MENSILE DELL'AICCRE ASSOCIAZIONE UNITARIA DI COMUNI PROVINCE REGIONI ANNO XLV - N. 2 FEBBRAIO 1997 dal quartiere alla regione per uiia Uriione europea federale Alle radici dell'int egrazione di Maria Paola Colombo Svevo * i Diego Rivera, Realizzazione di un afiesco che rappresenta la costruzione di una cittìì (1931), San Francisco t: Art Institute. a .P N Rivera, come tutti i muralisti, aveva l'idea di un'arte collettiva, alla portata di tutti, che trovasse la sua sede naturale all'esterno degli edifici, sulle strade e nelle e piazze. Qui il tema e quello della progettazione e realizzazione di una moderna città e si fonda sulla filosofia positivista del progresso. Con questa idea di comunità integrata si apre questo numero di "Comuni d'Eu6 ropa", che tratta nelle sue prime pagine del voto amministrativo dei cittadini comunitari residenti in altri paesi dell'unione. E sempre dello stesso filone statunitense dell'artista sono le due immagini - che illustrano il si~ccessivoarticolo sul.Z la coesione economica europea: con la rappresentazione dell'origine della vita, un bimbo in ~osizionefetale all'interno del bulbo di una pianta, affiancato da .due riquadri con i frutti dell'agricoltura, una delle prima attività dell'uomo, e $ con l'affresco sull'industria pesante. E E -5 C B i I1 voto agli immigrati previsto nel disegno di legge del Governo ha suscitato, com'era prevedibile, posizioni di forte contrapposizione. Alcune osservazioni sono condivisibili. È giusto, ad esempio, chiedere che insieme al voto degli immigrati si risolva anche l'annosa questione del voto agli emigrati italiani all'estero. Senza metterli in contrapposizione. È un tema ormai maturo, maturato in interminabili dibattiti e speranze deluse. È sbagliato invece estrapolare il tema del voto dal contesto generale della legge sull'immigrazione, perché si rischia di dargli un significato diverso da quello che ha. Diciamo subito che è stato un atto di coraggio da parte del Governo italiano prendere la via maestra di una legge organica, anziché percorrere la via politicamente più comoda dei mille aggiustamenti. Questo consente un dibattito politico che sarà aspro ma non potrà non toccare il tema vero del provvedimento: quale politica dell'immigrazione vogliamo per l'Italia? È questo il cotifronto vero, ineludibile, che sta attraversando del resto tutti i paesi europei. Vogliamo privilegiare l'integrazione? E quale integrazione, con quali strumenti? I1 voto alle elezioni comunali si colloca dunque in questa prospettiva, è conseguenza di una scelta politica: cercare gli strumenti più opportuni per un'integrazione intelligente partendo dalle responsabilità a livello locale. Ricordo che l'Unione Europea sta costruendo accanto alla cittadinanza nazionale una cittadinanza "europea". che già vede il diritto dei cittadini comunitari nelle elezioni comunali ed europee. I1 concetto di cittadinanza si va così ampliando, e diventa sempre più fondamentale nel processo di democratizzazione l'importanza del cittadino come membro di una collettività che partecipa alla vita sociale di una comunità, che gode di diritti e doveri. Ora, di fronte alla situazione mutata dei nostri paesi che sono divenuti paesi di immigrazione (e sempre più lo saranno), porre in discussione questo tema significa andare alle radici stesse del processo di integrazione. " Vicepresidente della commissione libertà piibbliche e affari interni del Parlamento europeo. E non si tratta di dare il diritto di voto all'immigrato di passaggio, come talvolta con un po' di demagogia si tenta di far credere, ma di consentire a persone che risiedono nel nostro Paese ormai da tempo, vi lavorano, vi pagano le tasse. frequentano le scuole, utilizzano i servizi pubblici, di esprimere il loro voto e quindi il loro giudizio sulla gestione del Comune dove abitano. È ragionevole chiedere un tempo congruo per capire se l'immigrazione è stabile e se si desidera dawero mettere le radici in un comune, ma dopo questo periodo perché privare una persona del diritto di sentirsi partecipe a pieno titolo di una comunità? e di negarlo a livello del Comune nel quale le conseguenze delle scelte degli amministratori ricadono su tutti i cittadini (e quindi anche sugli immigrati) e dove il rapporto tra amministratori e votanti è più stretto? Ma concedere il voto non significa solo dare la possibilità di partecipare alla vita di una comunità. È anche un'assunzione di precise responsabilità; è quindi un carico di doveri. Questo è un aspetto che spesso non sottolineiamo abbastanza. Far parte di una comunità a pieno titolo significa sentirsi dentro, eliminare quelle barriere di indifferenza, di negligenza, di rivolta che spesso troviamo nei ghetti che si sono creati intorno agli immigrati e che hanno portato molti di essi alla clandestinità e talora a comportamenti criminali. Avere degli immigrati cittadini significa portare dentro alla comunità i loro problemi, ma anche l'interesse che loro hanno a salvaguardare il bene della città in cui abitano e in cui sono accolti, l'interesse che loro hanno ad essere considerati per quello che sono e per quello che fanno e non per la categoria indistinta che noi attribuiamo loro. È nell'interesse degli stessi immigrati quindi una politica seria, non debole nei confronti dell'immigrazione clandestina e illegale. Per questo l'impegno del Governo per misure forti contro l'ingresso illegale è la condizione necessaria per poter dare il via ad una politica di vera integrazione, che favorisca chi vuole costruirsi in Italia un'esistenza serena portando il suo lavoro, il suo impegno, la sua onestà. Noi sappiamo che integrazione è una parola complessa, rimanda ad un incontro di culture diverse, religioni diverse e all'intreccio di queste culture con le nostre leggi, le nostre abitudini. Chi ritiene di risolvere questi temi ignorandoli non fa i conti con la realtà dura della «di- 3 som ma rio 2 versità». Ci vogliono regole e ci vogliono obiettivi comuni, condivisi. E sarà un processo faticoso che metterà a nudo le nostre debolezze, metterà in discussione le nostre certezze. Ma è un processo che va affrontato. I1 voto è solo una tappa, e personalmente ritengo che averlo posto in discussione e dibatterne consentirà di confrontarci seriamente e di capire fino a che punto la nostra società è pronta a diventare una società di immigrazione. W SCURO Il federalismo e la nazione Il pacifsmo non è suficiente, e il patriottismo neanche: cosi la fawzosa intitolazione di un opuscolo (1935) di L,ord Lothian (Philip Kerr), che si accingeva a definire il federalismo. Il federalismo non è un obiettivo da assumere una volta per tutte, ma è un processo "mirato" o, forse meglio, un metodo di convivenza, che si ispira a una filosofia morale: una filosofia che parte, kantzknamente, dall'assunzione del prossimo come ;unfine, non come un ostacolo alla nostra vok~ntà.Una eccellente pedagogista, che mi è assai cara, ha suggerito ai suoi alunni (10-13 anni) di intitolare un'operina edita collettivamente "la libertà non è solo mia". La vittoria in una guerra fra comunità umane non è un giudizio di Dio: la ragione è autonoma dal sztccesso. Il federalista non ammette che esista un nemico, che "deve riconoscere come sz/a la nostra volontà". Il federalismo si preoccupa del "dover essere" e praticamente programma una ascesa continua verso un assetto pattizio (foedus = patto, covenant) sempre più ampio tra comunità umane dei varii livelli, assetto a base istituzionale: qz~est'ultimagarantisce la durata nel tempo, e solo nel tempo una comunità umana pluricomposita riesce (o tenta e ritenta di rìzscire) nel realizzare, secondo giustizia e solidarietà, l'equa distribuzione dei profitti e delle perdite fra i conviuenti A l limite l'obiettivo è il governo mondiale, ma a tutti i livelli si avranno patti o assetti federativi e ci si garantìsce, nell'ampliamento sempre maggìore del territorio "federato", che non si passi a liuelli maggiori quando si è già a zrn livello ottimale, e soprattutto che nell'ascesa non si pewenga a forme di governo oligarc/7ico e autoritario, ma si rispetti l'autonomia delle comunità o degli enti szrbordinat< secondo il principio di sussidiarietà. Le autonomie territoriali funzionano, tutte, da contropoteri di garanzia nella piramide federale, ma il loro valore non si ferma qui. Il prossimo, a cui si è fatto riferimento all'inizio, è una persona umana, che creatkamente vuole partecipare all'organizzazione del mondo, e ciò cominciando dal livello più vicino (la prossimità): ma - e qui è il fondamento delle autonomie federaliste - con uno spirito cosmopolitico e una propensione intercztlturale, per cui si dice che si è "cittadini del mondo" già all'ombra del proprio campanile. Si arriva al governo mondiale e, per cosi dire, alla "paceperpetua" raggiungendo l'unità col contributo creativo delle diversità. Se le autonomie territoriali non si limitassero ad essere un contropotere di garanzia, ma si chiudessero egoisticamente in se stesse - se, in altri termini, il principio di sussidiarietà si ritenesse, erroneamente ed esasperatamente, il fulcro del federalismo -, si finirebbe poi per giustficare ogni genere di secessione (pomposamente e scorrettamente chiamata autodeterminazione) e, secondo i canoni dell'etologia di Lorenz, i leghisti fedeli della cosiddetta Padania (per fare un esempio qualsiasi) potrebbero considerarsi le oche selvatiche di Bossi Se questo è, sinteticamente, il federalismo, si può chiarire agevolmente il signzficato che ha nei suoi riguardi la nazione - e ci riferiamo storicamente all'esperienza europea, che ci travaglia attualmente -. Ma prima ci si lasci accennare al rapporto col federalismo della globalizzazione e mondializzazione dell'economia (e, con una sua stravagante autonomia, della finanza) e dei sistemi di comunicazione umana: ebbene, è chiaro che più che condannare la crescita esponenziale della tecnologia occorre anzitutto che constatiamo, con lucida autocritica, la non-crescita adeguata delle irtituzioni politiche e - ci siamo - del regime (segue a pag. IS) - Voto locale, cittadino europeo 3 - Le risposte di Rutelli 4 - Le risposte di Formentini 5 - Intervista all'Ambasciatore britannico 5 6 7 9 10 11 12 13 14 16 - Opportunità e limiti, di hTicola Zingaretti - Rassegnazione o adesione?, di Maria Speroni - - Progressi sì, ma c'è chi è ancora in ritardo, di Silvana Paruolo Comunicazione, cultura, informazione, di Roberto Di Giovan Paolo La via europea, di Renata Landotti Dalle parole ai fatti, di R. D. G . P. Vienna città-capitale, di Laura D'Alessandro Alessandro Schiavi, i Comuni e l'Europa, di Oscar Gaspari I nuovi scenari europei, di Massimo Balducci Gli insegnanti europei a congresso FEBBRAIO 1997 Voto locale, cittadino europeo Questo 1997 è per l'Italia anno di generali elezioni amministrative locali, nelle d ~ tornate ~ e di aprile e novembre. Verrà quindi messa definitivamente alla prova, dopo il ridotto debutto della scorsa primavera, la direttiva sul voto ai cittadini comunitari. Sull'argomento abbiamo raccolto le opinioni dei Sindaci di Roma, Francesco Rutelli, e di Milano, Marco Formentini Le domande I1 7 febbraio 1992 viene firmato a Maastricht, nella sua versione definitiva, il "Trattato sull'unione europea" che, istituendo una cittadinanza dell'unione, riconosce ai cittadini degli Stati membri un complesso di diritti tra cui quello di votare e candidarsi alle elezioni comunali nello Stato membro di residenza. Tale diritto è contemplato nell' art. 8b par. 1 del Trattato di Maastricht: "Ogni cittadiizo dell'unione residente in uno Stato rnembro di cui non è cittadino ha il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali nello Stato rnernbro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini di detto Stato. Tale diritto sarà esercitato con rzierva delle nzodalità che il Consiglio, deiiberando ull'unanimità su proposta della Commic-sione e previa consultazione del Parlamento europeo, dovrà adottare entro il 31 dicembre 1994; tali modalità possono comportare disposizioni derogatorz'e ove problemi speczfzci di uno Stuto nzembro lo giustifichino". 1) Con una direttiva europea ed una conseguente legge attuativa nazionale, alle prossime elezioni amministrative locali, qualsiasi cittad i o di uno Stato membro deli'unione EuroDea., che abbia stabilito la residenza nel Suo Comune, godrà del diritto di voto e di eleggibilità. Tale diritto scatta, però, se lo stesso cittadino si iscrive alle liste elettorali aggiunte -con apposita domanda e vari documenti aliegati. I1 Parlamento Europeo aveva espresso una preferenza per l'iscrizione d'ufficio dei cittadini comunitari residenti nelie liste elettorali. Non pensa anche Lei che queste formalità burocratiche rappresentino un ostacolo ali'effettivo diritto di cittadinanza europea? . - - I1 28 febbraio 1994 la Commissione si pronuncia sulla materia con una proposta di direttiva (G.U. CE C 105 del 13.4.94). Tale proposta, sottoposta al parere del Parlamento che ne suggerisce alcuni emendamenti (G.U. CE C 323 del 21.11.94) viene successivamente adottata dal Consiglio. I1 19 dicembre 1994 il Consiglio adotta la Direttiva 94/80 che stabilisce le modalità di 2) Quali azioni metterà in campo la Sua amministrazione per garantire a tutti i cittadini comunitari l'informazione sui loro diritti? Ed inoltre, non crede utile un'indagine suli'effettiva consistenza dei cittadini di altri paesi comunitari residenti nel Suo Comune? esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali per i cittadini dell'Unione che risiedono in uno Stato membro di cui non hanno la cittadinanza (G.U. CE L 368 del 31.12.94). In Italia, con gli artt. 1 e 11 della legge 6 febbraio 1996 il governo viene delegato a dare attuazione alla Direttiva 94/80/CE, che viene recepita con decreto legislativo del 12 aprile 1996 n. 197 (G.U. n. 88 del 15.4.96). Ai Comuni italiani, in vista delle elezioni, il compito di promuovere le opportune iniziative al fine cli informare con ogni mezzo possibile i cittadini comunitari residenti negli stessi del nuovo diritto acquisito, il cui esercizio può essere un primo passo per realizzare, nella sostanza, il principio di integrazione. (1.c.) 3) La direttiva europea afferma un principio importante: che si appartiene ad una municipalità, non già perché si è nati in una determinata città, ma perché vi si abita, vi si lavora, se ne usufruiscono i servizi. In quest'ottica, non pensa che anche i residenti provenienti da paesi extracomunitari abbiano gli stessi diritti? 