi era stato la spart.izione della Palestina tra lo stato d'Israele e l'emirato d'oltre Giordano (a parte la striscia di Gaza andata all'Egitto). Questa situazione, dalla quale nasceva una coincidenza di fatto d'interessi tra la repubblica ebraica è la monarchia hachemita si è protratta per quasi diciotto anni, nonostante le azioni dei guerriglieri e le ritorsioni israeliane. Nel luglio del 1958 la rivoluzione, o più esattamente il sanguinoso colpo di stato militare, che distrusse il regno hachemita nell'Irak," mise in movimento una serie di ondate, che senza l'intervento americano e britannico, avrebbero sommerso la repubblica parlamentare nel Libano e la monarchia tribale nella Giordania. si tratta - appunto - d'una flessione, non d'un tracollo. Ciò fa parte dei rischi impliciti in ogni elezione: quando il favore dell'elettorato generico si allontana dagli obiettivi perseguiti da un partito, questi subisce perdite proporzionali in voti e seggi. Gli resta tuttavia sempre, come dimostra l'esempio attuale, l'appoggio di quella base di iscritti e di aderenti alle cui indicazioni tradizionali è rimasto fedele. Di tracollo, invece, si può parlare per quanto riguarda i liberali di Scheel. Siamo ormai al limite del cinque per cento, della famosa "barriera" che la costituzione tedesca prevede per la presenza di deputati Un grosso pericolo : che la secca scon- nelle assemblee legislative. Se si facessero fitta elettorale del loro partito induca ora le elezioni generali è dubbio che la i llberalJ ad abbandonare l'alleanza con FPD otterrebbe propri rappresentanti al i sociaidemocraUcl determinando una Bundestag. Come spiegarsi questo fenomecrisi di gravità senza precedenti in no? Scheel è un uomo intelligente, prepaGermania e risolviblle unicamente· rato, un ottimo oratore. Molti lo ritengono al suo predecessore Mendc. La con nuove elezioni generali anticipate superiore verità è che in Germania il partito liberale ha la testa a sinistra e il corpo a destra. Il suo è, per tradizione, un elettorato conservatore. Scheel ha ottenuto un brillante Dalle elez.ioni nei tre "Laender" della re- successo quando è riuscito a inserirsi nel pubblica federale tedesca dove si è votato governo spalleggiando i socialdemocratici domenica 14 giugno, possiamo trarre due e diventando, in qualità di ministro de!!li indicazioni. La prima, di carattere generale, esteri, il portavoce autorizzato della "Ostpuò forse valere anche oltre i confini della politik". La sua azione spregiudicata e tatGermania. Gli elettori (18 milioni, quasi ticamente abilissima è stata molto ammila metà dell'intero elettorato) hanno dimo- rata dagli esperti della politica internaziostrato di apprezzare la fedeltà dei partiti nale e riproposta persino come esempio alle tradizioni, alle scelte della base. La imitabile per altri partiti ideologicamente CDU-CSU quando nel settembre dello scor- affini dell'Europa occidentale. Assai meno so anno cedette il potere alla coalizione l'hanno apprezzata gli elettori. che hanno socialdemocratico-liberale, avrebbe potuto letteralmente voltato la schiena al loro capovolgere i termini del suo vecchio pro- partito per appoggiare la CDU-CSU. La seconda considerazione che le votagramma e "scavalcare" il governo • nella corsa verso l'apertura all'Est. Non manca- zioni regionali tedesche suggeriscono, rirono le sollecitazioni in questo senso. La guarda invece gli effetti immediati sulla "giovane guardia" della democrazia cristia- linea del governo. Si è parlato di "battuta" na tedesca. mise praticamente sotto accu- d'arresto nella "Ostpolitik" di Brandt. sa l'ex cancelliere Kiesinger e tutti i "noRiteniamo l'ipotesi totalmente infondata. tabili" cui venne attribuita la responsabi- E' la logica stessa a sugget-irlo. Brandt si lità della "sconfitta". trova impegnato anima e corpo in u.n a Si parlò, non senza qualche ragione, di grandiosa operazione di carattere internalentezza, di immobilismo, di mancanza di zionale, che conduce avanti con gli alti e fantasia. Venne suggerito un tentativo di i bassi consueti in tali circostanze. Dinanzi opposizione basato su quello che noi in alle difficoltà, alle contraddizioni', alle lunItalia chiamiamo "il salto della quaglia". gaggini dell'operazione l'opinione pubblica In sostanza: Brandt inaugura con Scheel si dimostra perplessa, inquieta. Cosa può la sua HOstpolitik"? Ebbene, l'opposizione fare Brandt? Fare marcia indietro, ora, lo preceda, gli bruci il terreno sotto i pie- per dare ragione all'opposizione? Sarebbe di, si spinga ancora più in là. Potrà cosl la sua fine. Verrebbe meno a quella "coetrarre tutti i benefici d'ogni eventuale suc- renza" che gli elettori tedeschi hanno dicesso rivendicandolo come proprio. Nel ca- mostrato di pretendere dai loro partiti. so d'un insuccesso, 10 attribuirà invece Non gli resta invece che dimostrare l'inall'insipienza del governo e sosterrà che se fondatezza dei timori e la possibilità di l'operazione fosse stata condotta dagli uo- concludere a breve scadenza accordi il più mini dell'opposizione avrebbe avuto altro possibile convincenti, clamorosi. esito. La possibilità d'uno spostamento di Poi queste furbesche prospettive vennero Brandt su posizioni diverse, non esiste. Esiaccantonate. Strauss, logicamente, rimase ste invece un'aftra possibilità. Che dinanzi nelle sue note posizioni di drastico rifiuto allo sfacelo del proprio partito, l'ala dedella "Ostpolitik". Ma anche i "moderati" stra dei liberali insorga contro Scheel. come Kiesinger, Schroeder, Barzel preferiSospinti da questi timori i liberali porono battersi sul terreno che ogni onesta opposizione democratica dovrebbe preferi- trebbero abbandonare la coalizione, deterre: la critica motivata all'azione del go- minando una crisi di gravità senza prece-verno, secondo le scelte a suo tempo ap- denti in Germania e risolvibile unicamente con elezioni anticipate. E' ciò che con tutte provate dalla base del partito. le sue forze cerca di provocare l'opposiNessuna confusione, dunque, fra governo zione di Kiesinger. E' ciò che Brandt vuole e opposizione, ma delimitazione netta, chiara delle rispettive forze contrapposte. n impedire con altrettanta energia. Paradosbalzo in avanti compiuto nella Saar, nella salmente, tale minaccia è anche la sua arRenania Westfalia e neiJa Bassa Sassonia ma più forte nelle trattative con i soviedalla CDU-CSU dimostra la validità con- tici: '• Datemi un successo - egli può dire creta di questa linea. La coerenza, in de- - a)trimenti avremo la crisi a Bonn e mocrazia, porta i suoi frutti magari a Strauss al governo fra tre mesi ». Una prolunga scadenza. Si dirà che la SPD di spettiva che a Mosca non può certamente Brandt, pur'essa coerente, ba tuttavia su- piacere. bìto una flessione notevole. E' vero, ma P. C. UE tuisce ormai la base territoriale della loro quasi sovranità. Anche se la minaccia che rappresentano per Israele è molto limitata sul piano militare (la Palestina non è l'Algeria e tanto meno il Vietnam), esse rappresentano un fattore sempre più rilevante della situazione mediorientale. HA All'estremo sud della penisola araba, il governo repubblicano yemenita, che ha assunto il potere in circostanze assai difficili dopo il ritiro del corpo di spedizione egiziano nell'estate del 1967, ba consolidato, sembrer~bbe in modo definitivo, la propria posiztone ed ha chiarito la propria natura nazionalista e moderata. Una linea dì condotta conciliativa all'interno dovrebbe accompagnarsi ad una riconciliazione con il regno saudita. Lo Yemen del Sud (l'antico possedimento di Aden e territori connessi) è invece teatro dell'esperimento più a sinistra che si sia ancora verificato nel mondo arabo. Nella confinante regione del Dorfun è in corso un movimento di guerriglia contro il potere feudale del sultano di Oman e Maxute, che partito da tradizionali motivi tribali ha assunto sempre più precisi connotati rivoluzionari. Si tratta di una guerriglia evidentemente di dimensioni molto ridotte, ma che apre prospettive inquietanti per gli interessi occidentali nel momento in cui il ritiro britannico dal Golfo Persico aprirà un nuovo vuoto nella regione. 17 l'INGHilTERRA DI DOMANI ElE ElEZIONI DI 0661 l laburisti e la politic AH UE di Robert Steph e n s Il MQretarlo del portito c:onse.-.-e EU HA Mentre L'Europa va in macchina non sono ancora noti i risultati delle elezioni inglesi. Pubblichiamo tuttavia due arti· coli usciti sui/'Observer in data immediatamente anteriore alla consultazione. 18 Blown Che ripercussioni avrebbe un cambiamento di governo sul ruolo della Gran Bretagna nella politica mondiale? l manifesti dei tre principali partiti forniscono all'elettore ben poche indicazioni su questo punto. L'attenzione di circostanza che i programmi dei tre partiti dedicano alla politica estera - un paio di paragrafi con considerazioni molto generali sul problema dell'adesione alla CEE, dell'appoggio all'ONU, del rafforzamento della NATO e del Commonwealth (anche se quest'ultima parola non figura neppure nel documento del partito liberale) riflette probabilmente la convinzione di tutti i leaders di partito che non è con la politica estera che si guadagnano voti. Ciò è anche un segno che il carattere bipartitico della politica estera britannica che si riscontra dalla seconda guerra mondiale in poi su quasi tutti i problemi essenziali - con la parziale eccezione di quello del nazionalismo arabo ed africano - è in gran parte mantenuto. Come negli affari interni, le differenze che esistono in politica estera "all'interno" del partito laburista e di quello conservatore sono sovente più grandi di quelle fra le politiche ufficiali e i leaders dei due partiti. Sia l'ala sinistra del partito laburista, sia l'ala imperialista e "gollista" all'estrema destra del partito conservatore hanno sui rapporti con gli Stati Uniti. sulle armi nucleari e sul modo di affrontare il terzo mondo afroasiatico, concezioni molto più lontane da quelle dei vertici dei propri partiti che non quella di Wilson da quella di Heath. L'ampia area di consenso fra le direzioni dei due partiti ha da tempo reso confusa la vecchia immagine dei laburisti come partito dell'idealismo internazionale, e quella dei conservatori come accaniti difensori degli interessi nazionali ed imperiali. In ambedue i partiti, la "realpolitik" non cancella le emozioni, né fa trascurare la domanda su quel- UE AH EU HA Il ptlmo mlnlatto Wllson <>-oe IO Che l'Opinione pubbliCa nriiJ,.I1nllrjl trà accettare su ogni problema. I laburisti hanno aato prova ài sempre più disposti a subordinare timento a quello che considerano interesse nazionale, che si tratti blema dei rapporti con gli Stati relazione al Vietnam, o con il ca e la Rhodesia. D'altra parte, il realismo dei conservatori non di una coloratura emotiva tratta di abbandonare gli ultimi di dell'impero, e di discutere mi di razza. Il diverso equilibrio sentimento su diversi p tO ciÒ Che distingue n10ooaìnrmPniA stile dei partiti in politica le differenze sono soprattutto o di tattica, e sono sovente più ti che reali. E' il caso, ad esempio, del cui i partiti affrontano due questioni di politica estera che no essere risolte dal prossimo i negoziati per l'adesione alla economica europea, e il ritiro delle ze britanniche a est di Suez entro no prossimo. I tre principali lizza alle elezioni si sono impegnati i negoziati di adesione alla CEE, ma suno di loro è per l'adesione a costi. Perfino i liberali, che sono entusiasti ed estremi nella loro di un'Europa come unità non nomica, ma anche politica, se necessario, ad adottare la ricambio, quella, cioè, di una zazione degli scambi internazionali. I laburisti ed i conservatori sono ti a volere l'ingresso nella CEE stesso complesso di motivi: il di godere dei vantaggi di un vasto ed in espansione, ed il essere esclusi da un grande r""'""',. mento politico e da un stato che si forma sul st'ultimo è, naturalmente, un incubo britannico, che è diventato pre più allarmante da quando la Bretagna ha perduto la controbilanciare una con l'ampliamento del suo mare. Ma nei partiti non mente alcuna pubblica gli effettivi problemi dall'appartenenza ad una ropea occidentale ulteriormente Come potrà, ad esempio, la occidentale essere più ~tr·""",."'"'" tegrata in una comunità di questo re, e progredire al tempo stesso più stretti rapporti con la r.,.rm,.nl orientale, superando cosl la djvisione dell'Europa in In che senso l' "entrare trà realmente influire sui Gran Bretagna con gli suo statuto di potenza nucleare e sua capacità di svolgere un ruolo struttivo nel mantenere la pace al fuori dell'Europa? Il partito laburista, che un estera Powell e i conservatori di Colin Legum AH Il "leader" con. .rvatoro Edward Heath HA La decisione laburista di abbandonare i piani originari di Wilson per un ru.olo a lunga scadenza della Gran Bretagna "all'est di Suez", come partner minore degli Stati Uniti, è stato un realistico adattamento alle limitate risorse economiche del paese. Con ciò si è anche riconosciuto · il clima politico di antiimperialismo dominante in Asia ed in Africa, e le conseguenze di una mossa britannica verso l'Europa. Anche se abitualmente i conservatori sono stati più lenti nel comprendere le correnti politi· che nei paesi afro-asiatici, non sembra che essi intendano seriamente rovesciare la politica laburista in tale campo. UE HA EU Il nuovo parlamento britannico dovrà affrontare una serie di problemi difficili, e forse anche pericolosi, derivanti dai conflitti e dai pregiudizi razziali. L'atteggiamento su questi problemi potrà avere un'inFluenza determinante sull'esito dei due partiti alle elezioni? Ambedue sono ampiamente d'accordo sulla politiea di immigrazione da seguire in futuro, e sul posto che i cittadini di colore dovranno avere nella società, con l'eccezione che i conservatori propongono di considerare tutti i futuri imrni· .granti come stranieri, e di limitare il loro permesso di lavoro ad una occupazione particolare. E questa sarebbe una seria discriminazione. Per il resto, i due partiti ritengono che gli immigranti che risiedono già in Inghilterra debbano essere trattati esattamente come gli altri cittadini, che i loro familiari siano autorizzati a raggiungerli, e che, se l'ulteriore immigrazione sarà mantenuta ad un livello minimo, non vi sarà una politica attiva di rimpatrio (anche se i conservatori sono pronti a fornire incentivi per chi desideri partire). Queste politiche si basano probabilmente sul fatto che il powellismo è una forza in declino. Ma se non lo fosse, chi sarebbe più cedevole dinami ad essa, i conservatori o i laburisti? Finora Heath e soprattutto Quentin Hogg banno resistito alle pressioni dello stesso Powell. A sinistra del partito esiste un nucleo notoriamente rigido anti-powelliano, che è però controbilanciato da una destra ancor più forte. Nell'ipotesi di un brusco mutamento del clima politico, la decisione dipen· derebbe largamente dal centro, che probabilmente non ha una capacità di resi· stenza molto alta dinanzi ad una eventuale sfida che venga lanciata dai ranghi del proprio partito, e cioè da Powell. In poche parole, quale sarebbe la po· AH EU Sull'altro problema di attu~lità - il ritiro ad est di Suez - sembra, a prima vista, che i conservatori abbiano suggerito una politica diversa da quella proposta dai laburisti. Essi hanno accusato il governo di esporre gli interessi della Gran Bretagna, ed i suoi amici, a "rischi inaccettabili", impegnandosi a ritirare le forze britanniche da Singapore e dalla Malaysia e dal Golfo di Persia entro la fine del 1971. Essi hanno proposto una partecipazione britannica ad una forza di difesa nell'Asia del sud-est, costituita da cinque paesi, e cioè dalla Gran Bretagna, dalla Nuova Zelanda, dalla Malaysia e da Singapore. Ma il piano di Heath per l'Asia del sud-est. se esaminato più da vicino, non appare molto diverso dalla politica laburista consistente nel proseguire la cooperazione e l'appoggio militare alle zone interessate. In nessun caso sembra concepibile che la Gran Bretagna fornisca un maggiore contributo alla difesa dell'Asia acl sua-est, compito, questo, àal quale perfino gli Stati Uniti cominciano a recedere. Per quel che riguarda il GoJfo di Persia, è indubbio che una rinuncia al ritiro delle forze britanniche sarebbe difficile da realizzare in pratica, oltre ad essere un errore politico. Metterebbe a repentaglio gli sforzi per creare un nuovo, stabile contesto politico nel Golfo grazie ad una federazione degli stati arabi di piccole dimensioni, e ad un'in· tesa fra gli stati arabi e l'Iran. Forse appunto perché Heatb si rende conto di queste realtà, il programma ufficiale dei conservatori è molto cauto su questo punto, e prevede soltanto che un futuro governo conservatore manterrà contatti con i leaders di quella zona. SIZJOne dei due partiti nel caso di una fin troppo probabile crisi sul problema degli asiatici dell'Africa orientale? E su quale dei due partiti si potrebbe contare maggiormente per evitare tale di· sastro? Dagli ottanta ai centomila asiatici nell'Africa orientale hanno legalmente il diritto di avere un passaporto britannico. Il governo accetta la responsabilità di accoglierli se, in ultima analisi. non si può trovare nessuna altra alternativa. Anche se la crisi non ha fatto che aggravarsi nel corso dei tre ultimi anni. il governo laburista si è finora mostrato incapace, o poco desideroso, di affrontare questo problema, benché esista una soluzione abbastanza semplice, che non comporta necessariamente un aumento del tasso annuale di immigrazione. Ma se il problema non verrà seriamente affrontato finché si è ancora in tempo, allora finirà con l'esplodere c col portare un gran numero di persone a reclamare a gran voce l'ingresso in Gran Bretagna, come avvenne con l'immigrazione dalle Indie orientali quando essa raggiunse il suo apice. Se ciò accadesse, il powellismo rischierebbe di rifiorire, c i rapporti della Gran Bretagna con l'Africa, l'India e il Pakistan (e, quindi, con il Commowealth) risulterebbero tesi. Ambedue i partiti rischiano di affrontare il problema in modo sbagliato: ma se si giungesse ad una crisi, probabil· mente i conservatori' sarebbero più vulnerabili dei laburisti dinanzi alle pressioni della corrente di Powell. Resta comunque il fatto che nessuno dei due partiti ha la minima idea di come risolvere la crisi che si trascina in Rhodesia. I laburisti propongono semplicemente di continuare come prima, il che significa di non cedere ai ribelli, e di continuare ad applicare sanzioni. I conservatori, pur riferendosi sempre ai cinque principi fissati per una soluzione, propongono nuovamente negoziati anche se il loro esperto in materia, sir Alce Douglas-Home, ha detto che le probabilità di successo sono d' cento a uno. E, se non vi sarà soluzione, i conservatori manterranno le sanzioni? E se decidessero di abolirle, in quale via senza uscita andrebbe a cacciarsi la Gran Bretagna alle Nazioni Unite? Analogamente, nessuno dei due parti· ti ha fornito un contributo positivo alla soluzione dei rapporti col Sud Africa. Ambedue condannano l'apartheid, considerandolo abominevole. Eppure tutti e due sono favorevoli ad un incremento del commercio con la repubblica. Tuttavia, i laburisti insistono per mantenere l'embargo sulle armi deciso dal consiglio di sicurezza, mentre i conservatori progettano di abolirlo e di sviluppare una più stretta alleanza militare, aven· te il proprio centro a Simonstown. UE propose di abolire il deterrente nucleare britannico ed indipendente, e poi completò la costru.zione dei sommergibili Polaris, se la cava ignorando completa· mente, nel suo manifesto, il problema degli armamenti nucleari. Sembra che questo problema sia parso così imbarazzante al partito laburista, da fargli persino dimenticare di vantare, nel suo manifesto, i meriti del governo laburista nella creazione del trattato di non proliferazione nucleare. 