4) Ormai tutte le grandi città hanno respiro sovranazionale. Quali politiche sta facendo concretamente la Sua amministrazione verso la dimensione europea ed internazionale? Città ambasciatrici internazionali 1) Non so se un cittadino francese o tedesco, o di uno degli altri 14 stati dell'unione europea, siederà nel prossimo Consiglio comunale di Roma: decideranno gli elettori. Ma il fatto stesso che questa possibilità esista non è solo il giusto riconoscimento dei diritti di migliaia di appartenenti alla nostra comunità, è anche una delle immagini più concrete e positive dei passi avanti compiuti sulla via dell'integazione europea. È vero, l'obbligo di iscriversi a liste elettorali "aggiunte" rischia di indebolire la portata di questa novità. Spero che molti si iscriveranno entro il termine dei cinque giorni successivi alla convocazione delle elezioni, ma è evidente che l'iscrizione d'ufficio avrebbe favorito la partecipazione al voto e soprattutto avrebbe espresso meglio il concetto di "cittadinanza europea" cui la Direttiva si ispira. È stato applicato un principio formale: il voto amministrativo in Italia sarebbe obbligatorio e quindi l'iscrizione d'ufficio com- FEBBRAIO 1997 porterebbe un obbligo illegittimo a votare per i residenti europei. Ma questo principio formale mi pare in contrasto con l'effettivo esercizio del diritto di voto e mi auguro che il Parlamento risolva il problema nella direzione già indicata dall'Assemblea di Strasburgo. 2) I 9800 cittadini dell'unione ufficialmente residenti, e iscritti all'ilnagrafe, riceveranno nel mese di marzo una prima lettera del Comune che illustra le modalità di partecipazione alle prossime elezioni J i novembre. Assieme ai Consolati dei paesi dell'Unione e con la collaborazione di Accademie e Istituti di c~ilturaabbiamo preparato un piano di sensibilizzazione sia per i residenti ufficiali, sia per i numerosi cittadini europei che abitano a Roma ma risultar-io solo "domiciliati". Obiettivo del piano è innanzitutto individuare la consistenza di questa popolazione e quindi facilitarne il diritto di voto. Tra l'al- tro, nei nostri Uffici elettorali di Via dei Cerchi daremo la possibilità di inoltrare contestualmente le domande di residenza e di iscrizione alle liste elettorali "aggiunte". 3) Condivido l'impostazione del disegno 3 di legge del ministro Napolitano, che del resto il Consiglio comunale di Roma aveva in un certo senso "anticipato" con la proposta dei consiglieri comunali "aggiunti". Tuttavia non sottovaluto la delicatezza del problema: mentre sul voto ai residenti Ue abbiamo a che fare soprattutto con complicazioni burocratiche, per i residenti extracomunitari dovremo fare uno sforzo per spiegare l'importanza d i un'innovazione che arricchisce la città e per combattere pregiudizi e strumentalizzazioni politiche. Comunque sono ottimista: Roma è sempre stata una città tollerante e aperta al mondo. 4 ) Accanto alla diplomazia ufficiale dei governi si va affermando un ruolo internazionale di istituzioni locali e cittadine. E Roma è il luogo naturale per svolgere questo nuovo ruolo, forte della presenza della diplomazia universale della Santa Sede e di organismi sovranazionali importantissimi per il dialogo Nord-Sud. La nostra è una politica attiva, capace di produrre risultati e ispirata a tre direttrici fondamentali. La prima, i rapporti di collaborazione con le altre grandi capitali: dal ge- mellaggio "esclusivo" con Parigi ai rapporti ufficiali di amicizia con New York, Tokio, Mosca, abbiamo creato una rete di relazioni in grado di promuovere non solo i rapporti culturali ma anche le opportunità economiche per i "sistemi" cittadini che i municipi rappresentano. La seconda direttrice riguarda l'Europa, con la partecipazione diretta agli organismi dell'unione, a partire dal. Comitato delle Regioni, e con l'utilizzo dei finanziamenti comunitari, troppo a lungo sottovalutati nella nostra città. Infine, la cooperazione decentrata che fornisce occasioni di solidarietà e soprattutto di aiuto concreto allo sviluppo di città più povere da parte di Roma e del suo sistema economico. I n questo quadro, d u e temi meritano un'attenzione particolare: il ruolo di Roma in una strategia mondiale in difesa dell'ambiente, con l'impegno a far ripartire dalle città l'attuazione di quella Agenda 2 1 decisa nell'Earth Summit d i Rio d e Janeiro; e la preparazione del Giubileo che fornirà innumerevoli occasioni per esaltare il ruolo della nostra città come sede di dialogo tra i popoW li e le fedi religiose. Integrazione, ma senza forzature 1) L e modalità indicate dalla Direttiva Europea per iscriversi alle liste elettorali prevedono una apposita domanda. con una documentazione allegata. C r e d o sia una normale procedura che tutela l'insieme dei cittadini e fa risaltare l'acquisizione di u n diritto importante sollecitando - con l'inoltro delle domande - la partecipazione diretta e responsabile del cittadino comunitario residente. Se questo diventa un fatto burocratico o no, dipende dall'organizzazione di ogni singolo cqmune. Per quanto riguarda Milano posso assicurare che verrà applicata ogni attenzione e sollecitudine perché questo diritt o non venga svilito da lungaggini o distrazioni burocratiche, bensì tutelato e valorizzato, come è giusto che sia. 2 ) Penso che i cittadini europei conoscan o più di quanto pensiamo i loro diritti e i loro doveri. Naturalmente non mancheremo di far conoscere leggi, regolamenti, opportunità che consentano ai membri.della comunità di godere dei loro diritti. La stessa Unione Europea, attraverso le sue pubblicazioni, filmati, opuscoli, contribuisce all'informazione. Quanto alle indagini sul loro numero, è da tempo che l'Amministrazione Comunale fa puntuali rilevazioni. I1 dato totale per la presenza di cittadini comunitari a Milano è di 12.784, di cui 6.800 femmine e 5.984 maschi. D a tener presente in ogni caso che il totale complessivo degli stranieri a Milano è di 68.164. 3 ) Le direttive europee valgono per i cittadini europei, che lavorano, che pagano tasse. Non si tratta di discriminare nessuno. Ci sono accordi tra Stati, che rappresentano storia, cultura, che è giusto rispettare, senza forzature populiste. Peraltro questi diritti vengono riconosciuti anche a cittadini extracomunitari, ma dopo anni e anni di permanenza in un paese della Comunità, nel quale si è cittadino, si h a u n lavoro, si pagano le tasse. Anche l'amministrazione di Milano segue questa impostazione, e spesso, anzi, abbiamo avviato iniziative di accoglienza e di assistenza seguendo una nostra politica di solidarietà. Detto questo, però, non bisogna trarre conclusioni affrettate. Una indiscriminata apertura agli extra- comunitari p u ò essere politicamente strumentalizzata, come appare chiaro da alcune forzature in corso, per creare nuovi bacini elettorali, da usare contro quelle forze con un profondo radicamento territoriale come la Lega. Se analizziamo le cose da questo p u n t o di vista, la recente legge sull'immigrazione p u ò essere vista come un tentativo d i fare affluire quanti più extracomunitari possibili in Padania. Anche per scongiurare la crisi dello Stato Nazionale da tempo in att o in Italia e in Europa. Infatti se potranno votare, il milione e passa di extracomunitari in arrivo di cui si parla, verrebbe risolto a favore dello Stato centralista anche un eventuale referendum per l'autodeterminazione in Padania. Con il paradosso che proprio gli stranieri sarebbero i patrioti di u n o Stato sempre più virtuale. Sarebbe la prova che in realtà questa legge è stata veramente pensata per far fallire il progetto della Padania. Ma come Sindaco di Milano posso comunq u e assicurare che gli extra-comunitari in regola avranno ogni riconoscimento previsto, senza quelle forzature che poi vengono pagate dai cittadini milanesi e padani in termini di crisi e di disoccupazione, come è il caso di tante attività «abusive», fatte da immigrati abusivi e clandestini; basti pensare ai 197 mila negozianti su strada dei quartieri rionali. 4 ) Spesso si dice che Milano ha una votazione europea. Oggi possiamo dire di più. Possiamo dire che Milano è, nei fatti, una città europea. L o posso dire in prima persona, avendolo sperimentato come Sindaco in questi quattro anni e come Parlamentare europeo. L e grandi decisioni, dalle infrastrutture alla cultura, alle attività economiche e finanziarie, hanno ormai come contesto l'Unione Europea. Basti citare l'opera d i realizzazione di Malpensa 2000 o il Piccolo Teatro per la cui Direzione abbiamo chiamato Jacques Lang, e poi la Scala e i nuovi straordinari impianti della Fiera: Milano è in Europa. Cosa è allora il disagio che spesso si avverte? L'insofferenza che tanti denunciano h a certamente come causa finale i ritardi, le sordità, la lontananza dello Stato centralista, che porta ogni grande decisione, ogni progetto allo svilimento e al degrado di tante pastoie burocratiche romane. La città è stanca di pietire interventi dai tanti funzionari ministeriali, che alla fine hanno potere di vita o di morte sui g a n d i progetti. L'unica sola politica che garantisce la dimensione europea e d internazionale, l'unico m o d o p e r assicurare il respiro sovranazionale d i Milano, è d i allineare, d i adeguare il suo Statuto a quello delle altre Città europee, dandole piena autonomia sia politica che amministrativa, e trasformandola in una vera e propria città-Stato, come è già per Amburgo, Basilea, e la stessa Bruxelles. L e città in Italia sono state per troppo tempo mortificate. Oggi c'è bisogno di forte autonomia e un'affermazione delle città-Stato è conforme alla storia delle città dell'alta Italia, fatta di libertà civiche e di autonomia. 1 FEBBRAIO 1997 Verso obiettivi ed identità comuni Intervista all'Ambasciatore britannico Thomas Richardson L'Ambasciatore britannico presso lo Stato italiano ci ha gentilmente concesso la seguente intervista. Grazie a una direttiva del Consiglio Europeo e alle leggi attuative nazionali, nella prossima tornata elettorale amministrativa i cittadini dell'unione Europea residenti in paesi dell'Unione avranno il diritto di voto e di eleggibilitu qualunque sia il paese di residenza. Come giudica questa possibilità, potrà essere davvero un passo in avanti verso una più solida cittadinanza europea? Ritengo che la possibilità di votare nelle elezioni an-iininistrative locali sia un importante passo avanti nello sviluppo dell'unione Europea e dei suoi popoli. Ciò permette a chi ha la cittadinanza di altri Paesi dell'Ue di sentirsi maggiormente integrato nel proprio Paese di residenza. È più diftiicile dire se ciò equivale ad iina «cittadinanza europea più compatta». I1 concetto di cittadinanza europea non è così forte come quello di cittadinanza nazionale, che ancora costituisce il principale punto di identità all'interno dell'Europa. Detto questo, la possibilità di risiedere, votare o lavorare ovunque all'interno dell'unione Europea può solo portare a legami più forti fra i popoli d'Europa e ad un senso più profondo degli obiettivi ed identità comuni. La direttiva è chiara su un punto: il diritto di scelta. I cittadini che infatti vorrannno avvalersi di questo diritto dovranno richiedere l'iscrizione alle liste elettorali. Leipensa che i cittadini inglesi residenti in Italia siano a conoscenza di questa opportunità? E pensa che se ne vorranno avvalere? So che diversi residenti britannici sono molto desiderosi di avvalersi del diritto di voto in elezioni locali ed europee in Italia. Purtroppo, alcuni di loro hanno avuto dei problemi a registrarsi per il voto per le ultime elezioni europee. Ma ciò va solo a dimostrare quanto ci tengano a farsi coinvolgere dalla passione italiana per il voto! Ed io credo che per le elezioni locali le regole siano state semplificate. Lei pensa che, in generale, il processo di costruzione dellYUnioneEuropea stia aiutando concretamente quei cittadini che vivono all'estero ma in un Paese dell'Unione, e se si (o no) per quale motivo? Inoltre, cosa chiedere ai sindaci italiani per aiutare questi cittadini europei a sentirsipienamente cittadini anche del comune in cui vivono? FEBBRAIO 1997 Certamente. Scopo del Mercato Unico è rendere più facile ai cittadini vivere e lavorare in altri paesi dell'Ue mediante una serie di misure. I titoli di studio e le qualifiche protessionali sono ora accettati in tutta 1'Ue oltre al proprio Paese d'origine. I cittadini hanno diritto ;dle cure sanitarie nel proprio Paese di residenza. È sempre più facile trasferire denaro per uso personale da Paese a Paese. Nessuna di queste conquiste avrebbe potuto verificarsi senza il «processo di costruzione dell'Ue». Non è certo n-iia intenzione dire ai Sindaci italiani come dovrebbero amministrare i loro Con~iini.Ma mi rendo conto che meno burocrazia renderebbe più facile per i cittadini comunitari non italiani registrarsi per votare e quindi li farebbe sentire «cittadini a pieno titolo del comune italiano in cui vivono». Nel prossimo Consiglio comunale di Roma o Milano, o di qualsiasi altra città, potrebbero esserci dei cittadini britannici: che effetto Le fa? E quale augurio si sente di fare a questi suoi concittadini? Mi sentirei orgoglioso del fatto che dei cittadini britannici svolgono in pieno il loro ruolo nella democrazia locale. Chiederei loro di compiere il loro dovere con dignità, nel rispetto delle tradizioni e delle regole locali. (a cura di Nicola Zingaretti) Opportunità e limiti Il decreto 17. 