19 Logica del colpo di stato Il fatto che al gen. Ongania sia succeduto il gen. Levingston conferma una regola che In Sud America vale più che altrove: quella che l mi1itari, una volta giunti al potere, non intendono &ssere esautorati, quasi che la direzione politica di una nazione sia un retaggio obbligatorio della loro casta La giostra dei generali ..,..,_ capo dello . _ dello EU L'ammiraglio Pedro Gnavl. comandante in morino argent ina e Il gon. Corloa Rey, AH UE HA EU AH di Eugenio Melani loro comparsa nelle vie di Buenos Aires e reparti di soldati e di marinai circondarono la "Casa rosada". Di fronte all'evidente inutilità di ogni resistenza, Ongania si affidò 'alla custodia dei suoi ex collaboratori; e questi, assumendo il potere, si impegnarono formalmente a nominare entro brevissimo tempo il nuovo presidente della Repubblica. Nei giorni successivi - i carri armati ed i reparti di fanti e di marinai erano nel frattempo rientrati nelle caserme e la massima tranquillità, almeno in apparenza, regnava in tutto il paese - circolò la voce che la "giunta" avrebbe insediato alla presidenza un civile. Qualcuno parlò addirit· tura di un sindacalista di tendenze moderate. Ma il quattordici giugno coloro i quali avevano fatto ai capi militari un oosì largo credito di senso politico, dovettero amaramente ricredersi: infatti, quel giorno, con un comunicato di poche parole la "giunta" rese noto di aver nominato quale successore del generale Ongania il generale Roberto Marcello Levingston che "dovrà governare congiuntamente con i comandanti delle forze armate". La decisione destò sorpresa; in· fatti Levingston non è una figura di primo piano. "Praticamente sconosciuto" lo ha definito il New York Times aggiungendo che il suo principale incarico fino al quattordici giugno di quest'anno era stata la direzione del servizio di informazioni militari del suo paese. Comunque, la nomina dello "sconosciuto" Levingston ha una logica: ad un generale succede, dopo quattro anni di agitazioni e di fermenti durante i quali l'Argentina è giunta sull'orlo del tracollo economico, un altro generale. Ciò conferma che una regola che in Sud America vale più che altrove è quella secondo cui i militari, una volta giunti al potere, non intendono essere esautorati, quasi che la direzione politica di una nazione sia un retaggio della loro casta. Per rendersi conto della crisi che sta travagliando l'Argentina bisogna rifarsi alle di· verse vicende verificatesi durante la presidenza di Ongania, che - forte dell'incondizionato appoggio della giunta militare - af. fossò nel giugno del 1966 il debole regime democratico instaurato dal presidente Illia. 11 primo atto di Ongania, una volta insediatosi nella "Casa rosada", fu lo scioglimento dci partiti politici, del congresso (ossia del parlamento) e della corte suprema. Tre settimane dopo la sua nomina, egli diffuse un "manifesto" nel quale si affermava che il nuovo regime avrebbe "stroncato ogni estremismo" ed avrebbe adottato "efficaci provvedimenti per il ristabilimento della situazione economica". Per alcuni mesi la calma regnò in Argentina; ma nel febbraio del 1967, una serie di scioperi proclamati in seguito ai riflessi economici derivati dalla svalutazione monetaria, determinò i primi contrasti nella giunta militare che appoggia· va Ongania. La situazione peggiorò progressivamente mentre una ondata di peronismo dilagò dai sindacati ai comandi periferici dell'esercito e dell'aviazione minacciando la stabilità del regime. Di fronte al crescente pericolo di un "golpe" da sinistra, il generale-presidente scelse la maniera forte: impose le dimissioni da ministro della guerra al generale Lanusse (quello stesso che è riapparso alla ribalta durante le vicende che hanno provocato l'esautoramento di Ongania), fece arrestare il leader sindacale Raimundo Ongaro ed ordinò all'esercito di sedare "ad ogni costo" i disordini che da Buenos Aires si erano estesi a Cordoba, a La Plata ed a Rosario. In quest'ultima città la repressione fu particolarmente cruenta: decine di studenti HA Il sei giugno scorso, il generale Juan Carlos Ongania, presidente dell'Argentina, destitul il comandante in capo dell'esercito, generale Alejandro Lanusse, il quale gli aveva chiesto a nome degli altri membri dello stato maggiore di avviare il processo di ripristino della "normalità istituzionale". Il gesto di Ongania fu un disperato tentativo in extremis di mantenere il potere e di dissuadere le alte gerarchie militari da uno scontro frontale con lui. In un comunicato diffuso dalla "Casa rosada" poche ore dopo il siluramento di Lanusse, il generale-presidente assicurò che '1'ordine c la pace sociale ristabiliti in Argentina dopo una lunga serie di lotte" non sarebbero stati "turbati" fino a quando egli avesse "esercitato il potere conferitogli dalle forze armate in nome del popolo". Il comunicato concludeva con una affermazione tanto perentoria quanto in· cauta: • l'epoca dei 'golpes' è finita e non tornerà •. Ventiquattro ore più tardi (con la tecnica tipica dei 'golpes') i tre capi della giunta militare - lo stesso generale Lanusse, l'am· miraglio Pedro Gnavi e il brigadiere generale Carlos Rey - reagirono al colpo di forza di Ongania ingiungendogli di lasciare entro poche ore la sede presidenziale. Con· temporaneamente, carri armati fecero la 20 e di operai furono falciati dalle raffiche di mitragliatrice esplose dai carri armati. Le drastiche misure adottate da Ongania non valsero però a ristabilire l'ordine: e per un anno - mentre la recessione economica rendeva necessaria una nuova svalutazione della "peseta" - l'atmosfera in Argentina fu praticamente quella della guerra civile. Dopo che Ongania decise - d'accordo con la "giunta" dei generali - di porre sotto il controllo del governo la confederazione generale del lavoro (CGT) l'ex dittatore Peron dichiarò dal suo esilio spagnolo di essere pronto a partire per Buenos Aires ed a ri· prendere le redini del potere. Da quel momento gli scioperi e gli scontri fra polizia ed esercito da una parte e studenti ed operai dall'altra resero ancor più precaria la stabilità del regime militare. Secondo fonti newyorkesi, in un rapporto riservato da lui inviato alla presidenza dell'OSA (l'organizzazione degli stati americani) Ongania avrebbe fatto presente, all'inizio dello scorso maggio, che in Argentina era da ritenere imminente il pericolo di un prevalere degli elementi peronisti i quali, a scadenza più o meno breve, avrebbero fatto causa comune con tutte le forze castriste dell'America centro-meridionale. Si giunge, così, al ventinove maggio, quando il generale Aramburu - uno dei più popolari capi dell'opposizione al regime di Ongania, ma non sospetto di sentimenti filoperonisti viene rapito misteriosamente e forse eliminato da esponenti di un'organiv..azione clan· destina. E' questa la goccia che fa traboccare il vaso: i capi militari decidono che l'era di Ongania è finita e - pur lodandone la politica ''nazionale" - decidono di esonerarlo dal potere con il "golpe" attuato l'otto giugno. Cosa accadrà nei prossimi tempi in Argentina? Qual è iJ futuro politico di quel paese? Sarà sufficiente il piano di "sviluppo economico" di tipo laburista enunciato da Levingston dopo il suo insediamento per in· durre le organizzazioni operaie a desistere dalle agitazioni? Oppure i fermenti peroni· sii che da- qualche tempo vanno realmente profilandosi nelle sfere militari sono desti· nati a dilagare ed a rendere instabile e precario il regime del nuovo presidente? Sono, questi, interrogativi ai quali oggi non è possibile rispondere con certezza. L'unica cosa sicura è che la democrazia parlamentare, non sopravvissuta alle fortune del presidente Illia, ha per ora ben poche probabilità di prevalere sui regimi militari ed autoritari. UE Argentina 11 retaggio di una casta Il 11011. Alejan~ro Lanuose o 11 deposto P<tsldente 111· ner1te Juan Carlos ()nganle UE AH arrivata in Svizzera EU Jameo Schwanenboch (seduto al cent..,J. la cui proposta di ...,..,.,. dalla Svizzera l lavorato.! sU!ilnlerl 4 stata reoplnta dal refe.........,. cl.--.daio dal glomollttl dopo lo <~lu t lone delle votazioni HA La Svizzera e l'" inforestamento , Le domande che dobbiamo obiettivamente porci, invece di chiudere gli occhi dinanzi alla realtà, sono queste: quali i motivi di tale atteggiamento? C'è pericolo che esso si affermi e raggiunga la maggioranza in un futuro più o meno prossimo? C'è pericolo che i sintomi avveniti in Svizzera dilaghino oltre le frontiere elvetiche, suscitando analoghe reazioni, per esempio, nella Germania occidentale? HA EU AH Abbiamo avuto troppa fretta ad archi· viare il "caso Schwan:enbach •· Le ragioni sono evidenti. In Italia e in Svizzera, la opinione pubblica più aperta ed avvertita ha tirato un sospiro di sollievo dopo il voto del 7 giugno (fortuita coincidenza con le elezioni italiane). Il "no·• della Svizzera al referendum proposto dall'editore di Zurigo è stato salutato come una vittoria del buon senso e dello "spirito dei tempi". Argomento chiuso, meglio voltare pagina. Purtroppo non è così. L'argomento non è chiuso affatto e l'esiguo margine di maggioranza (54 contro 46 per cento) dovrebbe più incutere sgomento che giustiricare euforia. Sin dal principio - riconosciam<> lo - abbiamo peccato di superficialità e di leggerezza dinanzi all'azione di Schwarzenbach. Si è preferito liquidarla con una alzata di spalle. I grandi giornali d'informazione hanno trattato l'argomento come un pittoresco ma innocuo fenomeno cii xenofobia razzista, da trattarsi Cra le cronache di costume. Oggi ci troviamo di fronte a questa inattesa realtà: che il quarantasei per cento d'uno fra i più civili e democratici popoli d'Europa vorrebbe ridurre il contingente dei lavoratori italiani a un livello infimo (stando alla proposta Schwaizenbach, non più del dieci per cent9 rispetto alla popolazione di ciascun cantone). E questo pur sapendo non solo il male che ne deriverebbe agli interessati (quasi cinquecentomila persone costrette;; a-·_.r iinpatriare senza certezza di lavoro), m;f·ariche il danno che si avrebbe per l'intera c:conornia .svizzera. UE La ragione della storia milita con gli umlll lavoratori giunti dal sud. l camerieri, 1 netturbini, i braccianti, cosi spaesati, cosl goffi e chiassosi, provenienti dalle nostre regioni meridionali hanno portato nella rarefatta atmosfera svizzera un'aria nuova, ·raria che noi ormai respiriamo, l'aria inquietante dell'Europa. L'avvenire è chiaramente con loro Una risposta scoraggiante Registriamo il commento comparso sul giornale di Duesseldorf, '"Handelsblatt", sotto il titolo "Plebiscito sugli stranieri", all'indomani del voto in Svizzera. Secondo il quotidiano gran parte dei cittadini tedeschi interrogati sull'argomento si sarebbe dichiarata disposta a lavorare un'ora di più alla settimana, se questo potesse servire a ridurre il numero dei "Gastar· beiter" in Germania. La risposta è solo in apparenza scoraggiante. In realtà un'ora di lavoro in più alla settimana non è un gran sacrificio. E' da supporre che se ne venissero chieste due, gli stessi citta· dini rinuncerebbero alla prospettiva di veder diminuito il numero dci lavoratori stranieri. No, la questione tedesca - paradossi a parte - è del tutto diversa. U,na iniziativa Schwarzenbach nella Repubblica federàlc sarebbe impensabile. Vi possono essere attriti, incomprensioni, contrasti anche gra· di Pietro Car li vi. Ma ormai la "saldatura" fra masse di emigranti dal sud e popolazione locale è un fatto acquisito, una realtà "europea" di cui possiamo prendere atto con q•lalche soddisfazione. Diverso il problema svizzero. Si è parlato di razzismo, di xenofobia. Attenzione, però, all'uso delle parole. Le semantica è una scienza che se usata all'incontrario porta alla confusione anziché alla chiarezza. Non c'è dubbio che i sostenitori del progetto Schwarzenbach hanno fatto di tutto per accreditare questa tesi. Un intelligente lettore svizzero scrive per esempio alla "Neue Zuercher Zeitung" (un giornale che si batté contro Schwarzenbach) in da· ta 22 maggio segnalando la terminologia provocatoria, nostalgica e ottusa del "comitato nazionale contro l'inforestieramento del popolo e della patria" (patria è qui chiamata non Vaterland, terra dei padri, ma Heirnat, parola intraducibile in italiano che rievoca romantiche fedeltà ambientali). "Svizzera svegliati", oppure "Onore e dovere", o ancora "contro l'eccesso degli stranieri nella nostra bella Svizzera" con altra roba del genere sono i motti che, osserva il lettore, vagamente ricordano certi "slogan" nazisti tipo "sangue e terra". Anche talune manifestazioni degli avver. sari di Schwarzenbach, francamente, ci hanno allarmato. A Berna, per esempio, nel pieno della campagna per il referendum, le forze favorevoli alla presenza straniera (sindacati, imprenditori, partiti, governo) hanno distribuito migliaia di manifestini e palloncini di propaganda sui quali si poteva leggere testualmente: "Stranieri U<> 2t EU HA 22 comunitari e}lfopei e il conflitto tra le vecchie nazioni sia da considerarsi come ipotesi assurda, aberrante? Nella tranquilla Svizzera degli orologi e della cioccolata, per la prima volta nella sua storia prende corpo un fermento che attinge alle radici stesse della esistenza "culturale" di questo paese. Le grand• ma~ se popolari, anche se non comprendono i termini del dilemma, tuttavia lo avvertono nei profondo e si dividono a seconda delle proprie scelte, delle proprie decisioni, della propria visione dell'avvenire. Chi guarda all'Europa come a una fatalità ineluttabile, sa che dovrà rinunciare - per sempre alla "Svizzera di papà", alla Svizzera pur cosl nobile e maestra di vita, di civiltà, cui la sua tradizione è legata; ma trovera modo di affermarsi in un'altra struttura, di proseguire {nella formazione d'un altro processo storico) la sua opera realil:zatrice. Perderà la Svizzera dei cantoni, per acqui· stare la grande, pericolosa ma affascinante Europa del nostro domani. E' comprensi· bile che dinanzi a tale eventualità, le masse contadine dell'interno - più avverse alla concezione europeistica della "città" come centro d'espansione - cerchino disperatamente di salvare lo status quo, battendosi per l'anacronistica limitazione all'in· gresso degli stranieri. Possiamo anche comprenderle, ma non possiamo condividerne l'atteggiamento. Ormai un fatto irreversibile si è messo in moto. Anche noi abbiamo subìto, come italiani, Jacerazioni e sa· crifici. Cosl li banno subiti i tedeschi, i francesi. Stanno per subirli, in maniera che non possiamo ancora sapere quanto aspra, gli inglesi. Ma non c'è nulla da fare. L'avvenire è l'Europa. La ragione della storia milita con gli umili lavoratori giunti dal Sud. I camerieri, i netturbini, i braccianti. così spaesati, così goffi e chiassosi, provenienti dalle nostre regioni meridionali, hanno portato nella rarefatta atmosfera sviz· zera, un'aria nuova, l'aria che noi ormai respiriamo senza timore, l'aria inquietante dell'Europa. L'avvenire è con loro. UE HA EU AH UE avrebbe potuto influire sul referendum. chiarendo le idee almeno a molti rappresentanti delle categorie più avanzate. Notiamo subito come nel titolo si precisi l'importanza del motivo "culturale" accan· to a quello sociale. Ecco il lato nuovo dell'analisi, compiuta sulla base dell'immi· grazione del 1963 dopo una attenta ricerca alla quale collaborarono un gruppo di giovani studenti universitari. Sarebbe assurdo volerne considerare qui le conclusioni, trat· te con rigore scientifico. Ci preme soltanto rilevare che la maggior parte delle diffi. coltà all'inserimento viene attribuita alle differenze fra "culture" diverse. Nella strut· tura del mondo elvetico si è venuto a inserire per la prima volta come fattore per· manente e non transeunte la presenza di una diversa tradizione, come quella italia· na, collegata a precisi richiami nazionali particolari, ma inserita anche ormai in un tessuto connettivo europeo. Eccoci dunque al nocciolo della questione. Con i lavoratori italiani, l'Europa è arrivata in Svizzera. Vi è arrivata con tutti i suoi difetti, intendiamoci, oltre che con le sue virtù. Vi è arrivata con la sua tormentata problematica sociale e sindacale, con la sua ansia di cambiamento, con le sue inquietudini, con le sue drammatiche contraddizioni, con la sua avida sete di progresso, con la sua scontentezza e {cosa altamente traumatica per gli svizzeri) con il suo scetticismo. Si dirà: ma come, la Svizzera non è forse Europa? Non fa parte dell'Europa? Non è anzi l'esempio, il modello d'armonica fusione di tre diverse comunità nazionali a cui le nazioni d'Europa si sono ispirate per dar vita alla comunità inte· grata dei popoli d'Occidente? Niente affatto. Tutto questo fa pane d'un bagaglio retorico, stantio come i richiami aristotelici del dottore Azzeccagarbugli o come le argomentazioni del dotto tolemai· co nel dialogo dei massimi 5istemi. La Svizzera è naro, ha trovato la propria identità nazionale in quanto non esisteva l'Europa unita. E' nata in opposizione alle nazioni europee. Nell'Europa dci secoli scorsi, divisa da stati, imperi, nazioni, frantu· mata in molteplici diverse espressioni geo. politi::be, la Svizzera assunse una caratteristica "individuale", una personalità propria e inconfondibile, in quanto "diversa" da tutto ciò che la circondava. Uno stato nel quale tedeschi, francesi, italiani si trovano uniti mentre il resto della regione euro-occidentale era logorato dalle contese fra queste nazionalità, era uno stato, appunto, capace di costruire una struttura autonoma, meravigliosa e originale. Ma questo stato modifica la suddetta struttura- c si avvia fatalmente {anche se lenta· mente) al dissolvimento quando le condi· ;doni da cui deriva la sua individualità cambiano al di fuori e al di d~:ntro. Muta, cioè, nel profondo il rapporto dialetti· co fra l' "essere" della Svizzera e il "non essere" che le sta intorno. Quando iJ secondo termine si avvia a diventare simile al primo, quando penetra anche nell'inti· mo della sua costituzione, del suo "sistema", ecco che quell'entità perde la sua effettiva, fondamentale ragione d'esistere. O quanto meno d'esistere nella stessa maniera. La Svizzera neutrale ha una sua funzione splendida e inconfondibile da svolgere in un contesto nel quale sia possibile la guerra franco-italo-tedesca. Ma che valore ha la neutralità svizzera in un contesto nel quale su scala enormemente più ampia siano riassunti ed espressi valori AH mini come noi". Le intenzioni erano otti· me. Ma, francamente, certe cose non si dovrebbe nemmeno aver bisogno di spie· garle. Sarebbe tuttavia sommamente ingiu· sto e soprattutto sbagliato - dunque improduttivo ai fini d'una analisi corretta attribuire sentimenti razzisti o xenofobi nel senso classico dei due termini a quasi la metà della cittadinanza svizzera. Non può essere razzista un paese dove, per esempio, l'antisemitismo non ha mai allignato malgrado la relativamente alta percentua· le di presenze israelite. Non può essere xe· nofobo un paese che vive, materialmente, sull'apporto del turismo straniero. No, la causa vera delle adesioni a Scbwarzenqach è un'altra. Cerchiamo di scoprirla, com· picndo quello sforzo di ricerca mancato ai troppo fn:ttolosi commentatori del voto di giugno. Esaminiamo la tabella dei "sì" e dei "no". Tredici cantoni e quattro sotto-cantoni {o mezzi-cantoni) banno respinto la propo· sta Schwarzenbach. Cinque cantoni e due sotto-cantoni l'hanno approvata. Quali so· no questi ultimi? Lucerna, Uri, Schwyt, iJbwalden, Nidwalden, Freiburg, Solothurn. Si tralta dei cantoni della cosiddetta "Inncrschweiz", cioè della "Svizzera interna" in prevalenza caLtolica e agricola. Da non sottovalutare tuttavia anche le adesioni maturate nei cantoni socialmente più avan· zati. In genere si è ragionato cosl: è chia· ro che laddove esistono meno industrie, si sente meno la necessità d'una mano d'opera straniera. E' per questo che i cantoni cattolici a conduzione preval.:nlemente agricola si sono espressi contro l' "inforestamento". Il ragionamento è sbagliato, perché è proprio la presenza dei lavoratori stranieri che ha consentito alle masse lavoratrici dei cantoni suddetti di elevare il proprio tenore di vita, assumendo funzioni di maggior rilievo nelle 2;one industriali dove un tempo si inurbavano e dove erano obbligate a svolgere i com· piti ora affidati agli immigrati. No, se ci affidiamo al vetusto anche se rispettabile metodo di esclusiva analisi socio-economica, non veniamo a capo di nulla. Nean· che la distinzione religiosa {con buona pace di Max Weber) serve a spiegarci qualcosa. I cattolici non sono mai stati più xenofobi o razzisti dei protestanti. Basti, pèr tutti, l'esempio del continente americano dove al miscuglio razziale del cattolico Sud fa riscontro il segregazionismo sta· . tunitense. E allora? Una mano per la spiegazione dell'enigma svizzero ce la dà il prof. Ru· dolf Braun, titolare della cattedra di storia delle scienze economiche c sociali alla "libera università" di Berlino. Questo emi· nente studioso svizzero, prima di accogliere l'invito dell'università berlinese, era già divenuto assai noto oltre i confini del suo paese per due pubblicazioni fondamentali: "Industrializzazione e vita popolare", "Mu· tamenti sociali e culturali nel diciannovesimo secolo". Per queste opere gli venne conferito il premio Silas Marcus alla Har· vard Uruversity. Di quando io quando Braun si reca al "Center for Advanced Study in the Behavorial Sciences" a Stanford {Ca· lifornia). Da pochi giorni è comparso nelle librerie svizzere una sua nuova opera fondamentale: "Sozio-kulturelle Probleme der Eingliderung italienischer Arbeitskraefte in der Scbweiz" {"Problemi socio-culturali dell'integrazione delle forze di lavoro italia· ne nella Svizzera" · Edizioni Eugen Rentsch, Erlenbach . Zurigo). E' da lamentare che lo studio non sia apparso prima, perché l'ECO DEllA STAMPA Ufficio di ritagli da giornali c riviste 2~129 MJLANO • Via Compagnoni, 28 vi tiene al corrente di tutto ciò che si scrive sul vostro conto Artisti e scrittori non possono farne a meno Riceverete la scheda di abbonamento, scrivendo a "L'ECO DELLA STAMPA" 20100 Milano · Casella Postale 3549 Da anni la migliore collaborazione alla nostra rivista è assicurata dalla più accreditata agenzia di "ritagli" L'ECO DELLA STAMPA che invia aJia nostra reda1Jone articoli e notizie su tutti gli argomenti da noi trattati Se vi interessa sapere ciò che si scrive, su tutta la stampa italiana, dJ voi o dJ un dato argomento abbonatevi a: L'ECO DELLA STAMPA 20129 Milano · Via Compagnoni. 2:! HA EU UE AH Le elezioni regionali sono s tate fatte, adesso bisogna fare le regioni. Le giunte, si dice, sono il primo problema. Ma per che fare? Così com'è configurata dali:. costituzione, "la giunta regionale è l'organo esecutivo delle regioni" (art. 121, terzo com· ma), cioè l'organo esecutivo di quel che decide il consiglio regionale che "esercita le potestà legislative e regolamentari attribuite alla regione e le altre funzioni conferitegli dalla costituzione e dalle leggi" (art. 121, secondo comma). Ma fin quando non ci saranno i decreti-delegati di trasferimento delle competenze statali alle regioni, né il consiglio regionale avrà decisioni operative da prendere né la giunta avrà lavoro da eseguire. Fare o non fare le giunte in questa prima fase di vita dei consigli regionali ha quindi, da un punto di vista pratico, un valore relativo. Quel che la costituzione prescrive è che nella prima riunione i consigli eleggano un presidente e un ufficio di presidenza "per i propri lavori" (art. 122). Poi ogm con~i glio deciderà se passare subito all'elezion:.: della giunta e del suo presidente oppure rinviare questa operazione ad un moment•l successivo all'approvazione degli statuti. Nello scorso numero abbiamo riferito che tutti i partiti regionalisti non si propongono uno statuto-tipo, uno statuto unico, ma intendono lasciare il massimo ài originalità "costitutiva" ai consigli regionali pur ricercando una fondamentale armonia degli statuti e una base comune nelle norme principali. Abbiamo anche riferito che altrettanto comune è la convinzione che la legge del 1953 (correntemente nota come "legge Scelba") va riveduta se non abrogata, poiché prevede la ripetizione nelle regioni dello schema parlamentare - che in nome dell'efficienza, soprattutto, si vuole modificare - e poiché prevede un sistema di controllo che le forze regionaliste di ogni tendenza ritengono oggi eccessivo se non addirittura paralizzante. Di qui la esigenza di una legge-quadro che sostituisca quella del 1953, anche per stabilire il · raccordo - assolutamente necessario con la legge sulle procedure della programmazione economica. Ma il ricorso alla legge-quadro, che certamente rappresenta il mezzo migliore e più sicuro, rischia per ragioni pratiche di restare inattuato. Parlando al convegno veneziano sull'ente regione (2 giugno), il dott. Renzo Miconi, c:apo di gabinetto del ministro Gatto, ha affermato che la formazione di una legge sostitutiva di quella del 1953 c può essere perseguita soltanto entro un arco di tempo notevole •· Egli propone di risolvere il il dott. Miconi qualche indicazione è offerta dalla bozza di statuto per la Toscana discussa a fine marzo a Firenze nel convegno organizzato dall'Unione delle Province toscane. Il progetto attribuisce parte dei poteri di governo alla giunta e, in particolare, al suo presidente; attribuisce a questi ultimi la titolarità dell'indirizzo politico; crea una omogeneità organica tra membri della giunta e presidente; rende più difficile la loro caduta e la loro sostituzione; propone un sistema ài rapporto fiduciario. Il sistema così delineato è stato difeso in modo particolare dal prof. Paolo Barile in contrapposizione al presidente dell'Unione, Elio Gabbuggiani, e ai giuristi del PCI (Flavio Colonna su "Critica marxista''). Il suo inconveniente pratico è che sembra presupporre una revisione costi· tuzionale. Lo riconosce il documento repubblicano sulle regioni che, muovendosi su linee non dissimili da quelle del prof. Barile, afferma: • Un aspetto essenziale di stabilità è nella netta distinzioni;' d i funzioni fra governo e assemblea regionali. Purtr-oppo anche su questo punto la Costituzione (art. 121) è fonte di gravi equi· voci con l'accentramento nello stesso organo, il consiglio regionale, di poteri legislativi e di poteri regolamentari "· Il documento propone di c distinguere questi due peculiari aspetti e il ruolo istituzionale dei due organi, assegnando la normazione amministrativa regolamentare con le necessarie garanzie di procedura alla giunta e riservando al consiglio la legislazione generale e il controllo». Ma come? «Già da tempo i repubblicani hanno indicato la necessità d'imboccare la via di coraggiose revisioni, anche, se occorre, costi· tuzionah ». Molto interessante è anche, all'interno di questa revisione, il funzionamento della giunta proposto èlal PRI. Evitando la ripetizione del sistema adottato nelle regioni a statuto speciale, si afferma che • la giunta deve svolgere essenzialmente compi· ti di direzione e sorveglianza sullo svolgimento dei vari servizi... Evitandosi la creazione di assessorati, la giunta dovrebbe specificare annualmente le direttive secondo cui ciascun servizio va gestito: ai capi dei vari servizi con l'attribuzione di compe tenza a direttamente provvedere, compete la responsabilità dei risultati e dell'efricienza... Il capo del servizio rifel'isce annualmente alla giunta con relazione da rendere pubblica, sui risultati della gestione, sui costi incontrati, sulle modifiche da adottare... La creazione di un organo di coordinamento quale il segretario generale della regione, alle dirette dipendenze del presidente, dovrebbe conferire incisività e coerenza alle direttive della giunta». AH di F austo D e Luca EU Siamo ancora in una fase di proposte e di indicazioni dalla quale emergono finora, come elementi di fondo, la convinzione di dover modificare e ~ stltuire la legge del 1953 e l'esigenza di dare agll statuti regionali un carattere molto più flessibile dell'attuale HA l UE Le regioni: che cosa SI farà dopo? problema nel momento in cui il parlamento sarà chiamato ad approvare gli statuti proposti dalle regioni (entro 120 giorni dall'insediamento dei consigli regionali). c Il parlamento, in questa occasione, dice Miconi, potrà procedere alla preliminare espressa abrogazione delle norme del 1953 perché in contrasto con l'autonomia statutaria delle regioni (verrebbero così eliminate le normative ormai superate); oppure potrà lo stesso parlamento valutare positivamente le disposizioni statutarie ritenute in contrasto con dette norme, e ciò nella considerazione che debba essere disapplicata ogni disposizione che invada la sfera di autonomia della reg10ne •. Nell'uno e nell'altro caso, ma è preferibile l'espressa abrogazione delle norme ritenute supe· rate, c si tratta di un intervento del parlamento nel momento in cui verifica se gli statuti sono rispondenti ai principi costituzionali ». Tale indirizzo c configura una soluzione che potrebbe esaurirsi nel corso di quest'anno sl da mettere la regione in grado di funzionare nel prossimo anno •. Si sostiene, in definitiva, che la via più pratica è quella di affidare agli statuti il completamento del quadro normativo dal quale prenderà avvio la regione. Quanto al contenuto, si comincia ad esortare da varie parti affinché i consigli elaborino un corpo ridotto di norme, sinteti· che nella forma, elastiche nel àispositivo, senza pretendere prescrizioni rigide e troppo minuziose in una prima fase necessariamente sperimentai<:. Il suggerimento tende ad evitare che la disputa sugli indirizzi da dare agli statuti si blocchi in contrapposizioni di principio dalle quali sarebbe assai difficile uscire con qualche risultato concreto. Punto di partenza è che c il rapporto intercorrente tra giunta e consiglio regionale caratterizza il sistema di governo come assembleare" (relazione Miconi). Al consiglio è attribuita la « titolarità di due poteri esercitati in momenti differenziati: il primo di elezione ed il secondo di revoca degli assessori in relazione, rispettivamente, al sorgere ed al venir meno della fiducia"· Il dott. Miconi commenta: «E' un sistema estremamente democratico, ma che presenta qualche inconveniente per quanto riguarda la stabilità delle giunte. La legge del 1953 non ha previsto alcun correttivo per evitare l'instabilità della giunta, dato che il consiglio può provocarne la caduta in qualunque momento. L'esperienza suggerirà se si debba procedere o meno ad un correttivo, da inserire nello statuto o in un'apposita legge della Repubblica, che assicuri la stabilità della giunta"· D problema è assai arduo, poiché i costituzionalisti che fanno discendere dalle norme cos tituzionali il regime "assembleare" per le regioni negano anche che si possa parlare di rapporto "fiduciario" tra consiglio e giunta, poiché la giunta è soltanto organo esecutivo di quel che decide il consiglio, non ha vita autonoma rispetto al consiglio, non ha competenze a lei riservate attraverso le quali possa sostanziarsi un indirizzo politico, non esiste quindi l'istituto della fiducia. T sostenitori dell'interpretazione assem· bleare affermano che questo sistema garantisce la stabilità e l'efficienza, oltre alla democraticità degli organi regionali meglio di ogni altro sistema, ma in concreto lo difendono e lo consigliano, in assoluto. soprattutto per le piccole regioni (la Basilicata, ad es., che ha 30 consiglieri: un numero pari a quello dei consiglieri comunali di una città con 11 mila abitanti. Nella ricerca dei correttivi di cui parla Siamo, com'è evidente, in una fase di proposte e di indicazioni, daiJa quale emergono finora, come elementi di fondo, la convinzione di dover modificare e sostituire la legge del 1953, l'esigenza di dare agli statuti un carattere flessibile così da poter introdurre facilmente modifiche e innova. zioni in base all'esperienza, la ricerca di correttivi al sistema assembleare delineato dalla costituzione allo scopo di garantire maggiore stabilità ed efficienza alle giunte regionali. Il dibattito, finora svoltosi in sedi di studio, si trasferisce aaesso nelle sedi istituzionali, nei consigli regionali. L'augurio è che esso possa portare a risultati ta li da conferire alle regioni, nel funzionamento concreto, quel carattere rinnovatore> delle nostre strutture pubbliche in nome del quale si è fatta la lunga battaglia per l'introduzione dell'ordinamento regionale. 23 COMUN/TA, La nega.tiva posizione tedesca sul l'integrazione industriale HA EU AH UE regia di insieme che permetta all'industria comunitaria di svilupparsi senza essere schiava delle frontiere e di divenire competitiva in tutti i campi con le industrie dei paesi industrialmente più avanzati. Ma quando si parla di metodi e di misure concrete, il discorso cambia completamente. Per il governo tedesco T'obiettivo dell'espansione globale e del· l'aumento della produttività non può essere raggiunto se non con il iasciare la piena responsabilità di questa espan· sione alle imprese e questo grazie ad un'accresciuta concorrenza e alla divi. sione del lavoro internazionale. Bisogna quindi limitarsi a migliorare le condi· zioni ambientali nelle quali opera l'industria, assicurare il rispetto della concor· renza, eliminare le disparità fiscali e re· golamentari, nonché gli ostacoli di qua· lunque genere alla circolazione dei beni. Bisogna, per esempio, assicurare ii ii· bero accesso ai pubblici appalti, ma non si dovrebbe neppur pensare, come vor· rebbe la commissione, a una "concerta· 'l.ione in materia di pubblici appalti". Né si dovrebbe accordare una preferen· za comunitaria per le pubbiiche aggiudica,ioni. Il governo tedesco considera che gli investimenti provenienti da pae- La politica AH UE La Germania sembra decisa a silurare tutte le spertM'l.e di mettere in marcia una politica in.Justriale europea coeren· te e seria. In nome della filosofia libe. rale, che suona abbastanza strana nella bocca di uomini come Schiller e Brandi, e di una preminenza assoluta alla legge della libera concorrem.a il governo te. desco ha infatti fatto sapere che non è affatto d'accordo sui punti fondamentali che hanno ispirato la commissione nella redazione del suo voluminoso studio, dovuto all'ini'l.iativa dell'ambasciatore Cui· do Colonna, che ha recentemente abban· donato le funzioni di commissario. Naturalmente i tedeschi non si sono espressi cosl brutalmente, ma tale è la sostanza del documento che essi hanno depositato e che è stato oggetto di una prima discussione in seno ai rappresen· tanti permanenti prima e in consiglio dei ministri dopo, insieme naturalmente al memorandum della commissione e ad un documento francese cl1e invece segue gli orientamenti della commissione e va am.i anche più lontano. Il governo tedesco dichiara di co~1di videre gli orientamenti fondameruali del memorandum della commissione nei senso che occorre accordarsi su una stra. si leni (leggi americani) sono un tore positivo e che non c'è nessun gno di prendere a loro riguardo re sia pure solo di sorveglianza, in fondo suggeriva la giusto favorire lo sviluppo delle strie di punta, ma i tedeschi non sano che sia opportuno, per far attuare una politica di "ordinazioni bliche" opportunamente orientata. Uno degli obiettivi più importanti la comunità dovrebbe realiu.are è lo di una razionale concentrazione striale al di sopra delle frontiere in modo cl1e la struttura industriale consolidi su un piano comunitario e posto un freno all'acquisizione di strie di questo o quel paese da di acquirenti esterni, americani o ponesi. Perché questo sia commissione suggerisce non solo re gli strumenti giuridici adatti, che di agire in modo da favorire ristrutturazione, per esempio ati prestiti della banca europea o att u~t'azione analoga a quella Italia e deli'IRC in Inghilterra. i tedeschi sono nettamente condo loro la ristrutturazione le è certo auspicabile ma essa fettuarsi per iniziativa e a rischio l'industria senza che nelle scelte riscano altri interventi, o centivi, che in fin dei conti creare distorsioni e andare contro che il mercato ricl1iede. l tedeschi perfino contrari alla proposta HA EU agricola della Francia In una intervista U mlnlstro Duhamel ha illustrato l'impegno europeistico deUa · polltica agricola del suo paese di Giovanni Martirano 1n occasione del Salone internazionale dell'Agricoltura di Parigi, il ministro Duhamel ricevette, nel suo ufficio a Rue de Varonne, chi scrive ed i numerosi giornalisti convenuti nella capitale francese per la manifestazione agricola in corso di svolgimento. Chiesi allora al giovane presidente del raggruppamento centrista, che da un anno ormai è ministro dell'agricoltura, una in· tervista le cui domande e risposte, perfezi<>nate a Roma nell'ufficio dell'ottimo addetto agricolo all'ambasciata di Francia presso il Qui.rinale, sig. Belin, di. segUito trascrivo, ·avvertendo iJ lettore che se alcune delle 24 risposte possono sembrare - come a me francamente sono sembrate - deludenti sul piano dell'impegno europeistico, esse pr<>babilmente appaiono più· positive tenendo conto di un impegnativo discorso che lo stesso on. Duhamel ha pronunciato nello scorso mese di maggio nel corso di una conferenza fatta all'Istituto degli Alti Studi della Difesa Nazionale. In tale circostanza il ministro dell'agri· coltura di Francia ha particOlarmente insi· stito sulle conseguenze politiche, a suo giudizio positive, che scaturiscono dalla inte· grazione agricola, affermando, dopo avere sottolineato iJ "ruolo fondamentale" gioca· to in materia dalla commissione di Bruxel· les, • je crois que l'exemple agricole doit montrer la vanité des querelles sur la supra-nationalité" ed ha proseguito dicendo che se gli anni sessanta ci hanno dato una politica agricola comune, gli anni settanta ci debbono dare, con aggiunta alla prima, quella monetaria unica. Ciò premesso passiamo alle domande ed alle risposte della intervista al ministro Duhamel. Ho chiesto, aru:itutto al ministro: • In oc· casione del nostro incontro al suo mini· · stero, a Parigi, mi è sembrato, cosl come ad altri colleghi presenti, di