197 ,del 12 aprile 1996 ha reso attuativa lir direttiva della CE concernente le modalità d'esercizio di voto e di eleggibilitu nlle elezioni comunali per i cittadini dell'Ut7ione Europea che risiedono in uno Stato membro di cui non hanno la cittadit7atz;n. In pratica grazie a questa legge i cittadini di paesi delllUnione che risiedono in un altro Paese dell'unione potranno votare o essere eletti nei consigli comunali già durante la prossima tornata di elezioni nmministrative, che nel 97 vedrà al voto migliaia di Comuni tra cui tutte le principali cittrj italiane. L'elezione è possibile per i consigli mn non per la carica di Sindaco e I,'ice Sindaco. È sicuramente un fatto storico. Il diritto di voto dei cittadini europei si esercita non più per eleggere Istituzioni europee, mtl questa volta il diritto di cittadinanza si esercita per eleggere i propri nmministraiori locali. Cittadino di una comuniti è colui che vive in quella comunità e non solo più chi vi è nato. E si riconosce una forma di parità di cittadinanza per chi è nato in uno dei Paesi dell'lJnione. L'nrticolo uno del decreto chiarisce subito la libertà di scelta che il legislatore europeo hn voluto introdurre. Esso infatti afferma che "i cittadini di uno stato membro dell'unione europea che intendono partecipare alle elezioni devono presentare al Sindaco dornanda di iscrizione nella lista elettorale aggiunta, istituita presso lo stesso comune". In pratica potranno esercitare il diritto di voto o candidarsi solo quei cittadini delllUnione che lo richiederanno. Queste iscrizioniformano una lista elettorale aggiunta che completerà la lista degli elettori. Purtroppo questo riconoscimento del diritto di scelta è insieme una opportunità e un lir~zite: una opportunità perché pone il cittadino di fronte alla necessità di scegliere, rnisura il di con.rapevolezza di essere «cittadino europeo», nello stesso tempo i problemi burocratici, la scarsità di informnzioni, la latitanza di molti Enti Locali rischiano di ridurre e di molto l'impatto innovrztit~odi questa norma. Una circolare della Prefettura dì Roma inoltre chiarirce che «.. . la domanda di ircrizione nelle liste elettorali aggiunte ilrr parte dei cittadini dell'Unione può essere presentata i17 ogni tempo e in occasione del rinnovo del consiglio comunale, non oltre il quinto giorno successivo all'affissione del manifrsto di convocazione dei comizi elettorali». Come si può facilmente immaginare quindi i terrtpi sono alquanto ristretti e questo creerà sicuramente problemi. Si potrebbe dire a questo punto che molto del successo o meno di questa innovazione C nelle mani dei Sindaci e della loro capacitrì e volontà di informare e promuovere queste novitrj. Proprio per questo motivo sempre la stessa circolare della prefettura di Rorrta invita e sollecita i Comuni a promuovere "ogni opportuna iniziativrr, a livello locale, al fine di pubblicizzare al massimo detta rzuova facoltà e nzettano a disposizione delle persone interessate gli uffici comunali per forn~reogni informazione utile sulla modalità di cofizpilazione e di presentazione dell'istanza stessa". I Comuni prenderat7no in considerazione questa raccomandazione? Questa è un po' la vera questione che a questo punto si pone. La tzormativa è chiara e le novità introdotte anche, la loro portata e valore politico sono indiscutibili ma gli effetti concreti rirchiano di essere vanifcati. Anche per questo rnotivo è utile inforfiznre. Nicola Zingaretti 5 Rassegnazione o adesione? Far crescere l'Europa dei cittadini di Maria Speroni I1 concetto di cittadinanza europea viene generalmente usato per designare dei diritti, delle facilitazioni, delle garanzie accordate da istanze esterne ma, mentre la crisi dello Stato-nazione nell'Europa comunitaria continua ad approfondirsi, non è ancora stata 'concertata' una nuova forma di essere cittadini, anzi sono state compromesse quelle già esistenti diminuendo, presso ciascuna di esse, la sensazione di aver potere sulla propria sorte e sul mondo. Una cittadinanza europea accettata per rassegnazione più che per adesione comporta una perdita di coinvolgirnento politico, una crisi degli strumenti di adesione a un progetto collettivo, un contrasto sempre più forte tra una reclamata sempre più stretta Unione dei cittadini europei d a un lato, ed i mezzi impiegati per ottenerla, diplomazia e mercato, dall'altro. Nel quadro di ipertrofia galoppante dello spazio politico europeo e d i quasi inesistenza dello spazio pubblico, non si p u ò non essere allarmati di fronte al deficit democratico che caratterizza la UE, per l'attuazione effettiva del principio di sussidiarietà e della cittadinanza europea, d i fronte a governi europei sempre più lontani dalle esigenze dei loro cittadini, ad una informazione generalmente arbitraria e carente. O comunque ignava, come in occasione dell'attuazione da parte dello Stato italiano. nello scorso aprile, della direttiva europea concernente le modalità di esercizio del diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni comunali, per i cittadini dell'unione Europea che risiedono in uno Stato membro di cui non hanno la cittadinanza. Chi informa chi? A qualche mese di distanza. la mia curiosità è nata per caso durante una chiacchierata con un funzionario del mio Comune di residenza, limitrofo alla capitale: tra lo stupito e lo sconsolato, l'addetto all'LTfficio elettorale sottolineava come, nonostante fossero stati fatti tutti i passi necessari nei tempi e modi dovuti, nessun cittadino straniero residente nell'area (ce ne sono tanti: basta andare all'ufficio postale) abbia a tutt'oggi chiesto di essere iscritto alle lis'te elettorali aggiunte. Eppure quando devono protestare o criticare sono ben visibili e insistenti, questi cittadini europei sparsi nelle campagne romane. E anch'io, non esente dal difetto nazionale di autoflagellazione, ero convinta che i cittadini delle altre nazioni dell'Europa Unita fossero comunque più attivi e informati di noi. I consolati dei paesi dell'lJnione non sembrano aver preso iniziative particolari per informare in modo capillare i concittadini della nuova opportunità di partecipazione alla vita amministrativa in un Paese diverso dal loro e delle modalità per superare eventuali complicazioni burocratiche, ritenendo che tale compito spetti allo Stato, anzi alla stam- 6 pa italiana. E nemmeno lo Stato francese, giustamente così sollecito e generoso in fatto di documentazione inviata direttamente a d ognuno dei propri cittadini residenti all'estero, in occasione delle elezioni presidenziali, sembra aver fatto sforzi degni di nota per informare i cittadini francesi residenti in Italia del diritto acquisito. La stessa eurocrazia non ha brillato in fatt o di comunicazione 'amichevole' ai propri cittadini, se non in ambiti ristretti e non alla portata di tutti. Dz'ritti e burocrazia E i cittadini? I singoli cittadini intervistati, indipendentemente dalla nazionalità, hanno offerto un panorama quanto mai vario dello stato di informazione, reazione, partecipazion e al diritto di voto. In questi tempi in cui si parla tanto di immigrati clandestini extra-comunitari, ho scoperto che esistono anche cittadini comunitari che hanno scelto di lavorare e vivere 'clandestinamente' sul territorio italiano, in un atteggiamento quindi assolutamente passivo e privo d i interesse verso una partecipazione sia alla vita civile dell'unione che del Paese che li ospita. In questi casi infatti, non h o avuto l'opportunità di parlare direttamente con loro, nemmeno per telefono, ma h o avuto la ;isposta ai miei quesiti tramite amici e conoscenti! Tra il pubblico delle librerie, dei cinema e dei centri culturali stranieri presenti a Roma h o raccolto sì delle testimonianze confortanti, ma h o anche potuto constatare che l'appartenenza alla comunità di connazionali genera una (quasi) omogeneità di vedute non precisamente aperta e progressista, basata sulle più varie motivazioni, non esclusi rancori storico-generazionali e pregiudizi ben radicati. Inoltre, l'affermazione che l'attuazione dell' Articolo 8 possa essere comunque una nuova, possibile fonte di complicazioni burocratiche sembra una convinzione diffusa e costante. Certamente le contraddizioni create dal mancato adeguamento delle normative italiane (a cominciare dal permesso di soggiorno) ai diritti recentemente acquisiti, non aiutano nè invogliano gli indecisi ad una cittadinanza europea attiva. A fronte di uffici comunali e circoscrizionali dove il personale è informato, le formalità veloci, le affissioni comunali puntuali, in altri, a tutt'oggi, i cittadini dell'unione che chiedono informazioni sulle modalità d i iscrizione nelle liste elettorali aggiuntive si trovano di fronte a personale 'ignorante' non solo della direttiva 94/80 ma persino del decreto legislativo dello stato italiano! Presso l'ufficio Elettorale del C o m u n e di Roma, contattato telefonicamente - ma ad un numero 'non in elenco' fornitorni da uno zelant e impiegato dell'ufficio (lei Diritti del Cittadino, visto che il numero 'in elenco' ha squil- lato invano a più riprese, per più giorni -un funzionario molto cortese ha risposto ai miei quesiti sul diritto di voto dei cittadini comunitari. Le domande mi sembravano poste in modo semplice e chiaro, le risposte molto pronte ma u n p ò evasive: soprattutto lo scambio continuo tra 'comunitario' e d 'extra-comunitario' mi ha lasciato assai perplessa ... Dal canto loro, i cittadini dell'unione che hanno una più sviluppata coscienza civile e una maggiore integrazione nella comunità locale hanno salutato questa opportunità d a tempo auspicata come un 'atto dovuto' ai diritti del cittadino, ovunque esso si trovi. Anzi, coloro che risiedono in Italia da tempo, avendo scelto di non esercitare il proprio diritto di voto nel comune dello Stato di origine, vista l'estraneità agli sviluppi locali, naturalmente hanno accolto con maggiore soddisfazione il decreto legislativo dello Stato italiano in merito. I casi pratici Nel caso di Andrew van der Esch, un cittadino olandese attivo nella vita sociale del comune di residenza e vissuto lontano dal suo Paese per periodi così lunghi da non aver mai avuto l'opportunità di votare, questa, in Italia, è stata la prima occasione per poter esercitare il diritto di voto! Spesso comunque, anche i più coinvolti sono venuti a conoscenza delle nuove disposizioni per caso, in ritardo o in modo impreciso. Così è stato per Priscille Barès, cittadina francese residente in Italia da anni, sposata con un italiano, quasi mamma di un futuro cittadino europeo, coinvolta nella vita culturale della comunità locale e con una grande esperienza di pastoie burocratiche franco-italiane: con mia grande sorpresa, ha saputo da me della possibilità di partecipare attivamente alla vita amministrativa locale. È stata molto contenta della notizia, ha chiesto d i avere una copia della legge italiana, abbiamo scambiato opinioni sui problemi burocratici, ancora troppi, per il cittadino europeo che scelga di vivere in un Paese diverso dal proprio, abbiam o rinsaldato un rapporto di euro-vicinato. Insomma, per essere insieme e non semplicemente uno accanto all'altro, p e r approfondire l'unità e la coesione della Comunità, per una cittadinanza dell'unione, è indispensabile ricercare una più diretta partecipazione dei cittadini europei all'impresa comune e il diritto/dovere di voto ne è l'espressione per eccellenza. Sarà comunque interessante e istruttivo conoscere la relazione sull'applicazione della direttiva, che la Commissione presenterà al Parlamento europeo e al Consiglio, entro il termine di un anno. Sempre che qualcuno si premuri di farlo sapere ai diretti interessati, H cioè i cittadini. FEBBRAIO 1997 Progressi sì, ma c'è chi è ancora in ritardo Analisi della p ,rima relazione sulla coesione econonzica nell'Unione di Silvana Paruolo I1 messaggio principale della Priina reluzione sulla coesione (relazione triennale obbligatoria in base al Trattato di Maastricht) è che sono stati compiuti dei progressi. Dal 1983 al 1993, il reddito medio procapite nei quattro paesi piu poveri dell'Unione (Grecia, Irlanda, Spagna e Portogallo) è passato dal 66 al 74% della media comunitaria; splendida la performance dell'Irlanda. Le politiche strutturali dell'Ue vi hanno contribuito in larga misura. Invece, "in Italia - ha sottolineato E. Landaburu (Direttore generale della politica regionale e di coesione della Commissione Ue) alla presentazione del rapporto - almeno in termini di disoccupazione, i dati sono negativi: un giovane su tre non ha lavoro (contro una media europea di 1 a 5), e i disoccupati di lunga durata (da più di due anni senza lavoro) rappresentano il 64% del totale (contro il 49% della media europea). In altri termini, l'Italia non ha approfittato dell'occasione fornita dalla politica di coesione per Paesi più poveri". C'è da dire comunque che - a prescindere dalle cause nazionali di inefficienza - la situazione italiana, e in particolare del mezzogiorno, sarebbe probabilmente diversa, se la politica regionale della Comunità non si fosse concretizzata solo negli interventi dei Fondi strutturali. Ma procediamo con ordine. Cosa si intende per coesione? «L'approccio metodologico dalla coesione economica e sociale di questo rapporto si ispira all'art. 130 a) del Trattato dell'unione, in cui essa è definita in termini di "sviluppo armonioso", il cui scopo è "ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite, comprese le zone ruralix». Com'è strutturato questo rapporto? 