percepire nelle sue parole il desiderio di un progresso ver· so una integrazione comunitaria effettiva, sia sul piano CCOI)omico che su quello politico. E' questo it vero senso del discorso che lei ha rivolto, ai giornalisti che erano a Parigi per visitare il Salone internazionale dell'Agricoltura? •· Il ministro ha così risposto: • La polit1ca europea si è sviluppata più rapidamente in certi settori: in particolare per l'agricoltura essa appare in una fase avanzata. Questa constatazione noi abbiamo dovuta farla in maniera tangib1Lissima l'anno scor· so al momento della svalutazione del franco francese ed egualmente quando è stata rivalutata la moneta tedesca. Per quello che concerne questa costru· zione europea, io mi augurv che una ini· ziativa sul · piano sociale sia presa al livello europeo perché l'immagine di questa costruzione non sia solamente quella di una Europa di lavoratori. Io mi auguro, pertanto, che una iniziativa possa esprimersi in questo senso. Noi non abbiamo abbastanza insistito sul fatto che la costruzione europea può avere le esigenze di una crociata di solidarietà. E' invece indispensabile mostrare che l'Europa può costituire un modello di civiliz· zazione, un modello di società aperta verso l'esterno ed in particolare verso il terzo mondo». Il discorso del ministro Duhamel mi sembra sostanzialmente esatto e pertanto pertinente mi pare anche la seconda domanda sul tema europeo, con la quale ho chiesto al responsabile della politica agraria francese, che è anche un uomo politico di avan. guardia, di profondi sentimenti democra- Per la commissione europea incoraggiare la collaborazione fra piccole e medie imprese è U complemento indispensabile per la formazione di im· prese di dimensioni lntemazionaU La commissione europea ha adottato una .;erie di misure tendenti a facilitare la col· !aborazione tra le imprese del mercato comune. Queste decisioni - come ha indicato in una conferenza stampa Sassen, membro dt>lla Commissione responsabile del settore della concorrenza - rientrano nell'orienta· .nento seguito da alcuni anni, che consiste uel basare sempre di più la politica comu· nitaria in questo settore non solo su criteri giuridici, ma soprattutto su criteri economici. La commissione, ad esempio, auspica da tempo l'abolizione degli ostacoli artifi· ciali alla creazione di imprese di granai dimensioni: ciò non significa però che consideri che la fusione e la concentrazione siano le uniche risposte valide alle sfide dell'economia moderna. Al contrario, essa ritiene che una politica tendente ad incoraggiare la cooperazione fra piccole e me. die imprese sia il complemento indispensa· bile ùdl'azione in favore della formazione di imprese di dimensioni internazionali. La commissione europea ha cosl accet· tato in diverse decisioni, appoggiandosi fra l'altro sulla giurisprudenza della corte di giustizia europea, il principio di non con· siderarsi vietate le intese che pregiudicano in modo insignificante il commercio fra stati membri ed il libero gioco della con· correnza. Il problema era evidentemente da definire con sufficiente precisione quando una intesa possa essere giudicata trascu· rabile, e quindi lecita. L'esecutivo europeo ha fatto ricorso a criteri quantitativi: una intesa non pregiudica gli scambi e la concorrenza in modo incompatibile con il trat· tato quando non interessa più del 5% del mercato del prodotto considerato (nell'in· sieme del mercato comune) e quando la cifra d'affari totale delle imprese che partecipano all'accordo non supera i 15 mi· lioni di dollari all'anno nel settore indu· striate, ed i 20 milioni in quello commerciale. L'autorizzazione automatica delle ''intese minori" non è però apparsa sufficiente alla commissione. Non debbono essere infatti condannate alcune categorie di accordi che pure superano i limiti indicati: si tratta de. gli accordi che hanno come scopo la cooperazione, la normalizzazione, la ricerca, la specializzazione, l'acquisto e la vendita in comune. La commissione, con l'accordo del consiglio dei ministri, dovrebbe essere autorizzata a concedere "esenzioni". Sassen ha affermato che questa politica "attiva" della concorrenza dovrebbe permettere alle piccole e medie imprese di partecipare maggiormente al progresso economico, senza bisogno di fondersi tra loro o di lasciarsi assorbire dalle imprese di maggiori dimensioni. AH EU HA UE AH EU tici e liberali, il suo pensiero sulle elezioni dirette del Parlamento europeo. c Nel 1963- ho chiesto al sig. Dubamelgli agricoltori di sei paesi riuniti nel COPA tennero a Strasburgo un'assemblea nell'emiciclo del parlamento europeo. Essi indirizzarono allora ai popoli dei paesi membri della CEE un manifesto in favore dell'ele· zione. diretta di una assemblea rappresentativa comunitaria. In que!Ja circostanza i discorsi più appassionati furono pronunciati dal francese Delau e dall'italiano Gaetani. L'attualità di tale questione è Sta· ta sottolineata dagli accordi de!J'Aja, nel dicembre scorso, ed anche dal Presidente in carica del Parlamento europeo, Scelba. Io le domando, sig. ministro, se lei çonsi· dera che la linea tracciata dagli agricoltori su questo problema fondamentale nel 1963 è ancora da seguire "· Il ministro ha così risposto: c Noi abbiamo avuto successivamente l'Europa dei grandi utopisti, poi l'Europa dei grandi amministratori, ora può cominciare l'Europa dei veri creatori. Alla conferenza dell'Aja un nuovo slan· cio è stato dato all'idea europea sul piano politico. Questo nuovo slancio è al contempo un successo ma egualmente una testimonianza di fiducia. Se l'Europa sembra oggi assai sicura di se stessa, abbastanza esigente e fiduciosa per accelerare il suo cammino, non bisogna dimenticare che l'elezione diretta di un Parlamento europeo presuppone un mo- HA Per la collaborazione fra le imprese UE di creare una specie di ufficio comuni· tario che consigli le piccole e medie im· prese per favorirne la fusione o gli ac· cordi di cooperazione. Alla vigilia della riunione del consiglio dei ministri che doveva prendere delle decisioni (di pura procedura) per la prosecuzione degli studi in materia e per la preparazione di qualche decisione concreta, le camere di commercio e in· dustrie tedesche hanno confermato in pieno la posizione del loro governo, condannando come "dirigiste" le posizioni contenute nel memorandum deila commissione e ripetendo quasi parola per parola gli argomenti contenuti nella nota tedesca, che appare evidentemente ispirata dagli ambienti economici che accettano Brandt e Schìller, ma alla con, dizione che in materia economica non si allontanino dalle posizioni di Erhard. E' cosa facilmente comprensibile perché le imprese tedesche ritengono che, una volta assicurato l' "ambiente" favorevole e una equa concorrenza, la loro efficienza e produttività (e la "disciplina" dei loro sindacati) consentirebbero di aver partita vinta nei confronti aei concorrenti francesi, italiani o altri. Natura/. mente questa filosofia richiederebbe di aggravare gli squilibri interni e non a caso l'Italia ha tenuto a far sapere che una politica industriale che non favorisca un miglior equilibrio, e cioè che non permetla il "decollo" delle zone fino ad ora meno favorite, non sarebbe accet· tata dall'Italia. mento nel quale l'evoluzione politica l'avrà resa necessaria. La comunità ha già una commissione che prepara e che esegue; ha un consiglio di ministri che decide e c'è ugualmente un Parlamento che controlla e che lo farà quanto prima di più. Bisognerà che i poteri dell'assemblea giustifichino essi stessi una elezione diretta. Per il momento questa elezione non avrebbe effettivamente che scarso significato"· Infine il discorso è tornato a temi parti· colari, anzi nazionali, il piano Vede!, del quale ampiamente si è parlato sull'Informatore sin dal suo apparire. In proposito ho chiesto al ministro: c Si è molto parlato in Italia del "piano" Vede! di ristrutturazione dell'agricoltura francese per gli anni '80. Può darmi, sig. ministro, una idea del punto di equilibrio che gli sembra migliore tra la realtà politica e le "buone intenzioni" dei tecnici e degli economisti?». A questa domanda il ministro, che evidentemente considera la politica "l'arte del possibile", ha, con molto coraggio, onestà e sincerità, cosl risposto: c La commissione presieduta dal sig. Vede! ha redatto un documento sull'avvenire a lungo termine dell'agricoltura francese. Nelle sue conclusioni la commissione prevede una diminuzione delle superfici coltivate da 7 a 10 milioni di ettari. Parallelamente con que. sta diminuzione di superfici, sempre secondo questa commissione, il numero de. gli agricoltori dovrà subire una contrazione analoga e comparabile alla prima. L'idea della sterilizzazione delle terre mi sembra nefasta da un duplice punto di vi· sta: da una parte essa significherà un ne. cessarlo aumento dell'importazione, in particolare di alimenti per il bestiame che noi dovremo pagare in divise estere; d'altra parte vi è un quadro più vasto' nel quale occorre collocare questo problema e sapere, anzitutto, se tutti i bisogni alimentari nel mondo sono soddisfatti prima di ridurre la produzione per eliminare le eccedenze, relativamente modeste in rapporto al volume totale di questa produzione. Quanto alla diminuzione del numero de. gli agricoltori, io debbo constatare che la agricoltura è il settore che da molti anni conosce la più forte "deflazione" in mate. ria di manodopera e questo movimento è un movimento naturale che va agevolato come noi facciamo di già, accordando de. gli aiuti a coloro che lasciano la terra; delle indennità alle persone anziane e procurando degli sbocchi per i giovani che si spostano in altri settori. Allora io sfido chiunque a dare delle cifre esatte su quella che sarà negli anni fu. turi la popolazione agricola della Francia e la superficie to.tale coltivata. In Francia, moltissimi imprenditori agricoli sono tra i 40 e i 55 anni, età nella quale si è ancora attivi, ma in cui è difficile riconvertirsi professionalmente. E' per questo che il movimento che tende a ridurre la popolazione agricola non dovrà essere accelerato brutalmente nei prossimi 15 anni. E' solamente dopo il 1986 che al ringiovanimento della popolazione agricola farà riscontro una riduzione importante del numero degli imprenditori "· Ad un'altra domanda su specifici problemi vitivinicoli il ministro Duhamel ha risposto in tennini tecnici che non mette conto riferire in questa sede se non per sottolineare che a giudizio del ministro ad una prima fase concorrenziale tra le due viticolture potrebbe succedere un'epoca di utile collaborazione in vista dell'allargamento dell'area comunitaria, e quindi dei consumi, ad altri paesi euro~i. 25 ziativa politica attraverso un moto largamente popolare, affermativo di una volontà unitaria, che non possa più essere delusa al vertice delle nazioni; convinti di contribuire ad una grande e storica conquista civile; impegnano tutti i Lions italiani a sentirsi ed a rendersi partecipi di questa civile battaglia tra le più qualificanti nel progredire della civiltà; invitano autorità, enti, associazioni a raccogliere questo messaggio ed a tradurlo in iniziative operanti e concrete; e, in osservanza al principio di servire la comunità nella quale vivono, !l decentramento amministrativo su Esso Rivista Esce in questi Jiomi il numero spe.. ciale di "Esso Rivtsta" dedicato alle 3U· tonomie locali c al decentramento amministrativo. che venga istituita una giornata dedkata alla unificazione dell'Europa, coincidente con il 9 maggio, a celebrazione della dichiarazione di Schuman, atto di nascita del processo di unificazione stessa; e che al prossimo Forum europeo venga avanzata richiesta che il problema dell'unità dt:II'Europa diventi tema permanente dei Lions europei Con queste sei monografie, che · abbracciano l'esperienza di decentramento amministrativo attraversata o auspicata in Svizzera, Stati Uniti, Germania Federale, Regno Unito, Francia e Italia, il numero speciale tenta una sin tesi storico-concettuale delle autonomie locali come mezzo per vivificare • quella diffusa partecipazione di base che sola può dare soltde radici all'albero della democrazia, su scala nazionale oggi e su scala sovranazionale domani •. EU HA Jacques Ferrìer, parlando della Svizzera, rileva come la caratteristica principale della confederazione elvetica sia l'equilibrio realizzato tra potere centrale e cantonale. • Anche se la sfera del potere federale si è venuta gradualmente estendendo · c consolidando - nota Wollember& a proposito degli Stati Uniti - sono ancora gli stati ad esercitare una in[luenza diffusa e prevalente sulla vita quotidiana del cittadino americano •· AH l Come nota Leo Wollember&. il tema dei rapporti fra unità locali e governo centrale si presenta da alcuni anni con carallerizzazioni di rinnovamento e crescente allualità, specialmente nelle società democratiche dell 'Occidente dove le interazioni tra potere locale e ootere centrale possono esplicarsi con notevole libertà data la natura aperta e pluralistica di queste società. UE Entra 1n v1gore il "piano Mansholt, l AH ... raccomandano la costituzione di un comitato multidistrettuale con il compito permanente ài promuovere iniziative lionistiche, anche a carattere intereuropeo, intese a favorire J'un!iicazione dell'Europa "· HA EU La commissione europea ha iniziato le discussioni sulle prime decisioni di applicazione del "piano Mansholt" per la riforma delle strutture agricole nella CEE. Secondo la commissione di Bruxelles, infatti, il "piano" è stato già sufficientemente discusso perché si possa cominciare a tradurlo progressivamente in misure concretamente applicabili. Naturalmente, queste disposizioni concrete terranno conto delle osservazioni sul "piano Mansholt" formulate dai governi dei paesi interessati, dalle organizzazioni agricole, ecc. Certe decisioni già prese dal consiglio dei "sei" in tale campo, o suggerite dalla commissione, costituiscono praticamente una prima applicazione di determinate parti del "piano Mansholt". Si tratta però di iniziative isolate, e la commissione vuole ora proporre un insieme organico di misure che agiscano soprallutto in campo sociale. La commissione suggerisce due categorie di misure: - le prime destinate ad aiutare coloro che vogliono lasciare l'agricoltura; - le seconde per coloro che restano nel settore agricolo. Intanto, nei giorni scorsi, Mansholt è stato nuovamente oggetto di un attacco assai violento e polemico. Un senatore belga, Gillet, nella discussione sul bilancio dell'a- 28 l problemi del turismo europeo J ministri del turismo della CEE, riuniti per la prima volta a Val Duchesse, hanno deciso di sottoporre ai propri governi il problema della creazione di un "meccanismo permanente" che permetta di alfrontare i problemi del settore di loro competenza. Questo primo incontro non formale df!i ministri del turismo era stato preparato da esperti e funzionari del settore, che stanno ora proseguendo i loro lavori per fare un inventario dei problemi comuni ai sei paesi della comunità. Un primo inven· tario, dedicato innanzitutto ai problemi J; riordinamento e di gestione, è stato esaminato a Val Duchesse. Esso proponeva scluz•oni per quel che riguarda: - la difesa del patrimonio turistico (uno studio comparato dei regimi applicati nei sei paesi dovrebbe permettere ,Ji giungere ad un sistema di difesa valido per l'insieme della comwtità); - gli investimenti nel campo delle at.. trezzature turistiche (la sostituzione delle frontiere nazionali con frontiere comunitarie dovrebbe permettere di adottare nuove regole in materia, soprattutto per quel che riguarda l'investimento di capitali provenienti dai poteri pubblici); - l'armonizzazione degli statuti professionali (bisognerà non solo tP.ndere all'armonizzazione dei diplomi, ma anche detenninare i bisogni sul piano comunitario, e adeguarvi l'attrezzatura per la formazione di personale); - l'armonizzazione delle statistiche; - l'armonizzazione dei periodi di vacanze. UE deliberano Jacques Ferrier, Leo J. Wollemberg, Friedrich Lampe, Peter Nichols, Jacques Nobecourt e Alfonso Sterpellone firmano i sei articoli che costituiscono il numero speciale di "Esso Rivista" dedicato alle regioni. gricoltura nel suo paese, ba chiamato Mansholt un " megalomane imbevuto di cifre e di idee chitfieriche "• ed ha affermato che adottare il s'uo piano per l'agricoltura significherebbe "sacrificare impunemente milioni di uomini alla pianificazione "· Friedrich Lampe rileva come l'attuazio· ne dell'articolo 29 della costituzione del- la Repubblica Federale Tedesca permetterà una ristrutturazione dei llinder per generare entità territoriali più compatte, robuste ed efficienti. In Inghilterra, intanto, regionalismo SÌ· gnifica poco più che un tentativo di restituire alla prosperità certe zone industriali la cui economia - ricorda Peter Nichols - è andata declinando, o di far giungere il benessere in zone che non lo hanno mai conosciuto. Il tema delle regioni non è attualmente all'ordine del &iomo in Francia. Il governo francese ha rinviato al 1971 tutti gli studi, promettendo un ampio di· battito parlamentare sull'argomento. Così in sintesi Jacques Nobecourt sulla situazione del regionalismo francese. La consultazione elettorale in Italia offre a Steroellone l'occasione per un ampio discorso che, prescindendo dalla po. !emica ideologica, ricerca nelle tradizioni amministrative ed economiche del nostro paese i punti di convergenza sui quali il decentramento amministrativo può mealio esP.licare il suo valore come strumento di sv1luppo. La prospettiva più concreta per il regionalismo italiano !?are essere quella economica, una volta rmssorbita la premessa, sostanzialmente negativa, della "rivoluzione dall'alto" che carallcrizzò le vicende risorgimentali. • La regione - affermò Luigi Einaudi - può legiferare meglio di quanto nossa il governo cen.tralc •. La percentuale di aran·cia nelle bibite La commtSSIOne europea ha preso posizione su un problema che ha provocato in Italia discussioni e controversie, quello della quan tità percentuale di sugo di frutta che dovrebbe essere contenuta nelle bibite dissetanti analcoliche a base, appunto, di sughi di frutta. Una norma è stata infatti approvata qualche tempo fa per rendere obbligatoria una percentuale di autentico succo naturale non inferiore al 12% del liquido totale, e questo nonostante ie proposte dei HA G. Lutte, C. Mattioli, G. Proverbio, S. Sarti ADOLESCENTI D'EUROPA Modelli di comportamento e valori AH EU HA 5 . il capitale deve anch'esso essere multi· nazionale. Secondo lo stesso Maisonrouge, negli an· ni futuri la vita delle imprese sarà con· !rassegnata da quattro grandi caratteristi· che: a) la nascita di un'economia globale. le società multinazionali, desiderose di essere accettate nei vari paesi, introducono nuovi metodi di direzione. Quando esse di\'lm· gono importanti, sono indotte a decentra· li7.zare le direzioni; b) i problemi sociali vengono in primo pia· no. li dirigente internazionale che ha per· corso numerose tappe prima di giungere al vertice, ha imparato ad attribuire alle considerazioni umane tutto il va lore che deb· bono averi!. D'altronde, l'interesse stesso dd l'impresa multinazionale guiderà i suoi impegni in campo sociale; c) il desiderio dei giovani di essere ascoltati. L'industriale de\•e essere pronto a