11 capitolo 2 si sofferma sui divari riscontrabili. I1 capitolo 3 analizza il contributo alla coesione da parte delle politiche economiche nazionali. I1 capitolo 4 considera il contributo alla realizzazione della coesione da parte delle politiche comunitarie non strutturali (politica per l'agricoltura e settore della pesca); mercato unico e politiche per la competitività (industria, concorrenza, aiuti nazionali allo sviluppo regionale, aiuti orizzontali e settoriali, ricerca e sviluppo tecnologico, piccole e medie imprese, politica commerciale), politica per le reti (trasporto, energia, telecomunicazioni), politiche per la qualità della vita (politica sociale, ambiente, istruzione e formazione professionale). 11 capitolo 5 esamina il contributo delle politiche strutturali della Comunità (i Fondi strutturali, il Fondo di coesione, la Banca europea per gli investimenti). I1 capitolo 6 e 7 avanzano proposte sul da farsi. Quin- FEBBRAIO 1997 di, a prescindere dal suo significato politico (su cui mi soffermerò qui di seguito), il rapporto è particolarmente utile anche per chi voglia capire cosa si sta facendo (e come lo si sta facendo) a livello nazionale e comunitario. Benché siano constatabili progressi, fra gli Stati membri E: loro interno (in particolare, in Italia e in Germania), sono tuttora riscontrabili differenze e divari, che si tratti di reddito, disoccupazione, dotazione di fattori (manodopera qualificata, e infrastrutture), ritmo del (accesso al) progresso tecnico o quello della diffusione dei nuovi prodotti e processi, effetti delle economie di scala e effetti esterni (concentrazione di attività nello stesso luogo), costi dei trasporti, processo concorrenziale ecc. Una riduzione dei divari? Il reddito pro capite è molto al di sopra della media in uni gruppo di regioni comprese fra Italia settentrionale, Germania meridionale e Austria, con un secondo nucleo nei paesi del Benelux e in Germania settentrionale. Un confronto fra le dieci regioni più ricche E: le dieci più povere mostra che, nel 1993, le prime avevano un Pil pro capite medici circa 3,3 volte più alto della media delle seconde, per quanto leggermente inferiore rispetto a dieci anni prima, quando la cifra corrispondente era 3,5. In Italia, il reddito pro capite al Nord si situa tipicamente tra il 120% e il 130% della media dell'unione, rispetto alla percentuale compresa tra il 60% e il 90'X delle regioni del sud. Dal 1983 al 1993, le 25 regioni più prospere (vi si ritrovano Lombardia, Valle d'Aosta, Emilia Romagna, Trentino-Alto-Adige) hanno migliorato di poco la loro ricchezza, passando dal 149% al 142% della media dell'unione. Vi è stato un miglioramento contemporaneo per le 25 regioni più povere in assoluto (la Calabria è la regione più povera dell'unione), passate dal 53 al 55%. Le regioni dell'obiettivo 1 hanno migliorato nell'insieme il loro livello medio di reddito pro capite di quasi 3 punti percentuali, passando dal 64,6% a1 67,2%. Nelle regioni maggiormente "agricolex - situate in Grecia, Spagna, Irlanda, Portogallo e Finlandia - il Pil pro capite è considerevolmente più basso, e ha sperimentato una crescita piu lenta della media comunitaria. "I1 che - constata il rapporto - riflette il declino tendenziale in questo settore nel lungo periodo e le difficoltà di diversificare l'attività economica in un contesto rurale". Le regioni più industriali - la metà delle quali si trova in Germania e le rimanenti in Spagna nord-orientale, in Francia settentrionale, nel Nord Italia, in Austria e nella parte centrale del Regno Unito - presentano un Pii pro capite superiore alla media e sono cresciute a un tasso solo marginalmente al di sotto della media Ue. Le regioni dotate di un solido Diego Rivera, Detroit Iizdmtry (1932),The Detroit Institute of Arts settore dei servizi - si pensi alle capitali di tutti gli Stati membri eccetto Lisbona (Portogallo) e ad alcune regioni del Belgio, dei Paesi Bassi e della Germania settentrionale - registrano, in media, il livello più elevato di Pil pro capite e hanno sperimentato un tasso di crescita prossimo alla media dell'unione. Quali evoluzioni occupazionali? I1 problema della disoccupazione nell'Unione è molto grave a livello regionale e locale. I maggiormente colpiti sono i giovani con meno di 25 anni (equivalenti a 5 milioni di persone, in media un tasso di disoccupazione del 21 %) le donne (con una tasso medio di disoccupazione del 12,5% nel 1996 rispetto al 9,5% degli uomini), e coloro che lavorano in settori in declino e/o in occupazioni a bassa specializzazione. Come per il pil pro capite regionale, le disparità nei tassi di disoccupazione all'interno della maggior parte degli Stati membri hanno teso ad ampliarsi nel tempo. Nelle dieci regioni più colpite, il tasso medio di disoccupazione è stato pari al 26,3% nel 1995, ovvero quasi sette volte il tasso medio (poco meno del 4 % ) nelle regioni meno colpite. Quali le future evoluzioni dei modelli occupazionali? A lungo termine - per la Commissione europea - gli sviluppi più owi "sono rappresentati da un'espansione dell'occupazione nei servizi associata a un calo di quella nell'agricoltura e nell'industria, da un aumento degli impieghi a tempo parziale, occupati prevalentemente da donne, e da un mutamento della struttura occupazionale delle forze di lavoro a favore degli in- dividui in possesso di elevate qualifiche scolastiche e tecniche di capacità professionali basate sulla conoscenza". Tasse e trasferimenti sociali continuano ad essere gli strumenti più usati nell'impegno europeo di lotta alla povertà e alla correzione di ampie diseguaglianze di reddito. Nella sua essenza, lo sviluppo sostenibile pone l'accento sull'esigenza di orientarsi verso modelli di crescita che abbassano il consumo di risorse non rinnovabili e che sono, quindi, riproducibili nel tempo. La sfida resta quella di rendere positivo il rapporto tra economia ed ecologia. Intanto l'Unione ha cercato di incorporare i temi ambientali nei programmi di sviluppo regionale. Come? Con investimenti nell'approvigionamento di acqua corrente, nella gestione dei rifiuti, nella bonifica dei terreni, nei trasporti e nelle politiche ambientali. Sempre più si promuoverà, inoltre, un'attuazione delle politiche dell'lJe fortemente decentrata, con responsabilità devoluta quanto più possibile vicino alla base, per promuovere partnership tra Stati membri e regioni. Importante anche l'istituzionalizzazione del dialogo sociale e del dialogo tra rappresentanti della società civile. Chefare? Quale prima attuazione della strategia delineata dallo stesso articolo 13Ob del Trattato, e cioè quale primo tentativo di presa in considerazione dell'insieme delle politiche (economiche nazionali, coinunitarie non strutturali, e strutturali) che dovrebbero tutte concorrere - in modo coerente - alla coesione, questo Primo rapporto è un risultato. Certo, l'analisi dell'impatto (regionale e settoriale) delle poli- Diego Rivera, Detroit Indmtry (1932), The Detroit Institute of Arts tiche non strutturali (Pac, ecc.) sulla coesione, avrebbe meritato (e meriterebbe anche a livello nazionale) un approfondimento. Ma almeno si è partiti nella direzione giusta. Del resto, tale quale lo si legge, il Primo rapporto sulla coesione oltre che frutto di compromessi, è una sintesi di ricerche voluminose (l'Italia è stata presa in esame negli studi concernenti Pac, piccole e medie imprese, reti infrastrutturali, educazione e formazione professionale, politiche strutturali). Quali sono le sue proposte? Innanzitutto si propone un incremento dell'efficacia (anche gestionale) degli interventi strutturali. Come? Tramite concentrazione geografica e finanziaria, ma anche ricerca di coerenze, chiarezza di obiettivi, capacità di assorbimento delle risorse impegnate, revisione del principio di addizionalità, una migliore ingegneria finanziaria (per un miglior equilibrio tra sowenzioni, contributi e prestiti, e un coinvolgimento di capitali privati), migliori sinergie con le altre politiche non strutturali, semplificazione delle procedure, sussidiarietà, un partneriato non ridotto alle istituzioni ma esteso a parti sociali e gruppi, un partneriato per cui i Patti territoriali sono presi quale modello di riferimento. In prospettiva (e in ogni caso dopo l'allargamento) resterà quindi un nucleo duro di regioni cui saranno destinati interventi pesanti. Con la probabile revisione al ribasso dell'attuale soglia di eleggibilità, molte delle regioni italiane oggi beneficiarie degli interventi strutturali smetteranno di esserlo. E - avendo il trattato di Maastricht scelto di parlare di Stati piuttosto che di regioni - il nostro Mezzogiorno non beneficierà del Fondo di coesione. Sono elementi di cui si deve tener conto nel corso del negoziato di definizione dell'Agenda 2000 (il programma politico dell'Unione dal 2000 al 2005, con relativa copertura finanziaria). Già ora, sulla spesa globale, l'Italia è in passivo e ha tutto interesse a limitarlo. Ma torniamo alle linee di azione delineate dal Primo rapporto sulla coesione. A quanto già detto, seguono cinque grosse priorità tematiche: occupazione (cui possono concorrere fondi strutturali, le decisioni di Essen, i Patti territoriali);una competitività non ridotta a una questione di costi (reti infrastrutturali, R-ST, trasferimenti tecnologici, pmi e formazione); protezione dell'ambiente; parità uomo donna; pertinenza delle questioni alla situazione del momento (nuovi problemi di ristrutturazione), dipendenza dell'attività economica da investimenti imrnateriali e attività qualificate, quali ricerca e tecnologia dell'informazione, pianificazione del territorio (questioni urbane, problemi rurali ecc.). Quali prossimi appuntamenti vengono indicati, oltre che Agenda 2000, un Forum sulla coesione (primavera 1997), e una valutazione entro il 1997 dei risultati dal 1994 per obiettivi. ¤ FEBBRAIO 1997 Lomunicazione, cultura, intormazione Un ruolo per gli Enti locali e regionali di Roberto Di Giovan Paolo "Quello che voi chiamate un "valore aggiunto" della società dell'informazione, per noi è già oggi la sopravvivenza". Parola di Lappone. E parola pesante, per certi versi sconvolgente, nell'ambito di un placido convegno della Commissione Europea sul ruolo delle Regioni e degli Enti locali nella futura società dell'informazione. Non che il tema non fosse di per sè capace di dare inedite riflessioni sullo stato dell'uso dei fondi europei in proposito, ma il recente Libro Verde della Commissione Ue "Vivere e lavorare nella società dell'informazione" ha messo il pepe nelle pietanze un po' soporifere delle diatribe interne ad ogni Stato membro sul tema della cablatura o dei canali via satellite. Nello stesso tempo. ha anche messo il dito nella piaga tuttora aperta della competizione reale tra Europa e Usa e Giappone, in un campo, quello dei vari aspetti dell'informazione, della formazione e della comunicazione telematica, in cui le varie "eccezioni culturali" tra Paesi europei hanno solo garantito finora una sicura ascesa degli standards d'oltre Oceano (si pensi solo allo standard unico, quello giapponese, nel campo dei videoregistratori, per esempio). Non che costruire l'Europa debba necessariamente significare fare la guerra commerciale a chicchessia, però latita un pò, nel Vecchio Continente, l'idea che la cultura vince se cammina sulle gambe dell'industria, se crea occupazione, se fà formazione delle generazioni future. In una parola se esiste davvero un pensiero europeo che sia superiore, per qualità, al semplice assemblaggio delle politiche dell'informazione, quando esistono, dei Paesi membri dell'UE. Ora, costruire l'Europa vuol dire certamente occuparsi dei contenuti dei canali tv, radio, di una rete telematica europea, di quello che si vuole. Ma per parlare dei contenuti bisogna quantomeno avere costruito una rete reale di collegamenti. Ora, certamente il primo passo può essere quello di costruire i piani nazionali di sviluppo delle Tlc in ogni Paese membro sulla base di questo Libro Verde, che ha ricevuto entro dicembre i contributi scritti da ogni Paese e da ogni associazione (quindi anche dal Ccre dove l'Aiccre è stata in prima fila insieme a danesi ed olandesi) e sarà reso definitivo a breve. Laddove una unitarietà di visione non esista. come è il caso del nostro Paese, sospeso tra Disegno Maccanico sulle tv; ipotesi di privatizzazioni e scarsa attenzione al fenomeno Internet e banche dati (non a caso non siamo stati in grado di entrare ancora una volta tra le nazioni che hanno rispettato gli accordi di Schengen per via dei ri- FEBBRAIO 1997 tardi nel nostro sitema telematico . . ...), si tratta di creare le condizioni culturali e politiche perché questo awenga. I1 secondo passo è il rafforzamento in sede Ue dei programmi di azione che si rifanno all'incentivazione economica di enti locali, privati, settore pubblico, per investire in questo settore ma anche in quello della formazione, sia :jcolastica che ricorrente, perché l'altro grande rischio nella futura società dell'informazione sarà quello di un grande analfabetismo di ritorno, che colpirà tutti coloro che avranno avuto una formazione scolastica desueta o un lavoro senza possibilità di sviluppo. Questo è un tema, insomma, su cui la scuola italiana e il mondo del lavoro, sindacati, imprenditori, professionisti, dovranno interrogarsi prima che la storia interroghi loro. E duramente. Perché a nulla serviranno le giaculatorie da comizio sul "telelavoro" se non ci sono le strutture telefoniche, di cablatura, gli impianti di ricezione, una vera diffusione a basso costo di apparecchiature informatiche ed ovviamente la capacità di utilizzarle. E gli enti tervitorìali.? In tutto ciò quale é il ruolo degli enti locali e regionali? Alla domanda, potremmo dire, ha già risposto con estrema sintesi il Comitato delle Regioni con due documenti, uno dopo il Summit di Corfu del 24/25 giugno del 1994 ed uno in risposta al Libro Verde, entro la data fatidica dello scorso 3 1 dicembre 1996. È evidente che le Regioni e gli Enti locali non possono solo stare a guardare, accettare che la cablatura, per esempio, awenga secondo stime decise nella capitale italiana, europea e, talvolta usando ditte statunitensi o a partecipazione Usa, addirittura secondo i dettami del mercato d'oltre Oceano. Non è certo un fatto di pedanteria europeista: attraverso le infrastrutture telematiche e della comunicazione in genere passano i possibili contatti futuri tra popolazione e sua rappresentanza politica. Non è solo la gustosa scenetta del televoto sui referendum che il Sindaco propone al suo piccolo Comune (immagine stucchevolmente oleografica del futuro prossimo venturo.. . .), quanto la possibilità di controllare in tempo reale l'amministrazione da parte di cittadini-padroni di casa e non sudditi, oppure quella di ridurre il traffico nelle metropoli evitando <:odeinutili quando è possibile inviare via videoterminale certificati anagrafici o moduli di richiesta varii ed altro. Ma chi garantirà che i cittadini di un piccolo comune della Va1 d'Aosta o della Provincia di Ragusa abbiano gli stessi diritti, le stesse possibilità, le stesse capacità di interlocuzione di quelli di Milano e Roma, rispetto ai loro amministratori? E di un Comune della ex Germania Est rispetto ad uno della Germania Ovest? E di una regione montuosa della Grecia rispetto alla pianeggiante cittadina del Surrey? Qui diventa chiaro che il tema della democrazia si tocca con mano. E in questo senso il "Libro Verde" parla molto di mercato, spesso anche un pò a sproposito e in forma miracolistica mentre, credo giustamente, noi del Ccre abbiamo messo in guardia dal fatto che finora, per quanto riguarda il lavorare (dunque anche il vivere) nella società dell'informazione, e soprattutto nelle realtà locali, conosciamo solo la perdita di posti di lavoro conseguente all'automazione del lavoro stesso.. .. Ciò rischierebbe di portarci al vecchio, talvolta sterile, specie se i d e ~ l o ~ i z z a t dio, battito su ciò che deve essere pubblico e ciò che deve essere mercato e privato. Se però apriamo la riflessione sui rischi ma anche sui benefici possibili, che la società dell'informazione porta alla democrazia così come la conosciamo, si potrà ben vedere come le Regioni e gli Enti locali possano svolgere un ruolo di avanguardia culturale in una nuova riflessione che si occupi di ciò che è servizio pubblico ai cittadini, nelle forme che si vorranno: interamente pubblica, a partecipazione pubblica o privata (e con un mercato vero, che spesso in Italia non esiste). Ecco, dunque dove misurarci con la politica della comunicazione nei prossimi mesi ed anni, altro che (solo...) sul numero delle reti televisive e sui minuti di apparizione tv: queste ultime, come diceva giustamente E. Bennato (la buona musica unisce i popoli, quindi anche gli europei, spero.. .) "sono so10 canzonette.. . ." W Abbonatevi a EuropaRegioni l'agenzia settimanale che da 18 anni dice tutto l'occorrente sullJintegrazioneeuropea agli amministratori locali e regionali Piazza di Trevi, 86 - 00187 Roma Tel. 6994046 1 - fax 6793275 dal 15 gennaio 1993 viene inviata gratis a tutti i Soci, nella convinzione che gli Enti medi e grandi appoggeranno questo grande impegno finanziario dell'AICCRE abbonandosi. I Soci che non la ricevessero sono pregati di reclamare La via europea Vivere e lavorare nella società dell'informazione di Renata Landotti Una beffarda corrispondenza di amorosi sensi ha fatto sì che mi ritrovassi contemporaneamente a leggere, per dovere, il "Libro Verde: Vivere e lavorare nella società dell'informazione. Priorità alla dimensione umana» (1) e, per curiosità, "Sfida alla disoccupazione" (2); a consultare, per necessità, la pagina Web di TELELAVORO (3), a dover scambiare, per lavoro, una serie di urgenti messaggi via posta elettronica. Questo da una parte; dall'altra la dimensione umana di telelavoro e tecnologie informatiche veniva messa a dura prova dalla dimensione disumana insita nelle stesse, con caratteristiche tali da costituire un interessante case study hands on per uno dei tanti stage sulle TIC (Tecnologie dell'Informazione e della Comunicazione). Ma cosa accomuna (e cosa distingue) gli elementi testè citati? Senz'altro si tratta di manifestazioni diverse di uno stesso evento, quello della società dell'informazione, nei suoi aspetti teorici e pratici, di modi diversi (ma interdipendenti) di andare incontro e non contro il cambiamento. Nell'Unione Europea, la più ampia entità economica del mondo, basata su una forte tradizione di diversità culturale, democrazia politica ed economia di mercato, la società dell'informazione rappresenta un formidabile impulso al cambiamento, con enormi possibilità per la società nel suo insieme, ma anche rischi per gruppi e regioni. In questo contesto, il Libro Verde costituisce il complemento di un'ampia gamma di attività già awiate in questi ultimi anni in vari settori di attività della Commissione, come la messa in comunicazione di elementi di forza ed esperienze, la ricerca e lo sviluppo, i progetti pilota comuni ed il sostegno dei fondi strutturali. L'attenzione e le risorse dedicate dall'Unione europea alla società dell'informazione si sono consolidate, ma non sono an- I1 nuovo paesaggio nella società dell'informazione cora sufficienti in termini assoluti poichè, rispetto a Giappone e Stati Uniti, come si legge nel libro a cura di C. ,4. Ciampi, 1'Europa trova maggiore difficoltà a modificare atteggiamenti e abitudini e non è in grado di utilizzare appieno il proprio potenziale, con conséguente logoramento della competitività e approfondimento delle differenze regionali. I dati economici Di fronte a una forza lavoro che sta invecchiando mentre la tecnologia è sempre più giovane, di fronte ad un potenziale di forza lavoro giovane che fatica ad inserirsi in un ciclo produttivo invecchiato, il ruolo dei governi e delle istituzioni europee deve essere quello di catalizzatori delle nuove iniziative, mentre il ruolo delle autorità pubbliche richiede un forte impegno di azione a vari livelli. È urgente comprendere le nuove forme di organizzazione del lavoro, le loro implicazioni per le politiche pubbliche e per le imprese, l'integrazione con i valori della parità delle opportunità e degli accessi. Bisogna mettere a punto un adeguato quadro di riferimento giuridico e contrattuale, per migliorare la flessibilità delle imprese e degli individui (4)e attuare strategie integrate che colleghino l'introduzione delle TIC con l'istruzione, la formazione e con trasformazioni a livello organizzativo. Bisogna imparare a gestire in modo corretto lo scarto temporale tra le modalità lavorative sin qui conosciute e quelle che si stanno prospettando. I1 "Libro Verde" vuole essere un invito al dialogo politico, sociale, ecoiiomico per una via europea alla società dell'informazione, che includa una azione per la disoccupazione in Europa; "Sfida alla diso<:cupazione" espri- me i pareri del Gruppo consultivo per la competitività (presieduto da C. A. Ciampi dal febbraio 1995 al maggio 1996) sulle priorità di politica economica e sugli orientamenti atti a stimolare la competitività e a generare benefiche ripercussioni in termini di crescita e occupazione. In quest'ottica, società dell'inforii-iazione e società dell'apprendimento devono essere complementari: una formazione aperta e multimediale che sia più ricca, flessibile e più orientata all'individuo rispetto a quanto awiene oggi, favorirà certamente il nascere di una società dell'apprendimento. Flessibilità e decentramento dei processi di istruzione e di formazione (ad es. l'azione Ue per I'Open dtj-tance learning) forniranno all'Europa uno strumento valido, oltre che per migliorare la competitività, per ridurre fenomeni di estraneità e di emarginazione sociale. Un miglioramento della qualità dell'istruzione dell'obbligo offrirebbe un'opportunità unica per inserire i giovani nella società dell'apprendimento. Anche se sono sempre più frequenti i corsi di avanguardia pedagogica basati sull'impiego preponderante delle tecnologie multimediali, essi rimangono comunque, ancora, delle eccezioni messe in pratica laddove lo sviluppo economico preesistente fa pensare ad un più rapido e immediato ritorno economico. Le soluzioni innovative nel settore dell'istruzione e della formazione sono tanto più auspicabili per quanti sono più esposti al rischio di restare indietro (disoccupati di lunga durata, persone con scarso livello di istruzione, immigrati, persone che hanno abbandonato la scuola, ecc.), per evitare che le caratteristiche positive di flessibilità e sviluppo proprie del telelavoro vengano realizzate solo nelle aree di più diffuso benessere e, di conseguenza, finiscano per ridurre indirettamente l'occupazione e le possibilità di sviluppo nelle zone economicamente più arretrate. Non bisogna dimenticare, inoltre, che anche le scuole devono imparare: migliorando le loro capacità di apprendimento miglioreranno la loro capacità di insegnamento. Gli insegnanti, che tradizionalmente operano isolati gli uni dagli altri, anche per la difficoltà di accesso alle sorgenti di informazione. dovranno imparare a cooperare e a sviluppare la consapevolezza della possibilità di accesso alle competenze e all'informazione disponibile, ed i corsi di formazione per formatori dovranno prevedere estesi momenti di interazione ( 5 ) . I settori connessi con la società dell'informazione (servizi audiovisivi, teleservizi bancari, servizi di formazione, ecc.) sono in crescita nonostante le difficoltà e le disparità normative, di servizi ed infrastrutture. i ritardi a livello politico. I1 telelavoro è un aspetto delle tecnologie dell'informazione di cui è al tempo stesso generante e generato. Ad oggi, la mancanza di un assetto di re- FEBBRAIO 1997 gole, contrattuali e giuridiche, che regolamentino il telelavoro, fà sì che si corra il rischio di trasformarlo in una forma moderna di sfruttamento del lavoro a domicilio, come subdolamente sta già avvenendo, sia da parte dei privati che delle amministrazioni pubbliche: telelavorare da casa è quasi un lusso, poichè nella maggior parte dei casi bisogna disporre autonomamente dell'attrezzatura necessaria e sopportarne i costi di esercizio. Inoltre, le infrastrutture esistenti sono spesso causa di difficoltà: dalle linee telefoniche pagate a caro prezzo (soprattutto in Italia) e disturbate quel tanto che basta per dare un tocco di imponderabilità ai collegamenti via cavo (anima del telelavoro), magari proprio nelle zone rurali che più dovrebbero usufruire di un servizio trasparente e affidabile, alle linee elettriche sovraccariche, con interruzioni così imprevedibili e frequenti in certe zone, da causare "malattie gravi" e "morti repentine" degli strumenti del telelavoro con conseguente aggravio, anche notevole, dei costi di esercizio. Sono ben d'accordo con quanto sostenuto in entrambe le pubblicazioni, e cioè che per il lavoratore la migliore garanzia di fronte all'incertezza del futuro, la migliore difesa del posto di lavoro, in un contesto di mobilità, sta nel continuo arricchimento del suo bagaglio professionale: ma, al di là delle belle parole e delle proclamate nobili intenzioni, la realtà, fatte le solite inevitabili eccezioni, offre ancora ben poco in termini di un aggiornamento continuo e di qualità; soprattutto rimango convinta che senza curiosità ed impegno personali si rimane al traino, agiti e non attori. I compiti da fare Gli esperti sostengono che la formazione deve diventare un processo continuativo, durare per tutto l'arco della vita lavorativa? Bene. Ma la formazione costa, la speculazione è ancora tanta, il contenuto ancora scadente. Investire in modo più intenso, sistematico, nelle risorse umane, nelle infrastrutture immateriali (ricerca, formazione, informatica) è il solo modo possibile per creare un circolo virtuoso per la competitività. C'è bisogno di uno sforzo collettivo che investa le amministrazioni pubbliche, il governo, i sindacati, gli imprenditori, di maggior coordinamento da parte dei governi. Lo Stato deve assicurare lo zoccolo di protezione sociale; sta poi ad altri soggetti, in particolare a quelli del "terzo settore", partecipare ad una nuova impostazione dello stato sociale, apportando una sensibilità più viva alle variegate esigenze della domanda, una maggiore capacità nell'utilizzo più efficiente ed economico delle risorse. La società dell'informazione deve essere integrata nelle politiche di sviluppo regionale con applicazioni destinate a specifici gruppi sociali, ai servizi per l'occupazione, alle strutture