ac.:ettare il cambiamento e a comprendere le motivazioni che spingono i giovani a chieoere certi cambiamenti; d) lo sviluppo delle industrie conoscitive. Queste industrie conoscitive sono nuove e l'esperienza conta quindi meno che non le conoscenze acquistate recentemente. In conclusione, Maisonrouge ritiene che le società mu ltinazionali hanno dimostrato che quando si attribuiscono a uomini d~ diversi paesi obiettivi comuni, e metodi di lavoro comuni, essi possono intendersi be· nissimo. Esse hanno quindi dimostrato che il federalismo può perfettamente riuscire. EU In questi ultimi tempi si $Ono moltipli· cali gli incidenti stradali nei quali sono sta· ti coinvolti autotreni od altri veicoli pcsanti adibiti al trasporto di merci pericolose, di liquidi particolarmcnt.: nocivi. Carichi interi di liquidi di que:.to genere sonc stati sparsi lungo le strade e sovente hanno concorso ad inquinare le acque o le terre ed anche gli abitati. Finché questi incidenti - che del resto in certi casi hanno dato luogo a esplosioni catastrofiche - hanno luogo in aperta campagna si può .:onside, rare che i danni, per quanto gra\ i, siano relativamente limitati. Ma quando essi avvengono 10 una agglomerazione uroana - c il pel'icolo è immanente ad ogni minuto le conseguenze possono essere di una gra· vità eccezionale. Un parlamentare europeo ba interrogato la commissione europea per sapere se, nell'azione e sulla base della responsabilità che le appartiene in materia di trasporti su strada, essa non ritenga di in· tervenire per imporre una regolamentazione che vieti la traversata delle agglomerazioni urbane da parte di veicoli che efrettuano i trasporti in questione. La commissione ha dato una risposta piuttosto prudeme, giocando un po' a scaricabarili con le altre organiz.zazioni competenti in materia di trasporto per strada (come la commissione dei trasporti interni della commissione economica di Ginevra deii'ONU), e in sostanza suggerisce che l'in· terdizione di ta.li trasporti sia decretata dalla commissione suddetta àeii'ONU. Un libro per accostare e ascoltare direttamente gli adolescenti, sapere come si vedono e come vedono gli altri, in vista di un dialogo che è possibile stabilire per intenderli, non per esaminarli o per processarli. UE L'avvenire dell'economia europea e mondiale è affidato, secondo taluni, allo svi· luppo di grandi imprese ":rans-nazionali", che realizzeranno la produzione di massa, la concentrazione della ricerca, gli scambi senza· ostacoli da un paese all'altro, la di. visione razionale del lavoro. Uno dei grandi "patrons" di queste im· prese trans·nazionali (che per ora si pos· sono contare sulla punta delle dita di una mano) è il francese Jacques Maisonrouge, che è presidente della IBM Wor~d Trade Corporation, organizzazione mondiale ema· nante da una grandissima impresa america. na, la IBM, che ha creato nel mondo una densa rete di [iliali e associate. Secondo Maisonrouge, i "criteri" in base ai quali si può dire che un'impresa è "trans-nazionale" sono i seguenti: l - l'impresa deve operare in un gran numero di paesi a stadi di sviluppo eco· nomico differenti; 2 - l'impresa multinazionale (o trans-nazionale) ha varie filiali che sono società in· dustriali complete; 3 - la direzione e lo stato maggiore di queste filiali debbono cs~crc nazionali, cioè app<trtenere allo stato do\'e la filiale è im· piantata; 4 - la direzione centrale dell'impresa deve essere multinazionale; AH Vietare in città 1 trasporti di carichi pericolosi Il futuro è delle imprese trans- nazionali UE fabbricanti i quali sostengono che una percentuale cosi elevata diminuisce l'effetto dissetante della bibita. L'Italia è del resto il paese nel quale la percentuale è più elevata e taluni considerano che questo è perfettamente logico in un paese nel quale la produzione di frutta è sovrabbondante e la sua utilizzazione industriale indispensabile per smaltire la produzione. Taluni affermano infatti che il tenore elevato di sostanze originali costituisce un aspetto positivo dal punto di vista della qualità. In Germania per contro, la percentuale minima è del 6%, e in Olanda del 6%, mentre in altri paesi non ci sono limiti fissati per legge (si ritiene che i prodotti troppo poveri e quindi scadenti si eliminano automaticamente). La comunità ritiene che queste differenze di regolamentazione ostacolino la libera circolazione delle bevande prodotte all'interno della comunità, o importate dall'estero. Essa perciò ha proposto di adottare un minimo obbligatorio eguale per tutti, e cioè il 10%. Ne consegue che le bibite italiane potranno essere "allungate" rimanendo conformi alla legge. Quella della com· missione non è per ora che una proposta che verrà a suo tempo discussa in consiglio per divenire una "direttiva" obbligatoria per tutti. 1- Pag. 187 - L. 1.800 zw u ffi..J o Quale persona o personaggi stimate? A chi vorreste assomigliare? Inchiesta tra 32.000 ragazzi europei. Ministeri, università, enti privati di Francia, Belgio. Germania, ltalìa. Olanda. Spagna e Portogallo hanno fornito aiuto e collaborazione. Sono occorsi ;nesi per mettere a punto Il questiooario: un intero anno per applicarlo: alcuni anni • per lavorare • adeguatamente i dati con apparecchiature elettroniche. Per la prima volta In un 'Inchiesta di questo genere, sono stati applicati procedimenti modernissimi di analisi e hanno trovato Impiego le teorie più avanzate sulla psicologia dell'età 1 evolutiva e sulla motivazione. Parte Prima Modelli di comportamento degli adolescenti d'Europa Parte Seconda Modelli di comportamento degli adolescenti Italiani Parte Terza Un tentativo di sintesi Per richiedere il libro: compilare. ritagliare e spedire In busta chiusa a: SEI - Ufficio Pubblici!JI CaMila Postale 470 (Centro) 10100 TORINO Spett. SEI: Spediteml cootrassegno (più spese postali) n. copie de: ADO· LESCENTI D'EUROPA 00000000 Cognome e Nome Indirizzo CAP Città Firma EU/70 29 UE AH EU HA UE AH EU HA La Resistenza e le sue A venticinque anni dalla Resistenza si avverte nel nostro paese che la democrazia è in pericolo soprattutto battito ci si smarrisce nella molteplicità delle analisi e delle avvertenze moralistiche, negli scavi lucidi 30 UE AH EU HA UE AH EU HA responsabilità l portlglanl acclamati dolio popolulono mllanuo di MANLIO DI LALLA sua legittimazione storica, ma quando si tratta di proporre delle terapie che tengano conto delte carenze del di· p carichi di introspezione introversa, negli impeti oratori e pieni di effusione per le memorie del passato 31 EU HA Esigenza di continuità La caratteristica di questo duplice atteggiamento politico, culturale e psicologico consiste nel fatto che le critiche al presente io nome dell'esigenza di continuità, e l'attuale contestazione che vuole rompere con tutto il passato si richiamano entrambe ai valori del· la Resistenza. Su questi valori vogliamo quindi discutere, e soprattutto sulla loro influenza sul presente, e sulla misura del loro attuale fraintendimento. Di solito, questi valori o sono stati celebrati trionfalisticamente, con un indifferenziato richiamo al loro "alone carismatico", come ci è parso di legge- 32 si. L'esigenza di rottura della Resistenza, pur essendo giustificata provvidenziaJi. sticamente secondo i canoni del distac· co idealistico, era vista nel suo raeporto negativo con il pensiero idealistico, e non come equazione dinamica, di nuova compenetrazione. La posizione di Spirito, per la complessità delle sue esperienze culturali, è particolare ma è al tempo stesso indicativa dell'orientamento di altri pensatori che hanno visto nella Resistenza più una complessità di nodi politici e culturali da sciogliere che non un'esperienza compiuta politicamente f!' maturata come esigenza interiore. Da questo punto di vista, il tema della Resistenza tradita è una facile mitologia che può essere · accolta sentimentalmente ma non criticamente, mentre conviene sottolineare con Giorgio Bocca la sua funzione storica di rivoluzione politica appena iniziata. (''Storia dell'Italia partigiana", Laterza, Bari 1966). AH UE Eppure, l'eclettismo culturale del quindicenio post-bellico, che abbiamo sottolineato in un precedente saggio, causa non secondaria dell'attuale ondata di nichilismo, ha le sue origini proprio nel modo in cui è stata rivissuta la Resistenza da molte componenti della cultura italiana. Se si parla cosl spesso oggi ai "errore della cultura" nella molteplicità delle sue direzioni, è nella tavola dei valori da cui scaturì il salto di qualità del moto di liberazione che bisogna ricercarne la genesi. EU La crtst dell'idealismo Non vi è dubbio che per capire lo spirito della Resistenza a distanza di tanti anni, parliamo naturalmente de: suo spirito critico che non sempre in quel momento era chiaro e non della v11rictà degli appelli sentimentali, bisogna riferirsi alla crisi dell'idealismo che in quel momento si dilatava sempre di più e al modo problematico in cui tale crisi era rivissuta nella ricerca di una ragione storica che fosse più limpida di quella del passato. AH A HA 25 anni dalla Resisten1.a un senso sempre più profondo di in· soddisfazione è alla base aella vita pubblica in ltatia. Le in· sufficienze vengono rilevate in ogni campo sia da parte ai osservatori attenti e rigorosi del nostro costume etico-politico che da parte di incauti e qualunquistici critici L'organizzazione statuale è messa sotto accusa nel· le sue molteplici carenze, e il dibatti· to politico-culturale si articola tra due poli contrapposti: tra l'ondata nichilista che tutto vuole distruggere senza aver chiarito le sue premesse teoretiche e morali, e un perdurante eclettismo combinatorio che si compiace delle proprie ambigue aperture, senza preoccuparsi molto di scavare nell'ambito delle sue insufficienze. La conclusione di questo clima di denuncia continua gC'nera uno stato ansioso che finisce per moltiplicare i fraintendimenti in tutti i campi dell:l, vita politica e culturale italiana. Si avverte nel nostro paese che la democrazia è in pericolo soprattutto nella sua legittimazione storica, ma quando si tratta di proporre delle terapie che tengano conto delle carenze del dibattito degli ultimi venticinque anni ci si smarrisce nella molteplicità delle analisi e delle avvertenze moralistiche, negli scavi lucidi ma carichi di introspezione introversa, negli impeti oratori e pieni di effusione per le memorie de l passato. Alle volte, l'esigenza della continuità, del raccordo tra i nessi del presente e quelli del passato prevale, e il richiamo alla meditazione e al rac. coglimento rappresenta l'ultimo polo della logica. Il primo quaderno de "L'Europa" ci è sembrato rispondere a questa preoccupazione, anche se gli intenti eclettici hanno fatto spesso capolino negli interventi dei vari studiosi, sintomo inquietante della cultura liberai-democratica. Altre volte, invece, la catarsi punitiva, l'ansia della rottura ad ogni costo, sembrano volersi sbarazzare di tutto il passato, senza procedere a un attento inventario del bene e del male, che in misura maggiore o minore si sono condizionati reciprocamente. re nelle ultime rievocazioni comuniste in occasione del venticinquennio del moto di liberazione, oppure sono stati ripensati più che altro come monito per il presente e ancor più per i! futuro, senza un'adeguata ricostruzione dei loro molteplici raccordi, della varietà dei filoni politici e culturali che hanno giocato un loro ruolo nella Resistenza. Certamente, il richiamo alla loro essenza unitaria è sembrato più utile come testimonianza e come inquieto avvertimento all'attuale crisi dei valori della democrazia, che non uno scavo particolareggiato che, se non bene inteso da menti scaltrite, potesse generare ulteriore confusione nell'attuale clima psicologico già cosi poco chiaro. UE Questo articolo di Manlio di La/la uno scritto da meditare. Prima di tutto ha il pregio di affrontare il problema della Resistenza, al di fuori di vecchi conformismi e con un raro coraggio intellettuale. L'Europa ritornerà sull'argomento, perche certe valutazioni del di Lalla non ci trovano del tutto consenzienti, e su alcune altre ci sembra necessario un ulteriore appro/ondimet~to. ~ Per Ugo Spirito il vuoto speculativo che si faceva sentire proprio negli anni finali del fascismo, in conseguenza della crisi dell'idealismo, consigliava un mo· mento di pausa, una tregua delle armi della critica che dovesse durare per alcuni anni e che consentisse di guardare a fondo nella nuova condizione problematica della cultura italiana. Alle domande impazienti dei giovani che piTr prio in quel periodo storico diventavano sempre più esasperate non era facile dare una risposta, né erano consig.liabili ricette taumaturgiche per l'avvenire in un momento di perplessa meditazione come quello, ha aggiunto Spirito. Il risultato finale doveva essere, secondo tala pensatore, il clima di violenta negazione ideale che doveva investire la guerra e il dopoguerra, quando la crisi dell'idealismo non solo non era giunta a saturazione in tutte le sue implicazioni, ma non era stata rivissuta come un momento dialettico di ulteriori sbocchi positivi, e sopraggiungeva dall'esterno per minare ogni tentativo di nuova elabora· zio ne. Secondo questa interpretazione del dibattito politico e culturale italiano il momento interlocutorio della Resistenza fu uno stato ansioso caratterizzato quin· di da una febbrile ondata di negazione, da un'ondata non chiarita compiutamente nelle sue motivazioni teoriche perché rimasta nelle secche della cultura idealistica di cui non era in grado di liberar- Vogliamo accentuare i rilievi critici di due pensatori che, pur provenendo da esperienze politiche e culturali diverse, hanno discusso in modo problematico la genesi ideale della Resistenza, vedendola come momento di chiarificazione di tutto il successivo dibattito politico e culturale del dopoguerra. Indicativa a tale riguardo è la posizione di uno studioso antifascista che ha svolto la sua esperienza nel contesto del partito d'azione, di Guido Calogero. 11 polemica con Croce sull'esigenza di i..· dividuare le garanzie della libertà, il Calogero, sollecitato dal suo stimolo di ricerca, invitava gli operawri culturali a non esaurire il rapporto tra fascismoantifascismo nell'antitesi Croce-Gentile, ma ad andare avanti nell'analisi dei nessi critici dell'idealismo, perché nel loro complesso gioco di interdipendenza erano contenuti sia i risvolti positivi C"~e le ambiguità dell'antifascismo. Le implicazioni dell'antifascismo Una precisazione di tutte le implicazioni dell'antifascismo nei rapporti con la cultura idealistica significava storicizzare la Resistenza come momento dialettico e di approccio di tutto il successivo dibattito politico e culturale. L'indicazione di Calogero era chiara in tutta la sua complessa testimonianza: i nodi della cultura italiana del dopoguerra poteva· no essere sciolti solo dopo aver ricostruito criticamente il passato del quale la Resistenza era un momento necessario ma fondamentalmente problematico. e niente affatto conclusivo come esperienza politica e culturale. Ancora una volta quindi era posto con chiarezza il rapporto tra antifascismo, Resistenza e cultura idealistica, però non in forma di esaurimento speculativo di certe esperienze politiche e culturali alla maniera di Ugo Spirito, bens\ come approfondimento dinamico volto a dimostrare tutto il carattere problematico della nostra cultura politica. I nessi tra antifascismo e Resistenza sono stati poi analizzati da un pensatore cattolico, da Augusto del Noce, da uno studioso particolarmente permeabile per formazione culturale a espenienze esistenziali che durante gli anni tra le HA Alcuni storici quaUficati di vecchia estrazione azionista come il Valiani, }J Lussu, e un sottile interprete delle nostre istituzioni come Piero Calamandrei hanno sostenuto la tesi, peraltro condi· visa da molta della nostra storiografia, della sconfitta della Resistenza perché progressivamente neutralizzata dallo spirito della restaurazione che avrebbe circolato nel dopoguerra con la complicità del cattolico De Gasperi e del comunista Tog)jatti. • Questa tesi ci sembra francamente opinabile perché condizionata da quel· lo spirito moratistico, da mistica punitiva ed escatologica, che circolò in molti qùadri dell'azionismo sia durante la liberazione che nel dopoguerra. Aala base di questo moralismo vi era senz'altro la polemica con Croce e la ricerca di un liberalismo più riccamente artlicolato. n desiderio di rompere con la tradizione liberale, che era stata in qualche misura complice con il fascismo, fu la chiave di volta di questo spirito di tensione eccessiva, mentre la polemica dinato della società italiana non ba mai reso possibile un siffatto tentativo sia perché, come ha osservato ancora Norberto Bobbio, gli intellettuali laici e terzaforzisti hanno scambiato spesso i loro imperativi etici" con le esigenze del· la politica intesa come ord.inaria aromi· nìstrazione, e poi in quanto il riformismo borghese a ventaglio del partito comunista ha impedito sempre un'azione su questo terreno. UE Il risultato di questa mancata collocazione strategica e dì un apporto omogeneo dei migliori quadri dell'azìonismo ha portato a un irenismo culturale, al desiderio eclettico di conciliare assunti idealistici e spunti illuministici, a fermenti contraddittori nell'analizzare le radici del potere, che banno informato gli attuali partiti laici nel presente contesto politico. Sia i due partiti socialisti, che l'odierna versione lamalfiana del partito repubblicano, sono depositari di istanze vivaci ma non del tutto omogenee nell'analisi delle forze motrici del· la società italiana, e quest'ambivalenza continua della cultura politica dei partiti laici è il prodotto del pluralismo ideologico degli azionisti che hanno dato il tono a queste formazioni politiche. In· dubbìamente la dimensione tardo-Ulumi· nistica che vizia gran parte delle componenti dei partiti di democrazia laica è il risultato della mancata chiarifica· zione ideale del dibattito politico dalla Resistenza ad oggi. Questa carenza di omogeneità è andata fino a questo momento a tutto vantaggio del partito comunista j cui fraintendimenti dal movimento di liberazione fino ad oggi non sono stati meno notevoli. AH EU HA L'errore azionista del salto escatologi· co consisteva nel pericolo dì rifiutare tutto il passato senza averlo adeguatamente storicizzato, con un'ondata di negazione radicale che slgnificava la scon· fessione pratica dell'indicazione metodologica di Guido Calogero sulla coscienza critica del raccordo del passato. Questo limite porterà a considerare la Resistenza come un'esperienza compiuta .sia dal punto dì vista politico che da quello culturale, come un'unità mistica che sa· rebbe stata tradita in prosieguo di tempo. E considerando la particolare proiezione culturale dell'azionismo, era oatu· rale che la Resistenza fosse considerata in modo statico, e non come un momento dialettico sia pur operoso. EU Ci siamo dilungati sui rilievi critici di questi tre significativi studiosi perché essi hanno sottolineato, ciascuno da un proprio punto di vista, il ruolo storico necessariamente interlocutorno della Resistenza nel complesso dibattito della cultura politica italiana, sullo sfondo della crisi dell'idealismo. Nel contesto di questa crisi, che prima di essere speculati.va si configurava