per la formazione, ai servizi sanitari. Allora forza: dopo tutte queste belle parole, mettetevi all'opera nella società dell'informazione. Se possedete tutto il necessario (non escluso l'abbonamento a un "server"), il Libro Verde, la relazione del Grup- FEBBRAIO 1997 Dalle parole ai fatti Scandalo? Sì scandalo. Perchè Euronews, che dovrebbe essere l'orgoglio delle tv europee, il meglio del servizio pubblico, l'espressione concreta del contrasto culturale tra la produzione europea e quella d' oltreoceano. invece. vivacchia. Tira avanii nel disinteresse generale, con rappresentanti delle tv pubbliche (la Rai, per esempio) che considerano Lione un "cimitero degli elefanti", come tutte le grandi istituzioni europee dove i soldi vanno investiti e non rastrellati . Non solo. Invece di utilizzare al meglio nella programmazione normale, quanto va per intero sul satellite (e la qualità di certo non manca.. .) lo si propone in orari assurdi, di primissima mattina in Italia, oppure nei quasi "fuoriprogramma" in altri Paesi europei. Eppure Euronews, se solo avesse un pochino di mezzi e uomini in più potrebbe competere alla pari con reti ormai famose come Bskyb o Rtl e Satl tedesche; già adesso, è meglio della "finta" o propagandistica rete "Arte", tanto citata dai salotti buoni, dove la citazione è inversamente pro~orzionalealla reale volontà di vedere o aver visto qualcosa di cui si parla. Voi direte : "ma come si fa a dare altri soldi per l'Europa quando ci tocca pagare anche 1'Eurotassa? ". Ris~osta:la Rai esborsa solo 6 miliardi di lire d'anno. Considerate quanto sono stati pagati per un solo ciclo di trasmissione Mara Venier o Mike Bongiorno o Frizzi, e scoprirete che con la metà dei soldi la Kai potrebbe addirittura comprarsela Eurone~vs! Sono inoltre convinto che Euronews con un semplice "favore" di maggiore inserimento nei palinsesti televisivi delle tv gemelle europee, come la Rai, potrebbe pagarsi da sola le proprie spese ed anche guadagnarci: basta far sapere ai pubblicitari il numero totale di telespettatori raggiunti con una migliore "esposizione", per far arrivare un minimo di pubblicità stabile anche a quello che dovrebbe essere il "nostro" canale europeo. Per intanto 1' ,4iccre ha deciso di saperne di più incontrando i dirigenti di Euronews e proponendogli di dare maggiore spazio alle Regioni, Comuni e Provincie italiane; e sarebbe una ghiotta collaborazione anche per il Ccre, che rappresenta più di centomila poteri locali dell'Unione Europea e del Consiglio d'Europa. Un modo concreto per passare, nel confronto culturale Europa -Usa, dalle parole nei convegni ai fatti concreti. A A R.D.G.P. po di esperti di alto livello e la relazione del Forum sulla società dell'informazione sono facilmente consultabili al server ISPO: http//w7vw.ispo.ccc.be. Se volete contribuire con i vostri suggerimenti, l'indirizzo è [email protected]>.cec.be. Per chi volesse documentarsi a livello professionale sulle istituzioni regionali e sugli enti locali, sulle associazioni e sugli organismi pubblici che operano in ambito regionale, ecco il Cd Rom sulle Regioni d'Italia (lire 400.000 circa) (6). Chi voglia partecipare a giornate di studio e convegni, non avrà che l'imbarazzo della scelta: dalla European I T Conference '96 (EITC '96). organizzata da D G XIII sul tema «Doing business in the Information Society» (progranima ESPRIT); alle giornate di lavoro dedicate all'impatto della società dell'informazione sulle condizioni di vita e di lavoro, nell'ambito del Quarto Programma di Azione sulla salute e la sicurezza (1996 - 2000); ai dibattiti sul lifelong learning in cui ricercatori, scienziati, produttori di software, pedagoghi, discutono sulle nuove opportunità telematiche e la loro integrazione nella vita quotidiana. A proposito. Terminate queste opinabilissime considerazioni, ho rimandato le fasi di stampa su carta, copia su dischetto e trasmissione via posta elettronica al giorno dopo, per concedermi una cautelativa pausa di riflessione (dimensione umana del telelavoro). I1 giorno dopo di buon mattino (si sa, il telelavoro ha orari molto personali), all'atto di dare energia alle mie macchine protette - da un sovradimensionato gruppo di continuità contro i malefici effetti di una rete elettrica obsoleta e sovraccarica, il mio fido strumento di lavoro ... dette un lampo e giacque, inerte (dimensione disumana del telelavoro!. Mi sono preparata con calma un caffè (dimensione umana del telelavoro) ho messo mano al computer di scorta e ho ricominciato da capo (dimensione disumana del telelavoro). NOTE (1) Commissione delle Comunità Europee, Libro Verde. Vivere e lavorare nella società delì'Informazione. Priorità alla dit~zerzsioneumana, Bruxelles. 24 Luglio 1996, COM(96)389 def. (2) Carlo Azeglio Ciampi (a cura di), Sftda alla dzsoccupazione. Rafforzare la competitività europea, Ed. ~ a t e i z a1996 , 13) htto://www.mcIink.it/TELELAVORO/. un sito a cura di P. di Nicola, Facoltà di Sociologia dell'università La Sapienza di Roma, nell'ambito di E T O (European Telework Online) dove si può eonsultare "Telework job bank" o "Telework Italy'', il primo sito italiano dedicato al lavoro a distanza e all'ufficio virtuale. (4) Vedasi ad esempio: P. di Nicola, Telelavoro: lo stato delì'arte e le prospettive, Nuova Rassegna Sindacale, n. 42 del 27/11/1995, pp. 27-28, S. Cofferati, Anche il sindacato è pronto: oggi accetta il lavoro a distanza, Telèma - Attualità e futuro della società multimediale, n. 3 , 1995, p. 64-65. ( 5 ) Vedasi ad esempio: T D tecnologie didattiche, Ed. Menabò Chieti, Commissione delle Comunità Europee Libro Bianco sull'i~zsegnamentoe sull'apprendimento (COM (95) 590), che si concentra sulle competenze e sulle conoscenze che saranno necessarie per garantire una piena partecipazione alla società dell'informazione. (6) Guida alle Regioni d'Italia 1995, Sispr, Roma. . .s Vienna città-capitale La Vpuntata della nostra inchiesta sul decentramento amministratiiw di Laura D'Alessandro I1 Parlamento di Vienna L'Austria è uno stato federale composto di Laender autonomi. Vienna è uno di questi. La stessa Costituzione austriaca mostra il rilievo che, nella fondazione dell'ordinamento repubblicano, attribuisce a Vienna, città considerata ora sotto questa veste, ora, invece, come unità elementare costituente lo Stato Federale. Divenuta capitale dello stato nazionale sorto in seguito al crollo ed alla spartizione dell'lmpero Austro-ungarico, Vienna già capitale "di un impero multietnico e plurinazionale che contava più di cinquanta milioni di abitanti. si trovò improvvisamente al centro di uno Stato, creato per I'occasz'one, di dimensioni estremamente ridotte, la cui popolazione, di ceppo quasi esclusivamente tedesco, era circa per un terzo costituita dai due milioni di abitanti che formavano allora la popolazione cittadina della Capitale". 1) Con la data del 1" gennaio 1922 Vienna diveniva la Capitale dell'Austria e contestualmente veniva sancita la separazione della città dal Land nel quale era stata inizialmente ricompresa, cioè la Bassa Austria. Tale separazione si era resa necessaria per evitare "che all'interno della Repubblica esistesse una sorta di Prussia, cioè un Paese che avrebbe contato da solo circa la metà della popolazione dello Stato, col rischio alternativo o di un suo schiacciante predominio, o di una sua artificiosa sotto-rappresentazione in una Camera dei Paesi, la cui autorità sarebbe stata per ciò stesso menomata". 2) L'elemento "che più fortemente condizionò la dinamica del federalismo austriaco nel periodo di cui si parla, fu peraltro il contrasto fra lacapitale "rossa" e la provincia "nera" ... al contrasto fra città e compagna si sovrapponeva il contrasto fra socialismo e conservatorismo, 12 quello fra cosmopolitismo aperto agli apporti slavi ed ebraici e germanisrno antisemita ed arcaico". 3) Sulla base della struttura federale che il Paese si era dato, Vienna il più popoloso, ricco e progredito dei Laender coiitrollato dai socialisti, si contrapponeva al resto dei Laender della Federazione di gran lunga più arretrati e ad indirizzo conservatore. Tale contrapposizione finiva per creare tensioni fra la Capitale e la Federazione a secondo di quale dei due partiti coritrollava il Governo federale. È questo il contesto stor~co-politiconel quale veniva a configurarsi Viei~naquale città-stato della Federazione. Diversamente da quanto accaduto in altri Stati federali, il regime della capitale austriaca non dipese in realtà dall'esigenza della stessa di difendersi da un contraddittorio stato di subalternità nei confronti di uno Stato membro, piuttosto scaturiva dall'esigenza difendere uno di questi ultimi dall'inevitabile predominio della capitale federale. Contestualmente, la stessa organizzazione federale austriaca era fortemente condizionata dalla spinta di alcuni Laeuder che attuavano una politica di tutela, per sottrarsi alla logica di rafforzamento dell'influenza di Vienna su di essi. Con la Costituzione corporativa del 1934 Vienna non veniva riconosciuta come Land, pur rimanendo pressoché inalterate le proprie competenze. Del resto, la dominazione tedesca delllAustria contribuì in maniera considerevole alla modernizzazione dell'eco~iomiadelle regioni più arretrate del Paese, specie quelle occidentali. Nel 1945 rientrando in vigore la Costituzione precedente Vienna riacquistò il suo "status" di città-capitale della Federazione, di Comune e di Land. Tale è ancor oggi la posizione di Vienna nello Stato federale d'Austria, una posizione consacrata dalla stessa Costituzione. Sostanzialmente Vienna non è un Comune ed un Lantl allo stesso tempo, bensì un Comune dalle connotazioni decisamente cittadine, "successivamente ed artificiosamente considerato alla stregua di un Land. 1) Tale inquadramento ha delle conseguenze sul piano sia organizzativo che giuridico della città. Infatti, ad essa viene applicata la normativa costituzionale dell'ordinamento comunale. Tuttavia, le competenze di Vienna come Land non subiscono, per tale particolarità, delle modifiche sostanziali. La particolarità è data dalla sovrapposizione di due diversi modelli organizzativi: si tratta di una città, alle cui competenze come Comune si sono sommate quelle tipiche di un Land. Tale sovrapposizione non ha, tuttavia, delle conseguenze particolarmente significative sulle dimensioni della città, in quanto la stessa non viene considerata nella sua area metropolitana cioè comprensiva di comuni che data la vicinanza sono comuni satelliti della capitale. Vienna, infatti, è considerata nei suoi tradizionali confini comunali. 11 Land di Vienna, diversamente da quanto accade per gli altri, non è suddiviso in comuni poiché il suo territorio coincide perfettamente con quello del Comune di Vienna stessa. Un'unica amministrazione cittadina beneficia delle competenze previste dalla Costituzione federale per due diversi enti territoriali godendo di poteri del tutto speciali ed intensi. Curata direttamente da organi propri del governo federale, l'amministrazione si limiterebbe ad alcuni settori limitati seppur rilevanti quali: ferrovie, tèlecomunicazioni, poste, polizia ed assicurazioni sociali. Per quanto riguarda le altre materie, o si tratta di amministrazione federale indiretta, in cui l'amministrazione centrale si serve di uffici propri dei Laen~ier,per l'occasione posti in uno speciale rapporto di subordinazione con quelli federali, ovvero si tratta di settori istituzionalmente propri dei Laender, o dei Comuni, o di attività delegata a questi ultimi. Tale configurazione di rapporti tra la capitale e i Laender accentua notevolmente il peso e l'autonomia di Vienna come specialissima amministrazione locale. Lo stesso Sindaco della capitale gode di una particolare posizione di supremazia tanto da far scrivere che "la pienezza delle funzioni del Sindaco apre a quest'ultimo nel processo di formazione della volontà della città-capitale più possibiliti che al Presidente della Federazione, al Cancelliere federale e ai singoli ministri". 5) Sulla base di una posizione giuridicamente peculiare, Vienna gioca un ruolo di primo pia- FEBBRAIO 1997 Alessandro schiavi.,i Comuni e l'Europa A propos ito di due libri sul pritno presidente del1> di Oscar Gaspari Maurizio RidoWi (a cura di) 1994, Alessandro Schiavi. Indagine sociale, culture politiche e tradizione socialista nel primo 900, Cesena, Società editrice «I1ponte vecchio., pp. 220, lit.28.000. Patrizia Dogliani (a cura di) 1996,Europeismo e municipalismo. Alessandro Schiavi nel secondo dopoguerra, Istituto autonomo case popolari di Forìì, Cesena, Società editrice <<Ii ponte vecchio., pp.118. Alessandro Schiavi (Cesenatico 1872; Forlì 1965) è uno dei personaggi più interessanti della storia contemporanea del nostro paese ed una delle figure fondamentali del movimento comunale italiano ed internazionale, intendendo per movimento comunale il complesso di amministratori, politici e tecnici che, a partire dalla fine de11n800,si mobilitavano per porre al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica e delle istituzioni le sempre più importanti funzioni ed i crescenti problemi dei comuni, protagonisti dell'eccezionale sviluppo economico, sociale e politico che investiva 1'Ttalia e l'Europa, tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo. Dal 1952 al 1956 Schiavi era il primo presidente dell'Associazione italiana del Consiglio dei Comuni d'Europa (AICCE, poi AICCRE con l'ingresso delle Regioni nell'Associazione), ma pure negli anni seguenti - anche dopo le dimissioni dagli incarichi che ricopriva nelle istituzioni internazionali -, come presidente onorario dell'AICCE, rimaneva un instancabile protagonista delle attività dell'Associazione, in Italia ed in Europa. Tra le sue iniziative più interessanti deve essere ricordata quella dell'Istituto europeo di credito comunale, una proposta che presentava nei primi Stati Generali del CCE svoltisi a Parigi e Versailles nel 1953, ed alla quale lavorava con Mossé, ex rappresentante del governo francese alla Conferenza monetaria di Bretton Woods (luglio 1944). Schiavi era il primo presidente di questo organismo, costituito ufficialmente a Ginevra nel 1954 con il nome di Comunità europea di credito comunale, che avrebbe dovuto raccogliere e gestire i fondi necessari alla concessione di mutui ai comuni d'Europa. L'occasione per discutere di questa figura, fino ad ora trascurata dalla storiografia, viene dalla pubblicazione di due volumi a cura il primo di Maurizio Ridolfi ed il secondo di Patrizia Dogliani. Bisogna subito dire che la lettura di Schiavi come esponente del movimento comunale non è quella privilegiata dai saggi raccolti, che preferiscono utilizzare come chiave interpretativa della vasta attività di questo personaggio, ri- FEBBRAIO 1997 spettivamente, la corrente riformista del socialismo e la sua esperienza in materia di case popolari, ma, nonostante questo, a chi voglia cercare il senso dell'impegno di questo personaggio non può non apparire un unico disegno che comprende i vari ambiti della sua attività. Lo Schiavi che appare da questi volumi, è un personaggio straordinario, che ha cercato di coniugare in tutta la sua vita conoscenza tecnica e lavoro concreto in favore delle classi subalterne, in una dimensione che molti contemporanei giudicavano utopica, ma che egli, con il suo impegno, tentava di concretizzare. In questo senso non c'era soluzione di continuità tra impegno nei comuni ed impegno in Europa, prima nel nome del socialismo e quindi sotto le insegne dell'Europa. Come ha bene osservato Dogliani, ai termini di socialismo e di riformismo ai quali si è fino ad oggi collegata la figura di Schiavi possono esserne aggiunti altri due che «ancor meglio identificano Schiavi e il suo ambiente, nelle continuità, nelle discontinuità, nelle contraddizioni di questo secolo: Municipalismo . . . (intendendo) il comune o la rete di comuni come cellule operanti di un Welfave state che partiva dal territorio; un autogoverno municipale, che non contraddiceva lo Stato, anzi lo decentrava nei compiti, nel quale i compagni e gli ispiratori di Schiavi prima della grande guerra credevano . . . - Europeismo che prese forme diverse a seconda dei tempi e sostituì in Schiavi e in altri 1'Internazionalismo naufragato nel 1914, e soprattutto si caricò dell'enorme compito di ricostruire un continente due volte, dopo le distruzioni delle guerre mondiali». Nell'introduzione al volume da lui curato, Ridolfi descrive Alessandro Schiavi come una figura-tipo «e probabilmente . . . la più significativa nel panorama del socialismo italiano del primo Novecento»; era un «riformatore di sinistra: organizzatore e militante socialista, operatore nelle istituzioni sociali ed economiche del movimento operaio, giornalista, lettore assiduo della stampa internazionale e "divulgatore" di testi ed esperienze pratiche, sperimentatore delle nuove scienze sociali a vantaggio dei ceti sulbalternb. I numerosi saggi del volume sono divisi in 5 grandi settori; i primi due, "Nel solco dei socialismi europei" e "Nel socialismo italiano", inquadrano l'attività di Schiavi nell'elaborazione del socialismo riformista - europeo ed italiano -, la più attenta, tra le correnti del movimento operaio, alle esperienze del municipalismo, che venivano studiate e comunicate attraverso una rete di riviste, convegni, contatti personali. "L'indagine statistica e il riformismo sociale" prende in considerazione l'impegno di Schiavi come tecnico, nell'ambito della ricerca statistica, sociale ed elettorale, inteso come strumento di conoscenza della realtà, presupposto essenziale per un corretto intervento nella realtà civile; ed era con questi strumenti che egli operava prima nell'ufficio del lavoro della Società Umanitaria di Milano e quindi come direttore dell'Istituto case popolari (IACP) di Milano. "La tradizione socialista" esamina il ruolo di Schiavi storico del movimento socialista, in particolare come custode del carteggio di Filippo Turati che egli nascondeva durante il periodo fascista e di cui curava la pubblicazione con Einaudi; gli ultimi saggi sono dedicati alla sua cultura ed alla sua terra d'origine, "In Romagna: la formazione e l'impegno educativo", una cultura socialista alla quale non era però estranea l'esperienza cattolica, che gli giungeva attraverso la moglie. l1 secondo volume privilegia dell'impegno di Schiavi quello in materia di case popolari. Ripercorrere la vita di questa figura significa infatti analizzare quasi un secolo di progettazione e di realizzazione nell'edilizia residenziale ~ u b b l i c ae l'ambiente che la sosteneva e l'indirizzava - nelle difficoltà $0litiche ed economiche del nostro paese da una prima ricostruzione post-bellica ad una seconda, che coincideva con la nascita della Repubblica italiana; l'europeismo di Schiavi è considerato quindi da questo particolare punto di vista. I1 saggio della curatrice del volume propone, in forma approfondita, il tema dell'attività del riformista Schiavi nel panorama del socialismo italiano ed internazionale, quello di Enzo Collio, "Alessandro Schiavi direttore dell'Tstituto Case Popolari di Mila- 13 no i 1910-1923I " , esaiilin,~brC\renlenteil priino, diretto impegno di Schia\ri nell'edilizin popolare, dove portava la conoscenza teorica delle esperienze internazionali. I1 saggio di Davide Bevoni - nonostante il titolo, "Schiavi e l'edilizia pubblica in Romagna e in Italia" - è senz'altro il più interessante per un approccio all'europeismo del personaggio. In esso si sottolinea la continuità dell'impegno di Schiavi nell'edilizia: nel secondo dopoguerra infatti egli proseguiva l'opera intrapresa ad inizio secolo - e interrotta dal fascismo - come studioso e come esperto organizzatore sia in ambito nazionale, come presidente dell'IACP forlivese (1945-541, fondatore e presidente dell'Associazione Nazionale fra gli Istituti Case Popolari (1950-53), sia in ambito europeo. La sua attività, infatti, si svolgeva anche presso la Comunità Europea del Carbone e dell'Acciaio (CECA), nella quale si impegnava fin dalla sua nascita - awenuta nel 1954 - e partecipando ai lavori dell'istituzione come membro della delegazione italiana nell'Assemblea parlamentare della CECA, dai cui banchi patrocinava l'idea di costruire case per i minatori immigrati. Chiudono il volume un breve scritto di Giorgio Ruffilli, sul ruolo di Alessandro Schiavi, Presidente dell'lACP di Forlì e provincia, ed una nota bio-bibliografica, 194365, particolarinente utile per avere un'idea dell'instancabile impegno di Schiavi negli anni della ricostruzione. ¤ Celebrate il 45" anno della nostra rivista collaborando alla campagna per abbonamenti a <<Comunid'Europa ,, 14 I nuovi scenari europei Christiane Colinet, L'ente locale e l'integrazione europea: una rizioluzione silenziosa, Gorle, ANCI-CEL, 19968 pp. 183, L. 46.000 Come giustamente evidenzia il titolo di questo volumetto, l'integrazione europea avanza concretamente in maniera silenziosa, ben al di là di quanto quotidianamente viene discusso sulla CtampaAdidiffusione. I1 processo di integrazione, di cui la creazione della moneta unica è solo un aspetto e non necessariamente il più rilevante, è oramai molto avanti e impatta sulle ;autonomie locali in maniera pesante. I1 fatto ì: che l'operatore locale non è consapevole dei nuovi vincoli e delle nuove opportunità che il processo di integrazione europea gli sta creando. I1 volumetto della Colinet rappresenta uno strumento in grado di aiutare l'operatore dell'ente locale ad orientarsi nel nuovo scenario in cui si trova, spesso senza rendersene conto, profondamente immerso. Dopo aver presentato rapidamente le istituzioni euroDee (non solo dell'unione E u r o ~ e ama anche del Consiglio d'Europa), vengono individuati tre filoni di riflessione per l'operatore dell'ente locale: (a) l'impatto del diritto comunitario sull'o~eratodegli enti locali e le obbligazioni che ne derivano; (b) le opportunità di natura economico-finanziaria che le varie istanze europee mettono a disposizione delle autonomie locali; (C) le opportunità di natura istituzionale che si offrono alle autonomie a tutela dei loro diritti. Per quanto riguarda l'impatto del diritto comunitario, valga qui riammentare che gli attuali albi sono oramai tutti fuori norma, che la prassi vigente in materia di residenza e carta di identità è illegittima come pure è illegittima la prassi delle Llsl che non riconoscono al cittadino comunitario gli stessi diritti del cittadino nazionale; lo stesso dicasi per 1 I Aiccre DELLE REGIONI :DIEUROPA I I l'accesso ai concorsi. Né valga illudersi sulla possibilità di fare melina: il diritto comunitario è di diretta applicazione ed è possibile richiedere (è già stato fatto con successo) il risarcimento del danno causato dalla non applicazione o dalla ritardata applicazione direttamente al funzionario che sia responsabile del fatto. Per quanto riguarda le opportunità di natura economica. il volume della Colinet Dassa in rassegna tutti i programmi dell'unione Europea e del Consiglio d'Europa, indicando gli indirizzi cui rivolgersi per essere tenuti aggiornati sugli sviluppi di tali programmi. Ma non solo: il volume offre una descrizione molto precisa del funzionamento dei meccanismi di finanziamento, in maniera particolare dei fondi strutturali. Alcuni suggerimenti appaiono, nella loro semplicità, veramente importanti: per superare certe barriere informative (l'informazione è potere) al livello delle nostre regioni, i comuni dovrebbero richiedere i piani comunitari di sostegno relativi alla propria regione direttamente alla DG XVI a Bruxelles. Per quanto riguarda le opportunità di natura istituzionale ampio spazio viene dedicato alla Cavta euvoDea dell'autonomia locale, una convenzione internazionale sottoscritta e ratificata dall'Italia (con la legge 439 del 1989). Tale convenzione è Darte dell'ordinamento italiano e, nella gerarchia delle fonti, in quanto trattasi di legge ancorata ad un trattato internazionale viene prima della legge ordinaria (legge rinforzata). Il rispetto dei vincoli derivanti da tale Carta s u ~ e r e r e b b e molti dei problemi che vengono oggi dibattuti in Italia: in maniera particolare supererebbe il problema dei così detti inquadramenti ndpevsonnm, in quanto agli enti autonomi deve venir riconosciuta la più ampia autonomia nella gestione del proprio personale. - Massimo Balducci I l volume si può acquistare, al prezzo di copertina di L. 8.000, direttamente presso: AICCRE Piazza di Trevi 86 - 00187 Roma Tel. (06) 6994.0461 Fax (06) 67.93.275 Vi saranno viceversa inviate il numero di copie che desiderate (al prezzo di L. 8.000 cadauna) dietro invio di fotocopia della ricevuta di versamento, per l'importo corrispondente, sul c/c postale n. 38276002, intestato a Comuni d'Europa - Piazza Trevi 86 - 00187 Roma, oppure sul c/c bancario n. 274172 intestato ad AICCRE - Banca di Roma Dipendenza 88, Piazza SS. Apostoli - 00187 Roma, specificando sempre la causale del versamento. FEBBRAIO 1997 Ch'iaroscuro (segrre ijd png. 21 pattizio, federale, adeguato. Se ci aduggianzo nella constatazione del "tranzonto delle istituzioni" e accettiamo, senza ribellarci, la concezione nietzscheana dell'assenza d i razionalità nello sviluppo della storia, meritiamo la fine della democrazia, la perdita della libertà, la caduta della civiltà umana a u n livello preistorico. Q u i vale la pena d i vicollegarci al problema della nazione e alla necessaria critica della nzorfologia spengleriana (ricordate il successo del "Tramonto dell'occidente" del prenazisla Spenglev, quando Hitler stava andando al potere?): la Kultur nazionale spengleriana non conosce la sovranazionalità e i suoi sviluppc si presenta come u n organisnzo biologico. Ma già prima, in pieno secolo XIX, Constantin Franz (181 7-189 l), federalista cristiano tedesco, aueva avuto occasione d i opporsi a Bismarck, non aveva accettato il suo "nazional-liberalismo", aveva combattuto lucidanzente statalismo e nazionalismo: "tutto si riduce al fatto che ci si conzporta come se le diverse nazionalità attualmente esistenti fossero dei tipi fissi e stabiliti dalla natura, come le diverse fanziglie animali". E' la condanna definitiva e generalizzata del momento nazionale? No. Il Risorgimento italiano e la relativa nascita dello Stato nazionale, invece, segnano i l rientro dell'ltalia i n Europa - non c'è bisogno di richiamare gli illuministi di Milano e d i Napoli o la Repubblica Pavtenopea - e i l superamento di localismi misoneisti. Certamente la crescita dello Stato nazionale mostra un continuo conflitto tra una Italia europeista prefederale e le tentazioni della ragion d i Stato: da Mazzinz; Cattaneo, Giuseppe Fevravi già nellJOttocento si perviene a Crispi; la cosiddetta emergenza - dopo una unificazione politica più rapida del previsto - f a bocciare i progetti d i legge per u n ordinamento anzministrativo comunale d i tipo inglese (il progettista, 1'1 bolognese Marco Minghetti, ha studiato Kant e Rosminz; seguito le lezioni parigine d i Sismond( conosce bene l'Inghilterra ma anche tutto il resto d'Europa) mentre prevale per tutt o il regno novello l'ordinamento francese (prefettizio) del Piemonte; ma soprattutto, a partire dalla spedizione dei