come essenzialmen· te poUtica, fu accentuato nella Resistenza sia il polo della continuità cùlturale e de1la restaurazione politica, che l'altro del salto di qualità, con i fraintendimenti che giocarono il loro ruolo negli schieramenti politici più significativi, da quello Uberale, al cattolico, e soprattutto poi nel contesto azionista e comunista. In quel tipo di polemica vi era un duplice errore che riguardava sia la posizione crociana di mera restaurazione che quella di una proiezione dinamica. la tesi crociana, legata alla personalissima posizione teoretica del filosofo, nel considerare il fascismo come una parentesi, e nel richiamo al perduto clima di a.ffetti della democrazia prefascista, sottovalutava tutti i fermenti fortemente organicistici che circolavano nel primo dopoguerra e che avevano minato con facilità una fragile democrazia sempre più atomistica e progressivamente priva di centro di gravità. Dì quei fermenti, e dì quella lezione che derivasse da un rinnovato e articolato liberalismo, Croce era stato uno dei maestri, coadiuvato da Mosca, da Pareto, da Salvemini, e da altri interpreti di quel clima. Era im· possibile quindi un ritorno allo spirito di quella restaurazione perché, bene o male, era stato sconfitto dai tempi, e Croce era stato nel passato un clinico molto sagace di quell'esigenza dì superamento. Come si spiega quindi il grosso equivoco crociano? Sì spiega con il fat· to che, nel recuperare gli assunti sìnte· tici del tiberalismo durante il periodo fascista, Croce finisse per elogiarne i risvolti positivi ma anche le scorie, compiendo d'altra parte un'operazione di motivazione culturale che egli negava ai propri avversari in virtù della separa· zione tra teoria e pratica, come sottoli· neerà acutamente Norberto Bobbio. Nel· l'ambito di quel recupero Croce finiva per richiamarsi indiscriminatamente a tutto il passato di cui in parte era stato critico aperto. UE Il ruolo storico della Resistenza con il pensatore napoletano si articolava sul salto di qualità che avrebbe dovuto imprimere una svolta alla dt:.mocrazìa post-fascista, là dove il Croce voleva il ritorno alla democrazia prefascista. AH due guerre si inserirono come apporto costruttivo neUa complessa crisi dell'idealismo. Nell'esaurimento dello slancio creativo della filosofia idealistica e nel recupero di certi sottintesi illuministici considerati come esigenza di rottura integrale con il passato il del Noce indi· viduava il momento centrale di elabora· zione del pensiero della Resistenza in polemica con il carattere romantico dell'antifascismo. In altri termini, il del Noce si è avvicinato alla tesi dì Spì. rito sull'ondata dì negazione escatologica che avrebbe caratterizzato la Resistenza, come ulteriore sviluppo dialettico del moderno gnosticismo. E' evidente anche in tale critica l'indicazione dì del Noce: l'esigenza cioè di recuperare il momento della continuità del dibattito politico e culturale italiano, decantando lo slan· cio di rottura contrabbandato come spi· rito di modernità, con una ricostruzione a ritroso della storia del nostro paese in ·cui siano finalmente indivìduabili dei punti fermi. La piattaforma culturale su cui bisogna muoversi per del Noce consiste nel recupero della tradiZ:ione rosminiana e giobertiana collegata con quel filone dell'idealismo gentiliano che per la sua esigenza di sistematicità e di unità dello spirito valorizzava tutta la tradizione cattolico-liberale e influiva sul pensiero dei migliori quadri del primo antifascismo, sul pensiero dei Gobetti e dei Gramsci. le esigenze del riformismo borghese Come ha osservato Gabriele de Rosa ("l partiti politici dopo la Resistenza · Dieci anni dopo", Laterza, Bari, 1955), il partito d'azione finiva per esaurire in essa, nel suo scatto, ogni fermento, e accusava di abdicazione al suo spirito le altre formazioni che si fossero poste sul terreno dell'elaborazione di una rinnovata statua.lità. D'altra parte, lungo l'arco della cultura post-bellica, gli intellettuaU del partito d'azione ·h anno cercato invano dì dar vita a una terza forza laica, che mediasse le esigenze di un riformismo borghese. Il contesto tumultuoso e disor- Il momento della rottura Nel complesso dibattito culturale di tale partito sulla Resistenza l'esigenza della continuità e H momento della rottura hanno giocato un ruolo del pari determinante. E tale ruolo è stato in gran parte frainteso dalle giovani generazioni che all'avvento della liberazione parteciparono. L'appello comunista alla Resistenza fu inteso indubbiamente nel suo slancio sentimentale, ma la consapevolezza critica anche dei giovani più maturi come Vittorini, Giaime Pintor, Eugenio Curie! non sintetizzò mai la complessità delle aperture comuniste durante la Resistenza. Fino a che punto, ad esempio, l'illuminismo di Pintor, stanco degli orpelli retorici delle scorìe del peggior idealismo, fu in grado di rivivere tutta la vastità della condizione problematica della cultura ita.liana in quel tempo che il partito comunista cer· cava di condizionare a fini operativi? E proprio la breve ma intensa vicenda del "Politecnico" di Vittorinì con il suo invito a voltare le spalle alla vecchia cultura incapace di evitare la tragedia dell'umanità, con il suo attacco alle implicazioni politiche dell'ideaUsmo in nome dì un sano operazionìsmo, e con il richiamo irenìco e indifferenziato a quanti, idealisti in crisi, cattolici insod· disfatti, pragmatisti volessero approdare ad un nuovo corso, rivelava il suo vero limite: quello della mancata storicizza· zione del dibattito .ideale che nelle sue aperture pluralistiche era confluito nella Resistenza. "H Politecnico" rappresentò forse l'esperienza più significativa del mancat.o raccordo, nel vasto contesto 33 Il sottofondo ribelli stico e anarchico HA EU In che misura, negli ultimi tempi, l'equilibrio complesso nel contesto comunista si è rotto a vantaggio degli slanci iconoclasti? Certamente non è facile dosare il grado di intensità dei nuovi orientamenti né valutare la svolta che con il tempo determineranno. Solo possiamo dire che tutto il sottofondo ribellistico e anarchico che dalla Resistenza in poi è stato come ovattato ten· de ad uscire fuori come risultato di una vistosa disgregazione culturale. Il par· tito comunista sta pagando la taglia del suo riformismo poco rigoroso, di un riformismo che nella Resistenza aveva trovato il suo alibi ma che ora sarà chiamato gradualmente alla resa dei conti. Oggi, a distanza di venticinque anni da quei nodi drammatici e tormentati della storia d'Italia, nel bilancio che tentiamo di fare di un quarto di secolo operoso e lacerato al tempo stesso, non possiamo non sottolineare l'insufficien· za della politica riformatrice come prodotto della mancata chiarificazione del dibattito ideale dalla Resistenza ad oggi. Certamente le responsabilità circolano ampiamente in tutte le componenti del· la cultura italiana, ed è perfettamente inutile, criticamente nocivo, anche se dal 34 FUTURIBILI Rivista di esplorazione e studio dei futuri possibili . Via XX Set· tembre, l • 00187 ROMA . Te!. 478.625487..'i53-481.759 • Direttore responsabile: PIETRO FERRARO « Il sottosviluppo come mentalità si verifica quando le basilari esi· genze umane vengono formulate come domande di particolari prodotti progettati per una cultura del benessere. Il sottosviluppo in questo senso rappresenta un ri· sultato estremo di quello che, nel linguaggio sia di Marx che di Freud, si chiama Verdinglichung o reificazione ». Questa la tesi centrale dello studio di Ivan IJ. lich che, insieme a Mario Losano, Umberto Gori, Gian Piero Jacobelli, Giorgio Cardona, si occupa di alcuni problemi dei paesi in via di sviluppo nel n. 20...21 di FUTURIBILI, che si apre con articoli di UE Quello che però non si può condividere è la pericolosa dimensione men· tale, oggi di moda più che mai, di ritenersi gli unici depositari dello spirito della Resistenza, e quindi come tali, ga· ranti dello sviluppo democratico, da J?arte dei vari pulpiti culturali che am· manniscono paternalisticamente lezioni. Se l'invettiva del passato è stata abbandonata, circola però l'aristocratico di· sprezzo delle congreghe che si ritengono autosufficienti dal punto di vista culturale. E' questa la più pericolosa forma per continuare ad alimentare l'odierno eclettismo culturale e la conseguenza deleteria dell'attuale ondata di nichilismo. AH Linguaggio politico e contrapposizione frontale HA EU Così, nell'arco della cultura liberal~e mocratica che pure è stata responsabile nel passato di vistose fratture, ci si attarda spesso in un linguaggio democraticistico e nominalistico, e l'esigenza di scavo viene messa il più delle volte da · · parte, oppure si seguono stanchi trae· ciati culturali. Per converso,. si guarda con un sorriso di sufficienza a tutte quelle 'esperienze che, pur cosl ·ricche di carenze, non rientrano nel quadro politico e culturale del vecchio paternali· smo !egalitario. Accade cosl che il lin· guaggio politico assume spesso la dimensione della cont.-apposizione frontale. Da parte poi di quella generazione che ha scontato le proprie esperienze nella Resistenza comunista e di alcuni epigoni del vecchio cattolicesimo dossettiano un'eredità quest'ultima tutta da verificare aHa luce dei nuovi risvolti della sinistra cattolica - si guarda alla componente liberal~emocratica della cultura italiana con il distacco gelido e con il rimprovero palese di chi crede alle sue lontane complicità, senza alcun ten· tativo di chiarificazione critica, e seguendo se mai i vecchi modelli polemici che ben poco hanno da dire. Il dibattito politico in tal modo si inaridisce nelle vecchie secche schematiche, aJi. mentando sempre nuove incomprensioni foriere del passato come del presente eclettismo ideale. AH Ai giovani intellettuali delusi delle esperienze idealistiche, esistenzialiste, alla ri· cerca di un'esigenza illuminista di nuovi sbocchi positivi, con tante domande da fare e con nessuna risposta da parte dei vecchi protagonisti del dibattito cul· turale, come ha sottolineato Ugo Spiri· to, i comunisti proposero la piattaforma vasta, dall'incerta latitudine del partito di tipo nuovo. Nella sua piattaforma mobile conflui molta della esperienza idealistica in rotta, con le sue aperture pluralistiche e con una dimensione sem· pre più problematica, con sottintesi di restaurazione culturale e di sbocchi nuovi al tempo stesso, e tutta la varietà delle posizioni ribelli e insofferenti del passato. In questo contesto locande· scente la ricerca dell'omogeneità cultu· rate ebbe scarso rilievo, mentre uno storicismo formalistico la mimetizzava, e un nuovo e seducente eclettismo dottri- · naie veniva alimentato nel dopoguerra. Con tale pluralismo, controllato solo nei suoi rapporti esterni e meccanici, il partito comunista ha innestato sull'asse classista larghe convergenze con molti quadri della borghesia intellettuale, ponendo cosl le basi di un discorso a ventaglio lungo l'arco di tutto il dibattito culturale del dopoguerra. In tale discorso il momento storicista della continuità con 11 passato finiva per avere la meglio, come erede di parte degli assunti liberali, mentre le esigenze di rottura sono rimaste per molto tempo sullo sfondo. Non per nulla un giovane e acuto studioso, Asor Rosa, accusava qualche anno fa, con un saggio in quel momen· to esplosivo ("Scrittori e popolo", Samonà e Savelli, Roma, 1966), tutto il dibat· tito culturale comunista come un'analisi di retroguardia, diretta a sostenere una società caratterizzata da Ul)O sviluppo capitalistico attardato. punto di vista retorico ancora di qual· che efficacia, isolare singoli aspetti del dibattito culturale, ritenendoli responsaooli delle presenti e delle passate insufficienze. Da questo punto di vista, l'atmosfera da linciaggio morale del periodo post·liberatorio è da ritenersi superata. UE marxista, della spinta sentita della rottu· ra e delle esigenze della continuità. Infine i giovanissimi ostentano la loro esigenza di rottura come candanna inappellabile di tutto un mondo, liberai-bar· gbese e paleo<:Omunista, e non riescono a comprendere che pagheranno anch'essi presto lo scotto dell'attuale on· data di incomprensione e di diffidenza, se non alimenteranno una necessità dj scavo con nuovi moduli interpretativi, ma nell'ambito di un apporto costrut· tivo. Io conclusione, la dimensione distaccata, da torre d'avorio, è oggi la più pericolosa 'J)er consolidare l'attuale fase di ristagno del dibattito culturale e di immobilismo di quello politico. Ed è una dimensione atavica, difficile da sconfig· gere, che ha investito le generazioni del· la Resistenza come quelle di oggi. IRENE TAVISS Futurologia e problemi dei valori NORMAN ALCOCK Rapporto tra voti e potere alle Nazioni Unite BERNARDO ROSSI DORIA I problemi insoluti dell'urbanistica e le regioni Nel numero, oltre alle consuete rubriche, appaiono articoli di TULLIO BULGARELLI Dall'homo faber all'homo sapiens: la libertà ascendente FRANCO CRESPI Evoluzione della famiglia ed etica sessuale nella società di domani Per soddisfare le numerose richieste pervenuteci è stato ristampato il nu· mero 15 di FUTURIBILI, dedicato al problema dell'Università. Abbonamenti: L. 8.000 (Italia) · Lire 11.000 (Estero) . Pre7.zo di un fa. scicolo; L. 1.000 . Un fascicolo arretcato: L. 1.200 • Versamenti in c/c postale n. 1/9530 jntestato a EDITRICE FUTURIBILI S.r.l. . Via XX Settembre, l · 00187 ROMA o con assegno bancario In vendita nelle principali librerie Un'ipotesi da verificare "COME" VENNE IL FASCISMO? una frequenza mai conosciuta, in cui tutti gli aspetti della vita politica avevano, per cosl dire, un "più" rispetto al passato, c'erano forse molte condizioni per una articolazione democratica più vivace e moderna, per un vigoroso svecchiamento della società, ma anche i segni premonitori di possibili svolte, non meno "rivoluzionarie", che avrebbero potuto avviare la crisi verso impreviste soluzioni di segno opposto. In questo clima, si colloca un'iniziativa che doveva far parlare lungamente di sé e che raggiunge il suo culmine nell'aprile del 1919, quando partito repubblicano e unione socialista italiana lanciano un manifesto con la richiesta di un'assemblea nazionale costituente con pieni poteri per fissare le nuove forme di rappresentanza del paese, assemblea che dovrà subito nominare un governo provvisorio che reggerà lo stato sino all'applicazione del nuovo statuto. Una rivendicazione tutt'altro che nuova UE di Lucio Cecchini Uno dei più acuti studiosi di storia contemporanea osservava qualche anno fa che se la vastissima produzione sull'argomento aveva ormai chiarito il "perché" del fascismo in Italia, restava tuttavia da indagare largamente il "come" dell'avvento del fascismo al potere. E' un interrogativo di interesse forse non soltanto storico, che può coinvolgere anche problemi e prospettive attuali, nella misura in cui sia legittimo far discendere la risposta da un approfondimento della strategia della sinistra italiana, in un periodo di grande travaglio, ma anche di speranze per i partiti e i movimenti della tradizione democratica e socialista. La storiografia è praticamente concorde nell'affermare che il primo dopoguerra si apriva all'insegna di trascinanti e suggestive prospettive di rinnovamento della vita italiana, nel delinearsi di quella che Angelo Tasca definisce c la rivoluzione democratica del 1919 "· Non siamo ancora quindi alla salveminiana • nevrastenia del dopoguerra "· anche se il fenomeno denunciato dallo storico pugliese aveva radici assai lontane. Siamo, al contrario, di fronte a un'esplosione di fervore, cosl difficilmente contenibile da coinvolgere persino compassati uomini di governo, da Orlando a Salandra. A quest'ultimo dobbiamo una delle più infuocate affermazioni: • Grandi, ardite riforme occorrono, e occorre soprattutto che le rappresentanze supreme della nazione non possano essere più manipolate in una vecchia casa, dove si accumulavano antiche e nuove simonie, ma debbano uscire ringagliardite, rinvigorite, vigorose, ringiovanite dai liberi dibattiti di un popolo libero •· Laddove - a onor del vero - è sottinteso un chiaro intento antiparlamentare a scopi di pura e semplice reazione, ma espresso con un linguaggio non dissimile da quello dei partiti di sinistra. E, in effetti, uno degli aspetti più singolari e indicativi dell'Italia di questo periodo è l'incrociarsi delle posizioni più varie nella comune insofferenza per il sistema. HA EU AH UE HA EU AH Era una rivendicazione 'tutt'altro che nuova, anzi spesso ricorrente dal Risorgimento in poi nella propaganda del movimento mazziniano. Finché anche questa richiesta aveva fatto un po' la fine di tante altre collegate alla parte democratica risorgimentale. Propria di una piccola minoranza, che ancorata con disperata risoluzione alla pregiudiziale istituzionale, aveva problemi di sopravvivenza addirittura drammatici, era vissuta, come la minoranza repubblicana, in assoluta solitudine, ai margini della vita politica del paese, a cavallo tra la legalità e la velleità cospirativa. fino a diventare un elemento del rituale provinciale, paesano, del rivoluzionarismo italiano, un po' come gli alberi della libertà ed altre manifestazioni folkloristiche, in uso nei territori degli ex stati pontifici. Un fatto, per intenderei, romagnolo e marcbigiano. Di tutto, quindi, si può parlare in proposito, tranne, come fa qualche autore, di una diffusa "mistica" della costituente. Se di una mistica si tratta, è cosa limitata a movimenti estremamente minoritari e ab« Spirito aggressivo bastanza marginali. e visione catastrofica " Ma nel primo dopoguerra, ecco che questa rivendicazione esce dal completo isolamento E' vero, si poteva chiedere a Salandra e e comincia ad entrare nel linguaggio corai suoi amici se si sentissero in coscienza rente, sembra poter convogliare· e riassudel tutto estranei alle siinonie di cui di- mere in sé quell'ansia di rinnovamento, quel scorrevano, ma, nell'atmosfera incandescen- sussulto di insofferenza contro le angustie te dell'epoca, era molto più facile stimola- del sistema che attraversa il paese. Fanno re l'immaginazione (.OD variopinte coloriture propria la lotta per la costitu~nte demodi toni, che fare appello alla difficile ri- cratica l'unione italiana del lavoro, il partito radicale, varie frazioni liberali, ~a flessione. massoneria, l'associazione degli ex combatSe questo era il linguaggio della classe tenti, la confederazione generale del lavodirigente, i socialisti, dal canto loro, affron- ro e, per finire, lo stesso congresso fascitavano - per dirla con Pietro Nenni - i problemi sociali creati dal dopoguerra c con sta. Come si vede, un arco assai ampio di forspirito aggressivo e guidati da una visione catastrofica "· Ma non era, a ben guardare, ze e d'opinione, probabilmente tale da assialtrettanto catastrofica la posizione di Sa- curare consistenza ad una indicazione che landra, che pure, con le variazioni che la per il modo in cui si poneva appariva obietmolta acqua passata sotto i ponti compor- tivamente nuova. A questo punto, si pone il problema del tava, sembrava riproporre una sorta di complesso mondo socialista, il cui atteggiasonniniano • torniamo allo statuto? "· mento era naturalmente condizionante per La situazione italiana del dopoguerra po ogni battaglia di sinistra. teva avere gli sbocchi più vari