Mille, la monarchia piemontese e anche alcuni errori d i Cavour dànno origine a quel problema meridionale, a quella sopraffazione - diciamolo del Nord sul Sud, la quale ha determinato una crisi, che fa intitolare u n libro (il libro comincia emblematicamente dalla brutalità d i Nino Bixio a Bronte) "Risovgimento perduto" a u n siciliano, Antonino Radice, che è stato tra i protagonisti, dopo 1'8 settembre '43, della Resistenza trentina anti-nazista e a cui è divenutu poi familiare la Mittel Europa. Del resto sarà bene, a questo punto, chiarire -se pur ce ne fosse bisogno - I'origine d i una Roma (capitale) che sarebbe divenuta ladrona: non è u n fatto territoriale (un indiscutibile danno secco l'hanno proprio subito i ronzani d i Roma), ma è ilfrutto, semplificando, dell'alleanza dell'industria protetta del Nord con una pavte della borghesia parassitaria d i u n Sud entrato i n crisi (che ha fornito quadri politici e burocratici): il dettaglio sintomatico della prevaricazione del Novd a cominciare da Roma lo possono offrire le rapine dell'afirismo lombardo e pie- FEBBRAIO 1997 montese (con l'aggiunta d i qualche toscano) sulla verde Roma papalina, ricordando le tre famose cooperativt~edilizie Macao, Esquilino, Prati (cfr. il c h s i c o "Roma capitale" d i Albert o Caracciolo) e gli inzmensi guadagni fatti da lorsignori. Eppure, malgra~iocontraddizioni ed errori, malgrado i l rrzfiuio dell'ltalia autonomista proposta da Minghetti - e regioni non separatiste, ma da secoli del tutto "separate" -, malgrado la difficoltà d i comporre dljrferenze d i ogni genere, il "partito dell'unione': a prima vista nzinoritario, crea (come vuole la filosofia del federalisrno) gente diversa capace di vivere sotto una legge comune, e svelando nei momenti critici u n sentimento comune, u n "patriottisnzo nazionale" forse poco vistoso (diverso da quello reton'co, epidermico, d i facciata del periodo Jgscista), ma che affonda i n una storia italiana ritenuta comune. Il poligrafo Sergio Romano ("La storia nazionale e la Banca d'Italian, i n "La Banca d'Italia 100 anni. 1893-1!'93", Roma 1993) si sente costretto a scrivere: <<Larotta d i Capovetto rivelò vecchi dzfetti delle forze armate..., ma la tenuta morale del ,Paese e lo sforzo organizzativo dei mesi seguenti dimostrarono che il lavoro fatto dalla classe dirigente unitaria nelle due generazioni precedenti aueva dato compless*vamente risultati straordinari>>.I "vecchi difetti'' delle forze armate furono tra l'altro la terribile guerra d i logoramento del Generale Cadorna - le 12 battaglie sull'lsonzo, con migliaia e mig1iaic.1 d i morti - e lo sfondamento d i Caporetto dovuto a gravi e colpevoli imprevidenze degli alti conzandi. viceversa, i n quel mediocre volume, che è Y l secolo breve" di Eric J. Hobsbazom, si legge che, nell'ambit o dell'lntesa, l'apertura d i u n altro fronte contro l'Austria-Ungheria "fallz'piincipalvzente perchè molti soldati italiani non erano motivati a combattere per uno stato che non consideravano il loro, la cui stessa lingua era parlata da pochi d i loro" ("nel frattempo la Francia, la Gran Bretagna e la Gervzania si dissanguavano sul fronte occidentale"). S i pensi a quante ~nigliaiad i mortz; con larghissivzo contributo d i cafoni meridionali, si deve l'integrazione alla Padarzia d i Trento e Trieste. Nella bibliografia d i Hobsbawm compare - e com e non poteva? -- Hemingruay ("Addio alle armi") ma viene naturalnzente ignorato "Trincee" d i Carlo Salsa. Se poi ci caliamo dalla "classe dirigente unitarian all'Italia popolare - del popolo minuto - ci si avvede che, fatta I'Italia, migliaia d i maestri elementari e d i medici condotti avcvano falto anche molti italiani (col contvibuto d i socialziti rifornzisti e d i cattolici nazionali). In parte questo non avevano capito neanche, allo scoppio della grande guerra", i neutralisti come Giolitti e il "giovane" Benedetto Cvoce: schivando le dispute d i vertice tra interventisti nazionalisti, futuristi, soreliani e hterventisti democratici, molti piccoli borghesi, operai, contadini d i famiglie dz emigranti cominciavano ad avere u n vivo sentimento nazionale (la parola "orgoglio" può risultare ambigua), che non aveva niente a che fare con la cinica Italia della pugnalata alle spalle della Francia morente del 1940. C'era molto d i più d i Gavibaldi (e d i De Amic i ~ che ) d i Sovel, d i d'Annunzio e d i Mussolin i (e magari d i Oriani). Il Fascismo ha vappresentato il tentato ca- pouolgimento del senso risorgimentale della nazione (ricordate? "schiavi li spinge per tenerci schiavi/ li spinge di Croazia e d i Boemme/ come mandre a svernar nelle MaremmeJ'): falso i l Risorgimento "prefascista" costruito da Gentile e da Gioaccl~inoVolpe. La guerra d i Mussolini del 1940 cacciò .poi gli - italiani tanti italiani - i n u n vicolo cieco morale, la canzpagna razzisla, I'Anschluss e la strafottenza (ma è u n eufemismo) dei nazisti non piacevano a una larga maggioranza, il "consenso" al Fascismo era precipitato, e ciò malgrado nzolti caddero "per dignità", i n condizioni impossibil i O si è ciechi o la caduta del Fascisnzo, come u n castello di carte, dopo il 25 luglio, non è la nzanzfestazione di u n popolo che sz cala le bvache, ma d i u n popolo che ritrova se stesso. E' ora d i finirla d i parlave di una guerra civile, d i paragonare i "partigiani" ai combattenti d i Salò, e basta. ScrLvendo una storia Seria", i conzbattenti d i Salò vanno capiti e giudicati d i volta i n volta, caso per caso (come ipartigiani. non pochi hanno scoperto all'ultimo momento non proprio la liberti, ma "dove girava la ruota della storia"): è l'intera nazione, uiceuersa, che si è complessivamente sentita "liberata))e ha potuto riprendere la strada del Risorgimento. Il Risorgimento ben rappresentato dal Giusti del Sant'Ambrogio - liberlà e fratellanza umana -, non solo elitario nza sovente popolare - Milano, Venezia, Bvescia, Roma, Napoli, Palermo, eccetera -; il nostro Risorgimento che fu u n mito dei liberali d i tutta Europa, nel secolo della Restaurazione reazionaria; i l Risorginzento ammirato e soprattutto amato da chi lottava contro la sopraffazione stranieva ma anche indigena, e d i cui pare necessario iicordare ora che Mazzini e Garibaldi furono una bandiera non solo in Europa e in America, ma fino in India e i n Cina: e i nostri nonni lo sapevano. Il 25 luglio non ci siamo calate le brache: quel galantuomo d i Alessandro Natta ha ricordato ("L'altva ResistenzaJ')ai dislvatti che dopo 1'8 settembre 600 vzila militari italiani sono stati catturati e internati in duri e vendicativi campi d i concentramento dai tedeschi: d i questi poco pizì d i diecimila hanno ceduto alla seduzione nazzita - collaborazione contro oualcosa da mettere sotto i denti e qualche indumento per coprirsi meglio -; diciamo che 580 mila reszitettero, con corriposto eroirmo, alle lusinghe. Erano italiani d i tutti i colori (Natta si trovava insieme a Lazzati, futuro Rettore dell'Uniuersità Cattolica di Adilano, e a Guareschi, il padre d i Don Camillo) o d i nessun colore: sono stati un campione d i quegli altri italiani, d i tutte le classi sociali, che tenevano da anni nascosti i n soffitta Ebrei giovani e vecchz; e d i coloro che ora ospitavano con rischio della vita prigionieri evasi del "fronte alleato". Fine della guerra, Assemblea Costituente, Costituzione repubblicana: I'articolo 1 1 della Costituzione sarebbe stato firnzato con gioia dai rappresentanti autentici del Risorginzento. Naturalmente, passato il nzomento magico, si è potuto verifcire che non solo il federalismo, ma anche la "nazione aperta" è u n pvocesso u n difficile processo, a rischio d i continue deviazioni -: e qui non tocca alla sociologia o alla politologia indicare ciò che si può (e si deve?) fare o che presumibilnzente si farà, tocca a noi decidere e farlo. Hic et nunc. Umberto Serafini Vienna città-capitale Gegue du pag 121 n o nella vita pubblica della Federazione austriaca. Tuttavia, anche le vicende storiche legate a questa città hanno contribuito all'impianto di una configurazione speciale che ha consentito l'evoluzione e l'ammodernamento deila Capitale così come oggi noi la conosciamo. W NOTE 1) F. Bertolini, Wentza, in Roma Capitale deG la nuova Repubblica (AA.VV.), Maggioli Editore, 1996, cit. p. 279-280. 2) P. Petta, Il sistema federale austriaco, 1980, cit. p. 85-87. 3 ) Ivi, cit. p. 280. 4 ) F. Bertolini, op. cit. p. 283. 5 ) Ivi, cit. 289. Gli insegnamenti europei a Congresso Dal 17 al 19 gennaio si è svolto a Riccione il Congresso nazionale dell'AEDE (Association Européenne des enseignants), con l'intervento del presidente europeo. Al Congresso è stato letto un saluto augurale dell'AICCRE, che ha messo in luce l'esigenza che, in nome della cosiddetta forza federalista, siano molto più intensi e continuativi, regionalmente e localmente, i rapporti fra 1'AEDE e 1'AICCRE e anche gli altri movimenti federalisti (MFE, ME, CIFE). I1 Congresso dell'AEDE si è concluso con una risoluzione, che riportiamo di seguito, che ha stigmatizzato severamente il pseudo-federalismo senza solidarietà, il minacciato separatismo, il razzismo del nord verso il sud. Il XII Congresso delia Sezione italiana dell'A.E.D.E. celebvato a Riccione (Rimini) nei giovni 17, 18 e 19 Gennaio 1997; ha rilanciato la stvategiu di un fedt:ralismo coeventemente ortodosso, nel pieno vispetto del vapporto di solidavietà con tutte le altre componenti della Forza federalista e del Movimento europeo; ha auspicato BIBLIOGRAFIA - F. Bertolini, Vienna, in Roma Capitale della nrroua Repubblica (AA.W.),Maggioli Edito- la convocazione di un'Assernblea costituente, d'intesa con il Parlamento euvopeo ed i Pavlamenti dei singoli stati membvi dellJUnione,per la redazione di un Tvattato-Costituzione e la conseguente cveazione di zrno Stato fedevale europeo; ha pertanto ribadito re, 1996. - K. Heller, Outline ofaustvian costitutional law, Boston, 1989. - P. Petta, Il sistema federale azrstviaco, 1980. - F. Koya, Das Verfasszmgsrechtder Oesterreichischen Bundeslaendev, Wien-NewYork. - R. Walter - H. Mayer, Gvundiss des oesterreichischen Bundesverfassungsrcchts, Wien 1992. Dal l o gennaio 1997 tutti i movimenti bancari a favore dell'Associazione italiana per il Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa (AICCRE) dovranno essere effettuati unicamente presso: Banca di Roma, Dipendenza 88, Piazza SS. Apostoli, Roma (CAB: 03379.1; ABI: 3002), sul Conto Corrente 274/72, intestato al19AICCRE. la necessiti di pvocedeve in tempi brevi nella messa a punto dell'Unione politica euvopea come necessità indevogabile pev la gestione covretta e lz~ngimirantedella stessa Unione cconomicu e monetaria, altrimenti destinata a pvocedere in manievu appvossimatiz:a e disorganica; ha sottolineato il compito pvimario della scuola nella formazione del cittadino europeo e della società .fedevale come suppovto tzecessario ad rrna rifovma integvale delle stvuttuve, dei contenuti; dei metodi e degli obiettivi resi all'armonizzazione dei vavi sistemi scolastici europei decisumente sbuvocratizzati e finalizzati sopvattutto all'omogeneizzazione dci pvofili pvofessionali ed ai vapporti di intevazione trd scuola e mondo del lavoro; ha denunziato altresì il pericolo di una cultuva appiattita su schemi estrinsecamente e vigida7rzente tecnocratici, ubendicando il pvimato dell'uomo come fulcro dello stesso progresso scientifico e tecnologico, ai fini pvecipui del superamento dei vazzlj-mi, dei nazionalismi e degli integvalismi, preclusivi sevzpve del vinvigovimento di spivitualità e d i solidavietà della società multicultuvale che è .fenomeno pvimavio e cav~zttevizzantedell'Europa e del mondo alle soglie del Dzremila; ha deciso infine che la presente mozione venga inviata, come invito ad operare nel senso indicato, ai responsabili delle varie Istituzioni europee nazionali e locali, ai ruppvesentanti delle forze politiche e specificatamente al Minhtevo della Pubblica Istruzione pcv quanto ad esso compete, nonché a tutte le componenti del mondo associativo attestato su posizioni comuni di decisa condanna di uno pseudo-fedevalismo sostenitove di contvapposizioni assurde miranti alla legittimazione pvovocatoria di un frazionismo e d i un secessionismo che suonano come attentato palese all'unitù del nostro Paese e dell'Europa. mensile dell'AICCRE Direttore: Goffredo Bcttini Direttore responsabile: Umberto Senlfini In redazione: Mario Marsala (resporisabile), Lucia Corrius, Giuseppe D'Andrea Segreteria: Tiziuna Accascio, Anna Pennestri Direzione e redazione: Piazza di Trevi 86 - 00187 Roma Indir. telegrafico: Comuneuropa - Roma - tel. 69940461-2 -3-4-5, fax 6793275 e-mail: [email protected] Questo numero è stato finito di stampare nel mese di marzo 1997 ISSN 0010-4973 Abbonamento annuo per la Comunità europea, inclusa I'ltalia L. 30.000 Estero L. 40.000; per Enti L. 150.000 Sostenitore L. 500.000 Benemerito L. 1.000.000 16 Una copia L. 3.000 (arretrata L. 5.000) I versamenti devono essere effettuati: 1) sul c/c bancario n. 274/72 intestato: AICCRE c/o Banca diRoma, Dipendenza 88 (CAB 03379.1; ABI 30021, Piazza SS. Apostoli - 00187 Roma, specificando la causale del versamento; 2) sul c.c.p. n. 38276002 intestato a "Comuni d'Europa1',piazzi di Trevi, 86-00187Roma; 3) a mezzo assegno circolare - non trasferibile - intestato a: AICCRE, specificando la causale del versamento. Aut. Trib. di Roma n. 4696 de11'11-6.1955 Arti Grafiche Rugantino s.r.l., Roma, Via Spoleto. 1 Fotocomposizione: Graphic Art 6 s.r.l., Roma, Via Ludovico kluratori 11/13 Associato all'USPI - Unione Stampa periodica italiana FEBBRAIO 1997