e imprevediIn proposito, ci limitiamo a rìcordare albili, ma - e in tutti era maturata questa convinzione - sarebbe stata una situazione cune testimonìanze che ci paiono particocomunque "rivoluzionaria", che escludeva, larmente significative. Claudio Treves si pronuncia in favore deltra le pochissime cose che si potessero esclu. dere, un ritorno alle condizioni del periodo la costituente, polemizzando con la persoprebellico. In questo crogiolo, in cui i motti nalità più prestigiosa della corrente rifare le 'parole d'ordine, forgiati secondo la nuo- mista, Filippo Turati,. che, forse non dimenva abitudine militare, si diffondevano con tico di ormai antiche polemiche con Arcan- Che cosa c'era di vaiido nella spinta, che veniva da più parti, per una Costituente? Di fronte alla crisi dello Stato mancò una soluzione di ricambio che non fosse la rivoluzione di tipo sovietico o il fascismo 35 Una battaglia aperta, che discutesse i valori storici della monarchia e di casa Savoia, che si proponesse una articolazione dal basso, sarebbe forse stata la prospettiva democratica capace di creare nuove solidarietà attorno alla classe operaia, capace di saldare il proletariato ai ceti medi più aperti e protesi verso soluz.ion.i di rinnovamento. In effetti, il mito della rivoluzione d'ottobre opera sulla maggioranza massimalista in modo analogo al mito della rivoluzione deU'89 sui democratici francesi dell'età della Restaurazione, quando sembrava impossibile stabilire una direttrice e una linea di continuità democratica intorno alla quale mobilitare energie e coscienze, perché la lotta di titani della "Grande" rivoluzione rendeva tutto il resto cosa degna di pigmei. Cosl, nell'Italia del pri!Jl.P dopoguerra, ogni prospettiva di conquista democratica è nulla, nell'aspettazione messianica della. rivoluzione russa. E' la tesi di Pietro Nenni, che conclude con amarezza l'analisi sopra ricordata: • A ragion veduta si può dire oggi che fu una vera sciagura non prevalesse questo programma, e non solo perché esso avrebbe offerto una base d'agitazione di quasi certo successo, ma anche perché esso poneva realisticamente (c per la prima volta da parte socialista), il problema di una vera democrazia politica "· Lo stesso Gramsci, pur senza giungere a conseguenze cosl esplicite, approfondisce il problema, dicendosi convinto che le elezioni del 1919 ebbero per il popolo un carattere di costituente, sebbene non l'abbiano avuto per nessun partito. E aggiunge: • In questo distacco fra il popolo e i partiti, è consistito il dramma storico del 1919•. AH EU HA Il singolare intrecciarsi delle posizioni socialiste Ecco l'intrecciarsi singolare .deJJ.e.4ue posizioni socialiste, contraddistinte - ci pare dalla stessa carenza. Eversivi gli uni, interni al sistema gli altri, ma insieme nell'ignorare larga parte dei problemi politici, e non solo politici, che in "Italia" condizionano una trasformazione della società. C'è una grande considerazione delle questioni economiche, ma, quanto alle strutture politiche, giuridiche, amministrative dello stato nell'ambito delle quali si opera, sembra che esse debbano crollare, nell'una impostazione e nell'altra, cosl per forza delle cose o per grazia di Dio, attraverso un sussulto rivoluzionario di cui non si prova nemmeno a tracciare in concreto le linee e il disegno, o attraverso qualche conquista di carattere economico o un raffor36 via della lotta per lo sviluppo cor1Sei~eJ1tet della democrazia senza la quale lotta concreta per il socialismo». Lelio Basso, per il quale • di fronte crisi del vecchlo stato, incapace di contenere questa nuova spinta e di attuare le necessarie trasformazioni, mancò purtroppo una soluzione di ricambio che non fosse la rivoluzione di tipo sovietico o il fascismo». A proposito di responsabilità del movimento operaio, il Basso scrive che questa • consiste soprattutto nell'incapacità che esso allora dimostrò di offrire agli italiani delle soluzioni nuove e democratiche, delle soluzioni che potessero rappresentare un superamento del vecchio ordine liberale e potessero incanalare l'immenso malcontento che la guerra aveva lasciato dietro di sé c che non riguardava soltanto gli operai e i contadini ma anche il ceto medio •. Questo uno dei problemi che può aiutarci a rispondere all'interrogativo del "come" della conquista fascista che ci ponevamo all'inizio. Per quanto ci riguarda, le consid<> razioni che precedono sono appena abbozzate e tutte da verificare. Tuttavia, la questione posta ci appare legittima e forse giusti· fica un ulteriore sforzo di meditazione da parte di una storiografia che tende a sorvolare su numerosi aspetti non secondari. Da questo punto di vista, la storia è ancora quasi tutta da scrivere, e comporta numerosi ripensamenti su vicende e orientamenti del primo dopoguerra, sul significato dell'interventismo democratico, troppo spesso identificato abbastanza gratuitamente con quello di tipo nazionalista, sulla presenza nella politica italiana delle correnti democratiche di derivazione risondmentale. UE AH Aspettazione messianica della rivoluzione russa UE Questa posizione del partito socialista è tale da confinare ancora una volta una prospettiva di avan.zarnento democratico tra le illusioni perdute di piccoli gruppi. In proposito, c'è un appassionato giudizio di Pietro Nenni, che riproduciamo ampiamente: • La prima volta che il partito si trovò ad affrontare i problemi politici del dopoguerra fu nel dicembre del 1918. Allora la direzione discusse largamente la questione della costituente. Fu questa parola d'ordine monopolio di qualche partito? Chi ha vissuto l'atmosfera di quei mesi febbrili in cui la gioia per la pace si mischiava a un fondo di insoddisfazione per le condizioni sociali e politiche del paese, in cui sentimenti opposti confluivano in una esaltazione quasi mistica dei diritti dei combattenti; chi ricorda il primo affluire delle truppe di linea verso le basi territoriali ed il loro primo contatto con il paese, risponderà negativamente a questa domanda. Si può dire che non ci fu rlunione o comizio, corteo o fiaccolata in cui non si parlasse di costituente. E via via la parola passava attraverso i reparti, si stampava nel cervello dei reduci. Ognuno le dava il significato che voleva, ed il valore che voleva. Era tutto ed era nulla, o meglio, poteva essere tutto e non fu nulla. La direzione del partito non volle saperne, né allora né più tardi, già sopraffatta dal mito russo, presa e conquisa da una visione totalitaria di rivoluzione sociale, decisa ad ispirarsi all'esempio russo, ma mancante della "souplesse" che era stata la caratteristica dei bolscevichi, troppo proclive nel trascurare le fondamentali differenze fra l'attrezzatura politico-economica della Russia e quella del nostro paese ». EU Nettamente contraria, invece, la frazione maggioritaria del socialismo italiano, che contrappone alla costituente la repubblica dei soviet e la dittatura del proletariato. zamento del potere contrattuale della classe operaia nelle controversie di lavoro. Non c'è nessun approfondimento della funzione della monarchia nella storia italiana, problema che non è puramente di facciata, secondo un'espressione abbastanza nota di Turati, ma che significa anche una certa classe dirigente al potere, certe forze sociali predominanti, un certo tipo di rapporti e di lotta politica. Del pari, non c'è nessun approfondimento rispetto a quel.formidabile strumento degli stati modero\ che è lo strumento amministrativo, nessun richiamo alla posizione storica della democrazia italiana nella sua r ivendicazione autonomistica. Non a caso, il partito comunista, nel secondo dopoguerra si farà portatore di queste esigenze, incentrerà sulle autonomie locali, ad esempio, sull'affennazione di alcune garanzie costituzionali, larga parte della sua strategia. E lo farà con profonda conoscenza della realtà del paese. I cardini di un sistema chiuso, asfittico, come quello italiano degli anni venti, non si fanno saltare facendo balenare ogni giorno "l'ora X" della rivoluzione proletaria, che peraltro è sempre rinviata a miglior tempo ed occasione, ma colpendo alla radice le strozzature storiche. HA gelo Ghisleri, ribadisce su Critica Sociale il suo no (• Dobbiamo volere la costituente? Domando la parola per fatto personale »). Su una posizione intennedia si pone Zi· bordi, abbastanza vicino· alle impostazioni delle correnti democratiche, ma soprattutto preoccupato di una politica di inserimento graduale nel sistema, con graduali conquiste per le classi lavoratrici. Questo dibattito tra rifonnisti sembra accreditare abbastanza la tesi di Tasca, secondo cui l'adesione alla lotta per la costituente era strumentale rispetto alla polemica con i massimalisti, ma non tale da frenare il processo verso una collaborazione con Giolitti, che appa· riva come una meta a distanza ravvicinata. In sede di giudizio politico, possiamo ricordare, tr!l gli altri, Ruggero Grieco: • Un movimento per l'assemblea costituente diretto dalla classe operaia avrebbe unificato le masse popolari intorno ai problemi del presente e dell'avvenire », e anoora: • La lotta per la costituente si collocava sulla LA CULTURA ROMENA FRA EST E OVEST stirpe tracica, che ha avuto la propria culla fra i Carpazi e il Danubio, a quella dei Daci oppure dei Geti. Si tratta prima di tutto di una giustizia storica che ora viene resa ad uno dei popoli più insignì esistiti nell'antichità accanto ai greci e ai romani, il quale finora è stato quasi ignorato daJJa vecchia boria latinista degli scienziati romeni. Ma non solo questi clementi lontani di permanenza culturale del popolo romeno vengono portati alla luce e tenuti presenti. Passando sul piano dello sviluppo storico ulteriore della civiltà, è oggetto di particolare attenzione la grande componente bi· zantina della nostra cultura, che ha determinato le forme dell'arte pittorica e architettonica colta, tanto originali e tanto interessanti. Si arriva poi fino a dei precedenti, molto vicini, della nostra ideologia sociale e politica, come quelli del movimento rivoluzionario del f848. Questo movimento, ben· ché ispirato al secolo ew·opeo del "risveglio delle nazionalità", assunse molteplici aspetti propri alle condizioni e ai bisogni della società romena dell'epoca. Tramite l'ideologia sociale e politica del movimento del 1848, si tenta di rifare ora il processo c l'esercizio della democrazia e del progressismo, come sono venuti a concretizzarsi storicamente in Romania. In una serie di saggi, apparsi sulla rivista La Romania let· reraria, lo scrittore Paul Anghel ha tentato una prospettiva storica romena del con· cetto di democrazia. Egli riconosce cbe la democrazia "del popolo" è stata presto tra· dita da quelli che seguirono alla generazione del 1848. Le masse furono, certo, in· differenti al concetto di "volontà nazionale", perché questa volontà non poteva applicarsi a causa dell'ingerenza straniera. Esse non potevano separare l'esercizio della democrazia dal bisogno di terra e di indi· pendenza. Il problema delle "permanenze culturali" è connesso anche a quello dell'orientamento di queste permanenze. Fin dai suoi inizi, la cultura romena prese un carattere latino. Il folclore romeno dimostra, oltre agli strati arcaici, delle massicce strutture con· scrvative che si incontrano presso tutti i popoli romanici. L'etnologo italiano Francesco De Martino, nel suo studio intitolato Pianto rituale antico, viene a scoprire delle importanti strutture folcloriche romene riferentesi alle tradizioni del funerale, che sono identiche a quelle praticate tuttora in Lucania. Le istituzioni giuridiche, come quella dei "judeti", dei giudici - che ha dato il nome alle divisioni amministrative da poco rimesse in funzione - sono di origine romana, ecc. Ma già nel quarto e nel quinto secolo, il popolo romeno comincia,·a a entrare nella grande e cupa vicenda delle invasioni barbariche provenienti dall'Oriente vicino e lontano e si ritirava nei suoi nascondigli naturali. "Inhaerent montibus Daci", si poteva, ormai, dire di loro, come già si diceva dei loro antenati al tempo delle guerre traianiche. La civiltà romana fiorente nella Dacia ha subito una "ricaduta in natura", è stata avvolta dall'involucro pastorale-agricolo che le ha protetto e salvato, in fondo, la continuità sostanziale. Dopo un periodo oscuro che è durato quasi ottocento anni la Romania inizia la sua vicen da storica occidentale-orientale. Essa è entrata spiritualmente nell'organismo della chiesa orientale paleoslava. Bisogna arrivare tardi, alla fine del Quattrocento, per scoprire lo spunto di una coscienza occidentale lucida, nell'atteggiamento dei grandi principi romeni che iniziarono la lotta con(continua a pag. 47) HA EU AH UE HA EU AH UE di Dragos Vrancean u Il problema delle "permanenze culturali" si pone oggi in Rqmania con un interesse e una intensità che non si sono mai verifi· cati fino a questo punto nei dibattiti degli ambienti intellettuali: identificare quanto più le proprie "permanenze culturali" vuoi dire approfondire e rafforzare le basi spirituali del concetto di autonomia e di indi· pendenza, come presupposto di ogni lotta per il progresso nell'ambito della comunità internazionale. Due sono gli aspetti primordiali di questa tipica preoccupazione dei romeni: a) uno sforzo costante di spingere quanto più indietro nel tempo la scoperta dei termini di continuità dei fatti e dei va. lari della loro cultura; b) delucidare critica mente il problema della sintesi fra Oriente e Occidente nella struttura e nella sostanza della cultura romena, problema che cominciò a essere dibattuto, nei suoi elementi, già due secoli prima e fu poi sempre ri· preso in un crescendo di argomenti e di tesi, per raggiungere ora il suo culmine. Riguardo all'anzianità e alla continuità culturale, si deve ricordare il clima vivo di ricerche archeologiche e storiche che contraddistingue, senza dubbio, l'epoca attuale; il rilievo dato allo studio delle opere d'arte di letteratura e di scienza dei secoli scorsi; le commemorazioni vistose e attente della fondazione delle città romene e dei lavori pubblici importanti, le ricerche delle tradizioni di pensiero e dei movimenti ideologici e sociali. Non c'è in questo nessuna orma di nazionalismo culturale. Tutto viene messo in rapporto a una necessità, "non di contrapporsi", ma di inserirsi nello sviluppo generale della civiltà, partendo da posizioni proprie e valendosi di tali posizioni, consolidandole e aumentandone il loro significato. Numerosi sono i giovani studiosi e i saggisti romeni che ambiscono a met· tere in rilievo una c psicologia locale del fatto di cultura», per cui la struttura delle correnti e delle idee generali viene a costituirsi in un riflesso originale di situazioni storiche e psicologiche e appena come tale torna ad essere immesso nel circuito dello sforzo· generale per la civiltà. E' ovvio che in piena campagna di industrializzazione, l'importanza che ora viene data in Romania alla valorizzazione del folclore e al patrimonio delle tradizioni popolari, per vari scavi "archeologici" dentro le masse, non deve essere considerata come un fenomeno retrogrado, come un in· vito a una specie di "ancestralismo" incom· patibile con le tendenze attuali del paese. II folclorismo vuoi dire solo il normale interesse per i valori di "espressività" arcaica del popolo nel suo insieme, per il suo capi· tale di differenziamento estetico e spirituale su scala di massa. Esso tende a mettere in risalto il più anziano aspetto di permanenza culturale della nazione. Certo, il folclorismo è diventato anche indirizzo vivo di letterarura, di poesia e di arte moderna, per cui i più specifici movimenti di avanguardia fanno appello ai vecchi miti autoctoni, come a sostanza necessaria di fantasia, di colore e di motivi plastici e passionali, atti a reagire, come dappertutto, alle scarse possibilità che il fenomeno tecnologico contemporaneo offre in questo senso. Ma questo è un'altra cosa. Quasi lo stesso si può dire per il cosiddetto "dacismo". Con questa parola si accenna all'interesse che le ricerche storiche di oggi dedicano al popolo originario che ha abitato il territorio della Romania pri· ma della colonizzazione della Dacia dai Romani Numerosi scavi archeologici ed altri studi, realizzati negli ultimi venti anni, fanno risalire la natura e il valore civile della Gli intellettuali romeni si sfonano di delucidare criticamente il problema della sintesi fra Oriente ed Occidente neUa struttura e nella sostanza della cultura romena. Questo problema, vecchio di secoli, ha raggiunto ora il suo culmine 37 LETTERE Una s Esperanto lingua del mondo HA EU UE AH Nel numero de "L'Europa" del 9 maggio scorso Dante Antoniani, in un articolo intitolato "Una lingua per l'Europa", dopo aver escluso che nel continente, il quale si sta avviando verso l'integrazione politica, potrà un giorno prevalere come unica lingua un idioma a larga diffusione come l'inglese, oppure una lingua convenzionale quale è l'esperanto, sostiene che « la lingua d'Europa sarà il risultato di un continuo seppur lento processo d'integrazione spontanea, di spontanea fusione di lingue diverse in una lingua sola». Secondo Antoniani un gran passo verso l'unificazione delle lingue sarà realizzato quando si incomincerà ad impartire i diversi insegnamenti nelle scuole in una lingua sola. Ci sono pervenute numerose lettere di esperantisti contrari alte tesi sostenute da Dante Antoniani. Le pubblichiamo dato l'interesse e la varietà degli argomenti addotti HA EU AH UE Egregio Direttore, ho letto sul numero del 9 maggio l'articolo "Una lingua per l'Europa" di Dante Antoniani e Le sarò grato se vorrà pubblicare le precisazioni che seguono. Da.ll'uso nella propria lingua madre di termini, espressioni, modi di dire di altre lingue europee all'intqrazione naturale delle varie lingue europee c'è di mezzo il mare e con tutto il mio ottimismo, credo che la cosa sia irrealizzabile e che non possa essere presa sul serio. Infatti se ciò fosse possibile (e non bisogna dimenticare che integrazione linguistica si1111ifica ìnte11razione 11rammaticale e sintattica e questa non P.Otrà mai avvenire naturalmente) sarebbe gtà avvenuto in na. zioni come la Svizzera o il Be.Jijo o la Jugoslavia, dove una integrazione linguistica è sempre stata desiderata ed invece, per esempto in Svizzera, ciascuna delle lingue usate ufficialmente ha mantenuto intalte le proprie caratteristiche e nonostante che i diversi iDSejll?-amenti nelle scuole svizzere siano imparllti in lingue diverse, l'unificazione non si è verificata e non è nemmeno cominciata l'int~azìone spontanea di cui parla I'Antoniam nel suo articolo. Evidentemente l'Antoniani non conosce l'Esperanto perché altrimenti non lo chiamerebbe lingua convenzionale, beosì Lingua internazionale, e quindi più che europea, dato che la "geniale creazione del medico polacco" contiene le radicali linguistiche più internazionalmente usate, cioè il dr. Zamenhof ha assoggettato a regole fisse quelle radicali naturali che si t.rovano presenti in un manior numero di lingue viventi. Per l'affermazione circa il "sempre decrescente interesse delle masse per l'Esperanto", posso soltanto dire che probabilmente l'Antoniani non sa che esistono "leggi" che regolano l'insti'Oamento dell'Esperanto nelle scuole in Olanda, Austria, Polonia e che in molte ..alUe~ì come Inghilterra, Bulgaria, Jugoslavia, Giappone, Polonia, Nuova Zelanda, Australia, Stati Uniti d'America, Brasile, ecc. l'Esperanto ~ insegnato re~olarmente in base a circolari o regolamentt. Anche in Italia è all'esame della VIII commissione permanente della camera dei deputati la proposta di legge n. 1489 per ' 'l'inseiiJlamento della lingua internazionale esperanto e della relativa letteratura nelle scuole elementari e secondarie" presentata il 23 maggio 1969 dai deputati Nicolazzi, Cariglia, Racchetti, Napoli, Luochesi, Bo, Giorno, Amadei Giuseppe, Bianchi Gerardo, Benocci, Bo$ì, Pigni, Micbeli Pietro, Guerrini Giorgio, Miroglio, Querci, Monti, Piccìoelli, Meucci. Padronissimo l'Antoniani dì non "prendere sul serio" l'Esperanto, però c'è ohi la pensa diversamente e fra questi vi sono i milioni di persone obe in tutto il mondo usano l'Esperanto. Nel 1966 ~ stata presentata aii'ONU una petizione con la quale 72 milioni di persone banno manifestato il loro convincimento nella utilità dell'Esperanto ed banno proposto ohe le Nazioni . Unite risolvano il problema linguistico mediante un appoggio reale ed efficace alla diffusione della neutrale lingua internazionale Esperanto. rac- 38 comandando agli stati membri di l'insegnamento e di incorag11iarne l'uso le relazioni internazionali dei popoli Penso possa essere interessante le cifre relative all'insegnamento ranto nelle scuole durante gli ultimi 1950-51: scuole 114 in 15 nazioni 195S.56: scuole 142 in 22 nazioni 195~: scuole 356 in 1:1 nazioni, allievi 1962~3: scuole 563 in 32 nazioni, allievi 1965-66: scuole 41:1 in n nazioni, allievi 1968-{)9: scuole 691 in 31 nazioni, allievi In Esperanto esiste una letteratura ginale, costituita da romanzi, novelle, ri teatrali, poesie, lavori scientifici, filosofiche e politiche. Molte riviste e periodici vengono Esperanto in 011ni parte del Stati Uniti d'America alla dal Vietnam alla Repubblica desca. Più di una ventina di stazioni tra cui Roma, Berna, Varsavia, Rio de Janeiro, Pechino, pest, Londra, Valencia, Praga, voce dell'America usano regolarmente ranto per le loro trasmissioni dedicate l'estero. Centinaia di ditte come la Fiat, lips, la KLM, I'Ytong c la Gevaert, la Repubblica Popolare Cinese e gara, usano l'Esperanto neali merciali e nel testo dei foro ca t~ prospetti propagandistici. E potrei continuare ma preferixo, a documentazione dì quanto att<el'll.ni•O, viari.e una eopia della n. 14a9, una copia educativo d.ell'ìnsegnamento nelle scuole" ed un pieghevole sull'Esperanto. Qualora l'Antoniani volesse sull'Esperanto, potrà rivolgersi a: CEKIT (Centro Esperantista per il mercio, l'Industria e il Turismo) • VS. loresi, 38 - Milano. FEDERAZIONE ESPERANTISTA NA Via Po, 7 - Torino. ISTITUTO ITALIANO DI ESPERANTO Orup - Università di Padova. Rin11raziando, MARIO DAZZJNI Esperanto unica speranza Sig. Direttore, nel numero del 9 maggio 1970 lo a firma Dante Antoniani ba affrorttall sulla Sua pregevole rivista il problema una lingua per l'Europa. Le sarò grato vorrà prendere in considerazione i rilievi. Il primo di essi riguarda l'ottimismo l'articolista il quale riesce a constatare atto un processo di unione politica che giro di alcuni anni (S-10?) dovrebbe maticamente dare origine ad una ben :tionante federazione europea. A me sembra che tale processo non affatto in corso o, quanto meno, che la velocità sia talmente modesta da considerare politicamente nulla. A titolo di prova basta citare completo disinteresse de.i comunisti cose europee e confrontarlo con la ., LETTERE Esperanto lingua del mondo Ul te c l~ il el n1 m ~ HA UE AH EU Nel numero de "L'Europa'' del 9 maggio scorso Dante Antoniani, in un articolo intitolato "Una lingua per l'Europa", dopo aver escluso che nel continente, il quale si sta avviando verso l'integrazione politica, potrà un giorno prevalere come unica lingua un idioma a larga diffusione come l'inglese, oppure una lingua convenzionale quale è l'esperanto, sostiene che «la lingua d'Europa sarà il risultato di un continuo seppur lento processo d'integrazione spontanea, di spontanea fusione di lingue diverse in una lingua sola ». Secondo Antoniani un gran passo verso l'unificazione delle lingue sarà realizzato quando si incomincerà ad impartire i diversi insegnamenti nelle scuole in una lingua sola. Ci sono pervenute numerose lettere di esperantisti contrari alle tesi sostenute da Dante Antoniani. Le pubblichiamo dato l'interesse e la varietà degli argomenti addotti HA EU AH UE Egregio Direttore, bo letto sul numero del 9 magaJo l'arti· colo "Una lingua per l'Europa" di Dante Antoniani e Le sarò grato se vorrà pulr blicare le precisazioni che seguono. Dall'uso neUa propria Hnaua madre di termini, espressioni, modi di dire di altre lingue europee all'inteerazione naturale delle varie lingue europee c'è cti mezzo il mare e con tutto il mio ottimismo, credo che la cosa sia irrealizzabile e che non possa essere presa sul serio. Infatti se ciò fosse possibile (e non bisogna dimenticare che inteerazione linguisti· ca si~fica integrazione arammaticale e sintatuca e questa non P.Otrà mai avvenire naturalmente) sarebbe 111à avvenuto in na. lioni come la Svizzera o il Belaio o la Jugoslavia, dove una integrazione linguisti· ca è sempre stata desiderata ed invece, per esempio in Svizzera, ciascuna delJe lingue usate ufficialmente ba mantenuto intatte le proprie caratteristiche e nonostante che i ctiversi in5e1P?ameoti nelle scuole sviz· zere siano imparuti in lingue diverse, l'unificazione non si è verificata e non è nemmeno cominciata l'int~raz.ione spontanea cti cui parla l'Aotoni;~w nel suo articolo. Evidentemente l'Antoniani non conosce l'Esperanto perché altrimenti non lo chia· merebbe lingua convenzionale, beosl lingua internazionale, e quindi più che europea, dato che la "geniale creazione del medico polacco" contiene le radicali linguistiche più internaziona lmente usate, cioè il dr. Zamenbof ha assoggettato a regole fisse quel· le radicali naturali che si trovano presenti in un maggior numero di lingue viventi. Per l'affermazione circa il "sempre decrescente interesse delle masse per l'Esperan· to", posso soltanto dire ohe probabilmente l'Antoniani non sa che esistono "leggi" che regolano l'inseenamento dell'Esperanto nelle scuole in Olanda, Austria, Polonia e che in molte ~i come Inghilterra, Bulgaria, Juaoslavia, GiappOne, Polonia, Nuova Zelanda, Australia, Stati Uniti d'America, Brasile, ecc. l'Esperanto è insegnato re~olarmente in base a circolari o regolamenn. Anche in Italia è all'esame della VIII commissione permanente della camera dei deputati la proposta di lene n. 1489 per "l'insegnamento della linaua internazionale esperanto e della relativa letteratura nelle scuole elementari e secondarie" presentata il 23 maggio 1969 dai deputati Nicolazzi, Cariglia, Racchetti, Napoli, Luccbesi, Bo, Giorno, Amadei Giuseppe, Bianchi Gerardo, Benoc:ci, Borghi, Piani, Micheli Pietro, Guerrini Giorgio, Miroglio, Querci, Monti, Pie. cinelli, Meucci. Padronissimo l'Antoniani dì non "prendere sul serio" l'Esperanto, però c'è ohi la pensa diversamente e fra questi vi sono i milioni di persone obe in tutto il mondo usano l'Esperanto. Nel 1966 è stata presentata ali'ONU una petizione con la quale 72 milioni di persone banno manifestato il loro convincimento nella utilità dell'Esperanto ed hanno proposto che le Nazioni . Unite risolvano il problema linguistico mediante un appogaJo reale ed efficace alla ctiffusione della neu· trale lingua internazionale Esperanto, rac- comandando agli stati membri cti favorirne l'insegnamento e cti incoragaJarne l'uso nelle relazioni internazional.i dei popoli. Penso possa essere interessante conoscere le cifre relative all'insegnamento dell'Esperanto nelle scuole durante gli ultimi anni: 1950-51: scuole 114 in 15 nazioni 1955-56: scuole 142 in 22 nazioni 1959-60: scuole 356 in 27 nazioni, allievi 13.137 l96U3: scuole 563 in 32 nazioni, allievi 16172 1965-66: scuole 427 in 37 nazioni, allievi 16.302 1968-69: scuole 691 in 31 nazioni, allievi 18.881 In Esperanto esiste una letteratura originale, costituita da romanzi, novelle, lavori teatrali, poesie, lavori scientifici, opere filosofiche e politiche. Molte riviste e periodici vengono editi in Esperanto in ogni parte del mondo, dagli Stati Uniti d'America alla Cina Popolare, dal Vietnam alla Repubblica Federale Tedesca. Più cti una ventin.a cti stazioni radio, tra cui Roma, Berna, Varsavia, Zagabria, Rio de Janeiro, Pechino, Rosario, Budapest, Londra, Valencia, Praga, Vienna e la voce dell'America usano regolarmente l'Esperanto per le loro trasmissioni dedicate all'estero. Centinaia di ctitte come la Fiat, la Pbilips, la KLM, I'Ytong e la Gevaert, nonch6 la Repubblica Popolare Cinese e quella bul· gara, usano l'Esperanto negli scambi c?mmerciali e nel testo dei loro cat~!oahi e prospetti propagandisti<:i. E potrei continuare ma preferisco, UICbe a documentazione di quanto afferma•o. iDviarLe una cOpia della "roposta di lene n. 1489, una copia delJ'opuscolo "Il valore educativo d.eU'Ìilseinamento deli'I;:speranto nelle scuole" ed un pieghevole illustrativo sull'Esperanto. Qualora l'Antoniani volesse documentarsi sull'Esperanto, pOtrà rivolgersi a: CEKIT (Centro Esperantista per il Com· mercio, l'Industria e il Turismo) • Via Vii· loresi, 38 - Milano. FEDERAZIONE ESPERANTISTA ITALIA· NA Via Po, 7 - Torino. ISTITUTO ITALIANO DI ESPERANTO . Orup - Università di Padova. Ringraziando, distintamente La ossequio. MARIO DAZZINI Esperanto unica speranza f~ ~, e ca ~~ la ~ n~ Sig. Direttore, nel numero del 9 ma~o 1970 un articolo a finna Dante Antomani ba affrontato sulla Sua pregevole rivi.s ta il problema di una lingua per l'Europa. Le sarò grato se vorrà prendere in considerazione i seguenti rilievi. Il primo di essi riguarda l'ottimismo dell'articolista il quale riesce a constatare in atto un processo di unione politica obe nel airo cti alcuni anni (5-10?) dovrebbe automaticamente dare oriaine ad una ben funzionante federazione europea. A me sembra che tale processo non sia affatto in corso o, quanto meno, che la sua ve.locità sia talmente modesta da potersi considerare politicamente nulla. A titolo di prova basta citare l'attuale completo disinteresse dei comunisti per le cose europee e confrontarlo con la mobili· ~~ cti CQ of cr TI ~ bi riJ è d~ a~ an pc ve su laJ 38 J a lingua per l'Europa HA UE Il progetto - "mezzo più poderoso ed efficace" - per la scuola dovrebbe presupporre da parre degli in~anti la conoscenza di due, tre, quattro lingue. Sembra una utopia che tutti gli insegnanti siano a questo livello. A ouesta stregua sarebbe meglio tornare all'Esperanto e preparare gli inscenanti, io poco tempo, senza difficoltà di pronuncia o altro, a dare il loro contributo rielle scuole per la diffusione di una lingua internazionale, non solo europea ma mondiale. Distinti saluti. ELDA MICHELIS Verso il suicidio linguistico? UE HA EU AH esiste un vero, autentico, pOpolo europeo di cui essa sarà deri\la.Z.ione; ma un vero, autentico popolo europeo a sua volta dovrà risultare dalla sintesi e non dalla semplice somma di popoli nazionali come at· tualmeote si pretende. Elemento fondamentale di tale sintesi sa· rà, a mio parere, l'adozione di una lingua ufficiale europea (seconda lingua di ogni sta. to) che rappresenti l'anima del nuovo popolo e ne costituisca il cemento spirituale. La sceha di tale lingua sarà necessaria· mente fatta con criteri di carattere poli· tico e, dovendo avere caratteristiche soprannazionali, non potrà cbe essere l'esperanto ohe possiede tutte le qualità per diVentare una lingua di massa. L'esperanto costituisce perciò il mezzo per creare quel popolo europeo in mancanza del quale l'unione politica rimarrà sempre un sogno. Ma sono lieto di poter concludere questa lettera, inevitabilmente molto lunga, con la notizia che è già a buon punto il coordinamento degli esperantisti del mercato comune in forma organizzativa autonoma. Dal loro primo congresso sorgerà finalmente il primo nucleo del nuovo popolo europeo. Nell'attuale situazione politica c'è, secondo il mio pessimistico parere, un solo motivo di speranza: cbe questo nuovo popolo possa crescere rapidamente e ri,oaliosa· mente prima che sia troppo tardi. Grazie per la pubblicazione. Gradisca di· stinti saluti. Il presidente del eruppo esperantista romano ALBERTO MENABENE AH Un progetto che è un'utopia EU tazione di piazza da essi determinata, a suo tempo, contro la presentazione del progetto CED che dell'unione politica avrebbe po· tuto costituire autentica premessa. E infatti: non sembra all'arricolista che il proposto allargamento della comunità europea alla Gran Bretagna porterà fatalmente ad un ulteriore rallentamento <:Iella marcia integrazionista poiché tale paese è sempre stato, c lo è tuttora (anche per motivi istituzionalì), decisamente ·contra· rio ad ogni forma di integrazione europea? Continuando di questo passo, inutile ac· qua continuerà a scorrere sotto i ponti dell'Europa dei Sogni. Ma non all'infinito: solo fino al momento in cui i comunisti riuscì· ranno a raggiungere o almeno a condizionare la direzione •politica di uno de~~lì stati della comunità iiacché allora la stessa comunità europea avrà finito di esistere. O fino a quando l'Unione Sovietica e la Cina, trovato finalmente un ounto d'intesa, faranno fronte comune contro l'Occidente e gli stati europei rivivranno l'esperienza della Cecoslovacchia o, pejl&io, del Vietnam. Quel giorno finirà l'Europa dei Sogni e, naturalmente, cadrà anche il problema dell'integrazione linguistica. Il secondo rilievo è una diretta conseguenza del primo. Dante Antoniani dà per scontato che si abbiano a disposizione, 20. 40, addirittura 60 anni di comodo tempo per portare a compimento uno spontaneo processo di integrazione linguistica delle principali lingue europee che seguirebbe automaticamente (quale fatto accessorio e mal'ginale) l'autonomo processo di integrazione politica. A questo punto devo aprire una rapida parentesi per sottolineare la contraddizione m cui l'autore è inconsciamente caduto: ~li inizia negando che l'esperanto possa d1venire la futura, comune, lingua d'Europa e scrive poi un intero articolo rper auspi· care l'avvento, dopo alcune venerazioni, di un ... esperanto di seconda categoria frutto di un processo di integrazione spontanc;a. Non è forse l'attuale esperanto già la sintesi (ma facile e logica) delle più dif· fuse lingue europee? Non è forse l'attuale esperanto la lingua che ogni ragazzo europeo può parlare praticamente dopo un solo anno di studio? Egli auspica invece che a tuili i ragazzi d'Europa vengano fatte studiare sin dall'infanzia 4-5 lingue (quali?), affinché, per sintesi spontanea, nasca dopo qualche generazione, un nuovo esperanto inevitabilmen· te difficile e illogico come neni lingua spontanea esistente nel mondo. Alla base di tale ragionamento si avverte la prevenzione, del tulto ineiustificata, che molte persone di alta cuhura (in piena buona fede) banno nei confronti dell'esperanto giacché si ritiene comunemente che una lingua artificiale non abbia la possibilità di trasformarsi in lineua viva, naturale. E' facilissimo invece dimostrare loro il contrario citando l'inoppu~abile esempio offerto dalla lingua artifictale " landsmall" creata a tavolino dal filologo Aasen nel 1848. Tale lingua è diventata naturale nel momento stesso che ì1 popolo norvegese l'ha adottata e da quel momento in poi ha su· bìto tutte le evoluzioni che sono caratteristiche di una lingua naturale. Ogai essa è denominata "Nynorsk" ed è la lineua più diffusa in Norvegia. Il terzo rilievo, quello di fondo, è il seguente. L'unione politica è ancora un sogno q,oìché ancora non esiste una forza popolare europea capace di obbligare i IJ<>vemi naziooah a compiere i passi decistvi sulla via dell'unificazione; tale forza popolare non esiste ancora poiché ancora non Egregio signor Direttore, mi perdoni se, solo ora, riesamino l'arti· colo "Una lingua per l'Europa" di Dante Antoniani pubblicato sulla sua rivista del 9 maggio u.s. L'autore dell'articolo, a mio parere, vede le cose troppo facili e pensa che una soluzione si abbia nel giro di qualche anno. E' dawero la situazione, tale, quale la descrive, in tutta Europa? Non voglìo dare una risposta, ma solo citare una frase di Paolo Monelli in un articolo, "L'italiano dei nuovi pedanti", del 5 giugno sul "Cor· riere della Sera": c ... Dirò di più: nessuno dei giornali d'Europa o d'America che oani tanto mi capitano in mano mostra nei titoli, nei testi e nella pubblicità quella arlecchinesca mescolanza che hanno i nostri, di vocaboli dell'idioma della lineua nazionale e di altre due o tre forestiere •· L'Esperanto non mi risulta incontri un • sempre decrescente interesse delle masse •: 83 anni di vita, 31 mila opere circa IO milioni di persone che lo parlano, 120 pubblicazioni annuali dall'Olanda, Bulgaria, Cina, Norvegia, Inghilterra, Brasile, ecc., annualmente dai 30 ai 40 congressi; seminari di studio,~.. incontri, trasmissioni radio eior· naliere. \.luest'anoo: congresso mondiale a Vienna, per i ferrovieri a Rimini, per gli italiani io crociera nel Mediterraneo, corso televisivo, da settembre, io Olanda, ecc. Egregio signor Direttore, ho letto nell'ultimo numero della sua rivista "L'Europa" (n. 14) un articolo di Dante Antoniani, dal titolo "Una lingua per l'Europa", che, parendomi impostato in un modo assa.i singolare, mi spinge a scriverle queste righe, pur sapendo che, siccome nella sua rivista manca una rubrica di corrispondenza coi lettori, non potrà pubblicarle. Per cominciare, mi sembra che la tesi del suo collaboratore sia un po' utopica: se veramente la futura lingua europea dovrà sorgere dalla mescolanza delle lingue parlate oggi in Europa, allora già oggi si dovrebbero osservare 'tendenze che comprovino una simile tesi. il fatto ~he ci siano parole straniere nella nostra lin· gua non prova nulla: da un can to ce ne sono sempre state (nel 700 i francesismi abbondavano, poi a poco a poco sono stati più o meno "assimilati" o rigeltati, sostituiti da espressioni puramente italia. ne), e d'altro canto si tratta o dJ parole che rieuardano un aspetto particolare del modo di vivere o della cultura di un popolo straniero (che in Italia non ha un suo equivalente) oppure di "parole di moda". Non esistono, per esempio, indizi che l'italiano stia per accettare forme grammaticali o sintattiche dell'inglese o del tedesco (questo sì che sarebbe una prova della tesi di Antoniani!). D'ahro canto, ad una simile tendenza aJ. la "mescolanza" delle lingue manca anche il sostrato psicologico: nessuno può prevedere una eventualità simile in una epoca nella quale ogni più piccolo gruppo linguistico tende a far valere il proprio idoma (i baschi, i catalani e i galJeehi in Spagna; i provenzali, i bretoni e gli alsaziani in Francia; i tedeschi in Italia; i romanci in Svizzera, ecc.). Non solo: ci sono persino tentativi di far rinascere una lingua morta o quasi morta (tentativi talvolta coronati da successo): per esempio l'ebrai.<:o io Israele, l'ir· landese nell'Irlanda, il sutsilvan nei Gri· eioni, il serbo-lusaziano nella DDR, ecc. Ma io credo che la tesi stessa ·del suo collaboratore sia errata: non esiste in· fatti nessun esempio storico di "mescolanza" linguistica vera e propria: e mi stupirebbe se oggi improvvisamente una simile "mescolanza" potesse formarsi. 39